Deal With My Devil di BeautifulMessInside (/viewuser.php?uid=81973)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "Eden Spencer" ***
Capitolo 2: *** Sarai Finalmente Libera ***
Capitolo 3: *** La Risposta alle Mie Domande ***
Capitolo 4: *** Non So Se Ce La Faccio ***
Capitolo 5: *** Dall'inizio ***
Capitolo 6: *** Le Cose sono Cambiate ***
Capitolo 7: *** Tyler Matthews è ancora qui... ***
Capitolo 8: *** Daniel Dair ***
Capitolo 9: *** Davis & André / André & Davis ***
Capitolo 10: *** Dilemma ***
Capitolo 11: *** Adesso Ho Capito ***
Capitolo 12: *** Azione, Istinto e/o Ragione ***
Capitolo 13: *** Tyler Matthews è DI NUOVO qui ***
Capitolo 14: *** A che Gioco Giochiamo Oggi? ***
Capitolo 15: *** Love is What is All About I ***
Capitolo 16: *** Love is What is All About II ***
Capitolo 17: *** La Beffa, L'Assassino e La Bambina ***
Capitolo 18: *** La Terza Via ***
Capitolo 19: *** Ciò che (non) Dovrebbe Essere ***
Capitolo 20: *** Chiunque tu Sia ***
Capitolo 21: *** Lascialo Andare ***
Capitolo 22: *** Un Patto o Una Punizione ***
Capitolo 23: *** Dancing on Our Own ***
Capitolo 24: *** "Io ti amo... E io ti prego" ***
Capitolo 25: *** I Dare You... ***
Capitolo 26: *** ...Sarà tutto finito ***
Capitolo 27: *** They'll never know ***
Capitolo 1 *** "Eden Spencer" ***
dealwithmydevil1
INTRODUZIONE
“EDEN
SPENCER”
Eden
Spencer rapinava banche. E non solo. O almeno è quello che
faceva prima di essere presa.
Credeva
di morire quel giorno, con quattro proiettili in corpo.
L'ultima
immagine che aveva visto erano i suoi che scappavano. L'ultimo suono
che aveva sentito era quello dei loro passi pesanti mischiati agli
spari.
Poi
aveva chiuso gli occhi.
Perché
tanto non l'avrebbero salvata.
-----
Eppure
il suo destino era stato vivere.
Oggi
Eden Spencer collabora con l'FBI. Il tenente Daniel Dair le ha
promesso protezione e lei gli ha giurato di aiutarli ad arrestare gli
altri. Il resto del suo gruppo. La sua vecchia famiglia.
-----
Eden
Spencer non è sempre stata una ladra. C'è stato
un
tempo in cui era solo una ragazzina di buona famiglia, unica figlia
di una ricca imprenditrice dell'upper west side di Manhattan.
Poi
un giorno si era innamorata.
Della
persona sbagliata.
Che
era anche la persona giusta.
Lui
le aveva insegnato che niente è come sembra. E che quel
vuoto
che sentiva dentro poteva essere facilmente riempito. Con
l'adrenalina. Col rischio. Con i soldi. Con gli amici. E con l'amore.
Non
pensava davvero che un giorno lui l'avrebbe abbandonata.
-----
Adesso
Eden non lo ama più.
Adesso
lo odia.
E
tutto ciò che aspetta è di saperlo dietro le
sbarre.
Ma
un patto stretto col proprio diavolo non si spezza così
facilmente...
Questa storia è
liberamente tratta da uno dei miei sogni... Vi è mai
successo di sognare una sequenza di eventi vera e propria come se
steste semplicemente guardando un film??
Io ho sognato Blair (Leighton
Meester) nei panni di questa donna e ho deciso di farne la
protagonista, trovando poi un volto adatto anche a tutti gli altri
personaggi della storia.
Spero che l'idea vi possa
piacere, così continuerò a scrivere...
Altrimenti "Deal with my
devil" resterà solo un altro dei miei strani "sogni filmici"
-Martina-
--- How can You Stay Outside??
There's a Beautiful Mess Inside... ---
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Capitolo 2 *** Sarai Finalmente Libera ***
capitolo1
DEAL
WITH MY DEVIL
CAPITOLO
1
“SARAI
FINALMENTE LIBERA”
I
tacchi alti di Eden sbattevano contro il parquet creando un ritmo
veloce ed agitato. Il corridoio sembrava più lungo del solito
in quella giornata, iniziata molto peggio di tante altre. Mentre
avanzava, decisa e leggera allo stesso tempo, rimpiangeva di non aver
lasciato squillare il suo cellulare. Sperava di avere più
tempo prima di tuffarsi di nuovo nella sua bizzarra realtà.
La
porta iniziò a cigolare non appena fece pressione sulla
maniglia, stuzzicando oltremodo i suoi nervi già tesi. Un
leggero aroma di patchouli le riempì il naso. Capì
all'istante chi si sarebbe trovata davanti.
“Buongiorno!”
“Che
diavolo vuoi?”
“Alla
faccia delle buone maniere, eh?”
Eden
inspirò profondamente ad occhi chiusi mentre il tenente
dell'FBI Daniel Dair le si parava davanti. Quando riaprì gli
occhi si ritrovò a poco più di dieci centimetri da
quelli verdi di lui.
“Sei
scappata piuttosto in fretta l'ultima volta.”
Il
suo tono, a metà tra il rimprovero e il rammarico, non la
scalfì minimamente. Fece un passo indietro e lo guardò
ancora più seriamente.
“Perché
mi avete chiamata? Spero davvero che sia per una buona ragione.”
“Ho
paura che lo sia davvero stavolta.”
Dair
le voltò le spalle e raggiunse la sua scrivania passandosi una
mano sulla nuca. Eden alzò un sopracciglio seguendo i suoi
movimenti lenti.
“Che
succede Dair?”
Lui
iniziò a sfogliare il fascicolo che aveva sotto gli occhi e
riprese a parlare senza guardarla
“Scusa
se te lo chiedo...” Fece una piccola pausa “...Sei davvero fuori
da tutto quanto vero?”
Eden
aggrottò la fronte passando la borsa da un braccio all'altro
“Voglio
dire... Non hai avuto contatti con...”
“No!”
Eden
lo interruppe alzando di colpo la voce prima che potesse finire la
frase. Deglutì e si ricompose
“Assolutamente
no.”
Dair
annuì riportando gli occhi sui fogli di carta
“Ok.”
“Perché
ne stiamo parlando?”
Eden
incalzò di colpo preda dell'agitazione. Dair sospirò.
“L'abbiamo
trovato.”
Eden
sembrò pietrificarsi in quell'istante. I suoi occhi si
spalancarono mentre fissavano un punto invisibile al di là di
Dair. La sua mano strinse forte la borsa mentre le unghie laccate di
fresco graffiavano la pelle.
Dair
sospirò di nuovo. Sapeva perfettamente cosa aveva detto. Ancor
più sapeva cosa significava per lei. Fissò il pavimento
per qualche istante poi decise di avvicinarsi.
“Puoi
stare tranquilla.”
Eden
schivò il suo tentativo di toccarla e sembrò
riattivarsi di colpo
“Dove?”
“New
York.”
Eden
lo guardò stupita
“New
York?!”
Dair
annuì mentre lei cercava inutilmente di formare qualche
pensiero di senso compiuto. Nel suo petto il cuore sembrava essere
sul punto di esplodere. E la testa sembrava girarle, anche se tutto
intorno a lei era ancora fermo.
Lui
tentò di avvicinarsi di nuovo, sfiorandole appena il braccio
“Non
sappiamo ancora perché sia tornato. E non sappiamo nemmeno se
sia ancora nello stato di New York..”
“E
cosa sapete allora?!”
Eden
lo scansò di nuovo scagliandosi sul fascicolo che poco prima
era tra le mani di Dair. Lo sfogliò nervosamente alla ricerca
di qualcosa che non riuscì a trovare. Lo sbatté con
forza sulla scrivania lucida.
“Devo
andarmene. Più in fretta che posso.”
Non
finì nemmeno di parlare che già era sulla porta,
bloccata all'ultimo istante dalla presa di Dair.
“Lasciami!”
“Aspetta.”
“Cosa?
Che riesca a trovarmi?”
Dair
continuò a stringere la presa intorno alla sua vita sottile,
finché non la sentì rilassarsi appena contro il suo
braccio.
“Non
è tornato per te. Lo sai.”
Eden
chiuse gli occhi. Nonostante il panico che l'aveva attraversata,
sapeva che Dair aveva ragione. Inspirò ed annuì allo
stesso tempo, ridando un ordine logico alla realtà.
“Per
lui sono morta quel giorno.”
Disse
a bassa voce rivolta ad un interlocutore immaginario. Dair lasciò
la presa e spostò la mano verso il viso di Eden, spostando una
ciocca dei suoi capelli color caramello. Lei poggiò la mano su
quella di lui per spostarla, ma per qualche istante lasciò che
si toccassero e basta. In quel momento l'avrebbe abbracciato, solo
per spegnere la paura che le stava nascendo dentro.
“Perché
me lo stai dicendo?”
Dair
ritrasse la mano e si allontanò facendosi freddo di colpo. Si
avvicinò di nuovo alla sua scrivania poi, poggiandosi contro
il legno, rivolse gli occhi ad Eden.
“E'
vero, lui crede che tu sia morta...”
Prese
fiato con un'espressione di ghiaccio dipinta in faccia. Eden capì
che in quel momento non era più Dair a parlare, bensì
Daniel Dair, tenente dell'FBI, vicecomandante della sezione
criminalità organizzata.
“...Forse
è ora che sappia che non lo sei affatto.”
Eden
spalancò la bocca di fronte a tanta fermezza. Per lei Dair
aveva appena detto una frase assurda. Non riusciva a dargli un senso.
Non dopo aver passato gli ultimi cinque anni a nascondersi.
“Che
cosa!?”
Mentre
cercava di razionalizzare, anche il suo sguardo divenne di ghiaccio.
Nessuno l'avrebbe forzata a fare qualcosa che non voleva. Infondo,
sotto la cenere, c'era ancora la vecchia Eden Cecilia Spencer.
Lui
si passò le mani addosso lisciando il completo blu. La luce
dalla finestra si rifletté sul suo tesserino, appuntato
all'altezza del cuore.
“E'
la prima volta in tutto questo tempo che Davis Miller rimette piede
sul suolo americano. Non sappiamo ancora perché sia qui, ma
sappiamo di per certo che non ci resterà a lungo...”
A
sentire quel nome un brivido le attraversò le ossa. Erano anni
che non osava nominarlo, impedendo anche alla sua mente di
pronunciare quel nome.
“...Tentare
qualsiasi attacco sarebbe inutile. Per quanto odi ammetterlo è
più furbo di noi, come se avesse occhi e orecchie
dappertutto...”
Per
una frazione di secondo l'angolo della bocca di Eden si sollevò
“...quindi
dobbiamo fornirgli una buona ragione per prolungare il suo
soggiorno.”
Eden
risollevò gli occhi scuri guardandolo con aria di sfida, come
se avesse già capito ogni cosa.
“Tu
saresti la ragione perfetta.”
Dair
concluse il discorso senza staccare lo sguardo dal suo.
“No.”
Quella
sillaba uscì dalle labbra di Eden ancor più definitiva
di quanto volesse. Di nuovo si voltò verso la porta.
“Eden.”
La
richiamò lui con tono solenne. Lei si bloccò
maledicendo il suo stesso nome. Non poteva uscire da quella stanza.
Lo guardò di nuovo.
“Sei
parecchio in debito con l'FBI ricordi?”
“Non
ho mai detto che vi avrei aiutato in questo.”
“Non
credo che tu abbia molta scelta.”
Eden
lasciò cadere la testa indietro fissando il soffitto. Non
stava succedendo davvero.
“Perché
mi stai facendo questo?”
La
sua voce suonò spaventata. Come del resto era. Il tenente
sentì un pugno nello stomaco. Non sentiva più quel tono
da anni, dalla prima volta che l'aveva vista, stretta nelle sue
stesse braccia nella stanza degli interrogatori. Spaventata e persa.
Si trattenne dal raggiungerla facendo appiglio a tutto il suo senso
del dovere.
“Mi
dispiace.”
Eden
scosse il capo mordendosi le labbra. Dair decise di prendere a calci
il suo senso del dovere e consumò in due passi la distanza fra
loro. Le prese il viso tra le mani costringendola a guardarlo in
faccia.
“Non
dipende da me, lo sai. Non ti avrei mai fatto questo.”
Lei
rimase impassibile tra le sue mani. Ma Dair riusciva a sentire che a
stento si tratteneva dal tremare. Le sollevò il viso perché
potessero guardarsi dritto negli occhi.
“Mai.”
Insistette.
Eden sollevò piano le mani e raggiunse le sue delicatamente.
“Eppure
lo stai facendo proprio adesso.”
Rispose
brutale stringendo la presa affinché lui smettesse di
toccarla. Era arrabbiata. In pochi minuti era passata dal panico alla
rabbia più accesa.
“Eden
io...”
In
quel momento la porta cigolò ancora, lasciando entrare un
altro agente in completo blu. Dair si tirò indietro
bruscamente dipingendosi una nuova freddezza in faccia. Eden non
mosse un muscolo.
“Buongiorno
bambolina! Finalmente è arrivato il momento di ripagare la
giustizia, contenta?”
Eden
strinse i pugni sentendo che avrebbe potuto saltargli alla gola in
meno di un secondo. Odiava quella voce acuta e quel tono saccente.
Odiava quell'odore di sigari toscani. Odiava l'agente McPhee. E più
di tutto odiava il fatto che proprio lui fosse il dirigente della
sezione operativa.
“E
se non volessi farlo?”
McPhee
abbozzò un sorriso arrogante
“Diciamo
solo che qualcuno potrebbe sentire la tua mancanza.”
Eden
sembrò scattare dritta verso di lui, ma Dair si mise in mezzo.
“Le
stavo ancora spiegando il piano.”
McPhee
guardò il suo collega dall'alto in basso. Non sopportava il
fatto che fosse sempre disposto a difendere quella donna. Ai suoi
occhi non era altro che una criminale come tutti gli altri. Molto più
bella forse, ma colpevole come tutti gli altri.
“Allora
vedi di farle capire che non ha alcuna voce in proposito.”
Ribatté
acido guardando Eden che ribolliva alle spalle dell'agente Dair. Un
nuovo sorriso gli si dipinse in faccia.
“A
presto bambolina.”
Concluse
sfilando via, non prima di avere depositato un paio di documenti
sulla scrivania di Dair.
“Se
devo andare in galera a vita, tanto vale che lo uccida prima.”
Dair
le si avvicinò di nuovo ignorando il suo tentativo di fare
sarcasmo. Le poggiò le mani sulle spalle.
“Senti,
tutto questo fa schifo a me quanto a te, ma ho paura che McPhee abbia
ragione.”
Lei
tirò su col naso e lo guardò in viso
“Non
ho scelta vero?”
Lui
scosse il capo muovendo le mani per accarezzarle le braccia nude.
“Farò
in modo che non ti succeda niente. Né a te né a..”
“Cosa
volete che faccia?”
Lo
interruppe lei alzando la voce di un paio di ottave come ogni volta
che doveva interromperlo.
“Devi
solo fare in modo che lui si distragga, che abbassi la guardia per un
momento. Devi crearci l'occasione per intervenire.”
“Credi
che presentarmi da lui non sia già abbastanza?”
“Non
lo so.”
Eden
abbassò gli occhi e li rialzò qualche istante dopo
“Se
lo faccio riuscirete a prenderlo? Voglio dire, starà dietro le
sbarre per sempre giusto?”
“Getterò
via la chiave io stesso...”
Dair
le afferrò il mento e di nuovo buttò gli occhi in
quelli marroni di lei
“...E
tu sarai finalmente libera.”
Per
qualche secondo lo fissò e basta. Nel chiaro di quegli occhi
verdi riusciva a veder scorrere tutti i suoi pensieri. Quelle ultime
parole risuonarono nella sua testa. Strinse i pugni.
“Ok”
Sussurrò
appena costringendo Dair ad aggrottare le sopracciglia
“Come?”
Eden
lo fissò dritto negli occhi senza una vera espressione
“Ok...
Arrestiamo quel figlio di puttana di mio marito.”
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Capitolo 3 *** La Risposta alle Mie Domande ***
capitolo2
CAPITOLO
2
“LA
RISPOSTA ALLE MIA DOMANDE”
4
ANNI e MEZZO PRIMA
Eden
si strinse nelle braccia. Sentiva freddo. Non aveva idea che giorno
fosse e non riusciva ancora a capire dove si trovasse. L'avevano
presa, di questo era sicura. E adesso l'avrebbero interrogata. Le
avrebbero fatto delle domande. Domande a cui non avrebbe saputo
rispondere.
Guardò
alla sua destra verso lo specchio. Sapeva che qualcuno dall'altra
parte la stava guardando. Cercò di sembrare minacciosa, ma non
ci riuscì. Aveva paura. Per la prima volta in vita sua aveva
davvero paura.
-----
Dall'altra
parte del vetro l'agente Daniel Dair, da poco nominato vicecomandante
della sezione, cercava di non fissare la criminale di fronte a lui.
Lunghi capelli scuri disordinati. Grandi occhi marroni. Pelle
chiarissima e cerchi viola intorno agli occhi. Eppure era bellissima.
Di certo non poteva biasimare Davis Miller per averla scelta come
moglie. Ma possibile che lei fosse altrettanto pericolosa? Vista così
sembrava solo terrorizzata.
-----
Un
agente in completo blu entrò sbattendo la porta. Portava con
sé un intenso odore di sigaro appena fumato.
“Finalmente
ci incontriamo signora Miller!”
Eden
lo seguì con lo sguardo mentre prendeva posto davanti a lei.
Si strinse ancor più nelle braccia.
“Sono
l'agente Todd McPhee e sono alquanto impaziente di fare una bella
chiacchierata con te.”
L'agente
poggiò i gomiti sul tavolo
“Il
medico dice che potresti essere ancora confusa. Ma io sono sicuro che
puoi già dirci parecchie cose interessanti.”
Eden
deglutì alzando lo sguardo
“Non
so.. Non so neanche cosa mi è successo.”
Lui
sfoggiò un sorriso falso e tamburellò con le dita sul
metallo.
“C'è
tempo per quello. Adesso voglio sapere dov'è il tuo adorabile
marito.”
Un
flash attraversò la mente di Eden. Un ricordo improvviso. E
doloroso.
“Io..Io
non... Non lo so.”
Rispose
scuotendo la testa nervosamente. Sentiva che iniziava a mancarle
l'aria.
“Non
fare scherzi bambolina. Dove si nasconde?”
Eden
aggrottò la fronte fissando il vuoto. Iniziò a
gesticolare ma niente le uscì dalla bocca. Non aveva idea di
cosa stesse succedendo.
L'agente
di fronte a lei si alzò in piedi e le girò intorno.
Sentì le sue dita umidicce toccarle il collo. Rabbrividì.
“Io
non lo so... Non me lo ricordo... Non lo so!”
Il
tocco dell'agente divenne una presa leggera intorno al suo collo
sottile.
“Dov'è?”
Chiese
di nuovo con tono brutale. Eden sentì che stava per soffocare.
O forse per vomitare. Iniziò a scuotere la testa senza
proferire sillaba.
“Adesso
basta.”
L'agente
strinse la presa mentre avvicinava il viso al suo orecchio
“Guarda
che potrei anche farti male.”
Gli
occhi di Eden si riempirono di lacrime. Se avesse avuto una risposta,
una qualsiasi, l'avrebbe sputata fuori al volo. Ma non ne aveva.
Tutto ciò che poteva fare era stringere le mani intorno al
braccio dell'agente sperando che mollasse la presa.
In
quel momento la porta si spalancò sbattendo poi ancor più
rumorosamente.
“Basta
McPhee!”
Riluttante
l'agente mollò la presa e si voltò verso il nuovo
arrivato.
“Andiamo
Dair! Non può non saperlo!”
“E'
la prima volta che mette piedi fuori dall'ospedale. E' ancora
confusa.”
“E
tu ci credi?”
“Non
ci vuole certo un genio per capire che non sta mentendo!...”
L'agente
Dair avanzò verso il collega
“...Continuo
io qui.”
“Ma
gli interrogatori sono compito mio.”
“Sono
un tuo superiore adesso. C'è bisogno che te lo ricordi?”
Gli
occhi dell'agente McPhee divennero due strette fessure.
“Spero
che tu sappia cosa fai ragazzino.”
Concluse
acido prima di lasciare la stanza.
L'agente
Dair rivolse lo sguardo alla ragazza davanti a lui. Stava tremando.
Inspirò profondamente e prese posto all'altro lato del tavolo.
Cercò di guardarla ma Eden aveva la testa bassa e si stringeva
in sé stessa.
“Eden
Spencer, giusto?”
Esordì
chiamandola col suo nome di battesimo, cercando di sembrare il più
gentile possibile.
“Io
sono l'agente Daniel Dair.”
Non
ottenne risposta
“Come
ti senti?”
La
testa di Eden si sollevò piano. La gentilezza che lesse sul
viso dell'agente le sembrò autentica.
“Io
non lo so.”
Dair
annuì, cercando di mantenere l'aplomb che ci si aspettava da
lui.
“Sei
rimasta in coma. Per dieci mesi.”
Eden
aggrottò le sopracciglia mentre lui continuava
“...Ti
sei risvegliata solo una settimana fa. E' normale se ancora non
ricordi tutto.”
Eden
si guardò le mani. Un'immagine inaspettata si sovrappose a
quella presente. Le sue mani erano coperte di sangue. Il suo sangue.
“Cosa
mi farete adesso?”
Dair
sollevò le spalle
“E'
presto per dirlo. Ma se deciderai di collaborare sono sicuro che le
cose andranno meglio per te.”
Lei
lo guardò come se non riuscisse a capire.
“Cosa
ti ricordi esattamente?”
Eden
si guardò intorno. I muscoli del suo viso si contrassero
impercettibilmente. Non sapeva da che parte cominciare.
“Ci
hanno preso...”
Iniziò
cercando di dare un filo logico alla sua confusione.
“...Avevamo
organizzato tutto. Sarebbe stato un grande colpo. L'ultimo...”
Per
una frazione di secondo sorrise
“...Ma
ci avevano intercettato. C'era una talpa e ci hanno preso...”
Il
suo sguardo si fece drammatico
“...C'è
stata una sparatoria e io... E io...”
Rivide
quei secondi nella sua mente. Tony aveva estratto di colpo la pistola
e lei era diventata di pietra. Accanto a lei Davis contraeva la
mandibola ed ogni altro muscolo. E in un attimo tutto era cambiato.
Nessun camion portavalori da derubare. Solo i passi di quelli che
sembravano mille agenti, pronti a scaricare su di loro i caricatori.
Lei, David, Payne e gli altri si erano stretti schiena contro
schiena. Avevano impugnato le armi. Ma sapevano di essere del tutto
fregati.
I
suoi occhi inorridirono mentre si alzavano verso quelli dell'agente.
“...Io
sono morta.”
Sentenziò
infine ricordando la sensazione che aveva provato. Un freddo
insopportabile. Un bisogno irresistibile di chiudere gli occhi. Un
peso enorme che ti tira giù per le gambe. Intorno a lei c'era
un rumore infernale. Spari. Urla. Sirene della polizia. Eppure lei
non sentiva niente. Nemmeno le ferite bruciavano più. Voleva
solo dormire. E così aveva chiuso gli occhi, senza troppo
preoccuparsi. Era sicura che Davis l'avrebbe salvata. Ancora una
volta.
“Eden?”
Chiamarla
per nome gli venne naturale. Quella ragazza era anni luce lontana da
ogni altra criminale che avesse mai incontrato. Non riusciva a
credere che fosse il mostro che dipingevano.
Di
colpo Eden balzò in piedi facendolo saltare sulla sedia.
Si
poggiò le mani sul ventre.
“Oddio!”
Improvvisamente
iniziò a piangere. Lì, in piedi. Davanti a lui.
Dair
rimase impietrito. Non sopportava la vista delle donne che piangono.
E quel pianto era talmente disperato che lo faceva stare ancora più
male. Si alzò e la raggiunse
“Non
piangere, ti prego.”
Lei
sembrò non sentirlo nemmeno. Si accasciò in ginocchio
proprio davanti a lui.
Dair
guardò al di là dello specchio. Sapeva di essere
osservato. E sapeva che stava per giocarsi la sua credibilità.
Ma se ne infischiò. Inginocchiandosi piano cercò di
toccarla.
“Eden?”
Lei
lo scansò
“Eden?”
Chiese
di nuovo e lei si decise a sollevare gli occhi.
Dair
sospirò
“Non
preoccuparti. Lei sta bene.”
Quel
pianto cessò in un secondo. Al suo posto comparve la sorpresa.
L'incredulità.
“L..lei?”
Dair
annuì.
Il
cuore di Eden riprese a battere.
Ora
era di nuovo viva. Davvero.
*****
A/N
Questo è il primo salto nel
passato, il primo interrogatorio di Eden dopo l'arresto. Eden è
rimasta in coma per parecchio tempo dopo la sparatoria e quando si è
finalmente svegliata ha trovato una realtà decisamente
diversa.
Ricorrerò
spesso al flashback in questa storia per cercare di dare un filo
logico alla linea narrativa presente. Spero che anche a voi, come a
me, piacciano gli sbalzi temporali! Sono fermamente convinta che non
si possa capire un personaggio se non se ne conosce il passato e allo
stesso tempo credo che seguire l'ordine cronologico “standard”
rischierebbe di rendere la storia piatta e noiosa. Per questo, quando
scrivo, preferisco saltare da un momento all'altro nella vita dei
personaggi, ovviamente cercando di rimanere il più possibile
ancorata al presente.
Se
siete d'accordo con me o se invece pensate che sia solo fonte di
confusione, lasciatemi pure un commento!
E
grazie di aver letto la mia storia.
X
MEREDITH91: grazie mille x aver letto e lasciato una
recensione! Scrivere è la mia passione ma non sempre ho il
tempo, l'energia e l'ispirazione per farlo. Spero per questa storia
di trovare tutte e tre le cose e portarla a conclusione! E sarò
contentissima se continuerai a seguirmi!
Per quanto riguarda il wallpaper ti ho mandato una mail o messaggio privato stamattina tramite il sito, non so come altro contattarti! Comunque l'ho fatto col photoshop!
Basta avere uno sfondo, delle foto e dei brushes (in questo caso le polaroid, le banconote e il distintivo dell'fbi) Prima ho creato i vari pezzi e poi li ho incollati sullo sfondo.
Se non sai cosa sono i brushes, sono semplicementi pennelli per il photoshop a forma di qualsiasi cosa ti serva! Li puoi scaricare da siti appositi (io uso deviantart) e poi li carici sul programma.
Se hai bisogno lasciami la mail o un contatto e ti spiego meglio! Ancora grazie!
|
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Capitolo 4 *** Non So Se Ce La Faccio ***
capitolo3
CAPITOLO
3
“NON
SO SE CE LA FACCIO”
L'agente
Dair preferiva gli abiti borghesi alla divisa. Un paio di jeans. Una
T-shirt qualsiasi. Ma nonostante questo, ogni volta che si toglieva
l'abito da federale non poteva fare a meno di sentirsi come se gli
mancasse qualcosa.
Eppure
non voleva essere quel tipo di agente. Non lo era e meno che mai
voleva diventarlo. Il suo lavoro e la sua vita privata sarebbero
state sempre due entità separate per lui.
Indossava
una maglietta blu cobalto quella sera, mentre cercava Eden.
L'appartamento
non era troppo grande. Le pareti color crema e un divano a due posti
di finta pelle rossa. Sorrise guardando il disordine di quella stanza
quasi con ammirazione. Seppure nel caos, ogni cosa sembrava avere un
posto ben preciso. Le persone creative non riescono proprio a vivere
fuori dal loro mondo incasinato.
“Eden??”
Chiamò
cercandola con gli occhi
“Dove
ti sei cacciata?”
Doveva
essere lì. Le aveva telefonato appena venti minuti prima.
Quando
entrò nella stanza si accorse che Eden era proprio sotto il
suo naso. Seduta a terra in un angolo stringeva le sue stesse
ginocchia.
“Hey!”
Abbozzando
un sorriso scivolò contro il muro proprio accanto a lei.
“Tutto
bene?”
Lei
sollevò le spalle
“Non
so se ce la faccio...”
Dair
si morse un labbro guardando il muro davanti a lui
“...Non
voglio rivederlo. Non voglio.”
Dair
poggiò la testa al muro
“Sono
sicuro che ce la farai invece.”
Eden
voltò la testa verso di lui alzando un sopracciglio
“Un
po' banale come incoraggiamento, non credi?”
Dair
si lasciò scappare un sorriso. Rispose al suo sguardo.
“Cosa
vuoi che ti dica allora?”
“La
verità.”
Dair
annuì continuando a guardarla negli occhi. Non era bravo a
dire la verità. In nessun campo. In nessuna situazione. Forse
anche per questo aveva scelto un lavoro dove le verità
dovevano sempre essere nascoste e mai svelate. Forse non poteva
essere onesto, ma di certo poteva essere razionale, chiaro e
coinciso.
“Ok...”
Iniziò
riportando lo sguardo in avanti
“...L'FBI
ti fornirà una copertura completa. Secondo la versione
ufficiale ti abbiamo catturata quel giorno, ti abbiamo curata e poi
ti abbiamo sbattuta in cella. Volevamo che collaborassi con noi, ma
tu non hai mai accettato...”
Anche
Eden portò lo sguardo al muro spoglio di fronte a lei
“...Circa
un mese fa, durante un'operazione di riconversione, non so come ma
sei riuscita a scappare, probabilmente con l'aiuto di una talpa
interna. Sai, nessuno scappa mai dal quartier generale, ma io sono
sicuro che tu ci riusciresti.”
“Già.
Avrei dovuto provarci qualche anno fa.”
Dair
ignorò il sarcasmo
“Da
domani sarai libera, e dovrai comportarti esattamente come facevi
cinque anni fa.”
Eden
strinse le labbra sembrando confusa
“Volete
che ricominci con le rapine?”
“Ti
darebbe credibilità in effetti... Ad ogni modo dovrai
riprendere contatti con i vecchi amici, tornare ai vecchi luoghi
d'incontro. Dovrai fare in modo che si fidino di nuovo di te
insomma.”
Eden
tornò completamente seria rivolgendogli un nuovo sguardo.
“Volete
che vada da lui?”
Dair
scosse la testa
“No.
Sarà lui a trovare te, e sono certo che non gli ci vorrà
molto.”
“Che
vuoi dire?”
“Abbiamo
già sganciato un paio di informatori che stanno mettendo in
giro la voce del tuo ritorno. Non appena arriverà alle sue
orecchie sono sicuro che smuoverà mari e monti per trovarti. O
almeno è quello che farei io al posto suo.”
Il
silenzio improvviso cadde come un macigno. Eden sentì lo
stomaco chiudersi. Non riuscì a dire niente. Sorrise appena e
basta.
Dair
abbassò gli occhi per primo
“Un
paio di agenti infiltrati monitoreranno la situazione per tutto il
tempo finché Miller non entrerà in gioco.”
“Che
vuol dire?”
Eden
si sentì d'un tratto molto più agitata
“Se
lui ti riprenderà con sé, così come speriamo, a
quel punto non potremo più monitorarti. Sai che quell'uomo
tiene sotto controllo ogni cosa e io non voglio rischiare che ti
scopra. Non sappiamo come potrebbe reagire.”
Eden
riaprì bocca solo dopo una lunga pausa
“Mi
lascerete da sola quindi.”
“Dovrai
fare la tua parte Eden. Farai in modo che lui si fidi di te. E solo
quando verrà il momento giusto dovrai contattarci di nuovo.
Solo quando sarai certa di poterci fornire delle coordinate esatte.
Mai prima di allora.”
Eden
inspirò profondamente
“Ho
sistemato ogni cosa... Ora, se dovesse succedermi qualcosa..”
“Non
ti succederà nulla.”
La
interruppe lui
“Ma
se dovesse succedermi qualcosa...”
Premette
il palmo della mano sulla sua bocca di Dair prima che potesse parlare
“...Promettimi
che ti occuperai tu di tutto. Solo tu. Nessun altro.”
Dair
le prese delicatamente la mano e la strinse nella sua portandola giù
“Sei
l'unica persona a cui affiderei ciò che ho di più
prezioso.”
Gli
brillarono gli occhi
“Te
lo prometto.”
Dopo
qualche secondo di esitazione Eden contrasse i muscoli e fece forza
sulle gambe per alzarsi.
“Ok.
Visto che mi aspetta una giornata impegnativa forse è meglio
che vada a dormire.”
“Eden.”
C'era
una sorta di esasperazione nella voce del tenente. Anche lui si alzò.
“Aspetta.”
Eden
chiuse gli occhi per un paio di secondi
“Non
voglio parlarne.”
“Ma
non credi che dovremmo farlo lo stesso?”
Eden
si passò una mano tra i capelli sospirando. Lui le si avvicinò
“Non
dovevi andartene in quel modo.”
Lei
abbassò gli occhi
“Stavi
dormendo, non volevo svegliarti.”
“Non
prendermi in giro.”
Il
suo sguardo si rialzò fermo e deciso
“Ok.
La verità è che ho pensato che sarebbe stato meno
sgradevole andarmene mentre dormivi, piuttosto che aspettare che ti
svegliassi.”
“Cavolate.”
“E'
la verità invece. Non volevo farlo davvero, è successo
e basta.”
Dair
corrugò la fronte
“Non
volevi farlo?”
“No...
Sì... Cioè no, no. Non avrei dovuto farlo.”
Lui
le si fece ancora più vicino, mettendo i suoi occhi
all'altezza di quelli di Eden
“Non
avresti dovuto farlo o non volevi farlo? Sono due cose diverse.”
Eden
deglutì trovandolo così vicino a lei. Non poteva negare
di esserne attratta. E nemmeno che provasse una certa forma di
affetto per lui dopo tutto quello che aveva fatto per lei. Ma non era
abbastanza.
“Qualunque
risposta io possa darti non cambierà niente.”
Dair
annuì abbassando gli occhi per un secondo.
Nel
momento in cui li rialzò, senza che Eden se ne accorgesse
nemmeno, le labbra di Dair si scagliarono contro le sue, bloccandola
in un bacio deciso. Rubato forse, ma non estorto.
Eden
barcollò appena, ma il braccio di Dair fu pronto a sostenerla,
approfittando di quella debolezza per bloccarla. Una parte di lei
avrebbe voluto rispondere a quel bacio, ma era troppo impaurita,
troppo ansiosa, forse troppo confusa, e le sue labbra non si
schiusero. Ma senza che potesse controllarle le sue mani raggiunsero
il torace di Dair e lì si fermarono. Dapprima volevano
respingerlo e poi, rinunciando al tentativo, restarono lì ad
ascoltare il suo cuore che batteva forte.
Lui
sembrò non essere deluso quando si allontanò. Conosceva
abbastanza la donna tra le sue braccia da sapere cosa poter chiedere
e cosa no.
“Non
posso credere che ti sto rimandando da lui.”
Sussurrò
appoggiando la fronte a quella di Eden.
Lei
non riuscì a sorridere. E non riuscì a dare un senso a
ciò che stava provando. Avrebbe rivisto suo marito. L'uomo che
aveva sposato quando aveva solo 19 anni. L'uomo di cui si era
innamorata quando ne aveva solamente 16. L'uomo che le aveva fatto
conoscere la vera vita. Lo stesso uomo che poi l'aveva lasciata
morire.
Quale
futuro avrebbe potuto essere paragonato a tutto questo?
Accarezzò
dolcemente il viso di Dair
“Ci
rivedremo presto.”
Tentando
di essere convincente si dipinse un sorriso in faccia e nello stesso
tempo indietreggiò allontanandosi da lui.
“Promettimi
che starai attenta.”
“Te
lo prometto.”
“E
che seguirai le procedure.”
“Te
lo prometto.”
“E
che non ti farai coinvolgere.”
Eden
sospirò
“L'hai
detto tu. Andrà tutto bene no?”
Dair
annuì contraendo la mandibola.
“Ci
vediamo domattina.”
“Ci
vediamo domattina.”
Ripeté
lei indietreggiando ancora per lasciar libero lo specchio della
porta. Dair non si voltò una seconda volta. Stringendo i pugni
si avviò a grandi passi verso l'uscita.
A/N
Secondo capitolo ambientato nel presente di Eden, il giorno prima che
abbia inizio la sua missione. Ne ho approfittato per lasciar
intravedere la natura del rapporto tra Eden e Dair che,
eventualmente, verrà approfondito nei capitoli successivi.
Riguardo
Davis Miller invece, per ora solo accennato, dal prossimo capitolo
inserirò dei nuovi flashback, su lui e su Eden, per raccontare
gli avvenimenti salienti del loro passato. In questo modo, tra
passato e presente, cercherò di dipingere un po' anche lui.
X
Meredith91: innanzitutto grazie!! Sono troppo contenta che ti
piaccia! Come ho detto questa storia è venuta fuori così
dal mio inconscio, non credevo che potesse prendere una forma, per di
più anche piacevole! Vuoi sapere se Eden ha una figlia o se
Davis Miller prenderà bene il suo ritorno? Tra qualche
capitolo lo saprai! Per quanto riguarda il wallpaper ti ho scritto
una mail tramite il sito, ma non so se ti arriverà mai!
Altrimenti ho riscritto tutto alla fine del secondo capitolo. Se
dovessero servirti ulteriori spiegazioni chiedi pure! Sono una
novizia del photoshop, ma ci sto lavorando!
X
Emily Doyle: non ci vuole un genio forse, ma non tutti sanno
leggere tra le righe! Se si tratti di sua figlia o meno, spero che
per scoprirlo continuerai a leggere! Sono contenta che la storia ti
piaccia, anche se lo so, è scritta molto di getto quindi ne
perde sicuramente in profondità. A tal punto cerco di
rimediare scrivendo solo periodi semplici, ma saturi di significato.
O almeno ci proverò!
X
Cinzia818: grazie di avermi letto! Ho postato una storia strana
in una sezione strana, quindi avevo già rinunciato all'idea
che qualcuno la leggesse, figuriamoci che l'apprezzasse!! Per quanto
riguarda Davis Miller bé, credo che ci metterà ancora
un po' prima di comparire. Non che voglia tirarla per le lunghe, è
solo che sono passati cinque anni anche per lui e devo “preparargli
il terreno” diciamo! Spero che continuerai a leggere comunque, così
scoprirai tutto da sola!
|
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Capitolo 5 *** Dall'inizio ***
capitolo 4
CAPITOLO
4
“DALL'INIZIO”
New
York. Casa sua.
Eden
non metteva piede in quel posto da quasi cinque anni eppure sembrava
che nulla fosse cambiato. Forse perché New York non ha mai la
stessa faccia. Qui ogni cosa è in continuo movimento.
L'agente
Derrick l'aveva scaricata alla stazione di Chicago quella mattina. E
prima ancora aveva ricevuto gli ultimi ordini da McPhee e da Dair.
“Fa
anche solo un passo falso bambolina e posso assicurarti che non avrai
trattamenti di favore stavolta!”
“Sta
attenta.”
Dair.
L'ultima volta che l'aveva guardato aveva i muscoli del viso tesi. A
lui non piaceva questo piano. E tutto sommato non piaceva nemmeno a
lei. Ma c'era dentro. E se non altro, finalmente girava di nuovo per
le vie della metropoli come una donna libera.
Si
bloccò sui suoi passi per rimproverarsi da sola.
Sono
un'evasa!
Pensò
tirando su il cappuccio perché le coprisse il viso. Come se
stesse iniziando a recitare. Come se stesse tentando di
entrare nella parte.
Sono
un'evasa che cerca un posto dove andare.
Nella
testa le apparvero parecchi luoghi all'unisono. Ville, appartamenti,
locali, club esclusivi, caffè di periferia...
Ma
c'era un solo posto dove volesse davvero andare in quel momento.
Si
voltò per vedere se la stavano seguendo. Aveva chiesto
esplicitamente che nessuno la seguisse. Almeno finché non ce
n'era bisogno. E a quanto pare, almeno apparentemente, era stata
ascoltata.
Sapeva
che gli agenti erano comunque lì da qualche parte, ma non
riuscire a vederli la faceva sentire meglio. Aveva bisogno di un po'
di tempo con sé stessa.
Girò
l'angolo e si affacciò al di là della siepe.
Dwight
high school. Upper west side.
Il
suo vecchio liceo.
Proprio
lì, dove tutto era iniziato.
------
10
ANNI CIRCA PRIMA
Eden
odiava quel liceo. Perché mai avrebbe dovuto essere brava a
giocare a pallavolo? Perché mai avrebbe dovuto giocarci
innanzitutto? Di certo non le sarebbe servito nella vita. Quale tipo
di problema nella vita si risolve con una partita a pallavolo?
Nemmeno i suoi figli ci avrebbero mai giocato, di questo era più
che sicura.
Giocheremo
tutti a ping pong. In quello sono abbastanza brava infondo.
Appena
voltato l'angolo della scuola tirò fuori la sigaretta dalla
borsa. Aveva proprio bisogno di fumare. Quella giornata stava andando
anche peggio di tutte le altre.
Accese
la sigaretta e tirò a pieni polmoni. Non aveva molto tempo, ma
se la sarebbe goduta lo stesso. Sputò fuori il fumo in una
lunga scia.
“Ne
hai una per me?”
Eden
chiuse gli occhi pronta ad imprecare. Se qualche professore l'avesse
beccata a fumare avrebbe dovuto sopportare l'autocommiserazione di
sua madre per almeno un mese.
“Hey?”
Si
voltò con un gesto deciso e rimase impalata. Se non altro non
era un professore.
“Ce
l'hai una sigaretta si o no?”
Eden
frugò veloce nella borsa e tirò fuori un'altra bionda
porgendola al ragazzo di fronte a lei.
“Grazie.”
Lui
la afferrò e se la portò di fretta alla bocca tirando
prontamente fuori l'accendino.
Eden
rimase a guardarlo.
Era
Davis Miller.
Ultimo
anno. Uno degli studenti con la peggior reputazione. Non solo non era
ricco. A quanto dicevano era anche un ladro. O uno spacciatore. O
entrambe le cose. Lei lo conosceva solo per sentito dire. Non gli era
mai stata così vicina e non si era mai soffermata a guardarlo.
Ora capiva perché, nonostante le voci, tutte le ragazze del
liceo sbavassero all'idea di uscire con lui.
Lineamenti
insoliti ma perfettamente armoniosi. Espressione da duro. Occhi scuri
dal taglio quasi orientale. Barba appena un po' incolta e capelli
ribelli.
Lui
alzò gli occhi dai suoi pensieri. Eden si sentì una
stupida e a stento si trattenne dall'arrossire.
“Sei
nuova?”
Chiese
lui senza guardarla davvero. Eden tornò alla realtà.
“No.”
Rispose
alzando gli occhi al cielo per un momento
“Strano.
Non ti avevo mai vista prima.”
Lei
alzò le spalle
“E'
normale. Credo di avere il dono dell'invisibilità.”
Lui
non si lasciò sfuggire il sarcasmo delle sue parole
“Non
dovresti lamentarti. E' un'abilità parecchio utile.”
Eden
sospirò come se avesse appena tentato di offenderla. Di certo
lui non aveva di questi problemi. Prese una boccata ancora più
profonda di fumo. Se non fosse stata la sua unica occasione di fumare
se ne sarebbe già andata di corsa.
“Certo,
come no.”
Davis
abbozzò un sorriso senza rivolgerle lo sguardo. Protrasse
appena le labbra per sputare una sottile scia di fumo grigiastro.
“Dimenticavo.
In fin dei conti siete tutte uguali.”
Eden
aggrottò le sopracciglia passando una ciocca di capelli scuri
dietro l'orecchio
“E
questo che vorrebbe dire?”
Lui
continuò a fissare un punto immaginario davanti a lui
“Le
ragazze dell'alta società. Quando vi guardano vi lamentate
perché vi guardano e quando non lo fanno vi lamentate perché
non lo fanno.”
Eden
si fece perplessa e nervosa allo stesso tempo
“E
cosa c'entra questo adesso?”
Lui
le rivolse lo sguardo con un movimento fluido della testa
“Ti
stavi lamentando no?”
