Il dolce abbraccio dell'incoscienza

di terrastoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il dolce abbraccio dell'incoscienza ***
Capitolo 2: *** Fix You ***



Capitolo 1
*** Il dolce abbraccio dell'incoscienza ***


Camminava in sù e in giù da minuti per quell’asettica stanza d’ospedale da delle ore, ormai, voltandosi ogni tanto solo per lanciare delle preoccupate occhiate al letto e contrarre subito le labbra in una smorfia di fastidio

Questa è una piccola storia (molto probabilmente in due capitoli) a cui tengo in modo particolare, forse perché l’ho scritta in un nuovo raro moto d’ispirazione, forse perché l’ho scritta i giorni dopo il concerto del mio gruppo preferito (dai quali ho tratto il titolo), forse perché sono state proprio quelle canzoni a dare il via alla fan fic.

E’ una SasuSaku.

 

Buona Lettura – grazie a chi leggerà e commenterà –

 

 

 

Il dolce abbraccio dell’incoscienza

 

Prima parte - Amare chi non c’è più, imparare ad amare chi c’è –

 

                                                                                       

 

Sakura respirava forte fra le sue braccia, implorava ancora, gridava il suo nome.

“Sasuke”

La sentiva gemere, urlare e stringerlo e solo in quei momenti si rendeva conto di quanto Sakura fosse viva, che Sakura era viva.

La accontentava e le piombava addosso, andando ad appoggiare la testa tra l’incavo del collo e la spalla; annusava forte l’odore della donna e lei faceva lo stesso con lui. Ad ogni respiro lanciava un sospiro e implorava il suo nome.

“Sasuke”

Soltanto allora se ne rendeva conto: amava; amava quella ragazza che si concedeva ogni notte, che energicamente lo voleva, che non si risparmiava. Ch’era viva. Amava quegli occhi luminosi al buio, e non quelle iridi spente del giorno. Amava quel corpo scosso da fremiti e gemiti, e non quello quasi trasparente delle ore di sole.

“Sasuke!”

Se ne rendeva conto e la rabbia s’impossessava del suo corpo: aveva scoperto d’amare qualcosa che non esisteva più.

Certo, la notte tornava ad essere la vera Sakura,  ( o almeno così s’era convinto fosse ), ma di giorno…di giorno era un vuoto di parole colmato da silenzi e follia.

L’amava di notte, eppure non poteva fare a meno di tenerla a sé anche sotto il sole.

Si chiedeva per quanto tempo avrebbe potuto andare avanti così, ad amare  il non essere, si chiedeva quando la follia di Sakura sarebbe diventata totale; aspettava trepidante la propria di follia, che, dannazione, tardava ad arriva da tempo.

 Amava chi non esisteva più, un ricordo tra le proprie braccia.

E chissà che anche Sakura, nelle loro notti, non amasse un ricordo. Un semplice effimero ricordo.

E continuava a urlare il suo nome.

A conferma che Sasuke, in qualunque forma fosse, era vivo.

“Sakura”

Così poi faceva Sasuke.

E andavano avanti in questo modo tutta la notte, fino a che lo spuntare dell’alba metteva fantasmi negli occhi della donna.

 

 

 

Camminava in sù e in giù da minuti per quell’asettica stanza d’ospedale da delle ore, ormai, voltandosi ogni tanto solo per lanciare delle preoccupate occhiate al letto e contrarre subito le labbra in una smorfia di fastidio.

Sasuke le aveva consigliato un sacco di volte di sedersi – che era stanca, che doveva riprendere le forze – ma non gli aveva mai dato ascolto. Quando mai lo aveva fatto?

- Smettila, smettetela tutti!– tuonò la voce acuta di Sakura Haruno.

Sasuke fermò la sua camminata, ma stavolta non si girò.

- …vattene fuori– insistette con veemenza.

Lui fece per alzare le spalle doloranti e riprendere la sua estenuante osservazione del vuoto e di lei, che andava pazzamente avanti e indietro, ma non lo fece. Si alzò e si diresse verso la porta.

- Guai a te se si sveglia – bofonchiò appena udibile e se la svignò fuori, nel corridoio odoroso di disinfettante e in fretta e furia – quasi dovesse scappare, per l’ennesima volta – si ritrovò fuori, nell’aria pungente d’inverno.

Gli venne spontaneo prendere un forte respiro e rasettarsi i capelli con una mano diafana, mente fissava il vuoto davanti a sé, e non più mura d’ospedale e fantasmi del passato. Lì fuori stava meglio, Sakura aveva ragione.

Si morse il labbro inferiore e barcollando andò a sedersi sulla panchina immediatamente di fronte all’edificio, il capo tra le mani. Aveva scoperto solo in quel momento di avere un mal di testa cane.

- Dannazione – mormorò a denti stretti e gli venne quasi voglia di urlare, urlare e liberarsi di tutto quel peso che aveva dentro, di tutta quella schifo di vita che aveva vissuto, come se urlar fosse davvero servito a qualcosa. Invece stette zitto e rigido, cercando di cacciare via i pensieri brutti che sempre occupavano la sua mente, di rassettare certe immagini passate e recenti di distruzione. Guarda a caso, dove c’era distruzione c’era lui. E c’era pure Naruto, ma questi diventava vittima ed eroe.

 

- Posso sedermi qui con te? –

Sasuke alzò la testa e si ritrovò a dilatare le pupille per lo stupore.

- Anche tu – bisbigliò, ricomponendosi in fretta.

Sakura abbozzò un sorriso quasi di scusa – perché si scusava in continuazione? Perché non riusciva ad essere dura con lui e basta, senza farsi mille paranoie? – e prese posto affianco a lui, stringendosi in sé stessa, forse per il freddo, forse per la paura.

Aveva sempre paura di qualche cosa, Sakura. Paura di non rivederlo più, paura di perderlo, paura della morte, paura…paura per Naruto.

