Behind the sunrise

di _Bittersweettaste
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una strana bambina ***
Capitolo 3: *** Un vecchio nemico 1 ***
Capitolo 4: *** Un vecchio nemico 2 ***
Capitolo 5: *** Ombre di un passato 1 ***
Capitolo 6: *** Ombre di un passato 2 ***
Capitolo 7: *** The last fight 1 ***
Capitolo 8: *** The Last Fight 2 ***
Capitolo 9: *** Addiii ***
Capitolo 10: *** What have you inside ***
Capitolo 11: *** In fondo, oggi è San Valentino. ***
Capitolo 12: *** A new adventure 1 ***
Capitolo 13: *** A new adventure 2 ***
Capitolo 14: *** Inside a new danger 1 ***
Capitolo 15: *** Into a new danger 2 ***
Capitolo 16: *** The Greatest Pain ***
Capitolo 17: *** Running to an end and a beginning ***
Capitolo 18: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 19: *** Due differenti destini ***
Capitolo 20: *** Famiglia e nuovi guai in arrivo ***
Capitolo 21: *** Julius come guai ***
Capitolo 22: *** Incontro ***
Capitolo 23: *** It's coming a new beginning ***
Capitolo 24: *** Please, don't disappear. ***
Capitolo 25: *** Warning: two freaking years later. ***
Capitolo 26: *** Can we go back in time? ***
Capitolo 27: *** I walked with you once upon a dream. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Nonostante sia di stesura recentissima, questa storia ha come protagonista un personaggio che porto avanti ormai da cinque lunghi anni, ovvero da quando mi sono perdutamente infatuata di Dragon Ball. Come in un OAV, Sherin è un nuovo personaggio che entra nella storia e scombussola molte cose (ad esempio, l'adozione da parte del Supremo).
Che altro dire? Buona lettura.

Sherin



E' freddo. E' freddo e accanto a me non c'è nulla che possa scaldarmi. Non ricordo nulla, solo un enorme impatto ed un fragore tremendo.
La porta della navicella si è aperta con un sibilo, ed ho trovato a malapena la forza di uscire da essa.
Non ricordo il mio nome...Kahar? No, non posso chiamarmi così. Se il mio nome fosse questo, lo sentirei mio....Kahar. Perché questo nome suona così familiare?
"Mia madre".
Un pensiero clandestino si fa strada nella mia mente, lambendo appena la nebbia che l'avvolge. Quindi questo è il suo nome? Volgendo lo sguardo alla navicella, altri particolari mi tornano alla mente. Immagini, suoni...
Una donna alta, con lunghi capelli corvini ed uno sguardo gelido. Dev'essere mia madre, penso, mentre l'immagine muta. Ora ha le sembianze di un bambino. Sorride, agitando la coda nocciola in piccoli cerchi. Kaarot. Perché proprio lui? Il sole sta sorgendo e non sento più freddo. Non appena il mio sguardo coglie la navicella, un'illuminazione mi attraversa la mente. Lo schermo è ancora acceso ed è
appena visibile una piccola scritta verdastra.
Pianeta Terra. Errore numero 5938. Reale destinazione: pianeta Namecc.”
Quelle poche parole sono come un fulmine, ed i ricordi affiorano come pesci nel mare.
"Sei debole! Com'è possibile che tu non abbia la gelida spietatezza che contraddistingue tutti i sayan?"
"Il re ha deciso: verrà inviata su Namecc."
Gli occhi di mia madre, la navicella troppo stretta per una bambina della mia età, la partenza ed infine l'impatto.Tutto inizia ad avere un senso, anche se minimo.
Un rumore di passi mi fa sobbalzare. Chi mai può avventurarsi un posto desolato come questo?
Cerco di alzarmi in piedi, ma un dolore lancinante smorza sul nascere qualunque movimento. Mentre crollo a terra, la coda s'impiglia in una radice. Solo in quel momento ricordo chi sono. Sono un sayan.

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Capitolo 2
*** Una strana bambina ***


Stagliato contro il cielo turchino, l'anziano Supremo osservava la Terra dall'alto del suo Palazzo, appoggiandosi al suo fedele bastone. Pensò con una punta di rammarico alla sua giovinezza, quando poteva vivere senza l'aiuto di niente e di nessuno...Nemmeno il cielo presenta turbamento, osservò, volgendo gli occhi all'alto. Il cielo lo aveva sempre affascinato. Chissà se esistevano altre forme di vita nell'immensità della galassia, e se erano coscienti dell'esistenza della Terra. Abbracciò con lo sguardo il perimetro del suo Palazzo: le sottili file di alberi, la dura pietra del pavimento...Popo, il suo fedele assistente. Tutte cose ormai legate per sempre al suo cuore. In quel momento una piccola verità lo colse.
Ora posso definirmi felice.
Sorrise, assaporando la fresca brezza del mattino. Nulla avrebbe potuto turbare quel giorno perfetto.
All'improvviso, un scossa elettrica lo percorse.
-Popo!
Sentendosi chiamare dal suo padrone, Popo lasciò cadere l'annaffiatoio e corse verso lui.
-Signore, cosa succede? Si sente male?
Il Supremo scosse il capo, lo sguardo fisso all'orizzonte. -Dimmi, Popo, cosa c'è oltre quelle montagne?-sussurrò, indicando un punto imprecisato verso le montagne rocciose dell'Ovest.
-Nulla. E' un'area desertica, disabitata.-disse Popo, senza accorgersi del lampo che passò negli occhi del padrone.
-Aggrappati a me. Ho intenzione di recarmi laggiù.- ordinò il Supremo afferrandolo per il braccio.-Poco fa ho percepito la lenta diminuzione di un'aura.-disse, precedendo l'ovvia domanda di Popo.
-Un'aura....ma chi?- cominciò Popo, guardandosi attorno, come se il proprietario di quell'aura misteriosa potesse materializzarsi da un momento all'altro.
-Un bambino, almeno credo.-furono le ultime parole del Supremo, mentre lui e il suo assistente sparivano in un lampo di luce bianca.

Il vento batteva implacabile il duro terreno desertico, sollevando nubi di polvere. Da anni ormai tutti gli animali se n'erano andati, compresa la difficoltà nel vivervi. Il cielo terso lasciava brillare il caldo sole, che illuminava il paesaggio. Il Supremo apparve sopra un'altura, seguito dal fedele assistente.
-Popo, cerca tra quei massi. Fa' presto.-aggiunse, vedendolo partire con cautela. Il suolo costellato da sassi di varie dimensioni non rendeva facile il cammino. Popo avanzava cauto tra di essi, guardandosi attorno. Nascosta dai detriti, una sfera grande quanto una persona adulta accovacciata riluceva sotto i raggi del sole. Popo si chinò, cercando di esaminarla: l'interno imbottito, il piccolo schermo tattile, probabilmente, erano stati progettati per percorrere viaggi di lunga durata attraverso la galassia. Sullo schermo, ormai quasi fuori uso, era possibile leggere una frase, sotto il vetro incrinato.
“Pianeta Terra. Errore numero 5938. Reale destinazione: pianeta Namecc.”
-Popo! Presto, vieni qui!- chiamò il Supremo, cercando di non muovere troppo ciò che teneva tra le braccia. I lunghi capelli neri, gli zigomi rotondi e ancora lievemente rosati tradivano femminilità in quel viso infantile. Una bambina di neanche sei anni.
Il Supremo scostò qualche ciocca corvina dalla fronte pallida della bimba, quasi con affetto. Non aveva mai visto un bambino così da vicino... Così, quella creatura all'apparenza così fragile era un alieno, pensò, avvicinandosi a Popo.
-Credo sia ora di andare.-disse. Popo deglutì, gettando un ultimo sguardo alla navicella abbandonata.
-Signore...non crede che dovremmo cercare di capire chi è questa bambina, e da dove viene?
Il Supremo aggrottò la fronte e rimase in silenzio, soppesando le sue parole.
-Credo che per oggi basti così. Su, torniamo a casa.

Non abituati a così tanta luce, gli occhi della piccola extraterrestre si schiusero a fatica alla calda luce d'estate. Anche se la sua mente era ancora annebbiata, il suo istinto le suggerì di alzarsi nonostante il dolore alla gamba. Con la vista appannata si guardò attorno, cercando di comprendere dove si trovasse: un'ampia stanza candida, senza finestre e per mobile solo un'enorme letto bianco. Regnava una pace assoluta, palpabile nell'aria. Ogni ansia, ogni preoccupazione appariva insignificante al cospetto della spiritualità di quel semplice luogo.
Le sue gambe iniziarono a muoversi da sole, portando la loro proprietaria in giro per quello strano posto e, senza che se ne fosse resa conto, era giunta all'esterno.
-Sono in mezzo alle nuvole!-esclamò ingenua, incantata dall'azzurro di quel cielo.
Sì, sembrava davvero di essere sospesi nel cielo...
-Benvenuta.-disse una voce. Popo era poco lontano, intento a curare aiuole colorate.
La bimba corrugò la fronte, guardandosi attorno. -Dove mi trovo?-domandò.-Questo posto è così strano...
-Tante cose sono diverse, o strane, come hai detto tu.-osservò l'altro-Questo è il Palazzo del Supremo, il dio della Terra. Io mi chiamo Mr popo, e sono il suo assistente. Qual'è il tuo nome?- chiese, aspettando una risposta che non giunse. La bambina era rimasta in silenzio, distogliendo lo sguardo dal suo interlocutore.
-Non ricordo più il mio nome.
A quella schietta risposta Popo rimase interdetto e non aggiunse altro, lasciandola sola con i suoi pensieri.
Davanti all'entrata del suo Palazzo, il Supremo li osservava in silenzio. Quella bimba lo incuriosiva: in lei non c'erano malizia o anche un minimo segno di cattiveria, ma un'acuta intelligenza e un'aura particolare. I suoi gesti, come il semplice muovere le mani e il suo modo di camminare erano energici, ma controllati.
In quel momento, probabilmente per una frase di Popo, rise, riempendo l'aria della sua voce. Sorrise. Era un scena rinfrancante, pacifica.

-Così non ricordi il tuo nome...Che ne dici di  sceglierne uno nuovo assieme?- domandò Popo, avviandosi verso il suo padrone, seguito dalla bambina. Volse lo sguardo al Supremo, che si avvicinò, reggendosi al vecchio bastone di legno.
-Sherin- sussurrò, accarezzando la bimba con lo sguardo.-Ti piace?
-E' strano, non mi piace molto!- protestò la piccola, arricciando il labbro inferiore, in segno di disappunto. Senza aspettare un'ulteriore replica, il Supremo accennò a rientrare, consapevole che sarebbe stato trattenuto.
-Aspettate! Non so dove andare..e ho fame...-disse, massaggiandosi il pancino brontolante. Il Supremo alzò gli occhi alo cielo e, indicando Popo, disse: -Popo ti darà qualcosa da mangiare. Per il momento puoi rimanere qui...
A quelle parole Sherin si lasciò andare ad un grido di gioia, alzando le braccia al cielo. Quella sera il Supremo si coricò soddisfatto per aver aiutato quella bambina, dandole un posto dove stare.
-Per il momento...-pensò, prima di abbandonarsi ad un sonno profondo. Come poteva immaginare che  sarebbe rimasta per quasi vent'anni...

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Capitolo 3
*** Un vecchio nemico 1 ***


“La primavera ha qualcosa di magico...” pensò la ragazza dai lunghi capelli neri seduta sotto a un antico ciliegio in fiore. Aveva sempre desiderato sposarsi in quella ragione. Il colore dei fiori di ciliegio, la brezza profumata...quanto amava la primavera.
-Chi chi!- la chiamò qualcuno, distogliendola dai suoi pensieri.- Cosa ci fai ancora qui? Tra poche ore ti sposi...
Un uomo grande e grosso, con una folta barba ed un sorriso si sedette accanto a lei. Chi l'avrebbe mai detto, che il grande giorno di sua figlia sarebbe arrivato così presto? Pareva così poco lontano il giorno in cui aveva sposato sua madre...
Osservò la figlia,  così simile alla madre che li aveva lasciati così prima del tempo. Ingenua, piena di desideri e aspettative per il suo futuro, emanava la calda dolcezza delle giovani spose.
-Andiamo a prendere il vestito, ti va?
Molti anni prima sua madre aveva indossato quell'abito e, finalmente, era arrivato il suo turno. Spesso, da bambina, apriva di nascosto il vecchio baule della madre esitando a sfiorarne i ricami, scappando non appena udiva la madre arrivare. Questa volta non sarebbe fuggita. Indossò lentamente il vestito, cercando di fissare nella memoria ogni singolo istante, perché non sarebbe più ritornato.
-Oh, Chi chi...- mormorò il padre, estasiato. In quel momento, qualcuno bussò alla porta.
-Goku! Cos'hai combinato?- urlò Chi chi, non appena aprì la porta. Con il vestito impolverato, i capelli spettinati e le scarpe sporche di fango, Goku non sembrava proprio impeccabile...
-Proprio il giorno del nostro matrimonio hai deciso di combinare guai?- gemette la ragazza, lasciandosi cadere su una sedia, mentre Goku cercava invano una scusa plausibile.
-Chi chi...mi stavo solamente allenando...volevo dire, passeggiando!
Alla parola “allenando” Chi chi drizzò le orecchie e scattò in piedi, furente.
-Allenando?!- strillò, mostrando i pugni- Come hai potuto anche solo pensare di allenarti poche ore prima della cerimonia?
Preoccupato per la sua salute, il ragazzo arretrò di qualche passo. In quei momenti, Chi chi poteva essere pericolosa persino come Piccolo...
-Chi chi, calmati..-il padre di Chi chi si mise fra i due, cercando di calmare le acque.- Perché invece non lasci che Goku si sistemi? Così non risolverai nulla.
Senza aggiungere altro, la sposa si risedette, incrociando le braccia e senza degnare di uno sguardo il futuro marito. Fortunatamente la terra sugli abiti di Goku fu ripulita senza troppe difficoltà e i preparativi continuavano senza ritardi. Tutto sembrava filare liscio...
-Goku.
Il ragazzo alzò il viso, cercando di capire da dove provenisse quella voce.
-Sono il Supremo. Devi raggiungermi al Palazzo al più presto.
-Ma, Supremo...- protestò Goku- Oggi mi sposo! Non potrebbe aspettare?
Chi chi aprì la bocca per protestare, o per urlare,  quando la voce del Supremo risuonò ancora nell'aria.
-Ti prego, Goku, sii paziente. E' un'emergenza.
Goku sospirò, iniziando a togliersi gli abiti da cerimonia. Chi chi, sconvolta, ricominciò a gridare.
-Cosa credi di fare? Rivestiti immediatamente!- Chi chi era ormai vicina alle lacrime e sfogava la sua crescente ira riducendo a brandelli un indifeso bouquet.
-Mi dispiace, ma se il Supremo ha deciso di convocarmi, sarà per qualcosa di importante.- disse il ragazzo, sinceramente dispiaciuto, indossando la tuta da combattimento. Senza che la ragazza potesse fermarlo, si era già alzato in volo, diretto verso il Palazzo del Supremo.


-Cosa? Goku sta per venire qui?
Popo annuì, porgendole una tuta pulita.
Sherin uscì dalla vasca da bagno e si avvolse nell'accappatoio poggiato accanto ad essa. Fantastico...Goku stava per arrivare e lei aveva appena finito il bagno. Si vestì più in fretta che poté e seguì Popo all'esterno. All'idea di incontrare Goku milioni di farfalle iniziarono  a volteggiarle nello stomaco.
-Non aver paura, bambina.- disse Popo, rivolgendole uno sguardo affettuoso, com'era solito fare da anni. Sherin sorrise, sentendolo pronunciare il nome con il quale l'aveva chiamata per anni.
-Credimi, non è affatto paura. Come posso temere ciò che non conosco? Tu e mio pad..-arrossendo s'interruppe- il Supremo, non me ne avete mai parlato.
Popo annuì, facendo cenno alla figlia adottiva di fermarsi lì.
-Qui? Ma io voglio vederlo da vicino! Ti prego,  lasciamo venire con te!- chiese la ragazza, , mordendosi un labbro rossastro. Fu alla voce roca del Supremo che si chetò, nascondendo la sua considerevole altezza dietro ad una colonna. Pochi secondi dopo, una freccia dorata giunse al Palazzo.
-Eih, ciao Popo!- salutò un ragazzo, saltando giù dalla nuvola dorata con la quale era atterrato.
“Questa poi..”pensò Sherin, sbirciando da dietro il marmo bianco. “Non sapevo che le nuvole fossero così piccole.”
-Ben arrivato Goku
Il ragazzo corrugò la fronte, fingendosi arrabbiato.
-Accidenti, ma non potevate aspettare ancora un po'? Stavo per sposarmi!
“Cos'è un sposarmi?” bisbigliò Sherin al Supremo, il quale non nascose un sorriso paterno.
-Mi dispiace, ma c'è un problema...Ti ricordi di Piccolo?-disse Popo, diventando serio.
A quel nome, Goku s'irrigidì. Di nuovo lui...non gli era bastata la lezione che gli aveva dato al Torneo di Arti Marziali?
-Devi trovarlo.- il Supremo emerse dall'ombra, sorreggendosi all'antico bastone. -Non so cosa abbia in mente questa volta, ma poche ore fa una città è stata praticamente cancellata.
Goku sollevò il viso, i pugni stretti per la rabbia.
-Non dica altro. Ci penserò io a sconfiggerlo una volta per tutte.- mentre pronunciava queste parole avvertì una presenza, alla quale non aveva prestato minimamente attenzione.
Notando la sua espressione, il Supremo si schiarì la voce e continuò: -A quanto pare hai notato che non siamo soli. Sherin, vieni qui.
Goku si guardò attorno, fino a quando non vide una persona fare capolino da una colonna. Lentamente questa uscì allo scoperto, risultando completamente visibile...altroché se lo era. Poteva avere sì e no la sua età, e com'era alta. Quasi troppo, per trattarsi di una ragazza.
Certo, i muscoli delle braccia e delle gambe la rendevano un po' mascolina, ma i lunghi e folti capelli neri brillavano alla luce del mattino, come quelli delle dee.
“E' una ragazza..” pensò, senza riuscire a staccare lo sguardo da lei. Non era una bellezza mozzafiato, ma qualcosa in lei riusciva ad artigliare lo sguardo e a tenerlo fisso su di lei.
Giunta davanti  a lui, si inchinò, unendo i palmi delle mani.
-Sono onorata di conoscerti, Goku.
Il ragazzo ricambiò semplicemente con un sorriso per poi rivolgersi nuovamente al Supremo.
-Mi lasci indovinare: lei dovrà aiutarmi a sconfiggere Piccolo, giusto. Non sembra molto forte..
Sherin strinse le labbra, trattenendo una risposta acida. Il Supremo si ritirò, raccomandandosi per l'ultima volta con i giovani i quali, con un ultimo inchino, spiccarono il volo.

-Susa la domanda- cominciò Goku, dopo vari minuti di volo silenzioso. -Ma da quanto vivi con il Supremo?
A quella domanda, Sherin rimase per un po' in silenzio.
-Diciamo da vent'anni.
-Venti anni?!- esclamò l'altro, strabuzzando gli occhi. -Urca, ma è tantissimo! Quindi lo conosci sin da quando eri bambina!
-Ovviamente.
Goku sospirò, tornando ad osservare il paesaggio sottostante
-Non sei di molte parole, vero?
-Stiamo andando a fare un picnic o a dare una lezione a questo Piccolo?- disse Sherin, con un sorriso.
-Sai chi è, vero?
-Il Supremo me ne ha parlato. So che lui e Piccolo vivono in simbiosi: ovvero, se uno muore, l'altro lo segue.- ammise, corrugando la fronte. Ormai aveva compreso che la vita di suo padre dipendesse da lui, ma...no, non l'avrebbe mai accettato.
-Guarda, siamo arrivati.- esclamò Goku, interrompendo i suoi pensieri.
Sherin abbassò il capo: sotto di loro si estendevano le rovine di quella che era stata una grande città.
-Oddio...è stato lui?
Goku annuì, iniziando a scendere a terra. Non vi era anima viva, in quella città distrutta. Il cielo nero lasciava cadere leggere gocce di pioggia, come ad accarezzare quella desolazione.
-Goku. Ma che bella sorpresa.
-Sherin, stai giù!
La ragazza si voltò, appena in tempo per vedere Goku scagliarsi su di lei per gettarla a terra, mentre un lampo di luce gialla sfrecciava sopra le loro teste.
Un ragazzo con la pelle verde e lunghe orecchie a punta li osservava, seduto sopra un cumulo di macerie. La sua mano destra era puntata verso di loro, pronta a lanciare un altro raggio.
-E' da vigliacchi colpire alle spalle, lo sai?- urlò Goku, rialzandosi.
-Da vigliacchi? Siamo in guerra, io e te. E in guerra non ci sono regole.
-Forse no, ma c'è sempre la correttezza!
Udendo quelle parole Piccolo scoppiò in una sonora risata e fece per proferire ancora parola, quando la vide.
Era ancora stesa a terra, le braccia sopra la testa. Quando lo sentì ridere si alzò, sorpresa. Non doveva avere molta esperienza in fatto di combattimenti, pensò, lasciando scorrere lo sguardo su di lei.
Aveva visto molte terrestri, ma una così, no. Mai una come lei. Alta quasi quanto lui, aveva capelli simili a quelli di Goku, corvini e decisamente ribelli.
-Tsk. E questa chi è? Cos'è Goku, ti sei trovato una nuova amica?
Quanto gli piaceva prendersi gioco di lui...Pregustava già la risposta, quando Sherin parlò.
-Tu sei Piccoro?
-Mi chiamo Piccolo, insulsa terrestre.-urlò, sottolineando l'ultima parola con un'onda energetica che la colpì in pieno stomaco, scagliandola contro un'auto.
Proprio quando l'onda l'aveva colpita, Sherin lo guardò, come a voler rimproverarlo silenziosamente. Non poteva sapere che quel suo sguardo lui l'avrebbe rivisto molte notti in sogno.
“Che velocità...” pensò, prima di capovolgere l'auto.

Nessuno mi aveva mai colpita prima d'ora...Beh, almeno non così potentemente.
Però, è davvero strano...Quel ragazzo somiglia davvero tanto a mio padre.

-Combattiamo!
Piccolo si lanciò contro il suo avversario, pronto a battersi.

Come brucia..è come se delle lame mi avessero perforata e una forza invisibile mi avesse scaraventata al suolo con tutta la sua potenza...

Goku schivò il colpo, fulmineo. Conosceva la sua tecnica di combattimento e sapeva che presto sarebbe iniziato il corpo a corpo. Piccolo non lo deluse.
Dietro i resti dell'automobile Sherin riaprì gli occhi. I due combattenti erano apparentemente scomparsi ma riusciva ugualmente a percepire la loro forza spirituale.
Gemendo si rialzò, stringendo i denti per non pensare al dolore allo stomaco. Maledetto bastardo.
I due erano molto veloci, forse troppo, tanto che avrebbe potuto mancarlo.
Unì indice e medio della mano sinistra, quella più ferma, chiudendo le altre dita. In pochi secondi una sfera luminescente apparve sopra di esse: ora doveva solo concentrarsi.
Percepì la forza spirituale di Piccolo avvicinarsi, ma doveva attendere ancora. All'improvviso scattò,  portando il braccio in avanti.
La sfera si divise in tre parti che saettarono nell'aria prendendo direzioni diverse: le prime due puntarono l'avversario che, accortosi del pericolo, scartò di lato.
-Che tecnica stupida!-disse, guardando le sfere dissolversi nell'aria -Dovresti fare..
Non si sarebbe dovuto distrarre. Mentre era impegnato con le prime due, la terza sfera aveva girato in tondo lontano da lui, controllata dalla mente di Sherin. Così, quando Piccolo si era distratto, quest'ultima ne aveva approfittato per colpirlo.
-...di meglio.- completò Sherin, assumendo la posizione da combattimento.

Continua...

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Capitolo 4
*** Un vecchio nemico 2 ***


Piccolo si rialzò, passando il dorso della mano sulla bocca.
“Maledizione...”
Sherin strinse i denti senza distogliere lo sguardo.
-Però, non me l'aspettavo. Non mi hai fatto nemmeno un graffio, ma mi hai colto di sorpresa, complimenti.
-Smettila di parlare e combatti!
Piccolo sorrise, mostrando i canini. Combattere? No, non avrebbe perso tempo con una ragazzina.
Continuò a combattere contro Goku, fingendo di non aver sentito. Sherin si lanciò contro di lui, urlando, costringendolo a parare i suoi colpi a e distogliere la sua attenzione da Goku.
-Così vuoi combattere, eh?- disse, colpendola al viso -Ti accontento subito!
Sherin parò il suo calcio con gli avambracci, cercando di non perdere il contatto visivo. Doveva resistere per accumulare l'energia necessaria...Mentre Piccolo continuava a colpirla senza sosta, pensò che molto probabilmente non ci sarebbe riuscita, anche se fosse riuscita ad assorbire ogni briciola dell'energia dei suoi colpi.
Questo però Piccolo non lo sapeva: ogni suo colpo abbastanza potente da lei veniva assorbito e convertito in energia. L'effetto collaterale era che il suo fisico non avrebbe resistito per molto tempo.
-Sherin, basta! Vai via di lì!- urlò Goku, intromettendosi tra i due.- Vuoi forse farti ammazzare?
Piccolo era sorpreso quanto lui. Perché quella ragazza incassava ogni colpo senza reagire, senza attaccare? Volgendo lo sguardo verso di essa, capì. La sua energia stava aumentando, e solo grazie a lui.
-Maledizione!- gridò, scagliando un'onda energetica di altissima potenza.
Sherin la schivò, non senza difficoltà. Si reggeva in piedi a stento, ma era pronta. Poggiò le mani  a terra, graffiando il terreno con le unghie. Urlando, vi riversò l'energia raccolta mentre le forze iniziavano lentamente ad abbandonarla.
Calò il silenzio, rotto solo dai loro respiri.
“Non è successo niente.” pensò Piccolo, espirando lentamente, prima che un fascio di luce lo investisse con tutta la sua potenza.
Sherin si rialzò aiutata da Goku mentre Piccolo cadeva al suolo, avvolto da scariche elettriche.
-E'...è morto?
-No. Starà buono per un po'.- rispose Sherin, chiudendo gli occhi.
Goku si avvicinò con cautela, pronto a difendersi se questi si fosse improvvisamente ripreso. Piccolo riaprì lentamente gli occhi e, vedendo i due ragazzi avvicinarsi, storse la bocca.
-Ma pensa...immobilizzato da una ragazzina...-disse, tentando di sollevarsi da terra.
Il suo corpo era completamente immobilizzato, costretto a terra dalle scariche azzurrine che l'avevano avvolto.
-Su, Goku, cosa aspetti a farmi fuori? Sono immobile, non posso scappare. O sarai tanto debole da risparmiarmi una seconda volta?
Piccolo tossì, rivolgendogli uno sguardo carico di odio che si attenuò quando Sherin si accovacciò accanto a lui.
-Che cosa vuoi?
La ragazza non rispose, limitandosi ad osservarlo. Il suo sguardo così smaliziato era così irritante. Irritante, inutile, sciocco...Ma allora, perché desiderava che non lo distogliesse?
-Perché lo odi così tanto?
Quell'innocua domanda lo zittì. Rimase per qualche secondo in silenzio, squadrandoli.
-Ha ucciso mio padre. Io sono nato per vendicarlo, per uccidere Goku.- disse, come se fosse stata una cosa naturale. Solo osservandolo attentamente si poteva comprendere la rabbia che covava dentro di sé.
-Goku! Ehi amico, va tutto bene?
Yamcha era appena visibile, diversi metri sopra di loro assieme a Crilin e all'inseparabile Pual.
Goku sorrise, rinfrancato dalla presenza dei suoi amici e fece loro cenno di raggiungerli.
-Accidenti! Ma è Piccolo?- esclamò Crilin, indicando quest'ultimo che, per tutta risposta, si limitò ad un insulto silenzioso.
-E' proprio lui. Goku, sei davvero imbattibile: lo hai battuto per la seconda volta
Goku scosse la testa ed indicò Sherin, ancora seduta accanto a Piccolo.
-E' stata lei.
Con un “EH?” collettivo i tre guerrieri si voltarono verso lei, quella specie di amazzone che era riuscita a far abbassare la cresta a Piccolo.
Spavaldo come sempre, Yamcha le si avvicinò a grandi passi con un gran sorriso. Sherin ascoltò placida la sua presentazione, ignorò le sue piccole avances e, quando lui le chiese di dirgli qualcosa su di sé, gli disse semplicemente qual'era il suo nome.
-Chi è quella?- sussurrò Crilin.
-Si chiama Sherin. Sai,- aggiunse -è stata cresciuta da Popo e dal Supremo.
Crilin rimase a bocca aperta: ecco perché era così strana...
Fasciata in una tuta da uomo, i muscoli delle braccia sviluppati, Sherin non era proprio il tipo di ragazza che era abituato a vedere.
Mentre si concedeva queste riflessioni, Yamcha aveva rinunciato a parlare con lei e li stava raggiungendo.
-E' davvero strana: quando le ho chiesto se aveva un fidanzato, lei mi ha chiesto di cosa stessi parlando. Ma dove l'hai trovata?
Goku ignorò l'amico e chiamò la ragazza la quale, finalmente, si alzò da terra.
-Sherin, loro sono i miei amici: Crilin, Yamcha e Pual.
Sherin sorrise e s'inchinò, visibilmente in imbarazzo. Non aveva mai visto tanti uomini assieme. Anzi...Non ne aveva mai visto uno così da vicino.
Crilin deglutì, mentre le sue guance si coloravano di rosso.
“Accidenti, è carina.” pensò. Certo, era alta il doppio di lui , ma era proprio graziosa.
-Stavamo andando a casa di Bulma, quando il Supremo ci ha informati su cosa stava accadendo.- li informò Yamcha -Venite con noi: tu potrai rassettarti e Sherin avrà l'occasione di conoscere gli altri.
A questa proposta seguì un assoluto consenso e parecchia indecisione da parte della ragazza che, alla fine, si lasciò convincere.
-E Piccolo?
Quest'ultimo era ancora immobilizzato, ma lo sarebbe stato ancora per poco. Infatti, quando l'ultima scarica sparì si rialzò, furente. Il suo primo pensiero fu subito chiaro: farla pagare a quella piccola impertinente.
Scattò in avanti, le braccia tese. Sherin non fece in tempo a scansarsi, ad evitare che quell'uomo imponente la sbattesse contro il muro.
-Sherin!
Goku e gli altri erano già pronti ad intervenire, quando Piccolo la lasciò andare.
-Non finisce qui, terrestre.- disse, prendendo quota. Pochi secondo ed era scomparso.
Sherin rimase immobile a scrutare il cielo, incurante del rivolo di sangue che le scendeva sul viso, uscito dal taglio che quel bastardo le aveva fatto con le unghie.

-Coosa? Quella ragazza ha vissuto con il Supremo?
Bulma non riuscì a trattenere quell'esclamazione: Goku la aveva raccontato l'accaduto, mentre la madre della ragazza si era dedicata a Sherin.
-Tesoro, sei tutta sporca. Veni di là: potrai farti una doccia e cambiarti, ti va?
Sherin annuì in silenzio. Vedere una ragazza alta ben due metri obbedire silenziosa alla piccola e premurosa madre di Bulma aveva un che di comico.
-Io non ho ancora capito perché il Supremo l'ha mandata con te a sconfiggere Piccolo. Senza contare che sono passate parecchie ora e lui non l'ha ancora richiamata.
-Mentre voi eravate qui- cominciò Goku -il Supremo mi ha contattato telepaticamente. Mi ha chiesto di aiutarlo: ormai erano vent'anni che custodiva gelosamente la sua pupilla e voleva che l'aiutassi a crearsi una vita.
-Solo ora? La ragazza ha ormai più di vent'anni....Mah, chi lo capisce, quello.- brontolò Yamcha, bevendo rumorosamente il suo the freddo.
-Senti, Bulma, non è che Sherin potrebbe restare da te per un po' di tempo?
A quella domanda Bulma si batté il petto con la mano.
-Certo! Conta pure su di me. E poi- aggiunse -quella ragazza mi sembra un tipo a posto.
-Secondo me è solo strana.
Yamcha si stiracchiò, posando sul tavolo il bicchiere ormai vuoto.
-Strana? Se non l'hai notato, caro mio, è un ragazza piuttosto carina.
Incurante dei loro discorsi, Sherin era distesa sul letto che la madre di Bulma le aveva preparato, accanto a quello della figlia.
Non si era mai trovata in una casa, in una casa vera a propria. La signora si era dimostrata più che disponibile: poteva sentirsi come a casa sua, le aveva detto.
Ci sarebbe riuscita? Sarebbe riuscita a vivere senza i suoi amati mentori? Scese dal letto decisa a distrarsi, a pensare ad altro.
La stanza di Bulma aveva un piccolo balcone che dava sul giardino. L'aria era fresca ma, nonostante fosse sera, non era freddo. Bulma, accortasi di lei, uscì sul balcone rabbrividendo.
-Non senti freddo?- chiese, sistemandosi la felpa sopra le spalle.
-No.- Sherin si strinse nelle spalle. Al freddo era abituata. Bulma si sedette su una comoda sdraio, lasciando cadere la lunga chioma all'indietro.
-Aahh...è bello stare un po' all'aria aperta, non è vero?
Volse lo sguardo a Sherin, che non aprì bocca. Seduta sull'estremità del balcone, osservava il cielo.
-Mi mancano. Non è passato neanche un giorno e già sento la loro mancanza.
Chiuse gli occhi ed una brezza silenziosa le scompigliò i lunghi capelli corvini. Agli occhi di Bulma, più che una guerriera, era una ragazza cresciuta troppo in fretta, che non sapeva nulla della vita.
-Sono tutta la mia famiglia. Quando avevo pochi anni mia madre mi abbandonò. Non sapeva cosa farsene, di me.
Bulma portò le mani alla bocca. Questo non lo sapeva.  Sherin continuò, lo sguardo perso nel vuoto.
-Non so chi sia mio padre, mia madre non me ne ha mai parlato. Un giorno mi dissero, schernendomi, che mio padre era stato un loro prigioniero...e che era morto prima che io nascessi. Al mio arrivo sulla Terra ero completamente disorientata, sola. Il Supremo deve aver capito cos'era successo, almeno in parte, e così ha deciso di tenermi con sé...Oh Bulma, aspetta...
La ragazza dai capelli turchini era di nuovo in piedi e stava arretrando.
-Promettimi che non dirai nulla agli altri!- la scongiurò Sherin, incurante del tremolio nella sua voce.
-E perché non dovrei farlo?
-Perché mi fido di te. Perché voglio che mi considerino una di loro, non un'aliena. Ti prego...
Vedere i suoi occhi neri riempirsi di lacrima commosse Bulma, che mise da parte ogni sospetto.
-Va bene, va bene...Ti prego, non piangere.
Sherin l'abbracciò, cercando di trattenere le lacrime.
-Grande e grossa, e poi piangi così.- ironizzò Bulma, ricambiando l'abbraccio -Ora vieni, gigante.
Sentendosi chiamare in quel modo Sherin ridacchiò, asciugandosi gli occhi.
-Dove? E a fare cosa?
-Quello che fanno tutte le ragazze il venerdì sera: pizza, film e chiacchiere. Ti piacerà.- disse, precedendola all'interno della sua stanza -Visto che non hai molti vestiti, dovrò prestartene qualcuno io.
Sherin tastò un lembo dell'accappatoio che indossava e non replicò.
-Scegli pure quello che ti pare.
Aprì un armadio azzurro che rivelò una quantità di vestiti che sarebbe bastata ad un intero esercito.
-Sono tutti tuoi?- domandò Sherin, accarezzando un paio di pantaloni dall'aria costosa. Bulma annuì, visibilmente orgogliosa.
Sherin prese un capo a caso, pescando tra quella miriade di vestiti. Era una specie di fascia larga e molto colorata.
-E questo? Che cos'è?
-Una minigonna. Vuoi provarla?
Sherin rispose di sì. Non aveva mai visto nulla di simile, ma era curiosa.Mentre la indossava il sorriso di incoraggiamento di Bulma si attenuava sempre di più. Non l'aveva sistemata sui fianchi, ma sul petto. Come un top.

-Quindi non sei mai uscita dal Palazzo?
Bulma finì di applicare lo smalto rosa sulle unghie dei piedi, mentre Sherin sfogliava un vecchio album di fotografie.
-Più o meno. Spesso restavo nel raggio di un chilometro, senza potermi spingere oltre.- rispose, quando una foto catturò la sua attenzione -Sei tu?
La fotografia ritraeva una bambina con lunghi capelli turchini raccolto in due allegri codini che giocava con un roso di pezza. Benché fosse solo una semplice fotografia, ne fu affascinata. Possedeva solo un'immagine che la ritraesse: era stata scattata tanti anni fa con una vecchia polaroid.
-Dai, mostramela.
Bulma la prese con delicatezza dalle mani della ragazza. Una bambina, con lunghissimi capelli neri e grandi occhi scuri, osservava incantata una piccola farfalla che le si era posata sul piccolo naso. L'immensa ingenuità di quel momento, la meraviglia nei suoi occhi, commossero Bulma una seconda volta.
-Sai, un giorno era scoppiato un temporale fortissimo.- cominciò Sherin -Non ne avevo mai visto uno così forte, e rimasi accanto a dei fiori per tutta la durata dell'acquazzone. Desideravo che crescessero belli e forti e non volevo che la pioggia di schiacciasse. Il giorno dopo i fiori brillavano rigogliosi, mentre io ero a letto con una febbre tremenda. Durante un sonno agitato dalla febbre vidi un uomo. Era simile al Supremo, almeno fisicamente, ma aveva uno sguardo sconvolgente: fiero, orgoglioso...Non sorrideva, ma i suoi occhi emanavano un tale calore che mi sentii subito meglio, come se mi fossi tolta un peso...
-Ti ha parlato?
-No...voglio dire, sì, ma non riuscivo a sentire la sua voce e, quando cercai di parlagli, non udii nemmeno la mia. Non avevo il coraggio di muovermi e così fu lui a venire verso di me, le braccia aperte. Credo volesse abbracciarmi...- aggiunse. Le tremava la voce. -Solo che, quando stava per stringermi a sé, il sogno svanì. Il giorno dopo, al mio risveglio, vidi che il cuscino era pieno di lacrime.
Bulma l'abbracciò di slancio, spostandosi nel suo letto.
Il mattino dopo la madre di Bulma sorrise nel vedere le ragazze dormire vicine. Quasi abbracciate.

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Capitolo 5
*** Ombre di un passato 1 ***


Erano passati anni. Anni di pace, lotte, combattimenti...Anni che non sarebbero stati dimenticati con facilità. Dopo la sconfitta di Cell, ancora una volta la Terra era tornata in un periodo di pace. Quel giorno freddo, in mezzo alla natura lussureggiante, un uomo avvolto in un candido mantello meditava in silenzio. Al riparo delle foglie di un albero di camelie, Piccolo sembrava non essere infastidito dal venticello che percorreva l'aria. Una, due, tre gocce. Pian piano, una leggera pioggia iniziò a cadere, riempendo l'aria del suo lieve rumore. Il namecciano rimase impassibile, concentrato solo sulla sua aura che con la sua luce d'argento lo avvolgeva da capo a piedi.
“Non riesco a credere che Goku voglia rimanere nell'Aldilà...”
Una voce si insinuò nella sua mente, turbando l'equilibrio perfetto che aveva creato.
“Mi sento sola. Bulma deve occuparsi di suo figlio, e mi sento un peso..”
Ormai quel sussurro stava acquistando una forma: una ragazza lo osservava senza battere ciglio. Era così innocente, così semplice...Turbato, il namecciano iniziò a perdere la concentrazione.
“...quindi tu ed il Supremo siete diventati un'unica persona..” disse lei, muovendo lentamente la bocca. Piccolo strinse i denti: ricordava molto bene quel momento. Aveva cercato di turbarla il meno possibile, riferendole la notizia. Sapeva benissimo quanto lei e quel vecchio fossero legati...Nonostante lei avesse cercato di mascherarlo, Piccolo era riuscito a percepire l'ansia nelle sue parole e nel suo sguardo.
-Ehi, stai dormendo?
Piccolo riaprì gli occhi, grato che l'oggetto dei suoi pensieri si fosse materializzato davanti a lui come un miraggio.
-Ciao Sherin.

Era tornata la primavera.
Bulma rimboccò delicatamente le coperte al figlioletto di due anni, profondamente addormentato. Il piccolo carillon turchese smise di girare con un piccolo scatto: l'eco dell'ultima nota parve protrarsi all'infinito. La ragazza chiuse la porta, attenta a non provocare il minimo rumore...
-Bulma! Dove sono i miei vestiti?
Vegeta attraversò a grandi passi il corridoio illuminato, incurante del fatto che avesse solo un asciugamano in vita a coprirlo.
-Trunks sta dormendo. Non potresti fare meno rumore? Ti ricordo che se dovesse svegliarsi, toccherà a te farlo riaddormentare- aggiunse Bulma, ben consapevole che il compagno detestasse prendersi cura del figlio. Vegeta sbuffò ma, come da lei previsto, non fiatò e tornò sui suoi passi.
“Certe volte mi sembra di odiarlo”. Bulma si accese una sigaretta, inspirando profondamente. Quell'uomo sapeva proprio come mandarla in bestia. Certi giorni era docile, perfino affettuoso, ma il più delle volte il vecchio Vegeta faceva capolino con i suoi modi bruschi e rozzi.
Lo amava, certo. Lo amava e lo detestava allo stesso tempo. A volte l'amore risulta essere la cosa più contorta che la natura ha creato
Bulma uscì sul terrazzo, sciogliendo i lunghi capelli turchini. “Vento, libertà, ecco cosa mi serve” pensò, poggiando i gomiti sulle sbarre di ferro. Erano passati anni dall'ultima volta che aveva incontrato i suoi amici: Chi chi aveva altro a cui pensare dopo la nascita del secondo figlio, Yamcha, figuriamoci....Era sempre più distante, sempre più freddo, come se volesse rimproverarla per aver scelto Vegeta. Bulma sorrise malinconica, volgendo lo sguardo al cielo percorso solamente da qualche nuvola solitaria. Erano successe davvero molte cose...
-Bulma! Trunks si è svegliato!
La potente voce di Vegeta risuonò nell'aria, seguita dal pianto del bambino. La ragazza spense la sigaretta e un secondo dopo stava già correndo verso la camera di Trunks, ripassando mentalmente le parole della ninna nanna.

Gohan era in camera sua, probabilmente l'unica oasi di pace che gli era rimasta. Dalle tapparelle abbassate filtrava un luminoso raggio del caldo sole di mezzogiorno. Il ragazzo sospirò, dando un'occhiata all'orologio da polso: era mezzogiorno in punto. Si sedette sul letto, iniziando il conto alla rovescia. Non era arrivato che a tre, quando la voce della madre echeggiò per la casa.
-Gohan, dove ti sei cacciato?
Chi chi rovistava frenetica nel cestino di vimini poggiato sul tavolo della sala da pranzo, controllando che tutto fosse a posto. Gohan entrò nella stanza, cercando di sistemare la folta chioma corvina, sapendo che la madre glielo avrebbe ricordato.
-Stai tranquilla mamma. E' solo un picnic, non una serata di gala.- ironizzò.
Sua madre lo ignorò. Chiuse il cestino con un colpo secco, segno che l'esame era stato superato.
-Lo so benissimo, Gohan.- disse, addolcendo il tono della voce -Su, muoviti o farai tardi!- concluse, sistemando il cestino tra le braccia del figlio.
-Sei proprio sicura di non voler venire?
-Certo, e poi chi bada a Goten?- scherzò la madre, rivolgendogli un sorriso affettuoso.
Congedatosi dalla madre, Gohan spiccò il volo stringendo il cesto di vimini tra le forti braccia, diretto verso l'isola del maestro Muten. Man mano che prendeva quota, cresceva il suo buon umore: era proprio una bella giornata. Ridendo, disegnò piroette nel cielo. Volare gli ricordava i giochi con la Nuvola d'Oro, le rincorse con il padre. Erano ricordi ancora vivi, ma segnati dalla malinconia.
Pian piano l'isola del maestro iniziò a delinearsi all'orizzonte. Gohan atterrò sulla spiaggia, sollevando un lieve nuvola di sabbia chiara.
-Ehi, c'è nessuno in casa?- esclamò, bussando alla porta della casetta.
Dei passi strascicati annunciarono l'avvicinarsi di qualcuno, e la porta fu aperta da un maestro Muten ancora in pigiama.
-Buongiorno!...ma come, non sei ancora pronto?- domandò Gohan, non appena notò gli occhi chiusi e gonfi di sonno del vecchietto che, per tutta risposta, sbadigliò.
-Oh, Gohan, sei tu...dammi solo un minuto...- il vecchietto gli fece cenno di entrare e si allontanò con la stessa lentezza con la quale era arrivato.
-Ciao Gohan.
Un uomo bassetto e con un buffo cranio rasato si affacciò da dietro una porta. Gohan sorrise nel constatare che il suo amico Crilin non era cambiato di una virgola.
-Ciao Crilin. In ritardo come al solito, vero?
-Non me ne parlare...- borbottò Crilin, grattandosi la pelata -Il vecchietto non voleva saperne di alzarsi dal letto: ho dovuto sventolargli davanti al naso un hentai nuovo di zecca per farlo svegliare.
Gohan scoppiò in una sonora risata, mentre il maestro Muten inforcava gli storici occhiali da sole, finalmente pronto.
-Si va?

Sherin scrutava il cielo seduta sul ramo di un vecchio ciliegio, la mano affusolata accostata alle sopracciglia scure. Bulma si avvicinò all'albero, le mani sui fianchi. Volse lo sguardo all'amica, la quale scosse la testa.
-Ancora nessuno?- domandò Bulma con tono insofferente. Era stanca di aspettare senza fare niente, e questo Sherin lo sapeva benissimo. La mora scese dall'albero con un balzo, portando con se' vari fiorellini indifesi. Ridacchiando, Bulma le tolse qualche petalo dai capelli mentre l'altra cercava di sottrarsi a quel gesto.
-Non  c'è da meravigliarsi...siamo in anticipo.- ammise Sherin, passando una mano tra i folti capelli. Bulma sospirò irritata e scoccò un'occhiata a Piccolo, poco distante da dove si trovavano.
-Forse per te non è così,- cominciò la ragazza dai capelli turchini -visto che vivete sotto lo stesso tetto, ma io ancora non mi fido molto di Piccolo...
A quelle parole Sherin rimase interdetta: per lei vivere con Piccolo era la cosa più naturale del mondo. In fondo, era passato così tanto tempo da quando si era messo in testa di ucciderli tutti e conquistare la Terra. La ragazza alzò le spalle con un ingenuo sorriso.
-Dovresti conoscerlo meglio.- affermò convinta -In fondo non è poi così scostante...
-State assieme?- le domandò a bruciapelo l'amica, socchiudendo i grandi occhi azzurri, convinta che Piccolo non potesse sentirle.
-Co...cosa?
-Siete fidanzati? L'avete fatto? Dai, che hai capito!- continuò Bulma, incurante del fatto che   il viso dell'amica stava diventando incandescente -Allora? Dio mio, vivete sotto lo stesso tetto! Possibile che per tutto questo tempo non abbia mai cercato di saltarti addosso?
Incapace di formulare una risposta, Sherin balbettò un no ed abbassò lo guardo. Bulma alzò gli occhi al cielo, in attesa di una risposta.
-Piccolo non è la persona che credi, sai? Non mi ha mai sfiorata, figuriamoci saltarmi addosso.
-Si, ma è pur sempre un uomo, no? A cosa credi che pensi un uomo, quando una bella donna vive sotto il suo stesso tetto?
-Io sarei una bella donna?
Il battibecco fu interrotto da una voce in lontananza, probabilmente appartenente ad una delle tre figure che si delineavano all'orizzonte.
-Bulma, Sherin! Siamo arrivati!
Bulma agitò il braccio, saltellando sul posto. Finalmente erano di nuovo tutti assieme.
-Ragazze, siete più belle del solito!- ghignò il maestro Muten, gli occhi che brillavano dietro le lenti scure. Come dei radar, i suoi occhi avevano già percorso avidamente le curve delle due donne          soffermandosi in particolare sul seno generoso di Bulma. “Per fortuna non mi ha mai degnata delle sue attenzioni.” pensò con sollievo la mora, osservando divertita i tentativi del vecchietto di allungare le mani sul sedere dell'amica. Crilin e Gohan avevano steso la tovaglia sul prato e stavano già sistemando i viveri ed i bicchieri di carta.
-E' opera di Chi chi, vero?
Gohan annuì. Era in momenti come quello che era orgoglioso di avere una madre così brava in cucina. Persino Sherin, che nei confronti del cibo aveva un rapporto quasi ascetico, mangiava quel cibo con grande golosità. “A causa della rigidità della sua dieta, Sherin deve aver sempre una gran fame!” pensò il giovane sayan, porgendole un piatto.
-Su Piccolo, unisciti a noi! Oh, dimenticavo che non mangi il nostro cibo...- si scusò Crilin, addentando un panino. Piccolo declinò l'invito con un cenno del capo. Preferiva rimanere in disparte piuttosto che essere di troppo nel loro pranzo.
-Dov'è Yamcha? Aveva promesso che questa volta non sarebbe arrivato in ritardo!- protestò Bulma, finendo il suo succo di frutta -Non cambierà mai...

“Maledizione! Ma perché sono sempre in ritardo?” inveì mentalmente Yamcha, volando a tutta velocità verso il luogo di ritrovo. Era così immerso nei suoi pensieri che quasi non si accorse della navicella che stava giungendo dalla parte opposta. La schivò all'ultimo momento, sempre con lo sguardo rivolto al paesaggio sottostante. All'improvviso, una persona si materializzò davanti a lui, costringendolo a frenare violentemente.
-Sherin, sei tu?- domandò il ragazzo, corrugando la fronte -Come diavolo ti sei vestita?
La donna non rispose, continuando a guardarlo negli occhi. Yamcha indietreggiò, quasi involontariamente. Tutto ciò era assurdo: Sherin non aveva quello sguardo così glaciale, ne' quell'aura strana...
-Gli altri sono già arrivati?- domandò di nuovo, incurante del presentimento che lo percorse. Fu così rapido che non fece in tempo a rendersene conto. La mano della donna si era abbattuta sulla sua nuca, facendogli perdere i sensi.

Yamcha
in un primo tempo fu solo un presentimento, un pensiero. Un attimo dopo una scossa che percorse l'aria.
-Era...era Yamcha?- domandò il maestro Muten.
-Si, ne sono sicuro...ma c'è un'altra aura, ed è potentissima!
--Che sia Goku?
Piccolo strinse i pugni e raggiunse gli altri, abbandonando la sua solitudine. Come avrebbe potuto essere Goku? L'aura era molto potente, quello sì, ma era del tutto diversa da quella del sayan.
-No, e non sembra neanche una forza positiva. -sentenziò, togliendosi il mantello e gettandolo a terra -Ed io sono pronto a difendermi, se sarà necessario.
La tranquilla felicità di quel pomeriggio fu improvvisamente spezzata dal timore. Dalla prospettiva inquietante di un nuovo pericolo.
-L'aura si è azzerata!- gridò Crilin. Volse lo sguardo al cielo, come a cercarvi il proprietario di quella forza. Sherin fece scrocchiare le giunture delle mani, mentre Bulma esprimeva il timore che si era annidato nel cuore dei compagni.
-Che ne è stato di Yamcha?
Gohan scosse la testa. Come avrebbe potuto saperlo? L'aura del loro amico era sparita, ma non poteva essere morto...il solo pensiero che il suo amico non fosse più tra i vivi era inaccettabile.
-...Tu.
-Attenti!
Piccolo alzò di scatto il capo. Era proprio sopra di loro, e non si erano accorti di nulla. Azzerata la sua aura, era riuscito a fregarli, pensò stizzito. Come diavolo era potuto accadere? Senza nemmeno parlare lo sconosciuto alzò il braccio destro, mentre la sua aura aumentava vertiginosamente.
-Abbassatevi!- urlò Gohan, nell'esatto momento in cui il raggio vermiglio venne scagliato contro di loro. Sherin si lanciò verso Bulma, pronta a proteggerla con il suo corpo. Rannicchiata a terra, Bulma vide l'amica avvolgerla con le sue braccia, mentre la natura circostante veniva devastata. Gohan si levò in volo, deciso a battersi con lui. Il suo avversario non mosse un muscolo, il viso completamente celato dall'ampio cappuccio porpora. Avvicinò le mani ai lembi del cappuccio. Pochi secondi che parvero durare un'eternità. Gettò il tessuto all'indietro, scoprendo una folta capigliatura corvina che, liberata dalla sua prigione di stoffa, ricadde sulle sue spalle.
Una donna.
Una donna di incredibile bellezza, ma con uno sguardo feroce come quello di una fiera. Una donna con un'armatura Sayan.
Si guardava attorno con sguardo attento, come se volesse catturare ogni particolare di ciò che la circondava.
-Sono solo formiche...Peccato. Mi era parso di riconoscere la sua aura..- disse fra sé e sé, iniziando la discesa a terra. Crilin deglutì, cercando lo sguardo di Gohan.
-Hai visto la sua armatura?
-Purtroppo si. Vuol dire che c'è ancora un Sayan in circolazione...- ammise quest'ultimo, mentre un sentimento di frustrazione iniziò ad insediarsi in lui.
-Dov'è Kahar?- domandò la donna. Iniziò a scrutarli tutti, mentre sul suo rilevatore scarlatto scorrevano miriadi di informazioni in una lingua sconosciuta.
-Non sappiamo di chi stai parlando!- sbottò Crilin, tentando di rendere la sua voce minacciosa. Quella donna lo inquietava: sembrava senz'anima, di pura roccia.
-Allora credo proprio di dovermi presentare- ringhiò lei, insofferente -Il mio nome è Zarah e, da come probabilmente avrete intuito, sono una Sayan.- disse, agitando la lunga coda.
-Impossibile! Gli unici Sayan sopravvissuti alla distruzione del pianeta Vegeta sono Goku e Vegeta. Ce n'erano altri due, Napa e Radish, che abbiamo eliminato anni fa.
La Sayan sorrise, o almeno un sorriso era quello a cui più somigliava la smorfietta che si disegnò sulle sue labbra. Napa e Radish...Proprio un bel vanto aver eliminato quei due smidollati...
-Chi ti ha detto che io fossi sul pianeta Vegeta, quando Freezer decise di distruggerlo?
Mentre la sentiva pronunciare queste parole, Sherin vide la sua vista appannarsi. In quell'esatto momento, frammenti confusi di ricordi iniziarono a vorticarle nella mente.
“Non c'è da fidarsi di Freezer....Partirai oggi stesso.”
“Sta scappando!Inseguitela!”
“Aziona la navicella. ORA”
Gli stessi avvenimenti che col tempo aveva dimenticato, e che aveva cercato di dimenticare iniziarono a fendere la nebbia che li aveva sempre avvolti. La ragazza portò una mano alla testa, mentre questa minacciava di esplodere.
Ancora rannicchiata a terra, Bulma le rivolse uno sguardo silenzioso, che la ragazza interpretò come una domanda sulla sua salute. Annuì, senza perdere di vista la Sayan sconosciuta. Un ricordo recondito della sua mente iniziò a pulsare nel suo cervello non appena i loro sguardi si incrociarono.
Quegli occhi sottili ed allungati. Quel naso all'insù, quella cicatrice sull'occhio sinistro....Particolari che le risultarono improvvisamente familiari.
Zarah incrociò le braccia, visibilmente contrariata. Poi la vide.
Era lei.
I grandi occhi neri. La struttura fisica alta e longilinea....e quello sguardo perforante. La coda, invece, era sparita.
-Kahar, sei tu?- domandò, socchiudendo gli occhi.
-Che cosa?
Zarah sbuffò spazientita e mosse qualche passo verso di lei, mentre gli altri sorvegliavano attentamente ogni sua mossa.
-Non ti ricordi di me, vero? E' comprensibile, visto che sono passati più di vent'anni dall'ultima volta che ci siamo viste.- disse, tentando di sorriderle. Non ci riuscì.
Gohan aprì bocca, deciso ad interrompere quella follia.
-Aspetta un momento. Tu e Sherin vi conoscete?
La Sayan mostrò i denti, ma non si voltò verso lui.
-Quando la smetterete di fare domande stupide?- esclamò rabbiosa, afferrando la mano della giovane e portandosela al petto.
-Sono sua madre, idiota.