“No!”
“A
me pareva di sì.”
Rispose
lui sollevando le spalle e facendo dondolare la sigaretta che teneva
tra le labbra. Eden strinse i pugni cercando una risposta arguta. Non
la trovò.
“Non
mi conosci nemmeno!”
Lui
alzò un sopracciglio
“Non
ci vuole certo una laurea.”
Eden
sentì i nervi contrarsi
“Non
mi avevi nemmeno mai vista prima di oggi. Tu non sai niente di me!”
Davis
fece ciondolare la testa come se ci stesse pensando su, poi prese la
sigaretta tra le dita e dopo aver sputato l'ultima boccata di fumo la
guardò
“Magari
invece so molte più cose di te di quanto pensi.”
Eden
aggrottò le sopracciglia. Non sarebbe rimasta lì a
farsi prendere in giro dal primo arrivato. Specialmente se si
trattava di uno con una reputazione da schifo. Buttò il
mozzicone a terra e lo calpestò perché smettesse subito
di ardere.
“Ho
lezione adesso.”
Proferì
secca e decisa iniziando subito ad allontanarsi.
“Ci
vediamo!”
Le
urlò dietro lui.
------
Eden
interruppe il flusso di memoria. Non era quello il genere di ricordo
di cui aveva bisogno.
Pensa
a cosa ti ha fatto.
In
cosa ti ha trasformata.
Sbuffò
abbassando lo sguardo. C'era un altro posto in cui doveva andare ora.
E
c'erano tanti posti dove sarebbe voluta andare. Ma non poteva.
Chissà
se sua madre stava ancora nel loro vecchio attico sulla nona.
E
chissà se almeno dopo la morte l'aveva perdonata.
Eden
sorrise. Impossibile.
Scese
le scale della metropolitana. Brooklyn aspettava il suo ritorno. Da
quasi cinque anni.
A/N
La missione di Eden comincia. Ma siamo solo all'inizio e prima di
passare alla parte dei “confronti diretti”, ho pensato di fare
una prima panoramica del passato. Attraverso questo flash back, per
esempio, ho descritto il primo incontro tra Eden e Davis e andando
avanti cercherò anche di descrivere come sono arrivati a
questo punto. Oltre a loro due comunque presenterò anche gli
altri personaggi, un po' alla volta. Il tutto sperando di non fare
troppa confusione. In proposito conto su di voi per le critiche
costruttive!
Per
Emily Doyle: eh sì, di certo c'è qualcosa in
sospeso tra Eden e Dair, ma la natura del loro rapporto non è
molto chiara... Nemmeno a me! ;) Ad ogni modo nei prossimi capitoli
cercherò di farvi capire meglio. Adesso che mi dici di Davis
invece? Grazie della recensione!!
Per
Cinzia818: credo tu abbia ragione, le storie originali sono
sempre in secondo piano rispetto alle fanfiction vere e proprie.
Comunque preferisco sempre metterci del mio quando scrivo, anche se
non disdegno affatto le fanfiction anzi! Anche tu scrivi vero??
Prometto che appena ho tempo (sono sotto esami...) mi leggo le tue
storie! Grazie della recensione!!!
Per
Meredith91: dopo Eden e Dair, adesso darò un po' di spazio
ad Eden e Davis, sperando che possiate apprezzare anche lui! Sarà
un personaggio certamente diverso, ma ho già in mente
parecchie cose per lui. E d'altra parte ci sarà ancora spazio
anche per Dair. Grazie per le recensioni sempre carinissime e spero
che tu abbia risolto i tuoi problemi col photoshop!
|
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Capitolo 6 *** Le Cose sono Cambiate ***
capitolo5
CAPITOLO
5
“LE
COSE SONO CAMBIATE”
Café
Des Artistes.
Quale
posto migliore? Un tempo letterati, artisti e filosofi si
incontravano nei caffè per scambiare teorie ed opinioni. Oggi
non è poi così diverso. Cambiano solo gli argomenti di
conversazione.
Era
quasi mezzanotte.
Eden
spinse la porta di vetro e sentì con piacere il suono del
campanello.
Fu
come fare un tuffo nel passato.
In
quel posto aveva passato intere giornate. Era in quel piccolo locale
di Brooklyn, nel quartiere bohemien di Dumbo, che lei e gli altri si
incontravano. Era lì che scambiavano opinioni con gli altri
del mestiere. Era in quel minuscolo caffè che fumavano
sigarette e bevevano birra.
Tutti
tranne lei almeno.
Eden
non beveva mai.
Fece
qualche passo con la testa bassa quasi avesse paura di scoprire che
quel posto non era più lo stesso.
Con
un movimento lento tirò su il viso e lasciò scivolare
il cappuccio sulle spalle.
Si
guardò intorno.
Le
pareti avevano ancora lo stesso colore rosso mattone scuro. I quadri
appesi invece forse erano cambiati. Lì per lì non
riusciva a ricordare. I tavoli avevano delle tovaglie diverse, mentre
la pelle consumata delle poltrone era sempre la stessa.
Sorrise
accarezzando il vecchio juke box con lo sguardo.
D12.
I love rock 'n roll. Joan Jett and the blackhearts.
Chissà
se ho un quarto di dollaro in tasca.
Un
rumore improvviso di vetri infranti la fece sussultare. Si voltò
di scatto.
“Non
posso crederci!”
Grace
aveva lasciato cadere a terra la caraffa del caffè e se ne
stava impalata con gli occhi spalancati e le mani sulla bocca.
Eden
allargò il suo sorriso.
“Allora
è vero quello che si dice in giro... Non è possibile
che tu sia davvero qui!”
Prima
ancora di finire la frase Grace le si era buttata addosso
stringendola in un abbraccio incredulo.
Una
bella sensazione.
Eden
si fermò a guardarla. Grace Kennedy, lunghi capelli neri e una
liscissima pelle ambrata che lei le aveva sempre invidiato in
segreto. Tutto merito della madre indonesiana. Non credeva che
servisse ancora caffè in quel posto.
“Non
ci posso credere!”
“E
invece eccomi qui.”
“E'
vero quello che dicono? Sei scappata dai federali?”
Eden
sollevò le spalle
“Ci
ho messo un po', ma alla fine ce l'ho fatta.”
Grace
si illuminò
“Sono
così felice!”
Eden
abbassò gli occhi. Lei non sapeva come sentirsi.
“Tutto
bene?”
Grace
le fece cenno di avvicinarsi al bancone.
Le
porse una tazza del suo famoso caffè alla cannella.
“Sì.
E' solo che... Devo ancora abituarmi all'idea di essere tornata.”
“E
non sei l'unica! Hai idea di quale putiferio si scatenerà
appena tutti sapranno che è vero?”
Eden
avvertì una fitta allo stomaco. Non riusciva a non sperare che
la notizia trapelasse il più lenta possibile.
“Non
lo so... In realtà non ho ancora idea di cosa farò.”
Grace
annuì
“Se
hai bisogno di nasconderti posso aiutarti io.”
“Non
voglio metterti nei guai.”
“Non
preoccuparti per me.”
Eden
girò il cucchiaino nella bevanda fumante. Il piano era
iniziato e già le sembrava di non riuscire a starci dentro.
Nella sua testa aveva pronte mille domande da sparare a raffica, ma
il suo cuore non era ancora pronto a sapere.
Grace
balzò in piedi
“Bevi
quel caffè. Sarò da te appena avrò cacciato gli
ultimi clienti. Immagino che avrai bisogno di parecchi
aggiornamenti.”
Grace
sfilò via verso i tavoli mentre Eden la seguiva con gli occhi.
Non riusciva a non guardarla. Non era cambiata affatto. E lei
ricordava ancora perfettamente la sera in cui l'aveva vista la prima
volta. Anche se Grace non era il reale motivo per cui quella serata
le era rimasta tanto impressa nella memoria.
10
ANNI PRIMA
Quella
sera Eden aveva indossato il suo nuovo top, i tacchi alti e l'ultima
borsa di Prada. Eppure non si sentiva a suo agio. Quando le sue
amiche l'avevano supplicata di andare alla festa a casa di Sam
Martins (quaterback della scuola) non aveva potuto rifiutare. Adesso
girovagava tra gente ubriaca ed ipereccitata.
Girando
tra le mille stanze della villa di Sam miracolosamente le sembrò
di aver trovato un'oasi di pace. Da quella stanza infondo al
corridoio non arrivava nessuna musica assordante. Si avvicinò
sperando di non trovare l'ennesima coppia intenta a fare sesso
selvaggio sulla prima superficie utile.
“Eden!”
La
voce cinguettante di Lauren attraversò il corridoio e la
bloccò sui suoi passi
“Dove
stai andando?”
In
men che non si dica l'aveva raggiunta. Eden indicò
distrattamente la stanza davanti a lei
“Cercavo
solo un posto tranquillo. Questa musica mi sta facendo venire il mal
di testa.”
Lauren
la ammonì con lo sguardo
“Dovresti
farti una birra!”
Eden
scosse la testa e si avvicinò alla porta socchiusa. Quella
stanza non era vuota come sperava. C'era un intero gruppo di ragazzi
e ragazze intenti a conversare animatamente.
Eden
aggrottò le sopracciglia.
Lauren
sbirciò da dietro di lei e sfoderò un'espressione di
disgusto
“Branco
di falliti.”
“Come?
Li conosci?”
Lauren
alzò un sopracciglio
“Certo
che no!”
“Hai
detto che sono un branco di falliti!”
Lauren
indicò dentro la stanza
“Vedi
quella ragazza con i capelli neri?”
“Quella
che sembra indiana?”
Lauren
annuì
“Quella
è Grace Kennedy. E' di Brooklyn. So chi è perché
qualche mese fa ha fatto un colloquio di lavoro come cameriera
nell'hotel di papà. Dicono che sia fuori di testa.”
“Fuori
di testa?”
“Di
certo ha degli strani interessi. Stregoneria, esoterismo, roba così.
Io le starei lontana se fossi in te...”
Eden
smise di ascoltarla allungando lo sguardo verso la sconosciuta fuori
di testa. Quelle poche parole l'avevano resa improvvisamente
interessante.
“...Non
capisco nemmeno che ci faccia qui con i suoi amici! Dovrebbero
restarsene a Brooklyn!”
Lauren
si ravvivò i capelli color rame con le mani
“Torniamo
di là?”
Eden
guardò di nuovo la sua amica
“Va
pure. Io faccio un salto alla toilette e ti raggiungo.”
“Allora
ci vediamo tra un'ora. La fila per il bagno è infinita!”
Eden
sorrise ma non si mosse mentre Lauren ancheggiava lontano da lei.
Lentamente rivolse di nuovo gli occhi dentro quella stanza.
Stregoneria? Esoterismo? Chissà se era vero.
In
quel momento Grace alzò gli occhi ed incrociò i suoi.
Si
guardarono per un solo secondo prima che Eden indietreggiasse
bruscamente.
Voglio
andare a casa.
Eden
decise che avrebbe preso un taxi e poi avrebbe mandato un messaggio a
Lauren per avvertirla. Si avviò scansando gente verso la
stanza dei genitori di Sam al piano di sopra, dove sperava di
ritrovare in fretta nel mucchio il suo giubbetto. Possibilmente senza
vomito o altre sostanza organiche spalmate sopra.
Aprì
la porta con naturalezza ma dovette bloccarsi sulla soglia.
Si
morse il labbro per l'insolita situazione.
Davanti
a quella faccia lui sembrò quasi divertito.
“Chi
si rivede! La ragazza invisibile.”
Eden
sollevò un sopracciglio facendo cenno al suo braccio, infilato
fino al gomito nella borsa gucci di Polly Trice, la capo cheerleader.
Davis
ne tirò fuori dei contanti e se li infilò in tasca con
disinvoltura.
Mollò
la borsa e dedicò tutta la sua attenzione ad Eden.
Scorrendola
con lo sguardo non trattenne un'espressione di chiaro apprezzamento.
Eden
sentì il cuore arrivarle in gola in un momento. Sentì
che un sorriso a dir poco inopportuno si stava impossessando di lei.
“Stai
pensando a un modo per comprare il mio silenzio?”
Davis
la fulminò con uno sguardo sicuro e dannatamente sensuale.
“Dovrei?”
Il
sangue di Eden sembrò iniziare a scorrere controcorrente,
abbandonando tutte le sue parti del suo corpo per poi farle esplodere
la testa. Si appoggiò allo stipite della porta.
“Visto
che quella borsa era di Polly, e visto che la odio profondamente,
puoi stare tranquillo. Non dirò niente.”
Lui
sfoderò un sorriso a metà dei suoi. Eden si trattenne
dal guardare. Si avvicinò alla pila di cappotti.
Frugando
appena un po' tirò fuori il suo giubbetto di pelle.
Apparentemente intatto. Lo infilò e cercò di rimboccare
la porta.
“Aspetta.”
Lui
la pietrificò sulla soglia con quello che era stato solo una
specie di sussurro.
Le
si avvicinò
“Andiamo
fuori.”
Eden
sentì che stava arrossendo.
“Venire
fuori con te?”
Come
fosse un gioco di prestigio Davis tirò fuori una sigaretta dal
nulla e gliela sventolò davanti.
“Ti
devo una sigaretta no?”
------
Nel
giardino la situazione era decisamente più calma. Davis
raggiunse una panchina in un angolo semibuio e si sedette tirando
fuori l'accendino. Eden prese posto lasciando più spazio
possibile tra loro.
“Non
credevo fossi il tipo che va a queste feste.”
Esordì
lui dopo aver respirato un po' di fumo
“Potrei
dire lo stesso.”
Davis
di nuovo sfoderò un mezzo sorriso.
“Credo
di aver già sciolto il tuo dubbio.”
Rispose
riferendosi a come l'aveva colto in flagrante. Eden sentì che
si stava innervosendo. Quel ragazzo sembrava divertirsi costantemente
alle sue spalle.
“Anch'io
ho risolto il tuo allora. Come ti ho già detto qualche giorno
fa tu non sai niente di me.”
Eden
respirò il fumo amaro di quella sigaretta mentre Davis sembrò
esitare per qualche secondo
“Non
per essere ripetitivo, ma come ti ho già detto anch'io, so
molte più cose di te di quanto pensi.”
Stavolta
fu Eden a sorridere
“Davvero?”
“Mm
mm.”
Convinta
di coglierlo in fallo Eden si sollevò sulla panchina e lo
guardò
“Per
esempio?”
Davis
sputò un cerchio di fumo mentre guardando nel vuoto sembrava
pensare. Come se dovesse inventare al volo qualcosa da dire.
“Per
esempio... So che frequenti il club del libro e che il tuo preferito
è “Cime tempestose” di Emily Bronte... So che tutti i
venerdì salti l'ora di educazione fisica con un certificato
medico falso per una tendinite che non hai... E so che tua madre
guida una mercedes e che probabilmente è una stronza. O almeno
ha la faccia da stronza.”
Eden
spalancò la bocca non sapendo se essere lusingata o spaventata
“Mi
hai spiata?!”
Lui
sollevò le spalle con un'espressione innocente in faccia
“Ti
ho solo guardata.”
Il
cuore di Eden iniziò a pompare a vuoto tanto andava veloce.
Non riusciva a capire. E soprattutto non poteva accettare che quel
ragazzo le smuovesse le interiora.
Scosse
la testa riportando gli occhi in avanti.
“C'è
solo un'ultima cosa che voglio sapere.”
Continuò
lui
“Il
tuo nome.”
Eden
rimase stupita
“Sai
tutte queste cose e non sai il mio nome?”
Lui
sorrise
“Più
che altro mi piacerebbe sentirlo da te.”
Deglutendo
il sapore di fumo Eden prese coraggio ed allungò una mano
cercando di farla tremare il meno possibile
“Eden
Spencer.”
Lui
le strinse la mano, dolce e deciso allo stesso tempo. Una strana
scossa elettrica attraversò Eden dal bassoventre fino alla
punta dei capelli.
“Lo
so, è un nome stupido.”
Ribatté
senza che lui avesse proferito parola. Cercava disperatamente un modo
per smorzare la tensione.
“Io
credo che ti addica.”
“Il
paradiso terrestre?”
“Il
peccato originale.”
Il
tono di voce basso che accompagnava quella leggera allusione fu
l'ennesimo colpo al suo autocontrollo.
“Posso
farti una domanda?”
Chiese
immediatamente Eden cambiando argomento
“Spara.
Non ho niente da nascondere!”
Di
nuovo lo guardò
“Perché
vieni alla Dwight?”
Lui
sollevò le sopracciglia
“Voglio
dire...”
Riprese
lei, ma Davis la interruppe
“Ho
capito cosa vuoi dire. Perché frequento una scuola per ricchi
e figli di papà se non sono né ricco né figlio
di papà?”
“Non
è proprio quello che avrei detto io.”
Davis
continuò a fissare il vuoto
“E'
ok, tranquilla, capisco il tuo dubbio... Il fatto è che mia
madre era una di buona famiglia, una coi soldi intendo. Solo che poi
è morta. E così adesso i miei nonni materni, che tra
parentesi non vedo da quasi dieci anni, cercano di lavarsi la
coscienza pagandomi la retta della Dwight.”
“Mi
dispiace.”
Eden
si sentì obbligata a dirlo. Non sapeva nemmeno se credere o no
a quello che lui stava dicendo.
“E
che mi dici di te?”
Eden
ci ripensò un attimo
“Perché
vado alla Dwight?”
Davis
buttò via il mozzicone spento e cercò una posizione più
comoda su quella panchina gelida
“Non
proprio. Quello che vorrei sapere è come fa una come te, con i
soldi e con un cognome, ad essere fuori posto in una scuola fatta
apposta per la gente coi soldi e col cognome altisonante. Insomma, io
ho la scusante del ceto sociale, ma tu?”
“Non
lo so.”
“Non
lo sai?”
Eden
si chiese se poteva ricambiare con la stessa moneta quella che le era
sembrata sincerità
“Non
lo so... Forse è colpa mia. O forse è colpa di mio
padre. Mia madre dice che era una specie di artista alcolizzato e
sociopatico. Magari sono doti che si ereditano col dna.”
Non
l'aveva mai detto a nessuno prima.
Né
di suo padre, né delle sua paura di essere come lui.
Stavolta
Davis non sorrise.
“Secondo
me sei solo finita nel posto sbagliato. Ogni tanto succede nel grande
caos universale.”
Eden
aggrottò la fronte come se lui avesse detto una frase senza
senso
“Dici?”
Davis
la sorprese con uno sguardo diverso. Quasi dolce. Che lasciava
intravedere tutto un mondo al di là dei suoi occhi.
“Non
preoccuparti, è una cosa a cui possiamo rimediare.”
*****
“Hey!”
Grace
la riportò alla realtà. Non si era resa conto che aveva
chiuso il locale. E nemmeno che le si era seduta accanto.
“Scusa.
Stavo solo... pensando.”
“Ci
sono parecchi ricordi qui, vero?”
Eden
annuì e basta. Ne aveva appena rivissuto uno.
Grace
si fece seria di colpo.
“Stai
cercando lui?”
Eden
si svegliò completamente dai suoi pensieri.
Il
piano. L'FBI. Dair.
Scosse
la testa e sussurrò
“No.”
Grace
sospirò graffiando via una macchia dal bancone
“Non
avrei potuto aiutarti comunque. Non vedo da Davis da tantissimo
tempo, più o meno da quando tu...”
Grace
si interruppe ed Eden riprese fiato
“Non
sono più venuti qui?”
Grace
scosse piano la testa
“Nemmeno
una volta. Non puoi neanche immaginare come le cose siano cambiate.
Niente è più stato uguale.”
Eden
cercò di ficcare le unghie nel legno del bancone
“Solo
Tyler...”
Riprese
Grace riattivando la sua attenzione
“...Lui
passa ancora da queste parti qualche volta.”
“Come?
Non sta più con Davis e con gli altri?”
Grace
sospirò di nuovo e le rivolse uno sguardo amaro
“Te
l'ho detto Eden. Le cose sono cambiate.”
------
A/N
Anche questo capitolo è stato più che altro incentrato
sul passato. Dal prossimo però mi concentrerò sul
presente e sui personaggi. Per primo Tyler Matthews, che potrà
spiegare ad Eden come sono cambiate le cose e la riporterà nel
suo vecchio mondo. Così spero di dare inizio alla storia vera e
propria. Spero che avrete un po' di pazienza con me, anche
perchè il 2 ottobre ho un esame tostissimo e benché non ne abbia la
minima voglia, devo concentrarmi pure su quello! A presto comunque!!
X Meredith91:
come sempre grazie mille per la recensione!! Mi aiutate davvero
tanto a mantenere viva l'ispirazione!! Spero che anche questo capitolo
ti sia piaciuto e sai, anch'io per il personaggio di Davis ho preso
ispirazione dal mio ex e dalla nostra storia... Non che fosse un
rapinatore di banche, ma decisamente non era un santo! Ho già
letto il primo capitolo della tua storia, ma non ho ancora recensito
perchè andavo di fretta e vorrei rileggere la storia per bene,
però non mancherò!
X cinzia818
: grazie della recensione e grazie dell'apprezzamento! Io ho scritto
tante storie (anche se non le ho pubblicate qui) ma stavolta sto
cercando di scrivere in maniera diversa dal mio solito, più
semplice e diretta, quindi non sono sempre sicura di quello che faccio.
Sono contentissima che questa storia ti piaccia!! Come ho già
detto sono sotto esami in questo periodo, ma appena avrò un po'
più tempo ho intenzione di leggere sia le tue storie che quelle
di Meredith91... Sarò molto felice di contraccambiare!!
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Capitolo 7 *** Tyler Matthews è ancora qui... ***
capitolo6
CAPITOLO
6
“TYLER
MATTHEWS E' ANCORA QUI”
Grace
l'aveva aiutata davvero. Specialmente offrendole un posto per dormire
nel seminterrato del locale. Non era il massimo, ma poteva andare,
soprattutto perché aveva l'assoluto bisogno di restare in quel
posto.
“Solo
Tyler. Lui passa ancora da queste parti qualche volta.”
Tyler
Matthews. Uno di loro.
Tyler
era quello intellettuale, il letterato. Lui ed Eden avevano la stessa
passione per i romanzi, ma quella di Tyler sconfinava in un'audace
aspirazione.
Avevano
una ragione per rubare. Non che fossero giustificazioni valide, ma
ognuno di loro rubava per una buona ragione. Tyler voleva fare lo
scrittore.
Questa
era la sua buona ragione. Avrebbe messo da parte tutti i soldi
necessari e poi un giorno si sarebbe ritirato su un'isola della
Polinesia francese o magari nel quartiere bohemien di Londra e lì,
avrebbe scritto il romanzo del secolo.
Eden
gli voleva bene. Davvero.
E
avrebbe aspettato anche mesi interi in quel posto se fosse stato
necessario.
Appoggiata
al bancone beveva caffè, sperava che Davis non la trovasse mai
e
scorreva tra i suoi mille ricordi.
Il
tutto aspettando che Tyler si facesse finalmente vedere.
------
9
ANNI e MEZZO PRIMA
“Ehy
ragazza invisibile!”
Eden
chiuse gli occhi e sospirò bloccandosi sui tacchi alti nel bel
mezzo della quinta strada. Come diavolo faceva Davis Miller a
comparire dal nulla in tutti i momenti meno opportuni?
“Dove
te ne vai?”
Eden
si passò istintivamente la mano tra i capelli ed indicò
il palazzo pochi più in là
“Mia
madre mi aspetta.”
Lui
sorrise come un bambino davanti ai biscotti al cioccolato
“Vieni
con me in un posto allora.”
Ovviamente
usò il suo tono “non puoi rifiutare”. Quello più
basso, avvolgente come il velluto.
“Perché
mai dovrei venire con te in un posto?”
Rispose
lei virgolettando le ultime tre parole
Davis
bypassò un paio di ignari passanti e le arrivò vicino
“Innanzitutto
perché sarà più interessante di qualsiasi cosa
tu possa fare con tua madre e poi...”
Divenne
il solito diavolo tentatore
“...Perché
muori dalla voglia di venire con me.”
Eden
si guardò i piedi.
Aveva
dannatamente ragione.
Rialzò
gli occhi e gli puntò il dito contro
“Solo
perché l'alternativa è mia madre, sia ben chiaro!”
Ed
eccolo di nuovo lì. Il suo sorriso a metà.
------
“Cafè
des Artistes? Un po' abusato come nome, no?”
Davanti
all'insegna del piccolo caffè Eden continuava ad esitare.
Davis
fumava un'altra sigaretta.
“Non
sei mai stata in un posto così credimi.”
Eden
non stentò a credergli. D'altronde lei aveva cenato al “Four
Seasons” e dormito nella miglior suite del Palace Hotel. Come
avrebbe potuto competere un piccolo caffè di Dumbo con tutto
questo?
Quando
aprirono la porta il suono di un campanello li accolse. Era un tocco
quasi kitsch, ma ad Eden piacque. Così come il juke box in
fondo alla stanza. Ne aveva sempre desiderato uno.
Davis
si mosse con disinvoltura, mentre lei rimase qualche passo indietro.
Alla
sua destra, seduto da solo, un ragazzo dai capelli scuri e corti
sembrava tutto preso dal libro che stava leggendo.
Eden
si curvò appena per sbirciarne la copertina.
“Il
ritratto di Dorian Grey”
Non
riuscì a non sorridere. Uno dei suoi preferiti.
Poco
più in là una ragazza dai lunghi capelli biondi
cinguettava con un tizio vestito di flanella.
Lei
era bellissima. Lui un affronto allo stile.
Alzando
gli occhi dovette stupirsi. Con addosso un grembiule verde scuro
Grace Kennedy strofinava il bancone. Proprio quella Grace Kennedy. La
“strega di Brooklyn”.
Piccolo
il mondo.
“Bevi
qualcosa?”
La
voce di Davis la fece sussultare
“Perché
siamo qui?”
Lui
scrollò le spalle
“Volevo
presentarti qualche amico.”
Eden
aggrottò le sopracciglia. Perché mai Davis Miller
voleva presentarle i suoi amici? Praticamente non conosceva nemmeno
lui.
Davis
si avvicinò al tavolo
“Cominciamo
da Tyler, sono sicuro che lui ti piacerà.”
Il
ragazzo preso da Oscar Wilde sollevò gli occhi castani. Eden
aveva ancora in faccia l'espressione da ebete di pochi istanti prima.
“Ciao,
io sono Tyler!”
Si
presentò senza troppo scomodarsi, ma con un sorriso genuino
“E
lei è Eden...”
Davis
rispose per lei
“Tyler
è come te. Gli piacciono i libri.”
Eden
continuava a non capire, ma sorrise lo stesso e salutò con un
cenno della mano.
Davis
indicò la bionda col tizio in flanella
“Quella
è Payne.”
Eden
si limitò ad annuire. Ma adorava i suoi stivali.
“E
quella laggiù è Blake. Mia sorella.”
La
ragazza coi capelli scuri se ne stava in disparte, presa da non so
quali pensieri.
“Tua
sorella?”
Non
bastavano gli amici. Adesso anche i parenti.
Per
la prima volta se lo chiese seriamente
Che
diavolo vuole Davis Miller da me?
------
PRESENTE
Quando
il campanello della porta tintinnò per l'ennesima volta Eden
non ci fece nemmeno caso. Almeno fino a che non fu sommersa
dall'ombra di Grace. La ragazza si schiarì la voce facendo
cenno verso la porta.
Eden
si voltò appena e le bastò un secondo per balzare in
piedi.
“Tyler!”
Lui
alzò lo sguardo mentre si sfilava il giubbotto, ma i suoi
gesti rimasero a mezz'aria.
“Cristo
santo!”
Non
gli uscirono altre parole dalla bocca.
Eden
coprì la distanza in pochi istanti e gli lanciò le
braccia al collo. Tyler era stato il suo miglior amico. Le era
mancato da morire.
Lui
le prese il viso tra le mani
“Sei
davvero tu? Non posso crederci!”
Eden
non riusciva a non sorridere
“Mi
sei mancato!”
Tyler
sembrava ancora incerto. I suoi occhi brillavano e non riusciva a
smettere di toccarla
“Non
sei morta!”
Esclamò
“Non
sei morta!”
Ripeté
“Tu
non sei morta!”
Si
convinse infine prendendola di nuovo tra le braccia e facendola
girare sotto gli occhi pensierosi dei clienti. Erano quasi tutti del
giro, ma in pochi conoscevano la vera storia di Eden Miller.
D'altra
parte conoscevano Tyler e non lo avevano mai visto sorridere in quel
modo.
------
L'umidità
del seminterrato si faceva sentire nelle ossa. Si erano chiusi lì
dentro per poter parlare un po'. Eden era scivolata contro il muro e
stringeva le sue ginocchia. Tyler camminava ancora su e giù
per la stanza.
“Non
hai idea di come mi sento adesso...”
Continuava
a gesticolare
“...Credevamo
che fossi morta. Io ti ho vista lì ed eri...”
Si
interruppe a metà stanza
“...Ci
stavano addosso, avrei voluto fare qualcosa ma dovevo anche scappare,
io...”
“Tyler?”
Eden
parlò tranquillamente. Parlare di quel giorno risvegliava in
lei una rabbia profonda, ma quella rabbia non l'aveva conservata per
Tyler. Non lo incolpava di quello che le era capitato.
Tyler
la guardò
“Vieni
qui.”
Lui
sospirò e poi, a sua volta, scivolò giù
appoggiando la schiena al muro.
“Non
è stata colpa tua.”
Tyler
fissò il soffitto per un po'
“Mi
dispiace.”
Disse
infine
“Lo
so.”
Seguì
una pausa di profondo silenzio. A tutti e due serviva.
Per
Tyler non era facile accettare che Eden fosse ancora viva.
Per
Eden non era semplice trovarsi lì con lui, su un sottile
confine tra presente e passato.
“Non
voglio parlare di quel giorno. Voglio sapere cosa è successo
dopo.”
Finalmente
Eden parlò. Lui non la guardò ma continuò a
tenere gli occhi puntati in avanti.
“E'
stato tutto un casino...”
Tyler
sembrò scivolare lentamente nel suo stesso flashback
“...Io
e Blake eravamo feriti. Davis era... Bé, lui era...”
Eden
contrasse la mandibola e strinse i pugni. Era difficile ascoltare.
Tutto ciò che aveva solo potuto immaginare in quegli anni
stava lentamente prendendo forma.
Tyler
non stentò a capirlo e passò alla frase successiva
senza finire.
“Siamo
rimasti nascosti per un po', non so dirti se siano stati giorni o
settimane. Tutto era come sospeso. Ma appena il polverone è
passato, Joe ci ha procurato un volo sicuro per l'Europa.”
“Europa?”
“Parigi.
André aveva ancora dei contatti lì e ci hanno offerto
una buona copertura.”
Eden
aggrottò le sopracciglia
“Se
eri andato con loro, perché sei tornato?”
Tyler
abbassò lo sguardo e tutt'intorno a lui sembrò farsi
buio
“Le
cose non erano più come prima Eden. Nulla era come prima...”
Strinse
i pugni
“...La
tua morte aveva rotto ogni equilibrio tra di noi. Payne non riusciva
a riprendersi. Ho cercato di aiutarla ma non ci sono riuscito. Blake
è diventata ancora più silenziosa del solito e Davis...
Bé lui...”
Eden
respirò a fondo
“Lui?”
Tyler
cercò un modo giusto per dirlo
“Non
è più stato Davis. Non il Davis che conoscevamo.”
“Che
vuoi dire?”
Tyler
la guardò scuotendo appena la testa
“Non
so se sia il caso di parlarne.”
Eden
deglutì e restò ferma
“Devo
saperlo Tyler.”
Sentenziò
decisa.
Lui
abbassò di nuovo lo sguardo
“Non
lo so... Mi aspettavo che piangesse, che andasse in pezzi o almeno
che desse di matto come noi e invece...E' come se fosse diventato un
altro. Freddo, senza scrupoli, avventato. Mentre noi ci chiedevamo
ancora che cosa avremmo dovuto fare, lui era già... Andato
avanti.”
Eden
sentì la bocca dello stomaco chiudersi. Una sensazione intensa
di bruciore la colpì allo sterno.
“Te
lo ricordi Eden? Lo facevamo per un motivo, avevamo un motivo per
rubare quei soldi...”
Eden
annuì in silenzio, mentre Tyler continuava
“...E
invece sembrava che Davis non ne avesse più uno, che non
provasse più niente, lui...”
Si
fermò a prendere fiato
“...Lui
ha infranto la regola.”
Eden
spalancò gli occhi cercando quelli di Tyler
“Ha
fatto del male a qualcuno?”
Tyler
guardò al soffitto
Eden
aggrottò le sopracciglia
“Ha..
Ha ucciso qualcuno?!”
Tyler
sbuffò dopo qualche istante di silenzio
“E'
successo una volta sola, almeno finché c'ero io, ma è
bastato per cambiare tutto.”
Eden
si coprì la bocca con la mano mentre con gli occhi sconcertati
fissava il vuoto
Un
assassino?!
Davis
è diventato un assassino?!
Tyler
sospirò ancora e poi balzò in piedi
“Sai
che ti dico? Dovresti uscire da qui.”
Disse
provando a sdrammatizzare, sapeva che Eden ne aveva bisogno.
Lei
sollevò le spalle
“Sono
un'evasa ricercata senza una casa, dove vuoi che vada?”
Lui
ci pensò un secondo poi allungò una mano verso di lei
“Potresti
venire con me per esempio.”
Eden
stentava ancora a riprendere contatto con la realtà, ma
afferrò la sua mano e si lasciò tirare su.
“Ho
un lavoretto da fare stasera, una cosa semplice, ma sarei contento se
mi dessi una mano.”
Eden
alzò un sopracciglio
“Un
lavoretto?”
“Sì.
C'è questo tizio di Manhattan, nei week end gli piace
divertirsi nelle bische clandestine, ma a quanto pare alcuni dei suoi
l'hanno fregato. E così vuole che riprenda i suoi soldi.”
“Stasera?”
“Esatto,
sarà una cosa semplice. Arriviamo, facciamo un po' i duri,
prendiamo i soldi e scompariamo. Ci stai?”
Eden
sentì una fitta allo stomaco. Tornare a rubare? Di certo non
era quello che Dair si aspettava da lei.
“Non
lo so Tyler, sono un po', come dire, arrugginita. Non so se sia il
caso.”
Lui
sorrise
“Tu
arrugginita? Non ci credo! E poi ti farà bene tornare alle
vecchie abitudini. Sei stata rinchiusa per cinque anni, hai bisogno
di un po' d'adrenalina!”
Eden
sospirò. Adrenalina. Quasi non ricordava più cosa
significa sentirsela scorrere nelle vene. Tutto quello che lei
riusciva a sentire era rabbia. Confusione. Incredulità.
Quello
che Tyler le aveva appena raccontato cambiava ogni cosa. Se Davis
aveva ucciso qualcuno, davvero non era la persona che lei credeva di
conoscere. Non lo era più. O forse non lo era mai stato.
L'omicidio
lo rendeva colpevole. Senza possibilità alcuna di appello.
“Avanti...”
Tyler
si tolse la maschera
“...Non
restare qui dentro a rimuginare su quello che ti ho detto. Vieni con
me.”
Aveva
ragione. Se fosse rimasta lì dentro quel pensiero non
l'avrebbe abbandonata nemmeno per un secondo.
“Ve
bene.”
--------
Appena
fuori dal locale Eden tirò su il cappuccio e si guardò
intorno. Non aveva pensato al fatto di essere costantemente
controllata. Sicuramente tra i passanti o nelle auto qualche agente
era pronto a seguirli.
“Tutto
ok?”
chiese
Tyler vedendola ferma sulla strada.
Eden
annuì. Era contro le regole, ma non avrebbe messo Tyler nei
guai.
“Sì.
Mi stavo solo chiedendo... Potrei guidare io?”
Tyler
sorrise
“Ma
certo! La mia mustang è tutta tua!”
Eden
prese al volo le chiavi e scivolò sul sedile di pelle. Anche
lei adorava le auto anni 70.
Girò
la chiave nel quadro. Lanciò un'occhiata nello specchietto.
“Dobbiamo
andare verso...”
Tyler
non riuscì a finire la frase colto in fallo dalla partenza
decisa di Eden. Si aggrappò al sedile. Lei spinse
sull'acceleratore e cercò di sparire il più in fretta
possibile zigzagando tra le traverse di Brooklyn.
“Hey!
Guida sportiva eh?”
Eden
finse una punta di imbarazzo
“Scusami.
Non guidavo da un bel po'.”
Buttò
di nuovo gli occhi nello specchietto. Nessun'auto li stava seguendo.
Rilassò il respiro e sollevò il piede dal pedale.
“Dove
si va?”
------
Tyler
le porse una pistola fuori dal capannone apparentemente abbandonato.
Eden la prese lentamente tra le mani. All'FBI non aveva il permesso
di usare armi, ma ricordava ancora bene come si punta una pistola
alla testa di qualcuno. Fin troppo bene.
“Non
preoccuparti, sarà una cosa facile.”
Eden
guardò lui e strinse forte la pistola. Non era preoccupata.
Non aveva paura. Quella che sentiva era un'inaspettata eccitazione.
Il cuore accelerò. Il respiro anche.
Si
sentiva esattamente come la prima volta.
------
9
ANNI e MEZZO PRIMA
“Davvero
ti piace stare qui dentro?”
Davis
si guardò intorno. I centri commerciali non gli erano mai
piaciuti.
Eden
continuava a sfilare tra gli espositori del reparto profumeria.
Quella
strana amicizia tra lei e Davis Miller sembrava continuare. Non che
fosse una vera amicizia. Semplicemente, dopo che lui l'aveva portata
al Cafè des Artistes e le aveva presentato i suoi amici, Eden
aveva deciso di ricambiare la cortesia e presentarle i suoi.
Libri,
scarpe e make up.
E
così dopo 2 ore in libreria e una davanti alla vetrina di
Louboutin, un salto in profumeria era stato d'obbligo.
Eden
sorrise tra sé e sé scorrendo i rossetti uno per uno.
In un certo senso stava solo cercando di testare la sua resistenza.
“Inizi
a pensare che forse sono solo un'oca superficiale per caso?”
Lui
le si avvicinò
“Inizio
a credere che stai cercando di farmi impazzire. Ma è una sfida
che non vincerai.”
Colpita.
E affondata.
“Non
preoccuparti, credo di aver trovato il colore perfetto.”
Disse
fissando alla luce quel rosa intenso.
“Bene.
Infilalo nella borsa e andiamo.”
Eden
aggrottò le sopracciglia
“Cosa?”
“Hai
capito bene.”
Eden
si sentì divertita e sconcertata allo stesso tempo
“Vuoi
che lo rubi?”
Davis
abbassò la voce
“Così
la fai sembrare una cosa brutta.”
Eden
fissò il rossetto tra le sue mani
“Perché
mai dovrei rubare una cosa che posso pagare?”
“Mmm...
Vuoi che te lo spieghi?”
Davis
le si avvicinò da dietro, fino a che il suo torace si appoggiò
alla schiena di Eden. Lei si irrigidì di colpo. Il cuore le
balzò alla gola.
Lui
avvicinò lentamente la bocca all'orecchio di Eden.
“Prendi
quel rossetto.”
Sussurrò
appena. Il suo respiro le accarezzò il viso.
Eden
respirò a fatica. Era così vicino. Sarebbe bastato un
piccolo movimento. Un solo piccolo movimento.
Strinse
il rossetto nella mano.
Davis
poggiò delicatamente le mani sui suoi fianchi.
Eden
sentì le guance infiammarsi.
Quella
era senza dubbio l'esperienza più erotica che avesse mai
vissuto.
“Muoviti
lentamente adesso...”
Davis
allungò una mano verso la borsa di Eden. Delicatamente aprì
la cerniera.
“...E
infilalo nella borsa.”
Eden
cercò di muoversi, ma si accorse di essere completamente nella
sua morsa
“Ma
se qualcuno ci vede?”
“Correremo
il rischio.”
Sussurrò
ancora lui.
Eden
chiuse gli occhi e si lasciò guidare dalla sua vicinanza.
Era
qualcosa che non aveva mai provato. Il sangue che scorreva veloce. Il
cuore a mille. La paura mischiata all'eccitazione. Così
intensa da essere quasi insopportabile.
Lentamente
infilò quel rossetto nella borsa.
Riaprì
gli occhi e riprese a respirare.
Lui
si leccò le labbra e sussurrò ancora
“Adesso
ce ne andremo da questo posto come se nulla fosse...”
Mollò
la presa dai suoi fianchi
“...E
posso assicurarti che nel momento in cui passeremo quella porta, ti
sentirai viva come mai nella tua vita.”
Eden
abbassò gli occhi. Lui si allontanò.
“Andiamo.”
Disse.
Eden
iniziò a seguire i suoi passi. La porta sembrava
improvvisamente lontanissima. Ora che lui non le stava addosso
sentiva solo una tremenda paura di essere scoperta.
E'
solo un rossetto. Solo un rossetto.
Continuava
a ripetere nella sua testa. Ma sapeva bene che quella voce cercava di
coprire ben altri pensieri. Non erano le guardie del centro
commerciale a spaventarla davvero.
Strinse
i pugni attraversando la porta del negozio.
L'ultimo
timore che qualche allarme suonasse le tolse il respiro per un paio
di secondi.
Il
cuore si fermò finché non fu dall'altra parte.
Era
salva.
Riuscì
di nuovo a respirare. Sorrise senza nemmeno accorgersene.
Davis
era fermo a guardarla con uno sguardo compiaciuto in faccia
“Te
l'avevo detto.”
-------
PRESENTE
“Pronta?”
Eden
annuì stringendo quella pistola. L'adrenalina iniziò a
pompare.
Tyler
spalancò la porta della bisca con un calcio deciso.
Tutti
si voltarono di scatto balzando in piedi.
“Buonasera
a tutti!”
Eden
seguì i suoi passi nella stanza tenendo la pistola ben puntata
davanti a lei.
“Che
cosa volete?”
Chiese
un tizio sulla cinquantina. Probabilmente il gestore del “centro
ricreativo”.
Tyler
indicò il tavolo da poker con un cenno del viso. Un mucchio
confuso di banconote lo riempiva quasi per intero.
“Volete
i miei soldi?”
Tyler
alzò un sopracciglio
“Quelli
non sono affatto i suoi soldi.”
Il
tizio cercò di muoversi, ma Tyler lo tenne buono
“Hey.
Ti consiglio di stare calmo amico.”
Eden
sentì le sue gambe muoversi quasi da sole. Era come se non
avesse mai smesso. Sapeva esattamente cosa fare.
Si
mosse sinuosa nella stanza senza mai abbassare la sua arma. Raggiunse
il tavolino ed iniziò ad infilare soldi nella borsa. Erano
tanti. Sicuramente sarebbero bastati.
Tyler
rimase concentrato sugli uomini davanti a lui.
Dopo
l'ultima banconota Eden sorrise. Si voltò per tornare da Tyler
ma dovette bloccarsi sui suoi passi.
Quello
che aveva sentito era sicuramente lo scatto della sicura di una
pistola.
E
non era la sua.
“Ferma
lì.”
Eden
guardò al cielo. Aveva abbassato la guardia troppo presto.
E
ora aveva una pistola puntata alla schiena.
Tyler
si irrigidì spostando la mira verso l'uomo che aveva estratto
la pistola. Imprecò tra le labbra. Mai sottovalutare degli
stupidi giocatori di poker.
“Molla
subito quei soldi.”
Le
intimò lui. L'altro tizio sorrise compiaciuto.
Eden
deglutì. Tyler la guardò preoccupato per un secondo.
Lei
gli sorrise.
“Ok.”
Rispose.
Si curvò appena fingendo di voler poggiare a terra la sua
borsa, ma non lo fece affatto. Con un'agilità del tutto
inaspettata si voltò e sferrò un perfetto calcio a
mezz'aria. La pistola del tizio volò dall'altra parte del
capannone. E prima che potesse fare qualsiasi cosa si ritrovò
l'arma di Eden a dieci centimetri dalla fronte.
“Dicevi?”
Quello
nascose a stento la rabbia. Facendo un passo indietro alzò le
mani.
Eden
camminò all'indietro fino a Tyler che ora appariva rilassato e
perfino divertito.
“Bene.
E' stato davvero un piacere!”
Concluse
quest'ultimo prendendo la porta seguito da Eden.
Iniziarono
a correre appena fuori.
Più
veloce che potevano.
Eden
stringeva forte la borsa e non sentiva la fatica. Quella sensazione
nello stomaco se la ricordava bene.
Il
potere.
La
vita.
Tyler
mise in moto l'auto e partì sgommando a tutta velocità.
“Cavolo!
Dove l'hai imparato quello?”
Eden
tornò con i piedi per terra.
Non
poteva certo dirgli che aveva seguito un corso di addestramento
all'FBI.
“Ho
fatto parecchia aerobica mentre ero in galera.”
Lui
la guardò estasiato, ancora inebriato dall'adrenalina
“Dovrei
farla anch'io allora!”
Eden
si rilassò contro la pelle del sedile.
Fissò
la sua immagine nello specchietto.
Quella
era vita.
Quella
era lei.
“Li
hai contati?”
Chiese
Tyler poco più tardi
Eden
fece scorrere qualche altra banconota tra le dita. Il profumo dei
soldi aveva riempito l'auto. O forse era solo una piacevole
illusione.
“Saranno
almeno ventimila.”
“Bene.
Ho contrattato il venti percento quindi duemila sono tuoi.”
Eden
contò i suoi soldi e quelli di Tyler.
Lui
la guardò alzando un sopracciglio
“Sai
già cosa farci?”
Eden
annuì rilassando i muscoli contro il sedile. Non riusciva a
togliersi quel sorriso dalla faccia.
“Scarpe!”
Esclamò.
E Tyler non aveva alcun dubbio che quella sarebbe stata la prima
risposta.
“E
magari anche un paio di jeans nuovi.”
Aggiunse.
Tyler
prese la parola
“A
proposito di scarpe e vestiti, dovremmo andare a prendere le tue cose
al locale adesso.”
Eden
sembrò confusa
“Perché?
Sto traslocando forse?”
“Esattamente
amica mia. Vieni a stare da me!”
In
quel momento non esisteva più nient'altro. Nessuna scomoda
realtà. Nessuna responsabilità.
C'erano
solo Tyler Matthews ed Eden Spencer.
Ladri.
Amici.
A/N
Capitolo più lungo del previsto e anche più
difficile da scrivere. Non so Perché ma non voleva proprio
venir fuori! Per cui mi scuso se non è un granché!!
Stavolta ho presentato Tyler, anche se non ho potuto ancora dire
tutto di lui. Per adesso diciamo solo che è servito a far
riscoprire ad Eden le emozioni della vecchia vita. Invece nel
prossimo capitolo vi dirò che sta facendo Dair in tutto
questo. Poi sarà la volta di Davis e degli altri.
Per
Cinzia818: questo capitolo non è granché ma spero
che tu possa apprezzarlo lo stesso! Ho cercato di presentare un po'
Tyler e tramite lui di dire che cosa è successo negli ultimi 5
anni mentre Eden non c'era, ma ovviamente è solo l'inizio!
Grazie mille per le recensioni, mi dai sempre motivazione per
continuare a scrivere!! (L'esame ce l'ho il 2...CREPI!!)
Per
Meredith91: innanzitutto grazie delle tue recensioni! Non so come
farei a scrivere senza!! Come avrai visto ho fatto un wallpaper per
il capitolo, e ci ho messo qualche foto di Grace... Che ne dici della
scelta? Grace è un personaggio secondario, ma volevo comunque
che avesse un volto. Per quanto riguarda Davis, ho cercato di
dipingerlo ancora un po' tramite degli altri flashback, ma presto
arriverà anche nel presente. E speriamo di non deluderti!
(CREPI IL LUPO!!)
|
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Capitolo 8 *** Daniel Dair ***
capitolo7
CAPITOLO
7
DANIEL
DAIR
Daniel
Dair era stato promosso a vice comandante della sezione criminalità
organizzata nella sede di Chicago dell'FBI. Una cosa insolita per un
trentaduenne. Non che non fosse bravo nel suo lavoro, ma molti si
chiedevano se non fosse anche merito di suo padre, a sua volta
tenente in pensione dell'FBI.
Per
fortuna a Daniel non pesavano i giudizi degli altri. Non sempre per
lo meno.
Aveva
costantemente fatto il suo lavoro in maniera impeccabile. Totalmente
dedito all'addestramento e alle regole, aveva rinunciato a tutto il
resto pur di essere l'agente che aveva sempre sognato di essere.
Adesso
iniziava a chiedersi se fosse il caso di cambiare ideali.
Seduto
alla sua poltrona, nel suo ufficio dalle pareti bianche, non riusciva
a concentrarsi sui documenti che aveva davanti agli occhi da quasi
due ore.
Era
teso. Arrabbiato. E soprattutto confuso.
Non
era possibile che avesse sbagliato tutto. Il suo istinto non mentiva
mai e poi...
Non
era passato così tanto tempo da quella sera.
------
CIRCA
UN MESE PRIMA
“Prego.”
Con
un gesto del braccio accolse Eden nel suo appartamento. Era la prima
volta che entrava a casa sua.
Lei
si guardò intorno. Era curiosa, ma quella casa sembrava
esattamente come l'aveva immaginata. Pulita. Ordinata. Impeccabile.
Eden
si tolse la giacca e la poggiò sul divano.
“Vuoi
bere qualcosa?”
Eden
scosse la testa
“Non
dovresti riportarmi a casa? Gli agenti del controllo penseranno che
sono scappata.”
Lui
sollevò le spalle
“Finché
sei con un agente è tutto legale.”
“Davvero?
Anche cenare al Bouley?”
“Mm
mm.”
Eden
sorrise
“Anche
fare shopping da Bloomingdale's?”
Dair
sorrise
“Credo
di sì.”
Eden
si illuminò
“Dovrei
portarti in giro più spesso.”
Lui
si lasciò sfuggire una risata.
Eden
smise di girovagare per la stanza e si appoggiò al tavolo
“Grazie
Dair, davvero.”
“E'
stata solo una cena.”
Lei
sorrise
“Forse,
ma tu sai quanto sia difficile per me fare qualcosa di 'normale'.”
“Spero
che almeno sia stata bene con me stasera.”
Insinuò
lui mimando un eccesso di cavalleria.
Eden
sorrise ancora. Aveva addosso un vestito da sera di Mark Bouwer e
portava i tacchi alti. Non le capitava spesso. Con quegli abiti
addosso in qualche modo si sentiva meglio, come se potesse essere
ancora la ricca innocente ragazza di Manhattan.
“Benissimo.
Se fosse stato un vero appuntamento avresti già guadagnato il
massimo dei punti.”
“Davvero?”
“Davvero.”
Confermò
lei, ma qualche secondo dopo sembrò ripensarci
“Ma
ciò non vuol dire che sarei qui adesso. Non sarei mai salita a
casa tua la sera del nostro primo appuntamento.”
Dair
iniziò ad avvicinarsi a lei
“Dici
che non ti avrei convinta?”
Eden
esitò un attimo. Era una vera tentazione quando ci si metteva.
Specialmente quando sembrava volerle passare attraverso con quegli
occhi verde smeraldo.
Scosse
piano la testa.
“Certo
che no. Avresti dovuto soffrire un po' prima di vedermi entrare da
quella porta.”
Lui
le si avvicinò ancora, finché non fu a poco più
di dieci centimetri da lei
“E
dimmi, quanto avrei dovuto aspettare?”
Eden
sollevò le spalle
“Due
settimane almeno. Forse anche tre.”
Dair
abbassò gli occhi. Eden spense il suo sorriso e si rese conto
di non poter indietreggiare. Non questa volta.
“Eden?”
Lui
pronunciò il suo nome riportando gli occhi alla sua altezza.
Inspirò
profondamente
“Sono
quasi cinque anni che aspetto.”
Eden
rimase immobile. Una morsa le strinse lo stomaco. Il cuore iniziò
a batterle veloce tra le costole.
Non
trovò nulla con cui ribattere.
Dair
la baciò, deciso ma delicato allo stesso tempo, e lei rispose
da subito. Non era la prima volta che si baciavano, ma per la prima
volta non c'era il pericolo che un agente entrasse nella stanza e li
scoprisse, o che qualche telecamera di sorveglianza li riprendesse.
Era
eccitante e terrorizzante allo stesso tempo.
Il
bacio divenne più profondo. Lui la strinse alla vita e la
sollevò sul tavolo. Lentamente le sue labbra raggiunsero il
collo di Eden. Lei sospirò. Era bello. Sbagliato forse,
spaventoso sicuramente, ma sorprendentemente bello.
La
mano di Dair raggiunse la zip del vestito e lentamente la fece
scorrere verso il basso. La seta scivolò leggera sulle spalle
di Eden e ricadde sul legno lucido del tavolo. Adesso la sua pelle
era scoperta e sentire le sue mani addosso le fece scorrere brividi
sconosciuti per tutto il corpo.
Eden
si irrigidì di colpo. Non stava con un uomo da anni. E
l'ultimo era stato suo marito. Il suo disperso, bastardo, ma ancora
attuale marito.
C'era
qualcosa di tremendamente sbagliato in quello che stava facendo.
Dair
la sentì contrarsi tra le sue mani. Sapeva esattamente cosa
stava per succedere, ma non l'avrebbe sopportato ancora una volta.
Rallentò
anche lui avvicinando le labbra all'orecchio di Eden
“Non
chiedermi di fermarmi...”
Sospirò
“...Non
chiedermelo.”
Daniel
Dair non era di certo un uomo che aveva bisogno di pregare.
Ma
quella donna per lui valeva l'eccezione.
Eden
fissò il vuoto davanti a lei, poi chiuse gli occhi. Non poteva
ignorare quello che il suo istinto le stava chiedendo disperatamente
di fare.
Voltò
la testa verso di lui e lo baciò delicatamente.
Poi
con passione.
Lo
strinse a sé. Dair la sollevò di nuovo lasciando che il
vestito restasse lì sul pavimento. Attraversò la stanza
con lei addosso e dolcemente la rilasciò sul suo letto.
Mentre
lui si sbottonava la camicia continuando a guardarla, Eden si sentì
come una sedicenne. Terrorizzata ed incapace. Dair la guardava come
se fosse la cosa più desiderabile del pianeta. E lei sentiva
di non meritarlo.
Lui
la baciò ancora. Le baciò il collo. Le baciò la
pancia.
Esitò
qualche secondo sulle sue cicatrici.
A
distanza di anni ne restava solo qualche traccia, lì dove la
pelle diventava più liscia e lucente.
Eden
incurvò la schiena sotto di lui. Difficile da ammettere, ma lo
voleva quasi quanto lui.
Dair
la prese dolcemente. Senza fretta né foga, come se volesse
vivere ogni istante di lei. Come se non volesse vederla finire.
Dopo
l'ultimo sospiro, dopo l'ultima contrazione, lui le si accasciò
addosso. Eden gli accarezzò i capelli mentre tornava
lentamente alla realtà. Era stato bello. Perfetto quasi, ma le
aveva comunque lasciato un vuoto dentro. Quel vuoto che neanche Dair
era riuscito a colmare.
Delicatamente
scivolò da un lato del letto e gli diede le spalle
stringendosi in sé stessa. Perché non riusciva ad
andare avanti? Inaspettatamente le tornarono in mente le parole di
Davis di tanti anni prima .
Nel
grande ordine universale sentiva di nuovo di essere capitata nel
posto sbagliato.
Ringraziò
il cielo che Daniel Dair fosse quell'uomo meraviglioso che era. Non
una parola uscì dalla sua bocca. Non pretese nulla da lei. Se
ne stette in silenzio vicino a lei e basta.
Eden
attese in silenzio di sentire il suo respiro diventare leggero e
regolare. Aspettò finché non fu sicura che dormisse.
Non avrebbe mai potuto dirgli come si sentiva davvero, lui meritava
molto più dei suoi complessi e delle sue paranoie.
Scivolò
silenziosamente fuori dal letto raccogliendo scarpe e biancheria
nella semioscurità. Una volta in salotto infilò al volo
il vestito e riprese la giacca lasciata sul divano. Erano solo le due
di notte, con un po' di fortuna avrebbe trovato ancora qualche taxi
in giro.
Sospirando
per il senso di colpa che già sentiva, sgattaiolò fuori
dall'appartamento di Dair più veloce che poteva.
-------
McPhee
spinse la porta con decisione e la richiuse con la stessa indole
subito dopo essere entrato nell'ufficio di Dair.
Lui
si risvegliò bruscamente dai suoi pensieri. E vedendo il suo
collega l'esasperazione gli si dipinse in faccia.
“So
già perché sei qui, ma non voglio sentire una sola
parola da te.”
Esordì.
McPhee
si leccò le labbra trattenendo un sorriso sarcastico
“In
realtà ero qui per un altro motivo, ma da quanto ho capito sei
già stato avvertito.”
Dair
lo fulminò con gli occhi
“Te
l'ho già detto, non ho niente da dire in proposito.”
McPhee
allargò le braccia
“La
tua amichetta elude gli agenti per sparire nel nulla e tu non hai
niente da dire?”
Dair
si limitò a sospirare
“Andiamo
Dair, c'era da aspettarselo! Anche se devo ammettere che la sua
rapidità ha stupito anche me.”
“Sono
solo insinuazioni McPhee. Io sono sicuro che Eden ha avuto le sue
buone ragioni e in fin dei conti è proprio quello che le
abbiamo chiesto.”
“Quella
donna ha deliberatamente seminato i nostri agenti ed è sparita
col suo compagno di rapine! Scommetto che a quest'ora starà
già festeggiando col maritino e tutto il resto della
compagnia!”
Dair
balzò in piedi facendo stridere la sedia sul pavimento.
In
una manciata di secondi sembrò ricomporsi.
“Hai
detto di essere venuto qui per un motivo. Dimmi che cosa vuoi e poi
vattene per favore.”
McPhee
annuì col rispetto che si deve ad un superiore
“E'
per il caso Martin. La dottoressa Steward sta venendo qui per la
prima perizia. Immagino voglia assistere anche tu.”
Dair
guardò l'orologio
“Dovrai
pensarci tu. Io vado via prima.”
Disse
velocemente tornando alla scrivania per raccogliere tutti i fogli
lasciati sparsi.
Di
nuovo McPhee si fece sarcastico e tagliente
“Già...
Dimenticavo che adesso fai il doppio lavoro. Agente di giorno e
babysitter di sera.”
Non
c'era alcun dubbio che quella nella sua voce fosse acidità.
Tendente alla provocazione per di più.
Dair
alzò gli occhi verso di lui
“Vuoi
davvero che ti mandi al diavolo?”
McPhee
si passò la mano sul viso e poi decise di agire. Facendo due
passi avanti sbatté i palmi con forza sulla scrivania.
“No
Dair, voglio solo che tu mi stia a sentire!”
Riprese
fiato per calmarsi
“Adesso
ti parlerò da uomo a uomo ok?”
Dair
non disse nulla
“Dimmi.
Vuoi davvero rischiare la carriera per quella donna?”
Lui
guardò altrove esasperato mentre il suo collega proseguiva
“Posso
capire che ti piaccia, ma credo che tu stia perdendo il controllo
della situazione.”
“Davvero?”
“Sembra
che tu abbia dimenticato completamente chi sia Eden Miller. Poco
importa cosa ha fatto in questi anni con noi, quella donna era e
rimane una criminale!”
Dair
scosse la testa
“Non
voglio nemmeno starti a sentire.”
McPhee
insistette sbattendo il pugno sulla scrivania
“Non
lo capisci Daniel? Se qualcosa va storto non sarà solo la tua
testa a saltare!”
“Bene,
se qualcosa andrà storta interverremo.”
“Ma
è già successo!”
Il
vice comandante prese la sua cartella e tentò di bypassare
McPhee senza successo.
“Mi
spieghi perché lo fai?”
Incalzò
McPhee bloccandolo davanti alla porta dell'ufficio
“Perché
lo faccio?”
“Esatto.
Che cos'è Dair? Una specie di strategia? Vuoi arrivare alla
madre passando per la bambina?”
Dair
si piantò dritto sulle sue gambe
“Non
mi aspetto che tu lo capisca, ma quella donna mi ha affidato sua
figlia!”
“Esatto
tenente. SUA figlia...”
Ribatté
l'agente McPhee
“...Ed
è proprio questo che non capisco, cosa ci guadagni tu?”
Dair
si lasciò possedere dalla foga del momento
“Quando
tutto questo sarà finito...”
Rendendosi
improvvisamente conto di cosa stava per dire si morse la lingua
facendosi quasi di pietra. Non l'aveva mai ammesso nemmeno a sé
stesso.
McPhee
non ci mise troppo a capire. Lo guardò incredulo e
sconcertato.
“Oh
mio Dio. Tu speri che un giorno sarete un'allegra famigliola felice,
non è vero?”
Dair
strinse i pugni, ma non poté fare a meno di abbassare lo
sguardo. McPhee l'aveva colpito nel pieno delle sue fantasie, ancora
prima che prendessero del tutto forma fuori dal suo inconscio.
“Non
riesco a crederci.”
Dair
abbandonò la speranza di riuscire ad uscire da quella stanza
in fretta. Si massaggiò le tempie cercando di contenere quel
vortice di pensieri. Era già troppo così, al diavolo
tutto ciò che McPhee avrebbe potuto dire.
“Non
succederà mai Dair, te ne rendi conto?”
Dair
sollevò le spalle
“Eden
ha già fatto parecchio per riscattarsi in questi anni. Se
adesso ci aiuta ad arrestare anche Miller sono sicuro che al
processo...”
McPhee
lo interruppe
“Non
sarà mai libera Dair. Non importa cosa farà.”
“Non
mi aspetto che venga assolta, ok? Ma con una buona riduzione della
pena, con la condizionale e magari i domiciliari, credo che in
qualche anno sarà tutto finito. Finalmente.”
McPhee
scosse la testa guardando a terra. Per qualche secondo sembrò
quasi in difficoltà. Nonostante fosse quello con la risposta
sempre pronta.
“Sei
davvero a questo punto?”
Chiese.
Dair sospirò.
“Stiamo
ancora parlando da uomo a uomo?”
McPhee
annuì.
E
anche Dair.
“Credo
di sì...”
Riprese
fiato
“...Io
la amo.”
McPhee
lo guardò sollevando le sopracciglia. Si strofinò la
fronte visibilmente in difficoltà.
“Così
mi metti in una posizione difficile, lo sai vero?”
Dair
riacquistò la sua integrità.
“Quello
che ti ho appena detto non influisce sulla mia obiettività. Né
sulla mia lealtà verso l'FBI. Se dovrò intervenire in
questa missione lo farò.”
“Ne
sei sicuro?”
Dair
lo guardò senza fare una piega. La sua lealtà non era
in dubbio. Per quanto sperasse di non doverla mettere alla prova.
“Ne
sono certo.”
McPhee
sembrò indeciso ancora per un po'. Secondo il regolamento
sarebbe dovuto correre a fare rapporto al capitano e fino a qualche
minuto prima non sperava in nulla di meglio. Ma adesso non era più
certo che fosse la cosa giusta da fare.
“Ok.
Ti darò il beneficio del dubbio...”
Dair
si rilassò appena.
“Ma
non illuderti, ti starò col fiato sul collo. Questa missione
non fallirà per colpa di quella donna. Se dovrò
falciarti lo farò senza rimorsi.”
Dair
si limitò ad annuire.
McPhee
si lisciò il vestito e poi prese la porta.
Ma
prima di uscire si voltò un'ultima volta.
“E
ricordati Dair, quella bambina ce l'ha già un padre. Per
quanto faccia schifo.”
Finì
prima di sparire dalla sua vista.
A/N
Eccomi qua. Non so spiegarmi perché, ma quando sono sotto
esame vengo inspiegabilmente colpita da attacchi di ispirazione
improvvisa. E finisce che aggiorno più spesso di quanto non
faccia in vacanza! Ad ogni modo, spero che il capitolo sia stato di
vostro gradimento!
Come
avrete capito ho svelato il mistero, Eden ha davvero una figlia! Se
adesso vi state chiedendo da dove sia venuta fuori, ovviamente
troverete risposta nei prossimi capitoli. Questo capitolo è
stato dedicato tutto a Dair perché volevo chiarire la sua
posizione in previsione di quello che succederà.
A
proposito, direi che manca poco all'incontro tra Eden e Davis... Io
me lo sono già immaginata, ma avete qualche suggerimento in
merito per caso? Ad ogni modo grazie di seguire questa storia, per me
vuol dire tanto.
Un
ringraziamento a tutti quelli che mi leggono (più di quanti mi
aspettassi) e anche a leonedifuoco e momica che hanno la mia storia
tra i preferiti.
A
presto!!
Per
Cinzia818: grazie grazie grazie!! Il tuo entusiasmo è
contagioso, quasi quasi ci credo! Speriamo di continuare così,
mi dispiacerebbe deluderti! Ad ogni modo spero che continuerai a
leggere me ;) ma anche a scrivere la tua fanfiction. A presto!! XoXo
Per
Meredith91: come è andato il compito su Kant?? Spero bene! Io
domani ho l'esame e non vedo l'ora che passi che non ce la faccio
più! Mi sto specializzando in psicologia clinica e dinamica
dopo la laurea triennale, ma ho sempre amato scrivere e continuo a
farlo. Anche se non posso impegnarmi nella scrittura quanto vorrei,
almeno per adesso! Grazie mille delle tue recensioni, sono troppo
contenta di riuscire a coinvolgerti nella mia storia.. Del resto è
il motivo per cui si scrive, no?? Grazie davvero! A presto! XoXo
|
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Capitolo 9 *** Davis & André / André & Davis ***
capitolo8
CAPITOLO
8
DAVIS
& ANDRE' / ANDRE' & DAVIS
Eden
accavallò le gambe sul tavolino, rimirando ancora un po' il
suo nuovo paio di Steve Madden. Se non altro c'era di buono che aveva
di nuovo un guardaroba. E che per averlo era bastato affiancare Tyler
in qualcuno dei suoi “lavoretti”. Niente di troppo difficile.
Si
sentiva uno schifo.
Non
solo aveva di nuovo infranto la legge, ma si era impegnata a sparire
dai radar dell'FBI per non mettere Tyler nei casini.
Riusciva
benissimo ad immaginare la faccia di McPhee.
Come
minimo starà sputando fumo dalle orecchie.
Un
sorriso spontaneo le si dipinse in faccia.
Tyler
arrivò dalla cucina con un sandwich al pollo in bocca.
La
guardò e mandò giù il boccone.
“Non
è male vero?”
Eden
tornò alla realtà
“Cosa?”
“Tutto
quanto. E' piuttosto piacevole vivere così, no?”
Lei
sorrise di nuovo
“Già,
non è affatto male!”
Tyler
si buttò sul divano accanto a lei, mandò giù un
altro morso e poi la guardò serio.
“E...
Della galera che mi dici invece?”
Eden
rispose al suo sguardo sollevando un sopracciglio
“Della
galera?”
“Sì...
Lo so che molto probabilmente non vuoi parlarne, però ammetto
che me lo sono chiesto. Com'è? Insomma, com'è stato?”
Eden
sospirò sistemandosi sul cuscino.
Non
poteva glissare ancora una volta.
Ma
forse poteva riuscire a rimanere sul vago senza dover per forza
mentire.
Si
bagnò le labbra
“Non
è stato tanto male. All'inizio specialmente. Quando mi sono
svegliata dal coma non ricordavo quasi niente, ma gli agenti sono
stati pazienti con me, mi hanno dato tutte le cure di cui ho avuto
bisogno.”
Tyler
corrugò la fronte
“Coma?”
Eden
annuì
“Avevo
perso parecchio sangue quel giorno. Sono rimasta incosciente per
quasi un anno.”
Lo
sguardo di Tyler si scurì di colpo, Eden respirò e
riprese il suo racconto
“Ma
fortunatamente mi sono ripresa completamente. E' stato allora che
sono iniziati gli interrogatori. Volevano a tutti i costi sapere dove
foste, ma io non lo sapevo davvero...”
Eden
si passò una mano tra i capelli
“...Hanno
smesso di tormentarmi quando sono stati certi che avevate lasciato il
paese.”
Tyler
continuò a guardarla con gli stessi occhi colpevoli
“Volevano
che collaborassi, che rivelassi tutte le informazioni che avevo, ma
ovviamente ho cercato di fare il possibile per non mettervi nei
guai...”
Tyler
sorrise appena
“...E
poi la mia vita è diventata una specie di routine, tra gli
avvocati d'ufficio e i miei agenti di controllo.”
“Agenti
di controllo?”
“Sì.
Essendo considerata una detenuta a rischio, avevo due agenti
costantemente col fiato sul collo.”
“I
soliti federali stronzi e presuntuosi immagino.”
Eden
sollevò le spalle
“Uno
sì, era decisamente uno stronzo!”
Sorrise
pensando di nuovo a McPhee e a quanto dovesse essere furioso con lei,
poi divenne seria di nuovo
“Mentre
l'altro bhe... Lui era... Gentile.”
Il
viso di Dair le apparve di nuovo davanti agli occhi, accompagnato da
una fitta di mal di stomaco ed un bel po' di senso di colpa.
Scosse
la testa cercando di levarsi il pensiero
“Se
non altro ho avuto il tempo di leggere parecchio!”
Disse
cambiando totalmente l'intonazione del discorso.
Bel
tentativo, ma non aveva funzionato.
Tyler
si passò la mano sulla nuca, diventando di colpo ancora più
accigliato
“A
proposito di leggere...”
Esordì
alzandosi in piedi e raggiungendo uno dei cassetti del mobile in
soggiorno. Ne tirò fuori un grosso pacco di fogli e lo porse
ad Eden.
“Round
Trip” di Tyler Matthews
Lo
sguardo di Eden si illuminò. Spostò gli occhi verso
Tyler
“Lo
hai scritto! Il tuo romanzo, lo hai scritto!”
Strinse
tra le mani quei fogli e si sentì sollevata come non si
sarebbe mai aspettata. Non era come aveva immaginato. Tyler non aveva
rinunciato al suo sogno.
Tyler
annuì tornando a sedersi accanto a lei
“E'
meraviglioso che tu lo abbia fatto! Sono sicura che hai scritto un
romanzo stupendo!”
Eden
sfogliò le prime pagine senza leggere davvero. Quel libro, in
quel momento, per lei rappresentava moltissimo.
Per
l'ennesima volta contemplò la prima pagina.
“Ma
visto che lo hai scritto...”
Iniziò
a voce bassa, quasi imbarazzata
“...Perché
poi non hai smesso questa vita? Credevo fosse quello il piano.”
Tyler
affondò i denti nel labbro inferiore.
Annuì
guardando il pavimento
“La
verità?”
Allargò
le braccia
“Ho
paura. Ho una paura fottuta.”
Lo
sguardo di Eden si addolcì, mentre gli poggiava una mano sulla
schiena
“Non
l'ho fatto leggere a nessuno. Prima di adesso almeno.”
Eden
sorrise sentendosi fiera di lui e di sé stessa allo stesso
tempo
“Sono
sicura che è un libro bellissimo.”
Lui
rispose al sorriso
“Lo
leggerai allora?”
“Ci
puoi scommettere!”
Mentre
Eden guardava di nuovo quella copertina, una nuova fitta allo stomaco
la colpì.
Quel
senso di colpa non voleva proprio tacere.
C'era
un solo modo per ucciderlo.
Balzò
in piedi
“Certo!
Sarò la prima cosa che farò appena torno.”
Lui
sembrò del tutto spiazzato
“E
dove vai scusa?”
Eden
annaspò per qualche istante
“A..
A.. A comprare le sigarette! C'è un tabaccaio proprio
dall'altra parte della strada, ci metterò un attimo!”
Tyler
aggrottò le sopracciglia
“Ok!”
Eden
afferrò il giubbetto di pelle e la borsa
“Vuoi
che ti porti qualcosa per caso?”
Tyler
scosse la testa
“Bene!
Allora torno subito!”
Concluse
uscendo di corsa dall'appartamento.
------
Non
aveva scelta. Doveva parlare con Dair.
Il
suo buon senso glielo imponeva.
Il
suo stomaco glielo chiedeva.
Il
suo cuore ne aveva bisogno.
Si
strinse nel giubbotto attraversando la strada a lunghi passi.
Non
si sarebbe arrabbiato troppo.
Una
volta ascoltate le sue ragioni non si sarebbe arrabbiato troppo.
Raggiunse
la cabina telefonica poco più in là e si guardò
intorno.
Era
fuori dalla visuale delle finestre di Tyler.
Si
rilassò appena cercando qualche spicciolo nelle tasche.
Infilò
un paio di monete da cinquanta cents nella fessura metallica ed esitò
davanti alla tastierina.
Sapeva
benissimo il numero, ma non aveva il coraggio di comporlo.
Sospirò
facendo appello al suo coraggio.
Iniziò
a digitare i numeri e nel contempo a pregare che per qualche assurda
ragione, Dair non rispondesse.
Primo
squillo.
Lo
stomaco le si torse completamente.
Secondo
squillo.
Iniziò
a fremere sul posto. Possibile che le sue preghiere fossero state
esaudite?
Terzo
squillo.
Era
un segno del destino. Eden si decise a mettere giù.
Proprio
mentre staccava la cornetta dell'orecchio sentì d'improvviso
un'ombra addosso.
Fece
per voltarsi, ma non ci riuscì.
Una
mano le coprì la bocca con una morsa gelida e ferma.
Tentò
di dimenarsi, ma non riuscì nemmeno a muoversi.
Il
cuore le esplose nel petto, mentre tutti i suoi potenziali d'azione
muovevano verso la fuga.
Non
riusciva a muoversi.
Decise
di rilassarsi appena per dare al suo aggressore l'idea che si fosse
arresa. Chi diavolo poteva essere? Un rapinatore? Uno stupratore
forse?
In
entrambi i casi se avesse avuto abbastanza spazio, avrebbe potuto
liberarsi in pochi secondi.
Purtroppo
per lei quel tizio sembrava conoscere le regole del corpo e corpo.
Non mollò la presa nemmeno di un millimetro.
Sollevandola
da terra iniziò a trascinarla via.
La
trascinò fuori dalla cabina sulla strada.
Un'auto
nera, un SUV coi vetri oscurati, si fermò immediatamente
davanti a loro.
Uno
sportello si aprì.
Con
una forza impossibile da respingere Eden venne scaraventata dentro.
Lo
sportello si richiuse immediatamente e l'auto sfrecciò via.
Senza
che nessuno notasse la cornetta staccata del telefono.
Senza
che nessuno sentisse la voce all'altro capo.
“Pronto?”
“Pronto?!”
“Eden
sei tu?”
-------
Con
la faccia schiacciata contro il sedile di pelle, Eden cercava di
respirare. Quasi non aveva il coraggio di voltarsi.
“Quanto
tempo!”
Esordì
l'altro passeggero dell'auto.
Eden
riconobbe in un secondo quella voce ed immediatamente si rilassò.
Giusto il tempo di riportare il cuore ad un ritmo normale e poté
tirarsi su, cercando di sistemarsi anche i capelli.
Guardò
dritto davanti a lei.
“André.”
Non
c'era alcun dubbio. Era proprio lui.
Stessa
pelle chiarissima. Stessi occhi color ghiaccio. Stessi capelli scuri,
ribelli e scomposti, lasciati andare dove volevano.
Lui
tirò su un angolo della bocca in un sorriso enigmatico. Le
diede un'occhiata più approfondita.
“Stai
bene per essere, come dire... Morta.”
Eden
lasciò cadere la testa da un lato
“Sarai
anche un genio, ma la perspicacia non è proprio il tuo forte.”
Esatto.
André Duval era un genio. Almeno nel suo campo.
Nato
a Parigi ventotto anni prima, aveva mostrato sin da bambino un innato
talento con i computer. Per lui quegli aggeggi non avevano segreti.
Bastava
che avesse una connessione a banda larga e poteva arrivare dovunque.
Quando
aveva quindici anni era stato contattato dal famoso MIT di Cambridge,
Massachusetts, con la possibilità di ottenere un posto nel
CSAIL, laboratorio di scienze informatiche ed intelligenza
artificiale.
E
così era arrivato negli Stati Uniti.
Come
ogni nerd che si rispetti, anche André nascondeva dietro il
talento un animo totalmente scombinato e ribelle.
E
così, dopo un'estate passata ai computer della prestigiosa
università, aveva d'un tratto realizzato che quelli del MIT
non stavano cercando di potenziare il suo talento, bensì di
tenerlo sotto controllo.
Se
avesse servito il governo americano, di certo non gli sarebbe andato
contro.
Aveva
lasciato il corso una settimana prima della fine.
Ma
non prima di aver rubato tutti i codici d'accesso al database del MIT
e crackato la loro connessione coi server del ministero.
Con
in mano il visto di soggiorno rilasciato dallo stesso ministero
dell'istruzione, aveva così deciso di restare comunque in
America.
Già
che c'era, avrebbe di certo imparato qualcosa.
Con
Davis si erano incontrati in un locale di Brooklyn qualche mese più
tardi e tra loro era stato “amore a prima vista”.
Da
allora erano migliori amici.
Eden
si strofinò la bocca.
“Era
necessario essere prelevata da quella specie di gorilla come se
fossimo in un film horror di serie b?”
André
sollevò le spalle
“Volevo
essere sicuro che non scappassi.”
“E
perché mai sarei dovuta scappare?”
Lui
ripeté lo stesso gesto
“Magari
perché non sei affatto contenta di vedermi.”
Eden
inclinò il viso
“Poco
ma sicuro.”
Sul
viso di André si aprì lentamente un sorriso. Non era
sarcastico, ma sincero.
Eden
rispose al sorriso con la stessa genuinità.
Non
si odiavano affatto come poteva sembrare. Quello scambio di battute
era una specie di repertorio per loro.
Era
in realtà l'unico modo con cui si potesse comunicare con
André.
Lungi
dall'essere un ragazzo “normale”, con lui ogni cosa andava fatta
alla sua maniera.
André
prese una bottiglia e gliela porse.
“Tieni.
Bevici su.”
Eden
corrugò la fronte
“Non
preoccuparti, è analcolica.”
Precisò
lui ed Eden prese la bottiglietta.
Buttando
giù un paio di sorsi di birra analcolica gelata si rilassò
contro il sedile e guardò il suo vecchio amico con più
attenzione.
Non
era cambiato quasi per niente.
Nonostante
la sua natura intellettualoide, aveva l'aspetto di un modello.
Alto
e sottile, l'eccentricità che traspirava dai suoi abiti e dal
suo taglio di capelli, attirava le ragazze come api sul miele. Ma lui
sembrava immune al fascino femminile.
Certo,
spesso lo aveva visto cedere all'istinto della sessualità, ma
nessuna ragazza durava più di una sera.
Chissà
se in questi anni qualcosa era cambiato.
Eden
guardò fuori dal finestrino e capì che si stavano
allontanando dalla città.
Buttò
gli occhi di nuovo su André e vide che stava scrivendo veloce
alla tastiera del suo cellulare.
Stava
scrivendo a qualcuno.
Probabilmente
del loro arrivo.
L'illuminazione
la colse.
“Stiamo
andando da lui, vero?”
André
sollevò gli occhi dal telefono
“Non
fare domande di cui conosci già la risposta.”
Eden
affondò le unghie nel sedile. Ogni muscolo del suo corpo si
tese come una corda di violino.
“E
se ti dicessi che non voglio vederlo?”
André
ripose il cellulare in tasca e la guardò sollevando la spalle
“Sarebbe
comprensibile.”
Lei
si tirò su sul sedile e lo guardò dritto negli occhi
“Te
lo sto dicendo adesso André. Non voglio vederlo.”
Lui
sospirò
“Spiacente,
ma non posso accontentarti.”
Eden
sentì l'agitazione risalirle dentro.
Deglutì
e passò al contrattacco
“Allora
è così adesso...”
Esordì
con tono cinico
“...Lui
comanda e tu esegui.”
André
non fece una piega. Eden decise di insistere.
“Aveva
ragione Tyler a dire che le cose sono cambiate. Non avrei mai pensato
che saresti finito ad essere solo uno scagnozzo di Davis.”
André
si leccò il labbro superiore e con uno scatto improvviso si
parò davanti ad Eden fulminandola con uno sguardo di ghiaccio.
“Te
lo dico io come stanno le cose...”
Eden
tremò appena
“...Il
mio migliore amico mi ha chiesto di portargli una cosa a cui tiene
molto ed io gliela porterò. Non c'è niente che tu possa
dire o fare.”
Concluse
tornando poi alla posizione di partenza.
Eden
sospirò nervosamente guardando a terra
“Mi
auguro solo che il gioco valga la candela...”
Aggiunse
lui senza spostare gli occhi dal finestrino.
Eden
lo guardò
“Che
vuoi dire?”
“Che
spero tu stia dalla parte giusta.”
Eden
respirò profondamente. Non sarebbe stato affatto semplice.
Stavolta
non avrebbe sfondato un portone aperto.
Stavolta
rischiava di sbatterci forte contro.
“Ho
bisogno di fumare!”
Esclamò
tirando fuori una sigaretta dalla borsa.
La
accese e tirò.
Decise
di restare in silenzio per il resto della corsa.
------
Quando
l'auto si fermò qualcuno bussò immediatamente sul
finestrino.
Erano
arrivati.
André
si allungò per aprire lo sportello ed immediatamente l'auto si
riempì di densa aria salmastra.
Anche
se era buio Eden capì subito di avere alle spalle l'oceano.
Erano
negli Hamptons.
Voltandosi
dall'altro lato notò l'enorme villa che li attendeva, ma
nonostante l'imponenza solo poche luci erano accese e tutto il resto
restava avvolto nell'oscurità.
“E
così è qui che state adesso.”
Disse.
André
le si fermò accanto.
“Almeno
per ora, finché il Signor Owen non torna.”
“Chi
è il signor Owen?”
“Il
proprietario. Andiamo.”
André
iniziò a percorrere il vialetto, mentre Eden rimase impalata
dietro di lui.
I
suoi piedi sembravano piantati nel cemento armato.
André
si fermò e voltò la testa verso di lei.
“Guarda
che anche Payne ti sta aspettando dentro.”
Payne.
Un
po' di coraggio in più le arrivò ai muscoli ed iniziò
a camminare verso la villa.
Sperare
che Davis non la trovasse mai era stato davvero troppo, troppo
ingenuo.
Anche
dentro la casa regnava la semioscurità, ma almeno c'era un
buon profumo.
Due
tizi sconosciuti la squadrarono da capo a piedi.
André
si bloccò al centro della stanza e le si avvicinò.
“Mi
perdonerai...”
Iniziò
allungando le mani verso di lei
“...Ma
devo perquisirti.”
Eden
annuì leggermente seccata,ma tanto non nascondeva né
armi né microfoni.
Lasciò
che lui la tastasse un po' dovunque.
Non
c'era mai stato niente di malizioso tra lei e André, ma
dovette ammettere che c'era un alone di perversione nell'essere
perquisita in quel modo davanti a due perfetti sconosciuti.
“E'
pulita.”
Sentenziò
infine e quelli si allontanarono con un cenno della testa.
André
rovistò anche nella sua borsa e tirò fuori il
cellulare.
“Questo
lo prendo in prestito.”
Disse
infilandoselo in tasca. Eden lo lasciò fare.
Era
tesa, arrabbiata, terrorizzata ed eccitata, tutto allo stesso tempo.
Seguendo
André lungo il corridoio, credette che il cervello le sarebbe
esploso.
Continuava
ad immaginare quel momento in mille modi diversi.
Milioni
di scene diverse le si alternavano davanti agli occhi come flash
psichedelici.
Cosa
doveva aspettarsi?
Respirò
a fatica.
Davis
era dietro quella porta. Lo sentiva, anche se André non
l'aveva ancora detto.
Era
come avere un macigno enorme sul petto.
------
9
ANNI PRIMA
Erano
mesi che frequentava Davis Miller ed i suoi amici. E ormai da
parecchio si era data anche lei ai piccoli furti e al taccheggio. Ma
non si sentiva in colpa. In realtà le piaceva. Si sentiva viva
e forte, come se fosse una delle “occhi di gatto”.
E
dopo ogni “missione” c'erano i festeggiamenti al Café des
Artistes.
Aveva
scoperto in Payne una ragazza dolce e solare. Erano opposte, ma
complementari. E per la prima volta sentiva di poter avere un'amica.
Lo
stesso valeva per Tyler. Trovava stupendo poter conversare di libri e
film per intere serate.
In
qualche modo valeva anche per tutti gli altri. O quasi.
E
poi c'era Davis, il solito mistero, diventato ormai la sua questione
di principio.
Ancora
non sapeva esattamente perché fosse finita lì, né
come mai Davis l'aveva coinvolta nel suo giro.
Una
paio di volte aveva creduto di averlo capito, ma poi si era dovuta
ricredere. C'erano giorni in cui lui sembrava flirtare spudoratamente
e altri in cui non la guardava nemmeno.
Quanto
a lei bhe, doveva ammettere di averci pensato. Più e più
volte.
Ma
Davis Miller non era certo il ragazzo per lei.
No,
non lo era affatto.
Quella
sera proprio Davis l'aveva chiamata dicendo che sarebbe passato a
prenderla. Aveva una cosa speciale da mostrarle.
Il
pensiero l'aveva sfiorata, non poteva negarlo. Ma ogni illusione si
era infranta quando, salendo in macchina, ci aveva trovato dentro
anche tutti gli altri.
Aveva
detto solo un paio di parole per tutto il viaggio. Ma non era stata
l'unica. Dall'atmosfera che regnava in auto sembrava stessero andando
ad un funerale.
Erano
arrivati ad una stazione di servizio, sulla statale 76, appena fuori
New York. Un posto piuttosto isolato per passare una serata tra
amici.
Payne
e Blake erano scese subito. Ad Eden era venuto il sospetto che si
fossero solo fermati a comprare qualcosa, ma non osò chiedere.
Vicino
a lei Davis sembrava una statua di marmo.
Poco
più in là lo stesso valeva per André.
Quanto
a Tyler teneva le mani sul volante. Il motore dell'auto era ancora
acceso.
Qualcosa
divenne più chiaro quando Blake uscì dalla stazione di
servizio e tutto nell'auto si animò.
André
tirò fuori dal giubbotto qualcosa di metallico.
Eden
spalancò gli occhi.
Era
una pistola.
“Che
diavolo sta succedendo?”
Riuscì
finalmente a parlare. Davis alzò una mano affinché non
parlasse ancora.
“Te
l'avevo detto che sarebbe stata una serata particolare.”
Detto
ciò scese di fretta dall'auto insieme al suo amico.
Eden
era sconcertata. Si sporse verso Tyler.
“Che
hanno intenzione di fare? Perché André ha una pistola?”
Tyler
sospirò teso come un filo.
“Hai
presente quello che facciamo di solito?”
Eden
non rispose.
“Stasera
alziamo la posta.”
Concluse
Tyler tornando concentrato sul volante.
Eden
rimase a fissarlo per un po' poi riportò gli occhi al
finestrino.
Poco
dopo vide Davis e gli altri correre dritti verso l'auto.
Tyler
spinse sull'acceleratore.
Tutti
si precipitarono dentro e prima ancora che gli sportelli fossero
chiusi, stavano già sfrecciando via a tutta velocità
coi fari spenti.
Payne
sorrise con gli occhi chiusi.
“Credo
che mi verrà un infarto!”
“Questo
ti calmerà!”
Le
rispose André lanciandole addosso una manciata di banconote.
Ok.
Avevano rapinato la stazione di servizio. Era più che chiaro.
Ed
era inaccettabile.
Eden
balzò sul sedile.
“Avete
rapinato quel posto vero?”
Nessuno
rispose, ma non ce n'era bisogno.
“E'
rapina a mano armata, ve ne rendete conto?”
Blake
la fulminò con lo sguardo. Sicuramente la stava odiando più
del solito.
Tutti
gli altri guardarono Davis invece che lei.
Lui
fu il primo a rivolgerle la parola.
“Calmati
ok? Non è successo niente.”
“Non
è successo niente?! Avete una pistola! Volevate sparare a
qualcuno?”
“Non
abbiamo sparato a nessuno, non ce n'è stato bisogno.”
Le
rispose André facendola sentire ancora più fuori posto.
“Ok.
Questo per me è troppo!”
Eden
si rivolse direttamente a Tyler
“Accosta
e fammi scendere!”
Lui
continuò a guidare lanciando un'occhiata veloce nello
specchietto.
“Fammi
scendere!”
Nessuno
sembrava darle ascolto. Eden stava per avere una crisi di panico.
Si
attaccò alla maniglia dello sportello.
“Voglio
scendere da questa maledetta macchina!”
Tyler
guardò Davis dallo specchietto. Non sarebbe stato un bastardo
completo.
Inchiodò
in mezzo alla carreggiata e bastò un secondo perché
Eden saltasse fuori.
Iniziò
a camminare nella luce dei lampioni.
“Te
l'avevo detto di non portarla.”
Blake
ammonì suo fratello.
“Te
l'avevo detto anch'io.”
Insistette
André.
Davis
guardò tutti i suoi amici e poi scosse la testa scendendo a
sua volta dall'auto.
“Ci
vediamo al solito posto.”
Disse
prima di iniziare a rincorrere Eden.
Tyler
ripartì immediatamente.
Eden
si guardò dietro sentendo l'auto partire e vide Davis.
Iniziò
a camminare più veloce.
“Lasciami
in pace!”
Gli
urlò
“Aspetta
un attimo!”
Anche
lui accelerò il passo.
“Vattene
Davis!”
In
quel momento le sembrava tutto chiarissimo.
Aveva
fatto una gran cavolata.
Davis
non ci mise troppo a raggiungerla. La afferrò per il braccio e
la costrinse a voltarsi.
“Aspetta!”
“Che
cosa?”
“Mi
dispiace ok? Credevo che fossi pronta.”
“Pronta
per cosa? Per uccidere qualcuno?”
Lui
alzò gli occhi al cielo
“Non
abbiamo ucciso nessuno e non abbiamo intenzione di farlo.”
Eden
non riusciva a guardarlo in nessun altro modo.
Adesso
Davis per lei era solo qualcuno di cui avere paura.
“Per
quel che mi importa puoi uccidere tutte le persone che vuoi. Ma io
sono fuori!”
Sentenziò
decisa puntando i piedi per terra e stringendo i pugni.
Lui
si passò la mano sulla bocca. Sembrava in difficoltà.
“Aspetta.
Lascia che ti spieghi...”
Eden
lo interruppe al volo
“No,
lascia che mi spieghi io...”
Iniziò
continuando a tremare per il nervoso.
“...Cercherò
di essere molto chiara...”
Lui
si morse le labbra distogliendo lo sguardo da lei
“Ho
fatto una cavolata. Ho fatto un'enorme cavolata ad immischiarmi con
voi! Ma adesso questa cosa è finita ok? Adesso andrò a
casa mia e mi dimenticherò di te, di voi e di tutto questo!”
Sputò
a raffica pronta poi a voltarsi e fuggire via, maledicendo i suoi
tacchi alti.
Davis
guardò di nuovo al cielo. Sembrava quasi più in
soggezione di lei.
“Eden
aspetta!”
Lei
non si voltò nemmeno, alzò una mano al cielo
“No
Davis! Stavolta non c'è niente che tu possa dire o fare per
farmi cambiare idea!”
Lui
la raggiunse con solo un paio di passi e la bloccò
afferrandole il braccio.
Prima
che Eden potesse anche solo respirare la attirò a sé e
la baciò.
Ci
volle più di un po' perché Eden si rendesse conto di
cosa stava succedendo.
Il
loro primo bacio.
Surreale.
Ma
quando riaprì gli occhi lui era ancora lì, reale quanto
stupendo.
Eden
non riusciva a respirare, ma ne voleva ancora.
Stavolta
fu lei a sollevarsi sulle punte e baciarlo.
Il
loro primo vero bacio.
Scorrendo
le dita tra i suoi capelli, intrecciando la lingua con la sua, Eden
si sentì in pena per tutti gli altri.
Per
tutti quelli che baciando qualcuno avevano sentito le campane
suonare.
O
magari i violini.
Cosa
stava sentendo lei?
Bhé.
Quella era un'esplosione nucleare.
Un'esplosione
che aveva appena distrutto tutto il resto.
-------
PRESENTE
André
si fermò davanti alla porta chiusa. Bussò tre volte,
come se stesse usando un codice prestabilito poi aprì.
Eden
attraversò quella soglia come fosse stata la porta
dell'inferno, senza staccare gli occhi dal pavimento.
“Siamo
qui.”
Disse
lui.
Eden
alzò il viso d'istinto, senza che l'azione passasse prima al
vaglio del suo cervello.
Si
trovava in uno studio. Ed il signor Owen doveva essere parecchio
ricco ed eccentrico a giudicare dall'arredamento barocco.
Davanti
a lei una grossa poltrona di pelle. Di schiena.
Non
era difficile intuire che Davis fosse seduto lì.
Ma
non disse nulla. Fece solo un cenno con la mano.
Maledetto
lui e la sua passione per il melodramma.
André
guardò di nuovo Eden.
“Vi
lascio soli.”
Concluse
salutandola con una leggera pacca sulla spalla.
La
porta si chiuse dietro di lui.
Adesso
erano solo loro due.
Tutto
ciò che Eden riusciva a sentire era il suo cuore.
Tum
Tum.
Tum
Tum.
Tum
Tum.
Vide
la poltrona muoversi.
Tum
tum. Tum tum. Tum tum. Tum tum. Tum tum.
Il
respirò le si spezzò in gola.
Strinse
i pugni.
Eccolo
qui.
Davis
Miller.
Suo
marito.
Finalmente.
Fu
come se il suo corpo si spezzasse in due.
Una
fitta pungente la colpì al bassoventre.
Era
bello. Possibilmente più di quanto ricordasse.
L'uomo
che aveva amato e desiderato come nient'altro al mondo.
Nello
stesso tempo una rabbia cocente le riempì il petto.
Lui
l'aveva abbandonata.
Lei
si era presa quattro colpi per salvargli la vita e lui l'aveva
abbandonata.
Non
poteva non odiarlo.
Gli
occhi scuri di Davis la trafissero come lampi, senza che Eden potesse
leggerci dentro qualcosa.
Fu
come specchiarsi nel ghiaccio.
Lui
si bagnò le labbra
“Hai
cambiato i capelli.”
Esordì.
Dopo
cinque anni ecco cosa aveva da dire.
Eden
pensò che le parole non le sarebbero uscite di bocca, ma tentò
lo stesso.
“Anche
tu hai cambiato parecchie cose a quanto ho visto.”
Lui
si alzò dalla poltrona con un movimento fluido e iniziò
ad avvicinarsi.
Eden
desiderò fuggire, ma i suoi piedi non si mossero di un
millimetro.
Davis
si avvicinò abbastanza da permetterle di respirare il suo
profumo.
Forse
era un'illusione, ma sembrava sempre lo stesso.
Più
curato di qualche anno prima, aveva il viso perfettamente rasato ed i
capelli sistemati.
E
la giacca che indossava lo faceva quasi sembrare un vero uomo
d'affari.
Lui
allungò la mano nel tentativo di toccarla, ma Eden si scansò
immediatamente.
Sarebbe
stato davvero troppo da sopportare.
Lui
ritrasse la mano, ma non sembrò troppo seccato.
“Cinque
anni eh? Ci hai messo parecchio.”
“Non
è che sia tanto semplice scappare da una prigione federale.”
Lui
sorrise appena. Qualcosa le esplose dentro.
“Diciamo
pure che è quasi impossibile.”
Precisò
lui.
Eden
tenne lo sguardo su per pochi istanti poi dovette abbassarlo.
Lui
si mosse ancora. Le girò intorno. Vicino abbastanza da farle
venire i brividi.
Di
nuovo le si parò davanti.
Allungò
la mano senza che Eden riuscisse a scansarlo di nuovo.
Delicatamente
le sfiorò il mento per farle alzare il viso.
Lei
chiuse gli occhi godendosi quel calore per un secondo.
Quando
li riaprì erano puntati dritti in quelli di lui.
“Sai,
se non ti conoscessi bene dovrei sospettare di te.”
Disse
Davis quasi sussurrando.
L'ironia
nella sua frase non sarebbe potuta passare inosservata.
Eden
deglutì cercando di rispandere i polmoni.
Quell'espressione
non riusciva a decifrarla.
Sospirò.
“Se
non ti conoscessi bene potrei pensare che sei contento di vedermi.”
Gli
rispose con la stessa ironia.
Lui
le regalò uno di quei sorrisi a metà che tanto aveva
amato.
Di
nuovo si sentì come se potesse sciogliersi da un momento
all'altro.
Davis
la guardava così intensamente che forse avrebbe anche potuto
andare in fiamme.
Doveva
uscire da lì.
Sforzandosi
di guardare altrove fece due passi indietro.
“Dov'è
Payne?”
Lui
non si scompose
“Nella
sua stanza immagino.”
“Voglio
vederla.”
Lui
sollevò le spalle allungando la mano ad indicare la porta
“Non
sei mia prigioniera.”
Eden
annuì nervosamente cercando la maniglia della porta.
“Bene.”
La
spinse giù
“Hey?”
Davis
richiamò la sua attenzione. Eden si voltò di nuovo col
cuore in gola.
Lui
sorrise appena
“Sei
ancora più bella di quanto ricordassi ragazza invisibile.”
Il
colpo di grazia.
Eden
filò via senza riuscire a parlare, pensare o respirare.
A/N
Eccomi qua! Che dire? Non riesco a smettere di scrivere!! Sarà
che passati gli ultimi due esami sono molto più rilassata, ma
davvero non riesco quasi a smettere! A questo punto ho bisogno del
vostro aiuto.. Se non vi faccio perdere troppo tempo, perché
non mi lasciate un commentino?? Più che altro solo per sapere
se sto scrivendo un sacco di cavolate che non coinvolgono nessuno...
A volte mi viene il dubbio O_ò
Ad
ogni modo ho scritto un capitolo abbastanza lungo, ma credo di
esserne soddisfatta! Finalmente Eden e Davis si sono incontrati! E'
stata solo una breve scena, ma spero vi sia piaciuta! (In compenso ho
inserito un altro flash-back...)
Dal
prossimo capitolo vediamo di dare un po' più di “azione”
alla storia.
Grazie
di leggere (Perché so che leggete ;)) e spero che continuiate
a farlo!
Un
abbraccio.
Xmeredith91:
come sempre grazie grazie grazie! Inizio ad adorare te e le tue
recensioni! E se hai da chiedere sulla facoltà di psicologia
fa pure! Ho cominciato a leggere (o meglio rileggere) la tua storia e
ti ho lasciato una piccola recensione che spero tu possa apprezzare!
Così come questo capitolo... Che ne dici? Grazie ancora e a
presto! Un abbraccio!
|
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Capitolo 10 *** Dilemma ***
capitolo9
CAPITOLO
9
DILEMMA
Eden
si era fatta strada fino alla stanza di Payne accompagnata da uno
strano tizio silenzioso. Non è che si sentisse proprio la
benvenuta.
D'altra
parte il disagio che sentiva ad ogni passo non era di certo dovuto a
quella presenza.
Payne
era seduta al suo vanity davanti allo specchio e aveva gli occhi
rossi. Aveva pianto fino a pochi minuti prima.
“Hey.”
Eden
fece un passo nella stanza e la sua amica balzò in piedi.
Le
lacrime iniziarono a piovere di nuovo dai suoi occhi azzurri.
Payne
le corse incontro e la abbracciò forte.
Eden
rispose all'abbraccio con tutte le sue forze.
“Mi
dispiace! Mi dispiace!”
Continuava
a ripetere Payne tra i singhiozzi ed Eden la stette a sentire
continuando ad accarezzare i suoi lunghi capelli biondi.
Sulla
sua sincerità non c'erano dubbi.
Payne
le voleva bene. Ed i racconti di Tyler non avevano certo fatto
mistero che proprio Payne fosse stata la più colpita dalla sua
scomparsa.
Dispiaceva
a lei quanto ad Eden.
Se
avesse potuto avrebbe di certo risparmiato alla sua amica cinque anni
di inutili sensi di colpa. Ma ormai era troppo tardi.
Più
tardi, quando Payne aveva finito di piangere le sue ultime lacrime,
Eden le porse un fazzoletto.
Molto
probabilmente era lei l'unica di cui potesse fidarsi.
“Che
è successo?”
Iniziò
Eden lasciando Payne piuttosto spaesata.
“Voglio
dire...”
Aggiunse
“...Ho
già sentito la versione di Tyler, ma ho bisogno di sentirlo
anche da te.”
Payne
corrugò la fronte ed annuì lentamente
“Uccidete
le persone adesso?”
La
freddezza con cui Eden chiese una cosa del genere lasciò Payne
senza risposte.
La
ragazza respirò profondamente un paio di volte e si sistemò
meglio sul letto per poter guardare Eden negli occhi.
Mentre
cercava le parole i suoi occhi scivolarono nel passato, facendosi più
scuri del solito.
“E'
successo fuori Montreuil, vicino a Parigi, più o meno un anno
dopo la nostra partenza.”
Sospirò.
“Dovevamo
attaccare un furgone portavalori. L'avevamo già fatto prima,
sapevamo cosa aspettarci. Ma quella notte non è bastato
agitare le pistole. Uno dei gendarmi ha cercato di reagire, reagire
davvero intendo...”
Eden
contrasse appena i muscoli del volto. Non voleva immaginarsi quella
scena.
“Forse
avremmo potuto gestire la situazione diversamente, ma Davis ha
puntato la pistola e ha fatto fuoco. E sfortunatamente l'ha ucciso.”
Eden
chiuse gli occhi per un istante. Non voleva seguire l'immagine che
scorreva davanti ai suoi occhi.
Era
doloroso, ma necessario. Doveva sapere come erano andate le cose.
“Non
è stata l'unica volta vero?”
Payne
abbassò lo sguardo, incapace di dare quella semplice risposta.
Eden
sentì solo un brivido correrle lungo la schiena. Si sarebbe
aspettata un attacco di nausea o magari di disgusto, ma non successe
niente.
Anzi,
una specie di ghigno le si aprì in faccia.
“E'
strano sai, se mai avessi dovuto scommettere su chi di noi sarebbe
diventato un assassino, avrei puntato tutto su André. Senza
alcun dubbio.”
Payne
accennò un sorriso a sua volta.
“Già.
Anch'io. Non che poi non sia successo.”
Eden
guardò il pavimento colpita di nuovo dalla realtà.
Non
erano più fantasie. Erano vere persone morte.
“E
che mi dici di te? Anche tu hai provato il brivido?”
Payne
scosse subito la testa
“No.
Non lo farei mai, lo sai.”
Eden
annuì. Lo sapeva, ma aveva avuto bisogno di sentirlo da lei.
Rialzò
gli occhi
“Allora
perché sei ancora qui?”
Chiese
a bruciapelo. Conosceva Payne e non poteva non chiedersi come aveva
potuto resistere a tutto ciò.
Lei
sollevò le spalle con una specie di rassegnazione in viso
“Nonostante
tutto sono ancora la mia famiglia. Non ho nessun altro al mondo.”
“E
che mi dici di Tyler?”
Payne
si morse le labbra. Era chiaramente un tasto dolente.
Lei
e Tyler stavano insieme, almeno fin quando Eden potesse ricordare.
Ed
erano una bella coppia, stranamente assortita ma funzionante.
Lui
riusciva a tenere lei coi piedi per terra.
E
lei riusciva a farlo essere superficiale quando poteva permetterselo.
Tyler
la amava.
“Non
lo so.”
Sospirò.
“Prima
io e lui riuscivamo a vedere il mondo con gli stessi occhi. Poi la
vita reale si è messa in mezzo, e all'improvviso vedevamo le
cose totalmente opposte.”
Eden
si morse il labbro inferiore. In qualche modo era colpa sua.
“Lui
non è riuscito a capire.”
Ne
seguì una pausa di silenzio. Payne sembrava fremere dentro sé
stessa.
“Come
sta ora?”
Riuscì
finalmente a chiedere a bassa voce.
“Bene.
Alla grande direi. Fa solo piccoli furti su commissione ed ha anche
scritto il suo primo libro.”
Gli
occhi di Payne brillarono
“Davvero?
Sono sicura che avrà scritto un romanzo stupendo.”
“Già,
anch'io.”
Rispose
di getto Eden ripensando a come l'aveva lasciato.
Chissà
se aveva capito dove era finita.
“Non
l'hai letto?”
Eden
si alzò in piedi e si guardò intorno nella stanza.
Sollevò
le spalle allargando le braccia.
“Stavo
per farlo. Prima di vincere un biglietto gratis per... qui.”
Eden
girovagò un po' per la stanza. Le cose di Payne erano in
disordine dappertutto. Sul comodino e sui mobili c'erano sparsi foto
e ritagli di giornale. I suoi occhi caddero proprio lì in
mezzo.
“Non
farci caso. Stanotte ho avuto un attacco di nostalgia.”
Precisò
Payne.
Una
foto in particolare tra quelle sparse sul vanity di Payne attirò
l'attenzione di Eden.
Loro
quattro. Sarà stato almeno 7 anni prima. Forse 8.
Insieme
su un divano. Sorridenti come poche volte.
Eden
sorrise tra sé e sé. Ricordava ancora la bella
sensazione di quelle giornate.
Payne
si alzò sospirando e le si avvicinò con un'espressione
seria dipinta in viso.
Guardò
la foto che anche Eden stava guardando.
“Non
credo che dovrei dirtelo visto che hai appena rivisto tuo marito dopo
quasi cinque anni.”
Esordì
Payne. Il suo tono si era fatto serio e freddo di colpo.
Eden
aggrottò le sopracciglia spostando lo sguardo dalla foto a
lei.
“Davis
non è più l'uomo che conoscevi.”
Eden
mantenne il suo sguardo incerto. Payne la guardò dritta negli
occhi unendo le mani in una specie di preghiera.
“Il
giorno in cui ha perso te, ha perso anche l'anima.”
Fece
di nuovo una pausa.
“Sta
attenta ok?”
Eden
posò la foto sul vanity in un brusco risveglio dai ricordi.
Annuì
appena poi inclinò la testa da un lato.
Adesso
anche il suo tono si era fatto serio.
“Perché
siete tornati a New York?”
-------
André
sbatté il fascicolo sulla scrivania di Davis con una certa
esasperazione.
“Sono
due mesi che rivolto i database dell'FBI e questo è tutto
quello che ho tirato fuori.”
Prese
un foglio tra i tanti ed iniziò a parlare come se stesse
ripetendo una cantilena per la centesima volta.
“Eden
Cecilia Spencer Miller, arrestata il 18 settembre 2005. Ricoverata
nell'ospedale federale per quasi un anno e poi rinchiusa nella cella
24b del carcere federale di Chicago sotto sorveglianza degli agenti
Daniel Dair e Todd McPhee. Evasa durante una riconversione dei locali
dell'FBI, si sospetta la partecipazione di una talpa interna...”
Davis
lo interruppe con un cenno nervoso della mano.
“Ok
basta. Ho già sentito questa storia decine di volte.”
André
sollevò le spalle
“Non
c'è nient'altro, a parte i fascicoli delle udienze e le
trascrizioni degli interrogatori.”
Davis
sospirò tamburellando sul legno della scrivania.
“Se
vuoi la mia opinione amico, credo che se avesse voluto fregarci
l'avrebbe già fatto. Aveva abbastanza informazioni da mandarci
tutti in galera per un bel po'.”
Aggiunse
André. Davis si morse le labbra scuotendo la testa
“Conosco
quella donna. Meglio di chiunque altro. Sta nascondendo qualcosa.”
André
guardò più attentamente il suo amico.
“Ha
passato gli ultimi cinque anni con i federali e noi sappiamo bene che
razza di persone siano. Non abbiamo idea di cosa abbia passato o di
cosa le abbiano fatto. Forse è questo che ci nasconde.”
Sul
viso di Davis apparve la linea tesa della mandibola.
André
parlò di nuovo.
“Non
ti ha nemmeno sfiorato l'idea che sia pulita, vero?”
Davis
continuò a fissare un punto invisibile davanti a lui.
“Tu
continua a cercare per favore.”
Rispose
senza spostare lo sguardo.
“Ok.”
Fu
l'unica risposta concessa ad André.
Da
quando la notizia del ritorno di Eden era arrivata all'orecchio di
Davis non aveva fatto altro che cercare. Non sapeva più
nemmeno dove andare a guardare.
E
c'era qualcosa nel suo amico che proprio non riusciva a capire. Tutta
quell'ostinazione nel rifiutare che Eden fosse viva e di nuovo con
loro. Quanto poteva essere difficile da accettare per lui?
Quasi
sulla soglia André tornò sui suoi passi.
“Se
proprio ne hai bisogno perché non la metti alla prova e
basta?”
Davis
alzò un sopracciglio.
“Metterla
alla prova?”
“Non
lo so. Chiedile di rubare qualcosa. Dalle qualche informazione. Se
davvero si è convertita come credi tu, non farà nulla
di illegale, giusto?”
Davis
sembrò pensarci su.
I
suoi occhi caddero sull'invito che l'ignaro Signor Owen aveva
ricevuto la mattina precedente e che fino a quel momento non aveva
avuto alcuna importanza per nessuno.
Passò
il pollice sulla carta patinata.
“Mi
è venuta un'idea.”
-------
Era
la prima mattina che Eden si svegliava in quella casa. Aveva dormito
tra lenzuola di seta e profumo di vaniglia, ma non aveva riposato
nemmeno per un secondo. Fece pressione sulle sue stesse tempie
sperando che l'emicrania restasse solo un rumore di fondo.
Non
si accorse che qualcuno era entrato nella sua stanza.
“Buongiorno.”
Al
suono di quella voce Eden saltò in piedi.
Davis
era sulla soglia della sua porta con una rosa rossa tra le mani.
La
sua emicrania si mise ad urlare.
Lui
fece qualche passo avanti verso di lei
“Spero
che la stanza sia di tuo gradimento.”
Iniziò
porgendole la rosa.
Eden
la prese delicatamente dalla sua mano e resistette al primo istinto
di annusarla.
“Vista
la situazione...”
Riprese
lui accarezzandola con lo sguardo
“...Ho
pensato che forse sarebbe stato un po' troppo azzardato invitarti nel
mio letto.”
La
sua voce bassa e quegli occhi costrinsero Eden ad abbassare lo
sguardo. Incredibile che una semplice allusione la facesse arrossire
come una dodicenne.
“Questa
stanza va benissimo.”
Rispose
col tono più neutrale possibile mentre, voltatasi verso il
vanity, cercava di sembrare indifferente.
Lui
tirò fuori una busta dalla giacca.
“Avrei
voluto farti un regalo per augurarti il bentornato, ma non ero molto
sicuro su cosa prenderti.”
“Non
disturbarti.”
Le
rispose secca lei sedendosi sullo sgabello.
Davis
le si avvicinò di nuovo lasciando cadere la busta davanti ai
suoi occhi.
“In
realtà stavo pensando che potresti sceglierlo da sola il tuo
regalo.”
Eden
alzò un sopracciglio guardando Davis attraverso lo specchio.
Si lasciò tentare dalla carta patinata ed aprì la
busta.
“McKanzie's
Annual Benefit Auction”
New
York
Eden
aggrottò le sopracciglia voltandosi verso di lui
“Vuoi
che mi compri qualcosa ad un'asta?”
Lui
sfoderò una specie di ghigno ironico
“E
quando mai noi 'compriamo' qualcosa?”
Eden
alzò gli occhi al cielo poggiando l'invito sul legno
“Vuoi
che rubi qualcosa ad un'asta di beneficenza?”
Lui
aguzzò lo sguardo. Le stava lanciando una sfida.
“Che
c'è, non credi di poterlo fare?”
Eden
tornò a guardarsi nello specchio.
L'ennesimo
dilemma.
Accettare
la sfida per dimostrare qualcosa a Davis?
Rifiutare
per dimostrare qualcosa a sé stessa?
Seguire
l'istinto?
Sospirò
un'ultima volta poi guardò il riflesso di Davis nello
specchio.
Alzò
un angolo della bocca cercando di non farsi prendere da fin troppo
facili entusiasmi.
“E'
un evento importante, ci sarà tutta l'alta società di
New York. E suppongo che ci saranno parecchie teche sorvegliate,
molti agenti di controllo e telecamere a circuito chiuso in tutti gli
angoli.”
Di
nuovo si voltò per guardarlo dritto in faccia.
“Avrò
bisogno di André.”
Davis
sollevò le spalle inclinando appena il volto.
“E'
tutto tuo.”
Continuando
a fissare i suoi occhi Eden sorrise di gusto.
Se
Davis sperava di fregarla così, stava seriamente peccando di
ingenuità.
Lui
la scrutò ancora un po'.
“E'
alle sette.”
“Ok.
Mi vestirò per l'occasione. Ora se vuoi scusarmi...”
Eden
iniziò a giocherellare col nodo alla cintura della sua
vestaglia.
Davis
seguì attentamente i suoi movimenti.
“...Dovrei
vestirmi.”
Lui
rialzò gli occhi bagnandosi le labbra
“Sei
davvero sicura questa stanza ti vada bene?”
Lei
sorrise di nuovo. Quel gioco non le dispiaceva troppo.
“Sicurissima.
A più tardi Davis.”
Lui
annuì passandosi una mano sulla bocca, come se stesse cercando
di trattenersi dall'aggiungere altro.
O
forse stava solo evitando di “sbavare”.
Dopo
un'ultima occhiata lasciò la stanza.
Eden
lo seguì e chiuse la porta dietro di lui.
Ci
poggiò la fronte contro.
Aveva
il cuore in gola.
E
non solo per la sfida che aveva accettato.
Quella
poteva vincerla.
Ma
poteva davvero vincere contro Davis Miller?
-------
“Odio
questa roba.”
André
tentò di nuovo di sistemarsi la cravatta.
Probabilmente
era la seconda volta in tutta la vita che ne indossava una.
“Mi
dispiace Signor Owen, ma per stasera dovrai sopportare di essere
elegante.”
“Me
la pagherai.”
Ribatté
serio.
Davis
sorrise scuotendo la testa.
Payne
venne giù dalle scale con un'aria meno imbronciata del solito.
Sembrava
quasi essere contenta.
“Avverti
pure l'autista. Eden è pronta.”
Dietro
di lei Eden scese incerta i primi gradini. Non aveva avuto il tempo
di prendere confidenza con le Jimmy Choo che Payne le aveva prestato
per l'occasione.
Fasciata
da un lungo e morbido abito di seta viola che le lasciava le spalle
scoperte, aveva i capelli raccolti e un'espressione indecifrabile in
viso.
Davis
spalancò gli occhi seguendola con lo sguardo.
Forse
perché non se la ricordava così bella.
Lei
sorrise appena. Non voleva peccare di presunzione.
Si
rivolse direttamente ad André.
“Che
ne dici Signor Owen?”
Lui
la squadrò da capo a piedi.
“Superi
le mie aspettative, signora Owen.”
“Anche
tu non sei niente male.”
Davis
si schiarì la voce mettendosi in mezzo
“L'auto
vi aspetta.”
André
guardò la faccia di Davis, sollevò le mani per
proclamarsi innocente e tirò dritto verso la porta d'ingresso.
Davis
si rivolse ad Eden
“Non
divertirti troppo.”
Lei
sorrise.
“E'
stata una tua idea.”
Rispose
tra i denti. Lui annuì.
“A
più tardi.”
Anche
Eden sfilò via leggiadra.
Payne
si avvicinò a Davis.
“Le
sta bene il mio vestito, non trovi?”
Davis
la fulminò con gli occhi.
“Non
un'altra parola.”
Scandì
le parole avviandosi verso il mobile bar. Afferrò una
bottiglia di scotch e puntò dritto alle scale.
Payne
seguì i suoi movimenti per un po'.
Sospirò.
“Fa
male vero?”
Gli
chiese.
Lui
si fermò sui suoi passi. Le rivolse uno sguardo atono.
“Che
cosa?”
Payne
lo guardò negli occhi. Nonostante il suo tono fosse leggero e
quasi compassionevole, i suoi occhi puntarono dritto al cuore di
Davis.
“Vederla.
Averla qui. Sai che dovresti essere felice ma quello che provi è
lontano anni luce dalla felicità. Non è così?”
Davis
chiuse gli occhi per un istante.
Il
suo viso non fece una piega.
“Buona
serata anche a te Payne.”
Concluse
riavviandosi verso il piano superiore.
-------
Eludere
la sorveglianza all'entrata dell'asta era stato semplicissimo.
Evidentemente questo fantomatico signor Owen non era poi tanto
conosciuto dalla créme della créme della grande mela.
Eden
guardò il quartetto di violini ed i lampadari di cristallo.
Infinitamente
banale.
André
tentò di allargare il nodo della cravatta.
Il
più giovane lì dentro aveva almeno 60 anni.
“Magnifico.”
Sussurrò
sarcastico.
Eden
si appoggiò al suo braccio ed iniziarono a girare per la
stanza.
“Sai
già cosa fare giusto?”
Chiese
lui. Eden sorrise fingendo di apprezzare la conversazione.
“Immagino
che tutte le teche siano collegate ad un sistema d'allarme
centralizzato.”
André
si guardò intorno.
“Già.
Centralizzato ed informatizzato. Tutto quello che dobbiamo fare è
inserirci sulla linea e far saltare la memoria breve del server di
raccolta dati.”
Eden
sospirò.
“Faccio
finta di aver capito. Ad ogni modo fa' saltare anche la corrente, al
resto ci penso io.”
André
buttò giù una flûte di champagne zigzagando tra
uomini d'affari e signore in completi chanel.
“Perché
girovaghiamo ancora tra queste mummie allora?”
Eden
scosse la testa.
“Innanzitutto
perché l'asta non è ancora iniziata e seconda cosa,
devo ancora decidere cosa prendere.”
Lui
alzò gli occhi al cielo.
“Vedi
di fare in fretta.”
Continuarono
a camminare tra oggetti preziosi e sorrisi di circostanza.
Eden
iniziò a parlare senza guardarlo.
“Visto
che siamo soli e che abbiamo già saltato i convenevoli, direi
che adesso puoi parlare.”
“Che
vuoi dire?”
“Sappiamo
entrambi che questa serata è una ridicola messinscena.”
Lui
sospirò. Lei continuò.
“Di
che si tratta allora? Mi state sottoponendo ad una specie di rito di
iniziazione o forse volete solo controllare che sia ancora in grado
di fare il mio lavoro?”
André
le lanciò un'occhiata stringendo le labbra in una linea
sottile.
“Non
guardare me. Per quel che mi riguarda come ladra facevi schifo anche
prima. Un ulteriore controllo sarebbe stato inutile.”
Se
avesse potuto gli avrebbe piantato una taccata negli stinchi.
Ma
respirò e continuò a sorridere alla folla.
“Quindi
è solo un'idea di Davis. Mi chiedo per quale assurdo
motivo...”
“Che
ne dici di quello?”
La
interruppe André indicando la teca davanti a loro. Conteneva
una parure di gioielli antichi, ma solo l'anello di diamanti rosa
taglio marquise era davvero degno di nota.
“A
voi donne piacciono questi aggeggi luccicanti giusto?”
Eden
guardò il gioiello più attentamente.
“Sì,
direi che può andare.”
Si
sistemò una ciocca di capelli ribelli dietro l'orecchio e
guardò di nuovo André.
“Ma
visto che non vuoi rispondere alla mia prima domanda, magari
risponderai a questa.”
André
arricciò le labbra diventando perplesso.
“Come
mai dopo cinque anni in Europa, avete deciso di tornare qui a New
York? Non è certo stata una mossa molto furba.”
Lui
si bagnò le labbra. Guardò all'altro capo della stanza.
“L'asta
sta per cominciare. Non abbiamo tempo per inutili chiacchiere.”
Rispose
secco trascinandola tra gli invitati, ora accalcati sulla strada
verso i posti a sedere.
Iniziò
a guardarsi intorno.
“Per
inserirmi sulla loro linea ho bisogno di trovare un accesso.”
“Per
accesso intendi un telefono?”
Lui
sollevò le spalle.
“Un
telefono, un modem, un computer, un buco nel muro, ma dubito che
riusciremmo a non dare nell'occhio. Mi serve un secondo per pensare.”
Eden
sorrise con sé stessa come se fosse stata colta da un insight
inaspettato.
“Che
ne dici di un allarme direttamente collegato alla caserma dei
pompieri sulla 12a e al pronto soccorso del Lenoxhill Hospital?”
André
aggrottò le sopracciglia
“Pardon?”
Eden
si avvicinò per bisbigliare al suo orecchio
“C'è
uno di quei cosi nel bagno delle donne. Se scoppia un incendio o se
qualcuno si sente male basta premere un pulsante e puoi parlare
direttamente col centralino del pronto soccorso. Non sono un genio in
materia ma immagino che sia collegato alla linea telefonica.”
André
la fissò con la stessa faccia perplessa.
“Ok.
Andiamo a vedere.”
Sentenziò
infine mentre attraversavano la folla verso la toilette delle
signore.
Eden
entrò tranquillamente, mentre André si gettò
dentro non appena ebbe la via libera.
Chiuse
la porta a chiave dietro di sé.
“Ecco.”
Eden
indicò l'aggeggio sul muro ed André cominciò a
maneggiarlo.
“Come
facevi a sapere di questo affare. Non sei mai andata in bagno.”
Eden
ne approfittò per guardarsi allo specchio e ritoccare il
trucco.
“Non
stasera perlomeno. Questa asta si tiene in questo stesso posto ogni
anno. Mia madre riuscì a trascinarmi con sé
nell'edizione del '97, voleva a tutti i costi aggiudicarsi un Harry
Winston passato per le mani di Marylin Monroe. Ricordo che passai
quasi tutta la serata in questo bagno.”
Mentre
lei parlava André aveva già messo mano ai suoi arnesi.
Dopo
aver armeggiato col cacciavite, tirò fuori il suo inseparabile
palmare ed un paio di cavetti.
“E
allora ringraziamo la tua ricca e spocchiosa madre.”
“Ehy!”
Lo
ammonì Eden, ma lui non si scompose.
“Riuscirò
a far saltare tutto per non più di un minuto e mezzo. Pensi di
potercela fare?”
Eden
finì di sistemarsi il rossetto.
“Mi
troverai già fuori a fumare una sigaretta.”
Lui
sembrò perplesso ma non rispose.
Improvvisamente
qualcuno bussò alla porta.
Tutti
e due si irrigidirono immediatamente.
“Occupato!”
Urlò
subito Eden.
“Lo
so signora...”
Le
rispose subito la voce maschile da fuori
“...Credo
che lì dentro sia fin troppo occupato! Aprite la porta per
favore!”
Eden
fulminò André con lo sguardo.
“Ti
sei fatto beccare mentre entravi qui dentro?!”
Lui
sollevò le spalle.
“Mi
sarà sfuggita una telecamera.”
Eden
roteò gli occhi sospirando.
“Uscirò
appena avrò finito!”
Di
nuovo bussarono contro la porta.
“Signora,
gli agenti hanno visto lei e il suo amico entrare nel bagno. Questa è
un'importante e seria manifestazione, certe cose non sono ammesse.
Uscite immediatamente o dovrò aprire io.”
“Merde.”
Bofonchiò
André. Quando era nervoso tornava sempre alla sua lingua
madre.
Eden
decise di intervenire.
“Togliti
la giacca.”
Ordinò
mentre si scioglieva i capelli.
“Cosa?”
“Togliti
la giacca!”
Seppur
perplesso André ubbidì.
“E
lascia fare a me.”
Concluse
Eden avvicinandosi al suo amico.
In
tutta fretta gli sciolse il nodo alla cravatta e gli scompigliò
i capelli.
“Ma
che..”
“Signori
sto entrando vi avverto!”
Di
nuovo parlò la guardia fuori dalla porta e quasi
immediatamente si sentì che stava armeggiando con la maniglia.
Non
era certo una porta blindata. Anche se l'avevano chiusa da dentro,
non sarebbe stato affatto difficile scardinare la serratura.
Eden
sbatté André contro il muro con una certa violenza, di
modo che col suo corpo coprisse l'accesso che si erano aperti
smontando l'allarme.
“Recita
bene la parte.”
Lo
avvertì Eden.
Si
sentì il crack decisivo della porta.
“Ok!”
Le
rispose André con un sorrisetto compiaciuto in faccia.
Le
spalmò le mani sul fondo schiena.
Eden
non fece nemmeno in tempo a tentare di protestare.
“Signori!”
La
guardia li guardò con gli occhi sconcertati.
“S..
Salve!”
Boccheggiò
Eden. Si staccò dalla presa di André. Lui rimase
attaccato al muro.
“Ci
scusi, ci scusi veramente tanto!”
Quello
si grattò la testa perplesso.
“Vi
rendete conto di essere ad un evento dell'alta società vero?”
Entrambi
annuirono. Eden riprese la parola.
“Lo
sappiamo certo, è solo che...”
Guardò
André. Lui sorrise goffamente.
“...Io
e mio marito siamo sposati da appena un mese... Spero che riuscirà
a capire... E' sposato anche lei?”
La
guardia aggrottò le sopracciglia
“Sì,
ma...”
“Allora
si ricorderà di certo come sono i primi mesi di matrimonio!
Non è colpa nostra, è che... Non riusciamo proprio a
controllarci!”
Eden
sfoderò lo sguardo da cerbiatta ingenua.
Una
delle sue armi segrete.
Quello
indietreggiò di un paio di passi grattandosi di nuovo la
testa.
Sembrò
quasi divertito dalla strana situazione.
“Ok
ragazzi, facciamo così. Vi do due minuti per ricomporvi e
uscire da questo bagno. Per stavolta chiuderò un occhio, ma
che non succeda mai più!”
André
ed Eden annuirono di nuovo all'unisono.
“Grazie!
E ci scusi ancora!”
“Due
minuti.”
Precisò
l'agente andando verso la porta.
Si
voltò un'ultima volta.
“E
non per fare il guastafeste, ma questa fase qui, la luna di miele
intendo, durerà poco. Tra qualche anno se vi getterete le
braccia al collo, sarà solo per strangolarvi.”
Concluse
uscendo dalla toilette.
Sbang!
La
prima cosa che Eden fece fu mollare un ceffone in testa ad André.
“Ahi!”
“Maledetti
nerd, siete tutti uguali!”
André
si massaggiò la testa per un secondo poi si rimise all'opera
sulla linea telefonica.
“Sai,
tecnicamente sarei un geek, non un nerd.”
Eden
si sistemò al volo i capelli.
“Geek,
nerd, non fa differenza. Siete tutti dei pervertiti.”
André
sorrise e basta.
Infondo
infondo le piaceva proprio giocare con lei.
“Ne
hai ancora per molto? Tra 30 secondi ci cacceranno da questo posto.”
André
fece un ultimo delicato movimento.
“Voilà!”
Di
colpo si fece buio. Si sentì il vociare immediato di tutti i
presenti.
“Hai
un minuto e mezzo, forse meno.”
Eden
prese la borsetta che conteneva i suoi strumenti del mestiere e gli
passò affianco.
“Ci
vediamo fuori.”
Rubare
nella confusione di un posto affollato è molto più
semplice che farlo in silenzio in una villa deserta.
Un
minuti e ventisette secondi dopo, Eden salì al volo nell'auto
che l'aspettava fuori dal McKanzie Palace.
“Appena
in tempo.”
Precisò
André mentre l'autista sfrecciava via.
Eden
gli sorrise.
“Scusa.
Mi sono fermata a prendere anche una cosetta per Davis.”
Tirò
fuori dalla borsetta il suo anello ed una penna d'oro dall'aria
piuttosto antica.
“Sei
riuscita a prendere anche quella?”
Eden
infilò il gioiello all'anulare sinistro.
Allungò
il braccio per guardarlo meglio.
“Forse
come ladra non faccio poi così schifo, mio caro amico nerd.”
André
sospirò guardando fuori dal finestrino.
“Prétentieuse
salope américaine.”
Bofonchiò.
Eden
sorrise di gusto.
Era
ancora eccitata per il furto appena commesso.
E
capiva il francese.
Cercò
di godersi il più possibile quella sensazione. Alla villa
l'aspettava una prova ben più difficile.
-------
Rientrando
nella villa, André si tolse al volo giacca e cravatta e si
scompigliò i capelli.
“Fossi
in te farei subito le valigie. Dovremo essere già lontani
quando domani verranno ad interrogare i signori Owen.”
Eden
annuì.
“Ok.
Ma prima ho bisogno di parlare con Davis.”
Si
rivolse ad uno dei muti ed inquietanti tizi sparsi per la casa.
“Sai
se è ancora in piedi?”
“E'
nello studio.”
“Ok.”
Di
nuovo guardò André.
“Buonanotte.
E grazie. E' stato divertente.”
Lui
sorrise.
“Anche
per me.”
-------
Entrando
nella studio la prima cosa che saltò agli occhi di Eden fu
l'abito succinto dentro cui quella donna sembrava non poter
respirare.
Sollevò
le sopracciglia.
Bastò
guardarla in faccia per non avere più dubbi.
Era
sicuramente una prostituta.
Scansò
lo sguardo verso Davis.
Dall'espressione
era chiaro che aveva bevuto.
E
che la stava aspettando.
Alcool
e sesso a buon mercato. Quale miglior modo per accoglierla?
Eden
represse un attacco di rabbia.
Voleva
solo umiliarla?
O
forse chiarire che ormai non aveva più alcun rispetto per lei?
Magari
nessuna delle due.
Ma
di una cosa Eden era certa.
Odiava
quell'uomo.
Quella
specie di insopportabile miscuglio che ribolliva dentro di lei non
poteva essere altro che odio.
“Potrei
parlarti per un attimo?”
Guardò
l'altra donna fulminandola con una buona dose di disgusto.
“Da
sola.”
Precisò.
Davis
si ricompose restando però seduto sulla sua poltrona.
“Va'
pure Amanda.”
Quella
raccattò la sua borsa ed il suo soprabito poi uscì
dalla stanza ricambiando l'occhiataccia di Eden.
Davis
sollevò le mani.
“Non
è come pensi.”
Eden
cercò di riprendere il controllo di sé stessa.
“Già.
Sono sicura che è anche peggio.”
Lui
accennò un sorriso. Eden avanzò con lo sguardo torvo
verso di lui.
“Ecco...”
Iniziò
parando la mano sinistra davanti ai suoi occhi.
“...Ho
preso questo.”
Davis
aggrottò le sopracciglia.
“Un
anello?”
“Un
anello di diamanti. E non uno qualsiasi. Proviene direttamente dalla
collezione privata della regina di Spagna. La base d'asta era
45mila.”
Lui
sembrò più deluso del dovuto.
“Se
non ricordo male ce l'avevi già un anello di diamanti.”
Eden
sorrise appena. Aveva segnato un punto a suo favore.
“Già,
è vero. Ma quell'anello non lo porto più da parecchio
tempo.”
Rispose
cercando di non lasciar trasparire le sue vere intenzioni.
Era
comunque chiaro a tutti e due che si stavano riferendo all'anello di
fidanzamento che Davis le aveva regalato anni prima. E che ora lei
non indossava più.
Del
resto, quando il nemico è furbo, si cerca sempre la maniera
più subdola per colpire.
Eden
abbassò la mano.
“Non
essere troppo deluso comunque. Ho preso qualcosa anche per te.”
Si
avvicinò a lui.
Sollevò
una gamba con un movimento lento e sensuale. Appoggiò la sua
elegante scarpa tacco dodici sul bracciolo della poltrona contro cui
Davis era ancora spalmato.
Iniziò
delicatamente a tirar su il vestito.
Lui
si sollevò. Seguì con gli occhi le sue mani mentre
cercava di capire quali fossero le sue intenzioni.
Eden
continuò la sua piccola tortura fino a scoprire la balza delle
calze.
Sfilò
dall'elastico il piccolo oggetto luccicante che aveva rubato per lui
e glielo porse.
Davis
si vide costretto a spegnere i bollenti spiriti.
“Una
penna?”
Eden
si ricompose tornando dritta e seria di fronte a lui.
“E'
una penna d'oro, appartenuta al colonnello Marshall in persona.”
Lui
la prese dalla sua mano con una certa riluttanza.
Eden
sospirò riprendendo la parola.
“Ho
pensato che per mettere una firma speciale ci volesse una penna
speciale.”
Lui
sembrò di nuovo non riuscire a seguirla.
“E
cos'è che dovrei firmare?”
Chiese
sollevando un sopracciglio.
Eden
lo guardò dritto negli occhi. Sfoderò l'espressione più
dura che lui avesse mai visto.
“I
documenti del divorzio.”
Il
viso di Davis cambiò tratti in un solo secondo.
Ogni
residuo di malizia sparì lasciando spazio all'oscurità.
“A
proposito...”
Riprese
lei altrettanto seria e spigolosa.
“...Cercherò
di essere chiara. Questa è l'ultima volta che rubo o che
faccio qualsiasi altra cosa solo perché me lo chiedi tu.”
Gli
occhi di Davis divennero due fessure.
“Non
devo dimostrarti nulla. Non sono venuta a cercarti io, sei stato tu a
trovarmi e portarmi qui. Ora, se vuoi che ci resti, non provare mai
più a darmi ordini. Capito?”
Davis
si alzò lentamente con la stessa faccia di ghiaccio.
Si
ritrovò faccia a faccia con lei.
Eden
iniziò a tremare. Quanta rabbia poteva trattenere prima di
esplodere?
Rimasero
a guardarsi per un tempo che sembrò infinito.
Una
specie di gara a chi riusciva a sembrare più forte.
Lui
si chinò fermando il viso a pochi centimetri dal suo.
“In
tal caso, spero che tu ti goda la permanenza.”
Sussurrò.
Era
così vicino che per un attimo Eden temette il peggio.
D'istinto
si leccò le labbra.
Davis
lasciò cadere gli occhi sulla sua bocca. Eden aveva il respiro
accelerato e ciò poteva solo voler dire che nonostante tanta
apparente freddezza, non aveva affatto il controllo della situazione.
Per
una sola sera aveva già ottenuto abbastanza.
Si
allontanò uscendo subito dalla stanza.
Eden
chiuse gli occhi.
Ora
ne era sicura.
Non
avrebbe mai vinto.
Non
senza ricorrere all'artiglieria pesante.
-------
CHICAGO
McPhee,
come suo solito, entrò nell'ufficio di Dair senza bussare.
Ormai
lui non ci faceva nemmeno più caso.
“Che
cosa vuoi adesso?”
McPhee
non riuscì a non sorridere.
“Comincio
dalla notizia buona o da quella cattiva?”
Dair
sbuffò esasperato.
“Fa'
come diavolo ti pare.”
“Ok,
lo ammetto. In realtà la notizia è una sola.”
Disse
McPhee iniziando a sfogliare la cartellina che aveva in mano.
“Ieri
sera a New York c'è stato un furto durante l'asta annuale di
beneficenza della famiglia McKanzie.”
Dair
sollevò le sopracciglia
“E
allora?”
“Mezz'ora
fa quelli del dipartimento ci hanno mandato un po' di foto.”
McPhee
fece una pausa tirando fuori l'immagina in bianco e nero
“Sono
tratte dalle riprese della telecamera all'ingresso della villa.”
La
porse a Dair.
“Stavo
controllando la lista degli invitati quando ho notato una cosa
piuttosto strana. Dimmi Dair, non trovi che i signori Owen abbiano
un'aria familiare?”
Dair
aggrottò le sopracciglia davanti a quella foto.
Non
c'erano dubbi.
Era
lei.
“Eden.”
Disse
a bassa voce.
McPhee
sorrise fiero come un pavone nella stagione degli amori.
“Esatto.
Al braccio del signor Duval per di più.”
Dair
esaminò di nuovo la foto senza riuscire a togliersi quell'aria
incredula e delusa.
“La
moglie e il braccio destro del marito. Non esattamente di classe, ma
di certo un classico.”
Dair
mise via la foto.
La
sua espressione iniziò a mutare.
“Hai
bisogno di qualcos'altro capo?”
Domandò
McPhee concludendo il suo discorso trionfale.
Dair
respirò allargando il nodo alla cravatta.
Era
un vicecomandante dell'FBI.
Ed
era anche piuttosto arrabbiato.
Rivolse
gli occhi al suo collega.
“Avverti
quelli del dipartimento. Andiamo a New York.”
A/N
Eccomi di nuovo! E' stato un weekend decisamente impegnativo, ma
diciamo che, seppur con un paio di chili un più ed un amico in
meno, sono riuscita a sopravvivere! E veniamo al capitolo...
Ho
cercato di fare un po' il quadro della situazione, prima che le cose
diventino più complicate (soprattutto nella mia testa) e poi
mi sono fatta un po' prendere dalla dinamica Eden/André. Non
so ancora perché, ma mi affascina! Spero non vi dispiaccia...
Allora,
Eden è tornata ad apprezzare l'arte del furto, ma ovviamente
non ha dimenticato qual è il suo scopo. E Davis cerca di farsi
una ragione del fatto che sua moglie non sia proprio morta, ma non è
semplice.
Tra
loro due è in atto una specie di sfida perenne. Non si fidano
l'uno dell'altra, ma sono inevitabilmente attratti. Cosa succederà
tra loro? Aspettate e lo vedrete ^_^
Per
quanto riguarda Dair è arrivato il momento di farlo
partecipare, per cui dal prossimo capitolo credo che ci sarà
anche lui.
Come
ultima cosa, devo ancora inserire il personaggio di Blake. E'
l'ultima che manca, ma ho già ben in mente anche il suo ruolo.
Detto
ciò grazie ancora di leggere e, come sempre, a presto!!
XMEREDITH91:
Ciao! Al solito ti ringrazio tantissimo per i complimenti... Non mi
aspettavo recensioni in più, ma ci ho provato lo stesso! Mi
accontento che la storia venga letta diciamo... Ad ogni modo spero
che il capitolo ti sia piaciuto! Gli incontri tra Eden e Davis sono
ancora un po' incerti, ma ti assicuro che ho in mente ben altre cose
per loro! Mi hai chiesto se Davis sa di avere una figlia... Non
vorrei risponderti in maniera troppo diretta perché sarebbe
uno “spoiler” a tutti gli effetti, ma immagino che se me l'hai
chiesto è perché hai già una tua idea in
merito... E credo che sia l'idea giusta... Comunque tra qualche
capitolo capirai com'è andata tutta la storia. Grazie ancora e
a presto! XoXo
XCINZIA818:
ciao!! Non preoccuparti se salti qualche capitolo o se non
recensisci, non sei mica obbligata! Capisco Perché anch'io ho
2000 impegni, quindi non me la prendo assolutamente! Comunque grazie
per gli apprezzamenti, mi fa troppo piacere :D!! Spero che
l'interazione Eden/Davis continui a piacerti e se avessi qualche
suggerimento dì pure! In fin dei conti scrivo per voi oltre
che per me stessa, no? Anzi, mi piacerebbe scambiare qualche opinione
con chi, come me, ama scrivere! Ancora grazie mille! A presto!! XoXo
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Capitolo 11 *** Adesso Ho Capito ***
capitolo10
CAPITOLO
10
“ADESSO
HO CAPITO”
7
ANNI e 2 MESI PRIMA
La
sua risata cristallina riempì la piccola stanza del motel.
Eden
si buttò sul letto cercando di respirare.
Di
nuovo una rapina.
Di
nuovo un micidiale mix di adrenalina e vita nelle vene.
Davis
le lanciò una manciata di contanti addosso.
E
poi un'altra.
E
poi le si sdraiò vicino.
“Credo
che non ci si possa sentire più vivi di così.”
Disse.
Eden
arricciò appena il naso.
“Penso
proprio di poterti dimostrare il contrario.”
Lui
la guardò curioso.
“E
come?”
Eden
si tirò su il vestito salendo a cavalcioni sul suo uomo.
Lo
guardò dritto negli occhi.
“Fa'
l'amore con me.”
Davis
sorrise a metà mentre le sue mani risalivano le cosce di Eden.
Lei
si chinò per baciarlo.
I
suoi lunghi capelli gli accarezzarono il viso.
Strusciò
il naso contro il suo.
Le
sue labbra sfiorarono quelle di lui.
“Io
ho un'altra idea.”
Sussurrò
Davis sulla sua bocca.
Eden
si tirò su di colpo.
“Un'altra
idea?”
“Mm
mm.”
“Dovrei
sentirmi offesa lo sai?”
Davis
sollevò dolcemente una delle sue gambe ed uscì dalla
presa di Eden.
“Aspetta
a dirlo.”
Sembrò
cercare qualcosa nella giacca, ma non ne tirò fuori niente.
Sospirò
guardando Eden stesa sul letto.
Lei
ricambiò quello sguardo incerta.
“Sai...”
Iniziò
lui diventando serio.
“...Dalla
prima volta che ti ho visto già lo sapevo.”
Eden
si sollevò, pronta a smorzare la tensione di quel momento
incerto.
“Cosa?
Che ti avrei chiesto di fare l'amore con me?”
Lui
sorrise appena abbassando gli occhi.
“Che
per te avrei infranto tutte le mie regole.”
Eden
sentì il cuore arrivarle in gola.
Era
uno di quei discorsi.
Davis
si bagnò le labbra e riprese
“Prima
di te non avrei mai pensato di coinvolgere qualcun altro in questa
vita...”
Sospirò.
La sua voce tremava appena.
“...non
avrei mai pensato di coinvolgere qualcuno nella mia
vita.”
Eden
si mosse sul letto cercando di avvicinarsi a lui il più
possibile.
“Stai
cercando di dirmi che per colpa mia hai fatto cose che non avresti
mai fatto?”
Domandò
ironica.
“Credo
di sì.”
Eden
aggrottò le sopracciglia
“Non
sono sicura che sia un complimento.”
Lui
la guardò di nuovo serio.
Le
fece quasi paura.
“Infatti
non stavo cercando di farti un complimento...”
Riprese
“...Stavo
cercando di chiederti una cosa.”
Eden
piegò la testa da un lato.
Ormai
non ci stava capendo più nulla.
“Che
cosa?”
Sussurrò.
Qualche
secondo più tardi lo vide inginocchiarsi davanti a lei.
Inarcò
le sopracciglia.
“Davis,
che stai facendo?”
Lui
accennò un sorriso.
“Infrango
l'ennesima regola.”
Dalla
tasca della giacca tirò fuori una scatolina blu.
La
aprì e gliela porse.
Prese
un respiro profondo.
“Sposami.”
Eden
spalancò occhi e bocca davanti al luccichio di quell'anello.
Dovevano
essere diamanti.
Lui
si schiarì la voce.
Per
un secondo sembrò quasi imbarazzato.
“Sposami
Eden. E per tutta la vita continua a farmi fare cose che senza di te
non avrei mai fatto.”
Eden
sorrise. Avrebbe voluto restare seria, ma le fu impossibile.
Allo
stesso tempo sentì i suoi occhi farsi lucidi.
Non
sapeva cosa dire.
Davis
sollevò un sopracciglio.
“Guarda
che questo non l'ho rubato, l'ho comprato. Payne può
testimoniare a mio favore.”
Lei
sospirò.
“...Allora,
vuoi sposarmi oppure no?”
Eden
si tirò dritta sulla schiena. Lo guardò arricciando le
labbra in una specie di smorfia.
Sciolse
la smorfia in un sorriso.
“Credevo
che Davis Miller non facesse mai domande di cui conosce già la
risposta.”
Anche
le labbra di Davis si aprirono in un sorriso.
Il
più spontaneo che Eden avesse mai visto.
Allungò
la mano verso di lui.
Tremando
appena Davis infilò quel piccolo gioiello al suo anulare
sinistro.
Eden
gli buttò le braccia al collo.
“Sì...”
Lo
baciò una volta
“Sì...Sì!
Mille volte sì!”
Lo
baciò di nuovo.
Lui
la sollevò prendendola per la vita.
“Adesso
sì che farò l'amore con te, signora Miller..”
----------------
Eden
sobbalzò sul sedile.
D'istinto
si portò le mani alla faccia.
“Devo
essermi addormentata.”
Bofonchiò
con la voce impastata dal sonno.
Alla
sua destra Payne. Alla sua sinistra Davis.
“Scusatemi.”
Aggiunse
tirandosi su.
“Dove
stiamo andando comunque?”
Davis
si inumidì le labbra
“Blake
ci ha trovato un attico a Murray Hill.”
Eden
strinse il ponte del naso tra indice e pollice.
“Blake?”
“Sì.
Ti avevo detto che era in giro a fare delle commissioni.”
Eden
si sistemò meglio sul sedile. Le faceva male il collo.
Si
lasciò sfuggire un mugolio.
Davis
sollevò un sopracciglio.
“Cosa
c'è, non sei contenta di rivederla?”
Chiese
ironico.
Eden
ricambiò lo sguardo.
“No,
anzi, sono sollevata. E' la prima volta che rincontro qualcuno con
l'assoluta certezza che non sarà contento di
vedermi.”
Payne
e André non trattennero un sorriso sotto i baffi.
Non
era ironia. Eden era davvero sicura.
Blake
non sarebbe stata affatto contenta di rivederla.
Davis
non osò ribattere, ma a riempire quel silenzio ci pensò
il suo cellulare.
“Sì?”
Sorrise
fissando il nulla.
“Ciao
Sebastian. Benissimo.”
Sebastian?
Questo nome non mi dice niente.
Pensò
Eden continuando a seguire la conversazione.
“Un
colpo a Berkley? Spiacente amico, ma è un po' troppo fuori
mano per me.”
Davis
lanciò un'occhiata ad Eden. Lei distolse lo sguardo facendo
finta di non essere interessata.
“Sì,
starò ancora a New York per un po'. Devo sistemare delle cose.
Ma se vuoi ti mando qualcuno dei miei.”
Quali
cose devi sistemare?
Davis
sorrise di nuovo di gusto.
“Ok
Sebastian. Alla prossima.”
Concluse
rimettendo il telefono nella tasca interna della giacca.
Eden
tornò a guardarlo.
Lui
rimase impassibile.
----------------
L'attico
a Murray Hill era esattamente come Eden se lo aspettava.
Una
casa da ricchi in un palazzo da ricchi.
Chissà
a chi apparteneva. E chissà cosa avrebbe detto il signor Owen
tornando a casa.
Lasciò
che gli altri entrassero prima di lei.
Aveva
già sentito la voce roca di Blake e stava pensando, sulla
soglia, al modo giusto per salutarla.
“Hey?”
Payne
la richiamò e sbuffando Eden dovette entrare per forza, prima
che l'ascensore le si richiudesse in faccia.
I
suoi tacchi sbatterono contro il parquet.
Amava
quel rumore. Avrebbe camminato avanti e indietro per ore solo per
sentirlo.
Quando
alzò il viso gli occhi di Blake erano pronti lì per
fulminarla.
“Eden.”
Disse
solo il suo nome con un cenno del capo.
Quasi
le venne di rabbrividire.
Ricambiò
il cenno con un sorriso fasullo e la guardò mentre abbracciava
il fratello.
C'era
sempre stato uno strano rapporto tra lei e Davis.
Non
erano di certo il tipo di fratelli che giocano tutto il tempo alla
lotta. E nemmeno il tipo che passa le serate a confidarsi segreti.
Non
c'era uno stereotipo che li descrivesse.
Diversi
per mille ragioni, erano tutti e due un mistero vivente.
E
di Blake Miller non sapeva quasi nulla.
Maggiore
di un anno di suo fratello, aveva in comune con lui la carnagione
chiara ed i capelli scuri, ma poteva vantare un eccezionale paio di
occhi verdi.
Eden
adorava gli occhi verdi. Perfino i suoi.
Blake
era un tipo da poche parole. Anche Eden non amava parlare, ma in
questo caso non c'era confronto. Blake non parlava mai, a meno che
non avesse davvero qualcosa da dire.
E
qualcosa aveva detto nel corso degli anni.
Per
esempio, aveva sempre fatto chiaro che non voleva Eden nella loro
vita. E che Davis aveva fatto un grosso sbaglio.
Perché
la pensasse così? Non si era mai capito.
Per
tutto il tempo Eden aveva cercato di comprendere. Quella di Blake non
era stata una vita semplice. Quando la loro madre era morta aveva
solo dieci anni e su di lei si era riversato il dolore di tutta la
famiglia.
Era
stata proprio lei, qualche anno più tardi, stanca di passare
le giornate a spronare un padre depresso ed alcolizzato, ad
accostarsi per prima all'arte del furto.
E
poi l'aveva insegnata a suo fratello.
Questo
li aveva resi inseparabili. L'aver trovato da soli il modo per andare
avanti senza dover mai chiedere aiuto a nessuno. Soprattutto a quei
nonni materni che sembravano odiarli con tutte le loro forze.
Era
colpa di Blake se la loro figlia era morta.
Questo
credevano loro.
E
solo perché la signora Miller stava andando a vedere il saggio
di danza della sua bambina, quando un camion era piombato addosso
alla sua utilitaria.
Certo,
se non avesse mai lasciato la vita agiata di Manhattan e non avesse
rinunciato a tutti i suoi soldi per sposare un ragazzo di Brooklyn,
forse non sarebbe morta così.
Ma
non era comunque colpa di Blake.
“Vieni.
Ti mostro la tua stanza.”
Fu
proprio Blake a risvegliarla dai suoi pensieri.
Eden
si passò una mano tra i capelli e la seguì senza
discutere.
Era
una stanza non troppo grande, con un letto a baldacchino nel mezzo e
lunghe tende damascate.
Non
era male.
Eden
poggiò sulla coperta la borsa con le sue poche cose.
Blake
si schiarì la voce.
“Dovresti
andartene.”
Quella
frase la colpì alla spalle come una pugnalata.
Si
voltò incerta.
“Come?”
“Hai
capito. Dovresti andare via da qui, subito.”
Eden
sospirò allargando le braccia.
Non
era di certo un consiglio il suo. Era un'intimidazione. Bella e
buona.
“Perché?”
Blake
guardò dietro di sé per assicurarsi che la porta fosse
chiusa, poi le si avvicinò.
“Hai
già rovinato una volta la vita di mio fratello. Non te lo
lascerò fare di nuovo.”
Eden
aggrottò le sopracciglia.
“Guarda
che è stato lui a trovarmi e portarmi qui. Non è stata
una mia iniziativa.”
“Ma
puoi comunque andartene con le tue gambe.”
Eden
non trattenne una mezza risata sarcastica
“Sapevo
che non saresti stata contenta di vedermi, ma questo supera ogni mia
più rosea aspettativa!”
Blake
la guardò con occhi scuri.
“Non
mi fido di te.”
“Sai
che novità.”
“Dico
sul serio. Non ti voglio qui. Prendi le tue cose e vattene.”
Eden
sospirò di nuovo.
Si
sedette sul letto.
“Ho
paura che non sia tu a decidere.”
Blake
tentò di calmarsi scuotendo piano la testa.
“Sapevo
che avresti scombinato le nostre vite. Davis non ha mai voluto
ascoltarmi, ma lo farà adesso. Per fortuna non è più
la stessa persona che ha sposato te.”
“Già.
Adesso è un assassino. Bel salto di qualità no?”
Blake
non amava il sarcasmo. E odiava il sarcasmo inopportuno.
Le
si avvicinò di scatto. Trattenne a stento l'istinto di
prenderla per i capelli.
Eden
indietreggiò appena.
Non
era più questione di antipatia. Blake era più che
seria.
“Tu
non hai idea di quello che...”
Inspirò
profondamente guardando il pavimento.
Tornò
in sé stessa.
“Le
cose per noi si sistemeranno.”
Riprese
“Ho
solo bisogno che tu non ti metta più in mezzo.”
Eden
si tirò su
“Dici
che si sistemeranno? E come?”
Blake
la scrutò strizzando gli occhi. Eden rimase impassibile.
“Se
fossi in te me ne andrei e basta. E stavolta per sempre.”
Concluse
facendo per uscire.
Eden
deglutì.
“Scusa
se te lo dico, ma speravo che fossi cambiata in questi anni.”
Disse.
Blake
si fermò sui suoi passi. Si voltò lentamente.
La
guardò con una faccia senza espressione.
“Scusa
se te lo dico, ma speravo che fossi morta.”
Disse
prima di uscire.
Eden
spalancò gli occhi. Sentì lo stomaco contorcersi.
Chiuse
gli occhi prendendosi la faccia tra le mani.
In
un certo senso, in una piccola ed oscura parte della sua mente,
sperava anche lei di essere morta.
Che
diavolo stava facendo in quel posto?
Come
si stava comportando?
Chi
era?
Eden
non sapeva più chi era. Non sapeva più niente.
E
se solo fosse morta quel giorno, almeno se ne sarebbe andata con
qualche certezza.
-----------
QUASI
5 ANNI PRIMA
18
settembre 2005
“Giù
le armi!”
“Mani
in alto!”
Erano
fregati. Stavolta per davvero.
Ed
era improvvisamente chiaro come il sole che quel Tony non era affatto
un amico. E che la sua proposta, troppo vantaggiosa per essere reale,
effettivamente non era reale.
Eden
si accostò a Payne, mentre le gambe sembravano voler cedere.
Un
passo avanti a lei Davis e André sembravano statue di
ghiaccio.
Le
armi strette tra le dita.
“Buttate
quelle armi!”
Insisteva
la voce degli agenti.
Tyler
si era guardato intorno, e aveva deciso di ascoltarle.
Lasciò
cadere la pistola ai suoi piedi.
Blake
continuava a tremare stringendo la sua.
Eden
pensò davvero di essere arrivata al capolinea della sua
carriera.
Ma
non era una sensazione del tutto orribile.
Si
strinse nelle braccia sperando che la situazione non degenerasse.
Qualche
secondo più tardi, al rumore delle armi caricate dagli agenti,
anche Blake lasciò cadere la sua colt.
Indietreggiò
di un passo, tra suo fratello e gli altri.
André
e Davis erano ancora lì. E non sembravano voler mollare.
“Vi
avverto che se non mollate le armi saremo costretti a fare fuoco!”
Eden
chiuse gli occhi pregando che suo marito lasciasse quella maledetta
pistola.
Ma
Davis non lo fece.
Lanciò
uno sguardo al suo amico e quella pistola la puntò ancora più
dritta davanti a lui.
“E'
l'ultimo avvertimento!”
Eden
cercò di avanzare verso Davis, ma non arrivò in tempo.
Lui
tolse la sicura all'arma.
Nessuno
capì se voleva davvero sparare. Nessuno ne ebbe il tempo.
Passò
una frazione di secondo prima che il dubbio venisse risolto da una
raffica di proiettili.
“Precauzione”
l'avrebbero chiamata.
In
un solo istante il silenzio divenne caos.
“No!”
Urlò
Eden correndo. Il suo primo ed unico istinto fu quello di mettere il
proprio corpo davanti a quello del marito.
Quattro
colpi.
Bang.
Bang. Bang. Bang.
Uno
dopo l'altro.
Eden
scoprì con suo rammarico che i proiettili non facevano male.
Non li sentì nemmeno entrare nella carne.
Ma
solo qualche secondo dopo iniziarono a bruciare così tanto che
credette di prendere fuoco.
Si
lasciò cadere a terra in un tonfo sordo.
Le
sue fiamme si spensero in fretta e lasciarono il posto al freddo.
Un
freddo che non aveva mai sentito prima.
Lentamente
i rumori degli spari iniziarono ad arrivarle attutiti.
Al
loro posto rimbombavano forte nelle sue orecchie i passi dei suoi
amici sulla terra.
Li
sentiva più forte del suo cuore.
L'avrebbero
salvata. Certamente la stavano già portando via.
In
un rigurgito di lucidità Eden aprì gli occhi cercando
di farsi forza.
Era
lì.
Davis
era davvero lì. In piedi. Vicino a lei.
Allungò
la mano tremolante nella speranza che lui potesse tirarla fuori
dall'abisso in cui stava precipitando.
Non
poteva morire.
Doveva
ancora visitare Londra.
Doveva
ancora finire di leggere “Jules et Jim”.
Doveva
ancora dire a suo marito che sarebbe diventato padre.
Ma
quando riaprì gli occhi una seconda volta lui non c'era più.
E
non aveva preso la sua mano.
Era
scappato. Lasciandola lì. A morire da sola.
-------------
PRESENTE
Quando
lo stomaco le si torse di nuovo e più forte, Eden capì
che sarebbe impazzita se non avesse fatto subito qualcosa.
Spalancando
la porta della stanza piombò davanti a Davis.
“Voglio
andarmene!”
Lui
sollevò gli occhi dai documenti che stava leggendo.
“Perché?”
Rispose
con una calma fastidiosa.
“Perché
non voglio stare qui!”
Lui
si alzò dopo aver deposto i fogli.
“Questa
non è una ragione.”
Eden
si guardò nervosamente intorno.
“Perché
odio Murray Hill!”
Lui
si avvicinò.
“Credimi,
puoi fare di meglio.”
Eden
strinse forte i pugni.
“Perché
odio te!”
Dicendolo
ad alta voce fu come se tutta la sua realtà le crollasse
addosso.
In
quelle settimane aveva vissuto solamente dell'entusiasmo per la
libertà riacquistata.
Non
si era resa conto di dove si trovasse davvero.
Né
di cosa stesse facendo.
“Spero
che tu abbia una buona ragione almeno per questo.”
Rispose
lui scrutando i suoi occhi.
Dalla
faccia sembrava che quelle parole non l'avessero minimamente
scalfito.
“Vuoi
sapere perché?”
Iniziò
lei tremando per i nervi
“Vediamo.
Perché sei un ladro forse? Un criminale? Un egoista per cui
nulla al di fuori del suo piccolo mondo ha la minima importanza?”
Davis
sollevò le spalle.
“Ero
questo anche dieci fa, ma non sembrava dispiacerti così
tanto.”
Eden
lo guardò con una sorta di reale disprezzo.
“Almeno
non eri un assassino.”
Quell'avversione
non veniva da quell'idea. Non riusciva nemmeno a immaginarlo mentre
sparava a qualcuno.
Ma
non di meno si stava rivelando un'arma utile, quasi quanto il
disprezzo di Blake. Era stato proprio quest'ultimo a riportarla alla
realtà.
Sembrò
funzionare anche con Davis.
Per
la prima volta sul suo viso apparve un'espressione vera.
“E'
successo. E' vero. Ma almeno io ce l'ho una buona ragione.”
“E
quale sarebbe?”
Un'ombra
attraversò i suoi occhi.
“Avevo
appena visto mia moglie morire.”
Eden
serrò i denti. E contrasse i muscoli.
Poteva
essere una buona scusa, ma lei sapeva che non lo era.
Lei
ricordava meglio di tutti gli altri cosa era successo.
O
almeno credeva.
Fece
un passo avanti verso di lui guardandolo dritto negli occhi.
“C'è
solo un piccolo errore nella tua frase...”
Due
piccole rughe si formarono sulla fronte di Davis
“...Tu
non mi hai vista morire. Tu mi hai guardata morire.”
Le
due piccole rughe divennero profonde a sottolineare la sua confusione
“Di
che cosa stai parlando?”
Eccolo.
Il momento.
Quello
che Eden aspettava.
Poco
importa se fosse pronta o no ad affrontarlo.
“Come
avrai capito non sono morta. E non lo ero nemmeno cinque anni fa, con
quattro proiettili in corpo.”
Continuò
a fissarlo negli occhi con tutta la sua rabbia.
“Ti
ho visto. Eri lì, vicino a me. Pensavo che avresti fatto
qualcosa, ma invece sei solo scappato... Mi hai lasciata lì,
in mezzo alla strada, a morire da sola.”
L'espressione
di Davis tremò appena.
“Ci
sparavano addosso. Cosa ti aspettavi?”
Sussurrò.
Eden
strinse le labbra, mentre gli occhi le si facevano lucidi.
Sollevò
le spalle.
“Non
lo so. Che mi portassi via. O magari che restassi lì...”
Una
prima lacrima le rigò il viso.
Lui
guardò un punto inesistente al di là di lei.
Eden
cercò di trattenere il pianto mentre parlava
“...Pensavo
che avresti preferito farti arrestare piuttosto che lasciarmi lì.”
Davis
chiuse gli occhi sospirando.
Si
passò una mano sulla bocca fissando il pavimento.
“Hai
mai pensato che forse non eri abbastanza lucida per capire cosa stava
succedendo davvero?”
“No.”
Rispose
Eden fermamente.
Lui
annuì e basta.
Lei
sollevò le sopracciglia
“Niente
più risposte argute? Niente giustificazioni? Nessuna buona
dose di sarcasmo?”
Lui
risollevò lo sguardo.
Aveva
quel viso da bambino triste che cerca di nascondere il suo stato
d'animo.
Che
stesse davvero provando qualcosa?
“Riuscirei
forse a farti cambiare idea?”
Eden
ci pensò un secondo.
Scosse
piano la testa.
“No.”
“Ti
sei risposta da sola.”
Concluse
lui voltandole le spalle diretto verso la sua personale fonte di
superalcolici.
Eden
inspirò profondamente
“No,
ma almeno potresti dimostrarmi che riesci ancora a provare qualcosa!”
Disse
ad alta voce. Quelle parole erano venute fuori da sole.
Davis
si voltò di nuovo verso di lei.
Eden
incalzò
“Da
che sono tornata non ho visto altro che questa faccia! Sempre la
stessa espressione, come se fossi fatto di cera o di ghiaccio o...
Non la sopporto!”
Il
suo tono era di qualche ottava sopra il suo solito.
Lui
aggrottò le sopracciglia
“Che
cosa vuoi da me?”
Lei
si avvicinò di nuovo
“Vorrei
che dicessi qualcosa!”
Di
nuovo sembrava voler piangere mentre urlava
“Che
facessi qualcosa!”
Insistette
colpendolo al torace con i pugni.
Lui
non si mosse nemmeno.
“Che
sentissi qualcosa almeno, dio santo!”
Eden
iniziò a piangere per davvero.
Lui
rimase immobile, cercando di riempirsi i polmoni d'aria.
“Sono
io.”
Aggiunse
Eden.
Tra
i singhiozzi la sua voce uscì come un lamento acuto e sottile.
“Sono
io.”
Sussurrò
di nuovo, prima di abbassare gli occhi.
Non
ce la faceva più a guardarlo.
Davis
sembrò voler cedere per un attimo.
Le
sue braccia si mossero verso di lei, ma presto tornarono indietro.
Si
bagnò le labbra.
Fece
un passo indietro.
“Sei
libera di andartene se vuoi.”
Disse
infine. Solenne come una condanna.
Eden
lo guardò di nuovo. Tirò su col naso mentre annuiva
nervosamente.
“Grazie.”
Concluse
correndo fuori dalla stanza.
Afferrò
al volo borsa e giubbotto ed attraversò il salotto come una
furia.
Payne
e André, impegnati sul divano in una serissima partita a
“Indovina chi?”, sollevarono gli occhi e seguirono la scena in
silenzio.
Eden
sparì immediatamente dietro le porte dell'ascensore.
Davis
apparì poco dopo nella stanza con in mano il suo immancabile
bicchiere di scotch.
André
fece un cenno verso le porta.
“Vuoi
che...?”
Davis
scosse la testa.
“Non
disturbarti. Sono sicuro che tornerà.”
----------------
Eden
aveva girovagato per un paio d'ore prima di arrivare a quella porta.
Giusto il tempo di farsi passare la crisi di pianto, per non
rischiare di sembrare una patetica disillusa ragazzina.
Il
cartello “closed” era appeso alla porta.
Era
tardi, ma non troppo tardi.
Bussò
comunque contro la vetrina.
Un
minuto dopo Grace aprì la porta.
“Ciao!”
Esclamò
guardandola in viso.
Evidentemente
non era servito aspettare.
Gli
occhi ancora gonfi parlarono per lei.
“Che
è successo?”
Eden
sollevò le spalle.
Non
sapeva da che parte iniziare.
Grace
sospirò sorridendo.
“Vieni...”
Iniziò
lasciando ad Eden lo spazio per entrare
“...So
esattamente di cosa hai bisogno.”
Qualche
minuto dopo Grace venne fuori dalla cucina con un vassoio in mano.
Eden
era già seduta al bancone.
“Ecco
la soluzione a tutti i problemi!”
Sorrise
Grace poggiando il vassoio.
“E
in che consiste?”
Grace
le mise sotto il naso una tazza fumante di cioccolata calda.
“In
questo...”
Spruzzò
sulla cioccolata una quantità decisamente eccessiva di panna
montata
“...Questo...”
Tirò
poi fuori il suo mazzo di carte preferite
“...E
questo.”
Eden
sollevò un sopracciglio
“Vuoi
leggermi i tarocchi?”
Grace
si sistemò sullo sgabello accanto al suo
“La
situazione si sta facendo fin troppo complicata. Credo sia tempo di
chiedere consiglio alle forze ancestrali.”
Già,
le forze ancestrali.
Grace
sosteneva da sempre che ci fossero forze più grandi di noi a
dettare il destino. Aveva fatto della dottrina esoterica la sua
filosofia di vita.
Per
questo, fin da adolescente, si dedicava a pratiche di divinazione e,
ovviamente, alla cartomanzia.
Non
che avesse la velleità di leggere il futuro, ma era fermamente
convinta di poter ricevere buoni consigli dagli spiriti.
Eden
si era rivolta a lei parecchie volte. E così anche gli altri.
Specialmente prima di un colpo.
Se
Leonida aveva l'oracolo di Delfi, loro avevano Grace.
Grace
poggiò il mazzo di carte sul bancone.
“Ti
ricordi cosa fare, giusto?”
Eden
annuì e allungò la mano sinistra per smezzare il mazzo.
Grace
compì i suoi rituali finendo per spandere sette degli arcani
maggiori davanti a lei.
Ovviamente
coperti.
Eden
l'avrebbe ascoltata mandando giù la sua cioccolata.
Non
sapeva più se credere o meno a certe cose.
Grace
si schiarì la voce girando la prima carta.
“La
ruota...”
Iniziò
“Bé,
non lo trovo affatto strano. Le cose per te stanno cambiando, o
potrebbero cambiare da un momento all'altro. Se non approfitti del
momento per influenzare la situazione poi potrebbe essere troppo
tardi.”
Accanto
alla ruota venne fuori la torre, simbolo di confusione, ma anche di
solidità.
E
poi altre carte permisero a Grace di prevedere che qualcosa stava per
succedere nella vita di Eden.
Specialmente
quando girò “L'innamorato”.
Eden
sorrise sotto i baffi scuotendo la testa.
Grace
non sorrise affatto.
“Ti
aspetta una scelta, una difficile scelta. Sarai ad un bivio ed ognuna
delle due strade sembrerà offrirti vantaggi ed ostacoli, ma
solo una è quella giusta. Da questa scelta dipenderà il
resto della tua esistenza.”
Eden
leccò il bordo della tazza.
“Non
puoi già dirmi quale delle due sceglierò?”
Grace
disse di no con la testa.
“Se
fosse stato capovolto allora sì, avrebbe voluto dire che
avresti sicuramente sbagliato. Ma così non posso dirlo.”
“Potresti
almeno cercare di essere un po' più specifica?”
“Ok...”
Mentre
la sua amica leggeva Eden si accese una sigaretta.
“Come
per Ercole e le sue donne*, è probabile che anche la tua
scelta sia di quel tipo. Tra due uomini, intendo.”
Eden
sputò fuori il fumo.
Si
era quasi convinta che fossero solo chiacchiere senza senso.
Ma
Grace cambiò espressione di colpo.
“A
proposito, me ne stavo dimenticando. E' venuto un tizio a cercarti
ieri.”
“Chi?”
“Non
lo so, non ha detto il suo nome e nessuno qui l'aveva mai visto.
Immagino non sia del giro... Avevi preso contatti con qualcuno?”
Eden
corrugò la fronte.
“Potresti
descrivermelo?”
Grace
annuì
“Abbastanza
alto, capelli corti castani, grandi occhi verdi. Di certo troppo
carino per essere uno sbirro! Avevo chiesto a Jim di seguirlo, ma era
sparito ancora prima che lui alzasse il sedere dallo sgabello!”
Eden
capì in un istante.
Le
sue orecchie non avevano sentito più nulla dopo “grandi
occhi verdi”.
“Quando
hai detto che è venuto?”
“Ieri.
Tutto ok?”
Eden
balzò in piedi.
“Sì,
è solo che devo andare adesso. Ma grazie di tutto!”
Riprese
le sue cose e corse via.
“Aspetta!
C'è ancora una carta!”
Ma
Eden era già sparita dalla visuale.
Grace
la voltò lo stesso.
“La
giustizia.”
---------
Eden
si strinse nel giubbotto e tirò su il cappuccio appena fuori
dal locale.
Si
guardò intorno.
Non
aveva dubbi. Dair era in città.
E
di certo era ancora lì in giro a cercarla.
Era
l'unico a sapere del Café des Artistes.
Esaminò
le facce dei pochi passanti. Non ne conosceva nessuna.
Ma
era certa che fosse ancora lì, da qualche parte.
Iniziò
a camminare lungo il marciapiede.
Aspettò
continuando a fumare.
“Hey.”
Non
passò nemmeno troppo tempo.
Eden
si voltò.
“Stavo
aspettando che finissi il tuo caffè.”
Eccolo
lì. Venuto fuori dal nulla.
Abiti
borghesi. Sguardo piuttosto arrabbiato.
“Era
cioccolata.”
Precisò
Eden buttando via il mozzicone.
Iniziò
ad indietreggiare, mentre lui le si avvicinava.
Eden
svoltò nel vicolo accanto al locale.
Lui
la raggiunse.
Letteralmente.
Con
uno scatto di forza la sbatté contro il muro, senza la sua
solita delicatezza.
Le
bloccò i polsi.
“Che
diavolo stai facendo?”
Protestò
lei.
“Quello
che avrei dovuto fare parecchio tempo fa. Arrestarti.”
Eden
riuscì comunque a voltarsi verso di lui.
“Perché?”
“Per
le cose che hai rubato all'asta McKenzie, per esempio.”
Eden
sospirò.
Lui
mollò la presa, ma non sembrava meno arrabbiato.
“Si
può sapere che stai facendo?”
“Quello
che mi hai chiesto!”
“Quello
che ti ho chiesto?! Eludere gli agenti e rimetterti a rubare?”
Eden
guardò i suoi piedi per qualche secondo.
“Volevi
che mi riprendessero con loro, no? Ho fatto solo quello che è
stato necessario.”
Il
suo tono era quasi offeso.
Incredibile
che nemmeno Dair avesse alcuna fiducia in lei.
Dair
sfoggiò una strana smorfia
“Così
stai con lui adesso.”
Eden
scosse la testa
“Non
dirlo in quel modo.”
“Quale
modo?”
“Come
se mi facesse piacere!”
La
sua voce si alzò di un'ottava.
Lui
incalzò
“Non
è così?”
Eden
sentì la rabbia impossessarsi di lei.
Spalancò
gli occhi
“Che
cosa?!”
Lo
guardò dritto negli occhi iniziando anche a gesticolare
nervosamente
“Io
mi ritrovo in una casa con persone che non riconosco nemmeno! Che non
hanno alcuna fiducia in me! Vivo con un uomo che disprezzo e tu credi
che mi faccia piacere?!”
Eden
chiuse gli occhi tentando di ricomporsi.
Respirò.
“L'unico
motivo per cui sto facendo tutto questo è perché tu
possa vantare l'ennesima impresa della tua valorosa carriera.”
Disse
seria, acida al punto giusto.
“Quindi
smettila di dire cavolate e dimmi il vero motivo per cui sei qui.”
Dair
si grattò un sopracciglio guardando la strada.
Eden
l'aveva zittito.
E
la sua rabbia era scemata in qualcos'altro.
Si
avvicinò a lei tirando fuori qualcosa dalla giacca.
“Sono
venuto a portarti questo.”
Disse
a voce bassa.
Eden
guardò incerta quel foglio piegato, poi lo prese tra le mani.
Lo
aprì ed i suoi occhi si fecero di nuovo lucidi in un attimo.
Era
un disegno.
Un
castello con le bandierine rosa sulle torri.
Un
grande sole con un grande sorriso.
Un
disegno della sua bambina.
Le
si spezzò il cuore nel petto.
“Come
sta?”
Chiese
guardando di nuovo Dair.
“Sophia
sta bene. Benissimo. Controllo ogni giorno.”
Eden
trattenne a stento un nuovo pianto.
“
Le ho detto che sarei venuto a New York a controllare come stava
andando il tuo lavoro. Ha insistito perché te lo portassi.”
Eden
scosse la testa con decisione.
“Dovrei
essere con lei adesso, non qui.”
Dair
rimase serio
“Concludi
questo lavoro e poi starai con lei.”
Quelle
parole arrivarono alla mente di Eden come un'illuminazione
inaspettata.
Quel
disegno non era un regalo da parte di Dair.
Era
una specie di minaccia.
Le
lacrime smisero di bagnarle gli occhi.
Guardò
Dair con espressione seria e onestamente un po' delusa.
“Ok.
Adesso ho capito perché sei qui.”
Lui
aguzzò lo sguardo per tentare di seguirla.
“Per
dirmi che non ho scelta.”
Riprese
“...Che
se voglio rivedere mia figlia devo per forza consegnarvi Davis e gli
altri su un piatto d'argento.”
Dair
sembrò deluso a sua volta.
Tentò
di avvicinarsi
“Mi
dispiace.”
Eden
lo scansò
“No.
Non è vero.”
“Sì
invece.”
Eden
scosse la testa ripiegando il disegno. Glielo restituì.
“Sai
cosa? Per me non ha nessuna importanza.”
Rispose
secca.
Lui
tentò di raggiungerla.
Eden
lo scansò di nuovo.
Tenne
le mani alzate ad intimargli di non provare ancora.
“Farò
quello che vuoi. Te li consegnerò. Ma sia ben chiaro che non
lo faccio per te. Non più.”
Si
allontanò tornando verso la strada principale.
“Ti
telefono appena scopro il piano di Davis.”
Concluse
allontanandosi.
Lasciando
Dair lì da solo a maledirsi.
--------------
A/N
Eccomi tornata! Scusate il ritardo, ma ho deciso all'improvviso
di fare un terzo esame e quindi ho dovuto abbandonare la storia per
un po'!
Comunque
ecco il nuovo capitolo, sperando che vi sia piaciuto.
Primo
confronto tra Eden e Davis, anche se è solo l'inizio.
E
primo confronto anche tra Eden e Dair.
Credo
che fosse il momento giusto per Eden di ritornare con i piedi per
terra, e di scoprire anche nuove sfaccettature della sua realtà:
ricorda davvero quello che è successo quel 18 settembre? Davis
è davvero un'altra persona, peggiore di quella che era? E
Dair, si fida di lei o vuole solo raggiungere i suoi scopi?
Oltre
a ciò ho presentato anche Blake, come avrete capito non
proprio un personaggio positivo. Ma magari non è tutto come
sembra! ;)
A
presto! E come sempre, grazie!!
*Nei
tarocchi l'innamorato richiama la storia mitologica di Ercole e della
sua scelta tra 2 donne e 2 destini. Per questo Grace lo nomina in
quel modo.
Per
Meredith91: ciao! Scusa se ci ho messo un po' ma lo spirito della
“brava studentessa” si è impossessato di me! Che ne dici
di questo capitolo? Anche se tra Davis ed Eden c'è di certo
ancora qualcosa non sono sicura che torneranno insieme... E comunque
non sarebbe cosa facile! Devo dirti che ho già un'idea, ma
comunque scrivo come viene, seguendo l'ispirazione, quindi non so
ancora come finirà!! Grazie delle tue recensioni, sei
gentilissima come sempre! E non sai quanto mi fa piacere! A presto!
Per
Cinzia818: grazie mille per la recensione!! Ci ho messo un po',
ma finalmente ecco il nuovo capitolo! Che ne dici? Davis o Dair? Dair
o Davis? Ora come ora non so più scegliere nemmeno io! ;)
Spero che ti sia piaciuto comunque... A presto!
Per
Kiravf: ciao! Non hai idea di quanto mi ha fatto piacere la tua
recensione! Sia per l'apprezzamento che per le tue opinioni! Sai,
anch'io ho una certa età (25 anni!) e anch'io ho avuto la mia
buona dose di “belli e dannati” quindi ti capisco perfettamente!
Probabilmente se avessi scritto il genere di storie che scrivo di
solito non avrei avuto dubbi tra due personaggi come Davis e Dair. Ma
stavolta ho deciso di scrivere una storia, come dire, leggera, senza
troppe pretese, dove si possa ancora dare il beneficio del dubbio ad
uno come Davis. Con questo non dico che alla fine Eden sceglierà
lui, perché non ho ancora deciso, ma se non altro non lo
escludo a priori. In fin dei conti, se ripenso anche al mio passato,
chi di noi non ha sognato di riuscire a cambiare un uomo? ;) Facendo
la psicologa poi, vedo quasi ogni giorno storie finite male e forse
anche per questo, ogni tanto mi concedo ancora di pensare al lieto
fine! Grazie delle recensione e spero davvero che continuerai a
leggere i prossimi capitoli e a darmi le tue opinioni!!
PS.
Anch'io devo confessare un debole per André. Non so perché,
che io scriva, legga o guardi un film, finisco sempre per avere un
debole per i personaggi secondari! In questo caso devo ammettere
però che c'entra Robert Pattinson ;) Ancora grazie e a presto
spero!!
|
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Capitolo 12 *** Azione, Istinto e/o Ragione ***
capitolo11
CAPITOLO
11
RAGIONE,
ISTINTO e/o AZIONE
Erano
passati quasi due giorni dalla sua discussione con Dair. Non erano
bastati per chiarirsi le idee, ma erano di certo un tempo sufficiente
per escogitare una soluzione razionale.
Eden
non era tornata da Grace.
Aveva
suonato alla porta di Tyler, ma lui non c'era.
Giusto
il tempo di infilare un biglietto sotto la porta e poi era andata
via.
Almeno
ora, in caso di emergenza, Tyler sapeva dove trovarla.
E
che stava bene.
Col
calare della sera aveva finalmente deciso di tornare all'attico di
Murray Hill.
Nessun'altra
scelta poteva essere contemplata.
E
così Eden aveva preso la metropolitana e poi aveva deciso di
camminare dalla fermata al palazzo.
Non
si era preoccupata quando le prime gocce le avevano colpito la
fronte.
Amava
la pioggia. Il suo rumore. Il suo profumo.
Peccato
che pochi minuti più tardi si fosse scatenata una vera
tempesta.
Fu
quasi sollevata, con gli stivali pieni d'acqua ed i vestiti fradici,
di essere alla porta del suo palazzo.
Quando
l'ascensore arrivò all'attico Eden sperò che il suo
inevitabile “ding” non svegliasse nessuno.
Per
fortuna le luci erano spente.
Fece
un primo passo nel salotto, ma si accorse subito che non stavano
tutti dormendo.
Era
la voce di Blake.
Proveniva
dalla stanza accanto.
“E'
questione di giorni ormai! Devi smetterla di crearti problemi!”
Il
primo istinto di Eden fu tornare indietro, ma alla fine decise di
ascoltare.
Anche
Davis sembrava piuttosto nervoso.
“No
Blake! Comincio davvero a pensare che non saremmo mai dovuti
tornare.”
“Ma
dovevamo! Le cose non potevano essere risolte a distanza!”
“Lo
so, ma...”
“Qualche
giorno Davis. Qualche giorno e poi sarà tutto finito!”
“Tu
credi?”
A
quel punto il tono di Blake si fece più dolce
“Saremo
liberi. Finalmente liberi. E' quello che abbiamo sempre voluto, no?”
Finalmente
liberi? Da cosa? E come?
Eden
fece un passo avanti cercando di capire meglio.
“E
se non bastasse?”
Davis
sembrava di certo il più insicuro in quella conversazione.
“Basterà.
Ci lasceremo dietro tutto. Dimenticheremo ogni cosa.”
Eden
sentì dei passi dalla stanza.
Cercò
di riavvicinarsi all'ascensore il più in fretta possibile.
“Ho
bisogno di bere.”
Disse
Davis uscendo dalla stanza.
Accendendo
la lampada non poté non notare la figura tremolante di Eden
all'altro capo della stanza.
Lei
finse di venir fuori dall'ascensore.
Non
le servì fingere anche un certo disagio.
“Ciao...”
Eden
sollevò le spalle ignorando i rivoli d'acqua che colavano dai
suoi capelli e dai suoi vestiti.
Usò
un tono incerto.
“...Sono
tornata.”
Davis
la squadrò dall'altro in basso
“Sei
bagnata.”
Eden
gesticolò come una bambina imbarazzata
“Già.
Piove parecchio là fuori.”
Abbassò
lo sguardo.
“Dovresti
asciugarti prima che...”
Eden
lo interruppe rialzando lo sguardo
“Mi
dispiace...”
Esordì.
Il
suo tono tornò ben presto sommesso.
“...Per
la nostra ultima conversazione, intendo...”
Gli
lanciò un'occhiata insicura
“...Potrei
aver esagerato un po'.”
Davis
non disse nulla.
Dalla
sua espressione era chiaro che si aspettava qualche parola in più.
Eden
deglutì giocherellando con le sue stesse dita.
“Non
è semplice per me...”
Di
nuovo sollevò le spalle
“...Ma
immagino che non lo sia nemmeno per te.”
Inspirando
profondamente fece qualche passo verso di lui.
Le
gocce continuavano a colpire il parquet creando un sottofondo
insolito, ma piacevole.
“Non
potremmo...”
Eden
esitò di nuovo per un paio di secondi.
Lo
guardò accennando un sorriso.
Lui
sembrò incerto, ma curioso.
“...Fare
una tregua?”
Eden
tentò di nuovo di sorridere.
I
vestiti appiccicati addosso iniziarono a farla rabbrividire, ma
rimase impalata e speranzosa davanti a lui.
Davis
strinse le labbra guardando altrove per un istante.
Tirò
fuori il pacchetto dalla tasca dei jeans.
“Sigaretta?”
Propose.
Eden
sorrise mentre annuiva.
Era
il suo modo di dire sì.
Lo
seguì in silenzio fino alla piccola terrazza.
Davis
aprì la finestra e la lasciò uscire per prima.
Riparata
sotto il porticato del palazzo la pioggia le sembrò di nuovo
bella e piacevole.
“Piove
parecchio, effettivamente.”
Disse
Davis allungandole una sigaretta.
Eden
se la infilò tra le labbra leggermente tremolanti ed aspettò
che Davis tirasse fuori l'accendino.
Da
buon gentleman la accese con la sua fiamma.
Eden
sputò fuori la prima boccata guardando il panorama di una
stupenda New York in tempesta.
Stavolta
fu lui a parlare per primo.
“Quindi
vuoi il divorzio.”
Eden
non capì se fosse un'affermazione o una domanda.
Continuò
a guardare avanti a lei
“A
quale scopo restare sposati?”
Inspirò
poi riprese
“Troppe
cose sono cambiate in questi anni. Io sono diversa. Tu sei diverso...
Perfino New York è diversa vista da quassù.”
Ed
era vero. Almeno per i suoi occhi.
Davis
non rispose.
Eden
sentì qualcosa muoversi dentro di lei.
Lo
guardò per la prima volta da che erano fuori
“Di'
qualcosa.”
Quasi
sussurrò.
Lui
ricambiò lo sguardo, Eden insistette
“Qualsiasi
cosa... Parlavamo così tanto prima. In questi giorni ho a
malapena sentito la tua voce.”
Qualcosa
nella sua voce la faceva suonare come se stesse per piangere di
nuovo.
“Come
stai?”
Chiese
Eden. Lui sospirò
“Bene.”
“Com'era
la Francia?”
Davis
guardò al cielo per un secondo
“Bellissima.”
Eden
annuì sorridendo
“Sei
stato in cima alla Tour Eiffel?”
“Sì,
una volta.”
Eden
sospirò tornando ad un'espressione corrucciata
“Sembra
proprio che mi sia persa parecchie cose in questi anni.”
Lui
la guardò negli occhi. Brutale, ma onesto.
“Sì,
è vero.”
Eden
dubitò di aver davvero capito a cosa si stesse riferendo.
Sperò
che stesse parlando solo della Francia.
Lasciò
cadere la sigaretta al di là del balcone.
Iniziò
di nuovo a sentire i brividi.
“E'
meglio che vada ad asciugarmi adesso.”
Sentenziò
avviandosi verso la finestra.
“E
grazie per la sigaretta.”
Sorrise
un'ultima volta prima di filare.
Eden
chiuse di fretta la porta del bagno, aprì l'acqua della doccia
e venne fuori dai suoi vestiti bagnati.
Era
tornata. Ed era stato più semplice di quanto sperasse.
Forse
i vestiti bagnati avevano fatto la loro parte.
Lasciò
che l'acqua quasi bollente lavasse via la salsedine e parte della sua
ansia.
Adesso
aveva ancora due cose da fare.
Riconquistare
un po' della fiducia di Davis.
E
capire finalmente quale affare risolutivo stesse per concludere.
Qualcosa
di così grosso da poterli rendere liberi.
Avevano
già abbastanza soldi da vivere come rockstar. Liberi da cosa?
Non
aveva senso per lei.
Ma
di qualsiasi cosa si trattasse, non sarebbe stato affatto facile.
Doveva pensare, ed anche in fretta.
Se
solo avesse avuto il disegno di sua figlia con lei, non sarebbe
servita ulteriore motivazione.
Ma
non aveva potuto tenerlo, sarebbe stato troppo rischioso.
Eden
chiuse gli occhi col viso sotto il getto caldo.
Non
aveva davvero bisogno di quel disegno per pensare a sua figlia.
Le
bastava guardare Davis.
Ogni
volta che lui sorrideva le si spezzava il cuore.
Maledetta
genetica.
------------
Era
già pomeriggio da un po' quando Eden venne fuori dalla sua
stanza, apparendo in salotto in un vestito scuro di georgette.
Nonostante
le tante ore di sonno sentiva ancora addosso i postumi della serata
precedente.
“Hey!
Qualcuno è tornato tra noi...”
Payne
l'accolse con un sorriso.
“...Di
nuovo.”
Completò
André.
Lui
e Payne se ne stavano seduti sul divano fissando lo schermo di un pc.
“Che
fate?”
Eden
si avvicinò. Payne sorrise di nuovo.
“Carte
di credito clonate. Sono ottime per lo shopping on line! Vuoi
comprare qualcosa?”
Eden
si sedette dall'altro lato di André e sbirciò lo
schermo.
“Non
lo so. Voi che comprate?”
Payne
sembrava sempre immensamente solare alla luce del giorno.
“Ho
ordinato una ceretta organica a base di alghe del Guatemala. La
proviamo insieme?”
“Certo!”
André,
nel mezzo di tanto entusiasmo per una ceretta, non riuscì a
trattenere una smorfia.
Improvvisamente
una porta si aprì e Davis, Blake e un altro tizio dall'aria
distinta ne vennero fuori.
Blake
si fermò nel mezzo della stanza pronta a lanciare ad Eden una
delle sue occhiatacce.
Non
apprezzava di certo il suo ritorno.
Davis
accompagnò l'altro signore fino alla porta.
“Chi
è quello?”
Chiese
Eden a bassa voce.
“Il
nostro avvocato di fiducia.”
Eden
aggrottò le sopracciglia.
“Avvocato
di fiducia?”
Payne
sollevò le spalle
“La
burocrazia non risparmia nemmeno i criminali!”
Eden
guardò il tizio con più attenzione.
Forse
sarebbe servito anche a lei.
Quando
Davis tornò dalle loro parti il discorso si interruppe.
André
lasciò il computer a Payne e si alzò.
“Ha
chiamato Sebastian mezz'ora fa.”
Esordì
avvicinando Davis
“Il
suo colpo non è più a Berkeley. Ha deciso di colpire
fuori Bridgeport, per questo ha richiamato.”
“Bridgeport?”
André
annuì.
“Già.
E' stata una vera tortura dover rifiutare.”
Nel
cervello di Eden si accese una lampadina.
L'occasione
che stava aspettando.
“Facciamolo.”
Disse
senza pensarci troppo.
Tutti
la guardarono sorpresi.
“Il
Connecticut è molto più vicino di Berkeley. Possiamo
andare, fare il colpo e tornare. Tutto in una notte.”
Eden
tentò brevemente di spiegarsi. Le facce intorno a lei non
cambiarono.
“Ok.
Forse non è una buona idea. E' solo che, in tutta onestà,
comincio ad annoiarmi un po'.”
“Già.”
Payne
fu l'unica a rispondere.
Ma
poco dopo anche André si rivolse direttamente a Davis.
“Effettivamente
amico, lo shopping on line non è esattamente la mia attività
preferita. Non ti nascondo che la mia virilità inizia a
risentirne.”
Davis
ricambiò con una smorfia. Blake incalzò.
“No.
Eravamo d'accordo di non fare niente.”
Disse
raggiungendo il fianco del fratello.
“E'
vero.”
Ribatté
quest'ultimo, ma gli altri sembravano già essersi convinti.
Eden
decise di approfittarne.
“Magari
è una cosa semplice.”
Disse
cercando di insinuare ulteriore dubbio in Davis.
Blake
prese di nuovo la parola
“Sarebbe
comunque troppo rischioso per noi!”
Esclamò.
Se avesse potuto l'avrebbe incenerita seduta stante.
Eden
prese quello sguardo come una sfida. L'ennesima.
Guardò
al di là di Blake verso Davis.
Affilò
lo sguardo ed alzò un angolo della bocca.
“E
non è proprio il rischio che rende le cose eccitanti?”
Non
era impazzita. Anche se l'incoerenza sembrava essere diventata la
costante dei suoi giorni.
Sapeva
di non poter riconquistare la fiducia di Davis. Di certo non con una
chiacchierata a cuore aperto.
Ma
poteva destare la sua curiosità. Stimolare il suo desiderio di
capire.
Poteva
provare a toccare le corde giuste.
Ecco
perché si ritrovava a fargli gli occhi dolci di fronte ad una
proposta piuttosto inopportuna.
Lui
mangiò la foglia.
“Chiamo
Sebastian. Vedo di che si tratta.”
Disse
allontanandosi mentre tirava fuori il cellulare dalla tasca.
André
si permise di esultare sommessamente.
Eden
rimase impalata a fissare l'espressione in fiamme di Blake.
Alla
fine fu lei a cedere e tornò a sedersi sul divano.
Davis
riapparì qualche minuto più tardi.
André
lo intercettò immediatamente.
“Allora
cos'è? Banca? Poste? Portavalori?”
“Un
club.”
“Un
club? Rapiniamo un club?!”
Davis
lo bypassò ritrovandosi al centro della stanza, alla vista di
tutti.
“Il
Cherry Pie. Appena fuori
Bridgeport. Un night club con una specie di bisca clandestina nel
retro.”
André
aggrottò le sopracciglia
“Continuo
a non trovarci niente di interessante.”
Davis
si sistemò la camicia
“Sebastian
ha un conto in sospeso col proprietario. Un conto con parecchi zeri a
quanto pare. I suoi informatori hanno scoperto che si è
costruito un caveau nel retro del suo club. E dev'essere lì
che nascondono i suoi soldi.”
“Sembra
una cosa semplice.”
Davis
sollevò le spalle.
“Almeno
apparentemente. Sebastian ha di certo bisogno del nostro aiuto.
Sarebbe morto prima di varcare la soglia se provasse a entrare nel
club. E ci sarebbe molto grato se recuperassimo i suoi due milioni.”
Eden
e Payne si lanciarono un'occhiata.
Erano
davvero parecchi soldi. Soprattutto per un night club.
Eden
si permise di intervenire.
“Come
dovremmo agire? Non sappiamo niente di questo tizio e di quello
che...”
Ovviamente
Blake intervenne
“Infatti
non dobbiamo farlo! E' un lavoro che nemmeno ci interessa!”
“Duecentocinquantamila.”
Disse
Davis. Il suo tono basso riuscì comunque a zittirli tutti.
“Avremo
una provvigione di cinquantamila dollari a testa se facciamo il
lavoro sporco. Sebastian e i suoi ci daranno tutte le informazioni
necessarie.”
André
si sfregò le mani
“Cinquantamila
dollari per rapinare un paradiso di pervertiti e lapdancers? Io ci
sto!”
“Anch'io.”
Si
unì Eden immediatamente. Di nuovo puntò i suoi occhi su
Davis.
Payne
li guardò e sollevò una mano.
“Contate
su di me!”
“Io
non lo farò! E dovreste ripensarci anche voi!”
Urlò
di nuovo Blake, ma l'attenzione di Davis era ormai tutta per Eden.
Lei
le si era parata davanti mostrando un'insolita sicurezza.
“E
tu che vuoi fare Davis? Ci stai o no?”
Lui
si limitò a ricambiare quello sguardo.
La
stava analizzando. Non riusciva a capire.
Payne
guardò la scena con attenzione. Diede un colpo di gomito ad
André.
“Credo
che stia diventando una specie di sfida personale.”
Sussurrò.
Lui allargò le braccia dopo una rapida occhiata.
“Qualsiasi
cosa sia non importa. Ho bisogno di rapinare quel posto.”
Lei
si limitò a sorridere, ma vedeva davvero qualcosa di più
dietro quella scena.
“Ok.
Lo faremo.”
Sentenziò
infine Davis.
Blake
tentò di dissuaderlo in tutti i modi ma non ci riuscì.
Eden era del tutto sicura che quella sera avrebbe tentato di
strangolarla o qualcosa del genere.
Poco
male. Davis aveva accettato la sua sfida.
--------------
Sebastian
era un tizio dai capelli biondi che non faceva nessuna paura.
Più
Eden lo guardava e più se ne convinceva.
Neanche
lei avrebbe mai spaventato nessuno, ma per una donna sembravano
valere regole differenti.
Se
solo ripensava allo sguardo di ghiaccio di André... O
all'espressione più cattiva di Davis... A volte avevano
spaventato anche lei.
Più
cercava di concentrarsi e meno sembrava riuscirci.
Erano
tutti stipati in un furgoncino poco lontano dal Cherry Pie. Sebastian
aveva mappe e informazioni di ogni cosa. Se non altro sembrava un
tipo davvero preparato in materia.
“Donovan
non è di certo un problema. E' talmente vigliacco che non mi
sorprenderebbe nemmeno vederlo piangere e supplicare...”
Donovan
era il proprietario del club. Il tizio con cui Sebastian aveva un
grosso debito.
“...E'
dei suoi due scagnozzi preferiti che dovrete preoccuparvi. Vlad e
Roger.”
“Vlad?”
André
era già così eccitato all'idea che non riusciva a stare
fermo.
“Vladimir
Jusupov. Viene da Mosca e se la sua fama ha ragion d'essere, è
anche parecchio cattivo.”
Chiarì
Sebastian.
André
sorrise all'idea. Eden iniziò a riconoscerlo, mentre la sua
vera natura veniva fuori.
Non
aveva paura di nulla. O quasi.
Sebastian
riprese la parola
“Sono
tizi dalla pistola facile. Vi conviene assicurarvi che siano fuori
dalla scena prima di agire.”
Davis
fissava la pianta del locale. Non gli interessava davvero, ma aveva
bisogno di un'immagine su cui concentrarsi. Era teso e si vedeva.
Tutti
lo erano, compresa Blake.
Era
stata costretta volente o nolente a seguirli, poiché non
avrebbe mai abbandonato il fratello. Ora se ne stava in un angolo a
braccia incrociate ed ovviamente in silenzio.
Eden
le lanciò un'occhiata. Anche lei incuteva un certo timore.
“Se
riuscite a liberarvi di loro, avrete la via libera per il retro.”
Concludendo
la frase Sebastian tirò fuori due foto.
Vlad,
una specie di gigante dai capelli rossicci.
E
Roger, più minuto, ma decisamente inquietante.
Davis
sospirò.
Eden
guardò Payne. Anche lei stava cercando la concentrazione
necessaria tra i suoi pensieri.
Sebastian
si rivolse a Davis.
“Credi
di poterlo fare?”
Lui
lo guardò senza espressione. Era probabilmente l'unica persona
al mondo capace di non far trasparire nemmeno un'emozione.
Davis
guardò tutti gli altri. Nessuno diede segno di cedimento.
“Lo
faremo.”
Sentenziò.
“Bene.
Avrete tutta la mia gratitudine ed il mio rispetto.”
Sebastian
ed il tizio anonimo che era con lui distribuirono le armi.
Gli
ultimi attimi vennero consumati in silenzio.
Eden
chiuse gli occhi infilando la pistola nel retro dei jeans.
Riusciva
perfettamente a dare un'immagine al rischio che stava correndo. Non
poté non ripensare all'ultima volta.
Ci
volle tutta la sua forza per non tirarsi indietro.
Quando
riaprì le palpebre gli occhi di Davis erano puntati nei suoi.
“Andrà
tutto bene Eden.”
“Lo
so. Non ho paura.”
“Nemmeno
un po'?”
“Nemmeno
un po'.”
“Buona
fortuna amore.”
“Anche
a te.”
Ma ora tutto era diverso. Anche
guardandolo non riusciva più a sentire che sarebbe andato
tutto bene. Adesso aveva paura.
La mano di Payne afferrò la
sua. Eden la guardò.
Cercò di sorridere.
Anche Payne sorrise.
“Siamo i migliori ladri del mondo
Bonnie!”
Disse mimando una voce grossa.
Eden sollevò un angolo della
bocca. Come ai vecchi tempi.
“Facciamolo vedere anche a loro
Clyde!”
Completò la vecchia formula
propiziatoria e scese dal furgoncino insieme alla sua amica.
--------------
Musica lounge. Luci soffuse. Profumo
di patchouli e testosterone.
Entrarono tutti e cinque insieme.
Vestiti come persone di classe,
potevano sembrare clienti perfetti per un posto di quel genere.
Giovani newyorchesi ricchi ed
annoiati tentati dall'idea della trasgressione.
Una ragazza in abiti succinti li
accompagnò ad un tavolo.
André non riuscì a
resistere dal provarci. Incredibile quanto i suoi sensi fossero
stimolati dalla prospettiva del crimine.
Ordinarono champagne.
Davis individuò i due
scagnozzi di Donovan mimetizzati tra i clienti.
Li indicò con un cenno del
capo.
Vlad e Roger si godevano una
lap-dance, ma non sembravano troppo soddisfatti.
Eden si accese una sigaretta. André
la seguì.
“Direi che distrarli non sembra
difficile.”
Ironizzò quest'ultimo.
Davis buttò giù il suo
champagne.
“Dobbiamo assicurarci che siano
davvero distratti.”
Disse sottolineando l'avverbio
opinativo.
Payne rivolse di nuovo lo sguardo ai
due tizi.
Poi fissò per un po' i
movimenti forzati della ragazza sul palco.
Di certo non faceva quel mestiere
per vocazione.
“Io ho un'idea.”
Disse a voce bassa all'orecchio di
Eden.
Lei si voltò per capire a
cosa si riferisse.
Non le ci volle molto per
comprendere quale “insana” idea stava partorendo la mente di
Payne.
“Pensi quello che penso io?”
Chiese quest'ultima. Eden inspirò.
“E' rischioso.”
Rispose. Payne prese in prestito le
sue parole.
“E non è proprio il rischio
che rende le cose eccitanti?”
Eden protrasse le labbra facendosi
tentare. Per la prima volta sentì il piacevole brivido
dell'adrenalina.
Sorrise di gusto. Annuì.
Payne si rivolse allora a tutti gli
altri.
“A quei due ci pensiamo noi.”
Davis aggrottò le
sopracciglia.
“E come?”
“Di questo non devi preoccuparti,
io e Eden abbiamo il nostro piano.”
“Vorrei sapere di che si tratta.”
Eden si inserì
“Ti basti sapere che non dovrai
preoccuparti di loro. Al nostro segnale andate pure nel retro.”
Lui scosse la testa.
“Non possiamo rischiare. Ditemi di
che si tratta.”
Payne tracannò quanto più
champagne possibile. Eden spense la sigaretta dopo un ultimo tiro.
“Fidati di me.”
Fu l'unica risposta che concesse a
Davis.
La sua fiducia era l'unica vera
ricompensa che si aspettava da quei gesti avventati.
Lei e Payne si alzarono.
“Al nostro segnale.”
Precisò Payne prima di
sfilare via con Eden.
Davis balzò in piedi cercando
di fermarle ma non ci riuscì.
Fu costretto a risedersi in silenzio
per non dare nell'occhio.
“Dovremmo andarcene e lasciarle
qui. Non voglio beccarmi una pallottola per colpa di quelle due.”
Finalmente Blake disse la sua.
André fece spallucce.
“Io mi fido. Vediamo cosa hanno in
mente prima.”
Davis scrutò la folla per
vedere dove fossero. Non riuscì a trovarle.
Si decise quasi a mandare tutto a
monte.
Ma bastarono cinque minuti perché
tutto il locale si riempisse di una musica più che conosciuta.
André alzò un
sopracciglio mentre riconosceva l'intro.
Davis buttò immediatamente
gli occhi sul palco.
I love rock 'n roll. La preferita di
Eden.
E infatti eccole lì. Al
centro del palco al ritmo di Joan Jett.
Payne sfoderò lo sguardo da
gatta. La sua arma più pericolosa.
Accanto a lei Eden lasciava già
intravedere le gambe sollevando il vestito.
Il tutto condito da movimenti
sinuosi e strusciamenti strategici.
Colpita dall'intrusione inaspettata
la gente che riempiva il locale si alzò per raggiungere il
palco.
Un'ondata di commenti sottolineò
l'apprezzamento dei clienti.
Tra loro anche Vlad e Roger.
Anche Davis, André e Blake
lasciarono il tavolo e si avvicinarono.
Davis non proferì sillaba
mentre “sua moglie” dava spettacolo.
André spalancò la
bocca quando Payne ed Eden offrirono alla folla un assaggio di bacio
saffico.
Si rivolse al suo amico senza
spostare lo sguardo.
“Senza offesa amico, ma da oggi in
poi credo che vedrò questa scena ogni volta che chiuderò
gli occhi.”
Davis non rispose nemmeno.
André rivolse uno sguardo
anche a Blake. La colpì col gomito.
“Dovresti raggiungerle... Si
sfiorerebbe la perfezione.”
Blake non cambiò nemmeno
espressione.
“Prova anche solo ad immaginare la
scena e ti cavo gli occhi a mani nude.”
L'entusiasmo di André svanì
per un istante.
Mentre lo spettacolo continuava
Payne si accertò di dare un segnale facendo un cenno verso i
suoi amici.
“Ecco il segnale.”
Disse Davis.
“Andiamo.”
Mentre loro attraversavano la folla
diretti sul retro, Payne ed Eden scesero dal palco unendosi ai
clienti.
Continuando il loro spettacolo
gratuito raggiunsero Vlad e Roger, fingendo di aver scelto proprio
loro tra tutti come oggetto di attenzione.
I due sembrarono gradire.
Si strusciarono contro il russo e
poi contro l'altro.
Le ragazze continuarono a seguire la
musica per un tempo necessario ad assicurarsi che gli altri avessere
raggiunto il retro.
E mentre Payne ed Eden agitavano i
fianchi, Davis e André puntavano le pistole ai clienti di
Donovan, alle sue guardie e poi direttamente a lui.
Le pistole dotate di silenziatore
erano un'ulteriore garanzia di riuscita.
Eden era contenta di non poter
sapere se lì dentro stessero effettivamente sparando a
qualcuno.
Ci volle un tempo relativamente
breve perché Blake, Davis e André ne venissero fuori.
Lo stesso tempo che era servito alle
ragazze per passare alla fase b del piano.
A cavalcioni su Vlad e Roger
portarono la loro distrazione al livello due.
Ma non bastò perché
non notassero tre sconosciuti venire fuori di corsa dal retro, zona
off limits per quelli fuori dal giro.
Vlad tentò di liberarsi del
peso del Payne, ma si fermò quando sentì un'escrescenza
spuntare dall'abito della bionda e puntare dritta contro il suo
stomaco.
Payne sorrise sollevando un
sopracciglio. Si avvicinò all'orecchio del tizio.
“Non pensare male, è solo
una pistola. Fai anche solo un movimento e sei morto.”
Sussurrò. Il russo fremeva,
ma rimase immobile.
Anche Eden, lì accanto, fece
la sua parte immobilizzando Roger allo stesso modo.
Davis, Blake e Andrè si erano
sistemati ad angoli diversi del locale.
Quel posto era pieno di ignari
civili. Di certo non era interesse di Donovan far scoppiare una
sparatoria.
“Adesso noi ce ne andiamo...”
Sussurrò Eden
“...Anche solo un passo falso e
spariamo sulla folla.”
Roger la guardò digrignando i
denti. Eden sorrise di gusto mentre si alzava lentamente.
L'applauso dei clienti riempì
il club quando fu chiaro a tutti che la performance era finita.
Senza nemmeno badarci Eden e Payne
furono le prime a venir fuori dal locale.
Un furgone col motore acceso li
attendeva.
Blake le seguì a pochi
secondi di distanza.
Poi anche André.
Eden si ritrovò contro la sua
volontà a sperare di vedere anche Davis.
E fortunatamente anche lui risalì
mentre sfrecciavano via.
Dietro di loro gli spari avventati
di Roger e Vlad.
André scaricò la
tensione con un urlo.
Davis si era sistemato davanti con
Sebastian, mentre Blake aveva ripreso posto nel suo angolo.
Eden guardò al cielo
respirando affannosamente. Le formicolavano le mani mentre il sangue
tornava a scorrere ad una pressione normale.
“Siamo le migliori Bonnie!”
Esclamò Payne. Sembrava
davvero contenta.
Ad Eden non restò che
gustarsi il sapore di quella scena tanto simile ad un flashback.
Mancava solo un pezzo per completarlo.
“Vorrei che anche Tyler fosse
qui.”
Disse di getto.
Payne spense il sorriso solo per
un'istante
“Già.”
Eden si immaginò la scena
completa
“Lui sì che avrebbe
apprezzato la tua performance!”
Payne prese la palla al balzo
“Non quanto Davis ha apprezzato la
tua.”
Eden tornò ad essere seria.
Qualcosa di strano nel tono di Payne aveva bloccato il suo
entusiasmo.
“Che vuoi dire?”
Payne sollevò le spalle ed
abbassò il tono.
“Dimmelo tu. Ho visto come vi
guardate.”
Eden sembrò cadere dalle
nuvole.
Payne prese fiato.
“Credevo che non volessi avere
niente a che fare con lui.”
“Infatti.”
“Allora cos'è questa specie
di sfida continua che avete messo in piedi?”
Eden inspirò profondamente
“Non è una sfida. E' solo
che... le cose non sono semplici.”
“Solo questo?”
Eden abbassò gli occhi.
Magari fosse stato solo quello.
Payne addolcì il tono.
“A volte ho paura che questa qui
sia solo un'illusione.”
Disse indicando tutto intorno a lei
Eden si morse il labbro inferiore.
Guardò di nuovo l'amica
“Credo proprio che lo sia.”
--------------
Una volta tornati, svanito
l'effetto, la sua stanza sembrava vuota e fredda come tutte le altre
volte.
Perlomeno poteva spuntare il primo
punto al suo ordine del giorno.
Non sapeva se poteva già
sperare nella fiducia, ma sulla curiosità di Davis non c'erano
dubbi.
Aveva toccato le corde giuste.
Anche Payne l'aveva notato.
Eden cercò di allentare la
lampo del vestito.
Dopo il contatto diretto col sudore
di Vlad avvertiva la necessità fisica di una doccia.
“Serve una mano?”
Eden saltò sul posto.
Incredibile che Davis comparisse dal nulla sempre quando meno se
l'aspettava.
E possibile che la sua porta non
avesse una chiave?
Lo guardò solo per un secondo
“No, grazie. Ce la faccio da
sola.”
Lui si fece strada comunque
“Ti ho portato i tuoi soldi.”
Disse con tono secco lasciando
cadere una busta gialla sul letto.
Eden lasciò perdere l'idea
del vestito e gli concesse la sua attenzione.
“Grazie.”
Lui aveva uno sguardo strano.
Impossibile da leggere anche per lei.
“Che c'è?”
Gli chiese.
Lui si avvicinò ancora a lei.
“Credevo volessi una tregua.”
Rispose con lo stesso tono.
Eden sollevò le sopracciglia
“E' quello che stiamo facendo...”
Iniziò gesticolando
“...Ci comportiamo civilmente
e...”
Davis le bloccò le parole ed
i gesti afferrandola per il polso.
Strinse più del dovuto.
“Hai cercato di mettermi contro
gli altri.”
Iniziò. E adesso era più
facile capire. Era arrabbiato.
Eden scosse la testa
“No. Ho solo proposto di fare un
colpo.”
Ribatté cercando di liberarsi
dalla sua presa. La mano iniziava a farle male.
Ma lui non mollò.
“Cosa stai cercando di fare?”
Le chiese.
Eden era stata una stupida a pensare
che una rapina risolvesse le cose.
E una grandissima ingenua anche solo
a sperare nella fiducia.
Riuscì a liberarsi con un
gesto forzato.
“Non lo so!”
Gli urlò contro
massaggiandosi il polso con l'altra mano.
Un cerchio rossastro era già
apparso sulla sua carnagione chiarissima.
“Davvero?...”
Lui sembrava più calmo, ma
solo in apparenza.
Quello sguardo bastava per
spaventarla.
“...Io invece credo che tu stia
cercando qualcosa.”
Incalzò costringendola ad
indietreggiare.
Eden sollevò la testa
“E cosa?”
“Dimmelo tu. E non dire che non
vuoi stare qui perché ci sei tornata di tua spontanea
volontà.”
Eden inspirò profondamente,
ma non rispose nulla.
Davis sembrò volerla toccare
di nuovo, ma si trattenne
“Stai cercando un modo per
fregarmi?”
“No.”
Eden strinse i pugni, determinata a
non cedere in alcun modo.
Davis si passò una mano tra i
capelli, bagnandosi le labbra
“Allora vuoi farmi uscire di
testa, è questo?”
Insistette. Era forse più
nervoso di lei.
Eden aggrottò le sopracciglia
“Io non voglio niente...”
Iniziò cercando di
allontanarlo, ma lui non si mosse
“...Sto solo cercando di tornare
alla normalità!”
“Rischiando la vita di tutti
esibendoti in uno schifoso club?!”
Primo campanello di allarme.
Eden cercò di approfittarne.
“Stavo solo cercando di
dimostrarti che puoi fidarti di me!”
Lui sollevò nervosamente le
spalle
“E come? Strusciandoti contro quel
tizio come una puttana qualunque?”
“Siamo riusciti a riprendere i
soldi, è questo che conta!”
Ribatté cercando di sfuggire
dalla sua morsa.
Davis la bloccò di nuovo con
un braccio alla vita.
“Non così in fretta.”
La costrinse di nuovo davanti a lui.
“Dimmi perché sei tornata.”
Eden scosse la testa e basta.
“Mi avevi pregato di lasciarti
andare.”
Ancora nessuna risposta.
“Ce l'avrai una ragione!”
Insistette lui spingendola al muro.
Alzare la voce non era necessario.
Gli bastava guardarla in quel modo.
Eden si sentì la parete
dietro. E le mancarono le idee.
“Perché non avevo altro
posto dove andare!”
Urlò. Forse era una bugia, ma
venne fuori come la più semplice delle verità.
“Perché ho bisogno di te,
ho bisogno che tu mi tenga qui!”
Continuò a sputargli addosso
le parole
“Ecco perché! Sei contento
adesso? E' questo che vuoi? Sentirmelo dire?!”
Lui scosse piano la testa
“Non è questo che voglio.”
Disse con un tono che Eden riconobbe
in un attimo.
Non era più rabbia.
Davis premette le labbra contro le
sue, spingendola di nuovo contro la parete fredda.
Eden si paralizzò contro il
peso del suo corpo.
Il suo cervello era in totale
black-out.
Spinse le unghie contro il muro,
cercando di trattenersi dal toccare lui.
Si sentì obbligata a
protestare, prima di non riuscire più ad ignorare l'effetto di
quel bacio indesiderato sul suo corpo.
“No!”
Protestò contro le sue
labbra, ma Davis sembrò non ascoltarla.
“No Davis!”
Cercò di nuovo. Stavolta
spinse le mani contro il suo torace per allontanarlo.
Una fitta al bassoventre la colpì
come una coltellata.
Non poteva combattere la chimica.
Ma riuscì a spingerlo via
abbastanza da poter respirare.
Avevano tutti e due il fiato corto.
E più Eden lo guardava negli
occhi, più sentiva l'istinto prendere il sopravvento.
Non disse nulla per mandarlo via.
Stavolta lui si avvicinò più
lentamente, poggiandole le mani sui fianchi.
Eden aveva un solo secondo per
riuscire a sfuggire, ma non ne approfittò.
In quello stesso secondo si
autoconvinse che il sesso potesse essere la miglior soluzione al suo
problema.
In quell'attimo si alzò sulle
punte e gli lasciò libero accesso alla sua bocca.
Eden si aggrappò a lui mentre
Davis la spingeva al muro.
Le sue mani sembravano essere già
dovunque.
Le sue labbra avevano lo stesso
sapore.
Ed anche lo stesso effetto.
Ragione annebbiata ed istinto
animale.
Nulla di romantico, mentre Davis le
sollevava il vestito cercando accesso anche al di là della sua
biancheria.
Nulla di romantico mentre Eden
affondava le unghie nella sua pelle, pregustando quello che
l'aspettava.
Ben presto l'avrebbe avuto dentro di
lei. Di nuovo.
Ed era l'unico solo pensiero nella
sua mente.
Un colpo alla porta la costrinse a
pensare qualcosa di diverso.
Di nuovo bussarono forte.
“Eden?”
Eden cercò di fermare Davis.
“Eden, Davis è lì
con te?”
La voce seria di André
stavolta riuscì a fermare anche lui.
Eden passò le mani sul
vestito cercando di ricomporsi.
Lanciò una rapida occhiata a
Davis e gli lasciò il tempo di riabbottonare i pantaloni prima
di avvicinarsi alla porta.
La aprì sperando che la sua
espressione e le guance arrossate non la tradissero.
“Che succede?”
André guardò oltre lei
verso Davis.
Non sarebbe servito un genio per
capire in cosa era incappato.
Rimase ugualmente serio.
“Credo che dovreste venire.
Abbiamo visite.”
Eden alzò un sopracciglio
cercando di figurarsi chi potesse essere.
Davis reagì prima di lei
passandole accanto per uscire.
Lei lo seguì fino al salotto.
Anche Payne e Blake erano nella
stanza, in piedi e con le facce sorprese.
Eden seguì il loro sguardo
verso la porta.
Spalancò gli occhi.
“Tyler!”
----------------
A/N Ciao!!! Scusate il ritardissimo,
ma questi giorni sono stati un tormento! Speravo che finiti gli esami
mi sarei rilassata un po' e invece non ho avuto pace!
E poi sto cercando di organizzare il
mio viaggio per Roma.. Avete sentito della convention di supernatural
- “Jus in bello” - a Fiumicino dal 1 al 4 aprile 2010??
Ovviamente non posso mancare!
Tornando alla storia.. Questo è
stato un capitolo un po' difficile da decidere, ma alla fine credo
che non sia venuto troppo male. Volevo rimettere un po' di azione
nella storia e volevo finalmente dare una svolta allo stallo tra Eden
e Davis... Che ne dite? Ovviamente non vuol dire ancora nulla ai fini
della storia!
E poi ho riportato Tyler sulla
scena, ma per sapere il motivo della sua ricomparsa dovrete aspettare
il prossimo capitolo ^_^ ! Stessa cosa per sapere dov'è Dair e
come ha preso l'ultima conversazione con Eden!
Grazie di leggere!! Commentate se vi
va e a presto (speriamo) per il prossimo chapter!!
PS. Stavolta niente wallpaper.. Non
avrei aggiornato mai più se mettevo anche mano al photoshop!! Se
ci sono eventuali errori di battitura scusate, ma non ho il coraggio di
rileggere di nuovo!!
Per CINZIA818: Ciao! Grazie mille
per la recensione... Credo che tu abbia capito benissimo che c'è
qualcosa dietro tutte le vicende di Davis &co... Forse non è
cattivo come sembra, o forse sì, non ho ancora deciso nemmeno
io!! ^_^ Blake è un personaggio un po' strano, ma piace anche
a me e posso già dirti che avrà un ruolo ben più
fondamentale di questo in futuro! Grazie ancora e a presto! Spero che
apprezzerai anche questo ed i prossimi capitoli! (tanto non credo che
ce ne saranno ancora moltissimi..)
Per MEREDITH91: Ciao! Grazie mille
per i complimenti, quasi arrossisco ;)! Sai, la scrittura è la
mia passione segreta ed il mio sogno nel cassetto, anche se non credo
di essere così brava! L'ultimo capitolo è stato
piuttosto sentimentale, invece stavolta ho optato per un po' più
di “azione”.. Spero ti sia piaciuto uguale! Grazie ancora, un
bacio, alla prossima!
|
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Capitolo 13 *** Tyler Matthews è DI NUOVO qui ***
capitolo12
CAPITOLO 12
TYLER MATTHEWS E' DI NUOVO QUI
“Credo
che dovreste venire. Abbiamo visite.”
Eden
alzò un sopracciglio cercando di figurarsi chi potesse essere.
Davis
reagì prima di lei passandole accanto per uscire.
Lei
lo seguì fino al salotto.
Anche
Payne e Blake erano nella stanza, in piedi e con le facce sorprese.
Eden
seguì il loro sguardo verso la porta.
Spalancò
gli occhi.
“Tyler!”
Era proprio lui.
Eden avrebbe voluto andare ad
abbracciarlo, ma l'atmosfera nella stanza non era esattamente quella
di una rimpatriata.
“Ciao Eden... Davis.”
Tyler era immobile poco più
avanti della soglia.
André si schiarì la
voce
“Tu guarda, la banda di nuovo al
completo. Mi si spezza il cuore.”
Ma l'ironia non servì a
sdrammatizzare.
Davis avanzò per primo verso
la porta.
“Come sei arrivato qui?”
“Ho preso la metro.”
Dalla faccia di Davis si capiva che
non era in vena di ulteriore sarcasmo.
“Come facevi a sapere che eravamo
qui?”
Insistette avvicinandosi ancora con
aria minacciosa.
Eden decise di intervenire
immediatamente
“Gliel'ho detto io.”
Gli sguardi si rivolsero tutti a
lei. E non erano esattamente sguardi di approvazione.
“Sono stata io.”
Precisò di nuovo con tono
deciso.
Davis spostò lentamente gli
occhi da lei a Tyler. E alla sua borsa.
“Non puoi stare qui.”
Sentenziò.
Tyler sollevò un sopracciglio
“Inutile dire che speravo in
un'accoglienza decisamente migliore.”
“Vattene.”
Ribatté Davis.
Da dietro di lui Payne partì
come una furia.
“E perché dovrebbe
andarsene?”
“Perché non è il
benvenuto qui. E non abbiamo bisogno di altre persone di cui non
possiamo fidarci.”
Payne corrugò la fronte
“Persone come Eden ad esempio?”
Davis guardò al cielo
visibilmente esasperato.
Eden decise di rimanere in disparte.
Capiva perfettamente il punto di vista di Payne. Senza contare che la
visita di Tyler era inaspettata per lei tanto quanto per gli altri.
Payne continuò
“L'hai rivoluta qui e noi non
abbiamo protestato, anche se nessuno si fida di lei...”
Ecco. Un'altra svolta inaspettata.
Nessuno si fida di lei. Nemmeno Payne.
“...E adesso per Tyler c'è
un trattamento diverso!? Lui è uno di noi!”
“Lui se n'è andato, di sua
spontanea volontà.”
“Ma adesso è qui!”
Payne continuava a parlare come se
Tyler non fosse davvero lì.
Non riusciva nemmeno a guardarlo.
E dal canto suo Tyler non sembrava
più reattivo.
Fissava il nulla mentre gli altri
decidevano per lui.
Eden avrebbe voluto incrociare il
suo sguardo, ma non ci riuscì.
Il tono di Payne continuava a salire
“Non comportarti come se fossi il
capo qui! Tu non ci comandi affatto!”
Ce l'aveva con Davis. O forse se la
stava solo prendendo con lui.
Strano che nessuno volesse
intervenire.
Davis alzò le mani in segno
di resa verso la rabbia di Payne.
“Ok! Ok! E' la democrazia che
vuoi? La avrai!”
Payne si zittì di colpo
“Votiamo.”
Precisò Davis. La bionda si
guardò intorno. Erano in cinque ed era una sfida persa in
partenza.
Lo guardò nervosa.
“Bene!”
Lo fulminò un'ultima volta
prima di prendere il turno di parola.
Su Blake non c'erano dubbi. Ma
André, poteva ancora sperare di convincerlo.
“Andiamo. Credo che anche Tyler si
meriti il beneficio del dubbio.”
Sfoderò il suo sguardo
migliore proprio per André.
Ma lui rimase impassibile.
“Ok...”
Riprese
“...Facciamola finita. Sì,
Tyler resta. No, Tyler se ne va... Blake?”
Blake lanciò un'occhiata
all'oggetto della questione poi sollevò le spalle.
“No. Niente di personale Tyler,
non volevo neanche Eden qui.”
Scontato.
“André?”
Lui fulminò Tyler
“No. Ricordo ancora perché
te ne sei andato amico.”
Payne chiuse gli occhi per
un'istante
“Eden?”
Nemmeno lei sembrava troppo a suo
agio
“Sì. E grazie per aver
precisato che non vi fidate di me.”
Rispose secca.
Payne la guardò sospirando.
Poi c'avrebbe messo una pezza.
“Anche il mio è un sì
ovviamente.”
Disse.
André sorrise ironico
“E non abbiamo nemmeno bisogno
della tua ragione.”
Restava solo il turno di Davis.
Eden aveva visto passare il suo viso
da un'espressione arrabbiata ad un altro tipo di sentimento.
Blake fece un passo avanti
“Avanti Davis, di' il tuo no e
facciamola finita.”
Davis inspirò riportando gli
occhi all'altezza di Tyler
“Io voto sì.”
Disse, provocando l'incredulità
generale.
“Cosa?!”
Fu la parola che riempì la
stanza.
Davis diede una rapida occhiata a
tutti poi si grattò un sopracciglio
“In fin dei conti è un bene
che siate tutti qui. Ho qualcosa da dirvi.”
Iniziò per poi dirigersi
verso il mobile bar.
Blake lo intercettò
“Non devi dire niente a nessuno.
Manda via Tyler e già che c'è, che si porti via anche
la sua amica! O tutte e due!”
Con un gesto indicò Payne ed
Eden, le uniche due piacevolmente sorprese.
Davis scosse la testa
“No. Devo dire due parole a tutti
ed è meglio che lo faccia subito.”
“Ma..”
Davis la interruppe ficcandole in
mano il bicchiere di scotch. Poi ne versò un po' per sé.
Si riportò al centro della
stanza.
Si schiarì la voce con
l'alcool
“Alcuni di noi sanno perché
siamo qui. Altri no. Ma la cosa importante è che fra qualche
giorno ce ne potremo andare tutti...”
Blake buttò giù il suo
scotch e si sedette sul divano.
Ormai il discorso era iniziato.
“...Abbiamo fatto questa vita per
tanto tempo, ma non ho mai dimenticato perché abbiamo
cominciato... Ognuno di noi aveva almeno una buona ragione.”
“Sembra quasi di essere da
Oprah...”
Lo interruppe André, ma Davis
lo fermò con un cenno della mano.
“Tutto quello che voglio dire è
che...”
Si interruppe come se fosse
improvvisamente in imbarazzo
“...Quando quest'affare sarà
concluso, io avrò risolto tutti i miei casini. O almeno
spero.”
“Vuoi smettere? Stai dicendo
questo?”
André si impose di nuovo,
stavolta senza sarcasmo.
Davis si passò una mano sulla
faccia.
Eden non riusciva a capire. Sembrava
davvero serio.
“Sto dicendo che sarete liberi di
smettere se volete. Di fare tutto quello che volete. Una volta fuori
da New York non saremo più una banda, tutto qui.”
Payne si fece avanti
“Tutto qui?”
Blake sospirò.
Davis guardò Eden per la
prima volta tra tutte quelle parole
“Qualsiasi cosa vogliate fare,
dovunque vogliate andare, insieme o da soli, siete liberi. Come ha
precisato Payne io non sono il capo qui. Nessuno di noi lo è.”
Tyler si avvicinò agli altri
“Io voglio stare qui.”
Davis annuì mordendosi le
labbra
“Spero davvero tu non abbia
qualche piano contro di noi.”
Tyler rimase serio
“No. E non vedo perché
dovrei.”
“Questo strano tempismo non gioca
certo a tuo favore.”
Tyler annuì guardando a
terra.
Infilò le mani in tasca
“Ok. Lo ammetto. C'è una
ragione per cui sono qui adesso.”
L'attenzione del gruppo si concentrò
su di lui
“...Dovevo fare un lavoro per un
tizio. Non è andata esattamente come speravo.”
“Hai bisogno di nasconderti?”
“Ho paura di sì.”
André si inserì di
nuovo
“Non ti sei portato dietro gli
sbirri vero?”
Tyler scosse la testa
“No. Gli sbirri non c'entrano
niente. E vi assicuro che Wang è molto più pericoloso
di qualsiasi poliziotto. Potete controllare.”
Davis annuì
“Ci penserà André...
Un solo passo falso e sei fuori. Letteralmente.”
Tyler alzò le mani.
Eden si sentì finalmente
autorizzata a raggiungerlo.
“Sono contenta che sei qui.”
Disse alzandosi sulle punte per
abbracciarlo.
Lui rispose appena.
I suoi occhi erano puntati su Payne.
Che cosa era successo davvero tra
loro?
Tyler prese la sua borsa da terra.
“Dove mi sistemo?”
Blake tornò presente
“Ultima porta a destra.”
Disse indicando il corridoio.
Mentre Tyler si allontanava Eden
riportò gli occhi su Davis e quello che aveva detto risuonò
nelle sue orecchie.
Così come il calore che aveva
sentito standogli addosso.
Si sentì tirare da due spinte
opposte. Scappare il più lontano possibile da lui? O
approfittare della sua apparente debolezza per cercare di capire
quali fossero le sue reali intenzioni?
Davis risolse i suoi dubbi.
Prese e si allontanò da solo
verso la sua stanza.
Sbatté forte la porta.
“Di che stava parlando?”
André raggiunse
immediatamente Blake.
“...Io so perché siamo qui,
ma parecchie cose mi suonano nuove.”
Lei inspirò profondamente.
“Non adesso André.”
Rispose.
Eden aggrottò le sopracciglia
e si avvicinò agli altri
“Volete spiegare qualcosa anche a
me?”
Si ritrovò circondata da
sguardi incerti. O cattivi. O indifferenti.
“Bene!”
Concluse filando anche lei verso le
stanze da letto.
Sarebbe volentieri andata a chiedere
spiegazioni a Davis, ma non se ne sentiva ancora in grado.
Ed era anche arrabbiata.
Che Davis volesse davvero smettere?
Un ultimo colpo e via?
Ogni singolo avvenimento sembrava
peggiorare ulteriormente la sua posizione.
Ma almeno adesso aveva Tyler dalla
sua parte.
-------------
Payne bussò delicatamente
alla porta.
“Posso?”
Fu un sussurro appena udibile.
Tyler sollevò gli occhi, la
guardò e non disse nulla.
Lei entrò lo stesso.
“Come stai?”
Disse quasi tremando.
Lui rimase impassibile
“Di colpo ti interessa?”
Chiese visibilmente nervoso mentre
riprendeva a frugare nel suo borsone.
Lei guardò a terra.
Sembrava un deja vu.
“Mi dispiace. E lo sai.”
Lui scosse la testa
“Credi forse che averli convinti a
farmi restare qui sistemi le cose?”
“No.”
“Bene.”
Il suo tono deciso provocò in
lei un'inaspettata voglia di piangere.
Il pianto non era nella natura di
Payne.
“Quindi non mi hai perdonata?”
Osò chiedere Payne.
Lui buttò un maglione sul
letto e guardò altrove per qualche secondo.
Buttò i suoi occhi scuri
nell'azzurro di quelli di Payne.
“Non l'ho fatto. E non lo farò.”
Payne chiuse le palpebre trattenendo
il pianto con una piccola smorfia.
“Speravo che...”
Le parole le morirono in bocca.
Se avesse continuato avrebbe
iniziato a singhiozzare.
Tyler si leccò le labbra.
Forse non era mai stato tanto arrabbiato prima.
Aveva degli ottimi motivi per
esserlo.
E Payne era uno di questi.
“Cercherò di essere
chiaro...”
Iniziò
“...Non sono qui per te.”
Sentenziò deciso e brutale.
Neanche Payne riconobbe quel tono.
Ma poteva riconoscere le sue colpe.
Annuì con le labbra serrate
per non rischiare di finire in lacrime.
Prese la porta.
Tyler si concesse di imprecare.
Stava per esplodergli la testa.
Ed era solo l'inizio.
----------
QUASI QUATTRO ANNI PRIMA
“Cosa stai facendo?”
Payne entrò nella camera come
un fulmine.
Tyler se la ritrovò quasi
addosso.
“Secondo te?”
Non la guardò nemmeno mentre
stipava a forza le sue poche cose in una borsa di pelle marrone.
“Non te ne andare.”
Lui non si fermò
“Io non so un assassino!”
Esclamò.
Payne iniziò nervosamente a
tirar fuori le cose che Tyler aveva già riposto
Lui la afferrò con una presa
decisa.
“Fermati! Non riuscirai a
fermarmi!”
Payne iniziò a piangere.
Non aveva quasi mai pianto per tutta
la vita e adesso, dal giorno in cui Eden era morta, non sembrava
saper fare altro.
“Non puoi lasciarmi anche tu.”
Disse tra i singhiozzi.
Tyler scosse la testa.
“Sei tu che hai già
lasciato me. Parecchio tempo fa.”
Rispose freddo e deciso.
Nel momento io cui aveva visto Davis
sparare a quel gendarme, qualcosa in lui si era spezzato.
A nulla erano valse le discussioni
con lui e gli altri.
Non riusciva a tollerare di vivere
con degli omicidi.
E non riusciva neanche più a
sopportare la sua ragazza e le sue lacrime.
“Io ti amo.”
Ribatté Payne.
Avrebbe voluto dire qualcosa in più,
ma aveva perso tutte le parole.
Ormai continuava a forza a
trascinarsi avanti.
Non aveva più la sua amica.
Tyler fece cenno di no con la testa.
Anche le parole più
importanti del mondo ormai suonavano vuote dette da lei.
Si sforzò di guardarla.
“Smetti di dirlo. Dimostramelo.”
Lei sgranò gli occhi
“Come?”
Tyler le prese il viso tra le mani.
“Smetti di piangere.”
Lei trattenne il fiato cercando di
fermare le lacrime.
Lui strinse appena la presa
“Io ho bisogno di te...”
Payne cercò invano di evitare
il suo sguardo
“...Ho bisogno della mia Payne!”
Lei chiuse gli occhi e di nuovo il
suo viso fu rigato dal pianto.
“Non ce la faccio.”
Si sforzò di dire.
Lui inspirò profondamente
“Vieni con me.”
Lei riaprì gli occhi.
Sembrava non capire.
“Prendi le tue cose e andiamo via
da qui... Non sei stanca di questa vita?”
Payne si morse le labbra
“Andiamo via...”
Insistette lui
“...Dimentichiamo tutto questo e
ricominciamo. Insieme.”
Lei poggiò le mani su quelle
di Tyler
“Vuoi dimenticare anche Eden?”
Lo costrinse a mollare la presa.
Tyler era il ritratto
dell'esasperazione
“Certo che no! Voglio solo andare
avanti.”
Payne indietreggiò di un
passo.
Il suo sguardo sembrò velarsi
“Tu non capisci.”
Lui sospirò
“Certo che capisco!”
“No invece.”
Tyler rimase impalato a guardarla.
Ormai lui e Payne sembravano parlare
due lingue diverse.
E non sapeva quanta altra forza per
provare gli fosse rimasta.
“Io ti amo. E voglio passare la
mia vita con te...”
Iniziò con l'ultimo brandello
di autocontrollo
“... Se anche tu mi ami come dici,
prendi le tue cose e vieni via con me.”
Questa era l'ultima possibilità
che poteva offrirle.
Payne deglutì continuando a
guardarlo.
Il suo viso pallido come un
lenzuolo.
Indietreggiò ancora.
Tyler chiuse gli occhi per un
istante.
Riusciva ancora a leggere le sue
espressioni.
Sapeva cosa lo aspettava.
“Non posso.”
Rispose Payne in un sussurro.
Tyler sentì il suo stomaco
rivoltarsi.
“Non posso più aspettare
Payne. Devi scegliere. O loro o me.”
Si avvicinò di nuovo alle sue
cose.
Infilò l'ultima maglia nella
borsa e tirò la zip.
Respirò profondamente prima
di guardarla di nuovo.
Payne era immobile.
Non piangeva nemmeno più.
Aveva già preso la sua
decisione.
“Allora addio.”
Tagliò corto Tyler prima di
sparire.
Per sempre.
-------------
PRESENTE
Pochi minuti dopo un'altra mano
bussò alla porta di Tyler.
Lui sospirò sperando non
dover affrontare di nuovo Payne.
Eden entrò nella stanza.
“Non credevo che saresti mai
venuto qui.”
Il suo tono era sollevato. Credeva
di essere nella stanza del suo unico amico.
Credeva.
“Nemmeno io.”
Rispose secco Tyler.
Aveva una faccia che Eden non aveva
mai visto.
“Che cosa ti è successo?
Sembri sconvolto.”
Tyler strinse i pugni tirando su col
naso
“Lo sono.”
Lei aggrottò le sopracciglia
“Sei davvero nei guai?”
Eden lo vide fremere vistosamente,
come se stesse per esplodere da un momento all'altro.
“Chiudi la porta.”
Le ordinò.
Eden rimase impalata
“Cosa?”
“Chiudi quella maledetta porta!”
Ripeté alzando la voce.
Le si avvicinò minaccioso.
Sembrava proprio avercela con lei.
Eden indietreggiò di un
passo.
“Ok Tyler. Mi stai spaventando!”
Disse alzando le mani come istintiva
difesa.
Chiuse la porta.
Lui inspirò profondamente
“Che stai combinando Eden?”
Lei lo guardò incerta
“Sei tu quello che si comporta in
maniera strana.”
Lui scosse nervosamente la testa
“Sarò anche strano, ma
almeno sono pulito.”
Eden sentì una fitta allo
stomaco.
“Di cosa stai parlando?”
Chiese a mezza voce.
Lui abbassò a sua volta il
tono, ma non era meno nervoso
“Sto parlando del tizio dell'FBI
che ieri si è presentato a casa mia solo per dirmi che la
donna che credevo mia amica, in realtà lavora per loro.”
Eden sgranò gli occhi
“Oh mio dio.”
“Quindi è vero.”
Eden si mosse nella stanza,
continuando a fissare il pavimento
“Non riesco a credere che Dair
abbia fatto una cosa del genere. Non ha senso!”
Disse più a sé stessa
che a Tyler.
Lui alzò un sopracciglio
“Dair? Chi è Dair?”
Eden rialzò lo sguardo
“L'agente dell'FBI di cui stai
parlando.”
“Non è così che si
chiama. Credimi, ho visto chiaramente il suo distintivo. Il nome era
McPhee.”
Il cervello di Eden non impiegò
più di un paio di secondi per capire cosa stava succedendo.
“Oddio. Devo chiamarlo!”
Iniziò ad agitarsi
“Ma chi?”
“Dair! Sono sicura che McPhee sta
facendo il doppio gioco contro di lui!”
Tyler riuscì a fermarla
afferrandola all'altezza delle spalle
“Frena Eden! Tutto quello che devi
fare adesso è dirmi cosa sta succedendo!”
Lei si portò una mano alla
fronte.
Aveva bisogno di respirare
“Non è come pensi.”
Quasi sentiva di voler piangere.
Lui sembrò rilassarsi appena.
“Sputa il rospo.”
Eden si riempì i polmoni.
“Cosa ti ha detto McPhee?”
“Che se non voglio finire in
galera per vent'anni devo assicurarmi che tu faccia il tuo lavoro.”
Eden guardò di nuovo a terra.
“Mi dispiace. Non volevo che fossi
coinvolto.”
“Non avevo molta scelta.”
Le parole di Tyler sfumarono nel
silenzio.
Un silenzio pesante da cui Eden non
sapeva come uscire.
Tyler riprese la parola.
La guardò come se non
l'avesse mai vista prima.
“Cosa ti è successo Eden?
Chi sei diventata?”
Lei abbassò la testa
“Non volevo farlo.”
Sussurrò scuotendo la testa.
Lui la costrinse a rialzare gli
occhi
“Che cosa? Vendere la nostra anima
al diavolo per salvare la tua?!”
“Che tu ci creda o no ho una buona
ragione.”
“Dimmela allora!”
“Non posso!”
Tyler si allontanò da lei con
un gesto improvviso.
Si strinse la testa tra le mani.
“Per favore Eden. Convincimi a non
dire immediatamente tutto a Davis.”
Eden sentì una scossa
elettrica attraversarle il corpo
“No! Ti prego no!”
“Allora parla!”
Eden inspirò profondamente e
si avvicinò al letto di Tyler.
Si sedette lentamente.
Non aveva altra scelta. Doveva
rivelare il suo segreto.
“Non avevo scelta.”
Iniziò. Tyler sembrò
esasperato dall'ennesima risposta evasiva.
“Perché?”
Eden sentì le lacrime
iniziare a bagnarle gli occhi
“Io... Io non...”
Tyler alzò le mani
“Ti prego. Fa' che sia una buona
ragione.”
Eden annuì guardandolo. Le
lacrime rigavano già il suo viso.
“Ho una figlia.”
Riuscì a dire.
Tyler sollevò le sopracciglia
“Cosa?”
Lei tirò su col naso
“Hai capito bene. Ho una figlia...
Ha quattro anni e mezzo ed è bellissima.”
Mentre lo diceva si sentì
meglio.
Fu come liberarsi di un enorme
invisibile peso che per anni aveva tenuto sulle spalle.
Tyler scosse la testa
“No. E' impossibile.”
Eden non ribatté.
Lui la guardò
“Voglio dire... Quattro anni e
mezzo? Non è possibile... Vorrebbe dire che lei è...”
Eden rimase ancora in silenzio. Ma
l'espressione sul suo viso valeva più di mille sì.
Tyler spalancò gli occhi
“Oh mio dio. Dici davvero... Ma ti
hanno sparato! E sei stata in coma. L'hai detto tu stessa!”
Eden si pulì gli occhi con la
mano.
Accennò un sorriso
“Lo so. E' per questo che la
considero 'il mio piccolo miracolo'”
Tyler cercò di mettere a
posto i suoi pensieri.
Girovagò nella stanza e finì
accanto ad Eden.
“Hai una figlia.”
Disse. Per la prima volta usò
la forma affermativa.
Lei annuì e basta.
“Davis non ne ha idea vero?”
Stavolta Eden fece cenno di no
“Non gli avevo nemmeno detto di
essere incinta.”
Tyler sospirò.
Il suo tono si era fatto più
sereno.
Ed anche il suo viso.
“Adesso dimmi cosa c'entra questa
storia con l'FBI.”
Eden smise di piangere.
Prese fiato.
“Ero ancora in coma quando Sophia
è nata. Quelli dell'FBI si sono presi cura di lei fin quando
non mi sono svegliata... Poi mi hanno detto che avrei potuto tenerla.
Tutto quello che dovevo fare in cambio era collaborare.”
“E tu l'hai fatto.”
“Puoi biasimarmi?”
Tyler disse di no.
Eden si sentì leggera come
mai nella sua vita.
Finalmente qualcun altro sapeva.
“Adesso sono nella stessa
situazione...”
Riprese
“...Se voglio avere un futuro con
mia figlia, devo consegnare Davis e gli altri ai federali.”
Lui guardò al cielo
“E' incredibile. Una trama degna
di un romanzo d'azione.”
“Non volevo che ci finissi in
mezzo.”
“Ormai è troppo tardi.”
Tutti e due fissarono il vuoto in
silenzio.
“Perché la polizia non è
già venuta qui ad arrestarli?”
Chiese Tyler.
Nessuno dei due spostò lo
sguardo
“Sono stati fuori dal paese per
tanto tempo. Davis ha mille agganci, avvocati di fiducia, amici ai
piani alti... L'unico modo per fermarli è coglierli con le
mani nel sacco. Ecco perché aspetto il loro ultimo colpo.”
“Quello di cui stava parlando
Davis prima?”
“Già.”
“E di che si tratta?”
Eden sollevò le spalle.
“Non lo so.”
“Non lo sai?”
Lei scosse la testa
“No. Nessuno qui si fida
abbastanza di me da spiegarmi cosa sta succedendo.”
Tyler si concesse un sorriso ironico
e nervoso
“Apparentemente nemmeno quelli
dell'FBI si fidano poi tanto. Hanno mandato me per controllarti!”
Eden si morse il labbro rivolgendo
gli occhi a Tyler
“L'unica fiducia che mi interessa
avere è la tua.”
Lui non ricambiò lo sguardo
“Ci dev'essere un'altra
soluzione.”
“E quale?... O tradisco loro, o
perdo mia figlia.”
Tyler affondò la testa tra le
mani.
Eden si sollevò.
Era il momento del giudizio per lei.
Si parò davanti a lui.
“Che cosa farai adesso?”
Lui si sollevò
“Questa è la situazione più
merdosa in cui mi sia mai trovato.”
Disse con un'onestà
disarmante
“Già...”
Eden cercò i suoi occhi
“...E se devo essere davvero
onesta...
Riprese
“...Non credo che ne verremo fuori
se tu ora non mi aiuti.”
Lui strizzò gli occhi.
Si passò le mani sulle gambe
poi si alzò in piedi.
Era combattuto. E si vedeva.
“Cosa dovrei fare?”
Chiese.
“Aiutami a scoprire cosa sta
organizzando Davis...”
Eden allungò le mani verso le
sue
“...Poi ti prometto che cercheremo
una soluzione.”
A/N Nuovo Capitolo! In
realtà avevo scritto parecchio di più, ma per evitare
di pubblicare un capitolo di 50 pagine, ho preferito fermarmi qui e,
magari, lasciarvi anche con qualche dubbio ^_^ (o almeno lo spero..)
Questa volta mi sono dedicata per lo
più a Tyler e un po' anche a Payne. Lo so che i personaggi
principali sono altri e che magari di questi non vi frega niente, ma
vorrei comunque che ogni personaggio avesse il suo spazio. E quindi
ecco cosa ne è uscito:
Un Flashback della fine tra Tyler e
Payne. Ho preferito, come sempre, iniziare dalla fine... Mia piccola
mania personale.
Una discussione piuttosto prolissa
tra Tyler ed Eden. In questo caso mi è sembrata necessaria, se
non altro per fare il punto della situazione. Finalmente infatti Eden
ha raccontato la verità a qualcuno! Era ora no??
E poi questo strano gioco o doppio
gioco tra Dair e McPhee... Stanno davvero lavorando l'uno contro
l'altro come pensa Eden o forse no??
Ultimo quesito... Tyler aiuterà
Eden??
PS Per la prima volta Davis ha
mostrato un lato un po' più “apprensivo” diciamo. Non
disperate... Per tutto c'è una spiegazione!!
Grazie a tutti voi che leggete! Un
commentino sarebbe gradito, ma mi accontento così!!
E un ringraziamento particolare a
Gallina Isterica, Jazz211 e Luine che hanno aggiunto la storia
alle seguite.
X CINZIA818: volevi sapere
perché é tornato Tyler? Spero di aver reso l'idea...
Come sempre grazie davvero per le recensioni! Lo so che costano tempo
e a volte anche fatica, ma per me valgono sempre tanto!!
Purtroppo in questo capitolo c'è
poco di Davis, ma nei prossimi recupererò ;)! Al posto suo e
di Eden, ho dato un po' di spazio alla coppia Tyler/Payne.. Spero che
anche loro non ti/vi dispiacciano troppo!!
Un bacione e a presto!!
X MEREDITH91: ciao! Sempre
troppo gentile, anche con poche parole! Sono contenta che il capitolo
ti sia piaciuto...E spero che ti piaccia anche questo, nonostante ci
sia poco di Davis ed Eden! Nei prossimi capitoli recupererò,
sia per quanto riguarda loro che Dair! Intanto spero che Tyler e
Payne non ti siano dispiaciuti troppo!
Un bacio e a presto!!
|
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Capitolo 14 *** A che Gioco Giochiamo Oggi? ***
capitolo13
CAPITOLO
13
A
CHE GIOCO GIOCHIAMO OGGI?
Dair
aprì un bottone della camicia.
Non
sopportava l'umidità di New York.
Preferiva
di gran lunga l'inverno glaciale di Chicago.
E
quel telefono continuava a non squillare.
Non
poteva credere di aver davvero minacciato Eden. Non intendeva farlo.
Ma
qualcosa l'aveva spinto ad agire in quel modo.
Cominciava
a non sopportare l'idea che lei fosse con quelle persone.
Più
tempo passava con loro e più correva il rischio di perderla.
Forse
lei e Davis avevano già chiarito.
Forse
Eden aveva capito di amarlo ancora.
Forse
stavano facendo l'amore. Proprio in quel momento.
Con
un gesto di stizza fece volare a mezz'aria tutti i suoi fogli.
Carta.
Carta. Non vedeva altro che carta.
Non
era questo il lavoro che aveva sognato.
Stavolta
McPhee ebbe l'accortezza di bussare.
Ma
non aspettò di sentire “avanti” per entrare.
“Notizie?”
Dair
ammucchiò alla bene e meglio le sue cose
“No.”
McPhee
annuì.
Si
grattò un sopracciglio
“Sei
sempre convinto che sia meglio non intervenire?”
Dair
ci pensò su.
Quell'aria
densa non lo faceva respirare.
“Solo
un paio di giorni.”
Sentenziò.
McPhee
protrasse le labbra.
Stava
caricando la sua ennesima risposta al vetriolo.
Il
telefono gli impedì di parlare.
Lo
tirò fuori dalla tasca e buttò un'occhiata allo schermo
“Scusa.
A questa devo rispondere.”
Sorrise
appena uscendo dalla porta dell'ufficio.
Se
la chiuse alle spalle e controllò che non ci fossero altre
persone in giro.
“McPhee.”
Rispose.
Una
sorta di delusione gli si dipinse in viso
“In
realtà speravo di parlare col comandante in persona...”
Si
ritirò in un angolo
“...Bene.
Puoi comunque dirgli che ho dato il via al piano B...”
...
“...Lo
so che avrei dovuto aspettare l'autorizzazione ufficiale, ma sono
convinto che non ci sia altro tempo da perdere...”
Guardò
verso l'ufficio di Dair come per controllare che la porta fosse
ancora chiusa.
“...E'
come vi ho detto. Credo che il tenente Dair non sia più in
grado di gestire l'operazione. E' troppo coinvolto personalmente
nella faccenda...”
McPhee
ascoltò con attenzione la persona all'altro capo del telefono.
Allargò
lentamente un sorriso.
“Dì
pure al comandante che quando deciderà di passare ai
provvedimenti, sarò onorato di prendere il posto del tenente a
capo di questa operazione...E poi chi lo sa...”
Si
passò la lingua sulle labbra.
Non
si sentiva troppo in colpa.
La
prospettiva di rubare il posto di Dair lo eccitava più di
quanto avrebbe fatto una qualsiasi bionda in latex.
“Aspetto
notizie dal dipartimento.”
Chiuse
il cellulare e lo ripose in tasca.
Sbuffò
appena tornando verso l'ufficio di Dair.
-------------
Tyler
continuava a curiosare tra i pochi volumi di Eden.
Fingeva
di dare poca importanza alle sue parole.
Stava
sulle spine se mai qualcuno fosse piombato nella stanza.
E
parlava a voce bassa.
“Quindi
è questo il tuo piano?”
Eden
stava sdraiata sul letto a pancia in giù.
Si
reggeva il viso tra le mani.
Anche
lei come se stesse conversando di un argomento qualsiasi.
Non
si era nemmeno vestita.
Nascondeva
ancora la sottoveste sotto una vestaglia color champagne.
“C'è
un motivo se quell'avvocato è sempre qui. Sono convinta che ci
sia qualcosa di utile tra tutti quei documenti.”
Tyler
iniziò a sfogliare uno dei libri.
Walt
Whitman. Il poeta preferito da Eden.
“Allora
non ti resta che andare a cercare.”
Rispose.
Eden
si tirò su. Incrociò le gambe.
“Non
posso certo entrare nello studio come se niente fosse. Senza contare
che i documenti sono tutti sotto chiave.”
Tyler
fece spallucce
“E
tu entraci di nascosto.”
Eden
sollevò un sopracciglio.
“Ma
mi stai ascoltando almeno?”
Lui
chiuse immediatamente il volumetto.
“Sì.
Certo.”
Eden
cercò di scrutare nei suoi occhi.
Era
di nuovo presente.
“Ho
bisogno del tuo aiuto.”
Tyler
annuì.
“Sono
qui per questo no?”
Eden
si mosse di nuovo sul letto.
Non
era in grado di stare ferma.
“Dobbiamo
entrare in quello studio di notte...”
Tyler
la interruppe subito
“Dobbiamo?”
Lei
sfoderò gli occhi da cucciolo
“Sai
che non sono brava con le serrature. Ma tu sì.”
Tyler
roteò gli occhi
“Vuoi
che sia io a fare il lavoro sporco?”
Eden
si alzò e lo raggiunse
“No.
Lo faremo insieme.”
“Insieme?”
“Esatto.
Entreremo insieme in quello studio. Tu ti occuperai di aprire i
cassetti ed io sarò il palo. Mi accerterò che nessuno
si accorga di noi. Soprattutto Davis.”
Lui
aggrottò le sopracciglia
“E
come?”
Lei
sorrise appena
“Lascia
fare a me.”
Lui
non insistette.
Ripose
“Foglie d'erba” tra gli altri libri.
“Quando?”
Eden
tornò seria.
“Stanotte.”
“Stanotte?!”
Lei
annuì nervosamente
“Non
ho più tempo. Mi dispiace.”
Lui
sembrò irrigidirsi.
Non
riusciva più a fingere che fosse una conversazione senza
importanza.
Eden
gli poggiò una mano sul braccio.
“Te
la senti?”
Lui
annuì guardando il nulla dietro Eden come se fosse
trasparente.
“Allora
trovati in cucina stanotte alle 3.”
Stavolta
fu lui a muoversi
“Sei
sicura?”
Eden
sospirò.
Non
lo era. Nemmeno un po'.
Ma
poteva fingere. Doveva fingere.
“Sì.”
“Bene.”
Concluse
Tyler.
Riportò
l'attenzione altrove.
Eden
si voltò di nuovo verso il letto.
Si
bloccò davanti alla sua immagine riflessa nello specchio.
Sistemò
la vestaglia.
Ravvivò
i capelli.
“Forse
farei meglio a vestirmi.”
Sbuffò
infine.
“Come
vuoi.”
Rispose
distrattamente Tyler.
Lei
girò la testa per guardarlo.
“Dovresti
uscire.”
Lui
sollevò le sopracciglia.
Annaspò.
Sembrava in difficoltà.
Eden
lasciò cadere la testa da una parte.
“Non
dirmi che stai ancora evitando Payne!”
Lui
tentò di dire di no, ma non ci riuscì.
“Non
biasimarmi ok? Anche tu stai evitando Davis mi sembra.”
Eden
rimase in silenzio.
Colpita
e affondata.
Negli
ultimi due giorni aveva accuratamente evitato di uscire dalla sua
stanza negli “orari di punta”.
Non
voleva correre il rischio di trovarsi di nuovo sola con Davis.
Il
suo corpo non era più un alleato affidabile.
“La
mia situazione è ben diversa.”
Bofonchiò
infine.
“Io
non credo.”
“Ah
no?”
“No.
Siamo tutti e due sulla stessa barca...”
Si
portò le mani ai fianchi
“...Tutti
e due sul punto di incastrare qualcuno che amiamo.”
Eden
non trattenne una smorfia di stupore e disappunto
“Cosa?!
Io non amo Davis! Nemmeno un po'!”
Tyler
la guardò agitarsi più del dovuto.
La
guardò come se gli facesse tenerezza.
E
allo stesso tempo serio con la sua sentenza
“E'
inutile negare. Tu sarai sempre innamorata di quel bastardo. Come io
lo sarò sempre di Payne.”
Eden
spalancò le labbra arricciando il naso
“Parla
per te!”
“Andiamo,
non saresti così in paranoia se non fosse vero! Noi saremmo
già tutti in galera e tu ti staresti godendo una virgin colada
sulle spiagge di Mumbai!”
“Non
è affatto vero!”
Ribatté
Eden battendo i piedi come una bimba arrabbiata.
Lui
incrociò le braccia sul petto.
“Sei
una smidollata.”
Lei
sgranò gli occhi
“E
tu sei un vigliacco.”
Ribatté.
“Smidollata.”
Insistette
lui.
“Codardo.”
Tyler
inspirò.
E
tirò fuori il colpo segreto.
“Venduta.”
Eden
spalancò anche la bocca.
Stupido
gioco degli insulti.
“Sei
ufficialmente invitato ad uscire dalla mia stanza.”
Concluse.
Lui
allargò le braccia
“Bene!
Non ho nessun problema ad uscire da qui...”
Si
avvicinò alla porta.
“...Ma
scommetto il mio regno che tu non ne hai il coraggio!”
Gli
occhi di Eden divennero due fessure.
Da
quando aveva rivelato il suo segreto a Tyler sembrava che il mondo
girasse in maniera diversa.
Poteva
fermarsi a respirare di tanto in tanto.
E
poteva anche concedersi un gioco infantile con il suo migliore amico.
Almeno
finché il sole non avesse finito di tramontare.
Sistemò
la vestaglia stringendo il nodo.
Di
nuovo cercò di dare un senso ai suoi capelli.
“Vuoi
che ti dimostri che ti sbagli?”
Lui
alzò un sopracciglio mentre Eden correva ad afferrare il suo
cellulare.
Agitò
sotto il suo naso in biglietto di visita dell'avvocato di Davis che
era riuscita a sottrarre di nascosto.
Compose
di fretta il numero.
L'impulsività
si era impadronita di lei.
Amare
Davis?!
Lei
odiava Davis.
“Avvocato
Carter?”
Eden
sorrise attraverso il telefono.
“...Salve.
Sono Eden Spencer, ma forse lei mi conosce meglio come Signora
Miller...”
Il
suo sorriso di spense
“Sì.
Quella che era morta...”
Tyler
non trattenne un sorriso.
“...Senta,
avrei bisogno anch'io di uno dei suoi servizi...”
Annuì
come se lui potesse vederla
“...Vorrei
che preparasse tutti i documenti necessari al mio divorzio da Davis.
Il più presto possibile.”
Tyler
tornò serio. Si scambiarono uno sguardo denso mentre
l'avvocato parlava da sé.
“Certo.
La prego di mandarmeli qui il prima possibile... E, per favore, conto
sulla sua discrezione.”
Eden
salutò con un tono fin troppo cortese.
Spinse
il bottone rosso e buttò il cellulare sul letto.
“Contento?”
Chiese.
Tyler
scosse appena la testa
“Dovresti
esserlo tu. Non io.”
Eden
avrebbe dovuto ridere. Sorridere almeno. Dimostrare la sua gioia.
Le
uscì una specie di ghigno.
Sperò
che potesse ingannare Tyler.
“Vado
a fumare una sigaretta.”
Si
strinse nella vestaglia ed uscì finalmente dalla stanza.
-------------
“Ho
controllato tutti i database. Nessun arresto negli ultimi mesi. Tyler
è pulito.”
Davis
si limitò ad annuire.
Per
lui non aveva davvero molta importanza.
André
si morse un labbro.
“Smetterai
davvero?”
Davis
sembrò esasperato dalla domanda.
Buttò
un altro cubetto di ghiaccio nel martini.
“Non
voglio parlarne.”
André
serrò la mascella.
A
volte non sopportava nemmeno lui quell'atteggiamento criptico.
“Credo
che dovresti dircelo invece.”
“Vi
ho già detto che potete fare come volete.”
Davis
mandò giù il suo aperitivo.
André
sospirò
“Incroyable.”
Davis
non lo guardò nemmeno.
Sembrò
gettarsi a capofitto nell'oscurità della sua mente
“Sono
stanco.”
Disse.
Appena udibile.
André
abbassò gli occhi. Le conversazioni intime non erano il suo
forte.
Quando
la porta si aprì entrambi girarono immediatamente lo sguardo.
Eden
si sentì trafitta.
Si
paralizzò sulla soglia.
“Scusatemi.”
Riuscì
a dire, incapace di avanzare o di uscire.
André
scosse la testa.
“Non
importa. Me ne stavo andando.”
Poggiò
il bicchiere e si mosse verso l'uscita.
Eden
lo intercettò
“No!
Non preoccuparti... Me ne vado io.”
Non
osava alzare lo sguardo.
Sentiva
addosso quello di Davis.
André
inspirò per poter rispondere, ma non ne ebbe il tempo.
Eden
scomparì così come era venuta.
“Ok.”
Rispose
a sé stesso tornando a guardare il suo amico.
Era
ancora immobile mentre il ghiaccio si scioglieva lentamente nel suo
bicchiere.
André
sollevò un sopracciglio
“E'
per lei vero?”
Davis
ingoiò il martini annacquato senza rispondere.
“Rovinerai
tutto per lei?”
Insistette.
Davis
si riempì i polmoni.
Decise
di uscire da quella stanza.
“Ho
già rovinato tutto.”
Concluse.
-------------
Flunitrazepam.
Il
sonnifero più potente in commercio.
Questa
la sua arma. Questo il suo piano.
Fissando
la bustina tra le sue dita mentre il buio avvolgeva New York, Eden
ascoltava il suo cuore battere forte.
Avrebbe
messo Davis Ko per un bel po'.
Si
sarebbe assicurata di non vederlo comparire nel suo studio nel pieno
della notte.
In
quanto agli altri, nessuno sembrava avere il permesso di entrarci.
E
con la dovuta fortuna, sarebbero stati abbastanza silenziosi da non
svegliare nessuno.
Finalmente
il momento che attendeva da mesi.
La
svolta.
La
possibilità di tornare da sua figlia.
Questo
l'unico pensiero in grado di muoverla.
Uscì
dalla sua stanza in punta di piedi.
Le
luci dello studio accese. La porta chiusa.
La
voce squillante di Payne dal salotto.
Torneo
casalingo di Guitar Hero.
Avrebbe
volentieri partecipato se non fosse stata “impegnata”.
Scivolò
fino alla stanza di Davis.
Entrò
chiudendosi la porta alle spalle.
Si
concesse di guardare i suoi vestiti sparsi per la stanza.
Il
letto disfatto.
Le
stampe pop-art appese alle pareti.
Finalmente
individuò la sua riserva personale di scotch.
Si
concedeva sempre un ultimo sorso prima di dormire.
E
quella sera, di certo, gli avrebbe conciliato il sonno.
Si
avvicinò piano.
Sollevò
il tappo con la dovuta cautela e si preparò a svuotare il
piccolo involucro di plastica.
La
polvere bianca scese così lieve da disciogliersi all'istante.
Eden
esitò un istante di troppo.
Sentì
la maniglia muoversi e ritrasse di corsa le braccia.
Davis
sembrò genuinamente sorpreso.
“Credevo
non bevessi.”
Commentò
vedendola accanto alla bottiglia.
Eden
infilò la bustina nella tasca con un movimento impercettibile.
“Meditavo
di cominciare.”
Bofonchiò
allontanandosi.
Lui
la seguì con gli occhi
“Potrei
sapere che stai facendo in camera mia?”
Lei
sollevò le spalle come se fosse la risposta più ovvia
“Ti
stavo cercando.”
Lui
aguzzò lo sguardo
“Mi
hai trovato.”
Ribatté.
Lei
sospirò.
Le
serviva un'idea. Immediata.
“Voglio
sapere che sta succedendo.”
Sputò
fuori.
Decisamente
troppo generico, ma pur sempre un inizio.
“Credo
di averlo già sentito altre dieci volte oggi.”
Gli
angoli della sua bocca si sollevarono appena.
“Significa
che non lo dirai neanche a me?”
“Cosa
vuoi sapere?”
Eden
corrugò la fronte
“E'
come dice André? Smetterai dopo quest'ultimo colpo?”
Lui
sembrò divertito dalla sua domanda.
“Dovrebbe
farti piacere.”
“Allora
è vero.”
Eden
sentì un colpo allo stomaco.
“Non
ho detto questo.”
Rimase
impalata aspettando una spiegazione.
“Dì
qualcosa allora.”
Lui
fissò la sua bottiglia di scotch.
Bevi.
Bevi. Bevi.
Riportò
gli occhi su di lei
“Hai
già sentito. Non importa cosa farò io. Sarete tutti
liberi di fare quello che volete.”
Eden
rimase in silenzio cercando di controllare il ritmo delle sue
sinapsi.
Lui
sollevò un sopracciglio
“Non
sei contenta? E' quello che volevi...”
Eden
abbassò istintivamente il viso.
Lo
sentì muoversi verso di lei
“...Stare
lontano da me.”
Lei
infilò le unghie nella sua stessa pelle.
Era
in trappola nella tana del diavolo.
Senza
alcuna risposta arguta pronta all'uso.
Davis
era in piedi davanti a lei. Riusciva a sentire il calore che emanava.
“Dimmi
che mi odi.”
La
stupì lui.
Lei
rialzò il viso
“Cosa?”
“L'hai
già detto una volta. Dillo di nuovo. Adesso.”
Eden
corrugò la fronte.
Avrebbe
dovuto sputarglielo in faccia. Senza la minima esitazione.
Ma
davanti a quegli occhi non ci riuscì.
Era
uno sguardo così intenso che avrebbe potuto passarle
attraverso.
Come
se riuscisse a leggerle dentro.
Dritto
tra i suoi organi in subbuglio.
“E
tu smetti di guardarmi in quel modo.”
Ribatté.
Lui
chiuse lentamente le palpebre e le riaprì.
“Quale
modo?”
Sussurrò.
Lei
deglutì. Reggere quello sguardo era diventato difficile.
“Come
se volessi passarmi attraverso...”
Indietreggiò
di un passo
“...Come
se volessi uccidere anche me.”
Lui
distolse finalmente gli occhi.
Non
che il pensiero non l'avesse mai sfiorato.
Era
una buona alternativa alla follia.
Si
leccò le labbra.
“Non
è questo che vorrei farti.”
Sussurrò
ancora con un'ombra di sadismo nella voce.
Ed
eccolo di nuovo.
Quel
piacere doloroso crearsi in fondo al suo ventre.
Per
poi scivolare giù.
Insieme
a tutto il suo sangue.
Eden
contrasse i muscoli.
“No.”
Le
uscì della labbra senza alcun senso.
Lui
la guardò di nuovo.
“Dillo
allora.”
Diglielo
Eden. Digli che lo odi.
Le
sue dita sciolsero il nodo della sua vestaglia con estrema facilità.
Si
infilarono sotto il tessuto.
Accarezzarono
la seta della sua lingerie.
Lei
chiuse gli occhi.
Digli
che lo detesti. Che ti ha rovinato la vita.
Sentì
la sua mano tra i capelli.
Sentì
il suo viso sfiorarla.
Il
suo respiro sul collo.
Il
suo sussurro nell'orecchio.
“Dimmelo.”
Le
sue dita scesero più giù.
Si
insinuarono sotto la seta.
Toccarono
finalmente la sua pelle.
Risalendo
lente.
Eden
chiuse di nuovo gli occhi.
Diglielo
adesso. Digli che grazie a te finirà in galera per tutta la
vita.
Socchiuse
le labbra, ma ne venne fuori solo un sospiro.
Il
modo in cui la toccava.
C'era
qualcosa in quel tocco che annullava tutto il resto.
Lo
sentì giocare con l'elastico della sua biancheria.
Trattenne
l'istinto di lasciargli libero accesso.
Sollevò
finalmente le mani.
Sfiorò
delicatamente il suo petto.
“Dillo.”
Bisbigliò
Davis un'ultima volta mentre le sue labbra le sfioravano il collo.
Le
dita di Eden raggiunsero il suo viso.
Lo
sfiorarono appena.
Lo
costrinsero a guardarla negli occhi.
“Io...”
Iniziò
cercando ossigeno nei suoi polmoni.
Lui
fermò i suoi movimenti.
“Io...”
Null'altro
uscì dalla sua bocca.
Niente
di più.
E
fu come arrendersi.
E
dare il via all'esecuzione.
La
bocca di Davis si schiantò sulla sua.
E
stavolta nessuno sarebbe entrato da quella porta.
La
vestaglia finì a terra.
Insieme
alla sua camicia.
Nella
frazione di un secondo era già tra le sue lenzuola.
Col
suo peso addosso.
Senza
alcuna possibilità di fuggire.
Senza
alcuna voglia di farlo.
Lo
baciò. Di nuovo e ancora.
Lasciò
che le sue mani raggiungessero ogni punto del suo corpo.
Gli
graffiò piano la pelle mentre tratteneva un gemito.
Inarcò
la schiena aspettando di sentirlo finalmente dentro di lei.
Chiuse
gli occhi mentre la prendeva.
Finalmente...
Trattenne
il respiro.
Mentre
lui si muoveva, lei godeva i frutti della sua debolezza.
Non
era riuscita a dire l'unica cosa che lui voleva sentire.
L'unica
che l'avrebbe salvata.
Eden
sentì ogni singolo muscolo del suo corpo contrarsi.
Lui
aveva il pieno controllo.
Lei
non poteva resistere.
Ma
fortunatamente non sarebbe durato per sempre.
Sentì
Davis sospirare nell'incavo del suo collo.
Lo
strinse a sé mentre i suoi movimenti rallentavano.
Era
finita.
...Finalmente.
Lui
scivolò piano al suo fianco.
Lei
si sollevò quasi immediatamente cercando di rimettere a posto
l'unico indumento che ancora indossava.
Non
sapeva cosa dire.
Ammesso
che ci fosse qualcosa da dire.
Lo
guardò di sfuggita.
Lui
fissava il vuoto con le braccia incrociate sotto la testa.
Eden
aveva un piano da compiere.
Quella
debolezza non cambiava certo le cose.
“Devo
andare adesso.”
Disse
seduta sul letto con la schiena rivolta a Davis.
Non
riusciva a far altro che fissare i suoi stessi piedi.
Per
qualche assurda ragione si aspettava che lui dicesse qualcosa.
Si
voltò a guardarlo un'ultima volta.
“Non
pretendo di vederti restare.”
Disse
infine.
Eden
scrutò il suo volto.
Non
era soddisfatto. Né vincente.
Era...
Lei non aveva tempo per pensarci adesso.
Annuì
alzandosi in piedi.
Raccolse
la vestaglia da terra e la strinse a sé senza indossarla.
Fissò
ancora una volta quel maledetto di scotch.
“Buonanotte.”
Disse.
Se
prima era sicura che ne avrebbe bevuto un sorso, adesso era certa che
avrebbe scolato tutta la bottiglia.
------------
Quando
Tyler si ritrovò in cucina l'unica, luce della casa proveniva
dalla vita fuori di lì.
La
grande mela non dorme mai.
Si
sfregò le mani pensando di nuovo a cosa stava facendo.
Voleva
bene ad Eden, credeva alla sua storia.
Ma
lei non era l'unica persona coinvolta.
Sobbalzò
sentendo un'altra presenza accanto a lui.
“Ehy.”
Sussurrò
Eden. Erano le 3 e 15.
Ci
aveva messo un po' per tornare alla realtà.
Un
po' per decidere di farsi una doccia.
E
ancora un po' per decidersi ad entrare in quella cucina.
“Ehy.”
“Sei
pronto?”
Lui
annuì sentendo sotto la mano il piccolo kit dello scassinatore
che teneva in tasca.
“Che
mi dici di Davis?”
Se
non fossero stati al buio Tyler avrebbe di certo notato la sua
espressione.
“Ci
ho pensato io...”
Rispose
il più atona possibile
“...Non
verrà di sicuro.”
Tyler
preferì non indagare oltre.
“Facciamo
in fretta.”
Concluse
muovendovi verso lo studio.
La
porta era chiusa.
Riuscì
ad aprirla senza troppa difficoltà.
Quando
furono finalmente dentro Eden si concesse di accendere la lampada da
tavolo.
Cercò
di aprire tutti i cassetti.
Il
primo si aprì.
Ma
dentro non c'era altro che inutile corrispondenza.
Il
secondo era chiuso.
Guardò
Tyler.
Lui
si avvicinò senza bisogno di ulteriori ordini.
Si
inginocchiò infilando un primo ferretto nella serratura.
Eden
intanto guardò tra i fogli sparsi in giro.
Tra
gli altri un atto di proprietà di una casa a Parigi.
Che
volesse tornare in Francia?
Un
rumore sordo di una frazione di secondo la costrinse a voltarsi.
“Chiamami
Houdini!”
Sorrise
Tyler facendo scivolare il cassetto.
Eden
lo raggiunse.
Iniziarono
a frugare tra tutti quei documenti.
Ma
niente sembrava davvero essere importante.
Tyler
trovò infine una busta gialla.
Ne
tirò fuori un fascicolo.
“Forse
ci siamo...”
Iniziò
stringendo gli occhi per mettere meglio a fuoco nella semioscurità.
Eden
sospirò.
Se
fosse stato davvero qualcosa di utile avrebbe messo fine alle sue
peripezie.
Prima
di doverne affrontare le conseguenze.
Tyler
aggrottò le sopracciglia
“E'
una convocazione per la lettura di un testamento...”
Guardò
l'altro foglio
“...E
questo è un certificato di morte.”
Eden
scosse la testa.
Si
inginocchiò accanto a lui
“Stai
dicendo che ha in programma di fingere la sua morte?!”
Lui
fece cenno di no
“Non
è suo...”
Si
fermò un secondo
“...Anthony
Van Der Wiel.”
Eden
prese il foglio dalle sue mani.
Lo
guardò con i suoi occhi.
Il
signor Van der Wiel era suo nonno.
Guardò
anche l'altro documento
“Sono
convocati per la lettura ufficiale del testamento dopodomani.”
Qualcosa
si accese nella sua testa.
Guardò
Tyler
“Non
c'è nessun colpo in programma.”
Rimise
in ordine i fogli e li poggiò sulla scrivania tirandosi su.
Lui
continuava a seguire i suoi movimenti
“Non
sono tornati per rubare qualcosa...”
Eden
rispose al suo sguardo
“...Sono
qui per l'eredità di famiglia.”
Ecco
svelato il mistero.
Soldi.
Come sempre soldi.
E
stavolta tanti soldi.
Eden
fissò confusa il vuoto mentre Tyler rimetteva a posto.
Davis
e Blake odiavano così tanto i loro nonni materni.
E
ancor di più i loro soldi.
Avevano
preferito rubare piuttosto.
Possibile
che adesso volessero amministrare l'intero patrimonio dei Van der
Wiel?
.........
A/N
Eccomi qua! Allora..In realtà questo capitolo è un po'
la continuazione naturale di quello precedente, ma finendo di
scrivere è venuto fuori qualcosa in più.
Come
avrete capito McPhee sta cercando di fregare Dair, per questo ha
ricattato Tyler o lo ha spedito dagli altri.. Diciamo che ha il suo
piano personale per risolvere le cose.. Quale? Lo scoprirete!
Quanto
ad Eden anche lei ha finalmente scoperto il piano di Davis, o almeno
crede! Pensavate che fosse tornato per chissà cosa? Bé,
in realtà è tutto molto più soft, ma di certo
non semplice come sembra! Aspettate e vedrete ;)
Forse
non vi avrà fatto piacere, ma ho permesso ad Eden e Davis di
“combinare”!! C'era decisamente abbastanza tensione sessuale tra
di loro ed ho pensato che fosse ora di metterla in pratica.. Forse la
cosa vi sarà sembrata un po' troppo sbrigativa sul finale, ma
non è ancora tempo di indagare il piano dei sentimenti.. Come
avrete capito sono tutti e due abbastanza confusi e sull'orlo
dell'esaurimento! ;)
So
che in questo capitolo ho fatto parecchi riferimenti all'amore
(specialmente al loro) ma non date per scontato cosa sta per
succedere! In realtà è dal prossimo capitolo che si
incasineranno davvero le cose e soprattutto vedremo riapparire il
caro Dair! Speriamo di riuscire a scrivere come penso...
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, che non vi deluderò in futuro
e che continuiate a leggere!
PS.
Avendo tra le mie passioni anche il vidding sto preparando un trailer
video per la mia storia. Che ne dite??
Un
ringraziamento a hana_chan che ha aggiunto la mia storia alle seguite
^_^
PerCINZIA818:
Ciao!!Ovviamente grazie! Come avevi ben supposto Tyler ha finito per
aiutare Eden, almeno in questa fase... Anche se non è molto
convinto di aiutarla fino alla fine! E spero di aver risolto anche il
tuo dubbio su Dair e McPhee.. Ovviamente è solo quest'ultimo
lo str...o ;) Dal prossimo capitolo inizierò a svelare le
reali intenzioni di tutti, anche perché non vorrei continuare
a scrivere all'infinito ^_^ Però il bello deve ancora venire,
almeno spero! A presto!!
PerMEREDITH91:
Che recensione!! Grazie mille, non eri obbligata.. Io sono contenta
anche con un semplice “bel capitolo” ^_^ Sono d'accordo con te
su Blake, non la sopporto nemmeno io!;) Ma ti assicuro che sarà
più utile di quello che sembra... E posso dirti che ben presto
verrà finalmente fuori anche Sophia! Ma non ho ancora ben
deciso sulle doti paterne di Davis.. Comunque dai prossimi capitoli
si sveleranno un po' tutti i misteri quindi ce ne sarà per
tutti i personaggi! Compreso Dair, che finora mi è rimasto un
po' in secondo piano... Speriamo di riuscire a concludere questa
storia al meglio!
Ho
letto il nuovo capitolo della tua storia, ma non ho ancora
recensito.. Vado un po' a rilento sti giorni, ma provvederò al
più presto! Grazie ancora e a presto!!
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Capitolo 15 *** Love is What is All About I ***
capitolo14
CAPITOLO
14
LOVE
IS WHAT IS ALL ABOUT
parte
I
Tra
tante cose che i nostri genitori tentano di ficcarci in testa, è
incredibile come si ricordino sempre le più inutili.
“Ricordati
Eden...”
Le
aveva detto una volta sua madre mentre, davanti allo specchio,
picchiettava il correttore sotto gli occhi
“...Un
bagno è l'unico posto al mondo dove una donna possa davvero
riflettere.”
Eden
aveva sei anni o giù di lì.
Le
piaceva guardare sua madre mentre si truccava.
E
attendeva con ansia il momento in cui avrebbe potuto farlo anche lei.
Quel
giorno, distrattamente, aveva captato le parole di sua madre.
E
se le era fissate bene in mente.
Non
aveva tutti i torti.
Ecco
perché quella notte Eden, dopo aver scoperto del testamento,
si era chiusa a chiave in bagno.
E
non aveva intenzione di uscirne.
Seduta
dentro la Jacuzzi vuota continuava a far roteare il suo telefono tra
le mani.
Aveva
già inserito la nuova sim.
Quella
che aveva tenuto ben nascosta.
Quella
che André e gli altri non potevano intercettare.
Ma
ora non riusciva a comporre il numero.
Le
dieci cifre che si ripetevano continuamente nella sua testa.
Non
aveva senso.
Ed
era anche piuttosto deludente.
Davis
era tornato per i soldi. Per altri soldi.
Per
gli stessi soldi che in passato aveva maledetto.
Se
fosse possibile, questo lo faceva apparire ancora più
meschino.
Eden
sospirò.
Davis
era un incoerente bastardo.
Uno
spregevole vigliacco accecato dai soldi.
E
lei c'aveva fatto l'amore.
Eden
si portò una mano alla fronte.
Aveva
mal di testa. E si sentiva uno schifo.
Ma
non era solo per colpa di Davis.
C'era
qualcos'altro che la faceva stare sulle spine.
Qualcosa
che rendeva il pensiero di lei e Davis ancora più
insopportabile.
Eden
continuò a fissare quel telefono.
Non
era possibile che si sentisse così.
Come
se avesse tradito qualcuno.
Dair.
Lui
aspettava la sua chiamata.
E
lei non riusciva a chiamarlo.
Toc.Toc.
“Eden?”
La
voce di Payne. Di nuovo.
“Stai
bene? Sei lì dentro da ore!”
Eden
non rispose.
Non
voleva distrarsi dai suoi pensieri.
“Eden?
Ti prego, almeno dimmi che stai bene!”
Eden
sbuffò.
Afferrò
dal bordo della vasca una stupida saponetta a forma di cuore.
La
lanciò contro la porta.
Era
il suo modo di dire che era viva.
“Vuoi
dirmi perché sei lì dentro?”
Di
nuovo non disse nulla.
Non
voleva proprio parlare.
Voleva
solo continuare a fissare quel telefono.
----------------
Tyler
si avvicinò lentamente alla porta.
Lui
solo aveva un'idea di cosa passasse per la mente ad Eden.
Avrebbe
voluto parlarle, ma la presenza di Payne rendeva le cose piuttosto
difficili.
“Non
vuole ancora uscire?”
Chiese.
Payne
scosse la testa arricciando le labbra.
“Non
risponde nemmeno più.”
Tyler
sospirò.
Bussò
piano.
“Tutto
ok?”
Anche
per lui nessuna risposta.
Payne
sollevò le spalle.
“Te
l'avevo detto.”
Si
morse piano il labbro
“Hai
qualche idea di cosa le sia successo?”
Tyler
scosse la testa.
“Ok...”
Riprese
Payne
“...In
questo caso non ci resta che aspettare.”
Concluse
scivolando giù contro la porta.
Lui
rimase ad osservarla.
Era
diversa dall'ultima volta che l'aveva vista.
I
cerchi scuri intorno agli occhi erano spariti.
I
tratti del suo viso più rilassati.
L'azzurro
delle sue iridi più trasparente.
Era
bella. Come lo era sempre stata.
Come
quando erano bambini e lui, il piccolo secchione della scuola,
rimaneva a guardarla da lontano.
La
più bella bambina che avesse mai visto.
Nulla
di sorprendente che qualche anno più tardi fosse diventata una
splendida ragazza.
Una
cheerleader.
E
la stella del gruppo di teatro.
In
pochi sapevano cosa si nascondeva dietro quella maschera
scintillante.
I
suoi erano poveri. Suo padre un violento.
Il
destino era stato gentile con Tyler, perché gli aveva concesso
di vedere al di là di quella maschera.
“Già...”
Riprese
a parlare
“...Non
ci resta che aspettare.”
Tyler
ripeté le parole di Payne scivolando giù accanto a lei.
Un
sorriso brillante le si aprì in viso.
“Insomma,
prima o poi le verrà fame... O sete.”
Tentò
di sdrammatizzare Tyler.
“Già.”
Sospirò
Payne.
Non
aveva più voglia di parlare.
Voleva
solo restare lì in silenzio. Vicino a lui.
E
a Tyler non dispiaceva.
Anche
lui non voleva più dire nulla.
Voleva
solo ripensare a quando tutto era semplice.
Se
la ricordava bene, sin dal primo giorno delle elementari.
Lui,
Payne, Blake e Davis avevano frequentato la stessa piccola scuola di
Brooklyn. E lì si erano conosciuti, complici le loro madri.
Poi
Davis era andato alla Dwight, Blake alla Marymount e loro erano
rimasti lì, in periferia.
Payne
giocava a fare la popolare, ma non si era mai dimenticata di lui.
E
Tyler andava a vedere tutti i suoi spettacoli.
Voleva
fare l'attrice Payne, questo era il suo sogno e la sua ragione.
Rubava
per pagare i vestiti firmati.
E
rubava per pagarsi gli studi alla scuola di arte drammatica di NY.
Solo
che poi non ci era mai andata.
Il
suo sogno era svanito poco a poco.
E
adesso sembravano passato secoli dall'ultima volta che aveva sognato
di sfilare sul tappeto rosso.
André
arrivò dal salotto con passo pesante.
“E'
ancora lì dentro?”
Tyler
e Payne si limitarono ad annuire.
Lui
sbuffò nervosamente.
“Puoi
sempre usare l'altro bagno.”
Precisò
Tyler.
André
lo fulminò
“E
se volessi usare questo?”
Sbatté
forte il pugno contro la porta.
Nulla
anche per lui.
“Ti
decidi a uscire??”
Di
nuovo bussò.
“Siamo
sicuri che sia ancora viva?”
Chiese
con una certa ironia indirizzando lo sguardo in basso.
Payne
sollevò un sopracciglio.
Non
era il caso di scherzarci su.
-----------
“Sorgi
e splendi!”
Blake
scostò le tende con una certa irruenza.
Il
sole riempì la stanza in un solo secondo.
Davis
emise uno strano lamento cercando riparo sotto il cuscino.
“E'
già passato mezzogiorno. Pensi di dormire per sempre?”
Chiese
sua sorella.
Davis
era l'unica persona per cui si prendesse la pena di sprecare più
di due parole.
Lui
si portò le mani alla testa.
“Mi
sta esplodendo il cervello.”
Si
lamentò.
Blake
lasciò cadere la testa da una parte guardando il bicchiere sul
comodino.
“Non
mi sorprende. Ti sei ubriacato. Di nuovo.”
Lo
ammonì.
Lui
scosse la testa tenendo ancora gli occhi chiusi.
“No,
non mi sono ubriacato...”
Tentò
di sollevarsi, ma la testa pesava come un macigno
“...Dev'essere
qualcos'altro.”
“E
cosa?”
Davis
emise un altro lamento.
“Portami
un'aspirina.”
“Certo.
Lo farei se potessi.”
“Cosa?”
“A
quanto pare Eden si è barricata in bagno. E visto che tutte le
medicine sono in quel bagno, dovrai accontentarti di un bicchiere
d'acqua.”
“Che?”
Davis
iniziò a chiedersi se fossero le sue orecchie a distorcere le
parole di sua sorella.
O
se effettivamente stesse dicendo cose strane.
Blake
raggiunse il tavolino per prendergli un bicchiere d'acqua.
Quando
si voltò i suoi occhi notarono una macchia scura sul
pavimento.
Mettendo
a fuoco capì di cosa si trattava.
Scuotendo
la testa si abbassò e raccolse il piccolo pezzo di stoffa tra
l'indice e il pollice.
Lo
tirò su tenendolo lontano come se fosse radioattivo.
Mutandine
di seta.
“Adesso
capisco.”
Iniziò
acida avvicinandosi a suo fratello.
Lui
aprì finalmente gli occhi, ma desiderò di non averlo
fatto.
Blake
sollevò le sopracciglia
“Dev'essere
stata una gran performance per ridurti così.”
Lui
buttò di nuovo la testa sul cuscino.
“Non
cominciare. Non ho nessuna voglia di starti a sentire.”
Lei
buttò via la biancheria.
Non
c'era stato alcun bisogno di chiedere a chi appartenesse.
“Invece
dovresti ascoltarmi.”
“Ti
ho già detto che ho mal di testa.”
“Vuoi
farlo di nuovo?”
Cominciò
“Ricominciare
daccapo?”
Davis
fece una smorfia portandosi una mano alla fronte.
Il
suo cervello sembrava proprio non volersi accendere.
Non
si sentiva così da quella volta che si era calato un acido al
concerto dei Sonic Youth.
“Ma
di che cavolo stai parlando?”
“Di
Eden ovviamente.”
“Vuoi
parlare di Eden??”
Blake
si avvicinò e lo costrinse a guardare in faccia la luce del
sole.
“No
che non voglio parlare di lei.”
Lui
sospirò
“Allora
perché continui a tormentarmi?”
Il
viso di Blake si fece serio. Meno arrabbiato e più serio.
“Perché
ti conosco, meglio di chiunque altro...”
Volente
o nolente, era vero.
“...E
so già quali pensieri iniziano a strisciare nella tua testa.”
Lo
colpì sulla fronte mentre parlava.
“Ahi!”
Pensieri?
Davis
non riusciva a produrre pensieri.
Non
in quel momento almeno.
Ma
Blake sembrava comunque poter scavare nel suo subconscio.
Ancor
prima di lui, sapeva già che suo fratello si sarebbe lasciato
tentare.
Dalla
sua non più morta moglie.
Dall'idea
di una vita diversa.
Forse
perfino dall'utopia della redenzione.
“Lascia
che ti dica una cosa fratellino...”
Riprese.
Il suo tono brutale, ma dalla sfumatura quasi materna.
“....Ti
è sempre piaciuto pensare che le persone siano come le
particelle subatomiche. Che si generano in un punto a caso e poi sono
libere di vagare per l'universo alla ricerca del loro posto...”
Era
vero, non poteva negarlo.
Questa
sorta di “romantica metafora” aveva condizionato tutta la sua
vita.
Davis
sospirò.
Non
c'era modo per evitare di ascoltare.
Blake
scosse appena la testa
“Non
è così che funziona Davis. Le persone nascono dove i
loro genitori le mettono al mondo. Alcuni sono fortunati, altri meno.
Ma è il posto dove nasciamo che ci rende ciò che
siamo...”
Lo
guardò negli occhi.
Ci
girava intorno, ma sapeva benissimo cosa stava dicendo.
“...Quindi
non importa quanto a lungo possano vagare per il mondo. Una
principessa resterà sempre una principessa e un bastardo
resterà sempre un bastardo.”
Davis
chiuse le palpebre più lentamente.
Aveva
capito a cosa si riferiva sua sorella.
Quel
discorso era arrivato alle sue orecchie già altre mille volte.
Non
voleva sentirlo più.
“Alzati
adesso.”
Blake
si voltò velocemente.
Aprì
la finestra e poi uscì dalla stanza.
Le
tempie di Davis continuavano a pulsare.
Una
doccia. Gli serviva una doccia.
-------------
“Ti
avverto! Se non esci entro trenta secondi butto giù la porta!”
Per
André era diventata questione di principio.
Anche
se avessero avuto diciotto bagni, lui voleva entrare in quello lì.
Eden
sbuffò.
Dietro
la pressione delle minacce di André era riuscita a comporre un
messaggio.
Tra
Bedford e l'ottava.
Lì
tra mezz'ora.
Telefonare
non sarebbe stato sicuro.
E
vederlo era un'alternativa più che desiderabile.
“Ok,
adesso entro!!”
Urlò
lui un'ultima volta.
Eden
non ebbe altra scelta che premere il tasto di invio e balzare in
piedi.
Si
infilò il telefono in tasca e corse alla porta.
Girò
la chiave ed aprì velocemente, prima che André potesse
schiantarsi su di lei.
Ed
eccolo lì, di fianco, col colpo caricato.
Vedendola
si rilassò appena
“E
ci voleva tanto!”
Accanto
a lui le facce incerte di Payne e Tyler.
“Stai
bene?”
Si
avvicinò lei.
Eden
annuì e basta avviandosi verso la sua stanza.
Doveva
uscire ed anche in fretta.
Di
nuovo si scontrò con la sua immagine nello specchio.
E
di nuovo le tornò in mente sua madre.
Picchiettò
velocemente del correttore sotto gli occhi.
Non
voleva che Dair la vedesse così.
Ma
non aveva abbastanza tempo per cambiarsi.
Raccolse
i capelli.
Infilò
la giacca di pelle sopra i jeans e la maglietta.
Indossò
di fretta gli stivali ed afferrò la borsa.
“Dove
stai andando adesso?”
Di
nuovo la voce di Payne.
Eden
abbozzò un sorriso
“Ho
solo bisogno di un po' d'aria.”
“Vuoi
che venga con te?”
Dietro
di lei spuntava il viso preoccupato di Tyler.
Le
bastò guardarlo perché lui capisse.
“No,
grazie. Preferisco stare un po' da sola.”
La
sua risposta a Payne fu un'inutile conferma.
-----------
Dair
afferrò immediatamente il cellulare.
Prima
ancora che il beep terminasse.
In
cuor suo pregava che fosse la notizia che aspettava.
O
qualsiasi altra.
Purché
ricevesse un segno.
Il
suo cuore prese a battere più forte leggendo quel breve sms.
Sentì
i muscoli reagire immediatamente.
D'istinto
buttò gli occhi all'orologio.
Dall'altra
parte della stanza McPhee notò immediatamente la sua reazione.
“Qualche
novità?”
Dair
annaspò per un solo secondo.
Poi
scosse la testa.
“No.
Niente di importante.”
Eden
gli aveva dato un appuntamento.
Al
diavolo le indagini. Non l'avrebbe diviso con nessuno.
Si
passò una mano sulla faccia.
Aggiustò
il colletto della camicia.
Non
resistette un secondo di più.
“Senti,
io vado a prendermi qualcosa da mangiare...”
La
miglior scusa che il suo cervello fosse riuscito ad elaborare
“...Vuoi
che ti porti niente?”
Ti
prego. Non chiedermi di venire con me.
“No,grazie.
Ho già mangiato.”
Dair
tirò un sospiro di sollievo senza darlo a vedere.
“Ok.”
Concluse
col cuore in gola.
“Ci
vediamo più tardi allora.”
Uscì
della stanza stringendo le chiavi dell'auto tra le dita.
McPhee
lo seguì con gli occhi.
Non
era un ingenuo. Niente affatto.
Tirò
fuori dalla tasca il cellulare.
Compose
il numero a memoria.
“Il
tenente Dair è appena uscito. Seguitelo dovunque stia
andando.”
Impartì
l'ordine con tono autorevole.
Alzandosi
in piedi, pregustò la vittoria.
Mise
via il telefono e raggiunse la postazione di Dair.
“Vicecomandante
McPhee.”
Sussurrò
a mezza voce.
Si
sedette lentamente sulla sua poltrona.
Doveva
ammetterlo,
era
la più comoda sulla quale si fosse mai seduto.
-----------
Quando
Eden svoltò l'angolo lui non c'era.
Fu
un sollievo ed una delusione.
Si
strinse nelle braccia.
Aveva
scelto Manhattan per quell'incontro, forse perché un po' le
mancava davvero.
Le
luci. La fretta. Il lusso.
Non
ricordava che la Royal Blue Tearoom fosse proprio lì.
Scosse
la testa.
Aveva
dimenticato tutto o quasi della persona che era stata.
Sentì
dei passi avvicinarsi.
Si
tese contro il muro.
Lo
vide arrivare a passo a svelto.
Dair
si bloccò appena riuscì a scorgere la sua silhouette.
Eden
si sforzò di sorridere.
Lui
ricambiò il sorriso avvicinandosi.
“Stai
bene?”
Lei
annuì, mentre Dair le scrutava il viso.
A
vederla così probabilmente poteva pensare che stesse mentendo.
“Sto
bene.”
Precisò.
Lui
inspirò profondamente
“Mi
dispiace per l'ultima volta, io...”
Eden
lo interruppe con un cenno della mano
“Avevi
ragione...”
Stavolta
però non sorrise
“...Hai
il tuo lavoro da fare. Ed io ho il mio.”
“Ma
non dovevo attaccarti in quel modo.”
Eden
scosse il capo
“Mi
hai rimesso coi piedi per terra. E avevi ragione.”
Sollevò
le spalle.
La
sua mano si mosse lentamente.
Gli
porgeva un foglietto bianco piegato in quattro.
“Ecco...
Qui c'è tutto quello che ti serve.”
Dair
afferrò piano il pezzetto di carta.
Lo
spiegò.
Un
indirizzo. Un orario.
La
guardò incerto.
“Non
è quello che ti aspettavi, ma li troverai lì...”
Eden
spezzò la voce per un secondo
“...O
Davis almeno.”
Inspirando
elaborò una spiegazione veloce.
“Domani
erediteranno il patrimonio di famiglia. E' per questo che sono
tornati. Immagino sia abbastanza illegale visto che sono ricercati.”
“Immagino
di sì.”
Dair
guardò le sue gambe tremare appena.
Seguì
la sua sagoma fino al viso tenuto ancora basso.
Qualcosa
nella sua espressione non lo convinceva.
Era
più pallida del solito, aveva i capelli legati – cosa
inusuale per lei – e soprattutto sembrava evitare i suoi occhi.
“Eden...”
Dair
cercò delicatamente di afferrarle il viso.
La
“costrinse” a guardarlo.
“Sei
sicura di stare bene?”
Eden
deglutì.
Non
stava male. Era solo persa nella più completa confusione.
“Mi
manca mia figlia.”
Sussurrò.
Lui
le accarezzò una guancia col pollice.
“Lo
so...”
Sorrise
appena
“...Ma
presto sarai di nuovo da lei.”
Eden
riuscì a stento ad annuire.
“Voglio
andare a casa.”
Disse,
di nuovo con un tono appena udibile.
Era
una strana frase detta da lei.
Eden
non ce l'aveva una casa, non ne aveva più una da quando era
fuggita con Davis.
L'unico
posto dove tornare, per lei, era quel piccolo appartamento di
proprietà dei federali.
Alla
cui porta, ogni sera ed ogni mattina, bussavano due agenti di
controllo.
Quella
era la cosa più vicina ad una casa che avesse.
Ma
non era lì che stava desiderando di tornare.
Quel
posto non esisteva nemmeno.
Gli
occhi di Eden si riempirono di lacrime.
Davanti
a Dair era come se le sue difese fossero crollate di colpo.
Aveva
fatto il suo dovere, ma non ne era fiera.
E
non voleva piangere. Non poteva.
Dair
sembrò spiazzato per un secondo.
Poi
prese l'iniziativa e la strinse a sé in un abbraccio.
Eden
respirò forte il suo profumo.
Patchouli,
miele, retrogusto di sigari...
Era
odore di protezione.
Ricambiò
il suo abbraccio stringendolo forte.
Ne
aveva bisogno per sopravvivere a quei momenti.
Aveva
bisogno di lui per uccidere la colpa.
-------------
“Hai
capito il tenente?”
Esclamò
l'agente Salinger.
Accanto
a lui nell'auto, l'agente Kline sorseggiava cappuccino.
Erano
abbastanza lontani da non essere notati.
Ma
l'obiettivo della loro Canon riusciva benissimo a violare l'intimità
di quell'abbraccio.
“Quindi
McPhee aveva visto giusto.”
Rispose
Kline distrattamente.
Salinger
sorrise di gusto mentre la canon immortalava quel momento.
Era
solo un abbraccio, ma era abbastanza.
Un
vicecomandante non stringe così un'infiltrata.
“Devo
dire che sono quasi deluso.”
Biascicò
Salinger mentre scattava le ultime inquadrature portando lo zoom al
massimo.
“Io
no...”
Kline
cercò una posizione più comoda sul sedile.
“...Insomma,
l'hai guardata bene?”
Salinger
non rispose nemmeno.
Per
un secondo si rese conto di cosa stava facendo.
Quegli
scatti avrebbero messo Dair nei guai.
E
non poteva esattamente dire che se lo meritasse.
“Spero
che quel bastardo di McPhee ci ripaghi bene come ha promesso.”
Disse
infine, più a sé stesso che al suo collega.
--------------
Eden
appoggiò la fronte a quella di Dair.
Non
riusciva a smettere di tremare.
Il
suo stomaco si agitava.
“Mi
dispiace.”
Sussurrò.
“E
di cosa?”
“Di
non essere forte abbastanza.”
Un
inatteso senso di vergogna le scaldò il viso.
Odiava
sentirsi così.
Dipendente
della forza di qualcun altro.
Lui
quasi sorrise.
“Tu
sei la persona più forte che abbia mai conosciuto...”
Lei
indietreggiò abbassando lo sguardo.
“...
La più coraggiosa...”
Continuò
lui.
Stringeva
tra le mani tutta la sua carriera.
Gli
restava solo un'altra cosa da conquistare.
“...E
la più bella.”
Lei
scosse la testa continuando a fissare l'asfalto.
Non
funzionava.
Quelle
parole non riuscivano a farla sentire meglio.
Dair
inspirò profondamente.
La
sua voce si abbassò di mezzo tono.
E
se Eden l'avesse guardato in faccia, avrebbe visto le sue labbra
tremare mentre prendeva fiato.
“...Ma
non è solamente per questo che io ti amo.”
Eden
sollevò la testa di scatto.
Sgranò
gli occhi davanti alla sua espressione.
L'aveva
detto. L'aveva detto davvero.
E
nonostante l'imbarazzo non c'era ombra di dubbio sul suo viso.
Le
mancò il respiro.
No.
Se
le avesse dato una coltellata le avrebbe di certo fatto meno male.
Non
adesso.
Non
era quello il momento giusto.
Eden
serrò le labbra.
Lui
sospirò abbassando lo sguardo per primo.
“Di'
qualcosa.”
Ho
fatto l'amore con Davis.
Quelle
parole gridarono così forte nella sua testa che per un attimo
temette di averle dette davvero.
Continuavano
a ripetersi come un mantra.
Le
stavano dicendo di dirlo.
Di
confessare.
Di
dimostrare a Dair che lei non era una persona da amare.
Che
lei non meritava il suo amore.
Nemmeno
un po'.
Le
labbra di Eden rimasero serrate.
Avrebbe
tanto voluto meritarlo.
Avrebbe
voluto poter sorridere e dire
Ti
amo anch'io
Ma
nulla uscì dalla sua bocca.
Iniziò
ad indietreggiare senza nemmeno rendersene conto.
“Io...”
Finalmente
una voce sottile come un lamento venne fuori dalla sua gola
“...Io
devo andare adesso.”
Dair
la guardò con una strana smorfia in viso.
Non
tentò nemmeno di fermarla mentre spariva dietro l'angolo.
Chiuse
gli occhi per un secondo prima di ricordarsi del biglietto tra le sue
dita.
Eden
gli aveva consegnato suo marito.
Doveva
pur voler dire qualcosa.
--------------
Eden
si era persa per le strade di Manhattan.
Continuava
a camminare, senza riuscire a smettere.
Svoltava
gli angoli senza nemmeno chiedersi dove portassero.
Io
ti amo.
Adesso
erano quelle le parole che il suo dannato cervello continuava a
ripetere.
Lui
mi ama.
Era
un pensiero talmente inaccettabile da non poter essere interiorizzato
in alcun modo.
Questo
cambia tutto. Cambia tutto.
Non
avrebbe più potuto fare finta di niente.
Dair
avrebbe preteso una risposta.
Sincera
e sensata.
E
quella risposta, qualsiasi fosse stata, avrebbe cambiato ogni cosa.
Io
non lo amo...
Disse
a sé stessa.
Perché
non amarlo sarebbe stata la soluzione più semplice.
...O
forse sì.
Riuscì
finalmente a bloccare i suoi passi.
E
se invece fosse stato amore?
Quel
mix di gratitudine, sicurezza, fiducia...
Non
aveva mai sperimentato nulla di simile prima di Daniel Dair.
Non
sapeva cosa fosse.
Per
lei l'amore era sempre stato passione.
Desiderio.
Istinto.
Tutto
quello che Davis Miller era stato per anni.
E
che sfortunatamente era ancora.
Costrinse
sé stessa in quel pensiero.
Lo
amo ancora.
Si
morse le labbra scuotendo la testa.
No.
Non era un'opzione.
Non
si può amare un simile bastardo.
Non
si può amare un assassino.
L'amore
non è questo.
Già...
Ma allora cos'è?
Eden
si specchiò contro una vetrina.
Un
paio di ignari passanti le sfilarono accanto smuovendo appena l'aria
pesante di New York.
C'era
una sola risposta alla sua domanda.
Sophia.
Sua
figlia.
Lei
era l'unico vero amore della sua vita.
L'unica
cosa giusta che avesse mai fatto.
Sospirò
al pensiero che non la sentiva da più di un mese.
Chissà
quante cose si era persa.
Guardò
la sua stessa immagine con disapprovazione.
Con
sdegno quasi.
Al
diavolo Davis.
Al
diavolo Dair.
Aveva
già fatto ciò che le era stato chiesto.
Tutto
quello che doveva fare adesso era tornare da sua figlia.
Immediatamente.
Riprese
a camminare verso la strada cercando di scorgere un taxi libero nel
traffico di Manhattan.
I
suoi pensieri continuavano ad intrecciarsi.
Contemplò
l'idea di prendere il primo treno alla Grand Central.
Dair
avrebbe di certo capito.
Ma
Davis?
Insospettirlo
adesso avrebbe significato mandare a monte il lavoro di mesi.
E
non poteva certo dire che se ne tornava a casa da sua figlia.
Valutò
l'idea di restare all'attico e far finta di nulla ancora per un po'.
Al
solo pensiero le balzò il cuore in gola.
Sorridere
a Payne sapendo bene che l'aveva tradita.
Gustarsi
la vittoria mentre Davis e gli altri finivano in manette.
Nonostante
tutto non ci sarebbe riuscita.
No.
Non poteva continuare quella recita.
Sospirò
facendo appello alla sua creatività.
Le
restava solo un'ultima soluzione disponibile.
Lei
la odiava di già.
Non
aspettava altro che vederla sparire.
E
non avrebbe mai e poi mai tentato di fermarla.
Scendendo
dal taxi si fermò dall'altra parte della strada.
Fissò
le luci del palazzo per un po'.
Doveva
rischiare.
Eden
usò la corsa in ascensore per stamparsi in faccia
un'espressione convincente.
Nel
salotto Payne sedeva davanti alla tv. Sembrava quasi in apprensione.
Balzò
in piedi appena la vide
“Hey!”
Eden
sollevò le mani
“Sto
bene.”
“Davvero?”
Eden
annuì
“Sì.
E' stata solo una crisi momentanea.”
Payne
sollevò un sopracciglio
“Qualcosa
di cui vuoi parlarmi?”
La
sua espressione preoccupata era una nuova coltellata nello stomaco.
“Non
adesso.”
Rispose
Eden in un sussurro.
“Ok.”
Payne
non insistette.
La
seguì con gli occhi mentre raggiungeva la sua stanza.
Chiudendosi
la porta alle spalle Eden buttò fuori un sospiro.
Afferrò
la prima borsa disponibile valutando cosa prendere e cosa no.
Saper
di dover chiedere aiuto le rendeva ogni cosa più difficile.
Ma
non aveva altre opzioni.
Ammesso
che quest'ultima funzionasse.
Meglio
togliersi subito il dubbio.
Uscì
di nuovo dalla camera puntando dritta verso la porta in fondo a
destra.
Bussò.
Blake
aprì quasi subito.
I
suoi occhi divennero due piccole fessure.
“Che
vuoi?”
Eden
si fece strada nella stanza senza chiedere permesso.
Blake
sollevò le sopracciglia mentre chiudeva.
Si
voltò verso di lei.
“Allora?”
Eden
la guardò negli occhi.
Non
c'era altro modo per chiederlo.
“Ho
bisogno del tuo aiuto.”
Gli
occhi verdi di Blake si spalancarono appena.
“Suona
surreale.”
Rispose
con un certo sarcasmo.
Eden
non cambiò espressione.
Fredda
e seria.
“Per
cosa?”
Chiese
Blake aguzzando di nuovo lo sguardo.
Eden
piantò i piedi bene a terra.
“Voglio
andarmene. Adesso. Per sempre.”
Scandì
i tre concetti uno alla volta.
Con
la giusta pausa tra l'uno e l'altro perché le fossero
perfettamente comprensibili.
Sembrò
non essere riuscita nel suo intento.
Blake
aggrottò le sopracciglia.
Sembrava
genuinamente sorpresa.
Eden
sollevò le spalle.
“E'
quello che volevi, no?”
Lei
protrasse le labbra.
“E'
solo che non capisco. Perché? E perché adesso?”
Ecco
la parte difficile.
Eden
inspirò profondamente
“Sono
successe delle cose...”
Biascicò
cercando di non far vacillare la sua sicurezza.
Blake
sorrise sarcastica
“Cose
tipo andare a letto con mio fratello?”
Per
un secondo pensò di arrossire.
Ma
non doveva dargli troppa importanza.
Anzi,
doveva volgere la cosa in suo favore.
“E'
stato un errore...”
Iniziò
“...Io
non voglio tornare con lui.”
Blake
sollevò un sopracciglio.
Sembrava
spiazzata dalla dichiarazione.
“E'
una delle ragioni per cui voglio andarmene.”
Precisò
Eden.
“E
quali sarebbero le altre?”
“Sarò
onesta...”
Onestà.
Ottimo preambolo.
“...
Quando sono fuggita di prigione tornare da voi era l'ultimo dei miei
pensieri.”
Di
nuovo Blake affilò lo sguardo.
Nella
sua testa suonava come una candid camera.
Troppo
bello per essere vero.
“Avevo
ben altri progetti. Solo che poi mi avete trascinata qui e io...”
“Ti
hanno.”
La
corresse Blake.
Ci
teneva a sottolineare continuamente la sua opinione in merito.
“Quello
che voglio dire...”
Riprese
Eden
“...E'
che non mi interessa continuare questa vita. Voglio chiamarmi fuori.
Per sempre.”
Blake
le girò intorno come se volesse studiarla.
“Non
sembrava.”
Eden
la seguì con la coda dell'occhio finché non le fu di
nuovo davanti.
“Lo
so. Credevo di volerlo fare, ma non è così.”
“Ancora
non capisco.”
Blake
scosse appena la testa.
Eden
sospirò
“Pensavo
che mi volessi fuori di qui. Sono davvero così importanti le
mie ragioni?”
Blake
rimase impassibile.
“Non
ti basta sapere che non mi vedrai mai più?”
Insistette
Eden.
Stavolta
lei sembrò soddisfatta.
Incredibile
come le cose si fossero rivoltate in pochi minuti.
Credeva
di doversi guardare proprio da Eden.
E
invece veniva fuori che era suo fratello quello con le aspirazioni
romantiche.
Era
quasi delusa.
“Quando?”
Domandò.
“Adesso.”
Rispose
Eden.
Ottima
risposta.
“Perché
chiedi aiuto a me?”
L'ultima
cosa che voleva sapere.
“Ho
bisogno di qualcuno che mi copra la fuga e che domani spieghi agli
altri perché non mi vedranno più.”
Eden
sorrise appena
“E
poi tu sei l'unica che di certo non mi avrebbe mai chiesto di
restare.”
“Vero.”
Finalmente
Eden si mosse.
Tutte
e due sembravano più rilassate.
“Un'ultima
cosa...”
Eden
sollevò l'indice
“...Ti
dispiacerebbe darmi un passaggio fino alla Grand Central?”
Per
la prima volta Blake Miller le sorrise.
Proprio
a lei.
“Lo
farò più che volentieri.”
*********
A/N
Anche stavolta ce l'ho fatta! Avrei voluto aggiornare prima, ma sono
stata davvero tanto tanto impegnata! Alla fine però ho scritto
anche più del dovuto, quindi ho deciso di dividere questo
capitolo in due parti. Quella che avete appena letto è la
prima. La seconda la posterò presto. O almeno spero!
Allora,
prima di tutto cercherò di spiegare l'evidente cambio di tono.
A prima vista si potrebbe pensare che Eden sia bipolare e che oscilli
continuamente tra eccessi di sicurezza e tuffi nella paranoia. Ok,
probabilmente è vero. ;) Eden è di certo un personaggio
nevrotico, ma spero di riuscire a spiegarvi bene, di volta in volta,
i motivi della sua nevrosi.
Nel
caso specifico abbiamo da una parte Davis e dall'altra Dair. E' come
se questi due personaggi fossero la metafora vivente della simmetria
continua su cui poggia tutta la storia:
buono/cattivo,
giusto/sbagliato, verità/apparenza, attacco/fuga,
peccato/assoluzione, amore/odio, rischio/certezza,
passione/stabilità, luce/ombra
Di
fronte a questa serie di esempi, chi di noi può dire di non
aver mai oscillato tra una parte e l'altra? Per quel che mi riguarda
credo di vivere oscillando!^_^
In
questo capitolo Eden ha visto sparire tutta la sua sicurezza. Ha
scoperto che Davis è tornato per incassare i soldi dei nonni
che tanto odiava e questo per lei rappresenta una forte
destabilizzazione. Non solo Davis è un bastardo, ma è
anche pronto a rinnegare tutti i suoi valori per qualche soldo e
qualche immobile in più (Davis e Blake hanno iniziato a rubare
proprio per non dover mai dipendere dai soldi dei nonni). E' una
persona ancora peggiore di quello che pensava, ma nonostante tutto
lei non riesce a smettere di esserne attratta. Ciò non rende
forse anche lei una bastarda?
Davanti
a questi dubbi riappare Dair. Sorprendentemente, per i suoi occhi,
Eden è una creatura ancora bella e pulita. Lei non riesce a
capirlo, ma è una sensazione che le piace. Lui è
qualcosa di cui Eden ha bisogno. