Behind the sunrise di _Bittersweettaste (/viewuser.php?uid=47430)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una strana bambina ***
Capitolo 3: *** Un vecchio nemico 1 ***
Capitolo 4: *** Un vecchio nemico 2 ***
Capitolo 5: *** Ombre di un passato 1 ***
Capitolo 6: *** Ombre di un passato 2 ***
Capitolo 7: *** The last fight 1 ***
Capitolo 8: *** The Last Fight 2 ***
Capitolo 9: *** Addiii ***
Capitolo 10: *** What have you inside ***
Capitolo 11: *** In fondo, oggi è San Valentino. ***
Capitolo 12: *** A new adventure 1 ***
Capitolo 13: *** A new adventure 2 ***
Capitolo 14: *** Inside a new danger 1 ***
Capitolo 15: *** Into a new danger 2 ***
Capitolo 16: *** The Greatest Pain ***
Capitolo 17: *** Running to an end and a beginning ***
Capitolo 18: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 19: *** Due differenti destini ***
Capitolo 20: *** Famiglia e nuovi guai in arrivo ***
Capitolo 21: *** Julius come guai ***
Capitolo 22: *** Incontro ***
Capitolo 23: *** It's coming a new beginning ***
Capitolo 24: *** Please, don't disappear. ***
Capitolo 25: *** Warning: two freaking years later. ***
Capitolo 26: *** Can we go back in time? ***
Capitolo 27: *** I walked with you once upon a dream. ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Nonostante
sia di
stesura recentissima, questa storia ha come protagonista un
personaggio che porto avanti ormai da cinque lunghi anni, ovvero da
quando mi sono perdutamente infatuata di Dragon Ball. Come in un OAV,
Sherin è un nuovo personaggio che entra nella storia e
scombussola
molte cose (ad esempio, l'adozione da parte del Supremo).
Che altro dire?
Buona lettura.
Sherin
E' freddo. E'
freddo e accanto a me
non c'è nulla che possa scaldarmi. Non ricordo nulla, solo
un enorme
impatto ed un fragore tremendo.
La porta della navicella si è
aperta con un sibilo, ed ho trovato a malapena la forza di uscire da
essa.
Non ricordo il mio nome...Kahar? No,
non posso chiamarmi così. Se il mio nome fosse questo, lo
sentirei
mio....Kahar. Perché questo nome suona così
familiare?
"Mia madre".
Un pensiero clandestino si fa strada
nella mia mente, lambendo appena la nebbia che l'avvolge. Quindi
questo è il suo nome? Volgendo lo sguardo alla navicella,
altri
particolari mi tornano alla mente. Immagini, suoni...
Una donna alta, con lunghi capelli
corvini ed uno sguardo gelido. Dev'essere mia madre, penso, mentre
l'immagine muta. Ora ha le sembianze di un bambino. Sorride, agitando
la coda nocciola in piccoli cerchi. Kaarot. Perché proprio
lui? Il
sole sta sorgendo e non sento più freddo. Non appena il mio
sguardo
coglie la navicella, un'illuminazione mi attraversa la mente. Lo
schermo è ancora acceso ed è appena
visibile una piccola scritta verdastra.
“Pianeta Terra. Errore numero
5938. Reale destinazione: pianeta Namecc.”
Quelle poche parole sono come un
fulmine, ed i ricordi affiorano come pesci nel mare.
"Sei debole! Com'è possibile
che tu non abbia la gelida spietatezza che contraddistingue tutti i
sayan?"
"Il re ha deciso: verrà
inviata su Namecc."
Gli occhi di mia madre, la navicella
troppo stretta per una bambina della mia età, la partenza ed
infine
l'impatto.Tutto inizia ad avere un senso, anche se minimo.
Un rumore di passi mi fa sobbalzare.
Chi mai può avventurarsi un posto desolato come questo?
Cerco di alzarmi in piedi, ma un
dolore lancinante smorza sul nascere qualunque movimento. Mentre
crollo a terra, la coda s'impiglia in una radice. Solo in quel
momento ricordo chi sono. Sono un sayan.
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Capitolo 2 *** Una strana bambina ***
Stagliato contro il cielo turchino, l'anziano Supremo osservava la
Terra dall'alto del suo Palazzo, appoggiandosi al suo fedele bastone.
Pensò con una punta di rammarico alla sua giovinezza, quando
poteva vivere senza l'aiuto di niente e di nessuno...Nemmeno il cielo
presenta turbamento, osservò, volgendo gli occhi all'alto.
Il cielo lo aveva sempre affascinato. Chissà se esistevano
altre forme di vita nell'immensità della galassia, e se
erano coscienti dell'esistenza della Terra. Abbracciò con lo
sguardo il perimetro del suo Palazzo: le sottili file di alberi, la
dura pietra del pavimento...Popo, il suo fedele assistente. Tutte cose
ormai legate per sempre al suo cuore. In quel momento una piccola
verità lo colse.
Ora posso definirmi
felice.
Sorrise, assaporando la fresca brezza del mattino. Nulla avrebbe potuto
turbare quel giorno perfetto.
All'improvviso, un scossa elettrica lo percorse.
-Popo!
Sentendosi chiamare dal suo padrone, Popo lasciò cadere
l'annaffiatoio e corse verso lui.
-Signore, cosa succede? Si sente male?
Il Supremo scosse il capo, lo sguardo fisso all'orizzonte. -Dimmi,
Popo, cosa c'è oltre quelle montagne?-sussurrò,
indicando un punto imprecisato verso le montagne rocciose dell'Ovest.
-Nulla. E' un'area desertica, disabitata.-disse Popo, senza accorgersi
del lampo che passò negli occhi del padrone.
-Aggrappati a me. Ho intenzione di recarmi laggiù.-
ordinò il Supremo afferrandolo per il braccio.-Poco fa ho
percepito la lenta diminuzione di un'aura.-disse, precedendo l'ovvia
domanda di Popo.
-Un'aura....ma chi?- cominciò Popo, guardandosi attorno,
come se il proprietario di quell'aura misteriosa potesse
materializzarsi da un momento all'altro.
-Un bambino, almeno credo.-furono le ultime parole del Supremo, mentre
lui e il suo assistente sparivano in un lampo di luce bianca.
Il vento batteva implacabile il duro terreno desertico, sollevando nubi
di polvere. Da anni ormai tutti gli animali se n'erano andati, compresa
la difficoltà nel vivervi. Il cielo terso lasciava brillare
il caldo sole, che illuminava il paesaggio. Il Supremo apparve sopra
un'altura, seguito dal fedele assistente.
-Popo, cerca tra quei massi. Fa' presto.-aggiunse, vedendolo partire
con cautela. Il suolo costellato da sassi di varie dimensioni non
rendeva facile il cammino. Popo avanzava cauto tra di essi, guardandosi
attorno. Nascosta dai detriti, una sfera grande quanto una persona
adulta accovacciata riluceva sotto i raggi del sole. Popo si
chinò, cercando di esaminarla: l'interno imbottito, il
piccolo schermo tattile, probabilmente, erano stati progettati per
percorrere viaggi di lunga durata attraverso la galassia. Sullo
schermo, ormai quasi fuori uso, era possibile leggere una frase, sotto
il vetro incrinato.
“Pianeta Terra. Errore numero 5938. Reale destinazione:
pianeta Namecc.”
-Popo! Presto, vieni qui!- chiamò il Supremo, cercando di
non muovere troppo ciò che teneva tra le braccia. I lunghi
capelli neri, gli zigomi rotondi e ancora lievemente rosati tradivano
femminilità in quel viso infantile. Una bambina di neanche
sei anni.
Il Supremo scostò qualche ciocca corvina dalla fronte
pallida della bimba, quasi con affetto. Non aveva mai visto un bambino
così da vicino... Così, quella creatura
all'apparenza così fragile era un alieno, pensò,
avvicinandosi a Popo.
-Credo sia ora di andare.-disse. Popo deglutì, gettando un
ultimo sguardo alla navicella abbandonata.
-Signore...non crede che dovremmo cercare di capire chi è
questa bambina, e da dove viene?
Il Supremo aggrottò la fronte e rimase in silenzio,
soppesando le sue parole.
-Credo che per oggi basti così. Su, torniamo a casa.
Non abituati a così tanta luce, gli occhi della piccola
extraterrestre si schiusero a fatica alla calda luce d'estate. Anche se
la sua mente era ancora annebbiata, il suo istinto le
suggerì di alzarsi nonostante il dolore alla gamba. Con la
vista appannata si guardò attorno, cercando di comprendere
dove si trovasse: un'ampia stanza candida, senza finestre e per mobile
solo un'enorme letto bianco. Regnava una pace assoluta, palpabile
nell'aria. Ogni ansia, ogni preoccupazione appariva insignificante al
cospetto della spiritualità di quel semplice luogo.
Le sue gambe iniziarono a muoversi da sole, portando la loro
proprietaria in giro per quello strano posto e, senza che se ne fosse
resa conto, era giunta all'esterno.
-Sono in mezzo alle nuvole!-esclamò ingenua, incantata
dall'azzurro di quel cielo.
Sì, sembrava davvero di essere sospesi nel cielo...
-Benvenuta.-disse una voce. Popo era poco lontano, intento a curare
aiuole colorate.
La bimba corrugò la fronte, guardandosi attorno. -Dove mi
trovo?-domandò.-Questo posto è così
strano...
-Tante cose sono diverse, o strane, come hai detto
tu.-osservò l'altro-Questo è il Palazzo del
Supremo, il dio della Terra. Io mi chiamo Mr popo, e sono il suo
assistente. Qual'è il tuo nome?- chiese, aspettando una
risposta che non giunse. La bambina era rimasta in silenzio,
distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore.
-Non ricordo più il mio nome.
A quella schietta risposta Popo rimase interdetto e non aggiunse altro,
lasciandola sola con i suoi pensieri.
Davanti all'entrata del suo Palazzo, il Supremo li osservava in
silenzio. Quella bimba lo incuriosiva: in lei non c'erano malizia o
anche un minimo segno di cattiveria, ma un'acuta intelligenza e un'aura
particolare. I suoi gesti, come il semplice muovere le mani e il suo
modo di camminare erano energici, ma controllati.
In quel momento, probabilmente per una frase di Popo, rise, riempendo
l'aria della sua voce. Sorrise. Era un scena rinfrancante, pacifica.
-Così non ricordi il tuo nome...Che ne dici di
sceglierne uno nuovo assieme?- domandò Popo, avviandosi
verso il suo padrone, seguito dalla bambina. Volse lo sguardo al
Supremo, che si avvicinò, reggendosi al vecchio bastone di
legno.
-Sherin- sussurrò, accarezzando la bimba con lo sguardo.-Ti
piace?
-E' strano, non mi piace molto!- protestò la piccola,
arricciando il labbro inferiore, in segno di disappunto. Senza
aspettare un'ulteriore replica, il Supremo accennò a
rientrare, consapevole che sarebbe stato trattenuto.
-Aspettate! Non so dove andare..e ho fame...-disse, massaggiandosi il
pancino brontolante. Il Supremo alzò gli occhi alo cielo e,
indicando Popo, disse: -Popo ti darà qualcosa da mangiare.
Per il momento puoi rimanere qui...
A quelle parole Sherin si lasciò andare ad un grido di
gioia, alzando le braccia al cielo. Quella sera il Supremo si
coricò soddisfatto per aver aiutato quella bambina, dandole
un posto dove stare.
-Per il momento...-pensò, prima di abbandonarsi ad un sonno
profondo. Come poteva immaginare che sarebbe rimasta per
quasi vent'anni...
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Capitolo 3 *** Un vecchio nemico 1 ***
“La primavera ha qualcosa di magico...”
pensò la ragazza dai lunghi capelli neri seduta sotto a un
antico ciliegio in fiore. Aveva sempre desiderato sposarsi in quella
ragione. Il colore dei fiori di ciliegio, la brezza profumata...quanto
amava la primavera.
-Chi chi!- la chiamò qualcuno, distogliendola dai suoi
pensieri.- Cosa ci fai ancora qui? Tra poche ore ti sposi...
Un uomo grande e grosso, con una folta barba ed un sorriso si sedette
accanto a lei. Chi l'avrebbe mai detto, che il grande giorno di sua
figlia sarebbe arrivato così presto? Pareva così
poco lontano il giorno in cui aveva sposato sua madre...
Osservò la figlia, così simile alla
madre che li aveva lasciati così prima del tempo. Ingenua,
piena di desideri e aspettative per il suo futuro, emanava la calda
dolcezza delle giovani spose.
-Andiamo a prendere il vestito, ti va?
Molti anni prima sua madre aveva indossato quell'abito e, finalmente,
era arrivato il suo turno. Spesso, da bambina, apriva di nascosto il
vecchio baule della madre esitando a sfiorarne i ricami, scappando non
appena udiva la madre arrivare. Questa volta non sarebbe fuggita.
Indossò lentamente il vestito, cercando di fissare nella
memoria ogni singolo istante, perché non sarebbe
più ritornato.
-Oh, Chi chi...- mormorò il padre, estasiato. In quel
momento, qualcuno bussò alla porta.
-Goku! Cos'hai combinato?- urlò Chi chi, non appena
aprì la porta. Con il vestito impolverato, i capelli
spettinati e le scarpe sporche di fango, Goku non sembrava proprio
impeccabile...
-Proprio il giorno del nostro matrimonio hai deciso di combinare guai?-
gemette la ragazza, lasciandosi cadere su una sedia, mentre Goku
cercava invano una scusa plausibile.
-Chi chi...mi stavo solamente allenando...volevo dire, passeggiando!
Alla parola “allenando” Chi chi drizzò
le orecchie e scattò in piedi, furente.
-Allenando?!- strillò, mostrando i pugni- Come hai potuto
anche solo pensare di allenarti poche ore prima della cerimonia?
Preoccupato per la sua salute, il ragazzo arretrò di qualche
passo. In quei momenti, Chi chi poteva essere pericolosa persino come
Piccolo...
-Chi chi, calmati..-il padre di Chi chi si mise fra i due, cercando di
calmare le acque.- Perché invece non lasci che Goku si
sistemi? Così non risolverai nulla.
Senza aggiungere altro, la sposa si risedette, incrociando le braccia e
senza degnare di uno sguardo il futuro marito. Fortunatamente la terra
sugli abiti di Goku fu ripulita senza troppe difficoltà e i
preparativi continuavano senza ritardi. Tutto sembrava filare liscio...
-Goku.
Il ragazzo alzò il viso, cercando di capire da dove
provenisse quella voce.
-Sono il Supremo. Devi raggiungermi al Palazzo al più presto.
-Ma, Supremo...- protestò Goku- Oggi mi sposo! Non potrebbe
aspettare?
Chi chi aprì la bocca per protestare, o per
urlare, quando la voce del Supremo risuonò ancora
nell'aria.
-Ti prego, Goku, sii paziente. E' un'emergenza.
Goku sospirò, iniziando a togliersi gli abiti da cerimonia.
Chi chi, sconvolta, ricominciò a gridare.
-Cosa credi di fare? Rivestiti immediatamente!- Chi chi era ormai
vicina alle lacrime e sfogava la sua crescente ira riducendo a
brandelli un indifeso bouquet.
-Mi dispiace, ma se il Supremo ha deciso di convocarmi, sarà
per qualcosa di importante.- disse il ragazzo, sinceramente
dispiaciuto, indossando la tuta da combattimento. Senza che la ragazza
potesse fermarlo, si era già alzato in volo, diretto verso
il Palazzo del Supremo.
-Cosa? Goku sta per venire qui?
Popo annuì, porgendole una tuta pulita.
Sherin uscì dalla vasca da bagno e si avvolse
nell'accappatoio poggiato accanto ad essa. Fantastico...Goku stava per
arrivare e lei aveva appena finito il bagno. Si vestì
più in fretta che poté e seguì Popo
all'esterno. All'idea di incontrare Goku milioni di farfalle
iniziarono a volteggiarle nello stomaco.
-Non aver paura, bambina.- disse Popo, rivolgendole uno sguardo
affettuoso, com'era solito fare da anni. Sherin sorrise, sentendolo
pronunciare il nome con il quale l'aveva chiamata per anni.
-Credimi, non è affatto paura. Come posso temere
ciò che non conosco? Tu e mio pad..-arrossendo s'interruppe-
il Supremo, non me ne avete mai parlato.
Popo annuì, facendo cenno alla figlia adottiva di fermarsi
lì.
-Qui? Ma io voglio vederlo da vicino! Ti prego, lasciamo
venire con te!- chiese la ragazza, , mordendosi un labbro rossastro. Fu
alla voce roca del Supremo che si chetò, nascondendo la sua
considerevole altezza dietro ad una colonna. Pochi secondi dopo, una
freccia dorata giunse al Palazzo.
-Eih, ciao Popo!- salutò un ragazzo, saltando giù
dalla nuvola dorata con la quale era atterrato.
“Questa poi..”pensò Sherin, sbirciando
da dietro il marmo bianco. “Non sapevo che le nuvole fossero
così piccole.”
-Ben arrivato Goku
Il ragazzo corrugò la fronte, fingendosi arrabbiato.
-Accidenti, ma non potevate aspettare ancora un po'? Stavo per sposarmi!
“Cos'è un sposarmi?”
bisbigliò Sherin al Supremo, il quale non nascose un sorriso
paterno.
-Mi dispiace, ma c'è un problema...Ti ricordi di
Piccolo?-disse Popo, diventando serio.
A quel nome, Goku s'irrigidì. Di nuovo lui...non gli era
bastata la lezione che gli aveva dato al Torneo di Arti Marziali?
-Devi trovarlo.- il Supremo emerse dall'ombra, sorreggendosi all'antico
bastone. -Non so cosa abbia in mente questa volta, ma poche ore fa una
città è stata praticamente cancellata.
Goku sollevò il viso, i pugni stretti per la rabbia.
-Non dica altro. Ci penserò io a sconfiggerlo una volta per
tutte.- mentre pronunciava queste parole avvertì una
presenza, alla quale non aveva prestato minimamente attenzione.
Notando la sua espressione, il Supremo si schiarì la voce e
continuò: -A quanto pare hai notato che non siamo soli.
Sherin, vieni qui.
Goku si guardò attorno, fino a quando non vide una persona
fare capolino da una colonna. Lentamente questa uscì allo
scoperto, risultando completamente visibile...altroché se lo
era. Poteva avere sì e no la sua età, e com'era
alta. Quasi troppo, per trattarsi di una ragazza.
Certo, i muscoli delle braccia e delle gambe la rendevano un po'
mascolina, ma i lunghi e folti capelli neri brillavano alla luce del
mattino, come quelli delle dee.
“E' una ragazza..” pensò, senza riuscire
a staccare lo sguardo da lei. Non era una bellezza mozzafiato, ma
qualcosa in lei riusciva ad artigliare lo sguardo e a tenerlo fisso su
di lei.
Giunta davanti a lui, si inchinò, unendo i palmi
delle mani.
-Sono onorata di conoscerti, Goku.
Il ragazzo ricambiò semplicemente con un sorriso per poi
rivolgersi nuovamente al Supremo.
-Mi lasci indovinare: lei dovrà aiutarmi a sconfiggere
Piccolo, giusto. Non sembra molto forte..
Sherin strinse le labbra, trattenendo una risposta acida. Il Supremo si
ritirò, raccomandandosi per l'ultima volta con i giovani i
quali, con un ultimo inchino, spiccarono il volo.
-Susa la domanda- cominciò Goku, dopo vari minuti di volo
silenzioso. -Ma da quanto vivi con il Supremo?
A quella domanda, Sherin rimase per un po' in silenzio.
-Diciamo da vent'anni.
-Venti anni?!- esclamò l'altro, strabuzzando gli occhi.
-Urca, ma è tantissimo! Quindi lo conosci sin da quando eri
bambina!
-Ovviamente.
Goku sospirò, tornando ad osservare il paesaggio sottostante
-Non sei di molte parole, vero?
-Stiamo andando a fare un picnic o a dare una lezione a questo
Piccolo?- disse Sherin, con un sorriso.
-Sai chi è, vero?
-Il Supremo me ne ha parlato. So che lui e Piccolo vivono in simbiosi:
ovvero, se uno muore, l'altro lo segue.- ammise, corrugando la fronte.
Ormai aveva compreso che la vita di suo padre dipendesse da lui,
ma...no, non l'avrebbe mai accettato.
-Guarda, siamo arrivati.- esclamò Goku, interrompendo i suoi
pensieri.
Sherin abbassò il capo: sotto di loro si estendevano le
rovine di quella che era stata una grande città.
-Oddio...è stato lui?
Goku annuì, iniziando a scendere a terra. Non vi era anima
viva, in quella città distrutta. Il cielo nero lasciava
cadere leggere gocce di pioggia, come ad accarezzare quella desolazione.
-Goku. Ma che bella sorpresa.
-Sherin, stai giù!
La ragazza si voltò, appena in tempo per vedere Goku
scagliarsi su di lei per gettarla a terra, mentre un lampo di luce
gialla sfrecciava sopra le loro teste.
Un ragazzo con la pelle verde e lunghe orecchie a punta li osservava,
seduto sopra un cumulo di macerie. La sua mano destra era puntata verso
di loro, pronta a lanciare un altro raggio.
-E' da vigliacchi colpire alle spalle, lo sai?- urlò Goku,
rialzandosi.
-Da vigliacchi? Siamo in guerra, io e te. E in guerra non ci sono
regole.
-Forse no, ma c'è sempre la correttezza!
Udendo quelle parole Piccolo scoppiò in una sonora risata e
fece per proferire ancora parola, quando la vide.
Era ancora stesa a terra, le braccia sopra la testa. Quando lo
sentì ridere si alzò, sorpresa. Non doveva avere
molta esperienza in fatto di combattimenti, pensò, lasciando
scorrere lo sguardo su di lei.
Aveva visto molte terrestri, ma una così, no. Mai una come
lei. Alta quasi quanto lui, aveva capelli simili a quelli di Goku,
corvini e decisamente ribelli.
-Tsk. E questa chi è? Cos'è Goku, ti sei trovato
una nuova amica?
Quanto gli piaceva prendersi gioco di lui...Pregustava già
la risposta, quando Sherin parlò.
-Tu sei Piccoro?
-Mi chiamo Piccolo, insulsa terrestre.-urlò, sottolineando
l'ultima parola con un'onda energetica che la colpì in pieno
stomaco, scagliandola contro un'auto.
Proprio quando l'onda l'aveva colpita, Sherin lo guardò,
come a voler rimproverarlo silenziosamente. Non poteva sapere che quel
suo sguardo lui l'avrebbe rivisto molte notti in sogno.
“Che velocità...” pensò,
prima di capovolgere l'auto.
Nessuno mi aveva mai
colpita prima d'ora...Beh, almeno non così potentemente.
Però,
è davvero strano...Quel ragazzo somiglia davvero tanto a mio
padre.
-Combattiamo!
Piccolo si lanciò contro il suo avversario, pronto a
battersi.
Come
brucia..è come se delle lame mi avessero perforata e una
forza invisibile mi avesse scaraventata al suolo con tutta la sua
potenza...
Goku schivò il colpo, fulmineo. Conosceva la sua tecnica di
combattimento e sapeva che presto sarebbe iniziato il corpo a corpo.
Piccolo non lo deluse.
Dietro i resti dell'automobile Sherin riaprì gli occhi. I
due combattenti erano apparentemente scomparsi ma riusciva ugualmente a
percepire la loro forza spirituale.
Gemendo si rialzò, stringendo i denti per non pensare al
dolore allo stomaco. Maledetto bastardo.
I due erano molto veloci, forse troppo, tanto che avrebbe potuto
mancarlo.
Unì indice e medio della mano sinistra, quella
più ferma, chiudendo le altre dita. In pochi secondi una
sfera luminescente apparve sopra di esse: ora doveva solo concentrarsi.
Percepì la forza spirituale di Piccolo avvicinarsi, ma
doveva attendere ancora. All'improvviso scattò,
portando il braccio in avanti.
La sfera si divise in tre parti che saettarono nell'aria prendendo
direzioni diverse: le prime due puntarono l'avversario che, accortosi
del pericolo, scartò di lato.
-Che tecnica stupida!-disse, guardando le sfere dissolversi nell'aria
-Dovresti fare..
Non si sarebbe dovuto distrarre. Mentre era impegnato con le prime due,
la terza sfera aveva girato in tondo lontano da lui, controllata dalla
mente di Sherin. Così, quando Piccolo si era distratto,
quest'ultima ne aveva approfittato per colpirlo.
-...di meglio.- completò Sherin, assumendo la posizione da
combattimento.
Continua...
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Capitolo 4 *** Un vecchio nemico 2 ***
Piccolo si rialzò, passando il dorso della mano sulla bocca.
“Maledizione...”
Sherin strinse i denti senza distogliere lo sguardo.
-Però, non me l'aspettavo. Non mi hai fatto nemmeno un
graffio, ma mi hai colto di sorpresa, complimenti.
-Smettila di parlare e combatti!
Piccolo sorrise, mostrando i canini. Combattere? No, non avrebbe perso
tempo con una ragazzina.
Continuò a combattere contro Goku, fingendo di non aver
sentito. Sherin si lanciò contro di lui, urlando,
costringendolo a parare i suoi colpi a e distogliere la sua attenzione
da Goku.
-Così vuoi combattere, eh?- disse, colpendola al viso -Ti
accontento subito!
Sherin parò il suo calcio con gli avambracci, cercando di
non perdere il contatto visivo. Doveva resistere per accumulare
l'energia necessaria...Mentre Piccolo continuava a colpirla senza
sosta, pensò che molto probabilmente non ci sarebbe
riuscita, anche se fosse riuscita ad assorbire ogni briciola
dell'energia dei suoi colpi.
Questo però Piccolo non lo sapeva: ogni suo colpo abbastanza
potente da lei veniva assorbito e convertito in energia. L'effetto
collaterale era che il suo fisico non avrebbe resistito per molto tempo.
-Sherin, basta! Vai via di lì!- urlò Goku,
intromettendosi tra i due.- Vuoi forse farti ammazzare?
Piccolo era sorpreso quanto lui. Perché quella ragazza
incassava ogni colpo senza reagire, senza attaccare? Volgendo lo
sguardo verso di essa, capì. La sua energia stava
aumentando, e solo grazie a lui.
-Maledizione!- gridò, scagliando un'onda energetica di
altissima potenza.
Sherin la schivò, non senza difficoltà. Si
reggeva in piedi a stento, ma era pronta. Poggiò le
mani a terra, graffiando il terreno con le unghie. Urlando,
vi riversò l'energia raccolta mentre le forze iniziavano
lentamente ad abbandonarla.
Calò il silenzio, rotto solo dai loro respiri.
“Non è successo niente.”
pensò Piccolo, espirando lentamente, prima che un fascio di
luce lo investisse con tutta la sua potenza.
Sherin si rialzò aiutata da Goku mentre Piccolo cadeva al
suolo, avvolto da scariche elettriche.
-E'...è morto?
-No. Starà buono per un po'.- rispose Sherin, chiudendo gli
occhi.
Goku si avvicinò con cautela, pronto a difendersi se questi
si fosse improvvisamente ripreso. Piccolo riaprì lentamente
gli occhi e, vedendo i due ragazzi avvicinarsi, storse la bocca.
-Ma pensa...immobilizzato da una ragazzina...-disse, tentando di
sollevarsi da terra.
Il suo corpo era completamente immobilizzato, costretto a terra dalle
scariche azzurrine che l'avevano avvolto.
-Su, Goku, cosa aspetti a farmi fuori? Sono immobile, non posso
scappare. O sarai tanto debole da risparmiarmi una seconda volta?
Piccolo tossì, rivolgendogli uno sguardo carico di odio che
si attenuò quando Sherin si accovacciò accanto a
lui.
-Che cosa vuoi?
La ragazza non rispose, limitandosi ad osservarlo. Il suo sguardo
così smaliziato era così irritante. Irritante,
inutile, sciocco...Ma allora, perché desiderava che non lo
distogliesse?
-Perché lo odi così tanto?
Quell'innocua domanda lo zittì. Rimase per qualche secondo
in silenzio, squadrandoli.
-Ha ucciso mio padre. Io sono nato per vendicarlo, per uccidere Goku.-
disse, come se fosse stata una cosa naturale. Solo osservandolo
attentamente si poteva comprendere la rabbia che covava dentro di
sé.
-Goku! Ehi amico, va tutto bene?
Yamcha era appena visibile, diversi metri sopra di loro assieme a
Crilin e all'inseparabile Pual.
Goku sorrise, rinfrancato dalla presenza dei suoi amici e fece loro
cenno di raggiungerli.
-Accidenti! Ma è Piccolo?- esclamò Crilin,
indicando quest'ultimo che, per tutta risposta, si limitò ad
un insulto silenzioso.
-E' proprio lui. Goku, sei davvero imbattibile: lo hai battuto per la
seconda volta
Goku scosse la testa ed indicò Sherin, ancora seduta accanto
a Piccolo.
-E' stata lei.
Con un “EH?” collettivo i tre guerrieri si
voltarono verso lei, quella specie di amazzone che era riuscita a far
abbassare la cresta a Piccolo.
Spavaldo come sempre, Yamcha le si avvicinò a grandi passi
con un gran sorriso. Sherin ascoltò placida la sua
presentazione, ignorò le sue piccole avances e, quando lui
le chiese di dirgli qualcosa su di sé, gli disse
semplicemente qual'era il suo nome.
-Chi è quella?- sussurrò Crilin.
-Si chiama Sherin. Sai,- aggiunse -è stata cresciuta da Popo
e dal Supremo.
Crilin rimase a bocca aperta: ecco perché era
così strana...
Fasciata in una tuta da uomo, i muscoli delle braccia sviluppati,
Sherin non era proprio il tipo di ragazza che era abituato a vedere.
Mentre si concedeva queste riflessioni, Yamcha aveva rinunciato a
parlare con lei e li stava raggiungendo.
-E' davvero strana: quando le ho chiesto se aveva un fidanzato, lei mi
ha chiesto di cosa stessi parlando. Ma dove l'hai trovata?
Goku ignorò l'amico e chiamò la ragazza la quale,
finalmente, si alzò da terra.
-Sherin, loro sono i miei amici: Crilin, Yamcha e Pual.
Sherin sorrise e s'inchinò, visibilmente in imbarazzo. Non
aveva mai visto tanti uomini assieme. Anzi...Non ne aveva mai visto uno
così da vicino.
Crilin deglutì, mentre le sue guance si coloravano di rosso.
“Accidenti, è carina.” pensò.
Certo, era alta il doppio di lui , ma era proprio graziosa.
-Stavamo andando a casa di Bulma, quando il Supremo ci ha informati su
cosa stava accadendo.- li informò Yamcha -Venite con noi: tu
potrai rassettarti e Sherin avrà l'occasione di conoscere
gli altri.
A questa proposta seguì un assoluto consenso e parecchia
indecisione da parte della ragazza che, alla fine, si lasciò
convincere.
-E Piccolo?
Quest'ultimo era ancora immobilizzato, ma lo sarebbe stato ancora per
poco. Infatti, quando l'ultima scarica sparì si
rialzò, furente. Il suo primo pensiero fu subito chiaro:
farla pagare a quella piccola impertinente.
Scattò in avanti, le braccia tese. Sherin non fece in tempo
a scansarsi, ad evitare che quell'uomo imponente la sbattesse contro il
muro.
-Sherin!
Goku e gli altri erano già pronti ad intervenire, quando
Piccolo la lasciò andare.
-Non finisce qui, terrestre.- disse, prendendo quota. Pochi secondo ed
era scomparso.
Sherin rimase immobile a scrutare il cielo, incurante del rivolo di
sangue che le scendeva sul viso, uscito dal taglio che quel bastardo le
aveva fatto con le unghie.
-Coosa? Quella ragazza ha vissuto con il Supremo?
Bulma non riuscì a trattenere quell'esclamazione: Goku la
aveva raccontato l'accaduto, mentre la madre della ragazza si era
dedicata a Sherin.
-Tesoro, sei tutta sporca. Veni di là: potrai farti una
doccia e cambiarti, ti va?
Sherin annuì in silenzio. Vedere una ragazza alta ben due
metri obbedire silenziosa alla piccola e premurosa madre di Bulma aveva
un che di comico.
-Io non ho ancora capito perché il Supremo l'ha mandata con
te a sconfiggere Piccolo. Senza contare che sono passate parecchie ora
e lui non l'ha ancora richiamata.
-Mentre voi eravate qui- cominciò Goku -il Supremo mi ha
contattato telepaticamente. Mi ha chiesto di aiutarlo: ormai erano
vent'anni che custodiva gelosamente la sua pupilla e voleva che
l'aiutassi a crearsi una vita.
-Solo ora? La ragazza ha ormai più di vent'anni....Mah, chi
lo capisce, quello.- brontolò Yamcha, bevendo rumorosamente
il suo the freddo.
-Senti, Bulma, non è che Sherin potrebbe restare da te per
un po' di tempo?
A quella domanda Bulma si batté il petto con la mano.
-Certo! Conta pure su di me. E poi- aggiunse -quella ragazza mi sembra
un tipo a posto.
-Secondo me è solo strana.
Yamcha si stiracchiò, posando sul tavolo il bicchiere ormai
vuoto.
-Strana? Se non l'hai notato, caro mio, è un ragazza
piuttosto carina.
Incurante dei loro discorsi, Sherin era distesa sul letto che la madre
di Bulma le aveva preparato, accanto a quello della figlia.
Non si era mai trovata in una casa, in una casa vera a propria. La
signora si era dimostrata più che disponibile: poteva
sentirsi come a casa sua, le aveva detto.
Ci sarebbe riuscita? Sarebbe riuscita a vivere senza i suoi amati
mentori? Scese dal letto decisa a distrarsi, a pensare ad altro.
La stanza di Bulma aveva un piccolo balcone che dava sul giardino.
L'aria era fresca ma, nonostante fosse sera, non era freddo. Bulma,
accortasi di lei, uscì sul balcone rabbrividendo.
-Non senti freddo?- chiese, sistemandosi la felpa sopra le spalle.
-No.- Sherin si strinse nelle spalle. Al freddo era abituata. Bulma si
sedette su una comoda sdraio, lasciando cadere la lunga chioma
all'indietro.
-Aahh...è bello stare un po' all'aria aperta, non
è vero?
Volse lo sguardo a Sherin, che non aprì bocca. Seduta
sull'estremità del balcone, osservava il cielo.
-Mi mancano. Non è passato neanche un giorno e
già sento la loro mancanza.
Chiuse gli occhi ed una brezza silenziosa le scompigliò i
lunghi capelli corvini. Agli occhi di Bulma, più che una
guerriera, era una ragazza cresciuta troppo in fretta, che non sapeva
nulla della vita.
-Sono tutta la mia famiglia. Quando avevo pochi anni mia madre mi
abbandonò. Non sapeva cosa farsene, di me.
Bulma portò le mani alla bocca. Questo non lo
sapeva. Sherin continuò, lo sguardo perso nel
vuoto.
-Non so chi sia mio padre, mia madre non me ne ha mai parlato. Un
giorno mi dissero, schernendomi, che mio padre era stato un loro
prigioniero...e che era morto prima che io nascessi. Al mio arrivo
sulla Terra ero completamente disorientata, sola. Il Supremo deve aver
capito cos'era successo, almeno in parte, e così ha deciso
di tenermi con sé...Oh Bulma, aspetta...
La ragazza dai capelli turchini era di nuovo in piedi e stava
arretrando.
-Promettimi che non dirai nulla agli altri!- la scongiurò
Sherin, incurante del tremolio nella sua voce.
-E perché non dovrei farlo?
-Perché mi fido di te. Perché voglio che mi
considerino una di loro, non un'aliena. Ti prego...
Vedere i suoi occhi neri riempirsi di lacrima commosse Bulma, che mise
da parte ogni sospetto.
-Va bene, va bene...Ti prego, non piangere.
Sherin l'abbracciò, cercando di trattenere le lacrime.
-Grande e grossa, e poi piangi così.- ironizzò
Bulma, ricambiando l'abbraccio -Ora vieni, gigante.
Sentendosi chiamare in quel modo Sherin ridacchiò,
asciugandosi gli occhi.
-Dove? E a fare cosa?
-Quello che fanno tutte le ragazze il venerdì sera: pizza,
film e chiacchiere. Ti piacerà.- disse, precedendola
all'interno della sua stanza -Visto che non hai molti vestiti,
dovrò prestartene qualcuno io.
Sherin tastò un lembo dell'accappatoio che indossava e non
replicò.
-Scegli pure quello che ti pare.
Aprì un armadio azzurro che rivelò una
quantità di vestiti che sarebbe bastata ad un intero
esercito.
-Sono tutti tuoi?- domandò Sherin, accarezzando un paio di
pantaloni dall'aria costosa. Bulma annuì, visibilmente
orgogliosa.
Sherin prese un capo a caso, pescando tra quella miriade di vestiti.
Era una specie di fascia larga e molto colorata.
-E questo? Che cos'è?
-Una minigonna. Vuoi provarla?
Sherin rispose di sì. Non aveva mai visto nulla di simile,
ma era curiosa.Mentre la indossava il sorriso di incoraggiamento di
Bulma si attenuava sempre di più. Non l'aveva sistemata sui
fianchi, ma sul petto. Come un top.
-Quindi non sei mai uscita dal Palazzo?
Bulma finì di applicare lo smalto rosa sulle unghie dei
piedi, mentre Sherin sfogliava un vecchio album di fotografie.
-Più o meno. Spesso restavo nel raggio di un chilometro,
senza potermi spingere oltre.- rispose, quando una foto
catturò la sua attenzione -Sei tu?
La fotografia ritraeva una bambina con lunghi capelli turchini raccolto
in due allegri codini che giocava con un roso di pezza.
Benché fosse solo una semplice fotografia, ne fu
affascinata. Possedeva solo un'immagine che la ritraesse: era stata
scattata tanti anni fa con una vecchia polaroid.
-Dai, mostramela.
Bulma la prese con delicatezza dalle mani della ragazza. Una bambina,
con lunghissimi capelli neri e grandi occhi scuri, osservava incantata
una piccola farfalla che le si era posata sul piccolo naso. L'immensa
ingenuità di quel momento, la meraviglia nei suoi occhi,
commossero Bulma una seconda volta.
-Sai, un giorno era scoppiato un temporale fortissimo.-
cominciò Sherin -Non ne avevo mai visto uno così
forte, e rimasi accanto a dei fiori per tutta la durata
dell'acquazzone. Desideravo che crescessero belli e forti e non volevo
che la pioggia di schiacciasse. Il giorno dopo i fiori brillavano
rigogliosi, mentre io ero a letto con una febbre tremenda. Durante un
sonno agitato dalla febbre vidi un uomo. Era simile al Supremo, almeno
fisicamente, ma aveva uno sguardo sconvolgente: fiero, orgoglioso...Non
sorrideva, ma i suoi occhi emanavano un tale calore che mi sentii
subito meglio, come se mi fossi tolta un peso...
-Ti ha parlato?
-No...voglio dire, sì, ma non riuscivo a sentire la sua voce
e, quando cercai di parlagli, non udii nemmeno la mia. Non avevo il
coraggio di muovermi e così fu lui a venire verso di me, le
braccia aperte. Credo volesse abbracciarmi...- aggiunse. Le tremava la
voce. -Solo che, quando stava per stringermi a sé, il sogno
svanì. Il giorno dopo, al mio risveglio, vidi che il cuscino
era pieno di lacrime.
Bulma l'abbracciò di slancio, spostandosi nel suo letto.
Il mattino dopo la madre di Bulma sorrise nel vedere le ragazze dormire
vicine. Quasi abbracciate.
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Capitolo 5 *** Ombre di un passato 1 ***
Erano passati anni. Anni di pace, lotte, combattimenti...Anni che non
sarebbero stati dimenticati con facilità. Dopo la sconfitta
di Cell, ancora una volta la Terra era tornata in un periodo di pace.
Quel giorno freddo, in mezzo alla natura lussureggiante, un uomo
avvolto in un candido mantello meditava in silenzio. Al riparo delle
foglie di un albero di camelie, Piccolo sembrava non essere infastidito
dal venticello che percorreva l'aria. Una, due, tre gocce. Pian piano,
una leggera pioggia iniziò a cadere, riempendo l'aria del
suo lieve rumore. Il namecciano rimase impassibile, concentrato solo
sulla sua aura che con la sua luce d'argento lo avvolgeva da capo a
piedi.
“Non riesco a credere che Goku voglia rimanere
nell'Aldilà...”
Una voce si insinuò nella sua mente, turbando l'equilibrio
perfetto che aveva creato.
“Mi sento sola. Bulma deve occuparsi di suo figlio, e mi
sento un peso..”
Ormai quel sussurro stava acquistando una forma: una ragazza lo
osservava senza battere ciglio. Era così innocente,
così semplice...Turbato, il namecciano iniziò a
perdere la concentrazione.
“...quindi tu ed il Supremo siete diventati un'unica
persona..” disse lei, muovendo lentamente la bocca. Piccolo
strinse i denti: ricordava molto bene quel momento. Aveva cercato di
turbarla il meno possibile, riferendole la notizia. Sapeva benissimo
quanto lei e quel vecchio fossero legati...Nonostante lei avesse
cercato di mascherarlo, Piccolo era riuscito a percepire l'ansia nelle
sue parole e nel suo sguardo.
-Ehi, stai dormendo?
Piccolo riaprì gli occhi, grato che l'oggetto dei suoi
pensieri si fosse materializzato davanti a lui come un miraggio.
-Ciao Sherin.
Era tornata la primavera.
Bulma rimboccò delicatamente le coperte al figlioletto di
due anni, profondamente addormentato. Il piccolo carillon turchese
smise di girare con un piccolo scatto: l'eco dell'ultima nota parve
protrarsi all'infinito. La ragazza chiuse la porta, attenta a non
provocare il minimo rumore...
-Bulma! Dove sono i miei vestiti?
Vegeta attraversò a grandi passi il corridoio illuminato,
incurante del fatto che avesse solo un asciugamano in vita a coprirlo.
-Trunks sta dormendo. Non potresti fare meno rumore? Ti ricordo che se
dovesse svegliarsi, toccherà a te farlo riaddormentare-
aggiunse Bulma, ben consapevole che il compagno detestasse prendersi
cura del figlio. Vegeta sbuffò ma, come da lei previsto, non
fiatò e tornò sui suoi passi.
“Certe volte mi sembra di odiarlo”. Bulma si accese
una sigaretta, inspirando profondamente. Quell'uomo sapeva proprio come
mandarla in bestia. Certi giorni era docile, perfino affettuoso, ma il
più delle volte il vecchio Vegeta faceva capolino con i suoi
modi bruschi e rozzi.
Lo amava, certo. Lo amava e lo detestava allo stesso tempo. A volte
l'amore risulta essere la cosa più contorta che la natura ha
creato
Bulma uscì sul terrazzo, sciogliendo i lunghi capelli
turchini. “Vento, libertà, ecco cosa mi
serve” pensò, poggiando i gomiti sulle sbarre di
ferro. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva incontrato i suoi
amici: Chi chi aveva altro a cui pensare dopo la nascita del secondo
figlio, Yamcha, figuriamoci....Era sempre più distante,
sempre più freddo, come se volesse rimproverarla per aver
scelto Vegeta. Bulma sorrise malinconica, volgendo lo sguardo al cielo
percorso solamente da qualche nuvola solitaria. Erano successe davvero
molte cose...
-Bulma! Trunks si è svegliato!
La potente voce di Vegeta risuonò nell'aria, seguita dal
pianto del bambino. La ragazza spense la sigaretta e un secondo dopo
stava già correndo verso la camera di Trunks, ripassando
mentalmente le parole della ninna nanna.
Gohan era in camera sua, probabilmente l'unica oasi di pace che gli era
rimasta. Dalle tapparelle abbassate filtrava un luminoso raggio del
caldo sole di mezzogiorno. Il ragazzo sospirò, dando
un'occhiata all'orologio da polso: era mezzogiorno in punto. Si sedette
sul letto, iniziando il conto alla rovescia. Non era arrivato che a
tre, quando la voce della madre echeggiò per la casa.
-Gohan, dove ti sei cacciato?
Chi chi rovistava frenetica nel cestino di vimini poggiato sul tavolo
della sala da pranzo, controllando che tutto fosse a posto. Gohan
entrò nella stanza, cercando di sistemare la folta chioma
corvina, sapendo che la madre glielo avrebbe ricordato.
-Stai tranquilla mamma. E' solo un picnic, non una serata di gala.-
ironizzò.
Sua madre lo ignorò. Chiuse il cestino con un colpo secco,
segno che l'esame era stato superato.
-Lo so benissimo, Gohan.- disse, addolcendo il tono della voce -Su,
muoviti o farai tardi!- concluse, sistemando il cestino tra le braccia
del figlio.
-Sei proprio sicura di non voler venire?
-Certo, e poi chi bada a Goten?- scherzò la madre,
rivolgendogli un sorriso affettuoso.
Congedatosi dalla madre, Gohan spiccò il volo stringendo il
cesto di vimini tra le forti braccia, diretto verso l'isola del maestro
Muten. Man mano che prendeva quota, cresceva il suo buon umore: era
proprio una bella giornata. Ridendo, disegnò piroette nel
cielo. Volare gli ricordava i giochi con la Nuvola d'Oro, le rincorse
con il padre. Erano ricordi ancora vivi, ma segnati dalla malinconia.
Pian piano l'isola del maestro iniziò a delinearsi
all'orizzonte. Gohan atterrò sulla spiaggia, sollevando un
lieve nuvola di sabbia chiara.
-Ehi, c'è nessuno in casa?- esclamò, bussando
alla porta della casetta.
Dei passi strascicati annunciarono l'avvicinarsi di qualcuno, e la
porta fu aperta da un maestro Muten ancora in pigiama.
-Buongiorno!...ma come, non sei ancora pronto?- domandò
Gohan, non appena notò gli occhi chiusi e gonfi di sonno del
vecchietto che, per tutta risposta, sbadigliò.
-Oh, Gohan, sei tu...dammi solo un minuto...- il vecchietto gli fece
cenno di entrare e si allontanò con la stessa lentezza con
la quale era arrivato.
-Ciao Gohan.
Un uomo bassetto e con un buffo cranio rasato si affacciò da
dietro una porta. Gohan sorrise nel constatare che il suo amico Crilin
non era cambiato di una virgola.
-Ciao Crilin. In ritardo come al solito, vero?
-Non me ne parlare...- borbottò Crilin, grattandosi la
pelata -Il vecchietto non voleva saperne di alzarsi dal letto: ho
dovuto sventolargli davanti al naso un hentai nuovo di zecca per farlo
svegliare.
Gohan scoppiò in una sonora risata, mentre il maestro Muten
inforcava gli storici occhiali da sole, finalmente pronto.
-Si va?
Sherin scrutava il cielo seduta sul ramo di un vecchio ciliegio, la
mano affusolata accostata alle sopracciglia scure. Bulma si
avvicinò all'albero, le mani sui fianchi. Volse lo sguardo
all'amica, la quale scosse la testa.
-Ancora nessuno?- domandò Bulma con tono insofferente. Era
stanca di aspettare senza fare niente, e questo Sherin lo sapeva
benissimo. La mora scese dall'albero con un balzo, portando con se'
vari fiorellini indifesi. Ridacchiando, Bulma le tolse qualche petalo
dai capelli mentre l'altra cercava di sottrarsi a quel gesto.
-Non c'è da meravigliarsi...siamo in anticipo.-
ammise Sherin, passando una mano tra i folti capelli. Bulma
sospirò irritata e scoccò un'occhiata a Piccolo,
poco distante da dove si trovavano.
-Forse per te non è così,- cominciò la
ragazza dai capelli turchini -visto che vivete sotto lo stesso tetto,
ma io ancora non mi fido molto di Piccolo...
A quelle parole Sherin rimase interdetta: per lei vivere con Piccolo
era la cosa più naturale del mondo. In fondo, era passato
così tanto tempo da quando si era messo in testa di
ucciderli tutti e conquistare la Terra. La ragazza alzò le
spalle con un ingenuo sorriso.
-Dovresti conoscerlo meglio.- affermò convinta -In fondo non
è poi così scostante...
-State assieme?- le domandò a bruciapelo l'amica,
socchiudendo i grandi occhi azzurri, convinta che Piccolo non potesse
sentirle.
-Co...cosa?
-Siete fidanzati? L'avete fatto? Dai, che hai capito!-
continuò Bulma, incurante del fatto che
il viso dell'amica stava diventando incandescente -Allora? Dio mio,
vivete sotto lo stesso tetto! Possibile che per tutto questo tempo non
abbia mai cercato di saltarti addosso?
Incapace di formulare una risposta, Sherin balbettò un no ed
abbassò lo guardo. Bulma alzò gli occhi al cielo,
in attesa di una risposta.
-Piccolo non è la persona che credi, sai? Non mi ha mai
sfiorata, figuriamoci saltarmi addosso.
-Si, ma è pur sempre un uomo, no? A cosa credi che pensi un
uomo, quando una bella donna vive sotto il suo stesso tetto?
-Io sarei una bella donna?
Il battibecco fu interrotto da una voce in lontananza, probabilmente
appartenente ad una delle tre figure che si delineavano all'orizzonte.
-Bulma, Sherin! Siamo arrivati!
Bulma agitò il braccio, saltellando sul posto. Finalmente
erano di nuovo tutti assieme.
-Ragazze, siete più belle del solito!- ghignò il
maestro Muten, gli occhi che brillavano dietro le lenti scure. Come dei
radar, i suoi occhi avevano già percorso avidamente le curve
delle due
donne
soffermandosi in particolare sul seno generoso di Bulma. “Per
fortuna non mi ha mai degnata delle sue attenzioni.”
pensò con sollievo la mora, osservando divertita i tentativi
del vecchietto di allungare le mani sul sedere dell'amica. Crilin e
Gohan avevano steso la tovaglia sul prato e stavano già
sistemando i viveri ed i bicchieri di carta.
-E' opera di Chi chi, vero?
Gohan annuì. Era in momenti come quello che era orgoglioso
di avere una madre così brava in cucina. Persino Sherin, che
nei confronti del cibo aveva un rapporto quasi ascetico, mangiava quel
cibo con grande golosità. “A causa della
rigidità della sua dieta, Sherin deve aver sempre una gran
fame!” pensò il giovane sayan, porgendole un
piatto.
-Su Piccolo, unisciti a noi! Oh, dimenticavo che non mangi il nostro
cibo...- si scusò Crilin, addentando un panino. Piccolo
declinò l'invito con un cenno del capo. Preferiva rimanere
in disparte piuttosto che essere di troppo nel loro pranzo.
-Dov'è Yamcha? Aveva promesso che questa volta non sarebbe
arrivato in ritardo!- protestò Bulma, finendo il suo succo
di frutta -Non cambierà mai...
“Maledizione! Ma perché sono sempre in
ritardo?” inveì mentalmente Yamcha, volando a
tutta velocità verso il luogo di ritrovo. Era
così immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorse
della navicella che stava giungendo dalla parte opposta. La
schivò all'ultimo momento, sempre con lo sguardo rivolto al
paesaggio sottostante. All'improvviso, una persona si
materializzò davanti a lui, costringendolo a frenare
violentemente.
-Sherin, sei tu?- domandò il ragazzo, corrugando la fronte
-Come diavolo ti sei vestita?
La donna non rispose, continuando a guardarlo negli occhi. Yamcha
indietreggiò, quasi involontariamente. Tutto ciò
era assurdo: Sherin non aveva quello sguardo così glaciale,
ne' quell'aura strana...
-Gli altri sono già arrivati?- domandò di nuovo,
incurante del presentimento che lo percorse. Fu così rapido
che non fece in tempo a rendersene conto. La mano della donna si era
abbattuta sulla sua nuca, facendogli perdere i sensi.
Yamcha
in un primo tempo fu solo un presentimento, un pensiero. Un attimo dopo
una scossa che percorse l'aria.
-Era...era Yamcha?- domandò il maestro Muten.
-Si, ne sono sicuro...ma c'è un'altra aura, ed è
potentissima!
--Che sia Goku?
Piccolo strinse i pugni e raggiunse gli altri, abbandonando la sua
solitudine. Come avrebbe potuto essere Goku? L'aura era molto potente,
quello sì, ma era del tutto diversa da quella del sayan.
-No, e non sembra neanche una forza positiva. -sentenziò,
togliendosi il mantello e gettandolo a terra -Ed io sono pronto a
difendermi, se sarà necessario.
La tranquilla felicità di quel pomeriggio fu improvvisamente
spezzata dal timore. Dalla prospettiva inquietante di un nuovo
pericolo.
-L'aura si è azzerata!- gridò Crilin. Volse lo
sguardo al cielo, come a cercarvi il proprietario di quella forza.
Sherin fece scrocchiare le giunture delle mani, mentre Bulma esprimeva
il timore che si era annidato nel cuore dei compagni.
-Che ne è stato di Yamcha?
Gohan scosse la testa. Come avrebbe potuto saperlo? L'aura del loro
amico era sparita, ma non poteva essere morto...il solo pensiero che il
suo amico non fosse più tra i vivi era inaccettabile.
-...Tu.
-Attenti!
Piccolo alzò di scatto il capo. Era proprio sopra di loro, e
non si erano accorti di nulla. Azzerata la sua aura, era riuscito a
fregarli, pensò stizzito. Come diavolo era potuto accadere?
Senza nemmeno parlare lo sconosciuto alzò il braccio destro,
mentre la sua aura aumentava vertiginosamente.
-Abbassatevi!- urlò Gohan, nell'esatto momento in cui il
raggio vermiglio venne scagliato contro di loro. Sherin si
lanciò verso Bulma, pronta a proteggerla con il suo corpo.
Rannicchiata a terra, Bulma vide l'amica avvolgerla con le sue braccia,
mentre la natura circostante veniva devastata. Gohan si levò
in volo, deciso a battersi con lui. Il suo avversario non mosse un
muscolo, il viso completamente celato dall'ampio cappuccio porpora.
Avvicinò le mani ai lembi del cappuccio. Pochi secondi che
parvero durare un'eternità. Gettò il tessuto
all'indietro, scoprendo una folta capigliatura corvina che, liberata
dalla sua prigione di stoffa, ricadde sulle sue spalle.
Una donna.
Una donna di incredibile bellezza, ma con uno sguardo feroce come
quello di una fiera. Una donna con un'armatura Sayan.
Si guardava attorno con sguardo attento, come se volesse catturare ogni
particolare di ciò che la circondava.
-Sono solo formiche...Peccato. Mi era parso di riconoscere la sua
aura..- disse fra sé e sé, iniziando la discesa a
terra. Crilin deglutì, cercando lo sguardo di Gohan.
-Hai visto la sua armatura?
-Purtroppo si. Vuol dire che c'è ancora un Sayan in
circolazione...- ammise quest'ultimo, mentre un sentimento di
frustrazione iniziò ad insediarsi in lui.
-Dov'è Kahar?- domandò la donna.
Iniziò a scrutarli tutti, mentre sul suo rilevatore
scarlatto scorrevano miriadi di informazioni in una lingua sconosciuta.
-Non sappiamo di chi stai parlando!- sbottò Crilin, tentando
di rendere la sua voce minacciosa. Quella donna lo inquietava: sembrava
senz'anima, di pura roccia.
-Allora credo proprio di dovermi presentare- ringhiò lei,
insofferente -Il mio nome è Zarah e, da come probabilmente
avrete intuito, sono una Sayan.- disse, agitando la lunga coda.
-Impossibile! Gli unici Sayan sopravvissuti alla distruzione del
pianeta Vegeta sono Goku e Vegeta. Ce n'erano altri due, Napa e Radish,
che abbiamo eliminato anni fa.
La Sayan sorrise, o almeno un sorriso era quello a cui più
somigliava la smorfietta che si disegnò sulle sue labbra.
Napa e Radish...Proprio un bel vanto aver eliminato quei due
smidollati...
-Chi ti ha detto che io fossi sul pianeta Vegeta, quando Freezer decise
di distruggerlo?
Mentre la sentiva pronunciare queste parole, Sherin vide la sua vista
appannarsi. In quell'esatto momento, frammenti confusi di ricordi
iniziarono a vorticarle nella mente.
“Non c'è da fidarsi di Freezer....Partirai oggi
stesso.”
“Sta scappando!Inseguitela!”
“Aziona la navicella. ORA”
Gli stessi avvenimenti che col tempo aveva dimenticato, e che aveva
cercato di dimenticare iniziarono a fendere la nebbia che li aveva
sempre avvolti. La ragazza portò una mano alla testa, mentre
questa minacciava di esplodere.
Ancora rannicchiata a terra, Bulma le rivolse uno sguardo silenzioso,
che la ragazza interpretò come una domanda sulla sua salute.
Annuì, senza perdere di vista la Sayan sconosciuta. Un
ricordo recondito della sua mente iniziò a pulsare nel suo
cervello non appena i loro sguardi si incrociarono.
Quegli occhi sottili ed allungati. Quel naso all'insù,
quella cicatrice sull'occhio sinistro....Particolari che le risultarono
improvvisamente familiari.
Zarah incrociò le braccia, visibilmente contrariata. Poi la
vide.
Era lei.
I grandi occhi neri. La struttura fisica alta e longilinea....e quello
sguardo perforante. La coda, invece, era sparita.
-Kahar, sei tu?- domandò, socchiudendo gli occhi.
-Che cosa?
Zarah sbuffò spazientita e mosse qualche passo verso di lei,
mentre gli altri sorvegliavano attentamente ogni sua mossa.
-Non ti ricordi di me, vero? E' comprensibile, visto che sono passati
più di vent'anni dall'ultima volta che ci siamo viste.-
disse, tentando di sorriderle. Non ci riuscì.
Gohan aprì bocca, deciso ad interrompere quella follia.
-Aspetta un momento. Tu e Sherin vi conoscete?
La Sayan mostrò i denti, ma non si voltò verso
lui.
-Quando la smetterete di fare domande stupide?- esclamò
rabbiosa, afferrando la mano della giovane e portandosela al petto.
-Sono sua madre, idiota.
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Capitolo 6 *** Ombre di un passato 2 ***
Il tempo si era come fermato. Il vento pareva l'unica cosa capace di
movimento, sferzando con il suo soffio le chiome degli alberi.
Sua madre...sua madre...sua madre...Quelle poche parole continuavano a
girare nelle orecchie della giovane Sherin. Alzò lo sguardo,
sino ad incontrare i visi dei suoi amici. Bulma era ancora rannicchiata
a terra, le mani bianche poggiate sulla bocca.
-Kahar fu inviata sulla Terra con una navicella sayan molti anni fa.-
continuò Zarah -Io e alcuni miei compagni avevamo intuito
che Freezer aveva in serbo una...sorpresina, per noi. Tra noi c'era
anche il padre di Kaarot.- aggiunse.
A quelle parole, Gohan si riscosse.
-Decisi di mandare mia figlia su un altro pianeta. La inviai sul
pianeta Namecc non per conquistarlo, ma per allontanarla da possibili
pericoli. Speravo inoltre che, un giorno cresciuto, Kaarot si mettesse
in contatto con lei, ma suo padre non assegnò alcuna
ricetrasmittente alla navicella del figlio. Probabilmente causa la
fretta...Purtroppo, il segnalatore che avevo piazzato sulla navicella
di Kahar mi informò pochi giorni dopo che si era verificato
un errore, e che mia figlia era atterrata sul pianeta Terra. Vedo
inoltre che Kaarot non ha portato a termine il suo compito.- aggiunse,
scoccando un'occhiata di ghiaccio ai guerrieri.
-Certo che no!- la voce stridula di Bulma risuonò incerta
nell'aria -Goku è diventato nostro amico! Invece di
distruggere il nostro pianeta, lo ha protetto da molti pericoli.
-La cosa non mi tange minimamente. C'è qualcos'altro che non
torna...Che fine ha fatto Vegeta? Avete detto di aver eliminato Napa e
Radish, ma lui?- domandò Zarah.
-Per quanto possa suonare impossibile, Vegeta è uno di noi.
Gohan strinse i pugni. Certo, Vegeta era loro alleato, ma suo padre non
c'era più. E questo non era un particolare facilmente
ignorabile.
Zarah aggrottò le sopracciglia. Non poteva essere vero:
Vegeta, il principe dei Sayan, si era ridotto ad essere alleato dei
terrestri...
-Tanto per cambiare, mi dite se ci sono altri Sayan in circolazione?
Credo che ormai ne sappiate più di
me...-ironizzò.
-Gohan, il ragazzo accanto a me, è il figlio di colui che
chiami Kaarot.- Piccolo posò una mano sulla spalla del
giovane amico con fare protettivo. -E c'è anche un altro
Sayan, Trunks, il quale ha solo un anno. E tu, sei da sola.
-Disgustoso.- Zarah sputò in terra – non solo non
hanno conquistato questo pianeta, ma hanno pensato bene di avere figli.
Il che complica le cose. Kahar,-si rivolse alla figlia, tentando uno
sguardo affettuoso – Io e te dovremmo essere alleate,
compagne. Cerca di ricordare, maledizione: è impossibile che
tu abbia dimenticato ogni cosa del tuo passato.
-Non l'ho fatto.- la voce di Sherin uscì ferma e decisa
dalle sue labbra -Ho cercato di dimenticare, ed in parte ci sono
riuscita: ad esempio, col passare degli anni quasi dimenticai di essere
una Sayan. Ma non ho mai scordato il mio arrivo sulla Terra, e gli
ultimi giorni che passai sul pianeta Vegeta.
Mentre pronunciava quelle parole, sentì il rimorso crescere
in lei. Rimorso per aver tenuto i suoi amici all'oscuro di tutto per
così tanti anni.
-Sherin, è impossibile che tu sia veramente una Sayan!-
Crilin interruppe lo scambio di battute delle due donne -A quanto ci ha
raccontato il Supremo, non hai mai ricevuto una botta in testa, come
Goku, e non hai mai manifestato l'aggressività tipica dei
Sayan. E' assurdo!
Crilin guardò supplicante l'amica, come se la pregasse di
confermare, di mettere fine a quella follia. Sherin rimase in silenzio,
lo sguardo fisso su sua madre.
-A questo risponderò io.- Zarah frugò nelle
tasche del mantello porpora e ne estrasse poco dopo un piccolo
sacchetto nero -Tieni. Tuo padre voleva che lo consegnassi a te.-
disse, e lanciò il sacchetto tra le mani della figlia la
quale, esitante, iniziò ad aprirlo. Estrasse una semplice
collana di corda, dalla quale pendeva un ciondolo ovale. La pietra
verdastra scintillò, colpita dai raggi del sole. Al sicuro
nell'incavo della sua mano emanava un dolce calore che la percorse da
capo a piedi. Sherin chiuse gli occhi: doveva tentare di non perdere la
connessione che tra loro si era creata.
Zarah giocherellò con una ciocca di capelli, impaziente.
-Sta succedendo qualcosa?- domandò, scettica.
Sherin stava per ribattere, quando una vampata di calore più
forte investì il suo corpo, e per un attimo perse la vista.
Barcollò, respirando a fatica. Si sentiva soffocare, come se
qualcuno l'avesse chiusa in un sacchetto e stesse lentamente togliendo
l'aria. D'un tratto, due braccia forti la sollevarono, e
sentì l'aria tornarle nei polmoni. Abbassò lo
sguardo sul suo petto, circondato ancora da quelle braccia. Strano...le
erano quasi familiari.
-Piccolo?
-Non esattamente.
Riacquistò l'equilibrio, aiutata da quella voce profonda.
-Chi sei?
-...in realtà non dovrei dirtelo.
-Fallo.- Sherin portò le mani alla testa, cercando di non
perdere i sensi. L'oscurità l'aveva avvolta. “E'
impossibile..Come può svanire tutto
improvvisamente?” pensò a fatica -Per favore,
dimmi dove mi trovo.
-Il ciondolo ti ha trasportata in una dimensione parallela. In
realtà, il tuo corpo è ancora sulla Terra.
-...sono morta?
-No, no... Mentre il tuo corpo ha perso conoscenza la tua anima
è stata condotta in un'altra dimensione.
-Fatti vedere.- bisbigliò lei -Non credi sia un po'
inquietante ascoltare una voce senza vederne il proprietario?
La ragazza sentì ridere. Dal silenzio risuonarono dei passi
leggeri, ed una mano si posò sulla sua spalla.
-Voltati.
La ragazza si girò lentamente, pronta a difendersi, ad
urlare, a scappare...Qualunque cosa avesse visto, non si sarebbe
lasciata cogliere impreparata. Quel viso, però, era l'ultima
cosa che si sarebbe mai aspettata di ritrovare di nuovo davanti a
sé.
-Oddio...
-Ci siamo già visti io e te, giusto?- l'uomo sorrise,
scostandole una ciocca ribelle dagli occhi -Quindi, penso che sia
meglio continuare da dove ci siamo interrotti.- disse, allargando le
braccia. Sherin si ritrasse, ma non riuscì a sfuggire al suo
abbraccio. Non cercò di staccarsi, né
protestò, ma ricambiò con trasporto.
-Sei il terzo namecciano che irrompe nella mia vita, lo sai?-
sussurrò, suscitando il suo sorriso.
-Davvero?
-Davvero...- d'un tratto il pensiero della madre le balenò
in mente -Ascolta: la donna che mi ha dato il ciondolo...la conosci?
Il namecciano inspirò a fondo, stringendola a sé.
-Zarah. Questo è tipico di lei...sconvolgere la vita di
qualcuno con pochi gesti.- disse, accarezzandole i capelli con le
lunghe dita.
-La conosci, non è vero?
Lui non rispose. Per il suo bene sarebbe stato meglio non sapere nulla.
Per non soffrire ancora. Depositò un bacio sulla fronte
della ragazza.
-Si, la conosco bene...Sherin, hai mai conosciuto tuo padre? Zarah non
te ne ha mai parlato?
Sherin scosse il capo. No...si era limitata a sconvolgerle la vita.
Nulla di particolare...Iniziò a rovistare nelle tasche della
tuta, i grandi occhi neri spalancati. Dov'era finito il ciondolo?
La corda della collana le scivolò lungo il collo, fermandosi
proprio sopra il suo cuore.
-Dille che le sono grato. Non avrei mai creduto che un giorno avrebbe
mantenuto la promessa.
Legò la collana al collo della giovane, la quale era sempre
più confusa e disorientata.
-Che qualcosa che ancora non capisco...
-Dimmi.
-Qual'è il tuo nome? Chi sei, e perché anni fa mi
sei apparso in sogno?
-Mi chiamo Torat.
Non appena ebbe pronunciato il suo nome, una luce argentea
brillò tra loro. Torat sorrise debolmente, mentre tutta
l'oscurità che sino a quel momento li aveva avvolti
iniziò a dissolversi.
Sherin allungò le braccia verso di lui, ma le sue mani non
toccarono che aria.
-Sherin! Sherin! Per l'amor del cielo, svegliati!
La voce di Bulma le risuonò nelle orecchie, seguita da
scossoni che la risvegliarono del tutto.
Zarah si accarezzò il mento, pensierosa. A quanto pare il
ciondolo aveva compiuto il suo dovere: Torat aveva previsto tutto.
Sherin accolse con un sorriso l'aiuto di Piccolo che l'aiutò
a sollevarsi da terra, stringendola tra le braccia.
-Sai, ho visto mio padre...-sussurrò, cercando lo sguardo di
Bulma. La ragazza spalancò gli occhi, incredula.
-Tuo padre? Sherin, sei svenuta..forse lo hai solo sognato...
Sherin scosse il capo. Solo un sogno? I sogni non erano così
reali.
-Non ricordi? L'uomo del mio sogno. Il namecciano che mi era tanto
familiare...Era lui, è mio padre.
Accanto a lei, Piccolo sentì il suo cuore smettere di
battere. Sherin sorrideva felice, nonostante ciò che stava
accadendo. Raccontava agli altri la sua visione, soffermandosi sulla
descrizione di suo padre, lasciando trapelare l'emozione che provava.
In quei momenti ricordava quanto l'adorava...così ingenua,
dolce ed emotiva.
-Era mio padre, non è vero?- domandò Sherin a sua
madre, la quale annuì.
Ancora malferma sulle gambe, Sherin accarezzò il ciondolo.
Aveva incontrato suo padre, in un incontro breve ma intenso, che aveva
sfiorato il confine del loro mondo e quello dell'aldilà.
Sfilò i polsini blu dai polsi, mentre una brezza leggera
sollevò i suoi capelli.
-Dimmi perché sei giunta qui. Per conquistare la terra? Per
farmela pagare?
Zarah rise, gettando la testa all'indietro.
-Vedo che non hai perso la tua lingua tagliente. Comunque hai ragione
solo in parte. Non sono venuta sulla Terra per fartela pagare, ma per
proporti un accordo. Tu vieni via con me, e ai tuoi amici non
accadrà niente. Se invece decidi di voler restare,
dovrò sporcarmi le mani con un po' di sangue terrestre.
Piccolo gettò via il mantello dalle larghe spalle, segnale
che era pronto a combattere. I compagni lo seguirono, assumendo le
posizioni da combattimento. Sherin porse il viso al vento, e chiuse gli
occhi. Adesso era pronta.
Zarah scatto in avanti, urlando: improvvisamente la sua figura
scomparve, così come la sua aura.
Un urlo squarciò l'aria. Bulma si dimenò nella
stretta di Zarah, tentando di liberarsi. La Sayan si alzò in
volo, portando la ragazza con sé. Sherin la rincorse,
incurante della trappola che la madre le stava tendendo.
-Lasciala andare. Lei non ha niente a che fare con me.
Zarah sorrise.
-Non sei tu a dettare le regole del gioco, dolcezza.-
sibilò, lanciando via il suo ostaggio. Sherin si
lanciò in suo aiuto, ma era troppo lontana. Bulma
urlò, vedendo il terreno avvicinarsi sempre di
più. Nessun essere umano sarebbe potuto sopravvivere ad una
caduta del genere. Improvvisamente, sentì qualcosa
afferrarla e cambiare bruscamente direzione. Aprì gli occhi.
Vegeta la stringeva al petto, gli occhi scuri colmi di ansia.
-Vegeta? Sei davvero tu?
Il Sayan non rispose, limitandosi ad atterrare accanto ai compagni.
Posò sua moglie a terra, senza mai perdere di vista il
combattimento tra Sherin e Zarah.
Le due donne combattevano con accanimento, ed era palese la
diversità tra i loro stili di combattimento. Zarah lottava
con la ferocia di una tigre, le mani pronte a graffiare, a colpire.
Sherin schivava i colpi con movimenti fluidi, cercando di non
infliggere troppi danni alla madre. Vegeta corrugò la
fronte: quella stupida stava sbagliando tutto.
-Sherin, cerca di combattere a terra! Zarah è troppo abile
nei combattimenti aerei.
Gohan sussultò. Possibile che Vegeta conoscesse quella
donna? Come ad aver letto nei suoi pensieri, Vegeta annuì.
-Sherin, lascia che Vegeta combatta con te!- urlò Gohan, il
viso rivolto al cielo.
La giovane incassò un violento colpo ad un fianco, distratta
alle parole dell'amico. Intanto Vegeta le aveva raggiunte, avvolto
dalla sua potente aura. Zarah, non appena lo vide, smise di lottare con
la figlia. Sorrise, incrociando le braccia al petto.
-Vegeta. Allora è vero, sei diventato l'amichetto dei
terrestri....-disse beffarda.
Vegeta strinse i pugni. Essere definito “l'amichetto dei
terrestri” da una come Zarah non era certo il massimo.
-Amichetto?! Chiudi quella bocca infame, donna. -il suo sguardo si
posò su Sherin -Intanto dimmi perché stai
combattendo con quell'incapace. Se vuoi guai, almeno cercali con un
Sayan.
-Quanto sei stupido.- Zarah rise, una risata sguaiata -Non la
riconosci?
Vegeta squadrò scettico la ragazza. Chi avrebbe dovuto
riconoscere, se non la sciocca ragazza che stava così a
cuore ai terrestri?
-A quanto pare oggi dovrò aprire gli occhi ad una miriade di
idioti. E' Kahar.
Il Sayan arretrò, scioccato.
-Kahar? Non era stata data per dispersa poco prima che Freezer
distruggesse il nostro pianeta?
-Vedo che ti sei svegliato. La sua navicella sarebbe dovuta atterrare
sul pianeta Namecc, ma a quanto pare...
Sherin seguì il loro scambio di battute con sempre meno
pazienza. Si sentiva un fenomeno da baraccone, una
nullità...Era soprattutto lo sguardo di rimprovero e di
paura dei suoi compagni a farle male...
Inspirò a fondo: quella storia doveva finire. Comandata dal
suo pensiero, la sua aura cominciò lentamente a crescere.
Aveva imparato, grazie ad allenamenti durati tutta una vita, ad
aumentare la sua aura in modo quasi impercettibile, come i granelli di
sabbia che pian piano scendono nella clessidra. Nel frattempo Vegeta
aveva ingaggiato una lotta senza esclusione di colpi con sua madre. Il
fatto di avere un avversaria degna di lui aveva risvegliato la sua
voglia di combattere. Muovendosi con velocità elevata, i
loro corpi risultavano quasi invisibili, ma la loro forza era
così potente da poter essere percepita a chilometri di
distanza. Approfittando del fatto che non le era rivolta alcuna
attenzione, Sherin unì le mani in un atteggiamento simile
alla preghiera. Diversi metri sotto di loro, Piccolo capì
ciò che la compagna stava per fare. La ragazza
portò le mani giunte al cielo, i grandi occhi chiusi. Zarah
si voltò verso lei, convinta che la figlia stesse osservando
il combattimento. La vista della giovane la mise in guardia e la Sayan
fece per fermarla, quando un raggio dorato la colpì alla
spalla. Piccolo mostrò i denti in un sorriso malizioso, la
mano tesa verso lei.
-Non credi che sia ora di vedertela con me?- disse, prima di scagliarsi
contro essa. La Sayan urlò, strappando il mantello dalle
spalle. Come aveva osato?
“Distraetela.” il pensiero di Sherin giunse chiaro
nella loro mente. La giovane aveva riaperto gli occhi, il profondo nero
mutato in oro.
-Cosa ha intenzione di fare?- domandò un terrorizzato Gohan.
Il Maestro Muten scosse la testa, ma rispose comunque.
-Credo voglia tentare una tecnica particolare. Me ne parlò
tempo fa il Supremo: è una mossa efficace, ma
pericolosa...Sherin non può mantenerla a lungo.
-Di cosa si tratta?
-La nostra amica sta per prendere il controllo del corpo di sua madre.
Bulma drizzò le orecchie. Si rialzò, scoccando
uno sguardo d'ansia al vecchio eremita.
-Come fece Genew con Goku, sul pianeta Namecc?- domandò,
ricordando la terribile esperienza trascorsa anni prima.
-Non proprio. Non ricordo con esattezza, ma il Supremo mi disse che
Sherin era divenuta capace di abbandonare il proprio corpo, e di
trasferire la sua mente in quello di un altro. E' però una
tecnica breve...nel poco tempo a sua disposizione, la nostra amica
dovrà cercare di indebolire la sua avversaria. Se non
dosasse a dovere la propria forza, potrebbe prosciugare troppa energia,
e morire con il corpo della madre. Non prenderà il controllo
fisico del suo avversario, ma lo controllerà mentalmente. Il
suo corpo, privo di conoscenza, sarà molto vulnerabile,
perciò toccherà a noi vegliare su di esso. Al
momento giusto, Sherin dovrà affrettarsi a trasportare la
propria mente nel suo corpo...
-Zarah potrebbe ribellarsi?
-Non lo so...solo chi possiede una terrificante forza di
volontà può scacciare una mente allenata come
quella di Sherin.
Nel frattempo, sopra di essi accadeva il finimondo. Piccolo era stato
colpito più volte ma, non appena vedeva Zarah raggiungere la
figlia, si intrometteva tra le due donne. “Ti prego, Piccolo,
resisti...non manca molto...”pensò Sherin,
tentando di non perdere la concentrazione. Zarah afferrò il
namecciano per la scollatura della tuta, ormai semi cosciente.
-Mi dispiace, sai. Un guerriero valoroso come te che si sacrifica per
aiutare quello stupido meticcio...- sussurrò lei, accostando
la bocca al suo orecchio -Un vero peccato....
Piccolo vide la sua mano piombare su di lui. Chiuse gli occhi,
aspettando il colpo di grazia. Non accadde nulla, e la stretta su di
lui rallentò. Il viso di Zarah era ancora vicino al suo, ma
i suoi occhi erano vitrei, come se non avessero anima. Con la coda
dell'occhio vide Sherin cadere a terra, priva di sensi. Gohan
l'afferrò prontamente, prima che toccasse terra. Come quelli
della madre, gli occhi della giovane apparivano opachi, ma i suoi erano
ancora dorati. La mano di Zarah tremò, e la sua proprietaria
lasciò andare la presa sul suo ostaggio.
-Ha funzionato!- il Maestro Muten agitò in aria il bastone,
esultante. Lentamente, Zarah arretrò. La lotta interiore tra
la sua mente e quella della figlia era evidente, trapelata dai bruschi
scatti del suo corpo. Portò le mani alla testa, scossa da
violenti tremiti. Nella sua mente risuonò l'ordine della
figlia.
“Allontanati da loro.”
Contro la sua volontà, la Sayan continuò ad
arretrare. Improvvisamente sentì una fitta al petto: Sherin
stava cominciando a sottrarre energia dal suo organismo. -Maledetta...-
sussurrò, mentre il suo respiro diventava più
pesante. Strinse i pugni, lottando per aumentare la sua aura.
-Sta resistendo...- Vegeta aveva raggiunto gli altri -Sherin sta usando
tutta la sua forza, ma sua madre riesce comunque a resistere.
Lo spettacolo non era dei più gradevoli. Zarah stava
atterrando, contorcendosi in modo frenetico. Sherin, d'altro canto, non
stava meglio: gli occhi spalancati, aveva affondato le dita nel
terreno, come se da esso volesse trarre nuova energia. Bulma
iniziò a piangere in silenzio e si allontanò
dall'amica, terrorizzata.
Piccolo afferrò le spalle di Sherin, scossa da tremiti
sempre più violenti. Zarah tentò di avvicinarsi,
ma l'ennesima convulsione la costrinse a desistere: si
accasciò a terra. Era sfinita, tuttavia lottava ancora per
riconquistare il controllo totale del suo corpo.
Improvvisamente, il corpo della giovane Sayan s'irrigidì, e
la donna si abbandonò sul suo petto. Zarah si sedette,
sputando sangue.
-Maledetta. Ancora qualche minuto e mi avrebbe
uccisa...-ringhiò, passando il dorso della mano sulle
labbra.
-Piccolo! Hai ancora i fagioli di Balzar?- Gohan prese Sherin tra le
braccia, aspettando la risposta del suo mentore. Piccolo scosse la
testa.
-Portala via. Noi cercheremo di tener testa alla madre. Raggiungi il
Palazzo del Supremo e affidala a Balzar.- sussurrò,
posandogli una mano sulla spalla.
-Ne sei sicuro? Non sarà facile tener testa a quel
mostro...- domandò il ragazzino, ignorando la morsa che gli
attanagliò lo stomaco.
-Che domande sono?- la voce di Vegeta sovrastò la sua -Sono
un Supersayan, non ricordi? Ed ora muoviti, o il piano del muso verde
andrà in fumo.
Gohan annuì e si alzò in volo. Scoccò
un ultimo sguardo ai suoi amici e sfrecciò verso il Palazzo,
senza più voltarsi indietro.
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Capitolo 7 *** The last fight 1 ***
Gohan giunse alla dimora di Balzar in poco tempo, stringendo l'amica
tra le braccia. Il gattone bianco accorse, seguito goffamente da uno
scocciato Yajirobei.
-Cosa diavolo sta succedendo, Gohan?- domandò Balzar,
sollevandosi sulle punte delle zampette per veder meglio. Quando scorse
il viso di Sherin, fece cenno a Gohan di seguirlo e si avviò
verso l'interno della casa. Entrarono in una stanza candida, con solo
un letto come mobile: Gohan vi adagiò la ragazza. Il petto
della giovane si alzava e si abbassava, mosso da respiri affaticati.
-Dimmi, Gohan, che cosa è successo?- domandò
Balzar, invitando il ragazzo a sedersi.
-Sherin ha usato la sua tecnica speciale contro...contro sua madre, e
ha prosciugato quasi tutta la sua energia.
-Sua madre? Non capisco...
-Sherin è una Sayan. Sua madre è giunta sulla
Terra per riprendersela, e per distruggere il nostro pianeta.
Balzar sospirò, mentre Yajirobei bagnava un pezzo di stoffa
in una ciotola colma d'acqua.
-Guarirà?- il ragazzo scrutò pensieroso il viso
della giovane, preoccupato dall'irregolarità del suo respiro.
-Spero di si...- il gatto parlante poggiò il panno bagnato
sulla fronte di Sherin -Il problema è che il corpo della
nostra amica non assimila i fagioli senzu. Su di lei non
hanno alcun effetto...-sussurrò, accarezzandole il viso. La
ragazza aprì lentamente gli occhi. La vista le si era
appannata, e i visi sopra di lei apparivano sfocati, senza contorni.
-...Balzar?
Udendola pronunciare il suo nome, il gattone candido sorrise.
-Ho freddo...Balzar, hai ancora quella medicina?- domandò
Sherin. La sua voce risuonava flebile, come se la giovane volesse
sprecare meno aria possibile. Balzar annuì, e
sparì dietro una tendina. Ritornò poco dopo, con
una boccetta trasparente in mano. Vi era contenuto un liquido
azzurrino, versato poco dopo in un bicchiere di cristallo. Sherin bevve
lentamente, reggendosi sul cuscino imbottito. Gohan abbozzò
un sorriso, vedendola posare il bicchiere con mano tremante.
-Dove sono gli altri?- domandò, rivolgendosi al giovanissimo
compagno -E mia madre?
-Vegeta e Piccolo stanno combattendo contro di lei. Sebbene tu l'abbia
indebolita notevolmente, sembra che la sua energia sia immutata.
-Mi dispiace...è colpa mia.
-Ragazza mia, non dire sciocchezze.- Balzar s'intromise nella loro
discussione -Che colpa hai? Se tua madre ha deciso di distruggere il
nostro pianeta, dov'è la tua colpa?
Sherin nascose il viso tra le mani.
-La mia colpa è essere nata. Mia madre è giunta
sulla Terra per me. Per riprendersi sua figlia. Se io non fossi nata,
tutto questo forse non sarebbe successo.
Calò il silenzio. Sherin affondò il viso nel
morbido cuscino, bagnandolo di lacrime. Gohan le sfiorò una
spalla, ma la ragazza si scostò, con un gemito. Sherin scese
dal letto, i grandi occhi neri lucidi di lacrime.
-Gohan, raggiungiamoli. Questa storia deve finire, una volta per tutte.
Gohan sorrise, e corse verso l'esterno. La ragazza estrasse la collana
dalla tasca della tuta. La pietra verde brillò, complice,
mentre la ragazza allacciava la corda attorno al suo collo.
-Andiamo.
Zarah si lanciò contro Vegeta, cogliendolo di sorpresa.
Strinse le braccia attorno al suo torace, stringendo con tutta la sua
forza. Il Sayan urlò, gettando il capo all'indietro. Piccolo
si rialzò a fatica da terra: nonostante le costole rotte e
la quantità di sangue perso, voleva ancora combattere. Zarah
sfrecciò verso il suolo, portando Vegeta con sé.
Poco prima di schiantarsi a terra mollò la presa, e Vegeta
rovinò violentemente al suolo. Bulma, incurante
del pericolo, corse verso di lui, e lo prese tra le braccia, non senza
fatica. Vegeta riaprì gli occhi e , vedendo il suo viso
spaventato, non riuscì a soffocare un sorriso
beffardo. L'allontanò in malo modo e si rialzò,
barcollando.
-Vegeta, ti farai ammazzare!- protestò la donna, tentando di
dissuaderlo. Il Sayan l'ignorò, raggiungendo in volo
l'avversaria. Zarah portò, fulminea, le mani in avanti,
puntate sopra il petto del Sayan. Una miriade di sfere lucenti
scaturirono dai suoi palmi e sfrecciarono in avanti, sino
colpire il torace del guerriero. Vegeta ricadde a terra, mentre le
sfere d'energia continuavano a strappare i suoi vestiti, ad aprirgli
ferite... Piccolo lo imitò, ed entrambi i guerrieri
tempestarono la Sayan di potentissimi pugni. Zarah parava i colpi con
fare divertito, come se non si trattasse che di un gioco.
Bloccò il braccio del namecciano stringendolo nella mano,
mentre con l'altra afferrava quello del Sayan.
“Sembra di essere in una morsa d'acciaio.”
pensò Vegeta, tentando di liberarsi. Dimostrando una forza
incredibile, la donna li sollevò entrambi e li
gettò a terra, come se fossero due gattini.
Proprio mentre stava per scagliare il colpo finale, Zarah fu
scaraventata a terra da una violenta scarica di raggi dorati.
Sherin la osservò cadere, il viso inespressivo e freddo.
Vide Piccolo e Vegeta a terra, sfiniti, e li raggiunse, stringendo tra
le mani un sacchetto contenente i fagioli di Balzar.
-Piccolo, apri la bocca.- sussurrò, sollevando i corpo
dell'amico -E' un fagiolo senzu.
Il namecciano masticò lentamente, rivolgendole un silenzioso
cenno di ringraziamento. Sentì una nuova energia tornargli
nel corpo, infondergli calore e rinsaldargli le ossa rotte. Sherin lo
guardò rialzarsi, grata al potere dei fagioli senzu. Ne
diede uno anche a Vegeta che, prevedibilmente, masticò il
fagiolo senza degnarla di uno sguardo.
-Volevo ringraziarti.- disse Sherin, dopo un attimo di indecisione -Hai
deciso di combattere contro mia madre per aiutarmi...
-Non dire sciocchezze.- il Sayan si rialzò, lo sguardo fisso
sull'avversaria -L'ho fatto solo perché io e Zarah abbiamo
una faccenda in sospeso.
Sherin non replicò e lo lasciò raggiungere Zarah
la quale, soddisfatta di poter ancora combattere, lo accolse con una
violenta onda energetica. Vegeta incassò il colpo, deciso a
trasformarsi in Super Sayan. Urlando, raccolse a sé tutta la
sua aura, ed i suoi capelli mutarono in una folta chioma dorata. Zarah
spalancò gli occhi, sorpresa. Il suo rilevatore doveva
essere andato in tilt: com'era possibile che Vegeta possedesse tutta
quella potenza?
-Preparati a conoscere la potenza del Super Sayan, Zarah.-
ringhiò Vegeta, mostrando i pugni ed un sorriso beffardo.
Zarah rise sguaiatamente e spense il rilevatore.
-Credi che io sia tanto sciocca da credere alla leggenda del Super
Sayan?- disse, continuando a ridacchiare. Strinse tra le mani il
piccolo congegno, sino a quando non si ruppe in mille pezzi.
-Vedremo...Che ne dici di un giochetto?- domandò, guardando
Vegeta, che annuì.
-Che giochetto? Sono curioso.
Zarah portò un dito sulle labbra, fingendosi pensierosa.
-Se io uccidessi una persona a te cara, la tua rabbia, e con essa la
tua forza, aumenterebbe? Perché, sai, ho già in
mente chi scegliere.
Vegeta sussultò. No...non lei...
-Bulma, scappa! Va' via!- urlò, voltandosi di scatto verso
la ragazza che, terrorizzata, iniziò a fuggire, inciampando
sui suoi stessi passi. Zarah aveva già iniziato a
rincorrerla, quando Sherin le si parò davanti. La Sayan
storse la bocca, e fece segno di “no” con l'indice.
-Togliti dai piedi, Kahar. Dopo toccherà a te.
Sherin non mosse un muscolo, continuando a fissarla negli occhi. Zarah
sospirò, poggiando le mani sui fianchi.
-Ok, ho capito. Non c'è bisogno di fare quella faccia.-
continuò, alzandole il viso con un delicato gesto della mano
-Se volevi partecipare, bastava che lo dicessi, tesoro...
Lo schiaffo di Sherin smorzò le sue parole. Zarah
sputò sangue, massaggiandosi la guancia colpita.
-Piccola insolente...- sibilò, lanciandosi all'attacco.
Sherin venne investita da una violentissima serie di pugni, ma non
aprì bocca. Parò i colpi uno ad uno, sotto lo
sguardo stupito della madre. Zarah urlò, frustrata, e
colpì la ragazza in pieno viso. Sherin prese il braccio
della madre tra le mani e scostò lentamente la sua mano
chiusa da sopra il suo viso. Un rivolo di sangue scorreva dalle sue
narici, ma lei sembrava non curarsene minimamente. Strinse con violenza
il polso della madre, la quale iniziò ad urlare.
-Ma come, non ricordi?- sussurrò la ragazza -Quando un Sayan
è ridotto in fin di vita, e poi riacquista le energie,
diventa più forte...
Zarah si liberò. Guardò sconcertata la figlia: da
quando era diventata così sicura di se', così
forte? Dov'era finita quella bambina patetica e debole? Si
massaggiò il polso dolorante, mentre la sua mente lavorava
frenetica.
-Forse non sarò mai una Super Sayan, ma..perché
non tentare?
Udendo quella frase, i compagni della giovane s'impietrirono. Vegeta
scosse la testa, quasi incredulo.
-Una Super Sayan...è incredibile solo il fatto che un
meticcio come te abbia anche solo pensato di poter diventarlo.
Sherin non gli prestò ascolto. Allargò le
braccia, e respirò a fondo, com'era solita fare quando
cominciava ad aumentare la sua aura.
-Se non avessi distrutto il tuo rilevatore,- azzardò il
Maestro Muten -a quest'ora ti saresti accorta dell'incredibile forza
che sta crescendo in lei.
La Sayan lo fulminò con lo sguardo, ed il vecchietto si
zittì immediatamente. Per scaricare l'energia, Sherin
iniziò ad urlare, mentre la sua aura iniziava ad avvolgerla.
L'atmosfera si caricò di elettricità e la
tensione era palpabile nell'aria.
“Non ha mai tentato nulla di simile...”
pensò Piccolo, sudando freddo “Mi domando cosa
abbia in mente.”. Guardò l'amica scendere a terra,
ancora concentrata sulla propria aura. Zarah era senza parole,
letteralmente. Non si sarebbe mai aspetta nulla del genere dalla
figlia...anche se non era ancora diventata una Super Sayan. Sherin,
come ad aver percepito i pensieri della madre, si girò verso
di lei.
“Ed ora, guarda...”. La ragazza portò le
braccia al cielo, ed una luce fortissima li accecò.
Lentamente, alcune ciocche corvine della sua chioma diventarono dorate,
così come i suoi occhi, che assunsero nuovamente il colore
dell'oro. Così come era iniziato, tutto si chetò,
e il vento tornò a battere la pianura. Sherin fece
scrocchiare le giunture delle dita, percorse da piccole scariche
elettriche.
“Non può essere...Non può essere
diventata una..”
-...una Half Sayan...-sussurrò Vegeta.
Bulma tirò leggermente il tessuto della sua tuta,
richiamando la sua attenzione.
-Che..che cos'è un Half Sayan?- domandò con voce
tremante.
-Non ricordo con esattezza, ma un giorno mio padre mi parlò
degli Half Sayan. Anche se un Sayan è tale solo per
metà, può ugualmente trasformarsi in Super Sayan,
se possiede abbastanza potenza. A volte, come nel caso di Kahar,
prevale un altra natura. In questo caso, il sangue
namecciano...L'individuo non può così
trasformarsi del tutto in Super Sayan. Si raggiunge così la
forma dell'Half Sayan. I capelli non diventano dorati, tranne che per
alcune ciocche, e l'iride assume una forte tonalità d'oro.
-Un Half Sayan possiede la stessa forza di un Super Sayan?-
domandò Gohan, costringendosi a distogliere lo sguardo
dall'amica.
-Non lo so...dicono abbia poteri particolari, e che la sua potenza
possa aumentare come quella di un Super Sayan.- fece saettare lo
sguardo sulla giovane -E credo che Sherin non veda l'ora di
dimostrarcelo.
Zarah gridò, furiosa. Non sarebbe dovuto accadere,
pensò, iniziando a scagliare raggi d'aura sulla figlia che,
come protetta da una barriera invisibile, non ne fu colpita.
Sherin mosse qualche passo verso la madre, la quale si
guardò freneticamente attorno: i compagni della figlia
l'avevano accerchiata, pronti a bloccarle ogni via di fuga.
-Hai paura?- domandò la giovane, inclinando il capo da un
lato, abbozzando un sorriso spavaldo. Zarah avvertì la
rabbia scorrerle dentro come un fiume in piena, alimentata dalle parole
della figlia.
-Hai perso la tua baldanza?- continuò Sherin -Non voglio
farti del male, perciò ti prego di darmi ascolto....vattene
via.
-Cosa hai detto?- sibilò Zarah, mostrando i pugni. Sherin no
batté ciglio, e ripeté la sua richiesta.
-Vattene. Ti prego...
Le due donne rimasero in silenzio, squadrandosi. Zarah
sbuffò, e rilassò i muscoli. -Va bene.- disse,
alzando le mani -Me ne andrò, ma prima...lascia che ti
abbracci.
Piccolo le afferrò una spalla, attirandola a se'.
-Ti prego, stai attenta.- sussurrò, lanciando un'occhiata a
Zarah -Non ti fidare, è sicuramente una trappola.
La giovane non volle ascoltarlo e , liberatasi dalla sua stretta,
allargò le braccia, diretta verso la madre. Zarah la strinse
a se', circondandole la vista con le braccia. Sherin chiuse gli occhi,
felice: erano passati troppi anni, troppi....
Improvvisamente, Zarah intensificò la stretta. La giovane,
pensando fosse dovuto all'emozione, non reagì.
-Come sei sciocca.
Sherin gettò indietro la testa, urlando di dolore:
l'abbraccio era mutato in una morsa , le braccia della madre parevano
tenaglie pronte a romperle le costole. Piccolo corse verso di lei,
pronto a difenderla, quando Zarah aumentò la violenza della
stretta, e la giovane lanciò un urlo straziante.
-Io non lo farei, belloccio...-sibilò la Sayan.
Alzò lo sguardo, sino ad incontrare quello della figlia.
-Che stupida ingenua.- continuò, mentre inquietanti rumori
di ossa rotte iniziavano a risuonare nell'aria -Non hai ancora capito
con chi hai a che fare?
Sherin si divincolò, continuando a gridare.
No dovrei farlo...ma non mi lascia altra scelta...
Dal corpo della ragazza si sprigionò una forte luce dorata
che, come fuoco, avvolse le braccai di Zarah, ustionandole. La Sayan
urlò, lasciando immediatamente la presa su di lei, ma le
lingue dorate non accennavano a sparire. Sherin fece schioccare le
dita: la luce dorata sparì, lasciando le braccia
di Zarah gravemente ustionate e
doloranti
-Me la pagherai...
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Capitolo 8 *** The Last Fight 2 ***
Chiuse la porta con un
colpetto del fianco, facendo tintinnare i bracciali che portava ai
polsi. Torat si guardò intorno, spaesato: la stanza era
spartana, con pochi ed essenziali mobili...Pareva tutto, tranne che la
stanza di una adolescente...
-Ora vuoi dirmi cosa
vuoi da me? Mi hai trascinato fuori dalla cella senza dire una parola,
e poi mi hai portato qui- domandò, sollevando un
sopracciglio. Solo ora riusciva ad osservarla con più calma.
Era...era singolare: i vestiti eleganti non riuscivano a celare i
muscoli tonici che irrobustivano il suo corpo minuto, e lei stessa era
palesemente a disagio, stretta in quell'abito.
-Quanti anni hai?
Quattordici? Quindici?
Zarah mostrò
i denti, probabilmente un tentativo di intimorirlo.
-Sedici. Dillo, che sono
solo una ragazzina.- aggiunse, prevedendo ciò che il
namecciano stava per ribattere -Comunque, questa è la mia
stanza. Qui nessuno può entrare senza il mio permesso...sei
al sicuro, per ora.
Si sedette sul grande
letto posto al centro della stanza, ed iniziò a sfilare i
guanti dalle piccole mani bianche.
-Siediti accanto a me.
Torat rimase immobile,
continuando a squadrarla. No, non era buffa, o singolare...era solo una
ragazzina sicura di sé ed arrogante.
“Come tutti i
Sayan...”, pensò.
Lo aveva liberato senza
dire una parola, senza apparenti motivi. Quando venivi liberato, era
grazie a due soli motivi: la guerra, o la morte. I Sayan non usavano
tenere prigionieri per lungo tempo. In fondo, che cos'aveva da perdere?
Si sedette accanto a
lei, cercando di ignorare il crescente imbarazzo. “Nonostante
i muscoli, è carina...molto carina...”
Deglutì,
mentre le sue guance iniziavano ad assumere una tonalità
rossastra. Zarah si distese sul letto, sospirando: il petto si
alzò e si abbassò lentamente, seguendo il ritmo
dei suoi respiri. Anche i muscoli del suo viso si rilassarono e le
sopracciglia, sino a quel momento contratte in un atteggiamento
scostante, si distesero. Torat s'irrigidì, trattenendosi
dall'accarezzare quel viso infantile e delicato. D'un tratta, la
ragazza spalancò gli occhi e si mise gattoni sul letto, i
sottili occhi color pece fissi sui suoi.
-Mi spieghi come fai a
resistere?
-...Come?
-Come fai a resistere?
Una ragazza si abbandona sul letto, proprio accanto a te, e tu rimani
immobile?
Lui rimase in silenzio,
interdetto Cosa avrebbe mai dovuto fare? Zarah si sedette a gambe
incrociate, posando le mani sui fianchi. Proprio quando stava per
riprendere il discorso, Torat rispose.
-Sul mio pianeta non
esistono donne. Se devo essere sincero, è la prima volta che
vedo una donna aliena così da vicino...
Zarah
spalancò lentamente la bocca. Solo uomini, solo
maledettissimi uomini? Rivolse un silenzioso ringraziamento alla Vita,
per averla fatta nascere sul pianeta Vegeta.
-Quindi- si
schiarì la voce -non conosci il significato delle parole
“fare l'amore”?
-No.
Zarah posò
l'indice sulle sue labbra, con una delicatezza quasi innaturale. Con la
stessa delicatezza si avvicinò, socchiudendo gli occhi.
Quelle che si posarono sulla bocca di Torat non erano labbra ciniche, o
maliziose. Erano solo le labbra delicate di una ragazza, diventata
adulta troppo presto.
-Non parlare...
E' tutto così
confuso...Non riesco a vedere Sherin, solo lampi di luce e rumori
assordanti...
Bulma cadde a terra, sfiorata da un raggio energetico vagante. La sua
superficie bruciante le strappò i vestiti,
graffiò la sua pelle. Rovinò a terra, portando le
mani alla ferita.
Perché non fa
male? Credevo comportasse un dolore fortissimo...
Improvvisamente, come un vulcano, il dolore si riversò nel
suo corpo, annebbiandole la vista. Come aveva solo potuto pensare di
poter sopportare il dolore, pensò..Lei, che non aveva mai
provato dolore fisico?
La battaglia aveva raggiunto il culmine: stanchi di essere spettatori
di quell'assurda crudeltà, i suoi amici avevano affiancato
Sherin nel combattimento. In un altro momento li avrebbe ammoniti per
aver sfidato tutti assieme un solo avversario, ma in quel momento non
desiderava altro che la fine di quell'incubo. Si allontanò,
strisciando a terra. Qualcosa di liquido e calo colò dalla
spalla, lungo il suo braccio.
Sto perdendo sangue.
Batté il pugno a terra. Si diede della stupida, della
debole... Sherin aveva molto probabilmente non una, ma più
ossa rotte, e continuava a combattere senza battere ciglio. Lei aveva
solo una ferita superficiale alla spalla...
Ma io non sono abituata
al dolore...
Si voltò, rivolgendo corpo e viso al cielo, dove i suoi
amici stavano lottando. Poco prima di perdere i sensi, tese una mano
verso l'alto, come a volerli toccare. O a voler reclamare il loro
aiuto. Il braccio di Bulma si accasciò al suolo, ed i suoi
occhi si socchiusero.
Speriamo di uscirne
tutti interi, amici miei
Combattevano affiancati, quasi fianco a fianco, schiena contro schiena.
Muovendosi come una persona sola. Ogni volta che uno incassava un
colpo, l'altro era pronto a restituirlo al mittente, con ancora
più forza.
Sherin prese la rincorsa, scagliandosi contro la madre.
Contemporaneamente, Piccolo si posizionava fulmineo dietro
l'avversaria, bloccandole ogni possibile movimento.
-Ora!
L'urlo di Gohan risuonò nell'aria, seguito poco dopo da tre
onde energetiche unite in un solo, potentissimo colpo. Piccolo rimase
immobile, mantenendo la presa. Sarebbe bastata una minima distrazione,
un solo movimento errato, e anche lui sarebbe stato coinvolto
nell'esplosione.
Pochi secondi prima che l'estremità dell'onda li
raggiungesse, scattò indietro, allontanandosi il
più velocemente possibile da lei.
Zarah alzò lo sguardo, ma ormai era troppo tardi: l'onda
energetica la colpì in pieno, e l'esplosione che
seguì fu talmente forte che tutti furono investiti con
più o meno violenza dalla sua onda d'urto.
Piccolo circondò il corpo della giovane Sayan con le
braccia, proteggendola. Entrambi furono scaraventati contro un albero,
il quale fu spezzato dall'urto dei loro due corpi. Caddero a terra,
portando con sé buona parte della rigogliosa chioma.
-La prossima volta vediamo di cadere in un posto meno scomodo...-
ironizzò Piccolo, scostando una foglia posatasi
sul naso della compagna.
-Piccolo, mi dispiace...E' solo a causa mia che tutto questo
è successo. Se io non fossi nata, tutto questo-
allargò le braccia -non sarebbe mai accaduto.
Lui non rispose, lasciando calare il silenzio, rotto solamente dal
rumore del vento. Sherin abbassò il capo, e delle piccole
lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance. Non singhiozzò,
non urlò...Lasciò semplicemente scorrere le
lacrime, senza nemmeno tentare di asciugarle. Sentì le
braccia di Piccolo avvolgerla con delicatezza, e si lasciò
sfuggire un sorriso.
-Se tu non fossi nata...- cominciò lui, misurando le parole.
Temeva di ferirla, di dire qualcosa di sbagliato, di inadeguato - io
non ti avrei mai incontrata...
-Devi andartene.
Stupito da quelle
parole, Torat sciolse il loro abbraccio. Zarah continuò a
parlare, senza guardarlo negli occhi.
-Ti prego, vattene....
-Perché?
-Perché tutto
questo non sarebbe mai dovuto accadere.
Arrotolò su
sé stesso un lembo delle coperte, costringendosi a guardarlo
negli occhi. Torat le si avvicinò, prendendole il viso tra
le mani.
-E' strano...Pochi
giorni fa eri fredda, inattaccabile, ed ora stai piangendo.-
sussurrò Torat, asciugando una lacrima solitaria scesa sulle
guance della ragazza. Zarah scosse la testa, iniziando a strofinarsi
gli occhi: non avrebbe pianto. Non davanti a lui...
-Ho sentito dei soldati
di Freezer parlare di “pulizia delle celle”.
-E con ciò?
-Ma non capisci?-
gridò, afferrandogli le larghe spalle -Non capisci? Vogliono
uccidere tutti i prigionieri. Se ti toccano con un dito...se ti
provocano anche solo un graffio...io faccio una strage. Se proveranno a
separarmi da te, li ucciderò. Li ucciderò tutti,
dal primo all'ultimo.
Torat la strinse a
sé. Rimasero così, abbracciati, fino a che Zarah
non si calmò, abbandonandosi tra le sue braccia. Le
sollevò il mento, lentamente, fino a che i loro occhi non si
incontrarono.
-Preferisco morire, che
vivere un vita da fuggiasco.
Sherin socchiuse la bocca, accogliendo le labbra di Piccolo. Poteva
essere in un altro posto, con altre persone, in un'altra
situazione....Ma, in quell'istante, il suo corpo non desiderava altro
che il contatto dell'altro. Poteva succedere qualsiasi cosa,
qualsiasi... eppure il suo unico desiderio era che il loro bacio
durasse all'infinito. Oltre il tempo, oltre quella realtà.
Intensificarono l'abbraccio, desiderosi d'essere più vicini
possibile. Intensificarono la passione delle loro labbra, desiderando
ora più che mai essere uno la metà dell'altro.
Sherin poggiò il capo sul suo petto, lasciandosi cullare dal
forte battito del suo cuore.
-Aspetta...
Piccolo la riavvicinò a sé, accarezzandole i
folti capelli neri. Avrebbe dato qualsiasi cosa, purché
quella magia durasse ancora...ancora un po'....Dischiuse nuovamente le
labbra sulle sue, lasciando che le loro lingue si toccassero.
Non aveva mai provato nulla di lontanamente simile a quel turbine di
amore, affetto, passione, felicità che lo stava
attraversando, nel profondo della sua anima e del suo corpo. Un corpo,
un cuore...Solo ora si accorgeva di possederli! Solo ora poteva
finalmente urlare al mondo quanto provava per lei, solo ora poteva
stringerla a sé, baciarle i capelli, le labbra, le
mani...Senza paura, senza alcun timore.
Si separarono, continuando però a stringere l'uno la mano
dell'altra, continuando a voler restare così, abbracciati.
-Ehi, voi due!
La voce di Crilin ruppe la magia, riportandoli alla realtà.
-Volete darci una mano, o preferite lasciarci ammazzare?-
urlò, il viso rotondo stravolto dalla fatica e dal dolore.
Sherin depositò un veloce bacio sulla bocca di Piccolo,
incurante che gli occhi dell'amico fossero fissi su di loro, e si
alzò in volo.
Allo sguardo interrogativo ed un po' imbarazzato, la giovane rispose
con un sorriso tirato. Non era ancora tempo per le spiegazioni.
Rimase immobile, lo
sguardo fisso su di lei.
“Ti prego,
voltati...Voltati adesso...” supplicò mentalmente.
.
Zarah sedeva davanti
alle sbarre della sua cella, le braccia incrociate al petto. Torat
rimase immobile, osservandola: era cambiata radicalmente nel breve
periodo di quei pochi mesi. Immobile, come una statua di ghiaccio,
Zarah pareva completamente priva d'anima, od i sentimenti...
-Avresti dovuto darmi
retta.
La voce della giovane
uscì distorta dalle sue labbra, come se la ragazza stesse
tentando di trattenere le parole.
-Zarah, ti prego..
-No. Non voglio parlare
con te. Freezer ed i suoi uomini non devono sospettare niente.-
sussurrò lei, volgendo lo sguardo altrove. Torat
afferrò le sbarre di metallo, come a volerle distruggere,
per raggiungerla.
-Almeno guardami!-
sibilò, stringendole il braccio. La giovane si
voltò di scatto, furiosa: i suoi occhi neri erano ridotti a
fessure, due linee infuocate dalle quali l'altro poté vedere
il rimorso, la frustrazione.
-Zarah, va tutto bene?
Un alieno vestito con la
sua stessa uniforme apparve da dietro un corridoio. Torat chiuse gli
occhi, e lasciò la presa sulla compagna.
“Presto
sarà tutto finito.”
-No..state tranquilli.-
Zarah si liberò dalla sua stretta, mentre un soldato
estraeva un mazzo di chiavi arrugginite.
-Sei contento?-
domandò, rivolgendo uno sguardo sprezzante al prigioniero
-Presto raggiungerai i tuoi compagni.
-Sarò
soddisfatto, perché non avrò
più modo di vedere con quanta viltà vi
sottomettete a quel mostro.- sibilò il namecciano, sputando
a terra.
Furioso, ma lieto di
aver trovato un valida ragione alla sua violenza, il soldato
afferrò Torat per il collo della tuta, trascinandolo di peso
fuori dalla cella.
Anche con i polsi
bloccati dalle manette, Torat non aveva l'aria di un prigioniero:
camminò a testa alta, senza degnare di uno sguardo chi lo
circondava. Gli altri prigionieri cercavano disperatamente un briciolo
di umanità nei visi dei loro aguzzini, una sola traccia di
pietà, ma lui no. Non cercò più il suo
sguardo, sebbene ora lei ne avesse bisogno come l'aria. Erano entrambi
troppo orgogliosi per abbandonare le loro posizioni, e attraversarono
il lungo corridoio in un ostinato silenzio. Sapevano entrambi che il
non rivolgersi la parola non avrebbe portato a niente, ma nessuno dei
due accennò ad una frase, o ad una sola parola.
Giunsero infine
all'esterno della prigione: il resto dei prigionieri era stato radunato
contro il muro dell'edificio, e Zarah poté percepire
chiaramente la paura che serpeggiava tra di essi.
“Guarda nella
tua tasca.” La voce di Torat le risuonò nella
mente, e la giovane iniziò a frugare nel piccola tasca del
mantello nero. Sebbene fosse notte, la pietra verde
scintillò come colpita dai raggi del sole. Zarah la rimise
delicatamente nella tasca, sentendosi morire dentro. No...non voleva
che accadesse...
Corse verso di lui, le
braccia tese in un atteggiamento di supplica. Ma, non appena
riuscì ad abbracciarlo, due soldati s'interposero fra i due,
allontanandoli l'uno dall'altra. Zarah si
divincolò nella stretta del guerriero , iniziando
ad urlare come un'ossessa.
-Finiscila!-
ordinò il soldato, gettandola a terra. Zarah gemette,
portando le mani tra i capelli. Urlava, battendo i pugni a terra,
gridando insulti contro le guardie le quali, spazientite, iniziarono a
colpirla con i calci dei fucili.
-Non toccatela!
Approfittando della
distrazione dei due aguzzini, Torat spezzò le manette.
Colpite le guardie, corse verso Zarah, scansando i prigionieri confusi
e spaventati.
-Non toccatela!
Iniziarono gli spari, e
scoppiò il caos. Molti prigionieri morirono, colpiti dai
raggi vaganti, mentre altri ne approfittarono per fuggire, rivolgendo
un pensiero di gratitudine a quel pazzo che aveva deciso di andare
incontro alla morte sulle proprie gambe. Zarah era rimasta a terra,
protetta da quegli stessi uomini che desiderava uccidere. I soldati
caddero a terra, trafitti dalle loro stesse lame, e Zarah
sentì due forti braccia stringerle il torace.
-Vieni con me.
-Torat, va' via! Va' via!
Lui non le diede
ascolto. Piccola com'era, non fu difficile costringerla ad aggrapparsi
a lui. Spiccò il volo, diretto verso il deposito delle
navicelle. Sarebbe stato quasi impossibile rubare una navicella e
riuscire a fuggire dal pianeta, ma avrebbe tentato comunque. Per lei.
Zarah chiuse gli occhi,
assaporando per un istante l'odore del vento contro il suo viso. Dentro
di sé, sapeva...sapeva che quello sarebbero stati i loro
ultimi momenti assieme.
Improvvisamente lui la
gettò a terra, senza dire una parola. In quell'esatto
momento, un'infinita scarica di raggi si riversò su di lui,
nascondendolo alla sua vista. Quando anche l'ultimo colpo fu sparato,
Torat cadde a terra, avvolto dal fumo. Zarah corse verso di lui,
incurante del pericolo di essere colpita a sua volta.
“Ti prego, non
morire..”
Strappò via
la stoffa che ricopriva il petto del compagno, scoprendone le
innumerevoli ferite. Era perfettamente consapevole che ormai non ci
fosse più nulla da fare per salvarlo, ma un ultimo, ostinato
e folle barlume di speranza animava i suoi gesti frenetici.
-Ce la farai, hai
capito?- sussurrò, tentando di bendargli il petto con i
brandelli di tessuto -Te lo ordino...
Torat tentò
un sorriso, presto smorzato da una smorfia di dolore. Dei soldati
avevano cominciato ad avvicinarsi, pronti a sparare se il prigioniero
si fosse rialzato.
-Cosa diavolo sta
facendo Zarah?- domandò uno, abbassando l'arma.
Osservò confuso la ragazza tentare di bendare il petto del
prigioniero, riducendo a brandelli resistente tessuto arancio.
-Lasciala
perdere...è pazza, lo sai.
Improvvisamente, Zarah
portò le mani ai capelli, urlando di dolore. Gli occhi di
Torat si erano chiusi per sempre, rivolgendole un ultimo sguardo, nel
quale il namecciano riversò tutto sé stesso.
-Apri gli occhi!- Zarah
iniziò a colpire le guance del compagno, mentre piccole
lacrime cominciavano a scorrere sulle sue.
Non le aveva detto
addio...Non aveva pronunciato un'ultima parola, nemmeno una...
-Zarah.
“Lasciatemi in
pace. Andatevene ora.”
-Torna qui.
Sarà seppellito fra poco nella fossa comune...
“Non
azzardatevi a toccarlo.”
-Ehi, mi stai ascoltando?
Zarah si
voltò di scatto, strappandogli dalle mani il fucile. Prima
che il soldato potesse almeno tentare di difendersi, Zarah aveva
già riversato sul suo corpo tutti i raggi che l'arma potesse
lanciare. Lo guardò cadere a terra, un sorriso folle dipinto
sul volto infantile. Terrorizzato, l'altro tirapiedi di Freezer
azionò la ricetrasmittente.
-Richiedo rinforzi.
Ribellione in at..
Non riuscì a
terminare la frase, stroncato dall'onda energetica della giovane. Zarah
gettò a terra il fucile, ormai inutile. Entro poco tempo le
guardie di Freezer sarebbero accorse sul posto: che fare? Dove
nascondersi? Il suo sguardo si posò sul deposito di
navicelle, l'ultima meta di Torat...Col cuore stretto in una morsa, la
ragazza volò verso la struttura, nascosta
dall'oscurità della notte.
-Fermati!
L'ordine era stato dato
dall'alieno appena uscito dalla base generale del pianeta, seguito da
un nutrito gruppo di soldati. Zarah sorrise, iniziando a scendere a
terra. Le parole dette a Torat le ritornarono in mente,
fendendo la nebbia di dolore formatasi dentro di lei.
“Se ti toccano
con un dito...se ti provocano anche solo un graffio...io faccio una
strage. Se proveranno a separarmi da te, li ucciderò. Li
ucciderò tutti, dal primo all'ultimo.....”
Schivando la miriade di
raggi scagliata contro di lei, Zarah volò dritta verso di
loro, veloce, come l'aquila che ha puntato la sua preda.
Madre e figlia afferrarono l'una le mani dell'altra, rimanendo
così immobili, quasi a sancire una breve tregua. Un
osservatore attento avrebbe potuto scorgere la frenesia nei loro occhi,
la voglia irrefrenabile di continuare a combattere. Riscoprendo le sue
origini, una parte dell'indole Sayan si era risvegliata in Sherin;
spingendola a combattere con tutta sé stessa, mentre sua
madre...Il contatto con il corpo della figlia non faceva altro che
risvegliare ricordi. Ricordi scomodi, che aveva cercato in tutti i modi
di cancellare dalla memoria. Sherin lasciò la presa,
scattando all'indietro: tra i palmi delle sue mani una lucente sfera
dorata aveva incominciato a brillare, illuminando i loro visi.
“Mai avrei
pensato di essere chiusa in gabbia.”
Zarah contrasse i
muscoli nell'ennesimo tentativo di spezzare le catene che
l'avvolgevano. Gemendo, si lasciò cadere a terra, sbattendo
sul freddo metallo. In gabbia. In gabbia come una bestia feroce.
Più o meno ciò che sono, pensò,
vedendo uno spiraglio di luce scaturire dalla porta aperta. Zarbon
entrò nella stanza spoglia, portando con se una coppia di
soldati speciali.
-Ehi, Zarbon, il vecchio
Freezer ti ha ordinato di prendergli l'animale?- domandò
sarcastica, concedendosi una rauca risata. L'affascinante alieno decise
di ignorare la sua provocazione, e fece cenno ai sottoposti di aprire
la gabbia.
-Dimmi un po', il
paparino ha deciso di volermi viva? Probabilmente ha capito che se mi
avesse ammazzato mi avrebbe solo fatto un piacere....
Le parole taglienti di
Zarah furono soffocate da un colpo ben preciso, dritto nello stomaco,
assestato da un soldato spazientito. Il quartetto giunse alla soglia di
una stanza circolare: l'intera parete di fronte era formata da una
sola, resistente, lastra di vetro dove era riflesso il volto di colui
che aveva ordinato la sua cattura.
-Sono davvero felice di
vederti Freezer.
-Vedo che la tua lingua
biforcuta è la stessa di sempre, Sayan.
Freezer si
voltò, trasportato dalla poltrona meccanica. Non
celò il sorriso soddisfatto che si allargò sul
suo viso, alla vista di quella piccola pesta incatenata e costretta ad
inchinarsi ai suoi piedi. Zarbon afferrò i capelli della
ragazza, piegandole a forza il capo bruno. Zarah soffocò un
insulto, guardando Freezer di sottecchi.
-Ho saputo che hai
decimato un intero esercito.- la informò quest'ultimo,
ritornando a guardare il cielo nero -La cosa non mi rende affatto
felice, lo sai?
Anche senza vedere il
suo viso, Zarah era certa che la smorfia delle sue labbra fosse di
autentica rabbia.
-Proprio tu, una dei
miei migliori uomini, tenti di ribellarti?
-Non era una ribellione.
Freezer si
voltò lentamente.
-Come?
-Non era una
ribellione...- ripeté Zarah, tentando di mantenere la calma.
-E allora, vuoi
spiegarmi perché diavolo hai deciso di attaccare i miei
uomini?
Freezer era sceso dalla
poltrona e le aveva afferrato il mento, costringendola ad alzare lo
sguardo. Zarah non rispose, chiudendosi in un freddo silenzio. Lo
schiaffo del tiranno le colpì duramente una guancia; seguito
dalle risate sguaiate dei suoi tirapiedi.
“Perdonami, ma
non dirò mai il perché del mio gesto..”
-Liberatela.
Zarbon sgranò
gli occhi, interdetto da quell'ordine inaspettato.
-Mio signore...
-Fai come ti ho detto.
-Se uguale a lui, sai?
Zarah colpì la figlia al viso, facendole perdere
l'equilibrio.
-Orgogliosa come lui, come tutti i namecciani. Per niente al mondo tuo
padre si sarebbe inchinato di fronte al nemico. Proprio come te.
Sherin si concesse un sorriso, tirando a fatica le labbra insanguinate.
Afferrò la madre per i capelli, trascinandola verso di lei.
-Lo prendo come un complimento.- disse, affondando il pugno nel suo
stomaco.
Zarbon sciolse la lunga
treccia con la quale era solito raccogliere la chioma.
Incinta. Zarah era
rimasta incinta di un essere inferiore...Di un insulso namecciano...
Sfogò la sua
rabbia colpendo più volte il muro, sino a che le sue nocche
non arrossarono, dipingendosi di un rosso vivo.
“Come ho
potuto anche solo pensare di essere il suo favorito? Sporca Sayan...Ha
preferito un insulso figlio di Namecc a me, la bellezza
incarnata...”
Uscì dalla
stanza, deciso a mantenere il controllo. Avrebbe visto il figlio della
traditrice, pensò con una punta di sarcasmo.
Poggiò il braccio sulla fredda lastra di vetro che lo
separava dall'infermeria, dove due medici si affaccendavano attorno
alla puerpera, decisamente più scontrosa ed irritabile che
mai.
-Allontana quelle
sporche zampacce da me!- sibilò lei, rivolgendo uno sguardo
glaciale ad un atterrito dottore.
-Ma,signorina! Il parto
è quasi concluso, deve avere pazienza!
Zarah si trattenne dal
rispondere, masticando parole amare.
Non voleva quel
bambino....Con tutta se' stessa sperava di vederlo nascere
già morto, o che fosse talmente sfortunato da sopravvivere
per poco tempo. Una fitta al cure la distolse da quei
pensieri, e la Sayan vide la piccola pietra verde brillare, appesa al
suo collo grazie ad un semplice nastro.
Un acuto strillo,
seguito dall'esultanza dei medici, l'informò della nascita
della sua prima ed unica figlia. Zarah si sporse in avanti, spinta da
una flebile curiosità. Avvolta in un panno scarlatto, la
piccola aprì le manine cicciottelle, come a reclamare il suo
abbraccio. Zarah si rifiutò categoricamente di prenderla tra
le braccia, volgendo lo sguardo altrove. Immediatamente, la piccina
scoppiò a piangere, ed il medico iniziò a
cullarla, cercando di calmare il suo pianto.
-Ha fame.- disse,
costringendo la madre ad accoglierla tra le braccia. Con una smorfia di
disgusto, Zarah sbottonò la vestaglia, scoprendo un seno
ancora acerbo. La neonata vi si attaccò con un vagito
soddisfatto, ed iniziò a succhiare le prime gocce di latte.
-Hai già
deciso il nome?
La giovane non rispose:
guardava la figlia con espressione assente, giocherellando con le sue
corte ciocche color corvo. Spazientiti, i medici la lasciarono sola con
il suo silenzio, affrettandosi a sistemare i loro attrezzi medici nelle
valigette.
La piccola smise di bere
e, dopo un ultimo vagito, si addormentò placidamente,
abbandonando la testolina sul braccio della madre.
“Così,
d'ora in poi dovrò occuparmi di te...” Zarah si
concesse quel tenero pensiero, sistemando quel caldo corpicino nel
vicino fasciatoio.
-Voglio farti un piccolo
discorso, Kahar.- disse, sistemandosi accanto a lei -Io giuro. Giuro
che la tua vita trascorrerà lontana da quest'orrendo
pianeta. Giuro che, un giorno, ti raggiungerò, ovunque ti
troverai. Io ti giuro, Kahar....che mai il mio cuore avrà un
sentimento d'amore per te, che i miei gesti non supereranno mai la
freddezza che un maestro rivolge alla propria allieva. Dovrai essere
forte, vivere da orfana, da reietta. E, per farlo, dovrai
odiarmi...dovrai odiarci tutti...
N.d.A.
Finalmente sono riuscita
a pubblicare questo capitolo, nonostante la mia deliziosa febbre a
38...I Pink Floyd fanno miracoli, gente!
Ma non ho iniziato queste
righe per parlare della mia febbre, bensì per ringraziare
tutti quelli che seguono la mia storia, commentandola o non.
Anche il solo fatto che qualcuno apprezzi in silenzio ciò
che scrivi è una bella cosa! Thank you, guys.
Ehi, sto dimenticando di
fare qualche ringraziamento speciale a:
Aloysia Piton,
perché non vi è un capitolo che non abbia uno dei
suoi sinceri e simpatici commenti. Non ho mai visto una fan
così puntuale ed interessata ad una storia! :)
Molkira, anche se spesso
mi fa disperare....Però è una delle persone che
più apprezzano il mio lavoro, soprattutto grazie ai continui
spoiler che riesce a strapparmi durante le lunghe ore di lezione.
