Writober 2022

di Dian87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nebbia ***
Capitolo 2: *** Tempo ***
Capitolo 3: *** Penombra ***
Capitolo 4: *** Ponte ***
Capitolo 5: *** What's your poison? ***
Capitolo 6: *** Burro ***
Capitolo 7: *** Tre ***
Capitolo 8: *** Paura ***
Capitolo 9: *** I’m the designer of my own catastrophy ***
Capitolo 10: *** Ricordo ***
Capitolo 11: *** Cielo ***
Capitolo 12: *** Tensione ***
Capitolo 13: *** Linea ***



Capitolo 1
*** Nebbia ***


Regno di Repin, Iulia, 2 eodie 1018

Si sedette sul masso, silenziosa. Ai suoi piedi si stendeva la piana coperta di nebbia. Aurora e Leto erano accanto a lei, silenziosi, mentre alle sue spalle Arys stava appoggiando la mano sulla sua spalla.

Ce l’aveva fatta, dopo anni era riuscita a tornare alla sua terra e ricordava chiaramente tutte le alture e i boschi che avevano accompagnato la sua crescita e la sua decisione di andarsene. Seguiva con lo sguardo della memoria il fiume che scintillava vicino alla sua città natale, il mare le cui ondate di tanto in tanto donavano tesori che i bambini andavano a cercare.

«Mamma? Perché piangi?» la voce di Aurora a malapena fu udibile.

Arys spostò la mano sulla spalla della bambina e scosse lievemente la testa. Aurora annuì lentamente e spostò lo sguardo sulla massa di lana morbida che giaceva ai loro piedi.

Thymeria ricordava chiaramente i boschi, la driade con cui si addestrava e i pochi amici che si era fatta al tempo. Correva in quei boschi quando aveva poco più dell’età di Aurora e saltava da un albero all’altro, arrampicandosi con sempre maggiore agilità. Si ricordava ancora il nome della driade, Ery, con cui aveva fatto interminabili nottate nello studiare gli alberi e si chiedeva se lei l’avrebbe riconosciuta dopo tutto quel tempo.

Ricordava anche le ramanzine della madre quando tornava a casa, il suo dire che non fosse normale che una ragazzina di città si allontanasse così spesso nel bosco da sola e che ci rimanesse per così tanto tempo. Qualche volta le aveva detto che non si sarebbe stupita quando le sarebbe arrivata la notizia che il suo cadavere fosse stato ritrovato da qualche parte. Ora… ora poteva sospettare che l’avesse fatto solo per preoccupazione come lei, probabilmente, avrebbe potuto fare nei confronti di Aurora o Leto. Ma lei non era la madre. Lei aveva scelto di istruire i figli a sopravvivere, lei aveva obbligato la figlia ad uccidere ed era stata lei a dar loro le basi per sopravvivere ed organizzarsi quando gli gnomi li avevano catturati.

Era stato merito di Aurora e Leto, poi, l’aver messo a frutto le conoscenze che lei aveva loro fornito, era stato loro il merito di riuscire a trovare la soluzione e mettere d’accordo i ragazzini ed organizzare l’evasione di massa.

Si alzò, sospirando lievemente, e si voltò appena verso Arys.

«Possiamo scendere domani, quando ci sarà maggiore visibilità.» le disse, con un lieve sorriso. L’armatura da interfector era stato lasciato nello zaino ed indossava soltanto un’armatura di pelle conciata e il cappello nero. Quello era l’unica cosa che aveva deciso di portare sempre con sé, per non rinnegare il suo passato. Lei non gliel’aveva mai chiesto.

«Non credo ci sarà mai una maggiore visibilità.» commentò Thymeria, appoggiando la mano sulla spalla di Leto che si stava sporgendo in avanti. «Non credo che questa nebbia sia naturale. Mi chiedo cosa stia avvenendo nei confini di Tergis.»

«Qualsiasi cosa sia,» sorrise lievemente Arys. «sai che non sarai sola ad affrontarla.»

«Papà ha ragione!» esclamò Aurora, sollevando l’arco che aveva in spalla. «Sai che puoi fidarti di noi, mamma!»

Thymeria diede un bacio sulla fronte della bambina e Leto si sporse più avanti.

«Che c’è, cucciolo?» chiese Arys, osservandolo.

«Lì.» il bambino allungò la mano verso un punto ben preciso nella nebbia. «Billa.»