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Capitolo 6
*** Ombre di un passato 2 ***


Il tempo si era come fermato. Il vento pareva l'unica cosa capace di movimento, sferzando con il suo soffio le chiome degli alberi.
Sua madre...sua madre...sua madre...Quelle poche parole continuavano a girare nelle orecchie della giovane Sherin. Alzò lo sguardo, sino ad incontrare i visi dei suoi amici. Bulma era ancora rannicchiata a terra, le mani bianche poggiate sulla bocca.
-Kahar fu inviata sulla Terra con una navicella sayan molti anni fa.- continuò Zarah -Io e alcuni miei compagni avevamo intuito che Freezer aveva in serbo una...sorpresina, per noi. Tra noi c'era anche il padre di Kaarot.- aggiunse.
A quelle parole, Gohan si riscosse.
-Decisi di mandare mia figlia su un altro pianeta. La inviai sul pianeta Namecc non per conquistarlo, ma per allontanarla da possibili pericoli. Speravo inoltre che, un giorno cresciuto, Kaarot si mettesse in contatto con lei, ma suo padre non assegnò alcuna ricetrasmittente alla navicella del figlio. Probabilmente causa la fretta...Purtroppo, il segnalatore che avevo piazzato sulla navicella di Kahar mi informò pochi giorni dopo che si era verificato un errore, e che mia figlia era atterrata sul pianeta Terra. Vedo inoltre che Kaarot non ha portato a termine il suo compito.- aggiunse, scoccando un'occhiata di ghiaccio ai guerrieri.
-Certo che no!- la voce stridula di Bulma risuonò incerta nell'aria -Goku è diventato nostro amico! Invece di distruggere il nostro pianeta, lo ha protetto da molti pericoli.
-La cosa non mi tange minimamente. C'è qualcos'altro che non torna...Che fine ha fatto Vegeta? Avete detto di aver eliminato Napa e Radish, ma lui?- domandò Zarah.
-Per quanto possa suonare impossibile, Vegeta è uno di noi.
Gohan strinse i pugni. Certo, Vegeta era loro alleato, ma suo padre non c'era più. E questo non era un particolare facilmente ignorabile.
Zarah aggrottò le sopracciglia. Non poteva essere vero: Vegeta, il principe dei Sayan, si era ridotto ad essere alleato dei terrestri...
-Tanto per cambiare, mi dite se ci sono altri Sayan in circolazione? Credo che ormai ne sappiate più di me...-ironizzò.
-Gohan, il ragazzo accanto a me, è il figlio di colui che chiami Kaarot.- Piccolo posò una mano sulla spalla del giovane amico con fare protettivo. -E c'è anche un altro Sayan, Trunks, il quale ha solo un anno. E tu, sei da sola.
-Disgustoso.- Zarah sputò in terra – non solo non hanno conquistato questo pianeta, ma hanno pensato bene di avere figli. Il che complica le cose. Kahar,-si rivolse alla figlia, tentando uno sguardo affettuoso – Io e te dovremmo essere alleate, compagne. Cerca di ricordare, maledizione: è impossibile che tu abbia dimenticato ogni cosa del tuo passato.
-Non l'ho fatto.- la voce di Sherin uscì ferma e decisa dalle sue labbra -Ho cercato di dimenticare, ed in parte ci sono riuscita: ad esempio, col passare degli anni quasi dimenticai di essere una Sayan. Ma non ho mai scordato il mio arrivo sulla Terra, e gli ultimi giorni che passai sul pianeta Vegeta.
Mentre pronunciava quelle parole, sentì il rimorso crescere in lei. Rimorso per aver tenuto i suoi amici all'oscuro di tutto per così tanti anni.
-Sherin, è impossibile che tu sia veramente una Sayan!- Crilin interruppe lo scambio di battute delle due donne -A quanto ci ha raccontato il Supremo, non hai mai ricevuto una botta in testa, come Goku, e non hai mai manifestato l'aggressività tipica dei Sayan. E' assurdo!
Crilin guardò supplicante l'amica, come se la pregasse di confermare, di mettere fine a quella follia. Sherin rimase in silenzio, lo sguardo fisso su sua madre.
-A questo risponderò io.- Zarah frugò nelle tasche del mantello porpora e ne estrasse poco dopo un piccolo sacchetto nero -Tieni. Tuo padre voleva che lo consegnassi a te.- disse, e lanciò il sacchetto tra le mani della figlia la quale, esitante, iniziò ad aprirlo. Estrasse una semplice collana di corda, dalla quale pendeva un ciondolo ovale. La pietra verdastra scintillò, colpita dai raggi del sole. Al sicuro nell'incavo della sua mano emanava un dolce calore che la percorse da capo a piedi. Sherin chiuse gli occhi: doveva tentare di non perdere la connessione che tra loro si era creata.
Zarah giocherellò con una ciocca di capelli, impaziente.
-Sta succedendo qualcosa?- domandò, scettica.
Sherin stava per ribattere, quando una vampata di calore più forte investì il suo corpo, e per un attimo perse la vista.
Barcollò, respirando a fatica. Si sentiva soffocare, come se qualcuno l'avesse chiusa in un sacchetto e stesse lentamente togliendo l'aria. D'un tratto, due braccia forti la sollevarono, e sentì l'aria tornarle nei polmoni. Abbassò lo sguardo sul suo petto, circondato ancora da quelle braccia. Strano...le erano quasi familiari.
-Piccolo?
-Non esattamente.
Riacquistò l'equilibrio, aiutata da quella voce profonda.
-Chi sei?
-...in realtà non dovrei dirtelo.
-Fallo.- Sherin portò le mani alla testa, cercando di non perdere i sensi. L'oscurità l'aveva avvolta. “E' impossibile..Come può svanire tutto improvvisamente?” pensò a fatica -Per favore, dimmi dove mi trovo.
-Il ciondolo ti ha trasportata in una dimensione parallela. In realtà, il tuo corpo è ancora sulla Terra.
-...sono morta?
-No, no... Mentre il tuo corpo ha perso conoscenza la tua anima è stata condotta in un'altra dimensione.
-Fatti vedere.- bisbigliò lei -Non credi sia un po' inquietante ascoltare una voce senza vederne il proprietario?
La ragazza sentì ridere. Dal silenzio risuonarono dei passi leggeri, ed una mano si posò sulla sua spalla.
-Voltati.
La ragazza si girò lentamente, pronta a difendersi, ad urlare, a scappare...Qualunque cosa avesse visto, non si sarebbe lasciata cogliere impreparata. Quel viso, però, era l'ultima cosa che si sarebbe mai aspettata di ritrovare di nuovo davanti a sé.
-Oddio...
-Ci siamo già visti io e te, giusto?- l'uomo sorrise, scostandole una ciocca ribelle dagli occhi -Quindi, penso che sia meglio continuare da dove ci siamo interrotti.- disse, allargando le braccia. Sherin si ritrasse, ma non riuscì a sfuggire al suo abbraccio. Non cercò di staccarsi, né protestò, ma ricambiò con trasporto.
-Sei il terzo namecciano che irrompe nella mia vita, lo sai?- sussurrò, suscitando il suo sorriso.
-Davvero?
-Davvero...- d'un tratto il pensiero della madre le balenò in mente -Ascolta: la donna che mi ha dato il ciondolo...la conosci?
Il namecciano inspirò a fondo, stringendola a sé.
-Zarah. Questo è tipico di lei...sconvolgere la vita di qualcuno con pochi gesti.- disse, accarezzandole i capelli con le lunghe dita.
-La conosci, non è vero?
Lui non rispose. Per il suo bene sarebbe stato meglio non sapere nulla. Per non soffrire ancora. Depositò un bacio sulla fronte della ragazza.
-Si, la conosco bene...Sherin, hai mai conosciuto tuo padre? Zarah non te ne ha mai parlato?
Sherin scosse il capo. No...si era limitata a sconvolgerle la vita. Nulla di particolare...Iniziò a rovistare nelle tasche della tuta, i grandi occhi neri spalancati. Dov'era finito il ciondolo?
La corda della collana le scivolò lungo il collo, fermandosi proprio sopra il suo cuore.
-Dille che le sono grato. Non avrei mai creduto che un giorno avrebbe mantenuto la promessa.
Legò la collana al collo della giovane, la quale era sempre più confusa e disorientata.
-Che qualcosa che ancora non capisco...
-Dimmi.
-Qual'è il tuo nome? Chi sei, e perché anni fa mi sei apparso in sogno?
-Mi chiamo Torat.
Non appena ebbe pronunciato il suo nome, una luce argentea brillò tra loro. Torat sorrise debolmente, mentre tutta l'oscurità che sino a quel momento li aveva avvolti iniziò a dissolversi.
Sherin allungò le braccia verso di lui, ma le sue mani non toccarono che aria.
-Sherin! Sherin! Per l'amor del cielo, svegliati!
La voce di Bulma le risuonò nelle orecchie, seguita da scossoni che la risvegliarono del tutto.
Zarah si accarezzò il mento, pensierosa. A quanto pare il ciondolo aveva compiuto il suo dovere: Torat aveva previsto tutto.
Sherin accolse con un sorriso l'aiuto di Piccolo che l'aiutò a sollevarsi da terra, stringendola tra le braccia.
-Sai, ho visto mio padre...-sussurrò, cercando lo sguardo di Bulma. La ragazza spalancò gli occhi, incredula.
-Tuo padre? Sherin, sei svenuta..forse lo hai solo sognato...
Sherin scosse il capo. Solo un sogno? I sogni non erano così reali.
-Non ricordi? L'uomo del mio sogno. Il namecciano che mi era tanto familiare...Era lui, è mio padre.
Accanto a lei, Piccolo sentì il suo cuore smettere di battere. Sherin sorrideva felice, nonostante ciò che stava accadendo. Raccontava agli altri la sua visione, soffermandosi sulla descrizione di suo padre, lasciando trapelare l'emozione che provava. In quei momenti ricordava quanto l'adorava...così ingenua, dolce ed emotiva.
-Era mio padre, non è vero?- domandò Sherin a sua madre, la quale annuì.
Ancora malferma sulle gambe, Sherin accarezzò il ciondolo. Aveva incontrato suo padre, in un incontro breve ma intenso, che aveva sfiorato il confine del loro mondo e quello dell'aldilà. Sfilò i polsini blu dai polsi, mentre una brezza leggera sollevò i suoi capelli.
-Dimmi perché sei giunta qui. Per conquistare la terra? Per farmela pagare?
Zarah rise, gettando la testa all'indietro.
-Vedo che non hai perso la tua lingua tagliente. Comunque hai ragione solo in parte. Non sono venuta sulla Terra per fartela pagare, ma per proporti un accordo. Tu vieni via con me, e ai tuoi amici non accadrà niente. Se invece decidi di voler restare, dovrò sporcarmi le mani con un po' di sangue terrestre.
Piccolo gettò via il mantello dalle larghe spalle, segnale che era pronto a combattere. I compagni lo seguirono, assumendo le posizioni da combattimento. Sherin porse il viso al vento, e chiuse gli occhi. Adesso era pronta.
Zarah scatto in avanti, urlando: improvvisamente la sua figura scomparve, così come la sua aura.
Un urlo squarciò l'aria. Bulma si dimenò nella stretta di Zarah, tentando di liberarsi. La Sayan si alzò in volo, portando la ragazza con sé. Sherin la rincorse, incurante della trappola che la madre le stava tendendo.
-Lasciala andare. Lei non ha niente a che fare con me.
Zarah sorrise.
-Non sei tu a dettare le regole del gioco, dolcezza.- sibilò, lanciando via il suo ostaggio. Sherin si lanciò in suo aiuto, ma era troppo lontana. Bulma urlò, vedendo il terreno avvicinarsi sempre di più. Nessun essere umano sarebbe potuto sopravvivere ad una caduta del genere. Improvvisamente, sentì qualcosa afferrarla e cambiare bruscamente direzione. Aprì gli occhi. Vegeta la stringeva al petto, gli occhi scuri colmi di ansia.
-Vegeta? Sei davvero tu?
Il Sayan non rispose, limitandosi ad atterrare accanto ai compagni. Posò sua moglie a terra, senza mai perdere di vista il combattimento tra Sherin e Zarah.
Le due donne combattevano con accanimento, ed era palese la diversità tra i loro stili di combattimento. Zarah lottava con la ferocia di una tigre, le mani pronte a graffiare, a colpire. Sherin schivava i colpi con movimenti fluidi, cercando di non infliggere troppi danni alla madre. Vegeta corrugò la fronte: quella stupida stava sbagliando tutto.
-Sherin, cerca di combattere a terra! Zarah è troppo abile nei combattimenti aerei.
Gohan sussultò. Possibile che Vegeta conoscesse quella donna? Come ad aver letto nei suoi pensieri, Vegeta annuì.
-Sherin, lascia che Vegeta combatta con te!- urlò Gohan, il viso rivolto al cielo.
La giovane incassò un violento colpo ad un fianco, distratta alle parole dell'amico. Intanto Vegeta le aveva raggiunte, avvolto dalla sua potente aura. Zarah, non appena lo vide, smise di lottare con la figlia. Sorrise, incrociando le braccia al petto.
-Vegeta. Allora è vero, sei diventato l'amichetto dei terrestri....-disse beffarda.
Vegeta strinse i pugni. Essere definito “l'amichetto dei terrestri” da una come Zarah non era certo il massimo.
-Amichetto?! Chiudi quella bocca infame, donna. -il suo sguardo si posò su Sherin -Intanto dimmi perché stai combattendo con quell'incapace. Se vuoi guai, almeno cercali con un Sayan.
-Quanto sei stupido.- Zarah rise, una risata sguaiata -Non la riconosci?
Vegeta squadrò scettico la ragazza. Chi avrebbe dovuto riconoscere, se non la sciocca ragazza che stava così a cuore ai terrestri?
-A quanto pare oggi dovrò aprire gli occhi ad una miriade di idioti. E' Kahar.
Il Sayan arretrò, scioccato.
-Kahar? Non era stata data per dispersa poco prima che Freezer distruggesse il nostro pianeta?
-Vedo che ti sei svegliato. La sua navicella sarebbe dovuta atterrare sul pianeta Namecc, ma a quanto pare...
Sherin seguì il loro scambio di battute con sempre meno pazienza. Si sentiva un fenomeno da baraccone, una nullità...Era soprattutto lo sguardo di rimprovero e di paura dei suoi compagni a farle male...
Inspirò a fondo: quella storia doveva finire. Comandata dal suo pensiero, la sua aura cominciò lentamente a crescere. Aveva imparato, grazie ad allenamenti durati tutta una vita, ad aumentare la sua aura in modo quasi impercettibile, come i granelli di sabbia che pian piano scendono nella clessidra. Nel frattempo Vegeta aveva ingaggiato una lotta senza esclusione di colpi con sua madre. Il fatto di avere un avversaria degna di lui aveva risvegliato la sua voglia di combattere. Muovendosi con velocità elevata, i loro corpi risultavano quasi invisibili, ma la loro forza era così potente da poter essere percepita a chilometri di distanza. Approfittando del fatto che non le era rivolta alcuna attenzione, Sherin unì le mani in un atteggiamento simile alla preghiera. Diversi metri sotto di loro, Piccolo capì ciò che la compagna stava per fare. La ragazza portò le mani giunte al cielo, i grandi occhi chiusi. Zarah si voltò verso lei, convinta che la figlia stesse osservando il combattimento. La vista della giovane la mise in guardia e la Sayan fece per fermarla, quando un raggio dorato la colpì alla spalla. Piccolo mostrò i denti in un sorriso malizioso, la mano tesa verso lei.
-Non credi che sia ora di vedertela con me?- disse, prima di scagliarsi contro essa. La Sayan urlò, strappando il mantello dalle spalle. Come aveva osato?
“Distraetela.” il pensiero di Sherin giunse chiaro nella loro mente. La giovane aveva riaperto gli occhi, il profondo nero mutato in oro.
-Cosa ha intenzione di fare?- domandò un terrorizzato Gohan. Il Maestro Muten scosse la testa, ma rispose comunque.
-Credo voglia tentare una tecnica particolare. Me ne parlò tempo fa il Supremo: è una mossa efficace, ma pericolosa...Sherin non può mantenerla a lungo.
-Di cosa si tratta?
-La nostra amica sta per prendere il controllo del corpo di sua madre.
Bulma drizzò le orecchie. Si rialzò, scoccando uno sguardo d'ansia al vecchio eremita.
-Come fece Genew con Goku, sul pianeta Namecc?- domandò, ricordando la terribile esperienza trascorsa anni prima.
-Non proprio. Non ricordo con esattezza, ma il Supremo mi disse che Sherin era divenuta capace di abbandonare il proprio corpo, e di trasferire la sua mente in quello di un altro. E' però una tecnica breve...nel poco tempo a sua disposizione, la nostra amica dovrà cercare di indebolire la sua avversaria. Se non dosasse a dovere la propria forza, potrebbe prosciugare troppa energia, e morire con il corpo della madre. Non prenderà il controllo fisico del suo avversario, ma lo controllerà mentalmente. Il suo corpo, privo di conoscenza, sarà molto vulnerabile, perciò toccherà a noi vegliare su di esso. Al momento giusto, Sherin dovrà affrettarsi a trasportare la propria mente nel suo corpo...
-Zarah potrebbe ribellarsi?
-Non lo so...solo chi possiede una terrificante forza di volontà può scacciare una mente allenata come quella di Sherin.
Nel frattempo, sopra di essi accadeva il finimondo. Piccolo era stato colpito più volte ma, non appena vedeva Zarah raggiungere la figlia, si intrometteva tra le due donne. “Ti prego, Piccolo, resisti...non manca molto...”pensò Sherin, tentando di non perdere la concentrazione. Zarah afferrò il namecciano per la scollatura della tuta, ormai semi cosciente.
-Mi dispiace, sai. Un guerriero valoroso come te che si sacrifica per aiutare quello stupido meticcio...- sussurrò lei, accostando la bocca al suo orecchio -Un vero peccato....
Piccolo vide la sua mano piombare su di lui. Chiuse gli occhi, aspettando il colpo di grazia. Non accadde nulla, e la stretta su di lui rallentò. Il viso di Zarah era ancora vicino al suo, ma i suoi occhi erano vitrei, come se non avessero anima. Con la coda dell'occhio vide Sherin cadere a terra, priva di sensi. Gohan l'afferrò prontamente, prima che toccasse terra. Come quelli della madre, gli occhi della giovane apparivano opachi, ma i suoi erano ancora dorati. La mano di Zarah tremò, e la sua proprietaria lasciò andare la presa sul suo ostaggio.
-Ha funzionato!- il Maestro Muten agitò in aria il bastone, esultante. Lentamente, Zarah arretrò. La lotta interiore tra la sua mente e quella della figlia era evidente, trapelata dai bruschi scatti del suo corpo. Portò le mani alla testa, scossa da violenti tremiti. Nella sua mente risuonò l'ordine della figlia.
“Allontanati da loro.”
Contro la sua volontà, la Sayan continuò ad arretrare. Improvvisamente sentì una fitta al petto: Sherin stava cominciando a sottrarre energia dal suo organismo. -Maledetta...- sussurrò, mentre il suo respiro diventava più pesante. Strinse i pugni, lottando per aumentare la sua aura.
-Sta resistendo...- Vegeta aveva raggiunto gli altri -Sherin sta usando tutta la sua forza, ma sua madre riesce comunque a resistere.
Lo spettacolo non era dei più gradevoli. Zarah stava atterrando, contorcendosi in modo frenetico. Sherin, d'altro canto, non stava meglio: gli occhi spalancati, aveva affondato le dita nel terreno, come se da esso volesse trarre nuova energia. Bulma iniziò a piangere in silenzio e si allontanò dall'amica, terrorizzata.
Piccolo afferrò le spalle di Sherin, scossa da tremiti sempre più violenti. Zarah tentò di avvicinarsi, ma l'ennesima convulsione la costrinse a desistere: si accasciò a terra. Era sfinita, tuttavia lottava ancora per riconquistare il controllo totale del suo corpo.
Improvvisamente, il corpo della giovane Sayan s'irrigidì, e la donna si abbandonò sul suo petto. Zarah si sedette, sputando sangue.
-Maledetta. Ancora qualche minuto e mi avrebbe uccisa...-ringhiò, passando il dorso della mano sulle labbra.
-Piccolo! Hai ancora i fagioli di Balzar?- Gohan prese Sherin tra le braccia, aspettando la risposta del suo mentore. Piccolo scosse la testa.
-Portala via. Noi cercheremo di tener testa alla madre. Raggiungi il Palazzo del Supremo e affidala a Balzar.- sussurrò, posandogli una mano sulla spalla.
-Ne sei sicuro? Non sarà facile tener testa a quel mostro...- domandò il ragazzino, ignorando la morsa che gli attanagliò lo stomaco.
-Che domande sono?- la voce di Vegeta sovrastò la sua -Sono un Supersayan, non ricordi? Ed ora muoviti, o il piano del muso verde andrà in fumo.
Gohan annuì e si alzò in volo. Scoccò un ultimo sguardo ai suoi amici e sfrecciò verso il Palazzo, senza più voltarsi indietro.

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Capitolo 7
*** The last fight 1 ***


Gohan giunse alla dimora di Balzar in poco tempo, stringendo l'amica tra le braccia. Il gattone bianco accorse, seguito goffamente da uno scocciato Yajirobei.
-Cosa diavolo sta succedendo, Gohan?- domandò Balzar, sollevandosi sulle punte delle zampette per veder meglio. Quando scorse il viso di Sherin, fece cenno a Gohan di seguirlo e si avviò verso l'interno della casa. Entrarono in una stanza candida, con solo un letto come mobile: Gohan vi adagiò la ragazza. Il petto della giovane si alzava e si abbassava, mosso da respiri affaticati.
-Dimmi, Gohan, che cosa è successo?- domandò Balzar, invitando il ragazzo a sedersi.
-Sherin ha usato la sua tecnica speciale contro...contro sua madre, e ha prosciugato quasi tutta la sua energia.
-Sua madre? Non capisco...
-Sherin è una Sayan. Sua madre è giunta sulla Terra per riprendersela, e per distruggere il nostro pianeta.
Balzar sospirò, mentre Yajirobei bagnava un pezzo di stoffa in una ciotola colma d'acqua.
-Guarirà?- il ragazzo scrutò pensieroso il viso della giovane, preoccupato dall'irregolarità del suo respiro.
-Spero di si...- il gatto parlante poggiò il panno bagnato sulla fronte di Sherin -Il problema è che il corpo della nostra  amica non assimila i fagioli senzu. Su di lei non hanno alcun effetto...-sussurrò, accarezzandole il viso. La ragazza aprì lentamente gli occhi. La vista le si era appannata, e i visi sopra di lei apparivano sfocati, senza contorni.
-...Balzar?
Udendola pronunciare il suo nome, il gattone candido sorrise.
-Ho freddo...Balzar, hai ancora quella medicina?- domandò Sherin. La sua voce risuonava flebile, come se la giovane volesse sprecare meno aria possibile. Balzar annuì, e sparì dietro una tendina. Ritornò poco dopo, con una boccetta trasparente in mano. Vi era contenuto un liquido azzurrino, versato poco dopo in un bicchiere di cristallo. Sherin bevve lentamente, reggendosi sul cuscino imbottito. Gohan abbozzò un sorriso, vedendola posare il bicchiere con mano tremante.
-Dove sono gli altri?- domandò, rivolgendosi al giovanissimo compagno -E mia madre?
-Vegeta e Piccolo stanno combattendo contro di lei. Sebbene tu l'abbia indebolita notevolmente, sembra che la sua energia sia immutata.
-Mi dispiace...è colpa mia.
-Ragazza mia, non dire sciocchezze.- Balzar s'intromise nella loro discussione -Che colpa hai? Se tua madre ha deciso di distruggere il nostro pianeta, dov'è la tua colpa?
Sherin nascose il viso tra le mani.
-La mia colpa è essere nata. Mia madre è giunta sulla Terra per me. Per riprendersi sua figlia. Se io non fossi nata, tutto questo forse non sarebbe successo.
Calò il silenzio. Sherin affondò il viso nel morbido cuscino, bagnandolo di lacrime. Gohan le sfiorò una spalla, ma la ragazza si scostò, con un gemito. Sherin scese dal letto, i grandi occhi neri lucidi di lacrime.
-Gohan, raggiungiamoli. Questa storia deve finire, una volta per tutte.
Gohan sorrise, e corse verso l'esterno. La ragazza estrasse la collana dalla tasca della tuta. La pietra verde brillò, complice, mentre la ragazza allacciava la corda attorno al suo collo.
-Andiamo.

Zarah si lanciò contro Vegeta, cogliendolo di sorpresa. Strinse le braccia attorno al suo torace, stringendo con tutta la sua forza. Il Sayan urlò, gettando il capo all'indietro. Piccolo si rialzò a fatica da terra: nonostante le costole rotte e la quantità di sangue perso, voleva ancora combattere. Zarah sfrecciò verso il suolo, portando Vegeta con sé. Poco prima di schiantarsi a terra mollò la presa, e Vegeta rovinò violentemente al suolo.  Bulma, incurante del pericolo, corse verso di lui, e lo prese tra le braccia, non senza fatica. Vegeta riaprì gli occhi e , vedendo il suo viso spaventato,  non riuscì a soffocare un sorriso beffardo. L'allontanò in malo modo e si rialzò, barcollando.
-Vegeta, ti farai ammazzare!- protestò la donna, tentando di dissuaderlo. Il Sayan l'ignorò, raggiungendo in volo l'avversaria. Zarah portò, fulminea, le mani in avanti, puntate sopra il petto del Sayan. Una miriade di sfere lucenti scaturirono dai suoi palmi e sfrecciarono in avanti, sino  colpire il torace del guerriero. Vegeta ricadde a terra, mentre le sfere d'energia continuavano a strappare i suoi vestiti, ad aprirgli ferite... Piccolo lo imitò, ed entrambi i guerrieri tempestarono la Sayan di potentissimi pugni. Zarah parava i colpi con fare divertito, come se non si trattasse che di un gioco. Bloccò il braccio del namecciano stringendolo nella mano, mentre con l'altra afferrava quello del Sayan.
“Sembra di essere in una morsa d'acciaio.” pensò Vegeta, tentando di liberarsi. Dimostrando una forza incredibile, la donna li sollevò entrambi e li gettò a terra, come se fossero due gattini.
Proprio mentre stava per scagliare il colpo finale, Zarah fu scaraventata a terra da una violenta scarica di raggi dorati.  Sherin la osservò cadere, il viso inespressivo e freddo. Vide Piccolo e Vegeta a terra, sfiniti, e li raggiunse, stringendo tra le mani un sacchetto contenente i fagioli di Balzar.
-Piccolo, apri la bocca.- sussurrò, sollevando i corpo dell'amico -E' un fagiolo senzu.
Il namecciano masticò lentamente, rivolgendole un silenzioso cenno di ringraziamento. Sentì una nuova energia tornargli nel corpo, infondergli calore e rinsaldargli le ossa rotte. Sherin lo guardò rialzarsi, grata al potere dei fagioli senzu. Ne diede uno anche a Vegeta che, prevedibilmente, masticò il fagiolo senza degnarla di uno sguardo.
-Volevo ringraziarti.- disse Sherin, dopo un attimo di indecisione -Hai deciso di combattere contro mia madre per aiutarmi...
-Non dire sciocchezze.- il Sayan si rialzò, lo sguardo fisso sull'avversaria -L'ho fatto solo perché io e Zarah abbiamo una faccenda in sospeso.
Sherin non replicò e lo lasciò raggiungere Zarah la quale, soddisfatta di poter ancora combattere, lo accolse con una violenta onda energetica. Vegeta incassò il colpo, deciso a trasformarsi in Super Sayan. Urlando, raccolse a sé tutta la sua aura, ed i suoi capelli mutarono in una folta chioma dorata. Zarah spalancò gli occhi, sorpresa. Il suo rilevatore doveva essere andato in tilt: com'era possibile che Vegeta possedesse tutta quella potenza?
-Preparati a conoscere la potenza del Super Sayan, Zarah.- ringhiò Vegeta, mostrando i pugni ed un sorriso beffardo.
Zarah rise sguaiatamente e spense il rilevatore.
-Credi che io sia tanto sciocca da credere alla leggenda del Super Sayan?- disse, continuando a ridacchiare. Strinse tra le mani il piccolo congegno, sino a quando non si ruppe in mille pezzi.
-Vedremo...Che ne dici di un giochetto?- domandò, guardando Vegeta, che annuì.
-Che giochetto? Sono curioso.
Zarah portò un dito sulle labbra, fingendosi pensierosa.
-Se io uccidessi una persona a te cara, la tua rabbia, e con essa la tua forza, aumenterebbe? Perché, sai, ho già in mente chi scegliere.
Vegeta sussultò. No...non lei...
-Bulma, scappa! Va' via!- urlò, voltandosi di scatto verso la ragazza che, terrorizzata, iniziò a fuggire, inciampando sui suoi stessi passi. Zarah aveva già iniziato a rincorrerla, quando Sherin le si parò davanti. La Sayan storse la bocca, e fece segno di “no” con l'indice.
-Togliti dai piedi, Kahar. Dopo toccherà a te.
Sherin non mosse un muscolo, continuando a fissarla negli occhi. Zarah sospirò, poggiando le mani sui fianchi.
-Ok, ho capito. Non c'è bisogno di fare quella faccia.- continuò, alzandole il viso con un delicato gesto della mano -Se volevi partecipare, bastava che lo dicessi, tesoro...
Lo schiaffo di Sherin smorzò le sue parole. Zarah sputò sangue, massaggiandosi la guancia colpita.
-Piccola insolente...- sibilò, lanciandosi all'attacco.
Sherin venne investita da una violentissima serie di pugni, ma non aprì bocca. Parò i colpi uno ad uno, sotto lo sguardo stupito della madre. Zarah urlò, frustrata, e colpì la ragazza in pieno viso. Sherin prese il braccio della madre tra le mani e scostò lentamente la sua mano chiusa da sopra il suo viso. Un rivolo di sangue scorreva dalle sue narici, ma lei sembrava non curarsene minimamente. Strinse con violenza il polso della madre, la quale iniziò ad urlare.
-Ma come, non ricordi?- sussurrò la ragazza -Quando un Sayan è ridotto in fin di vita, e poi riacquista le energie, diventa più forte...
Zarah si liberò. Guardò sconcertata la figlia: da quando era diventata così sicura di se', così forte? Dov'era finita quella bambina patetica e debole? Si massaggiò il polso dolorante, mentre la sua mente lavorava frenetica.
-Forse non sarò mai una Super Sayan, ma..perché non tentare?
Udendo quella frase, i compagni della giovane s'impietrirono. Vegeta scosse la testa, quasi incredulo.
-Una Super Sayan...è incredibile solo il fatto che un meticcio come te abbia anche solo pensato di poter diventarlo.
Sherin non gli prestò ascolto. Allargò le braccia, e respirò a fondo, com'era solita fare quando cominciava ad aumentare la sua aura.
-Se non avessi distrutto il tuo rilevatore,- azzardò il Maestro Muten -a quest'ora ti saresti accorta dell'incredibile forza che sta crescendo in lei.
La Sayan lo fulminò con lo sguardo, ed il vecchietto si zittì immediatamente. Per scaricare l'energia, Sherin iniziò ad urlare, mentre la sua aura iniziava ad avvolgerla. L'atmosfera si caricò di elettricità e la tensione era palpabile nell'aria.
“Non ha mai tentato nulla di simile...” pensò Piccolo, sudando freddo “Mi domando cosa abbia in mente.”. Guardò l'amica scendere a terra, ancora concentrata sulla propria aura. Zarah era senza parole, letteralmente. Non si sarebbe mai aspetta nulla del genere dalla figlia...anche se non era ancora diventata una Super Sayan. Sherin, come ad aver percepito i pensieri della madre, si girò verso di lei.
“Ed ora, guarda...”. La ragazza portò le braccia al cielo, ed una luce fortissima li accecò. Lentamente, alcune ciocche corvine della sua chioma diventarono dorate, così come i suoi occhi, che assunsero nuovamente il colore dell'oro. Così come era iniziato, tutto si chetò, e il vento tornò a battere la pianura. Sherin fece scrocchiare le giunture delle dita, percorse da piccole scariche elettriche.
“Non può essere...Non può essere diventata una..”
-...una Half Sayan...-sussurrò Vegeta.
Bulma tirò leggermente il tessuto della sua tuta, richiamando la sua attenzione.
-Che..che cos'è un Half Sayan?- domandò con voce tremante.
-Non ricordo con esattezza, ma un giorno mio padre mi parlò degli Half Sayan. Anche se un Sayan è tale solo per metà, può ugualmente trasformarsi in Super Sayan, se possiede abbastanza potenza. A volte, come nel caso di Kahar, prevale un altra natura. In questo caso, il sangue namecciano...L'individuo non può così trasformarsi del tutto in Super Sayan. Si raggiunge così la forma dell'Half Sayan. I capelli non diventano dorati, tranne che per alcune ciocche, e l'iride assume una forte tonalità d'oro.
-Un Half Sayan possiede la stessa forza di un Super Sayan?- domandò Gohan, costringendosi a distogliere lo sguardo dall'amica.
-Non lo so...dicono abbia poteri particolari, e che la sua potenza possa aumentare come quella di un Super Sayan.- fece saettare lo sguardo sulla giovane -E credo che Sherin non veda l'ora di dimostrarcelo.
Zarah gridò, furiosa. Non sarebbe dovuto accadere, pensò, iniziando a scagliare raggi d'aura sulla figlia che, come protetta da una barriera invisibile, non ne fu colpita.
Sherin mosse qualche passo verso la madre, la quale si guardò freneticamente attorno: i compagni della figlia l'avevano accerchiata, pronti a bloccarle ogni via di fuga.
-Hai paura?- domandò la giovane, inclinando il capo da un lato, abbozzando un sorriso spavaldo. Zarah avvertì la rabbia scorrerle dentro come un fiume in piena, alimentata dalle parole della figlia.
-Hai perso la tua baldanza?- continuò Sherin -Non voglio farti del male, perciò ti prego di darmi ascolto....vattene via.
-Cosa hai detto?- sibilò Zarah, mostrando i pugni. Sherin no batté ciglio, e ripeté la sua richiesta.
-Vattene. Ti prego...
Le due donne rimasero in silenzio, squadrandosi. Zarah sbuffò, e rilassò i muscoli. -Va bene.- disse, alzando le mani -Me ne andrò, ma prima...lascia che ti abbracci.
Piccolo le afferrò una spalla, attirandola a se'.
-Ti prego, stai attenta.- sussurrò, lanciando un'occhiata a Zarah -Non ti fidare, è sicuramente una trappola.
La giovane non volle ascoltarlo e , liberatasi dalla sua stretta, allargò le braccia, diretta verso la madre. Zarah la strinse a se', circondandole la vista con le braccia. Sherin chiuse gli occhi, felice: erano passati troppi anni, troppi....
Improvvisamente, Zarah intensificò la stretta. La giovane, pensando fosse dovuto all'emozione, non reagì.
-Come sei sciocca.
Sherin gettò indietro la testa, urlando di dolore: l'abbraccio era mutato in una morsa , le braccia della madre parevano tenaglie pronte a romperle le costole. Piccolo corse verso di lei, pronto a difenderla, quando Zarah aumentò la violenza della stretta, e la giovane lanciò un urlo straziante.
-Io non lo farei, belloccio...-sibilò la Sayan. Alzò lo sguardo, sino ad incontrare quello della figlia. -Che stupida ingenua.- continuò, mentre inquietanti rumori di ossa rotte iniziavano a risuonare nell'aria -Non hai ancora capito con chi hai a che fare?
Sherin si divincolò, continuando a gridare.
No dovrei farlo...ma non mi lascia altra scelta...
Dal corpo della ragazza si sprigionò una forte luce dorata che, come fuoco, avvolse le braccai di Zarah, ustionandole. La Sayan urlò, lasciando immediatamente la presa su di lei, ma le lingue dorate non accennavano a sparire. Sherin fece schioccare le dita: la luce dorata sparì,  lasciando le braccia di Zarah gravemente ustionate e doloranti                           
-Me la pagherai...

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Capitolo 8
*** The Last Fight 2 ***


Chiuse la porta con un colpetto del fianco, facendo tintinnare i bracciali che portava ai polsi. Torat si guardò intorno, spaesato: la stanza era spartana, con pochi ed essenziali mobili...Pareva tutto, tranne che la stanza di una adolescente...
-Ora vuoi dirmi cosa vuoi da me? Mi hai trascinato fuori dalla cella senza dire una parola, e poi mi hai portato qui- domandò, sollevando un sopracciglio. Solo ora riusciva ad osservarla con più calma. Era...era singolare: i vestiti eleganti non riuscivano a celare i muscoli tonici che irrobustivano il suo corpo minuto, e lei stessa era palesemente a disagio, stretta in quell'abito.
-Quanti anni hai? Quattordici? Quindici?
Zarah mostrò i denti, probabilmente un tentativo di intimorirlo.
-Sedici. Dillo, che sono solo una ragazzina.- aggiunse, prevedendo ciò che il namecciano stava per ribattere -Comunque, questa è la mia stanza. Qui nessuno può entrare senza il mio permesso...sei al sicuro, per ora.
Si sedette sul grande letto posto al centro della stanza, ed iniziò a sfilare i guanti dalle piccole mani bianche.
-Siediti accanto a me.
Torat rimase immobile, continuando a squadrarla. No, non era buffa, o singolare...era solo una ragazzina sicura di sé ed arrogante.
“Come tutti i Sayan...”, pensò.
Lo aveva liberato senza dire una parola, senza apparenti motivi. Quando venivi liberato, era grazie a due soli motivi: la guerra, o la morte. I Sayan non usavano tenere prigionieri per lungo tempo. In fondo, che cos'aveva da perdere?
Si sedette accanto a lei, cercando di ignorare il crescente imbarazzo. “Nonostante i muscoli, è carina...molto  carina...”
Deglutì, mentre le sue guance iniziavano ad assumere una tonalità rossastra. Zarah si distese sul letto, sospirando: il petto si alzò e si abbassò lentamente, seguendo il ritmo dei suoi respiri. Anche i muscoli del suo viso si rilassarono e le sopracciglia, sino a quel momento contratte in un atteggiamento scostante, si distesero. Torat s'irrigidì, trattenendosi dall'accarezzare quel viso infantile e delicato. D'un tratta, la ragazza spalancò gli occhi e si mise gattoni sul letto, i sottili occhi color pece fissi sui suoi.
-Mi spieghi come fai a resistere?
-...Come?
-Come fai a resistere? Una ragazza si abbandona sul letto, proprio accanto a te, e tu rimani immobile?
Lui rimase in silenzio, interdetto Cosa avrebbe mai dovuto fare? Zarah si sedette a gambe incrociate, posando le mani sui fianchi. Proprio quando stava per riprendere il discorso, Torat rispose.
-Sul mio pianeta non esistono donne. Se devo essere sincero, è la prima volta che vedo una donna aliena così da vicino...
Zarah spalancò lentamente la bocca. Solo uomini, solo maledettissimi uomini? Rivolse un silenzioso ringraziamento alla Vita, per averla fatta nascere sul pianeta Vegeta.
-Quindi- si schiarì la voce -non conosci il significato delle parole “fare l'amore”?
-No.
Zarah posò l'indice sulle sue labbra, con una delicatezza quasi innaturale. Con la stessa delicatezza si avvicinò, socchiudendo gli occhi. Quelle che si posarono sulla bocca di Torat non erano labbra ciniche, o maliziose. Erano solo le labbra delicate di una ragazza, diventata adulta troppo presto.
-Non parlare...

E' tutto così confuso...Non riesco a vedere Sherin, solo lampi di luce e rumori assordanti...
Bulma cadde a terra, sfiorata da un raggio energetico vagante. La sua superficie bruciante le strappò i vestiti, graffiò la sua pelle. Rovinò a terra, portando le mani alla ferita.
Perché non fa male? Credevo comportasse un dolore fortissimo...
Improvvisamente, come un vulcano, il dolore si riversò nel suo corpo, annebbiandole la vista. Come aveva solo potuto pensare di poter sopportare il dolore, pensò..Lei, che non aveva mai provato dolore fisico?
La battaglia aveva raggiunto il culmine: stanchi di essere spettatori di quell'assurda crudeltà, i suoi amici avevano affiancato Sherin nel combattimento. In un altro momento li avrebbe ammoniti per aver sfidato tutti assieme un solo avversario, ma in quel momento non desiderava altro che la fine di quell'incubo. Si allontanò, strisciando a terra. Qualcosa di liquido e calo colò dalla spalla, lungo il suo braccio.
Sto perdendo sangue.
Batté il pugno a terra. Si diede della stupida, della debole... Sherin aveva molto probabilmente non una, ma più ossa rotte, e continuava a combattere senza battere ciglio. Lei aveva solo una ferita superficiale alla spalla...
Ma io non sono abituata al dolore...
Si voltò, rivolgendo corpo e viso al cielo, dove i suoi amici stavano lottando. Poco prima di perdere i sensi, tese una mano verso l'alto, come a volerli toccare. O a voler reclamare il loro aiuto. Il braccio di Bulma si accasciò al suolo, ed i suoi occhi si socchiusero.
Speriamo di uscirne tutti interi, amici miei

Combattevano affiancati, quasi fianco a fianco, schiena contro schiena. Muovendosi come una persona sola. Ogni volta che uno incassava un colpo, l'altro era pronto a restituirlo al mittente, con ancora più forza.
Sherin prese la rincorsa, scagliandosi contro la madre. Contemporaneamente, Piccolo si posizionava fulmineo dietro l'avversaria, bloccandole ogni possibile movimento.
-Ora!
L'urlo di Gohan risuonò nell'aria, seguito poco dopo da tre onde energetiche unite in un solo, potentissimo colpo. Piccolo rimase immobile, mantenendo la presa. Sarebbe bastata una minima distrazione, un solo movimento errato, e anche lui sarebbe stato coinvolto nell'esplosione.
Pochi secondi prima che l'estremità dell'onda li raggiungesse, scattò indietro, allontanandosi il più velocemente possibile da lei.
Zarah alzò lo sguardo, ma ormai era troppo tardi: l'onda energetica la colpì in pieno, e l'esplosione che seguì fu talmente forte che tutti furono investiti con più o meno violenza dalla sua onda d'urto.
Piccolo circondò il corpo della giovane Sayan con le braccia, proteggendola. Entrambi furono scaraventati contro un albero, il quale fu spezzato dall'urto dei loro due corpi. Caddero a terra, portando con sé buona parte della rigogliosa chioma.
-La prossima volta vediamo di cadere in un posto meno scomodo...- ironizzò Piccolo, scostando  una foglia posatasi sul naso della compagna.
-Piccolo, mi dispiace...E' solo a causa mia che tutto questo è successo. Se io non fossi nata, tutto questo- allargò le braccia -non sarebbe mai accaduto.
Lui non rispose, lasciando calare il silenzio, rotto solamente dal rumore del vento. Sherin abbassò il capo, e delle piccole lacrime iniziarono a scorrerle sulle guance. Non singhiozzò, non urlò...Lasciò semplicemente scorrere le lacrime, senza nemmeno tentare di asciugarle. Sentì le braccia di Piccolo avvolgerla con delicatezza, e si lasciò sfuggire un sorriso.
-Se tu non fossi nata...- cominciò lui, misurando le parole. Temeva di ferirla, di dire qualcosa di sbagliato, di inadeguato - io non ti avrei mai incontrata...

-Devi andartene.
Stupito da quelle parole, Torat sciolse il loro abbraccio. Zarah continuò a parlare, senza guardarlo negli occhi.
-Ti prego, vattene....
-Perché?
-Perché tutto questo non sarebbe mai dovuto accadere.
Arrotolò su sé stesso un lembo delle coperte, costringendosi a guardarlo negli occhi. Torat le si avvicinò, prendendole il viso tra le mani.
-E' strano...Pochi giorni fa eri fredda, inattaccabile, ed ora stai piangendo.- sussurrò Torat, asciugando una lacrima solitaria scesa sulle guance della ragazza. Zarah scosse la testa, iniziando a strofinarsi gli occhi: non avrebbe pianto. Non davanti a lui...
-Ho sentito dei soldati di Freezer parlare di “pulizia delle celle”.
-E con ciò?
-Ma non capisci?- gridò, afferrandogli le larghe spalle -Non capisci? Vogliono uccidere tutti i prigionieri. Se ti toccano con un dito...se ti provocano anche solo un graffio...io faccio una strage. Se proveranno a separarmi da te, li ucciderò. Li ucciderò tutti, dal primo all'ultimo.
Torat la strinse a sé. Rimasero così, abbracciati, fino a che Zarah non si calmò, abbandonandosi tra le sue braccia. Le sollevò il mento, lentamente, fino a che i loro occhi non si incontrarono.
-Preferisco morire, che vivere un vita da fuggiasco.

Sherin socchiuse la bocca, accogliendo le labbra di Piccolo. Poteva essere in un altro posto, con altre persone, in un'altra situazione....Ma, in quell'istante, il suo corpo non desiderava altro che il contatto dell'altro. Poteva succedere qualsiasi cosa, qualsiasi... eppure il suo unico desiderio era che il loro bacio durasse all'infinito. Oltre il tempo, oltre quella realtà.
Intensificarono l'abbraccio, desiderosi d'essere più vicini possibile. Intensificarono la passione delle loro labbra, desiderando ora più che mai essere uno la metà dell'altro.
Sherin poggiò il capo sul suo petto, lasciandosi cullare dal forte battito del suo cuore.
-Aspetta...
Piccolo la riavvicinò a sé, accarezzandole i folti capelli neri. Avrebbe dato qualsiasi cosa, purché quella magia durasse ancora...ancora un po'....Dischiuse nuovamente le labbra sulle sue, lasciando che le loro lingue si toccassero.
Non aveva mai provato nulla di lontanamente simile a quel turbine di amore, affetto, passione, felicità che lo stava attraversando, nel profondo della sua anima e del suo corpo. Un corpo, un cuore...Solo ora si accorgeva di possederli! Solo ora poteva finalmente urlare al mondo quanto provava per lei, solo ora poteva stringerla a sé, baciarle i capelli, le labbra, le mani...Senza paura, senza alcun timore.
Si separarono, continuando però a stringere l'uno la mano dell'altra, continuando a voler restare così, abbracciati.
-Ehi, voi due!
La voce di Crilin ruppe la magia, riportandoli alla realtà.
-Volete darci una mano, o preferite lasciarci ammazzare?- urlò, il viso rotondo stravolto dalla fatica e dal dolore. Sherin depositò un veloce bacio sulla bocca di Piccolo, incurante che gli occhi dell'amico fossero fissi su di loro, e si alzò in volo.
Allo sguardo interrogativo ed un po' imbarazzato, la giovane rispose con un sorriso tirato. Non era ancora tempo per le spiegazioni.

Rimase immobile, lo sguardo fisso su di lei.
“Ti prego, voltati...Voltati adesso...” supplicò mentalmente. .
Zarah sedeva davanti alle sbarre della sua cella, le braccia incrociate al petto. Torat rimase immobile, osservandola: era cambiata radicalmente nel breve periodo di quei pochi mesi. Immobile, come una statua di ghiaccio, Zarah pareva completamente priva d'anima, od i sentimenti...
-Avresti dovuto darmi retta.
La voce della giovane uscì distorta dalle sue labbra, come se la ragazza stesse tentando di trattenere le parole.
-Zarah, ti prego..
-No. Non voglio parlare con te. Freezer ed i suoi uomini non devono sospettare niente.- sussurrò lei, volgendo lo sguardo altrove. Torat afferrò le sbarre di metallo, come a volerle distruggere, per raggiungerla.
-Almeno guardami!- sibilò, stringendole il braccio. La giovane si voltò di scatto, furiosa: i suoi occhi neri erano ridotti a fessure, due linee infuocate dalle quali l'altro poté vedere il rimorso, la frustrazione.
-Zarah, va tutto bene?
Un alieno vestito con la sua stessa uniforme apparve da dietro un corridoio. Torat chiuse gli occhi, e lasciò la presa sulla compagna.
“Presto sarà tutto finito.”
-No..state tranquilli.- Zarah si liberò dalla sua stretta, mentre un soldato estraeva un mazzo di chiavi arrugginite.
-Sei contento?- domandò, rivolgendo uno sguardo sprezzante al prigioniero -Presto raggiungerai i tuoi compagni.
-Sarò soddisfatto, perché  non avrò più modo di vedere con quanta viltà vi sottomettete a quel mostro.- sibilò il namecciano, sputando a terra.
Furioso, ma lieto di aver trovato un valida ragione alla sua violenza, il soldato afferrò Torat per il collo della tuta, trascinandolo di peso fuori dalla cella.
Anche con i polsi bloccati dalle manette, Torat non aveva l'aria di un prigioniero: camminò a testa alta, senza degnare di uno sguardo chi lo circondava. Gli altri prigionieri cercavano disperatamente un briciolo di umanità nei visi dei loro aguzzini, una sola traccia di pietà, ma lui no. Non cercò più il suo sguardo, sebbene ora lei ne avesse bisogno come l'aria. Erano entrambi troppo orgogliosi per abbandonare le loro posizioni, e attraversarono il lungo corridoio in un ostinato silenzio. Sapevano entrambi che il non rivolgersi la parola non avrebbe portato a niente, ma nessuno dei due accennò ad una frase, o ad una sola parola.
Giunsero infine all'esterno della prigione: il resto dei prigionieri era stato radunato contro il muro dell'edificio, e Zarah poté percepire chiaramente la paura che serpeggiava tra di essi.
“Guarda nella tua tasca.” La voce di Torat le risuonò nella mente, e la giovane iniziò a frugare nel piccola tasca del mantello nero. Sebbene fosse notte, la pietra verde scintillò come colpita dai raggi del sole. Zarah la rimise delicatamente nella tasca, sentendosi morire dentro. No...non voleva che accadesse...
Corse verso di lui, le braccia tese in un atteggiamento di supplica. Ma, non appena riuscì ad abbracciarlo, due soldati s'interposero fra i due, allontanandoli l'uno dall'altra. Zarah si divincolò  nella stretta del guerriero , iniziando ad urlare come un'ossessa.
-Finiscila!- ordinò il soldato, gettandola a terra. Zarah gemette, portando le mani tra i capelli. Urlava, battendo i pugni a terra, gridando insulti contro le guardie le quali, spazientite, iniziarono a colpirla con i calci dei fucili.
-Non toccatela!
Approfittando della distrazione dei due aguzzini, Torat spezzò le manette. Colpite le guardie, corse verso Zarah, scansando i prigionieri confusi e spaventati.
-Non toccatela!
Iniziarono gli spari, e scoppiò il caos. Molti prigionieri morirono, colpiti dai raggi vaganti, mentre altri ne approfittarono per fuggire, rivolgendo un pensiero di gratitudine a quel pazzo che aveva deciso di andare incontro alla morte sulle proprie gambe. Zarah era rimasta a terra, protetta da quegli stessi uomini che desiderava uccidere. I soldati caddero a terra, trafitti dalle loro stesse lame, e Zarah sentì due forti braccia stringerle il torace.
-Vieni con me.
-Torat, va' via! Va' via!
Lui non le diede ascolto. Piccola com'era, non fu difficile costringerla ad aggrapparsi a lui. Spiccò il volo, diretto verso il deposito delle navicelle. Sarebbe stato quasi impossibile rubare una navicella e riuscire a fuggire dal pianeta, ma avrebbe tentato comunque. Per lei.
Zarah chiuse gli occhi, assaporando per un istante l'odore del vento contro il suo viso. Dentro di sé, sapeva...sapeva che quello sarebbero stati i loro ultimi momenti assieme.
Improvvisamente lui la gettò a terra, senza dire una parola. In quell'esatto momento, un'infinita scarica di raggi si riversò su di lui, nascondendolo alla sua vista. Quando anche l'ultimo colpo fu sparato, Torat cadde a terra, avvolto dal fumo. Zarah corse verso di lui, incurante del pericolo di essere colpita a sua volta.
“Ti prego, non morire..”
Strappò via la stoffa che ricopriva il petto del compagno, scoprendone le innumerevoli ferite. Era perfettamente consapevole che ormai non ci fosse più nulla da fare per salvarlo, ma un ultimo, ostinato e folle barlume di speranza animava i suoi gesti frenetici.
-Ce la farai, hai capito?- sussurrò, tentando di bendargli il petto con i brandelli di tessuto -Te lo ordino...
Torat tentò un sorriso, presto smorzato da una smorfia di dolore. Dei soldati avevano cominciato ad avvicinarsi, pronti a sparare se il prigioniero si fosse rialzato.
-Cosa diavolo sta facendo Zarah?- domandò uno, abbassando l'arma. Osservò confuso la ragazza tentare di bendare il petto del prigioniero, riducendo a brandelli resistente tessuto arancio.
-Lasciala perdere...è pazza, lo sai.
Improvvisamente, Zarah portò le mani ai capelli, urlando di dolore. Gli occhi di Torat si erano chiusi per sempre, rivolgendole un ultimo sguardo, nel quale il namecciano riversò tutto sé stesso.
-Apri gli occhi!- Zarah iniziò a colpire le guance del compagno, mentre piccole lacrime cominciavano a scorrere sulle sue.
Non le aveva detto addio...Non aveva pronunciato un'ultima parola, nemmeno una...
-Zarah.
“Lasciatemi in pace. Andatevene ora.”
-Torna qui. Sarà seppellito fra poco nella fossa comune...
“Non azzardatevi a toccarlo.”
-Ehi, mi stai ascoltando?
Zarah si voltò di scatto, strappandogli dalle mani il fucile. Prima che il soldato potesse almeno tentare di difendersi, Zarah aveva già riversato sul suo corpo tutti i raggi che l'arma potesse lanciare. Lo guardò cadere a terra, un sorriso folle dipinto sul volto infantile. Terrorizzato, l'altro tirapiedi di Freezer azionò la ricetrasmittente.
-Richiedo rinforzi. Ribellione in at..
Non riuscì a terminare la frase, stroncato dall'onda energetica della giovane. Zarah gettò a terra il fucile, ormai inutile. Entro poco tempo le guardie di Freezer sarebbero accorse sul posto: che fare? Dove nascondersi? Il suo sguardo si posò sul deposito di navicelle, l'ultima meta di Torat...Col cuore stretto in una morsa, la ragazza volò verso la struttura, nascosta dall'oscurità della notte.
-Fermati!
L'ordine era stato dato dall'alieno appena uscito dalla base generale del pianeta, seguito da un nutrito gruppo di soldati. Zarah sorrise, iniziando a scendere a terra. Le parole dette a Torat  le ritornarono in mente, fendendo la nebbia di dolore formatasi dentro di lei.
“Se ti toccano con un dito...se ti provocano anche solo un graffio...io faccio una strage. Se proveranno a separarmi da te, li ucciderò. Li ucciderò tutti, dal primo all'ultimo.....”
Schivando la miriade di raggi scagliata contro di lei, Zarah volò dritta verso di loro, veloce, come l'aquila che ha puntato la sua preda.

Madre e figlia afferrarono l'una le mani dell'altra, rimanendo così immobili, quasi a sancire una breve tregua. Un osservatore attento avrebbe potuto scorgere la frenesia nei loro occhi, la voglia irrefrenabile di continuare a combattere. Riscoprendo le sue origini, una parte dell'indole Sayan si era risvegliata in Sherin; spingendola a combattere con tutta sé stessa, mentre sua madre...Il contatto con il corpo della figlia non faceva altro che risvegliare ricordi. Ricordi scomodi, che aveva cercato in tutti i modi di cancellare dalla memoria. Sherin lasciò la presa, scattando all'indietro: tra i palmi delle sue mani una lucente sfera dorata aveva incominciato a brillare, illuminando i loro visi.

“Mai avrei pensato di essere chiusa in gabbia.”
Zarah contrasse i muscoli nell'ennesimo tentativo di spezzare le catene che l'avvolgevano. Gemendo, si lasciò cadere a terra, sbattendo sul freddo metallo. In gabbia. In gabbia come una bestia feroce. Più o meno ciò che sono, pensò, vedendo uno spiraglio di luce scaturire dalla porta aperta. Zarbon entrò nella stanza spoglia, portando con se una coppia di soldati speciali.
-Ehi, Zarbon, il vecchio Freezer ti ha ordinato di prendergli l'animale?- domandò sarcastica, concedendosi una rauca risata. L'affascinante alieno decise di ignorare la sua provocazione, e fece cenno ai sottoposti di aprire la gabbia.
-Dimmi un po', il paparino ha deciso di volermi viva? Probabilmente ha capito che se mi avesse ammazzato mi avrebbe solo fatto un piacere....
Le parole taglienti di Zarah furono soffocate da un colpo ben preciso, dritto nello stomaco, assestato da un soldato spazientito. Il quartetto giunse alla soglia di una stanza circolare: l'intera parete di fronte era formata da una sola, resistente, lastra di vetro dove era riflesso il volto di colui che aveva ordinato la sua cattura.
-Sono davvero felice di vederti Freezer.
-Vedo che la tua lingua biforcuta è la stessa di sempre, Sayan.
Freezer si voltò, trasportato dalla poltrona meccanica.  Non celò il sorriso soddisfatto che si allargò sul suo viso, alla vista di quella piccola pesta incatenata e costretta ad inchinarsi ai suoi piedi. Zarbon afferrò i capelli della ragazza, piegandole a forza il capo bruno. Zarah soffocò un insulto, guardando Freezer di sottecchi.
-Ho saputo che hai decimato un intero esercito.- la informò quest'ultimo, ritornando a guardare il cielo nero -La cosa non mi rende affatto felice, lo sai?
Anche senza vedere il suo viso, Zarah era certa che la smorfia delle sue labbra fosse di autentica rabbia.
-Proprio tu, una dei miei migliori uomini, tenti di ribellarti?
-Non era una ribellione.
Freezer si voltò lentamente.
-Come?
-Non era una ribellione...- ripeté Zarah, tentando di mantenere la calma.
-E allora, vuoi spiegarmi perché diavolo hai deciso di attaccare i miei uomini?
Freezer era sceso dalla poltrona e le aveva afferrato il mento, costringendola ad alzare lo sguardo. Zarah non rispose, chiudendosi in un freddo silenzio. Lo schiaffo del tiranno le colpì duramente una guancia; seguito dalle risate sguaiate dei suoi tirapiedi.
“Perdonami, ma non dirò mai il perché del mio gesto..”
-Liberatela.
Zarbon sgranò gli occhi, interdetto da quell'ordine inaspettato.
-Mio signore...
-Fai come ti ho detto.

-Se uguale a lui, sai?
Zarah colpì la figlia al viso, facendole perdere l'equilibrio.
-Orgogliosa come lui, come tutti i namecciani. Per niente al mondo tuo padre si sarebbe inchinato di fronte al nemico. Proprio come te.
Sherin si concesse un sorriso, tirando a fatica le labbra insanguinate. Afferrò la madre per i capelli, trascinandola verso di lei.
-Lo prendo come un complimento.- disse, affondando il pugno nel suo stomaco.

Zarbon sciolse la lunga treccia con la quale era solito raccogliere la chioma.
Incinta. Zarah era rimasta incinta di un essere inferiore...Di un insulso namecciano...
Sfogò la sua rabbia colpendo più volte il muro, sino a che le sue nocche non arrossarono, dipingendosi di un rosso vivo.
“Come ho potuto anche solo pensare di essere il suo favorito? Sporca Sayan...Ha preferito un insulso figlio di Namecc a me, la bellezza incarnata...”
Uscì dalla stanza, deciso a mantenere il controllo. Avrebbe visto il figlio della traditrice, pensò con una punta di sarcasmo. Poggiò il braccio sulla fredda lastra di vetro che lo separava dall'infermeria, dove due medici si affaccendavano attorno alla puerpera, decisamente più scontrosa ed irritabile che mai.
-Allontana quelle sporche zampacce da me!- sibilò lei, rivolgendo uno sguardo glaciale ad un atterrito dottore.
-Ma,signorina! Il parto è quasi concluso, deve avere pazienza!
Zarah si trattenne dal rispondere, masticando parole amare.
Non voleva quel bambino....Con tutta se' stessa sperava di vederlo nascere già morto, o che fosse talmente sfortunato da sopravvivere per poco tempo.  Una fitta al cure la distolse da quei pensieri, e la Sayan vide la piccola pietra verde brillare, appesa al suo collo grazie ad un semplice nastro.
Un acuto strillo, seguito dall'esultanza dei medici, l'informò della nascita della sua prima ed unica figlia. Zarah si sporse in avanti, spinta da una flebile curiosità. Avvolta in un panno scarlatto, la piccola aprì le manine cicciottelle, come a reclamare il suo abbraccio. Zarah si rifiutò categoricamente di prenderla tra le braccia, volgendo lo sguardo altrove. Immediatamente, la piccina scoppiò a piangere, ed il medico iniziò a cullarla, cercando di calmare il suo pianto.
-Ha fame.- disse, costringendo la madre ad accoglierla tra le braccia. Con una smorfia di disgusto, Zarah sbottonò la vestaglia, scoprendo un seno ancora acerbo. La neonata vi si attaccò con un vagito soddisfatto, ed iniziò a succhiare le prime gocce di latte.
-Hai già deciso il nome?
La giovane non rispose: guardava la figlia con espressione assente, giocherellando con le sue corte ciocche color corvo. Spazientiti, i medici la lasciarono sola con il suo silenzio, affrettandosi a sistemare i loro attrezzi medici nelle valigette.
La piccola smise di bere e, dopo un ultimo vagito, si addormentò placidamente, abbandonando la testolina sul braccio della madre.
“Così, d'ora in poi dovrò occuparmi di te...” Zarah si concesse quel tenero pensiero, sistemando quel caldo corpicino nel vicino fasciatoio.
-Voglio farti un piccolo discorso, Kahar.- disse, sistemandosi accanto a lei -Io giuro. Giuro che la tua vita trascorrerà lontana da quest'orrendo pianeta. Giuro che, un giorno, ti raggiungerò, ovunque ti troverai. Io ti giuro, Kahar....che mai il mio cuore avrà un sentimento d'amore per te, che i miei gesti non supereranno mai la freddezza che un maestro rivolge alla propria allieva. Dovrai essere forte, vivere da orfana, da reietta. E, per farlo, dovrai odiarmi...dovrai odiarci tutti...


N.d.A.
Finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo, nonostante la mia deliziosa febbre a 38...I Pink Floyd fanno miracoli, gente!
Ma non ho iniziato queste righe per parlare della mia febbre, bensì per ringraziare tutti quelli che seguono la mia storia, commentandola o non.  Anche il solo fatto che qualcuno apprezzi in silenzio ciò che scrivi è una bella cosa! Thank you, guys.
Ehi, sto dimenticando di fare qualche ringraziamento speciale a:

Aloysia Piton, perché non vi è un capitolo che non abbia uno dei suoi sinceri e simpatici commenti. Non ho mai visto una fan così puntuale ed interessata ad una storia! :)

Molkira, anche se spesso mi fa disperare....Però è una delle persone che più apprezzano il mio lavoro, soprattutto grazie ai continui spoiler che riesce a strapparmi durante le lunghe ore di lezione.