Ed infine akuma, anche se
so che, purtroppo, è così piena di impegni che
molto probabilmente non riuscirà a leggere queste poche
righe. Ti mando un bacio grande grande cara, ricordandoti che se questa
storia ha un titolo è anche per merito tuo.....
|
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Capitolo 9 *** Addiii ***
Mai, nella mia vita,
avrei immaginato di rivederla. Qualche volta, di notte, frugavo nei
miei vaghi ricordi alla ricerca di qualche frammento, di qualche fugace
immagine...per poi addormentarmi in preda all'angoscia. Se dovessi dire
qual'è sempre stata una mia ossessione, non avrei dubbi:
lei. Zarah. L'ombra del suo viso, dei suoi occhi, della sua bocca,
erano gli spettri che le mie mani tentavano invano di afferrare durante
le lunghe notti d'insonnia. Ora che mi è così
vicina, appare ai miei occhi come l'ennesima visione. Per questo devo
continuare a combattere. Ogni volta che colpisco il suo corpo, confermo
la sua presenza. Il suo respiro affannoso è il mio, i suoi
occhi stanchi sono come i miei.
La odio. La odio, ma
anche nell'abbandono, nel rancore e nella disperazione, lei
rimarrà per l'eternità una parte di me.
-Sherin, spostati!
Piccolo si gettò su di lei, pronto a farle da scudo con il
suo stesso corpo. Destata dal suo torpore, la giovane Sayan si
aggrappò alla tuta del compagno, come a volervi cercare
rifugio. Il raggio scagliato da Zarah li mancò di qualche
centimetro, finendo la sua folle corsa contro le vicine rocce.
-...Piccolo, non ce la faccio più.
Preoccupato, cercò il suo sguardo: Sherin teneva lo sguardo
fisso nel vuoto, i grandi occhi neri spenti e privi della loro abituale
luce.
-Ascoltami. Potremmo continuare a combattere per giorni. Lo vedi anche
tu, Zarah è instancabile, e la sua energia sembra non avere
fine. Non si fermerà finché non ci
avrà uccisi tutti, dal primo all'ultimo.- s'interruppe,
passandosi una mano sugli occhi -Ma ho un'idea. E' folle, un'idea
completamente folle, ma potrebbe funzionare. Prima che Zarah torni
all'attacco, dovrai assorbire la mia energia...
-Cosa diavolo stai dicendo?- Sherin lasciò andare la presa
sul tessuto violaceo. Scuotendo la testa, la ragazza si
allontanò da lui.
-Come potrei prendere la tua energia, Piccolo? Lo sai cosa potrebbe
accadere?
Lui non rispose. Afferrò invece il suo polso, trascinandola
verso di sé.
-Rispondi, stupido namecciano, rispondi!- furiosa, Sherin si
liberò con uno strattone ed iniziò a colpirlo al
petto con lievi pugni -Potresti morire! Morire, lo vuoi capire?
Pronunciò le ultime parole con un singhiozzo. Si
abbandonò sul suo petto, lasciando che le parole le
morissero in bocca, smorzate dal bacio che Piccolo depositò
sulle sue labbra.
-....Ora Sherin, ora...
In quel momento, non appena ebbe pronunciato quelle poche parole, una
raffica di scariche elettriche percorse i loro corpi da capo a piedi.
S'insinuarono rapide dentro il corpo di Piccolo, frugando frenetiche,
assorbendo tutta l'energia possibile. Il namecciano
rabbrividì: era come se una mano invisibile stesse
rovistando nella sua anima, fredda e decisa come una bufera di neve.
Sherin poteva fare di meglio, lo sapeva...Avrebbe potuto risucchiare
l'intera forza vitale da lui posseduta senza troppe
difficoltà. Si stava trattenendo. Stava controllando la
propria forza, assorbendo solo il necessario.
“Forse è meglio così...non mi va di
morire proprio adesso..”
Piccolo ebbe appena il tempo di formulare quel pensiero che il buio
l'avvolse. Privo di sensi, il namecciano cadde a terra, ancora avvolto
dalle scariche argentate.
Accortasi dell'accaduto, Zarah aveva interrotto il combattimento contro
Vegeta, ed entrambi Sayan avevano osservato, attoniti, il susseguirsi
degli avvenimenti.
Sherin accarezzò il volto di Piccolo. Non si era mai sentita
così forte. Si voltò lentamente, cercando il
contatto visivo con la madre: un particolare che non trascurava mai,
quando era decisa a scagliare un colpo decisivo. Rimasero
così, immobili, aspettando l'una un movimento dell'altra. I
loro respiri si fecero più veloci, veloci come l'aura che
continuava a scorrere nel corpo della giovane Sayan, concentrandosi nel
palmo delle sue mani tese.
L'urlo di Sherin si udì appena, sormontato dall'assordante
rumore del vento. Zarah iniziò a correre, volgendole le
spalle
-Ki Storm!
-NO!
Re Kaioh drizzò le antenne. Sulla Terra stava succedendo
qualcosa, qualcosa di grosso, ne era certo. Nonostante la distanza che
li separava riuscì chiaramente a percepire l'enorme e
pericolosa potenza scatenata da Sherin. Re Kaioh si
accarezzò il mento, immerso nei suoi pensieri.
-Sta accadendo qualcosa, vero signore?- domandò la
cavalletta Gregory, volandogli attorno. Il silenzio del Re non fece
altro che alimentare la vivace curiosità dei due animaletti,
che cominciarono a domandare una risposta in modo sempre più
frenetico.
-Silenzio, per favore! Non troverò mai l'anima di Torat se
non riuscirò a concentrarmi!- esclamò Kaioh,
muovendo le antenne con piccoli scatti. Non era un compito facile, di
certo. L'anima del namecciano era dispersa tra milioni di altri
spiriti, e ci vollero diversi minuti prima che Re Kaioh riuscisse ad
individuarlo.
-Eccolo, l'ho trovato!- esclamò, agitando i pugni in aria-
Che fortuna! Ora proverò a mettermi in contatto con lui,
ragazzi. Speriamo in bene...
Si schiarì la voce.
-Torat, puoi sentirmi? Ragazzo mio, puoi sentire la mia voce?
A diversi chilometri di distanza, un giovane namecciano
drizzò le orecchie.
-Torat, rispondimi! Sono Re Kaioh del Nord, ed ho urgente bisogno di
parlarti!
La voce del Re risuonò chiara nelle sue orecchie. Confuso,
Torat si allontanò dal gruppo di anime che sedeva
lì vicino, raggiungendo un isolato gruppo di alberi.
-....sta parlando sul serio?
-Certo, figliolo. Ora, ho bisogno che tu rimanga fermo lì
dove ti trovi. Sto vendendo a prenderti.
A quell'affermazione, Torat trattenne a stento una risata di scherno e,
non appena fu certo che Re Kaioh non lo avrebbe più
contattato, scoppiò a ridere. Un'anima si
avvicinò, incuriosita dal suo comportamento.
-A quanto pare Re Kaioh del Nord ha intenzione di raggiungermi seduta
stante....che idiozia.
-Io non sarei così spaccone, sai?
Re Kaioh spuntò da dietro l'albero. Anche se il tono della
sua voce era senza dubbio serio, il suo volto era illuminato da un
sorriso. Torat si alzò di scatto, rosso di vergogna, e
s'inchinò profondamente. Re Kaioh rimase ad osservarlo,
approfittando del suo silenzio.
Somigliava molto alla figlia, e non solo nell'altezza e nella figura
imponente. Poté riconoscere senza difficoltà la
stessa bocca sottile, lo stesso naso dritto...
-Molto probabilmente tu non mi conosci, ma io so molte cose su di te.
-Prego?
-Figliolo, ascoltami con attenzione. Una Sayan di nome Zarah
è giunta sulla Terra, decisa a distruggerla. In questo
momento sta combattendo con un'altra Sayan....o perlomeno
metà del suo sangue è Sayan.
-Vuole dirmi che cosa vuole da me? Perché è qui?
Re Kaioh si sedette accanto a lui, all'ombra del salice piangente.
-Sono qui per chiederti se sei a conoscenza di essere padre.
-.....Si, lo sono...
-Com'è possibile?- Re Kaioh si alzò, stupito -Voi
namecciani vi riproducete deponendo uova!
Torat abbassò lo sguardo, imbarazzato. Questo non era del
tutto sbagliato.
-Questo è vero, ma ciò non vuol necessariamente
dire che siamo sprovvisti di organi sessuali...In fondo, abbiamo
sembianze umane....Se devo essere sincero, non sapevo potessimo avere
figli in questo modo: lo scoprii grazie a lei. Ma la prego, continui.
-Ore fa, ormai, è successo un avvenimento particolare: un
ciondolo, donato da Zarah a Sherin, le ha trasportate in una dimensione
parallela....
-...Isolandole dal resto del mondo, lo so. Io stesso creai quel
ciondolo, trent'anni fa. Lo creai per mantenere un contatto tra Zarah e
me. In qualche modo prevedei la mia morte, e decisi di creare una
specie di ponte fra il mondo dei vivi ed una dimensione neutra.
-Ma Sherin? Lei non è Zarah!
Torat sorrise.
-In qualche modo, lo è. E' sangue del suo sangue, non lo
dimentichi...Per caso, ha anche solo sfiorato il ciondolo?
Re Kaioh annuì. Non si era mai sentito più
confuso, più stranito. Torat continuò a parlare
con quella sua voce veloce e roca.
-Probabilmente il ciondolo ha riconosciuto in lei Zarah, e l'ha
trasportata in una dimensione parallela...
-...Così da permettere il vostro incontro!- Re Kaioh
completò la sua frase, battendo il palmo della mano
sull'ampia fronte -Ma, figliolo, tu sei morto! Come avresti potuto
raggiungere la dimensione parallela?
Torat si toccò una tempia.
-Mentre l'intero corpo di mia figlia vi è stato trasportato,
per quanto riguarda me, solo la mia mente ha raggiunto quella
dimensione. Molti namecciani possiedono poteri magici, ed io non ho
fatto altro che sfruttare quelli da me posseduti. Non sapevo avrebbe
portato a tutto questo.
-Adesso capisco!- la voce di Re Kaioh aumentò
d'intensità, mostrando tutta la sua foga -Ora
dimmi. Saresti capace di aprire la dimensione parallela una
seconda volta?
Veloce come il vento, Sherin era sfrecciata verso la madre. Come una
freccia scoccata dall'arco, si era lanciata all'attacco, stringendo tra
le mani tutta la sua forza vitale. Non appena i loro corpi si
toccarono, la sfera dorata racchiusa nei palmi della giovane Sayan era
esplosa, scatenando tutta la sua potenza. Colpiti violentemente
dall'onda d'urto, i suoi compagni non videro nulla. Quasi tutti persero
i sensi nell'impatto.
Avvolte dalla luce più pura ed accecante, le due donne si
strinsero l'una contro l'altra, istintivamente. Sherin serrò
gli occhi, stordita dal forte boato che scosse l'intera radura.
Improvvisamente, tutto svanì: la luce, l'ambiente
circostante, i suoi amici...madre e figlia si ritrovarono immerse nel
candore più totale, ancora abbracciate.
Torat alzò il capo di scatto: la dimensione parallela si era
aperta di nuovo. Questa volta, però, per pura fortuna: il
ciondolo, riattivatosi a causa dell'enorme energia scatenata al momento
dell'esplosione, aveva riaperto la fenditura spazio-temporale, nella
quale Sherin e Zarah erano state risucchiate. Un solo secondo in
più e le due donne sarebbero morte, spazzate via in pochi
attimi. Il loro corpi avevano riportato ferite non poco gravi, ma erano
ancora vive. Se un dottore fosse stato lì con loro, avrebbe
potuto scoprire le ferite profonde di Zarah, avrebbe potuto sentire con
chiarezza il cuore di Sherin battere ostinato, stretto dalle costole
spezzate.
La ragazza aprì lentamente gli occhi. Sua madre era in
piedi, poco distante da dove si trovava lei, pronta a combattere. La
giovane si issò a fatica sui gomiti, storcendo la bocca in
una smorfia di dolore.
-Calma, non c'è alcun bisogno di combattere...-
mormorò, sedendosi -Sei ferita anche tu, non lo vedi?
Strappò un lembo di stoffa dai pantaloni, afferrandolo con
le lunghe dita. Avvolgendolo accuratamente attorno al braccio sinistro,
fasciò le ferite senza mai sfiorarle con le nude dita. Zarah
mosse qualche passo verso di lei, ma inciampò più
volte: non riusciva a mantenere a lungo l'equilibrio, ed ormai il suo
braccio destro era inutilizzabile. Nonostante tutto, non voleva
arrendersi. Strinse i pugni, assumendo la posizione di guardia.
-Alzati! Alzati e continua a combattere, meticcio!
Sherin finse di non aver sentito. Strinse il nodo della rudimentale
fasciatura senza degnarla della minima attenzione. Urlando di
frustrazione, Zarah la colpì al viso. Lo schiaffo
lasciò un'impronta rossastra sulla guancia della ragazza, ma
lei sembrò non curarsene, sfiorandola appena con la mano.
-Ti diverte così tanto fare del male?
-Come osi?
-Hai sentito bene. Guardati attorno: siamo bloccate qui, e non sappiamo
per quanto sarà così. Che senso ha continuare a
batterci, vuoi spiegarmelo? Io non ne ho la minima voglia, se vuoi
saperlo. Siediti, calmati. Ma smettila di agitarti, per favore.
Terminò la frase stiracchiandosi, come una gatta pigra.
Zarah si sedette accanto a lei con atteggiamento insofferente. Sedersi
e calmarsi....che idiozia....Incrociò le gambe, decisa a
mantenere il controllo. Nell'assoluto silenzio di quel candore Zarah,
per la prima volta, si rilassò. Passò una mano
sul braccio ferito.
-Fascialo. Vedo che sei capace di farlo...
Sherin avvolse il tessuto arancione attorno al braccio
immobilizzato della madre con delicatezza, come se stesse toccando un
bimbo. Zarah osservò a lungo il suo viso, come ipnotizzata.
Non aveva mai pensato a lei come figlia,
parte di sé. Era incredibile come i suoi tratti e quelli di
Torat fossero stati raccolti ed uniti in un unico volto. I lunghi e
folti capelli corvini, gli occhi neri ed allungati come i suoi, lo
stesso naso dritto, la stessa bocca grande e sottile del padre...
-Dimmi una cosa, Kahar- sussurrò, poggiando i gomiti a terra
-Ti ho vista baciare quel giovane namecciano, poco fa...E' incredibile.
Per un momento mi sono immedesimata in te, come una sciocca...Ho
pensato “quella è mia figlia, maledizione, mia
figlia...”, anche se per pochi secondi. Tu dimmi solo una
cosa: lo ami?
-Perché vuoi saperlo?
-Lo voglio sapere e basta.
Zarah cominciava a perdere la pazienza. Accennò ad
allontanarsi, sapendo che la figlia l'avrebbe trattenuta.
-Sono dieci anni che me lo domando...All'inizio non provavo che
curiosità per quello strano, sadico ragazzo dalla pelle
verde, e quelle orecchie a punta così simili alle mie.
Curiosità, familiarità, timore....non lo so, ma
provavo sempre qualcosa quando incrociavo il suo sguardo o pensavo a
lui...Qualcosa come un miliardo di farfalle nello stomaco.- disse,
indicandosi la pancia con una risatina -Serio, schiavista, scostante,
spesso freddo. Invece di detestare questi suoi difetti, ho scoperto di
non poterne fare a meno...Quando, dopo la sconfitta di Cell, Piccolo
decise di stabilirsi al Palazzo del Supremo, capii di essere diventata
completamente dipendente da lui. Volevo che mi parlasse, che mi stesse
vicino...Questa mia angosciata necessità di lui aveva
raggiunto da tempo il suo apice: vivevo con il pensiero di non
rappresentare che una semplice amica per lui, e mi tormentavo sino a
soffrine fisicamente. Più tentavo di capire, più
lo vedevo allontanarsi da me. Solo ora credo di capire come deve
essersi sentito. Confuso, e...
S'interruppe. Il suo respiro si era fatto più irregolare, e
le ferite riportate bruciavano come se fossero di fuoco. Si
sdraiò lentamente, sorretta da una Zarah più
calma, più lucida.
-Non parlare, ok? Cerca di razionare le energie.
Sherin chiuse gli occhi, senza smettere di respirare affannosamente.
-Hai capito? Non c'è un perché...lo amo e basta.
-Re Kaioh, mi permetta di raggiungere la dimensione parallela!
Re Kaioh strabuzzò gli occhi, sconcertato. Torat espresse
quella folle richiesta con voce pacata, gli occhi fissi su di lui.
-Sei impazzito?! Non hai più un corpo e, anche se Re Yammer
decidesse di restituirtelo, potresti non tornare mai più!
Gli occhi del namecciano furono attraversati da un lampo. Re Yammer, ma
certo...perché non ci aveva pensato prima?
Afferrò le spalle del Re, scuotendole.
-Mi porti da lui, presto! Ho un'idea, e credo funzionerà!
-Cosa stai dicendo, figliolo?
-Ora ascolti bene: solo il creatore del ciondolo può
trasportare qualcuno dentro o fuori la dimensione parallela. Uno solo.
Capisce? E' l'unico modo per salvare almeno una di loro!
Zarah lanciò l'ennesimo raggio scarlatto contro il
nulla, nel vano tentativo di liberarsi, di fuggire da quella prigione
eterea.
-Non ho mai visto un bianco così terrificante...
-Zitta Kahar, risparmia il fiato.
Zarah unì i palmi delle mani, pronta a lanciare l'ennesimo
attacco. Sua figlia scosse la testa, per poi abbandonarsi a terra.
-Se questo fosse un racconto, e noi due le sue eroine, dovremmo
abbracciarci in lacrime. E dirci quanto in realtà ci
vogliamo bene.
Zarah si abbandonò ad una breve risata, il volto illuminato
dalla luce rossa del raggio.
-Lascia il ruolo di buono a chi meglio lo sa fare, non è per
me.
Sherin rise...o almeno, era una risata ciò che si poteva
paragonare il rauco rantolo che uscì dalla sua bocca.
-Perché, invece di accanirti contro qualcosa che non
c'è, non parli con me?
-E di cosa dovremmo parlare, spiegamelo....
Le sue parole si spensero, soffocate da un gemito di dolore. Zarah si
accasciò a terra, piegata in due da una lancinante fitta ai
polmoni.
-Zarah!
Sherin si costrinse ad alzarsi e, correndo, la raggiunse.
-Credo di avere qualche costola rotta, niente di cui preoccuparsi...
-Come, niente di cui preoccuparsi? Potresti ferirti ai polmoni, se non
è già accaduto...Se avessi i fagioli Senzu,
maledizione!
-Fagioli? Smettila di farneticare, hai ferite molto più
gravi delle mie, Kahar! Riesci appena a respirare!
Spiazzata dall'improvviso mutamento della sua voce, Sherin
ammutolì.
-Va bene, va bene....Hai detto di voler parlare, no? Avanti,
c'è qualcosa che vorresti sapere?
Sherin si accarezzò le lunghe orecchie, cosa che faceva
spesso quando pensava. Espresse la sua domanda tutto d'un fiato,
socchiudendo gli occhi scuri.
-Quando hai cominciato ad odiarmi?
-Che razza di comanda è mai questa?
-Io ho risposto alla tua, e ti prego di rispondere alla mia.
Zarah storse la bocca. Quanto, quanto detestava rispondere a domande
così dirette. Traeva un piacere perverso nel mettere in
difficoltà gli altri con la sua lingua tagliente, ma odiava
ricevere lo stesso trattamento. E quello sguardo limpido....Non ci
riusciva, neanche raccogliendo sé tutta la sua
volontà. Non riusciva a mentirgli.....
-Quando nascesti, giurai a me stessa che non ti avrei mai amata. Covavo
un odio profondo, totale...Volevo rimanere da sola, lontana dalla
schifosa realtà che mi circondava. Tuo padre era morto, e
anch'io avrei voluto morire. Lo desideravo con tutta me stessa. Fino
all'ultimo giorno vissuto con te ho fatto di tutto per non provare
alcun sentimento, per isolare il mio cuore dalla realtà. Ci
ero riuscita, maledizione, ci ero riuscita! Quando, diretta verso un
pianeta lontano, vidi la Terra, tutto ritornò nella mia
mente, veloce come un flashback. Che cosa m'importava di quel pianeta,
della Terra? Volevo solo rivederti, e cancellare una volta per tutte il
tuo flebile ricordo.....questo però, come vedi, non
riuscirò mai a farlo... Voglio farti un'ultima richiesta.
Voglio che tu mi perdoni. Niente pianti, discorsi o abbracci....Voglio
solo che tu lo dica a voce chiara, chiamandomi solo per una volta mamma.
Dopo aver pronunciato quelle parole, Zarah si fece piccola piccola,
abbracciandosi le gambe. Sherin portò le mani alla
testa, angosciata.
-Perché mi dici queste cose? Perché proprio ora?
-Perché sento che una di noi non ce la farà...
-Smettila...
-Apri gli occhi, Kahar! Siamo senza forze!
-Basta...
-Smettila di essere così ingenua.
-Basta! Ce ne andremo entrambe! Io e te. Vive. Poi te ne andrai, andrai
lontano da qui, ma sarai viva! Io sarò viva!
Piccole lacrime caddero lungo le guance della giovane Sayan. Stringendo
i capelli, Sherin scosse furiosamente la testa. Non aveva
più speranza, ma rifiutava il fatto che sua madre potesse
rassegnarsi. Non poteva accettarlo...non da lei....
-Kahar.- Zarah prese il mento della figlia tra le mani -Dillo. Ora o
mai più.
Sherin si morse le labbra. Carpe diem, pensò, ora o mai....
-Ti perdono, mamma.
Fece appena in tempo a terminare la frase. Una forza sconosciuta le
proiettò in avanti, scaturita da una sottile fenditura
apertasi nel candore. Due forti braccia l'afferrarono, allontanandola
dalla madre.
-Torat!- l'urlo di Zarah attraversò il petto di Sherin come
un lampo. Suo padre la strinse a sé, sussurrandole di
restare calma.
-Tu sei morto! Sei morto più di trent'anni fa!- Zarah pareva
aver completamente perso il lume della ragione: con i folti capelli
ondeggianti, gli occhi dilatati, pareva una bellissima, folle dea
infernale. Gettato al vento il suo orgoglio, urlava di furia e dolore
-Morto! Morto, morto! Ecco cosa sei, maledetto!
Lo squarcio si allargò, scoprendo la realtà, il
mondo al di fuori della dimensione. Torat spiccò il volo,
trascinando con sé la figlia. Sherin urlò,
vedendo l'immagine della madre farsi sempre più lontana.
-L'hai lasciata li! Torna indietro, mia madre è ancora
lì dentro!
Torat non le diede ascolto. S'infilò con lei nel varco,
mentre l'ultimo urlo di Zarah si spense nell'oscurità. In
pochi attimi tutto scomparve, spazzato via da un'ondata di suoni e
colori. Sballottati da ogni parte, padre e figlia vennero separati.
Sherin urlò, tendendo le mani verso Torat, ormai sparito.
Poteva udire il battito del suo cuore rimbombare nel petto,
così forte che pareva poter scoppiare da un momento
all'altro. Si lasciò cullare dall'invisibile marea,
rassegnata al suo destino, senza più opporre resistenza a
quel vortice. Andò così alla deriva, trasportata
dalle mani del fato. Percepì la freschezza del vento sul
viso, la tenerezza dei fili d'erba sotto le dita. Riaprì a
stento gli occhi, abbagliata dalla luce del sole. Una mano morbida le
scostò i capelli dal volto. Il volto di Bulma era sopra il
suo, in lacrime.
-E' qui! E' viva!
Non ricordo con
esattezza cosa accadde in seguito. Voci, rumori ovattati, le braccia di
Piccolo...
Mi risvegliai
all'ospedale, bendata di tutto punto e con una flebo infilata nel
braccio. Quando venni a sapere della distruzione del ciondolo, sentii
crollarmi il mondo addosso. In quel momento, gli occhi impenetrabili di
mia madre, la sua voce, mi mancarono come l'aria. Così come
l'abbraccio di mio padre...Bulma ama ripetere che fu da quel giorno che
il mio sorriso perse quasi tutta la sua lucentezza. Si sbagliava. Quel
giorno persi, assieme a mia madre, una parte di me.
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Capitolo 10 *** What have you inside ***
Se c'è una cosa che proprio non sopporto, è
essere abbagliata dalla luce del mattino mentre dormo, beatamente
avvolta dalle coperte. Invece Bulma mi svegliò proprio
così, una settimana dopo il ricovero all'ospedale. Aveva
tirato le tende con un veloce scatto, lasciando entrare la luce con
tutta la sua vibrante energia.
-Sherin, sei sveglia?
Bulma si sedette accanto a me. Mi rintanai sotto le coperte, pensando
così di scoraggiarla, ma lei non fece nemmeno una piega.
Conoscendola, avrei dovuto prevedere che la sua prossima mossa sarebbe
stata, inevitabilmente, seguirmi sotto le lenzuola. Nell'ovattata
oscurità delle coperte mi pizzicò una guancia,
ridacchiando. Le restituii il dispetto, più debolmente:
avevo passato giorni in quel letto, ed il mio fisico ne aveva risentito.
-Su, alzati e fatti una doccia. Sei o no una forte Sayan?
Adorava stuzzicarmi, era senza dubbio uno dei suoi passatempi
preferiti.
-Solo a metà, ricordalo...
La spinsi lontano da me. Volevo sprofondare ancora nel mio insano
torpore, il quale per giorni mi aveva tagliata fuori dal mondo. Non
desideravo altro, per il momento, ma sapevo che Bulma non me lo avrebbe
permesso. Era entrata al Palazzo come una furia, scansando un
imbarazzato Popo che aveva cercato di allontanarla, diretta verso
camera mia. Scostò veloce le coperte, ed io rabbrividii per
il freddo, raggomitolandomi su me stessa come un gatto.
-Bulma, ti prego, lasciami in pace...-borbottai, cercando rifugio
dietro il cuscino. Lei non volle sentire ragioni. Afferrò le
mie mani, invitandomi ancora una volta ad alzarmi dal letto. La
prospettiva di una lunga, gloriosa doccia era allettante, ma non quanto
il pensiero di dormire tutta la mattina...
-Sherin, ti chiedo solo questo favore: alzati,corri, piangi, ridi, ma
esci da questo letto.
Annuii. Le mie gambe, intorpidite da giorni interi passati senza
compiere alcun movimento, furono percorse da formicolii ma, a parte
questo piccolo fastidio, il mio fisico era quello di sempre.
Le prime, fredde gocce d'acqua che caddero dalla doccia mi fecero
strillare per la sorpresa e per il piacere provocato dall'acqua fresca
sulla pelle. Restai sotto l'acqua a lungo, lavando via l'odore del
letto, il sudore e un po' di malinconia.
Avvolta in un vecchio accappatoio di Bulma, mi sedetti al lungo tavolo
cromato del soggiorno, senza sapere esattamente cosa fare.
Aprii e richiusi il frigorifero più volte, camminai su e
giù per la stanza, osservai i quadri appesi alle pareti,
tutto con la stessa vitalità di un automa. Sentii la noia
insinuarsi in me, rendendomi indolente, passiva...
Con un sospiro rassegnato entrai nel bagno, una stanza luminosa e
colorata proprio accanto al soggiorno. Adoravo quel bagno: era senza
dubbio la stanza più pulita ed ordinata della casa, con le
sue mattonelle turchine, il pavimento lucido ed il grande specchio
squadrato appeso alla parete.
Accarezzai sovrappensiero le saponette colorate poggiate sulla vasca da
bagno. La madre di Bulma le aveva raggruppate in gruppi da tre, secondo
l'ordine di colore: tre saponette azzurre, tre rosa, tre verdi...
Ne presi delicatamente una a forma di farfalla, di un delicato rosa
chiaro. Ricordo ancora quando Bulma mi regalò un'intera
scatola di saponette come quella, ognuna differente dall'alta per
sfumature, colori o grandezza. Erano così belle e delicate
che non ebbi mai il coraggio di usarle: le sistemai sul mobiletto
accanto al mio letto e lì rimasero, pronte a coccolarmi ad
ogni risveglio con il loro delicato profumo di pesca. Mi sedetti a
terra, accanto alla porta: grazie al sangue namecciano che scorre nelle
mie vene, possiedo un udito molto sviluppato, ed ascoltai senza
difficoltà i lievi rumori provocati dall'affaccendarsi di
Bulma.
Il rumore dei piatti accatastati sul lavandino, lo scroscio dell'acqua
corrente, il suono della bigiotteria indossata...senza alcun apparente
motivo, questi suoni calmarono il mio spirito e rimasi così,
cullata dalle loro cadenze.
Lentamente, una piccola lacrima cadde dalle mie ciglia, per poi
scorrere lungo le mie guance. Non l'asciugai, nemmeno quando Bulma
entrò senza che io me ne accorgessi.
-E dire che, anni fa, eri tu che mi scoprivi chiusa in bagno a
piangere....
Sorrise, ed i suoi occhi si assottigliarono, seguendo la linea degli
zigomi. In quel momento mi sentii trascurata, sciatta e goffa in
confronto a lei, così graziosa e sorridente. Sebbene
asciugassi ostinatamente i miei occhi, le lacrime che vi sgorgavano non
accennavano a finire. Piansi, riversando in quel piangere silenzioso
tutte le emozioni provate in quell'ultimo mese, emozioni che non avevo
avuto modo di esternare.
-Si...ma tu piangevi per amore....-dissi tra i singhiozzi, e mi coprii
il viso con le mani.
Bulma si sedette accanto a me, e la sentii poggiare la sua felpa sopra
le mie spalle tremanti. Accarezzai il tessuto pregiato, comprato
probabilmente in una costosa boutique.
-Dai, toglimelo di dosso, potrei bagnarlo....
Per tutta risposta, lei iniziò a sfregarmi il viso con
quella stessa felpa, senza prestare ascolto alle mie deboli proteste.
Il contatto col morbido tessuto fu piacevole, e per un attimo ebbi la
sensazione di essere tornata bambina, quando Popo mi abbracciava con le
sue braccia forti, ripetendomi mille e mille volte quanto mi voleva
bene. Ecco, in quel momento la mia mente volò veloce anni
addietro, quando ero solo una ragazzina goffa e dinoccolata ignara del
mondo. Il Supremo non era mai stato una figura particolarmente
affettuosa, era più un maestro di vita, una guida sicura e
saggia pronta a crescermi ed a guidarmi. Popo, invece...
Popo era il fratello maggiore affettuoso, la spalla sulla quale
sfogarsi, colui che vedevo ad ogni mio risveglio e che mi accarezzava
le gote quando stavo per addormentarmi.
Al solo ricordo di tutto l'amore che riversò in me, avvertii
una fitta al petto, proprio sopra il cuore.
-Di tutta la mia famiglia, biologica o non, mi è rimasto
solo lui....solo lui, Bulma.
-Lui chi?
Non risposi. Poggiai la testa sulla sua spalla, soffocando un sorriso.
Bulma
Amavo rovistare nei
cassetti di mia madre, frugare nei loro vani alla ricerca di
chissà quale tesoro. Mia madre apriva lentamente la porta,
il necessario per potermi osservare senza essere scoperta. Ragazzina
com'ero, il pensiero che mia madre stesse guardandomi mentre eseguivo
le mie piccole spedizioni non mi sfiorava minimamente. Lei
probabilmente rimaneva in silenzio, soffocando di tanto in tanto una
risatina. Ripensandoci adesso, comprendo quanto apparivo buffa:
indossavo civettuola tutte le sue collane, una dopo l'altra, i
bracciali colorati, le sue scarpe ovviamente troppo larghe per i miei
piedini.
Fingevo di essere una
signora elegante, piena di innamorati che le inviavano ogni giorno
mazzi di rose, camminavo lungo la stanza muovendo esageratamente i
fianchi, convinta che tutte le ragazze camminassero in quel modo. La
sera, prima di addormentarmi, era solo uno il desiderio che il mio
piccolo cuore esprimeva alla luce della luna. Un giorno, sussurravo,
avrei trovato un ragazzo meraviglioso, bello e forte, che mi avrebbe
protetta contro ogni avversità. A volte restavo sveglia per
ore, persa nelle mie romantiche fantasie.
Quando incontrai Yamcha,
pensai che, finalmente, il mio sogno si era avverato. Ero ancora troppo
giovane per comprendere appieno il significato della parola Amore, e
m'inebriai di quell'infatuazione, dolce come il nettare dei fiori.
Sebbene fosse solo un ragazzo buono e un po' imbranato, ai miei occhi
appariva il cavaliere che, dopo anni di attesa, era giunto a rapirmi.
Mi rapì, portandomi nel suo mondo, ad esplorare sensazioni
mai provate, contatti fisici che prima d'allora erano a me sconosciuti.
Mi lasciai annegare in quel mare di emozioni, convinta ormai che Yamcha
ed io saremmo rimasti così, eternamente innamorati, fino
alla fine dei nostri giorni. Fu la vita, con la sua
imprevedibilità, a destarmi. Improvvisamente, lo incontrai:
con la fierezza che solo il leone può eguagliare, irruppe
nelle nostre vite con la forza di un uragano. Ne fui terrorizzata. Il
solo vederlo innescava nella mia anima tremiti incontrollabili, il
cuore pareva smettere di battere, e le gambe potevano cedere da un
momento all'altro. Eppure, lo invitai a restare a vivere con noi,
assieme ai namecciani sfollati da Namecc, sfidando pregiudizi, critiche
e giudizi. Dentro di me sapevo, sapevo che qualcosa in lui si era
rotto, che era cambiato. Cominciò così la mia
avventura, un'avventura che non aveva niente a che fare con
combattimenti, battaglie e pericoli. E' l'avventura che ancora vivo,
ogni giorno, assieme a lui. Il mio combattere è una lotta
silenziosa con i problemi della vita, un accanimento costante contro le
piccole ingiustizie, la mia battaglia è una sola: lottare
per rimanere assieme a lui. Non chiedo altro. I litigi, le appassionate
riappacificazioni, i lunghi ma intensi silenzi...sono preziosi come
l'aria, come l'acqua e la mia stessa vita. Adesso, anni dopo quei miei
sogni da bambina, rivolgo ancora un desiderio alla luna.
Sherin
Allenamento appena
sveglia, durante il pomeriggio e prima di coricarsi.
Furono le parole che il
Supremo mi rivolse non appena mi svegliai, pochi giorni dopo avermi
accolta al suo Palazzo. Ricaddi tra le lenzuola con un sospiro
rassegnato, volgendo lo sguardo al soffitto. Allenamento, allenamento,
allenamento. Questa era la parola d'ordine, il mantra che imparai a
memoria, la lancetta d'orologio che scandiva le mie lunghe giornate. Mi
era vietato lasciare il Palazzo, e così l'allenamento
restò l'unico espediente per uccidere il tempo. Il Supremo
era ormai troppo anziano per potermi assistere durante le lunghe ore
delle mie esercitazioni, così fu Popo ad assumersi questo
incarico. Plasmò il mio carattere irrequieto e capriccioso,
mi abituò alla disciplina, mi sottopose ad allenamenti
estenuanti miranti a perfezionare non solo la mia forza, ma anche il
mio spirito. E così, mesi dopo mesi, mi affezionai a lui.
Divenimmo inseparabili come fratelli ed imparammo a nutrire profondo
rispetto l'uno verso l'altra.
Il Supremo,
inizialmente, rimase in disparte, limitandosi ad osservare da lontano i
miei piccoli progressi. Da parte mia, non avevo ancora il coraggio di
restare sola con lui. La sola comunicazione possibile tra noi fu quella
che instaurammo con lo sguardo, a volte lasciandolo scorrere appena sui
nostri visi, altre scrutandoci per minuti interi. Un giorno,
però, qualcosa di sbloccò.
Arrabbiata e frustrata
per aver ricevuto l'ennesimo no alla richiesta di poter varcare i
confini del Palazzo, mi confinai nella mia stanza, dichiarando di non
voler vedere nessuno. Non compresi la pena che diedi a Popo, non ero
abbastanza grande per ragionare appieno sulle mie azioni. Verso sera
accadde qualcosa che mai mi sarei aspettata di vedere: il Supremo
entrò nella mia stanza, aprendo piano la porta.
Senza dire una parola si
sedette a terra accanto a me, reggendosi al vecchio bastone in legno.
-Mi dispiace di averti
procurato un dispiacere- cominciò, misurando le parole -Ma
è necessario che tu capisca perché sono
così severo con te. Ho deciso di prenderti sotto
la mia custodia e di proteggerti, e sono pronto a mantenere la parola.
Il mio unico desiderio è quello di evitare che ti accada
qualcosa, lo capisci? Non ho mai avuto figli, nonostante li abbia
desiderati con tutto me stesso.
S'interruppe, ed io non
ebbi il coraggio di replicare, anche solo di parlare. Il Supremo aveva
abbassato lo sguardo, evidentemente dispiaciuto di dover essere
così diretto con me. In quel momento, una fitta mi
attanagliò il cuore, impedendomi di respirare. Avrei voluto
abbracciarlo, piangendo, per dimostrargli che non ero in collera con
lui, che ero solo una bambina capricciosa....ma non lo feci.
-E sei arrivata tu. E'
successo tutto così in fretta che ancora penso di aver
immaginato tutto, che non sia arrivata nessuna bambina ferita ed
abbandonata, che sia solo il frutto dell'immaginazione di un povero
vecchio.
-...mi dispiace
signore...
Ormai non riuscivo
più a trattenere le lacrime. Lo abbracciai di slancio,
abbandonando il timore, il mio acerbo orgoglio...Lo abbracciai con
forza, stringendolo a me, ripetendo sempre le stesse parole. Mi
dispiace, mi dispiace....
Quella notte rimasi a
lungo sveglia, sola nella camera illuminata dall'argentata luce della
luna. In fondo al mio cuore, sapevo il perché di
quell'irremovibile divieto, comprendevo i sentimenti del mio
protettore. Io ero la sua protetta, la ragazzina abbandonata che aveva
imparato ad apprezzare...ed ad amare come una figlia. Come un padre era
protettivo, desideroso solo del mio bene, e così, con la
severità che solo un padre poteva possedere, decise che
avrei potuto varcare i confini del Palazzo solo quando sarei stata
capace di badare a me stessa.
Iniziò
così la mia vita con la mia nuova famiglia. Una famiglia
strana, protettiva, che fu capace di amarmi per come ero più
di chiunque altro. Probabilmente non ritroverò
più quel calore così puro, quell'amore
disinteressato.
Lo conserverò
nel mio cuore, per tutta la vita, come un tesoro prezioso. Per me, che
ho perso quasi tutta la mia famiglia, membro dopo membro, questa
fiamma, questo calore, dovrà bruciare eternamente, racchiusa
in me, dove vivranno per sempre le persone che ho perso.
Piccolo
Sherin.
Ripetevo il suo nome
ossessivamente, come il mantra di un buddhista. Sempre, ovunque. Lo
ripetevo nel silenzio della mia mente, così che nessuno
potesse udirlo all'infuori di me. Mi tormentai, intensificai i miei
allenamenti, le meditazioni....tutto inutile.
Le fugaci visioni del
suo viso e del suo corpo balenavano improvvise davanti ai miei occhi,
tanto rapide quanto intense, ed i miei sensi si offuscavano. Ne fui
letteralmente ossessionato: desideravo con tutta l'anima vederla,
toccarla, anche solo per pochi attimi. Sarebbe bastato a saziare il mio
straziante bisogno di lei. Sherin, invece, era barricata da giorni
nelle sue stanze, racchiusa in una coltre di depressione ed io non ebbi
la forza di aiutarla a reagire, di strapparla a quella sua malata
solitudine. Rimasi in disparte, senza sapere esattamente cosa fare,
come comportarmi. Fu lei, inconsapevolmente, a muovere i primi passi
verso il futuro, verso una nuova vita.
La trovai una notte
sotto il nostro solito albero, rigoglioso di foglie e camelie, alla
luce della luna. Inginocchiata sopra le sue radici, abbracciava il
tronco dell'albero con entrambe le braccia, come a volervi cercare
rifugio. Non si accorse del mio arrivo, tanto era immersa nei suoi
pensieri.
-Sirio...
-Come?
Sherin socchiuse gli
occhi, lo sguardo perso tra gli astri. Essendo lontani dalle fredde
luci al neon della città, nessuna luce estranea ci
impedì di assistere al silenzioso arrivo delle stelle.
-Sirio, la stella
più luminosa si chiama Sirio. L'ho letto pochi giorni fa in
uno di quegli enormi libri che Gohan custodisce nella sua libreria,
assieme ad altri volumi dai titoli altisonanti. Nonostante io non legga
molto quel libro mi ha catturata, e chiudendo gli occhi potevo quasi
vedere le meraviglie descritte da quelle fitte pagine. Cassiopea, la
stella Polare, la costellazione del Cigno, la Via Lattea....parevano
così nitide da avere l'illusione di poterle toccare. Dio,
non sai quanto è affascinante il cielo stellato, gli immensi
disegni delle sue costellazioni. Proprio lì, tra le stelle,
c'è il tuo pianeta...
Rimanemmo in silenzio,
immobili sotto le candide camelie. In quel momento avrei voluto dirle
che quello non era il “mio” pineta, ma il nostro,
sussurrarle che l'avrei comunque amata, fosse appartenuta ad un
qualsiasi pianeta, ripeterle che non mi importava.
Decisi di non parlare,
per paura di turbarla.
-Piccolo, te la senti di
farmi una promessa?Promettimi che mi aiuterai sempre, che sarai sempre
al mio fianco, qualunque cosa accada.
La scia di una solitaria
stella cadente le illuminò il viso, mostrandomi la vera
Sherin: insicura, impulsiva, con quella sua irritante quanto disarmante
capacità di distruggere le barriere del mio ostinato
orgoglio.
Ero certo che nessuno,
oltre a Gohan, sarebbe riuscito a fendere questa mia corazza, nessun
uomo avrebbe conquistato l'affetto riservato solo a lui, e invece...
Fu proprio una di quelle
creature che non avevo mai cercato di comprendere a trovare la chiave
esatta, scavalcando con quel suo sorriso impertinente le mie ultime
resistenze, fino a giungere nel luogo che più avevo tentato
di alienare dal resto del mondo. Entrò nella mia anima, nei
miei pensieri, nei miei sogni.
Gohan mi
parlò molte volte di quell'assurdo sentimento chiamato
amore, pazientemente mi spiegò quanto fosse indipendente
dalla propria volontà: se ti innamoravi, non potevi fare
nulla per impedirtelo. Eppure tentai di ribellarmi, di sottrarmi al
gioco del destino, credendo presuntuosamente di essere più
forte delle forze in gioco....mi sbagliai. Fui travolto dalla mia
stessa
falsa
superiorità non appena questa crollò sotto il
peso della vita, la quale decise che non mi sarei più
sottratto al suo tocco. Mi rapii attraverso uno dei suoi angeli
più belli, quello senza patria ne' catene, animato dalla mia
stessa forza e dal mio stesso sangue, sangue che avrebbe trovato nuova
vita quando meno me lo sarei aspettato.
Ed ecco qui il mio
ennesimo esperimento: una brevissima raccolta di pensieri dei tre
personaggi principali della storia, Bulma, Sherin ed infine Piccolo.
Non è uno dei miei capitoli più lunghi, ma di
certo è uno dei miei preferiti, uno dei quali vado
più fiera.
Piccola news riguardante
l'amato/odiato San Valentino che, se non sbaglio, quest'anno cade di
domenica. Già da tempo una ideuzza mi bazzicava per la
mente, ma non avevo mai trovato il tempo di metterla in atto, ovvero il
buffo San Valentino trascorso da Sherin osservato, naturalmente, dal
suo diverso ed originale punto di vista. Fatemi sapere cosa ne pensate
ragazzi. (p.s.: purtroppo il capitolo potrà essere
pubblicato solo dopo San Valentino, I'm sorry)
A presto!
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Capitolo 11 *** In fondo, oggi è San Valentino. ***
14 febbraio.
-Ripetimi perché sono qui, ho voglia di risentirlo.
Sarcastica come solo lei sapeva essere, Sherin
scostò il fermaglio da sopra gli occhi. Odiava che qualcuno
che non fosse Popo le toccasse i capelli, ed in quel posto rumoroso ed
affollato non facevano altro che torturare
le chiome della gente.
-Siamo dal parrucchiere, Sherin, ed il motivo per il quale siamo qui
è semplice: io e te ci taglieremo i capelli.
-Togli il “te”, grazie. Non ho alcuna intenzione di
permettere ad un paio di forbici di avvicinarsi alla mia nuca.
-E perché mai? Non ti faranno nulla di male, ma renderanno i
tuoi capelli più morbidi. Forse la capigliatura ribelle di
voi Sayan non sarà un problema per i guerrieri, ma per una
ragazza....
-Non sono una...
Il loro discorso venne interrotto dall'arrivo di una commessa
sorridente molto giovane, che non dimostrava più di
venticinque anni. Quando il suo sguardo si spostò sulla
capigliatura scarmigliata della Sayan i suoi occhi furono attraversati
da un breve lampo di disapprovazione, ma il suo sorriso
restò immobile.
-Chi di voi due deve acconciarsi i capelli? La signorina elegante?-
aggiunse speranzosa, voltandosi velocemente verso Bulma.
-Io, signora. Spero di non farle perdere troppo tempo....come vede, i
miei capelli non sono proprio seta.
Mentre una parrucchiera più disponibile accompagnava l'amica
a lavarsi i capelli, Bulma trattenne a stento una risatina. Conosceva
bene Sherin, e quel tono mellifluo era l'evidente prova che la ragazza
aveva deciso che l'unico modo per poter parlare con quella donna era,
seppur velatamente, prenderla in giro.
-Ha già deciso come tagliarli?
Una bella ragazza di colore aprì il rubinetto, facendo
scorrere l'acqua calda. Sherin si strinse nelle spalle, fingendo
tranquillità: aveva seguito Bulma in buona fede, senza
nemmeno chiederle quale fosse la destinazione, sperando in una
tranquilla passeggiata in un parco, ed invece eccola lì, con
la testa tra le mani di una ragazzina....
-Io...non lo so. Facciamo così, fai come vuoi: tagliali come
più ti piace, magari nel modo che avresti voluto sempre fare
ma che nessuna ha avuto il coraggio di chiederti, ti va?
Il gridolino di gioia della giovane la fece sobbalzare, ed un forte
getto di acqua gelata le bagnò improvvisamente la testa,
facendola strillare a sua volta.
-Eccome, erano mesi che aspettavo una frase del genere! Oddio, scusami!
Diminuì l'intensità del getto, incominciando a
massaggiare i capelli della Sayan con uno shampoo profumato.
Sa di
pesca....però, in fondo questo posto non è poi
così male...
-Non mi hai detto come ti chiami. Io sono Dora.
-Mi chiamo Sherin....
Il sorriso di Dora si allargò, mostrando uno scintillante
apparecchio.
-Sherin? Che bel nome, non l'ho mai sentito prima d'ora...Ha qualche
significato particolare?
-Si, vuol dire Figlia di...-s'interruppe, percependo l'insistente
sguardo di Bulma su di sé- del Sole.....
Che stupida. Se avessi
nominato Shenlong si sarebbe insospettita, o mi avrebbe presa per
pazza...
Chiuse gli occhi, tentando di godersi il lento ma energico movimento
delle mani esperte della parrucchiera. Le casse appese alle pareti
diffondevano una leggera musica pop, la preferita di Bulma.
-Allora senti questo: non ho mai eseguito un taglio scalato,
all'altezza delle spalle, almeno non su capelli mossi e ribelli come i
tuoi. Tentiamo?
-Il tutto e per tutto.
Dora le raccolse i capelli, portandoli in alto, e fece per fermarli con
una molletta colorata quando il suo sguardo si posò sulle
orecchie di Sherin. Le sue mani tremarono leggermente, ma non disse una
sola parola. Sherin osservò in silenzio i suoi passi
diventare più lenti ed incerti, e la seguì verso
le poltroncine imbottite. Adagiandosi sulla comoda superficie cremisi,
Sherin sentì i suoi nervi rilassarsi,
così come i suoi muscoli, abituati ormai ad una tensione
quasi perenne.
Dora raccolse il pettine, scivolatole via dalle dita. Non aveva mai
visto orecchie così lunghe ed appuntite....non sapeva cosa
pensare, cosa fare...Non la impaurivano, certo che no, ma non
poté impedire ad un lungo brivido di percorrere il suo corpo
sinuoso
“Mi dispiace per le orecchie...di solito non permetto a
nessuno di vederle, se non a certe persone.”
-Come?
Dora si chinò verso Sherin, certa di essersi sbagliata: le
labbra della donna non si erano mosse, ma avrebbe giurato di aver
sentito la sua voce.
“Potresti far finta di nulla e continuare? Te ne sarei grata:
preferirei che il mio piccolo...segreto, chiamiamolo così,
non si sappia troppo in giro.”
Per la seconda volta la bocca di Sherin non compì alcun
movimento, e la sua voce risuonò nuovamente nelle orecchie
della giovane parrucchiera la quale, più tranquilla,
annuì.
Iniziò a pettinare i lunghi capelli corvini, dondolando la
testa al ritmo della famosa canzone di recente trasmessa nelle radio.
Nonostante il ritmo travolgente, un'idea si fece strada nella sua
mente, solleticando la sua curiosità ed i suoi sogni da
bambina.
Chissà
se...in fondo cosa costa provare?
“Pronto? Prova, prova...Alfa 14 chiama Roger, richiedo
risposta immediata.”
Come aveva previsto, non accadde nulla di strano, o quantomeno di
anormale. Sospirando, aprì un cassetto e prese a rovistare
tra la miriade di oggetti conservatavi. Quando percepì quel
piacevole pizzicore alla nuca, le sue mani si bloccarono.
“Alfa 14? Cosa cavolo vai farneticando? Ti sei già
dimenticata qual'è il mio nome?”
Soffocando una risata di compiacimento, Dora iniziò a
tagliare le prime ciocche. Quella giornata si stava rivelando molto
più interessante del previsto.
-Sherin, non voglio più ripeterlo, togliti quel cappello!
Sembri un ragazzo, santo cielo!
-Quando ci sarà meno gente. Mi vergogno da morire, Bulma:
non ho mai portato capelli così corti...
Quel pomeriggio, lungo la principale via commerciale della
città, molte ragazze si voltarono ridacchiando al passaggio
di un ragazzo alto ed affascinante, dai tratti un po' femminili.
Sherin, dal canto suo, continuava a coprirsi gli occhi con la larga
visiera del cappellino da baseball, arrossendo ad ogni fischio.
Approfittando di un momento di distrazione, Bulma le tolse il cappello:
i capelli di Sherin, resi leggeri dal taglio scalato, ondeggiarono
sospinti dalla leggera brezza come la criniera di un giovane
leone.
-Bulma, smettila! Te l'ho già detto, non voglio!
Strappò il copricapo dalle mani dell'amica, scura in volto,
e lo calò sugli occhi scuri. Continuarono la passeggiata in
silenzio irritate l'una con l'altra, evitando volutamente di parlare.
-Che cos'hai che non va...a volte proprio non ti capisco, sai? Sei
bella, il tuo corpo è ancora giovane e fresco come quello di
un'adolescente, sei ironica...Perché in certi momenti
diventi così intrattabile, malinconica, scontrosa,
silenziosa? Puoi parlare di tutto con me, lo sai, se vuoi sfogarti io
ci sarò sempre.
-Sono gli sguardi...
Bulma aggrottò le sopracciglia , sorpresa da quella
singolare risposta.
-Gli sguardi della gente.- spiegò Sherin -Non sono mai stata
esposta tanto a lungo adocchi estranei, ma così tanti come
ne vedo oggi...- si guardò attorno con evidente disagio
-Essere oggetto dell'insistente attenzione della folla, sentirmi
addosso il peso di tutti quegli sguardi....non c'è cosa che
mi faccia sentire più a disagio.
Lentamente, le sue dita accarezzarono il cappellino colorato, come a
volerne studiare la superficie.
-Ma le donne...gli occhi che temo di più sono quelli delle
donne. Gli uomini sono differenti: rimangono ad osservarti
più a lungo, magari lasciando scorrere lo sguardo sulle
curve del tuo corpo, esaminandoti lentamente...In fondo, è
quasi piacevole, non è vero?
Sorrise, ricambiando l'occhiolino rivoltole da un ammiratore
più coraggioso d'altri.
-Le donne, in confronto, sembrano quasi dei rapaci. Sono cacciatrici di
difetti, sempre alla ricerca di una preda: bastano pochi secondi e puoi
vedere i loro occhi saettare su di te, in cerca della più
piccola imperfezione, di qualcosa che le faccia sentire superiori a te,
qualcosa che possa, anche solo per un momento, soddisfare la loro
eterna insoddisfazione di sé.
Correndo veloci in sella alla moto di Bulma, attraversarono la
città in pochi minuti, dirette a casa di quest'ultima.
Stretta tra le braccia dell'amica, Bulma rivolse una rapida occhiata al
cielo: piccoli stormi di uccelli volavano sereni in quella distesa
azzurra senza una nuvola.
-Sherin, alza gli occhi!
La Sayan alzò il viso, socchiudendo gli occhi. Popo volava
sopra di loro, così in alto che avrebbe potuto toccare il
sole, se ne avesse avuto voglia. La vista del suo vecchio amico e
maestro le riscaldò il cuore, immergendola in un mare di
ricordi: i primi litigi, le lunghe giornate di giochi e allenamenti, le
sue impacciate parole di conforto dopo pianti o brutti sogni...
Il peso dei ricordi innescò una catena di sentimenti
contrastanti fra loro, malinconia, tristezza, nostalgia. Il periodo di
lontananza si fece sentire più forte che mai,
così come la voglia di tornare a casa.
-Bulma, quando saremo arrivate a casa tua, dovrò prendere
alcune cose...Potresti prestarmi la tua sacca viola?
-Per quale motivo?
-...Torno a casa, al Palazzo del Supremo.
Sherin non era mai stata un asso nel preparare bagagli e valigie: la
sua stanza era disseminata di vestiti, libri e cianfrusaglie, e
camminare iniziava ad essere un'impresa difficoltosa.
Tormentò la zazzera nera con un nervoso movimento della
mano, osservando la montagna di vestiti ammucchiati sul letto.
-Sai, non avrei mai pensato che un giorno sarei stata indecisa su che
vestiti scegliere....Te la sentiresti di darmi una mano?
Bulma annuì, soddisfatta di poterle essere d'aiuto e, nel
frattempo, avere l'occasione di dare un'occhiata al contenuto
dell'armadio dell'amica, che per tutto quel tempo aveva chiuso a chiave
nascondendolo al suo sguardo curioso. La sua proverbiale
curiosità fu ben presto soddisfatta: sul letto dell'amica vi
erano gli abiti più strani che avesse potuto immaginare.
Tute da combattimento, kimono giapponesi, veli ricamati che avevano
tutta l'aria di provenire dai più caldi deserti del Nord
Africa e della penisola Arabica, maglie bianche oversize, e...
-Sherin, quello cos'è?
Bulma accarezzò appena la superficie porpora del lungo abito
a strati che aveva catturato immediatamente la sua attenzione: non
sembrava esattamente adatto al corpo pieno di una donna, non essendo
sagomato in vita...Invece di parlare, la Sayan si spogliò e
lo indossò in silenzio, lasciando che il morbido tessuto
scendesse leggero a coprire tutto il suo corpo. Inaspettatamente, il
tessuto bianco si adattò perfettamente alle linee dei suoi
fianchi, disegnandone delicatamente la forma per poi scendere
dolcemente lungo le gambe fino alle caviglie, sopra le quali spiccava
l'arabeggiante orlo scarlatto. Sherin si avvicinò ad un
comodino accanto al letto, lo aprì, e ne estrasse una lunga
collana di corda sottile. Al centro, dove la lunga linea nera si
piegava sotto il suo peso, dondolava una splendente pietra grezza,
rossa come il sole al tramonto. La ragazza la legò al collo,
lasciando che lo stupefacente ciondolo scivolasse lungo la linea dei
suoi seni. Nel momento in cui la superficie scarlatta toccò
la sua pelle, una dolcissima sensazione le pervase il petto...
-....Amrat tupai....
Bulma si lasciò cadere sul letto, inspirando rumorosamente.
Compresa la silenziosa domanda dell'amica, Sherin ridacchiò.
-Stavo solo parlando in namecciano, significava....lascia perdere..
Si sedette accanto a lei, tentando di abbozzare un sorriso che potesse
essere minimamente convincente. Non ci riuscì, e quello che
sarebbe dovuto somigliare ad un sorriso pareva solamente una smorfia
poco convinta.
-Scommetto che stavi pensando a Piccolo, invece...
-Non è vero, Bulma.
Quest'ultima sfiorò la superficie grezza ma lucente della
pietra scarlatta appesa al collo dell'amica.
-Non ci credo....Sono giorni che hai quest'aria un po' sovrappensiero,
e spesso rimani minuti interi in silenzi, osservando rapita il cielo,
un passante per strada o anche solo un filo d'erba. Ti conosco, Sherin,
e conosco quell'espressione sognante- il suo sorriso divenne
più dolce -Lascia che la tua dottoressa del cuore preferita
ti dia un'occhiata.
Sherin alzò un sopracciglio.
-Non ricordo di aver mai detto nulla del genere.- tentò di
obbiettare, ma Bulma si era già avvicinata al suo viso,
osservandola con fare teatrale, per poi posarle una mano sul petto.
-Il tuo cuore batte più forte del solito, le tue gote sono
rosee ed i tuoi occhi brillano come una volta...Sei semplicemente
radiosa, come se tutto il dolore e la tristezza ti fossero scivolati
via all'improvviso, e noi due sappiamo bene che in questi ultimi tempi
sei stata spesso vittima di crisi depressive...Questo vuol dire solo
una cosa.
-Si, che ho la febbre.- concluse sbrigativamente la Sayan, voltando il
viso dall'altra parte.
Bulma le prese delicatamente il mento tra le mani, invitandola a
guardarla negli occhi.
-Sei innamorata, Sherin. Sei innamorata di Piccolo....
-Io innamorato? Mi dispiace dirlo, Gohan, ma questa volta hai davvero
preso un granchio!
Sotto il caldo sole di mezzogiorno, immersi nella natura più
selvaggia, allievo e maestro stavano continuando imperterriti il loro
allenamento. Gohan approfittò dell'attimo di smarrimento
dell'amico per schivare un raggio che in un altra situazione avrebbe
senza dubbio centrato il bersaglio, e si rifugiò dietro
l'enorme tronco di un albero secolare. Domando l'istinto di sorridere,
il ragazzino si concentrò, pronto a difendersi non appena
Piccolo lo avrebbe trovato.
-Secondo me quello che si sta sbagliando sei tu.
Piccolo scoprì i denti in un sorriso sarcastico. Gohan non
avrebbe lasciato perdere troppo presto.
-Nessuno di noi ha molta esperienza di queste cose, ma con lei ti
comporti in modo diverso.
-In che senso diverso?
Gohan si accorse troppo tardi di lui: il calcio dell'amico lo
colpì in pieno stomaco, costringendolo a rivolgergli tutta
la sua attenzione.
-Beh...Non saprei spiegarlo a parole, in realtà...
-Questo dimostra che non sai di cosa stai parlando.
Le folte sopracciglia di Gohan si contrassero in un'unica, corrucciata
linea.
-Invece sì. Mia madre mi parla spesso di quando lei e suo
padre si conobbero, di come si sentiva innamorata.
-Gohan, io non sono tua madre.
-No, ma sei umano!
Le mani di Piccolo si bloccarono a mezz'aria, pietrificate
così come il suo sguardo attonito. Umano. Lasciò
che le braccia gli scivolassero lungo i fianchi, e diede le spalle
all'allievo, ormai scoraggiato e dispiaciuto.
-Piccolo...
-L'allenamento è finito.
Sherin salutò Bulma con un cenno del capo, guardandola
sparire a cavallo della sua moto. Era di nuovo a
casa...Guardò il marmo bianco dell'Obelisco di Balzar
innalzarsi alto e maestoso verso le nuvole, lasciando che i ricordi
penetrassero dentro di lei con il vigore di un fiume in piena.
E così, dopo
trent'anni, farò la mia comparsa inaspettata in questo
posto....
Uno stormo di uccelli neri attraversò il cielo, e l'aria si
riempì di cinguettii festosi.
Perché no..In
fondo, un po' di allenamento non mi farà certo male.
Assicurò lo zaino sulle larghe spalle e, dopo aver dato un
ultimo sguardo alla direzione dove Bulma era diretta, iniziò
a scalare. Sostenuta dalla forza dei muscoli di gambe e braccia, Sherin
affrontò decisa la ripida salita, utilizzando ogni possibile
appiglio, ogni sporgenza. Trent'anni prima era stato il Supremo a
portarla al Palazzo, pensò, ora era giunto il momento di
farcela da sola. Trattenendo risate entusiaste, la Sayan si arrampicava
con l'agilità di una gatta, senza mai fermarsi. Ogni secondo
che passava era distanza in meno che la separava dal suo
obiettivo....ripetendo questa frase come un mantra, Sherin giunse
finalmente alla dimora di Balzar.
-Ehi, micio dei miei stivali, dove ti sei cacciato?-esclamò
non appena i suoi piedi ebbero toccato la fredda pietra del pavimento,
ed un delicato rumore di passi giunse pochi secondi dopo alle sue
sensibili orecchie.
-Come osi chiamarmi micio?
Non sai chi sono io...
S'interruppe di colpo, stringendo il vecchio bastone di legno tra le
zampette candide.
-...Sherin?- sussurrò, sgranando gli occhi.
-E' un piacere rivederti ancora una volta...-cominciò la
ragazza, ma Balzar non le diede tempo di continuare. Abbandonando il
bastone a terra era corso verso di lei, lanciando gridi di gioia. Le
saltò in braccio, come un micio qualsiasi, continuando a
ripetere:
-Sei tornata, finalmente! Come saranno contenti gli altri, come saranno
contenti!