I due adulti osservarono con attenzione il punto e poi Leto. Era da poco che parlava chiaramente e avevano notato qualcosa di diverso in lui, qualcosa che aveva fatto sì che entrambi i genitori fossero più convinti a raggiungere il Tergis.

«Brilla? Riesci a vedere una forma? Un colore particolare?» chiese Arys, arruffandogli i capelli riccioluti.

«No.» rispose lui, semplicemente.

Thymeria osservò Arys ed entrambi annuirono all’unisono, iniziando ad avviarsi.

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Capitolo 2
*** Tempo ***


Khen Lodihr, 18 pluvania 868

Il muro di luce si parò davanti a lei e fu costretta a pararsi gli occhi.

***

Tubi di un materiale lucente stavano puntati verso il cielo, dove delle sagome longilinee con grandi aperture laterali volavano in cerchio.

«Forza! Mirate!» la voce risultava strana, gracchiante.

***

La luce si indebolì lievemente.

Franziskyra? la voce calda di Evreirth risuonò nella sua mente e sorrise lievemente.

Sono ancora qui gli rispose, voltandosi verso il duerg che si trovava assiso sul trono.

Non farlo fuori le ricordò ci hanno chiesto di riportarlo vivo.

Franziskyra sorrise lievemente, estraendo la lama dei draghi. Aveva bisogno di lunghezza in modo da non dover attraversare troppe trappole per quanto usarla a terra fosse una vera rogna.

Me lo ricordo, Evrerith rispose lei, soppesando la lama e lanciando un’occhiata al pavimento che si illuminava ed esplodeva in colonne di luce gli farò solo rimpiangere di essere nato.

Riuscì a muovere soltanto un altro passo prima che una colonna di luce l’investisse nuovamente.

***

«Papà! Guadda!»

Spostò lo sguardo verso un bambino che stava indicando una lucertola.

«Cos’è?»

Accanto a lei un uomo si accucciò. Aveva pantaloni di un colore strano, un misto tra un marrone e un viola, con macchie dell’uno e dell’altro, una maglia con uno strano segno sul cuore, una palla con delle righe in mezzo, decisamente non era una cosa della sua gente. I lineamenti assomigliavano a quelli di un qualsiasi altro umano del Þrándheimr e i capelli erano tagliati molto corti, un dito o forse poco più di altezza.

«Ne ho sentito parlare… si chiamavano lucertole.»

***

Scosse lievemente la testa e tornò ad osservare il pavimento prima di rimettersi a correre. Tre passi avanti, due passi a destra, un passo a sin…

***

Una delegazione si trovava davanti a loro, osservandoli con attenzione. Avevano lunghe tuniche candide, impreziosite da gemme di ogni sorta di colore. Lunghi capelli che variavano dal rosso fuoco al mogano erano raccolti in strane acconciature, cose di cui Franziskyra non si era mai occupata, ma da queste sbucavano chiaramente delle lunghe orecchie appuntite.

Accanto a queste figure, altri umani con abiti tratti da pelli e vagamente cucite con fili grossolani avevano lance e coltelli di selce al loro fianco. L’ultima parte della delegazione era formata da duergar, completamente avvolti dalle armature da parata con fini rilievi ed incisioni ad indicare il complesso sistema sociale.

«Io Kayson.» disse l’uomo al suo fianco, alto più di una testa e tutte le spalle, ben piazzato, portando la mano sul petto. «Io amico.»

***

Sette passi a sinistra, scartò all’ultimo una colonna che si stava innalzando e saltò per evitare una nuova trappola sotto ai suoi piedi. Fu costretta a rotolare, ma, quando si fermò con il piede pronta a rialzarsi, questo era di nuovo all’interno di un cerchio di luce.

***

«Questi selvaggi non sanno nulla… non sanno nemmeno come coltivare la terra, figurarsi altro.»

«Ho sentito dire che mangiano i loro caduti e si sposano tra di loro.»

Malignità, lo sapeva bene.

«E quegli orecchie-lunghe? Hai visto le loro stregonerie?»

Paura serpeggiava in mezzo a loro.

«Dovremmo liberarcene.»

Una selva di teste annuì lievemente e abbassarono la testa sul tavolo lucido, su cui era riprodotta la mappa dell’intero Þrándheimr come non l’aveva mai visto prima, sembrava disegnata sul tavolo stesso.

«Cominceremo da qui.»

