Rimedio

di Persej Combe
(/viewuser.php?uid=527381)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** # 140 ***
Capitolo 2: *** # 191 ***
Capitolo 3: *** # 173 ***



Capitolo 1
*** # 140 ***




 




 
  Platan sapeva già, quando aveva inviato Sina e Dexio a cercarlo tra le macerie di Cromleburgo, che le possibilità di ritrovarlo sarebbero state spaventosamente basse, eppure adesso sono entrambi qui, di fronte ai suoi occhi, che lo sorreggono per una spalla e per l’altra, ed Elisio è salvo.
  Lo afferra a sostenerlo per portarlo al riparo: barcolla, si trascina avanti a stento.
  «Augustine», lo chiama.
  «Fai silenzio», lo ammonisce.
  Quindi lascia che si sieda, lo spoglia, scruta sforzandosi di essere impassibile il suo corpo martoriato dall’implosione dell’arma suprema. Si appresta a scoprirgli l’intero braccio per pulirlo, disinfettarlo e constatare l’entità delle lacerazioni, i frammenti della polsiera meccanica conficcati nella pelle: osserva stancamente questo sigillo d’insetto ormai distrutto e squassato, inutilizzabile – ad aggravare le sue condizioni, ci mancherebbe soltanto fosse intriso di veleno.
  Augustine non ha mai compiuto un’operazione del genere su di una persona, ma s’impone di persuadere sé stesso che non debba essere poi tanto diverso dal farlo su un Pokémon.
  «Farà schifo», lo avverte, infilando i guanti e mettendo mano ai ferri; Elisio concede il braccio, perché non c’è scelta, e comunque non si abbandonerebbe a nessun’altro, neppure adesso che lui si è sottratto dal prendere posto tra le fila della sua rivoluzione e lo ha sconfitto.
  Il primo impatto è dilaniante, è un rivangare nella colpa in senso più che letterale.
  Augustine si è rifiutato di somministrargli un anestetico, e il dolore che gli sta arrecando mentre tenta paradossalmente di guarirlo è lancinante.
  «Voglio che tu lo senta tutto», dichiara con sincerità spietata, ed Elisio ha l’impressione che mentre lo dica si soffermi volontariamente a fare pressione e a insinuare a forza le pinze in mezzo alla carne viva per strappargli un grido agonizzante.
  «Non ti facevo un sadico», lo provoca, adducendo a ben altri contesti, poi stringe i denti e serra gli occhi a soffocare ancora un lamento che non vuole dargli la soddisfazione di sentire.
  «Mi sarei anche stancato di fare il masochista per te», dice, e tira via con gesto secco un altro frammento, un altro pezzo di male – sono i discorsi corrotti che non si è arrischiato di estirpare sulla sua bocca quando avrebbe dovuto osare.
  Elisio sopporta e suda e ansima, perché questa è la sua punizione e ne è consapevole. Per quanto la rabbia di Augustine nell’infondergliela sia tutta fredda e rigida, la sente ugualmente ribollire come sangue caldo – lo stesso che arde sulla sua pelle squarciata – intanto che evita d’incrociare i suoi occhi e gli oppone il silenzio senza dar peso alle sue imprecazioni.
  Con la stessa fermezza con cui si è spinto a scavare nelle sue viscere, Augustine richiude le ferite passando a ricongiungerne col filo gli estremi, ricuce con precisione e stavolta delicato – che dopotutto non saprà mai essere davvero cattivo, e questa è la sua debolezza. Lo avvolge con cautela tra le bende, e seppure le suture brucino incessantemente, Elisio sa di essere al sicuro e protetto.
  Lo guarda mentre si allontana a gettare gli scarti e a lavarsi le mani; nel suo incedere lento, nel liberarsi del camice macchiato di schizzi, c’è un che di familiare e rassicurante, alla vigilia di un destino non prevedibile e confuso, ora che il suo tentativo di ribaltare le sorti del mondo è fallito.
  Un professore, un collega, un amico, un qualcos’altro: Augustine è sempre stato per lui tante cose, ma trovare la forza di ammetterlo in questo momento è forse ancor più doloroso di ciò che il suo corpo fisicamente deve tollerare.
  Elisio attende che gli si riaccosti vicino. Tra i resti che ha messo da parte c’è il suo anello. Augustine glielo mostra nel palmo – la pietra chiave scheggiata difficilmente tornerà a funzionare. Non sono queste fratture che possano riconciliarsi con del semplice filo, né d’altronde col più accorato sacrificio. E sorge il timore che debba essere la stessa sorte tra loro.

 


 
#140. Rivoluzione


 


Mancano pochi giorni alla fine dell'anno e sto cercando di recuperare tutte le challenge a cui ho partecipato nell'ultimo mese che non ho ancora pubblicato qui su Efp: spero non vi dispiaccia questa carrellata rapidissima! 
Trattandosi ancora di loro quattro, vi chiederei nuovamente il favore se poteste votare per Malva tra i personaggi della sezione - sarei davvero felice d'inserirla nelle note della storia.
Un abbraccio e auguri di buone feste ♥
Persej

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** # 191 ***




 




 
  Notte fonda. Dalla porta scalpita all’improvviso un bussare urgente. Diantha si è quasi addormentata contro la spalla di Augustine, si risveglia di soprassalto e lo richiama: «È lei». Ma Augustine non si smuove, resta immobile seduto accanto al letto dove Elisio riposa febbricitante – il terrore che le suture che gli ha fatto l’altro giorno siano infette è un’ossessione che non gli dà pace, e tuttavia è troppo presto per controllare, troppo rischioso ridisciogliere le bende senza pesare ancor di più sulla sua sofferenza.
  Diantha si alza instabile dalla sedia, va ad aprire a una Malva che non riesce più ad aspettare: appena entra non chiede neppure dove sia, si aggira finché non è sopraffatta dalla visione che le si mostra di fronte.
  Non lo vede da quando hanno deciso insieme di scatenare l’apocalisse, e scrutarlo ora ridotto in questo modo è qualcosa di terribile e perturbante.
  Augustine le fa spazio, la guarda silenzioso mentre si china a stringergli una mano e a sussurrare il suo nome, offuscato nella voce rotta dal pianto. Diantha si accosta tra loro, e tutti e tre rimangono a fissare Elisio che non risponde ed è troppo stanco per aprire gli occhi.
  Augustine si solleva con un sospiro seccato.
  «Te lo affido», dice, e di nuovo guarda Malva – a malapena la conosce, ma non può che avere fiducia; il sentimento che sa scuotere entrambi non gli crea esattamente gelosia quanto una insolita comunione, non sa spiegarselo eppure è così umano – poi di nuovo guarda Elisio, è come se parlasse a lui direttamente: «Che veda bene di non morire».
  Fila verso l’ingresso a mettere il cappotto. Diantha si trattiene ancora, l'abbraccia: «Dobbiamo andare», sussurra – seppure non vorrebbe – perché stare qui tutti insieme diventa di minuto in minuto più imprudente, c’è chi è già sulle loro tracce e non si fida, e adesso Malva è sola, a doversi prendere cura di lui, lui che in tutta la vita non ha fatto altro che prendersi cura di lei; il pensiero spaventa.
  Disteso tra le lenzuola, Elisio talvolta le restituisce appena questo sguardo allucinato e acquoso, socchiuso. Non parla; ma la segue con gli occhi. È una notte lunga, in cui l’unico suono è il suo fiato affannato, i rantolii deliranti.
  Malva lo sorveglia, contemplando il suo malore come è costretta a constatare l’ironia di un calore che li ha sempre contraddistinti, entrambi furiosi e appassionati e testardi, trasformatosi adesso in ciò che al contrario potrebbe separarli per sempre. È con rabbia che lo forza a bere dal bicchiere quando scosta la bocca, perché Elisio è debole, è fragile, non è più in sé, e fa troppo male doverlo accettare davvero.
  Gli scopre un lembo della camicia e lo sente tremare sulla pelle sudata; sistema una pezza umida sulla sua fronte solo come pretesto per sfiorargli i capelli, ora che pare così lontano e irraggiungibile – anni e anni passati a rincorrerlo, a vincere la sua considerazione, per poterlo avvicinare soltanto adesso con una mano che non può nemmeno ghermirlo.
  Eppure ad un tratto Elisio pare sorridere, la riconosce.
  «Malva».
  Sono le prime luci del giorno.