Ed infine akuma, anche se so che, purtroppo, è così piena di impegni che molto probabilmente non riuscirà a leggere queste poche righe. Ti mando un bacio grande grande cara, ricordandoti che se questa storia ha un titolo è anche per merito tuo.....

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Capitolo 9
*** Addiii ***


Mai, nella mia vita, avrei immaginato di rivederla. Qualche volta, di notte, frugavo nei miei vaghi ricordi alla ricerca di qualche frammento, di qualche fugace immagine...per poi addormentarmi in preda all'angoscia. Se dovessi dire qual'è sempre stata una mia ossessione, non avrei dubbi: lei. Zarah. L'ombra del suo viso, dei suoi occhi, della sua bocca, erano gli spettri che le mie mani tentavano invano di afferrare durante le lunghe notti d'insonnia. Ora che mi è così vicina, appare ai miei occhi come l'ennesima visione. Per questo devo continuare a combattere. Ogni volta che colpisco il suo corpo, confermo la sua presenza. Il suo respiro affannoso è il mio, i suoi occhi stanchi sono come i miei.
La odio. La odio, ma anche nell'abbandono, nel rancore e nella disperazione, lei rimarrà per l'eternità una parte di me.

-Sherin, spostati!
Piccolo si gettò su di lei, pronto a farle da scudo con il suo stesso corpo. Destata dal suo torpore, la giovane Sayan si aggrappò alla tuta del compagno, come a volervi cercare rifugio. Il raggio scagliato da Zarah li mancò di qualche centimetro, finendo la sua folle corsa contro le vicine rocce.
-...Piccolo, non ce la faccio più.
Preoccupato, cercò il suo sguardo: Sherin teneva lo sguardo fisso nel vuoto, i grandi occhi neri spenti e privi della loro abituale luce.
-Ascoltami. Potremmo continuare a combattere per giorni. Lo vedi anche tu, Zarah è instancabile, e la sua energia sembra non avere fine. Non si fermerà finché non ci avrà uccisi tutti, dal primo all'ultimo.- s'interruppe, passandosi una mano sugli occhi -Ma ho un'idea. E' folle, un'idea completamente folle, ma potrebbe funzionare. Prima che Zarah torni all'attacco, dovrai assorbire la mia energia...
-Cosa diavolo stai dicendo?- Sherin lasciò andare la presa sul tessuto violaceo. Scuotendo la testa, la ragazza si allontanò da lui.
-Come potrei prendere la tua energia, Piccolo? Lo sai cosa potrebbe accadere?
Lui non rispose. Afferrò invece il suo polso, trascinandola verso di sé.
-Rispondi, stupido namecciano, rispondi!- furiosa, Sherin si liberò con uno strattone ed iniziò a colpirlo al petto con lievi pugni -Potresti morire! Morire, lo vuoi capire?
Pronunciò le ultime parole con un singhiozzo. Si abbandonò sul suo petto, lasciando che le parole le morissero in bocca, smorzate dal bacio che Piccolo depositò sulle sue labbra.
-....Ora Sherin, ora...
In quel momento, non appena ebbe pronunciato quelle poche parole, una raffica di scariche elettriche percorse i loro corpi da capo a piedi. S'insinuarono rapide dentro il corpo di Piccolo, frugando frenetiche, assorbendo tutta l'energia possibile. Il namecciano rabbrividì: era come se una mano invisibile stesse rovistando nella sua anima, fredda e decisa come una bufera di neve.
Sherin poteva fare di meglio, lo sapeva...Avrebbe potuto risucchiare l'intera forza vitale da lui posseduta senza troppe difficoltà. Si stava trattenendo. Stava controllando la propria forza, assorbendo solo il necessario.
“Forse è meglio così...non mi va di morire proprio adesso..”
Piccolo ebbe appena il tempo di formulare quel pensiero che il buio l'avvolse. Privo di sensi, il namecciano cadde a terra, ancora avvolto dalle scariche argentate.
Accortasi dell'accaduto, Zarah aveva interrotto il combattimento contro Vegeta, ed entrambi Sayan avevano osservato, attoniti, il susseguirsi degli avvenimenti.
Sherin accarezzò il volto di Piccolo. Non si era mai sentita così forte. Si voltò lentamente, cercando il contatto visivo con la madre: un particolare che non trascurava mai, quando era decisa a scagliare un colpo decisivo.  Rimasero così, immobili, aspettando l'una un movimento dell'altra. I loro respiri si fecero più veloci, veloci come l'aura che continuava a scorrere nel corpo della giovane Sayan, concentrandosi nel palmo delle sue mani tese.
L'urlo di Sherin si udì appena, sormontato dall'assordante rumore del vento. Zarah iniziò a correre, volgendole le spalle
-Ki Storm!
-NO!

Re Kaioh drizzò le antenne. Sulla Terra stava succedendo qualcosa, qualcosa di grosso, ne era certo. Nonostante la distanza che li separava riuscì chiaramente a percepire l'enorme e pericolosa potenza scatenata da Sherin. Re Kaioh si accarezzò il mento, immerso nei suoi pensieri.
-Sta accadendo qualcosa, vero signore?- domandò la cavalletta Gregory, volandogli attorno. Il silenzio del Re non fece altro che alimentare la vivace curiosità dei due animaletti, che cominciarono a domandare una risposta in modo sempre più frenetico.
-Silenzio, per favore! Non troverò mai l'anima di Torat se non riuscirò a concentrarmi!- esclamò Kaioh, muovendo le antenne con piccoli scatti. Non era un compito facile, di certo. L'anima del namecciano era dispersa tra milioni di altri spiriti, e ci vollero diversi minuti prima che Re Kaioh riuscisse ad individuarlo.
-Eccolo, l'ho trovato!- esclamò, agitando i pugni in aria- Che fortuna! Ora proverò a mettermi in contatto con lui, ragazzi. Speriamo in bene...
Si schiarì la voce.
-Torat, puoi sentirmi? Ragazzo mio, puoi sentire la mia voce?
A diversi chilometri di distanza, un giovane namecciano drizzò le orecchie.
-Torat, rispondimi! Sono Re Kaioh del Nord, ed ho urgente bisogno di parlarti!
La voce del Re risuonò chiara nelle sue orecchie. Confuso, Torat si allontanò dal gruppo di anime che sedeva lì vicino, raggiungendo un isolato gruppo di alberi.
-....sta parlando sul serio?
-Certo, figliolo. Ora, ho bisogno che tu rimanga fermo lì dove ti trovi. Sto vendendo a prenderti.
A quell'affermazione, Torat trattenne a stento una risata di scherno e, non appena fu certo che Re Kaioh non lo avrebbe più contattato, scoppiò a ridere. Un'anima si avvicinò, incuriosita dal suo comportamento.
-A quanto pare Re Kaioh del Nord ha intenzione di raggiungermi seduta stante....che idiozia.
-Io non sarei così spaccone, sai?
Re Kaioh spuntò da dietro l'albero. Anche se il tono della sua voce era senza dubbio serio, il suo volto era illuminato da un sorriso. Torat si alzò di scatto, rosso di vergogna, e s'inchinò profondamente. Re Kaioh rimase ad osservarlo, approfittando del suo silenzio.
Somigliava molto alla figlia, e non solo nell'altezza e nella figura imponente. Poté riconoscere senza difficoltà la stessa bocca sottile, lo stesso naso dritto...
-Molto probabilmente tu non mi conosci, ma io so molte cose su di te.
-Prego?
-Figliolo, ascoltami con attenzione. Una Sayan di nome Zarah è giunta sulla Terra, decisa a distruggerla. In questo momento sta combattendo con un'altra Sayan....o perlomeno metà del suo sangue è Sayan.
-Vuole dirmi che cosa vuole da me? Perché è qui?
Re Kaioh si sedette accanto a lui, all'ombra del salice piangente.
-Sono qui per chiederti se sei a conoscenza di essere padre.
-.....Si, lo sono...
-Com'è possibile?- Re Kaioh si alzò, stupito -Voi namecciani vi riproducete deponendo uova!
Torat abbassò lo sguardo, imbarazzato. Questo non era del tutto sbagliato.
-Questo è vero, ma ciò non vuol necessariamente dire che siamo sprovvisti di organi sessuali...In fondo, abbiamo sembianze umane....Se devo essere sincero, non sapevo potessimo avere figli in questo modo: lo scoprii grazie a lei. Ma la prego, continui.
-Ore fa, ormai, è successo un avvenimento particolare: un ciondolo, donato da Zarah a Sherin, le ha trasportate in una dimensione parallela....
-...Isolandole dal resto del mondo, lo so. Io stesso creai quel ciondolo, trent'anni fa. Lo creai per mantenere un contatto tra Zarah e me. In qualche modo prevedei la mia morte, e decisi di creare una specie di ponte fra il mondo dei vivi ed una dimensione neutra.
-Ma Sherin? Lei non è Zarah!
Torat sorrise.
-In qualche modo, lo è. E' sangue del suo sangue, non lo dimentichi...Per caso, ha anche solo sfiorato il ciondolo?
Re Kaioh annuì. Non si era mai sentito più confuso, più stranito. Torat continuò a parlare con quella sua voce veloce e roca.
-Probabilmente il ciondolo ha riconosciuto in lei Zarah, e l'ha trasportata in una dimensione parallela...
-...Così da permettere il vostro incontro!- Re Kaioh completò la sua frase, battendo il palmo della mano sull'ampia fronte -Ma, figliolo, tu sei morto! Come avresti potuto raggiungere la dimensione parallela?
Torat si toccò una tempia.
-Mentre l'intero corpo di mia figlia vi è stato trasportato, per quanto riguarda me, solo la mia mente ha raggiunto quella dimensione. Molti namecciani possiedono poteri magici, ed io non ho fatto altro che sfruttare quelli da me posseduti. Non sapevo avrebbe portato a tutto questo.
-Adesso capisco!- la voce di Re Kaioh aumentò d'intensità, mostrando tutta la sua foga -Ora dimmi.  Saresti capace di aprire la dimensione parallela una seconda volta?

Veloce come il vento, Sherin era sfrecciata verso la madre. Come una freccia scoccata dall'arco, si era lanciata all'attacco, stringendo tra le mani tutta la sua forza vitale. Non appena i loro corpi si toccarono, la sfera dorata racchiusa nei palmi della giovane Sayan era esplosa, scatenando tutta la sua potenza. Colpiti violentemente dall'onda d'urto, i suoi compagni non videro nulla. Quasi tutti persero i sensi nell'impatto.
Avvolte dalla luce più pura ed accecante, le due donne si strinsero l'una contro l'altra, istintivamente. Sherin serrò gli occhi, stordita dal forte boato che scosse l'intera radura. Improvvisamente, tutto svanì: la luce, l'ambiente circostante, i suoi amici...madre e figlia si ritrovarono immerse nel candore più totale, ancora abbracciate.

Torat alzò il capo di scatto: la dimensione parallela si era aperta di nuovo. Questa volta, però, per pura fortuna: il ciondolo, riattivatosi a causa dell'enorme energia scatenata al momento dell'esplosione, aveva riaperto la fenditura spazio-temporale, nella quale Sherin e Zarah erano state risucchiate. Un solo secondo in più e le due donne sarebbero morte, spazzate via in pochi attimi. Il loro corpi avevano riportato ferite non poco gravi, ma erano ancora vive. Se un dottore fosse stato lì con loro, avrebbe potuto scoprire le ferite profonde di Zarah, avrebbe potuto sentire con chiarezza il cuore di Sherin battere ostinato, stretto dalle costole spezzate.
La ragazza aprì lentamente gli occhi. Sua madre era in piedi, poco distante da dove si trovava lei, pronta a combattere. La giovane si issò a fatica sui gomiti, storcendo la bocca in una smorfia di dolore.
-Calma, non c'è alcun bisogno di combattere...- mormorò, sedendosi -Sei ferita anche tu, non lo vedi?
Strappò un lembo di stoffa dai pantaloni, afferrandolo con le lunghe dita. Avvolgendolo accuratamente attorno al braccio sinistro, fasciò le ferite senza mai sfiorarle con le nude dita. Zarah mosse qualche passo verso di lei, ma inciampò più volte: non riusciva a mantenere a lungo l'equilibrio, ed ormai il suo braccio destro era inutilizzabile. Nonostante tutto, non voleva arrendersi. Strinse i pugni, assumendo la posizione di guardia.
-Alzati! Alzati e continua a combattere, meticcio!
Sherin finse di non aver sentito. Strinse il nodo della rudimentale fasciatura senza degnarla della minima attenzione. Urlando di frustrazione, Zarah la colpì al viso. Lo schiaffo lasciò un'impronta rossastra sulla guancia della ragazza, ma lei sembrò non curarsene, sfiorandola appena con la mano.
-Ti diverte così tanto fare del male?
-Come osi?
-Hai sentito bene. Guardati attorno: siamo bloccate qui, e non sappiamo per quanto sarà così. Che senso ha continuare a batterci, vuoi spiegarmelo? Io non ne ho la minima voglia, se vuoi saperlo. Siediti, calmati. Ma smettila di agitarti, per favore.
Terminò la frase stiracchiandosi, come una gatta pigra. Zarah si sedette accanto a lei con atteggiamento insofferente. Sedersi e calmarsi....che idiozia....Incrociò le gambe, decisa a mantenere il controllo. Nell'assoluto silenzio di quel candore Zarah, per la prima volta, si rilassò. Passò una mano sul braccio ferito.
-Fascialo. Vedo che sei capace di farlo...
Sherin avvolse  il tessuto arancione attorno al braccio immobilizzato della madre con delicatezza, come se stesse toccando un bimbo. Zarah osservò a lungo il suo viso, come ipnotizzata. Non aveva mai pensato a lei come figlia, parte di sé. Era incredibile come i suoi tratti e quelli di Torat fossero stati raccolti ed uniti in un unico volto. I lunghi e folti capelli corvini, gli occhi neri ed allungati come i suoi, lo stesso naso dritto, la stessa bocca grande e sottile del padre...
-Dimmi una cosa, Kahar- sussurrò, poggiando i gomiti a terra -Ti ho vista baciare quel giovane namecciano, poco fa...E' incredibile. Per un momento mi sono immedesimata in te, come una sciocca...Ho pensato “quella è mia figlia, maledizione, mia figlia...”, anche se per pochi secondi. Tu dimmi solo una cosa: lo ami?
-Perché vuoi saperlo?
-Lo voglio sapere e basta.
Zarah cominciava a perdere la pazienza. Accennò ad allontanarsi, sapendo che la figlia l'avrebbe trattenuta.
-Sono dieci anni che me lo domando...All'inizio non provavo che curiosità per quello strano, sadico ragazzo dalla pelle verde, e quelle orecchie a punta così simili alle mie. Curiosità, familiarità, timore....non lo so, ma provavo sempre qualcosa quando incrociavo il suo sguardo o pensavo a lui...Qualcosa come un miliardo di farfalle nello stomaco.- disse, indicandosi la pancia con una risatina -Serio, schiavista, scostante, spesso freddo. Invece di detestare questi suoi difetti, ho scoperto di non poterne fare a meno...Quando, dopo la sconfitta di Cell, Piccolo decise di stabilirsi al Palazzo del Supremo, capii di essere diventata completamente dipendente da lui. Volevo che mi parlasse, che mi stesse vicino...Questa mia angosciata necessità di lui aveva raggiunto da tempo il suo apice: vivevo con il pensiero di non rappresentare che una semplice amica per lui, e mi tormentavo sino a soffrine fisicamente. Più tentavo di capire, più lo vedevo allontanarsi da me. Solo ora credo di capire come deve essersi sentito. Confuso, e...
S'interruppe. Il suo respiro si era fatto più irregolare, e le ferite riportate bruciavano come se fossero di fuoco. Si sdraiò lentamente, sorretta da una Zarah più calma, più lucida.
-Non parlare, ok? Cerca di razionare le energie.
Sherin chiuse gli occhi, senza smettere di respirare affannosamente.
-Hai capito? Non c'è un perché...lo amo e basta.

-Re Kaioh, mi permetta di raggiungere la dimensione parallela!
Re Kaioh strabuzzò gli occhi, sconcertato. Torat espresse quella folle richiesta con voce pacata, gli occhi fissi su di lui.
-Sei impazzito?! Non hai più un corpo e, anche se Re Yammer decidesse di restituirtelo, potresti non tornare mai più!
Gli occhi del namecciano furono attraversati da un lampo. Re Yammer, ma certo...perché non ci aveva pensato prima? Afferrò le spalle del Re, scuotendole.
-Mi porti da lui, presto! Ho un'idea, e credo funzionerà!
-Cosa stai dicendo, figliolo?
-Ora ascolti bene: solo il creatore del ciondolo può trasportare qualcuno dentro o fuori la dimensione parallela. Uno solo. Capisce? E' l'unico modo per salvare almeno una di loro!

Zarah lanciò l'ennesimo  raggio scarlatto contro il nulla, nel vano tentativo di liberarsi, di fuggire da quella prigione eterea.
-Non ho mai visto un bianco così terrificante...
-Zitta Kahar, risparmia il fiato.
Zarah unì i palmi delle mani, pronta a lanciare l'ennesimo attacco. Sua figlia scosse la testa, per poi abbandonarsi a terra.
-Se questo fosse un racconto, e noi due le sue eroine, dovremmo abbracciarci in lacrime. E dirci quanto in realtà ci vogliamo bene.
Zarah si abbandonò ad una breve risata, il volto illuminato dalla luce rossa del raggio.
-Lascia il ruolo di buono a chi meglio lo sa fare, non è per me.
Sherin rise...o almeno, era una risata ciò che si poteva paragonare il rauco rantolo che uscì dalla sua bocca.
-Perché, invece di accanirti contro qualcosa che non c'è, non parli con me?
-E di cosa dovremmo parlare, spiegamelo....
Le sue parole si spensero, soffocate da un gemito di dolore. Zarah si accasciò a terra, piegata in due da una lancinante fitta ai polmoni.
-Zarah!
Sherin si costrinse ad alzarsi e, correndo, la raggiunse.
-Credo di avere qualche costola rotta, niente di cui preoccuparsi...
-Come, niente di cui preoccuparsi? Potresti ferirti ai polmoni, se non è già accaduto...Se avessi i fagioli Senzu, maledizione!
-Fagioli? Smettila di farneticare, hai ferite molto più gravi delle mie, Kahar! Riesci appena a respirare!
Spiazzata dall'improvviso mutamento della sua voce, Sherin ammutolì.
-Va bene, va bene....Hai detto di voler parlare, no? Avanti, c'è qualcosa che vorresti sapere?
Sherin si accarezzò le lunghe orecchie, cosa che faceva spesso quando pensava. Espresse la sua domanda tutto d'un fiato, socchiudendo gli occhi scuri.
-Quando hai cominciato ad odiarmi?
-Che razza di comanda è mai questa?
-Io ho risposto alla tua, e ti prego di rispondere alla mia.
Zarah storse la bocca. Quanto, quanto detestava rispondere a domande così dirette. Traeva un piacere perverso nel mettere in difficoltà gli altri con la sua lingua tagliente, ma odiava ricevere lo stesso trattamento. E quello sguardo limpido....Non ci riusciva, neanche raccogliendo  sé tutta la sua volontà. Non riusciva a mentirgli.....
-Quando nascesti, giurai a me stessa che non ti avrei mai amata. Covavo un odio profondo, totale...Volevo rimanere da sola, lontana dalla schifosa realtà che mi circondava. Tuo padre era morto, e anch'io avrei voluto morire. Lo desideravo con tutta me stessa. Fino all'ultimo giorno vissuto con te ho fatto di tutto per non provare alcun sentimento, per isolare il mio cuore dalla realtà. Ci ero riuscita, maledizione, ci ero riuscita! Quando, diretta verso un pianeta lontano, vidi la Terra, tutto ritornò nella mia mente, veloce come un flashback. Che cosa m'importava di quel pianeta, della Terra? Volevo solo rivederti, e cancellare una volta per tutte il tuo flebile ricordo.....questo però, come vedi, non riuscirò mai a farlo... Voglio farti un'ultima richiesta. Voglio che tu mi perdoni. Niente pianti, discorsi o abbracci....Voglio solo che tu lo dica a voce chiara, chiamandomi solo per una volta mamma.
Dopo aver pronunciato quelle parole, Zarah si fece piccola piccola, abbracciandosi le gambe. Sherin  portò le mani alla testa, angosciata.
-Perché mi dici queste cose? Perché proprio ora?
-Perché sento che una di noi non ce la farà...
-Smettila...
-Apri gli occhi, Kahar! Siamo senza forze!
-Basta...
-Smettila di essere così ingenua.
-Basta! Ce ne andremo entrambe! Io e te. Vive. Poi te ne andrai, andrai lontano da qui, ma sarai viva! Io sarò viva!
Piccole lacrime caddero lungo le guance della giovane Sayan. Stringendo i capelli, Sherin scosse furiosamente la testa. Non aveva più speranza, ma rifiutava il fatto che sua madre potesse rassegnarsi. Non poteva accettarlo...non da lei....
-Kahar.- Zarah prese il mento della figlia tra le mani -Dillo. Ora o mai più.
Sherin si morse le labbra. Carpe diem, pensò, ora o mai....
-Ti perdono, mamma.
Fece appena in tempo a terminare la frase. Una forza sconosciuta le proiettò in avanti, scaturita da una sottile fenditura apertasi nel candore. Due forti braccia l'afferrarono, allontanandola dalla madre.
-Torat!- l'urlo di Zarah attraversò il petto di Sherin come un lampo. Suo padre la strinse a sé, sussurrandole di restare calma.
-Tu sei morto! Sei morto più di trent'anni fa!- Zarah pareva aver completamente perso il lume della ragione: con i folti capelli ondeggianti, gli occhi dilatati, pareva una bellissima, folle dea infernale. Gettato al vento il suo orgoglio, urlava di furia e dolore -Morto! Morto, morto! Ecco cosa sei, maledetto!
Lo squarcio si allargò, scoprendo la realtà, il mondo al di fuori della dimensione. Torat spiccò il volo, trascinando con sé la figlia. Sherin urlò, vedendo l'immagine della madre farsi sempre più lontana.
-L'hai lasciata li! Torna indietro, mia madre è ancora lì dentro!
Torat non le diede ascolto. S'infilò con lei nel varco, mentre l'ultimo urlo di Zarah si spense nell'oscurità. In pochi attimi tutto scomparve, spazzato via da un'ondata di suoni e colori. Sballottati da ogni parte, padre e figlia vennero separati. Sherin urlò, tendendo le mani verso Torat, ormai sparito. Poteva udire il battito del suo cuore rimbombare nel petto, così forte che pareva poter scoppiare da un momento all'altro. Si lasciò cullare dall'invisibile marea, rassegnata al suo destino, senza più opporre resistenza a quel vortice. Andò così alla deriva, trasportata dalle mani del fato. Percepì la freschezza del vento sul viso, la tenerezza dei fili d'erba sotto le dita. Riaprì a stento gli occhi, abbagliata dalla luce del sole. Una mano morbida le scostò i capelli dal volto. Il volto di Bulma era sopra il suo, in lacrime.
-E' qui! E' viva!

Non ricordo con esattezza cosa accadde in seguito. Voci, rumori ovattati, le braccia di Piccolo...
Mi risvegliai all'ospedale, bendata di tutto punto e con una flebo infilata nel braccio. Quando venni a sapere della distruzione del ciondolo, sentii crollarmi il mondo addosso. In quel momento, gli occhi impenetrabili di mia madre, la sua voce, mi mancarono come l'aria. Così come l'abbraccio di mio padre...Bulma ama ripetere che fu da quel giorno che il mio sorriso perse quasi tutta la sua lucentezza. Si sbagliava. Quel giorno persi, assieme a mia madre, una parte di me.

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Capitolo 10
*** What have you inside ***


Se c'è una cosa che proprio non sopporto, è essere abbagliata dalla luce del mattino mentre dormo, beatamente avvolta dalle coperte. Invece Bulma mi svegliò proprio così, una settimana dopo il ricovero all'ospedale. Aveva tirato le tende con un veloce scatto, lasciando entrare la luce con tutta la sua vibrante energia.
-Sherin, sei sveglia?
Bulma si sedette accanto a me. Mi rintanai sotto le coperte, pensando così di scoraggiarla, ma lei non fece nemmeno una piega. Conoscendola, avrei dovuto prevedere che la sua prossima mossa sarebbe stata, inevitabilmente, seguirmi sotto le lenzuola. Nell'ovattata oscurità delle coperte mi pizzicò una guancia, ridacchiando. Le restituii il dispetto, più debolmente: avevo passato giorni in quel letto, ed il mio fisico ne aveva risentito.
-Su, alzati e fatti una doccia. Sei o no una forte Sayan?
Adorava stuzzicarmi, era senza dubbio uno dei suoi passatempi preferiti.
-Solo a metà, ricordalo...
La spinsi lontano da me. Volevo sprofondare ancora nel mio insano torpore, il quale per giorni mi aveva tagliata fuori dal mondo. Non desideravo altro, per il momento, ma sapevo che Bulma non me lo avrebbe permesso. Era entrata al Palazzo come una furia, scansando un imbarazzato Popo che aveva cercato di allontanarla, diretta verso camera mia. Scostò veloce le coperte, ed io rabbrividii per il freddo, raggomitolandomi su me stessa come un gatto.
-Bulma, ti prego, lasciami in pace...-borbottai, cercando rifugio dietro il cuscino. Lei non volle sentire ragioni. Afferrò le mie mani, invitandomi ancora una volta ad alzarmi dal letto. La prospettiva di una lunga, gloriosa doccia era allettante, ma non quanto il pensiero di dormire tutta la mattina...
-Sherin, ti chiedo solo questo favore: alzati,corri, piangi, ridi, ma esci da questo letto.
Annuii. Le mie gambe, intorpidite da giorni interi passati senza compiere alcun movimento, furono percorse da formicolii ma, a parte questo piccolo fastidio, il mio fisico era quello di sempre.
Le prime, fredde gocce d'acqua che caddero dalla doccia mi fecero strillare per la sorpresa e per il piacere provocato dall'acqua fresca sulla pelle. Restai sotto l'acqua a lungo, lavando via l'odore del letto, il sudore e un po' di malinconia.
Avvolta in un vecchio accappatoio di Bulma, mi sedetti al lungo tavolo cromato del soggiorno, senza sapere esattamente cosa fare.  Aprii e richiusi il frigorifero più volte, camminai su e giù per la stanza, osservai i quadri appesi alle pareti, tutto con la stessa vitalità di un automa. Sentii la noia insinuarsi in me, rendendomi indolente, passiva...
Con un sospiro rassegnato entrai nel bagno, una stanza luminosa e colorata proprio accanto al soggiorno. Adoravo quel bagno: era senza dubbio la stanza più pulita ed ordinata della casa, con le sue mattonelle turchine, il pavimento lucido ed il grande specchio squadrato appeso alla parete.
Accarezzai sovrappensiero le saponette colorate poggiate sulla vasca da bagno. La madre di Bulma le aveva raggruppate in gruppi da tre, secondo l'ordine di colore: tre saponette azzurre, tre rosa, tre verdi...
Ne presi delicatamente una a forma di farfalla, di un delicato rosa chiaro. Ricordo ancora quando Bulma mi regalò un'intera scatola di saponette come quella, ognuna differente dall'alta per sfumature, colori o grandezza. Erano così belle e delicate che non ebbi mai il coraggio di usarle: le sistemai sul mobiletto accanto al mio letto e lì rimasero, pronte a coccolarmi ad ogni risveglio con il loro delicato profumo di pesca. Mi sedetti a terra, accanto alla porta: grazie al sangue namecciano che scorre nelle mie vene, possiedo un udito molto sviluppato, ed ascoltai senza difficoltà i lievi rumori provocati dall'affaccendarsi di Bulma.
Il rumore dei piatti accatastati sul lavandino, lo scroscio dell'acqua corrente, il suono della bigiotteria indossata...senza alcun apparente motivo, questi suoni calmarono il mio spirito e rimasi così, cullata dalle loro cadenze.
Lentamente, una piccola lacrima cadde dalle mie ciglia, per poi scorrere lungo le mie guance. Non l'asciugai, nemmeno quando Bulma entrò senza che io me ne accorgessi.
-E dire che, anni fa, eri tu che mi scoprivi chiusa in bagno a piangere....
Sorrise, ed i suoi occhi si assottigliarono, seguendo la linea degli zigomi. In quel momento mi sentii trascurata, sciatta e goffa in confronto a lei, così graziosa e sorridente. Sebbene asciugassi ostinatamente i miei occhi, le lacrime che vi sgorgavano non accennavano a finire. Piansi, riversando in quel piangere silenzioso tutte le emozioni provate in quell'ultimo mese, emozioni che non avevo avuto modo di esternare.
-Si...ma tu piangevi per amore....-dissi tra i singhiozzi, e mi coprii il viso con le mani.
Bulma si sedette accanto a me, e la sentii poggiare la sua felpa sopra le mie spalle tremanti. Accarezzai il tessuto pregiato, comprato probabilmente in una costosa boutique.
-Dai, toglimelo di dosso, potrei bagnarlo....
Per tutta risposta, lei iniziò a sfregarmi il viso con quella stessa felpa, senza prestare ascolto alle mie deboli proteste. Il contatto col morbido tessuto fu piacevole, e per un attimo ebbi la sensazione di essere tornata bambina, quando Popo mi abbracciava con le sue braccia forti, ripetendomi mille e mille volte quanto mi voleva bene. Ecco, in quel momento la mia mente volò veloce anni addietro, quando ero solo una ragazzina goffa e dinoccolata ignara del mondo. Il Supremo non era mai stato una figura particolarmente affettuosa, era più un maestro di vita, una guida sicura e saggia pronta a crescermi ed a guidarmi. Popo, invece...
Popo era il fratello maggiore affettuoso, la spalla sulla quale sfogarsi, colui che vedevo ad ogni mio risveglio e che mi accarezzava le gote quando stavo per addormentarmi.
Al solo ricordo di tutto l'amore che riversò in me, avvertii una fitta al petto, proprio sopra il cuore.
-Di tutta la mia famiglia, biologica o non, mi è rimasto solo lui....solo lui, Bulma.
-Lui chi?
Non risposi. Poggiai la testa sulla sua spalla, soffocando un sorriso.

Bulma
Amavo rovistare nei cassetti di mia madre, frugare nei loro vani alla ricerca di chissà quale tesoro. Mia madre apriva lentamente la porta, il necessario per potermi osservare senza essere scoperta. Ragazzina com'ero, il pensiero che mia madre stesse guardandomi mentre eseguivo le mie piccole spedizioni non mi sfiorava minimamente. Lei probabilmente rimaneva in silenzio, soffocando di tanto in tanto una risatina. Ripensandoci adesso, comprendo quanto apparivo buffa: indossavo civettuola tutte le sue collane, una dopo l'altra, i bracciali colorati, le sue scarpe ovviamente troppo larghe per i miei piedini.
Fingevo di essere una signora elegante, piena di innamorati che le inviavano ogni giorno mazzi di rose, camminavo lungo la stanza muovendo esageratamente i fianchi, convinta che tutte le ragazze camminassero in quel modo. La sera, prima di addormentarmi, era solo uno il desiderio che il mio piccolo cuore esprimeva alla luce della luna. Un giorno, sussurravo, avrei trovato un ragazzo meraviglioso, bello e forte, che mi avrebbe protetta contro ogni avversità. A volte restavo sveglia per ore, persa nelle mie romantiche fantasie.
Quando incontrai Yamcha, pensai che, finalmente, il mio sogno si era avverato. Ero ancora troppo giovane per comprendere appieno il significato della parola Amore, e m'inebriai di quell'infatuazione, dolce come il nettare dei fiori. Sebbene fosse solo un ragazzo buono e un po' imbranato, ai miei occhi appariva il cavaliere che, dopo anni di attesa, era giunto a rapirmi. Mi rapì, portandomi nel suo mondo, ad esplorare sensazioni mai provate, contatti fisici che prima d'allora erano a me sconosciuti. Mi lasciai annegare in quel mare di emozioni, convinta ormai che Yamcha ed io saremmo rimasti così, eternamente innamorati, fino alla fine dei nostri giorni. Fu la vita, con la sua imprevedibilità, a destarmi. Improvvisamente, lo incontrai: con la fierezza che solo il leone può eguagliare, irruppe nelle nostre vite con la forza di un uragano. Ne fui terrorizzata. Il solo vederlo innescava nella mia anima tremiti incontrollabili, il cuore pareva smettere di battere, e le gambe potevano cedere da un momento all'altro. Eppure, lo invitai a restare a vivere con noi, assieme ai namecciani sfollati da Namecc, sfidando pregiudizi, critiche e giudizi. Dentro di me sapevo, sapevo che qualcosa in lui si era rotto, che era cambiato. Cominciò così la mia avventura, un'avventura che non aveva niente a che fare con combattimenti, battaglie e pericoli. E' l'avventura che ancora vivo, ogni giorno, assieme a lui. Il mio combattere è una lotta silenziosa con i problemi della vita, un accanimento costante contro le piccole ingiustizie, la mia battaglia è una sola: lottare per rimanere assieme a lui. Non chiedo altro. I litigi, le appassionate riappacificazioni, i lunghi ma intensi silenzi...sono preziosi come l'aria, come l'acqua e la mia stessa vita. Adesso, anni dopo quei miei sogni da bambina, rivolgo ancora un desiderio alla luna.

Sherin
Allenamento appena sveglia, durante il pomeriggio e prima di coricarsi.
Furono le parole che il Supremo mi rivolse non appena mi svegliai, pochi giorni dopo avermi accolta al suo Palazzo. Ricaddi tra le lenzuola con un sospiro rassegnato, volgendo lo sguardo al soffitto. Allenamento, allenamento, allenamento. Questa era la parola d'ordine, il mantra che imparai a memoria, la lancetta d'orologio che scandiva le mie lunghe giornate. Mi era vietato lasciare il Palazzo, e così l'allenamento restò l'unico espediente per uccidere il tempo. Il Supremo era ormai troppo anziano per potermi assistere durante le lunghe ore delle mie esercitazioni, così fu Popo ad assumersi questo incarico. Plasmò il mio carattere irrequieto e capriccioso, mi abituò alla disciplina, mi sottopose ad allenamenti estenuanti miranti a perfezionare non solo la mia forza, ma anche il mio spirito. E così, mesi dopo mesi, mi affezionai a lui. Divenimmo inseparabili come fratelli ed imparammo a nutrire profondo rispetto l'uno verso l'altra.
Il Supremo, inizialmente, rimase in disparte, limitandosi ad osservare da lontano i miei piccoli progressi. Da parte mia, non avevo ancora il coraggio di restare sola con lui. La sola comunicazione possibile tra noi fu quella che instaurammo con lo sguardo, a volte lasciandolo scorrere appena sui nostri visi, altre scrutandoci per minuti interi. Un giorno, però, qualcosa di sbloccò.
Arrabbiata e frustrata per aver ricevuto l'ennesimo no alla richiesta di poter varcare i confini del Palazzo, mi confinai nella mia stanza, dichiarando di non voler vedere nessuno. Non compresi la pena che diedi a Popo, non ero abbastanza grande per ragionare appieno sulle mie azioni. Verso sera accadde qualcosa che mai mi sarei aspettata di vedere: il Supremo entrò nella mia stanza, aprendo piano la porta.
Senza dire una parola si sedette a terra accanto a me, reggendosi al vecchio bastone in legno.
-Mi dispiace di averti procurato un dispiacere- cominciò, misurando le parole -Ma è necessario che tu capisca perché sono così severo con te.  Ho deciso di prenderti sotto la mia custodia e di proteggerti, e sono pronto a mantenere la parola. Il mio unico desiderio è quello di evitare che ti accada qualcosa, lo capisci? Non ho mai avuto figli, nonostante li abbia desiderati con tutto me stesso.
S'interruppe, ed io non ebbi il coraggio di replicare, anche solo di parlare. Il Supremo aveva abbassato lo sguardo, evidentemente dispiaciuto di dover essere così diretto con me. In quel momento, una fitta mi attanagliò il cuore, impedendomi di respirare. Avrei voluto abbracciarlo, piangendo, per dimostrargli che non ero in collera con lui, che ero solo una bambina capricciosa....ma non lo feci.
-E sei arrivata tu. E' successo tutto così in fretta che ancora penso di aver immaginato tutto, che non sia arrivata nessuna bambina ferita ed abbandonata, che sia solo il frutto dell'immaginazione di un povero vecchio.
-...mi dispiace signore...
Ormai non riuscivo più a trattenere le lacrime. Lo abbracciai di slancio, abbandonando il timore, il mio acerbo orgoglio...Lo abbracciai con forza, stringendolo a me, ripetendo sempre le stesse parole. Mi dispiace, mi dispiace....
Quella notte rimasi a lungo sveglia, sola nella camera illuminata dall'argentata luce della luna. In fondo al mio cuore, sapevo il perché di quell'irremovibile divieto, comprendevo i sentimenti del mio protettore. Io ero la sua protetta, la ragazzina abbandonata che aveva imparato ad apprezzare...ed ad amare come una figlia. Come un padre era protettivo, desideroso solo del mio bene, e così, con la severità che solo un padre poteva possedere, decise che avrei potuto varcare i confini del Palazzo solo quando sarei stata capace di badare a me stessa.
Iniziò così la mia vita con la mia nuova famiglia. Una famiglia strana, protettiva, che fu capace di amarmi per come ero più di chiunque altro. Probabilmente non ritroverò più quel calore così puro, quell'amore disinteressato.
Lo conserverò nel mio cuore, per tutta la vita, come un tesoro prezioso. Per me, che ho perso quasi tutta la mia famiglia, membro dopo membro, questa fiamma, questo calore, dovrà bruciare eternamente, racchiusa in me, dove vivranno per sempre le persone che ho perso.

Piccolo
Sherin.
Ripetevo il suo nome ossessivamente, come il mantra di un buddhista. Sempre, ovunque. Lo ripetevo nel silenzio della mia mente, così che nessuno potesse udirlo all'infuori di me. Mi tormentai, intensificai i miei allenamenti, le meditazioni....tutto inutile.
Le fugaci visioni del suo viso e del suo corpo balenavano improvvise davanti ai miei occhi, tanto rapide quanto intense, ed i miei sensi si offuscavano. Ne fui letteralmente ossessionato: desideravo con tutta l'anima vederla, toccarla, anche solo per pochi attimi. Sarebbe bastato a saziare il mio straziante bisogno di lei. Sherin, invece, era barricata da giorni nelle sue stanze, racchiusa in una coltre di depressione ed io non ebbi la forza di aiutarla a reagire, di strapparla a quella sua malata solitudine. Rimasi in disparte, senza sapere esattamente cosa fare, come comportarmi. Fu lei, inconsapevolmente, a muovere i primi passi verso il futuro, verso una nuova vita.
La trovai una notte sotto il nostro solito albero, rigoglioso di foglie e camelie, alla luce della luna. Inginocchiata sopra le sue radici, abbracciava il tronco dell'albero con entrambe le braccia, come a volervi cercare rifugio. Non si accorse del mio arrivo, tanto era immersa nei suoi pensieri.
-Sirio...
-Come?
Sherin socchiuse gli occhi, lo sguardo perso tra gli astri. Essendo lontani dalle fredde luci al neon della città, nessuna luce estranea ci impedì di assistere al silenzioso arrivo delle stelle.
-Sirio, la stella più luminosa si chiama Sirio. L'ho letto pochi giorni fa in uno di quegli enormi libri che Gohan custodisce nella sua libreria, assieme ad altri volumi dai titoli altisonanti. Nonostante io non legga molto quel libro mi ha catturata, e chiudendo gli occhi potevo quasi vedere le meraviglie descritte da quelle fitte pagine. Cassiopea, la stella Polare, la costellazione del Cigno, la Via Lattea....parevano così nitide da avere l'illusione di poterle toccare. Dio, non sai quanto è affascinante il cielo stellato, gli immensi disegni delle sue costellazioni. Proprio lì, tra le stelle, c'è il tuo pianeta...
Rimanemmo in silenzio, immobili sotto le candide camelie. In quel momento avrei voluto dirle che quello non era il “mio” pineta, ma il nostro, sussurrarle che l'avrei comunque amata, fosse appartenuta ad un qualsiasi pianeta, ripeterle che non mi importava.
Decisi di non parlare, per paura di turbarla.
-Piccolo, te la senti di farmi una promessa?Promettimi che mi aiuterai sempre, che sarai sempre al mio fianco, qualunque cosa accada.
La scia di una solitaria stella cadente le illuminò il viso, mostrandomi la vera Sherin: insicura, impulsiva, con quella sua irritante quanto disarmante capacità di distruggere le barriere del mio ostinato orgoglio.
Ero certo che nessuno, oltre a Gohan, sarebbe riuscito a fendere questa mia corazza, nessun uomo avrebbe conquistato l'affetto riservato solo a lui, e invece...
Fu proprio una di quelle creature che non avevo mai cercato di comprendere a trovare la chiave esatta, scavalcando con quel suo sorriso impertinente le mie ultime resistenze, fino a giungere nel luogo che più avevo tentato di alienare dal resto del mondo. Entrò nella mia anima, nei miei pensieri, nei miei sogni.
Gohan mi parlò molte volte di quell'assurdo sentimento chiamato amore, pazientemente mi spiegò quanto fosse indipendente dalla propria volontà: se ti innamoravi, non potevi fare nulla per impedirtelo. Eppure tentai di ribellarmi, di sottrarmi al gioco del destino, credendo presuntuosamente di essere più forte delle forze in gioco....mi sbagliai. Fui travolto dalla mia stessa     
falsa superiorità non appena questa crollò sotto il peso della vita, la quale decise che non mi sarei più sottratto al suo tocco. Mi rapii attraverso uno dei suoi angeli più belli, quello senza patria ne' catene, animato dalla mia stessa forza e dal mio stesso sangue, sangue che avrebbe trovato nuova vita quando meno me lo sarei aspettato.








Ed ecco qui il mio ennesimo esperimento: una brevissima raccolta di pensieri dei tre personaggi principali della storia, Bulma, Sherin ed infine Piccolo. Non è uno dei miei capitoli più lunghi, ma di certo è uno dei miei preferiti, uno dei quali vado più fiera.
Piccola news riguardante l'amato/odiato San Valentino che, se non sbaglio, quest'anno cade di domenica. Già da tempo una ideuzza mi bazzicava per la mente, ma non avevo mai trovato il tempo di metterla in atto, ovvero il buffo San Valentino trascorso da Sherin osservato, naturalmente, dal suo diverso ed originale punto di vista. Fatemi sapere cosa ne pensate ragazzi. (p.s.: purtroppo il capitolo potrà essere pubblicato solo dopo San Valentino, I'm sorry)
A presto!

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Capitolo 11
*** In fondo, oggi è San Valentino. ***


14 febbraio.

-Ripetimi perché sono qui, ho voglia di risentirlo.
 Sarcastica come solo lei sapeva essere, Sherin scostò il fermaglio da sopra gli occhi. Odiava che qualcuno che non fosse Popo le toccasse i capelli, ed in quel posto rumoroso ed affollato non facevano altro che torturare le chiome della gente.
-Siamo dal parrucchiere, Sherin, ed il motivo per il quale siamo qui è semplice: io e te ci taglieremo i capelli.
-Togli il “te”, grazie. Non ho alcuna intenzione di permettere ad un paio di forbici di avvicinarsi alla mia nuca.
-E perché mai? Non ti faranno nulla di male, ma renderanno i tuoi capelli più morbidi. Forse la capigliatura ribelle di voi Sayan non sarà un problema per i guerrieri, ma per una ragazza....
-Non sono una...
Il loro discorso venne interrotto dall'arrivo di una commessa sorridente molto giovane, che non dimostrava più di venticinque anni. Quando il suo sguardo si spostò sulla capigliatura scarmigliata della Sayan i suoi occhi furono attraversati da un breve lampo di disapprovazione, ma il suo sorriso restò immobile.
-Chi di voi due deve acconciarsi i capelli? La signorina elegante?- aggiunse speranzosa, voltandosi velocemente verso Bulma.
-Io, signora. Spero di non farle perdere troppo tempo....come vede, i miei capelli non sono proprio seta.
Mentre una parrucchiera più disponibile accompagnava l'amica a lavarsi i capelli, Bulma trattenne a stento una risatina. Conosceva bene Sherin, e quel tono mellifluo era l'evidente prova che la ragazza aveva deciso che l'unico modo per poter parlare con quella donna era, seppur velatamente, prenderla in giro.
-Ha già deciso come tagliarli?
Una bella ragazza di colore aprì il rubinetto, facendo scorrere l'acqua calda. Sherin si strinse nelle spalle, fingendo tranquillità: aveva seguito Bulma in buona fede, senza nemmeno chiederle quale fosse la destinazione, sperando in una tranquilla passeggiata in un parco, ed invece eccola lì, con la testa tra le mani di una ragazzina....
-Io...non lo so. Facciamo così, fai come vuoi: tagliali come più ti piace, magari nel modo che avresti voluto sempre fare ma che nessuna ha avuto il coraggio di chiederti, ti va?
Il gridolino di gioia della giovane la fece sobbalzare, ed un forte getto di acqua gelata le bagnò improvvisamente la testa, facendola strillare a sua volta.
-Eccome, erano mesi che aspettavo una frase del genere! Oddio, scusami!
Diminuì l'intensità del getto, incominciando a massaggiare i capelli della Sayan con uno shampoo profumato.
Sa di pesca....però, in fondo questo posto non è poi così male...
-Non mi hai detto come ti chiami. Io sono Dora.
-Mi chiamo Sherin....
Il sorriso di Dora si allargò, mostrando uno scintillante apparecchio.
-Sherin? Che bel nome, non l'ho mai sentito prima d'ora...Ha qualche significato particolare?
-Si, vuol dire Figlia di...-s'interruppe, percependo l'insistente sguardo di Bulma su di sé- del Sole.....
Che stupida. Se avessi nominato Shenlong si sarebbe insospettita, o mi avrebbe presa per pazza...
Chiuse gli occhi, tentando di godersi il lento ma energico movimento delle mani esperte della parrucchiera. Le casse appese alle pareti diffondevano una leggera musica pop, la preferita di Bulma.
-Allora senti questo: non ho mai eseguito un taglio scalato, all'altezza delle spalle, almeno non su capelli mossi e ribelli come i tuoi. Tentiamo?
-Il tutto e per tutto.
Dora le raccolse i capelli, portandoli in alto, e fece per fermarli con una molletta colorata quando il suo sguardo si posò sulle orecchie di Sherin. Le sue mani tremarono leggermente, ma non disse una sola parola. Sherin osservò in silenzio i suoi passi diventare più lenti ed incerti, e la seguì verso le poltroncine imbottite. Adagiandosi sulla comoda superficie cremisi, Sherin sentì i suoi nervi  rilassarsi, così come i suoi muscoli, abituati ormai ad una tensione quasi perenne.
Dora raccolse il pettine, scivolatole via dalle dita. Non aveva mai visto orecchie così lunghe ed appuntite....non sapeva cosa pensare, cosa fare...Non la impaurivano, certo che no, ma non poté impedire ad un lungo brivido di percorrere il suo corpo sinuoso
“Mi dispiace per le orecchie...di solito non permetto a nessuno di vederle, se non a certe persone.”
-Come?
Dora si chinò verso Sherin, certa di essersi sbagliata: le labbra della donna non si erano mosse, ma avrebbe giurato di aver sentito la sua voce.
“Potresti far finta di nulla e continuare? Te ne sarei grata: preferirei che il mio piccolo...segreto, chiamiamolo così, non si sappia troppo in giro.”
Per la seconda volta la bocca di Sherin non compì alcun movimento, e la sua voce risuonò nuovamente nelle orecchie della giovane parrucchiera la quale, più tranquilla, annuì.
Iniziò a pettinare i lunghi capelli corvini, dondolando la testa al ritmo della famosa canzone di recente trasmessa nelle radio. Nonostante il ritmo travolgente, un'idea si fece strada nella sua mente, solleticando la sua curiosità ed i suoi sogni da bambina.
Chissà se...in fondo cosa costa provare?
“Pronto? Prova, prova...Alfa 14 chiama Roger, richiedo risposta immediata.”
Come aveva previsto, non accadde nulla di strano, o quantomeno di anormale. Sospirando, aprì un cassetto e prese a rovistare tra la miriade di oggetti conservatavi. Quando percepì quel piacevole pizzicore alla nuca, le sue mani si bloccarono.
“Alfa 14? Cosa cavolo vai farneticando? Ti sei già dimenticata qual'è il mio nome?”
Soffocando una risata di compiacimento, Dora iniziò a tagliare le prime ciocche. Quella giornata si stava rivelando molto più interessante del previsto.

-Sherin, non voglio più ripeterlo, togliti quel cappello! Sembri un ragazzo, santo cielo!
-Quando ci sarà meno gente. Mi vergogno da morire, Bulma: non ho mai portato capelli così corti...
Quel pomeriggio, lungo la principale via commerciale della città, molte ragazze si voltarono ridacchiando al passaggio di un ragazzo alto ed affascinante, dai tratti un po' femminili. Sherin, dal canto suo, continuava a coprirsi gli occhi con la larga visiera del cappellino da baseball, arrossendo ad ogni fischio. Approfittando di un momento di distrazione, Bulma le tolse il cappello: i capelli di Sherin, resi leggeri dal taglio scalato, ondeggiarono sospinti dalla leggera brezza come la criniera di  un giovane leone.
-Bulma, smettila! Te l'ho già detto, non voglio!
Strappò il copricapo dalle mani dell'amica, scura in volto, e lo calò sugli occhi scuri. Continuarono la passeggiata in silenzio irritate l'una con l'altra, evitando volutamente di parlare.
-Che cos'hai che non va...a volte proprio non ti capisco, sai? Sei bella, il tuo corpo è ancora giovane e fresco come quello di un'adolescente, sei ironica...Perché in certi momenti diventi così intrattabile, malinconica, scontrosa, silenziosa? Puoi parlare di tutto con me, lo sai, se vuoi sfogarti io ci sarò sempre.
-Sono gli sguardi...
Bulma aggrottò le sopracciglia , sorpresa da quella singolare risposta.
-Gli sguardi della gente.- spiegò Sherin -Non sono mai stata esposta tanto a lungo adocchi estranei, ma così tanti come ne vedo oggi...- si guardò attorno con evidente disagio -Essere oggetto dell'insistente attenzione della folla, sentirmi addosso il peso di tutti quegli sguardi....non c'è cosa che mi faccia sentire più a disagio.
Lentamente, le sue dita accarezzarono il cappellino colorato, come a volerne studiare la superficie.
-Ma le donne...gli occhi che temo di più sono quelli delle donne. Gli uomini sono differenti: rimangono ad osservarti più a lungo, magari lasciando scorrere lo sguardo sulle curve del tuo corpo, esaminandoti lentamente...In fondo, è quasi piacevole, non è vero?
Sorrise, ricambiando l'occhiolino rivoltole da un ammiratore più coraggioso d'altri.
-Le donne, in confronto, sembrano quasi dei rapaci. Sono cacciatrici di difetti, sempre alla ricerca di una preda: bastano pochi secondi e puoi vedere i loro occhi saettare su di te, in cerca della più piccola imperfezione, di qualcosa che le faccia sentire superiori a te, qualcosa che possa, anche solo per un momento, soddisfare la loro eterna insoddisfazione di sé.
Correndo veloci in sella alla moto di Bulma, attraversarono la città in pochi minuti, dirette a casa di quest'ultima. Stretta tra le braccia dell'amica, Bulma rivolse una rapida occhiata al cielo: piccoli stormi di uccelli volavano sereni in quella distesa azzurra senza una nuvola.
-Sherin, alza gli occhi!
La Sayan alzò il viso, socchiudendo gli occhi. Popo volava sopra di loro, così in alto che avrebbe potuto toccare il sole, se ne avesse avuto voglia. La vista del suo vecchio amico e maestro le riscaldò il cuore, immergendola in un mare di ricordi: i primi litigi, le lunghe giornate di giochi e allenamenti, le sue impacciate parole di conforto dopo pianti o brutti sogni...
Il peso dei ricordi innescò una catena di sentimenti contrastanti fra loro, malinconia, tristezza, nostalgia. Il periodo di lontananza si fece sentire più forte che mai, così come la voglia di tornare a casa.
-Bulma, quando saremo arrivate a casa tua, dovrò prendere alcune cose...Potresti prestarmi la tua sacca viola?
-Per quale motivo?
-...Torno a casa, al Palazzo del Supremo.

Sherin non era mai stata un asso nel preparare bagagli e valigie: la sua stanza era disseminata di vestiti, libri e cianfrusaglie, e camminare iniziava ad essere un'impresa difficoltosa. Tormentò la zazzera nera con un nervoso movimento della mano, osservando la montagna di vestiti ammucchiati sul letto.
-Sai, non avrei mai pensato che un giorno sarei stata indecisa su che vestiti scegliere....Te la sentiresti di darmi una mano?
Bulma annuì, soddisfatta di poterle essere d'aiuto e, nel frattempo, avere l'occasione di dare un'occhiata al contenuto dell'armadio dell'amica, che per tutto quel tempo aveva chiuso a chiave nascondendolo al suo sguardo curioso. La sua proverbiale curiosità fu ben presto soddisfatta: sul letto dell'amica vi erano gli abiti più strani che avesse potuto immaginare. Tute da combattimento, kimono giapponesi, veli ricamati che avevano tutta l'aria di provenire dai più caldi deserti del Nord Africa e della penisola Arabica, maglie bianche oversize, e...
-Sherin, quello cos'è?
Bulma accarezzò appena la superficie porpora del lungo abito a strati che aveva catturato immediatamente la sua attenzione: non sembrava esattamente adatto al corpo pieno di una donna, non essendo sagomato in vita...Invece di parlare, la Sayan si spogliò e lo indossò in silenzio, lasciando che il morbido tessuto scendesse leggero a coprire tutto il suo corpo. Inaspettatamente, il tessuto bianco si adattò perfettamente alle linee dei suoi fianchi, disegnandone delicatamente la forma per poi scendere dolcemente lungo le gambe fino alle caviglie, sopra le quali spiccava l'arabeggiante orlo scarlatto. Sherin si avvicinò ad un comodino accanto al letto, lo aprì, e ne estrasse una lunga collana di corda sottile. Al centro, dove la lunga linea nera si piegava sotto il suo peso, dondolava una splendente pietra grezza, rossa come il sole al tramonto. La ragazza la legò al collo, lasciando che lo stupefacente ciondolo scivolasse lungo la linea dei suoi seni. Nel momento in cui la superficie scarlatta toccò la sua pelle, una dolcissima sensazione le pervase il petto...
-....Amrat tupai....
Bulma si lasciò cadere sul letto, inspirando rumorosamente. Compresa la silenziosa domanda dell'amica, Sherin ridacchiò.
-Stavo solo parlando in namecciano, significava....lascia perdere..
Si sedette accanto a lei, tentando di abbozzare un sorriso che potesse essere minimamente convincente. Non ci riuscì, e quello che sarebbe dovuto somigliare ad un sorriso pareva solamente una smorfia poco convinta.
-Scommetto che stavi pensando a Piccolo, invece...
-Non è vero, Bulma.
Quest'ultima sfiorò la superficie grezza ma lucente della pietra scarlatta appesa al collo dell'amica.
-Non ci credo....Sono giorni che hai quest'aria un po' sovrappensiero, e spesso rimani minuti interi in silenzi, osservando rapita il cielo, un passante per strada o anche solo un filo d'erba. Ti conosco, Sherin, e conosco quell'espressione sognante- il suo sorriso divenne più dolce -Lascia che la tua dottoressa del cuore preferita ti dia un'occhiata.
Sherin alzò un sopracciglio.
-Non ricordo di aver mai detto nulla del genere.- tentò di obbiettare, ma Bulma si era già avvicinata al suo viso, osservandola con fare teatrale, per poi posarle una mano sul petto.
-Il tuo cuore batte più forte del solito, le tue gote sono rosee ed i tuoi occhi brillano come una volta...Sei semplicemente radiosa, come se tutto il dolore e la tristezza ti fossero scivolati via all'improvviso, e noi due sappiamo bene che in questi ultimi tempi sei stata spesso vittima di crisi depressive...Questo vuol dire solo una cosa.
-Si, che ho la febbre.- concluse sbrigativamente la Sayan, voltando il viso dall'altra parte.
Bulma le prese delicatamente il mento tra le mani, invitandola a guardarla negli occhi.
-Sei innamorata, Sherin. Sei innamorata di Piccolo....

-Io innamorato? Mi dispiace dirlo, Gohan, ma questa volta hai davvero preso un granchio!
Sotto il caldo sole di mezzogiorno, immersi nella natura più selvaggia, allievo e maestro stavano continuando imperterriti il loro allenamento. Gohan approfittò dell'attimo di smarrimento dell'amico per schivare un raggio che in un altra situazione avrebbe senza dubbio centrato il bersaglio, e si rifugiò dietro l'enorme tronco di un albero secolare. Domando l'istinto di sorridere, il ragazzino si concentrò, pronto a difendersi non appena Piccolo lo avrebbe trovato.
-Secondo me quello che si sta sbagliando sei tu.
Piccolo scoprì i denti in un sorriso sarcastico. Gohan non avrebbe lasciato perdere troppo presto.
-Nessuno di noi ha molta esperienza di queste cose, ma con lei ti comporti in modo diverso.
-In che senso diverso?
Gohan si accorse troppo tardi di lui: il calcio dell'amico lo colpì in pieno stomaco, costringendolo a rivolgergli tutta la sua attenzione.
-Beh...Non saprei spiegarlo a parole, in realtà...
-Questo dimostra che non sai di cosa stai parlando.
Le folte sopracciglia di Gohan si contrassero in un'unica, corrucciata linea.
-Invece sì. Mia madre mi parla spesso di quando lei e suo padre si conobbero, di come si sentiva innamorata.
-Gohan, io non sono tua madre.
-No, ma sei umano!
Le mani di Piccolo si bloccarono a mezz'aria, pietrificate così come il suo sguardo attonito. Umano. Lasciò che le braccia gli scivolassero lungo i fianchi, e diede le spalle all'allievo, ormai scoraggiato e dispiaciuto.
-Piccolo...
-L'allenamento è finito.

Sherin salutò Bulma con un cenno del capo, guardandola sparire a cavallo della sua moto. Era di nuovo a casa...Guardò il marmo bianco dell'Obelisco di Balzar innalzarsi alto e maestoso verso le nuvole, lasciando che i ricordi penetrassero dentro di lei con il vigore di un fiume in piena.
E così, dopo trent'anni, farò la mia comparsa inaspettata in questo posto....
Uno stormo di uccelli neri attraversò il cielo, e l'aria si riempì di cinguettii festosi.
Perché no..In fondo, un po' di allenamento non mi farà certo male.
Assicurò lo zaino sulle larghe spalle e, dopo aver dato un ultimo sguardo alla direzione dove Bulma era diretta, iniziò a scalare. Sostenuta dalla forza dei muscoli di gambe e braccia, Sherin affrontò decisa la ripida salita, utilizzando ogni possibile appiglio, ogni sporgenza. Trent'anni prima era stato il Supremo a portarla al Palazzo, pensò, ora era giunto il momento di farcela da sola. Trattenendo risate entusiaste, la Sayan si arrampicava con l'agilità di una gatta, senza mai fermarsi. Ogni secondo che passava era distanza in meno che la separava dal suo obiettivo....ripetendo questa frase come un mantra, Sherin giunse finalmente alla dimora di Balzar.
-Ehi, micio dei miei stivali, dove ti sei cacciato?-esclamò non appena i suoi piedi ebbero toccato la fredda pietra del pavimento, ed un delicato rumore di passi giunse pochi secondi dopo alle sue sensibili orecchie.
-Come osi chiamarmi micio? Non sai chi sono io...
S'interruppe di colpo, stringendo il vecchio bastone di legno tra le zampette candide.
-...Sherin?- sussurrò, sgranando gli occhi.
-E' un piacere rivederti ancora una volta...-cominciò la ragazza, ma Balzar non le diede tempo di continuare. Abbandonando il bastone a terra era corso verso di lei, lanciando gridi di gioia. Le saltò in braccio, come un micio qualsiasi, continuando a ripetere:
-Sei tornata, finalmente! Come saranno contenti gli altri, come saranno contenti!
-Si vedrà. Tornerò da te fra pochissimo Balzar, promesso...Aspetta, stavo dimenticando una cosa...
Posato Balzar a terra, Sherin aprì lo zaino, iniziando a frugarvici. Poco dopo Balzar l'osservava volare verso il Palazzo, stringendo tra le mani dolcetti di ogni tipo.