***

Le visioni non le dicevano nulla di nuovo sull’animo delle persone. Erano gente venuta da chissà dove, chissà per quale motivo, colonizzatori come forse erano stati i suoi avi e quelli di tutte le altre creature. Non sempre l’incontro tra razze completamente diverse era pacifico e lo sapeva bene grazie ai racconti della Guerra dei Draghi.

Si rialzò e riprese a correre. Metà sala, non le mancava più di tanto.

***

Tubi metallici sottili, con una parte più grossa verso un’estremità. Agganciò qualcosa nella parte sottostante e osservò all’interno del piccolo tubo attaccato sopra quello più grosso. Non aveva mai visto così grande una cosa messa a migliaia di passi di distanza. La mela era perfetta in ogni dettaglio, in ogni sfumatura di colore.

«Andiamo a caccia?»

«Sono di turno.» era la propria voce quella che rispondeva. «Settore uno-sette-tre.»

L’altro agitò la mano, facendo un fischio.

«Roba grossa… quell’altura è tosta.»

Scosse lievemente la testa. «Basterà spaventarli, hanno già imparato che i nostri fucili fanno male.»

Fucili, forse era quella la cosa che volevano trovare all’interno di Khen Lodihr?

Si mise il fucile in spalla e si avviò verso la porta.

***

La luce diminuì d’intensità e poté riprendere a correre, scansando le successive colonne. Il duerg pazzo se la stava ridendo, seduto scomposto sul trono. 

«Chi arriverà alla meta? La mente spezzata o il corpo separato?» chiese, sollevando un piede per appoggiarlo sullo schienale mentre i lunghi capelli incolti scivolavano al suolo.

Non gli rispose.

***

«Veloci! Veloci! Battito basso, pressione in caduta!»

Le voci da un lato l’assordavano, dall’altro sembravano essere sempre più ovattate. Cerchi di luce comparivano davanti a lei, su una parete piena di righe e di tubi allacciati alla bell’e meglio. Si stava muovendo, ma non si stava muovendo.

«Quei maledetti mostri… l’hanno lasciata davanti al forte per mostrare che sono i più forti.»

«Forza con quel ventilatore, ossigenazione dall’ottanta percento.»

Cosa significavano quelle parole? Cos’era l’ossigenazione.

«Al tre, sul tavolo. Uno, due, …»

«Temperance, sono qui.» qualcuno strinse la sua mano.

«Anestesia.»

«Vedrai, Temperance, ti vendicheremo, faremo fuori quei bastardi…»

***

Davanti a Franziskyra un muro di colonne le ostacolava interamente la strada.

Cucciola, fermati il tono di Evreirth era angosciato, lo comprendeva bene.

Ev… il tono del cavaliere era sereno, in pace con se stesso è solo l’ultimo sforzo… poi ti racconterò…

Prese un respiro profondo e sollevò la lama. Un salto, uno solo e deciso in mezzo ad una colonna.

***

Il rumore era assordante, un rombo basso ripetuto sempre uguale… bree, bree, bree… non sapeva come descriverlo.

«Hanno oltrepassato la linea di difesa Delta.» la voce era atona. «Mancano le linee Echo, Foxtrot e Golf.»

Il vecchio con i capelli grigi in mezzo alla stanza lasciò crollare le spalle, scuotendo lievemente il capo.

«È il momento.» stabilì. «Signori, è stato un onore servire con voi, ma il nostro tempo ormai è finito. Declan, arma le bombe.»

Il silenzio calò completamente nella sala, seguito soltanto da quel grido ripetuto. I presenti si lanciarono un’occhiata.

«L’evacuazione è finita.» interruppe una donna, i capelli mori raccolti in uno chignon e con lo stesso vestito degli altri.

«Bombe armate.»

«Avvia il conto alla rovescia.»

«Dieci, nove, otto…»

La porta si socchiuse appena.

«Sette, sei, cinque…»

Grida di rabbia penetrarono nella stanza, tentando di sovrastare il grido disperato e ripetuto.

«Quattro, tre, du…»

Un tonfo. Una lancia che vibrava ancora.

***

Atterrò in piedi davanti al trono, con il muro di colonne di luce alle sue spalle.

«È il momento di smetterla, principe.» sentenziò.

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Capitolo 3
*** Penombra ***


Il martellare dei picconi era incessante, neanche una lamentela si alzava dal gruppetto sorvegliato dallo gnomo. Piccole luci brillavano dalla parete di roccia, come le torce si agitavano e mettevano a luce delle vene di minerali diversi.