Naruto era entrato in coma sei giorni prima in seguito ad un attacco nemico al quale non era stato attento. Sasuke aveva visto tutto: lo aveva visto cadere a terra, inerme. Aveva creduto che fosse davvero morto, che anche Naruto – l’unico che doveva sopravvivere al mondo lui – se ne fosse andato, arreso per sempre. E dopo chi avrebbe inseguito? Chi avrebbe battuto? Sconfitto? Sakura non lo aveva visto. Aveva visto solo lo sguardo di Sasuke, secondi dopo, ed era caduta a terra anch’ella, tuffatasi sul corpo di Naruto. Gridando, però, il suo nome. Il nome dell’Uchiha.

Era una guerra che avevano messo in ballo contro di lui, e ci era finito in mezzo Naruto.

- A cosa stai pensando? – la domanda di Sakura tagliò l’atmosfera gelida così bruscamente che Sasuke si sentì scalfito dentro. Avrebbe tanto voluto che lei se ne fosse stata zitta, come in quella stanza d’ospedale; ma proprio non ci riusciva, lei.

- A quanto siete stati sciocchi – eppure rispose, lui. Non gli andava di vederla incupirsi ancora di più, di vederla strizzare gli occhi per non piangere ulteriori lacrime amare. Già si sentiva a pezzi così, non avrebbe tollerato altre dimostrazioni di dolore. Causato da lui.

Si strinse nelle spalle e attese una risposta che non arrivò.

Con la coda dell’occhio vide gli occhi di Sakura inumidirsi nuovamente, le labbra serrarsi con violenza, e a vederla comunque così – in preda a un dolore devastante - un senso di oppressivo disagio gli raggelò il sangue nelle vene. Aveva sbagliato un’altra volta. Sbagliava in continuazione, con lei.

- Ti prego, ora smettila tu – le ordinò, un remoto segno di implorazione che lei non colse.

Chissà dov’era con la testa, Sakura; doveva seguire un corso di pensieri fortissimo perché quasi non dava segni di vita. Come Naruto, immobile in un letto d’ospedale. La più ingiusta delle conclusioni.

Se prima, non appena gli si era avvicinata, gli era parsa in preda ad un nuovo bagliore di vita, ora era nuovamente piombata nella più profonda delle assenze. Non c’era. Non c’era.

- Che schifo – fu un commento privo d’accento alcuno, quello di Sasuke. Continuò a guardare il vuoto, lei.  Era come ci fosse una barriera fra loro due, una muraglia che li separava più di quanto lo fossero mai stati anni addietro, quando Sasuke era semplicemente un traditore. Invece adesso era un penitente, un cazzo di penitente privo del senno. Se no perché mai continuava a stare da giorni chiuso in quell’ospedale da un uomo al quale aveva succhiato ogni piccola energia vitale? Perché si ostinava a restare affianco ad una donna che lo riconosceva soltanto a tratti?

Era un fottuto masochista, nient’altro.

- …aria – gracchiò Sakura. Aveva gli occhi spenti socchiusi, come le labbra screpolate.

- Ma siamo all’aria aperta, Sakura – la informò con mantenuta calma Sasuke, quasi fosse suo fratello quand’era piccolo e gli spiegava qualcosa di molto difficile. Itachi…possibile che tornasse sempre fuori? D’altronde era nel suo paese. Proprio un masochista.

- Oh – lei parve delusa, si corrucciò proprio come una bambina, storcendo le labbra all’ingiù e chiudendosi ancor più in sé stessa.

Sasuke sentì una fitta al petto, tanto forte che si dovette piegare. E dovette distogliere lo sguardo dalla ragazza.

Gli sembrò d’aver perso davvero il senno, ne fu quasi felice.

Non più coscienza di niente. Via il dolore.

Chissà come doveva stare Naruto – pensò – nell’incoscienza più totale. Ma pensare questo gli fece male, e allontanò automaticamente il pensiero, quante fosse masochistico. Anche un’Uchiha non poteva sopportare tutto.

Naruto era in una stanza d’ospedale, nessuno poteva sapere cosa cavolo gli passasse per la testa – anche nel coma. Chi lo diceva che la mente non fosse in qualche modo separata dal corpo? Follemente era convinto che Naruto ci fosse ancora. Realizzasse la sua condizione, in qualche modo. Lo sentisse.

E questo quasi lo spaventava, quasi lo infastidiva: riusciva sempre a sentirlo, l’Uzumaki, riusciva sempre a trovarlo, in qualche modo. Fosse fisicamente anziché mentalmente.

- Senti – cominciò Sasuke, con la voglia di dire qualcosa d’importante che, però, nemmeno lui stesso sapeva.

- Cosa c’è? –

Sakura si girò, finalmente.

Aveva gli occhi gonfi, più inondati che mai.

Li puntò in quelli di Sasuke, profondi senza fine.

E quando furono occhi negli occhi le iridi le si dilatarono.

 - Uchiha…- mormorò. Un nuovo bagliore di consapevolezza. Meglio approfittarne.

- Dobbiamo andare via, allontanarci – asserì a voce assurdamente ferma lui.

Sakura reclinò un poco il capo.

- Ma Sas’ke! Naruto, Naruto…e se…? – eccola. Era tornata. Parlava a raffica, meccanicamente, come sempre in quei giorni. Vecchie preoccupazioni tornavano fuori con frasi di conforto meccanico, passato.

“Smettetela di camminare così”

Voi? Chi mai vedeva sempre? Umani?

“Esci, un po’”

“Lasciatemi sola con lui”

“Non lasciarmi sola”

Voi, tu. Voi, tu. Lucidità e surrealismo. Dolore e incoscienza.“Sta con noi”

Tutta una serie di contraddizioni.

Si sentiva folle, Sasuke. Follia era l’unica cosa di forte che in quel momento riusciva a provare; eppure nella sua follia credeva di essere più lucido che mai.

La prese per una mano (fredda e sudata) e l’aiutò ad alzarsi.