Un umano....
Un essere umano...
Piccolo aprì improvvisamente gli occhi, appena in tempo per accorgersi dell'obelisco marmoreo.
-Diamine!- sbottò, scartando di lato. Si fermò, cercando di regolarizzare il suo respiro che, in pochi minuti, era diventato sempre più affannato. Gohan non poteva avere ragione, non poteva...Come avrebbe potuto lui, un demone, anche solo pensare di provare un sentimento come l'amore? Come avrebbe potuto essere ricambiato da lei? Si appoggiò alla superficie liscia dell'enorme pilastro, inspirando a fondo, mentre i suoi muscoli iniziavano lentamente a rilassarsi.
Com'è strano...se chiudo gli occhi mi sembra di vederla accanto a me...
Lasciò cadere il capo all'indietro, concedendosi un po' del calore dei raggi solari.
Non ho mai provato sensazioni più piacevoli.
-Piccolo! Piccolo, riesci a sentirmi?
La stridula voce di Balzar risuonò nell'aria, appena sovrastata dal rumore del vento.
-Piccolo! Vieni subito qui! Ho una notizia da darti!
Controvoglia, Piccolo riprese il volo, ostentando un'espressione indifferente. Balzar, visibilmente eccitato, saltellava da un piede all'altro, senza mai fermarsi.
-Vuoi dirmi di che si tratta? Per caso Goku è tornato? No, probabilmente no..- aggiunse, scoccando uno sguardo sarcastico al gatto -Se fosse così, questo posto sarebbe pieno di gente esaltata come te...
-Ma no, zuccone di un namecciano, si tratta di Sherin! Invece di rimanere lì imbambolato come un pesce lesso, corri al Palazzo del Supremo! Sherin è tornata per te!
-Spero tu non stia scherzando...- borbottò il namecciano, ma ormai Balzar non poteva più sentirlo. Senza nemmeno salutarlo aveva spiccato il volo, cercando di calmare quel suo cuore, che in tanti anni non era mai stato così irrequieto.
La forte risata di Sherin lo colpì come un dardo, ed il namecciano aumentò la velocità del suo volo. Era sempre più vicino, sempre di più....Poteva quasi contare i secondi che lo separavano dal Palazzo....
-Sherin!
Popo rovinò a terra con esilarante sorpresa, mentre la sua protetta correva lontano da lui, ridendo ancora. Gli saltò tra le braccia con impeto, incurante che il suo padre adottivo fosse distante solo di qualche metro, e li guardasse come inebetito.
Piccolo fece scivolare via la sacca violacea dalle spalle della ragazza, così da poterle stringere meglio a sé.
-Questa volta ne sono sicura, torno per sempre....Sono stanca di spostarmi come una fuggitiva da due case diverse, anche se entrambe significano tanto per...
S'interruppe, accogliendo il bacio di Piccolo, forte e deciso come lo ricordava, come lo desiderava. Fece scivolare le braccia fino alla sua vita e lo strinse a sé, come un uomo, e gli mordicchiò delicatamente le labbra, sapendo bene quanto lo apprezzasse.
-Sherin, Sherin....-Piccolo si staccò delicatamente da lei, e con un lieve cenno del capo le indicò Popo, ancora immobile a pochi passi da loro.
Sherin sorrise e lo prese per mano, guidandolo verso l'entrata del Palazzo.
-Sherin, aspetta....-disse Popo, intromettendosi – Piccolo finora ha usato la tua stanza, quindi dovrò prepararne un'altra, date le circostanze....
-Non ce ne sarà bisogno, non preoccuparti per questo.
Allontanandosi con la mano di Sherin racchiusa nella sua, Piccolo attraversò un lungo corridoio bianco, costellato da porte di varie dimensioni. Felice come una bambina, Sherin continuava a dargli piccoli, giocosi baci, senza mai smettere di sorridere.
Piccolo aprì una porta arancione, poco più grande delle altre, ed entrambi entrarono in una stanza molto spaziosa, interamente illuminata dalla luce del sole. I muri, dipinti di un tenue color pesca, in alcuni presentavano impronte di mani colorate, sbiadite dal passare del tempo. Sherin poggiò la sua mano sopra una di quelle tenere tracce, sovrapponendola con la sua. Da piccola amava immergere le manine in barattoli ripieni di vernice colorata, per poi stampare la sagome delle sue mani su tutti i muri della sua stanza, accompagnata dalle raccomandazioni di Popo e del Supremo.
Piccolo si sedette sul letto circolare posto al centro della stanza, e tese una mano verso di lei, invitandola a raggiungerlo. Dopo un'impercettibile esitazione, la ragazza si sedette accanto a lui, lasciandosi baciare le labbra, le gote, le mani....Sussultò, sentendo i nastri della sua camicetta allentarsi sotto le dita del compagno, e portò una mano al petto, cercando di trattenere la leggera stoffa scarlatta. Piccolo poggiò una mano sulla sua, forzandone delicatamente la presa. Senza più la camicetta a coprirla, Sherin occultò il reggiseno candido con un braccio, abbassando lo sguardo.
-Non vergognarti...non ne hai alcun motivo....
Piccolo sottolineò le sue parole con un altro bacio, più profondo, così come il sua abbraccio. Abbandonandosi a quel bacio, Sherin parve prendere una decisione: lentamente, prese la cintura del compagno tra le mani, ed iniziò a sciogliere il nodo che la stringeva attorno alla sua vita.
Popo, intento a curare gli enormi alberi dei viali esterni, rivolse un sorriso colmo di gratitudine al cielo, sicuro che, da qualche parte nell'immensità del cosmo, il Supremo stesse sorridendo.






Con questo capitolo siamo arrivati ormai quasi alla metà della nostra storia, e proprio questo undicesimo capitolo ho voluto dedicare a Molkira ed al suo Freddy, la mia coppia più fedele.
Un bacio speciale va anche a Vanessa, che in questi giorni sta vivendo le dolcezze del primo amore.

Buon San Valentino.

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Capitolo 12
*** A new adventure 1 ***


Ed ora arriviamo alle dolenti note....Citazione di Dante a parte, la nostra storia attraversa ora un momento cruciale: Manca poco al risveglio di Majin Bu, e quasi tutti i personaggi principali sono entrati nella storia, come Goten e Trunks. Da questo momento in poi succederà di tutto, e vi consiglio di non perdere una riga ;)
Sono passati sette anni dalla sconfitta di Cell, e la Terra sta trascorrendo un periodo di pace.
Un giorno, un messaggio di aiuto giunge ai nostri amici....










Un giorno qualcuno disse che i bambini non ancora nati, dall'alto del cielo, scelgono i loro genitori indicandoli con le loro manine. Chissà se anch'io, diciotto anni fa, fui un angelo....Probabilmente no...ad una come me l'essere pura non è concesso, così come il privilegio di un'aureola e di un paio d'ali. Ma di una cosa sono certa: diciotto anni fa non scelsi da sola coloro che sarebbero stati mio padre e mia madre, ma accanto a me vi era un altro angelo, un'anima più pura della mia. Scegliemmo assieme, tenendoci per mano, e sempre assieme venimmo portati dal vento dalle nuvole a un solo ventre. Forse non è vero, forse è solo una storia inventata per tranquillizzare le precoci domande dei bambini...ma mi piace immaginarci così, seduti l'uno accanto all'altra, in silenzio, a scrutare una Terra così distante e così familiare, insieme.
Insieme per sempre.

Mi sono sempre chiesto perché Dio abbia deciso di rivestire la mia anima di un corpo così singolare e, soprattutto, perché mi abbia donato la consapevolezza di esserne così estraneo. Sono prigioniero di una fisicità che non mi appartiene, impresso in un'entità che, in fondo, non sento totalmente mia...non dopo aver scoperto la mia vera identità. Tutte le mie certezze sono crollate in pochi secondi, spazzate via dalla più pura verità.
Ogni volta che incontro il mio viso nel riflesso di uno specchio, non posso che abbassare lo sguardo, incapace di sostenere la luce dei miei occhi, troppo intensa persino per me.
Con questi miei occhi ho visto il mio pianeta venir invaso per l'ultima volta, mio padre lottare con tutte le sue forze per difendere un figlio in fin di vita...e tu. Tu, che sei entrata nella mia vita con la stessa forza distruttiva di cento uragani, tu che sei stata capace di mostrarmi cosa sono il dolore, la sofferenza. Per poi aprirmi il tuo cuore e donarmi la tua più vera anima.
Anche adesso, prendimi per mano, ovunque tu sia.


Sette anni dopo
-Sherin, tutto bene?
Bulma bussò esitante alla lucida porta del bagno, nel quale l'amica si era rinchiusa da più di un'ora, senza dire una parola.
Dall'altra parte, Sherin si morse un labbro, i grandi occhi neri fissi sul piccolo oggetto tenuto nelle mani tremanti. Niente...per lo meno, non ancora...Afferrò il foglietto accartocciato sopra il mobiletto accanto, consultandolo febbrilmente.
Aspettare pochi minuti per conoscere il risultato del test...si, ma quanto?
In quel momento la nausea si fece sentire più intensa che mai, e la Sayan si accasciò a terra, premendo una mano sulla bocca sottile.
Eppure i sintomi corrispondono...nausea, malesseri, tutto...
Diede un'ultima occhiata allo schermo grigio del test di gravidanza, ancora neutro. Entro pochi minuti avrebbe saputo la verità, ma si sentiva davvero pronta?
Bulma entrò nel bagno, illuminato a malapena dalla poca luce riuscita a fendere le tende turchine, e rivolse un breve cenno all'amica, indicando il test ancora stretto nelle sue mani.
-Ancora niente?
-...ora si...- socchiuse gli occhi, pentendosi di non aver mai voluto portare un paio di occhiali -E' positivo...Maledizione!
Lanciò il test di gravidanza contro la parete di fronte, facendolo rimbalzare a terra. Bulma, decisa ad ignorare lo scatto di rabbia della Sayan, lo raccolse.
-Non è distruggendo il test di gravidanza che ne cambierai il risultato. Lo dirai a Piccolo?
Sherin si massaggiò le tempie con la punta delle dita, cercando di ignorare un mal di testa che non accennava a diminuire. Bulma fece per parlare, ma Sherin la zittì con uno sguardo.
-Ti prego, non parlare...Questi, molto probabilmente, sono gli ultimi minuti che passo con te da donna libera. Se sono davvero incinta io e te non parleremo che di pannolini, biberon e notti insonni. Se aspetto davvero un bambino, Piccolo potrebbe allontanarsi da me...E mio figlio...facendolo nascere non farei altro che condannarlo...
La bocca di Bulma si strinse, così come i suoi stupefacenti occhi azzurri, saettati verso il viso dell'amica.
-Condannarlo? Fammi capire, Sherin....Solo pochi mesi fa sei stata rinchiusa in una dimensione parallela, hai combattuto contro tua madre, sei scampata per un soffio ad una morte certa...Ed ora, che stai per vivere l'esperienza che farà di te una donna completa, mi dici questo? Non capisco, Sherin..come potresti condannare tuo figlio?
S'interruppe all'improvviso, lasciando che il test le scivolasse via dalle dita. Negli occhi di Sherin balenò una luce nuova, che non aveva mai visto.
-Non preoccuparti, te lo spiegherò in pochi secondi...-sussurrò, rivolgendole lo sguardo più freddo che il suo viso armonioso riuscisse a trasmettere -Se mio figlio dovesse nascere con fattezze namecciane, od ibride, sarebbe costretto a non uscire mai di casa, a passare la sua infanzia confinato nel Palazzo, cosa che io stessa sopportai anni ed anni fa. Non voglio che mio figlio trascorra gli anni più belli della sua vita con il timore di nascondere il suo viso. Non interrompermi!- esclamò, alzando il palmo di una mano. Bulma si morse un labbro, lasciando morire le parole in bocca -E' così che vanno le cose, qui sulla Terra. Nonostante gli animali camminino e parlino come il più ordinario degli uomini, chiunque abbia un aspetto diverso è visto come un pericolo, come qualcosa della quale aver timore. Se la tua pelle non è candida, se le tue orecchie non sono piccole e rotonde, se non hai un lavoro fisso o una famiglia, sei lo straniero, sei quello strano...Non capisci?! Se mio figlio venisse preso di mira da un gruppo di ricercatori senza scrupoli, come anni fa fu il Red Ribbon?! Dovrebbe affrontare ogni visita ai suoi amici come una corsa senza sosta fino alla meta, senza mai mostrare il suo volto ad occhi estranei? Certo, per Piccolo non c'è alcun problema...Non gli importa nulla del pericolo, e se mai cercassero di fare esperimenti sul suo corpo, saprebbe come difendersi. Entrambi saremmo pronti a difenderlo, a proteggerlo da ogni minaccia, ma lui? Che rispetto avrebbe di sé stesso, se sapesse di essere visto come una potenziale cavia da laboratorio?! Non sarà mai come me, né come Piccolo, ma una creatura nuova, ignota ad ogni scienza, ad ogni conoscenza. Anche se il suo aspetto potrà essere quasi normale,- pronunciò quell'ultima parola con tono disgustato -il sangue che scorrerà nelle sue vene sarà un miracolo della genetica...Non voglio condannarlo ad una vita che nessun bambino dovrà mai avere.
Bulma singhiozzò, asciugando in fretta le lacrime appena scese sulle guance arrossate. Prima che potesse pronunciare una sola parola, Sherin cominciò a piangere. Non era di certo la prima volta che assisteva al suo pianto, ma capì immediatamente che le lacrime che inumidivano i suoi occhi non erano di tristezza, ma della più mera frustrazione.
-Ma quanto lo amerei...In fondo, come potrei non amare una creatura simile? Gli darei tutto quello che vorrà, lo giuro, lo proteggerei a costo della vita, lo giuro, farei qualsiasi cosa per renderlo felice...Lo giuro, lo giuro, lo giuro....Se mai un giorno dovesse trovarsi in pericolo, sarei pronta a donare la mia stessa vita per salvarlo, anche solo per aiutarlo.
S'interruppe, nascondendo il volto tra le lunghe dita.
-Dio, sono una sciocca...
Bulma si sedette accanto a lei, cercando di mantenere fermo il tono della voce, e l'abbracciò di slanciò.
-Nessuna sciocca penserebbe mai quello che tu hai appena detto.


Erano passati sei mesi da quel giorno, ed il ventre di Sherin cresceva a vista d'occhio. Tutti ormai sapevano del fatto che aspettasse un bambino e molti, come Chi chi, se n'erano fatti una ragione. Sherin, d'altro canto, era radiosa. La consapevolezza di ospitare una futura nuova vita l'aveva resa più moderata, più consapevole. Ogni volta che percepiva i movimenti del figlio il suo viso veniva illuminato da un sorriso, come così quello di Piccolo, affascinato da una dinamica di nascita a lui, fino a quel momento, sconosciuta.
Non appena era venuto a conoscenza della notizia, il suo primo, immediato pensiero era stato quello di avvertire il suo migliore amico, Gohan.
Il ragazzo non poteva che essere felice, certo, ma in fondo al suo cuore represse a stento un barlume di gelosia, nato dalla consapevolezza che, quando il bambino sarebbe nato, Piccolo avrebbe avuto altro a cui pensare.
-Ancora non riesco a crederci...Sarò padre, e Sherin sarà madre...Non pensavo sarebbe mai successo...
-Dai, Piccolo...In fondo, i genitori di Sherin erano un Namecciano ed una Sayan.
Gli aveva rivolto quelle parole sorridendo debolmente, un po' divertito dall'inebetito stupore del vecchio maestro, in fondo poco più giovane di lui.
Chissà che aspetto avrà loro figlio? Devo ammetterlo, sono proprio curioso...Probabilmente sarà più bello di Piccolo, conoscendo la madre...
Sorrise, divertito da quel suo pensiero impertinente. In fondo, pensò, Sherin era bella: superato lo sgomento per le lunghe orecchie e per i canini appuntiti, riuscivi ad apprezzare davvero il suo viso. Non aveva mai visto il volto di suo padre, e ricordava a malapena quello spietato di Zarah, ma non aveva dimenticato l'aurea di gelida bellezza che quella donna minuta era stata capace di emanare in ogni momento. Si sdraiò sopra l'erba fresca di rugiada, riflettendo. Alcune tracce della bellezza di Zarah erano facilmente rintracciabili sul viso della ragazza, come la forma degli occhi, la bocca sottile e la stessa luce negli occhi....Altre cose, senza contare evidenti connotati namecciani come orecchie e canini, non potevano appartenere che al viso del padre.
-Si chiamava Torat...-gli aveva detto un giorno, molti anni prima -Avresti dovuto vederlo...Era altissimo, quasi quanto me, e aveva degli occhi molto grandi, che parevano brillare!
Ecco, gli occhi..sebbene fossero allungati come quelli di Zarah, erano grandi, lucenti come due opali. Chiuse gli occhi, tentando di assopirsi, ma nella sua mente continuavano a sovrapporsi visi diversi, né Sayan né Namecciani, ognuno illuminato dallo stesso sorriso, quello di Sherin.
Gohan si passò una mano sopra i sottili occhi scuri, sospirando: no, non avrebbe mai potuto non voler bene al bambino che sarebbe nato....
Gohan!
La voce di Dende risuonò nella sua mente, chiara come se il ragazzino stesse parlando accanto a lui.
-Parlami, ti ascolto!
Non così, non c'è tempo! Raggiungi gli altri al laboratorio del Dottor Briefs,ti prego! Abbiamo urgente bisogno del vostro aiuto!
Non aggiunse altro. La voce acuta del giovane namecciano svanì con la stessa rapidità del suo arrivo. Gohan si alzò di scatto, portando con sé i petali di qualche fiore innocente, e spiccò il volo, diretto verso casa di Bulma.

Stretta tra le braccia del compagno, Sherin socchiuse gli occhi, il volto sferzato dal forte vento. Il messaggio di Dende l'aveva profondamente inquietata: non l'aveva mai sentito così agitato e preoccupato, e quando aveva detto di incontrarsi immediatamente al laboratorio del dottor Briefs, non aveva potuto non avere un brutto presentimento...
Abbiamo urgente bisogno del vostro aiuto....
Ripensò a quella frase con una stretta al cuore. Chi era in pericolo? Popo? Dende stesso? Quel pensiero la fece rabbrividire, e la giovane si strinse più forte al petto di Piccolo.
Mancavano circa quattro mesi alla nascita del loro figlio, maschio o femmina che fosse. Aveva rifiutato con decisione la possibilità di sapere in anticipo il sesso del nascituro, preferendo la sorpresa alla sicurezza della previsione.
In fondo, se sarà maschio, o se sarà femmina, non m'importa...
Rivolse un fugace sorriso a Piccolo, il quale ricambiò spontaneamente, accarezzandole una spalla. Ecco cosa era cambiato in lui, in tutti quegli anni: il rude guerriero che aveva incontrato un decennio prima era cambiato, ammorbidito dall'amicizia di Gohan, dalla solidarietà disinteressata dei loro compagni, ed ora, dalla prospettiva di diventare padre. Quel sorriso ne era la prova...
-Siamo arrivati,- le disse, indicando con un breve cenno del capo la Capsule Corporation, sempre più vicina -Gohan, Crilin, preparatevi ad atterrare.
In quel momento, un'esile ma bella figura vestita di giallo li salutò da sopra un balcone, agitando le mani bianche. Bulma entrò in fretta dentro casa, diretta verso il corridoio che portava all'uscita. Quando spalancò la porta principale, il suo respiro era ancora affannoso, ed il suo viso più pallido che mai. Dende era in piedi accanto a lei e, quando incontrò lo sguardo di Sherin, un timido sorriso gli increspò le labbra per pochi attimi. Vedere un'espressione così seria sul volto di un bambino della sua età le strinse il cuore, ma fu una sensazione che durò solo pochi attimi.
Solo pochi minuti dopo erano tutti radunati nel grande laboratorio principale della Capsule Corporation, in attesa che Dende chiarisse i loro mille dubbi. Contro ogni loro aspettativa, fu Bulma a parlare, in fondo un po' soddisfatta del fatto che ognuno dei presenti pendesse dalle sue labbra rossastre.
-Penso che nessuno di voi abbia mai sentito parlare della Poison Corporation...- fece una piccola pausa, come a sfidare chiunque a contraddirla -E' una società segreta, come lo fu il Red Ribbon, ma è molto più segreta, in quanto opera nel più assoluto silenzio. Il nuovo Capo dei Saggi, Moori, ha contattato il Supremo Dende solo pochi minuti fa, comunicandoli che poche ore prima è stato avvistato un piccolo ma minaccioso gruppo di navicelle spaziali. Le ha descritte come velivoli di forma ovale, nere come il petrolio tranne che per alcune strisce magenta...Ebbene, quelle sono le navicelle della Poison Corporation. Io e mio padre le conosciamo bene, perché qualche anno fa il loro capo ci propose una collaborazione che, ovviamente, rifiutammo. Le azioni della P. Corporation non sono animate né da interesse scientifico né da amore di conoscenza, ma solo dall'avidità di denaro e di potere...Possiamo ritenerci fortunati se in tutti questi anni non hanno mai tentato di assassinare un capo di Stato. Adesso sono decisi ad invadere Neo-Namecc, e possiamo facilmente intuire che non lo fanno per portare la gloriosa civiltà terrestre.- aggiunse, con una risatina sarcastica.
-Fammi capire, donna...Volevo dire, Bulma...Noi dovremmo partire seduta stante per salvare quell'inutile pianeta da una minaccia che nemmeno ci riguarda? E' questo quello che vuoi dirci?- s'intromise Vegeta, sputando a terra.
-Esattamente. Chiunque non voglia partecipare non è costretto a farlo, ma io sono già pronta a partire.
Detto questo, la ragazza strinse sul petto la cintura che precedentemente aveva sistemato sulle spalle, quasi interamente ricoperta da proiettili di varie dimensioni.
-Solo due cose, Bulma.- Sherin fece un passo avanti, sorridendo -Uno: non penso che senza una buona pistola quei proiettili riusciranno a perforare una qualsiasi corazza.
Prese un mitra dall'aria minacciosa da sopra un lungo e stretto tavolo, e glielo lanciò.
-Due: faresti meglio ad allargare un  po' le cinture di sicurezza della tua navicella, perché verrò con te.
Bulma non fece in tempo ad aprir bocca che Piccolo scattò, incollerito, scoccando uno sguardo di rabbia alla compagna.
-Non credo proprio, carina. Pensi che i membri della Poison Corporation useranno i guanti nei tuoi confronti solo perché sei incinta? Se sono come il famoso Red Ribbon, o anche peggio, stai pur certa che sarai il loro primo bersaglio!
Sherin non riuscì a replicare: chinò il capo sul petto, senza aggiungere più nulla. Gohan, che aveva assistito in silenzio allo scambio di battute, intervenne in suo favore.
-Dai Piccolo, non fare così, ho un'idea: se Sherin venisse con noi, a patto di non uscire mai dalla navicella, una volta giunti sul pianeta Namecc?
Quella proposta accese un campanellino d'allarme nel cervello di Sherin, che si affrettò a controbattere.
-Non ne ho la minima....
-Mi sembra perfetto!- si affrettò ad aggiungere Bulma. Conosceva la sua migliore amica, e sapeva cosa significava l'espressione che il suo viso aveva assunto in quel momento: lite in agguato, e le liti tra Piccolo e Sherin non erano mai piacevoli...-E voi?
Gohan si offrì con entusiasmo, imitato poco dopo da Jaozi e Tenshinhan. Yamcha, rimasto in disparte sino a quel momento, alzò timidamente il braccio.
-Ehi, Bulma! Ci vogliono ben tre mesi per raggiungere Namecc, e quando finalmente saremmo arrivati, quel pianetucolo sarà già stato devastato
-Non ti permettere, Vegeta!
Sherin aveva alzato improvvisamente la voce, facendoli sussultare tutti. I suoi occhi avevano assunto una sinistra sfumatura dorata, ed i suoi canini appuntivi sembravano più minacciosi ed affilati. Il dottor Briefs le corse incontro, temendo per la sicurezza del suo stesso laboratorio.
-Mia cara, calmati..e tu, Vegeta, modera le parole.
Il Sayan sbuffò, alzando lo sguardo con fare sdegnoso.
-Ho io la soluzione al tuo problema, Vegeta.- il dottore afferrò il lembo di una enorme tela, adagiata sopra un macchinario enorme, e tirò -Permettetemi di presentarvi la navicella TDR496873, un gioiellino appena creato dal mio, modestamente, intelletto. Con questa sarete capaci di raggiungere il pianeta Namecc in un solo giorno. Certo, potrebbe essere già troppo tardi, ma sempre meglio di tre lunghi mesi...
Sherin accarezzò la fredda superficie della navicella. Il lucente e resistente metallo le diede una piccola scossa, come a voler dimostrare il suo potenziale.
-E' perfetta.

Protetta nel caldo ventre di mia madre sentivo ogni rumore, ogni voce, come se provenisse da un luogo lontano. Tutti i suoni giungevano ovattati, tranne il forte battito del suo cuore. Ero incessantemente cullata dal suono più dolce del mondo, ed il mio cuore pareva battere in perfetta armonia col suo. E' la sensazione più bella che io abbia mai provato...Spesso mi chiedono come mai io ricordi una cosa del genere...nessuna persona riesce a ricordarsi i giorni passati nel ventre della propria madre, ma io non ricordo dei giorni, no. Ricordo solo quell'attimo meraviglioso, nel quale, in un modo o nell'altro, capii di essere viva, e di avere qualcuno che mi avrebbe amata incondizionatamente, qualunque cosa sarebbe successa. Se avessi saputo cosa sarebbe successo da lì a pochi mesi, avrei cercato di inviare a lei tutto il mio amore, tutta la mia anima, anche se per un solo istante, per dirle “io ci sono, sono sempre stata qui con te, e ci sarò..”
Come vorrei aver potuto farlo, e come vorrei che quella meravigliosa sensazione di amore tornasse nel mio cuore, in questo momento...

Nessuno mi raccontò mai della mia nascita.
Mio padre si limitò a dirmi di avermi trovata quasi per caso, e di aver deciso di allevarmi con tutto il suo amore. So che non dovrei pensare tutto ciò, ma desideravo con tutta me stesso sapere di più, conoscere ogni cosa del mio passato. I miei compagni, purtroppo, non sapevano o non volevano sapere, ed i miei dubbi rimasero intatti, per anni...
Per tutta l'infanzia non ho ricevuto altro che amore, e quest'ultimo ha creato un'invisibile ma impenetrabile barriera attorno alla mia anima, impedendomi di conoscere la depressione, la rabbia, il rimorso. Trascorsi la giovinezza protetto dalle cure della mia famiglia, senza pormi più alcun problema...Come avrei potuto sapere, anche solo immaginare, che tutto sarebbe stato spazzato via in poche ore?










Eccoci qua, al dodicesimo capitolo...ad essere sincera, non vedevo l'ora...Non ha mai raggiunto questo traguardo, e ne sono davvero felice :)
Prima di salutarvi, devo fare qualche piccolo ringraziamento a :

Molkira = piccola peste, devo ringraziarti per i tuoi sudati, ma sinceri commenti, sai? Ti voglio bene, e dimentica quel votaccio in biologia, perché sappiamo entrambe che sei fantastica comunque....

Aloysia Piton = donna, non tradirmi mai, sai che aspetto ogni tuo commento con una punta d'ansia e di felicità. Grazie, grazie e ancora grazie alla lettrice più veloce ed appassionata che abbia mai incontrato :)

lirinuccia = manchi solo tu! Cara, non mi aspettare per postare un nuovo capitolo della tua bellissima storia, ma scrivi, scrivi, perché lo sai fare così bene. Grazie, ed emozionami ancora non la tua storia...

ma non ci sono solo loro, no...Grazie anche a tutti quelli che mi leggono, a chi dà solo una letta veloce ai primi capitoli e, perché no, a chi magari legge il titolo di questa storia ed abbozza un sorriso....
Thanks.

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Capitolo 13
*** A new adventure 2 ***


Forse era notte, forse ancora pomeriggio. Il tempo continuava il suo inesorabile flusso, ma nello spazio più profondo non ci sono né il giorno, né la notte....
Sherin aprì a fatica gli occhi, momentaneamente abbagliata dall'intensa luce dei neon. Aveva tentato più volte di addormentarsi, senza mai riuscirci, ed il suo fisico iniziava a risentire della mancanza di sonno. Si rialzò, ignorando la fitta alla schiena che prontamente l'aveva colpita. Non si era mai abituata ai semplici materassi prodotti dalla Capsule Corporation, sebbene vi avesse dormito per anni.
 Rassegnata, Sherin aveva sfruttato quel poco di abilità magica trasmessole dal defunto padre per far comparire dei futon più soffici, ma tutto ciò che era riuscita a far apparire erano solamente dei materassi sgonfi e malandati...
Vegeta aveva sbuffato, sprezzante come suo solito, e aveva commentato con asprezza:
-Spero solo che il figlio del muso verde sia meglio di quell'incapace di sua madre.
 Diede una rapida occhiata allo schermo digitale del piccolo orologio fissato sulla parete di fronte. Le 18 non erano ancora passate, e ciò significava che sulla terra la notte non era ancora calata.
-Va tutto bene?
Piccolo aveva interrotto la meditazione, e si era seduto accanto a lei. Le accarezzò una guancia, cercando di non mostrarle la sua preoccupazione.
-Tutto ok, muso verde, non devi preoccuparti per me...In fondo, ne abbiamo passate di peggiori. Vedrai che sarà una passeggiata....
Abbozzò un sorriso, ma lo sguardo del compagno non mutò.
-Io non ti capisco, Sherin. Nelle tue condizioni, decidere di affrontare una situazione del genere, è una follia!
-Sono incinta, Piccolo, non in punto di morte. Andrà tutto bene, te lo prometto..
Piccolo inspirò lentamente: l'adorava, senza alcun dubbio, ma Sherin aveva l'innata capacità di farlo letteralmente impazzire, quando s'impuntava su una qualsiasi decisione. Era salita sulla navicella contro la sua volontà, ignorando ogni raccomandazione del dottor Briefs e della moglie, solo per rivedere Namecc.
Ama quel pianeta più di qualsiasi namecciano, sebbene l'abbia visto solo una volta....
“Ti sei dimenticato che posso leggere nel pensiero?”
Piccolo le scoccò uno sguardo irritato, e la Sayan sorrise maliziosamente, scoprendo i canini appuntiti.
-E tu ti sei dimenticata quanto mi infastidisca che qualcuno si intrometta nella mia mente?
-Stai zitto, muso verde, e lasciati stuzzicare.
Si alzò sulle punte dei piedi e sfiorò le labbra di Piccolo con le sue, lasciando che la pungente risposta del compagno venisse soffocata dal suo bacio.  
Yamcha smise di leggere il fumetto che aveva tra le mani, e li guardò baciarsi ancora una volta. Tentando di non fissare troppo lo sguardo su di lei, cercò negli occhi di Sherin lo sguardo che tempo prima aveva ammirato in Bulma, lo sguardo di una donna innamorata. Posò a terra il giornalino, portando una mano alla fronte. Ancora non riusciva ad accettare la realtà, non riusciva a capacitarsi del fatto che Bulma ormai non lo amasse più...Erano passati anni, il piccolo Trunks stava per compiere sette anni ma ancora, dentro di sé, soffriva.
Qualche volta si ritrovava a fantasticare su come la sua vita sarebbe stata in quel momento se lui e Bulma non si fossero lasciati per l'ultima volta. S'immaginava come un padre di famiglia, sposato a Bulma da tanti anni. Si vedeva giocare con un figlio nel giardino della loro casa in periferia, mentre lei annaffiava i fiori dei piccoli cespugli di rose...
Qualcosa bruciò dentro di lui, ed il ragazzo si costrinse a voltare il viso verso l'oblò vicino, fingendosi interessato alle costellazioni ed ai pianeti che man mano si susseguivano...

Chissà se Yamcha non ha mai smesso di amare Bulma...
Non mi disse mai tutta la verità, anche se sapeva di potersi confidare con me. Credo abbia sentito molto la mancanza di un fratello, di una figura amica con la quale potersi confrontare, con la quale riuscire a sfogarsi, e mi elesse suo unico confidente. Ricordo che usavamo trascorrere intere ore a parlare, anche se in verità io mi limitavo ad ascoltare i suoi problemi e le sue preoccupazioni...Povero amico mio, ridotto a confidarsi con un ragazzo molto più giovane, convinto che tutto ciò avrebbe potuto alleviare almeno un po' le sue pene...

-Stiamo per atterrare, allacciate le cinture! Sherin, siediti su quella poltrona a sinistra, la sua cintura è leggermente più larga delle altre!
Bulma afferrò le manopole del volante principale e si preparò a guidare la navicella verso l'area più adatta per l'atterraggio. Sherin si sedette velocemente sul sedile indicatole da Bulma, e protestò debolmente quando Piccolo insistette per allacciarle la cintura sopra il ventre. Il namecciano si sedette accanto a lei, con la scusa che tutti gli altri sedili erano già stati occupati, così da poterla fermare se avesse tentato di lasciare la navicella, rompendo così la promessa fatta prima di partire.
La navicella del dottor Briefs non tradì le loro aspettative: in pochi minuti toccarono il suolo del pianeta, senza quasi provocare il minimo rumore. Il panorama che si offrì ai loro occhi fu uno dei più angoscianti che ebbero mai visto: gli alberi una volta rigogliosi erano stati bruciati e spezzati da una forza sconosciuta, la terra presentava profondi crateri, ma il danno principale non era stato inflitto all'ambiente...
Sherin urlò più forte che poté, portando le mani bianche alla bocca, ed indicò davanti a sé.
Dove tempo prima sorgeva un piccolo villaggio, le fiamme dominavano incontrastate, bruciando tutto ciò che le loro lingue letali toccavano...Le case candide erano crollate, scoperchiate e sventrate senza alcuna pietà, e tutto ciò che restava della pacifica vita che sino a poco tempo prima aveva animato il villaggio era stata spazzata via dal fuoco, la forza più spietata ed incontrollabile creata dalla natura....Alcuni corpi giacevano al suolo, ma erano pochi..terribilmente pochi, e tutto ciò che restava di essi provava su di sé  la vorace fame delle fiamme scarlatte....
-E'...è orribile...
-Sherin, fermati!
Piccolo scattò in avanti, afferrando la maglia della Sayan, scattata in avanti in un impeto dettato dalla disperazione. Un lampo, un movimento fulmineo, e la mano del guerriero fu percorsa dalle unghie di Sherin, graffiandolo. Piccolo lasciò immediatamente la presa e la ragazza, libera dalla sua stretta, corse verso il villaggio, inciampando nei suoi stessi passi. Cadde in ginocchio davanti al fuoco, il viso pallido rigato dalle lacrime. Chiuse gli occhi e volse i palmi delle mani verso il mare, la cui sponda era poco lontana dal villaggio. L'acqua verdastra scorreva tranquilla, illuminata dai caldi raggi del sole che si riflettevano pacifici sulla sua superficie, e ribollì appena quando le mani di Sherin, lentamente, vi si immersero. La ragazza abbassò il viso, toccando la fresca acqua con le labbra sottili, ed iniziò a parlare.

A volte, quando i sentimenti prendevano il sopravvento sulla ragione, dalle sue labbra uscivano le inconfondibili cadenze della lingua namecciana. Potevo rimanere ad ascoltarla ore intere, tanto era intensa la forza di quelle parole...Non seppi mai come le imparò, se a pronunciarle fosse lo spirito di suo padre ancora vivo in lei, o se provenissero da una sapienza ancestrale, insita in lei sin dalla nascita...

Sollevata dalla silenziosa forza della sua preghiera, un'onda immensa si sollevò dalle profondità marine, erigendosi in tutta la sua maestosa potenza. Sherin alzò le braccia verso essa, come a volerne toccare la bianca schiuma e questa, come guidata dal suo gesto, si gettò sul villaggio in fiamme, inondandolo con tutta la sua impetuosità. Le fiamme si spensero quasi all'istante, soffocate dall'unica nemica che la natura aveva creato per contrastarle.

La udivo spesso ripetere a sé stessa di lasciar perdere, che il fato non aveva voluto affidarle le capacità magiche possedute dal suo popolo, che il suo destino sarebbe stato rimanere in eterno ciò che era, un essere a metà, né Sayan né Namecciano...Per tutta la sua vita questo fu il suo più grande dolore, il fine ultimo di tutti i suoi estenuanti allentamenti, delle sue intime sofferenze.
Mi piace credere che, prima della fine, mia madre abbia accettato la sua natura  e abbia intrapreso il cammino dell'eternità a testa alta, libera da qualsiasi appartenenza, da qualsiasi catena...

-Cos'è successo?- Gohan distolse a fatica gli occhi dall'immensa onda e rivolse appena quella domanda al maestro, anch'egli immerso nella meraviglia per quel gesto inaspettato -Non ho mai visto Sherin praticare una magia simile...
Piccolo strinse gli occhi, riflettendo. No, nemmeno lui ricordava che una forza simile fosse mai scaturita dalla giovane, nonostante la caratteristica tipica dei Sayan di dare il meglio di sé sotto pressione...
-Penso- cominciò, soppesando le parole -che in Sherin vi siano due nature contrastanti tra di loro, due anime in perenne lotta per la sopravvivenza. Se considerassimo solo il suo aspetto, penseremmo erroneamente che la parte Sayan abbia preso il sopravvento: i tratti del suo viso, il suo corpo...chiunque direbbe che Sherin è quasi completamente Sayan, ma se la conoscessero davvero capirebbero quanto possa soffrire per questo suo esistere a metà, contesa tra due popoli, uno ancora esistente, e l'altro ormai estinto...Per quanto possa cercare di comprenderla, finora non sono mai riuscito a colmare il vuoto che ha dentro di sé, la sofferenza che a periodi emerge dal suo spirito. Ricordi quando si trasformò in Half Sayan?- domandò.
Gohan annuì, ed invitò il maestro a proseguire.
-Quella trasformazione incompleta ci rivelò appieno la sua natura: i suoi occhi non assunsero un colore ceruleo, i capelli diventarono oro solo in alcune ciocche isolate, ma la sua aurea crebbe sino a raggiungere livelli mai compiuti prima. In quel momento la sua anima Sayan prese momentaneamente il sopravvento su quella namecciana, anche se non del tutto. Oggi invece, presa dalla disperazione per aver visto un villaggio del suo pianeta distrutto dalle fiamme, le catene naturale che sino a questo momento hanno intrappolato le sue capacità magiche si sono spezzate, e Sherin ha potuto finalmente liberare la sua magia namecciana.
Entrambi volsero lo sguardo verso la giovane, ancora inginocchiata sulla bianca riva del mare. Richiamate dal suono della sua voce, piccole e lucenti gocce d'acqua si sollevarono dal terreno bruciato come lucciole traslucide, volando leggere verso il mare. Sherin chiuse gli occhi, assaporando il loro fresco tocco, ed allargò le braccia, lasciando che alcune di esse si posassero su di lei, arrestando il loro breve volo sulla sua pelle. Piccolo si inginocchiò accanto a lei e la strinse a sé, affondando il viso nei suoi capelli scuri.
-Alzati...è tutto finito, ora...
I due si alzarono assieme, l'uno nelle braccia dell'altro, mentre il resto del gruppo si avventurava cautamente tra le rovine del villaggio, alla ricerca della Sfera Del Drago.
Gohan entrò nella capanna del Saggio del villaggio, l'unico posto dove la Sfera sarebbe dovuta essere, ma di essa non vi era alcuna traccia.
-Non c'è...- soffiò Vegeta, sferrando un calcio ad un mucchio di pietre annerite -La Sfera del Drago non è più nel villaggio.

L'uomo batté con forza l'enorme pugno sul tavolo circolare, facendo sobbalzare i suoi sottoposti, i quali si affrettarono ad assumere un'espressione contrita.
-Com'è possibile- sibilò -che una delle mie migliori truppe d'attacco sia stata letteralmente rasa al suolo da un gruppo di insulsi namecciani?
Un colonnello più sfacciato degli altri si alzò in piedi, schiarendosi appena la voce.
-Generale, abbiamo appena inviato un'altra unità sul luogo. I ribelli sono stati sterminati.
-Tutto questo non sarebbe dovuto succedere! Non possiamo permetterci di perdere uomini quando occupiamo un pianeta così distante dal nostro quartier generale! Dov'è il caporale Kins?
Un caporale magro e nervoso si alzò a fatica dalla sua sedia, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore.
-Kins..il caporale Kins è arrivato appena pochi minuti fa...
-Il suo stato? Il suo stato, maledizione!
-Incosciente, generale!
Il generale passò una mano sulla bocca, tentando di reprimere la furia crescente.
-Voi eravate responsabili di quest'ultima azione, il peso gravava interamente sulle vostre spalle, e cosa vengo a sapere?-  il tono della sua voce si alzò improvvisamente -Che coloro che fino ad oggi ritenevo i miei migliori uomini si sono rivelati degli incapaci indegni di rispetto! Siete la vergogna dell'intera Poison Corporation!
Afferrò la pistola, estraendola fulmineo dalla fondina, fissata al lato della cintura di pelle. Un brivido di terrore percorse gli uomini seduti al tavolo circolare, e molti di essi arretrarono impercettibilmente.
-Generale Wood, possiamo spiegarle....
Le parole morirono improvvisamente, spente dal proiettile sparato senza alcun preavviso. Il caporale si accasciò a terra privo di coscienza, premendo le mani sulla ferita sanguinante apertasi sul suo petto.
Wood soffiò appena sulla bocca della pistola, godendo i sussurri e la tensione scatenati dall'improvvisa morte del caporale. Così andava bene, pensò, era così che cani come quelli dovevano essere dominati....
Il brusio venne interrotto dall'arrivo di un messaggero il quale, degnando appena di uno sguardo il cadavere riverso a terra, s'inchinò al cospetto del generale.
-Generale, i nostri ricognitori hanno avvistato individui sospetti a nord, poco lontano dal mare.
-Di chi si tratta? Altri ribelli in cerca di morte certa?
-No signore, sono alieni. Terrestri, a quanto affermano i ricognitori. Una di loro ha soccorso i resti del villaggio bruciato dalle truppe d'assalto, signore. Supponiamo abbiano intenzioni a noi ostili: gli ultimi aggiornamenti ci informano che il gruppo si è unito a dei ribelli particolarmente pericolosi...
Il generale alzò una mano, interrompendo il suo discorso, e si diresse verso una finestra.
-Avete già completato i loro identikit?
-Solo un, signore, quello del namecciano.
-Descrivilo.
Il messaggero rovistò nella tracolla di pelle, passando in rassegna missive e fascicoli, fino a che non prese tra le mani una cartella nera.
-Altezza circa due metri, struttura muscolare notevole, apparentemente disarmato. Si sposta assieme  ad una donna...
-Una donna?
Il generale distolse lo sguardo dal paesaggio, e rivolse tutta la sua attenzione al messaggero, il quale continuò imperterrito il suo rapporto.
-Si, generale. Individuo femminile di altezza considerevole, sui trentacinque anni. Riteniamo sia in qualche modo legata al namecciano, il quale potrebbe essere il padre del figlio che porta in grembo..
Un'ombra si mosse in un angolo. Uno scienziato dai lunghi capelli bianchi, il cui viso portava i segni di una passata bellezza, sorrise, ed i suoi occhi cerulei vennero attraversati da un lampo di cupidigia.
-Interessante...da tempo non ho occasione di studiare ibridi vivi, mio generale...Mi permetta di studiare la donna ed il nascituro, signore...Ho buone ragioni per credere di poter sfruttare l'ibrido a nostro esclusivo vantaggio....
Il generale Wood strinse appena le labbra, ma non lo interruppe, limitandosi ad incrociare le braccia al petto. Mosse lo sguardo lungo la stanza in penombra, lasciando che il silenzio calasse come un velo opprimente. Eccoli tutti lì, uomini pronti a gettarsi a terra, a rotolarsi nel fango pur di compiacerlo, esseri umani che avevano venduto la dignità per il grado militare, abbandonando il ritegno che madre natura aveva loro donato...Disprezzava nel profondo ognuno di quei cani e, se non fossero indispensabili per il successo della missione, non avrebbe esitato ad ucciderli tutti, uno dopo l'altro.
Si sedette sulla sua sedia, rossa come il sangue, e prese tra le mani un fascicolo nero, simile a quello letto dal messaggero pochi minuti prima.
-Preparate le truppe. Ogni ribelle dovrà essere ucciso, ma non i terrestri. Spegnete ogni fuoco di disobbedienza, trucidate ogni sovversivo, ma portatemi i terrestri vivi.

Il nostro conto alla rovescia era ormai iniziato. In qualche modo, io e te , sapevamo ciò che stava per accadere, ciò che la follia umana stava per fare. Mancava così poco, amico mio, così poco...Se tutto ciò non fosse successo, saremmo stati ugualmente legati dal filo scarlatto del destino, che ciecamente unisce le anime delle persone in un legame che va oltre la vita stessa? Io credo di si, amico mio, lo credo con tutta me stessa. Non ho certezze, in vita mia non ne ho mai avute... questa è l'unica che il mio cuore e la mia mente abbiano accettato, e per questo la alimento con tutta la mia speranza, perché è ciò che ci rende così unici.
Costruimmo assieme questo legame, legame che la pazzia umana aveva tentato di sciogliere e che il destino stesso aveva ricostruito con la forza del tempo, intraprendendo il cammino che in cielo, anni prima, avevamo scelto assieme.

Due anime legate per sempre, ecco ciò che siamo, amica mia, due vite indissolubilmente unite.
All'inizio tu non l'accettasti, ricordi? Negasti quella verità con l'impetuosità che avevo imparato ad amare, la negasti ciecamente, appellandoti ai deboli ricordi che altri avevano costruito nella tua mente. Ti vidi piangere amaramente, battere i pugni a terra, rinnegare colui che ti aveva allevata e giurare eterno odio al genere umano, responsabile della tua sofferenza. Quel giorno giurasti. Giurasti di combattere in eterno ogni ingiustizia, di portare il fardello dei delitti compiuti in nome di una terribile bugia, di una spietata utopia. Era la tua croce, e amaramente capii che avresti sempre rifiutato ogni aiuto, in nome della tua stessa anima...



 
Eccoci infine al 13 capitolo...non riesco a dirvi quanto sono contenta di essere arrivata a questo punto! Cosa posso dire?
Questi giorni sono stati davvero pesanti....false amicizie, amici che rimangono ma che in realtà non sono mai davvero presenti, pranzi pesanti, visite ai parenti, compiti assurdi....Datemi un biglietto per Tokyo o per Parigi, please! Odio la mia città!!

Aloysia Piton: ciao, cara!!Eccomi qua, con il mio aggiornamento in terrificante ritardo, come al solito... Tante grazie, ogni tuo commento è uno dei motivi per andare avanti!

lirinuccia: tu! Perché non continui la tua fanfic? Sto morendo dalla curiosità, e la mia curiosità può essere devastante. Spero tanto che il mio capitolo ti piaccia, stai diventando una fan degna di attenzione XD

akuma: che fine hai fatto? :( mi manchi tanto, cara, lo sai! Ricorda che ti voglio bene, e che sei la mia sempai numero 1 !

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Capitolo 14
*** Inside a new danger 1 ***


E vai con il POV.  Non ci posso fare niente, mi attira davvero tanto :)



Vegeta
La vedo trasformarsi con velocità quasi surreale, la velocità di chi ha compreso che in una situazione critica ogni secondo è vitale...Ed ogni secondo perso potrebbe comportare un attimo di vita in meno...
Ha compreso ogni cosa non appena i suoi occhi hanno visto apparire la truppa, armata sino ai denti, correre verso di noi. Aveva alzato il viso verso l'alto, fiutando l'aria come un gatto, e quasi subito   riuscimmo a percepire la sua aura accrescere con l'impeto di un fiume in piena.
Sollevati da un vento inesistente, i suoi capelli iniziarono ad essere attraversati da lunghe striature dorate, così i suoi occhi allungati mutarono colore, divenendo simili a pezzi d'oro.
Ora, guardandola combattere, non posso fare a meno di provare disprezzo per una donna come lei, una mezzo Sayan, mai tanto forte da riuscire a valicare la vetta della trasformazione, il Super Sayan...
Li vedo combattere assieme, a fianco a fianco, colpendo gli avversari quasi contemporaneamente senza mai perdere di vista l'altro, pronti ad intervenire se la situazione possa prendere una piega pericolosa. Il muso verde è visibilmente contrariato anche se cerca di mascherare la sua disapprovazione celando il proprio viso alla meticcia, ma credo di conoscerlo abbastanza da comprendere il motivo del suo stato d'animo.
Lei ha rotto la promessa di rimanere all'intero della navicella, al sicuro da ogni attacco nemico. Invece, eccola lì, i capelli corvini ondeggianti al freddo vento, combattere come se ne andasse della propria vita per degli insulsi namecciani. E' la prima volta che la vedo combattere per uccidere...
Ed è con un lievissimo barlume di pietà che guardo gli ignari soldati lanciarsi verso di lei, sparando colpi che non andranno mai a segno,almeno  non sul corpo di una Sayan a metà.
Corre agile come un felino verso due di loro, estraendo le unghie affilate, pronta a colpire, a graffiare ogni centimetro di carne possibile. Non avevo mai notato l'impressionante cambiamento di alcune parti del suo corpo, durante la trasformazione in Half Sayan. I canini, prima solo leggermente appuntiti, appaiono lame in miniatura, affilati come i denti di un lupo. Le sue mani, normalmente bianche e affusolate come quelle di Bulma, mutano la forma delle unghie, le quali si allungano e si affilano, e ciò che prima era solo un'innocua mano diventa un artiglio pronto a ghermire la preda. Forte o debole che sia.
Probabilmente il suo mutamento è dovuto alla consapevolezza del dovere di proteggere la nuova vita che ancora vive in lei da una morte terribile, consapevolezza che ha portato ad una nuova forza.
-Vegeta, aiutami!
La richiesta di aiuto di Bulma mi trafigge come un lampo, e corro verso di lei, incurante dei proiettili che sfiorano la mia pelle, procurandomi graffi indegni di attenzione.
E' seduta a terra, il bel viso nascosto dietro le mani tremanti, e non posso non udire i suoi singhiozzi. La madre di mio figlio, mia moglie...Questi pensieri entrano in me così velocemente che le mie braccia si muovono da sole, afferrando la sua vita sottile e le sue gambe. Volo via dal campo di battaglia stringendomi Bulma al petto, alla ricerca di un posto sicuro, lontano da quell'inferno in terra.
Anche se per pochi secondi, i miei avversari dovranno attendere.


Piccolo
Maledetta sia la sua testardaggine, e maledetto io stesso, che non le ho impedito di seguirci, preferendo evitare la certa discussione che ne avrebbe conseguito.
Blocco appena in tempo un razzo diretta verso di lei, scagliata contro i soldati marchiati dalla scritta P Corporation. Quella donna ha completamente perso il senno, penso con una punta di amarezza, gettarsi così contro il nemico....Nelle sue condizioni...
Qualunque cosa le dirò lei, sorridendo, non mi ascolterà mai, ma continuerà a fare ciò che il suo cuore le detta, chiudendo le porte alla ragione. Per me, abituato da sempre al ragionamento, alla fredda razionalità, tutto ciò appare un comportamento degno di un pazzo.
E' con un brivido freddo che riconosco quanto sia simile alla madre, nel combattimento: lo stesso sguardo di ghiaccio negli occhi, la stessa decisione nel lanciarsi all'attacco, la folle determinazione nel continuare anche se vicina allo sfinimento. Anche se non lo ammetterà mai, combatte come una Sayan, sebbene molte delle sue capacità appartengano alla nostra razza...
E' nella magia che domina nelle sue tecniche, nell'agilità usata per schivare i colpi avversari che vedo l'anima di sua padre....
Un colpo vicino, troppo vicino mi distoglie dai miei pensieri, costringendo la mia mente a tornare alla violenta realtà. Vegeta è sparito, così come Bulma, ma posso facilmente immaginare quale sia stata la decisione del Sayan. Ha voluto portare al sicuro la sua compagna seguendo il bisogno ancestrale di ogni uomo, quello di proteggere chi ama.
Ma io non sono un umano, e forse non lo sarò mai realmente, ma quel desiderio è vivo in me così come è vivo in lui. Se Sherin dovesse perdere la vita, se succedesse qualcosa a nostro figlio,...io non potrei mai perdonarmelo.
-Sherin!- urlo, scansando l'ennesimo proiettile vagante -Sherin, abbassati!
Lei si volta appena in tempo per vedere con i suoi occhi l'enorme sfera luminosa avvicinarsi verso di noi, veloce e silenziosa come un angelo della morte, e si precipita verso di me.
In quell'attimo eterno risentii le parole che Gohan mi aveva detto tempo prima, dopo aver saputo di ciò che era nato tra Sherin e me, come se lui stesso si fosse avvicinato a me per sussurrarle ancora una volta.

-Forse in una cosa siete davvero simili....
-Che cosa?
-Nella capacità di tenere agli altri più che a voi stessi. Lei stessa non esiterebbe nel proteggere te o Bulma col suo stesso corpo, proprio come facesti tu quando Nappa cercò di uccidermi. Ecco, in questo tu e Sherin siete come una persona sola...

Con le lacrime che le lambiscono le iridi dorate, Sherin mi stringe a sé, pochi attimi prima che l'immensa, eterea superficie della sfera tocchi la nuda terra. Cercando di mantenere il controllo le accarezzo le spalle, pensando stupidamente quanto la imbarazzasse avere spalle tanto larghe...Chiudo gli occhi, inspirando profondamente l'odore dei suoi capelli, immergendovi il viso.
-Come vorrei fosse solo un brutto sogno.-sussurra, mostrandomi appena l'ombra di un sorriso.
-Dai sogni prima o poi ci si deve svegliare...


Yamcha
Non ricordo di aver mai provato una sensazione così singolare.
Quando la sfera esplose non sentii alcun dolore, non sentii la vita abbandonare il mio corpo, ma percepii solamente il forte impatto con la sua superficie lucente, spiazzante quanto sconvolgente.
Come immerso in una dimensione neutra potevo vedere i miei compagni venire raggiunti dalla sfera, uno dopo l'altro, per poi esserne inghiottiti pochi attimi dopo in brevi lampi di luce.
Né io, né Bulma, Crilin, Gohan o Tenshinhan  sentimmo dolore. Ci limitammo a restare sospesi, immersi in una specie di dormiveglia, né morti né vivi, mentre attorno a noi esplodevano le urla più strazianti.
Vegeta, Piccolo e persino Sherin si contorcevano su sé stessi, gridando con una forza tale da poter spezzare il vetro più resistente. I loro corpi erano scossi da spasmi indescrivibili, così intensi che i loro occhi si erano annebbiati, velandosi di un bianco terrificante. Urlavano e urlavano, portando le mani nei capelli, perdendo sangue dalle narici...ogni tanto uno di essi crollava, lasciandosi possedere dalle convulsioni, come una marionetta alla quale erano stati tagliati i fili. Avrei dato qualunque cosa per poter chiudere gli occhi, per non vedere la sofferenza che erano costretti a subire, ma il mio corpo si rifiutava di obbedire ai miei comandi. I nostri corpi si erano come pietrificati, imprigionando le nostre anime nella più assurda e crudele prigione che una mente sadica avesse potuto creare.
Vegeta inarcò la schiena gridando frasi sconnesse ed incomprensibili, mentre rivoli di sangue scorrevano dal suo naso, tingendo di rosso la parte inferiore del suo viso. Pregava di essere risparmiato, giurava tra le urla di essere pentito, di soffrire per tutte le vite che aveva spento, che mai più, mai più sarebbe successo...
Piccolo gridava, scosso ancora dalle convulsioni, e nel delirio altro non ripeteva che due nomi: Gohan e Sherin. La sua voce era improvvisamente mutata, divenuta d'un tratto più roca ed inquietante...Potei vedere con i miei stessi occhi calare un'ombra sul suo viso, rendendolo sempre più pallido e sofferente. Lentamente, Piccolo stava invecchiando, consumato dal peso della vendetta trasmessogli dal defunto padre, i cui tratti iniziavano inesorabilmente a delinearsi sulla sua pelle....
-Yamcha, aiuto!
Sherin si era improvvisamente voltata verso di me, accortasi del fatto che fossi ancora cosciente. Non riuscii a trattenermi, ed urlai con tutto il fiato rimastomi nei polmoni, tentando inutilmente di coprirmi gli occhi.
Ogni tratto del suo viso era stato grottescamente deformato, sfigurandola quasi totalmente: gli occhi, prima grandi ed allungati, erano rossi come il sangue, appena celati dalla folta chioma corvina ondeggiante come formata da mille serpenti. Allungò le braccia verso di me, sussurrando di aiutarla, di far cessare quel terribile dolore.
Amica mia, come avrei potuto aiutarti? Potevo percepire l'inarrestabile potenza della sfera luminosa  entrare in me e paralizzare il mio corpo, impedendomi persino di parlare. Sherin interruppe la sua preghiera, e socchiuse gli occhi. Ormai sia Vegeta che Piccolo avevano perso i sensi, ed i loro corpi si erano abbandonati completamente al nulla, galleggiando come cadaveri di annegati.
Mi sorrise, o almeno credetti fosse un sorriso la smorfia che nacque sulle sue labbra distrutte. Gettò la testa indietro ed urlò, urlò forte come non mai, portando le braccia in alto, come a voler raggiungere il cielo.
Solo in seguito mi disse il significato del suo grido, del nome che aveva urlato al nulla nella sua disperata follia di un minuto..
Torat.