Aurora si voltò lievemente, appoggiando il piccone ed appoggiandosi a questo.

«Cosa stai facendo, sfaticata?» gridò lo gnomo, scendendo dal suo sgabello.

Le mani della bambina stavano sanguinando, ma nonostante questo, strinse le labbra e sollevò lo sguardo verso l’essere.

«Sono tanca.» rispose e mostrò i palmi delle mani al carceriere. «Mi fanno male.»

Leto notò il gesto, era il segnale. Approfittò della penombra e lasciò il suo posto al carrello. Camminò lentamente, incerto sui piedi soprattutto per la stanchezza. Si nascose nella penombra creata dalle piccole fiamme e raggiunse lo sgabello dello gnomo. Lo tenne fermo mentre sentiva a stento le lamentele della sorella, concentrato nel suo scopo. Vide il sacchetto che si trovava al fianco dello sgabello e sorrise lievemente. Allungò la mano e lo prese, scivolando di nuovo lungo la parete e passandolo ad un compagno di sventura più alto di lui.

Il bambino sorrise e lo infilò nel carrello pieno di pietre.

«Continua a lamentarti ancora e assaggerai questa.» esclamò, esausto, lo gnomo, agitando la frusta davanti agli occhi di Aurora.

«Va bene, va bene…» mugolò lei, richiamando delle lacrime agli occhi mentre vedeva il cenno del compagno e si voltava, per tornare al lavoro di fatica.

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Capitolo 4
*** Ponte ***


Si stavano fronteggiando una davanti all’altra.

Da una parte Aurora, quattro anni di determinazione, i lunghi capelli biondi che portavano ancora tracce della polvere della schiavitù, occhi celesti che con serietà osservavano l’essere davanti a lei, l’arco con la freccia puntata verso il nemico.

Dall’altra la regina degli gnomi, ben pasciuta di ricchezza sotto all’abito di metalli preziosi e gemme, una corona che sormontava il capo dai capelli mori in cui alcune ciocche viravano al grigio, gli occhi neri, porcini, che osservavano la massa di bambini sobillati dagli ultimi due schiavi catturati. Forse non era stata una buona idea catturarli dopo aver steso l’uomo in nero e la donna con l’arco.

Tra di loro c’era solo una sottile striscia di roccia, con il precipizio ai lati, un piccolo ponte verso la libertà e profondi precipizi dove nessuno sarebbe sopravvissuto ad una caduta.

Come uno scudiero, il bambino con i capelli biondi teneva lo zaino della sorella, ritto sui piedi e con strisciate nere dopo le settimane a portare carrelli.

«Tornate ai vostri posti e vi concederò la vita.» la bocca della regina era ampia, dotata di tanti piccoli denti affilati.

«Mai!» rispose Aurora. «Io sono Aurora Somnaris della Valpiega, figlia di Arys Somnaris della Valpiega, inteffecto di Floris, e di Thymeria Iulia Silvanus, cacciatrice di Tergis. Io sono la libertà!»

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Capitolo 5
*** What's your poison? ***


Tergis, 1018

Scesero nella grotta, Arys in testa e Thymeria a coprire le retrovie. Aurora portava in mano una corona di fiori ed erbe mentre Leto si teneva con la mano alla veste della sorella.

«Manca molto?» chiese Arys, il tono serio.

«No, va’ a destra.» accennò con la torcia alla direzione. «Ci sarà la discesa e saremo arrivati.»

«Mamma!»

Thymeria prese al volo il braccio di Leto, che stava scivolando e lo rimise in piedi. Arys voltò al bivio, non soffermandosi ad osservare i disegni che decoravano l’intera superficie. Aurora teneva gli occhi sulla schiena paterna, troppo concentrata sulla corona che la strana signora le aveva affidato e a cui aveva visto la madre inchinare lievemente il capo per la prima volta in vita sua.

A poco a poco videro l’alcova aprirsi nella roccia, all’interno si trovava un grosso masso rettangolare che sorgeva dal suolo e dalla sommità piatta annerita, mentre alle pareti disegni stilizzati di persone, animali e cose che i bambini non comprendevano affollavano ogni più piccolo spazio libero.

Thymeria prese ad Aurora la corona e la posò con rispetto sulla sommità annerita. Prese l’acciarino dalla sacca al fianco e appiccò qualche scintilla sulla composizione, che si accese immediatamente.