- E dove…? –

Sasuke scosse il capo corvino e spettinato e la condusse lungo una via che entrambi non riuscivano a distinguere.

Era follia. Pura follia.

- Non importa. Andiamo e basta –

E sparirono.

 

***

 

- Aaaah

Sakura alzò le braccia e fece come per abbracciare il cielo.

Non aveva sguardo che per il cielo e lui, ch’era per forza nella sua visuale, essendole in piedi dinnanzi.

Sasuke la stette a guardare per un bel po’, a braccia conserte e sguardo penetrante, cercando di rintracciare nel femmineo volto di lei qualche traccia di ciò che aveva conosciuto bene in passato, come ad esempio il rossore. Quel rossore che le scoppiava sulle guance quand’egli la sgridava o la imbarazzava – magari con una qualche occhiata troppo intensa. Ma niente, il rossore non arrivava. Ovvio, Sakura nemmeno lo stava osservando.

Allora Sasuke scrollò le spalle e le sedette affianco, l’ombra di una malinconia impuntata nel cuore.

E ora che era tornato lei non c’era più – continuava a ripetersi incoscientemente e silenziosamente, mentre puntava gli occhi al cielo prima e su di lei dopo.

Sakura ora sorrideva.

Già, aveva curvato le labbra in una specie di sorriso.

Fu un’altra scossa al cuore, per Sasuke.

- Cosa c’è? – chiese, gelido.

Lei sorrideva ad un ricordo, ammiccava ad una figura che solo lei poteva vedere.

S’era persa di nuovo, e via bagliore di lucidità in quegli occhi assenti. Ma stava meglio e si vedeva: stava meglio di prima perché ora, la follia, s’era fatta positiva.

Avrebbe voluto essere come lei invece che troppo a metà strada tra la realtà e la follia, avrebbe voluto non dover pensare a niente men che meno che a lei, ragazzina ostinata che, in fin dei conti, aveva fatto uscire di senno. Non c’entrava solo il coma di Naruto, dietro c’era tutto il passato. 

- Lo vedi? Mi sta guardando…guarda me, finalmente – asserì ripetutamente Sakura verso la volta celeste, come fosse stata quest’ultima ad averle rivolto parola.

Sasuke quasi si pentì, d’averla portata in quel posto.

Il luogo dove l’aveva lasciata, una notte di quattro anni prima.

Chissà se lei se ne era accorta.

Molto probabilmente il suo inconscio sì, ecco perché blaterava quelle frasi.

- Chi ti guarda, Sakura? – la invitò a proseguire, non potendo fare a meno di notare quanto folle stesse – fortunatamente? – diventando anch’egli.

- Lui, e chi altri se no? Naruto_kun mi guarda fin troppo! – esclamò Sakura e poi tutto a un tratto s’incupì, portando le mani giunte al petto. Sbarrò gli occhi e lanciò un urlo, girandosi bruscamente su un fianco. Verso di lui.

Chiamato in causa, in ogni senso, Sasuke sentì il proprio peso della follia farsi fin troppo debole, in confronto a quello di Sakura. Per quanto ci stesse provando con tutte le sue forze rimaneva sempre troppo auto controllato per lasciare andare la mente, definitivamente. Sakura, di contro e contro la propria femminea volontà, c’era riuscita già quasi riuscita del tutto. Bastava vedere questi momentanei balzi di umore e di lucidità, bastava vedere quante cose del passato tornasse a tirar fuori nel pieno del presente.

Era forte la rabbia, in lui.

Credeva che portarla lì le avesse fatto bene, aveva messo in piedi una sorta di terapia d’urto e invece, condurla nel luogo in cui l’aveva perso (aveva perso Sasuke) si stava rivelando anch’essa la una scelta sbagliata. Anche l’ultimo tentativo era fallito. Non ci riusciva, non c’era mai riuscito a far qualcosa per qualcuno. Se la vendetta era il suo campo non lo era certo la salvezza del prossimo.

Voleva salvare Sakura?

Rabbrividì.

Non voleva semplicemente averla ancora in quello stato.

Credeva che se fossero impazziti entrambi non ci sarebbe stato più alcun problema e ugualmente se lei fosse tornata in sé. Di certo lui lo sarebbe ritornato con lei. Ma pazzo non lo era, Sasuke, non più di tanto né più di sempre; mentre Sakura…Sakura stava percorrendo una strada ben lontana dall’essere quella della ragione. L’aveva lasciata scegliere una strada del genere, non era stato capace di stringerla sufficientemente a sé quando ella aveva visto il corpo inerme di Naruto, né di far sì che lo riportasse a casa, le numerose volte che con Naruto lo era venuto a cercare.

Era un fallito.

Un fratello stupido e assassino.

Non meritava nemmeno d’impazzire.

 

- E’ qui che è successo tutto, non è vero? E’ qui che mi hai abbandonata, ne Sasuke? – la voce di Sakura era rauca e rotta da un pianto in arrivo; lei tese un braccio tremante: che cercasse di afferrare il suo?

Sasuke rimase inizialmente immobile, pensandolo un altro segno di pazzia, pensando che lei stesse sicuramente tendendo un braccio verso un altro Sasuke, quello della sua mente.

- …sì – anche la voce di lui era assurdamente roca.

Sakura puntò i propri acquosi occhi direttamente in quelli di Sasuke. Sembrava cercasse un’ulteriore conferma, una qualsiasi.

- Proprio qui? E tu…oh tu… - si bloccò, lei. Poggiandosi su di un gomito alzò un poco il busto verso di lui, l’altra mano ancora tesa.

- Sì, sono io. Io sono Sasuke Uchiha – rispose Sasuke e quella risposta la indirizzò non solo a lei ma pure e in particolar modo a sé stesso, per avere una conferma che il corpo avesse un nome, che Sasuke Uchiha esistesse. E s i s t e s s e.

- Sasuke Uchiha, Sasuke Uchiha, Sasuke Uchiha…oh!- Sakura scattò su seduta sul prato umido di rugiada, tese entrambe le mani per afferrare quelle di Sasuke mostrando un’energia che mai, ultimamente, sembrava possedere.