Bulma
Una tremenda fitta alla testa mi destò dal mio dormiveglia, ed aprii gli occhi a fatica. Notai per prima cosa il ragno che approfittando del mio svenimento mi era salito sulla spalla, e lo scacciai con un gridolino di ribrezzo. Vegeta era ancora svenuto, disteso sulla freddo e lurido pavimento di pietra accanto a me, l'ombra del dolore subìto ancora impressa nel volto pallido. Crilin e gli altri stavano iniziando a riacquistare i sensi, come me, ma ognuno di noi era ancora troppo debole per cercare una via d'uscita. Non ricordavo quasi nulla di ciò che era successo dopo l'impatto con quell'enorme sfera luminosa, solo tenui barlumi, ricordi troppo sfocati per essere ricostruiti in pochi attimi.
Urla, dolore, i corpi di Vegeta, Piccolo e Sherin scossi dalle convulsioni, i loro volti impalliditi, invecchiati...
Sfigurati...
Guidata da una prorompente fitta di terrore mi avvicinai incerta alla figura che riconobbi come appartenente a Sherin, illuminata appena dalla tenue fiamma apparsa nell'incavo delle sue mani tremanti.
-Sherin, stai bene?
-Bulma, sei tu?
Una voce familiare scaturì dall'oscurità, facendomi sobbalzare. Piccolo apparve improvvisamente accanto a me, richiamato dal suono della mia voce. Trasalii per la seconda volta nell'incrociare i suoi occhi, segnati da rughe appena accennate, ma mai viste prima. Un Piccolo più vecchio si sedette accanto alla mia cara amica, adagiandole un mantello logoro sulle spalle tremanti.
-Che cos'è accaduto al tuo viso? Vegeta sta bene, Sherin sembra scossa ma illesa...- domandai, senza nascondere il tremito che si era insinuato, codardo, nella mia voce.
Piccolo sorrise amaramente.
-Sherin ha un potere simile a quello di Dende, ovvero la guarigione delle ferite altrui, ma il suo purtroppo non è altrettanto sviluppato. Vegeta aveva una brutta emorragia nasale, e curarla non è stato un problema per lei, ma....- si fermò per accarezzarle le guance magre -Non ha potuto fare molto per sé stessa, una volta esaurita quasi tutta la sua energia. Con il briciolo di magia rimastale ha fatto sparire quasi tutte le rughe che la magia maligna della sfera aveva formato sul mio volto...Vorrei che non l'avesse fatto...
Trattenni il respiro, senza sapere davvero il perché di quel mio gesto.
-Perché, Piccolo? Cos'è successo?
Piccolo prese delicatamente il mento di Sherin tra le dita, e le alzò il viso, lasciando che la debole luce della fiamma ancora viva e bruciante lo illuminasse appieno.
Il mio acuto spezzò i sussurri dei miei compagni, i quali si voltarono spaventati verso di noi.
-Sherin...oddio, Sherin.....
La mia vecchia amica tentò di sorridere, ma tutto ciò che le sue labbra riuscirono a trasmettere fu solo una smorfia di dolore, di vero dolore. Il suo viso era percorso quasi completamente da tagli rossi di sangue, netti e precisi come sciabolate. Uno di essi le era stato inferto sull'occhio destro e potevo scorgere la sanguinante linea scarlatta partire dal sopracciglio sinistro per poi attraversarle spietata tutta la palpebra, sino allo zigomo.
Fu Piccolo a parlare per lei.
-Se avessi saputo che la magia che avrebbe usato per guarire me non le sarebbe poi bastata per sé stessa, mi sarei rifiutato, glielo avrei impedito....
-Ma perché solo voi tre?- all'improvviso desiderai con tutta me stessa essere al suo posto, essere sfigurata dalle stesse terribili ferite, per poterle risparmiare quell'umiliazione.
-Non devi pensare cose simili, Bulma...
Sherin aveva letto nei miei pensieri, ed ora potevo udire la sua voce, un tempo roca e vibrante, attraversare il pesante silenzio con flebili parole.
-Forse saprò risponderti, se Piccolo sopporterà per qualche minuto di non essere il cervellone della situazione...-gli rivolse un sorriso leggermente ironico -Credo, e spero di non sbagliarmi, che la sfera sia stata progettata per annientare ogni elemento potenzialmente pericoloso, ma che non sia stata progettata per riconoscerli in base all'aura...La mente che l'ha ideata deve avere una visione distorta della realtà, se pensa che i più pericolosi siano solamente quelli che hanno una parte oscura nel loro cuore...
S'interruppe, respirando affannosamente. Nella fredda aria della nostra insolita prigione il suo alito caldo si condensò in piccole nuvolette candide.
-Questo non è possibile.- Gohan ci raggiunse, scuotendo la testa -Passi per Vegeta e Piccolo, entrambi con un passato violento alle spalle, ma tu no, Sherin. Sei tra le migliori persone che io conosca, come sarebbe concepibile una parte malvagia in te?
-.....rancore...Un profondo rancore nei confronti di colei che mi ha dato la vita è un sentimento di odio che nessuna figlia dovrà mai provare verso la propria madre...e che non dovrebbe mai tramutarsi in odio sin dalla più tenera età....E' questa la mia parte oscura, Gohan....


Ricordi ancora il nostro primo incontro?
Io si. Lo rivivo ogni notte nei miei sogni, appena dopo essere scivolato nel sonno più profondo. E' la mia medicina, ciò che mi solleva dalle preoccupazioni, dai timori, l'unico placebo contro le tempeste del mio animo.
Rivivo ogni attimo, dal primo all'ultimo: il profumo dei fiori che aleggiava pigramente nell'aria, il vento fresco che sferzava i nostri volti dalle espressioni di ghiaccio. Forse tu non te ne rendesti conto, ma sin dal primo istante mi ammaliasti con la tua aura singolare,con i tuoi occhi di un grigio quasi bianco. Non era amore, no, ma puro e semplice incanto. Ora posso rispondere, amica mia, alla domanda che ancora oggi mi rivolgi con un sorriso beffardo.
Non ti attaccai per un semplice motivo: ti sentivo così simile a me, che colpirti sarebbe stato come colpire un fratello...Un fratello gemello.



Tanananaaa! Quattordici capitoli!!!
Un po' di ringraziamenti credo siano doverosi (ma certo che li faccio, ormai è una routine! :) )

Aloysia Piton: cara, eccomi XD Questa volta credo di essere stata anche troppo veloce, forse non ho mantenuto abbastanza la suspence, ma poi, ascoltando canzoni rock e metal il capitolo si è quasi scritto da solo! Buona lettura :)

lirinuccia: erh, per lo schizzo, porta pazienza, perché la perfezionista che è in me ha accettato la sfida XD Buon divertimento, e grazie per i tuoi commenti appassionati! Mi batti Aloysia XD

Molkira: TU mi fai davvero disperare, lo sai? u.u Su, leggiti tutti i capitoli che ti mancano e non rompere XD

Un bacione anche ai lettori sconosciuti, che senza lasciare una traccia magari apprezzano questa storia! Non è vero? Beh, in fondo non posso saperlo :)

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Capitolo 15
*** Into a new danger 2 ***


Kaim
Faccio sempre lo stesso sogno da più di vent'anni ormai, amica mia...le stesse immagini si ripercorrono ostinate nella mia mente già fin troppo affollata di ricordi e rimpianti....
Ricordo la tua sciocca risata risuonare nel vento nell'ascoltare questo mio sogno infantile, rapida e cristallina come la luce che, di tanto in tanto, balena ancora nei tuoi occhi grigi.
Ridevi. Ridevi della mia assurda ostinazione nel sostenerti di averti già vista, di aver respirato con te nel breve tempo dei miei sogni, appartenenti oramai all'innocenza dell'infanzia.
Nelle notti agitate da incubi popolati da creature tanto terribili quanto inesistenti, il mio inconscio cercava disperatamente quel sogno, amata ancora di pace.
Ancora oggi, questo sogno è immutato. Seduti l'uno davanti all'altra, su un prato di un verde dalla bellezza indescrivibile costellato dai fiori più belli mai visti, teniamo le mani strette in quelle in dell'altro, ma non parliamo... Tu mi sorridi, sollevando appena gli angoli delle labbra, e così pure sorridono i tuoi occhi, vivi ed irrequieti come quelli di un felino. Vorrei parlare, lo desidero con tutto me stesso, ma mai le mie labbra furono capaci di produrre alcun suono. Rimaniamo dunque in silenzio, e l'unico suono percettibile nell'aria fresca è il dolce stridere dei grilli, singolare colonna sonora di quegli attimi indimenticabili.
Il tuo sguardo si posa su un fiore più bello di tutti i suoi compagni, azzurro come le sottili venature dei tuoi occhi, delicato come i nostri respiri, fresco in tutta la sua nuova vita. Intrecci il suo gambo sottile tra i miei capelli, da sempre neri come le piume del corvo, fino a formare una lunga treccia scura.
-Ecco- sussurri- ora sembri uno di quegli elfi delle vecchie storie.
Alzo appena le spalle, invitandoti a proseguire.
Stringesti la mia mano sinistra tra le tue, più bianche ed affusolate, e la portasti all'altezza del cuore.
-Devi promettermi una cosa, Kaim. Promettimi che resteremo sempre assieme e che nessuno ci dividerà mai, che supereremo qualsiasi difficoltà lottando assieme, comunque vada...
Mentre la tua preghiera saliva verso il cielo una scintilla rossa brillò sopra le nostre mani unite, ed un nastro sottile, rosso come solo il sangue può essere, legò le nostre piccole dita.
-Il filo rosso del destino.- esclami, ridendo gioiosa.
Ecco....in quel momento avrei potuto morire felice, tanto era grande la felicità che mi sopraffò. Essere lì con te, in quel meraviglioso luogo senza tempo, era la cosa più bella che un bambino avrebbe potuto desiderare perché si, eravamo bambini...E fu con la voce di un bimbo che pronunciai quelle poche parole, quasi troppo flebili per essere udite da te.
-...comunque vada...


Yumi
Una cosa sola, una sola anima in due corpi differenti.
Ricordi? Me lo dicesti in un giorno di pioggia, avvolto nella mia stessa coperta, il viso illuminato dal tuo meraviglioso sorriso.
Alzasti il capo con un sospiro, guardando il cielo piovoso attraversato da rapidi lampi lucenti, ed iniziasti a parlare...
-Che cosa pensi?
Io non ti risposi subito. Affondai il viso nella morbida superficie della coperta e chiusi gli occhi, sperando che il mio silenzio parlasse al posto mio.
Il silenzio non è mai bastato ad accontentarti...Consideravi l'assenza di parole un vuoto dell'anima, vuoto che ti preoccupavi di colmare con i tuoi gesti carichi d'amore.
Eppure non risposi. Non risposi alla tua domanda, anche se ero pienamente consapevole che ciò ti avrebbe ferito.
Non risposi, perché parlarne sarebbe stato troppo difficile.
Come sarebbe bello poterti rispondere adesso, lontana da tutti quei fantasmi, da tutte quelle chimere...Come avrei potuto dire, fratello, che in quell'istante eri tu l'unico pensiero che avvolgeva il mio cuore? Come avrei potuto spiegarti il peso che avevo nel cuore, la forza che pian piano stava crescendo in me, alimentata dalla tua presenza, dal tuo starmi vicino? Come avrei potuto, sapendo che il tuo cuore non sarebbe mai stato veramente mio?
Ti voltasti verso di me mi guardasti, gli occhi socchiusi, la bocca distesa in un sorriso dolce. In quel momento avrei potuto urlare con tutto il fiato che avevo in corpo quanto fosse grande ciò che provavo per te, e quanto mi costasse non poterlo esprimere.
-Io non sto pensando a niente.
-Davvero?
-Davvero. Mi succede sempre, quando sono davvero sereno...e questo accade solo quando sono con te o con i nostri genitori...Quando siamo assieme riesco a dimenticare tutto: la sofferenza, la lontananza, la prigionia. Tutto questo diventa lontano, e quasi vorrei cancellare il passato...
Lasciai che la coperta scivolasse via da sopra le mie spalle, e la posai sopra le sue, più ampie e forti delle mie.
-Se tutto questo non sarebbe successo, forse non avremmo mai sofferto così tanto: la mamma non avrebbe il viso coperto da quelle vecchie cicatrici, papà non si abbandonerebbe più in lunghi silenzi..e noi saremmo cresciuti come due normali gemelli...
Tu mi prendesti il volto tra le mani, dolcemente, senza mai distogliere i tuoi occhi dai miei.
-Qualunque cosa sarebbe successa, io e te non saremmo mai stati normali. Siamo diversi da tutti gli altri...Siamo una cosa sola, una sola anima in due corpi differenti. Non dimenticarlo mai, nemmeno quando saremo divisi...


Il generale Wood si accarezzò pensoso le tempie segnate da antiche cicatrici, i sottili occhi chiusi. Il Dottor Poison aveva insistito per lanciare sui ribelli la sfera di luce, ideata anni addietro dallo scienziato della Corporation, ma adesso la prospettiva che le due future cavie potessero trovarsi in pericolo di vita lo aveva reso dubbioso sulla validità di quell'ordine. Aveva promesso allo scienziato di fornirgli il namecciano e la meticcia vivi, e quel pazzo scatenato non prendeva bene le cattive notizie....
Se solo non fosse così caro al Dottor Poison non avrebbe esitato un secondo nell'ucciderlo, nel forargli il cranio con un solo, unico colpo di pistola....ma no, Wood, lo sai che il Dottor Poison va matto per gli scienziati, porta pazienza, prima o poi si stancherà anche di questo...
Parole vuote, dette unicamente per ingraziarsi un suo cenno di assenso, dettate solo dall'ipocrisia regnante da anni in quella società segreta, dominata da una sola cosa, il dio denaro.
Rovesciò la tazza di caffè posata sul tavolo con uno scatto rabbioso del braccio, lanciandola verso il messaggero tremante apparso sulla soglia.
-Generale...-borbottò, ignorando l'insopportabile bruciore della bevanda aromatica -i prigionieri si sono ripresi.
-Perfetto. Ciò significa che lo scienziato riceverà una bella notizia- disse, e nella sua voce non vi era alcuna traccia di soddisfazione.
Diffidava di quell'uomo, esempio perfetto dell'individuo assetato di conoscenza e gloria a tal punto da tentare di valicare i confini imposti dalla natura stessa in nome della sua unica fede, la scienza. Pazzo, pazzo e megalomane più di ogni altro scienziato mai reclutato nella Poison Corporation, pensò Wood, azionando il microfono posto al lato della scrivania in mogano.
-Lo scienziato Colfen è convocato nel mio ufficio, immediatamente.
-Ricevuto.- la segretaria si limitò a premere un piccolo pulsante verde, collegato al laboratorio principale dove lo scienziato stava preparando i macchinari necessari al suo prossimo lavoro.
L'attempato ricercatore collegò gli ultimi cavi alla lucida incubatrice in metallo posizionata ad un lato dell'attrezzatissimo laboratorio, ed un soddisfacente sibilo provenì dall'interno del macchinario, segno che ogni chip stava eseguendo alla perfezione il suo compito. Colfen si appoggiò al muro grigio della stanza e si accese una sottile sigaretta, assaporandone in silenzio l'aroma acre.
Entro poco tempo la ragazza sarebbe stata condotta all'interno del laboratorio, e l'ansia che da due mesi affliggeva il suo spirito iniziava a quietarsi, cullandolo nell'allettante prospettiva di studiare il figlio ibrido della meticcia.
Era singolare, pensò traendo una lunga boccata dalla sigaretta, uno degli esseri più singolari che avesse mai incontrato, doveva ammetterlo. I suoi occhi si posarono sul suo diario, abbandonato tra miriadi di documenti e rapporti vecchi di settimane, dai quali era interamente sommerso. Lo aprì svogliatamente, iniziando a sfogliare qualche pagina.

Quinto giorno
I prigionieri danno segni di miglioramento. I tre scelti dalla tecnologia della Sfera hanno misteriosamente ripreso le forze, ed i loro corpi non presentano alcuna traccia delle violenze subite....o almeno, solo due di loro. La donna ha il viso ed il corpo ricoperti di tagli profondi, che in questi giorni si sono appena rimarginati, segno di una guarigione troppo lenta. Tutto ciò mi amareggia profondamente...la donna non avrebbe dovuto riportare tali ferite,è necessario che la gravidanza si compia nel migliore dei modi o tutto il mio lavoro sarà gettato al vento. Ho tentato più volte di prelevarla dalla cella per curarla, ma i suoi compagni hanno reso l'operazione estremamente difficile, allontanandola dai miei uomini con ogni mezzo possibile: morsi, calci, pugni...Barbari, esseri privi di autocontrollo....
Il namecciano è colui che più di tutti ha attirato su di sé la mia antipatia. L'unica volta che entrai nella loro cella, munito delle migliori intenzioni, intenzionato a curare la loro compagna...eppure, quel selvaggio si è gettato su di me, ringhiando come un animale, scaraventandomi a terra. La meticcia è accorsa verso di lui, urlando sconnesse frasi nella lingua degli indigeni di questo pianeta, probabilmente chiedendogli di allontanarsi di me.
Non credevo che la giovane conoscesse la lingua namecciana e così, una volta stuzzicata la mia curiosità, ho studiato il suo dossier, purtroppo abbastanza limitato. Nel corso delle visite alle quali la meticcia è stata sottoposta nel corso di questi due mesi, i medici hanno individuato una cicatrice situata sul fondo della sua schiena, e la conclusione tratta è stata unanime: una Sayan, senza dubbi. Io di dubbi ne ho ancora, molti. Nonostante avesse la coda ed i suoi capelli siano perfettamente corrispondenti agli standard Sayan, la lunghezza di orecchie e canini è assolutamente fuori dalla norma. Entro pochi giorni potrò consultare i risultati del test del DNA, e a stento riesco a contenere l'impazienza....

Ottavo giorno
Il test del DNA è stato chiaro: in lei sono presenti sia geni Sayan che geni Namecciani...davvero sorprendente....Mai ho avuto l'occasione di imbattermi in un incrocio di questo tipo e ne sono affascinato: l'unione dei due geni ha creato un individuo totalmente nuovo, d'aspetto prevalentemente Sayan ma dai poteri indubbiamente tipici del popolo namecciano. Comincio a pensare che il figlio possa essere altrettanto interessante dal punto di vista genetico..e militare. Se le sue capacità combattive e magiche potrebbero rivelarsi maggiori rispetto a quelle dei genitori, il nascituro rappresenterebbe un ottimo diamante grezzo, perfetto ma imperfetto. Un diamante che le nostre tecnologie sarebbero in grado di plasmare al meglio.
Il conto alla rovescia si sta man mano esaurendo, così come la mia pazienza. Il desiderio di assistere alla nascita di una creatura del genere ha cancellato ogni mia priorità, ogni mio pensiero è rivolto ad esso, ed ogni ricerca è finalizzata alla scoperta di nuovi dati sul popolo namecciano.
Il ragazzo sarà il tassello mancante per il raggiungimento della gloria scientifica.

Chiuse il quadernetto, non prima di avergli rivolto un'ultima occhiata indagatrice. I due mesi erano passati, e la puerpera avrebbe potuto partorire da un momento all'altro, così da distruggere per sempre il peso che da giorni gli gravava sul petto, il peso che gli psicologi chiamavano ansia.
Spense velocemente la sigaretta, schiacciandola nel portacenere di vetro, già pieno di mozziconi vecchi di settimane. Al Generale non piaceva aspettare...

La porta della cella si aprì di scattò, illuminando i visi dei suoi prigionieri, pallidi come quelli dei fantasmi. Sherin, i grandi occhi color pece socchiusi, si allontanò cauta dall'improvvisa fonte di luce, memore dei fatti accaduti i giorni precedenti. Lo scienziato dai capelli argentei era comparso nelle celle della navicella, scortato da una decina di soldati armati, e aveva espresso la volontà di visitarla. Senza aspettare che il loro superiore potesse finire la frase, due scagnozzi erano corsi verso di lei, immobilizzandola in pochi secondi. Piccolo, sebbene privo di forze, si era scagliato su uno di loro, trafiggendolo con unghie e denti, resi affilati come lame dalla disperazione e dalla paura. I suoi compagni lo videro ferire senza alcuna pietà, come una belva feroce che difende il suo branco, graffiare e mordere dei soldati che inutilmente tentarono di abbassare le armi in segno di resa. Lo scienziato afferrò una delle pistole gettate a terra e la puntò sul namecciano, il quale non si fece intimorire e fece per colpirlo: il raggio scarlatto scaturì repentino dalla canna dell'arma, viaggiando alla velocità della luce attraverso l'oscurità della stanza, sino a colpirlo sul petto. Vedendo l'avversario cadere come una bambola di pezza, lo scienziato gettò indietro la testa in una risata folle e spaventosa, lasciando che i suoi sottoposti puntassero le loro armi su ogni prigioniero.
-E' giunta l'ora, mia cara...Sono sicuro che tuo figlio stia già scalpitando per nascere....



Io adoro le frasi ad effetto...voi no?

Aloysia Piton: cara, tu devi scrivere una storia, altrimenti come potrò mai ricambiare i tuoi dolcissimi commenti? Grazie per tutto il tuo sostegno!

lirinuccia: tesoro, lo schizzo sta per arrivare, se la mia e-mail vorrà collaborare! L'indirizzo mittente sarà un po' diverso, ma non ti preoccupare: rispondi pure su quello da te sempre usato! Grazie grazie e ancora grazie per tutto!!

Akuma: mi manchi tanto...:( facebook non potrà mai sostituire le nostre chiacchierate su msn...ti voglio bene!

yori: spero che anche questo capitolo ti piaccia! Lascia anche un commentino se vuoi, mi farà molto piacere sentire la tua opinione :)

Kyrah: la tua storia è fantastica!! Non sto scherzando, mi piace davvero tanto! Il resto puoi leggerlo nel commento :) Grazie per il tuo commento, è stata una bella novità!

annafrank: grazie per la tua e-mail! Sono felice che la storia ti piaccia, e spero che anche i prossimi capitoli siano avvincenti come vuoi tu :)

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Capitolo 16
*** The Greatest Pain ***


Questo capitolo è stato una sfida, per me.
Ho scritto sulle note della canzone May It Be di Enya, che vi consiglio vivamente di ascoltare durante la lettura...creerà la giusta atmosfera.
Probabilmente questo è uno dei capitoli più tristi che abbia mai scritto.

Eravamo sedute l'una accanto all'altra, sorseggiando un'aspra spremuta di pompelmi, la tua preferita, e discutendo del più e del meno. D'un tratto avvertii un debole scossone nel ventre e portai rapidamente una mano sopra di esso, mentre la tua risata accompagnava quel mio gesto da madre ansiosa.
-E' solo il piccolo che si muove, non c'è nulla di cui preoccuparsi!- mi dicesti ridacchiando e accendendo una di quelle tue sigarette sottili e profumate. Inspirasti a fondo il fumo aromatico per poi soffiarlo via pochi attimi dopo, disegnando piccoli cerchi argentei con un semplice movimento delle labbra. Incantata dalla tua stravagante abilità, toccai a malapena uno di quei cerchi impalpabili, sperando invano che non si dissolvesse all'istante.
-So di cosa si tratta, dottoressa- dissi, fingendomi offesa -In fondo, mancano solo pochi mesi. Ha tutto il diritto di voler nascere...
-Cosa ti piacerebbe, Sherin? Vorresti un maschio o una femmina?
Sorrisi, appoggiandomi completamente al morbido schienale del divano ceruleo.
-Non ci ho mai pensato davvero...Amerei allo stesso modo un figlio od una figlia, senza fare distinzioni tra i due sessi....anche se mi piacerebbe molto avere un maschio. Mi sono sempre trovata a mio agio con i miei compagni uomini, più che con le ragazze. Ad essere sincera, tu sei l'unica eccezione a ciò che ho appena detto
Rimanemmo in silenzio, l'unico rumore provocato dal ticchettio della lieve pioggia primaverile contro il lucido vetro delle finestre. Desiderai aprirle per poter inspirare a fondo il profumo unico delle giornate piovose di primavera, un aroma dolce e malinconico che più di ogni altra cosa riusciva a calmare le mie inquietudini.
-Senti, Bulma...il parto è davvero così doloroso come molti dicono?
-No, o almeno per me non è stato così...Certo, del dolore c'è sempre e tutte lo provano, ma è sopportabile se paragonato alla gioia di dare la vita ad un essere umano. E poi, diavolo, tu hai affrontato demoni come Cell e Freezer- senza contare il combattimento contro tua madre- il parto non sarà che una passeggiata!
Annuii, sebbene il timore fosse ancora vivo in me....forse, se questa conversazione fosse avvenuta ora, col senno di poi ti avrei bruscamente interrotta con parole secche ed amare, dicendoti che no, per me il parto non fu affatto una passeggiata....


Una lacrima solitaria scese lungo le guance di Bulma, scivolando leggera sulla sua pelle bianca per poi arrestare il suo cammino sulla superficie candida della mascherina di carta assicurata sopra la bocca, contratta in una smorfia di dolore. Iniettò il contenuto alabastrino della siringa nel braccio tonico della donna legata al freddo tavolo del laboratorio, provvisoriamente sgomberato da ogni strumento scientifico. Gli occhi della paziente si offuscarono, le gambe cessarono di contrarsi, ed il capo cadde all'indietro, avvolto da disordinati capelli neri.
Il respiro di Sherin si fece regolare, ma il suo urlo mentale attraversò ogni mente presente nella stanza, perforandola con tutta la sua intensità e la sua rabbia, provocando la perdita di sensi di parecchi infermieri.
Reso folle dall'eccitazione, Colfen liberò il volto dalla mascherina e si lanciò sulla puerpera, afferrandole un braccio.
-Quanto ancora dovrò aspettare?- urlò, rivolgendosi ad uno dei medici -Quanto tempo mi separa dalle mie creature?
-Poco, signore. Non dovrebbe mancare molto...
Le labbra sottili di Sherin si dischiusero in un urlo terrificante, simile soltanto al lamento di una Banshee, e gli occhi di  tenebra, una volta illuminati da una luce solare e viva, parvero quasi privi di vita. Il corpo della Sayan si contrasse per l'ennesima volta il parto stava per giungere al suo termine.
Le gambe di Bulma cedettero e la giovane si accasciò a terra, piangendo sommessamente. La speranza sembrava appartenere ad un'epoca lontana, così come i giorni sereni in realtà avvenuti solo pochi mesi prima....volse lo sguardo al corpo dell'amica, avvolto dall'aura dorata, tempestivamente intervenuta ad infondere l'energia necessaria per compiere gli ultimi, vitali sforzi. Un infermiere le posò una mano sulla spalla, come a voler condividere la sua angoscia.
-Andrà tutto bene, vero? La lascerete andare?- sussurrò, la voce spezzata dai singhiozzi.
-Si...andrà tutto per il meglio...
Un lampo argenteo balenò sul petto della ragazza, troppo rapidamente perché lei potesse accorgersene, ed i suoi occhi cominciavano già ad offuscarsi quando videro il sangue scorrere sul vestito lacerato, tingendolo di rosso porpora.
Sherin si voltò appena in tempo perché l'amica potesse udirla gridare il suo nome, per scorgere solo una parte di tutta la disperazione e di tutto l'amore che la Sayan riuscì a concentrare in un solo, ultimo sguardo.
La vita di Bulma, da sempre animata dal sorriso, dall'allegria e da un meravigliosa, incontenibile voglia di vivere, si spense in silenzio accompagnata soltanto dall'amore di una amica, senza nessuno che la tenesse per mano. L'urlo di Sherin cessò, sostituito da un silenzio pesante come rocce millenarie. Chiuse lentamente gli occhi, inclinando all'indietro la testa bruna, ed iniziò a sussurrare parole simili a quelle recitate mesi prima, inginocchiata sulla riva del mare. Erano parole animate dalla stessa vibrante intensità che solo un canto riesce a dare, ed il loro suono si diffuse nella stanza con la delicatezza di una brezza estiva.

Molti credono ancora che stesse solo cantando...la sua non era che una preghiera del popolo namecciano, pronunciata lottando contro la furia e la disperazione. Volle dare il suo addio a Bulma con il cuore libero da ogni rancore per poter cullare degnamente la sua anima innocente.

La voce di Sherin fu presto rotta dal pianto, e la donna si accasciò sul freddo tavolo gemendo frasi sconnesse. Un medico si avvicinò lentamente, camminando quasi un punta di piedi, e controllò la dilatazione: il primo bambino stava per nascere.
L'ennesimo urlo della Sayan precedette di pochi istanti la comparsa di una piccola testa, accolta da urli di gioia e ruggiti di vittoria. Colfen batté un pugno sul tavolo, in preda ad una frenesia incontrollabile.
-Privatela della vista immediatamente. Non voglio correre alcun rischio.
Sherin si morse un labbro, sforzandosi di controllare le lacrime che, ostinate, continuavano a rigarle il viso percorso da cicatrici.
-....possa tu bruciare nelle fiamme più roventi, umano...
Ebbe appena il tempo di pronunciare la sua maledizione che il buio calò sul mondo, avvolgendola nelle tenebre.


Ogni contrazione era come una pugnalata nel ventre, il dolore fisico giunto ormai al termine fu sostituito da una sofferenza più profonda, più dolorosa di qualunque ferita...
Bulma era morta davanti ai miei occhi, senza pronunciare una sola parola, ma prima che i suoi occhi si spegnessero per sempre era riuscita a donarmi un ultimo sorriso di speranza, debole luce nelle tenebre che ci avevano avvolti.

-Gettate l'altro nel mare....non ci è di alcuna utilità....

Il dolore per la tua perdita mi avvolse con le sue terribili spire, soffocando la mia anima già troppo lacerata, e per un momento il mio cuore cessò di battere.
Desiderai con tutta me stessa che il suo battito non tornasse più per potermi perdere nelle tenebre con te e tenerti per mano ancora una volta, per percorrere assieme il cammino che dal principio terrorizza e affascina l'uomo...

-Riportatela nella cella e poi uccidete i prigionieri. Il Generale non vuole alcun testimone.
Due soldati fecero scattare le serrature che stringevano i polsi della donna e la presero goffamente tra le braccia, ignorando l'esclamazione stizzita del loro superiore. Con passi lenti e incerti si diressero verso le celle, soffocando a malincuore la pietà che i loro cuori provarono. Chiusero le loro coscienze alla domanda che, inesorabile, sfiorò le loro anime con le sue dita innocenti.
Perché?


Spero che il capitolo vi abbia commossi, o che almeno vi sia piaciuto nonostante la sua breve lunghezza. Di solito ne scrivo di più lunghi...
Sono triste :(  E' la prima volta che mi commuovo per una mia storia, ed è una sensazione davvero strana...

lirinuccia: ecco qua il sedicesimo capitolo. Avrei voluto pubblicare anche un'illustrazione, ma nessun disegno riusciva ad emanare la stessa vibrazione che la stesura di questo capitolo è riuscita a darmi...Buona lettura cara, aspetto uno dei tuoi meravigliosi commenti...<3

Aloysia Piton: ed ecco il capitolo più triste che abbia mai scritto finora...Continua a seguirmi con il tuo entusiasmo e la tua simpatia, i tuoi commenti sanno risollevarmi lo spirito :)

yori: Eccoci qua....Un capitolo non facile ma (almeno spero con tutta me stessa) non banale, anche se la morte non è mai banale. Grazie mille per avermi seguita finora.

Kyrah: tanta, tanta buona fortuna per il tuo esame..anche io ero molto nervosa, ma alla fine la regola d'oro è sempre la stessa, studiare. Se studierai bene, l'esame sarà quasi piacevole :) Bacio.

annafrank: ciao Sara, e ciao anche alla tua figlioletta che si chiama come me! Spero che questo capitolo ti piaccia, vi ho riversato tutta me stessa.

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Capitolo 17
*** Running to an end and a beginning ***


Resa cieca dal veleno iniettatole dallo scienziato, ormai reso folle dal suo stesso desiderio di conoscenza, Sherin si affidò alle forti mani dei soldati, troppo sconvolta per reagire. Fra poco finirà tutto, pensò in un attimo di lucidità, perché combattere una battaglia persa in partenza?
Il cupo sferragliare di un arrugginito mazzo di chiavi annunciò il loro arrivo alla cella. Il respiro della giovane donna si fece più rapido, così come i battiti del suo cuore: entro pochi attimi Vegeta le sarebbe corso incontro, trattenendo a malapena la furia crescente, chiedendole cosa ne fosse stato di Bulma...con che cuore avrebbe potuto riferirgli della sua morte? Si morse le labbra, frenando il lamento di dolore che, dal cuore, aveva tentato di raggiungere la sua bocca sottile.
-Per tutti i diavoli dell'inferno.....
Desiderando come l'aria di poter vedere ancora, Sherin concentrò tutta la sua attenzione sul rumore ritmico del cuore della guardia che aveva esclamato quelle parole. I battiti erano aumentati improvvisamente, ed il loro sordo, ritmato suono risuonò forte e chiaro nelle sue sensibili orecchie, rivelandole la paura insediatasi, maligna, nelle loro anime. La paura è il peggior nemico di un guerriero, pensò...
Ed un guerriero spaventato non è che un fantoccio....
La cicatrice che da anni segnava l'estremità della sua schiena formicolò, animata da infinite scariche  cerulee che vi penetrarono in profondità, sino a raggiungere il muscolo che, anni prima, muoveva una lunga coda bruna. Nel silenzio carico di timore la coda della ragazza rinacque, centimetro dopo centimetro, sino a raggiungere la sua vecchia lunghezza. La Sayan agitò soddisfatta la nuova coda in cerca del collo delle guardie le quali, immerse in un dibattito timoroso quanto privo di senso, non si accorsero del lampo scuro che sfrecciò verso di loro.
Sherin attaccò per prima il soldato più giovane, colpendolo fulminea alla nuca: il ragazzo crollò a terra privo di coscienza, un segno rosso accanto all'attaccatura dei capelli. Urlando, il compagno lo prese tra le braccia e cominciò a scuoterlo, gridandogli di aprire gli occhi, di rispondergli.
-Si riprenderà fra poche ore...ho dovuto colpirlo...
Il soldato imbracciò il fucile scarlatto che portava agganciato alla cintura di pelle, e glielo puntò all'altezza del cuore. Sherin percepì il sordo rumore della sicura sganciata e arretrò di qualche passo,  tentando un sorriso conciliatore.
-Hai colpito mio figlio, maledetta! Con che cuore hai potuto ferirlo?- urlò l'uomo, rafforzando la stretta sul calcio del fucile.
Il sorriso appena accennato si gelò sulla labbra della Sayan, la quale chinò impercettibilmente il capo. La voce di suo padre risuonò nella sua mente, sicura e modulata come la ricordava.
Non ne vale la pena, è solo una pedina.
Non ne vale la pena, ripeté a sé stessa, non ne vale la pena....
“Con che cuore...mio figlio...”
Il dolore la trafisse come un dardo avvelenato, trapassandole l'anima con i suoi compagni di sventura: rabbia, frustrazione, rimpianto....ed il debole umano che imprecava e tremava in ginocchio d'innanzi a lei non le parve che un ostacolo, nulla più di un oggetto da spazzare via.
-Se avessi avuto ancora un cuore, non l'avrei mai fatto....

Intanto, poco lontano dalla navicella e dagli orrori in essa avvenuti, la rivolta infuriava, aumentando d'intensità come un incendio quando, propagandosi inesorabile in un folto bosco, distrugge tutto ciò che incontra sul suo cammino. Il fuoco che quel giorno si sparse per Namecc bruciava nei cuori dei suoi abitanti, animava la loro lotta con la sua forza incandescente, spingendoli spesso verso una morte certa, pur di liberare il loro pianeta. Guerrieri allenati da anni di duro lavoro, ragazzi che non avevano mai combattuto, e persino qualche anziano...si lanciarono contro al nemico urlando la loro vendetta in faccia alla morte e al pericolo, incuranti della pioggia di laser che lacerava i loro corpi. Piccolo volava alla testa di un gruppo di guerrieri feriti ma ancora vogliosi di combattere, guidandoli contro una truppa isolata dal resto dell'esercito. Le menti sviluppate del popolo namecciano avevano dedotto rapidamente quale fosse il modo migliore per sopprimere quel nemico organizzato sin nel midollo: attaccare gli isolati, e rendere tale chi ancora non lo fosse, spingendolo con l'astuzia lontano dal gruppo. La poco nutrita truppa scelta ebbe appena il tempo di vedere sette namecciani scagliarsi alla velocità della luce verso di loro, travolgendo la maggior parte dei compagni che, sfortunatamente, avevano incrociato i loro occhi.

Noi namecciani siamo una razza pacifica, su questo non vi è alcun dubbio...
Se non siamo minacciati, sappiamo essere tra gli esseri viventi più ospitali del pianeta, desiderosi di vivere tranquillamente la propria vita in armonia con la natura del nostro pianeta. Questa, per anni, fu la mia filosofia di vita, l'unica che abbia mai avuto. Purtroppo, tutte le promesse giurate nell'arco di un'infanzia cadenzata dalla felicità e del gioco furono distrutte dalla rabbia di un'ora, dall'irrefrenabile voglia di spaccare tutto, di sentirsi vivo.
La mia seconda natura riuscì finalmente a prendere il sopravvento....

Sherin uscì dall'imponente navicella della P. Corporation con passi incerti, non ancora abituata al fatto di essere cieca. Attorno a lei vi era circa un centinaio di auree, troppe per poter individuare in pochi secondi quelle dei suoi compagni...
La debole anima di un soldato terrorizzato le passo accanto, sfiorandole una spalla: la fievole aura di quel corpo solleticò la sua, sfiorandola con il suo caldo, desiderabile soffio vitale. Sherin esitò solo un istante, la sua mente lavorò frenetica tentando di distoglierla da ciò che il suo istinto stava urlando. Con una voce orrendamente simile a quella di sua madre.
Ruba la loro energia, sino all'ultima goccia.
La Sayan si afferrò un polso e strinse con tutta la sua forza, sperando invano che il dolore fisico distogliesse la sua mente da quel pensiero. Improvvisamente, la donna notò qualcosa che prima le era sfuggito: l'aura di Vegeta aveva raggiunto proporzioni impensabili, tali da poter superare la potenza di Goku...Il dolore attanagliò nuovamente il suo cuore mentre il suo cervello realizzò quale fosse il perché di quell'aura, il vero motivo della nuova forza del compagno....
Da sempre Vegeta aveva avuto attacchi d'ira, specialmente durante combattimenti particolarmente duri, o quando una persona a lui cara si trovava in pericolo. Sherin chiuse gli occhi, sebbene questi ultimi non potessero comunque vedere l'odiosa realtà: Vegeta aveva percepito l'improvvisa fine della forza vitale di Bulma, e il dolore per la morte dell'amata moglie doveva essere stato insopportabile. La potenza del Sayan non era alimentata che dalla sofferenza e dalla vendetta, creando così una furia omicida alla quale in pochi sarebbero potuti scampare...
Sherin iniziò a correre alla cieca, urtando innumerevoli soldati in fuga verso la navicella, soldati ai quali rubava repentinamente ingenti quantità di forza vitale, per poi lasciarseli alle spalle privi di coscienza. Quello, decise, non era il giorno da dedicare agli scrupoli....

L'ultima cosa che ero in grado di ricordare era il suo viso, orribilmente sfigurato dalle ferite non curate ormai andate in suppurazione e dal dolore delle contrazioni che, minuto dopo minuto, avvicinavano suo figlio alla vita.
Le mie gambe diventavano sempre più instabili, mentre la paura, subdola ed incontrollabile come non mai, aveva preso il sopravvento sulla mia razionalità....Priva della sua alleata di sempre, la mia mente iniziò a girare in tondo come una trottola impazzita, cercando disperatamente una via d'uscita che avesse il potere di aiutarci, di spezzare quell'orribile realtà....
Nello stesso momento in cui il mio cervello comprese che ogni possibilità di fuggire via con lei era impossibile, il mio corpo scelse di abbandonarsi alle emozioni, e mi lasciai cadere a terra.
Quanto, quanto desiderai di poter essere una donna più forte, di riuscire a dominare il pianto d'innanzi alla tua situazione disperata, durante la quale cercasti in ogni modo di andare avanti, di non arrenderti.
Andare avanti, sempre e comunque...Era questo ciò che usavi ripetere nei frequenti momenti di crisi, quando la luce sembrava aver ceduto il posto alle tenebre. Fu quella la frase che ripetei a me stessa mentre, con il cuore in gola, affrontavo l'accecante luce bianca che aveva avvolto il mondo con la velocità di un'inondazione. Fino a quel momento il pensiero della morte non mi aveva mai sfiorata: i giorni si susseguivano trasportati dalla felicità e dalla tranquillità che per ani avevano caratterizzato la mia vita, nemici folli e  pericoli mortali a parte. Se mai la mia mente si era soffermata su essa, l'angoscia s'insinuava repentina nell'aria, soffocandomi. Solamente il pensiero di essa era capace di terrorizzarmi nel profondo, e di popolare il mio sonno di incubi malinconici ed inquietanti. Invece, non appena la Morte mi prese tra le sue eterne braccia non ebbi più paura, e mi lasciai abbracciare con la stessa remissività di un cucciolo indifeso nei confronti del suo padrone.
Richiamate dall'oblio di tempi lontani, voci sconosciute giunsero dolcemente alle  mie orecchie, sovrastando le urla della mia migliore amica. Mi parlavano interrompendosi a vicenda, sussurrandomi frasi sconnesse e cariche di pace ed io mi lasciai cullare dai loro suoni ovattati, mentre tutto attorno a me vorticava incessantemente. Pian piano un paesaggio iniziò a delinearsi all'orizzonte: un ampio cielo rossastro, una lunga, stretta stradina viola ed un enorme palazzo eretto in mezzo a soffici nuvole dorate come grano....l'Aldilà si spalancò sotto i miei occhi stanchi, etereo ed eterno come lo avevo sempre immaginato.

L'aura di Vegeta brillava come una stella, a stento eguagliata dalle forze combattive dei suoi compagni. Guidata dall'unica, invisibile luce che i suoi occhi potevano percepire, Sherin correva attraverso la verde radura ricoperta da cadaveri e feriti gementi, inciampando talvolta in qualche vittima....Per l'ennesima volta i piedi della giovane donna incontrarono un inaspettato ostacolo nel corpo inerme di un namecciano colpito, e la Sayan cadde a terra urlando di frustrazione, maledicendo i suoi occhi oramai inutili.
-Venderei la mia anima al diavolo, se ciò potesse ridarmi la vista!- sbraitò, volgendo il cieco sguardo al cielo, ricoperto da dense nuvole nere come la morte stessa. Resa folle dal dolore, sia fisico che spirituale, Sherin esplose in una roca, insensata risata e prese a battere la dura terra con le nocche arrossate, strappandone freneticamente i sottili fili smeraldini.
-Avanti, Mefistofele, spalanca il tuo regno ed inghiottimi, perché la mia esistenza in questo mondo non ha più alcun senso!
Urlando come un animale ferito, la ragazza si accasciò sopra il namecciano esanime e lasciò che i suoi capelli corvini lo accarezzassero così come le sue braccia, abbandonate lungo il suo petto.
-E tu, fratello, perché non respiri più? Perché non mi rispondi, non sono forse tua sorella?- sussurrò al suo orecchio con voce rotta dal pianto -Non combatti per la tua Namecc, non sei assieme ai tuoi compagni, fratello?
Con dita tremanti cercò il viso del giovane, accarezzando la fredda pelle di smeraldo, sfiorando le palpebre dei suoi occhi chiusi dalla spietata mano dell'angelo della morte. Forse, se fosse stato ancora in vita, avrebbe sorriso con fare sorpreso socchiudendo appena gli occhi neri, per poi sottrarsi pudicamente al suo timido gesto d'affetto. Le dita affusolate di Sherin si soffermarono incerte sopra il suo cuore, graffiando appena il soffice tessuto candido che lo copriva. Una debole traccia di calore era tuttora percepibile, segno che solo da poco quel cuore aveva suonato l'ultimo battito....
Sherin sorrise, chiudendo i grandi occhi neri: solo un po' di energia, che ci sarebbe stato di male...non era forse una buona azione offrire ciò che ormai non serviva più?
-Vivi, fratello...vivi....
Impetuosa come un fiume che esonda, trapassando i confini dei suoi stessi argini, l'energia dorata scaturì dalla punta delle sue dita, infondendosi lungo tutto il corpo del namecciano, percorrendolo da capo a piedi per poi raggiungere il cuore, ove penetrò con la forza di un uragano.
Gli occhi del giovane si spalancarono, rivelando due perle candide prive di colore, e la sua bocca si aprì in un urlo silenzioso, mentre il suo cuore si contraeva in un timido battito.
Un fuoco invisibile ad occhio mortale s'insinuò nelle mani bianche della donna, la quale urlando le ritrasse da sopra il corpo del giovane guerriero, ormai preda delle convulsioni. Le iridi tornarono a rilucere nei suoi occhi, la voce rauca a risuonare nel petto...l'energia vitale donatagli dalla Sayan si era ormai insediata nel suo corpo, rinvigorendolo e riportandolo alla vita, lentamente ed inesorabilmente. Infine, gemendo appena, il namecciano si sedette a fatica, e volse lo sguardo al paesaggio che lo circondava, corrugando ripetutamente l'ampia fronte.
-...Com'è successo?
-E' meglio risparmiare energie e non spenderle in chiacchiere.- Sherin gli porse una mano, alla quale il namecciano si aggrappò, fiducioso -Come ti chiami?
-Kaimo.... Ma tu chi sei, e perché ,mi hai donato la tua energia?
Le folte sopracciglia della donna si mossero appena in un'espressione di sorpresa, ma la sua voce restò ferma.
-Perché così avevo deciso. Non è la prima volta che mi capita di perdere la testa...- ammise, distendendo le labbra in un limpido sorriso -Ora va'...I tuoi compagni saranno in pena per te...
Lo guardò volare via in silenzio, le mani poggiate all'altezza della cintura scura, ed in mente un solo pensiero: trovare Piccolo, ovunque egli fosse.

-Moori, venga qui, presto! C'è qualcosa che deve vedere!
Il nuovo Capo dei saggi corse più veloce che poteva verso l'anziano fratello che aveva gridato il suo nome, sovrastando a fatica il terribile frastuono degli spari.
Non ho più l'età per certe cose, pensò, imponendo al suo respiro di farsi meno affannoso, così da poter raggiungere prima il compagno, rannicchiato sulla riva del mare verdastro.
Il namecciano volse appena il viso verso il Saggio, rivolgendogli un rapido cenno di circostanza, e si girò versò il fagotto che teneva delicatamente fra le braccia robuste, cullandolo ritmicamente.
-Fratello?- domandò Moori, chinandosi verso il fagottino il quale, improvvisamente, iniziò a piangere.
-L'ho trovato piangente sulla sabbia, trasportato avanti ed indietro dalla risacca delle onde. Cosa posso fare, signore?
Il Capo dei Saggi sfiorò con cautela la liscia pelle verde del piccolo, non sapendo trattenere l'istinto protettivo appena sbocciato in lui, caldo come un fuoco scoppiettante. Erano anni che non aveva più l'occasione di osservare un bimbo tanto piccolo, e non riusciva a distogliere lo sguardo da quelle guance piene, da quegli occhietti scuri, da quei soffici capelli neri come la notte...
-Dei....capelli? Straordinario...
E così rimasero per un po', seduti sulla sabbia come ragazzi incuriositi, cullando a turno colui che sarebbe diventato, anni ed anni più tardi, il loro pupillo....



Finalmente, ecco a voi il diciassettesimo capitolo! Rullo di tamburi, prego....
Leggendolo, molti penseranno “beh, ragazzi che allegria!”, oppure “già che c'era, poteva far morire un altro po' di persone...”. Io non faccio altro che narrare una storia che ormai ha vita propria, lettori, e come narratrice devo scrivere anche di episodi spiacevoli...


lirinuccia: ciao cara!! Ormai hai perso interesse per questa storia, tesoro :( Mi dispiace tantissimo, ma la scuola ha assorbito la maggior parte del mio tempo, ed ho dovuto accantonare per un po' la mia amata storia...Spero tanto che questo capitolo ti piaccia!

Aloysia Piton: ricorda che il tuo commento ha il suo posto d'onore nel mio spirito, perché sei stata una delle prime a sostenere la mia storia e a seguire le avventure dei suoi personaggi..grazie, grazie ancora <3

yori: goditi questo capitolo, spero davvero che sia di tuo gradimento :)

Kyrah: ho letto la tua storia su Piccolo...è davvero graziosa, mi raccomando, scrivine altre! Kiss

annafrank: tranquilla, Piccolo sta bene!  Più che altro dovresti preoccuparti della sua prole, perché ci sono tempi durissimi in arrivo....

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Capitolo 18
*** Un nuovo inizio ***


Eh si, il capitolo precedente era proprio confuso, ma c'era un motivo :)
Attraverso la scrittura ho cercato di rendere le sensazioni di incertezza e confusione che accompagnano i combattimenti improvvisi, dove nemici ed alleati sono confusi, ed ognuno combatte senza quasi incontrare lo sguardo del proprio avversario...
Spero che la lettura di questo capitolo chiarirà i vostri dubbi.
P.s= scusate il terribile ritardo!!!!!!





-Raccontatemi tutto dal principio, ragazzi. Credo che ognuno in questa stanza voglia sapere come siano andate le cose sul pianeta Namecc.- il dottor Briefs accese l'ennesima sigaretta, imitato poco dopo dalla figlia – Ci sono alcune cose che non mi sono del tutto chiare. Come accidenti siete riusciti a sconfiggere la P. Corporation, una delle più forti società segrete paramilitari di questo pianeta?
La domanda del professore rimase sospesa nel pesante silenzio regnante nella stanza, rotto solamente dal rumore dei loro respiri. Vegeta corrugò appena le sopracciglia ed iniziò a parlare: -Ammetto che non  è stato facile...
-Non è stato facile?! Abbiamo rischiato di lasciarci le penne contro quei pazzoidi e tu ammetti che la cosa non sia stata facile?!
Crilin gettò a terra il rotolo di bende con cui stava fasciandosi la mano, attraversata da una grave escoriazione, e scoccò uno guardo di fuoco al Sayan.
-Crilin, calmati ti prego. Lascialo parlare....-Gohan sollevò una mano robusta e distese le labbra in un sorriso teso, intuendo l'arrivo di una possibile lite.
-Come stavo dicendo, prima che il tappo m'interrompesse, non eravamo certo in una situazione favorevole. Sherin era ridotta in uno stato pietoso, Yamcha -stranamente- era al tappeto, così come  Tenshinhan, ed eravamo in forte inferiorità numerica. Piccolo cercava per lo più di tener lontani più soldati possibile da Sherin....
-Non era in grado di difendersi con le proprie forze, quindi?- domandò ingenuamente la madre di Bulma, entrata nella stanza luminosa con in mano un vassoio di the e pasticcini -Eppure mi è sempre sembrata una ragazza in gamba!
Bulma si rizzò improvvisamente a sedere e sbuffò violentemente il fumo verso il basso, scossa da rauchi colpi di tosse.
-Mamma, si può sapere che cosa stai dicendo?! Non ti sei accorta in che stato è arrivata Sherin? Faticava anche solo a reggersi in piedi e non è riuscita a spiccicare una sola parola tale è lo shock che l'ha colpita!
Piccolo chiuse delicatamente una porta alle sue spalle e si unì al gruppo, negli occhi corvini un'inconfondibile velo di dolore. Sherin stava bene, disse semplicemente, si era addormentata non appena l'aveva distesa sul letto, senza nemmeno guardarsi attorno nella penombra della camera da letto.
-La situazione era più o meno questa, quando il generale Wood è apparso nel bel mezzo del campo di battaglia. Non ci siamo immediatamente accorti della sua presenza, essendo circondati da innumerevoli aure di vari livelli di potenza, e fu Vegeta il primo a rendersi conto della sua comparsa.- Gohan riprese il discorso del compagno, volgendo lo sguardo al padre di Bulma -Inutile dire che nessuno di noi ha avuto particolari riguardi nei suoi confronti...
-Quando si sono resi conto che il loro capo aveva tirato le cuoia, gli scagnozzi della Poison hanno giocato la carta dell'attacco disperato- le labbra di Vegeta si tesero nel ghigno di superiorità che per anni aveva regnato sul suo viso -Avevo dimenticato come possono essere deboli dei soldati senza più un capo al quale far riferimento, se il loro addestramento non ha fatto che basarsi sull'obbedire ad altri e non sviluppare una propria strategia di lotta. Inoltre, agli occhi dei namecciani la morte del generale ha rappresentato una nuova speranza, convertita immediatamente in nuova energia che ha contribuito molto a sconfiggerli, uno dopo l'altro.
La sigaretta ormai spenta fu presto schiacciata sul fondo del posacenere di vetro dalle mani del dottor Briefs, che domandò con voce rauca: -Prima di partire Sherin era ancora in gravidanza, e mancavano poche settimane al parto. Come mai al vostro ritorno non avevate alcun neonato con voi?
Il silenzio che calò sulla stanza, così denso da essere opprimente, non fu rotto da alcuna risposta: Bulma si alzò in silenzio, spense anche lei la sigaretta nel posacenere ed invitò il padre a seguirla al di fuori della stanza. Gohan si abbandonò sul morbido divano con un breve sospiro prima di rivolgersi ai compagni, stremati e desiderosi di potersi concedere, finalmente, un breve riposo.
-Lo ha portato da Sherin, non è vero? Credete sia stata una buona idea?- domandò, volgendo lo sguardo alla porta socchiusa -Probabilmente starà riposando.....


Quando padre e figlia aprirono dolcemente la porta della camera da letto, Sherin già li attendeva, seduta sulla trapunta tinta di rosso acceso. Le leggere tende color pesca erano state scostate da poco, così da lasciar entrare tutta l'intensa luce del sole pomeridiano, la quale toccava gioiosa ogni oggetto della stanza, creando tenui giochi di luci ed ombre.
-Non è cambiato davvero nulla dal giorno in cui ho fatto le valigie per lasciarla una volta per tutte...-sussurrò Sherin con un sorriso appena accennato -Non che la cosa mi dispiaccia, anzi: mi fa davvero piacere rivederla così com'è sempre stata.
Il petto di Bulma si alzò in un improvviso singhiozzo, smorzato subito dopo dallo stretto abbraccio che unì le due amiche, tanto diverse eppure così vicine.
-Anche tu sei sempre la stessa...- fu la debole protesta di Bulma, il viso affondato  nella morbida camicia da notte della Sayan -Dopo tutto quello che abbiamo passato commentare lo stato della tua vecchia camera come una nostalgica zia!
Sherin rise, rise con quella sua risata tanto adorata quanto a volte ritenuta insopportabile, una risata roca e rumorosa come quella di un ragazzo. Rise abbracciata alla sua migliore amica sino a quando il riso non mutò in singhiozzi, facendola tremare come un cucciolo ferito.
Bulma esitò nel posarle la mano sopra i capelli scuri, timorosa che il minimo gesto di conforto potesse ferire il suo antico orgoglio.
-Se c'è qualcosa che io...che noi possiamo fare, non far altro che dircelo e noi lo faremo. Ti prometto che farò qualunque cosa per vederti sorridere ancora una volta.- disse, stringendola a sé con trasporto.
-Oh Bulma, ti prego....Non ho mai chiesto aiuto a nessuno, nemmeno da bambina, e non lo farò ora. Sto..sto bene, non c'è bisogno che tu faccia nulla. E' tutto a posto.
S'interruppe, asciugando i grandi occhi scuri col palmo della mano, ancora solcato da profonde e scure cicatrici.
-No, non è vero, non è tutto a posto. Posso combattere e rialzarmi un'ultima volta, ma non tornerà tutto come prima. Ora come ora non riesco nemmeno a concepire l'idea del dopo, che prima o poi ci sarà un domani...Li rivoglio, Bulma, li rivoglio accanto a me!
-Non sai quanto vorrei dirti si, riusciremo a trovarli e li riporteremo indietro, a casa...Sherin, io non voglio essere la solita bacchettona realista, credimi, ma nessuno di voi è riuscito a localizzare l'aura vitale di Kaim, e Yumi sembra essere sparita nel nulla assieme alla Corporation. Non sarà facile...
-Quando mai mi sono piaciute le cose facili? Quando mai...
Sherin alzò il viso sfregiato nel quale brillava una luce nuova, una luce più sinistra e determinata che la rese più che mai simile alla madre. Una somiglianza che fece scorrere un brivido gelido lungo la schiena della giovane scienziata.
-Kaim forse è morto, ma lei è ancora viva...lo hai detto anche tu, non è così? E se lei è viva abbiamo ancora la speranza di ritrovarla, ovunque si trovi adesso.
-Piccolo....
-Piccolo può fare quello che vuole, per quanto mi riguarda. Non capisci? Io voglio partire, non importa quanto ci vorrà o quanto risulterà essere pericoloso, io voglio cercarla. Finché non sarò troppo stanca per continuare o la P Corporation mi avrà trovata ed uccisa, io non perderò la speranza di ritrovarli...Almeno uno di loro, almeno uno.
Conficcò le unghie nei palmi delle mani, sentendo che nuove lacrime iniziavano ad inumidirle le guance ferite. Quanto odiava mostrarsi debole davanti alle persone che amava, quanto....
-Vestiti, non ci vorrà molto a ripescare una delle vecchie carriole di papà.
Una vecchia tuta arancione fu lanciata distrattamente sul piumone dalle mani di Bulma, già diretta verso la porta chiusa.
-.....cosa?
-Quello che ho detto. Siccome ritengo che partire per un viaggio nello spazio senza una meta sia terribilmente stupido ed avventato....oltre che ammirevole- aggiunse, arrossendo lievemente -ho pensato che cercare le Sfere del Drago sia un po' più sensato.
-E per quale ragione?
-C'è un solo, semplice modo per scoprire se Kaim è ancora vivo, e mi meraviglia il fatto di non averci pensato prima!- il tono della sua voce si fece sempre più vivo, le parole si susseguirono veloci -Col Radar ed una navicella abbastanza veloce saremmo in grado di trovare tutte e sette le sfere in un tempo relativamente breve. Ed una volta che avremo evocato il drago...
-...potremo chiederli di riportare in vita Kaim...Potrebbe essere l'ennesima e non ultima volta che te lo dico ma, Bulma, sei un genio!
Gli occhi della giovane donna pian piano cessarono di ardere, mentre la sua mente organizzava idee e informazioni.
-Quanto tempo ci vorrà?
-Senza soste superflue...- la scienziata si fermò, le labbra strette attorno ad una sigaretta costosa -all'incirca tre mesi.
La bocca sottile di Sherin si distese in un breve sorriso e, per un attimo, le cicatrici parvero diminuire restituendo al suo viso la sua vecchia, selvatica bellezza.
-Allora cosa stiamo aspettando?


-E Kaim?
-Cosa vuoi dire?
Piccolo inspirò profondamente, il volto appena nascosto dalle mani smeraldine poggiate sulla fronte.
-Se il drago riporterà in vita nostro figlio, tutto quello che dovremo fare sarà partire e cercare Yumi....ma se la risposta fosse un'altra? Se Shenlong confermasse che Kaim è sano e salvo sul pianeta Namecc? A quel punto che cosa dovremmo fare?
Rimasero in silenzio per un po', gli occhi socchiusi, seduti l'uno vicino all'altra su un divano troppo stretto.
-E' così strano...Tu che hai sempre saputo tutte le risposte, che ci hai aiutati così tante volte con le tue deduzioni, per la prima volta sei attanagliato dal dubbio- sussurrò Sherin, avvicinando il viso a quello di lui e posando le labbra sulla sua guancia -come me, del resto...
-Non me la sento di di strapparlo ad un pianeta che in realtà appartiene più a lui che a me, dove molto probabilmente avrà l'occasione di vivere un'infanzia normale, senza dolore o preoccupazioni- continuò, stretta nell'abbraccio dell'uomo che amava -Se decidessimo di portarlo qui, sulla Tera, che razza di vita dovrebbe avere?
-Quella che ci è rimasta: due genitori che alternano incomprensioni ad affetto spropositato, una sorella dispersa...
-....che se non ritroviamo sarà di certo trasformata in una schiava. Senza contare una madre che, oltre ad abbandonarlo per vagare nello spazio, è emotivamente instabile come la nonna morta? No, lui non merita niente di tutto questo.
Nell'udire parole così determinate uscire dalle sue labbra, il cuore di Piccolo si strinse, stretto nelle mani della sofferenza e dalla malinconica, sottile certezza che in fondo era meglio così.
-Allora dei promettermi una cosa.
-Che cosa?
-Quando avremo ritrovato Yumi, e ci vorrà molto tempo perché nessuno di noi è riuscito ad individuare e a riconoscere in tempo le vibrazioni della sua aura, andremo su Namecc.
-Piccolo, molto probabilmente vorrà restare con chi lo crescerà, non abbandonerà di certo la sua terra per due genitori che, in fondo, nemmeno conosce..
-Credi che non lo sappia? Credi che non ci abbia pensato?- sibilò Piccolo -Ma perché non continuare a sperare, a credere che prima o poi ce la faremo? Perché dovrei chiudermi in me stesso e rimuginare su tutto quello che ci è successo? No, non è da me. Non sono io. Certo, sono molto cambiato, sono diventato padre, cosa che fino a pochi anni fa avrei ritenuto impossibile, quasi assurda....Ma non lascerò che le cose precipitino, no di certo.
Disse tutto ciò guardando un punto fisso, rivolgendosi più a se stesso che alla donna accanto a lui. Il dolore e la rabbia provati sino a quel momento si riversarono nelle sue parole, dal tono più tagliente di una spada.
-Chiederò a Bulma il Radar, trovare le sfere non sarà certo un'impresa difficile.
-Sta già preparando una navicella, suo padre sta preparando le scorte di carburante. Una terrestre ha sempre bisogno di un veicolo per viaggi del genere....Parte con te, e non pensare che io resti qui ad aspettare il vostro ritorno.
Fu questa la sua risposta, pronunciata a fior di labbra come una promessa. Fuori da quella vecchia stanza un po' impolverata, il tramonto già tingeva di rosso i profili delle case, come a voler accarezzare il giorno che man mano volgeva al suo termine...