«A te, Somnis, e a tua moglie Gea dono questa offerta: possano i cancelli aprirsi per la vita di queste fiamme, possa il loro calore donare forza all’anima passata nel mondo dei più.» recitò le parole che aveva detto poco meno di un decennio prima.

Le fiamme crebbero lievemente, crepitando, e le immagini sembrarono prendere vita con quelle luci traballanti.

«A te, regina Iulia, presento la tua discendenza.» fece cenno ai bambini di fare un passo in avanti. Aurora strinse la mano di Leto e si avvicinarono di un passo. «Aurora e Leto, figli della tua discendenza e della discendenza di Tuscia, come da te indicato anni fa.» voltò appena il capo, facendo un mezzo sorriso ad Arys, il quale annuì. «Ma non è per presentarti la nuova generazione che siamo a disturbare il tuo sonno.» fece una pausa, riprendendo fiato. «Il regno che hai unito è in pericolo. La sàchu ha detto che una strega dei tempi antichi si è risvegliata e ha sparso il suo dominio, costringendo la tua gente in schiavitù e che nulla di tutto ciò che hanno provato sia riuscito. A te, regina, chiediamo un suggerimento.»

Un turbinio d’aria li avvolse, un turbinio caldo e che sibilava qualcosa. Tutti chiusero gli occhi, cercando di definire le parole che venivano dette.

«… qu… tuo… le…» sussurrava il vento. «…qua… tuo… leno?»

Il vento si faceva man mano più forte finché le parole non furono chiare.

«E qual è il tuo veleno?»

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Capitolo 6
*** Burro ***


Dossacles, Floris, Tuscia, 1016

«Sono tornato!» la voce di Arys era squillante, mentre apriva la porta.

Davanti a lui il finimondo.

Thymeria si trovava al caminetto, impegnata a rimestare il pranzo nella pentola, giochi di Aurora e Leto erano sparsi ovunque e i bambini si trovavano sotto il tavolo. Solo la credenza che nascondeva le loro armi era rimasta al suo posto. Il viso del neonato sembrava essere brillante mentre strillava di gioia e con le manine cercava di prendere il viso altrettanto lucido della sorella.

«Bambini, basta!» gridò esasperata Thymeria. «Aurora, lascia in pace tuo fratello!»

«A lui piace!»

«Sì, ma te l’ho detto che quel ca… cavolo di burro va conservato! Quando diamine sei riuscita a prenderne un altro pezzo?»

Arys sorrise. Sì, era di nuovo tornato a casa, con la famiglia che non avrebbe cambiato per nulla al mondo.

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Capitolo 7
*** Tre ***


Floris, Alfea, 2020 Or.

La piazza era gremita di gente, ma sopra ad essa svettavano ancora gli edifici antichi. Sedutə sulla panchina di pietra, era appoggiatə con la schiena sul muro di pietra, una sigaretta accesa tra le mani il cui filo di fumo si levava verso il cielo nuvoloso.

Un individuo si sedette accanto a ləi, incrociando le gambe e stiracchiandosi.

Con la coda dell’occhio vide che era vestito di una maglietta nera e di jeans strappati, ma non ci fece caso più di tanto.

«Quanti?» chiese il nuovo arrivato, mentre un bambino correva davanti con un bastoncino che teneva una rificolona e scappava da altri bambini dotati di cerbottane.

«Due.» rispose, facendo cadere un po’ di cenere dalla sigaretta.

«E quando pensi di colpire ancora?»

«Adesso.» un lieve sorriso si affacciò sul viso, mentre vide l’obiettivo avvicinarsi verso di loro, affaticato da uno spesso strato di adipe.

«Scusate, posso sedermi?» chiese, il viso rosso.

«Certo, c’è spazio per tre.» il volto era cordiale, alzandosi in segno di gentilezza.

Non ci fu un grido, solo gli occhi si sbarrarono mentre veniva accompagnato e accomodato sulla panchina.

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Capitolo 8
*** Paura ***


L’ultima fiammella si spense nella camerata, facendo piombare la stanza nell’oscurità più assoluta.

I respiri degli altri bambini erano calmi e regolari, solo un altro respiro era corto e affannato. Un mugolio giunse dal letto vicino al suo e lanciò un’occhiata a dove doveva trovarsi la porta, era ancora tutto buio. Scivolò dal suo letto e si infilò in quello del fratello, stringendolo forte a sé, sentendo il viso bagnato.