Rabbrividì nuovamente, lui. Si lasciò prendere le mani, e si lasciò annusare, accarezzare, stringere con una forza che quasi procurava dolore. Non il dolore solito, un dolore straziante, certo, ma piacevole.

D’altronde le mani e il soffio e le labbra che continuavano a toccarlo delicatamente non erano che di una donna, di quella donna lì, improvvisamente riaccesa al mondo. E si lasciò pure baciare, sì, baciare il collo, proprio laddove le leggende dicono mordano i vampiri.

In fondo l’immobilità non era male, il tepore del corpo di lei e dei loro corpi vicini non era affatto da gettare via anzi, non aveva provato sensazione simile in tutta la sua vita; eppure non poteva fare a meno di sentirsi un po’ sciocco né di mandare via quella fitta allo stomaco, non poteva allontanare i ricordi né quelli passati né quelli presenti.

La sensazione di trasporto e pace che sentiva, seppur forte, non equivaleva alla pazzia: non scacciava mica la ragione, non faceva mica sì che cadesse nell’incoscienza.

E sentiva tutto, ogni singola cosa, il respiro affannato di lei, le gocce amare e dolci già ricadevano sui suoi vestiti e sulla sua pelle, e la bocca…quella bocca fredda e umida che continuava a baciargli il collo, imperterrita, ostinata come la sua posseditrice lo era stata in passato.

Si mosse, infine, Sasuke. Il corpo non riusciva proprio a restarsene fermo; come sarebbe stato possibile restare immobile al richiamo della carne? Si mise carponi sulla donna e prima di abbandonarsi a qualcosa di grande stette un bel pezzo a studiarla, immobile non fosse stato per l’alzarsi e abbassarsi ritmico del torace. Respiravano ancora, entrambi.

- Hai paura? – le domandò.

Sakura scosse il capo, null’altro, poi sorrise mentre le guance le si imporporavano di quel rossore che lui conosceva bene.

Era un sorriso timido ma anche melanconico, quello di lei. Lei che ora era tornata la ragazzina che aveva conosciuto, che era la donna (la sua donna, dannazione) lei che, nonostante quello fosse indubbiamente un momento in cui era tornata sé stessa, non poteva fare a meno della sua nuova parte folle. Non se ne sarebbe liberata più – pensò tristemente Sasuke –non se ne sarebbero liberati più. Ma scacciò subito il pensiero, Sasuke, e tracciò più volte con le dita disegni immaginari sul volto, sulle spalle, sul seno appena accennato, sull’intero corpo di Sakura che lo lasciava fare e rispondeva con sospiri e già cominciava a chiamarlo.

“Sasuke”

Stavano facendo la cosa giusta?

E Naruto? In un letto d’ospedale…

E Sakura? Lì, esistente dinnanzi a lui.

E Sasuke? Con lei, su di lei, in lei. Almeno un istante al confine tra follia e realtà.

 

 

 

 

Sakura guardava fuori dalla finestra con sguardo assente, una mano sotto il mento.

 Non lo aveva sentito avvicinarsi, né molto probabilmente, sedersi affianco a lei.

“Naruto è lì, sì, è lì” continuava a ripetere da ore.

Sasuke ascoltava.

Avrebbe ascoltato sempre.

Quantunque la vicinanza di Sakura gli facesse male - perché non era lei se non in qualche attimo notturno, perché di quella sua pazzia se ne sentiva il primo artefice - non poteva fare a meno di starle accanto, era più forte di lui, più forte di entrambi.

“Non abbandonarmi, Sasuke_kun”

 

 

 

 

 

Fine prima parte

 

 

 

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Capitolo 2
*** Fix You ***


“Vieni qui”

 

 

Seconda parte

 

FIX YOU

 

 

 

“Vieni qui

Sakura aveva spalancato le braccia, lo osservava ad occhi scoccolati.

Sasuke la stette ad osservare a lungo prima di ubbidirla, era diventata la sua specialità osservarla; ormai conosceva così bene ogni minimo particolare di quel volto di donna e dell’intero corpo di lei che quasi avrebbe potuto essere cieco, la vedeva comunque e, comparata con la Sakura di qualche anno addietro, la Sakura che aveva tradito una notte umida e fredda, le similitudini erano poche e troppe le differenze. Per questo Sasuke non amava fare paragoni, eppure si ritrovava a farli in continuazione.

Sakura mugugnò qualcosa di incomprensibile quando lo ebbe addosso, di nuovo, per poi lasciare andare immediatamente tutto il suo peso a lui, quasi non volesse più reggersi in piedi da sola, quasi lui fosse l’altro suo corpo, l’altra sua metà fisica e mentale, la sua mente.

“Posso ancora pronunciare il tuo nome, vero?”

Sasuke s’irrigidì, non gli era nuova quella domanda. Quante volte non le aveva risposto e lei era tornata a sprofondare nel passato anche di notte? Quante volte le aveva risposto ironicamente e lei si era sentita spiazzata ed era corsa via, da un Naruto che forse poteva ascoltarla ma che non riusciva a risponderle?

Le circondò la vita, premendo delicatamente con le dita sui fianchi magri, fin troppo, e attese il momento buono per rispondere, attese di avere un tono di voce calmo e senza tremiti, il tono di voce che aveva imparato andasse bene per lei e la sua fragilità.

Gli costava una fatica immensa, tutto quell’essere calmo e delicato,  era come avere sempre tra le mani una bambola di ceramica.

Delle volte risultava estenuante, delle altre, però, addirittura appagante.

Perché sentiva di farcela, sentiva di essere adatto a quel compito che gli aveva imposto il destino: proteggerla dal mondo, tenerla vicino affinchè non si perda nel buio.

Scontava la sua punizione in silenzio, non ne aveva mai parlato con nessuno a parte una volta con un Naruto immobile, che non sorrideva né lo guardava coi suoi grandi occhi azzurri.