-Si vedrà. Tornerò da te fra pochissimo Balzar,
promesso...Aspetta, stavo dimenticando una cosa...
Posato Balzar a terra, Sherin aprì lo zaino, iniziando a
frugarvici. Poco dopo Balzar l'osservava volare verso il Palazzo,
stringendo tra le mani dolcetti di ogni tipo.
Un umano....
Un essere umano...
Piccolo aprì improvvisamente gli occhi, appena in tempo per
accorgersi dell'obelisco marmoreo.
-Diamine!- sbottò, scartando di lato. Si fermò,
cercando di regolarizzare il suo respiro che, in pochi minuti, era
diventato sempre più affannato. Gohan non poteva avere
ragione, non poteva...Come avrebbe potuto lui, un demone, anche solo pensare di provare
un sentimento come l'amore? Come avrebbe potuto essere ricambiato da lei? Si
appoggiò alla superficie liscia dell'enorme pilastro,
inspirando a fondo, mentre i suoi muscoli iniziavano lentamente a
rilassarsi.
Com'è strano...se chiudo gli occhi mi sembra di vederla
accanto a me...
Lasciò cadere il capo all'indietro, concedendosi un po' del
calore dei raggi solari.
Non ho mai provato sensazioni più piacevoli.
-Piccolo! Piccolo, riesci a sentirmi?
La stridula voce di Balzar risuonò nell'aria, appena
sovrastata dal rumore del vento.
-Piccolo! Vieni subito qui! Ho una notizia da darti!
Controvoglia, Piccolo riprese il volo, ostentando un'espressione
indifferente. Balzar, visibilmente eccitato, saltellava da un piede
all'altro, senza mai fermarsi.
-Vuoi dirmi di che si tratta? Per caso Goku è tornato? No,
probabilmente no..- aggiunse, scoccando uno sguardo sarcastico al gatto
-Se fosse così, questo posto sarebbe pieno di gente esaltata
come te...
-Ma no, zuccone di un namecciano, si tratta di Sherin! Invece di
rimanere lì imbambolato come un pesce lesso, corri al
Palazzo del Supremo! Sherin è tornata per te!
-Spero tu non stia scherzando...- borbottò il namecciano, ma
ormai Balzar non poteva più sentirlo. Senza nemmeno
salutarlo aveva spiccato il volo, cercando di calmare quel suo cuore,
che in tanti anni non era mai stato così irrequieto.
La forte risata di Sherin lo colpì come un dardo, ed il
namecciano aumentò la velocità del suo volo. Era
sempre più vicino, sempre di più....Poteva quasi
contare i secondi che lo separavano dal Palazzo....
-Sherin!
Popo rovinò a terra con esilarante sorpresa, mentre la sua
protetta correva lontano da lui, ridendo ancora. Gli saltò
tra le braccia con impeto, incurante che il suo padre adottivo fosse
distante solo di qualche metro, e li guardasse come inebetito.
Piccolo fece scivolare via la sacca violacea dalle spalle della
ragazza, così da poterle stringere meglio a sé.
-Questa volta ne sono sicura, torno per sempre....Sono stanca di
spostarmi come una fuggitiva da due case diverse, anche se entrambe
significano tanto per...
S'interruppe, accogliendo il bacio di Piccolo, forte e deciso come lo
ricordava, come lo desiderava. Fece scivolare le braccia fino alla sua
vita e lo strinse a sé, come un uomo, e gli
mordicchiò delicatamente le labbra, sapendo bene quanto lo
apprezzasse.
-Sherin, Sherin....-Piccolo si staccò delicatamente da lei,
e con un lieve cenno del capo le indicò Popo, ancora
immobile a pochi passi da loro.
Sherin sorrise e lo prese per mano, guidandolo verso l'entrata del
Palazzo.
-Sherin, aspetta....-disse Popo, intromettendosi – Piccolo
finora ha usato la tua stanza, quindi dovrò prepararne
un'altra, date le circostanze....
-Non ce ne sarà bisogno, non preoccuparti per questo.
Allontanandosi con la mano di Sherin racchiusa nella sua, Piccolo
attraversò un lungo corridoio bianco, costellato da porte di
varie dimensioni. Felice come una bambina, Sherin continuava a dargli
piccoli, giocosi baci, senza mai smettere di sorridere.
Piccolo aprì una porta arancione, poco più grande
delle altre, ed entrambi entrarono in una stanza molto spaziosa,
interamente illuminata dalla luce del sole. I muri, dipinti di un tenue
color pesca, in alcuni presentavano impronte di mani colorate, sbiadite
dal passare del tempo. Sherin poggiò la sua mano sopra una
di quelle tenere tracce, sovrapponendola con la sua. Da piccola amava
immergere le manine in barattoli ripieni di vernice colorata, per poi
stampare la sagome delle sue mani su tutti i muri della sua stanza,
accompagnata dalle raccomandazioni di Popo e del Supremo.
Piccolo si sedette sul letto circolare posto al centro della stanza, e
tese una mano verso di lei, invitandola a raggiungerlo. Dopo
un'impercettibile esitazione, la ragazza si sedette accanto a lui,
lasciandosi baciare le labbra, le gote, le mani....Sussultò,
sentendo i nastri della sua camicetta allentarsi sotto le dita del
compagno, e portò una mano al petto, cercando di trattenere
la leggera stoffa scarlatta. Piccolo poggiò una mano sulla
sua, forzandone delicatamente la presa. Senza più la
camicetta a coprirla, Sherin occultò il reggiseno candido
con un braccio, abbassando lo sguardo.
-Non vergognarti...non ne hai alcun motivo....
Piccolo sottolineò le sue parole con un altro bacio,
più profondo, così come il sua abbraccio.
Abbandonandosi a quel bacio, Sherin parve prendere una decisione:
lentamente, prese la cintura del compagno tra le mani, ed
iniziò a sciogliere il nodo che la stringeva attorno alla
sua vita.
Popo, intento a curare gli enormi alberi dei viali esterni, rivolse un
sorriso colmo di gratitudine al cielo, sicuro che, da qualche parte
nell'immensità del cosmo, il Supremo stesse sorridendo.
Con questo capitolo siamo
arrivati ormai quasi alla metà della nostra storia, e
proprio questo undicesimo capitolo ho voluto dedicare a Molkira ed al
suo Freddy, la mia coppia più fedele.
Un bacio speciale va
anche a Vanessa, che in questi giorni sta vivendo le dolcezze del primo
amore.
Buon San Valentino.
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Capitolo 12 *** A new adventure 1 ***
Ed ora arriviamo alle
dolenti note....Citazione di Dante a parte, la nostra storia attraversa
ora un momento cruciale: Manca poco al risveglio di Majin Bu, e quasi
tutti i personaggi principali sono entrati nella storia, come Goten e
Trunks. Da questo momento in poi succederà di tutto, e vi
consiglio di non perdere una riga ;)
Sono passati sette anni
dalla sconfitta di Cell, e la Terra sta trascorrendo un periodo di
pace.
Un giorno, un messaggio
di aiuto giunge ai nostri amici....
Un giorno qualcuno disse
che i bambini non ancora nati, dall'alto del cielo, scelgono i loro
genitori indicandoli con le loro manine. Chissà se anch'io,
diciotto anni fa, fui un angelo....Probabilmente no...ad una come me
l'essere pura non è concesso, così come il
privilegio di un'aureola e di un paio d'ali. Ma di una cosa sono certa:
diciotto anni fa non scelsi da sola coloro che sarebbero stati mio
padre e mia madre, ma accanto a me vi era un altro angelo, un'anima
più pura della mia. Scegliemmo assieme, tenendoci per mano,
e sempre assieme venimmo portati dal vento dalle nuvole a un solo
ventre. Forse non è vero, forse è solo una storia
inventata per tranquillizzare le precoci domande dei bambini...ma mi
piace immaginarci così, seduti l'uno accanto all'altra, in
silenzio, a scrutare una Terra così distante e
così familiare, insieme.
Insieme per sempre.
Mi sono sempre chiesto
perché Dio abbia deciso di rivestire la mia anima di un
corpo così singolare e, soprattutto, perché mi
abbia donato la consapevolezza di esserne così estraneo.
Sono prigioniero di una fisicità che non mi appartiene,
impresso in un'entità che, in fondo, non sento totalmente
mia...non dopo aver scoperto la mia vera identità. Tutte le
mie certezze sono crollate in pochi secondi, spazzate via dalla
più pura verità.
Ogni volta che incontro
il mio viso nel riflesso di uno specchio, non posso che abbassare lo
sguardo, incapace di sostenere la luce dei miei occhi, troppo intensa
persino per me.
Con questi miei occhi ho
visto il mio pianeta venir invaso per l'ultima volta, mio padre lottare
con tutte le sue forze per difendere un figlio in fin di vita...e tu.
Tu, che sei entrata nella mia vita con la stessa forza distruttiva di
cento uragani, tu che sei stata capace di mostrarmi cosa sono il
dolore, la sofferenza. Per poi aprirmi il tuo cuore e donarmi la tua
più vera anima.
Anche adesso, prendimi
per mano, ovunque tu sia.
Sette anni dopo
-Sherin, tutto bene?
Bulma bussò esitante alla lucida porta del bagno, nel quale
l'amica si era rinchiusa da più di un'ora, senza dire una
parola.
Dall'altra parte, Sherin si morse un labbro, i grandi occhi neri fissi
sul piccolo oggetto tenuto nelle mani tremanti. Niente...per lo meno,
non ancora...Afferrò il foglietto accartocciato sopra il
mobiletto accanto, consultandolo febbrilmente.
Aspettare pochi minuti
per conoscere il risultato del test...si, ma quanto?
In quel momento la nausea si fece sentire più intensa che
mai, e la Sayan si accasciò a terra, premendo una mano sulla
bocca sottile.
Eppure i sintomi
corrispondono...nausea, malesseri, tutto...
Diede un'ultima occhiata allo schermo grigio del test di gravidanza,
ancora neutro. Entro pochi minuti avrebbe saputo la verità,
ma si sentiva davvero pronta?
Bulma entrò nel bagno, illuminato a malapena dalla poca luce
riuscita a fendere le tende turchine, e rivolse un breve cenno
all'amica, indicando il test ancora stretto nelle sue mani.
-Ancora niente?
-...ora si...- socchiuse gli occhi, pentendosi di non aver mai voluto
portare un paio di occhiali -E' positivo...Maledizione!
Lanciò il test di gravidanza contro la parete di fronte,
facendolo rimbalzare a terra. Bulma, decisa ad ignorare lo scatto di
rabbia della Sayan, lo raccolse.
-Non è distruggendo il test di gravidanza che ne cambierai
il risultato. Lo dirai a Piccolo?
Sherin si massaggiò le tempie con la punta delle dita,
cercando di ignorare un mal di testa che non accennava a diminuire.
Bulma fece per parlare, ma Sherin la zittì con uno sguardo.
-Ti prego, non parlare...Questi, molto probabilmente, sono gli ultimi
minuti che passo con te da donna libera. Se sono davvero incinta io e
te non parleremo che di pannolini, biberon e notti insonni. Se aspetto
davvero un bambino, Piccolo potrebbe allontanarsi da me...E mio
figlio...facendolo nascere non farei altro che condannarlo...
La bocca di Bulma si strinse, così come i suoi stupefacenti
occhi azzurri, saettati verso il viso dell'amica.
-Condannarlo? Fammi capire, Sherin....Solo pochi mesi fa sei stata
rinchiusa in una dimensione parallela, hai combattuto contro tua madre,
sei scampata per un soffio ad una morte certa...Ed ora, che stai per
vivere l'esperienza che farà di te una donna completa, mi
dici questo? Non capisco, Sherin..come potresti condannare tuo figlio?
S'interruppe all'improvviso, lasciando che il test le scivolasse via
dalle dita. Negli occhi di Sherin balenò una luce nuova, che
non aveva mai visto.
-Non preoccuparti, te lo spiegherò in pochi
secondi...-sussurrò, rivolgendole lo sguardo più
freddo che il suo viso armonioso riuscisse a trasmettere -Se mio figlio
dovesse nascere con fattezze namecciane, od ibride, sarebbe costretto a
non uscire mai di casa, a passare la sua infanzia confinato nel
Palazzo, cosa che io stessa sopportai anni ed anni fa. Non voglio che
mio figlio trascorra gli anni più belli della sua vita con
il timore di nascondere il suo viso. Non interrompermi!-
esclamò, alzando il palmo di una mano. Bulma si morse un
labbro, lasciando morire le parole in bocca -E' così che
vanno le cose, qui sulla Terra. Nonostante gli animali camminino e
parlino come il più ordinario degli uomini, chiunque abbia
un aspetto diverso è visto come un pericolo, come qualcosa
della quale aver timore. Se la tua pelle non è candida, se
le tue orecchie non sono piccole e rotonde, se non hai un lavoro fisso
o una famiglia, sei lo straniero,
sei quello strano...Non capisci?! Se mio figlio venisse preso di mira
da un gruppo di ricercatori senza scrupoli, come anni fa fu il Red
Ribbon?! Dovrebbe affrontare ogni visita ai suoi amici come una corsa
senza sosta fino alla meta, senza mai mostrare il suo volto ad occhi
estranei? Certo, per Piccolo non c'è alcun problema...Non
gli importa nulla del pericolo, e se mai cercassero di fare esperimenti
sul suo corpo, saprebbe come difendersi. Entrambi saremmo pronti a
difenderlo, a proteggerlo da ogni minaccia, ma lui? Che rispetto
avrebbe di sé stesso, se sapesse di essere visto come una
potenziale cavia da laboratorio?! Non sarà mai come me,
né come Piccolo, ma una creatura nuova, ignota ad ogni
scienza, ad ogni conoscenza. Anche se il suo aspetto potrà
essere quasi normale,-
pronunciò quell'ultima parola con tono disgustato -il sangue
che scorrerà nelle sue vene sarà un miracolo
della genetica...Non voglio condannarlo ad una vita che nessun bambino
dovrà mai avere.
Bulma singhiozzò, asciugando in fretta le lacrime appena
scese sulle guance arrossate. Prima che potesse pronunciare una sola
parola, Sherin cominciò a piangere. Non era di certo la
prima volta che assisteva al suo pianto, ma capì
immediatamente che le lacrime che inumidivano i suoi occhi non erano di
tristezza, ma della più mera frustrazione.
-Ma quanto lo amerei...In fondo, come potrei non amare una creatura
simile? Gli darei tutto quello che vorrà, lo giuro, lo
proteggerei a costo della vita, lo giuro, farei qualsiasi cosa per
renderlo felice...Lo giuro, lo giuro, lo giuro....Se mai un giorno
dovesse trovarsi in pericolo, sarei pronta a donare la mia stessa vita
per salvarlo, anche solo per aiutarlo.
S'interruppe, nascondendo il volto tra le lunghe dita.
-Dio, sono una sciocca...
Bulma si sedette accanto a lei, cercando di mantenere fermo il tono
della voce, e l'abbracciò di slanciò.
-Nessuna sciocca penserebbe mai quello che tu hai appena detto.
Erano passati sei mesi da quel giorno, ed il ventre di Sherin cresceva
a vista d'occhio. Tutti ormai sapevano del fatto che aspettasse un
bambino e molti, come Chi chi, se n'erano fatti una ragione. Sherin,
d'altro canto, era radiosa. La consapevolezza di ospitare una futura
nuova vita l'aveva resa più moderata, più
consapevole. Ogni volta che percepiva i movimenti del figlio il suo
viso veniva illuminato da un sorriso, come così quello di
Piccolo, affascinato da una dinamica di nascita a lui, fino a quel
momento, sconosciuta.
Non appena era venuto a conoscenza della notizia, il suo primo,
immediato pensiero era stato quello di avvertire il suo migliore amico,
Gohan.
Il ragazzo non poteva che essere felice, certo, ma in fondo al suo
cuore represse a stento un barlume di gelosia, nato dalla
consapevolezza che, quando il bambino sarebbe nato, Piccolo avrebbe
avuto altro a cui pensare.
-Ancora non riesco a
crederci...Sarò padre, e Sherin sarà madre...Non
pensavo sarebbe mai successo...
-Dai, Piccolo...In
fondo, i genitori di Sherin erano un Namecciano ed una Sayan.
Gli aveva rivolto quelle parole sorridendo debolmente, un po' divertito
dall'inebetito stupore del vecchio maestro, in fondo poco
più giovane di lui.
Chissà che
aspetto avrà loro figlio? Devo ammetterlo, sono proprio
curioso...Probabilmente sarà più bello di
Piccolo, conoscendo la madre...
Sorrise, divertito da quel suo pensiero impertinente. In fondo,
pensò, Sherin era bella: superato lo sgomento per le lunghe
orecchie e per i canini appuntiti, riuscivi ad apprezzare davvero il
suo viso. Non aveva mai visto il volto di suo padre, e ricordava a
malapena quello spietato di Zarah, ma non aveva dimenticato l'aurea di
gelida bellezza che quella donna minuta era stata capace di emanare in
ogni momento. Si sdraiò sopra l'erba fresca di rugiada,
riflettendo. Alcune tracce della bellezza di Zarah erano facilmente
rintracciabili sul viso della ragazza, come la forma degli occhi, la
bocca sottile e la stessa luce negli occhi....Altre cose, senza contare
evidenti connotati namecciani come orecchie e canini, non potevano
appartenere che al viso del padre.
-Si chiamava
Torat...-gli aveva detto un giorno, molti anni prima -Avresti dovuto
vederlo...Era altissimo, quasi quanto me, e aveva degli occhi molto
grandi, che parevano brillare!
Ecco, gli occhi..sebbene fossero allungati come quelli di Zarah, erano
grandi, lucenti come due opali. Chiuse gli occhi, tentando di
assopirsi, ma nella sua mente continuavano a sovrapporsi visi diversi,
né Sayan né Namecciani, ognuno illuminato dallo
stesso sorriso, quello di Sherin.
Gohan si passò una mano sopra i sottili occhi scuri,
sospirando: no, non avrebbe mai potuto non voler bene al bambino che
sarebbe nato....
Gohan!
La voce di Dende risuonò nella sua mente, chiara come se il
ragazzino stesse parlando accanto a lui.
-Parlami, ti ascolto!
Non così, non
c'è tempo! Raggiungi gli altri al laboratorio del Dottor
Briefs,ti prego! Abbiamo urgente bisogno del vostro aiuto!
Non aggiunse altro. La voce acuta del giovane namecciano
svanì con la stessa rapidità del suo arrivo.
Gohan si alzò di scatto, portando con sé i petali
di qualche fiore innocente, e spiccò il volo, diretto verso
casa di Bulma.
Stretta tra le braccia del compagno, Sherin socchiuse gli occhi, il
volto sferzato dal forte vento. Il messaggio di Dende l'aveva
profondamente inquietata: non l'aveva mai sentito così
agitato e preoccupato, e quando aveva detto di incontrarsi
immediatamente al laboratorio del dottor Briefs, non aveva potuto non
avere un brutto presentimento...
Abbiamo urgente bisogno
del vostro aiuto....
Ripensò a quella frase con una stretta al cuore. Chi era in
pericolo? Popo? Dende stesso? Quel pensiero la fece rabbrividire, e la
giovane si strinse più forte al petto di Piccolo.
Mancavano circa quattro mesi alla nascita del loro figlio, maschio o
femmina che fosse. Aveva rifiutato con decisione la
possibilità di sapere in anticipo il sesso del nascituro,
preferendo la sorpresa alla sicurezza della previsione.
In fondo, se
sarà maschio, o se sarà femmina, non m'importa...
Rivolse un fugace sorriso a Piccolo, il quale ricambiò
spontaneamente, accarezzandole una spalla. Ecco cosa era cambiato in
lui, in tutti quegli anni: il rude guerriero che aveva incontrato un
decennio prima era cambiato, ammorbidito dall'amicizia di Gohan, dalla
solidarietà disinteressata dei loro compagni, ed ora, dalla
prospettiva di diventare padre. Quel sorriso ne era la prova...
-Siamo arrivati,- le disse, indicando con un breve cenno del capo la
Capsule Corporation, sempre più vicina -Gohan, Crilin,
preparatevi ad atterrare.
In quel momento, un'esile ma bella figura vestita di giallo li
salutò da sopra un balcone, agitando le mani bianche. Bulma
entrò in fretta dentro casa, diretta verso il corridoio che
portava all'uscita. Quando spalancò la porta principale, il
suo respiro era ancora affannoso, ed il suo viso più pallido
che mai. Dende era in piedi accanto a lei e, quando incontrò
lo sguardo di Sherin, un timido sorriso gli increspò le
labbra per pochi attimi. Vedere un'espressione così seria
sul volto di un bambino della sua età le strinse il cuore,
ma fu una sensazione che durò solo pochi attimi.
Solo pochi minuti dopo erano tutti radunati nel grande laboratorio
principale della Capsule Corporation, in attesa che Dende chiarisse i
loro mille dubbi. Contro ogni loro aspettativa, fu Bulma a parlare, in
fondo un po' soddisfatta del fatto che ognuno dei presenti pendesse
dalle sue labbra rossastre.
-Penso che nessuno di voi abbia mai sentito parlare della Poison
Corporation...- fece una piccola pausa, come a sfidare chiunque a
contraddirla -E' una società segreta, come lo fu il Red
Ribbon, ma è molto più segreta, in quanto opera
nel più assoluto silenzio. Il nuovo Capo dei Saggi, Moori,
ha contattato il Supremo Dende solo pochi minuti fa, comunicandoli che
poche ore prima è stato avvistato un piccolo ma minaccioso
gruppo di navicelle spaziali. Le ha descritte come velivoli di forma
ovale, nere come il petrolio tranne che per alcune strisce
magenta...Ebbene, quelle sono le navicelle della Poison Corporation. Io
e mio padre le conosciamo bene, perché qualche anno fa il
loro capo ci propose una collaborazione che, ovviamente, rifiutammo. Le
azioni della P. Corporation non sono animate né da interesse
scientifico né da amore di conoscenza, ma solo
dall'avidità di denaro e di potere...Possiamo ritenerci
fortunati se in tutti questi anni non hanno mai tentato di assassinare
un capo di Stato. Adesso sono decisi ad invadere Neo-Namecc, e possiamo
facilmente intuire che non lo fanno per portare la gloriosa
civiltà terrestre.- aggiunse, con una risatina sarcastica.
-Fammi capire, donna...Volevo dire, Bulma...Noi dovremmo partire seduta
stante per salvare quell'inutile pianeta da una minaccia che nemmeno ci
riguarda? E' questo quello che vuoi dirci?- s'intromise Vegeta,
sputando a terra.
-Esattamente. Chiunque non voglia partecipare non è
costretto a farlo, ma io sono già pronta a partire.
Detto questo, la ragazza strinse sul petto la cintura che
precedentemente aveva sistemato sulle spalle, quasi interamente
ricoperta da proiettili di varie dimensioni.
-Solo due cose, Bulma.- Sherin fece un passo avanti, sorridendo -Uno:
non penso che senza una buona pistola quei proiettili riusciranno a
perforare una qualsiasi corazza.
Prese un mitra dall'aria minacciosa da sopra un lungo e stretto tavolo,
e glielo lanciò.
-Due: faresti meglio ad allargare un po' le cinture di
sicurezza della tua navicella, perché verrò con
te.
Bulma non fece in tempo ad aprir bocca che Piccolo scattò,
incollerito, scoccando uno sguardo di rabbia alla compagna.
-Non credo proprio, carina. Pensi che i membri della Poison Corporation
useranno i guanti nei tuoi confronti solo perché sei
incinta? Se sono come il famoso Red Ribbon, o anche peggio, stai pur
certa che sarai il loro primo bersaglio!
Sherin non riuscì a replicare: chinò il capo sul
petto, senza aggiungere più nulla. Gohan, che aveva
assistito in silenzio allo scambio di battute, intervenne in suo favore.
-Dai Piccolo, non fare così, ho un'idea: se Sherin venisse
con noi, a patto di non uscire mai dalla navicella, una volta giunti
sul pianeta Namecc?
Quella proposta accese un campanellino d'allarme nel cervello di
Sherin, che si affrettò a controbattere.
-Non ne ho la minima....
-Mi sembra perfetto!- si affrettò ad aggiungere Bulma.
Conosceva la sua migliore amica, e sapeva cosa significava
l'espressione che il suo viso aveva assunto in quel momento: lite in
agguato, e le liti tra Piccolo e Sherin non erano mai piacevoli...-E
voi?
Gohan si offrì con entusiasmo, imitato poco dopo da Jaozi e
Tenshinhan. Yamcha, rimasto in disparte sino a quel momento,
alzò timidamente il braccio.
-Ehi, Bulma! Ci vogliono ben tre mesi per raggiungere Namecc, e quando
finalmente saremmo arrivati, quel pianetucolo sarà
già stato devastato
-Non ti permettere, Vegeta!
Sherin aveva alzato improvvisamente la voce, facendoli sussultare
tutti. I suoi occhi avevano assunto una sinistra sfumatura dorata, ed i
suoi canini appuntivi sembravano più minacciosi ed affilati.
Il dottor Briefs le corse incontro, temendo per la sicurezza del suo
stesso laboratorio.
-Mia cara, calmati..e tu, Vegeta, modera le parole.
Il Sayan sbuffò, alzando lo sguardo con fare sdegnoso.
-Ho io la soluzione al tuo problema, Vegeta.- il dottore
afferrò il lembo di una enorme tela, adagiata sopra un
macchinario enorme, e tirò -Permettetemi di presentarvi la
navicella TDR496873, un gioiellino appena creato dal mio, modestamente,
intelletto. Con questa sarete capaci di raggiungere il pianeta Namecc
in un solo giorno. Certo, potrebbe essere già troppo tardi,
ma sempre meglio di tre lunghi mesi...
Sherin accarezzò la fredda superficie della navicella. Il
lucente e resistente metallo le diede una piccola scossa, come a voler
dimostrare il suo potenziale.
-E' perfetta.
Protetta nel caldo
ventre di mia madre sentivo ogni rumore, ogni voce, come se provenisse
da un luogo lontano. Tutti i suoni giungevano ovattati, tranne il forte
battito del suo cuore. Ero incessantemente cullata dal suono
più dolce del mondo, ed il mio cuore pareva battere in
perfetta armonia col suo. E' la sensazione più bella che io
abbia mai provato...Spesso mi chiedono come mai io ricordi una cosa del
genere...nessuna persona riesce a ricordarsi i giorni passati nel
ventre della propria madre, ma io non ricordo dei giorni, no. Ricordo
solo quell'attimo meraviglioso, nel quale, in un modo o nell'altro,
capii di essere viva, e di avere qualcuno che mi avrebbe amata
incondizionatamente, qualunque cosa sarebbe successa. Se avessi saputo
cosa sarebbe successo da lì a pochi mesi, avrei cercato di
inviare a lei tutto il mio amore, tutta la mia anima, anche se per un
solo istante, per dirle “io ci sono, sono sempre stata qui
con te, e ci sarò..”
Come vorrei aver potuto
farlo, e come vorrei che quella meravigliosa sensazione di amore
tornasse nel mio cuore, in questo momento...
Nessuno mi
raccontò mai della mia nascita.
Mio padre si
limitò a dirmi di avermi trovata quasi per caso, e di aver
deciso di allevarmi con tutto il suo amore. So che non dovrei pensare
tutto ciò, ma desideravo con tutta me stesso sapere di
più, conoscere ogni cosa del mio passato. I miei compagni,
purtroppo, non sapevano o non volevano sapere, ed i miei dubbi rimasero
intatti, per anni...
Per tutta l'infanzia non
ho ricevuto altro che amore, e quest'ultimo ha creato un'invisibile ma
impenetrabile barriera attorno alla mia anima, impedendomi di conoscere
la depressione, la rabbia, il rimorso. Trascorsi la giovinezza protetto
dalle cure della mia famiglia, senza pormi più alcun
problema...Come avrei potuto sapere, anche solo immaginare, che tutto
sarebbe stato spazzato via in poche ore?
Eccoci qua, al dodicesimo
capitolo...ad essere sincera, non vedevo l'ora...Non ha mai raggiunto
questo traguardo, e ne sono davvero felice :)
Prima di salutarvi, devo
fare qualche piccolo ringraziamento a :
Molkira = piccola peste,
devo ringraziarti per i tuoi sudati, ma sinceri commenti, sai? Ti
voglio bene, e dimentica quel votaccio in biologia, perché
sappiamo entrambe che sei fantastica comunque....
Aloysia Piton = donna,
non tradirmi mai, sai che aspetto ogni tuo commento con una punta
d'ansia e di felicità. Grazie, grazie e ancora grazie alla
lettrice più veloce ed appassionata che abbia mai incontrato
:)
lirinuccia = manchi solo
tu! Cara, non mi aspettare per postare un nuovo capitolo della tua
bellissima storia, ma scrivi, scrivi, perché lo sai fare
così bene. Grazie, ed emozionami ancora non la tua storia...
ma non ci sono solo loro,
no...Grazie anche a tutti quelli che mi leggono, a chi dà
solo una letta veloce ai primi capitoli e, perché no, a chi
magari legge il titolo di questa storia ed abbozza un sorriso....
Thanks.
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Capitolo 13 *** A new adventure 2 ***
Forse era notte, forse ancora pomeriggio. Il tempo continuava il suo
inesorabile flusso, ma nello spazio più profondo non ci sono
né il giorno, né la notte....
Sherin aprì a fatica gli occhi, momentaneamente abbagliata
dall'intensa luce dei neon. Aveva tentato più volte di
addormentarsi, senza mai riuscirci, ed il suo fisico iniziava a
risentire della mancanza di sonno. Si rialzò, ignorando la
fitta alla schiena che prontamente l'aveva colpita. Non si era mai
abituata ai semplici materassi prodotti dalla Capsule Corporation,
sebbene vi avesse dormito per anni.
Rassegnata, Sherin aveva sfruttato quel poco di
abilità magica trasmessole dal defunto padre per far
comparire dei futon più soffici, ma tutto ciò che
era riuscita a far apparire erano solamente dei materassi sgonfi e
malandati...
Vegeta aveva sbuffato, sprezzante come suo solito, e aveva commentato
con asprezza:
-Spero solo che il figlio del muso verde sia meglio di quell'incapace
di sua madre.
Diede una rapida occhiata allo schermo digitale del piccolo
orologio fissato sulla parete di fronte. Le 18 non erano ancora
passate, e ciò significava che sulla terra la notte non era
ancora calata.
-Va tutto bene?
Piccolo aveva interrotto la meditazione, e si era seduto accanto a lei.
Le accarezzò una guancia, cercando di non mostrarle la sua
preoccupazione.
-Tutto ok, muso verde, non devi preoccuparti per me...In fondo, ne
abbiamo passate di peggiori. Vedrai che sarà una
passeggiata....
Abbozzò un sorriso, ma lo sguardo del compagno non
mutò.
-Io non ti capisco, Sherin. Nelle tue condizioni, decidere di
affrontare una situazione del genere, è una follia!
-Sono incinta, Piccolo, non in punto di morte. Andrà tutto
bene, te lo prometto..
Piccolo inspirò lentamente: l'adorava, senza alcun dubbio,
ma Sherin aveva l'innata capacità di farlo letteralmente
impazzire, quando s'impuntava su una qualsiasi decisione. Era salita
sulla navicella contro la sua volontà, ignorando ogni
raccomandazione del dottor Briefs e della moglie, solo per rivedere
Namecc.
Ama quel pianeta più di qualsiasi namecciano, sebbene
l'abbia visto solo una volta....
“Ti sei dimenticato che posso leggere nel pensiero?”
Piccolo le scoccò uno sguardo irritato, e la Sayan sorrise
maliziosamente, scoprendo i canini appuntiti.
-E tu ti sei dimenticata quanto mi infastidisca che qualcuno si
intrometta nella mia mente?
-Stai zitto, muso verde, e lasciati stuzzicare.
Si alzò sulle punte dei piedi e sfiorò le labbra
di Piccolo con le sue, lasciando che la pungente risposta del compagno
venisse soffocata dal suo bacio.
Yamcha smise di leggere il fumetto che aveva tra le mani, e li
guardò baciarsi ancora una volta. Tentando di non fissare
troppo lo sguardo su di lei, cercò negli occhi di Sherin lo
sguardo che tempo prima aveva ammirato in Bulma, lo sguardo di una
donna innamorata. Posò a terra il giornalino, portando una
mano alla fronte. Ancora non riusciva ad accettare la
realtà, non riusciva a capacitarsi del fatto che Bulma ormai
non lo amasse più...Erano passati anni, il piccolo Trunks
stava per compiere sette anni ma ancora, dentro di sé,
soffriva.
Qualche volta si ritrovava a fantasticare su come la sua vita sarebbe
stata in quel momento se lui e Bulma non si fossero lasciati per
l'ultima volta. S'immaginava come un padre di famiglia, sposato a Bulma
da tanti anni. Si vedeva giocare con un figlio nel giardino della loro
casa in periferia, mentre lei annaffiava i fiori dei piccoli cespugli
di rose...
Qualcosa bruciò dentro di lui, ed il ragazzo si costrinse a
voltare il viso verso l'oblò vicino, fingendosi interessato
alle costellazioni ed ai pianeti che man mano si susseguivano...
Chissà se
Yamcha non ha mai smesso di amare Bulma...
Non mi disse mai tutta
la verità, anche se sapeva di potersi confidare con me.
Credo abbia sentito molto la mancanza di un fratello, di una figura
amica con la quale potersi confrontare, con la quale riuscire a
sfogarsi, e mi elesse suo unico confidente. Ricordo che usavamo
trascorrere intere ore a parlare, anche se in verità io mi
limitavo ad ascoltare i suoi problemi e le sue preoccupazioni...Povero
amico mio, ridotto a confidarsi con un ragazzo molto più
giovane, convinto che tutto ciò avrebbe potuto alleviare
almeno un po' le sue pene...
-Stiamo per atterrare, allacciate le cinture! Sherin, siediti su quella
poltrona a sinistra, la sua cintura è leggermente
più larga delle altre!
Bulma afferrò le manopole del volante principale e si
preparò a guidare la navicella verso l'area più
adatta per l'atterraggio. Sherin si sedette velocemente sul sedile
indicatole da Bulma, e protestò debolmente quando Piccolo
insistette per allacciarle la cintura sopra il ventre. Il namecciano si
sedette accanto a lei, con la scusa che tutti gli altri sedili erano
già stati occupati, così da poterla fermare se
avesse tentato di lasciare la navicella, rompendo così la
promessa fatta prima di partire.
La navicella del dottor Briefs non tradì le loro
aspettative: in pochi minuti toccarono il suolo del pianeta, senza
quasi provocare il minimo rumore. Il panorama che si offrì
ai loro occhi fu uno dei più angoscianti che ebbero mai
visto: gli alberi una volta rigogliosi erano stati bruciati e spezzati
da una forza sconosciuta, la terra presentava profondi crateri, ma il
danno principale non era stato inflitto all'ambiente...
Sherin urlò più forte che poté,
portando le mani bianche alla bocca, ed indicò davanti a
sé.
Dove tempo prima sorgeva un piccolo villaggio, le fiamme dominavano
incontrastate, bruciando tutto ciò che le loro lingue letali
toccavano...Le case candide erano crollate, scoperchiate e sventrate
senza alcuna pietà, e tutto ciò che restava della
pacifica vita che sino a poco tempo prima aveva animato il villaggio
era stata spazzata via dal fuoco, la forza più spietata ed
incontrollabile creata dalla natura....Alcuni corpi giacevano al suolo,
ma erano pochi..terribilmente pochi, e tutto ciò che restava
di essi provava su di sé la vorace fame delle
fiamme scarlatte....
-E'...è orribile...
-Sherin, fermati!
Piccolo scattò in avanti, afferrando la maglia della Sayan,
scattata in avanti in un impeto dettato dalla disperazione. Un lampo,
un movimento fulmineo, e la mano del guerriero fu percorsa dalle unghie
di Sherin, graffiandolo. Piccolo lasciò immediatamente la
presa e la ragazza, libera dalla sua stretta, corse verso il villaggio,
inciampando nei suoi stessi passi. Cadde in ginocchio davanti al fuoco,
il viso pallido rigato dalle lacrime. Chiuse gli occhi e volse i palmi
delle mani verso il mare, la cui sponda era poco lontana dal villaggio.
L'acqua verdastra scorreva tranquilla, illuminata dai caldi raggi del
sole che si riflettevano pacifici sulla sua superficie, e
ribollì appena quando le mani di Sherin, lentamente, vi si
immersero. La ragazza abbassò il viso, toccando la fresca
acqua con le labbra sottili, ed iniziò a parlare.
A volte, quando i
sentimenti prendevano il sopravvento sulla ragione, dalle sue labbra
uscivano le inconfondibili cadenze della lingua namecciana. Potevo
rimanere ad ascoltarla ore intere, tanto era intensa la forza di quelle
parole...Non seppi mai come le imparò, se a pronunciarle
fosse lo spirito di suo padre ancora vivo in lei, o se provenissero da
una sapienza ancestrale, insita in lei sin dalla nascita...
Sollevata dalla silenziosa forza della sua preghiera, un'onda immensa
si sollevò dalle profondità marine, erigendosi in
tutta la sua maestosa potenza. Sherin alzò le braccia verso
essa, come a volerne toccare la bianca schiuma e questa, come guidata
dal suo gesto, si gettò sul villaggio in fiamme, inondandolo
con tutta la sua impetuosità. Le fiamme si spensero quasi
all'istante, soffocate dall'unica nemica che la natura aveva creato per
contrastarle.
La udivo spesso ripetere
a sé stessa di lasciar perdere, che il fato non aveva voluto
affidarle le capacità magiche possedute dal suo popolo, che
il suo destino sarebbe stato rimanere in eterno ciò che era,
un essere a metà, né Sayan né
Namecciano...Per tutta la sua vita questo fu il suo più
grande dolore, il fine ultimo di tutti i suoi estenuanti allentamenti,
delle sue intime sofferenze.
Mi piace credere che,
prima della fine, mia madre abbia accettato la sua natura e
abbia intrapreso il cammino dell'eternità a testa alta,
libera da qualsiasi appartenenza, da qualsiasi catena...
-Cos'è successo?- Gohan distolse a fatica gli occhi
dall'immensa onda e rivolse appena quella domanda al maestro, anch'egli
immerso nella meraviglia per quel gesto inaspettato -Non ho mai visto
Sherin praticare una magia simile...
Piccolo strinse gli occhi, riflettendo. No, nemmeno lui ricordava che
una forza simile fosse mai scaturita dalla giovane, nonostante la
caratteristica tipica dei Sayan di dare il meglio di sé
sotto pressione...
-Penso- cominciò, soppesando le parole -che in Sherin vi
siano due nature contrastanti tra di loro, due anime in perenne lotta
per la sopravvivenza. Se considerassimo solo il suo aspetto, penseremmo
erroneamente che la parte Sayan abbia preso il sopravvento: i tratti
del suo viso, il suo corpo...chiunque direbbe che Sherin è
quasi completamente Sayan, ma se la conoscessero davvero capirebbero
quanto possa soffrire per questo suo esistere a metà,
contesa tra due popoli, uno ancora esistente, e l'altro ormai
estinto...Per quanto possa cercare di comprenderla, finora non sono mai
riuscito a colmare il vuoto che ha dentro di sé, la
sofferenza che a periodi emerge dal suo spirito. Ricordi quando si
trasformò in Half Sayan?- domandò.
Gohan annuì, ed invitò il maestro a proseguire.
-Quella trasformazione incompleta ci rivelò appieno la sua
natura: i suoi occhi non assunsero un colore ceruleo, i capelli
diventarono oro solo in alcune ciocche isolate, ma la sua aurea crebbe
sino a raggiungere livelli mai compiuti prima. In quel momento la sua
anima Sayan prese momentaneamente il sopravvento su quella namecciana,
anche se non del tutto. Oggi invece, presa dalla disperazione per aver
visto un villaggio del suo pianeta distrutto dalle fiamme, le catene
naturale che sino a questo momento hanno intrappolato le sue
capacità magiche si sono spezzate, e Sherin ha potuto
finalmente liberare la sua magia namecciana.
Entrambi volsero lo sguardo verso la giovane, ancora inginocchiata
sulla bianca riva del mare. Richiamate dal suono della sua voce,
piccole e lucenti gocce d'acqua si sollevarono dal terreno bruciato
come lucciole traslucide, volando leggere verso il mare. Sherin chiuse
gli occhi, assaporando il loro fresco tocco, ed allargò le
braccia, lasciando che alcune di esse si posassero su di lei,
arrestando il loro breve volo sulla sua pelle. Piccolo si
inginocchiò accanto a lei e la strinse a sé,
affondando il viso nei suoi capelli scuri.
-Alzati...è tutto finito, ora...
I due si alzarono assieme, l'uno nelle braccia dell'altro, mentre il
resto del gruppo si avventurava cautamente tra le rovine del villaggio,
alla ricerca della Sfera Del Drago.
Gohan entrò nella capanna del Saggio del villaggio, l'unico
posto dove la Sfera sarebbe dovuta essere, ma di essa non vi era alcuna
traccia.
-Non c'è...- soffiò Vegeta, sferrando un calcio
ad un mucchio di pietre annerite -La Sfera del Drago non è
più nel villaggio.
L'uomo batté con forza l'enorme pugno sul tavolo circolare,
facendo sobbalzare i suoi sottoposti, i quali si affrettarono ad
assumere un'espressione contrita.
-Com'è possibile- sibilò -che una delle mie
migliori truppe d'attacco sia stata letteralmente rasa al suolo da un
gruppo di insulsi namecciani?
Un colonnello più sfacciato degli altri si alzò
in piedi, schiarendosi appena la voce.
-Generale, abbiamo appena inviato un'altra unità sul luogo.
I ribelli sono stati sterminati.
-Tutto questo non sarebbe dovuto succedere! Non possiamo permetterci di
perdere uomini quando occupiamo un pianeta così distante dal
nostro quartier generale! Dov'è il caporale Kins?
Un caporale magro e nervoso si alzò a fatica dalla sua
sedia, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore.
-Kins..il caporale Kins è arrivato appena pochi minuti fa...
-Il suo stato? Il suo stato, maledizione!
-Incosciente, generale!
Il generale passò una mano sulla bocca, tentando di
reprimere la furia crescente.
-Voi eravate responsabili di quest'ultima azione, il peso gravava
interamente sulle vostre spalle, e cosa vengo a sapere?- il
tono della sua voce si alzò improvvisamente -Che coloro che
fino ad oggi ritenevo i miei migliori uomini si sono rivelati degli
incapaci indegni di rispetto! Siete la vergogna dell'intera Poison
Corporation!
Afferrò la pistola, estraendola fulmineo dalla fondina,
fissata al lato della cintura di pelle. Un brivido di terrore percorse
gli uomini seduti al tavolo circolare, e molti di essi arretrarono
impercettibilmente.
-Generale Wood, possiamo spiegarle....
Le parole morirono improvvisamente, spente dal proiettile sparato senza
alcun preavviso. Il caporale si accasciò a terra privo di
coscienza, premendo le mani sulla ferita sanguinante apertasi sul suo
petto.
Wood soffiò appena sulla bocca della pistola, godendo i
sussurri e la tensione scatenati dall'improvvisa morte del caporale.
Così andava bene, pensò, era così che
cani come quelli dovevano essere dominati....
Il brusio venne interrotto dall'arrivo di un messaggero il quale,
degnando appena di uno sguardo il cadavere riverso a terra,
s'inchinò al cospetto del generale.
-Generale, i nostri ricognitori hanno avvistato individui sospetti a
nord, poco lontano dal mare.
-Di chi si tratta? Altri ribelli in cerca di morte certa?
-No signore, sono alieni. Terrestri, a quanto affermano i ricognitori.
Una di loro ha soccorso i resti del villaggio bruciato dalle truppe
d'assalto, signore. Supponiamo abbiano intenzioni a noi ostili: gli
ultimi aggiornamenti ci informano che il gruppo si è unito a
dei ribelli particolarmente pericolosi...
Il generale alzò una mano, interrompendo il suo discorso, e
si diresse verso una finestra.
-Avete già completato i loro identikit?
-Solo un, signore, quello del namecciano.
-Descrivilo.
Il messaggero rovistò nella tracolla di pelle, passando in
rassegna missive e fascicoli, fino a che non prese tra le mani una
cartella nera.
-Altezza circa due metri, struttura muscolare notevole, apparentemente
disarmato. Si sposta assieme ad una donna...
-Una donna?
Il generale distolse lo sguardo dal paesaggio, e rivolse tutta la sua
attenzione al messaggero, il quale continuò imperterrito il
suo rapporto.
-Si, generale. Individuo femminile di altezza considerevole, sui
trentacinque anni. Riteniamo sia in qualche modo legata al namecciano,
il quale potrebbe essere il padre del figlio che porta in grembo..
Un'ombra si mosse in un angolo. Uno scienziato dai lunghi capelli
bianchi, il cui viso portava i segni di una passata bellezza, sorrise,
ed i suoi occhi cerulei vennero attraversati da un lampo di cupidigia.
-Interessante...da tempo non ho occasione di studiare ibridi vivi, mio
generale...Mi permetta di studiare la donna ed il nascituro,
signore...Ho buone ragioni per credere di poter sfruttare l'ibrido a
nostro esclusivo vantaggio....
Il generale Wood strinse appena le labbra, ma non lo interruppe,
limitandosi ad incrociare le braccia al petto. Mosse lo sguardo lungo
la stanza in penombra, lasciando che il silenzio calasse come un velo
opprimente. Eccoli tutti lì, uomini pronti a gettarsi a
terra, a rotolarsi nel fango pur di compiacerlo, esseri umani che
avevano venduto la dignità per il grado militare,
abbandonando il ritegno che madre natura aveva loro
donato...Disprezzava nel profondo ognuno di quei cani e, se non fossero
indispensabili per il successo della missione, non avrebbe esitato ad
ucciderli tutti, uno dopo l'altro.
Si sedette sulla sua sedia, rossa come il sangue, e prese tra le mani
un fascicolo nero, simile a quello letto dal messaggero pochi minuti
prima.
-Preparate le truppe. Ogni ribelle dovrà essere ucciso, ma
non i terrestri. Spegnete ogni fuoco di disobbedienza, trucidate ogni
sovversivo, ma portatemi i terrestri vivi.
Il nostro conto alla
rovescia era ormai iniziato. In qualche modo, io e te , sapevamo
ciò che stava per accadere, ciò che la follia
umana stava per fare. Mancava così poco, amico mio,
così poco...Se tutto ciò non fosse successo,
saremmo stati ugualmente legati dal filo scarlatto del destino, che
ciecamente unisce le anime delle persone in un legame che va oltre la
vita stessa? Io credo di si, amico mio, lo credo con tutta me stessa.
Non ho certezze, in vita mia non ne ho mai avute... questa è
l'unica che il mio cuore e la mia mente abbiano accettato, e per questo
la alimento con tutta la mia speranza, perché è
ciò che ci rende così unici.
Costruimmo assieme
questo legame, legame che la pazzia umana aveva tentato di sciogliere e
che il destino stesso aveva ricostruito con la forza del tempo,
intraprendendo il cammino che in cielo, anni prima, avevamo scelto
assieme.
Due anime legate per
sempre, ecco ciò che siamo, amica mia, due vite
indissolubilmente unite.
All'inizio tu non
l'accettasti, ricordi? Negasti quella verità con
l'impetuosità che avevo imparato ad amare, la negasti
ciecamente, appellandoti ai deboli ricordi che altri avevano costruito
nella tua mente. Ti vidi piangere amaramente, battere i pugni a terra,
rinnegare colui che ti aveva allevata e giurare eterno odio al genere
umano, responsabile della tua sofferenza. Quel giorno giurasti.
Giurasti di combattere in eterno ogni ingiustizia, di portare il
fardello dei delitti compiuti in nome di una terribile bugia, di una
spietata utopia. Era la tua croce, e amaramente capii che avresti
sempre rifiutato ogni aiuto, in nome della tua stessa anima...
Eccoci
infine al 13 capitolo...non riesco a dirvi quanto sono contenta di
essere arrivata a questo punto! Cosa posso dire?
Questi
giorni sono stati davvero pesanti....false amicizie, amici che
rimangono ma che in realtà non sono mai davvero presenti,
pranzi pesanti, visite ai parenti, compiti assurdi....Datemi un
biglietto per Tokyo o per Parigi, please! Odio la mia città!!
Aloysia Piton:
ciao, cara!!Eccomi qua, con il mio aggiornamento in terrificante ritardo, come al solito... Tante
grazie, ogni tuo commento è uno dei motivi per andare avanti!
lirinuccia:
tu! Perché non continui la tua fanfic? Sto morendo dalla
curiosità, e la mia curiosità può
essere devastante. Spero tanto che il mio capitolo ti piaccia, stai
diventando una fan degna di attenzione XD
akuma: che fine
hai fatto? :( mi manchi tanto, cara, lo sai! Ricorda che ti voglio
bene, e che sei la mia sempai numero 1 !
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Capitolo 14 *** Inside a new danger 1 ***
E vai con il
POV. Non ci posso fare niente, mi attira davvero tanto :)
Vegeta
La vedo trasformarsi con velocità quasi surreale, la
velocità di chi ha compreso che in una situazione critica
ogni secondo è vitale...Ed ogni secondo perso potrebbe
comportare un attimo di vita in meno...
Ha compreso ogni cosa non appena i suoi occhi hanno visto apparire la
truppa, armata sino ai denti, correre verso di noi. Aveva alzato il
viso verso l'alto, fiutando l'aria come un gatto, e quasi
subito riuscimmo a percepire la sua aura accrescere
con l'impeto di un fiume in piena.
Sollevati da un vento inesistente, i suoi capelli iniziarono ad essere
attraversati da lunghe striature dorate, così i suoi occhi
allungati mutarono colore, divenendo simili a pezzi d'oro.
Ora, guardandola combattere, non posso fare a meno di provare disprezzo
per una donna come lei, una mezzo Sayan, mai tanto forte da riuscire a
valicare la vetta della trasformazione, il Super Sayan...
Li vedo combattere assieme, a fianco a fianco, colpendo gli avversari
quasi contemporaneamente senza mai perdere di vista l'altro, pronti ad
intervenire se la situazione possa prendere una piega pericolosa. Il
muso verde è visibilmente contrariato anche se cerca di
mascherare la sua disapprovazione celando il proprio viso alla
meticcia, ma credo di conoscerlo abbastanza da comprendere il motivo
del suo stato d'animo.
Lei ha rotto la promessa di rimanere all'intero della navicella, al
sicuro da ogni attacco nemico. Invece, eccola lì, i capelli
corvini ondeggianti al freddo vento, combattere come se ne andasse
della propria vita per degli insulsi namecciani. E' la prima volta che
la vedo combattere per uccidere...
Ed è con un lievissimo barlume di pietà che
guardo gli ignari soldati lanciarsi verso di lei, sparando colpi che
non andranno mai a segno,almeno non sul corpo di una Sayan a
metà.
Corre agile come un felino verso due di loro, estraendo le unghie
affilate, pronta a colpire, a graffiare ogni centimetro di carne
possibile. Non avevo mai notato l'impressionante cambiamento di alcune
parti del suo corpo, durante la trasformazione in Half Sayan. I canini,
prima solo leggermente appuntiti, appaiono lame in miniatura, affilati
come i denti di un lupo. Le sue mani, normalmente bianche e affusolate
come quelle di Bulma, mutano la forma delle unghie, le quali si
allungano e si affilano, e ciò che prima era solo un'innocua
mano diventa un artiglio pronto a ghermire la preda. Forte o debole che
sia.
Probabilmente il suo mutamento è dovuto alla consapevolezza
del dovere di proteggere la nuova vita che ancora vive in lei da una
morte terribile, consapevolezza che ha portato ad una nuova forza.
-Vegeta, aiutami!
La richiesta di aiuto di Bulma mi trafigge come un lampo, e corro verso
di lei, incurante dei proiettili che sfiorano la mia pelle,
procurandomi graffi indegni di attenzione.
E' seduta a terra, il bel viso nascosto dietro le mani tremanti, e non
posso non udire i suoi singhiozzi. La madre di mio figlio, mia
moglie...Questi pensieri entrano in me così velocemente che
le mie braccia si muovono da sole, afferrando la sua vita sottile e le
sue gambe. Volo via dal campo di battaglia stringendomi Bulma al petto,
alla ricerca di un posto sicuro, lontano da quell'inferno in terra.
Anche se per pochi secondi, i miei avversari dovranno attendere.
Piccolo
Maledetta sia la sua testardaggine, e maledetto io stesso, che non le
ho impedito di seguirci, preferendo evitare la certa discussione che ne
avrebbe conseguito.
Blocco appena in tempo un razzo diretta verso di lei, scagliata contro
i soldati marchiati dalla scritta P Corporation. Quella donna ha
completamente perso il senno, penso con una punta di amarezza, gettarsi
così contro il nemico....Nelle sue condizioni...
Qualunque cosa le dirò lei, sorridendo, non mi
ascolterà mai, ma continuerà a fare
ciò che il suo cuore le detta, chiudendo le porte alla
ragione. Per me, abituato da sempre al ragionamento, alla fredda
razionalità, tutto ciò appare un comportamento
degno di un pazzo.
E' con un brivido freddo che riconosco quanto sia simile alla madre,
nel combattimento: lo stesso sguardo di ghiaccio negli occhi, la stessa
decisione nel lanciarsi all'attacco, la folle determinazione nel
continuare anche se vicina allo sfinimento. Anche se non lo
ammetterà mai, combatte come una Sayan, sebbene molte delle
sue capacità appartengano alla nostra razza...
E' nella magia che domina nelle sue tecniche, nell'agilità
usata per schivare i colpi avversari che vedo l'anima di sua padre....
Un colpo vicino, troppo vicino mi distoglie dai miei pensieri,
costringendo la mia mente a tornare alla violenta realtà.
Vegeta è sparito, così come Bulma, ma posso
facilmente immaginare quale sia stata la decisione del Sayan. Ha voluto
portare al sicuro la sua compagna seguendo il bisogno ancestrale di
ogni uomo, quello di proteggere chi ama.
Ma io non sono un umano,
e forse non lo sarò mai realmente, ma quel desiderio
è vivo in me così come è vivo in lui.
Se Sherin dovesse perdere la vita, se succedesse qualcosa a nostro
figlio,...io non potrei mai perdonarmelo.
-Sherin!- urlo, scansando l'ennesimo proiettile vagante -Sherin,
abbassati!
Lei si volta appena in tempo per vedere con i suoi occhi l'enorme sfera
luminosa avvicinarsi verso di noi, veloce e silenziosa come un angelo
della morte, e si precipita verso di me.
In quell'attimo eterno risentii le parole che Gohan mi aveva detto
tempo prima, dopo aver saputo di ciò che era nato tra Sherin
e me, come se lui stesso si fosse avvicinato a me per sussurrarle
ancora una volta.
-Forse in una cosa siete
davvero simili....
-Che cosa?
-Nella
capacità di tenere agli altri più che a voi
stessi. Lei stessa non esiterebbe nel proteggere te o Bulma col suo
stesso corpo, proprio come facesti tu quando Nappa cercò di
uccidermi. Ecco, in questo tu e Sherin siete come una persona sola...
Con le lacrime che le lambiscono le iridi dorate, Sherin mi stringe a
sé, pochi attimi prima che l'immensa, eterea superficie
della sfera tocchi la nuda terra. Cercando di mantenere il controllo le
accarezzo le spalle, pensando stupidamente quanto la imbarazzasse avere
spalle tanto larghe...Chiudo gli occhi, inspirando profondamente
l'odore dei suoi capelli, immergendovi il viso.
-Come vorrei fosse solo un brutto sogno.-sussurra, mostrandomi appena
l'ombra di un sorriso.
-Dai sogni prima o poi ci si deve svegliare...
Yamcha
Non ricordo di aver mai provato una sensazione così
singolare.
Quando la sfera esplose non sentii alcun dolore, non sentii la vita
abbandonare il mio corpo, ma percepii solamente il forte impatto con la
sua superficie lucente, spiazzante quanto sconvolgente.
Come immerso in una dimensione neutra potevo vedere i miei compagni
venire raggiunti dalla sfera, uno dopo l'altro, per poi esserne
inghiottiti pochi attimi dopo in brevi lampi di luce.
Né io, né Bulma, Crilin, Gohan o
Tenshinhan sentimmo dolore. Ci limitammo a restare sospesi,
immersi in una specie di dormiveglia, né morti né
vivi, mentre attorno a noi esplodevano le urla più
strazianti.
Vegeta, Piccolo e persino Sherin si contorcevano su sé
stessi, gridando con una forza tale da poter spezzare il vetro
più resistente. I loro corpi erano scossi da spasmi
indescrivibili, così intensi che i loro occhi si erano
annebbiati, velandosi di un bianco terrificante. Urlavano e urlavano,
portando le mani nei capelli, perdendo sangue dalle narici...ogni tanto
uno di essi crollava, lasciandosi possedere dalle convulsioni, come una
marionetta alla quale erano stati tagliati i fili. Avrei dato qualunque
cosa per poter chiudere gli occhi, per non vedere la sofferenza che
erano costretti a subire, ma il mio corpo si rifiutava di obbedire ai
miei comandi. I nostri corpi si erano come pietrificati, imprigionando
le nostre anime nella più assurda e crudele prigione che una
mente sadica avesse potuto creare.
Vegeta inarcò la schiena gridando frasi sconnesse ed
incomprensibili, mentre rivoli di sangue scorrevano dal suo naso,
tingendo di rosso la parte inferiore del suo viso. Pregava di essere
risparmiato, giurava tra le urla di essere pentito, di soffrire per
tutte le vite che aveva spento, che mai più, mai
più sarebbe successo...
Piccolo gridava, scosso ancora dalle convulsioni, e nel delirio altro
non ripeteva che due nomi: Gohan e Sherin. La sua voce era
improvvisamente mutata, divenuta d'un tratto più roca ed
inquietante...Potei vedere con i miei stessi occhi calare un'ombra sul
suo viso, rendendolo sempre più pallido e sofferente.
Lentamente, Piccolo stava invecchiando, consumato dal peso della
vendetta trasmessogli dal defunto padre, i cui tratti iniziavano
inesorabilmente a delinearsi sulla sua pelle....
-Yamcha, aiuto!
Sherin si era improvvisamente voltata verso di me, accortasi del fatto
che fossi ancora cosciente. Non riuscii a trattenermi, ed urlai con
tutto il fiato rimastomi nei polmoni, tentando inutilmente di coprirmi
gli occhi.
Ogni tratto del suo viso era stato grottescamente deformato,
sfigurandola quasi totalmente: gli occhi, prima grandi ed allungati,
erano rossi come il sangue, appena celati dalla folta chioma corvina
ondeggiante come formata da mille serpenti. Allungò le
braccia verso di me, sussurrando di aiutarla, di far cessare quel
terribile dolore.
Amica mia, come avrei potuto aiutarti? Potevo percepire l'inarrestabile
potenza della sfera luminosa entrare in me e paralizzare il
mio corpo, impedendomi persino di parlare. Sherin interruppe la sua
preghiera, e socchiuse gli occhi. Ormai sia Vegeta che Piccolo avevano
perso i sensi, ed i loro corpi si erano abbandonati completamente al
nulla, galleggiando come cadaveri di annegati.
Mi sorrise, o almeno credetti fosse un sorriso la smorfia che nacque
sulle sue labbra distrutte. Gettò la testa indietro ed
urlò, urlò forte come non mai, portando le
braccia in alto, come a voler raggiungere il cielo.
Solo in seguito mi disse il significato del suo grido, del nome che
aveva urlato al nulla nella sua disperata follia di un minuto..
Torat.
Bulma
Una tremenda fitta alla testa mi destò dal mio dormiveglia,
ed aprii gli occhi a fatica. Notai per prima cosa il ragno che
approfittando del mio svenimento mi era salito sulla spalla, e lo
scacciai con un gridolino di ribrezzo. Vegeta era ancora svenuto,
disteso sulla freddo e lurido pavimento di pietra accanto a me, l'ombra
del dolore subìto ancora impressa nel volto pallido. Crilin
e gli altri stavano iniziando a riacquistare i sensi, come me, ma
ognuno di noi era ancora troppo debole per cercare una via d'uscita.
Non ricordavo quasi nulla di ciò che era successo dopo
l'impatto con quell'enorme sfera luminosa, solo tenui barlumi, ricordi
troppo sfocati per essere ricostruiti in pochi attimi.
Urla, dolore, i corpi di Vegeta, Piccolo e Sherin scossi dalle
convulsioni, i loro volti impalliditi, invecchiati...
Sfigurati...
Guidata da una prorompente fitta di terrore mi avvicinai incerta alla
figura che riconobbi come appartenente a Sherin, illuminata appena
dalla tenue fiamma apparsa nell'incavo delle sue mani tremanti.
-Sherin, stai bene?
-Bulma, sei tu?
Una voce familiare scaturì dall'oscurità,
facendomi sobbalzare. Piccolo apparve improvvisamente accanto a me,
richiamato dal suono della mia voce. Trasalii per la seconda volta
nell'incrociare i suoi occhi, segnati da rughe appena accennate, ma mai
viste prima. Un Piccolo più vecchio si sedette accanto alla
mia cara amica, adagiandole un mantello logoro sulle spalle tremanti.
-Che cos'è accaduto al tuo viso? Vegeta sta bene, Sherin
sembra scossa ma illesa...- domandai, senza nascondere il tremito che
si era insinuato, codardo, nella mia voce.
Piccolo sorrise amaramente.
-Sherin ha un potere simile a quello di Dende, ovvero la guarigione
delle ferite altrui, ma il suo purtroppo non è altrettanto
sviluppato. Vegeta aveva una brutta emorragia nasale, e curarla non
è stato un problema per lei, ma....- si fermò per
accarezzarle le guance magre -Non ha potuto fare molto per
sé stessa, una volta esaurita quasi tutta la sua energia.
Con il briciolo di magia rimastale ha fatto sparire quasi tutte le
rughe che la magia maligna della sfera aveva formato sul mio
volto...Vorrei che non l'avesse fatto...
Trattenni il respiro, senza sapere davvero il perché di quel
mio gesto.
-Perché, Piccolo? Cos'è successo?
Piccolo prese delicatamente il mento di Sherin tra le dita, e le
alzò il viso, lasciando che la debole luce della fiamma
ancora viva e bruciante lo illuminasse appieno.
Il mio acuto spezzò i sussurri dei miei compagni, i quali si
voltarono spaventati verso di noi.
-Sherin...oddio, Sherin.....
La mia vecchia amica tentò di sorridere, ma tutto
ciò che le sue labbra riuscirono a trasmettere fu solo una
smorfia di dolore, di vero dolore. Il suo viso era percorso quasi
completamente da tagli rossi di sangue, netti e precisi come
sciabolate. Uno di essi le era stato inferto sull'occhio destro e
potevo scorgere la sanguinante linea scarlatta partire dal sopracciglio
sinistro per poi attraversarle spietata tutta la palpebra, sino allo
zigomo.
Fu Piccolo a parlare per lei.
-Se avessi saputo che la magia che avrebbe usato per guarire me non le
sarebbe poi bastata per sé stessa, mi sarei rifiutato,
glielo avrei impedito....
-Ma perché solo voi tre?- all'improvviso desiderai con tutta
me stessa essere al suo posto, essere sfigurata dalle stesse terribili
ferite, per poterle risparmiare quell'umiliazione.
-Non devi pensare cose simili, Bulma...
Sherin aveva letto nei miei pensieri, ed ora potevo udire la sua voce,
un tempo roca e vibrante, attraversare il pesante silenzio con flebili
parole.
-Forse saprò risponderti, se Piccolo sopporterà
per qualche minuto di non essere il cervellone della situazione...-gli
rivolse un sorriso leggermente ironico -Credo, e spero di non
sbagliarmi, che la sfera sia stata progettata per annientare ogni
elemento potenzialmente pericoloso, ma che non sia stata progettata per
riconoscerli in base all'aura...La mente che l'ha ideata deve avere una
visione distorta della realtà, se pensa che i più
pericolosi siano solamente quelli che hanno una parte oscura nel loro
cuore...
S'interruppe, respirando affannosamente. Nella fredda aria della nostra
insolita prigione il suo alito caldo si condensò in piccole
nuvolette candide.
-Questo non è possibile.- Gohan ci raggiunse, scuotendo la
testa -Passi per Vegeta e Piccolo, entrambi con un passato violento
alle spalle, ma tu no, Sherin. Sei tra le migliori persone che io
conosca, come sarebbe concepibile una parte malvagia in te?
-.....rancore...Un profondo rancore nei confronti di colei che mi ha
dato la vita è un sentimento di odio che nessuna figlia
dovrà mai provare verso la propria madre...e che non
dovrebbe mai tramutarsi in odio sin dalla più tenera
età....E' questa la mia parte oscura, Gohan....
Ricordi ancora il nostro
primo incontro?
Io si. Lo rivivo ogni
notte nei miei sogni, appena dopo essere scivolato nel sonno
più profondo. E' la mia medicina, ciò che mi
solleva dalle preoccupazioni, dai timori, l'unico placebo contro le
tempeste del mio animo.
Rivivo ogni attimo, dal
primo all'ultimo: il profumo dei fiori che aleggiava pigramente
nell'aria, il vento fresco che sferzava i nostri volti dalle
espressioni di ghiaccio. Forse tu non te ne rendesti conto, ma sin dal
primo istante mi ammaliasti con la tua aura singolare,con i tuoi occhi
di un grigio quasi bianco. Non era amore, no, ma puro e semplice
incanto. Ora posso rispondere, amica mia, alla domanda che ancora oggi
mi rivolgi con un sorriso beffardo.
Non ti attaccai per un
semplice motivo: ti sentivo così simile a me, che colpirti
sarebbe stato come colpire un fratello...Un fratello gemello.
Tanananaaa! Quattordici
capitoli!!!
Un po' di ringraziamenti
credo siano doverosi (ma certo che li faccio, ormai è una
routine! :) )
Aloysia Piton:
cara, eccomi XD Questa volta credo di essere stata anche troppo veloce,
forse non ho mantenuto abbastanza la suspence, ma poi, ascoltando
canzoni rock e metal il capitolo si è quasi scritto da solo!
Buona lettura :)
lirinuccia:
erh, per lo schizzo, porta pazienza, perché la perfezionista
che è in me ha accettato la sfida XD Buon divertimento, e
grazie per i tuoi commenti appassionati! Mi batti Aloysia XD
Molkira: TU mi
fai davvero disperare, lo sai? u.u Su, leggiti tutti i capitoli che ti
mancano e non rompere XD
Un bacione anche ai
lettori sconosciuti, che senza lasciare una traccia magari apprezzano
questa storia! Non è vero? Beh, in fondo non posso saperlo :)
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Capitolo 15 *** Into a new danger 2 ***
Kaim
Faccio sempre lo stesso
sogno da più di vent'anni ormai, amica mia...le stesse
immagini si ripercorrono ostinate nella mia mente già fin
troppo affollata di ricordi e rimpianti....
Ricordo la tua sciocca
risata risuonare nel vento nell'ascoltare questo mio sogno infantile,
rapida e cristallina come la luce che, di tanto in tanto, balena ancora
nei tuoi occhi grigi.
Ridevi. Ridevi della mia
assurda ostinazione nel sostenerti di averti già vista, di
aver respirato con te nel breve tempo dei miei sogni, appartenenti
oramai all'innocenza dell'infanzia.
Nelle notti agitate da
incubi popolati da creature tanto terribili quanto inesistenti, il mio
inconscio cercava disperatamente quel sogno, amata ancora di pace.
Ancora oggi, questo
sogno è immutato. Seduti l'uno davanti all'altra, su un
prato di un verde dalla bellezza indescrivibile costellato dai fiori
più belli mai visti, teniamo le mani strette in quelle in
dell'altro, ma non parliamo... Tu mi sorridi, sollevando appena gli
angoli delle labbra, e così pure sorridono i tuoi occhi,
vivi ed irrequieti come quelli di un felino. Vorrei parlare, lo
desidero con tutto me stesso, ma mai le mie labbra furono capaci di
produrre alcun suono. Rimaniamo dunque in silenzio, e l'unico suono
percettibile nell'aria fresca è il dolce stridere dei
grilli, singolare colonna sonora di quegli attimi indimenticabili.
Il tuo sguardo si posa
su un fiore più bello di tutti i suoi compagni, azzurro come
le sottili venature dei tuoi occhi, delicato come i nostri respiri,
fresco in tutta la sua nuova vita. Intrecci il suo gambo sottile tra i
miei capelli, da sempre neri come le piume del corvo, fino a formare
una lunga treccia scura.
-Ecco- sussurri- ora
sembri uno di quegli elfi delle vecchie storie.
Alzo appena le spalle,
invitandoti a proseguire.
Stringesti la mia mano
sinistra tra le tue, più bianche ed affusolate, e la
portasti all'altezza del cuore.
-Devi promettermi una
cosa, Kaim. Promettimi che resteremo sempre assieme e che nessuno ci
dividerà mai, che supereremo qualsiasi difficoltà
lottando assieme, comunque vada...
Mentre la tua preghiera
saliva verso il cielo una scintilla rossa brillò sopra le
nostre mani unite, ed un nastro sottile, rosso come solo il sangue
può essere, legò le nostre piccole dita.
-Il filo rosso del
destino.- esclami, ridendo gioiosa.
Ecco....in quel momento
avrei potuto morire felice, tanto era grande la felicità che
mi sopraffò. Essere lì con te, in quel
meraviglioso luogo senza tempo, era la cosa più bella che un
bambino avrebbe potuto desiderare perché si, eravamo
bambini...E fu con la voce di un bimbo che pronunciai quelle poche
parole, quasi troppo flebili per essere udite da te.
-...comunque vada...
Yumi
Una cosa sola, una sola
anima in due corpi differenti.
Ricordi? Me lo dicesti
in un giorno di pioggia, avvolto nella mia stessa coperta, il viso
illuminato dal tuo meraviglioso sorriso.
Alzasti il capo con un
sospiro, guardando il cielo piovoso attraversato da rapidi lampi
lucenti, ed iniziasti a parlare...
-Che cosa pensi?
Io non ti risposi
subito. Affondai il viso nella morbida superficie della coperta e
chiusi gli occhi, sperando che il mio silenzio parlasse al posto mio.
Il silenzio non
è mai bastato ad accontentarti...Consideravi l'assenza di
parole un vuoto dell'anima, vuoto che ti preoccupavi di colmare con i
tuoi gesti carichi d'amore.
Eppure non risposi. Non
risposi alla tua domanda, anche se ero pienamente consapevole che
ciò ti avrebbe ferito.
Non risposi,
perché parlarne sarebbe stato troppo difficile.
Come sarebbe bello
poterti rispondere adesso, lontana da tutti quei fantasmi, da tutte
quelle chimere...Come avrei potuto dire, fratello, che in quell'istante
eri tu l'unico pensiero che avvolgeva il mio cuore? Come avrei potuto
spiegarti il peso che avevo nel cuore, la forza che pian piano stava
crescendo in me, alimentata dalla tua presenza, dal tuo starmi vicino?
Come avrei potuto, sapendo che il tuo cuore non sarebbe mai stato
veramente mio?
Ti voltasti verso di me
mi guardasti, gli occhi socchiusi, la bocca distesa in un sorriso
dolce. In quel momento avrei potuto urlare con tutto il fiato che avevo
in corpo quanto fosse grande ciò che provavo per te, e
quanto mi costasse non poterlo esprimere.
-Io non sto pensando a
niente.
-Davvero?
-Davvero. Mi succede
sempre, quando sono davvero sereno...e questo accade solo quando sono
con te o con i nostri genitori...Quando siamo assieme riesco a
dimenticare tutto: la sofferenza, la lontananza, la prigionia. Tutto
questo diventa lontano, e quasi vorrei cancellare il passato...
Lasciai che la coperta
scivolasse via da sopra le mie spalle, e la posai sopra le sue,
più ampie e forti delle mie.
-Se tutto questo non
sarebbe successo, forse non avremmo mai sofferto così tanto:
la mamma non avrebbe il viso coperto da quelle vecchie cicatrici,
papà non si abbandonerebbe più in lunghi
silenzi..e noi saremmo cresciuti come due normali gemelli...
Tu mi prendesti il volto
tra le mani, dolcemente, senza mai distogliere i tuoi occhi dai miei.
-Qualunque cosa sarebbe
successa, io e te non saremmo mai stati normali. Siamo diversi da tutti
gli altri...Siamo una cosa sola, una sola anima in due corpi
differenti. Non dimenticarlo mai, nemmeno quando saremo divisi...
Il generale Wood si accarezzò pensoso le tempie segnate da
antiche cicatrici, i sottili occhi chiusi. Il Dottor Poison aveva
insistito per lanciare sui ribelli la sfera di luce, ideata anni
addietro dallo scienziato della Corporation, ma adesso la prospettiva
che le due future cavie potessero trovarsi in pericolo di vita lo aveva
reso dubbioso sulla validità di quell'ordine. Aveva promesso
allo scienziato di fornirgli il namecciano e la meticcia vivi, e quel
pazzo scatenato non prendeva bene le cattive notizie....
Se solo non fosse così caro al Dottor Poison non avrebbe
esitato un secondo nell'ucciderlo, nel forargli il cranio con un solo,
unico colpo di pistola....ma no, Wood, lo sai che il Dottor Poison va
matto per gli scienziati, porta pazienza, prima o poi si
stancherà anche di questo...
Parole vuote, dette unicamente per ingraziarsi un suo cenno di assenso,
dettate solo dall'ipocrisia regnante da anni in quella
società segreta, dominata da una sola cosa, il dio denaro.
Rovesciò la tazza di caffè posata sul tavolo con
uno scatto rabbioso del braccio, lanciandola verso il messaggero
tremante apparso sulla soglia.
-Generale...-borbottò, ignorando l'insopportabile bruciore
della bevanda aromatica -i prigionieri si sono ripresi.
-Perfetto. Ciò significa che lo scienziato
riceverà una bella notizia- disse, e nella sua voce non vi
era alcuna traccia di soddisfazione.
Diffidava di quell'uomo, esempio perfetto dell'individuo assetato di
conoscenza e gloria a tal punto da tentare di valicare i confini
imposti dalla natura stessa in nome della sua unica fede, la scienza.
Pazzo, pazzo e megalomane più di ogni altro scienziato mai
reclutato nella Poison Corporation, pensò Wood, azionando il
microfono posto al lato della scrivania in mogano.
-Lo scienziato Colfen è convocato nel mio ufficio,
immediatamente.
-Ricevuto.- la segretaria si limitò a premere un piccolo
pulsante verde, collegato al laboratorio principale dove lo scienziato
stava preparando i macchinari necessari al suo prossimo lavoro.
L'attempato ricercatore collegò gli ultimi cavi alla lucida
incubatrice in metallo posizionata ad un lato dell'attrezzatissimo
laboratorio, ed un soddisfacente sibilo provenì dall'interno
del macchinario, segno che ogni chip stava eseguendo alla perfezione il
suo compito. Colfen si appoggiò al muro grigio della stanza
e si accese una sottile sigaretta, assaporandone in silenzio l'aroma
acre.
Entro poco tempo la ragazza sarebbe stata condotta all'interno del
laboratorio, e l'ansia che da due mesi affliggeva il suo spirito
iniziava a quietarsi, cullandolo nell'allettante prospettiva di
studiare il figlio ibrido della meticcia.
Era singolare, pensò traendo una lunga boccata dalla
sigaretta, uno degli esseri più singolari che avesse mai
incontrato, doveva ammetterlo. I suoi occhi si posarono sul suo diario,
abbandonato tra miriadi di documenti e rapporti vecchi di settimane,
dai quali era interamente sommerso. Lo aprì svogliatamente,
iniziando a sfogliare qualche pagina.
Quinto giorno
I prigionieri danno
segni di miglioramento. I tre scelti dalla tecnologia della Sfera hanno
misteriosamente ripreso le forze, ed i loro corpi non presentano alcuna
traccia delle violenze subite....o almeno, solo due di loro. La donna
ha il viso ed il corpo ricoperti di tagli profondi, che in questi
giorni si sono appena rimarginati, segno di una guarigione troppo
lenta. Tutto ciò mi amareggia profondamente...la donna non
avrebbe dovuto riportare tali ferite,è necessario che la
gravidanza si compia nel migliore dei modi o tutto il mio lavoro
sarà gettato al vento. Ho tentato più volte di
prelevarla dalla cella per curarla, ma i suoi compagni hanno reso
l'operazione estremamente difficile, allontanandola dai miei uomini con
ogni mezzo possibile: morsi, calci, pugni...Barbari, esseri privi di
autocontrollo....
Il namecciano
è colui che più di tutti ha attirato su di
sé la mia antipatia. L'unica volta che entrai nella loro
cella, munito delle migliori intenzioni, intenzionato a curare la loro
compagna...eppure, quel selvaggio si è gettato su di me,
ringhiando come un animale, scaraventandomi a terra. La meticcia
è accorsa verso di lui, urlando sconnesse frasi nella lingua
degli indigeni di questo pianeta, probabilmente chiedendogli di
allontanarsi di me.
Non credevo che la
giovane conoscesse la lingua namecciana e così, una volta
stuzzicata la mia curiosità, ho studiato il suo dossier,
purtroppo abbastanza limitato. Nel corso delle visite alle quali la
meticcia è stata sottoposta nel corso di questi due mesi, i
medici hanno individuato una cicatrice situata sul fondo della sua
schiena, e la conclusione tratta è stata unanime: una Sayan,
senza dubbi. Io di dubbi ne ho ancora, molti. Nonostante avesse la coda
ed i suoi capelli siano perfettamente corrispondenti agli standard
Sayan, la lunghezza di orecchie e canini è assolutamente
fuori dalla norma. Entro pochi giorni potrò consultare i
risultati del test del DNA, e a stento riesco a contenere
l'impazienza....
Ottavo giorno
Il test del DNA
è stato chiaro: in lei sono presenti sia geni Sayan che geni
Namecciani...davvero sorprendente....Mai ho avuto l'occasione di
imbattermi in un incrocio di questo tipo e ne sono affascinato:
l'unione dei due geni ha creato un individuo totalmente nuovo,
d'aspetto prevalentemente Sayan ma dai poteri indubbiamente tipici del
popolo namecciano. Comincio a pensare che il figlio possa essere
altrettanto interessante dal punto di vista genetico..e militare. Se le
sue capacità combattive e magiche potrebbero rivelarsi
maggiori rispetto a quelle dei genitori, il nascituro rappresenterebbe
un ottimo diamante grezzo, perfetto ma imperfetto. Un diamante che le
nostre tecnologie sarebbero in grado di plasmare al meglio.
Il conto alla rovescia
si sta man mano esaurendo, così come la mia pazienza. Il
desiderio di assistere alla nascita di una creatura del genere ha
cancellato ogni mia priorità, ogni mio pensiero è
rivolto ad esso, ed ogni ricerca è finalizzata alla scoperta
di nuovi dati sul popolo namecciano.
Il ragazzo
sarà il tassello mancante per il raggiungimento della gloria
scientifica.
Chiuse il quadernetto, non prima di avergli rivolto un'ultima occhiata
indagatrice. I due mesi erano passati, e la puerpera avrebbe potuto
partorire da un momento all'altro, così da distruggere per
sempre il peso che da giorni gli gravava sul petto, il peso che gli
psicologi chiamavano ansia.
Spense velocemente la sigaretta, schiacciandola nel portacenere di
vetro, già pieno di mozziconi vecchi di settimane. Al
Generale non piaceva aspettare...
La porta della cella si aprì di scattò,
illuminando i visi dei suoi prigionieri, pallidi come quelli dei
fantasmi. Sherin, i grandi occhi color pece socchiusi, si
allontanò cauta dall'improvvisa fonte di luce, memore dei
fatti accaduti i giorni precedenti. Lo scienziato dai capelli argentei
era comparso nelle celle della navicella, scortato da una decina di
soldati armati, e aveva espresso la volontà di visitarla.
Senza aspettare che il loro superiore potesse finire la frase, due
scagnozzi erano corsi verso di lei, immobilizzandola in pochi secondi.
Piccolo, sebbene privo di forze, si era scagliato su uno di loro,
trafiggendolo con unghie e denti, resi affilati come lame dalla
disperazione e dalla paura. I suoi compagni lo videro ferire senza
alcuna pietà, come una belva feroce che difende il suo
branco, graffiare e mordere dei soldati che inutilmente tentarono di
abbassare le armi in segno di resa. Lo scienziato afferrò
una delle pistole gettate a terra e la puntò sul namecciano,
il quale non si fece intimorire e fece per colpirlo: il raggio
scarlatto scaturì repentino dalla canna dell'arma,
viaggiando alla velocità della luce attraverso
l'oscurità della stanza, sino a colpirlo sul petto. Vedendo
l'avversario cadere come una bambola di pezza, lo scienziato
gettò indietro la testa in una risata folle e spaventosa,
lasciando che i suoi sottoposti puntassero le loro armi su ogni
prigioniero.
-E' giunta l'ora, mia cara...Sono sicuro che tuo figlio stia
già scalpitando per nascere....
Io adoro le frasi ad
effetto...voi no?
Aloysia Piton: cara, tu
devi scrivere una storia, altrimenti come potrò mai
ricambiare i tuoi dolcissimi commenti? Grazie per tutto il tuo
sostegno!
lirinuccia: tesoro, lo
schizzo sta per arrivare, se la mia e-mail vorrà
collaborare! L'indirizzo mittente sarà un po' diverso, ma
non ti preoccupare: rispondi pure su quello da te sempre usato! Grazie
grazie e ancora grazie per tutto!!
Akuma: mi manchi
tanto...:( facebook non potrà mai sostituire le nostre
chiacchierate su msn...ti voglio bene!
yori: spero che anche
questo capitolo ti piaccia! Lascia anche un commentino se vuoi, mi
farà molto piacere sentire la tua opinione :)
Kyrah: la tua storia
è fantastica!! Non sto scherzando, mi piace davvero tanto!
Il resto puoi leggerlo nel commento :) Grazie per il tuo commento,
è stata una bella novità!
annafrank: grazie per la
tua e-mail! Sono felice che la storia ti piaccia, e spero che anche i
prossimi capitoli siano avvincenti come vuoi tu :)
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Capitolo 16 *** The Greatest Pain ***
Questo capitolo
è stato una sfida, per me.
Ho scritto sulle note
della canzone May It Be di Enya, che vi consiglio vivamente di
ascoltare durante la lettura...creerà la giusta atmosfera.
Probabilmente questo
è uno dei capitoli più tristi che abbia mai
scritto.
Eravamo sedute l'una
accanto all'altra, sorseggiando un'aspra spremuta di pompelmi, la tua
preferita, e discutendo del più e del meno. D'un tratto
avvertii un debole scossone nel ventre e portai rapidamente una mano
sopra di esso, mentre la tua risata accompagnava quel mio gesto da
madre ansiosa.
-E' solo il piccolo che
si muove, non c'è nulla di cui preoccuparsi!- mi dicesti
ridacchiando e accendendo una di quelle tue sigarette sottili e
profumate. Inspirasti a fondo il fumo aromatico per poi soffiarlo via
pochi attimi dopo, disegnando piccoli cerchi argentei con un semplice
movimento delle labbra. Incantata dalla tua stravagante
abilità, toccai a malapena uno di quei cerchi impalpabili,
sperando invano che non si dissolvesse all'istante.
-So di cosa si tratta,
dottoressa- dissi, fingendomi offesa -In fondo, mancano solo pochi
mesi. Ha tutto il diritto di voler nascere...
-Cosa ti piacerebbe,
Sherin? Vorresti un maschio o una femmina?
Sorrisi, appoggiandomi
completamente al morbido schienale del divano ceruleo.
-Non ci ho mai pensato
davvero...Amerei allo stesso modo un figlio od una figlia, senza fare
distinzioni tra i due sessi....anche se mi piacerebbe molto avere un
maschio. Mi sono sempre trovata a mio agio con i miei compagni uomini,
più che con le ragazze. Ad essere sincera, tu sei l'unica
eccezione a ciò che ho appena detto
Rimanemmo in silenzio,
l'unico rumore provocato dal ticchettio della lieve pioggia primaverile
contro il lucido vetro delle finestre. Desiderai aprirle per poter
inspirare a fondo il profumo unico delle giornate piovose di primavera,
un aroma dolce e malinconico che più di ogni altra cosa
riusciva a calmare le mie inquietudini.
-Senti, Bulma...il parto
è davvero così doloroso come molti dicono?
-No, o almeno per me non
è stato così...Certo, del dolore c'è
sempre e tutte lo provano, ma è sopportabile se paragonato
alla gioia di dare la vita ad un essere umano. E poi, diavolo, tu hai
affrontato demoni come Cell e Freezer- senza contare il combattimento
contro tua madre- il parto non sarà che una passeggiata!
Annuii, sebbene il
timore fosse ancora vivo in me....forse, se questa conversazione fosse
avvenuta ora, col senno di poi ti avrei bruscamente interrotta con
parole secche ed amare, dicendoti che no, per me il parto non fu
affatto una passeggiata....
Una lacrima solitaria scese lungo le guance di Bulma, scivolando
leggera sulla sua pelle bianca per poi arrestare il suo cammino sulla
superficie candida della mascherina di carta assicurata sopra la bocca,
contratta in una smorfia di dolore. Iniettò il contenuto
alabastrino della siringa nel braccio tonico della donna legata al
freddo tavolo del laboratorio, provvisoriamente sgomberato da ogni
strumento scientifico. Gli occhi della paziente si offuscarono, le
gambe cessarono di contrarsi, ed il capo cadde all'indietro, avvolto da
disordinati capelli neri.
Il respiro di Sherin si fece regolare, ma il suo urlo mentale
attraversò ogni mente presente nella stanza, perforandola
con tutta la sua intensità e la sua rabbia, provocando la
perdita di sensi di parecchi infermieri.
Reso folle dall'eccitazione, Colfen liberò il volto dalla
mascherina e si lanciò sulla puerpera, afferrandole un
braccio.
-Quanto ancora dovrò aspettare?- urlò,
rivolgendosi ad uno dei medici -Quanto tempo mi separa dalle mie creature?
-Poco, signore. Non dovrebbe mancare molto...
Le labbra sottili di Sherin si dischiusero in un urlo terrificante,
simile soltanto al lamento di una Banshee, e gli occhi di
tenebra, una volta illuminati da una luce solare e viva, parvero quasi
privi di vita. Il corpo della Sayan si contrasse per l'ennesima volta
il parto stava per giungere al suo termine.
Le gambe di Bulma cedettero e la giovane si accasciò a
terra, piangendo sommessamente. La speranza sembrava appartenere ad
un'epoca lontana, così come i giorni sereni in
realtà avvenuti solo pochi mesi prima....volse lo sguardo al
corpo dell'amica, avvolto dall'aura dorata, tempestivamente intervenuta
ad infondere l'energia necessaria per compiere gli ultimi, vitali
sforzi. Un infermiere le posò una mano sulla spalla, come a
voler condividere la sua angoscia.
-Andrà tutto bene, vero? La lascerete andare?-
sussurrò, la voce spezzata dai singhiozzi.
-Si...andrà tutto per il meglio...
Un lampo argenteo balenò sul petto della ragazza, troppo
rapidamente perché lei potesse accorgersene, ed i suoi occhi
cominciavano già ad offuscarsi quando videro il sangue
scorrere sul vestito lacerato, tingendolo di rosso porpora.
Sherin si voltò appena in tempo perché l'amica
potesse udirla gridare il suo nome, per scorgere solo una parte di
tutta la disperazione e di tutto l'amore che la Sayan riuscì
a concentrare in un solo, ultimo sguardo.
La vita di Bulma, da sempre animata dal sorriso, dall'allegria e da un
meravigliosa, incontenibile voglia di vivere, si spense in silenzio
accompagnata soltanto dall'amore di una amica, senza nessuno che la
tenesse per mano. L'urlo di Sherin cessò, sostituito da un
silenzio pesante come rocce millenarie. Chiuse lentamente gli occhi,
inclinando all'indietro la testa bruna, ed iniziò a
sussurrare parole simili a quelle recitate mesi prima, inginocchiata
sulla riva del mare. Erano parole animate dalla stessa vibrante
intensità che solo un canto riesce a dare, ed il loro suono
si diffuse nella stanza con la delicatezza di una brezza estiva.
Molti credono ancora che
stesse solo cantando...la sua non era che una preghiera del popolo
namecciano, pronunciata lottando contro la furia e la disperazione.
Volle dare il suo addio a Bulma con il cuore libero da ogni rancore per
poter cullare degnamente la sua anima innocente.
La voce di Sherin fu presto rotta dal pianto, e la donna si
accasciò sul freddo tavolo gemendo frasi sconnesse. Un
medico si avvicinò lentamente, camminando quasi un punta di
piedi, e controllò la dilatazione: il primo bambino stava
per nascere.
L'ennesimo urlo della Sayan precedette di pochi istanti la comparsa di
una piccola testa, accolta da urli di gioia e ruggiti di vittoria.
Colfen batté un pugno sul tavolo, in preda ad una frenesia
incontrollabile.
-Privatela della vista immediatamente. Non voglio correre alcun rischio.
Sherin si morse un labbro, sforzandosi di controllare le lacrime che,
ostinate, continuavano a rigarle il viso percorso da cicatrici.
-....possa tu bruciare nelle fiamme più roventi, umano...
Ebbe appena il tempo di pronunciare la sua maledizione che il buio
calò sul mondo, avvolgendola nelle tenebre.
Ogni contrazione era
come una pugnalata nel ventre, il dolore fisico giunto ormai al termine
fu sostituito da una sofferenza più profonda, più
dolorosa di qualunque ferita...
Bulma era morta davanti
ai miei occhi, senza pronunciare una sola parola, ma prima che i suoi
occhi si spegnessero per sempre era riuscita a donarmi un ultimo
sorriso di speranza, debole luce nelle tenebre che ci avevano avvolti.
-Gettate l'altro nel mare....non ci è di alcuna
utilità....
Il dolore per la tua
perdita mi avvolse con le sue terribili spire, soffocando la mia anima
già troppo lacerata, e per un momento il mio cuore
cessò di battere.
Desiderai con tutta me
stessa che il suo battito non tornasse più per potermi
perdere nelle tenebre con te e tenerti per mano ancora una volta, per
percorrere assieme il cammino che dal principio terrorizza e affascina
l'uomo...
-Riportatela nella cella e poi uccidete i prigionieri. Il Generale non
vuole alcun testimone.
Due soldati fecero scattare le serrature che stringevano i polsi della
donna e la presero goffamente tra le braccia, ignorando l'esclamazione
stizzita del loro superiore. Con passi lenti e incerti si diressero
verso le celle, soffocando a malincuore la pietà che i loro
cuori provarono. Chiusero le loro coscienze alla domanda che,
inesorabile, sfiorò le loro anime con le sue dita innocenti.
Perché?
Spero che il capitolo vi
abbia commossi, o che almeno vi sia piaciuto nonostante la sua breve
lunghezza. Di solito ne scrivo di più lunghi...
Sono triste :(
E' la prima volta che mi commuovo per una mia storia, ed è
una sensazione davvero strana...
lirinuccia: ecco qua il
sedicesimo capitolo. Avrei voluto pubblicare anche un'illustrazione, ma
nessun disegno riusciva ad emanare la stessa vibrazione che la stesura
di questo capitolo è riuscita a darmi...Buona lettura cara,
aspetto uno dei tuoi meravigliosi commenti...<3
Aloysia Piton: ed ecco il
capitolo più triste che abbia mai scritto finora...Continua
a seguirmi con il tuo entusiasmo e la tua simpatia, i tuoi commenti
sanno risollevarmi lo spirito :)
yori: Eccoci qua....Un
capitolo non facile ma (almeno spero con tutta me stessa) non banale,
anche se la morte non è mai banale. Grazie mille per avermi
seguita finora.
Kyrah: tanta, tanta buona
fortuna per il tuo esame..anche io ero molto nervosa, ma alla fine la
regola d'oro è sempre la stessa, studiare. Se studierai
bene, l'esame sarà quasi piacevole :) Bacio.
annafrank: ciao Sara, e
ciao anche alla tua figlioletta che si chiama come me! Spero che questo
capitolo ti piaccia, vi ho riversato tutta me stessa.
|
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Capitolo 17 *** Running to an end and a beginning ***
Resa cieca dal veleno iniettatole dallo scienziato, ormai reso folle
dal suo stesso desiderio di conoscenza, Sherin si affidò
alle forti mani dei soldati, troppo sconvolta per reagire. Fra poco
finirà tutto, pensò in un attimo di
lucidità, perché combattere una battaglia persa
in partenza?
Il cupo sferragliare di un arrugginito mazzo di chiavi
annunciò il loro arrivo alla cella. Il respiro della giovane
donna si fece più rapido, così come i battiti del
suo cuore: entro pochi attimi Vegeta le sarebbe corso incontro,
trattenendo a malapena la furia crescente, chiedendole cosa ne fosse
stato di Bulma...con che cuore avrebbe potuto riferirgli della sua
morte? Si morse le labbra, frenando il lamento di dolore che, dal
cuore, aveva tentato di raggiungere la sua bocca sottile.
-Per tutti i diavoli dell'inferno.....
Desiderando come l'aria di poter vedere ancora, Sherin
concentrò tutta la sua attenzione sul rumore ritmico del
cuore della guardia che aveva esclamato quelle parole. I battiti erano
aumentati improvvisamente, ed il loro sordo, ritmato suono
risuonò forte e chiaro nelle sue sensibili orecchie,
rivelandole la paura insediatasi, maligna, nelle loro anime. La paura
è il peggior nemico di un guerriero, pensò...
Ed un guerriero
spaventato non è che un fantoccio....
La cicatrice che da anni segnava l'estremità della sua
schiena formicolò, animata da infinite scariche
cerulee che vi penetrarono in profondità, sino a raggiungere
il muscolo che, anni prima, muoveva una lunga coda bruna. Nel silenzio
carico di timore la coda della ragazza rinacque, centimetro dopo
centimetro, sino a raggiungere la sua vecchia lunghezza. La Sayan
agitò soddisfatta la nuova coda in cerca del collo delle
guardie le quali, immerse in un dibattito timoroso quanto privo di
senso, non si accorsero del lampo scuro che sfrecciò verso
di loro.
Sherin attaccò per prima il soldato più giovane,
colpendolo fulminea alla nuca: il ragazzo crollò a terra
privo di coscienza, un segno rosso accanto all'attaccatura dei capelli.
Urlando, il compagno lo prese tra le braccia e cominciò a
scuoterlo, gridandogli di aprire gli occhi, di rispondergli.
-Si riprenderà fra poche ore...ho dovuto colpirlo...
Il soldato imbracciò il fucile scarlatto che portava
agganciato alla cintura di pelle, e glielo puntò all'altezza
del cuore. Sherin percepì il sordo rumore della sicura
sganciata e arretrò di qualche passo, tentando un
sorriso conciliatore.
-Hai colpito mio figlio, maledetta! Con che cuore hai potuto ferirlo?-
urlò l'uomo, rafforzando la stretta sul calcio del fucile.
Il sorriso appena accennato si gelò sulla labbra della
Sayan, la quale chinò impercettibilmente il capo. La voce di
suo padre risuonò nella sua mente, sicura e modulata come la
ricordava.
Non ne vale la pena,
è solo una pedina.
Non ne vale la pena, ripeté a sé stessa, non ne
vale la pena....
“Con che
cuore...mio figlio...”
Il dolore la trafisse come un dardo avvelenato, trapassandole l'anima
con i suoi compagni di sventura: rabbia, frustrazione, rimpianto....ed
il debole umano che imprecava e tremava in ginocchio d'innanzi a lei
non le parve che un ostacolo, nulla più di un oggetto da
spazzare via.
-Se avessi avuto ancora un cuore, non l'avrei mai fatto....
Intanto, poco lontano dalla navicella e dagli orrori in essa avvenuti,
la rivolta infuriava, aumentando d'intensità come un
incendio quando, propagandosi inesorabile in un folto bosco, distrugge
tutto ciò che incontra sul suo cammino. Il fuoco che quel
giorno si sparse per Namecc bruciava nei cuori dei suoi abitanti,
animava la loro lotta con la sua forza incandescente, spingendoli
spesso verso una morte certa, pur di liberare il loro pianeta.
Guerrieri allenati da anni di duro lavoro, ragazzi che non avevano mai
combattuto, e persino qualche anziano...si lanciarono contro al nemico
urlando la loro vendetta in faccia alla morte e al pericolo, incuranti
della pioggia di laser che lacerava i loro corpi. Piccolo volava alla
testa di un gruppo di guerrieri feriti ma ancora vogliosi di
combattere, guidandoli contro una truppa isolata dal resto
dell'esercito. Le menti sviluppate del popolo namecciano avevano
dedotto rapidamente quale fosse il modo migliore per sopprimere quel
nemico organizzato sin nel midollo: attaccare gli isolati, e rendere
tale chi ancora non lo fosse, spingendolo con l'astuzia lontano dal
gruppo. La poco nutrita truppa scelta ebbe appena il tempo di vedere
sette namecciani scagliarsi alla velocità della luce verso
di loro, travolgendo la maggior parte dei compagni che,
sfortunatamente, avevano incrociato i loro occhi.
Noi namecciani siamo una
razza pacifica, su questo non vi è alcun dubbio...
Se non siamo minacciati,
sappiamo essere tra gli esseri viventi più ospitali del
pianeta, desiderosi di vivere tranquillamente la propria vita in
armonia con la natura del nostro pianeta. Questa, per anni, fu la mia
filosofia di vita, l'unica che abbia mai avuto. Purtroppo, tutte le
promesse giurate nell'arco di un'infanzia cadenzata dalla
felicità e del gioco furono distrutte dalla rabbia di
un'ora, dall'irrefrenabile voglia di spaccare tutto, di sentirsi vivo.
La mia seconda natura
riuscì finalmente a prendere il sopravvento....
Sherin uscì dall'imponente navicella della P. Corporation
con passi incerti, non ancora abituata al fatto di essere cieca.
Attorno a lei vi era circa un centinaio di auree, troppe per poter
individuare in pochi secondi quelle dei suoi compagni...
La debole anima di un soldato terrorizzato le passo accanto,
sfiorandole una spalla: la fievole aura di quel corpo
solleticò la sua, sfiorandola con il suo caldo, desiderabile
soffio vitale. Sherin esitò solo un istante, la sua mente
lavorò frenetica tentando di distoglierla da ciò
che il suo istinto stava urlando. Con una voce orrendamente simile a
quella di sua madre.
Ruba la loro energia,
sino all'ultima goccia.
La Sayan si afferrò un polso e strinse con tutta la sua
forza, sperando invano che il dolore fisico distogliesse la sua mente
da quel pensiero. Improvvisamente, la donna notò qualcosa
che prima le era sfuggito: l'aura di Vegeta aveva raggiunto proporzioni
impensabili, tali da poter superare la potenza di Goku...Il dolore
attanagliò nuovamente il suo cuore mentre il suo cervello
realizzò quale fosse il perché di quell'aura, il
vero motivo della nuova forza del compagno....
Da sempre Vegeta aveva avuto attacchi d'ira, specialmente durante
combattimenti particolarmente duri, o quando una persona a lui cara si
trovava in pericolo. Sherin chiuse gli occhi, sebbene questi ultimi non
potessero comunque vedere l'odiosa realtà: Vegeta aveva
percepito l'improvvisa fine della forza vitale di Bulma, e il dolore
per la morte dell'amata moglie doveva essere stato insopportabile. La
potenza del Sayan non era alimentata che dalla sofferenza e dalla
vendetta, creando così una furia omicida alla quale in pochi
sarebbero potuti scampare...
Sherin iniziò a correre alla cieca, urtando innumerevoli
soldati in fuga verso la navicella, soldati ai quali rubava
repentinamente ingenti quantità di forza vitale, per poi
lasciarseli alle spalle privi di coscienza. Quello, decise, non era il
giorno da dedicare agli scrupoli....
L'ultima cosa che ero in
grado di ricordare era il suo viso, orribilmente sfigurato dalle ferite
non curate ormai andate in suppurazione e dal dolore delle contrazioni
che, minuto dopo minuto, avvicinavano suo figlio alla vita.
Le mie gambe diventavano
sempre più instabili, mentre la paura, subdola ed
incontrollabile come non mai, aveva preso il sopravvento sulla mia
razionalità....Priva della sua alleata di sempre, la mia
mente iniziò a girare in tondo come una trottola impazzita,
cercando disperatamente una via d'uscita che avesse il potere di
aiutarci, di spezzare quell'orribile realtà....
Nello stesso momento in
cui il mio cervello comprese che ogni possibilità di fuggire
via con lei era impossibile, il mio corpo scelse di abbandonarsi alle
emozioni, e mi lasciai cadere a terra.
Quanto, quanto desiderai
di poter essere una donna più forte, di riuscire a dominare
il pianto d'innanzi alla tua situazione disperata, durante la quale
cercasti in ogni modo di andare avanti, di non arrenderti.
Andare avanti, sempre e
comunque...Era questo ciò che usavi ripetere nei frequenti
momenti di crisi, quando la luce sembrava aver ceduto il posto alle
tenebre. Fu quella la frase che ripetei a me stessa mentre, con il
cuore in gola, affrontavo l'accecante luce bianca che aveva avvolto il
mondo con la velocità di un'inondazione. Fino a quel momento
il pensiero della morte non mi aveva mai sfiorata: i giorni si
susseguivano trasportati dalla felicità e dalla
tranquillità che per ani avevano caratterizzato la mia vita,
nemici folli e pericoli mortali a parte. Se mai la mia mente
si era soffermata su essa, l'angoscia s'insinuava repentina nell'aria,
soffocandomi. Solamente il pensiero di essa era capace di terrorizzarmi
nel profondo, e di popolare il mio sonno di incubi malinconici ed
inquietanti. Invece, non appena la Morte mi prese tra le sue eterne
braccia non ebbi più paura, e mi lasciai abbracciare con la
stessa remissività di un cucciolo indifeso nei confronti del
suo padrone.
Richiamate dall'oblio di
tempi lontani, voci sconosciute giunsero dolcemente alle mie
orecchie, sovrastando le urla della mia migliore amica. Mi parlavano
interrompendosi a vicenda, sussurrandomi frasi sconnesse e cariche di
pace ed io mi lasciai cullare dai loro suoni ovattati, mentre tutto
attorno a me vorticava incessantemente. Pian piano un paesaggio
iniziò a delinearsi all'orizzonte: un ampio cielo rossastro,
una lunga, stretta stradina viola ed un enorme palazzo eretto in mezzo
a soffici nuvole dorate come grano....l'Aldilà si
spalancò sotto i miei occhi stanchi, etereo ed eterno come
lo avevo sempre immaginato.
L'aura di Vegeta brillava come una stella, a stento eguagliata dalle
forze combattive dei suoi compagni. Guidata dall'unica, invisibile luce
che i suoi occhi potevano percepire, Sherin correva attraverso la verde
radura ricoperta da cadaveri e feriti gementi, inciampando talvolta in
qualche vittima....Per l'ennesima volta i piedi della giovane donna
incontrarono un inaspettato ostacolo nel corpo inerme di un namecciano
colpito, e la Sayan cadde a terra urlando di frustrazione, maledicendo
i suoi occhi oramai inutili.
-Venderei la mia anima al diavolo, se ciò potesse ridarmi la
vista!- sbraitò, volgendo il cieco sguardo al cielo,
ricoperto da dense nuvole nere come la morte stessa. Resa folle dal
dolore, sia fisico che spirituale, Sherin esplose in una roca,
insensata risata e prese a battere la dura terra con le nocche
arrossate, strappandone freneticamente i sottili fili smeraldini.
-Avanti, Mefistofele, spalanca il tuo regno ed inghiottimi,
perché la mia esistenza in questo mondo non ha
più alcun senso!
Urlando come un animale ferito, la ragazza si accasciò sopra
il namecciano esanime e lasciò che i suoi capelli corvini lo
accarezzassero così come le sue braccia, abbandonate lungo
il suo petto.
-E tu, fratello, perché non respiri più?
Perché non mi rispondi, non sono forse tua sorella?-
sussurrò al suo orecchio con voce rotta dal pianto -Non
combatti per la tua Namecc, non sei assieme ai tuoi compagni, fratello?
Con dita tremanti cercò il viso del giovane, accarezzando la
fredda pelle di smeraldo, sfiorando le palpebre dei suoi occhi chiusi
dalla spietata mano dell'angelo della morte. Forse, se fosse stato
ancora in vita, avrebbe sorriso con fare sorpreso socchiudendo appena
gli occhi neri, per poi sottrarsi pudicamente al suo timido gesto
d'affetto. Le dita affusolate di Sherin si soffermarono incerte sopra
il suo cuore, graffiando appena il soffice tessuto candido che lo
copriva. Una debole traccia di calore era tuttora percepibile, segno
che solo da poco quel cuore aveva suonato l'ultimo battito....
Sherin sorrise, chiudendo i grandi occhi neri: solo un po' di energia,
che ci sarebbe stato di male...non era forse una buona azione offrire
ciò che ormai non serviva più?
-Vivi, fratello...vivi....
Impetuosa come un fiume che esonda, trapassando i confini dei suoi
stessi argini, l'energia dorata scaturì dalla punta delle
sue dita, infondendosi lungo tutto il corpo del namecciano,
percorrendolo da capo a piedi per poi raggiungere il cuore, ove
penetrò con la forza di un uragano.
Gli occhi del giovane si spalancarono, rivelando due perle candide
prive di colore, e la sua bocca si aprì in un urlo
silenzioso, mentre il suo cuore si contraeva in un timido battito.
Un fuoco invisibile ad occhio mortale s'insinuò nelle mani
bianche della donna, la quale urlando le ritrasse da sopra il corpo del
giovane guerriero, ormai preda delle convulsioni. Le iridi tornarono a
rilucere nei suoi occhi, la voce rauca a risuonare nel
petto...l'energia vitale donatagli dalla Sayan si era ormai insediata
nel suo corpo, rinvigorendolo e riportandolo alla vita, lentamente ed
inesorabilmente. Infine, gemendo appena, il namecciano si sedette a
fatica, e volse lo sguardo al paesaggio che lo circondava, corrugando
ripetutamente l'ampia fronte.
-...Com'è successo?
-E' meglio risparmiare energie e non spenderle in chiacchiere.- Sherin
gli porse una mano, alla quale il namecciano si aggrappò,
fiducioso -Come ti chiami?
-Kaimo.... Ma tu chi sei, e perché ,mi hai donato la tua
energia?
Le folte sopracciglia della donna si mossero appena in un'espressione
di sorpresa, ma la sua voce restò ferma.
-Perché così avevo deciso. Non è la
prima volta che mi capita di perdere la testa...- ammise, distendendo
le labbra in un limpido sorriso -Ora va'...I tuoi compagni saranno in
pena per te...
Lo guardò volare via in silenzio, le mani poggiate
all'altezza della cintura scura, ed in mente un solo pensiero: trovare
Piccolo, ovunque egli fosse.
-Moori, venga qui, presto! C'è qualcosa che deve vedere!
Il nuovo Capo dei saggi corse più veloce che poteva verso
l'anziano fratello che aveva gridato il suo nome, sovrastando a fatica
il terribile frastuono degli spari.
Non ho più
l'età per certe cose, pensò,
imponendo al suo respiro di farsi meno affannoso, così da
poter raggiungere prima il compagno, rannicchiato sulla riva del mare
verdastro.
Il namecciano volse appena il viso verso il Saggio, rivolgendogli un
rapido cenno di circostanza, e si girò versò il
fagotto che teneva delicatamente fra le braccia robuste, cullandolo
ritmicamente.
-Fratello?- domandò Moori, chinandosi verso il fagottino il
quale, improvvisamente, iniziò a piangere.
-L'ho trovato piangente sulla sabbia, trasportato avanti ed indietro
dalla risacca delle onde. Cosa posso fare, signore?
Il Capo dei Saggi sfiorò con cautela la liscia pelle verde
del piccolo, non sapendo trattenere l'istinto protettivo appena
sbocciato in lui, caldo come un fuoco scoppiettante. Erano anni che non
aveva più l'occasione di osservare un bimbo tanto piccolo, e
non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle guance piene, da quegli
occhietti scuri, da quei soffici capelli neri come la notte...
-Dei....capelli? Straordinario...
E così rimasero per un po', seduti sulla sabbia come ragazzi
incuriositi, cullando a turno colui che sarebbe diventato, anni ed anni
più tardi, il loro pupillo....
Finalmente, ecco a voi il
diciassettesimo capitolo! Rullo di tamburi, prego....
Leggendolo, molti
penseranno “beh, ragazzi che allegria!”, oppure
“già che c'era, poteva far morire un altro po' di
persone...”. Io non faccio altro che narrare una storia che
ormai ha vita propria, lettori, e come narratrice devo scrivere anche
di episodi spiacevoli...
lirinuccia: ciao cara!!
Ormai hai perso interesse per questa storia, tesoro :( Mi dispiace
tantissimo, ma la scuola ha assorbito la maggior parte del mio tempo,
ed ho dovuto accantonare per un po' la mia amata storia...Spero tanto
che questo capitolo ti piaccia!
Aloysia Piton: ricorda
che il tuo commento ha il suo posto d'onore nel mio spirito,
perché sei stata una delle prime a sostenere la mia storia e
a seguire le avventure dei suoi personaggi..grazie, grazie ancora
<3
yori: goditi questo
capitolo, spero davvero che sia di tuo gradimento :)
Kyrah: ho letto la tua
storia su Piccolo...è davvero graziosa, mi raccomando,
scrivine altre! Kiss
annafrank: tranquilla,
Piccolo sta bene! Più che altro dovresti
preoccuparti della sua prole, perché ci sono tempi durissimi
in arrivo....
|
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Capitolo 18 *** Un nuovo inizio ***
Eh si, il capitolo
precedente era proprio confuso, ma c'era un motivo :)
Attraverso la scrittura
ho cercato di rendere le sensazioni di incertezza e confusione che
accompagnano i combattimenti improvvisi, dove nemici ed alleati sono
confusi, ed ognuno combatte senza quasi incontrare lo sguardo del
proprio avversario...
Spero che la lettura di
questo capitolo chiarirà i vostri dubbi.
P.s= scusate il terribile
ritardo!!!!!!
-Raccontatemi tutto dal principio, ragazzi. Credo che ognuno in questa
stanza voglia sapere come siano andate le cose sul pianeta Namecc.- il
dottor Briefs accese l'ennesima sigaretta, imitato poco dopo dalla
figlia – Ci sono alcune cose che non mi sono del tutto
chiare. Come accidenti siete riusciti a sconfiggere la P. Corporation,
una delle più forti società segrete paramilitari
di questo pianeta?
La domanda del professore rimase sospesa nel pesante silenzio regnante
nella stanza, rotto solamente dal rumore dei loro respiri. Vegeta
corrugò appena le sopracciglia ed iniziò a
parlare: -Ammetto che non è stato facile...
-Non è stato facile?! Abbiamo rischiato di lasciarci le
penne contro quei pazzoidi e tu ammetti che la cosa non sia stata
facile?!
Crilin gettò a terra il rotolo di bende con cui stava
fasciandosi la mano, attraversata da una grave escoriazione, e
scoccò uno guardo di fuoco al Sayan.
-Crilin, calmati ti prego. Lascialo parlare....-Gohan
sollevò una mano robusta e distese le labbra in un sorriso
teso, intuendo l'arrivo di una possibile lite.
-Come stavo dicendo, prima che il tappo m'interrompesse, non eravamo
certo in una situazione favorevole. Sherin era ridotta in uno stato
pietoso, Yamcha -stranamente- era al tappeto, così
come Tenshinhan, ed eravamo in forte inferiorità
numerica. Piccolo cercava per lo più di tener lontani
più soldati possibile da Sherin....
-Non era in grado di difendersi con le proprie forze, quindi?-
domandò ingenuamente la madre di Bulma, entrata nella stanza
luminosa con in mano un vassoio di the e pasticcini -Eppure mi
è sempre sembrata una ragazza in gamba!
Bulma si rizzò improvvisamente a sedere e sbuffò
violentemente il fumo verso il basso, scossa da rauchi colpi di tosse.
-Mamma, si può sapere che cosa stai dicendo?! Non ti sei
accorta in che stato è arrivata Sherin? Faticava anche solo
a reggersi in piedi e non è riuscita a spiccicare una sola
parola tale è lo shock che l'ha colpita!
Piccolo chiuse delicatamente una porta alle sue spalle e si
unì al gruppo, negli occhi corvini un'inconfondibile velo di
dolore. Sherin stava bene, disse semplicemente, si era addormentata non
appena l'aveva distesa sul letto, senza nemmeno guardarsi attorno nella
penombra della camera da letto.
-La situazione era più o meno questa, quando il generale
Wood è apparso nel bel mezzo del campo di battaglia. Non ci
siamo immediatamente accorti della sua presenza, essendo circondati da
innumerevoli aure di vari livelli di potenza, e fu Vegeta il primo a
rendersi conto della sua comparsa.- Gohan riprese il discorso del
compagno, volgendo lo sguardo al padre di Bulma -Inutile dire che
nessuno di noi ha avuto particolari riguardi nei suoi confronti...
-Quando si sono resi conto che il loro capo aveva tirato le cuoia, gli
scagnozzi della Poison hanno giocato la carta dell'attacco disperato-
le labbra di Vegeta si tesero nel ghigno di superiorità che
per anni aveva regnato sul suo viso -Avevo dimenticato come possono
essere deboli dei soldati senza più un capo al quale far
riferimento, se il loro addestramento non ha fatto che basarsi
sull'obbedire ad altri e non sviluppare una propria strategia di lotta.
Inoltre, agli occhi dei namecciani la morte del generale ha
rappresentato una nuova speranza, convertita immediatamente in nuova
energia che ha contribuito molto a sconfiggerli, uno dopo l'altro.
La sigaretta ormai spenta fu presto schiacciata sul fondo del
posacenere di vetro dalle mani del dottor Briefs, che
domandò con voce rauca: -Prima di partire Sherin era ancora
in gravidanza, e mancavano poche settimane al parto. Come mai al vostro
ritorno non avevate alcun neonato con voi?
Il silenzio che calò sulla stanza, così denso da
essere opprimente, non fu rotto da alcuna risposta: Bulma si
alzò in silenzio, spense anche lei la sigaretta nel
posacenere ed invitò il padre a seguirla al di fuori della
stanza. Gohan si abbandonò sul morbido divano con un breve
sospiro prima di rivolgersi ai compagni, stremati e desiderosi di
potersi concedere, finalmente, un breve riposo.
-Lo ha portato da Sherin, non è vero? Credete sia stata una
buona idea?- domandò, volgendo lo sguardo alla porta
socchiusa -Probabilmente starà riposando.....
Quando padre e figlia aprirono dolcemente la porta della camera da
letto, Sherin già li attendeva, seduta sulla trapunta tinta
di rosso acceso. Le leggere tende color pesca erano state scostate da
poco, così da lasciar entrare tutta l'intensa luce del sole
pomeridiano, la quale toccava gioiosa ogni oggetto della stanza,
creando tenui giochi di luci ed ombre.
-Non è cambiato davvero nulla dal giorno in cui ho fatto le
valigie per lasciarla una volta per tutte...-sussurrò Sherin
con un sorriso appena accennato -Non che la cosa mi dispiaccia, anzi:
mi fa davvero piacere rivederla così com'è sempre
stata.
Il petto di Bulma si alzò in un improvviso singhiozzo,
smorzato subito dopo dallo stretto abbraccio che unì le due
amiche, tanto diverse eppure così vicine.
-Anche tu sei sempre la stessa...- fu la debole protesta di Bulma, il
viso affondato nella morbida camicia da notte della Sayan
-Dopo tutto quello che abbiamo passato commentare lo stato della tua
vecchia camera come una nostalgica zia!
Sherin rise, rise con quella sua risata tanto adorata quanto a volte
ritenuta insopportabile, una risata roca e rumorosa come quella di un
ragazzo. Rise abbracciata alla sua migliore amica sino a quando il riso
non mutò in singhiozzi, facendola tremare come un cucciolo
ferito.
Bulma esitò nel posarle la mano sopra i capelli scuri,
timorosa che il minimo gesto di conforto potesse ferire il suo antico
orgoglio.
-Se c'è qualcosa che io...che noi possiamo fare, non far
altro che dircelo e noi lo faremo. Ti prometto che farò
qualunque cosa per vederti sorridere ancora una volta.- disse,
stringendola a sé con trasporto.
-Oh Bulma, ti prego....Non ho mai chiesto aiuto a nessuno, nemmeno da
bambina, e non lo farò ora. Sto..sto bene, non
c'è bisogno che tu faccia nulla. E' tutto a posto.
S'interruppe, asciugando i grandi occhi scuri col palmo della mano,
ancora solcato da profonde e scure cicatrici.
-No, non è vero, non è tutto a posto. Posso
combattere e rialzarmi un'ultima volta, ma non tornerà tutto
come prima. Ora come ora non riesco nemmeno a concepire l'idea del
dopo, che prima o poi ci sarà un domani...Li rivoglio,
Bulma, li rivoglio accanto a me!
-Non sai quanto vorrei dirti si, riusciremo a trovarli e li riporteremo
indietro, a casa...Sherin, io non voglio essere la solita bacchettona
realista, credimi, ma nessuno di voi è riuscito a
localizzare l'aura vitale di Kaim, e Yumi sembra essere sparita nel
nulla assieme alla Corporation. Non sarà facile...
-Quando mai mi sono piaciute le cose facili? Quando mai...
Sherin alzò il viso sfregiato nel quale brillava una luce
nuova, una luce più sinistra e determinata che la rese
più che mai simile alla madre. Una somiglianza che fece
scorrere un brivido gelido lungo la schiena della giovane scienziata.
-Kaim forse è morto, ma lei
è ancora viva...lo hai detto anche tu, non è
così? E se lei è viva abbiamo ancora la speranza
di ritrovarla, ovunque si trovi adesso.
-Piccolo....
-Piccolo può fare quello che vuole, per quanto mi riguarda.
Non capisci? Io voglio partire, non importa quanto ci vorrà
o quanto risulterà essere pericoloso, io voglio cercarla.
Finché non sarò troppo stanca per continuare o la
P Corporation mi avrà trovata ed uccisa, io non
perderò la speranza di ritrovarli...Almeno uno di loro,
almeno uno.
Conficcò le unghie nei palmi delle mani, sentendo che nuove
lacrime iniziavano ad inumidirle le guance ferite. Quanto odiava
mostrarsi debole davanti alle persone che amava, quanto....
-Vestiti, non ci vorrà molto a ripescare una delle vecchie
carriole di papà.
Una vecchia tuta arancione fu lanciata distrattamente sul piumone dalle
mani di Bulma, già diretta verso la porta chiusa.
-.....cosa?
-Quello che ho detto. Siccome ritengo che partire per un viaggio nello
spazio senza una meta sia terribilmente stupido ed avventato....oltre
che ammirevole- aggiunse, arrossendo lievemente -ho pensato che cercare
le Sfere del Drago sia un po' più sensato.
-E per quale ragione?
-C'è un solo, semplice modo per scoprire se Kaim
è ancora vivo, e mi meraviglia il fatto di non averci
pensato prima!- il tono della sua voce si fece sempre più
vivo, le parole si susseguirono veloci -Col Radar ed una navicella
abbastanza veloce saremmo in grado di trovare tutte e sette le sfere in
un tempo relativamente breve. Ed una volta che avremo evocato il
drago...
-...potremo chiederli di riportare in vita Kaim...Potrebbe essere
l'ennesima e non ultima volta che te lo dico ma, Bulma, sei un genio!
Gli occhi della giovane donna pian piano cessarono di ardere, mentre la
sua mente organizzava idee e informazioni.
-Quanto tempo ci vorrà?
-Senza soste superflue...- la scienziata si fermò, le labbra
strette attorno ad una sigaretta costosa -all'incirca tre mesi.
La bocca sottile di Sherin si distese in un breve sorriso e, per un
attimo, le cicatrici parvero diminuire restituendo al suo viso la sua
vecchia, selvatica bellezza.
-Allora cosa stiamo aspettando?
-E Kaim?
-Cosa vuoi dire?
Piccolo inspirò profondamente, il volto appena nascosto
dalle mani smeraldine poggiate sulla fronte.
-Se il drago riporterà in vita nostro figlio, tutto quello
che dovremo fare sarà partire e cercare Yumi....ma se la
risposta fosse un'altra? Se Shenlong confermasse che Kaim è
sano e salvo sul pianeta Namecc? A quel punto che cosa dovremmo fare?
Rimasero in silenzio per un po', gli occhi socchiusi, seduti l'uno
vicino all'altra su un divano troppo stretto.
-E' così strano...Tu che hai sempre saputo tutte le
risposte, che ci hai aiutati così tante volte con le tue
deduzioni, per la prima volta sei attanagliato dal dubbio-
sussurrò Sherin, avvicinando il viso a quello di lui e
posando le labbra sulla sua guancia -come me, del resto...
-Non me la sento di di strapparlo ad un pianeta che in
realtà appartiene più a lui che a me, dove molto
probabilmente avrà l'occasione di vivere un'infanzia
normale, senza dolore o preoccupazioni- continuò, stretta
nell'abbraccio dell'uomo che amava -Se decidessimo di portarlo qui,
sulla Tera, che razza di vita dovrebbe avere?
-Quella che ci è rimasta: due genitori che alternano
incomprensioni ad affetto spropositato, una sorella dispersa...
-....che se non ritroviamo sarà di certo trasformata in una
schiava. Senza contare una madre che, oltre ad abbandonarlo per vagare
nello spazio, è emotivamente instabile come la nonna morta?
No, lui non merita niente di tutto questo.
Nell'udire parole così determinate uscire dalle sue labbra,
il cuore di Piccolo si strinse, stretto nelle mani della sofferenza e
dalla malinconica, sottile certezza che in fondo era meglio
così.
-Allora dei promettermi una cosa.
-Che cosa?
-Quando avremo ritrovato Yumi, e ci vorrà molto tempo
perché nessuno di noi è riuscito ad individuare e
a riconoscere in tempo le vibrazioni della sua aura, andremo su Namecc.
-Piccolo, molto probabilmente vorrà restare con chi lo
crescerà, non abbandonerà di certo la sua terra
per due genitori che, in fondo, nemmeno conosce..
-Credi che non lo sappia? Credi che non ci abbia pensato?-
sibilò Piccolo -Ma perché non continuare a
sperare, a credere che prima o poi ce la faremo? Perché
dovrei chiudermi in me stesso e rimuginare su tutto quello che ci
è successo? No, non è da me. Non sono io. Certo,
sono molto cambiato, sono diventato padre, cosa che
fino a pochi anni fa avrei ritenuto impossibile, quasi assurda....Ma
non lascerò che le cose precipitino, no di certo.
Disse tutto ciò guardando un punto fisso, rivolgendosi
più a se stesso che alla donna accanto a lui. Il dolore e la
rabbia provati sino a quel momento si riversarono nelle sue parole, dal
tono più tagliente di una spada.
-Chiederò a Bulma il Radar, trovare le sfere non
sarà certo un'impresa difficile.
-Sta già preparando una navicella, suo padre sta preparando
le scorte di carburante. Una terrestre ha sempre bisogno di un veicolo
per viaggi del genere....Parte con te, e non pensare che io resti qui
ad aspettare il vostro ritorno.
Fu questa la sua risposta, pronunciata a fior di labbra come una
promessa. Fuori da quella vecchia stanza un po' impolverata, il
tramonto già tingeva di rosso i profili delle case, come a
voler accarezzare il giorno che man mano volgeva al suo termine...
To be continued.
lirinuccia: ti prego,
aggiorna Eros & Thanatos, la curiosità mi sta
letteralmente divorando! Aspetto con ansia un tuo parere, e spero con
tutto il cuore che questo capitolo ti piaccia...
Aloysia Piton: questa
volta volevo postare anche un'illustrazione di Sherin, ma il mio
“amato” pc ha scelto di non collaborare. Che
tesoro...Buona lettura, cara!
Lituania: ciao, compare!
Finalmente entri anche tu nel mondo delle fanfiction, ne sono davvero
felice! :) Apprezzo molto i tuoi commenti, ma non sono così
critici come mi avevi promesso! Eh no, così non va cara. Un
bacione grande!
EllyCandy: barbon, fammi
uno squillo quando ti decidi a collegarti! Scherzo, so che leggi spesso
la mia storia (almeno credo), e che prima o poi farai la tua comparsa.
Se ciò non avverrà, potrò sempre
stressarti uno di questo giorni XD
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Capitolo 19 *** Due differenti destini ***
Raven si svegliò di soprassalto nel cuore della notte ed
iniziò subito a piangere sommessamente. La notte di Namecc
non era mai stata particolarmente mite in quel periodo dell'anno, ed il
piccolo non aveva gradito il brusco sbalzo di temperatura. Accanto al
suo giaciglio era disteso un ragazzo non molto alto, dai lineamenti un
po' infantili, coperto solo da un semplice rettangolo di stoffa azzurra.
-Ehi, già sveglio?- domandò con un sorriso stanco
e scrutò il cielo, illuminato da lontane stelle -Non pensi
che voglia dormire un po' anch'io?
Prese il bimbo tra le braccia ed iniziò a cullarlo con
infinita dolcezza. Come, diversi anni prima, aveva stretto tra le
braccia il figlio Alaet. Ripetere quegli stessi gesti con i quali si
era preso cura del figlioletto scaldarono il suo cuore con la stessa
calda intensità di un falò che, acceso nel freddo
di una notte d'inverno, avvolge con il suo calore i corpi e le anime di
coloro che lo circondano.
Scoccò un rapido sguardo alla porta alle sue spalle, dove
Alaet dormiva dormiva profondamente: se il bimbo si fosse svegliato a
causa del rumore, sicuramente si sarebbe lamentato, imputando come
causa del suo malumore il nuovo fratellino.
-Raven- sussurrò, carezzandogli delicatamente una ciocca di
capelli corvini -che ne dici se lasciassimo dormire il fratellone? Col
caratteraccio che si ritrova non sarebbe certo piacevole ritrovarselo
davanti ora, non credi?
Il piccino singhiozzò piano, spalancando i grandi occhi
lucidi di pianto. Kaimo sussultò nell'incrociare il suo
sguardo, uno sguardo intenso come la luce della luna, caldo come un
raggio di sole. Le sue iridi, priva di tonalità definita,
erano simili a gocce d'acqua attraversate dalla luce, la quale vi
riflette mille e diverse sfumature di colore. A prima vista apparivano
grigi come perle, attraversati solamente da delicate venature turchine,
ora intense ora tenui, lucenti come acqua di sorgente.
Se vi si lasciava indugiare lo sguardo si potevano scorgere le luminose
pagliuzze smeraldine che sfioravano le sue pupille, appena sfumate da
riflessi dorati.
Chiunque sarebbe rimasto affascinato da quello sguardo, amava ripetere
Kaimo, quando qualcuno gli domandava il perché di
quell'improvvisa adozione. Sin dal primo momento aveva provato una
sorta di empatia nei confronti del piccolo sconosciuto, una fortissima
sensazione di familiarità..sentimento che la sua natura
impulsiva aveva immediatamente cercato di consolidare.
Alaet aveva bisogno di un fratello minore per abbandonare, almeno in
parte, il suo forte individualismo, e lui stesso desiderava
intensamente qualcuno a cui dedicarsi, di cui prendersi cura...
La porta si aprì pian piano, spinta dalle manine del figlio
maggiore, ed Alaet entrò con passo incerto nella stanza.
-Papà, ho sete...
-La brocca d'acqua è già vuota?-
domandò il ragazzo, gli occhi scuri rivolti verso l'alto.
-Si, e ho paura ad uscire con questo buio. Potrebbe esserci qualche
mostro nei dintorni.
-Allora facciamo così: dammi solo un minuto ed avrai la tua
acqua, perché Raven si è appena svegliato e devo
cercare di riaddormentarlo. A meno che tu non voglia tenerlo in
braccio...
Il bimbetto scosse la testa, si sedette sopra la coperta del padre ed
aspettò che il fratellino si riaddormentasse. Non appena
vide il padre adagiare il piccolo addormentato nella culla si
alzò in piedi, e tirò il padre per la tunica
violacea.
-Papà...
-Cosa c'è?
-Come mai abbiamo adottato questo qui? Non è del nostro
villaggio, e nemmeno nostro amico.
Kaimo si sedette accanto al figlio, abbracciandolo con la tenerezza che
poco prima aveva riservato al piccolo Raven.
-Per prima cosa lui si chiama Raven, non “questo
qui”- disse con un sorriso indulgente -E si, non è
parte del nostro villaggio...Vuoi che ti racconti come sono andate le
cose, durante l'invasione della Corporation?
Alaet si coprì le orecchie con le manine paffute, e
serrò gli occhi.
-Quel giorno un gruppo di terrestri arrivò sul nostro
pianeta per aiutarci a combattere contro gli invasori, ma vennero tutti
catturati...La tecnologia della P. Corporation era troppo anche per le
loro forze. Nei mesi che trascorsero chiusi in cella, la ragazza dai
capelli neri che era assieme a loro diede alla luce due gemelli, ovvero
due fratelli nati nello stesso momento...
-...Li ha espulsi dalla bocca?- domandò il piccolo,
spalancando gli occhi in segno di curiosità.
-...Non credo...o almeno, da come mi ha raccontato il Capo dei Saggi, i
terrestri hanno un modo tutto loro per far nascere i bambini. Infatti
la mamma li tiene nella pancia per nove mesi, e solo gli esseri umani
di sesso femminile possono farlo...
-E dopo i nove mesi, come fa la mamma a far nascere i bambini?
Kaimo ruppe il silenzio imbarazzato che seguì con una risata
forzata, e cambiò rapidamente il discorso. Ovviamente Moori
gli aveva spiegato ogni cosa, ma il giovane namecciano aveva trovato la
cosa troppo impressionante per essere raccontata in ogni particolare ad
un bambino come Alaet. Continuò quindi il suo racconto senza
rispondere a quell'ingenua domanda, pregando che il piccolo
dimenticasse presto quella sua curiosità.
-Gli scienziati della Corporation avevano assistito alla nascita...
Approfittarono della debolezza della donna per sottrarle entrambi i
figli e, per non farle capire dove li avrebbero portati, l'accecarono
con un'iniezione velenosa...Ed uccisero la sua amica, costretta ad
assistere al parto perché conosceva le principali cure
mediche...
Gli occhi rotondi di Alaet si fecero umidi di lacrime, ed il bimbo
prese ad asciugarli con il dorso delle mani, ma non interruppe la voce
ferma del padre.
-Un maschio ed una femmina...Un namecciano ed una creatura
completamente nuova nella sua singolarità...Gli invasori
scelsero di tenere la femmina, certi di poterla usare come cavia per i
loro studi, e gettarono in mare il maschietto...Quel bambino
è stato trovato da Moori sulla riva del mare, più
vicino alla morte che alla vita, ed il nostro Capo dei Saggi decise di
salvarlo al massacro che si stava compiendo portandolo nella sua
dimora. Quel bambino sta dormendo accanto a noi, avvolto dalle coperte
che i nostri compagni hanno intrecciato per lui.
Ieri un nostro compagno stabilitosi sulla Terra ha contattato
telepaticamente il Capo dei Saggi, riferendogli che tutti i suoi
compagni erano in buona salute, e che presto la ragazza dai capelli
scuri, Sherin, ed il padre dei bambini, il namecciano chiamato Piccolo,
sarebbero partiti alla ricerca della figlia perduta...
Kaim affondò il visetto ella morbida tunica del padre, e
strinse ancor di più le braccia sottili attorno alla sua
vita.
-Perché non sono venuti a riprenderlo?- sussurrò,
seminascosto dal mantello ceruleo -Perché lo hanno
abbandonato qui?
-No, non lo hanno abbandonato...E' complicato da spiegare...- rimase in
silenzio per un momento, il viso rivolto verso il cielo terso -Vedi, i
genitori di Raven non hanno voluto farlo crescere in una famiglia
distrutta dalla scomparsa di una figlia appena nata, colpita dal trauma
della guerra e della prigionia...Sherin e Piccolo hanno scelto di fare
affidamento sul loro popolo per garantire al figlio rimasto un'infanzia
serena, lontano dal dolore, da una famiglia che lo avrebbe
involontariamente trascurato...Il loro è stato un gesto
d'amore. Difficile da comprendere, facile da criticare, ma vero...
Padre e figlio si sdraiarono vicini e Kaimo stese la coperta sopra i
loro corpi, delicatamente, senza fare troppo rumore. Alaet si
rigirò su un fianco e socchiuse la bocca sottile,
rivolgendogli un'ultima domanda.
-Perché hai detto
il loro popolo? Avevi detto che Sherin era una terrestre...
Kaimo chiuse gli occhi.
-Sebbene sua madre appartenga alla razza Sayan, lei è
comunque figlia di Namecc, perché suo padre altri non era
che un namecciano...
Base Poison Corporation,
9:00 AM
L'infermiera applicò il gel azzurrino sul viso roseo della
neonata, aiutandosi con un fazzoletto di stoffa. Non appena ebbe finito
di massaggiarne la pelle si volse verso il complesso macchinario che
attendeva, immobile, d'innanzi al fasciatoio. Il dottor Colfen aveva
appena finito di perfezionare il Lettore Genetico, diminuendo il flusso
di radiazioni troppo intenso per una bambina così piccola.
Finalmente ha trovato una cavia abbastanza singolare sulla quale
testare la nuova tecnologia.., pensò la giovane.
Due tecnici in divisa violacea inserirono dei cavi sottili a piccole
ventose in lattice trasparente, le quali aderirono perfettamente alla
pelle della piccola, resa morbida dal gel viscoso. Il più
anziano azionò il Lettore eseguendo una rapida sequenza di
numeri sulla piccola tastiera accanto allo schermo, che
s'illuminò con un lieve ronzio.
-Non ho ancora capito come questa diavoleria elettronica possa leggere
i geni di questa bambina..- cominciò la ragazza, volgendo lo
sguardo verso la piccola, ormai profondamente addormentata .
-Non è semplice- il tecnico più giovane si
avvicinò al fasciatoio e prese a controllare l'aderenza
delle ventose -I micro-aghi dei cavi rivestiti passano attraverso la
plastica malleabile delle ventose e penetrano attraverso la pelle. I
loro sensori si attivano ed analizzano il suo patrimonio genetico che,
come sai bene, è contenuto anche nella più
piccola cellula...Abbiamo preferito applicare i sensori sul volto
piuttosto che vicino al cuore e ad altri organi vitali, per sicurezza.
Ora il computer principale sta elaborando i dati, i quali verranno
stampati in schemi molti più comprensibili di un insieme di
numeri a ca...
-Grazie per la spiegazione!- sibilò l'infermiera, alzando il
capo biondo in segno di sdegno -Che cos'è quello?
Nello schermo stava delineandosi una sagoma indefinita che
iniziò a perfezionarsi, seguendo lo scorrere dei dati sulle
schermate secondarie. I tecnici aumentarono lo zoom sul corpo, ed
aspettarono in silenzio che la risoluzione si adattasse al brusco
ingrandimento.
-Questa è la punta di diamante del Lettore Genetico: non
solo è capace di elaborare un check-up totale e preciso, ma
la sua tecnologia all'avanguardia è in grado di riportare i
dati fisici sullo schermo principale, presentandoli attraverso
un'immagine dettagliata. In questo caso sceglieremo l'opzione
“immagine futura”, per avere un'idea su come
saranno i futuro questi dati...- spiegò il più
anziano, osservando soddisfatto lo stupore della ragazza -E lei-
continuò -sarà il nostro diamante grezzo.
L'infermiera sobbalzò e portò le mani alla bocca,
spalancata in un grido di disgusto, e si allontanò rapida
dal fasciatoio.
Una ragazza, sui sedici o diciassette anni, scoccò loro una
rapida e gelida occhiata, protetta dal vetro della schermata, la bocca
contratta in una smorfia sdegnosa. Non molto alta, sfoggiava
due braccia robuste e ben levigate, una schiena longilinea
sorretta da spalle toniche e abbastanza ampie per appartenere ad una
ragazza così giovane. Eppure il suo fisico poteva essere
quasi “banale” se paragonato al solo viso...
Lo sguardo veniva immediatamente catturato dalla folta chioma che le
ricadeva sulla spalle, vola come l'ametista ed illuminata da profondi
riflessi rosati. Le sopracciglia di egual colore, sottili e troppo
lunghe, esaltavano un paio di occhi che chiunque, se vi avesse immerso
lo sguardo, ne sarebbe rimasto incantato. Erano di forma allungata
vagamente rettangolare, un po' sottili nelle vicinanze degli zigomi, ed
ombreggiati da folte ciglia scure. Le iridi sprigionavano una luce
incredibilmente intensa e difficile da sopportare, una luce forte che
esprimeva forza vitale, desiderio di combattere, tenacia...
Tutto ciò era racchiuso in quelle due gemme di colore
indefinito, variante dal grigio al malva, ed illuminato da pagliuzze
porpora.
Un viso spigoloso racchiudeva l'insieme di occhi e zigomi,
caratterizzato da un naso appuntito e ben definito, piuttosto piacevole
nel suo insieme, ed addolcito da una bocca piccola e perfetta, tesa in
un sorriso malevolo.
L'immagine sollevò lentamente il capo e dischiuse le labbra
rossastre, mostrando così due canini appuntiti, affilati e
candidi come la prima neve. La vista di quei denti atterrì
la povera infermiera, accasciata sulla sedia in plastica.
-Non è...non è umana..- balbettò,
portandosi una mano al petto -Perché l'avete portata qui?
-Vuoi sapere il perché?- disse il tecnico più
anziano con un sorriso sprezzante.
-Si. Ho sentito cos'è successo sul pianeta Namecc, che cosa
avete fatto mentre noi aspettavamo buoni buoni nella stazione
principale. Mi hanno detto che c'era una dona incinta sul pianeta, un
essere umano in stato di gravidanza non significa nulla per voi?
Questa...questa bambina- esclamò, indicandola -porta in
sé un patrimonio genetico unico nel suo genere,
l'eredità di una Sayan ed un Namecciano. Non è
difficile intuire il motivo del suo rapimento...
Si fermò per riprendere fiato, il respiro fattosi sempre
più affannoso.
-Credete che non possa capire quel che succede solo perché
sono un semplice infermiera?- sibilò, avvicinandosi alla
piccola -E conosco anche le ambizioni del dottore: sin dal mio arrivo
qui non l'ho mai visto smettere di studiare una tecnologia in grado di
sciogliere i suoi dubbi sulla genetica, passare notti insonni,
affrontare frequenti crisi di nervi...Questa bambina non è
forse la cavia ideale che stava cercando?
Con queste ultime parole sfrecciò via, spalancando la porta
con una rapida spinta delle spalle, e sparì nel buio del
corridoio. I due tecnici si scambiarono uno sguardo stupefatto e
scoppiarono a ridere, divertiti da quell'improvvisa ed inaspettata fuga.
-Stupida donna! Credeva di farci cambiare idea con la sua predica
idiota?- rise uno, e si vole verso il fasciatoio per prendere la bimba.
Il grido di rabbia che uscì dalle sue labbra fece sussultare
il compagno, il quale lasciò cadere la siringa che fino a
pochi secondi prima stringeva tra le mani.
-Ha preso la creatura!
La neonata emise un flebile vagito, divertita dall'inaspettata corsa.
La giovane intensificò il suo abbraccio, temendo di poterla
perdere, ed entrò trafelata in una stanza isolata dalle
altre. Chiuse rapida la porta alle sue spalle e, non essendoci alcuna
chiave nella serratura, cercò in preda all'ansia un qualcosa
che potesse bloccarla. Poggiò la piccina in un cesto di
vimini abbandonato in un angolo, ed afferrò la sedia
sistemata lì accanto, inciampando più volte negli
scatoloni sparsi sul pavimento. La sistemò silenziosamente
sotto la maniglia, nelle orecchie le urla ed il rumore di passi dei
soldati, oramai sempre più vicini.
Si sedette a terra con un sospiro e nascose il viso tra le mani,
pentita del suo gesto impulsivo.
-Siamo nei guai, non è vero?- sussurrò,
accarezzando le guance piene della neonata -Ma preferisco morire nel
tentativo, piuttosto che lasciarti nelle loro mani...
La bimba chiuse dolcemente gli occhi, assonnata, e lasciò
che il sonno l'accogliesse nuovamente tra le sue braccia...
Improvvisamente risuonarono forti colpi alla porta, e la ragazza si
allontanò con un grido disperato.
-Nadia, apri la porta!- urlarono, e la giovane donna
rabbrividì nell'udire il familiare rumore dei fucili
caricati. Si lanciò verso la piccola, pronta a farla scudo
con il suo stesso corpo, pochi secondi prima che una scarica di colpi
facesse saltare in aria la porta bloccata. Accovacciata sopra la
fragile cesta, Nadia serrò gli occhi e sopportò
senza gridare le schegge di legno che le piovvero sul corpo, ferendole
braccia e schiena. La neonata iniziò a piangere
terrorizzata, e strinse forte la camicetta della protettrice. Le sue
mani persero il colore pallido sfoggiato sino a pochi attimi prima,
assumendo lentamente la stessa tonalità della fiamma. Nadia
sussultò nel percepire un intenso calore spandersi dalle
manine della bimba sino al suo stesso corpo.
-Che cosa...
Si scostò dalla piccola con un brivido di paura, gli occhi
azzurri fissi sulle scintille che, una dopo l'altra, avevano iniziato a
fuoriuscire dai palmi rotondi ed arrossati.
Una coppia di soldati entrò con passo rapido nella stanza, i
fucili puntati sull'obiettivo, e non prestarono ascolto alle parole
urlate dalla giovane.
-Per l'amore di Dio, scansatevi!
Lingue di fuoco rosse come il sangue lasciarono le mani della bimba in
un lampo di luce purpurea, e corsero implacabili verso il gruppo di
uomini ammassatosi tra le macerie della porta, travolgendoli con tutta
la sua forza. Se le fiamme li avessero colpiti direttamente avrebbero
riportato ustioni gravi e dolorose, ma ciò non avvenne: uno
scudo energetico apparve davanti ai soldati con un sibilo inquietante,
poco prima che le lingue rossastre li avvolgessero tra le loro spire.
-Meraviglioso, davvero meraviglioso...- il dottor Colfen
abbassò lentamente il braccio, le dita ancora premute sopra
l'interruttore dello scudo -Se tua madre fosse rimasta con noi, ne
sarebbe orgogliosa...
-Se sua madre fosse qui per vedere in che lurida topaia è
sua figlia- disse Nadia in un soffio -Di certo non aspetterebbe un solo
momento ad uccidervi...
La giovane si alzò barcollando e spalancò le
braccia, ponendosi fra le bocche dei fucili e il corpo della piccola,
avvolta dalle stesse fiamme mortali che aveva liberato. Colfen
aggrottò le folte sopracciglia candide e mosse qualche passo
verso Nadia, portando lentamente una mano sul calcio della pistola.
-Allora è un bene che non sia qui assieme a noi,
perché certamente non avrebbe gradito questo.-
sibilò, e sollevò di scatto la pistola...
“Finalmente ce
l'ha fatta a scrivere il capitolo successivo!” starete
pensando.. come avete ragione!!
In questo momento della
storia vediamo i due fratelli prendere, volenti o meno, strade molto
diverse che li porteranno inevitabilmente ad allontanarsi l'uno
dall'altra.. o forse no?
Vi assicuro che i colpi
di scena non mancheranno :)
Prima di togliere il
disturbo, vorrei ringraziare con tutto il cuore persone come Lirin
Lawliet, Aloysia Piton, yori, Lituania, EllyCandy...e chiunque legga
questa storia che, oramai, è parte integrante della mia
vita....
Al prossimo capitolo
|
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Capitolo 20 *** Famiglia e nuovi guai in arrivo ***
Un anno dopo, pianeta
Namecc.
-Sherin guarda!
La donna dai capelli turchesi si avvicinò al villaggio,
camminando lentamente a causa del ventre rigonfio. La gravidanza era
ormai a buon punto, e Bulma contava di terminare
l’arredamento della cameretta non appena avesse finito di
comprare quei bellissimi giocattoli che aveva visto nei negozi del
centro.
-E’ successo tutto proprio qui, dove ora sorge il nuovo
villaggio- disse con un fremito -Se solo potessimo controllare il
tempo, portare all’indietro le lancette
dell’orologio… tutto questo non sarebbe successo.
Un’altra donna la raggiunse, socchiudendo gli occhi
infastidita dall’intensa luce del mattino. I suoi capelli,
una volta folti e così lunghi da coprirle la schiena, erano
stati accorciati dalle curatissime mani della signora Briefs, sino a
diventare una corta zazzera nera.
-Lo penso anch’io, ma non siamo venuti qui per piangerci
addosso, giusto?- la voce della Sayan risuonò forte e
chiara, e Bulma rispose con un sorriso -Dove si sono cacciati Yamcha e
Vegeta?
-Stanno discutendo…o forse dovrei dire litigando, proprio
accanto alla navicella. Eccoli, sono le due teste calde accanto alla
scala.
Sherin annuì, e le sue labbra si dischiusero, mosse da una
breve e limpida risata.
-Sai, mi sento felice.
-Davvero? E per cosa?
-Per il fatto che siate voluti venire con noi.
Bulma sbuffò, e due sottili ciocche si scostarono dal suo
viso.
-Non devi stupirtene, non fai bene. Tu e Piccolo siete nostri amici, lo
sai. Yamcha ed io ti conosciamo da una vita, e Vegeta…
Quando Goku si è offerto di accompagnarvi senza alcuna
esitazione, Vegeta non ha fatto tardare la sua condivisione, anche se
non te l’ha ancora detto. Credi che si sarebbe tirato
indietro, con Goku proprio davanti a lui? No, non credo affatto,
conosco i miei polli.- concluse con un sorriso furbo, e Sherin si
abbandonò ad una seconda risata.
-Bulma, davvero non sai quanto mi piace darti ragione! Ehi, Crilin!-
esclamò, sollevando il viso verso la navicella -datti una
mossa, o dovrò venire lì dentro e prenderti a
calci!
Crilin corse fuori dall’astronave con un unico balzo,
atterrando giusto nel centro della tempesta.
-Io sarei disinteressato?! Non ti aspettare che io prenda ordini da un
bifolco come te!!
-Sto solo dicendo che non sei stato tu ad assicurarti che ci fosse a
bordo il necessario per prepararsi ad un parto!- Yamcha
serrò i pugni. Era stato un grosso errore mettere bocca
nell’argomento “parto di Bulma”, ed ora
doveva subirne le conseguenze.
-Ragazzi, adesso basta.- Bulma e Sherin li raggiunsero di
corsa… Per lo meno, con il passo che una donna incinta era
in grado di sostenere -Se volete litigare per forza, allora fatelo
sulla navicella! Il bambino nascerà fra non meno di tre
mesi, e ci tratterremo su questo pianeta per soli due giorni. Quindi
fatemi il favore di finirla!
Vegeta la guardò con occhi fiammeggianti, ancora furioso per
il litigio con l’ex fidanzato di sua moglie.
-E che cosa dovrei fare, sentiamo? Non penso che ti andrebbe a genio se
pestassi questo mollusco nella navicella!
Sherin si morse un labbro, indecisa sul da farsi. Certo, ormai era
abituata agli attacchi di rabbia dell’amico, ma non sapeva
come intervenire in una discussione che in realtà non la
riguardava.
-Senti Yamcha, mi è venuta un’idea.- disse,
costringendolo a distogliere lo sguardo da quello gelido del Sayan.
Goku, intanto, si era avvicinato incuriosito da tutto quel trambusto
-Perché non accompagni me e Piccolo a cercare Kaim? Se non
sbaglio Moori deve sapere dove abita… Anche Goku
verrà con noi, non è vero?- aggiunse con una vena
di supplica nella voce, e Goku si affrettò ad annuire con un
sorriso conciliatore.
-Non è una cattiva idea…Senti, Vegeta,
perché non vieni anche tu?- domandò Goku con
rinnovato entusiasmo.
Vegeta mostrò i denti in una smorfia di fastidio, e scosse
le testa.
-Spiacente, ma vedere un muso verde, marmocchio per giunta, non
è l’ideale per calmarmi!- sibilò
quindi, scoccando uno sguardo saccente alla moglie, e ad una Sherin
decisamente irritata.
Imbarazzato, Goku lo afferrò per un braccio e, salutando
Yamcha e Bulma con un cenno del capo, lo trascinò di peso
verso il villaggio.
-Ricordi le indicazioni di Dende, Goku?- domandò Sherin. Il
villaggio era stato ricostruito seguendo un ordine diverso dal
precedente, ed il nuovo ordine delle case non faceva che disorientarla.
-Penso di si, ma non ho mai detto di avere una memoria
prodigiosa…- ammise il Sayan -Dunque…
Continuò ad esaminare il paesaggio che li circondava,
speranzoso di poter avvistare almeno un namecciano che li potesse
aiutare.
-Non vi sembra singolare?- domandò Crilin -Fino ad ora non
abbiamo visto nessun namecciano, e c’è silenzio
assoluto.
-Se non ricordo male, Dende mi disse che, nel periodo più
caldo, i Namecciani hanno l’abitudine di riposarsi un
po’ dopo aver lavorato per tutta la mattinata (NdA= una
piccola idea ispirata da uno dei miei viaggi in Spagna!)- Piccolo
distese le labbra smeraldo in un sorriso, nel vedere la
curiosità del vecchio amico -I bambini a volte riescono a
sfuggire agli adulti e a giocare tranquilli per un po’.
-Allora abbiamo un obiettivo da cercare.
Sherin si stiracchiò come una grossa gatta pigra, e
strizzò l’occhio all’uomo che amava, e
che aveva stretto in un abbraccio.
-Certo, che se dovessimo trovare proprio il nostro, sarebbe davvero un
bel colpo di fortuna!- ironizzò poi, suscitando una delle
rare risate di Piccolo.
Yamcha, stupito dal quel loro comportamento spensierato, si
grattò pensieroso la nuca, mentre Bulma si appoggiava con un
sospiro alla fiancata della navicella.
-E’ cambiata, non è vero?- osservò
Yamcha guardando l’insolito gruppetto disperdesi
all’interno del villaggio -Vederla sorridere così
dopo tutto quello che le è successo, mi stupisce davvero.
La scienziata pescò una sigaretta dal loro contenitore
d’alluminio e la portò alle labbra, truccate con
una leggera tonalità rossa.
-Vorrei vederla sempre così, in futuro, con quel suo sorriso
così limpido e dolce. L’ho conosciuta con quel
sorriso reso dolceamaro dalla nostalgia che provava in quel periodo.-
aspirò il fumo -Sai, ieri sera, quando ha accettato il mio
invito a cena, ha fatto un grande sforzo per mostrarsi allegra.
-Non è un atteggiamento un po’ forzato? Voglio
dire, siete amiche da molto tempo, Sherin sa di poter contare sulla tua
comprensione!- esclamò Yamcha con convinzione, senza dar
troppo peso all’occhiata che Bulma gli lanciò
-Perché dovrebbe sforzarsi di apparire felice?
Si sedettero sull’erba bluastra, lui sdraiato
all’ombra dell’astronave, lei seduta a gambe
incrociate, in mezzo a fiori azzurri come i suoi capelli.
-Ha capito che la vita va avanti, e che non ha più senso
piangersi addosso. Ora sa cosa fare per riavere indietro la sua
felicità, e possiamo star sicuri che userà tutti
i mezzi in suo potere per riuscirci. Oggi, però, lei e
Piccolo hanno deciso di sospendere le ricerche e venire qui su Namecc
per iniziare un rapporto con Kaim.
S’interruppe per accendersi una seconda sigaretta e, quando
Yamcha gliene domandò una, posò il pacchetto
vicino al corpo dell’amico.
-Avremmo potuto mandarli qui da soli?- disse Yamcha, muovendo la
sigaretta stretta tra le labbra -Neanche per sogno! Devo proprio
ammetterlo, Bulma, sono curioso di vedere la faccia del
piccoletto…sperando che non assomigli troppo a suo padre,
ovviamente.- aggiunse, ed il prato venne attraversato dalle loro risate.
-Che carogna!- esclamò Bulma, dopo essersi assicurata che
né Sherin né Piccolo fossero nei paraggi, e si
sdraiò a terra.
-Tu dici?
-Sure.
Esauriti i possibili argomenti di conversazione, i due ex innamorati
rimasero in silenzio, guardando i due soli di Namecc rincorrersi nel
cielo. All’improvviso, la voce allegra di Goku
risuonò nell’aria, ridestandoli dal loro piacevole
torpore.
-L’abbiamo trovata! La capanna di Moori è proprio
là in fondo!
Sherin camminava accanto a Piccolo, i grandi occhi neri fissi sul
piccolo Namecciano che il compagno reggeva in braccio.
Kaim spalancò gli occhi alla vista del gruppetto di
sconosciuti e, quando Yamcha, Crilin e Bulma agitarono le mani in segno
di saluto, il piccolo nascose il viso affondandolo nella tuta del padre.
-Eccoli qua- Bulma raccolse il pacchetto di sigarette e si
appoggiò sui gomiti per rialzarsi -Ehi, aspetta un
momento… Chi è il piccoletto?
Non aveva visto male. Un ragazzino sui dieci, forse undici anni,
seguiva i loro amici da una buona distanza, talvolta nascondendosi in
tutta fretta dietro un albero o a un cespuglio. Il ragazzino,
notò Yamcha, non distoglieva mai lo sguardo da Kaim se non
per cercare un nuovo nascondiglio e, ogni volta che il bambino
sorrideva alla madre, storceva appena la bocca sottile.
-Alaet- sillabò Kaim, voltandosi verso il fratello adottivo
ed allungando le manine verso terra.
-Vedi? Non vuole stare con voi!- sibilò Alaet nella lingua
di Namecc, incrociando le braccia al petto -Se proprio deve, allora
prendi anche me in braccio!
Piccolo alzò gli occhi al cielo e, rivoltosi a Goku,
sibilò con forzato buon umore: -Goku, perché non
vieni qui e ti occupi del marmocchio? A meno che il ragazzino non
voglia tornare indietro volando..- aggiunse socchiudendo gli occhi.
Goku corse verso Alaet, temendo che il piccolo potesse aver voglia di
ribattere, e lo invitò a sedersi sulle sue spalle. Il
ragazzino accettò con entusiasmo e tentò di
arrampicarsi sulla schiena del Sayan, aggrappandosi ai suoi stessi
capelli.
-Yeouh!- esclamò Goku, ringraziando tra se e se
l’assenza della coda. Alaet avrebbe potuto tirarla senza
troppi complimenti…
-Dai, vai! Raggiungiamo Kaim e superiamolo!- lo intimò il
giovane Namecciano, e gli rifilò piccoli colpetti al petto
coi piedini.
Divertito dall’esuberanza di Alaet e da quel gioco
improvvisato, Goku accelerò il passo, superando un attonito
Piccolo e spiccando il volo a pochi metri dalla navicella. Il ragazzo
affondò le dita nella tuta arancione e serrò gli
occhi: non possedeva ancora una buona familiarità col volo,
e quella partenza improvvisa non lo aveva certo aiutato a superarla.
-Torna giù per favore! Ho paura, papà non mi ha
ancora insegnato a volare!
-Non preoccuparti, è tutto sotto controllo.- rispose Goku,
diminuendo la velocità -Se apri gli occhi e guardi dritto
davanti a te, avrai meno paura… Visto?
Alaet, intanto, aveva dischiuso le palpebre quel poco necessario a
permettergli di gettare una timida occhiata al cielo. Il terreno di
Namecc correva sotto le loro ombre, alternando alture rocciose a
pianure ricoperte d’erba. Sentì una sottile
euforia crescere in lui, e allentò la presa sul tessuto
colorato. Vedere il suo pianeta natale dall’alto di un volo,
comodamente seduto sulla schiena di un nuovo amico, era qualcosa di
totalmente nuovo ed entusiasmante.
-Avevo ragione, non è vero?- domandò il Sayan con
una risata, e cominciò a perdere quota -Che ne dici di
sfiorare l’acqua con la punta delle dita? Quand’ero
piccolo era una delle cose che più mi piacevano.- propose,
ed indicò la superficie marina.
Illuminato dai raggi di ben due soli, il colore delle onde mutava dal
blu al verde più brillante, in un gioco di colori e
sfumature degni del pennello di un pittore. Qualche pesce dalle forme
buffe e singolari balzava fuori dalle acque, sollevando con
sé piccole gocce trasparenti, le quali colpivano delicate i
visi dell’insolito duo.
Alaet immerse prima una, poi due dita, fino a quando tutta la mano
sinistra non scomparve in mezzo alle piccole onde cristalline. Ridendo
deliziato immerse anche l’altra mano, ed il fresco del mare
lo percorse da capo a piedi.
-Quando sarai grande potrai farlo con tuo fratello- azzardò
Goku -Scommetto che anche lui ne sarebbe entusiasta!
Non era pronto a scommettere che Alaet ci sarebbe riuscito, ma non se
la sentì di guastare il suo momento di felicità.
I suoi pensieri mutarono nell’immagine del piccolo Kaim, nato
solo un anno prima e già diviso tra due famiglie.
Una quasi normale, formata praticamente da un intero villaggio oltre
che un padre e un fratello adottivi, ed una unica ma lacerata che
avrebbe, ne era più che sicuro, lottato fino alla fine per
ritrovare la sorella scomparsa. Anche se fossero riusciti a ritrovare
Yumi strappandola alla Poison Corporation, e ad ottenere la scelta di
Kaim di seguirli sulla Terra, il ragazzo sarebbe sempre rimasto
indissolubilmente legato al suo pianeta, e alla famiglia che
accettò di accoglierlo.
-Ehi, straniero!
Alaet chinò il capo verso di lui, urlando per sovrastare il
rumore delle onde e del vento.
-Avvicinati a quella radura.- disse poi, ed indicò un punto
nel paesaggio -Dove ci sono quei fiori grigio azzurri. Ne voglio
prendere un po’.
Goku ridacchiò e, ammiccando, cambiò direzione
con un rapido movimento del corpo.
-Sono per tuo fratello? Su, non c’è nulla di cui
vergognarsi!- aggiunse con il suo sorriso pieno d’allegria,
non ricevendo alcuna risposta da Alaet -Rotta verso i fiori, dunque!
Reggiti forte piccoletto!
Sherin agitò il nastro bianco vicino al visetto smeraldo del
figlio, in attesa che il piccolo riuscisse ad afferrarlo. Attratto dal
movimento ondeggiante del nuovo gioco, il bimbo si limitava a seguirlo
attentamente con lo sguardo, osservandolo con quei suoi occhi color
madreperla. Posò le manine a terra e, facendo leva sulle
proprie braccia, riuscì a sollevarsi sulle gambe: il nastro
era ancora davanti a lui, ben saldo tra le dita sottili della madre.
-Certo che sei proprio strano, lo sai? Sembra di giocare con un piccolo
micio curioso! – osservò con un sorriso -Stai
fermo lì e continui a guardarmi con quegli occhietti da
felino… Chissà se fai anche le fusa come loro.
-Mio!
Sherin sorrise e avvicinò il nastro verso le manine tese di
Kaim, scuotendo i capelli tagliati da poco.
-Solo se dici”per favore”. Dove vivo io le persone
fanno più o meno tutte così.
Il bimbo mosse lentamente le piccole antenne, incuriosito dal suono di
quelle parole a lui così estranee, pronunciate da
un’altissima straniera con buffi, folti fili neri attaccati
alla testa, tanto simili ai suoi. Qualcosa, tuttavia, lo convinceva a
fidarsi di lei, e serrò la bocca nello sforzo di ricordare
ciò che voleva da lui.
-Pe..favoi?
-Non esattamente, ma ci siamo quasi! Su, ripeti con me: “per
favore”. Coraggio!
-Mio!
-Non c’è che dire, è davvero tuo figlio.
Piccolo circondò il petto di Sherin con le sue braccia nel
sedersi dietro di lei, ed osservò suo figlio assaggiare
soddisfatto il pezzo di stoffa sottratto alla madre in un momento di
distrazione. Sherin lo prese tra le braccia e accarezzò i
ciuffi di capelli neri che gli sfioravano il nasetto, soffici come
piume di corvo. Kaim alzò gli occhi verso il viso assorto
del padre e abbozzò un sorriso nel vederlo avvicinare una
mano verso la sua guancia. Sfiorò con insolita delicatezza
la pelle morbida del figlio, seguendo una linea immaginaria che saliva
sino alle sue tempie, dove i capelli già coprivano le
orecchie a punta.
Poco distante un giovane uomo osservava i loro gesti colmi
d’affetto con una punta di gelosia nel profondo del suo
cuore: Kaimo distese le braccia lungo il corpo e sospirò,
guardando il suo Raven stringere le dita bianche della Sayan che lo
stringeva tra le braccia. Non v’era nessun dubbio
nell’affermare che quella donna dall’aspetto
singolare fosse sua madre, e non dovette osservare a lungo il viso del
Namecciano che l’abbracciava, chiaramente più
giovane di lei, per capire chi fosse.
Sebbene i capelli ed il sorriso fossero gli stessi della donna,
c’era qualcosa in quel piccolo che rimandava
all’uomo che l’osservava…oltre al colore
della pelle, ovviamente.
Improvvisamente capì, e sentì qualcosa
sprofondare in lui. Lo sguardo, quella forza vitale e spirituale che
brillava negli occhi del figlio adottivo era la stessa che in quel
momento percepiva nell’animo del Namecciano.
Rappresento veramente
qualcosa per lui?
-Siamo pensierosi, figliolo?
Moori posò una mano sulla spalla dell’amico, che
distolse in fretta lo sguardo da Raven e i suoi genitori.
-No, niente affatto..
Il Capo dei Saggi corrugò la fronte: Kaimo era sempre stato
un ragazzo sincero, e non era da lui mentire sul suo stesso stato
d’animo. L’affetto che provava per il piccolo Raven
doveva averlo cambiato più di quanto credesse…
-Anche se non sei il suo vero padre- cominciò, addolcendo il
tono della voce -Raven non potrà fare a meno di volerti
bene, comunque andranno le cose. Non devi dubitare del suo affetto per
te. Ci siamo capiti?
Kaimo annuì, e salutò con un cenno
l’anziano Saggio che si allontanava verso la sua capanna,
quando la voce acuta della donna dagli occhi azzurri
attraversò la valle.
-Ragazzi! Venite subito qui, c’è un’
emergenza!- Bulma gridava con tutto il fiato che aveva in gola,
sorretta dalle forti braccia di Vegeta -Muovetevi, non posso urlare per
ore!Sherin chiamò a gran voce Kaimo per affidargli il
figlio, e corse assieme al compagno verso la navicella.
-Bulma, cosa sta succedendo?- Sherin s’interruppe per
riprendere fiato, e scoccò un ultimo sguardo a Kaim,
spaventato e confuso nelle braccia del giovane Namecciano -Il bambino
sta per nascere?
-Ma che bambino e bambino, volete smetterla con le vostre paranoie?!-
la scienziata scosse più volte il capo, indicando la
ricetrasmittente che portava al polso -Un dipendente della Capsule
Corporation mi ha appena contattata: un’area del laboratorio
di biotecnologia dove si trovava mio padre per una consulenza
è appena saltata in aria…
Un silenzio traboccante d’ansia calò tra i
presenti, e Crilin faticò a ritrovare la voce perduta.
-Ma tuo padre starà bene, non è vero? Voglio
dire, ci sono buone probabilità che non fosse
nell’aria dove è successa l’esplosione..
-Vuoi stare zitto, nanerottolo?!- sbottò Vegeta, senza
smettere di reggere Bulma, e la invitò a proseguire.
-Non ne sono certa al cento per cento, ma in quel laboratorio erano in
corso pericolosi esperimenti di mutazione genetica, e mio padre era
stato convocato per accertarsi che tutto fosse in regola. Sospettavo
che ci fosse qualcosa che non andava in quel laboratorio, ma non ho
nemmeno cercato di dissuaderlo…- la voce di Bulma
s’incrinò -Se la materia sulla quale stavano
eseguendo i loro esperimenti si riversasse su un essere umano, i
risultati sarebbero imprevedibili…
-Vuoi dire che potrebbe generare qualche mutante, come nel caso del
laboratorio dove Broly era stato condotto per degli esperimenti di
biotecnologia?- domandò Piccolo in un soffio (NdA= vedi
l’Oav “L’irriducibile
bio-combattente”)
Bulma annuì, e tentò di nascondere le lacrime che
già cominciavano a nascere tra le sue ciglia.
-Dobbiamo avvisare Goku, e partire immediatamente.- Yamcha si
alzò in volo, e fece cenno a Crilin di seguirlo -Se dobbiamo
fare in fretta..
-..Goku potrà teletrasportarci tutti sulla Terra.- le labbra
di Sherin si tesero, e la Sayan raggiunse i due amici --Muoviamoci, non
abbiamo molto tempo!
To be continued.
Finalmente sono riuscita
a postare il ventunesimo capitolo di Behind! We are the champions, my
friends! Dopo qualche ora di tranquilla serenità strappata
allo scorrere del tempo, i nostri amici devono affrontare
l’ennesima difficoltà, e non si sa che sorprese il
destino abbia in serbo per loro, questa volta!
Lasciati i miei
personali scleri a parte, oltre che chiedere umilmente scusa per i miei
schifosissimi ritardi, vorrei ringraziare tutte le persone che seguono
la mia storia, ed in particolare:
Lirin Lawliet
Aloysia Piton
Yori
Lituania
Elly Candy
Vi voglio bene :-*
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Capitolo 21 *** Julius come guai ***
Solamente qualche ora
prima
Non c’è nulla di peggiore, per un ragazzo di
appena vent’anni, che essere ricco ed annoiato. Ecco, Julius
Asimov era uno di quelli, probabilmente uno dei più ricchi,
se non dei più annoiati…Proprio il tipo di
ragazzo con cui passare il week end.
Il padre di Julius era letteralmente cresciuto all’interno
del laboratorio di bio-tecnologia, dove suo padre aveva lavorato per
anni come tecnico. La sua fu una vera e propria passione, alimentata da
un’infanzia vissuta tra esperimenti volti a modificare il DNA
umano e, una volta raggiunta la maggiore età, scelse di
seguire studi di bio-genetica. Oltre un brillante studente, Ivan Asimov
era un uomo capace che sapeva cosa voleva dalla propria vita, e fu
capace di inserirsi con successo all’interno del laboratorio
dove il padre aveva lavorato. Scalò una dopo
l’altra le tappe che lo portarono a prendere in mano le
redini del laboratorio, col tempo diventato una vera e propria area di
ricerca. Assieme al denaro cominciò ad arrivare anche il
rispetto, guadagnato dirigendo il laboratorio con pugno di ferro,
spingendo i ricercatori a dare sempre il meglio di sé
stessi. In questo, lo si doveva ammettere, Ivan Asimov era un vero e
proprio maestro.
Questo Julius lo sapeva molto bene.
Come sapeva che tutte le persone vicine alla sua famiglia, senza
contare i principali collaboratori della Asimov Technologies, si
aspettavano molto da lui. Forse anche troppo.
In fondo, chi era lui per pretendere di poter eguagliare, un giorno,
suo padre? Certe notti, coricato sul suo letto ed immerso nel buio
soffocante della sua camera, Julius non riusciva a prendere sonno. La
voce di suo padre non faceva che risuonargli nelle orecchie, ripetendo
quelle odiosissime parole cariche di orgoglio paterno: dentro di te scorre il sangue di
una famiglia vincente, devi portare avanti il nostro buon nome.
-Ma quale buon nome?!- sbraitò balzando in piedi, per poi
coprirsi la bocca con le mani. Sua sorella dormiva nella stanza
accanto, ed il salotto non era così ampio da poter
disperdere le sue urla rabbiose.
-Vaffanculo.- disse in un soffio, maledicendosi per non aver portato
con se il cubo di Rubrick, l’unica cosa al mondo in grado di
calmarlo. Adorava quel piccolo cubo multicolore, tanto affascinante
quanto arduo da risolvere..almeno i primi tempi. Se suo padre era un
abile dirigente, Julius era un promettente scienziato, ed il suo
cervello non aveva impiegato troppo tempo a risolvere
l’enigma.
L’unico problema alla sua scalata verso un prevedibile
successo era la sua assoluta mancanza d’interesse per tutto
quello che riguardava la bio-tecnologia e qualsiasi altra cosa che
avesse in sé una minima parte di scienza. Certo, il suo
cervello era indubbiamente predisposto al ragionamento scientifico, e
sin da piccolo era stato in grado a risolvere quesiti di chimica come
se fossero indovinelli...ma tutto quello non faceva che annoiarlo. E
non poteva farci nulla.
Più suo padre tentava di invogliarlo ad assistere agli
esperimenti in corso in uno dei suoi laboratori, il figlio annuiva con
disinteresse, senza dare alcun segno d’entusiasmo.
Tutto quello che desiderava era essere lasciato in pace, che la gente
smettesse di introdursi a spintoni nel suo futuro, da sempre oggetto di
appassionate discussioni tra adulti.
Julius si risedette sul morbido divano in pelle, lasciando cadere
all’indietro il capo con un sospiro rassegnato. Dove diavolo
aveva nascosto quella diavoleria di plastica?, si domandò
per l’ennesima volta prima di lasciar perdere e chiudere gli
occhi.
Doveva assolutamente andare al lago.
In quell’esatto momento. Riaprì gli occhi azzurro
ghiaccio e diede una rapida occhiata alla stanza deserta: suo padre era
al laboratorio, senza alcun dubbio, e sua madre sarebbe tornata dalle
compere entro pochi minuti. Aveva tutto il tempo che voleva. Quello,
almeno, nessuno avrebbe potuto sottrarglielo.
Scrisse un rapido appunto sul retro del segnalibro poggiato sopra il
romanzo di sua madre, ancora da iniziare, e
s’infilò il giubbotto con un fluido movimento.
Ragionava rapidamente, dando appena il tempo ai pensieri di imprimersi
nella memoria prima di sostituirli con nuove informazioni. La moto
doveva essere ancora lì, appoggiata al cancello proprio
accanto alla jacuzzi di sua madre, e doveva assolutamente toglierla
prima che lei se ne accorgesse. O sarebbero stati guai seri. Sua
sorella avrebbe gradito una piccola sorpresa al suo ritorno, da brava
adolescente di buona famiglia adorava i regalini costosi, e mancavano
pochi giorni ai suoi sedici anni. Avrebbe fatto bene a fermarsi in un
negozio di vestiti eleganti prima di rientrare.
Cos’amava sua sorella, in particolare? Si bloccò
sull’uscio della villa, le chiavi della moto strette nella
mano diafana.
I cardigan, accidenti alla sua testa dura, i cardigan.
Saltò sulla moto con un sorriso sereno e, dando
più volte gas, sfrecciò fuori
dall’immenso giardino di casa sua, ben attento a non uscire
mai dal sottile sentiero in ghiaia. Il cardigan per Sophie non era
certo più importante della sua salute.
Erano appena le quattro di un sabato pomeriggio, e la gente
incominciava ad uscire dalle proprie case per dedicarsi anima e corpo a
quella bella giornata di sole. Non avevano tutti i torti, ammise il
ragazzo, imboccando la strada principale, ricca di boutique
all’ultima moda e ristoranti raffinati pieni di uomini
d’affari accompagnati da donne molto belle e poco vestite. A
volte gli capitava d’immaginarsi nei loro panni, reduce da un
ricco pranzo in compagnia di un’ereditiera più
interessata alla sua carta di credito che ai suoi occhi. Si lasciava
cullare da quella fantasia per pochi secondi, prima di scuotere il capo
e ricordarsi che no, quella non era vita per lui.
Un gruppetto di ragazze si voltò al suo passaggio, e le
ragazzine sorrisero con sorrisi freschi ed innocenti alla vista di quel
bel ragazzo così serio e concentrato, per giunta in sella ad
una moto da urlo.
Una di esse, appena più carina e determinata delle altre,
fissò l’immagine del suo viso nella memoria,
contando di poterlo rincontrare, in un giorno non molto lontano.
Era abbastanza alto, ammise a se stessa con una punta
d’invidia, anche se un po’ troppo magro per i suoi
gusti. I tratti del viso erano ben armonizzati tra di loro, e non
poté fare a meno di ripensare sognante a quegli occhi chiari
come il ghiaccio, che, ben nascosti dal vero del casco integrale,
avevano a malapena degnato di attenzione il loro gruppo. Se la bellezza
poteva essere letale, quel ragazzo era un vero e proprio angelo della
morte.
-Se solo non avesse quei capelli…
Un’amica si voltò verso di lei, sospendendo lo
scambio di pettegolezzi, diventato troppo noioso e ripetitivo.
-Ti riferisci al ragazzo passato in moto?
-Si..Hai visto che capelli ridicoli aveva? Lunghi fin sotto le spalle,
come una ragazza!
-Chissà, magari è gay, e stava cercando qualcuno
da abbordare..
Scoppiarono in una risata maligna, convinte di aver svelato il mistero
di quella bellezza così fredda e distante, così
fastidiosamente attraente.
Julius frenò energicamente, fermandosi a pochi passi da un
gattino spaventato il quale, grato per essere stato risparmiato da una
fine poco piacevole, si avvicinò all’inaspettato
benefattore miagolando amichevolmente. Il ragazzo serrò le
labbra in una smorfia di fastidio, e scese dalla moto con un fluido
movimento.
-Non mi piacciono i gatti, amico- sussurrò più a
se stesso che al felino, e si avviò verso le acque
cristalline del lago. Qualche anatra nuotava rapida, formando piccoli
gruppi che venivano rapidamente sciolti, non appena una di esse aveva
la fortuna di avvistare un pezzo di pane lanciato da qualche passante.
Nona avendo cibo con sé, Julius si limitò a
sedersi su di una sponda erbosa, osservando in silenzio gli uccelli
acquatici contendersi a suon di beccate un pezzo di pane abbastanza
grande da attirare la loro attenzione.
In quel momento l’idea di divenire un uccello non gli parve
tanto spiacevole… Vivere senza troppe preoccupazioni, se non
quella di trovare abbastanza cibo per sopravvivere e, magari,
dispiegare le ali e volare via da tutta quella giostra infinita che gli
girava attorno, in un girotondo senza uscita pieno di maschere e falsi
sorrisi.
Si concesse un lieve sorriso, stendendosi sul’erba fresca di
rugiada mattutina: il fresco contatto con le minuscole gocce
d’acqua lenì per un attimo la sua inquietudine,
donandogli un dolce senso di unione con la natura, considerata dal
giovane il nido dove consumare i suoi problemi, le sue paure. Per poi
uscirne libero, pronto a guardare scorrere un’altra giornata.
Un’ombra scura passò sul suo viso rilassato, e
Julius riaprì gli occhi abbagliato dall’intensa
luce del sole.
Un cigno, bianco come la prima neve, volò sopra di lui,
diretto verso il centro del lago. Le sue ali si muovevano lentamente,
come seguendo il ritmo di una melodia, fino quando il cigno
non sfiorò il pelo dell’acqua: ripiegò
le grandi ali sul corpo, elegantemente, e bagnò il becco
nelle fresche acque, cercando refrigerio in quella calda mattinata.
Julius si sedette, cercando di non far rumore, e frugò nelle
tasche della giacca alla ricerca della macchina fotografica,
regalatagli dalla sorella in occasione del suo compleanno. Da quel
giorno non se n’era mai separato, portandola con
sé ovunque andasse. Diede una rapida occhiata alla
vegetazione che circondava lo specchio d’acqua, cercando un
punto dove la luce sarebbe stata abbastanza intensa da permettergli di
non usare il flash. Se il cigno si fosse spaventato, non sarebbe
più riuscito a fotografarlo.
Celato da un cespuglio di rose, Julius regolò
l’obiettivo, senza mai perdere d’occhio il
magnifico volatile: ignaro di essere l’oggetto
dell’attenzione del ragazzo, il cigno nuotava in
tranquillità, osservando placido le anatre battibeccare per
l’ennesimo pezzo di pane.
Julius premette appena il piccolo tasto nero, e scattò
velocemente una fotografia. Il cigno aveva spalancato le ali, pronto a
godersi in tutta tranquillità il calore del sole, quando una
coppia di bambine sbucò da dietro un gruppo di alberi
correndo allegre con in mano dei palloncini colorati. Le due piccole si
accorsero della sua presenza, e lo salutarono con la mano. Il cigno
aveva intanto volto gli occhi neri verso i palloncini azzurri, e ne
osservava incantato il loro ondeggiare al vento. Una delle bimbe, la
più piccola, si accorse di quel timido interesse, e
allentò la presa sulla coda sottile: il palloncino
salì lentamente verso il cielo terso, accompagnato dai
gridolini festosi della sua proprietaria e dell’obiettivo
della fotocamera.
Julius indirizzò rapidamente la sua attenzione al cigno, e
regolò lo zoom, distogliendo gli occhi dal lago. Il cigno,
come a voler approfittare della sua distrazione, dispiegò le
ali candide e le agitò con ampi movimenti ritmici.
L’acqua fresca ormai non lo interessava più, e
l’azzurro del palloncino appena visibile nella distesa del
cielo rappresentava in quel momento un gioco assai più
interessante.
-Non posso crederci..- sussurrò il ragazzo, alzandosi in
piedi senza distogliere gli occhi chiari dalla figura del cigno, oramai
sempre più lontana -Mi ha abbandonato per un misero
palloncino.
-Che buffo!- esclamò una bambina, additando la macchia
bianca in mezzo al cielo che era diventato il cigno, senza accorgersi
che qualcosa stava cadendo verso di loro.
Una piuma lasciò le altre compagne, strappata via dalle mani
invisibili del vento, cadeva leggera nel vuoto, fino a quando le dita
umane di Julius non fermarono il suo lento volo.
-Tu però rimani con me- disse questi, sistemandola in mezzo
alle pagine di un’agenda trovata nello zaino-
Almeno fino a quando non tornerò a casa.
Ad essere sincero con sé stesso, non moriva certo dalla
voglia di tornarci. Tornare a casa sarebbe equivalso ad affrontare
l’ansiosa preoccupazione della madre, i capricci della
sorella..e l’assenza di un padre che continuava a farsi
sempre più distante. Entro pochi giorni avrebbe compiuto
cinquant’anni: un’età importante anche
per un uomo come lui, non abituato a confrontarsi troppo spesso con i
problemi della vita quotidiana. Quelle erano cose, secondo il facoltoso
scienziato, che era meglio lasciare a sua moglie, rampolla non troppo
bella di un’antica famiglia di politici.
Vista dall’esterno, la sua poteva essere vista come la
famiglia modello in versione americana, il sogno di tanti bambini con
genitori che litigavano e ragazze romantiche in odore di matrimonio: un
padre lavoratore e con una solida azienda sulle spalle, una madre
sempre elegante e preoccupata per il futuro dei suoi figli, una sorella
bella e bionda che aveva come unica responsabilità quella di
trovare un buon partito da sposare.
Ed infine lui, la pecora nera della famiglia. Aveva sempre detestato
quella definizione, gli faceva pensare a qualcosa di strano ed inutile
che doveva solo essere eliminato…ma da qualche tempo,
invece, aveva imparato ad ignorare i commenti maligni che le amiche di
sua madre si scambiavano furtive in sua assenza.
Sfaticato, mantenuto, effemminato…parole che scivolavano su
di lui come gocce di pioggia, fredde come il ghiaccio ma incapaci di
penetrare nel suo corpo e nel suo cuore. Con un sospiro si
sistemò il casco sui capelli biondi, e si diresse verso la
moto, sistemata sul sentiero di ghiaia che portava sino
all’entrata del parco.
Se non voleva andare a casa, ragionò salendo sulla sella in
pelle, non gli restava che raggiungere la sede principale della Asimov
Technologies, e fingere un po’ di sano interesse per il
lavoro di suo padre.
Accese la moto e, con una buona dose di acceleratore, si diresse verso
la strada principale schivando ciclisti ancora inesperti della strada
che avevano abbastanza coraggio per attraversare la strada senza
guardare. Gli sarebbe bastato soltanto un quarto d’ora per
raggiungere la sua meta, e nella sua mente si sovrapponevano pezzi del
discorso che avrebbe dovuto assemblare per giustificare la sua
improvvisa visita. Scosse la testa, e concentrò i suoi
pensieri su altri problemi: a malapena suo padre avrebbe elargito un
sorriso per festeggiare la sua presenza, e non avrebbe certo sprecato
il suo tempo con chi non s’interessava del futuro che lui
aveva deciso di imporgli.
Julius fermò rapido la moto davanti all’imponente
ingresso della Asimov Tech. e fece un profondo respiro: c’era
una seppur minima probabilità che suo padre non si trovasse
alo suo interno, ed in quel caso non gli sarebbe rimasto
alcunché da fare se non salutare educatamente
l’addetto alla sicurezza, e tornarsene da dove era venuto.
Semplice, e molto allettante. Purtroppo per lui, il lunedì
suo padre non mancava mai di recarsi di buon ora alla sua azienda, e
quel giorno non era certamente diverso da tutti gli altri. Si
assicurò lo zaino sulle spalle esili ed entrò a
passi veloci nell’edificio, rivolgendo un cenno di saluto
alle donne sedute dietro il banco dell’Accoglienza
Visitatori.
-Mio padre si trova qui?- domandò, ed una di esse
annuì con un sorriso.
-Certamente. Se sale al secondo piano, lo troverà nel
laboratorio principale di bio-tecnologia. In questo momento
starà sicuramente lavorando su un nuovo progetto, ma penso
che sarà contento di vederla.
Julius sorrise distrattamente, dirigendosi verso l’ascensore
in vetro.
-Non ne dubito.
Le porte trasparenti si chiusero con un lieve sibilo, e
l’ascensore iniziò la sua salita non appena il
ragazzo ebbe premuto il pulsante azzurro. Una voce femminile,
probabilmente registrata non molto tempo prima, risuonò
all’interno dell’abitacolo.
-Secondo piano,
laboratorio sezione bio-tecnologie. Vi auguriamo una buona giornata.
Quando le porte in vetro si riaprirono al breve suono di un carillon,
Julius aveva indossato il suo più smagliante sorriso, freddo
e lucente come un pezzo di cristallo, ed in bocca aveva pronto un breve
commento per il padre e le sue inevitabili perplessità. Non
c’era nulla che non aveva mancato di prevedere.
Nel peggiore dei casi, avrebbe avuto un’inaspettata occasione
per esplorare in tutta tranquillità l’ambiente e,
magari, di comprendere perché suo padre avesse deciso di
dedicare la sua vita alla bio-tecnologia. Un mistero incomprensibile,
per quanto lo riguardava.
Improvvisamente lo vide, attorniato da una decina di scienziati e
tecnici in divisa, i quali pendevano letteralmente dalle sue labbra.
-Ridicoli.- sibilò il ragazzo, ed accantonò
definitivamente la possibilità di avvicinare suo padre. Per
quanto ricordava, non amava essere disturbato nel bel mezzo di una
accesa discussione. E con suo padre, ogni discussione finiva per
assumere toni non esattamente pacati. Decise allora di girovagare senza
una meta ben precisa, osservando di tanto in tanto i vari scienziati
trafficare su qualche enorme stazione elettronica, o esaminare del
liquido di coltura. Dopo qualche minuto Julius si fermò, e
sul suo viso apparve l’ombra di un sorriso esultante: davanti
a lui, scritta in un cartello plastificato, spiccava una breve e
interessantissima frase.
Esperimento riservato,
è vietato l’accesso ai non autorizzati.
Chiunque conoscesse il ragazzo da abbastanza tempo sapeva che il
peggior modo per fargli rispettare una regola era imporgliela
apertamente. La sua imprevedibile curiosità lo aveva messo
più volte in guai più grandi della sua portata, e
mai una volta il ragazzo aveva deciso di imparare la lezione.
Perciò, soffocando una risatina soddisfatta, Julius
aprì rapidamente la maniglia ed entrò richiudendo
la porta dietro di sé.
Ci volle circa un minuto perché i suoi occhi potessero
abituarsi alla semi oscurità che regnava nella stanza e,
quando il ragazzo riuscì a distinguere ciò che
vedeva, il sorriso appena accennato si allargò ancora.
Era un laboratorio di medie dimensioni, adibito senza dubbio ad
esperimenti di lunga durata che dovevano, probabilmente, rimanere quasi
un segreto. Oltre agli apparecchi normalmente presenti in un qualsiasi
laboratorio di bio-tecnologia, questo era dotato di una moderna vasca
di rianimazione ancora inutilizzata e, sistemato sopra un tavolo per
esperimenti, vi era un contenitore di vetro colmo di un una sostanza
liquida, celeste come l’acqua di un lago. Julius lo
prese tra le mani con estrema delicatezza, osservandone estasiato i
riflessi cristallini. Non possedeva alcuna nozione, né
esperienza nel campo, ma qualcosa dentro di lui urlava senza sosta,
spingendolo ad osservare con i suoi stessi occhi ciò che
quel liquido era in grado di fare.