«Mamma…» mugolò il bambino.

«Va tutto bene, Leto, ci sono io.» gli sussurrò, accarezzandogli i capelli che sapeva essere biondi come i suoi.

«Ula…»

«Sì, lo so che hai paura.» gli baciò la fronte e il bambino si strinse di più a lei. «Vedrai che mamma ci verrà a prendere. Cosa ci ha sempre detto? “Dovete superare le vostre paure, un passo alla volta”.»

«Shh!» si udì da un altro letto.

I due fratelli tacquero, mentre Aurora continuava ad accarezzare il capo del fratello.

«Papà? Mamma?»

«Se non verranno loro, saremo coraggiosi.» nel buio la bimba sorrise lievemente. «Faremo come ci ha insegnato mamma, ci salveremo noi.»

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Capitolo 9
*** I’m the designer of my own catastrophy ***


Molensis, 8247 Dis.

Il veicolo rombava tracciando la propria strada nel sottobosco. Piccoli alberi venivano schiacciati dalle ruote e gli animali scappavano impauriti da tutto quel rumore.

«Kayson, perché hai voluto incontrare quei selvaggi?» chiese l’uomo alla guida, che indossava una mimetica sui toni del verde, gli occhiali da sole alzati sulla testa.

«Dobbiamo riuscire a interagire con loro, non possiamo sterminarli e basta.» sbuffò l’uomo ben piazzato, i capelli castani raccolti in un codino. «Vogliamo comportarci come i nostri avi?»

«E come pensi di parlare con loro?» una mano andò a grattare i capelli mori tagliati a spazzola, le tempie rasate. «Non parlano il vidariano moderno.»

Temperance si appoggiò con un braccio al bordo del fuoristrada, sospirando appena. «Sono certa che l’illustre paleoantropologo Kayson Danielson ha già imparato tutte le lingue del Þrándheimr antico.»

«Ma se a malapena è riuscito a dire due parole in croce l’ultima volta!» lo sfotté la donna seduta accanto all’autista. «Te lo dico io, Temperance, quell’uomo sarà l’artefice della propria catastrofe.»

«Dai, Lexi…» sospirò Temperance, stringendo un po’ di più la mano sul bordo del fuoristrada, i capelli biondo cenere raccolti in uno chignon basso. «è riuscito a comunicare con quella delegazione in äyräkkäa antico… tutti i testi che sono sopravvissuti hanno mostrato quanto poco sia cambiato in quella lingua.»

«Finché non sbaglia parole non ci sono problemi…» borbottò l’autista.

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Capitolo 10
*** Ricordo ***


Nel silenzio della stanza si avvicinò alla scrivania. Solo una clessidra era appoggiata accanto al portatile la cui ventola continuava a ronzare.

Si abbandonò sulla sedia da gaming, appoggiando la testa sullo schienale e sospirò, osservando il soffitto.

Dopo tre uccisioni non erano ancora riusciti a venire a capo delle morti, forse non erano nemmeno arrivati al fatto che i tre erano collegati da secoli di storia. Allungò la mano verso il cassetto. Laggiù, nella profondità, poteva sentire il rotolo di pergamena con il sottile filo di seta a chiuderlo.

Ricordava ancora il giorno in cui il suo maestro glielo aveva consegnato, il giorno in cui aveva saputo l’intera verità.

M.I.N.R.

Cose che ai tempi reputava una leggenda, lo ricordava bene… eppure poteva sentire fin nelle ossa la verità di ciò che stava dicendo, come il suo ordine aveva lottato attraverso il tempo.

Afferrò il rotolo, stringendo forte le labbra: era ora di rimettersi al lavoro.

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Capitolo 11
*** Cielo ***


La luce brillava in fondo al tunnel e la bambina arrancò verso di questa, con il braccio appoggiato alla spalla del fratellino. La ferita sulla guancia sanguinava ancora e, dietro di lei, tutti i bambini continuavano ad avanzare stringendo tra le mani i picconi, ancora con tutta la loro forza. Solo alcuni dei più grandi tenevano per mano i più piccoli per spronarli a camminare perché già da tempo il ponte del combattimento aveva lasciato spazio al budello di roccia che li stava accompagnando.

Aurora si fermò di scatto, sentendo delle voci e Leto avanzò solo di un altro passo, sentendo la tensione della sorella.

«Sore?» chiese.