Ne aveva parlato al cielo, vero. E forse rivolto al cielo voleva dirlo a qualcun altro…

Sasuke non riusciva più molto a spiegarsi le cose, la realtà intera; viveva alla giornata e viveva per lei, lei che non vedeva l’ora di tuffarsi fra le sue braccia, di respirare il suo odore e di perdersi in un doloroso piacere.

Niente sarebbe tornato come prima, niente.

Nemmeno lui, per quanto credesse di essere l’unico sempre uguale a sé stesso, per quanto pensasse di non poter essere cambiato se non era ancora impazzito.

E sapere di non poterci fare niente non gli procurava il dolore che aveva creduto, no; gli metteva dentro qualcosa di molto più grande e vuoto, più vuoto ancora delle iridi di Sakura in pieno giorno.

Alla lunga, forse, ne sarebbe rimasto sopraffatto.

“Certo, Sakura. Per sempre”

Sakura strofinò il capo contro i pettorali di lui, in segno che aveva capito; strofinò via anche le lacrime, sempre così copiose e infermabili.

“Grazie, Sasuke_kun”
Non lo avrebbe mai svelato a nessuna anima vivente ma, quel sentirsi chiamare così da Sakura, gli procurava una sensazione impagabile ed unica.

Lo faceva quasi sentire orgoglioso.

Sasuke prese su di peso Sakura e la condusse dentro.

Cominciava un’altra notte, finiva un altro giorno di pazzia.

 

 

 

 

Quella mattina si era svegliato con una sensazione nuova, accanto al solito pungente dolore era comparso qualcos’altro, un inequivocabile senso di disagio.

C’erano novità, nell’aria, dopo nemmeno una settimana di monotonia ecco che qualche cosa si era smosso.

- …Naruto – la voce di Sakura era ancora impastata dal sonno, remota come al solito eppure, nonostante tutto, suonava molto più reale di sempre. Sasuke ne ebbe fastidio o, meglio, disagio.

- Sta ancora un po’ qui – le intimò con meno calma di quella che si sforzava di usare ogni santa mattina, ogni santa ora, perché proprio non vi riusciva in quel momento, tanto era lo scombussolamento che provava ì. E anche Sakura, seppur nella sua pazzia, doveva provare la stessa cosa. Infatti lui la vedeva bene, aveva gli occhi più profondi del solito, tristi, le labbra corrucciate prima del pianto, le gote pallidissime, e tremava, tremava.

- No – negò Sakura, con prepotenza, e seccamente si alzò dal letto e quantunque tremasse raccattò i suoi vestiti sparsi per la stanza e corse giù di sotto al bagno, facendo sbattere la porta. Quando lei faceva così Sasuke pensava quasi fosse tornata in sé, ma poi, non appena arrivava di sotto e la scopriva gemere dietro ad una porta, l’acuta realtà gli arrivava addosso peggio di una doccia fredda.

Sasuke si vestì in fretta e scese ad aspettare Sakura; la colazione l’avevano già mangiata a letto: l’aveva preparata lui, assurdo, era diventato un uomo di casa, un cazzo di uomo premuroso. Ma non poteva sentirsi a disagio anche per questo, Sasuke, altrimenti non sarebbe impazzito mai.

- Naruto non mi guarda, sai? – dichiarò Sakura uscendo dal bagno, vestita di tutto punto con la sua famosa divisa ninja che ormai non era altro che un ricordo materiale, inutile nella vita di tutti i giorni; ma lei non se ne voleva separare, da quella divisa che aveva vissuto tanti scontri, tante cattiverie e chissà quali vittorie personali, e così Sasuke gliela lasciava indossare e per canto suo anch’egli teneva la propria veste da combattimento, la stessa con la quale era arrivato nei pressi di Konoha con l’obiettivo - poi cambiato - di disintegrarla.

Erano due ostinati, una più folle dell’altro.

- Andiamo – le ordinò e presala per mano la condusse fuori.

Per tutto il tragitto Sakura non fece altro che ripetere quella frase e altre, di senso sconnesso, e per tutto il tragitto fino all’ospedale Sasuke non potè che sentirsi male, malissimo, e davvero gli occhi di Sakura erano niente in confronto al pesante senso di vuoto che sentiva crescere attorno al cuore.

- Naruto non può più guardare, Naruto… -

Più volte Sasuke Uchiha avrebbe voluto farla tacere, con qualsiasi mezzo, ma proprio non riuscì a trovare la forza.

 

- Uchiha – giunse una voce alle sue spalle.

- Tsunade – asserì Sasuke e la donna fu da lui, da loro.

La grande Tsunade osservò prima Sakura, lo sguardo che tratteneva un dolore profondo per non farle ancor più del male, per non farle – inutilmente – intuire niente.

Che cosa le teneva nascosto? Che cosa? Sasuke provò fastidio.

- Uchiha – ripetè la donna e finalmente puntò il suo intenso sguardo anche su di lui che, per la prima volta nella sua vita, non riuscì a sostenerlo, tanto era forte, tanto era angustiato.

- Parli, avanti – le comandò gelidamente e tenne più vicino a sé la ragazza, la povera Sakura che ora lo guardava interrogativa. Ma aveva capito già tutto, dentro di sé. E anche Sasuke aveva capito ma non voleva rendersene conto, sapeva già che cosa Tsunade stesse per dirgli, bastava guardarla,così disperata e disordinata, bastava dare un nome al senso di disagio, fare due più due e andare a sbattere ancora una volta con la vita. Anzi, la morte. Però Sasuke non voleva, non ci aveva mai pensato in quei sette giorni, Mai, nemmeno una singola volta. D’altronde era anche lui uno di quelli che aveva sempre pensato sopravvalutato troppo l’eroe, che aveva per tutta la vita riposto fiducia in un unico paio di esseri umani, e l’una era lì con lui mentre l’altro doveva essere in una stanza d’ospedale, attaccato ad una macchina come alla vita.