Abbassò lentamente la maniglia della porta e
scivolò fuori dalla stanza, il contenitore nascosto
all’interno del suo zaino. Nessuno si era accorto della sua
intrusione, ed il ragazzo riuscì ad avvicinarsi ai grandi
container in metallo senza che nessuno lo vedesse, o gli prestasse
attenzione. In fondo, che danni avrebbe potuto causare un ragazzo
così giovane?
Una scritta rossa attirò l’attenzione di Julius,
il quale la lesse in silenzio, una mano già stretta sulla
scaletta di ferro rinforzato.
Pericolo mutazioni
genetiche. Non avvicinarsi.
Come da copione, Julius era già salito fino alla cima del
container, e stava svitando il contenitore ben attento a non perdere
l’equilibrio: se fosse caduto, avrebbe rischiato molto
più di una semplice storta…
La noia è davvero un brutto nemico da combattere,
pensò il giovane, mentre il liquido denso cadeva dentro il
container, mescolandosi con liquido di cottura vibrante di radiazioni.
Quando tutto il contenuto fu versato, Julius prese in mano
l’agenda, deciso ad annotare tutto ciò che da quel
momento in poi sarebbe successo. Mentre sfogliava le pagine fitte di
parole, la piuma che aveva raccolto dal volo del cigno
sfuggì alla sua prigione di carta, e cadde silenziosa
nell’oscurità del container illuminata dalle luci
a neon del soffitto.
Cadde leggera, lenta, quasi come un film visto al rallentatore, per
sfiorare infine la superficie della sostanza, divenuta oramai
innaturalmente cerulea.
Non appena la punta della piuma e il liquido ribollente si toccarono,
le molecole della sostanza versata da Julius reagirono alla comparsa
dell’elemento estraneo, creando una reazione a catena che,
infondendo energia molecola dopo molecola, fino a creare delle vere e
proprie esplosioni in miniatura, le quali emanavano violenti getti
d’aria bollente e liquido di coltura modificato.
Un’esplosione più violenta delle altre
mancò il torace di Julius per pochi centimetri, ed il
ragazzo ondeggiò pericolosamente, privo di alcun appoggio.
In bilico sul bordo del container, Julius non sapeva quale fosse il
male minore tra una caduta libera nel vuoto, ed un tuffo cieco nel
liquido di coltura ribollente come lava.
“Non
c’è che dire, una morte non proprio piacevole ed
una cottura rapida in mezzo ad un mare di radiazioni…Roba da
far invidia alla fantasia più perversa.”
pensò con una smorfia di paura, cercando un qualunque
appiglio al quale potersi aggrappare. Attorno al ragazzo non vi erano
che container lisci e distanti, nessun cavo scollegato, niente di
niente. Ogni cosa era nell’ordine più assoluto, un
ordine traspirante la fredda spietatezza del destino.
Un rumore di passi affrettati giunse alle sue orecchie, ed il ragazzo
dovette costringersi a guardare un punto fisso, a non voltarsi: in quel
momento l’equilibrio era l’unica cosa importante, e
lui non era mai stato bravo in quel genere di cose.
-Ehi, tu! Cosa diamine stai facendo lassù?
Julius serrò le labbra. La voce apparteneva ad uno dei
più fedeli collaboratori di suo padre, un leccapiedi
professionista che il ragazzo non aveva mai potuto sopportare..Proprio
la persona giusta al momento giusto.
-Julius!
Silenzio.
Il ragazzo sentì il cuore smettere improvvisamente di
battere, ed intensificò la sua concentrazione già
vacillante come il suo baricentro.
-Julius, scendi immediatamente!
Sentire la voce di suo padre svuotò la sua mente come un
getto d’acqua gelida, ed il ragazzo si voltò con
uno scatto.
-Padre…
Non fece in tempo a terminare la frase, spezzata dall’ultima
esplosione di gas e liquido reattivo: questa volta fu investito
completamente dal getto, e le sue gambe non avevano abbastanza forza da
restare salde sul bordo del container. Il ragazzo cadde con un urlo
soffocato e fu immerso dalla sostanza azzurra con un ribollio
terrificante, mentre le molecole del suo corpo venivano attaccate dalle
radiazioni del liquido di coltura. Solo in seguito si seppe cosa
conteneva la boccetta che il ragazzo aveva trafugato, e
perché il suo corpo aveva subito cambiamenti tanto drastici.
Già da mesi un’associazione militare di stampo
criminale aveva commissionato alla Asimov Technologies un virus in
grado di modificare il DNA umano, un agente geneticamente modificato
che avrebbe avuto la facoltà di aumentare le prestazioni
umane, combinandole con poteri fuori dal comune. Il virus era entrato
in contatto nel liquido di coltura come previsto dagli studi, ma anche
un altro elemento si era insinuato nella catena di mutamento: una piuma
di un cigno.
In quel modo il DNA del cigno si era mescolato al liquido modificato,
ed i suoi geni erano penetrati nel corpo di Julius, mutandone
radicalmente il codice genetico.
Il ragazzo spalancò la bocca in un urlo silenzioso, reso
folle dal dolore che provava. Per quanto provasse a nuotare verso la
superficie, il suo corpo non rispondeva più ai comandi, come
se un burattinaio invisibile lo avesse legato con fili indistruttibili.
Il liquido di coltura aumentò vertiginosamente il suo
volume, fino a superare i bordi del container, ormai prossimo ad
esplodere. All’interno della Asimov Tech. venne fatto suonare
l’allarme, e molti scienziati evacuarono
l’edificio. Solamente Ivan Asimov ed il team riunitosi con
lui rimasero al suo interno, nel disperato tentativo di porre fine alla
catena di mutazioni genetiche.
-Signore!- gridò uno di essi, battendo con violenza il pugno
su una tastiera ormai inutile -Non abbiamo tempo da perdere! So bene
cosa può succedere in casi come questo, e non ci rimane
molto tempo prima che il liquido di coltura esploda uccidendoci tutti!
-Io rimango qui! Se voi siete così codardi da fuggire senza
aver salvato mio figlio, accomodatevi pure. Ma non provate a
trascinarmi con voi, o ne pagherete le conseguenze!
Non appena terminò di parlare, la maggior parte degli
scienziati si lanciò verso l’ascensore di vetro,
lasciandolo solo con un paio di tecnici, ed un figlio tra la vita e la
morte.
-Che l’ascensore si blocchi, maledetti!- sbraitò
Asimov, dirigendosi verso la sala comandi. La maggior parte dei
computer era andata in corto circuito, e non aveva che pochi minuti. Le
sue dita volarono sui tasti neri, digitando codici e password in una
disperata corsa contro il tempo. Dall’interno del container
scaturì una luce intensa come quella del Sole, ed il vecchio
scienziato ebbe appena il tempo di gettarsi a terra prima che questo
esplodesse. Pezzi di metallo volarono attraverso il laboratorio,
distruggendo finestre e conficcandosi in altri container, i quali
riversarono a terra il loro contenuto letale, e la sostanza cerulea
ricopriva ormai gran parte dell’ambiente, scivolando
inarrestabile verso i piani inferiori. Gremiti di gente ancora ignara.
La seconda esplosione fu l’ultima. Con una potenza pari a
quella di dieci bombe, il liquido di coltura esplose inondando il
laboratorio di una luce bianca, accecante, e tutta l’area di
bio-tecnologia svanì, spazzata via dalla potenza
distruttrice di una forza che ormai era impossibile arrestare.
Quando la polvere si posò, il silenzio dominava il piano,
privo di ogni traccia di vita. Tutti i dipendenti della Asimov
Technologies erano fuggiti in cerca di riparo o erano morti
nell’esplosione, e nessuno aveva il coraggio di raggiungere
il secondo piano.
Una figura apparve fra i resti del container, avvolta da un tenue
bagliore candido. Si guardò attorno senza proferire una sola
parola, ed accarezzò con innaturale delicatezza il liquido
che le lambiva i piedi. Con un sorriso maligno si diresse nel punto
dove il pavimento terminava, cedendo il posto all’aria
aperta, ai rumori della città in movimento.
Lasciò che l’aria fredda s’insinuasse
nei suoi polmoni, e dispiegò le ali bianche come la prima
neve.
-Il vero divertimento comincia adesso.
Approfittando della pausa
concessa dalla scuola, ho finalmente completato questo interminabile
capitolo! Siete sopravvissuti? Se si, ne sono contenta
perché, come ha detto il personaggio misterioso, il vero
divertimento comincia adesso!
Era necessario un
capitolo come questo, perché Julius è un
personaggio fondamentale nella continuazione della storia, e non poteva
comparire all’improvviso senza alcuna
introduzione…E poi mi piace tanto presentare nuovi
personaggi, specie se particolari come questo idiota. Si, lo considero
un emerito idiota, se vi interessa il mio modesto parere.
Che dire, ci vediamo al
prossimo capitolo, e non disperate: cercherò di essere
abbastanza puntuale e di non annoiarvi troppo!
Ringraziamenti speciali
vanno a tutti quelli che hanno il coraggio di seguirmi (grazie davvero,
siete fantastici!!), e in particolare a:
Lirin Lawliet: si,
proprio a te, tesora! Ricorda che sto aspettando con ansia il tuo
“Ortica”, non farmi stare troppo in
pena…Non vedo l’ora di leggere una storia che
riguarda il mio amato Piccolo!!
Aloysia Piton: ciao! Come
potevo non salutare la prima donna che commenta sempre per prima miei
nuovi capitoli?? No che non potevo u.u Spero che questo capitolo ti
piaccia!
Yori: ehi tu, che fine
hai fatto? Mi raccomando, stammi bene!
Lituania: e veniamo a te,
essere che non vuole mai pubblicare le sue poesie. Aspetto di leggere
una tua poesia il prima possibile, ricordalo!
Elly Candy: ultima, ma
non ultima! Colei che ancora non è sbarcata come autrice nel
mondo delle fanfictions. Spero che questo capitolo ti
piaccia…e che Julius ti stia almeno un po’
simpatico!
Au revoir
|
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Capitolo 22 *** Incontro ***
Eccoci qui al 23°
capitolo…..era ora! Non ci sono scuse per il mio terribile
ritardo, tranne pc mezzo rotto e voglia di scrivere
pressoché azzerata. Lo studio non perdona, soprattutto chi
in matematica raggiunge appena la sufficienza! Che dire, è
un capitolo abbastanza lunghetto, e ricopiare tutto dal quaderno dove
di solito tengo le mie ispirazioni improvvise non è stato un
lavoretto proprio piacevole, ma alla fine sono stata felicissima di
vedere la mia storia riprendere vita, nero su bianco!
Buona lettura a tutti!
-Proprio non è possibile aumentare la
velocità?
Stretta dalla cintura in plastica nera, Sherin si sporse verso la
vecchia amica, la quale era occupata ad assicurare alla navicella una
partenza senza rischi.
-Sto facendo tutto il possibile, credimi- disse Bulma con un piccolo
singhiozzo, ed asciugò con le dita bianche una piccola
lacrima caduta dalle ciglia -Ma non posso sottoporre la navicella ad
uno sforzo troppo elevato, rischieremmo un danno permanente e non ho
l’attrezzatura necessaria a ripararlo!
Vegeta si avvicinò alla moglie, lo sguardo alto e fisso
sullo schermo principale, il quale era percorso da
un’infinita serie di dati. Aveva viaggiato a lungo nello
spazio ed a bordo di astronavi molto più estese e complesse
di quella dove si trovavano in quel momento, ed era ben consapevole dei
rischi che potevano correre se le procedure non sarebbero state
rispettate. Non aveva molta voglia di saltare in aria con Kakaroth ed i
suoi amici, su questo era irremovibile.
Goku, seduto contro la parete rinforzata della navicella,
sospirò in silenzio e, volto lo sguardo al paesaggio che si
estendeva al di fuori del vetro di un oblò, disse con la sua
abituale calma:
-Certo che sarebbe perfetto se tu, Bulma, fosti a bordo di una seconda
navicella, e noi in un’altra più piccola e veloce:
così potremmo dirigerci rapidamente sulla Terra, e tu
potresti raggiungerci senza che tuo figlio rischi
qualcosa…Quando Chi chi era incinta mi ricordo che cercava
di non fare nessun movimento brusco, e se aumentassimo troppo la
velocità balleremmo come marionette!
Tutti i presenti nell’udire le sue parole si voltarono di
scatto verso il Sayan, il quale spalancò interrogativo gli
occhi scuri. Vegeta fu il più veloce nel corrergli appresso:
in pochi secondi gli fu davanti e, afferratolo per il bavero della tuta
arancio, prese a scuoterlo come un vecchio sacco di patate.
-Accidenti a te, Kakaroth!- ringhiò, sovrastando il rumore
del motore in azione -Perché diamine non ce lo hai detto
prima?!
-Vegeta, ma di che stai parlando?
Piccolo strinse il pugno all’altezza del petto, in un breve
ma sincero segno di esultanza.
-Goku, ragiona: quello che hai detto non è del tutto
impossibile, perché abbiamo
l’opportunità di affidarci al teletrasporto per
arrivare sulla Terra!- esclamò il Namecciano.
-Dici davvero?!
-Goku, sei diventato cretino?!
Sherin si alzò di scatto dal sedile, o almeno ci
provò: nella fretta di raggiungere i suoi compagni, e di
dare man forte al Vegeta, aveva completamente dimenticato
l’esistenza della cintura di sicurezza.
Mentre la Sayan ritornava sul sedile con un tonfo ovattato, i guerrieri
avevano iniziato ad affollarsi attorno a Goku, cercando di toccare
almeno una minima parte del suo corpo. Il Sayan intanto cominciava a
prendere coscienza della situazione, la bocca sottile ormai spalancata
quasi quanto i suoi occhi.
-Ragazzi, ho trovato!- disse a voce alta con un sorriso gioioso
-Basterà che io mi teletrasporti sulla Terra, e voi non
dovrete fare altro che unirvi a me toccandomi!...Ma si può
sapere cosa vi prende, oggi?- domandò poi, quando si accorse
di loro.
-Facciamo quello che ci hai suggerito!- Sherin ammiccò al
sayan, e approfittò di quel poco spazio rimastole per
abbracciarlo all’altezza delle ginocchia -Anche se le tue
ginocchia non sono comode come il sedile di un’astronave,
questo devo dirtelo amico mio.
Piccolo abbassò lo sguardo sulla capigliatura mascolina
della compagna, e le sue labbra smeraldine si distesero in un lieve
sorriso. La conosceva da quasi una vita, e non riusciva mai a smettere
di stupirsi dei cambiamenti che quella donna era in grado di compiere:
la ragazza sprovveduta e un po’ ingenua che aveva tentato di
sconfiggere durante il loro primo incontro, pian piano, era diventata
una donna più sicura di se stessa e delle sue
capacità. Una donna capace di accettare un dolore che
avrebbe spezzato qualsiasi altra, e che lei era stata in grado di
rendere parte integrante di sé. Come dire…la
donna adatta a lui, colei che amava più della sua stessa
vita. Niente di più, niente di meno..
In quel momento, pochi attimi prima di essere trasportato sul pianeta
Terra, gli ritornò in mente le parole che aveva rivolto a
Gohan solo pochi giorni prima, in una pausa improvvisata dopo un lungo
allenamento.
-Non pensi mai al volto
di tua figlia?
Gohan si
sdraiò a terra con un sospiro appena udibile, ed
incrociò le mani sotto il capo per proteggersi
dall’erba pungente. Piccolo si voltò
dall’altra parte, verso il paesaggio che l’altura
offriva loro, e si concesse qualche minuto prima di rispondere.
-Si, non puoi nemmeno
immaginare quanto…
Maestro e allievo
ammirarono in silenzio le nuvole in cielo, candide come soffici
batuffoli di cotone, fino a quando il Namecciano non ruppe nuovamente
il ghiaccio.
-A volte provo ad
immaginarmi il suo viso, ma non riesco a darle dei tratti precisi,
definiti. Se consideriamo il fatto che in lei, molto probabilmente,
scorre una maggiore percentuale di sangue Namecciano; dovrei pensare al
suo aspetto automaticamente, ma proprio non ci riesco..A volte mi
soffermo a pensare su come sia la sua vita ora, a chi la
starà accudendo…su chi dovrò
vendicarmi, principalmente- aggiunse con tono amaro nella voce, e tra i
due compagni calò nuovamente il silenzio.
-Vedi Gohan, se vedessi
una persona a te molto cara, come i tuoi genitori o Videl, soffrire per
colpa di qualcuno che, sin dal principio,ha voluto solo il vostro
male…cosa faresti?
-Diventerei una furia..
-Esatto. In questo
momento non riesco a provare che rabbia. Certo è sottile e
non sempre la sento ribollire dentro di me, ma è costante, e
non passa giorno nel quale io non voglia afferrare le lancette
dell’orologio, per riportarle indietro. So che è
un pensiero completamente folle, ma se esistesse anche la minima
possibilità di cancellare tutto e ricominciare da capo, io
l'accetterei. L'accetterei senza nessun indugio.
-Sherin..
La Sayan mosse appena le lunghe orecchie a punta, e si voltò
verso di lui con un sorriso.
-Cos’è, hai paura di essere scaraventato nello
spazio alla velocità della luce?- ironizzò lei,
socchiudendo gli occhi in una breve risata -Cosa vuoi dirmi?
Piccolo richiuse la bocca, improvvisamente dimentico delle parole che
avrebbe voluto rivolgerle. Allungò la mano verso il suo
viso, e ne accarezzò i corti capelli corvini in un gesto di
sincero affetto. Non aveva la necessità di dirle
alcunché.
-Niente…
-Ragazzi, stringetevi!
Le parole pronunciate in fretta da Goku fecero appena in tempo a
spegnersi nell’aria della navicella, prima che il gruppo
svanisse in un breve, magico battito di ciglia.
Sistemò un pezzo di vetro contro la parete, in modo da
potervisi specchiare senza troppe difficoltà, e prese ad
esaminare con occhi critici la sua immagine riflessa.
In fondo non era cambiato eccessivamente, rifletté con
un’alzata di spalle, passando le dita pallide come la morte
tra i capelli dorati. Sarebbero bastati solo pochi piccoli cambiamenti
per rendere il suo viso ancora più perfetto. Strinse
il pugno attorno ad un frammento di ferro, e strinse con forza: un
sottile rivolo di sangue nero bagnò la superficie metallica
del metallo, e scese lungo il suo braccio scarno disegnando una lunga,
inquietante linea scura. Una flebile luce nera come ciò che
l’aveva emanata avvolse il ferro scuro, circondandolo di
eteri arabeschi impalpabili, e bastarono solo pochi minuti per
modellarlo ed affilarlo ad immagine e somiglianza di un rudimentale
coltello.
Una dopo l’altra, le ciocche biondo grano caddero a terra
recise dalla lama affilata, e fu solo quando i suoi capelli non
toccarono i lobi delle orecchie a punta che Julius posò il
pugnale, e fece qualche passo indietro con un sorriso soddisfatto sulle
labbra. Una folta e lunga frangia copriva il lato sinistro del suo
viso, e man mano si accorciava, nell’allontanarsi dalle gote,
trasformandosi in una corta zazzera spettinata. Passò le
dita tra le ciocche, ammiccò con un sorriso malizioso, fece
un breve giro su sé stesso..sentiva l’euforia
crescere nel profondo di sé, e non tentò di
trattenere la risata euforica che gli affiorò alle labbra.
-Mio Dio, sono così bello che mi salterei addosso!-
esclamò, accarezzando il proprio riflesso -E’ un
vero peccato che non ci sia proprio nessuno ad ammirarmi..
Guardò i cadaveri sparsi sul pavimento con una smorfia di
disgusto e superiorità, e si avviò verso il muro
che l’esplosione aveva completamente distrutto: centinaia di
metri sotto di lui la gente si susseguiva con la tipica frenesia delle
grandi città, eccezione fatta per la nutrita folla di
curiosi radunatasi davanti l’enorme laboratorio. Ad un tratto
gli parve di scorgere quasi un luccicare in mezzo a tutta quella gente,
e socchiuse gli occhi trasparenti nel tentativo di scorgere qualcosa:
in mezzo alla folla, sotto gli sguardi attoniti dei presenti e di un
Julius sempre più incuriosito, apparve un gruppetto di
sconosciuti stretti l’uno contro l’altro senza un
apparente motivo. Il ragazzo si sdraiò sul pavimento e, dopo
essersi sporto verso il basso, esaminò attentamente i nuovi
arrivati sussurrando di tanto in tanto qualche breve commento.
Doveva ammettere, come prima cosa, che non doveva trattarsi di persone
del tutto normali: non poté non notare
l’espressione stravolta della donna incinta, appoggiata ad un
tizio non certo altissimo con una singolare chioma nera, ritta verso
l’alto...
“Come un
carciofo” pensò soffocando una risata.
Accanto ai due una strana coppia di ragazzi sulla trentina, uno
tarchiato e piccoletto e con una buffissima capigliatura a caschetto,
l’altro un giovanotto piuttosto attraente, il volto segnato
da una o due vecchie cicatrici.
“Finora niente
di veramente interessante..” rimuginò
Julius storcendo la bocca, e portò una mano sopra gli occhi
di ghiaccio, proteggendosi così dagli intensi raggi del sole.
Gli ultimi due personaggi, dovette ammettere con una punta
d’invidia non troppo sottile, non sarebbero affatto sfigurati
in un immaginario confronto con la sua nuova persona.
Non era necessario essere dotati di particolare acume per rendersi
conto del forte legame che li univa e Julius, dal canto suo, possedeva
un certo comodo intuito, il quale gli aveva permesso più di
una volta di cogliere i piccoli particolari che normalmente sfuggivano
alla maggior parte della gente. E ciò che univa quelle due
persone erano non solo i tratti fisici- orecchie appuntite, canini
affilati ed un’altezza fuori dal comune- ma
un’impalpabile alchimia pulsante come un cuore umano,
incredibilmente similare al leggendario filo rosso del destino. Sua
sorella amava ripetere quella piccola sentimentalistica leggenda ogni
volta che cambiava fidanzato, o che l’amore le riservava
l’ennesima, dolorosa illusione.
Poteva quasi sentire i loro cuori battere
all’unisuono…meraviglioso..Un cuore segnato da
antichi rancori ma visibilmente ammorbidito dall’affetto
ricevuto, probabilmente senza aspettarne affatto, e uno più
piccolo e delicato, un cuore di donna, ancora sanguinante per un dolore
recente. Così diversi, eppure palpitanti la stessa, identica
melodia impercettibile, che solo loro due erano in grado di
udire…
Ma c’era qualcosa di ancora più sublime di quel
loro sentimento condiviso, ed era il fisico da urlo dell’uomo
dalla pelle smeraldina che aveva appena incontrato il suo sguardo.
Centinaia di metri più in basso, Piccolo radunò i
compagni attorno a sé ed indicò l’ombra
che, appena visibile tra le macerie, non aveva mai smesso di puntare lo
sguardo su di loro.
-Non deve essere un genio per quanto riguarda la tattica-
osservò vegeta con un sorriso beffardo -Guardate come si sta
scoprendo. Se venisse coinvolto in un combattimento, un potenziale
avversario abbastanza allenato avrebbe potuto colpirlo dritto in mezzo
agli occhi, senza troppe difficoltà.
Sherin non ebbe voglia di rispondere ad un commento così
sadico, e si avvicinò rapida a Goku, di certo una persona
con la quale sarebbe stato molto più facile trattare.
-Magari è l’unico sopravvissuto
all’esplosione…Oltre al padre di Bulma,
ovviamente!- aggiunse di getto, resasi conto tardi della gaffe
indelicata che aveva appena commesso -Forse dovremmo aiutarlo, non
credi?
Goku non si volse verso di lei, né diede segno
d’aver compreso le sue parole. Il suo guardo era rimasto
fisso nel punto indicatogli dal compagno, e sulla sua tempia una
piccola vena pulsava ritmicamente. La Sayan arretrò di
qualche passo, e cercò lo sguardo di Piccolo: conosceva
quell’espressione, ed era pronta a scommettere che Goku aveva
fiutato qualcosa di strano nell’aria.
Piccolo posò una mano sulla sua spalla e, delicatamente, la
invitò a posare lo sguardo sullo squarcio aperto nel muro
rinforzato.
-Io non sarei così precipitoso. Non hai percepito la sua
aura?
-No, Piccolo, non ci ho nemmeno pensato.- disse lei corrugando la
fronte ampia e distogliendo lo sguardo dalla figura -Ad essere sincera
non posso fare a meno di preoccuparmi per il Dottor Briefs. Se
l’aura che sta pulsando là dentro è un
potenziale pericolo, come credo Goku abbia capito molto prima di noi, i
sopravvissuti all’esplosione incorreranno presto in un altro
pericolo, non credi? Sarò anche precipitosa come dici tu, ma
devo troppo al signor Briefs per lasciare che il nostro nuovo amichetto
faccia la prossima mossa!
“Buio e luce
che si incontrano, traghettati da due paia di occhi sconosciuti tra
loro, che meraviglia… Quasi come la fusione dello jing e
dello jang in un solo cerchio. Chissà come potrei descrivere
questo mescolio di sensazioni prorompenti che mi scuotono da capo a
piedi?”
Vegeta lanciò un rapido sguardo a Goku, immerso nella
lettura dell’aura e della mente del giovane, oramai fattosi
palese agli occhi dei presenti, e scandì bene le parole.
-Stai tentando di leggere nella sua mente, non è
così? – domandò, ed il vecchio amico e
rivale sorrise con imbarazzo, socchiudendo gli occhi scuri.
-Sì, e se devo essere sincero non è nemmeno
un’esplorazione troppo difficile.- rispose -E’ come
leggere una scritta tracciata nella sabbia asciutta…Voglio
dire, inizialmente ciò che gli frulla in testa mi manda
davvero in confusione, come se stessi guardando qualcosa da dietro un
vetro sporco ed appannato. Ci vuole un po’ di tempo,
però pian piano riesco a capire cosa sta pensando, come
adesso.
-E che cosa.. Che cosa dice?
Goku si grattò la nuca, nel vano tentativo di prendere
tempo, e continuò, nella voce una lieve incertezza.
-Ti dirò, in realtà non ci sto capendo
più niente!
Vegeta sbottò in un’esclamazione esasperata,
rinunciando del tutto a capire cosa frullasse nel cervello del secondo
idiota che in quel momento si ritrovava fra i piedi.
“Ancora non mi
stacca gli occhi di dosso! Che emozione. Se solo non fosse per quella
sottospecie di valchiria che si ostina a parlargli, con quella sua
vocetta roca ed inquietante!”
Julius serrò i denti candidi, e puntò un lungo
dito pallido contro la spalla destra della Sayan: ancora non aveva
sperimentato appieno ciò che il suo nuovo corpo era in grado
di fare, ma non dubitava affatto che una parte della sua cocente
invidia sarebbe confluita nell’estremità della sua
mano. In fondo, la rabbia è da sempre un ottimo stimolo per
l’essere umano.
Un bagliore luminoso apparve attorno alla sua mano, e sulla punta del
dito brillò rapida una scintilla cerulea, scintilla che
sferzò l’aria in un volo lungo pochissimi
nanosecondi, per poi affondare in un colpo di punta nel muscolo della
donna.
Sherin portò una mano alla spalla con un grido
acuto, concentrando l’attenzione di tutti su di
sé.. inclusa quella di un Julius sempre più
contrariato.
-Maledizione..- sussurrò allontanando la mano. Il tessuto
violaceo della sua felpa era perforato proprio sopra al centro del
legamento, ed il raggio ustionante aveva carbonizzato i margini del
foro, sporco del sangue che aveva preso a colare lungo il braccio.
-Sherin!- Piccolo le prese il braccio ferito tra le mani, e prese ad
esaminarlo rapidamente -Riesci a muoverlo?
Lei annuì, le labbra tese in una smorfia di dolore e rabbia,
ed accennò una lenta rotazione della spalla: immediatamente
il dolore riaffiorò in una fitta insopportabile. Sherin
urlò per la seconda volta, e Goku si affrettò a
slegare il laccio che assicurava il sacchetto di stoffa che portava
alla cinta, e si lanciò verso l’amica. Nella mano
stringeva una manciata di fagioli Senzu.
-Forza Sherin, apri la bocca, basteranno solo pochi secondi!- disse in
tono concitato, prima che Piccolo allontanasse la sua mano con un lieve
schiaffo.
-Non ricordi che su di lei non hanno effetto?- esclamò, e si
rivolse a Bulma, oramai sempre più sconvolta. -Ultimamente
porti sempre con te una serie di capsule contenenti medicine e
strumenti di pronto soccorso, giusto? Allora prendi un antidolorifico,
il più potente che hai!- volse lo sguardo alla compagna, una
luce di tenerezza appena percettibile nello sguardo -E’ la
seconda volta, ormai, che ti curiamo come una normale
terrestre…
Sherin distese le labbra in un sorriso somigliante ad una smorfia di
disgusto, e scoccò uno sguardo carico d’odio verso
l’alto.
-Non ce ne sarà una terza, fidati di me.
Bulma rovistava freneticamente nella borsa, incurante degli oggetti che
ne fuoriuscivano, cadendo sul marciapiede affollato di curiosi e
giornalisti in cerca di tragedie da sfoderare nelle prime pagine del
giornale.
Alla fine le sue dita afferrarono un sottile contenitore
d’acciaio, e la donna armeggio più volte con la
chiusura a scatto, maledicendo quelle sue mani che non volevano cessare
di tremare.
Aspirine, bende, cerotti… Il contenuto di ciascuna capsula
era riassunto su piccoli adesivi applicati sui contenitori in plastica,
e le dita di Bulma si strinsero attorno all’ultima capsula,
contrassegnata dalla dicitura “morfina”.
La lanciò a terra, e la capsula esplose in una nuvola di
fumo rivelando il suo contenuto. Tre, al massimo quattro siringhe
rotolarono sul cemento, e Piccolo si lanciò a raccoglierle,
aiutato da Yamcha e Vegeta. Goku, dal canto suo, si era allontanato
più in fretta che poteva da esse, senza mai perdere di vista
i loro aghi sottili. Vegeta le si avvicinò brandendo una
siringa colma di liquido e, rivolto un rapido cenno a Piccolo, il quale
non aveva mai smesso di sorreggere la compagna, poggiò la
punta dell’ago sopra la pelle candida.
-Strappale la manica ed immobilizzale il braccio- gli
ordinò, ed il Namecciano lacerò il tessuto quasi
controvoglia.
-Se ti obbedisco così, è solo perché
si tratta di lei- disse in un soffio -Sappilo, Vegeta.
Il sayan abbozzò una smorfia che, secondo lui, avrebbe
dovuto assomigliare ad un sorriso; ed infilò l’ago
nel braccio della donna. Sherin cacciò l’ennesimo
urlo ed allungò una mano per strappare via la siringa, e
Piccolo le intimò di fermarsi con parole secche. Julius,
intanto, osservava deliziato la scena illuminandosi ogni qualvolta
udiva un lamento provenire dalla bocca della donna. Musica celestiale
per le sue orecchie. Quel suo guardare passivo dall’alto,
però, iniziava decisamente ad annoiarlo, e per qualche
minuto valutò silenziosamente le varie opzioni che gli si
presentavano. Non aveva alcuna intenzione di rimanere troppo a lungo
dietro le quinte dell’azione, ma non pensava nemmeno di
lanciarsi a capofitto tra le braccia di quei fusti agguerriti, non dopo
aver colpito la loro amica… Uscire o non uscire, quello era
il dilemma.
-Vieni fuori, se ne hai il coraggio! Non pensare di passarla liscia,
brutto bastardo, non con me!
La voce roca della donna lo colpì come un colpo di frusta,
ed il ragazzo si mostrò totalmente ai loro occhi, spiegando
le grandi ali bianche. Il vento accarezzò le piume candide,
e Julius provò un intenso, prepotente desiderio di volare,
di lanciarsi nel vuoto e seguire ubbidiente la decisa spinta delle
correnti aeree. Prese una breve rincorsa e saltò verso il
cielo.
-Sta arrivando.
Vegeta serrò i pugni e contrasse i muscoli allenati da
innumerevoli battaglie, preparandosi ad attaccare. La prospettiva di un
imminente corpo a corpo con un avversario sconosciuto lo riempiva
d’adrenalina, e si ritrovò a sperare che i suoi
compagni potessero avere la peggio per rimanere solo contro di lui.
-Bulma, allontanati più in fretta che puoi, e non cercare in
alcun modo di entrare nell’edificio.- pronunciò
quelle poche parole con fermezza, indicandole una strada poco
trafficata -Non voglio che qualcuno rischi di farsi del male a causa
nostra.
Un rossore appena percettibile apparve sulle sue gote, ed il Sayan
sperò ardentemente che nessuno dei presenti ad eccezione di
Bulma avesse prestato troppa attenzione alle sue parole. Una caduta di
stile poco prima dell’inizio di uno scontro non era affatto
degna di un Principe.
Bulma annuì e cominciò ad avviarsi verso un luogo
più sicuro, mimetizzandosi tra la folla: Crilin e Yamcha la
guardarono allontanarsi con un sospiro, e scacciarono velocemente il
desiderio impellente di darsela a gambe e di fuggire con lei.
Sherin aumentò l’intensità della sua
aura, seguendo l’esempio dei compagni, ed i suoi occhi
mutarono il loro colore, divenendo due scintillanti gemme dorate. Come
d’oro divennero invece alcune sue ciocche, ed
un’unica, enorme fiamma avvolse il suo corpo.
L’Half Sayan era tornato, traghettato da quella stessa rabbia
che anni prima lo aveva portato alla luce.
-Vedo che non sei cambiata affatto.- Vegeta non fu capace di trattenere
il commento tagliente affioratogli alle labbra -Chissà
quando riuscirai a sopraffare la tua anima namecciana e a diventare un
vero Super Sayan!
-Non scocciarmi, e pensa ad una strategia piuttosto. Dei tuoi commenti
sarcastici possiamo tranquillamente farne a meno.
Vegeta aprì lentamente la bocca, ed una vena
pulsò sulla sua ampia fronte.
-Come hai detto, sottospecie di muso verde?- sibilò questi,
avvicinandosi minaccioso alla donna. Piccolo gli si parò
davanti, digrignando i denti in un’espressione di sfida.
-Modera i toni, Vegeta!- Piccolo avvicinò un pugno serrato
alla mascella del Sayan, e Goku dovette letteralmente separarli per
evitare lo scontro che inevitabilmente ne sarebbe seguito.
Julius non aveva scelto il momento adatto per la sua entrata in scena,
e nessuno dei guerrieri si accorse del suo elegante e studiato
atterraggio.
-Voltatevi e combattete! Il palcoscenico del mondo ha bisogno della sua
nuova stella!
Girò su se stesso in una lenta piroetta ed avvolse le ali
attorno al corpo, azzardando persino uno sguardo altezzoso, ma nessuno
parve prestargli troppa cura.
-Ehi? Ragazzi?- disse dopo un breve colpo di tosse -Sono qui dietro!
-Non intrometterti, bellimbusto! Sono certo che la tua donna sa
difendersi anche senza le tue spacconate!
-Scusate…
-L’unico che non deve intromettersi qui sei tu, Vegeta! Non
sarò capace di raggiungere i livelli di voi Super sayan, ma
ho abbastanza dignità per non accattare prediche da uno come
te!
-Signori?
-Sherin, Vegeta non intendeva certamente offenderti. Beh, poteva
evitare di essere così acido..
-E’ troppo chiedere un po’ di attenzione?! O lor
signori sono troppo occupati nelle loro litigate da comari per anche
solo guardarmi?!
L’urlo esasperato di Julius spense in un istante i toni
bollenti della discussione e, finalmente, il ragazzo fu completamente al
centro dell’attenzione.
-Oh, merda...
Lirin Lawliet: rieccoci qua! Mi
sono fatta un po’ attendere, ma alla fine ce l’ho
fatta! Volevo assicurarti che, non appena troverò il tempo
(e prima di andare in Germania) leggerò la tua nuova storia
su Host Club! Quando ho scoperto per puro caso il tuo disegno sulla
pagina autore, sono rimasta letteralmente di sasso: Host Club
è uno tra i miei manga preferiti, e l’idea di
leggere una fanfic basata su di esso mi stuzzica non poco! A proposito,
come sta andando la stesura di Ortica? Un bacio digitale!
Aloysia Piton: davvero non consideri Julius un po’ scemo? Per
carità, è certamente una sagoma, ma per ora non
mi sembra proprio un fulmine di guerra, non dopo la meravigliosa
entrata in scena che ha fatto! :D A presto!!
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Capitolo 23 *** It's coming a new beginning ***
“Il countdown
aveva incominciato il suo lento ed inesorabile percorso, per la seconda
ed ultima volta. Sebbene fossimo lontani, io e te, il mio acerbo cuore
di bambino aveva, in qualche modo, accettato il suo destino. Il
cambiamento bussava già alle nostre porte, e i suoi passi
pesanti lasciavano le prime, indelebili impronte sul cammino delle
nostre vite pronte ad essere cambiate per sempre. Non avevo compiuto
che un solo anno di vita, ero ignaro del passato che mi avrebbe per
sempre perseguitato, ed il mio futuro era oramai delineato…
La mia vita avrebbe seguito, obbediente, le orme ed i consigli del mio
amorevole padre adottivo, a malapena sarebbe stata accettata da un
vivace fratello maggiore, che avrebbe finito per affezionarsi a
me… Quello era il mio futuro, quella la mia vita.
Non mi restava che
compiere il volere delle persone che mi circondavano, piene di buone
intenzioni ma soffocanti come l’abbraccio di una madre
depressa, che vede suo figlio come il raggio di luce che
potrà illuminare la sua vita. Così obbedii,
obbedii per la prima ed ultima volta della mia vita, assumendo la parte
che avrei recitato per diciassette anni, ma in una cosa rimasi sempre
coerente, sempre preservai la mia vera essenza. Essenza che riversai in
un cieco amore per l’altro, espressione di una voglia di
vivere così intensa da essere difficile da sopportare per
una persona sola, per un ragazzo così giovane…
Col passare degli anni, qualcosa dentro di me avviò un lento
mutamento, seguendo quel mio corpo che continuava a crescere, a
svilupparsi in un corpo più solido, più adulto; e
un nuovo bisogno nacque, ed io lo desiderai con tutto
l’ardore della mia giovinezza.
Era una
necessità profonda, radicatasi nella mia anima e nel mio
corpo mortale, indelebile come un tatuaggio disegnato sulla pelle, come
una cicatrice sul volto.
Volevo amare.
Disperatamente,
ciecamente, con la passione che scorreva libera come un vento impetuoso
e sconvolgente nelle mie vene. Volevo solo amare, amare con tutto me
stesso.
Così
cominciai ad offrire il mio amore acerbo, inesperto ed ingenuo a coloro
che furono capaci di penetrare nel mio cuore così tenero, e
finalmente sperimentai il vero significato della parola amore: amai in modo
effimero, amai con tutta la mia anima, amai fino a sentire il cuore
cedere sotto il peso delle lacrime, o soffrii le pene
dell’inferno più freddo e spietato; piangendo la
ferita che un rifiuto indifferente aveva inferto alla mia anima.
Il mio desiderio era
unico, ma allo stesso tempo universale e totalizzante, e cercai invano
qualcuno a cui potermi offrire completamente, anima e corpo, per
dimenticare la melanconia che giorno dopo giorno mi avvolgeva nelle sue
fredde spire.
La mia ordinaria vita,
vuota, priva di un qualunque scopo, venne sconvolta da un avvenimento
che mai avrei potuto prevedere, un regalo che il destino beffardo aveva
tenuto in serbo per il mio diciottesimo compleanno. Il mago crudele che
voi umani vi ostinate a chiamare destino gettò nelle mie
braccia due creature che mai potrò dimenticare, tanto belle
quanto fragili come farfalle di cristallo; due persone che entrarono a
grandi passi nella mia vita, per cambiarla per sempre. Una coppia che
oscillò sempre fra sentimenti d’odio e
complicità, stringendo nelle mani un fato che non
accettarono fino alla fine.
Una donna che mi
amò contro il volere della stessa natura, combattendo a
testa bassa contro le convenzioni, contro il giudizio di chi ci
circondava; ed un ragazzo che amò in me l’immagine
riflessa e sfocata di un uomo che non poté mai avere,
cercando nei miei occhi un abisso nel quale rifugiarsi.
Il destino sa essere
crudele oltre ogni immaginazione… Capace persino di
strappare dalle mie braccia chi fu infine capace di amarmi, anche se
per poco tempo, anche se in me cercava un altro tocco, un altro cuore.
Ancora oggi mi domando,
immerso nella contemplazione di un cielo che adesso ha una stella in
più, se sarò ancora capace di
amare…”
Julius schivò, per abilità o per semplice
fortuna, l’ennesima onda energetica, evitando in tal modo una
ferita senza troppi dubbi mortale, e si affrettò a portarsi
al sicuro dietro un palazzo in mattoni. Lasciò che il suo
corpo stremato si accasciasse contro il muro sudicio ed imbrattato, il
ritmo del suo respiro che piano piano ritornava alla sua
normalità, e chiuse gli occhi per pochi attimi.
Non avrebbe mai immaginato la sola sua presenza avrebbe potuto
scatenare una reazione tale, e che avrebbe persino rischiato la vita.
“Ma
perché deve sempre andare tutto male?”
si domandò, sporgendo il viso appena oltre il limite del
muro scrostato.
Nella sua mente i pensieri si rincorrevano frenetici, sovrapponendosi
l’un l’altro nella spasmodica ricerca di una
soluzione, un trucco che gli avrebbe permesso di salvare la sua
incolumità, e nello stesso tempo di conquistare
l’attenzione della stupenda creatura dagli occhi di ghiaccio.
Spostò lo sguardo verso le rovine del laboratorio ed
analizzò rapidamente la situazione prima di, eventualmente,
uscire allo scoperto e ritentare il suo attacco. Il suo sguardo ingenuo
si posò, purtroppo, su quello di Sherin, più
glaciale e spietato di un vento del Nord.
-Merda!- sussurrò, dispiegando le ali con un movimento
fluido e spiccando immediatamente il volo. Sherin lo imitò
con un urlo di rabbia, ed i due cominciarono una singolare caccia
all’uomo, nella quale il giovane fu sottoposto alla peggior
lezione di vita che avrebbe mai sperimentato. Le ali piumate di Julius
furono crivellate dai raggi scagliati dalle mani tese della Sayan la
quale, una volta raggiunta la sua preda, prese a graffiare e a colpire
con quanta più forza possibile la carne e le piume del
ragazzo.
Le unghie diventarono coltelli affilati ed implacabili, con i quali
Sherin affondava, graffiava, sfregiava la pelle pallida e fredda,
accogliendo con sorrisi colmi di sadismo le urla agghiaccianti che essa
stessa provocava. Julius, urlante come un animale ferito,
precipitò verso terra, mentre il suo sangue colava lento sul
corpo, bagnandone il viso, le braccia, le ali…
-Basta! Per favore, smettila!
Sherin alzò un braccio, preparando a far rimangiare al
ragazzo le parole di supplica appena udite, ma dovette accorgersi
presto che non era stato il suo avversario a pronunciarle.
Una ragazza di nemmeno sedici anni, non molto alta, snella, il viso
stravolto celato appena dai lunghi setosi capelli argentei, la guardava
piangendo disperata e tendendo le mani al cielo, verso il corpo esanime
di Julius.
-Per favore, lascialo stare! Non è colpa sua, è
il virus!- gridò con voce rotta dal pianto, ed il cuore
della Sayan si strinse in una morsa di pietà che, decise
questa, non era affatto adatta alla situazione.
Vegeta corrugò la fronte e, avvicinatosi alla ragazzina, le
strinse il braccio con violenza, strappando un grido a quelle labbra
bianche di spavento e dolore.
-Di che virus stai farneticando? Quel pazzo ci ha attaccati senza
apparente motivo, ed ora tu pretendi di farci bere una storia del
genere?!- sibilò con furia, ed il braccio della giovane si
piegò pericolosamente verso la schiena. La ragazza
gridò una seconda volta, ed i suoi occhi si fecero lucidi di
lacrime -Se sei pronta a giurare, allora conducici
all’interno della Asimov Tech. Lì potremo sapere
se questa ragazzina sta dicendo la verità.- aggiunse
rivolgendosi ai compagni. Goku corse verso di lui, richiamato
dall’ennesimo grido straziante della sconosciuta, e la
strappò dalla sua stretta.
-Come ti chiami?- le domandò, massaggiando con delicatezza
il punto dove Vegeta l’aveva stretta. Sulla pelle candida
erano ancora visibili, rosse e brucianti, le impronte delle dita
impietose del Sayan.
-…Sophie Asimov. Mio padre è il proprietario ed
il dirigente del laboratorio distrutto…
-Sei consapevole del fatto che tuo padre potrebbe aver perso la vita
nell’esplosione?
Nell’udire quelle parole così schiette, le labbra
di Sophie tremarono ed i suoi occhi si fecero lucidi zaffiri, ma la sua
voce rimase ferma.
-Si. Ma mio fratello è ancora vivo..
-Come fai ad esserne tanto sicura?- domandò Goku, spostando
lentamente lo sguardo verso Sherin. La donna stringeva ancora il corpo
di Julius nelle mani insanguinate, mentre i suoi capelli cominciavano a
perdere le sfumature dorate, così come i suoi occhi, che
acquisirono ancora una volta il colore della pece più nera.
-Perché l’ho sentito… L’ho
sentito gridare, ho sentito la sua voce… Mio fratello era
andato nel laboratorio di papà, ne sono certa.
L’ho cercato dappertutto, al lago, dentro casa, poteva essere
solo qui…Ultimamente mio padre parlava spesso di un suo
nuovo progetto, della sua intenzione di creare un virus talmente
potente da essere in grado di trasformare chiunque lo avesse toccato in
un mutante…
-Bio-tecnologia..- sussurrò Yamcha, sedutosi
accanto ai due, e prese a frugare nelle tasche dei pantaloni
–Io chiamo Gohan. Non so se sia a scuola in questo momento,
ma è l’unico che possieda abbastanza conoscenze
per aiutarci in una situazione come questa.
-Fantastico Yamcha, grazie. Adesso.. Sophie, giusto?- Goku
parlò senza mai lasciare che il sorriso svanisse dalle sue
labbra, sebbene dentro di lui non vi fossero che tensione e impazienza
–Se Julius fosse davvero tuo fratello, sarebbe capace di
spiegarci come sia successo tutto, e magari di aiutarci a trovare una
soluzione?
Sophie annuì con un singhiozzo, e non ebbe il coraggio di
protestare quando le possenti braccia dello sconosciuto la issarono
sopra la sua schiena. Avvolse in silenzio le braccia sottili attorno al
collo di Goku, e rivolse lo sguardo al fratello, soffocando i
singhiozzi.
Prima di perdere i sensi, Julius riuscì a scorgere il viso
dell’amata sorella minore ed a rivolgerle un sorriso
rassicurante. Andrà tutto bene, scandì con lenti
movimenti delle labbra, non preoccuparti…
-Molto bene- disse Crilin, e si abbassò per prenderlo
delicatamente tra le braccia -Anche se avrei preferito non godere del
tuo istinto Sayan proprio adesso.. Almeno non su di lui.
Il corpo sottile del ragazzo, inerme contro il suo, era ricoperto da
profondi tagli ed ematomi, ferite di cui il sangue bagnava ancora,
caldo, le unghie affilate di Sherin.
-Non ricordi? Quando mi trasformo in Half Sayan non ho
possibilità di scelta sulla parte di me che
prenderà il sopravvento. Tu puoi confermarlo, Vegeta, non
è un nome dato a caso.
Il Sayan assentì con uno sguardo grave e fece cenno ai
compagni di seguirlo all’interno dell’edificio
distrutto. La folla, ignorante di tutto ma consapevole di aver visto ad
uno spettacolo senza precedenti, cominciò, prima timidamente
poi con vigore, ad urlare ed applaudire.
-Cosa stanno facendo?- domandò Yamcha guardando le persone
in delirio ammassarsi loro attorno -Perché stanno
applaudendo? In fondo non abbiamo fatto nulla di spettacolare. Il
ragazzo ha attaccato noi, soltanto noi, non ha alzato un dito contro la
folla anche se avrebbe potuto…
Sherin alzò le spalle con indifferenza, e fu Vegeta a
rispondere al vecchio rivale. Seppur con toni sprezzanti.
-Di certo non gliene è mai importato nulla di noi. Quanto
credi possano interessare un alieno, un nanerottolo, un idiota, due
capelloni ed una donna a gente come questa? Quando hanno visto il
raggio del ragazzo colpire la spalla di Sherin, il panico ha subito
cominciato a diffondersi e la gente ha cominciato a temere per la
propria insulsa vita. Non hai notato una cosa, genio? Sebbene Sherin
abbia un aspetto più o meno innocuo, nonostante i canini e
le orecchie che qualche volta fanno la loro bella comparsa, nessuno ci
ha avvicinati per assicurarsi che non fosse in pericolo. Strano, non
è vero? Non appena i colpi si sono susseguiti con
regolarità, è iniziata una fuga generale, e la
polizia s’è avvicinata a poco a poco, come un cane
con la coda tra le zampe. Molti ancora cercano di nascondere il tremore
delle loro mani. Se prima ci consideravano dei perfetti estranei,
magari così singolari da evitare con diffidenza, adesso sono
pronti a tutto per dimostrarci la loro immensa gratitudine.
-In fondo, avrebbero potuto rischiare la vita- intervenne Piccolo,
passando un braccio attorno alle spalle della compagna -Cosa dovremmo
aspettarci, secondo te?
-E tu cosa credi avrebbero fatto se questo piccolo bastardo avesse
avuto la meglio, magari se avesse colpito Sherin proprio in mezzo agli
occhi? Altro che applausi o compassione, muso verde. Ci avrebbero
considerati dei falliti, dei buoni a nulla! La gente vuole degli eroi
che le salvi il culo, ma quando questi non si dimostrano
all’altezza del compito non ha alcuno scrupolo nel voltar
loro le spalle! Ringrazia che sia stato con voi, altrimenti avremmo
dovuto prendere in considerazione l’ipotesi. Se lo guardo, il
muso di quel marmocchio mi sembra ancora troppo illeso..- aggiunse e le
giunture delle sue dita scricchiolarono minacciosamente, mentre il viso
della piccola Sophie diveniva pericolosamente pallido.
La ragazzina era ancora stretta al collo di Goku, ed i suoi lunghi
capelli biondi, spettinati dalla lunga corsa; le ricadevano disordinati
sulla schiena e sulle spalle conferendolo un aspetto così
innocente da essere capace di smuovere il cuore più freddo.
Quello di Sherin, benché furioso ed amareggiato
dall’aggressione ingiustificata subita solo pochi minuti
prima, non tardò ad arrendersi.
-Non è colpa sua! Non è colpa sua, lo giuro! Lo
posso provare, datemi solo il tempo di scoprire se le videocamere
interne non sono andate distrutte! Vi prego, non fategli ancora del
male!
Sherin portò una mano al petto. Improvvisamente una morsa
invisibile l’aveva stretto, e la donna si ritrovò
a guardare Julius con occhi diversi, e con un gelo dentro di
sé che non faceva che aumentare. Si
avvicinò a Sophie e, passando le dita fra i suoi capelli, le
parlò con voce più dolce:
-Non è necessario mostrarci alcun video, non preoccuparti.
Raccontaci tutto ciò che hai visto, e noi ti crederemo,
anche se potrà sembrarci incredibile. Te lo prometto.
Le dita di Sophie esercitarono una lieve pressione sopra
l’interruttore della luce, e le lampade al neon si accesero
con ronzii appena udibili, mentre un insopportabile odore di morte
giungeva alle loro narici; tanto forte da provocare in essi attacchi di
nausea.
-Carne bruciata..- sibilò Crilin, coprendosi la bocca con la
mano -Qui dev’esserci stato davvero un bel botto..
Sherin e Piccolo trasportavano Julius, le cui braccia erano poggiate
sopra le loro spalle, e di tanto in tanto gli occhi della Sayan si
dirigevano verso il viso del giovane, socchiudendosi in
un’espressione di rimorso. Non aveva mai avuto
l’intenzione di ridurlo in un simile stato, eppure non era
stata in grado di controllare il suo corpo; e la vergogna provata
diventava ormai un peso insopportabile.
-Julius?- sussurrò all’orecchio del ragazzo, e
questi dischiuse le palpebre -Mi dispiace.
La bocca di Julius si strinsero, solo per un istante, per poi
rilassarsi nell’accenno di un sorriso.
-Non volevo che finisse così, davvero. Non ne sono abituata..
Julius leccò via le tracce di sangue dalle labbra violacee,
e si concesse qualche prezioso attimo prima di rispondere.
-A che cosa? Trattare bene i ragazzini?
Sherin contrasse il viso in un’espressione addolorata, e
finse di non aver dato troppo peso alle sue parole.
-Da quando ho memoria sono stata abituata a combattere contro avversari
molto più forti di me, e spesso ho rischiato anche la vita,
e lo stesso vale per i miei compagni. Perciò ti ho
attaccato con tutte le mie forze, senza ragionare sulle tue reali
capacità, dando per scontata un’abilità
che non avevi. Ho percepito il tuo potere, senza dubbio, ed avvertendo
la sua potenza ho lasciato che il mio istinto prendesse il
sopravvento.- s’interruppe, corrugando la fronte
–Non pensare che io stia cercando scuse, la ferita che mi hai
inferto non può essere cancellata..
Si voltò verso il ragazzo. Julius aveva reclinato il capo
all’indietro, gli occhi fissi verso il soffitto distrutto, e
l’ascoltava sorridendo. Nel suo viso non vi erano tracce di
odio, o di sofferenza, tutto in lui sembrava suggerire
un’innocenza nuova, un indole serena che mai la donna si
sarebbe aspettata.
-Non lo pensavo…
Li lasciò deporre a terra, docilmente, e guardò
in silenzio la sorella minore aggirarsi tra i macchinari alla ricerca
del minimo elemento chiave che l’avrebbe aiutata nel suo
intento. Riportare il fratello alla normalità, a qualunque
costo.
In
che modo riuscirà Sophie a tirar fuori il fratellone dal
mare di guai in cui si è letteralmente tuffato? Sherin e
Piccolo stabiliranno una tregua con il giovane sconosciuto? Quali altre
idiote avventure partorirà la mia mente malata? XD
Se
volete una risposta a queste “essenziali” domande,
aspettate il prossimo capitolo! Lo so che ci vorrà un
po’ di tempo, ma vi assicuro che non mancheranno i colpi di
scena! U.u
Un
ringraziamento speciale ed un bacio forte forte vanno a
Le
2 persone che hanno inserito questa storia tra i preferiti: EllyCandy e
Aloysia Piton (tesora, sei scomparsa? L )
Le
6 persone che hanno inserito questa storia tra i seguiti: fufa78,
Halfblood_princess, HOPE87, Pinklink, _Bonnie_ e Lirin Lawliet.
A
quest’ultima, inoltre, invio un importante messaggio:
Partorisci presto Ortica e continua a scrivere la meravigliosa fanfic
con il nostro Marcantonio!!
To
be continued…
|
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Capitolo 24 *** Please, don't disappear. ***
Le cose, lentamente, avevano
iniziato a precipitare.
Sin dal momento in cui il caos era scoppiato davanti alla
sede semidistrutta della Asimov Tech., il corso degli eventi aveva
imboccato un
percorso distorto, frenetico ed allo stesso tempo innaturalmente
cadenzato.
Come se il destino avesse saputo esattamente cosa sarebbe accaduto da
lì a poco
tempo, e non avesse avuto fretta alcuna di svelarlo troppo presto.
Julius, il sangue colato dalle ferite ormai rappresosi ed
il pallore delle sue gote fattosi un poco meno spettrale, non aveva
ancora
accennato ad alzarsi dal freddo pavimento ricoperto da rovine e
calcinacci. Le
labbra strette, i capelli tanto biondi d’apparire bianchi che
ricadevano a
ciocche disordinate davanti ai suoi occhi,
il ragazzo non ebbe ancora il coraggio d’alzare
lo sguardo verso la
sorella minore. Dentro di lui la vergogna montava senza controllo,
mescolandosi
ad un sentimento più infimo, che pareva bruciare dentro di
lui come un fuoco
invisibile ad occhio nudo.
Rabbia.
Follia.
Le immagini apparvero sfocate ai suoi occhi e le voci
ovattate, come se qualcosa d’invisibile ma innegabilmente
potente si stesse
lentamente adagiando sul suo corpo; racchiudendo ed intensificando ogni
singola
sensazione da lui provata in quel momento.
Un colpo di tosse scosse il suo petto magro, e qualche
goccia di sangue scuro sporcò la superficie liscia del
pavimento di marmo.
Nonostante la trasformazione che aveva subito soltanto poche ore prima,
nonostante la mutazione provocata dal liquido di coltura nel quale era
precipitato, Julius era ancora vulnerabile.
Era ancora troppo debole, troppo umano.
Ciò che Gohan non aveva ancora compreso, ciò che
gli
altri non avevano ancora intuito, era che la mutazione genetica non
aveva
intaccato unicamente il suo corpo. La sua mente aveva subito a sua
volta gli
effetti devastanti ed irreversibili del liquido di coltura corrotto, ed
il suo
attacco improvviso tra la folla non sarebbe rimasto di certo il primo
ed unico
effetto collaterale di un mutamento tanto radicale.
Il suo sguardo appannato si posò sulla figura di Sherin,
in piedi a pochi metri di distanza, e le sue labbra si tesero in una
smorfia
carica d’odio. Quella sporca donna non lo riteneva
minimamente degno della sua
attenzione, mostrandogli le spalle come se fosse più che
certa del cessato
pericolo, del suo essere divenuto totalmente innocuo.
Ebbene, quella donna non avrebbe potuto commettere errore
più grande.
-Solamente
mio padre ed i suoi collaboratori più stretti
sono… erano a conoscenza dei segreti dietro agli ultimi
esperimenti della
Asimov Tech. Lui non parlava mai del suo lavoro e dei suoi problemi, a
casa, e
né io né mio fratello abbiamo mai avuto
l’opportunità di conoscere a fondo
nostro padre.-
Sophie si asciugò le lacrime con due dita tremanti,
abbassando lo sguardo non appena percepì gli occhi di tutti
i presenti puntati
su di sé.
-Perciò non ho la benchè minima idea di come
aiutare
concretamente mio fratello, di come invertire il processo che lo ha
fatto
diventare una specie di mutante, o come si chiamano. In poche parole,
sono
davanti ad un vicolo cieco.
Se solo fosse possibile tornare indietro nel tempo ed
impedire che Julius entri in contatto col liquido di coltura, o
qualunque cosa
abbia provocato la mutazione generica, avremmo già fatto un
passo in avanti.-
Gohan fece schioccare silenziosamente la lingua contro il
palato, e dopo aver alzato lo sguardo verso le apparecchiature rimaste
ancora
integre scosse lentamente il capo. Non sarebbe stato facile, e di certo
nessuno
di loro avrebbe confortato la ragazza mentendo sulla
difficoltà della
situazione attuale.
Passò una mano dietro la nuca, scompigliando appena i
corti capelli neri prima di rivolgere uno sguardo nervoso al padre, in
piedi a
pochi metri dalla ragazzina. Ormai sull’orlo delle lacrime,
Sophie iniziò ad
aggirarsi tra i macchinari ancora funzionanti, esaminando gli schermi
illuminati, poggiando nervosamente le piccole mani bianche sopra quadri
di
comandi dei quali non conosceva le esatte funzioni, cercando
disperatamente una
via d’uscita da quella situazione assurda.
Deludendo le aspettative della sua famiglia, non si era
mai interessata al lavoro del padre. Aveva scelto un percorso di studi
quanto
più distante possibile dalla biotecnologia, inquietata e
spaventata dalla
possibilità
che l’uomo aveva conquistato di modificare anche in via
definitiva
il proprio dna. Era un mondo col quale non avrebbe mai voluto avere a
che fare,
e l’ironia che le aveva riservato il destino quasi non la
fece scoppiare in una
risata isterica.
Lei era una Asimov, e non sarebbe mai potuta sfuggire al
suo stesso sangue.
A soli pochi metri di distanza da lei, inginocchiato sul
freddo pavimento, Julius non aveva distolto una sola volta i suoi occhi
da due
persone in particolare, due persone che sembravano averlo ossessionato
sin dal
primo istante in cui erano apparse nel suo campo visivo.
Quella donna.
Sebbene non avesse avuto una particolare ragione, un motivo razionale
per provare
qualcosa di simile, Julius non sapeva come chiamare quel sentimento
bruciante
se non odio. Odio, astio, desiderio di poterla cancellare con un solo
schiocco
delle dita.
Una rabbia totalmente irrazionale, sbocciata
silenziosamente sotto la spinta di un virus genetico che oramai aveva
preso il
completo controllo del suo corpo e della sua mente, cancellando minuto
dopo
minuto tracce del vero Julius Asimov. Dentro di lui una parte della sua
razionalità stava ancora combattendo per sopravvivere,
ostinatamente, ma
nessuno avrebbe potuto dire con certezza quanto a lungo sarebbe durata
quella
silenziosa ribellione.
-Aspettate
solo un momento. Ragazzina, ripeti un po’
quello che hai appena detto.-
Sophie sollevò lo sguardo, affrettandosi ad asciugare le
lacrime che avevano iniziato a rigarle le guance prima di rendersi
conto che
si, uno dei due uomini più muscolosi le aveva appena rivolto
la parola.
Vegeta strinse le labbra, irritato dal momentaneo
silenzio della ragazzina, ed iniziò ad avvicinarsi
velocemente a lei con uno
sguardo minaccioso dipinto sul volto. Uno sguardo che di certo non
aiutò la
giovane a ritrovare le parole.
-Se non sbaglio hai detto che ti piacerebbe tornare
indietro nel tempo, giusto? Allora apri bene le orecchie, e rispondi a
questa
domanda: il tuo caro paparino ha mai avuto la brillante idea di farsi
costruire
una macchina del tempo?-
Fu come un lampo nella nebbia, ed ogni singola persona
presente nella stanza diede a sé stessa
dell’imbecille per non averci pensato
prima. Considerando ciò che avevano vissuto in passato,
grazie all’incontro col
Trunks venuto dal futuro, l’idea di utilizzare una macchina
del tempo avrebbe
dovuto maturare molto prima nelle loro menti. Sherin, dal canto suo, fu
pericolosamente tentata di schiarirsi le idee colpendo il muro con la
fronte, e
probabilmente l’avrebbe fatto se Piccolo non
l’avesse prontamente afferrata per
la vita.
-Si, potrebbe funzionare. Certo, è una mossa
piuttosto
azzardata e tutti noi sappiamo bene quanto sia rischioso cambiare il
corso del
tempo, ma almeno per il momento è l’unica
alternativa che abbiamo.
Proviamoci, e vediamo come va.-
Il viso di Gohan si distese ed i suoi occhi parvero
acquistare immediatamente una luce più viva, scacciando
almeno in parte
l’angoscia che quelle ore terribili avevano insinuato in
ognuno di loro. Si
voltò verso il padre, cercando e trovando nel cenno che
questi gli rivolse
l’approvazione della quale ebbe bisogno per attivarsi e
cercare di mettere in
atto l’idea di Vegeta.
Sophie comprese ciò che il ragazzo aveva in mente di fare
e, allontanatasi rapidamente dal macchinario al quale si era aggrappata
poco
prima, premette due dita contro una tempia nel silenzioso sforzo di
ricordare.
Si, suo padre non parlava volentieri del suo lavoro ma, a
volte, capitava che questi decidesse di aprire ai propri figli un
effimero
scorcio su quella che era la sua vita professionale, ed era stato
durante una
di queste rare occasioni che Sophie ricordò di averlo
sentito parlare di
qualcosa del genere. Non aveva usato esattamente le parole
“macchina del
tempo”, ma era certa che suo padre avesse voluto intendere
qualcosa di molto
simile dicendo di aver finalmente ottenuto la possibilità di
modificare il
corso degli eventi. E di poterlo fare solamente con l’ausilio
di un solo
macchinario.
Poteva funzionare. Doveva funzionare, per il bene di suo
fratello, per il bene di tutti.
Senza quasi che la ragazza potesse rendersene conto, le
sue gambe iniziarono a muoversi sempre più rapidamente, alla
ricerca di
qualcosa che somigliasse anche solo lontanamente ad una di quelle
“macchine del
tempo”. Se c’era anche solo una
possibilità di riportare suo fratello alla
normalità, e così facendo di salvare la vita di
suo padre e quella dei suoi
collaboratori, Sophie non se la sarebbe lasciata sfuggire per nessuna
ragione
al mondo.
A quel pensiero gli occhi della ragazza si fecero
pericolosamente umidi, sotto il peso schiacciante della consapevolezza
che
nessuno avrebbe potuto sopravvivere ad un’esplosione come
quella che aveva
squarciato il cuore pulsante della Asimov Tech.
-Qui,
venite tutti qui! Credo di aver trovato qualcosa
d’interessante.
La voce di Piccolo risuonò chiaramente nell’aria,
e
Sherin fu la prima a precipitarsi nella sua direzione.
Le dita affusolate della dona si strinsero attorno ad un
lungo telo bianco reso lurido dai calcinacci e dalla cenere, sistemato
a
coprire quella che sembrava essere una specie di macchina di medie
dimensioni,
strappandone lunghi brandelli quanto più velocemente
potesse. Nonostante la
spalla ferita e le forze che cominciavano lentamente a venir meno,
Sherin non
aveva ancora perso il suo vigore, vigore che Piccolo potè
percepire chiaramente
bruciare nella luce che si accese negli occhi di lei.
Solamente per qualche attimo gli sembrò di rivedere
l’antica forza vitale che anni addietro aveva visto in lei,
quella stessa forza
che tanto lo aveva travolto il giorno del loro primo incontro. Una
forza che il
corpo della donna emanava come un’aura invisibile ma allo
stesso tempo
terribilmente intensa.
Sherin non aveva bisogno di un vero e proprio motivo per
continuare a vivere, ma di tanti piccoli tasselli, tasselli che avrebbe
pian
piano unito in quella specie di puzzle complesso ed irrisolvibile che
era
diventata la loro vita. Aiutare Julius non era che un tassello in
più, qualcosa
alla quale aggrapparsi per non perdere il contatto con la vecchia
sé stessa,
quella Sherin che per nulla al mondo avrebbe lasciato svanire.
Ai loro occhi si svelò un macchinario coperto di polvere,
più simile ad una cabina ricoperta da schermi e comandi che
ad una vera e
propria macchina del tempo, macchinario che parve ridestare
immediatamente la
vitalità della giovane Sophie.
Questa vi si avvicinò di corsa, lasciando poi correre le
mani sui vari pulsanti e tasti nella silenziosa ricerca di quello che
avrebbe
dato avvio all’accensione della macchina. Sebbene avesse
immediatamente riconosciuto
il dispositivo dei racconti di suo padre, Sophie non aveva la
benchè minima
idea di come “accendere” quella sottospecie di
macchina del tempo, e non seppe
trattenere un sospiro di sollievo nel vedere Bulma accorrere in suo
soccorso.
-Sai come funzionano apparecchi del genere?-
Bulma si concesse qualche attimo di silenzio prima di
rispondere con un lieve cenno del capo, i grandi occhi azzurri fissi
sul quadro
comandi principali della macchina del tempo, vigili ed attivi come la
mente che
stava lavorando assieme ad essi.
-Più o meno, piccina, più o meno. Macchinari come
questi
sono stati costruiti utilizzando tecnologie molto potenti, ma
inspiegabilmente
le aziende più famose non decisero di utilizzarle per i loro
prodotti, così
sono stati relegati ad un mercato più di nicchia.
E’ probabile che tuo padre
fosse stato tra i pochi in grado di intuire il loro potenziale.
Fortunatamente,
anche il mio decise di sperimentare dispositivi come questo,
perciò so almeno
come “accenderlo” ed evitare che si blocchi prima
di funzionare del tutto.-
Mentre parlava, le dita di Bulma si muovevano rapide sui
tasti e vicino agli schermi già accesi, mentre serie di
numeri indecifrabili
presero a scorrere incessantemente su di essi.
Tra di loro calò un pesante silenzio. Nessuno ebbe il
coraggio di commentare, di pronunciare anche solo una parola, o di
respirare
più pesantemente del dovuto. Gli occhi di tutti erano
puntati su Bulma, tranne
quelli di due persone. Sherin e Piccolo erano in piedi davanti alla
macchina
del tempo, l’uno vicino all’altra, le braccia tanto
vicine da sfiorarsi e gli
occhi che di tanto in tanto si posavano sul viso dell’altro.
Come se stessero
tacitamente comunicando tra di loro, come se non sentissero il bisogno
di dire
alcunchè. Attendevano, in silenzio, mentre Sherin finalmente
cercò l’abbraccio
del compagno, in un gesto carico d’affetto che soltanto Gohan
ebbe la
delicatezza e la fortuna di cogliere.
Fu
esattamente in quel momento che le cose iniziarono a
precipitare.
Julius, che sino a quel momento era rimasto praticamente
immobile dove Sherin lo aveva depositato poco dopo essere entrati nella
sala
semi distrutta, sembrò perdere definitivamente il senno.
Lunghi brividi iniziarono a percorrere il suo corpo, e la
calma che era riuscito a mantenere sino a pochi istanti prima
svanì
completamente, lasciando il posto ad una rabbia tanto incontrollata
quanto
irrazionale. Percepì un odio mai provato prima, una voglia
incontenibile di
distruggere, di dimostrare al mondo intero quanto fosse diventato potente. Di cosa era divenuto in grado
di fare.
Con un grido di rabbia tese le mani unite verso il
gruppo, ancora radunatosi attorno alla macchina del tempo, e tutta
l’energia
del suo corpo venne incanalata nella punta delle sue dita, ove si
formò una
sfera lucente bruciante d’energia. Una sfera che non attese
un solo attimo in
più prima di mutare in un dardo dorato e sfrecciare proprio
al centro del
macchinario in piena funzione. Quell’unico lampo di pura
energia penetrò
all’interno di esso, distruggendo microcip ed innescando una
vera e propria
reazione a catena che si rivelò essere a dir poco
disastrosa.
-Yamcha! Prendi Bulma e vattene da qui, vattene da qui
assieme a tutti gli altri.
-Gohan, ti affido Sophie! Portala al sicuro, presto!
Nel caos più completo, nessuno dei presenti potè
ignorare
il tremendo boato che scaturì dall’interno della
macchina, fragore che si
rivelò essere solamente il preludio a qualcosa di molto
più pericoloso ed
imprevedibile. Lentamente, un bagliore di un candore abbagliante si
allargò
dove il metallo polveroso era stato squarciato, occupando sempre
più spazio man
mano che i secondi passavano. Goku, Vegeta si allontanarono
immediatamente da
esso, mentre il resto del gruppo sfrecciò lontano seguendo
gli ordini che
questi avevano impartito loro solo pochi attimi prima, non senza
l’amarezza nel
cuore per aver abbandonato i compagni in una situazione tanto critica.
Goku si guardò rapidamente attorno, combattendo contro
l’angoscia crescente per cercare di elaborare al
più spesso un modo per
risolvere quel problema, o anche solo per impedire che anche uno solo
dei suoi
amici ne uscisse ferito, o peggio.
Fu in quel momento che si accorse che qualcosa non
andava. Quella specie di varco, o di qualunque cosa si trattasse, stava
attirando tutto ciò che aveva attorno come se possedesse una
propria,
invincibile forza di gravità.
-Sherin. SHERIN, NO!
Il grido che si liberò al di sopra del frastuono non
provenne dalle labbra del sayan, bensì da quelle di Piccolo,
le cui mani si chiusero
attorno al nulla nel tentativo di afferrare quelle della compagna.
Sherin ebbe soltanto il tempo di gridare il nome di
Piccolo prima di venire completamente inghiottita da quella voragine di
luce
bianca, e passarono interi secondi prima che il suo urlo di
disperazione si
spegnesse definitivamente. Pochi secondi prima di scomparire, avvolta
da fasci
di luce candida, i suoi compagni ebbero il tempo di cogliere
un’ultima immagine
dei suoi occhi, neri come la pece, rilucere in contrasto con quel
bianco
terrificante.
Pochi secondi dopo, di lei non vi fu più traccia.
Incapace di reagire, di muovere anche solo un muscolo,
Piccolo rimase immobile. I grandi occhi spalancati, le labbra schiuse
in un
grido privo di voce, il guerriero
si
voltò lentamente verso Goku; muovendo lentamente le labbra a
formare silenziose
parole che questi riuscì a comprendere solamente quando fu
ormai troppo tardi.
Il grido di Goku giunse troppo tardi alle orecchie del
namecciano, troppo tardi il sayan scattò verso di lui per
tentare di afferrarlo
ed impedirgli di mettere in atto la sua folle idea. Piccolo si era
già lanciato
in direzione del varco, della voragine che aveva trascinato dentro di
sé
l’unica persona che sarebbe mai stato in grado di amare,
l’unica ragione per la
quale costringeva sé stesso ad andare avanti giorno dopo
giorno.
Un accecante lampo di luce, e Piccolo scomparve.
Un solo istante, e i due guerrieri rimasti videro la
macchina del tempo inglobare dentro di sé ciò che
il raggio lanciato da Julius
aveva generato, mentre il freddo glaciale che aveva pervaso la stanza
sfumò
lentamente sino a scomparire del tutto.
Così come erano precipitate, le cose sembrarono ritornare
ad un’apparente normalità, una
normalità che si presentò pervasa da una
sfumatura inquietante, cruda ed inaccettabile. Goku rimase immobile, la
sua
mente ancora incapace di accettare ciò che i suoi occhi
avevano appena visto
accadere. Due dei suoi amici più cari erano letteralmente
svaniti nel nulla,
inghiottiti da un varco temporale che nessuno sapeva se li avrebbe mai
restituiti alla loro realtà.
In quel momento, le parole di Piccolo risuonarono chiare
nella sua mente, e lo sguardo disperato quanto deciso del namecciano
balenò
davanti ai suoi occhi. Come se fosse ancora lì, davanti a
lui.
Vado a riprenderla.
Surprise,
mutherfuckers.
Siete stupiti?
Non vi preoccupate, lo è anche la sottoscritta.
Lo sono perché
mai avrei creduto che questa storia potesse continuare a vivere, che le
vicende
di Goku, Piccolo, Sherin, Vegeta e tutti gli altri riprendessero a
muoversi
attraverso la mia scrittura.
Avete presente
il blocco dello scrittore? Ecco, per ben tre anni ne ho sperimentato
uno alla
massima potenza e poi, un mese fa, è svanito nel nulla.
Ho preso carta
e penna, e le parole hanno iniziato a fluire come un fiume in piena.
Sherin e
tutti gli altri hanno finalmente ripreso a
“muoversi”, ed io mi sono sentita
ancora una volta completa.
Perché si,
questa storia ormai fa parte di me, con tutti i suoi pregi ed i suoi
difetti.
E’ parte di me, ed ho deciso di riprovarci ancora una volta.
Certe cose sono
“worth the risk”, e Behind the Sunrise lo
sarà sempre.
Grazie a tutti
quelli che leggeranno questo capitolo, e a tutti quelli che avranno
voglia di
ricordarsi di questa mia storia tormentata ed a modo suo ancora un poco
ingenua.
|
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Capitolo 25 *** Warning: two freaking years later. ***
Warning: 2 freaking years later.
Semplicemente,
ancora mi rifiuto di arrendermi. Dopo ben
sette anni, ancora non riesco a dare una degna conclusione a quella che
continuerò sempre a considerare come la mia opera prima,
come la creatura
imperfetta ed incompleta che ha segnato l’inizio pulsante di
una passione per
la scrittura che, col passare degli anni, si è fatta sempre
più forte.
Se sto scrivendo il capitolo numero 25? Si, anche se per il momento non
è che
una bozza ancora da rivedere, riscrivere e correggere, fra tutti gli
impegni di
donna-semi adulta che la vita continua a rifilarmi.
Se la storia verrà rivista e corretta in molti suoi punti,
decisamente si,
soprattutto per quanto riguarda i primi sedici capitoli: ovviamente la
trama in
sé non subirà il benchè minimo
cambiamento, ma la struttura e lo stile dei
capitoli verranno corretti per adeguarsi meglio ad uno stile che col
tempo si è
fatto inevitabilmente più maturo, e totalmente diverso da
quello di quasi dieci
anni fa. Sarò una “mamma” troppo
puntigliosa ed esigente, ma Behind the Sunrise
rappresenta ancora una piccola, importantissima parte di me, ed
è mio dovere
darle se non una fine, almeno una parvenza di continuazione.
Se c’è ancora
qualcuno che si ricorda di Sherin, Piccolo, Kaim, Yumi, Bulma,
Vegeta e tutti gli altri protagonisti di questo piccolo, sconclusionato
e
meraviglioso universo, allora gli chiedo umilmente di aspettare ancora
un poco.
Qualche mese, forse un anno in più, di continuare ad avere
pazienza anche se
sono perfettamente consapevole di non meritarla più. Voglio
concedere un’altra
possibilità alla me stessa di 15 anni, ancora follemente
innamorata di
DragonBall e della propria fantasia.
See you around,
Bittersweettaste.
|
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Capitolo 26 *** Can we go back in time? ***
La disperazione sa essere compagna
fedele, puntuale in
ogni sua indesiderata visita, sino ad abituare la lingua al suo sapore
acre e
rivoltante. Viscido, nauseante, oramai familiare. Vibrante e bruciante
come l’ennesima
scarica che, ancora una volta, venne scagliata contro il nulla
più totale.
Contro uno spazio crudelmente indefinito e privo di confini apparenti,
violento
come l’urlo di rabbia che esplose dai polmoni della donna. Un
urlo senza eco
alcuno che lo accompagnasse, sfogo solitario al quale non
seguì che un assoluto
ed assordante silenzio. Silenzio tutt’intorno, silenzio lungo
la pelle e sin
dentro le ossa, in un contrasto feroce e crudele accanto alla rabbia
che presto
li avrebbe consumati dall’interno, alla sensazione
d’assoluta impotenza al
cospetto di un destino che altro non aveva fatto se non ostacolarli con
ogni
sua forza. Per poterli sconfiggere una volta per tutte.
-Lascia
perdere, ti prego. Finirai per ammazzarti.-
-Dovrei mettermi in un angolo ed aspettare che tutti si
risolva da solo? E’ questo che vuoi?-
Nello stesso istante in cui terminò di pronunciare
quell’ultima,
insensata domanda, si rese conto di quanto crudele ed immeritato fosse
stato il
suo scatto d’ira, soprattutto se ingiustamente rivolto contro
chi invece non
desiderava altro che proteggerla. Portò una mano al volto,
la vecchia cicatrice
quasi dolorante contro la pelle un poco più morbida e calda
del palmo. Se
avesse perduto la calma, se avesse lasciato che la rabbia e
l’angoscia
riuscissero ad avere la meglio sulla sua razionalità, allora
tutto sarebbe
andato in pezzi. E lui, lui non lo meritava. Il suo continuare a
lottare,
giorno dopo giorno, non era che per lui, per il desiderio di potergli
donare la
vita felice, serena, che più di ogni altri meritava.
-Perdonami. Perdonami.-
Una sola parola, pronunciata in un soffio di fiato, prima
di sentire la gambe cedere, la terra mancarle sotto i piedi. Ancora una
volta,
non era stata in grado di mantenere il giusto controllo sulla propria
forza.
Ancora una volta, aveva lasciato che l’istinto sopraffacesse
la ragione e
prosciugasse ogni singola goccia di quella stessa energia che il corpo
avrebbe
dovuto invece custodire; perché nessuno sarebbe apparso dal
nulla per salvarli,
per riportarli a casa con un semplice schioccare di dita. Non avevano
che le
loro stesse forze su cui fare affidamento, e lei ora non ne aveva
più. Si
lasciò crollare con un’imprecazione mormorata a
denti stretti, una silenziosa
maledizione rivolta a sé stessa ed alla sua
stupidità, ma il suo corpo non
toccò mai terra. L’attesa dell’impatto,
delusa dalla sensazione di un paio di
braccia a stringersi attorno a sé, dalla sicurezza di un
calore quanto più
familiare ad infrangersi contro la pelle ed il cuore. Non una parola
venne
spesa da parte di Piccolo, non un solo accenno di conforto, ma un paio
d’occhi
fissi in un punto indefinito in quel orizzonte orribilmente infinito;
mentre la
sua aura continuava ad aumentare vertiginosamente, minuto dopo minuto.
E lei,
sapeva perfettamente cosa significasse quel silenzio, quello sguardo,
cosa si
celasse dietro quella calma calcolatrice, dietro quella traccia
immortale della
freddezza che un tempo tanto era stata capace di inquietarla sin nel
profondo.
Piccolo aveva qualcosa in mente.
-Ho bisogno
che tu faccia una cosa per me. Ho bisogno tu
raccolga ogni briciolo rimasto della tua energia, che la tua aura si
dilati
sino allo stremo, sino a quando non sentirai il tuo corpo minacciare di
infrangersi in mille pezzi. Faremo un ultimo tentativo, e tu dovrai
essere al
mio fianco. Perché solamente unendo
le
nostre forze potremo avere anche solo qualche speranza di uscirne vivi.
Lo so,
è rischioso, e sembra il classico piano destinato a fallire
miseramente. Siamo
soli, non abbiamo fagioli senzu, e se dovessimo ridurci in fin di vita
questa
diventerebbe la nostra tomba. Ma dobbiamo tentare. Per loro.-
Gli attimi di silenzio che seguirono alle sue parole,
parvero dilatarsi in eterno. Paura, determinazione, disperazione, speranza, fuse assieme in
una continua
tensione, tanto violenta da procurare quasi un dolore fisico. Tanto da
lacerare
l’anima.
-In fondo, rischieremmo di morire
comunque.-
La stretta delle braccia di lui si sciolse lentamente,
quasi con cautela, assicurandosi che la compagna fosse in grado di
reggersi
sulle proprie gambe prima di portarsi al suo fianco. Prima di lasciare
le aure
di entrambe libere di esplodere e divampare in tutta la propria forza,
quasi al
limite della disperazione. Solo un’ultima esitazione prima di
sferrare il colpo
finale, solo pochi secondi di umana debolezza nell’abbraccio
che vide le loro
mani unirsi. Le
dita dell’una morbidamente
intrecciate attorno a quelle dell’altro, in una carezza che
non ebbe necessità
di parole alcune. Mormorarsi un “andrà tutto bene,
non preoccuparti” senza
doversi affidare alla voce ed al suo tremore, ricercare e trovare
nell’altro la
forza necessaria per un ultimo atto di coraggio. Il tempo di un respiro
più
profondo, nulla di più, ed un fascio di pura energia esplose
dalle loro mani
tese, pronto a divorare il freddo candore che ancora li circondava.
Dardo insaziabile
che squarciò violento l’atmosfera, rubando loro
solamente altri secondi d’ansiosa
attesa, prima che un varco si aprisse davanti ai loro occhi increduli.
Dilatandosi pian piano, a fatica, sino a creare lo spazio necessario a
permettere il passaggio di una persona adulta. E non ebbero bisogno che
di
scambiarsi un fulmineo sguardo d’intesa, prima di lanciarsi
insieme in
direzione della voragine, ancora l’uno accanto
all’altra, ancora uniti. L’ultimo,
disperato sforzo, l’ultimo barlume d’energia,
per lanciarsi verso l’ignoto senza mai guardarsi
indietro, per svanire
in un lampo di luce bianca poco prima che il varco si richiudesse
dietro di
essi.
_______
-Riconosco questo luogo. Lo
riconosco, eppure continuo ad
avere una brutta sensazione.-
-Come se qualcosa non quadrasse.-
Tutt’intorno flebili se non inesistenti tracce di passata
presenza umana, sottili strati di polvere lungo la superficie di teloni
bianchi
a coprire quelli che ad un primo, rapido esame visivo, risultarono non
essere
altro che macchinari da tempo inutilizzati. Non più
l’odore penetrante di fumo
e carne bruciata ad appestare le narici, non un solo detrito ad
ostacolare i
loro passi, nessuna facciata dell’edificio spazzata via da
violente esplosioni.
La Asimov Tech. sembrava essere rinata e sepolta nel giro di poche ore,
totalmente ripulita da qualunque prova, da qualsiasi traccia che avesse
potuto
anche solo rimandare al disastro consumatosi tra quelle mura.
Com’era
possibile, cancellare e dimenticare una simile tragedia in
così poco tempo? Chi
mai sarebbe stato capace di una simile ingenuità?
Il silenzio tombale regnante venne spezzato da
un’imprecazione
soffocata di Sherin, mentre gli occhi di Piccolo continuavano ad
esaminare
attenti ciò che li circondava, registrando immediatamente
ogni nuovo dettaglio,
ogni minimo particolare; mentre la mente cercava di incastrare ogni
singolo
tassello di un puzzle ben più complicato di quanto avessero
creduto. Un dito
fatto scorrere lungo la plastica ingrigita di un telo, inoltre,
rivelò uno
strato di polvere più spesso e stratificato di quanto
intuito in un primo
momento, indizio freddamente rivelatore dello scorrere del tempo.
Quanto era
realmente accaduto, durante la lor assenza? Quanto tempo era passato,
durante
il loro “esilio” nel varco spazio-temporale?
-Piccolo!
Vieni qui, presto!-
La voce di Sherin giunse un poco distante alle sue
orecchie, la figura della donna perfettamente visibile nonostante
avesse raggiunto
–ed infranto con un calcio- una delle vetrate superiori, per
affacciarsi al
mondo esterno. Pochi attimi e fu nuovamente al suo fianco. Pochi attimi
ed una
nuova, inquietante consapevolezza iniziò a farsi strada in
loro; il gelo nelle
ossa ed il pavimento improvvisamente instabile sotto i piedi.
La città aveva mutato aspetto. Non radicalmente, certo,
ma sarebbe stato impossibile non accorgersi del maggior numero di
grattacieli,
della modernità più o meno lussuosa delle case,
dei modelli d’auto mai visti
prima percorrere le
strade sotto di
loro. Attorno al perimetro del laboratorio, invece, era stato eretto un
lungo,
alto recinto di sbarramento in filo spinato, così da
impedire l’accesso alla
zona a chiunque potesse essere tentato di sbirciare
all’interno dell’edificio.
Non fu necessario voltarsi verso la compagna, per percepire la sottile
ansia
crescerle sottopelle, insinuarsi nella sua voce e nel ritmo dei suoi
respiri,
nell’ombra scura che le calò sullo sguardo. In
loro assenza, il tempo aveva
continuato imperterrito la propria corsa, e non avrebbero
più potuto ignorare
quell’assurda verità. L’unico dubbio
ancora da sciogliere, quanto
esattamente.
-Dobbiamo
trovare Bulma.
_______
-Vuoi che lo faccia io?-
-No, non preoccuparti. Sto bene, è solo che ho paura.-
-Di che cosa?-
-Di quello che potremmo trovare al di là di questa
porta.-
La Capsule Corporation non aveva subito alcun
cambiamento, almeno non a giudicare dal suo aspetto esteriore. Al di la
dell’ingresso
principale era possibile udire il vociare ed il movimento al suo
interno, che
si trattasse di membri del personale quanto di elementi della stessa
famiglia
Briefs, ognuno di essi impegnato con la propria vita, ignaro di chi
stesse
attendendo solamente a pochi metri di distanza. Se solo avessero preso
coraggio, se avessero finalmente rivelato la loro presenza, chi
avrebbero
trovato ad accoglierli? Tormentata dal dubbio, dal timore di vedere le
poche
certezze ancora rimastele infrangersi per l’ultima volta,
Sherin rimase
immobile, incapace di compiere anche il gesto più semplice.
-Al diavolo.-
Con uno scatto, il dito indice di Piccolo premette più
volte contro il pulsante del citofono, lo stesso vecchio modello che la
famiglia
Briefs per tanti anni si era sempre rifiutata di rottamare per uno
più
efficiente e moderno. Un ricordo piacevole, tenero, che per qualche
istante
lasciò indugiare un debole sorriso lungo le labbra della
donna. Sorriso che si
congelò lentamente sul viso, quando finalmente la porta
venne aperta.
Davanti a loro una ragazza di circa sedici o diciassette
anni, il corpo dalle forme ancora un poco acerbe costretto dentro un
completo
scarlatto forse un po’ troppo aderente per la sua
età, le labbra prive di
rossetto curvate appena in un’espressione di totale
disinteresse. Non si
preoccupò minimamente di spezzare l’imbarazzato
silenzio calato non appena gli
sguardi dei due stranieri si erano posati su di lei, né di
smettere di gonfiare
e far scoppiare subito dopo bolle di chewing-gum di discrete
dimensioni. Gomma
rosa, capelli turchini.
-Mamma! Ci sono due tizi strambi
alla porta, secondo me
non parlano nemmeno la nostra lingua. Chiama papà, io non
voglio averci nulla a
che fare.-
Detto ciò si allontanò verso l’interno
dell’edificio,
senza una sola parola di commiato se non una linguaccia irriverente ed
una
scrollata di spalle, provocazioni che normalmente avrebbero irritato
entrambi
ma che passarono totalmente inosservati; spazzati via dalla disarmante
confusione che aveva impedito loro di pronunciare anche solo una
parola.
Incapaci di entrare, incapaci di tornare indietro, come impietriti
davanti ad
un luogo un tempo così familiare ed ora così
sconosciuto, quasi estraneo alla
memoria dell’istinto.
Non dovettero attendere a lungo prima di udire il rumore
leggero ed appena percettibile di nuovi passi, diversi da quelli che
poco prima
li avevano preceduti. Passi lenti, misurati, stanchi. Stanchi come le
ombre
scure sotto palpebre segnate delicatamente dal tocco leggero delle
prime rughe,
sottili e discrete come quelle ad incorniciare gli angoli
d’una bocca
morbidamente stretta attorno al filtro candido di una sigaretta ancora
spenta.
La donna teneva gli occhi bassi, chini ed attenti sul blocchetto fitto
di
appunti a pena stretto tra le dita di una mano, mentre le dita
dell’altra
continuavano a giocherellare con un accendino in plastica colorata. Il
blocchetto sparì in una tasca del camice e la fiamma
dell’accendino iniziava
già ad attecchire all’estremità della
sigaretta, quando lo sguardo di lei si
decise finalmente a sollevarsi per affrontare i due visitatori. Aveva
già
scacciato non pochi seccatori dall’inizio della giornata, e
di certo non
avrebbe riservato un trattamento di favore agli ennesimi rompiscatole
venuti a
bussare alla sua porta. Il congedo frettoloso già pronto
sulla punta della
lingua, tuttavia, parve spegnersi in gola non appena la memoria, la
consapevolezza, i ricordi si abbatterono su di lei come un fiume in
piena;
spazzando via tutto ciò che incontrarono lungo il loro
cammino.
Appena il tempo di mormorare un
“mio dio” strozzato, e le
gambe di Bulma cedettero improvvisamente sotto il peso del suo corpo,
senza che
la sua vecchia amica potesse soccorrerla in tempo.
_______
Il silenzio era diventato ormai di
rito, in quel giorno
surreale.
Tra le mura del salotto di casa Briefs, pesante ed
insostenibile come un macigno a pesare sul petto di ognuno dei
presenti, mentre
il posacenere in vetro sistemato sul tavolino continuava a riempirsi di
mozziconi di sigarette. Bulma già alla quarta da quando era
riuscita a
riprendere i sensi, Sherin alla prima dopo anni e ben sapendo quanto
Piccolo ne
detestasse il solo odore. Per quel giorno, però, entrambi
vollero concedersi il
beneficio di un’eccezione. Nessuno di loro ancora in grado di
parlare, di
chiedere o di dare spiegazioni, tutti e tre troppo stanchi per
indulgere nella
gioia di essersi ritrovati.
-Vi avevamo
dati per dispersi. Vi avevamo dati per morti.
Abbiamo aspettato sino allo stremo prima di rassegnarci ed accettare la
realtà,
e vi assicuro non ci sia stato un solo giorno in cui io non abbia visto
Gohan
sull’orlo delle lacrime. Anche ora avrei voglia di pizzicarmi
un braccio, perché
troppe volte mi sono svegliata in questo preciso istante per riuscire a
credere
di non stare sognando.-
Ancora silenzio, ancora dolore. Sherin spense con un
gesto secco nel fondo del posacenere ciò che ancora rimaneva
della sua
sigaretta, le labbra contratte in una linea dura, sofferente, il cuore
lacerato
dai sensi di colpa. Era stato un incidente, una fatalità al
di fuori del loro
controllo, e chiunque tra i presenti in quella stanza era perfettamente
consapevole che, se doveva essere trovato un responsabile, altri non
era che
quel folle ragazzino reso imprevedibile da una mutazione genetica. Come
se si
fosse ricordata soltanto in quel momento della sua esistenza, Sherin
sollevò di
scatto il viso in direzione dell’amica.
-Che fine ha fatto Julius?-
La sua domanda non ricevette mai risposta. Bulma distolse
lo sguardo, fragile come mai Sherin l’avesse vista, lasciando
che il silenzio
inghiottisse ciò per cui ancora non aveva la forza
sufficiente a dilungarsi in
spiegazioni. Almeno per il momento.
-C’è
una cosa che dovete vedere, tutti e due.-
_______
Lo schermo a cristalli liquidi,
ampio quasi quanto la
parete adiacente, fu probabilmente la prima cosa che catturò
la loro attenzione
non appena entrati nel laboratorio principale. Forse un ultimo modello
acquisito
di recente e da Bulma tenuto ben protetto dalle zampacce indelicate di
suo
marito, a giudicare da quanto appariva lucido e ben tenuto. Una volta
davanti
al palmare di controllo, Bulma sembrò perdere in un solo
istante tutta la
sicurezza faticosamente racimolata solamente qualche minuto prima: le
spalle
scosse da un lieve fremito, lo sguardo perso in chissà quali
riflessioni, così
fragile e smarrita dentro quel camice da uomo. Sherin mosse un primo
passo
nella sua direzione, incerta se dire qualcosa o soltanto abbracciarla,
stringerla forte a sé per assicurarla che no, non si
trattava di un sogno, e
che non avrebbe dovuto sopportare il dolore di un improvviso risveglio
nella
realtà. Prima che potesse compiere un qualsiasi gesto le
dita dell’amica
presero a muoversi lungo lo schermo del palmare, digitando codici,
aprendo
cartelle, sino a quando la schermata principale non mutò in
un uniforme
quadrante neutro.
Una, due, tre, quattro.
Una dopo l’altra, immagini di diverse dimensioni vennero
proiettate a formare un irregolare mosaico di momenti catturati
dall’obiettivo
di una diligente macchina fotografica. Nell’arco di una sola
manciata di
secondi diciotto anni di vita sbocciarono silenziosi davanti ai loro
occhi, inarrestabili,
narrati da fotogrammi belli e dolorosi come una stretta mortale al
cuore.
Diciotto anni negati da un solo gesto crudele ed egoista, diciotto anni
persi
per sempre e consegnati loro dalla generosa magnanimità di
chi invece era
rimasto. Di chi aveva avuto la possibilità di viverli anche
per chi non avrebbe
desiderato altro che esserne parte a sua volta. L’ultima foto
apparve al centro
esatto dello schermo, tanto grande da occuparne quasi una buona
metà. Il tempo
di un respiro, nulla di più, e nell’assordante
silenzio del laboratorio risuonò
chiaro e straziante il pianto soffocato di Sherin, solo una mano
premuta contro
la bocca a soffocarne i singhiozzi.
Un ragazzo
di nemmeno diciott’anni sorrideva timidamente,
seduto a gambe incrociate sulla riva di un lago, i grandi occhi
traslucidi
socchiusi appena e fissi verso l’obiettivo, verso chiunque
avesse scattato
quella fotografia; i lunghi capelli neri stretti in una treccia tanto
lunga da
sfiorare il centro della schiena.
Nel suo sorriso, non una sola traccia di dolore.
____________________
Grazie
per aver aspettato, chiunque abbia avuto la pazienza di farlo.
|
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Capitolo 27 *** I walked with you once upon a dream. ***
Un anno
prima.
Al di là del vetro, le stelle brillavano silenziose.
Innumerevoli, luminose, del tutto incuranti delle persone
che continuavano a muoversi, respirare, vivere all’interno
della Base 2. Un
luogo intracciabile ed invisibile ad ogni radar, un quartier generale
che da
anni operava celato nell’ombra, cuore pulsante di
un’organizzazione che mai
aveva avuto intenzione di scendere a patti con l’ordine
interstellare. Una Base
più simile ad un nascondiglio preparato e pronto per ogni
emergenza, costruito
sul terreno aspro e sterile di un pianeta una volta florido e popolato.
il
piano B dove, diciotto anni prima, la Poison Corporation era strisciata
a
leccarsi le ferite.
Lei lo odiava, con tutto il suo cuore. Odiava quella
prigione di mura, metallo e disciplina militare, odiava i rigorosi
controlli
medici ai quali il suo corpo veniva regolarmente sottoposto, odiava la
viscida
ed onnipresente consapevolezza di non essere altro che
l’ultimo gioiello del dottor
Colfen. la nuova punta di diamante della sua corona, la
“creatura” che per
diciotto lunghi anni aveva cresciuto e studiato come una bestia rara,
come
un’arma dalle infinite potenzialità.
Più di ogni altra cosa, il suo animo era affranto dal
fatto di non aver mai avuto alcuna possibilità di scoprire
cosa si nascondesse
tra quella infinita distesa di stelle.
Di stelle parlavano i libri allineati sull’unico comodino
della sua stanza, di stelle parevano fatti i suoi occhi: due pozzi
traslucidi
dal colore indefinito, perle cangianti che solamente nei momenti di
rabbia
s’incendiavano nel rosso più violento e vivo; come
se vi fosse fuoco ad ardere
al di là di essi. Quella notte, negli occhi di lei non vi
era altro che apatia.
Una mollezza dell’animo che da mesi ormai si era fatta strada
dentro di lei,
consumandola dall’interno senza che la giovane avesse voglia
alcuna di trovare
antidoto contro quel silenzioso veleno. Presto o tardi sarebbe giunto a
corroderla sino alle ossa, sino a disintegrarle l’animo
stesso, sino a renderla
un mero guscio senza più nessuna fiamma a bruciare nel
cuore. Ne era
perfettamente consapevole. Consapevole di non avere altra scelta.
«Tutti
i soldati dello squadrone 070 raggiungano
immediatamente la piattaforma di decollo, navicella B13-204. Tutti i
soldati
dello squadrone…»
La
sigaretta venne schiacciata nel fondo del posacenere,
lentamente, il fumo soffiato via dalle narici in sottili nubi opache.
Squadrone
070, milizie speciali da combattimento corpo a corpo, utilizzate
specificamente
in missioni di attacco e sottomissione di pianeti relativamente
inferiori in
fatto di tecnologie e difesa. Namecc, secondo le statistiche
dell’intelligence
strategica, rientrava ancora in quella sparuta categoria.
L’incidente di
diciotto anni prima, come usava ripetere il Dottore più a
sé stesso che a chi
aveva attorno in quel momento, nient’altro che uno spiacevole
contrattempo
causato unicamente da elementi terzi ed estranei. Ad onor del vero, un
incidente costato la vita a quasi un intero squadrone
d’assalto, e portato a
compimento da un esiguo gruppo di combattenti che mai più
aveva fatto la sua
ricomparsa al cospetto della Poison Corporation. Sin da quando aveva
memoria,
l’argomento aveva sempre rappresentato un tabù
intoccabile, un silenzio
glaciale in risposta a qualsiasi domanda in proposito venisse rivolta
al
Dottore. Nessuna informazione, nemmeno il dettaglio più
misero, un solo indizio
che avesse potuto saziare la verace curiosità che sin dai
primi anni era
esplosa in lei. Curiosità perennemente insoddisfatta dai
numerosi segreti della
Corporation.
-Non sei
ancora pronta, Fire?-
Impossibile riportare alla memoria il giorno esatto in
cui diventò un’abitudine consolidata, il suo
apparire dal nulla come un
fantasma, emergendo dalle ombre come se vi si fosse appostato in
attesa, senza
palesare in alcun modo la sua presenza.
-Avrei preferito avere tra le mani il fascicolo della
missione, prima di imbarcarmi ad occhi chiusi.-
-Ne hai mai avuto bisogno, ragazza mia? Gli assassini
come te non hanno motivo di conoscere noiosi dettagli tecnici, per
portare a
termine il loro lavoro. C’è forse una ragione,
perché questa volta debba essere
diverso?-
Se non l’avesse vista crescere coi suoi stessi occhi,
sarebbe rimasto spiazzato, quanto meno inquietato dal sorriso che la
giovane
gli rivolse subito dopo: un bagliore freddo e spietato di canini
appuntiti,
scoperti appena da un paio di labbra piccole e piene che raramente si
tendevano
in sorrisi che non fossero di velata minaccia. Il ghigno di una
leonessa
davanti ad una preda ancora ignara del proprio destino.
-Domani è il mio compleanno, Dottore. Perché non
fare un
piccolo regalo al tuo mostro preferito?-
Quando vide la mano dell’uomo sollevarsi in direzione del
suo viso quasi arretrò d’istinto, non aspettandosi
affatto la carezza che le
sfiorò la pelle d’una guancia. Un gesto quasi
gentile, come paterno, che invece
d’instillare in lei un senso di protezione la
portò invece a scostarsi di
scatto; incerta su come dover reagire.
-Namecc
è un pianeta totalmente vergine dal punto di
vista industriale e tecnologico. Essenzialmente rurale, oserei dire
ancora
primitivo se paragonato ad altre civiltà di questa galassia.
Per questa ragione
le sue risorse naturali possono ancora essere sfruttate appieno, e
credo sia un
vero e proprio crimine lasciare tanta ricchezza nelle mani ignoranti di
un
branco di coltivatori e guerrieri a mani nude.-
-Sarà sufficiente, uno squadrone di soli venti soldati?-
-Questa volta, non ci saranno spiacevoli imprevisti. Questa
volta, abbiamo un asso nella manica.-
Le dita del professor Colfen percorsero pigramente il
viso della ragazza sino a soffermarsi sotto il mento, sollevandolo con
delicatezza in modo che gli occhi cangianti di lei potessero portarsi
al suo
livello. Così tanta potenza, racchiusa in un corpo esile
come quello di una
bambina, spigoloso ed acerbo, temprato dagli allenamenti militari ai
quali era
stata sottoposta appena entrata nella pubertà.
Pubertà che col passare del
tempo aveva reso sempre più arduo tenerla lontano da
attenzioni indesiderate,
dall’idea strisciante e sempre più allettante agli
occhi di non pochi ufficiali
di riservarla mansioni ben più piacevoli e lascive. Questo
non lo avrebbe mai
permesso, finchè avesse avuto vita a scorrergli in corpo.
Non dopo aver visto
coi suoi stessi occhi la potenza distruttrice scatenata ogni qual volta
la
giovane arrivava a perdere del tutto il controllo, la belva feroce in
grado di
lasciare terra bruciata dietro di sé se costretta ad
oltrepassare i limiti del
proprio equilibrio fisico e mentale. Un angelo trasfigurato in un
demone dagli
occhi rossi come il sangue, come le fiamme dell’inferno. Una
vista sufficiente
a far tremare come bambini impauriti anche i mercenari più
esperti.
Ancora una carezza, mentre le dita callose dell’uomo si
mossero ad affondare nella chioma che le incorniciava il volto
innaturalmente
pallido, capelli d’un viola così intenso e vivido
da rendere il suo apsetto
ancora più etereo.
-Rendimi
fiero di te.-
______________________
Quell’anno,
gli alberi di agisa erano
fioriti in anticipo.
Il profumo dei fiori purpurei era così intenso ed
inebriante da annichilire i sensi, da instillare in ogni abitante del
villaggio
umori così gioiosi e carichi di vita che ben sarebbe stato
difficile riuscire a
reprimere in favore delle solite attività di agricoltura ed
allenamento.
Di fiori, erano costellati i suoi capelli. Boccioli
schiusi da poco i cui gambi erano stati annodati attorno alle ciocche
corvine
da una decina di piccole mani, con enorme divertimento del piccolo
gruppo di
bambini che gli sedeva intorno. Solitamente raccolti in una treccia,
quel
mattino i suoi capelli erano stati lasciati liberi di ricadergli lungo
le
spalle e la schiena in tutta l loro lunghezza, sino a sfiorare le gambe
morbidamente piegate nella posizione del loto. Ogni adulto del
villaggio era
impegnato nei compiti più svariati, ognuno di essi diretto
ai festeggiamenti
per la stagione della fioritura, e per quel giorno momentaneamente
sollevati
dal dovere di sorvegliare i propri figli. In simili occasioni, era Kaim
ad
occuparsi di loro. Lui, che di figli non ne aveva mai avuti, lui che
aveva
visto tutti i suoi sforzi per espellere un uovo dalla bocca culminare
irrimediabilmente in poco aggraziati crisi di tosse. Nonostante il
conforto di
suo padre, il tatto di suo fratello maggiore e l’amore
incondizionato dei due
figli di questi nei suoi confronti, la consapevolezza della propria
sterilità
continuava a pesargli sul cuore come il più pesante dei
macigni. Soltanto in
parte il compito affidatogli anni prima dal capo del villaggio, Moori,
aveva
reso quella sofferenza dell’animo più
sopportabile: badare ai figli degli
altri, lui che di propri non ne avrebbe avuti mai. Il fato sapeva
rivelarsi
benevolmente beffardo.
Il primogenito di suo fratello, Taro,
era ancora intento a pettinare alcune ciocche
ancora prive di fiori quando, improvvisamente, un flebile ed invisibile
campanello d’allarme risuonò nelle coscienze di
ogni abitante del villaggio,
come una freccia scoccata verso i meandri più primordiali
della mente. Gli fu
sufficiente sollevare lo sguardo e guardarsi attorno, per vedere la
medesima
intuizione farsi strada sul volto dei propri compagni, nelle loro
espressioni
differenti gradi di preoccupazione ed apprensione. Le stesse che vide
tingersi
d’ansia negli occhi di suo fratello, accorso in volo soltanto
pochi istanti
prima.
-Raduna i
bambini e nascondili, più in fretta che puoi.
Nascondetevi in una delle capanne ai limiti del villaggio, e non uscite
di lì
per nessun motivo.- le parole uscirono dalle sue labbra più
duramente di quanto
avesse voluto, e fu in moto di debolezza che distolse lo sguardo dal
viso di
Kaim, visibilmente punto sul vivo e pronto a ribellarsi al comando del
fratello
maggiore.
-Lasciami venire con voi, per favore. Sono stanco di
rimanere di in disparte, di restare ai margini lasciando che siano
sempre gli
altri a proteggermi, ogni singola volta. Se mi permetteste …-
-Se ti permettessimo di lasciarci la pelle, Kaim?- questa
volta, un vero e proprio ringhio di frustrazione, le labbra tese a
mostrare i
canini in un’espressione ora speculare a quella disegnatasi
sul volto del più
giovane. –Perché sappi che non ho la minima
intenzione di lasciare che qualcuno
ti faccia del male, né di lasciarti correre in mezzo ai guai
e rimanerci secco.
Perché non lo capisci, maledizione? Resta con i bambini,
trovate un posto
sicuro, e non allontanatevi. Mi fido di te.-
La protesta di Kaim venne soffocata da un’esclamazione
rabbiosa nel vedere Alaet volare via senza aggiungere altro, senza
concedergli
anche solo il tempo sufficiente a rincorrerlo, tentare di fargli
cambiare idea.
La razionalità, rapidamente, esiliò in un angolo
del cuore risentimento e
frustrazione, e fu con voce ferma e gesti decisi che convinse tutti i
bambini a
seguirlo all’interno della capanna di Moori. Lui ed Alaet
avrebbero risolto in
un secondo momento le loro divergenze, e di certo non avrebbe permesso
al
proprio desiderio di rivalsa di distogliere la sua attenzione da quello
che era
il suo principale compito: proteggere i figli dei propri compagni, a
qualunque
costo.
-Che
succede? Perché dobbiamo nasconderci?-
Taro aveva stretto i piccoli pugni attorno al ruvido
cotone dei suoi pantaloni, tirandolo dolcemente verso di sé,
gli occhi
spalancati e visibilmente spaventati nonostante il suo visetto fosse
teso nel
tentativo di apparire quanto più coraggioso possibile agli
occhi dello zio. E
Kaim potè scorgere tutta la tempra di suo fratello, in
quegli occhi brucianti
di vita, nell’attenzione con cui il piccolo prese a scrutare
al di là della
finestra, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse aiutarlo a
comprendere.
A sole poche centinaia di metri, pulsanti e sconosciute,
vibravano decine e decine di aure, concentrate in un singolo punto
della radura
erbosa. Una situazione che gli era stato insegnato essere
potenzialmente
pericolosa, soprattutto quando la memoria del popolo namecciano portava
ancora
fresche le ferite degli attacchi che la loro terra aveva dovuto
sopportare
negli ultimi vent’anni. Una navicella sconosciuta ed
inaspettata non si sarebbe
mai rivelata portatrice di buone notizie.
-Perché
ho promesso di proteggervi.-
______________________
Il casco rinforzato giaceva abbandonato sopra un quadro
comandi, dimenticato nello stesso momento in cui l’attenzione
della ragazza era
stata catturata dal movimento rapido e concitato attorno ad una singola
capanna;
dettaglio interessante ed in deciso contrasto col violento scontro
esploso a
soli pochi metri dalla navicella. Assieme a lei nella torretta
d’osservazione
soltanto un soldato semplice, momentaneamente impegnato ad assicurare
le ultime
protezioni alla tuta militare di lei e del tutto disinteressato a
ciò che gli
occhi della giovane non erano invece capaci di abbandonare. Fu
sufficiente
aumentare lo zoom di precisione del binocolo termico per inquadrare
alla
perfezione uno sparuto gruppo di piccole figure –bambini,
molto probabilmente-
radunate attorno a quello che, a prima vista, le apparve come un
esemplare
adulto. Aure di calore tendenti al rosso nei corpi più
piccoli, forse a causa della
paura, e di un arancione appena più intenso
nell’uomo che aveva appena iniziato
a muovere qualche passo in direzione della porta chiusa. Le labbra di
Fire si
tesero in un ghigno deliziato, tutto il suo corpo teso
nell’attesa di vedere
quale sarebbe stata la sua mossa, di assistere all’ennesimo
guerriero deciso ad
ingaggiare una lotta all’ultimo sangue pur di difendere il
suo popolo. Ghigno
che si raggelò e s’infranse appena pochi istanti
dopo, quando una figura fece
timidamente capolino dall’uscio della capanna, guardandosi
attorno con
circospezione prima di muovere i primi passi all’esterno. Le
dita della ragazza
si mossero fulminee verso il pulsante d’annullamento della
modalità notturna,
lasciando che il filtro del binocolo mostrasse con quanta
più chiarezza il viso
del namecciano che, ora, aveva puntato lo sguardo in direzione della
torre di
controllo. Come se si fosse accorto della sua presenza, come se quel
paio
d’occhi traslucidi volessero penetrare in lei per
scandagliarne l’animo da cima
a fondo. Occhi tanto simili ai suoi da lasciarla senza fiato e
stringerle lo
stomaco in una morsa, mentre l’irritazione cocente per quello
sprazzo d’umana
debolezza iniziava già a farsi strada dentro di lei.
Irritazione verso sé
stessa, verso quel namecciano dal viso così bello da
smorzarle il respiro in
gola, da farla irrigidire nella sua stessa posizione senza essere in
grado di
reagire nell’immediato.
-Al
diavolo.-
Decise d’ignorare la morsa che ancora le attanagliava le
visceri, almeno per il momento, prima di scattare i direzione del
tavolo al
centro della stanza, ove un mitra d’assalto ed un paio di
pugnali gemelli per
il combattimento corpo a corpo erano stati preparati appositamente per
lei.
Solo questi ultimi, però, vennero assicurati alla sua
cintura, mentre l’arma a
ripetizione non venne degnata del minimo sguardo. Con simili aggeggi,
d’altronde, non era mai stata in grado di stringere buoni
rapporti, non quando
tutta la sua forza risiedeva nel combattimento corpo a corpo, con
l’adrenalina
che solamente un’arma da taglio riusciva a farle esplodere in
corpo. I lunghi
capelli violacei vennero costretti all’interno di un casco
d’assalto, nero come
la pece, il taglio felino dei suoi occhi celato dal vetro spesso della
visiera
rinforzata.
Un’ombra di kevlar e lame affilate, uno
spettro che scivolò lungo un’ala della
stessa navicella prima di piovere sopra i suoi nemici. Colpendo senza
uccidere,
non ancora, indugiando anzi nei lamenti di dolore che la violenza dei
suoi
colpi inflisse ad uno, due, tre guerrieri; lasciando che altri
ringhiassero di
rabbia nel vedersi incapaci di afferrare quel soldato dal volto coperto
che con
tanta agilità riuscì a schivare i raggi di pura
energia che le scagliarono
contro. Uno solo di essi le sfiorò il fianco senza
però penetrare la barriera
del kevlar, senza nemmeno essere in grado di attirare la sua
attenzione.
Fredda, disinteressata ai corpi dei propri compagni ammassati a terra,
oltrepassandoli con balzi felini come se non fossero altro che meri
ostacoli ad
intralciare il suo cammino. La pietà non poteva essere messa
in conto, durante
una missione. Non per lei, non per l’arma nella quale era
stata forgiata.
Il suo compito, oramai totalmente dimenticato: i
guerrieri più forti del villaggio non sarebbero stati
attaccati, non da lei,
non quel giorno, non quando ogni fibra del suo essere era in completa
tensione
verso quella singola capanna, verso un paio d’occhi che non
avevano mai smesso
di attirarla a sé come il più potente dei virus.
E potè scorgere le traditrici
vibrazioni del terrore, in quei due pozzi cangianti, abisso nel quale
si
sarebbe volentieri immersa se un namecciano non si fosse scagliato su
di lei;
gettandola a terra con un solo calcio ben mirato all’altezza
dello sterno.
Fu il tronco di un albero d’Agisa ad accogliere lo
schianto del corpo della giovane contro di esso, incrinatosi appena
sotto il
suo peso, mentre dalle labbra della donna fuoriuscirono smorzate
maledizioni
che , fortunatamente, nessuno dei presenti fu in grado di comprendere o
quanto
meno di udire.
-Kaim,
torna dentro! Immediatamente!-
Ancora una volta, il ragazzo non fece in tempo a
rispondere agli ordini del fratello maggiore, raggelato nel vedere coi
suoi
stessi occhi la lama di un pugnale conficcarsi con un rumore secco in
una gamba
di questi. Con un urlo, Alaet afferrò il manico
dell’arma per strapparla via,
mentre dalla ferita aperta iniziò immediatamente a colare un
generoso fiotto di
sangue. Kaim si affidò all’istinto. In un solo
battito di ciglia fu accanto al
fratello, ogni grammo della poca magia che in diciotto anni era
riuscito ad
imparare e controllare concentrato nella punta delle sue dita, nella
luce
dorata che immediatamente avvolse la coscia dell’altro,
cicatrizzando il taglio
quanto più rapidamente possibile. Fire, nel frattempo,
muoveva un passo dopo
l’altro in direzione dei due fratelli con una calma quasi
innaturale,
terrificante, il casco che ancora indossava perfetto nel nascondere
quella che
doveva essere l’espressione del suo viso. Fu quella calma
calcolata, la
freddezza con la quale una mano dell’assassina stringeva
già il manico del
secondo pugnale, a raggelare le membra di Kaim, ad instillare in lui un
terrore
che mai aveva provato prima. Pietrificato, sordo all’ennesimo
richiamo del
fratello, il ragazzo non potè far altro che rimanere a
guardare, mentre
quest’ultimo si scagliò ancora una volta in
direzione del suo avversario, di
quello straniero dal volto coperto al quale Kaim non era ancora in
grado di
dare definizione alcuna. Il taglio e le forme della tuta in kevlar,
delle
protezioni rinforzate, la segretezza del casco integrale, perfetti
dettagli di
un quadro completo che non gli permisero in alcun modo di capire se si
trattasse di un uomo o di una donna. Non che la cosa rivestisse molta
importanza ai suoi occhi, non quando tra questi ed Alaet era esplosa
una lotta
senza esclusione di colpi.
Dove mancava di forza fisica e massa muscolare, Fire
riusciva a recuperare in velocità e rapidità di
riflessi, schivando gli
attacchi del suo avversario quanto più possibile, sebbene
questi fosse
abbastanza forte da renderle il compito ben più difficile
del previsto. Lo
aveva sottovalutato? Forse, ma quell’imprevisto non fece
altro che aumentare
l’adrenalina che già le scorreva in corpo,
rendendola sempre più decisa a
sconfiggere una volta per tutte l’uomo che ancora riusciva a
tenerla lontana
dall’unico oggetto del proprio interesse. Dal ragazzo dalla
pelle d’un verde
più pallido rispetto ai suoi compagni, da quegli occhi
così simili ai suoi e
capelli tanto lunghi e folti da ricordarle le creature che popolavano
le favole
di quand’era bambina, i racconti che il Dottore usava
raccontarle prima di
andare a dormire.
Un urlo di dolore, un colpo più preciso dei precedenti.
Kaim vide suo fratello crollare a terra, una mano tremante a premere
contro il
fianco destro, troppo stremato e debole per rialzarsi e continuare a
combattere. Fire a soli pochi passi da lui, entrambi i pugnali stretti
tra le
dita, il petto ansimante a tradire la spossatezza e le ferite che
anch’essa
aveva riportato nel combattimento. Le sarebbe bastato così
poco, un solo colpo,
per mettere fine a quella triste visione. Un solo colpo, e nulla di
più.
Quel colpo,
non giunse mai.
La ragazza ebbe appena il tempo di udire l’urlo di rabbia
provenire alle sue spalle, prima che Kaim si abbattesse su di lei come
una
furia, come una belva feroce assetata di sangue, di vendetta. I tratti
delicati
del suo volto tesi e contratti in un’espressione di pura
furia, le unghie
appuntite usate come lame per graffiare, strappare, ferire quanto
più
possibile, infilandosi negli strappi della tuta scura per tentare di
penetrare
sino nella carne. I pugnali volarono via, sbalzati lontano
dall’impatto dei due
corpi contro il terreno, mentre le urla di entrambi squarciavano
l’aria. A soli
pochi metri di distanza Alaet osservava, impietrito e disarmato da
ciò che i
suoi occhi stavano osservando, dalla frenetica violenza con la quale
suo fratello
si era scagliato per difenderlo, dalla caparbietà con la
quale continuava ad
incassare e rispondere ad ogni colpo del suo assalitore; come se avesse
dimenticato sé stesso, come se non ricordasse più
il significato stesso della
compassione. La sicura del casco di Fire venne strappata via, e
l’elmo stesso
lanciato lontano dallo stesso Kaim, dalla sua volontà di
poter guardare negli
occhi colui, o colei, che aveva osato fare del male alla sua terra. Al
suo
popolo, alla sua famiglia.
Quel maledetto giorno, Kaim si specchiò nei suoi stessi
occhi. Vide i suoi stessi canini appuntiti scintillare rabbiosi in una
bocca
che ancora sputava insulti, il suo stesso naso in un viso
innaturalmente
pallido, ed una distesa selvaggia di capelli viola riversarsi
sull’erba tutt’intorno;
una creatura d’un altro mondo racchiusa nel corpo della
ragazza che ancora si
divincolava sotto di lui. Ma furono gli occhi, quei dannati occhi, ad
immobilizzarlo, a raggelargli l’animo ed offuscargli la
mente. Occhi uguali e
speculari ai suoi, occhi capaci di affondare dentro le sue paure ed i
suoi
abissi più profondi, per risvegliare qualunque mostro si
agitasse al loro
interno.
Una distrazione imperdonabile che la ragazza seppe
cogliere al volo, proiettandolo lontano da lei con un calcio,
approfittando
della sua confusione per scattare in direzione dei pugnali, nonostante
il suo
corpo iniziasse oramai a risentire dei colpi sopportati sino a quel
momento. Un
ultimo, disperato tentativo, spazzato via dal sottile raggio
d’energia che la
colpì ad una gamba, gettandola a terra con un grido
straziante di dolore.
Incapace di camminare, di fuggire, Fire non potè evitare il
colpo ben assestato
che la colpì alla nuca, ed il mondo tutt’attorno
si fece nero.
Alaet era di nuovo in piedi. Pallido, tremante, al limite
delle proprie energie, ma ancora vivo. E non avrebbe esitato a piantare
uno dei
pugnali nel cuore della giovane svenuta, se le mani di Kaim non si
fossero
strette attorno al suo braccio sollevato, fulminee e caritatevoli.
-Cosa
diamine stai facendo?- sibilò il più grande, gli
occhi stretti in un’espressione di pura rabbia, smorzata
appena da quella di
dolore che ancora gli contraeva il volto. Non era una ferita mortale,
ma quel
dettaglio non sarebbe di certo stato in grado di attenuare la rabbia
feroce che
ancora gli montava in corpo. –Ha tentato di uccidere
entrambi. E’ una di loro,
possibile tu non lo capisca? Dovremmo lasciarla andare via assieme ai
suoi
amichetti?-
-Se la uccidessimo, diventeremmo mostri come loro,
scenderemmo al loro stesso livello. Ce lo ha insegnato papà,
ricordi? Ogni vita
ha il suo valore, anche quella del tuo nemico. Se la uccidessi ora, ora
che non
può difendersi, diventeresti come loro. Questo, io non posso
permetterlo.-
Per pochi, terribili attimi, Kaim temette le sue parole
si fossero rivelate vane. Lentamente, il braccio del fratello si
abbassò, ed il
coltello venne gettato a terra. Come se scottasse.
-Di quello che ne sarà di lei, deciderà il capo
del
villaggio. Ma sappi, fratellino, che da oggi in poi lei sarà
una tua
responsabilità.-
Un sorriso amaro, una mano a poggiarsi sulle spalle più
esili del ragazzo.
-Dimostraci di non essere più un ragazzino che ha bisogno
di essere protetto. Dimostralo a me, e soprattutto a te stesso.-
Nell’aria,
il silenzio più assoluto. La battaglia era
finita, altro sangue era stato versato da entrambi i fronti, ed il
popolo di
Namecc avrebbe ricordato quella vittoria seppellendo altri martiri. Ed
il
sangue sembrava più scuro che mai sulla pelle diafana della
ragazza che, svenuta,
era stata abbandonata dai suoi stessi compagni in ritirata.
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So, hello
there you guys.
Ancora una volta ci ho
messo una piccola eternità ma, alla fine, ce l’ho
fatta. Un capitolo
lunghissimo, non c’è che dire, ma necessario per
voltare pagina ed immergerci
nel rapporto che si svilupperà tra Fire (che sia questo il
suo vero nome?) e
Kaim. Chissà, magari Sherin e Piccolo riusciranno finalmente
a ricongiungersi
con anche uno solo dei loro figli. No spoiler, no spoiler.
Grazie a tutti quelli che leggeranno
questo nuovo capitolo, a chi ancora si ricorda di questa storia
infinita. Se
anche uno solo si ricorderà di Behind, per me
sarà abbastanza.
See you soon.
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