To be continued.

lirinuccia: ti prego, aggiorna Eros & Thanatos, la curiosità mi sta letteralmente divorando! Aspetto con ansia un tuo parere, e spero con tutto il cuore che questo capitolo ti piaccia...

Aloysia Piton: questa volta volevo postare anche un'illustrazione di Sherin, ma il mio “amato” pc ha scelto di non collaborare. Che tesoro...Buona lettura, cara!

Lituania: ciao, compare! Finalmente entri anche tu nel mondo delle fanfiction, ne sono davvero felice! :) Apprezzo molto i tuoi commenti, ma non sono così critici come mi avevi promesso! Eh no, così non va cara. Un bacione grande!

EllyCandy: barbon, fammi uno squillo quando ti decidi a collegarti! Scherzo, so che leggi spesso la mia storia (almeno credo), e che prima o poi farai la tua comparsa. Se ciò non avverrà, potrò sempre stressarti uno di questo giorni XD

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Capitolo 19
*** Due differenti destini ***


Raven si svegliò di soprassalto nel cuore della notte ed iniziò subito a piangere sommessamente. La notte di Namecc non era mai stata particolarmente mite in quel periodo dell'anno, ed il piccolo non aveva gradito il brusco sbalzo di temperatura. Accanto al suo giaciglio era disteso un ragazzo non molto alto, dai lineamenti un po' infantili, coperto solo da un semplice rettangolo di stoffa azzurra.
-Ehi, già sveglio?- domandò con un sorriso stanco e scrutò il cielo, illuminato da lontane stelle -Non pensi che voglia dormire un po' anch'io?
Prese il bimbo tra le braccia ed iniziò a cullarlo con infinita dolcezza. Come, diversi anni prima, aveva stretto tra le braccia il figlio Alaet. Ripetere quegli stessi gesti con i quali si era preso cura del figlioletto scaldarono il suo cuore con la stessa calda intensità di un falò che, acceso nel freddo di una notte d'inverno, avvolge con il suo calore i corpi e le anime di coloro che lo circondano.
Scoccò un rapido sguardo alla porta alle sue spalle, dove Alaet dormiva dormiva profondamente: se il bimbo si fosse svegliato a causa del rumore, sicuramente si sarebbe lamentato, imputando come causa del suo malumore il nuovo fratellino.
-Raven- sussurrò, carezzandogli delicatamente una ciocca di capelli corvini -che ne dici se lasciassimo dormire il fratellone? Col caratteraccio che si ritrova non sarebbe certo piacevole ritrovarselo davanti ora, non credi?
Il piccino singhiozzò piano, spalancando i grandi occhi lucidi di pianto. Kaimo sussultò nell'incrociare il suo sguardo, uno sguardo intenso come la luce della luna, caldo come un raggio di sole. Le sue iridi, priva di tonalità definita, erano simili a gocce d'acqua attraversate dalla luce, la quale vi riflette mille e diverse sfumature di colore. A prima vista apparivano grigi come perle, attraversati solamente da delicate venature turchine, ora intense ora tenui, lucenti come acqua di sorgente.
Se vi si lasciava indugiare lo sguardo si potevano scorgere le luminose pagliuzze smeraldine che sfioravano le sue pupille, appena sfumate da riflessi dorati.
Chiunque sarebbe rimasto affascinato da quello sguardo, amava ripetere Kaimo, quando qualcuno gli domandava il perché di quell'improvvisa adozione. Sin dal primo momento aveva provato una sorta di empatia nei confronti del piccolo sconosciuto, una fortissima sensazione di familiarità..sentimento che la sua natura impulsiva aveva immediatamente cercato di consolidare.
Alaet aveva bisogno di un fratello minore per abbandonare, almeno in parte, il suo forte individualismo, e lui stesso desiderava intensamente qualcuno a cui dedicarsi, di cui prendersi cura...
La porta si aprì pian piano, spinta dalle manine del figlio maggiore, ed Alaet entrò con passo incerto nella stanza.
-Papà, ho sete...
-La brocca d'acqua è già vuota?- domandò il ragazzo, gli occhi scuri rivolti verso l'alto.
-Si, e ho paura ad uscire con questo buio. Potrebbe esserci qualche mostro nei dintorni.
-Allora facciamo così: dammi solo un minuto ed avrai la tua acqua, perché Raven si è appena svegliato e devo cercare di riaddormentarlo. A meno che tu non voglia tenerlo in braccio...
Il bimbetto scosse la testa, si sedette sopra la coperta del padre ed aspettò che il fratellino si riaddormentasse. Non appena vide il padre adagiare il piccolo addormentato nella culla si alzò in piedi, e tirò il padre per la tunica violacea.
-Papà...
-Cosa c'è?
-Come mai abbiamo adottato questo qui? Non è del nostro villaggio, e nemmeno nostro amico.
Kaimo si sedette accanto al figlio, abbracciandolo con la tenerezza che poco prima aveva riservato al piccolo Raven.
-Per prima cosa lui si chiama Raven, non “questo qui”- disse con un sorriso indulgente -E si, non è parte del nostro villaggio...Vuoi che ti racconti come sono andate le cose, durante l'invasione della Corporation?
Alaet si coprì le orecchie con le manine paffute, e serrò gli occhi.
-Quel giorno un gruppo di terrestri arrivò sul nostro pianeta per aiutarci a combattere contro gli invasori, ma vennero tutti catturati...La tecnologia della P. Corporation era troppo anche per le loro forze. Nei mesi che trascorsero chiusi in cella, la ragazza dai capelli neri che era assieme a loro diede alla luce due gemelli, ovvero due fratelli nati nello stesso momento...
-...Li ha espulsi dalla bocca?- domandò il piccolo, spalancando gli occhi in segno di curiosità.
-...Non credo...o almeno, da come mi ha raccontato il Capo dei Saggi, i terrestri hanno un modo tutto loro per far nascere i bambini. Infatti la mamma li tiene nella pancia per nove mesi, e solo gli esseri umani di sesso femminile possono farlo...
-E dopo i nove mesi, come fa la mamma a far nascere i bambini?
Kaimo ruppe il silenzio imbarazzato che seguì con una risata forzata, e cambiò rapidamente il discorso. Ovviamente Moori gli aveva spiegato ogni cosa, ma il giovane namecciano aveva trovato la cosa troppo impressionante per essere raccontata in ogni particolare ad un bambino come Alaet. Continuò quindi il suo racconto senza rispondere a quell'ingenua domanda, pregando che il piccolo dimenticasse presto quella sua curiosità.
-Gli scienziati della Corporation avevano assistito alla nascita... Approfittarono della debolezza della donna per sottrarle entrambi i figli e, per non farle capire dove li avrebbero portati, l'accecarono con un'iniezione velenosa...Ed uccisero la sua amica, costretta ad assistere al parto perché conosceva le principali cure mediche...
Gli occhi rotondi di Alaet si fecero umidi di lacrime, ed il bimbo prese ad asciugarli con il dorso delle mani, ma non interruppe la voce ferma del padre.
-Un maschio ed una femmina...Un namecciano ed una creatura completamente nuova nella sua singolarità...Gli invasori scelsero di tenere la femmina, certi di poterla usare come cavia per i loro studi, e gettarono in mare il maschietto...Quel bambino è stato trovato da Moori sulla riva del mare, più vicino alla morte che alla vita, ed il nostro Capo dei Saggi decise di salvarlo al massacro che si stava compiendo portandolo nella sua dimora. Quel bambino sta dormendo accanto a noi, avvolto dalle coperte che i nostri compagni hanno intrecciato per lui.
Ieri un nostro compagno stabilitosi sulla Terra ha contattato telepaticamente il Capo dei Saggi, riferendogli che tutti i suoi compagni erano in buona salute, e che presto la ragazza dai capelli scuri, Sherin, ed il padre dei bambini, il namecciano chiamato Piccolo, sarebbero partiti alla ricerca della figlia perduta...
Kaim affondò il visetto ella morbida tunica del padre, e strinse ancor di più le braccia sottili attorno alla sua vita.
-Perché non sono venuti a riprenderlo?- sussurrò, seminascosto dal mantello ceruleo -Perché lo hanno abbandonato qui?
-No, non lo hanno abbandonato...E' complicato da spiegare...- rimase in silenzio per un momento, il viso rivolto verso il cielo terso -Vedi, i genitori di Raven non hanno voluto farlo crescere in una famiglia distrutta dalla scomparsa di una figlia appena nata, colpita dal trauma della guerra e della prigionia...Sherin e Piccolo hanno scelto di fare affidamento sul loro popolo per garantire al figlio rimasto un'infanzia serena, lontano dal dolore, da una famiglia che lo avrebbe involontariamente trascurato...Il loro è stato un gesto d'amore. Difficile da comprendere, facile da criticare, ma vero...
Padre e figlio si sdraiarono vicini e Kaimo stese la coperta sopra i loro corpi, delicatamente, senza fare troppo rumore. Alaet si rigirò su un fianco e socchiuse la bocca sottile, rivolgendogli un'ultima domanda.
-Perché hai detto il loro popolo? Avevi detto che Sherin era una terrestre...
Kaimo chiuse gli occhi.
-Sebbene sua madre appartenga alla razza Sayan, lei è comunque figlia di Namecc, perché suo padre altri non era che un namecciano...

Base Poison Corporation, 9:00 AM

L'infermiera applicò il gel azzurrino sul viso roseo della neonata, aiutandosi con un fazzoletto di stoffa. Non appena ebbe finito di massaggiarne la pelle si volse verso il complesso macchinario che attendeva, immobile, d'innanzi al fasciatoio. Il dottor Colfen aveva appena finito di perfezionare il Lettore Genetico, diminuendo il flusso di radiazioni troppo intenso per una bambina così piccola.
Finalmente ha trovato una cavia abbastanza singolare sulla quale testare la nuova tecnologia.., pensò la giovane.
Due tecnici in divisa violacea inserirono dei cavi sottili a piccole ventose in lattice trasparente, le quali aderirono perfettamente alla pelle della piccola, resa morbida dal gel viscoso. Il più anziano azionò il Lettore eseguendo una rapida sequenza di numeri sulla piccola tastiera accanto allo schermo, che s'illuminò con un lieve ronzio.
-Non ho ancora capito come questa diavoleria elettronica possa leggere i geni di questa bambina..- cominciò la ragazza, volgendo lo sguardo verso la piccola, ormai profondamente addormentata .
-Non è semplice- il tecnico più giovane si avvicinò al fasciatoio e prese a controllare l'aderenza delle ventose -I micro-aghi dei cavi rivestiti passano attraverso la plastica malleabile delle ventose e penetrano attraverso la pelle. I loro sensori si attivano ed analizzano il suo patrimonio genetico che, come sai bene, è contenuto anche nella più piccola cellula...Abbiamo preferito applicare i sensori sul volto piuttosto che vicino al cuore e ad altri organi vitali, per sicurezza. Ora il computer principale sta elaborando i dati, i quali verranno stampati in schemi molti più comprensibili di un insieme di numeri a ca...
-Grazie per la spiegazione!- sibilò l'infermiera, alzando il capo biondo in segno di sdegno -Che cos'è quello?
Nello schermo stava delineandosi una sagoma indefinita che iniziò a perfezionarsi, seguendo lo scorrere dei dati sulle schermate secondarie. I tecnici aumentarono lo zoom sul corpo, ed aspettarono in silenzio che la risoluzione si adattasse al brusco ingrandimento.
-Questa è la punta di diamante del Lettore Genetico: non solo è capace di elaborare un check-up totale e preciso, ma la sua tecnologia all'avanguardia è in grado di riportare i dati fisici sullo schermo principale, presentandoli attraverso un'immagine dettagliata. In questo caso sceglieremo l'opzione “immagine futura”, per avere un'idea su come saranno i futuro questi dati...- spiegò il più anziano, osservando soddisfatto lo stupore della ragazza -E lei- continuò -sarà il nostro diamante grezzo.
L'infermiera sobbalzò e portò le mani alla bocca, spalancata in un grido di disgusto, e si allontanò rapida dal fasciatoio.
Una ragazza, sui sedici o diciassette anni, scoccò loro una rapida e gelida occhiata, protetta dal vetro della schermata, la bocca contratta in una smorfia sdegnosa. Non molto alta, sfoggiava  due braccia robuste e ben levigate, una schiena  longilinea sorretta da spalle toniche e abbastanza ampie per appartenere ad una ragazza così giovane. Eppure il suo fisico poteva essere quasi “banale” se paragonato al solo viso...
Lo sguardo veniva immediatamente catturato dalla folta chioma che le ricadeva sulla spalle, vola come l'ametista ed illuminata da profondi riflessi rosati. Le sopracciglia di egual colore, sottili e troppo lunghe, esaltavano un paio di occhi che chiunque, se vi avesse immerso lo sguardo, ne sarebbe rimasto incantato. Erano di forma allungata vagamente rettangolare, un po' sottili nelle vicinanze degli zigomi, ed ombreggiati da folte ciglia scure. Le iridi sprigionavano una luce incredibilmente intensa e difficile da sopportare, una luce forte che esprimeva forza vitale, desiderio di combattere, tenacia...
Tutto ciò era racchiuso in quelle due gemme di colore indefinito, variante dal grigio al malva, ed illuminato da pagliuzze porpora.
Un viso spigoloso racchiudeva l'insieme di occhi e zigomi, caratterizzato da un naso appuntito e ben definito, piuttosto piacevole nel suo insieme, ed addolcito da una bocca piccola e perfetta, tesa in un   sorriso malevolo.
L'immagine sollevò lentamente il capo e dischiuse le labbra rossastre, mostrando così due canini appuntiti, affilati e candidi come la prima neve. La vista di quei denti atterrì la povera infermiera, accasciata sulla sedia in plastica.
-Non è...non è umana..- balbettò, portandosi una mano al petto -Perché l'avete portata qui?
-Vuoi sapere il perché?- disse il tecnico più anziano con un sorriso sprezzante.
-Si. Ho sentito cos'è successo sul pianeta Namecc, che cosa avete fatto mentre noi aspettavamo buoni buoni nella stazione principale. Mi hanno detto che c'era una dona incinta sul pianeta, un essere umano in stato di gravidanza non significa nulla per voi? Questa...questa bambina- esclamò, indicandola -porta in sé un patrimonio genetico unico nel suo genere, l'eredità di una Sayan ed un Namecciano. Non è difficile intuire il motivo del suo rapimento...
Si fermò per riprendere fiato, il respiro fattosi sempre più affannoso.
-Credete che non possa capire quel che succede solo perché sono un semplice infermiera?- sibilò, avvicinandosi alla piccola -E conosco anche le ambizioni del dottore: sin dal mio arrivo qui non l'ho mai visto smettere di studiare una tecnologia in grado di sciogliere i suoi dubbi sulla genetica, passare notti insonni, affrontare frequenti crisi di nervi...Questa bambina non è forse la cavia ideale che stava cercando?
Con queste ultime parole sfrecciò via, spalancando la porta con una rapida spinta delle spalle, e sparì nel buio del corridoio. I due tecnici si scambiarono uno sguardo stupefatto e scoppiarono a ridere, divertiti da quell'improvvisa ed inaspettata fuga.
-Stupida donna! Credeva di farci cambiare idea con la sua predica idiota?- rise uno, e si vole verso il fasciatoio per prendere la bimba. Il grido di rabbia che uscì dalle sue labbra fece sussultare il compagno, il quale lasciò cadere la siringa che fino a pochi secondi prima stringeva tra le mani.
-Ha preso la creatura!

La neonata emise un flebile vagito, divertita dall'inaspettata corsa. La giovane intensificò il suo abbraccio, temendo di poterla perdere, ed entrò trafelata in una stanza isolata dalle altre. Chiuse rapida la porta alle sue spalle e, non essendoci alcuna chiave nella serratura, cercò in preda all'ansia un qualcosa che potesse bloccarla. Poggiò la piccina in un cesto di vimini abbandonato in un angolo, ed afferrò la sedia sistemata lì accanto, inciampando più volte negli scatoloni sparsi sul pavimento. La sistemò silenziosamente sotto la maniglia, nelle orecchie le urla ed il rumore di passi dei soldati, oramai sempre più vicini.
Si sedette a terra con un sospiro e nascose il viso tra le mani, pentita del suo gesto impulsivo.
-Siamo nei guai, non è vero?- sussurrò, accarezzando le guance piene della neonata -Ma preferisco morire nel tentativo, piuttosto che lasciarti nelle loro mani...
La bimba chiuse dolcemente gli occhi, assonnata, e lasciò che il sonno l'accogliesse nuovamente tra le sue braccia... Improvvisamente risuonarono forti colpi alla porta, e la ragazza si allontanò con un grido disperato.
-Nadia, apri la porta!- urlarono, e la giovane donna rabbrividì nell'udire il familiare rumore dei fucili caricati. Si lanciò verso la piccola, pronta a farla scudo con il suo stesso corpo, pochi secondi prima che una scarica di colpi facesse saltare in aria la porta bloccata. Accovacciata sopra la fragile cesta, Nadia serrò gli occhi e sopportò senza gridare le schegge di legno che le piovvero sul corpo, ferendole braccia e schiena. La neonata iniziò a piangere terrorizzata, e strinse forte la camicetta della protettrice. Le sue mani persero il colore pallido sfoggiato sino a pochi attimi prima, assumendo lentamente la stessa tonalità della fiamma. Nadia sussultò nel percepire un intenso calore spandersi dalle manine della bimba sino al suo stesso corpo.
-Che cosa...
Si scostò dalla piccola con un brivido di paura, gli occhi azzurri fissi sulle scintille che, una dopo l'altra, avevano iniziato a fuoriuscire dai palmi rotondi ed arrossati.
Una coppia di soldati entrò con passo rapido nella stanza, i fucili puntati sull'obiettivo, e non prestarono ascolto alle parole urlate dalla giovane.
-Per l'amore di Dio, scansatevi!
Lingue di fuoco rosse come il sangue lasciarono le mani della bimba in un lampo di luce purpurea, e corsero implacabili verso il gruppo di uomini ammassatosi tra le macerie della porta, travolgendoli con tutta la sua forza. Se le fiamme li avessero colpiti direttamente avrebbero riportato ustioni gravi e dolorose, ma ciò non avvenne: uno scudo energetico apparve davanti ai soldati con un sibilo inquietante, poco prima che le lingue rossastre li avvolgessero tra le loro spire.
-Meraviglioso, davvero meraviglioso...- il dottor Colfen abbassò lentamente il braccio, le dita ancora premute sopra l'interruttore dello scudo -Se tua madre fosse rimasta con noi, ne sarebbe orgogliosa...
-Se sua madre fosse qui per vedere in che lurida topaia è sua figlia- disse Nadia in un soffio -Di certo non aspetterebbe un solo momento ad uccidervi...
La giovane si alzò barcollando e spalancò le braccia, ponendosi fra le bocche dei fucili e il corpo della piccola, avvolta dalle stesse fiamme mortali che aveva liberato. Colfen aggrottò le folte sopracciglia candide e mosse qualche passo verso Nadia, portando lentamente una mano sul calcio della pistola.
-Allora è un bene che non sia qui assieme a noi, perché certamente non avrebbe gradito questo.- sibilò, e sollevò di scatto la pistola...



“Finalmente ce l'ha fatta a scrivere il capitolo successivo!” starete pensando.. come avete ragione!!
In questo momento della storia vediamo i due fratelli prendere, volenti o meno, strade molto diverse che li porteranno inevitabilmente ad allontanarsi l'uno dall'altra.. o forse no?
Vi assicuro che i colpi di scena non mancheranno :)
Prima di togliere il disturbo, vorrei ringraziare con tutto il cuore persone come Lirin Lawliet, Aloysia Piton, yori, Lituania, EllyCandy...e chiunque legga questa storia che, oramai, è parte integrante della mia vita....
Al prossimo capitolo

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Capitolo 20
*** Famiglia e nuovi guai in arrivo ***


Un anno dopo, pianeta Namecc.

-Sherin guarda!
La donna dai capelli turchesi si avvicinò al villaggio, camminando lentamente a causa del ventre rigonfio. La gravidanza era ormai a buon punto, e Bulma contava di terminare l’arredamento della cameretta non appena avesse finito di comprare quei bellissimi giocattoli che aveva visto nei negozi del centro.
-E’ successo tutto proprio qui, dove ora sorge il nuovo villaggio- disse con un fremito -Se solo potessimo controllare il tempo, portare all’indietro le lancette dell’orologio… tutto questo non sarebbe successo.
Un’altra donna la raggiunse, socchiudendo gli occhi infastidita dall’intensa luce del mattino. I suoi capelli, una volta folti e così lunghi da coprirle la schiena, erano stati accorciati dalle curatissime mani della signora Briefs, sino a diventare una corta zazzera nera.
-Lo penso anch’io, ma non siamo venuti qui per piangerci addosso, giusto?- la voce della Sayan risuonò forte e chiara, e Bulma rispose con un sorriso -Dove si sono cacciati Yamcha e Vegeta?
-Stanno discutendo…o forse dovrei dire litigando, proprio accanto alla navicella. Eccoli, sono le due teste calde accanto alla scala.
Sherin annuì, e le sue labbra si dischiusero, mosse da una breve e limpida risata.
-Sai, mi sento felice.
-Davvero? E per cosa?
-Per il fatto che siate voluti venire con noi.
Bulma sbuffò, e due sottili ciocche si scostarono dal suo viso.
-Non devi stupirtene, non fai bene. Tu e Piccolo siete nostri amici, lo sai. Yamcha ed io ti conosciamo da una vita, e Vegeta… Quando Goku si è offerto di accompagnarvi senza alcuna esitazione, Vegeta non ha fatto tardare la sua condivisione, anche se non te l’ha ancora detto. Credi che si sarebbe tirato indietro, con Goku proprio davanti a lui? No, non credo affatto, conosco i miei polli.- concluse con un sorriso furbo, e Sherin si abbandonò ad una seconda risata.
-Bulma, davvero non sai quanto mi piace darti ragione! Ehi, Crilin!- esclamò, sollevando il viso verso la navicella -datti una mossa, o dovrò venire lì dentro e prenderti a calci!
Crilin corse fuori dall’astronave con un unico balzo, atterrando giusto nel centro della tempesta.
-Io sarei disinteressato?! Non ti aspettare che io prenda ordini da un bifolco come te!!
-Sto solo dicendo che non sei stato tu ad assicurarti che ci fosse a bordo il necessario per prepararsi ad un parto!- Yamcha serrò i pugni. Era stato un grosso errore mettere bocca nell’argomento “parto di Bulma”, ed ora doveva subirne le conseguenze.
-Ragazzi, adesso basta.- Bulma e Sherin li raggiunsero di corsa… Per lo meno, con il passo che una donna incinta era in grado di sostenere -Se volete litigare per forza, allora fatelo sulla navicella! Il bambino nascerà fra non meno di tre mesi, e ci tratterremo su questo pianeta per soli due giorni. Quindi fatemi il favore di finirla!
Vegeta la guardò con occhi fiammeggianti, ancora furioso per il litigio con l’ex fidanzato di sua moglie.
-E che cosa dovrei fare, sentiamo? Non penso che ti andrebbe a genio se pestassi questo mollusco nella navicella!
Sherin si morse un labbro, indecisa sul da farsi. Certo, ormai era abituata agli attacchi di rabbia dell’amico, ma non sapeva come intervenire in una discussione che in realtà non la riguardava.
-Senti Yamcha, mi è venuta un’idea.- disse, costringendolo a distogliere lo sguardo da quello gelido del Sayan. Goku, intanto, si era avvicinato incuriosito da tutto quel trambusto -Perché non accompagni me e Piccolo a cercare Kaim? Se non sbaglio Moori deve sapere dove abita… Anche Goku verrà con noi, non è vero?- aggiunse con una vena di supplica nella voce, e Goku si affrettò ad annuire con un sorriso conciliatore.
-Non è una cattiva idea…Senti, Vegeta, perché non vieni anche tu?- domandò Goku con rinnovato entusiasmo.
Vegeta mostrò i denti in una smorfia di fastidio, e scosse le testa.
-Spiacente, ma vedere un muso verde, marmocchio per giunta, non è l’ideale per calmarmi!- sibilò quindi, scoccando uno sguardo saccente alla moglie, e ad una Sherin decisamente irritata.
Imbarazzato, Goku lo afferrò per un braccio e, salutando Yamcha e Bulma con un cenno del capo, lo trascinò di peso verso il villaggio.
-Ricordi le indicazioni di Dende, Goku?- domandò Sherin. Il villaggio era stato ricostruito seguendo un ordine diverso dal precedente, ed il nuovo ordine delle case non faceva che disorientarla.
-Penso di si, ma non ho mai detto di avere una memoria prodigiosa…- ammise il Sayan -Dunque…
Continuò ad esaminare il paesaggio che li circondava, speranzoso di poter avvistare almeno un namecciano che li potesse aiutare.
-Non vi sembra singolare?- domandò Crilin -Fino ad ora non abbiamo visto nessun namecciano, e c’è silenzio assoluto.
-Se non ricordo male, Dende mi disse che, nel periodo più caldo, i Namecciani hanno l’abitudine di riposarsi un po’ dopo aver lavorato per tutta la mattinata (NdA= una piccola idea ispirata da uno dei miei viaggi in Spagna!)- Piccolo distese le labbra smeraldo in un sorriso, nel vedere la curiosità del vecchio amico -I bambini a volte riescono a sfuggire agli adulti e a giocare tranquilli per un po’.
-Allora abbiamo un obiettivo da cercare.
Sherin si stiracchiò come una grossa gatta pigra, e strizzò l’occhio all’uomo che amava, e che aveva stretto in un abbraccio.
-Certo, che se dovessimo trovare proprio il nostro, sarebbe davvero un bel colpo di fortuna!- ironizzò poi, suscitando una delle rare risate di Piccolo.
Yamcha, stupito dal quel loro comportamento spensierato, si grattò pensieroso la nuca, mentre Bulma si appoggiava con un sospiro alla fiancata della navicella.
-E’ cambiata, non è vero?- osservò Yamcha guardando l’insolito gruppetto disperdesi all’interno del villaggio -Vederla sorridere così dopo tutto quello che le è successo, mi stupisce davvero.
La scienziata pescò una sigaretta dal loro contenitore d’alluminio e la portò alle labbra, truccate con una leggera tonalità rossa.
-Vorrei vederla sempre così, in futuro, con quel suo sorriso così limpido e dolce. L’ho conosciuta con quel sorriso reso dolceamaro dalla nostalgia che provava in quel periodo.- aspirò il fumo -Sai, ieri sera, quando ha accettato il mio invito a cena, ha fatto un grande sforzo per mostrarsi allegra.
-Non è un atteggiamento un po’ forzato? Voglio dire, siete amiche da molto tempo, Sherin sa di poter contare sulla tua comprensione!- esclamò Yamcha con convinzione, senza dar troppo peso all’occhiata che Bulma gli lanciò -Perché dovrebbe sforzarsi di apparire felice?
Si sedettero sull’erba bluastra, lui sdraiato all’ombra dell’astronave, lei seduta a gambe incrociate, in mezzo a fiori azzurri come i suoi capelli.
-Ha capito che la vita va avanti, e che non ha più senso piangersi addosso. Ora sa cosa fare per riavere indietro la sua felicità, e possiamo star sicuri che userà tutti i mezzi in suo potere per riuscirci. Oggi, però, lei e Piccolo hanno deciso di sospendere le ricerche e venire qui su Namecc per iniziare un rapporto con Kaim.
S’interruppe per accendersi una seconda sigaretta e, quando Yamcha gliene domandò una, posò il pacchetto vicino al corpo dell’amico.
-Avremmo potuto mandarli qui da soli?- disse Yamcha, muovendo la sigaretta stretta tra le labbra -Neanche per sogno! Devo proprio ammetterlo, Bulma, sono curioso di vedere la faccia del piccoletto…sperando che non assomigli troppo a suo padre, ovviamente.- aggiunse, ed il prato venne attraversato dalle loro risate.
-Che carogna!- esclamò Bulma, dopo essersi assicurata che né Sherin né Piccolo fossero nei paraggi, e si sdraiò a terra.
-Tu dici?
-Sure.
Esauriti i possibili argomenti di conversazione, i due ex innamorati rimasero in silenzio, guardando i due soli di Namecc rincorrersi nel cielo. All’improvviso, la voce allegra di Goku risuonò nell’aria, ridestandoli dal loro piacevole torpore.
-L’abbiamo trovata! La capanna di Moori è proprio là in fondo!
Sherin camminava accanto a Piccolo, i grandi occhi neri fissi sul piccolo Namecciano che il compagno reggeva in braccio.
Kaim spalancò gli occhi alla vista del gruppetto di sconosciuti e, quando Yamcha, Crilin e Bulma agitarono le mani in segno di saluto, il piccolo nascose il viso affondandolo nella tuta del padre.
-Eccoli qua- Bulma raccolse il pacchetto di sigarette e si appoggiò sui gomiti per rialzarsi -Ehi, aspetta un momento… Chi è il piccoletto?
Non aveva visto male. Un ragazzino sui dieci, forse undici anni, seguiva i loro amici da una buona distanza, talvolta nascondendosi in tutta fretta dietro un albero o a un cespuglio. Il ragazzino, notò Yamcha, non distoglieva mai lo sguardo da Kaim se non per cercare un nuovo nascondiglio e, ogni volta che il bambino sorrideva alla madre, storceva appena la bocca sottile.
-Alaet- sillabò Kaim, voltandosi verso il fratello adottivo ed allungando le manine verso terra.
-Vedi? Non vuole stare con voi!- sibilò Alaet nella lingua di Namecc, incrociando le braccia al petto -Se proprio deve, allora prendi anche me in braccio!
Piccolo alzò gli occhi al cielo e, rivoltosi a Goku, sibilò con forzato buon umore: -Goku, perché non vieni qui e ti occupi del marmocchio? A meno che il ragazzino non voglia tornare indietro volando..- aggiunse socchiudendo gli occhi.
Goku corse verso Alaet, temendo che il piccolo potesse aver voglia di ribattere, e lo invitò a sedersi sulle sue spalle. Il ragazzino accettò con entusiasmo e tentò di arrampicarsi sulla schiena del Sayan, aggrappandosi ai suoi stessi capelli.
-Yeouh!- esclamò Goku, ringraziando tra se e se l’assenza della coda. Alaet avrebbe potuto tirarla senza troppi complimenti…
-Dai, vai! Raggiungiamo Kaim e superiamolo!- lo intimò il giovane Namecciano, e gli rifilò piccoli colpetti al petto coi piedini.
Divertito dall’esuberanza di Alaet e da quel gioco improvvisato, Goku accelerò il passo, superando un attonito Piccolo e spiccando il volo a pochi metri dalla navicella. Il ragazzo affondò le dita nella tuta arancione e serrò gli occhi: non possedeva ancora una buona familiarità col volo, e quella partenza improvvisa non lo aveva certo aiutato a superarla.
-Torna giù per favore! Ho paura, papà non mi ha ancora insegnato a volare!
-Non preoccuparti, è tutto sotto controllo.- rispose Goku, diminuendo la velocità -Se apri gli occhi e guardi dritto davanti a te, avrai meno paura… Visto?
Alaet, intanto, aveva dischiuso le palpebre quel poco necessario a permettergli di gettare una timida occhiata al cielo. Il terreno di Namecc correva sotto le loro ombre, alternando alture rocciose a pianure ricoperte d’erba. Sentì una sottile euforia crescere in lui, e allentò la presa sul tessuto colorato. Vedere il suo pianeta natale dall’alto di un volo, comodamente seduto sulla schiena di un nuovo amico, era qualcosa di totalmente nuovo ed entusiasmante.
-Avevo ragione, non è vero?- domandò il Sayan con una risata, e cominciò a perdere quota -Che ne dici di sfiorare l’acqua con la punta delle dita? Quand’ero piccolo era una delle cose che più mi piacevano.- propose, ed indicò la superficie marina.
Illuminato dai raggi di ben due soli, il colore delle onde mutava dal blu al verde più brillante, in un gioco di colori e sfumature degni del pennello di un pittore. Qualche pesce dalle forme buffe e singolari balzava fuori dalle acque, sollevando con sé piccole gocce trasparenti, le quali colpivano delicate i visi dell’insolito duo.
Alaet immerse prima una, poi due dita, fino a quando tutta la mano sinistra non scomparve in mezzo alle piccole onde cristalline. Ridendo deliziato immerse anche l’altra mano, ed il fresco del mare lo percorse da capo a piedi.
-Quando sarai grande potrai farlo con tuo fratello- azzardò Goku -Scommetto che anche lui ne sarebbe entusiasta!
Non era pronto a scommettere che Alaet ci sarebbe riuscito, ma non se la sentì di guastare il suo momento di felicità. I suoi pensieri mutarono nell’immagine del piccolo Kaim, nato solo un anno prima  e già diviso tra due famiglie.
Una quasi normale, formata praticamente da un intero villaggio oltre che un padre e un fratello adottivi, ed una unica ma lacerata che avrebbe, ne era più che sicuro, lottato fino alla fine per ritrovare la sorella scomparsa. Anche se fossero riusciti a ritrovare Yumi strappandola alla Poison Corporation, e ad ottenere la scelta di Kaim di seguirli sulla Terra, il ragazzo sarebbe sempre rimasto indissolubilmente legato al suo pianeta, e alla famiglia che accettò di accoglierlo.
-Ehi, straniero!
Alaet chinò il capo verso di lui, urlando per sovrastare il rumore delle onde e del vento.
-Avvicinati a quella radura.- disse poi, ed indicò un punto nel paesaggio -Dove ci sono quei fiori grigio azzurri. Ne voglio prendere un po’.
Goku ridacchiò e, ammiccando, cambiò direzione con un rapido movimento del corpo.
-Sono per tuo fratello? Su, non c’è nulla di cui vergognarsi!- aggiunse con il suo sorriso pieno d’allegria, non ricevendo alcuna risposta da Alaet -Rotta verso i fiori, dunque! Reggiti forte piccoletto!

Sherin agitò il nastro bianco vicino al visetto smeraldo del figlio, in attesa che il piccolo riuscisse ad afferrarlo. Attratto dal movimento ondeggiante del nuovo gioco, il bimbo si limitava a seguirlo attentamente con lo sguardo, osservandolo con quei suoi occhi color madreperla. Posò le manine a terra e, facendo leva sulle proprie braccia, riuscì a sollevarsi sulle gambe: il nastro era ancora davanti a lui, ben saldo tra le dita sottili della madre.
-Certo che sei proprio strano, lo sai? Sembra di giocare con un piccolo micio curioso! – osservò con un sorriso -Stai fermo lì e continui a guardarmi con quegli occhietti da felino… Chissà se fai anche le fusa come loro.
-Mio!
Sherin sorrise e avvicinò il nastro verso le manine tese di Kaim, scuotendo i capelli tagliati da poco.
-Solo se dici”per favore”. Dove vivo io le persone fanno più o meno tutte così.
Il bimbo mosse lentamente le piccole antenne, incuriosito dal suono di quelle parole a lui così estranee, pronunciate da un’altissima straniera con buffi, folti fili neri attaccati alla testa, tanto simili ai suoi. Qualcosa, tuttavia, lo convinceva a fidarsi di lei, e serrò la bocca nello sforzo di ricordare ciò che voleva da lui.
-Pe..favoi?
-Non esattamente, ma ci siamo quasi! Su, ripeti con me: “per favore”. Coraggio!
-Mio!
-Non c’è che dire, è davvero tuo figlio.
Piccolo circondò il petto di Sherin con le sue braccia nel sedersi dietro di lei, ed osservò suo figlio assaggiare soddisfatto il pezzo di stoffa sottratto alla madre in un momento di distrazione. Sherin lo prese tra le braccia e accarezzò i ciuffi di capelli neri che gli sfioravano il nasetto, soffici come piume di corvo. Kaim alzò gli occhi verso il viso assorto del padre e abbozzò un sorriso nel vederlo avvicinare una mano verso la sua guancia. Sfiorò con insolita delicatezza la pelle morbida del figlio, seguendo una linea immaginaria che saliva sino alle sue tempie, dove i capelli già coprivano le orecchie a punta.
Poco distante un giovane uomo osservava i loro gesti colmi d’affetto con una punta di gelosia nel profondo del suo cuore: Kaimo distese le braccia lungo il corpo e sospirò, guardando il suo Raven stringere le dita bianche della Sayan che lo stringeva tra le braccia. Non v’era nessun dubbio nell’affermare che quella donna dall’aspetto singolare fosse sua madre, e non dovette osservare a lungo il viso del Namecciano che l’abbracciava, chiaramente più giovane di lei, per capire chi fosse.
Sebbene i capelli ed il sorriso fossero gli stessi della donna, c’era qualcosa in quel piccolo che rimandava all’uomo che l’osservava…oltre al colore della pelle, ovviamente.
Improvvisamente capì, e sentì qualcosa sprofondare in lui. Lo sguardo, quella forza vitale e spirituale che brillava negli occhi del figlio adottivo era la stessa che in quel momento percepiva nell’animo del Namecciano.
Rappresento veramente qualcosa per lui?
-Siamo pensierosi, figliolo?
Moori posò una mano sulla spalla dell’amico, che distolse in fretta lo sguardo da Raven e i suoi genitori.
-No, niente affatto..
Il Capo dei Saggi corrugò la fronte: Kaimo era sempre stato un ragazzo sincero, e non era da lui mentire sul suo stesso stato d’animo. L’affetto che provava per il piccolo Raven doveva averlo cambiato più di quanto credesse…
-Anche se non sei il suo vero padre- cominciò, addolcendo il tono della voce -Raven non potrà fare a meno di volerti bene, comunque andranno le cose. Non devi dubitare del suo affetto per te. Ci siamo capiti?
Kaimo annuì, e salutò con un cenno l’anziano Saggio che si allontanava verso la sua capanna, quando la voce acuta della donna dagli occhi azzurri attraversò la valle.
-Ragazzi! Venite subito qui, c’è un’ emergenza!- Bulma gridava con tutto il fiato che aveva in gola, sorretta dalle forti braccia di Vegeta -Muovetevi, non posso urlare per ore!Sherin chiamò a gran voce Kaimo per affidargli il figlio, e corse assieme al compagno verso la navicella.
-Bulma, cosa sta succedendo?- Sherin s’interruppe per riprendere fiato, e scoccò un ultimo sguardo a Kaim, spaventato e confuso nelle braccia del giovane Namecciano -Il bambino sta per nascere?
-Ma che bambino e bambino, volete smetterla con le vostre paranoie?!- la scienziata scosse più volte il capo, indicando la ricetrasmittente che portava al polso -Un dipendente della Capsule Corporation mi ha appena contattata: un’area del laboratorio di biotecnologia dove si trovava mio padre per una consulenza è appena saltata in aria…
Un silenzio traboccante d’ansia calò tra i presenti, e Crilin faticò a ritrovare la voce perduta.
-Ma tuo padre starà bene, non è vero? Voglio dire, ci sono buone probabilità che non fosse nell’aria dove è successa l’esplosione..
-Vuoi stare zitto, nanerottolo?!- sbottò Vegeta, senza smettere di reggere Bulma, e la invitò a proseguire.
-Non ne sono certa al cento per cento, ma in quel laboratorio erano in corso pericolosi esperimenti di mutazione genetica, e mio padre era stato convocato per accertarsi che tutto fosse in regola. Sospettavo che ci fosse qualcosa che non andava in quel laboratorio, ma non ho nemmeno cercato di dissuaderlo…- la voce di Bulma s’incrinò -Se la materia sulla quale stavano eseguendo i loro esperimenti si riversasse su un essere umano, i risultati sarebbero imprevedibili…
-Vuoi dire che potrebbe generare qualche mutante, come nel caso del laboratorio dove Broly era stato condotto per degli esperimenti di biotecnologia?- domandò Piccolo in un soffio (NdA= vedi l’Oav “L’irriducibile bio-combattente”)
Bulma annuì, e tentò di nascondere le lacrime che già cominciavano a nascere tra le sue ciglia.
-Dobbiamo avvisare Goku, e partire immediatamente.- Yamcha si alzò in volo, e fece cenno a Crilin di seguirlo -Se dobbiamo fare in fretta..
-..Goku potrà teletrasportarci tutti sulla Terra.- le labbra di Sherin si tesero, e la Sayan raggiunse i due amici --Muoviamoci, non abbiamo molto tempo!

To be continued.

Finalmente sono riuscita a postare il ventunesimo capitolo di Behind! We are the champions, my friends! Dopo qualche ora di tranquilla serenità strappata allo scorrere del tempo, i nostri amici devono affrontare l’ennesima difficoltà, e non si sa che sorprese il destino abbia in serbo per loro, questa volta!
 Lasciati i miei personali scleri a parte, oltre che chiedere umilmente scusa per i miei schifosissimi ritardi, vorrei ringraziare tutte le persone che seguono la mia storia, ed in particolare:

Lirin Lawliet
Aloysia Piton
Yori
Lituania
Elly Candy

Vi voglio bene :-*
 

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Capitolo 21
*** Julius come guai ***


Solamente qualche ora prima

Non c’è nulla di peggiore, per un ragazzo di appena vent’anni, che essere ricco ed annoiato. Ecco, Julius Asimov era uno di quelli, probabilmente uno dei più ricchi, se non dei più annoiati…Proprio il tipo di ragazzo con cui passare il week end.
Il padre di Julius era letteralmente cresciuto all’interno del laboratorio di bio-tecnologia, dove suo padre aveva lavorato per anni come tecnico. La sua fu una vera e propria passione, alimentata da un’infanzia vissuta tra esperimenti volti a modificare il DNA umano e, una volta raggiunta la maggiore età, scelse di seguire studi di bio-genetica. Oltre un brillante studente, Ivan Asimov era un uomo capace che sapeva cosa voleva dalla propria vita, e fu capace di inserirsi con successo all’interno del laboratorio dove il padre aveva lavorato. Scalò una dopo l’altra le tappe che lo portarono a prendere in mano le redini del laboratorio, col tempo diventato una vera e propria area di ricerca. Assieme al denaro cominciò ad arrivare anche il rispetto, guadagnato dirigendo il laboratorio con pugno di ferro, spingendo i ricercatori a dare sempre il meglio di sé stessi. In questo, lo si doveva ammettere, Ivan Asimov era un vero e proprio maestro.

Questo Julius lo sapeva molto bene.

Come sapeva che tutte le persone vicine alla sua famiglia, senza contare i principali collaboratori della Asimov Technologies, si aspettavano molto da lui. Forse anche troppo.
In fondo, chi era lui per pretendere di poter eguagliare, un giorno, suo padre? Certe notti, coricato sul suo letto ed immerso nel buio soffocante della sua camera, Julius non riusciva a prendere sonno. La voce di suo padre non faceva che risuonargli nelle orecchie, ripetendo quelle odiosissime parole cariche di orgoglio paterno: dentro di te scorre il sangue di una famiglia vincente, devi portare avanti il nostro buon nome.
-Ma quale buon nome?!- sbraitò balzando in piedi, per poi coprirsi la bocca con le mani. Sua sorella dormiva nella stanza accanto, ed il salotto non era così ampio da poter disperdere le sue urla rabbiose.
-Vaffanculo.- disse in un soffio, maledicendosi per non aver portato con se il cubo di Rubrick, l’unica cosa al mondo in grado di calmarlo. Adorava quel piccolo cubo multicolore, tanto affascinante quanto arduo da risolvere..almeno i primi tempi. Se suo padre era un abile dirigente, Julius era un promettente scienziato, ed il suo cervello non aveva impiegato troppo tempo a risolvere l’enigma.
L’unico problema alla sua scalata verso un prevedibile successo era la sua assoluta mancanza d’interesse per tutto quello che riguardava la bio-tecnologia e qualsiasi altra cosa che avesse in sé una minima parte di scienza. Certo, il suo cervello era indubbiamente predisposto al ragionamento scientifico, e sin da piccolo era stato in grado a risolvere quesiti di chimica come se fossero indovinelli...ma tutto quello non faceva che annoiarlo. E non poteva farci nulla.
Più suo padre tentava di invogliarlo ad assistere agli esperimenti in corso in uno dei suoi laboratori, il figlio annuiva con disinteresse, senza dare alcun segno d’entusiasmo.
Tutto quello che desiderava era essere lasciato in pace, che la gente smettesse di introdursi a spintoni nel suo futuro, da sempre oggetto di appassionate discussioni tra adulti.
Julius si risedette sul morbido divano in pelle, lasciando cadere all’indietro il capo con un sospiro rassegnato. Dove diavolo aveva nascosto quella diavoleria di plastica?, si domandò per l’ennesima volta prima di lasciar perdere e chiudere gli occhi.

Doveva assolutamente andare al lago.

In quell’esatto momento. Riaprì gli occhi azzurro ghiaccio e diede una rapida occhiata alla stanza deserta: suo padre era al laboratorio, senza alcun dubbio, e sua madre sarebbe tornata dalle compere entro pochi minuti. Aveva tutto il tempo che voleva. Quello, almeno, nessuno avrebbe potuto sottrarglielo.
Scrisse un rapido appunto sul retro del segnalibro poggiato sopra il romanzo di sua madre, ancora da iniziare, e s’infilò il giubbotto con un fluido movimento. Ragionava rapidamente, dando appena il tempo ai pensieri di imprimersi nella memoria prima di sostituirli con nuove informazioni. La moto doveva essere ancora lì, appoggiata al cancello proprio accanto alla jacuzzi di sua madre, e doveva assolutamente toglierla prima che lei se ne accorgesse. O sarebbero stati guai seri. Sua sorella avrebbe gradito una piccola sorpresa al suo ritorno, da brava adolescente di buona famiglia adorava i regalini costosi, e mancavano pochi giorni ai suoi sedici anni. Avrebbe fatto bene a fermarsi in un negozio di vestiti eleganti prima di rientrare.
Cos’amava sua sorella, in particolare? Si bloccò sull’uscio della villa, le chiavi della moto strette nella mano diafana.
I cardigan, accidenti alla sua testa dura, i cardigan.
Saltò sulla moto con un sorriso sereno e, dando più volte gas, sfrecciò fuori dall’immenso giardino di casa sua, ben attento a non uscire mai dal sottile sentiero in ghiaia. Il cardigan per Sophie non era certo più importante della sua salute.
Erano appena le quattro di un sabato pomeriggio, e la gente incominciava ad uscire dalle proprie case per dedicarsi anima e corpo a quella bella giornata di sole. Non avevano tutti i torti, ammise il ragazzo, imboccando la strada principale, ricca di boutique all’ultima moda e ristoranti raffinati pieni di uomini d’affari accompagnati da donne molto belle e poco vestite. A volte gli capitava d’immaginarsi nei loro panni, reduce da un ricco pranzo in compagnia di un’ereditiera più interessata alla sua carta di credito che ai suoi occhi. Si lasciava cullare da quella fantasia per pochi secondi, prima di scuotere il capo e ricordarsi che no, quella non era vita per lui.
Un gruppetto di ragazze si voltò al suo passaggio, e le ragazzine sorrisero con sorrisi freschi ed innocenti alla vista di quel bel ragazzo così serio e concentrato, per giunta in sella ad una moto da urlo.
Una di esse, appena più carina e determinata delle altre, fissò l’immagine del suo viso nella memoria, contando di poterlo rincontrare, in un giorno non molto lontano.
Era abbastanza alto, ammise a se stessa con una punta d’invidia, anche se un po’ troppo magro per i suoi gusti. I tratti del viso erano ben armonizzati tra di loro, e non poté fare a meno di ripensare sognante a quegli occhi chiari come il ghiaccio, che, ben nascosti dal vero del casco integrale, avevano a malapena degnato di attenzione il loro gruppo. Se la bellezza poteva essere letale, quel ragazzo era un vero e proprio angelo della morte.
-Se solo non avesse quei capelli…
Un’amica si voltò verso di lei, sospendendo lo scambio di pettegolezzi, diventato troppo noioso e ripetitivo.
-Ti riferisci al ragazzo passato in moto?
-Si..Hai visto che capelli ridicoli aveva? Lunghi fin sotto le spalle, come una ragazza!
-Chissà, magari è gay, e stava cercando qualcuno da abbordare..
Scoppiarono in una risata maligna, convinte di aver svelato il mistero di quella bellezza così fredda e distante, così fastidiosamente attraente.

Julius frenò energicamente, fermandosi a pochi passi da un gattino spaventato il quale, grato per essere stato risparmiato da una fine poco piacevole, si avvicinò all’inaspettato benefattore miagolando amichevolmente. Il ragazzo serrò le labbra in una smorfia di fastidio, e scese dalla moto con un fluido movimento.
-Non mi piacciono i gatti, amico- sussurrò più a se stesso che al felino, e si avviò verso le acque cristalline del lago. Qualche anatra nuotava rapida, formando piccoli gruppi che venivano rapidamente sciolti, non appena una di esse aveva la fortuna di avvistare un pezzo di pane lanciato da qualche passante. Nona avendo cibo con sé, Julius si limitò a sedersi su di una sponda erbosa, osservando in silenzio gli uccelli acquatici contendersi a suon di beccate un pezzo di pane abbastanza grande da attirare la loro attenzione.
In quel momento l’idea di divenire un uccello non gli parve tanto spiacevole… Vivere senza troppe preoccupazioni, se non quella di trovare abbastanza cibo per sopravvivere e, magari, dispiegare le ali e volare via da tutta quella giostra infinita che gli girava attorno, in un girotondo senza uscita pieno di maschere e falsi sorrisi.
Si concesse un lieve sorriso, stendendosi sul’erba fresca di rugiada mattutina: il fresco contatto con le minuscole gocce d’acqua lenì per un attimo la sua inquietudine, donandogli un dolce senso di unione con la natura, considerata dal giovane il nido dove consumare i suoi problemi, le sue paure. Per poi uscirne libero, pronto a guardare scorrere un’altra giornata.
Un’ombra scura passò sul suo viso rilassato, e Julius riaprì gli occhi abbagliato dall’intensa luce del sole.
Un cigno, bianco come la prima neve, volò sopra di lui, diretto verso il centro del lago. Le sue ali si muovevano lentamente, come seguendo il ritmo di una melodia, fino  quando il cigno non sfiorò il pelo dell’acqua: ripiegò le grandi ali sul corpo, elegantemente, e bagnò il becco nelle fresche acque, cercando refrigerio in quella calda mattinata.
Julius si sedette, cercando di non far rumore, e frugò nelle tasche della giacca alla ricerca della macchina fotografica, regalatagli dalla sorella in occasione del suo compleanno. Da quel giorno non se n’era mai separato, portandola con sé ovunque andasse. Diede una rapida occhiata alla vegetazione che circondava lo specchio d’acqua, cercando un punto dove la luce sarebbe stata abbastanza intensa da permettergli di non usare il flash. Se il cigno si fosse spaventato, non sarebbe più riuscito a fotografarlo.
Celato da un cespuglio di rose, Julius regolò l’obiettivo, senza mai perdere d’occhio il magnifico volatile: ignaro di essere l’oggetto dell’attenzione del ragazzo, il cigno nuotava in tranquillità, osservando placido le anatre battibeccare per l’ennesimo pezzo di pane.
Julius premette appena il piccolo tasto nero, e scattò velocemente una fotografia. Il cigno aveva spalancato le ali, pronto a godersi in tutta tranquillità il calore del sole, quando una coppia di bambine sbucò da dietro un gruppo di alberi correndo allegre con in mano dei palloncini colorati. Le due piccole si accorsero della sua presenza, e lo salutarono con la mano. Il cigno aveva intanto volto gli occhi neri verso i palloncini azzurri, e ne osservava incantato il loro ondeggiare al vento. Una delle bimbe, la più piccola, si accorse di quel timido interesse, e allentò la presa sulla coda sottile: il palloncino salì lentamente verso il cielo terso, accompagnato dai gridolini festosi della sua proprietaria e dell’obiettivo della fotocamera.
Julius indirizzò rapidamente la sua attenzione al cigno, e regolò lo zoom, distogliendo gli occhi dal lago. Il cigno, come a voler approfittare della sua distrazione, dispiegò le ali candide e le agitò con ampi movimenti ritmici. L’acqua fresca ormai non lo interessava più, e l’azzurro del palloncino appena visibile nella distesa del cielo rappresentava in quel momento un gioco assai più interessante.
-Non posso crederci..- sussurrò il ragazzo, alzandosi in piedi senza distogliere gli occhi chiari dalla figura del cigno, oramai sempre più lontana -Mi ha abbandonato per un misero palloncino.
-Che buffo!- esclamò una bambina, additando la macchia bianca in mezzo al cielo che era diventato il cigno, senza accorgersi che qualcosa stava cadendo verso di loro.
Una piuma lasciò le altre compagne, strappata via dalle mani invisibili del vento, cadeva leggera nel vuoto, fino a quando le dita umane di Julius non fermarono il suo lento volo.
-Tu però rimani con me- disse questi, sistemandola in mezzo alle pagine di un’agenda trovata nello zaino-

Almeno fino a quando non tornerò a casa.

Ad essere sincero con sé stesso, non moriva certo dalla voglia di tornarci. Tornare a casa sarebbe equivalso ad affrontare l’ansiosa preoccupazione della madre, i capricci della sorella..e l’assenza di un padre che continuava a farsi sempre più distante. Entro pochi giorni avrebbe compiuto cinquant’anni: un’età importante anche per un uomo come lui, non abituato a confrontarsi troppo spesso con i problemi della vita quotidiana. Quelle erano cose, secondo il facoltoso scienziato, che era meglio lasciare a sua moglie, rampolla non troppo bella di un’antica famiglia di politici.
Vista dall’esterno, la sua poteva essere vista come la famiglia modello in versione americana, il sogno di tanti bambini con genitori che litigavano e ragazze romantiche in odore di matrimonio: un padre lavoratore e con una solida azienda sulle spalle, una madre sempre elegante e preoccupata per il futuro dei suoi figli, una sorella bella e bionda che aveva come unica responsabilità quella di trovare un buon partito da sposare.
Ed infine lui, la pecora nera della famiglia. Aveva sempre detestato quella definizione, gli faceva pensare a qualcosa di strano ed inutile che doveva solo essere eliminato…ma da qualche tempo, invece, aveva imparato ad ignorare i commenti maligni che le amiche di sua madre si scambiavano furtive in sua assenza.
Sfaticato, mantenuto, effemminato…parole che scivolavano su di lui come gocce di pioggia, fredde come il ghiaccio ma incapaci di penetrare nel suo corpo e nel suo cuore. Con un sospiro si sistemò il casco sui capelli biondi, e si diresse verso la moto, sistemata sul sentiero di ghiaia che portava sino all’entrata del parco.
Se non voleva andare a casa, ragionò salendo sulla sella in pelle, non gli restava che raggiungere la sede principale della Asimov Technologies, e fingere un po’ di sano interesse per il lavoro di suo padre.
Accese la moto e, con una buona dose di acceleratore, si diresse verso la strada principale schivando ciclisti ancora inesperti della strada che avevano abbastanza coraggio per attraversare la strada senza guardare. Gli sarebbe bastato soltanto un quarto d’ora per raggiungere la sua meta, e nella sua mente si sovrapponevano pezzi del discorso che avrebbe dovuto assemblare per giustificare la sua improvvisa visita. Scosse la testa, e concentrò i suoi pensieri su altri problemi: a malapena suo padre avrebbe elargito un sorriso per festeggiare la sua presenza, e non avrebbe certo sprecato il suo tempo con chi non s’interessava del futuro che lui aveva deciso di imporgli.

Julius fermò rapido la moto davanti all’imponente ingresso della Asimov Tech. e fece un profondo respiro: c’era una seppur minima probabilità che suo padre non si trovasse alo suo interno, ed in quel caso non gli sarebbe rimasto alcunché da fare se non salutare educatamente l’addetto alla sicurezza, e tornarsene da dove era venuto. Semplice, e molto allettante. Purtroppo per lui, il lunedì suo padre non mancava mai di recarsi di buon ora alla sua azienda, e quel giorno non era certamente diverso da tutti gli altri. Si assicurò lo zaino sulle spalle esili ed entrò a passi veloci nell’edificio, rivolgendo un cenno di saluto alle donne sedute dietro il banco dell’Accoglienza Visitatori.
-Mio padre si trova qui?- domandò, ed una di esse annuì con un sorriso.
-Certamente. Se sale al secondo piano, lo troverà nel laboratorio principale di bio-tecnologia. In questo momento starà sicuramente lavorando su un nuovo progetto, ma penso che sarà contento di vederla.
Julius sorrise distrattamente, dirigendosi verso l’ascensore in vetro.
-Non ne dubito.
Le porte trasparenti si chiusero con un lieve sibilo, e l’ascensore iniziò la sua salita non appena il ragazzo ebbe premuto il pulsante azzurro. Una voce femminile, probabilmente registrata non molto tempo prima, risuonò all’interno dell’abitacolo.
-Secondo piano, laboratorio sezione bio-tecnologie. Vi auguriamo una buona giornata.
Quando le porte in vetro si riaprirono al breve suono di un carillon, Julius aveva indossato il suo più smagliante sorriso, freddo e lucente come un pezzo di cristallo, ed in bocca aveva pronto un breve commento per il padre e le sue inevitabili perplessità. Non c’era nulla che non aveva mancato di prevedere.
Nel peggiore dei casi, avrebbe avuto un’inaspettata occasione per esplorare in tutta tranquillità l’ambiente e, magari, di comprendere perché suo padre avesse deciso di dedicare la sua vita alla bio-tecnologia. Un mistero incomprensibile, per quanto lo riguardava.
Improvvisamente lo vide, attorniato da una decina di scienziati e tecnici in divisa, i quali pendevano letteralmente dalle sue labbra.
-Ridicoli.- sibilò il ragazzo, ed accantonò definitivamente la possibilità di avvicinare suo padre. Per quanto ricordava, non amava essere disturbato nel bel mezzo di una accesa discussione. E con suo padre, ogni discussione finiva per assumere toni non esattamente pacati. Decise allora di girovagare senza una meta ben precisa, osservando di tanto in tanto i vari scienziati trafficare su qualche enorme stazione elettronica, o esaminare del liquido di coltura. Dopo qualche minuto Julius si fermò, e sul suo viso apparve l’ombra di un sorriso esultante: davanti a lui, scritta in un cartello plastificato, spiccava una breve e interessantissima frase.
Esperimento riservato, è vietato l’accesso ai non autorizzati.
Chiunque conoscesse il ragazzo da abbastanza tempo sapeva che il peggior modo per fargli rispettare una regola era imporgliela apertamente. La sua imprevedibile curiosità lo aveva messo più volte in guai più grandi della sua portata, e mai una volta il ragazzo aveva deciso di imparare la lezione. Perciò, soffocando una risatina soddisfatta, Julius aprì rapidamente la maniglia ed entrò richiudendo la porta dietro di sé.
Ci volle circa un minuto perché i suoi occhi potessero abituarsi alla semi oscurità che regnava nella stanza e, quando il ragazzo riuscì a distinguere ciò che vedeva, il sorriso appena accennato si allargò ancora.
Era un laboratorio di medie dimensioni, adibito senza dubbio ad esperimenti di lunga durata che dovevano, probabilmente, rimanere quasi un segreto. Oltre agli apparecchi normalmente presenti in un qualsiasi laboratorio di bio-tecnologia, questo era dotato di una moderna vasca di rianimazione ancora inutilizzata e, sistemato sopra un tavolo per esperimenti, vi era un contenitore di vetro colmo di un una sostanza liquida, celeste come l’acqua di un lago.  Julius lo prese tra le mani con estrema delicatezza, osservandone estasiato i riflessi cristallini. Non possedeva alcuna nozione, né esperienza nel campo, ma qualcosa dentro di lui urlava senza sosta, spingendolo ad osservare con i suoi stessi occhi ciò che quel liquido era in grado di fare.
Abbassò lentamente la maniglia della porta e scivolò fuori dalla stanza, il contenitore nascosto all’interno del suo zaino. Nessuno si era accorto della sua intrusione, ed il ragazzo riuscì ad avvicinarsi ai grandi container in metallo senza che nessuno lo vedesse, o gli prestasse attenzione. In fondo, che danni avrebbe potuto causare un ragazzo così giovane?
Una scritta rossa attirò l’attenzione di Julius, il quale la lesse in silenzio, una mano già stretta sulla scaletta di ferro rinforzato.
Pericolo mutazioni genetiche. Non avvicinarsi.
Come da copione, Julius era già salito fino alla cima del container, e stava svitando il contenitore ben attento a non perdere l’equilibrio: se fosse caduto, avrebbe rischiato molto più di una semplice storta…
La noia è davvero un brutto nemico da combattere, pensò il giovane, mentre il liquido denso cadeva dentro il container, mescolandosi con liquido di cottura vibrante di radiazioni. Quando tutto il contenuto fu versato, Julius prese in mano l’agenda, deciso ad annotare tutto ciò che da quel momento in poi sarebbe successo. Mentre sfogliava le pagine fitte di parole, la piuma che aveva raccolto dal volo del cigno sfuggì alla sua prigione di carta, e cadde silenziosa nell’oscurità del container illuminata dalle luci a neon del soffitto.
Cadde leggera, lenta, quasi come un film visto al rallentatore, per sfiorare infine la superficie della sostanza, divenuta oramai innaturalmente cerulea.
Non appena la punta della piuma e il liquido ribollente si toccarono, le molecole della sostanza versata da Julius reagirono alla comparsa dell’elemento estraneo, creando una reazione a catena che, infondendo energia molecola dopo molecola, fino a creare delle vere e proprie esplosioni in miniatura, le quali emanavano violenti getti d’aria bollente e liquido di coltura modificato. Un’esplosione più violenta delle altre mancò il torace di Julius per pochi centimetri, ed il ragazzo ondeggiò pericolosamente, privo di alcun appoggio.
In bilico sul bordo del container, Julius non sapeva quale fosse il male minore tra una caduta libera nel vuoto, ed un tuffo cieco nel liquido di coltura ribollente come lava.
“Non c’è che dire, una morte non proprio piacevole ed una cottura rapida in mezzo ad un mare di radiazioni…Roba da far invidia alla fantasia più perversa.” pensò con una smorfia di paura, cercando un qualunque appiglio al quale potersi aggrappare. Attorno al ragazzo non vi erano che container lisci e distanti, nessun cavo scollegato, niente di niente. Ogni cosa era nell’ordine più assoluto, un ordine traspirante la fredda spietatezza del destino.
Un rumore di passi affrettati giunse alle sue orecchie, ed il ragazzo dovette costringersi a guardare un punto fisso, a non voltarsi: in quel momento l’equilibrio era l’unica cosa importante, e lui non era mai stato bravo in quel genere di cose.
-Ehi, tu! Cosa diamine stai facendo lassù?
Julius serrò le labbra. La voce apparteneva ad uno dei più fedeli collaboratori di suo padre, un leccapiedi professionista che il ragazzo non aveva mai potuto sopportare..Proprio la persona giusta al momento giusto.
-Julius!
Silenzio.
Il ragazzo sentì il cuore smettere improvvisamente di battere, ed intensificò la sua concentrazione già vacillante come il suo baricentro.
-Julius, scendi immediatamente!
Sentire la voce di suo padre svuotò la sua mente come un getto d’acqua gelida, ed il ragazzo si voltò con uno scatto.
-Padre…
Non fece in tempo a terminare la frase, spezzata dall’ultima esplosione di gas e liquido reattivo: questa volta fu investito completamente dal getto, e le sue gambe non avevano abbastanza forza da restare salde sul bordo del container. Il ragazzo cadde con un urlo soffocato e fu immerso dalla sostanza azzurra con un ribollio terrificante, mentre le molecole del suo corpo venivano attaccate dalle radiazioni del liquido di coltura. Solo in seguito si seppe cosa conteneva la boccetta che il ragazzo aveva trafugato, e perché il suo corpo aveva subito cambiamenti tanto drastici.
Già da mesi un’associazione militare di stampo criminale aveva commissionato alla Asimov Technologies un virus in grado di modificare il DNA umano, un agente geneticamente modificato che avrebbe avuto la facoltà di aumentare le prestazioni umane, combinandole con poteri fuori dal comune. Il virus era entrato in contatto nel liquido di coltura come previsto dagli studi, ma anche un altro elemento si era insinuato nella catena di mutamento: una piuma di un cigno.
In quel modo il DNA del cigno si era mescolato al liquido modificato, ed i suoi geni erano penetrati nel corpo di Julius, mutandone radicalmente il codice genetico.
Il ragazzo spalancò la bocca in un urlo silenzioso, reso folle dal dolore che provava. Per quanto provasse a nuotare verso la superficie, il suo corpo non rispondeva più ai comandi, come se un burattinaio invisibile lo avesse legato con fili indistruttibili. Il liquido di coltura aumentò vertiginosamente il suo volume, fino a superare i bordi del container, ormai prossimo ad esplodere. All’interno della Asimov Tech. venne fatto suonare l’allarme, e molti scienziati evacuarono l’edificio. Solamente Ivan Asimov ed il team riunitosi con lui rimasero al suo interno, nel disperato tentativo di porre fine alla catena di mutazioni genetiche.
-Signore!- gridò uno di essi, battendo con violenza il pugno su una tastiera ormai inutile -Non abbiamo tempo da perdere! So bene cosa può succedere in casi come questo, e non ci rimane molto tempo prima che il liquido di coltura esploda uccidendoci tutti!  
-Io rimango qui! Se voi siete così codardi da fuggire senza aver salvato mio figlio, accomodatevi pure. Ma non provate a trascinarmi con voi, o ne pagherete le conseguenze!
Non appena terminò di parlare, la maggior parte degli scienziati si lanciò verso l’ascensore di vetro, lasciandolo solo con un paio di tecnici, ed un figlio tra la vita e la morte.
-Che l’ascensore si blocchi, maledetti!- sbraitò Asimov, dirigendosi verso la sala comandi. La maggior parte dei computer era andata in corto circuito, e non aveva che pochi minuti. Le sue dita volarono sui tasti neri, digitando codici e password in una disperata corsa contro il tempo. Dall’interno del container scaturì una luce intensa come quella del Sole, ed il vecchio scienziato ebbe appena il tempo di gettarsi a terra prima che questo esplodesse. Pezzi di metallo volarono attraverso il laboratorio, distruggendo finestre e conficcandosi in altri container, i quali riversarono a terra il loro contenuto letale, e la sostanza cerulea ricopriva ormai gran parte dell’ambiente, scivolando inarrestabile verso i piani inferiori. Gremiti di gente ancora ignara.
La seconda esplosione fu l’ultima. Con una potenza pari a quella di dieci bombe, il liquido di coltura esplose inondando il laboratorio di una luce bianca, accecante, e tutta l’area di bio-tecnologia svanì, spazzata via dalla potenza distruttrice di una forza che ormai era impossibile arrestare.
Quando la polvere si posò, il silenzio dominava il piano, privo di ogni traccia di vita. Tutti i dipendenti della Asimov Technologies erano fuggiti in cerca di riparo o erano morti nell’esplosione, e nessuno aveva il coraggio di raggiungere il secondo piano.
Una figura apparve fra i resti del container, avvolta da un tenue bagliore candido. Si guardò attorno senza proferire una sola parola, ed accarezzò con innaturale delicatezza il liquido che le lambiva i piedi. Con un sorriso maligno si diresse nel punto dove il pavimento terminava, cedendo il posto all’aria aperta, ai rumori della città in movimento. Lasciò che l’aria fredda s’insinuasse nei suoi polmoni, e dispiegò le ali bianche come la prima neve.
-Il vero divertimento comincia adesso.

Approfittando della pausa concessa dalla scuola, ho finalmente completato questo interminabile capitolo! Siete sopravvissuti? Se si, ne sono contenta perché, come ha detto il personaggio misterioso, il vero divertimento comincia adesso!
Era necessario un capitolo come questo, perché Julius è un personaggio fondamentale nella continuazione della storia, e non poteva comparire all’improvviso senza alcuna introduzione…E poi mi piace tanto presentare nuovi personaggi, specie se particolari come questo idiota. Si, lo considero un emerito idiota, se vi interessa il mio modesto parere.
Che dire, ci vediamo al prossimo capitolo, e non disperate: cercherò di essere abbastanza puntuale e di non annoiarvi troppo!
Ringraziamenti speciali vanno a tutti quelli che hanno il coraggio di seguirmi (grazie davvero, siete fantastici!!), e in particolare a:

Lirin Lawliet: si, proprio a te, tesora! Ricorda che sto aspettando con ansia il tuo “Ortica”, non farmi stare troppo in pena…Non vedo l’ora di leggere una storia che riguarda il mio amato Piccolo!!

Aloysia Piton: ciao! Come potevo non salutare la prima donna che commenta sempre per prima miei nuovi capitoli?? No che non potevo u.u Spero che questo capitolo ti piaccia!

Yori: ehi tu, che fine hai fatto?  Mi raccomando, stammi bene!

Lituania: e veniamo a te, essere che non vuole mai pubblicare le sue poesie. Aspetto di leggere una tua poesia il prima possibile, ricordalo!

Elly Candy: ultima, ma non ultima! Colei che ancora non è sbarcata come autrice nel mondo delle fanfictions. Spero che questo capitolo ti piaccia…e che Julius ti stia almeno un po’ simpatico!


Au revoir

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Capitolo 22
*** Incontro ***


Eccoci qui al 23° capitolo…..era ora! Non ci sono scuse per il mio terribile ritardo, tranne pc mezzo rotto e voglia di scrivere pressoché azzerata. Lo studio non perdona, soprattutto chi in matematica raggiunge appena la sufficienza! Che dire, è un capitolo abbastanza lunghetto, e ricopiare tutto dal quaderno dove di solito tengo le mie ispirazioni improvvise non è stato un lavoretto proprio piacevole, ma alla fine sono stata felicissima di vedere la mia storia riprendere vita, nero su bianco!
Buona lettura a tutti!
 


-Proprio non è possibile aumentare la velocità?
Stretta dalla cintura in plastica nera, Sherin si sporse verso la vecchia amica, la quale era occupata ad assicurare alla navicella una partenza senza rischi.
-Sto facendo tutto il possibile, credimi- disse Bulma con un piccolo singhiozzo, ed asciugò con le dita bianche una piccola lacrima caduta dalle ciglia -Ma non posso sottoporre la navicella ad uno sforzo troppo elevato, rischieremmo un danno permanente e non ho l’attrezzatura necessaria a ripararlo!
Vegeta si avvicinò alla moglie, lo sguardo alto e fisso sullo schermo principale, il quale era percorso da un’infinita serie di dati. Aveva viaggiato a lungo nello spazio ed a bordo di astronavi molto più estese e complesse di quella dove si trovavano in quel momento, ed era ben consapevole dei rischi che potevano correre se le procedure non sarebbero state rispettate. Non aveva molta voglia di saltare in aria con Kakaroth ed i suoi amici, su questo era irremovibile.
Goku, seduto contro la parete rinforzata della navicella, sospirò in silenzio e, volto lo sguardo al paesaggio che si estendeva al di fuori del vetro di un oblò, disse con la sua abituale calma:
-Certo che sarebbe perfetto se tu, Bulma, fosti a bordo di una seconda navicella, e noi in un’altra più piccola e veloce: così potremmo dirigerci rapidamente sulla Terra, e tu potresti raggiungerci senza che tuo figlio rischi qualcosa…Quando Chi chi era incinta mi ricordo che cercava di non fare nessun movimento brusco, e se aumentassimo troppo la velocità balleremmo come marionette!
Tutti i presenti nell’udire le sue parole si voltarono di scatto verso il Sayan, il quale spalancò interrogativo gli occhi scuri. Vegeta fu il più veloce nel corrergli appresso: in pochi secondi gli fu davanti e, afferratolo per il bavero della tuta arancio, prese a scuoterlo come un vecchio sacco di patate.
-Accidenti a te, Kakaroth!- ringhiò, sovrastando il rumore del motore in azione -Perché diamine non ce lo hai detto prima?!
-Vegeta, ma di che stai parlando?
Piccolo strinse il pugno all’altezza del petto, in un breve ma sincero segno di esultanza.
-Goku, ragiona: quello che hai detto non è del tutto impossibile, perché abbiamo l’opportunità di affidarci al teletrasporto per arrivare sulla Terra!- esclamò il Namecciano.
-Dici davvero?!
-Goku, sei diventato cretino?!
Sherin si alzò di scatto dal sedile, o almeno ci provò: nella fretta di raggiungere i suoi compagni, e di dare man forte al Vegeta, aveva completamente dimenticato l’esistenza della cintura di sicurezza.
Mentre la Sayan ritornava sul sedile con un tonfo ovattato, i guerrieri avevano iniziato ad affollarsi attorno a Goku, cercando di toccare almeno una minima parte del suo corpo. Il Sayan intanto cominciava a prendere coscienza della situazione, la bocca sottile ormai spalancata quasi quanto i suoi occhi.
-Ragazzi, ho trovato!- disse a voce alta con un sorriso gioioso -Basterà che io mi teletrasporti sulla Terra, e voi non dovrete fare altro che unirvi a me toccandomi!...Ma si può sapere cosa vi prende, oggi?- domandò poi, quando si accorse di loro.
-Facciamo quello che ci hai suggerito!- Sherin ammiccò al sayan, e approfittò di quel poco spazio rimastole per abbracciarlo all’altezza delle ginocchia -Anche se le tue ginocchia non sono comode come il sedile di un’astronave, questo devo dirtelo amico mio.
Piccolo abbassò lo sguardo sulla capigliatura mascolina della compagna, e le sue labbra smeraldine si distesero in un lieve sorriso. La conosceva da quasi una vita, e non riusciva mai a smettere di stupirsi dei cambiamenti che quella donna era in grado di compiere: la ragazza sprovveduta e un po’ ingenua che aveva tentato di sconfiggere durante il loro primo incontro, pian piano, era diventata una donna più sicura di se stessa e delle sue capacità. Una donna capace di accettare un dolore che avrebbe spezzato qualsiasi altra, e che lei era stata in grado di rendere parte integrante di sé. Come dire…la donna adatta a lui, colei che amava più della sua stessa vita. Niente di più, niente di meno..
In quel momento, pochi attimi prima di essere trasportato sul pianeta Terra, gli ritornò in mente le parole che aveva rivolto a Gohan solo pochi giorni prima, in una pausa improvvisata dopo un lungo allenamento.

-Non pensi mai al volto di tua figlia?
Gohan si sdraiò a terra con un sospiro appena udibile, ed incrociò le mani sotto il capo per proteggersi dall’erba pungente. Piccolo si voltò dall’altra parte, verso il paesaggio che l’altura offriva loro, e si concesse qualche minuto prima di rispondere.
-Si, non puoi nemmeno immaginare quanto…
Maestro e allievo ammirarono in silenzio le nuvole in cielo, candide come soffici batuffoli di cotone, fino a quando il Namecciano non ruppe nuovamente il ghiaccio.
-A volte provo ad immaginarmi il suo viso, ma non riesco a darle dei tratti precisi, definiti. Se consideriamo il fatto che in lei, molto probabilmente, scorre una maggiore percentuale di sangue Namecciano; dovrei pensare al suo aspetto automaticamente, ma proprio non ci riesco..A volte mi soffermo a pensare su come sia la sua vita ora, a chi la starà accudendo…su chi dovrò vendicarmi, principalmente- aggiunse con tono amaro nella voce, e tra i due compagni calò nuovamente il silenzio.
-Vedi Gohan, se vedessi una persona a te molto cara, come i tuoi genitori o Videl, soffrire per colpa di qualcuno che, sin dal principio,ha voluto solo il vostro male…cosa faresti?
-Diventerei una furia..
-Esatto. In questo momento non riesco a provare che rabbia. Certo è sottile e non sempre la sento ribollire dentro di me, ma è costante, e non passa giorno nel quale io non voglia afferrare le lancette dell’orologio, per riportarle indietro. So che è un pensiero completamente folle, ma se esistesse anche la minima possibilità di cancellare tutto e ricominciare da capo, io l'accetterei. L'accetterei senza nessun indugio.

-Sherin..
La Sayan mosse appena le lunghe orecchie a punta, e si voltò verso di lui con un sorriso.
-Cos’è, hai paura di essere scaraventato nello spazio alla velocità della luce?- ironizzò lei, socchiudendo gli occhi in una breve risata -Cosa vuoi dirmi?
Piccolo richiuse la bocca, improvvisamente dimentico delle parole che avrebbe voluto rivolgerle. Allungò la mano verso il suo viso, e ne accarezzò i corti capelli corvini in un gesto di sincero affetto. Non aveva la necessità di dirle alcunché.
-Niente…
-Ragazzi, stringetevi!
Le parole pronunciate in fretta da Goku fecero appena in tempo a spegnersi nell’aria della navicella, prima che il gruppo svanisse in un breve, magico battito di ciglia.


Sistemò un pezzo di vetro contro la parete, in modo da potervisi specchiare senza troppe difficoltà, e prese ad esaminare con occhi critici la sua immagine riflessa.
In fondo non era cambiato eccessivamente, rifletté con un’alzata di spalle, passando le dita pallide come la morte tra i capelli dorati. Sarebbero bastati solo pochi piccoli cambiamenti per rendere il suo viso ancora più perfetto. Strinse il pugno attorno ad un frammento di ferro, e strinse con forza: un sottile rivolo di sangue nero bagnò la superficie metallica del metallo, e scese lungo il suo braccio scarno disegnando una lunga, inquietante linea scura. Una flebile luce nera come ciò che l’aveva emanata avvolse il ferro scuro, circondandolo di eteri arabeschi impalpabili, e bastarono solo pochi minuti per modellarlo ed affilarlo ad immagine e somiglianza di un rudimentale coltello.
Una dopo l’altra, le ciocche biondo grano caddero a terra recise dalla lama affilata, e fu solo quando i suoi capelli non toccarono i lobi delle orecchie a punta che Julius posò il pugnale, e fece qualche passo indietro con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Una folta e lunga frangia copriva il lato sinistro del suo viso, e man mano si accorciava, nell’allontanarsi dalle gote, trasformandosi in una corta zazzera spettinata. Passò le dita tra le ciocche, ammiccò con un sorriso malizioso, fece un breve giro su sé stesso..sentiva l’euforia crescere nel profondo di sé, e non tentò di trattenere la risata euforica che gli affiorò alle labbra.
-Mio Dio, sono così bello che mi salterei addosso!- esclamò, accarezzando il proprio riflesso -E’ un vero peccato che non ci sia proprio nessuno ad ammirarmi..
Guardò i cadaveri sparsi sul pavimento con una smorfia di disgusto e superiorità, e si avviò verso il muro che l’esplosione aveva completamente distrutto: centinaia di metri sotto di lui la gente si susseguiva con la tipica frenesia delle grandi città, eccezione fatta per la nutrita folla di curiosi radunatasi davanti l’enorme laboratorio. Ad un tratto gli parve di scorgere quasi un luccicare in mezzo a tutta quella gente, e socchiuse gli occhi trasparenti nel tentativo di scorgere qualcosa: in mezzo alla folla, sotto gli sguardi attoniti dei presenti e di un Julius sempre più incuriosito, apparve un gruppetto di sconosciuti stretti l’uno contro l’altro senza un apparente motivo. Il ragazzo si sdraiò sul pavimento e, dopo essersi sporto verso il basso, esaminò attentamente i nuovi arrivati sussurrando di tanto in tanto qualche breve commento.
Doveva ammettere, come prima cosa, che non doveva trattarsi di persone del tutto normali: non poté non notare l’espressione stravolta della donna incinta, appoggiata ad un tizio non certo altissimo con una singolare chioma nera, ritta verso l’alto...
“Come un carciofo” pensò soffocando una risata.
Accanto ai due una strana coppia di ragazzi sulla trentina, uno tarchiato e piccoletto e con una buffissima capigliatura a caschetto, l’altro un giovanotto piuttosto attraente, il volto segnato da una o due vecchie cicatrici.
“Finora niente di veramente interessante..” rimuginò Julius storcendo la bocca, e portò una mano sopra gli occhi di ghiaccio, proteggendosi così dagli intensi raggi del sole.
Gli ultimi due personaggi, dovette ammettere con una punta d’invidia non troppo sottile, non sarebbero affatto sfigurati in un immaginario confronto con la sua nuova persona.
Non era necessario essere dotati di particolare acume per rendersi conto del forte legame che li univa e Julius, dal canto suo, possedeva un certo comodo intuito, il quale gli aveva permesso più di una volta di cogliere i piccoli particolari che normalmente sfuggivano alla maggior parte della gente. E ciò che univa quelle due persone erano non solo i tratti fisici- orecchie appuntite, canini affilati ed un’altezza fuori dal comune- ma un’impalpabile alchimia pulsante come un cuore umano, incredibilmente similare al leggendario filo rosso del destino. Sua sorella amava ripetere quella piccola sentimentalistica leggenda ogni volta che cambiava fidanzato, o che l’amore le riservava l’ennesima, dolorosa illusione.
Poteva quasi sentire i loro cuori battere all’unisuono…meraviglioso..Un cuore segnato da antichi rancori ma visibilmente ammorbidito dall’affetto ricevuto, probabilmente senza aspettarne affatto, e uno più piccolo e delicato, un cuore di donna, ancora sanguinante per un dolore recente. Così diversi, eppure palpitanti la stessa, identica melodia impercettibile, che solo loro due erano in grado di udire…
Ma c’era qualcosa di ancora più sublime di quel loro sentimento condiviso, ed era il fisico da urlo dell’uomo dalla pelle smeraldina che aveva appena incontrato il suo sguardo.
Centinaia di metri più in basso, Piccolo radunò i compagni attorno a sé ed indicò l’ombra che, appena visibile tra le macerie, non aveva mai smesso di puntare lo sguardo su di loro.
-Non deve essere un genio per quanto riguarda la tattica- osservò vegeta con un sorriso beffardo -Guardate come si sta scoprendo. Se venisse coinvolto in un combattimento, un potenziale avversario abbastanza allenato avrebbe potuto colpirlo dritto in mezzo agli occhi, senza troppe difficoltà.
Sherin non ebbe voglia di rispondere ad un commento così sadico, e si avvicinò rapida a Goku, di certo una persona con la quale sarebbe stato molto più facile trattare.
-Magari è l’unico sopravvissuto all’esplosione…Oltre al padre di Bulma, ovviamente!- aggiunse di getto, resasi conto tardi della gaffe indelicata che aveva appena commesso -Forse dovremmo aiutarlo, non credi?
Goku non si volse verso di lei, né diede segno d’aver compreso le sue parole. Il suo guardo era rimasto fisso nel punto indicatogli dal compagno, e sulla sua tempia una piccola vena pulsava ritmicamente. La Sayan arretrò di qualche passo, e cercò lo sguardo di Piccolo: conosceva quell’espressione, ed era pronta a scommettere che Goku aveva fiutato qualcosa di strano nell’aria.
Piccolo posò una mano sulla sua spalla e, delicatamente, la invitò a posare lo sguardo sullo squarcio aperto nel muro rinforzato.
-Io non sarei così precipitoso. Non hai percepito la sua aura?
-No, Piccolo, non ci ho nemmeno pensato.- disse lei corrugando la fronte ampia e distogliendo lo sguardo dalla figura -Ad essere sincera non posso fare a meno di preoccuparmi per il Dottor Briefs. Se l’aura che sta pulsando là dentro è un potenziale pericolo, come credo Goku abbia capito molto prima di noi, i sopravvissuti all’esplosione incorreranno presto in un altro pericolo, non credi? Sarò anche precipitosa come dici tu, ma devo troppo al signor Briefs per lasciare che il nostro nuovo amichetto faccia la prossima mossa!

“Buio e luce che si incontrano, traghettati da due paia di occhi sconosciuti tra loro, che meraviglia… Quasi come la fusione dello jing e dello jang in un solo cerchio. Chissà come potrei descrivere questo mescolio di sensazioni prorompenti che mi scuotono da capo a piedi?”
Vegeta lanciò un rapido sguardo a Goku, immerso nella lettura dell’aura e della mente del giovane, oramai fattosi palese agli occhi dei presenti, e scandì bene le parole.
-Stai tentando di leggere nella sua mente, non è così? – domandò, ed il vecchio amico e rivale sorrise con imbarazzo, socchiudendo gli occhi scuri.
-Sì, e se devo essere sincero non è nemmeno un’esplorazione troppo difficile.- rispose -E’ come leggere una scritta tracciata nella sabbia asciutta…Voglio dire, inizialmente ciò che gli frulla in testa mi manda davvero in confusione, come se stessi guardando qualcosa da dietro un vetro sporco ed appannato. Ci vuole un po’ di tempo, però pian piano riesco a capire cosa sta pensando, come adesso.
-E che cosa.. Che cosa dice?
Goku si grattò la nuca, nel vano tentativo di prendere tempo, e continuò, nella voce una lieve incertezza.
-Ti dirò, in realtà non ci sto capendo più niente!
Vegeta sbottò in un’esclamazione esasperata, rinunciando del tutto a capire cosa frullasse nel cervello del secondo idiota che in quel momento si ritrovava fra i piedi.
“Ancora non mi stacca gli occhi di dosso! Che emozione. Se solo non fosse per quella sottospecie di valchiria che si ostina a parlargli, con quella sua vocetta roca ed inquietante!”
Julius serrò i denti candidi, e puntò un lungo dito pallido contro la spalla destra della Sayan: ancora non aveva sperimentato appieno ciò che il suo nuovo corpo era in grado di fare, ma non dubitava affatto che una parte della sua cocente invidia sarebbe confluita nell’estremità della sua mano. In fondo, la rabbia è da sempre un ottimo stimolo per l’essere umano.
Un bagliore luminoso apparve attorno alla sua mano, e sulla punta del dito brillò rapida una scintilla cerulea, scintilla che sferzò l’aria in un volo lungo pochissimi nanosecondi, per poi affondare in un colpo di punta nel muscolo della donna.
Sherin portò una mano alla spalla con un grido acuto,  concentrando l’attenzione di tutti su di sé.. inclusa quella di un Julius sempre più contrariato.
-Maledizione..- sussurrò allontanando la mano. Il tessuto violaceo della sua felpa era perforato proprio sopra al centro del legamento, ed il raggio ustionante aveva carbonizzato i margini del foro, sporco del sangue che aveva preso a colare lungo il braccio.
-Sherin!- Piccolo le prese il braccio ferito tra le mani, e prese ad esaminarlo rapidamente -Riesci a muoverlo?
Lei annuì, le labbra tese in una smorfia di dolore e rabbia, ed accennò una lenta rotazione della spalla: immediatamente il dolore riaffiorò in una fitta insopportabile. Sherin urlò per la seconda volta, e Goku si affrettò a slegare il laccio che assicurava il sacchetto di stoffa che portava alla cinta, e si lanciò verso l’amica. Nella mano stringeva una manciata di fagioli Senzu.
-Forza Sherin, apri la bocca, basteranno solo pochi secondi!- disse in tono concitato, prima che Piccolo allontanasse la sua mano con un lieve schiaffo.
-Non ricordi che su di lei non hanno effetto?- esclamò, e si rivolse a Bulma, oramai sempre più sconvolta. -Ultimamente porti sempre con te una serie di capsule contenenti medicine e strumenti di pronto soccorso, giusto? Allora prendi un antidolorifico, il più potente che hai!- volse lo sguardo alla compagna, una luce di tenerezza appena percettibile nello sguardo -E’ la seconda volta, ormai, che ti curiamo come una normale terrestre…
Sherin distese le labbra in un sorriso somigliante ad una smorfia di disgusto, e scoccò uno sguardo carico d’odio verso l’alto.
-Non ce ne sarà una terza, fidati di me.

Bulma rovistava freneticamente nella borsa, incurante degli oggetti che ne fuoriuscivano, cadendo sul marciapiede affollato di curiosi e giornalisti in cerca di tragedie da sfoderare nelle prime pagine del giornale.
Alla fine le sue dita afferrarono un sottile contenitore d’acciaio, e la donna armeggio più volte con la chiusura a scatto, maledicendo quelle sue mani che non volevano cessare di tremare.
Aspirine, bende, cerotti… Il contenuto di ciascuna capsula era riassunto su piccoli adesivi applicati sui contenitori in plastica, e le dita di Bulma si strinsero attorno all’ultima capsula, contrassegnata dalla dicitura “morfina”. La lanciò a terra, e la capsula esplose in una nuvola di fumo rivelando il suo contenuto. Tre, al massimo quattro siringhe rotolarono sul cemento, e Piccolo si lanciò a raccoglierle, aiutato da Yamcha e Vegeta. Goku, dal canto suo, si era allontanato più in fretta che poteva da esse, senza mai perdere di vista i loro aghi sottili. Vegeta le si avvicinò brandendo una siringa colma di liquido e, rivolto un rapido cenno a Piccolo, il quale non aveva mai smesso di sorreggere la compagna, poggiò la punta dell’ago sopra la pelle candida.
-Strappale la manica ed immobilizzale il braccio- gli ordinò, ed il Namecciano lacerò il tessuto quasi controvoglia.
-Se ti obbedisco così, è solo perché si tratta di lei- disse in un soffio -Sappilo, Vegeta.
Il sayan abbozzò una smorfia che, secondo lui, avrebbe dovuto assomigliare ad un sorriso; ed infilò l’ago nel braccio della donna. Sherin cacciò l’ennesimo urlo ed allungò una mano per strappare via la siringa, e Piccolo le intimò di fermarsi con parole secche. Julius, intanto, osservava deliziato la scena illuminandosi ogni qualvolta udiva un lamento provenire dalla bocca della donna. Musica celestiale per le sue orecchie. Quel suo guardare passivo dall’alto, però, iniziava decisamente ad annoiarlo, e per qualche minuto valutò silenziosamente le varie opzioni che gli si presentavano. Non aveva alcuna intenzione di rimanere troppo a lungo dietro le quinte dell’azione, ma non pensava nemmeno di lanciarsi a capofitto tra le braccia di quei fusti agguerriti, non dopo aver colpito la loro amica… Uscire o non uscire, quello era il dilemma.
-Vieni fuori, se ne hai il coraggio! Non pensare di passarla liscia, brutto bastardo, non con me!
La voce roca della donna lo colpì come un colpo di frusta, ed il ragazzo si mostrò totalmente ai loro occhi, spiegando le grandi ali bianche. Il vento accarezzò le piume candide, e Julius provò un intenso, prepotente desiderio di volare, di lanciarsi nel vuoto e seguire ubbidiente la decisa spinta delle correnti aeree. Prese una breve rincorsa e saltò verso il cielo.

-Sta arrivando.
Vegeta serrò i pugni e contrasse i muscoli allenati da innumerevoli battaglie, preparandosi ad attaccare. La prospettiva di un imminente corpo a corpo con un avversario sconosciuto lo riempiva d’adrenalina, e si ritrovò a sperare che i suoi compagni potessero avere la peggio per rimanere solo contro di lui.
-Bulma, allontanati più in fretta che puoi, e non cercare in alcun modo di entrare nell’edificio.- pronunciò quelle poche parole con fermezza, indicandole una strada poco trafficata -Non voglio che qualcuno rischi di farsi del male a causa nostra.
Un rossore appena percettibile apparve sulle sue gote, ed il Sayan sperò ardentemente che nessuno dei presenti ad eccezione di Bulma avesse prestato troppa attenzione alle sue parole. Una caduta di stile poco prima dell’inizio di uno scontro non era affatto degna di un Principe.
Bulma annuì e cominciò ad avviarsi verso un luogo più sicuro, mimetizzandosi tra la folla: Crilin e Yamcha la guardarono allontanarsi con un sospiro, e scacciarono velocemente il desiderio impellente di darsela a gambe e di fuggire con lei.
Sherin aumentò l’intensità della sua aura, seguendo l’esempio dei compagni, ed i suoi occhi mutarono il loro colore, divenendo due scintillanti gemme dorate. Come d’oro divennero invece alcune sue ciocche, ed un’unica, enorme fiamma avvolse il suo corpo. L’Half Sayan era tornato, traghettato da quella stessa rabbia che anni prima lo aveva portato alla luce.
-Vedo che non sei cambiata affatto.- Vegeta non fu capace di trattenere il commento tagliente affioratogli alle labbra -Chissà quando riuscirai a sopraffare la tua anima namecciana e a diventare un vero Super Sayan!
-Non scocciarmi, e pensa ad una strategia piuttosto. Dei tuoi commenti sarcastici possiamo tranquillamente farne a meno.
Vegeta aprì lentamente la bocca, ed una vena pulsò sulla sua ampia fronte.
-Come hai detto, sottospecie di muso verde?- sibilò questi, avvicinandosi minaccioso alla donna. Piccolo gli si parò davanti, digrignando i denti in un’espressione di sfida.
-Modera i toni, Vegeta!- Piccolo avvicinò un pugno serrato alla mascella del Sayan, e Goku dovette letteralmente separarli per evitare lo scontro che inevitabilmente ne sarebbe seguito.
Julius non aveva scelto il momento adatto per la sua entrata in scena, e nessuno dei guerrieri si accorse del suo elegante e studiato atterraggio.
-Voltatevi e combattete! Il palcoscenico del mondo ha bisogno della sua nuova stella!
Girò su se stesso in una lenta piroetta ed avvolse le ali attorno al corpo, azzardando persino uno sguardo altezzoso, ma nessuno parve prestargli troppa cura.
-Ehi? Ragazzi?- disse dopo un breve colpo di tosse -Sono qui dietro!
-Non intrometterti, bellimbusto! Sono certo che la tua donna sa difendersi anche senza le tue spacconate!
-Scusate…
-L’unico che non deve intromettersi qui sei tu, Vegeta! Non sarò capace di raggiungere i livelli di voi Super sayan, ma ho abbastanza dignità per non accattare prediche da uno come te!
-Signori?
-Sherin, Vegeta non intendeva certamente offenderti. Beh, poteva evitare di essere così acido..
-E’ troppo chiedere un po’ di attenzione?! O lor signori sono troppo occupati nelle loro litigate da comari per anche solo guardarmi?!
L’urlo esasperato di Julius spense in un istante i toni bollenti della discussione e, finalmente, il ragazzo fu completamente al centro dell’attenzione.
-Oh, merda...

Lirin Lawliet: rieccoci qua! Mi sono fatta un po’ attendere, ma alla fine ce l’ho fatta! Volevo assicurarti che, non appena troverò il tempo (e prima di andare in Germania) leggerò la tua nuova storia su Host Club! Quando ho scoperto per puro caso il tuo disegno sulla pagina autore, sono rimasta letteralmente di sasso: Host Club è uno tra i miei manga preferiti, e l’idea di leggere una fanfic basata su di esso mi stuzzica non poco! A proposito, come sta andando la stesura di Ortica? Un bacio digitale!

Aloysia Piton: davvero non consideri Julius un po’ scemo? Per carità, è certamente una sagoma, ma per ora non mi sembra proprio un fulmine di guerra, non dopo la meravigliosa entrata in scena che ha fatto! :D A presto!!

 

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Capitolo 23
*** It's coming a new beginning ***


“Il countdown aveva incominciato il suo lento ed inesorabile percorso, per la seconda ed ultima volta. Sebbene fossimo lontani, io e te, il mio acerbo cuore di bambino aveva, in qualche modo, accettato il suo destino. Il cambiamento bussava già alle nostre porte, e i suoi passi pesanti lasciavano le prime, indelebili impronte sul cammino delle nostre vite pronte ad essere cambiate per sempre. Non avevo compiuto che un solo anno di vita, ero ignaro del passato che mi avrebbe per sempre perseguitato, ed il mio futuro era oramai delineato… La mia vita avrebbe seguito, obbediente, le orme ed i consigli del mio amorevole padre adottivo, a malapena sarebbe stata accettata da un vivace fratello maggiore, che avrebbe finito per affezionarsi a me… Quello era il mio futuro, quella la mia vita.
Non mi restava che compiere il volere delle persone che mi circondavano, piene di buone intenzioni ma soffocanti come l’abbraccio di una madre depressa, che vede suo figlio come il raggio di luce che potrà illuminare la sua vita. Così obbedii, obbedii per la prima ed ultima volta della mia vita, assumendo la parte che avrei recitato per diciassette anni, ma in una cosa rimasi sempre coerente, sempre preservai la mia vera essenza. Essenza che riversai in un cieco amore per l’altro, espressione di una voglia di vivere così intensa da essere difficile da sopportare per una persona sola, per un ragazzo così giovane… Col passare degli anni, qualcosa dentro di me avviò un lento mutamento, seguendo quel mio corpo che continuava a crescere, a svilupparsi in un corpo più solido, più adulto; e un nuovo bisogno nacque, ed io lo desiderai con tutto l’ardore della mia giovinezza.
Era una necessità profonda, radicatasi nella mia anima e nel mio corpo mortale, indelebile come un tatuaggio disegnato sulla pelle, come una cicatrice sul volto.
Volevo amare.
Disperatamente, ciecamente, con la passione che scorreva libera come un vento impetuoso e sconvolgente nelle mie vene. Volevo solo amare, amare con tutto me stesso.
Così cominciai ad offrire il mio amore acerbo, inesperto ed ingenuo a coloro che furono capaci di penetrare nel mio cuore così tenero, e finalmente sperimentai il vero significato della parola amore: amai in modo effimero, amai con tutta la mia anima, amai fino a sentire il cuore cedere sotto il peso delle lacrime, o soffrii le pene dell’inferno più freddo e spietato; piangendo la ferita che un rifiuto indifferente aveva inferto alla mia anima.
Il mio desiderio era unico, ma allo stesso tempo universale e totalizzante, e cercai invano qualcuno a cui potermi offrire completamente, anima e corpo, per dimenticare la melanconia che giorno dopo giorno mi avvolgeva nelle sue fredde spire.
La mia ordinaria vita, vuota, priva di un qualunque scopo, venne sconvolta da un avvenimento che mai avrei potuto prevedere, un regalo che il destino beffardo aveva tenuto in serbo per il mio diciottesimo compleanno. Il mago crudele che voi umani vi ostinate a chiamare destino gettò nelle mie braccia due creature che mai potrò dimenticare, tanto belle quanto fragili come farfalle di cristallo; due persone che entrarono a grandi passi nella mia vita, per cambiarla per sempre. Una coppia che oscillò sempre fra sentimenti d’odio e complicità, stringendo nelle mani un fato che non accettarono fino alla fine.
Una donna che mi amò contro il volere della stessa natura, combattendo a testa bassa contro le convenzioni, contro il giudizio di chi ci circondava; ed un ragazzo che amò in me l’immagine riflessa e sfocata di un uomo che non poté mai avere, cercando nei miei occhi un abisso nel quale rifugiarsi.
Il destino sa essere crudele oltre ogni immaginazione… Capace persino di strappare dalle mie braccia chi fu infine capace di amarmi, anche se per poco tempo, anche se in me cercava un altro tocco, un altro cuore.
Ancora oggi mi domando, immerso nella contemplazione di un cielo che adesso ha una stella in più, se sarò ancora capace di amare…”


Julius schivò, per abilità o per semplice fortuna, l’ennesima onda energetica, evitando in tal modo una ferita senza troppi dubbi mortale, e si affrettò a portarsi al sicuro dietro un palazzo in mattoni. Lasciò che il suo corpo stremato si accasciasse contro il muro sudicio ed imbrattato, il ritmo del suo respiro che piano piano ritornava alla sua normalità, e chiuse gli occhi per pochi attimi.
Non avrebbe mai immaginato la sola sua presenza avrebbe potuto scatenare una reazione tale, e che avrebbe persino rischiato la vita.
“Ma perché deve sempre andare tutto male?” si domandò, sporgendo il viso appena oltre il limite del muro scrostato.
Nella sua mente i pensieri si rincorrevano frenetici, sovrapponendosi l’un l’altro nella spasmodica ricerca di una soluzione, un trucco che gli avrebbe permesso di salvare la sua incolumità, e nello stesso tempo di conquistare l’attenzione della stupenda creatura dagli occhi di ghiaccio. Spostò lo sguardo verso le rovine del laboratorio ed analizzò rapidamente la situazione prima di, eventualmente, uscire allo scoperto e ritentare il suo attacco. Il suo sguardo ingenuo si posò, purtroppo, su quello di Sherin, più glaciale e spietato di un vento del Nord.
-Merda!- sussurrò, dispiegando le ali con un movimento fluido e spiccando immediatamente il volo. Sherin lo imitò con un urlo di rabbia, ed i due cominciarono una singolare caccia all’uomo, nella quale il giovane fu sottoposto alla peggior lezione di vita che avrebbe mai sperimentato. Le ali piumate di Julius furono crivellate dai raggi scagliati dalle mani tese della Sayan la quale, una volta raggiunta la sua preda, prese a graffiare e a colpire con quanta più forza possibile la carne e le piume del ragazzo.
Le unghie diventarono coltelli affilati ed implacabili, con i quali Sherin affondava, graffiava, sfregiava la pelle pallida e fredda, accogliendo con sorrisi colmi di sadismo le urla agghiaccianti che essa stessa provocava. Julius, urlante come un animale ferito, precipitò verso terra, mentre il suo sangue colava lento sul corpo, bagnandone il viso, le braccia, le ali…
-Basta! Per favore, smettila!
Sherin alzò un braccio, preparando a far rimangiare al ragazzo le parole di supplica appena udite, ma dovette accorgersi presto che non era stato il suo avversario a pronunciarle.
Una ragazza di nemmeno sedici anni, non molto alta, snella, il viso stravolto celato appena dai lunghi setosi capelli argentei, la guardava piangendo disperata e tendendo le mani al cielo, verso il corpo esanime di Julius.
-Per favore, lascialo stare! Non è colpa sua, è il virus!- gridò con voce rotta dal pianto, ed il cuore della Sayan si strinse in una morsa di pietà che, decise questa, non era affatto adatta alla situazione.
Vegeta corrugò la fronte e, avvicinatosi alla ragazzina, le strinse il braccio con violenza, strappando un grido a quelle labbra bianche di spavento e dolore.
-Di che virus stai farneticando? Quel pazzo ci ha attaccati senza apparente motivo, ed ora tu pretendi di farci bere una storia del genere?!- sibilò con furia, ed il braccio della giovane si piegò pericolosamente verso la schiena. La ragazza gridò una seconda volta, ed i suoi occhi si fecero lucidi di lacrime -Se sei pronta a giurare, allora conducici all’interno della Asimov Tech. Lì potremo sapere se questa ragazzina sta dicendo la verità.- aggiunse rivolgendosi ai compagni. Goku corse verso di lui, richiamato dall’ennesimo grido straziante della sconosciuta, e la strappò dalla sua stretta.  
-Come ti chiami?- le domandò, massaggiando con delicatezza il punto dove Vegeta l’aveva stretta. Sulla pelle candida erano ancora visibili, rosse e brucianti, le impronte delle dita impietose del Sayan.
-…Sophie Asimov. Mio padre è il proprietario ed il dirigente del laboratorio distrutto…
-Sei consapevole del fatto che tuo padre potrebbe aver perso la vita nell’esplosione?
Nell’udire quelle parole così schiette, le labbra di Sophie tremarono ed i suoi occhi si fecero lucidi zaffiri, ma la sua voce rimase ferma.
-Si. Ma mio fratello è ancora vivo..
-Come fai ad esserne tanto sicura?- domandò Goku, spostando lentamente lo sguardo verso Sherin. La donna stringeva ancora il corpo di Julius nelle mani insanguinate, mentre i suoi capelli cominciavano a perdere le sfumature dorate, così come i suoi occhi, che acquisirono ancora una volta il colore della pece più nera.
-Perché l’ho sentito… L’ho sentito gridare, ho sentito la sua voce… Mio fratello era andato nel laboratorio di papà, ne sono certa. L’ho cercato dappertutto, al lago, dentro casa, poteva essere solo qui…Ultimamente mio padre parlava spesso di un suo nuovo progetto, della sua intenzione di creare un virus talmente potente da essere in grado di trasformare chiunque lo avesse toccato in un mutante…
 -Bio-tecnologia..- sussurrò Yamcha, sedutosi accanto ai due, e prese a frugare nelle tasche dei pantaloni –Io chiamo Gohan. Non so se sia a scuola in questo momento, ma è l’unico che possieda abbastanza conoscenze per aiutarci in una situazione come questa.
-Fantastico Yamcha, grazie. Adesso.. Sophie, giusto?- Goku parlò senza mai lasciare che il sorriso svanisse dalle sue labbra, sebbene dentro di lui non vi fossero che tensione e impazienza –Se Julius fosse davvero tuo fratello, sarebbe capace di spiegarci come sia successo tutto, e magari di aiutarci a trovare una soluzione?
Sophie annuì con un singhiozzo, e non ebbe il coraggio di protestare quando le possenti braccia dello sconosciuto la issarono sopra la sua schiena. Avvolse in silenzio le braccia sottili attorno al collo di Goku, e rivolse lo sguardo al fratello, soffocando i singhiozzi.
Prima di perdere i sensi, Julius riuscì a scorgere il viso dell’amata sorella minore ed a rivolgerle un sorriso rassicurante. Andrà tutto bene, scandì con lenti movimenti delle labbra, non preoccuparti…
-Molto bene- disse Crilin, e si abbassò per prenderlo delicatamente tra le braccia -Anche se avrei preferito non godere del tuo istinto Sayan proprio adesso.. Almeno non su di lui.
Il corpo sottile del ragazzo, inerme contro il suo, era ricoperto da profondi tagli ed ematomi, ferite di cui il sangue bagnava ancora, caldo, le unghie affilate di Sherin.
-Non ricordi? Quando mi trasformo in Half Sayan non ho possibilità di scelta sulla parte di me che prenderà il sopravvento. Tu puoi confermarlo, Vegeta, non è un nome dato a caso.
Il Sayan assentì con uno sguardo grave e fece cenno ai compagni di seguirlo all’interno dell’edificio distrutto. La folla, ignorante di tutto ma consapevole di aver visto ad uno spettacolo senza precedenti, cominciò, prima timidamente poi con vigore, ad urlare ed applaudire.
-Cosa stanno facendo?- domandò Yamcha guardando le persone in delirio ammassarsi loro attorno -Perché stanno applaudendo? In fondo non abbiamo fatto nulla di spettacolare. Il ragazzo ha attaccato noi, soltanto noi, non ha alzato un dito contro la folla anche se avrebbe potuto…
Sherin alzò le spalle con indifferenza, e fu Vegeta a rispondere al vecchio rivale. Seppur con toni sprezzanti.
-Di certo non gliene è mai importato nulla di noi. Quanto credi possano interessare un alieno, un nanerottolo, un idiota, due capelloni ed una donna a gente come questa? Quando hanno visto il raggio del ragazzo colpire la spalla di Sherin, il panico ha subito cominciato a diffondersi e la gente ha cominciato a temere per la propria insulsa vita. Non hai notato una cosa, genio? Sebbene Sherin abbia un aspetto più o meno innocuo, nonostante i canini e le orecchie che qualche volta fanno la loro bella comparsa, nessuno ci ha avvicinati per assicurarsi che non fosse in pericolo. Strano, non è vero? Non appena i colpi si sono susseguiti con regolarità, è iniziata una fuga generale, e la polizia s’è avvicinata a poco a poco, come un cane con la coda tra le zampe. Molti ancora cercano di nascondere il tremore delle loro mani. Se prima ci consideravano dei perfetti estranei, magari così singolari da evitare con diffidenza, adesso sono pronti a tutto per dimostrarci la loro immensa gratitudine.
-In fondo, avrebbero potuto rischiare la vita- intervenne Piccolo, passando un braccio attorno alle spalle della compagna -Cosa dovremmo aspettarci, secondo te?
-E tu cosa credi avrebbero fatto se questo piccolo bastardo avesse avuto la meglio, magari se avesse colpito Sherin proprio in mezzo agli occhi? Altro che applausi o compassione, muso verde. Ci avrebbero considerati dei falliti, dei buoni a nulla! La gente vuole degli eroi che le salvi il culo, ma quando questi non si dimostrano all’altezza del compito non ha alcuno scrupolo nel voltar loro le spalle! Ringrazia che sia stato con voi, altrimenti avremmo dovuto prendere in considerazione l’ipotesi. Se lo guardo, il muso di quel marmocchio mi sembra ancora troppo illeso..- aggiunse e le giunture delle sue dita scricchiolarono minacciosamente, mentre il viso della piccola Sophie diveniva pericolosamente pallido.
La ragazzina era ancora stretta al collo di Goku, ed i suoi lunghi capelli biondi, spettinati dalla lunga corsa; le ricadevano disordinati sulla schiena e sulle spalle conferendolo un aspetto così innocente da essere capace di smuovere il cuore più freddo. Quello di Sherin, benché furioso ed amareggiato dall’aggressione ingiustificata subita solo pochi minuti prima, non tardò ad arrendersi.
-Non è colpa sua! Non è colpa sua, lo giuro! Lo posso provare, datemi solo il tempo di scoprire se le videocamere interne non sono andate distrutte! Vi prego, non fategli ancora del male!
Sherin portò una mano al petto. Improvvisamente una morsa invisibile l’aveva stretto, e la donna si ritrovò a guardare Julius con occhi diversi, e con un gelo dentro di sé che non faceva che aumentare.  Si avvicinò a Sophie e, passando le dita fra i suoi capelli, le parlò con voce più dolce:
-Non è necessario mostrarci alcun video, non preoccuparti. Raccontaci tutto ciò che hai visto, e noi ti crederemo, anche se potrà sembrarci incredibile. Te lo prometto.

Le dita di Sophie esercitarono una lieve pressione sopra l’interruttore della luce, e le lampade al neon si accesero con ronzii appena udibili, mentre un insopportabile odore di morte giungeva alle loro narici; tanto forte da provocare in essi attacchi di nausea.
-Carne bruciata..- sibilò Crilin, coprendosi la bocca con la mano -Qui dev’esserci stato davvero un bel botto..
Sherin e Piccolo trasportavano Julius, le cui braccia erano poggiate sopra le loro spalle, e di tanto in tanto gli occhi della Sayan si dirigevano verso il viso del giovane, socchiudendosi in un’espressione di rimorso. Non aveva mai avuto l’intenzione di ridurlo in un simile stato, eppure non era stata in grado di controllare il suo corpo; e la vergogna provata diventava ormai un peso insopportabile.
-Julius?- sussurrò all’orecchio del ragazzo, e questi dischiuse le palpebre -Mi dispiace.
La bocca di Julius si strinsero, solo per un istante, per poi rilassarsi nell’accenno di un sorriso.
-Non volevo che finisse così, davvero. Non ne sono abituata..
Julius leccò via le tracce di sangue dalle labbra violacee, e si concesse qualche prezioso attimo prima di rispondere.
-A che cosa? Trattare bene i ragazzini?
Sherin contrasse il viso in un’espressione addolorata, e finse di non aver dato troppo peso alle sue parole.
-Da quando ho memoria sono stata abituata a combattere contro avversari molto più forti di me, e spesso ho rischiato anche la vita, e  lo stesso vale per i miei compagni. Perciò ti ho attaccato con tutte le mie forze, senza ragionare sulle tue reali capacità, dando per scontata un’abilità che non avevi. Ho percepito il tuo potere, senza dubbio, ed avvertendo la sua potenza ho lasciato che il mio istinto prendesse il sopravvento.- s’interruppe, corrugando la fronte –Non pensare che io stia cercando scuse, la ferita che mi hai inferto non può essere cancellata..
Si voltò verso il ragazzo. Julius aveva reclinato il capo all’indietro, gli occhi fissi verso il soffitto distrutto, e l’ascoltava sorridendo. Nel suo viso non vi erano tracce di odio, o di sofferenza, tutto in lui sembrava suggerire un’innocenza nuova, un indole serena che mai la donna si sarebbe aspettata.
-Non lo pensavo…
Li lasciò deporre a terra, docilmente, e guardò in silenzio la sorella minore aggirarsi tra i macchinari alla ricerca del minimo elemento chiave che l’avrebbe aiutata nel suo intento. Riportare il fratello alla normalità, a qualunque costo.


In che modo riuscirà Sophie a tirar fuori il fratellone dal mare di guai in cui si è letteralmente tuffato? Sherin e Piccolo stabiliranno una tregua con il giovane sconosciuto? Quali altre idiote avventure partorirà la mia mente malata? XD
Se volete una risposta a queste “essenziali” domande, aspettate il prossimo capitolo! Lo so che ci vorrà un po’ di tempo, ma vi assicuro che non mancheranno i colpi di scena! U.u
Un ringraziamento speciale ed un bacio forte forte vanno a

Le 2 persone che hanno inserito questa storia tra i preferiti: EllyCandy e Aloysia Piton (tesora, sei scomparsa? L )
Le 6 persone che hanno inserito questa storia tra i seguiti: fufa78, Halfblood_princess, HOPE87, Pinklink, _Bonnie_ e Lirin Lawliet.

A quest’ultima, inoltre, invio un importante messaggio: Partorisci presto Ortica e continua a scrivere la meravigliosa fanfic con il nostro Marcantonio!!

To be continued…

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Capitolo 24
*** Please, don't disappear. ***


Le cose, lentamente, avevano iniziato a precipitare.
Sin dal momento in cui il caos era scoppiato davanti alla sede semidistrutta della Asimov Tech., il corso degli eventi aveva imboccato un percorso distorto, frenetico ed allo stesso tempo innaturalmente cadenzato. Come se il destino avesse saputo esattamente cosa sarebbe accaduto da lì a poco tempo, e non avesse avuto fretta alcuna di svelarlo troppo presto.
Julius, il sangue colato dalle ferite ormai rappresosi ed il pallore delle sue gote fattosi un poco meno spettrale, non aveva ancora accennato ad alzarsi dal freddo pavimento ricoperto da rovine e calcinacci. Le labbra strette, i capelli tanto biondi d’apparire bianchi che ricadevano a ciocche disordinate davanti ai suoi occhi,  il ragazzo non ebbe ancora il coraggio d’alzare lo sguardo verso la sorella minore. Dentro di lui la vergogna montava senza controllo, mescolandosi ad un sentimento più infimo, che pareva bruciare dentro di lui come un fuoco invisibile ad occhio nudo.
Rabbia.
Follia.
Le immagini apparvero sfocate ai suoi occhi e le voci ovattate, come se qualcosa d’invisibile ma innegabilmente potente si stesse lentamente adagiando sul suo corpo; racchiudendo ed intensificando ogni singola sensazione da lui provata in quel momento.
Un colpo di tosse scosse il suo petto magro, e qualche goccia di sangue scuro sporcò la superficie liscia del pavimento di marmo. Nonostante la trasformazione che aveva subito soltanto poche ore prima, nonostante la mutazione provocata dal liquido di coltura nel quale era precipitato, Julius era ancora vulnerabile. Era ancora troppo debole, troppo umano.
Ciò che Gohan non aveva ancora compreso, ciò che gli altri non avevano ancora intuito, era che la mutazione genetica non aveva intaccato unicamente il suo corpo. La sua mente aveva subito a sua volta gli effetti devastanti ed irreversibili del liquido di coltura corrotto, ed il suo attacco improvviso tra la folla non sarebbe rimasto di certo il primo ed unico effetto collaterale di un mutamento tanto radicale.
Il suo sguardo appannato si posò sulla figura di Sherin, in piedi a pochi metri di distanza, e le sue labbra si tesero in una smorfia carica d’odio. Quella sporca donna non lo riteneva minimamente degno della sua attenzione, mostrandogli le spalle come se fosse più che certa del cessato pericolo, del suo essere divenuto totalmente innocuo.
Ebbene, quella donna non avrebbe potuto commettere errore più grande.

 -Solamente mio padre ed i suoi collaboratori più stretti sono… erano a conoscenza dei segreti dietro agli ultimi esperimenti della Asimov Tech. Lui non parlava mai del suo lavoro e dei suoi problemi, a casa, e né io né mio fratello abbiamo mai avuto l’opportunità di conoscere a fondo nostro padre.-
Sophie si asciugò le lacrime con due dita tremanti, abbassando lo sguardo non appena percepì gli occhi di tutti i presenti puntati su di sé.
-Perciò non ho la benchè minima idea di come aiutare concretamente mio fratello, di come invertire il processo che lo ha fatto diventare una specie di mutante, o come si chiamano. In poche parole, sono davanti ad un vicolo cieco.
Se solo fosse possibile tornare indietro nel tempo ed impedire che Julius entri in contatto col liquido di coltura, o qualunque cosa abbia provocato la mutazione generica, avremmo già fatto un passo in avanti.-
Gohan fece schioccare silenziosamente la lingua contro il palato, e dopo aver alzato lo sguardo verso le apparecchiature rimaste ancora integre scosse lentamente il capo. Non sarebbe stato facile, e di certo nessuno di loro avrebbe confortato la ragazza mentendo sulla difficoltà della situazione attuale.
Passò una mano dietro la nuca, scompigliando appena i corti capelli neri prima di rivolgere uno sguardo nervoso al padre, in piedi a pochi metri dalla ragazzina. Ormai sull’orlo delle lacrime, Sophie iniziò ad aggirarsi tra i macchinari ancora funzionanti, esaminando gli schermi illuminati, poggiando nervosamente le piccole mani bianche sopra quadri di comandi dei quali non conosceva le esatte funzioni, cercando disperatamente una via d’uscita da quella situazione assurda.
Deludendo le aspettative della sua famiglia, non si era mai interessata al lavoro del padre. Aveva scelto un percorso di studi quanto più distante possibile dalla biotecnologia, inquietata e spaventata dalla possibilità
che l’uomo aveva conquistato di modificare anche in via definitiva il proprio dna. Era un mondo col quale non avrebbe mai voluto avere a che fare, e l’ironia che le aveva riservato il destino quasi non la fece scoppiare in una risata isterica.
Lei era una Asimov, e non sarebbe mai potuta sfuggire al suo stesso sangue.
A soli pochi metri di distanza da lei, inginocchiato sul freddo pavimento, Julius non aveva distolto una sola volta i suoi occhi da due persone in particolare, due persone che sembravano averlo ossessionato sin dal primo istante in cui erano apparse nel suo campo visivo.
Quella donna. Sebbene non avesse avuto una particolare ragione, un motivo razionale per provare qualcosa di simile, Julius non sapeva come chiamare quel sentimento bruciante se non odio. Odio, astio, desiderio di poterla cancellare con un solo schiocco delle dita.
Una rabbia totalmente irrazionale, sbocciata silenziosamente sotto la spinta di un virus genetico che oramai aveva preso il completo controllo del suo corpo e della sua mente, cancellando minuto dopo minuto tracce del vero Julius Asimov. Dentro di lui una parte della sua razionalità stava ancora combattendo per sopravvivere, ostinatamente, ma nessuno avrebbe potuto dire con certezza quanto a lungo sarebbe durata quella silenziosa ribellione.

 -Aspettate solo un momento. Ragazzina, ripeti un po’ quello che hai appena detto.-
Sophie sollevò lo sguardo, affrettandosi ad asciugare le lacrime che avevano iniziato a rigarle le guance prima di rendersi conto che si, uno dei due uomini più muscolosi le aveva appena rivolto la parola.
Vegeta strinse le labbra, irritato dal momentaneo silenzio della ragazzina, ed iniziò ad avvicinarsi velocemente a lei con uno sguardo minaccioso dipinto sul volto. Uno sguardo che di certo non aiutò la giovane a ritrovare le parole.
-Se non sbaglio hai detto che ti piacerebbe tornare indietro nel tempo, giusto? Allora apri bene le orecchie, e rispondi a questa domanda: il tuo caro paparino ha mai avuto la brillante idea di farsi costruire una macchina del tempo?-
Fu come un lampo nella nebbia, ed ogni singola persona presente nella stanza diede a sé stessa dell’imbecille per non averci pensato prima. Considerando ciò che avevano vissuto in passato, grazie all’incontro col Trunks venuto dal futuro, l’idea di utilizzare una macchina del tempo avrebbe dovuto maturare molto prima nelle loro menti. Sherin, dal canto suo, fu pericolosamente tentata di schiarirsi le idee colpendo il muro con la fronte, e probabilmente l’avrebbe fatto se Piccolo non l’avesse prontamente afferrata per la vita.
-Si, potrebbe funzionare. Certo, è una mossa piuttosto azzardata e tutti noi sappiamo bene quanto sia rischioso cambiare il corso del tempo, ma almeno per il momento è l’unica alternativa che abbiamo.
Proviamoci, e vediamo come va.-
Il viso di Gohan si distese ed i suoi occhi parvero acquistare immediatamente una luce più viva, scacciando almeno in parte l’angoscia che quelle ore terribili avevano insinuato in ognuno di loro. Si voltò verso il padre, cercando e trovando nel cenno che questi gli rivolse l’approvazione della quale ebbe bisogno per attivarsi e cercare di mettere in atto l’idea di Vegeta.
Sophie comprese ciò che il ragazzo aveva in mente di fare e, allontanatasi rapidamente dal macchinario al quale si era aggrappata poco prima, premette due dita contro una tempia nel silenzioso sforzo di ricordare.
Si, suo padre non parlava volentieri del suo lavoro ma, a volte, capitava che questi decidesse di aprire ai propri figli un effimero scorcio su quella che era la sua vita professionale, ed era stato durante una di queste rare occasioni che Sophie ricordò di averlo sentito parlare di qualcosa del genere. Non aveva usato esattamente le parole “macchina del tempo”, ma era certa che suo padre avesse voluto intendere qualcosa di molto simile dicendo di aver finalmente ottenuto la possibilità di modificare il corso degli eventi. E di poterlo fare solamente con l’ausilio di un solo macchinario.
Poteva funzionare. Doveva funzionare, per il bene di suo fratello, per il bene di tutti.
Senza quasi che la ragazza potesse rendersene conto, le sue gambe iniziarono a muoversi sempre più rapidamente, alla ricerca di qualcosa che somigliasse anche solo lontanamente ad una di quelle “macchine del tempo”. Se c’era anche solo una possibilità di riportare suo fratello alla normalità, e così facendo di salvare la vita di suo padre e quella dei suoi collaboratori, Sophie non se la sarebbe lasciata sfuggire per nessuna ragione al mondo.
A quel pensiero gli occhi della ragazza si fecero pericolosamente umidi, sotto il peso schiacciante della consapevolezza che nessuno avrebbe potuto sopravvivere ad un’esplosione come quella che aveva squarciato il cuore pulsante della Asimov Tech.

 -Qui, venite tutti qui! Credo di aver trovato qualcosa d’interessante.
La voce di Piccolo risuonò chiaramente nell’aria, e Sherin fu la prima a precipitarsi nella sua direzione.
Le dita affusolate della dona si strinsero attorno ad un lungo telo bianco reso lurido dai calcinacci e dalla cenere, sistemato a coprire quella che sembrava essere una specie di macchina di medie dimensioni, strappandone lunghi brandelli quanto più velocemente potesse. Nonostante la spalla ferita e le forze che cominciavano lentamente a venir meno, Sherin non aveva ancora perso il suo vigore, vigore che Piccolo potè percepire chiaramente bruciare nella luce che si accese negli occhi di lei.
Solamente per qualche attimo gli sembrò di rivedere l’antica forza vitale che anni addietro aveva visto in lei, quella stessa forza che tanto lo aveva travolto il giorno del loro primo incontro. Una forza che il corpo della donna emanava come un’aura invisibile ma allo stesso tempo terribilmente intensa.
Sherin non aveva bisogno di un vero e proprio motivo per continuare a vivere, ma di tanti piccoli tasselli, tasselli che avrebbe pian piano unito in quella specie di puzzle complesso ed irrisolvibile che era diventata la loro vita. Aiutare Julius non era che un tassello in più, qualcosa alla quale aggrapparsi per non perdere il contatto con la vecchia sé stessa, quella Sherin che per nulla al mondo avrebbe lasciato svanire.
Ai loro occhi si svelò un macchinario coperto di polvere, più simile ad una cabina ricoperta da schermi e comandi che ad una vera e propria macchina del tempo, macchinario che parve ridestare immediatamente la vitalità della giovane Sophie.
Questa vi si avvicinò di corsa, lasciando poi correre le mani sui vari pulsanti e tasti nella silenziosa ricerca di quello che avrebbe dato avvio all’accensione della macchina. Sebbene avesse immediatamente riconosciuto il dispositivo dei racconti di suo padre, Sophie non aveva la benchè minima idea di come “accendere” quella sottospecie di macchina del tempo, e non seppe trattenere un sospiro di sollievo nel vedere Bulma accorrere in suo soccorso.
-Sai come funzionano apparecchi del genere?-
Bulma si concesse qualche attimo di silenzio prima di rispondere con un lieve cenno del capo, i grandi occhi azzurri fissi sul quadro comandi principali della macchina del tempo, vigili ed attivi come la mente che stava lavorando assieme ad essi.
-Più o meno, piccina, più o meno. Macchinari come questi sono stati costruiti utilizzando tecnologie molto potenti, ma inspiegabilmente le aziende più famose non decisero di utilizzarle per i loro prodotti, così sono stati relegati ad un mercato più di nicchia. E’ probabile che tuo padre fosse stato tra i pochi in grado di intuire il loro potenziale. Fortunatamente, anche il mio decise di sperimentare dispositivi come questo, perciò so almeno come “accenderlo” ed evitare che si blocchi prima di funzionare del tutto.-
Mentre parlava, le dita di Bulma si muovevano rapide sui tasti e vicino agli schermi già accesi, mentre serie di numeri indecifrabili presero a scorrere incessantemente su di essi.
Tra di loro calò un pesante silenzio. Nessuno ebbe il coraggio di commentare, di pronunciare anche solo una parola, o di respirare più pesantemente del dovuto. Gli occhi di tutti erano puntati su Bulma, tranne quelli di due persone. Sherin e Piccolo erano in piedi davanti alla macchina del tempo, l’uno vicino all’altra, le braccia tanto vicine da sfiorarsi e gli occhi che di tanto in tanto si posavano sul viso dell’altro. Come se stessero tacitamente comunicando tra di loro, come se non sentissero il bisogno di dire alcunchè. Attendevano, in silenzio, mentre Sherin finalmente cercò l’abbraccio del compagno, in un gesto carico d’affetto che soltanto Gohan ebbe la delicatezza e la fortuna di cogliere.

 Fu esattamente in quel momento che le cose iniziarono a precipitare.
Julius, che sino a quel momento era rimasto praticamente immobile dove Sherin lo aveva depositato poco dopo essere entrati nella sala semi distrutta, sembrò perdere definitivamente il senno.
Lunghi brividi iniziarono a percorrere il suo corpo, e la calma che era riuscito a mantenere sino a pochi istanti prima svanì completamente, lasciando il posto ad una rabbia tanto incontrollata quanto irrazionale. Percepì un odio mai provato prima, una voglia incontenibile di distruggere, di dimostrare al mondo intero quanto fosse diventato potente. Di cosa era divenuto in grado di fare.
Con un grido di rabbia tese le mani unite verso il gruppo, ancora radunatosi attorno alla macchina del tempo, e tutta l’energia del suo corpo venne incanalata nella punta delle sue dita, ove si formò una sfera lucente bruciante d’energia. Una sfera che non attese un solo attimo in più prima di mutare in un dardo dorato e sfrecciare proprio al centro del macchinario in piena funzione. Quell’unico lampo di pura energia penetrò all’interno di esso, distruggendo microcip ed innescando una vera e propria reazione a catena che si rivelò essere a dir poco disastrosa.
-Yamcha! Prendi Bulma e vattene da qui, vattene da qui assieme a tutti gli altri.
-Gohan, ti affido Sophie! Portala al sicuro, presto!
Nel caos più completo, nessuno dei presenti potè ignorare il tremendo boato che scaturì dall’interno della macchina, fragore che si rivelò essere solamente il preludio a qualcosa di molto più pericoloso ed imprevedibile. Lentamente, un bagliore di un candore abbagliante si allargò dove il metallo polveroso era stato squarciato, occupando sempre più spazio man mano che i secondi passavano. Goku, Vegeta si allontanarono immediatamente da esso, mentre il resto del gruppo sfrecciò lontano seguendo gli ordini che questi avevano impartito loro solo pochi attimi prima, non senza l’amarezza nel cuore per aver abbandonato i compagni in una situazione tanto critica.
Goku si guardò rapidamente attorno, combattendo contro l’angoscia crescente per cercare di elaborare al più spesso un modo per risolvere quel problema, o anche solo per impedire che anche uno solo dei suoi amici ne uscisse ferito, o peggio.
Fu in quel momento che si accorse che qualcosa non andava. Quella specie di varco, o di qualunque cosa si trattasse, stava attirando tutto ciò che aveva attorno come se possedesse una propria, invincibile forza di gravità.
-Sherin. SHERIN, NO!
Il grido che si liberò al di sopra del frastuono non provenne dalle labbra del sayan, bensì da quelle di Piccolo, le cui mani si chiusero attorno al nulla nel tentativo di afferrare quelle della compagna.
Sherin ebbe soltanto il tempo di gridare il nome di Piccolo prima di venire completamente inghiottita da quella voragine di luce bianca, e passarono interi secondi prima che il suo urlo di disperazione si spegnesse definitivamente. Pochi secondi prima di scomparire, avvolta da fasci di luce candida, i suoi compagni ebbero il tempo di cogliere un’ultima immagine dei suoi occhi, neri come la pece, rilucere in contrasto con quel bianco terrificante.
Pochi secondi dopo, di lei non vi fu più traccia.
Incapace di reagire, di muovere anche solo un muscolo, Piccolo rimase immobile. I grandi occhi spalancati, le labbra schiuse in un grido privo di voce, il guerriero  si voltò lentamente verso Goku; muovendo lentamente le labbra a formare silenziose parole che questi riuscì a comprendere solamente quando fu ormai troppo tardi.
Il grido di Goku giunse troppo tardi alle orecchie del namecciano, troppo tardi il sayan scattò verso di lui per tentare di afferrarlo ed impedirgli di mettere in atto la sua folle idea. Piccolo si era già lanciato in direzione del varco, della voragine che aveva trascinato dentro di sé l’unica persona che sarebbe mai stato in grado di amare, l’unica ragione per la quale costringeva sé stesso ad andare avanti giorno dopo giorno.
Un accecante lampo di luce, e Piccolo scomparve.
Un solo istante, e i due guerrieri rimasti videro la macchina del tempo inglobare dentro di sé ciò che il raggio lanciato da Julius aveva generato, mentre il freddo glaciale che aveva pervaso la stanza sfumò lentamente sino a scomparire del tutto.
Così come erano precipitate, le cose sembrarono ritornare ad un’apparente normalità, una normalità che si presentò pervasa da una sfumatura inquietante, cruda ed inaccettabile. Goku rimase immobile, la sua mente ancora incapace di accettare ciò che i suoi occhi avevano appena visto accadere. Due dei suoi amici più cari erano letteralmente svaniti nel nulla, inghiottiti da un varco temporale che nessuno sapeva se li avrebbe mai restituiti alla loro realtà.
In quel momento, le parole di Piccolo risuonarono chiare nella sua mente, e lo sguardo disperato quanto deciso del namecciano balenò davanti ai suoi occhi. Come se fosse ancora lì, davanti a lui.

 
Vado a riprenderla.

 

 

 

 

Surprise, mutherfuckers.
Siete stupiti? Non vi preoccupate, lo è anche la sottoscritta.
Lo sono perché mai avrei creduto che questa storia potesse continuare a vivere, che le vicende di Goku, Piccolo, Sherin, Vegeta e tutti gli altri riprendessero a muoversi attraverso la mia scrittura.
Avete presente il blocco dello scrittore? Ecco, per ben tre anni ne ho sperimentato uno alla massima potenza e poi, un mese fa, è svanito nel nulla.
Ho preso carta e penna, e le parole hanno iniziato a fluire come un fiume in piena. Sherin e tutti gli altri hanno finalmente ripreso a “muoversi”, ed io mi sono sentita ancora una volta completa.
Perché si, questa storia ormai fa parte di me, con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti. E’ parte di me, ed ho deciso di riprovarci ancora una volta.
Certe cose sono “worth the risk”, e Behind the Sunrise lo sarà sempre.

 

 
Grazie a tutti quelli che leggeranno questo capitolo, e a tutti quelli che avranno voglia di ricordarsi di questa mia storia tormentata ed a modo suo ancora un poco ingenua.

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Capitolo 25
*** Warning: two freaking years later. ***


 

Warning: 2 freaking years later.

 

 Semplicemente, ancora mi rifiuto di arrendermi. Dopo ben sette anni, ancora non riesco a dare una degna conclusione a quella che continuerò sempre a considerare come la mia opera prima, come la creatura imperfetta ed incompleta che ha segnato l’inizio pulsante di una passione per la scrittura che, col passare degli anni, si è fatta sempre più forte.
Se sto scrivendo il capitolo numero 25? Si, anche se per il momento non è che una bozza ancora da rivedere, riscrivere e correggere, fra tutti gli impegni di donna-semi adulta che la vita continua a rifilarmi.
Se la storia verrà rivista e corretta in molti suoi punti, decisamente si, soprattutto per quanto riguarda i primi sedici capitoli: ovviamente la trama in sé non subirà il benchè minimo cambiamento, ma la struttura e lo stile dei capitoli verranno corretti per adeguarsi meglio ad uno stile che col tempo si è fatto inevitabilmente più maturo, e totalmente diverso da quello di quasi dieci anni fa. Sarò una “mamma” troppo puntigliosa ed esigente, ma Behind the Sunrise rappresenta ancora una piccola, importantissima parte di me, ed è mio dovere darle se non una fine, almeno una parvenza di continuazione.

Se c’è ancora qualcuno che si ricorda di Sherin, Piccolo, Kaim, Yumi, Bulma, Vegeta e tutti gli altri protagonisti di questo piccolo, sconclusionato e meraviglioso universo, allora gli chiedo umilmente di aspettare ancora un poco. Qualche mese, forse un anno in più, di continuare ad avere pazienza anche se sono perfettamente consapevole di non meritarla più. Voglio concedere un’altra possibilità alla me stessa di 15 anni, ancora follemente innamorata di DragonBall e della propria fantasia.

 

See you around,
Bittersweettaste.

 

 

 

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Capitolo 26
*** Can we go back in time? ***


La disperazione sa essere compagna fedele, puntuale in ogni sua indesiderata visita, sino ad abituare la lingua al suo sapore acre e rivoltante. Viscido, nauseante, oramai familiare. Vibrante e bruciante come l’ennesima scarica che, ancora una volta, venne scagliata contro il nulla più totale. Contro uno spazio crudelmente indefinito e privo di confini apparenti, violento come l’urlo di rabbia che esplose dai polmoni della donna. Un urlo senza eco alcuno che lo accompagnasse, sfogo solitario al quale non seguì che un assoluto ed assordante silenzio. Silenzio tutt’intorno, silenzio lungo la pelle e sin dentro le ossa, in un contrasto feroce e crudele accanto alla rabbia che presto li avrebbe consumati dall’interno, alla sensazione d’assoluta impotenza al cospetto di un destino che altro non aveva fatto se non ostacolarli con ogni sua forza. Per poterli sconfiggere una volta per tutte.

-Lascia perdere, ti prego. Finirai per ammazzarti.-
-Dovrei mettermi in un angolo ed aspettare che tutti si risolva da solo? E’ questo che vuoi?-
Nello stesso istante in cui terminò di pronunciare quell’ultima, insensata domanda, si rese conto di quanto crudele ed immeritato fosse stato il suo scatto d’ira, soprattutto se ingiustamente rivolto contro chi invece non desiderava altro che proteggerla. Portò una mano al volto, la vecchia cicatrice quasi dolorante contro la pelle un poco più morbida e calda del palmo. Se avesse perduto la calma, se avesse lasciato che la rabbia e l’angoscia riuscissero ad avere la meglio sulla sua razionalità, allora tutto sarebbe andato in pezzi. E lui, lui non lo meritava. Il suo continuare a lottare, giorno dopo giorno, non era che per lui, per il desiderio di potergli donare la vita felice, serena, che più di ogni altri meritava.
-Perdonami. Perdonami.-
Una sola parola, pronunciata in un soffio di fiato, prima di sentire la gambe cedere, la terra mancarle sotto i piedi. Ancora una volta, non era stata in grado di mantenere il giusto controllo sulla propria forza. Ancora una volta, aveva lasciato che l’istinto sopraffacesse la ragione e prosciugasse ogni singola goccia di quella stessa energia che il corpo avrebbe dovuto invece custodire; perché nessuno sarebbe apparso dal nulla per salvarli, per riportarli a casa con un semplice schioccare di dita. Non avevano che le loro stesse forze su cui fare affidamento, e lei ora non ne aveva più. Si lasciò crollare con un’imprecazione mormorata a denti stretti, una silenziosa maledizione rivolta a sé stessa ed alla sua stupidità, ma il suo corpo non toccò mai terra. L’attesa dell’impatto, delusa dalla sensazione di un paio di braccia a stringersi attorno a sé, dalla sicurezza di un calore quanto più familiare ad infrangersi contro la pelle ed il cuore. Non una parola venne spesa da parte di Piccolo, non un solo accenno di conforto, ma un paio d’occhi fissi in un punto indefinito in quel orizzonte orribilmente infinito; mentre la sua aura continuava ad aumentare vertiginosamente, minuto dopo minuto. E lei, sapeva perfettamente cosa significasse quel silenzio, quello sguardo, cosa si celasse dietro quella calma calcolatrice, dietro quella traccia immortale della freddezza che un tempo tanto era stata capace di inquietarla sin nel profondo.
Piccolo aveva qualcosa in mente.

-Ho bisogno che tu faccia una cosa per me. Ho bisogno tu raccolga ogni briciolo rimasto della tua energia, che la tua aura si dilati sino allo stremo, sino a quando non sentirai il tuo corpo minacciare di infrangersi in mille pezzi. Faremo un ultimo tentativo, e tu dovrai essere al mio fianco. Perché solamente unendo  le nostre forze potremo avere anche solo qualche speranza di uscirne vivi. Lo so, è rischioso, e sembra il classico piano destinato a fallire miseramente. Siamo soli, non abbiamo fagioli senzu, e se dovessimo ridurci in fin di vita questa diventerebbe la nostra tomba. Ma dobbiamo tentare. Per loro.-
Gli attimi di silenzio che seguirono alle sue parole, parvero dilatarsi in eterno. Paura, determinazione, disperazione,  speranza, fuse assieme in una continua tensione, tanto violenta da procurare quasi un dolore fisico. Tanto da lacerare l’anima.

-In fondo, rischieremmo di morire comunque.-
La stretta delle braccia di lui si sciolse lentamente, quasi con cautela, assicurandosi che la compagna fosse in grado di reggersi sulle proprie gambe prima di portarsi al suo fianco. Prima di lasciare le aure di entrambe libere di esplodere e divampare in tutta la propria forza, quasi al limite della disperazione. Solo un’ultima esitazione prima di sferrare il colpo finale, solo pochi secondi di umana debolezza nell’abbraccio che vide le loro mani unirsi.  Le dita dell’una morbidamente intrecciate attorno a quelle dell’altro, in una carezza che non ebbe necessità di parole alcune. Mormorarsi un “andrà tutto bene, non preoccuparti” senza doversi affidare alla voce ed al suo tremore, ricercare e trovare nell’altro la forza necessaria per un ultimo atto di coraggio. Il tempo di un respiro più profondo, nulla di più, ed un fascio di pura energia esplose dalle loro mani tese, pronto a divorare il freddo candore che ancora li circondava. Dardo insaziabile che squarciò violento l’atmosfera, rubando loro solamente altri secondi d’ansiosa attesa, prima che un varco si aprisse davanti ai loro occhi increduli. Dilatandosi pian piano, a fatica, sino a creare lo spazio necessario a permettere il passaggio di una persona adulta. E non ebbero bisogno che di scambiarsi un fulmineo sguardo d’intesa, prima di lanciarsi insieme in direzione della voragine, ancora l’uno accanto all’altra, ancora uniti. L’ultimo, disperato sforzo, l’ultimo barlume d’energia,  per lanciarsi verso l’ignoto senza mai guardarsi indietro, per svanire in un lampo di luce bianca poco prima che il varco si richiudesse dietro di essi.

 

_______

 

 

-Riconosco questo luogo. Lo riconosco, eppure continuo ad avere una brutta sensazione.-
-Come se qualcosa non quadrasse.-
Tutt’intorno flebili se non inesistenti tracce di passata presenza umana, sottili strati di polvere lungo la superficie di teloni bianchi a coprire quelli che ad un primo, rapido esame visivo, risultarono non essere altro che macchinari da tempo inutilizzati. Non più l’odore penetrante di fumo e carne bruciata ad appestare le narici, non un solo detrito ad ostacolare i loro passi, nessuna facciata dell’edificio spazzata via da violente esplosioni. La Asimov Tech. sembrava essere rinata e sepolta nel giro di poche ore, totalmente ripulita da qualunque prova, da qualsiasi traccia che avesse potuto anche solo rimandare al disastro consumatosi tra quelle mura. Com’era possibile, cancellare e dimenticare una simile tragedia in così poco tempo? Chi mai sarebbe stato capace di una simile ingenuità?
Il silenzio tombale regnante venne spezzato da un’imprecazione soffocata di Sherin, mentre gli occhi di Piccolo continuavano ad esaminare attenti ciò che li circondava, registrando immediatamente ogni nuovo dettaglio, ogni minimo particolare; mentre la mente cercava di incastrare ogni singolo tassello di un puzzle ben più complicato di quanto avessero creduto. Un dito fatto scorrere lungo la plastica ingrigita di un telo, inoltre, rivelò uno strato di polvere più spesso e stratificato di quanto intuito in un primo momento, indizio freddamente rivelatore dello scorrere del tempo. Quanto era realmente accaduto, durante la lor assenza? Quanto tempo era passato, durante il loro “esilio” nel varco spazio-temporale?

-Piccolo! Vieni qui, presto!-
La voce di Sherin giunse un poco distante alle sue orecchie, la figura della donna perfettamente visibile nonostante avesse raggiunto –ed infranto con un calcio- una delle vetrate superiori, per affacciarsi al mondo esterno. Pochi attimi e fu nuovamente al suo fianco. Pochi attimi ed una nuova, inquietante consapevolezza iniziò a farsi strada in loro; il gelo nelle ossa ed il pavimento improvvisamente instabile sotto i piedi.
La città aveva mutato aspetto. Non radicalmente, certo, ma sarebbe stato impossibile non accorgersi del maggior numero di grattacieli, della modernità più o meno lussuosa delle case, dei modelli d’auto mai visti prima  percorrere le strade sotto di loro. Attorno al perimetro del laboratorio, invece, era stato eretto un lungo, alto recinto di sbarramento in filo spinato, così da impedire l’accesso alla zona a chiunque potesse essere tentato di sbirciare all’interno dell’edificio. Non fu necessario voltarsi verso la compagna, per percepire la sottile ansia crescerle sottopelle, insinuarsi nella sua voce e nel ritmo dei suoi respiri, nell’ombra scura che le calò sullo sguardo. In loro assenza, il tempo aveva continuato imperterrito la propria corsa, e non avrebbero più potuto ignorare quell’assurda verità. L’unico dubbio ancora da sciogliere, quanto esattamente.

-Dobbiamo trovare Bulma.

 

_______

 

 
-Vuoi che lo faccia io?-
-No, non preoccuparti. Sto bene, è solo che ho paura.-
-Di che cosa?-
-Di quello che potremmo trovare al di là di questa porta.-
La Capsule Corporation non aveva subito alcun cambiamento, almeno non a giudicare dal suo aspetto esteriore. Al di la dell’ingresso principale era possibile udire il vociare ed il movimento al suo interno, che si trattasse di membri del personale quanto di elementi della stessa famiglia Briefs, ognuno di essi impegnato con la propria vita, ignaro di chi stesse attendendo solamente a pochi metri di distanza. Se solo avessero preso coraggio, se avessero finalmente rivelato la loro presenza, chi avrebbero trovato ad accoglierli? Tormentata dal dubbio, dal timore di vedere le poche certezze ancora rimastele infrangersi per l’ultima volta, Sherin rimase immobile, incapace di compiere anche il gesto più semplice.
-Al diavolo.-
Con uno scatto, il dito indice di Piccolo premette più volte contro il pulsante del citofono, lo stesso vecchio modello che la famiglia Briefs per tanti anni si era sempre rifiutata di rottamare per uno più efficiente e moderno. Un ricordo piacevole, tenero, che per qualche istante lasciò indugiare un debole sorriso lungo le labbra della donna. Sorriso che si congelò lentamente sul viso, quando finalmente la porta venne aperta.
Davanti a loro una ragazza di circa sedici o diciassette anni, il corpo dalle forme ancora un poco acerbe costretto dentro un completo scarlatto forse un po’ troppo aderente per la sua età, le labbra prive di rossetto curvate appena in un’espressione di totale disinteresse. Non si preoccupò minimamente di spezzare l’imbarazzato silenzio calato non appena gli sguardi dei due stranieri si erano posati su di lei, né di smettere di gonfiare e far scoppiare subito dopo bolle di chewing-gum di discrete dimensioni. Gomma rosa, capelli turchini.

 

-Mamma! Ci sono due tizi strambi alla porta, secondo me non parlano nemmeno la nostra lingua. Chiama papà, io non voglio averci nulla a che fare.-
Detto ciò si allontanò verso l’interno dell’edificio, senza una sola parola di commiato se non una linguaccia irriverente ed una scrollata di spalle, provocazioni che normalmente avrebbero irritato entrambi ma che passarono totalmente inosservati; spazzati via dalla disarmante confusione che aveva impedito loro di pronunciare anche solo una parola. Incapaci di entrare, incapaci di tornare indietro, come impietriti davanti ad un luogo un tempo così familiare ed ora così sconosciuto, quasi estraneo alla memoria dell’istinto.
Non dovettero attendere a lungo prima di udire il rumore leggero ed appena percettibile di nuovi passi, diversi da quelli che poco prima li avevano preceduti. Passi lenti, misurati, stanchi. Stanchi come le ombre scure sotto palpebre segnate delicatamente dal tocco leggero delle prime rughe, sottili e discrete come quelle ad incorniciare gli angoli d’una bocca morbidamente stretta attorno al filtro candido di una sigaretta ancora spenta. La donna teneva gli occhi bassi, chini ed attenti sul blocchetto fitto di appunti a pena stretto tra le dita di una mano, mentre le dita dell’altra continuavano a giocherellare con un accendino in plastica colorata. Il blocchetto sparì in una tasca del camice e la fiamma dell’accendino iniziava già ad attecchire all’estremità della sigaretta, quando lo sguardo di lei si decise finalmente a sollevarsi per affrontare i due visitatori. Aveva già scacciato non pochi seccatori dall’inizio della giornata, e di certo non avrebbe riservato un trattamento di favore agli ennesimi rompiscatole venuti a bussare alla sua porta. Il congedo frettoloso già pronto sulla punta della lingua, tuttavia, parve spegnersi in gola non appena la memoria, la consapevolezza, i ricordi si abbatterono su di lei come un fiume in piena; spazzando via tutto ciò che incontrarono lungo il loro cammino.

Appena il tempo di mormorare un “mio dio” strozzato, e le gambe di Bulma cedettero improvvisamente sotto il peso del suo corpo, senza che la sua vecchia amica potesse soccorrerla in tempo.

 

_______

 

Il silenzio era diventato ormai di rito, in quel giorno surreale.
Tra le mura del salotto di casa Briefs, pesante ed insostenibile come un macigno a pesare sul petto di ognuno dei presenti, mentre il posacenere in vetro sistemato sul tavolino continuava a riempirsi di mozziconi di sigarette. Bulma già alla quarta da quando era riuscita a riprendere i sensi, Sherin alla prima dopo anni e ben sapendo quanto Piccolo ne detestasse il solo odore. Per quel giorno, però, entrambi vollero concedersi il beneficio di un’eccezione. Nessuno di loro ancora in grado di parlare, di chiedere o di dare spiegazioni, tutti e tre troppo stanchi per indulgere nella gioia di essersi ritrovati.

-Vi avevamo dati per dispersi. Vi avevamo dati per morti. Abbiamo aspettato sino allo stremo prima di rassegnarci ed accettare la realtà, e vi assicuro non ci sia stato un solo giorno in cui io non abbia visto Gohan sull’orlo delle lacrime. Anche ora avrei voglia di pizzicarmi un braccio, perché troppe volte mi sono svegliata in questo preciso istante per riuscire a credere di non stare sognando.-
Ancora silenzio, ancora dolore. Sherin spense con un gesto secco nel fondo del posacenere ciò che ancora rimaneva della sua sigaretta, le labbra contratte in una linea dura, sofferente, il cuore lacerato dai sensi di colpa. Era stato un incidente, una fatalità al di fuori del loro controllo, e chiunque tra i presenti in quella stanza era perfettamente consapevole che, se doveva essere trovato un responsabile, altri non era che quel folle ragazzino reso imprevedibile da una mutazione genetica. Come se si fosse ricordata soltanto in quel momento della sua esistenza, Sherin sollevò di scatto il viso in direzione dell’amica.
-Che fine ha fatto Julius?-
La sua domanda non ricevette mai risposta. Bulma distolse lo sguardo, fragile come mai Sherin l’avesse vista, lasciando che il silenzio inghiottisse ciò per cui ancora non aveva la forza sufficiente a dilungarsi in spiegazioni. Almeno per il momento.

-C’è una cosa che dovete vedere, tutti e due.-

 

_______

 

Lo schermo a cristalli liquidi, ampio quasi quanto la parete adiacente, fu probabilmente la prima cosa che catturò la loro attenzione non appena entrati nel laboratorio principale. Forse un ultimo modello acquisito di recente e da Bulma tenuto ben protetto dalle zampacce indelicate di suo marito, a giudicare da quanto appariva lucido e ben tenuto. Una volta davanti al palmare di controllo, Bulma sembrò perdere in un solo istante tutta la sicurezza faticosamente racimolata solamente qualche minuto prima: le spalle scosse da un lieve fremito, lo sguardo perso in chissà quali riflessioni, così fragile e smarrita dentro quel camice da uomo. Sherin mosse un primo passo nella sua direzione, incerta se dire qualcosa o soltanto abbracciarla, stringerla forte a sé per assicurarla che no, non si trattava di un sogno, e che non avrebbe dovuto sopportare il dolore di un improvviso risveglio nella realtà. Prima che potesse compiere un qualsiasi gesto le dita dell’amica presero a muoversi lungo lo schermo del palmare, digitando codici, aprendo cartelle, sino a quando la schermata principale non mutò in un uniforme quadrante neutro.
Una, due, tre, quattro.
Una dopo l’altra, immagini di diverse dimensioni vennero proiettate a formare un irregolare mosaico di momenti catturati dall’obiettivo di una diligente macchina fotografica. Nell’arco di una sola manciata di secondi diciotto anni di vita sbocciarono silenziosi davanti ai loro occhi, inarrestabili, narrati da fotogrammi belli e dolorosi come una stretta mortale al cuore. Diciotto anni negati da un solo gesto crudele ed egoista, diciotto anni persi per sempre e consegnati loro dalla generosa magnanimità di chi invece era rimasto. Di chi aveva avuto la possibilità di viverli anche per chi non avrebbe desiderato altro che esserne parte a sua volta. L’ultima foto apparve al centro esatto dello schermo, tanto grande da occuparne quasi una buona metà. Il tempo di un respiro, nulla di più, e nell’assordante silenzio del laboratorio risuonò chiaro e straziante il pianto soffocato di Sherin, solo una mano premuta contro la bocca a soffocarne i singhiozzi. 

Un ragazzo di nemmeno diciott’anni sorrideva timidamente, seduto a gambe incrociate sulla riva di un lago, i grandi occhi traslucidi socchiusi appena e fissi verso l’obiettivo, verso chiunque avesse scattato quella fotografia; i lunghi capelli neri stretti in una treccia tanto lunga da sfiorare il centro della schiena.
Nel suo sorriso, non una sola traccia di dolore.

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Grazie per aver aspettato, chiunque abbia avuto la pazienza di farlo.

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Capitolo 27
*** I walked with you once upon a dream. ***


Un anno prima.

 
Al di là del vetro, le stelle brillavano silenziose.
Innumerevoli, luminose, del tutto incuranti delle persone che continuavano a muoversi, respirare, vivere all’interno della Base 2. Un luogo intracciabile ed invisibile ad ogni radar, un quartier generale che da anni operava celato nell’ombra, cuore pulsante di un’organizzazione che mai aveva avuto intenzione di scendere a patti con l’ordine interstellare. Una Base più simile ad un nascondiglio preparato e pronto per ogni emergenza, costruito sul terreno aspro e sterile di un pianeta una volta florido e popolato. il piano B dove, diciotto anni prima, la Poison Corporation era strisciata a leccarsi le ferite.
Lei lo odiava, con tutto il suo cuore. Odiava quella prigione di mura, metallo e disciplina militare, odiava i rigorosi controlli medici ai quali il suo corpo veniva regolarmente sottoposto, odiava la viscida ed onnipresente consapevolezza di non essere altro che l’ultimo gioiello del dottor Colfen. la nuova punta di diamante della sua corona, la “creatura” che per diciotto lunghi anni aveva cresciuto e studiato come una bestia rara, come un’arma dalle infinite potenzialità.
Più di ogni altra cosa, il suo animo era affranto dal fatto di non aver mai avuto alcuna possibilità di scoprire cosa si nascondesse tra quella infinita distesa di stelle.
Di stelle parlavano i libri allineati sull’unico comodino della sua stanza, di stelle parevano fatti i suoi occhi: due pozzi traslucidi dal colore indefinito, perle cangianti che solamente nei momenti di rabbia s’incendiavano nel rosso più violento e vivo; come se vi fosse fuoco ad ardere al di là di essi. Quella notte, negli occhi di lei non vi era altro che apatia. Una mollezza dell’animo che da mesi ormai si era fatta strada dentro di lei, consumandola dall’interno senza che la giovane avesse voglia alcuna di trovare antidoto contro quel silenzioso veleno. Presto o tardi sarebbe giunto a corroderla sino alle ossa, sino a disintegrarle l’animo stesso, sino a renderla un mero guscio senza più nessuna fiamma a bruciare nel cuore. Ne era perfettamente consapevole. Consapevole di non avere altra scelta.

«Tutti i soldati dello squadrone 070 raggiungano immediatamente la piattaforma di decollo, navicella B13-204. Tutti i soldati dello squadrone…»

La sigaretta venne schiacciata nel fondo del posacenere, lentamente, il fumo soffiato via dalle narici in sottili nubi opache. Squadrone 070, milizie speciali da combattimento corpo a corpo, utilizzate specificamente in missioni di attacco e sottomissione di pianeti relativamente inferiori in fatto di tecnologie e difesa. Namecc, secondo le statistiche dell’intelligence strategica, rientrava ancora in quella sparuta categoria. L’incidente di diciotto anni prima, come usava ripetere il Dottore più a sé stesso che a chi aveva attorno in quel momento, nient’altro che uno spiacevole contrattempo causato unicamente da elementi terzi ed estranei. Ad onor del vero, un incidente costato la vita a quasi un intero squadrone d’assalto, e portato a compimento da un esiguo gruppo di combattenti che mai più aveva fatto la sua ricomparsa al cospetto della Poison Corporation. Sin da quando aveva memoria, l’argomento aveva sempre rappresentato un tabù intoccabile, un silenzio glaciale in risposta a qualsiasi domanda in proposito venisse rivolta al Dottore. Nessuna informazione, nemmeno il dettaglio più misero, un solo indizio che avesse potuto saziare la verace curiosità che sin dai primi anni era esplosa in lei. Curiosità perennemente insoddisfatta dai numerosi segreti della Corporation.

-Non sei ancora pronta, Fire?-
Impossibile riportare alla memoria il giorno esatto in cui diventò un’abitudine consolidata, il suo apparire dal nulla come un fantasma, emergendo dalle ombre come se vi si fosse appostato in attesa, senza palesare in alcun modo la sua presenza.
-Avrei preferito avere tra le mani il fascicolo della missione, prima di imbarcarmi ad occhi chiusi.-
-Ne hai mai avuto bisogno, ragazza mia? Gli assassini come te non hanno motivo di conoscere noiosi dettagli tecnici, per portare a termine il loro lavoro. C’è forse una ragione, perché questa volta debba essere diverso?-
Se non l’avesse vista crescere coi suoi stessi occhi, sarebbe rimasto spiazzato, quanto meno inquietato dal sorriso che la giovane gli rivolse subito dopo: un bagliore freddo e spietato di canini appuntiti, scoperti appena da un paio di labbra piccole e piene che raramente si tendevano in sorrisi che non fossero di velata minaccia. Il ghigno di una leonessa davanti ad una preda ancora ignara del proprio destino.
-Domani è il mio compleanno, Dottore. Perché non fare un piccolo regalo al tuo mostro preferito?-
Quando vide la mano dell’uomo sollevarsi in direzione del suo viso quasi arretrò d’istinto, non aspettandosi affatto la carezza che le sfiorò la pelle d’una guancia. Un gesto quasi gentile, come paterno, che invece d’instillare in lei un senso di protezione la portò invece a scostarsi di scatto; incerta su come dover reagire.

-Namecc è un pianeta totalmente vergine dal punto di vista industriale e tecnologico. Essenzialmente rurale, oserei dire ancora primitivo se paragonato ad altre civiltà di questa galassia. Per questa ragione le sue risorse naturali possono ancora essere sfruttate appieno, e credo sia un vero e proprio crimine lasciare tanta ricchezza nelle mani ignoranti di un branco di coltivatori e guerrieri a mani nude.-
-Sarà sufficiente, uno squadrone di soli venti soldati?-
-Questa volta, non ci saranno spiacevoli imprevisti. Questa volta, abbiamo un asso nella manica.-
Le dita del professor Colfen percorsero pigramente il viso della ragazza sino a soffermarsi sotto il mento, sollevandolo con delicatezza in modo che gli occhi cangianti di lei potessero portarsi al suo livello. Così tanta potenza, racchiusa in un corpo esile come quello di una bambina, spigoloso ed acerbo, temprato dagli allenamenti militari ai quali era stata sottoposta appena entrata nella pubertà. Pubertà che col passare del tempo aveva reso sempre più arduo tenerla lontano da attenzioni indesiderate, dall’idea strisciante e sempre più allettante agli occhi di non pochi ufficiali di riservarla mansioni ben più piacevoli e lascive. Questo non lo avrebbe mai permesso, finchè avesse avuto vita a scorrergli in corpo. Non dopo aver visto coi suoi stessi occhi la potenza distruttrice scatenata ogni qual volta la giovane arrivava a perdere del tutto il controllo, la belva feroce in grado di lasciare terra bruciata dietro di sé se costretta ad oltrepassare i limiti del proprio equilibrio fisico e mentale. Un angelo trasfigurato in un demone dagli occhi rossi come il sangue, come le fiamme dell’inferno. Una vista sufficiente a far tremare come bambini impauriti anche i mercenari più esperti.
Ancora una carezza, mentre le dita callose dell’uomo si mossero ad affondare nella chioma che le incorniciava il volto innaturalmente pallido, capelli d’un viola così intenso e vivido da rendere il suo apsetto ancora più etereo.

-Rendimi fiero di te.-

 

 

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Quell’anno, gli alberi di agisa  erano fioriti in anticipo.
Il profumo dei fiori purpurei era così intenso ed inebriante da annichilire i sensi, da instillare in ogni abitante del villaggio umori così gioiosi e carichi di vita che ben sarebbe stato difficile riuscire a reprimere in favore delle solite attività di agricoltura ed allenamento.
Di fiori, erano costellati i suoi capelli. Boccioli schiusi da poco i cui gambi erano stati annodati attorno alle ciocche corvine da una decina di piccole mani, con enorme divertimento del piccolo gruppo di bambini che gli sedeva intorno. Solitamente raccolti in una treccia, quel mattino i suoi capelli erano stati lasciati liberi di ricadergli lungo le spalle e la schiena in tutta l loro lunghezza, sino a sfiorare le gambe morbidamente piegate nella posizione del loto. Ogni adulto del villaggio era impegnato nei compiti più svariati, ognuno di essi diretto ai festeggiamenti per la stagione della fioritura, e per quel giorno momentaneamente sollevati dal dovere di sorvegliare i propri figli. In simili occasioni, era Kaim ad occuparsi di loro. Lui, che di figli non ne aveva mai avuti, lui che aveva visto tutti i suoi sforzi per espellere un uovo dalla bocca culminare irrimediabilmente in poco aggraziati crisi di tosse. Nonostante il conforto di suo padre, il tatto di suo fratello maggiore e l’amore incondizionato dei due figli di questi nei suoi confronti, la consapevolezza della propria sterilità continuava a pesargli sul cuore come il più pesante dei macigni. Soltanto in parte il compito affidatogli anni prima dal capo del villaggio, Moori, aveva reso quella sofferenza dell’animo più sopportabile: badare ai figli degli altri, lui che di propri non ne avrebbe avuti mai. Il fato sapeva rivelarsi benevolmente beffardo.
Il primogenito di suo fratello, Taro,  era ancora intento a pettinare alcune ciocche ancora prive di fiori quando, improvvisamente, un flebile ed invisibile campanello d’allarme risuonò nelle coscienze di ogni abitante del villaggio, come una freccia scoccata verso i meandri più primordiali della mente. Gli fu sufficiente sollevare lo sguardo e guardarsi attorno, per vedere la medesima intuizione farsi strada sul volto dei propri compagni, nelle loro espressioni differenti gradi di preoccupazione ed apprensione. Le stesse che vide tingersi d’ansia negli occhi di suo fratello, accorso in volo soltanto pochi istanti prima.

-Raduna i bambini e nascondili, più in fretta che puoi. Nascondetevi in una delle capanne ai limiti del villaggio, e non uscite di lì per nessun motivo.- le parole uscirono dalle sue labbra più duramente di quanto avesse voluto, e fu in moto di debolezza che distolse lo sguardo dal viso di Kaim, visibilmente punto sul vivo e pronto a ribellarsi al comando del fratello maggiore.
-Lasciami venire con voi, per favore. Sono stanco di rimanere di in disparte, di restare ai margini lasciando che siano sempre gli altri a proteggermi, ogni singola volta. Se mi permetteste …-
-Se ti permettessimo di lasciarci la pelle, Kaim?- questa volta, un vero e proprio ringhio di frustrazione, le labbra tese a mostrare i canini in un’espressione ora speculare a quella disegnatasi sul volto del più giovane. –Perché sappi che non ho la minima intenzione di lasciare che qualcuno ti faccia del male, né di lasciarti correre in mezzo ai guai e rimanerci secco. Perché non lo capisci, maledizione? Resta con i bambini, trovate un posto sicuro, e non allontanatevi. Mi fido di te.-
La protesta di Kaim venne soffocata da un’esclamazione rabbiosa nel vedere Alaet volare via senza aggiungere altro, senza concedergli anche solo il tempo sufficiente a rincorrerlo, tentare di fargli cambiare idea. La razionalità, rapidamente, esiliò in un angolo del cuore risentimento e frustrazione, e fu con voce ferma e gesti decisi che convinse tutti i bambini a seguirlo all’interno della capanna di Moori. Lui ed Alaet avrebbero risolto in un secondo momento le loro divergenze, e di certo non avrebbe permesso al proprio desiderio di rivalsa di distogliere la sua attenzione da quello che era il suo principale compito: proteggere i figli dei propri compagni, a qualunque costo.

-Che succede? Perché dobbiamo nasconderci?-
Taro aveva stretto i piccoli pugni attorno al ruvido cotone dei suoi pantaloni, tirandolo dolcemente verso di sé, gli occhi spalancati e visibilmente spaventati nonostante il suo visetto fosse teso nel tentativo di apparire quanto più coraggioso possibile agli occhi dello zio. E Kaim potè scorgere tutta la tempra di suo fratello, in quegli occhi brucianti di vita, nell’attenzione con cui il piccolo prese a scrutare al di là della finestra, alla ricerca di un qualsiasi indizio che potesse aiutarlo a comprendere.
A sole poche centinaia di metri, pulsanti e sconosciute, vibravano decine e decine di aure, concentrate in un singolo punto della radura erbosa. Una situazione che gli era stato insegnato essere potenzialmente pericolosa, soprattutto quando la memoria del popolo namecciano portava ancora fresche le ferite degli attacchi che la loro terra aveva dovuto sopportare negli ultimi vent’anni. Una navicella sconosciuta ed inaspettata non si sarebbe mai rivelata portatrice di buone notizie.

-Perché ho promesso di proteggervi.-

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Il casco rinforzato giaceva abbandonato sopra un quadro comandi, dimenticato nello stesso momento in cui l’attenzione della ragazza era stata catturata dal movimento rapido e concitato attorno ad una singola capanna; dettaglio interessante ed in deciso contrasto col violento scontro esploso a soli pochi metri dalla navicella. Assieme a lei nella torretta d’osservazione soltanto un soldato semplice, momentaneamente impegnato ad assicurare le ultime protezioni alla tuta militare di lei e del tutto disinteressato a ciò che gli occhi della giovane non erano invece capaci di abbandonare. Fu sufficiente aumentare lo zoom di precisione del binocolo termico per inquadrare alla perfezione uno sparuto gruppo di piccole figure –bambini, molto probabilmente- radunate attorno a quello che, a prima vista, le apparve come un esemplare adulto. Aure di calore tendenti al rosso nei corpi più piccoli, forse a causa della paura, e di un arancione appena più intenso nell’uomo che aveva appena iniziato a muovere qualche passo in direzione della porta chiusa. Le labbra di Fire si tesero in un ghigno deliziato, tutto il suo corpo teso nell’attesa di vedere quale sarebbe stata la sua mossa, di assistere all’ennesimo guerriero deciso ad ingaggiare una lotta all’ultimo sangue pur di difendere il suo popolo. Ghigno che si raggelò e s’infranse appena pochi istanti dopo, quando una figura fece timidamente capolino dall’uscio della capanna, guardandosi attorno con circospezione prima di muovere i primi passi all’esterno. Le dita della ragazza si mossero fulminee verso il pulsante d’annullamento della modalità notturna, lasciando che il filtro del binocolo mostrasse con quanta più chiarezza il viso del namecciano che, ora, aveva puntato lo sguardo in direzione della torre di controllo. Come se si fosse accorto della sua presenza, come se quel paio d’occhi traslucidi volessero penetrare in lei per scandagliarne l’animo da cima a fondo. Occhi tanto simili ai suoi da lasciarla senza fiato e stringerle lo stomaco in una morsa, mentre l’irritazione cocente per quello sprazzo d’umana debolezza iniziava già a farsi strada dentro di lei. Irritazione verso sé stessa, verso quel namecciano dal viso così bello da smorzarle il respiro in gola, da farla irrigidire nella sua stessa posizione senza essere in grado di reagire nell’immediato. 

-Al diavolo.-
Decise d’ignorare la morsa che ancora le attanagliava le visceri, almeno per il momento, prima di scattare i direzione del tavolo al centro della stanza, ove un mitra d’assalto ed un paio di pugnali gemelli per il combattimento corpo a corpo erano stati preparati appositamente per lei. Solo questi ultimi, però, vennero assicurati alla sua cintura, mentre l’arma a ripetizione non venne degnata del minimo sguardo. Con simili aggeggi, d’altronde, non era mai stata in grado di stringere buoni rapporti, non quando tutta la sua forza risiedeva nel combattimento corpo a corpo, con l’adrenalina che solamente un’arma da taglio riusciva a farle esplodere in corpo. I lunghi capelli violacei vennero costretti all’interno di un casco d’assalto, nero come la pece, il taglio felino dei suoi occhi celato dal vetro spesso della visiera rinforzata.
Un’ombra di kevlar e lame affilate,  uno spettro che scivolò lungo un’ala della stessa navicella prima di piovere sopra i suoi nemici. Colpendo senza uccidere, non ancora, indugiando anzi nei lamenti di dolore che la violenza dei suoi colpi inflisse ad uno, due, tre guerrieri; lasciando che altri ringhiassero di rabbia nel vedersi incapaci di afferrare quel soldato dal volto coperto che con tanta agilità riuscì a schivare i raggi di pura energia che le scagliarono contro. Uno solo di essi le sfiorò il fianco senza però penetrare la barriera del kevlar, senza nemmeno essere in grado di attirare la sua attenzione. Fredda, disinteressata ai corpi dei propri compagni ammassati a terra, oltrepassandoli con balzi felini come se non fossero altro che meri ostacoli ad intralciare il suo cammino. La pietà non poteva essere messa in conto, durante una missione. Non per lei, non per l’arma nella quale era stata forgiata.
Il suo compito, oramai totalmente dimenticato: i guerrieri più forti del villaggio non sarebbero stati attaccati, non da lei, non quel giorno, non quando ogni fibra del suo essere era in completa tensione verso quella singola capanna, verso un paio d’occhi che non avevano mai smesso di attirarla a sé come il più potente dei virus. E potè scorgere le traditrici vibrazioni del terrore, in quei due pozzi cangianti, abisso nel quale si sarebbe volentieri immersa se un namecciano non si fosse scagliato su di lei; gettandola a terra con un solo calcio ben mirato all’altezza dello sterno.
Fu il tronco di un albero d’Agisa ad accogliere lo schianto del corpo della giovane contro di esso, incrinatosi appena sotto il suo peso, mentre dalle labbra della donna fuoriuscirono smorzate maledizioni che , fortunatamente, nessuno dei presenti fu in grado di comprendere o quanto meno di udire. 

-Kaim, torna dentro! Immediatamente!-
Ancora una volta, il ragazzo non fece in tempo a rispondere agli ordini del fratello maggiore, raggelato nel vedere coi suoi stessi occhi la lama di un pugnale conficcarsi con un rumore secco in una gamba di questi. Con un urlo, Alaet afferrò il manico dell’arma per strapparla via, mentre dalla ferita aperta iniziò immediatamente a colare un generoso fiotto di sangue. Kaim si affidò all’istinto. In un solo battito di ciglia fu accanto al fratello, ogni grammo della poca magia che in diciotto anni era riuscito ad imparare e controllare concentrato nella punta delle sue dita, nella luce dorata che immediatamente avvolse la coscia dell’altro, cicatrizzando il taglio quanto più rapidamente possibile. Fire, nel frattempo, muoveva un passo dopo l’altro in direzione dei due fratelli con una calma quasi innaturale, terrificante, il casco che ancora indossava perfetto nel nascondere quella che doveva essere l’espressione del suo viso. Fu quella calma calcolata, la freddezza con la quale una mano dell’assassina stringeva già il manico del secondo pugnale, a raggelare le membra di Kaim, ad instillare in lui un terrore che mai aveva provato prima. Pietrificato, sordo all’ennesimo richiamo del fratello, il ragazzo non potè far altro che rimanere a guardare, mentre quest’ultimo si scagliò ancora una volta in direzione del suo avversario, di quello straniero dal volto coperto al quale Kaim non era ancora in grado di dare definizione alcuna. Il taglio e le forme della tuta in kevlar, delle protezioni rinforzate, la segretezza del casco integrale, perfetti dettagli di un quadro completo che non gli permisero in alcun modo di capire se si trattasse di un uomo o di una donna. Non che la cosa rivestisse molta importanza ai suoi occhi, non quando tra questi ed Alaet era esplosa una lotta senza esclusione di colpi.
Dove mancava di forza fisica e massa muscolare, Fire riusciva a recuperare in velocità e rapidità di riflessi, schivando gli attacchi del suo avversario quanto più possibile, sebbene questi fosse abbastanza forte da renderle il compito ben più difficile del previsto. Lo aveva sottovalutato? Forse, ma quell’imprevisto non fece altro che aumentare l’adrenalina che già le scorreva in corpo, rendendola sempre più decisa a sconfiggere una volta per tutte l’uomo che ancora riusciva a tenerla lontana dall’unico oggetto del proprio interesse. Dal ragazzo dalla pelle d’un verde più pallido rispetto ai suoi compagni, da quegli occhi così simili ai suoi e capelli tanto lunghi e folti da ricordarle le creature che popolavano le favole di quand’era bambina, i racconti che il Dottore usava raccontarle prima di andare a dormire.
Un urlo di dolore, un colpo più preciso dei precedenti. Kaim vide suo fratello crollare a terra, una mano tremante a premere contro il fianco destro, troppo stremato e debole per rialzarsi e continuare a combattere. Fire a soli pochi passi da lui, entrambi i pugnali stretti tra le dita, il petto ansimante a tradire la spossatezza e le ferite che anch’essa aveva riportato nel combattimento. Le sarebbe bastato così poco, un solo colpo, per mettere fine a quella triste visione. Un solo colpo, e nulla di più. 

Quel colpo, non giunse mai.
La ragazza ebbe appena il tempo di udire l’urlo di rabbia provenire alle sue spalle, prima che Kaim si abbattesse su di lei come una furia, come una belva feroce assetata di sangue, di vendetta. I tratti delicati del suo volto tesi e contratti in un’espressione di pura furia, le unghie appuntite usate come lame per graffiare, strappare, ferire quanto più possibile, infilandosi negli strappi della tuta scura per tentare di penetrare sino nella carne. I pugnali volarono via, sbalzati lontano dall’impatto dei due corpi contro il terreno, mentre le urla di entrambi squarciavano l’aria. A soli pochi metri di distanza Alaet osservava, impietrito e disarmato da ciò che i suoi occhi stavano osservando, dalla frenetica violenza con la quale suo fratello si era scagliato per difenderlo, dalla caparbietà con la quale continuava ad incassare e rispondere ad ogni colpo del suo assalitore; come se avesse dimenticato sé stesso, come se non ricordasse più il significato stesso della compassione. La sicura del casco di Fire venne strappata via, e l’elmo stesso lanciato lontano dallo stesso Kaim, dalla sua volontà di poter guardare negli occhi colui, o colei, che aveva osato fare del male alla sua terra. Al suo popolo, alla sua famiglia.
Quel maledetto giorno, Kaim si specchiò nei suoi stessi occhi. Vide i suoi stessi canini appuntiti scintillare rabbiosi in una bocca che ancora sputava insulti, il suo stesso naso in un viso innaturalmente pallido, ed una distesa selvaggia di capelli viola riversarsi sull’erba tutt’intorno; una creatura d’un altro mondo racchiusa nel corpo della ragazza che ancora si divincolava sotto di lui. Ma furono gli occhi, quei dannati occhi, ad immobilizzarlo, a raggelargli l’animo ed offuscargli la mente. Occhi uguali e speculari ai suoi, occhi capaci di affondare dentro le sue paure ed i suoi abissi più profondi, per risvegliare qualunque mostro si agitasse al loro interno.
Una distrazione imperdonabile che la ragazza seppe cogliere al volo, proiettandolo lontano da lei con un calcio, approfittando della sua confusione per scattare in direzione dei pugnali, nonostante il suo corpo iniziasse oramai a risentire dei colpi sopportati sino a quel momento. Un ultimo, disperato tentativo, spazzato via dal sottile raggio d’energia che la colpì ad una gamba, gettandola a terra con un grido straziante di dolore. Incapace di camminare, di fuggire, Fire non potè evitare il colpo ben assestato che la colpì alla nuca, ed il mondo tutt’attorno si fece nero.
Alaet era di nuovo in piedi. Pallido, tremante, al limite delle proprie energie, ma ancora vivo. E non avrebbe esitato a piantare uno dei pugnali nel cuore della giovane svenuta, se le mani di Kaim non si fossero strette attorno al suo braccio sollevato, fulminee e caritatevoli.

 -Cosa diamine stai facendo?- sibilò il più grande, gli occhi stretti in un’espressione di pura rabbia, smorzata appena da quella di dolore che ancora gli contraeva il volto. Non era una ferita mortale, ma quel dettaglio non sarebbe di certo stato in grado di attenuare la rabbia feroce che ancora gli montava in corpo. –Ha tentato di uccidere entrambi. E’ una di loro, possibile tu non lo capisca? Dovremmo lasciarla andare via assieme ai suoi amichetti?-
-Se la uccidessimo, diventeremmo mostri come loro, scenderemmo al loro stesso livello. Ce lo ha insegnato papà, ricordi? Ogni vita ha il suo valore, anche quella del tuo nemico. Se la uccidessi ora, ora che non può difendersi, diventeresti come loro. Questo, io non posso permetterlo.-
Per pochi, terribili attimi, Kaim temette le sue parole si fossero rivelate vane. Lentamente, il braccio del fratello si abbassò, ed il coltello venne gettato a terra. Come se scottasse.
-Di quello che ne sarà di lei, deciderà il capo del villaggio. Ma sappi, fratellino, che da oggi in poi lei sarà una tua responsabilità.-
Un sorriso amaro, una mano a poggiarsi sulle spalle più esili del ragazzo.
-Dimostraci di non essere più un ragazzino che ha bisogno di essere protetto. Dimostralo a me, e soprattutto a te stesso.-

 Nell’aria, il silenzio più assoluto. La battaglia era finita, altro sangue era stato versato da entrambi i fronti, ed il popolo di Namecc avrebbe ricordato quella vittoria seppellendo altri martiri. Ed il sangue sembrava più scuro che mai sulla pelle diafana della ragazza che, svenuta, era stata abbandonata dai suoi stessi compagni in ritirata.

 

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So, hello there you guys.

Ancora una volta ci ho messo una piccola eternità ma, alla fine, ce l’ho fatta. Un capitolo lunghissimo, non c’è che dire, ma necessario per voltare pagina ed immergerci nel rapporto che si svilupperà tra Fire (che sia questo il suo vero nome?) e Kaim. Chissà, magari Sherin e Piccolo riusciranno finalmente a ricongiungersi con anche uno solo dei loro figli. No spoiler, no spoiler.
Grazie a tutti quelli che leggeranno questo nuovo capitolo, a chi ancora si ricorda di questa storia infinita. Se anche uno solo si ricorderà di Behind, per me sarà abbastanza.

See you soon.

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