Sasuke dovette appoggiarsi a Sakura che doveva essere lui a tenere mentre Tsunade schiudeva le labbra, prendeva un respiro e…

No.

Sasuke lasciò andare la presa sulla mano della ragazza e cominciò a correre per le stanze d’ospedale, i soli rumori erano i suoi passi sul pavimento, il respiro affannato e il cuore a mille, ancora così pulsante, ancora così vivo. Alle sue spalle udì il grido della ragazza, ma nessuno ebbe intenzione di fermarlo. I suoi piedi andavano laddove la mente diceva di andare, ovvio, ma era come se avessero vita propria: prima ancora di pensare i piedi si muovevano in avanti, eliminavano a Sasuke un po’ della distanza che lo separava dalla verità.

Perché l’eroe non doveva essere più tale?

Con questa silenziosa domanda arrivò davanti alla stanza 110, quella esclusiva per Uzumaki Naruto, il paziente più grave dell’intero ospedale. E lì si fermò, una mano testa verso la maniglia, gli occhi sbarrati a fissare la porta e quel numero che tanto s’era ritrovato a fissare i giorni precedenti, quando entrava e usciva come niente da quella stanza sempre chiusa, vi entrava con la speranza di vedere miglioramenti, vi usciva con il terrore di perderseli. Ma ora quasi aveva terrore di entrarci, e sicuramente il terrore non ci sarebbe più stato, poi,quando tutto sarebbe finito.

Tu Tum Tu Tum.

Il corpo pulsava al ritmo del cuore, ogni cosa tremava, persino la porta e quel dannato numero che niente aveva a che fare con Naruto, che li aveva sempre odiati, ma aveva a che fare soltanto con quella vitaccia d’ospedale, con quella macchina che lo teneva in vita ma che, presto – aveva detto Tsunade – non sarebbe servita più. Perché Naruto avrebbe vissuto.

Perché l’eroe sarebbe vissuto.

Con questa frase che rimbombava nella mente confusa aprì la porta ed avanzò a sguardo perso entro la stanza. Non aveva fatto pochi passi che una voce lo chiamò.

“Sas’ke”

Si girò di botto ed era lì, davanti alla porta aperta.

Perché l’eroe sarebbe vissuto.

 

Indubbiamente era Naruto, coi suoi occhi azzurri e le sue labbra piegate in un mezzo sorriso d’affetto; Sasuke si sentì sciogliere, le gambe non ressero. Cadde.

“…mi spiace”

Era sparito, il suo sorriso. Per la prima volta Sasuke avrebbe trovato il coraggio giusto per mandare via l’orgoglio e chiedergli di sorridere ancora, ancora un po’. Ma Naruto non aveva più intenzione di sorridere né di fargli un favore.

“Non ce l’ho fatta, quella dannata ha avuto la meglio”

Sasuke avrebbe voluto tapparsi le orecchie, non udire più ciò che non voleva sentire, ma non ci sarebbe riuscito, avrebbe ascoltato comunque. Di contro non era più capace di muovere bocca per parlare. Eppure era fiducioso come mai lo era stato.

Per la prima volta nella sua vita ebbe paura.

Per la prima volta nella sua vita non fu d’accordo con sé stesso.

Perché Naruto sarebbe vissuto.

Ostinato come sempre.

“No, è troppo tardi Sasuke. Io…io devo andare, devo ubbidire, per una volta nella mia vita. Mi capisci? No, non fare così, non scuotere il capo, no!”

Naruto era avanzato verso di lui, ne sentiva la calda presenza.

“Non ti riconosco, dov’è finito il Sasuke che conoscevo? Avanti, smuoviti, almeno tu che puoi. La vedi Sakura, no? Sakura_chan…oh lei può soltanto aggrapparsi a te, ora. Io…io devo andare. Devo”

Ripeteva quella frase, Naruto.

Sasuke credette finalmente d’essere impazzito e tese le braccia verso Naruto e quest’ultimo gli prese una mano, gliela strinse e poi sorrise. Sorrise. La mano dell’eroe era calda, aveva consistenza per lui, e col calore il vuoto parve sparire, così come l’incertezza.

Era finalmente venuto il suo turno? Era finalmente impazzito?

Ma Naruto lo guardò severamente.

“Smettila!”

Nessuno mai l’aveva guardato a quel modo, o forse, non ne aveva ricordo; era stato Itachi, anni addietro, a guardarlo esattamente così: severamente e intrinsecamente pieno d’ansia.

Itachi che l’aveva abbandonato da piccolo, imbrogliato, che gli aveva voluto bene in silenzio.

Naruto però era diverso.

Naruto non l’aveva mai abbandonato – prima d’ora -, mai imbrogliato – se non a fin di bene - , lo aveva sempre amato chiassosamente.

Proprio come un eroe.

E stava per morire?

M o r i r e…che orribile parola.

 

 

 

“Che c’è? Perché mi guardi così?”

Cosa gli saltava in mente di porre domande sulla realtà a Sakura?

Si pentì profondamente, ma vedendo lei annuire più volte e arrossire, sì, arrossire, un senso di pace lo tranquillizzò.

Sostenne coraggiosamente quello sguardo folle.

“Perché io ti voglio bene, Sasuke_kun”

Nel pieno del rossore Sakura sembrò proprio la ragazzina di tanto tempo fa, colei che gli correva prepotentemente dietro e lo amava ingenuamente, senz’alcuna paura, senz’alcun ragionamento.

Era stata proprio quella noiosa ragazzina la prima persona che aveva visto al risveglio, che vedeva la mattina, ogni mattina dell’anno.

 “Che ne dici se io e te ce ne andiamo, adesso, di qui?”

Sakura spalancò gli occhioni, però poi annuì nuovamente, più timida.

S’abbandonava sempre alle sue decisioni, lui era l’uomo, lui era il suo uomo, lui era tutto per lei.

Era pure un padre.