«Shh!» lo zittì la sorella, imprecando mentalmente come aveva imparato dalla madre.

Erano una voce più acuta e una un po’ più grave, sicuramente soltanto due individui, ma potevano essere degli gnomi che non avevano avuto notizia della sconfitta della loro regina. Prese l’arco in mano e incoccò l’ultima freccia che le era rimasta, facendo un cenno con il capo alla comunità che la seguiva. Avrebbe dato tutto quello che aveva per essere una vera interfector come il padre e tenerli al sicuro.

Avanzò lentamente e vide con la coda dell’occhio Leto impugnare il coltellaccio che gli aveva assicurato al fianco e seguirla con attenzione. Non si sentivano più bambini, erano soldati che dovevano difendere i loro padri.

«Le tracce sono vecchie, ma devono essere qui dentro.» disse la voce più acuta.

«Stai indietro, allora.» rispose l’altro.

Aurora si appiattì contro la parete, approfittando dell’ombra che il cunicolo calava su di loro. Adattò gli occhi alla nuova luce, osservando le persone stagliate contro il cielo limpido. Erano più alti degli gnomi, molto più alti, uno dei due aveva un arco in mano mentre dell’altro non si vedeva un braccio. Erano…

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Capitolo 12
*** Tensione ***


«Non mollarla.» le parole vennero detto con un lieve sorriso, per quanto la voce risultasse alterata per essere androgina. «Nel momento in cui lascerai la tensione farà sì che la tua testa si stacchi dal collo.»

La vittima borbottò qualcosa e ləi abbassò il bavaglio all’uomo che era legato. La vittima sputò ai piedi dell’individuo, osservandolo con occhi rabbiosi, ma tutto ciò che vide fu una profonda oscurità sotto al cappuccio della felpa completamente nera. La felpa non era nemmeno così attillata da poter vedere se si trattasse di un uomo o una donna.

«Perché? Perché stai facendo questo?» gli gridò dietro.

«Perché la vendetta è un piatto da servire freddo.» rispose, passando una mano tra i corti capelli grigi. «Se lo ricordi, quando interrogheranno il suo fantasma.»

«Io che ho fatto?» rilassò un po’ le braccia e sentì la corda tirargli in alto la testa.

«La codardia è un atto che va di generazione in generazione, assieme al tradimento.» sibilò, con tono divertito. «Avete causato morte e sofferenza da secoli, ora è il momento di pagare il conto.»

Si voltò, iniziando ad allontanarsi.

«Ah, e le ricordo di mantenere la tensione… forse potrebbero anche arrivare a salvarla…»

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Capitolo 13
*** Linea ***


Raggiunsero la linea degli alberi e lì si fermarono, respirando lentamente.

«Conviene che ci fermiamo qui.» disse l’uomo, appoggiando l’arco e lo zaino della moglie. «Domani riprenderemo il cammino.»

Thymeria si lasciò cadere al suolo, il viso sporco di terra da una delle ultime cadute.

«Ormai è più di un mese…» mormorò osservando il sole che calava dietro alle cime. «Cosa staranno facendo?»

«Staranno facendo impazzire i loro carcerieri.» sorrise Arys, sedendosi accanto a lei ed accarezzandole la testa. «Dopotutto hanno imparato dalla migliore.» aggiunse, ridacchiando lievemente.

«E con questo cosa vorresti dire?» il tono della donna era così cupo che Arys non poté fare a meno di scoppiare a ridere. «Non credo di aver mai dovuto passare quello che stanno passando loro.»

«Lo so, amore, ma sei stata tu a portarli al sicuro fino adesso, hai insegnato ogni cosa possibile mentre io ero in missione prima e in guerra poi.» la prese per le spalle, appoggiandola contro di sé. Thymeria si accoccolò con la testa sulla sua spalla. «In questa situazione non ti rendi nemmeno conto di quello che hai fatto, delle linee che hai dovuto superare per il loro bene… e guarda Leto, da quel che mi hai raccontato è diventato un bravo ometto.»

«Certe linee, però, non avrei dovuto fargliele superare.» il tono era ancora cupo, mentre guardava davanti a sé trattenendo le lacrime.

«Eravamo tutti in guerra, Thym.» le baciò lievemente la testa. «In un momento dove non c’è bene o male, ma soltanto la sopravvivenza… e per merito tuo ora quelle piccole pesti sono in grado di superare qualsiasi ostacolo.»

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