 


 
#191. Noi, di notte

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** # 173 ***




 




 
  Diantha è sempre stata per lui tutto il contrario di un grande amore.
  Elisio se lo ripete spesso e a lungo, quando Augustine e Malva non ci sono e rimane da solo in sua presenza, e non c’è davvero nient’altro che si possa dire per contrastare il vuoto e la noia. S’impunta per ore a definirla il completo opposto di un sentimento, pur di non cadere preda dell’apatia – per provare ugualmente un’emozione.
  Ha sempre avuto l’impressione che non si siano mai compresi, che qualcosa tra loro ancora adesso non combaci come dovrebbe. Si sono incontrati spesso, tuttavia, e si sono stimati, l’uno e l’altra, con parole franche e ragguardevoli. Ma tutto qui.
  La pazienza che Diantha gli riserva, ora, risulta perciò a Elisio per molti versi incomprensibile.
  Quando è preda degli attacchi di panico, e il respiro si mozza, quando non riesce a liberarsi dall’apnea, giungono come richiamo di sirena le sue parole a calmarlo – allora sente, oltre all’incedere gentile della sua voce, anche le dita che lo tengono per mano: una tenerezza che in passato non si sarebbero concessi, neppure guardandosi di fronte a una tazza di caffè.
  Diantha lo prende, lo riporta accanto a sé, gli ricorda di respirare: «Respira», e che non è solo: «Sono qui».
  Non si arrabbia. Non ci sono allusioni velate come quelle che lancerebbe Augustine, ferito nel cuore e nell’orgoglio, né i singhiozzi contratti di Malva, devastata dall’impotenza e dal rimorso. Imperturbabile, rimane al suo fianco. Non commenta. Non giudica.
  Si avvicina silenziosa col termometro nelle dita, lo sveste soltanto di un poco per misurargli la temperatura, per intravedere le sue ferite, discreta. Elisio sa che il punto a cui mira non è la superficie – non può tendere allo stesso confine di Malva e Augustine –, ma ciò che è rotto più nel profondo.
  Quindi le si apre, le si mostra spontaneo e vulnerabile – persino orrendo; ma soltanto perché Diantha è ciò che di più lontano possa esserci da un grande amore, e null’altro.
  «Perché lo fai?» le chiede una notte, dopo essere riemerso dalla catena ossessiva di pensieri reiterati e assillanti che lo imprigionano.
  Basta un attimo e tutta la recita che Diantha ha messo su s’infrange. Un’ottima attrice, degna del suo nome. E tuttavia non c’è verso di mascherare ciò che si nasconde nei meandri di un mondo interiore, più intimo e personale. Elisio la guarda. Gli sovviene quanto sia bella mentre esita e non trova le parole. Una bellezza sconosciuta, che non ha niente a che fare con qualcosa d’ideale, assoluto, perfetto.
  «Diantha», la prega – si ritrova a implorarla per una spiegazione, perché a sé stesso non lo può confessare una terza volta.
  Diantha sorride, di un sorriso mesto e indecifrabile. Pensa, mentre si dà della codarda, che forse sì, potrebbe anche fornirgli una motivazione (soltanto una basterebbe). Ma sarebbe impossibile spiegare al mondo le ragioni di uno scandalo indecente – il Professore, la Superquattro e la Campionessa, tutti complici del terrorista.

 


 
#173. Al mio grande amore

 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4043052