Un dannatissimo padre.

Un preoccupatissima padre.

A volte, persino, era un fratello.

“Andiamo a trovarlo, prima? Lo troveremo lì, vero?”

Sasuke sorrise a mezzo.

Com’era dolce nella sua pazzia.

Com’era ingenua, diretta, esasperante.

“Certo, Sakura. Prima passiamo di lì. Ma mi devi promettere che resisterai un po’ in mezzo a tante persone che conosciamo, te la senti? Te la senti di assistere alla celebrazione della sua morte?”

Sasuke si bloccò, pensieroso e titubante.

Cosa le stava dicendo?Avrebbe dovuto tacere, non nominare…

 Delle volte si sentiva come se dovesse impazzire da un momento all’altro.

“Morte? Nessuno muore, Sasuke. Soprattutto lui”

Già, non c’era verso.

Lei interpretava tutto, ogni singola frase.

E chissà che non avesse ragione, nelle sue frasi sconnesse.

“ Poi saremo soli, soli con Naruto” concluse Sasuke e presala per mano uscì, uscirono.

Pronti per andare.

Ma mai per tornare.

 

 

 

Fu un ceffone in piena faccia.

“Addio, Sasuke”

Fu un addio.

Sasuke si alzò barcollando e si diresse verso il letto, dove cadde.

- NO! – la voce tornò.

“…mi spiace, Sasuke_kun. Dai un bacio alla mia Sakura_chan, ok? Io…io devo andare”

Fu un ultimo sorriso malinconico.

Cadde sopra il corpo freddo di Naruto, le labbra rigidamente piegate in un sorriso.

- NARUTO… dannato… -

Fu una lacrima sul viso.

Una lacrima che andò a scivolare sulla pelle dura dell’amico.

“…mi spiace, Sasuke_kun. Dai un bacio alla mia Sakura_chan, ok? Io…io devo andare”

- Naruto non mi guarda più, Sasuke. Ora mi guarderai tu, vero? -

Fu una voce fuori campo.

Un’invasione di luce e calore, il cuore che riprendeva il normale battito dopo una potente scossa.

Fu la liberazione.

Perché aveva capito tutto.

L’eroe non era morto, era solo scivolato sullo sfondo della vita, della sua vita, della vita di Sakura che, per forza di cose, l’eroe  aveva destinato a lui.

Naruto sarebbe vissuto.

Ma in altro modo.

 

***

 

Aveva aspettato che le migliaia di persone si diradassero, tornassero alle loro case e negli altri villaggi.

Per ultimo aveva salutato Gaara, che mai si decideva a smuoversi dalla tomba e che i fratelli avevano dovuto prendere uno per un braccio l’altra per l’atro braccio per condurlo verso l’uscita di Konoha.

Era stata una cerimonia lunga, troppo lunga, e tante persone avevano parlato perché tante erano le cose da dire sull’eroe ma mai sarebbero bastate tutte le parole umane.

Aveva piovuto a dirotto fino a che la folla non era arrivata in cimitero, lì preoptenti raggi di sole avevano scalfito l’atmosfera umida ed erano atterrati caldi e luminosi a terra, sulle lapidi e sulla lapide dell’eroe un raggio si era fermato a lungo.

Più volte aveva resistito all’impulso di allontanarsi, di abbandonarli tutti alla loro cerimonia, di prendere il largo e andare via.

Sakura era stata brava in tutto quel tempo, accanto a lui era rimasta in un silenzio rispettoso e non aveva pianto né urlato, e aveva anch’essa resistito dallo scappare via.

Ma ora non c’era più nessuno, al cimitero. Era il tramonto, uno dei migliori tramonti che il Villaggio della Foglia avesse visto da anni.

La lapide bianca risplendeva più di tutte le altre sparse in quel cimitero, neanche farlo apposta.

Sakura si chinò, lui fece altrettanto. Senza mai lasciarle la mano.

Il dito della donna andò a tracciare il contorno dell’immagine che avevano scelto da porre in mezzo alla lapide, si trattava di un ragazzo sorridente, nel pieno della vita. Il dito della donna ne tracciò il profilo, prima di andare a toccare l’incisione, profonda.

Chissà a cosa stava pensando, Sakura. Sasuke non sarebbe mai riuscito ad afferrarne alcun pensiero, ma guardandola negli occhi qualcosa era capace di intuire.

Girò il capo a scrutarne il volto: era steso in un’espressione rilassata, nonostante tutto, il rilassamento di un mare dopo la tempesta, le labbra erano naturalmente schiuse e gli occhi, seppur profondi, brillavano di un bagliore di follia che più sarebbe potuto sparire, anche se ormai era quasi notte.

Non era più inquieta.

Di conseguenza non lo era più nemmeno anche lui.

Era stato quasi automatico il passaggio dal buio più totale agli squarci di luce. Certo la luce totale non avrebbe mai più illuminato né lui né lei. Avevano entrambi superato il confine del dolore, chi con la pazzia chi con una consapevolezza assoluta.

Sakura cominciò a mormorare sommessamente qualcosa che inizialmente Sasuke non riuscì ad afferrare, prima era una preghiera, poi un ricordo e infine presero forma le parole dell’incisione.

La voce sussurrante e melanconica di Sakura unita a tutto ciò che lui aveva dentro gli procurarono un bruciore agli occhi insopportabile.

Ma non si voltò affinchè lei non lo potesse vedere, sarebbe stato un atto sciocco e inutile.

 Sasuke non vi partecipò, chiuso nel rispettoso silenzio di sempre la stette ad osservare con sguardo implicitamente paterno.

Che lo volesse o no quello era ormai il suo sguardo quando lo volgeva verso tale donna.

Per il resto, non aveva sguardi per nessuno.

- Qui giace… -

Poi Sakura prese a leggere la precisa incisione sulla bianca lapide, ciò che avevano scritto i saggi di Konoha sull’eroe.

Sasuke volle accompagnarla.

Assieme le loro voci si mescolavano perfettamente: entrambe melanconiche, l’una ferma l’altra roca, l’una lieve l’altra bassa. Formavano un sacro canto a due tonalità.

Tanto non avevano fretta di partire: una volta che avrebbero voltato le spalle alla Foglia molto probabilmente sarebbero passati anni prima del loro ritorno, o forse anche no, ma quasi sicuramente acqua sotto i ponti ne sarebbe passata tanta.

 

Qui giace Naruto Uzumaki,

eroe indiscutibile dei nostri tempi, amico fedele e buono

che sempre precedette la vita degli altri alla propria.

Riposa in pace, Hokage dei cieli.

 

Sakura con infantile insistenza aveva voluto aggiungere dell’altro a ciò che Konoha aveva deciso di scrivere su Naruto Uzumaki.

Sasuke era stato il primo a darle il permesso, gli altri non poterono negarglielo.

Abbandonò il canto per lasciarlo solo a lei.

Solo a Sakura spettavano le ultime parole.

 

La volpe tirò a sé il falco e la rosa,

E il fuoco subito divampò per sempre.

Fummo una famiglia.

 

Sasuke, prima di andarsene e condurre con sè Sakura, riversò queste parole alla lapide di granito bianco.

Due sole parole, quelle che forse non gli aveva mai detto:

 

«Grazie, Naruto_kun»

 

 

 

“Non trovi che siano bellissimi questi fiori, Sasuke?”

Sakura aveva tra le mani un mazzo di fiori di campo, splendidi e fragilissimi.

Come lei.

“Mpfh”

Sasuke l’aiutò a posarli sul vaso appoggiato alla lapide, le loro mani si muovevano assieme, l’una sopra l’altra, con armonia perfetta.

Forse, fosse stato tutto normale, quell’armonia non l’avrebbero raggiunta mai.

Sasuke ora trovava lati positivi in ogni cosa, una sorta di disperato ottimismo invadeva le sue vene, quasi fosse stato contagiato da Naruto, quasi ne avesse ereditato qualcosa.

Gli piaceva pensarlo.

 

La luna illuminava Sakura tenuemente, carezzandole il corpo troppo concerto in confronto alla sua fragilità interiore.

Per quanto ci avesse provato Sasuke non sarebbe mai riuscito a usare medesima delicatezza con lei; sì, certo, ogni suo gesto era misurato, per non causarle dolore, shock, per non accelerare la follia, ma a volte Sakura di notte piangeva, Sakura si allontanava da lui, si chiudeva in sé stessa.

Nemmeno la notte riusciva a restituirle completamente quella parte di sé ch’essa aveva perduto; e certi commenti di Sasuke talvolta la riportavano inesorabilmente nel passato.

Ma Sakura si lasciava ancora cadere su di lui come fosse la sua unica ancora di salvezza.

Quella sera, come tante altre, rimasero a lungo abbracciati sotto la luna, tra i pianti improvvisi di lei e il protettivo silenzio di lui. E quelle notti, quelle giornate folli non erano altro che una punizione.

Ormai era convinto fosse così, lui, anche se mai si sarebbe dato risposta del perché fosse toccata anche a Sakura.

Una punizione crudele, spietata, Sakura priva di sé.

Se la meritava.

Ma in fondo si diceva che non era così, nessun uomo al mondo avrebbe potuto meritare una cosa simile, nessuno, nemmeno il più bastardo dell’Universo, nemmeno Sasuke Uchiha che, di quella pazzia femminile, si sentiva complice.

“Ti voglio bene”

Sakura si addormentò tra le sue braccia, esausta.

E solo allora Sasuke rispose.

“Anch’io”

Cominciava un’altra notte, finiva un altro giorno di pazzia.

 

 

Lights will guide you home

And ignite your bones

And I will try to fix you

 

FIX YOU - Codplay

 

 

Fin

 

 

 

 

 

 

 

 

SasuSaku al confine tra follia e realtà, vagamente sospesa ed incompiuta.

Mi rendo benissimo conto di quanto la fan fic possa essere contorta, forte e, a volte, proprio folle. Perciò ringrazio con più calore ancor le persone che hanno deciso di provare a leggerla tutta, di capirla nella sua assurdità, di trovare il senso che le ho dato. Non è facile, lo so e mi è stato detto. Perciò grazie, grazie a chi ha letto e recensito lo scorso capitolo, grazie a chi leggerà, recensirà questa seconda ed ultima parte, facendomi un piccolo regalo graditissimo, perché pubblicare senza sapere che ne pensate voi non è appagante, affatto.

Ringrazio le sei persone che hanno già messo questa fan fic fra i preferiti e la persona che l’ha già messa fra le seguite, attendo vostri commenti.

 

Ringraziamenti speciali a

Lalani: ciao, Lala ^^ Ormai le tue recensioni le aspetto appena pubblico ogni mio lavoro; sei assolutamente immancabile <3

 

Delia: Delia, valà, meno male che ci sei…** Per il titolo, vedi che poi ho inserito anche “Fix you?”, quello masochistico xD Pericoloso anche questa seconda parte??

 

Kry33: ehylà, SasuSaku fan accanita (come me), mi fa piacere vedere che commenti tutte le SasuSaku che posto, sai? Un enorme piacere <3. Oh, spero che questa seconda parte sia stata più piacevole…

 

 Angel et Cate: *-* ho adorato il tuo commento <), ah! Ho letto la tua flash su Hinata che hai pubblicato lo stesso mio giorno: splendida. Hai trovato davvero delle ottime parole. Grazie infinite e spero di non averti deluso…

 

Hachi92: grazie, semplicemente, di seguirmi sempre gemellina! *_* E grazie  per aver commentato la prima parte, tesò, nonostante fosse lunga e sicuramene avevi centomila cose da fare e centomila ff da scriver xD Waah, ti voglio bene!

 

 

 

 

Affettuosi saluti, grazie dell’attenzione

Terrastoria

 

 

 

 

 

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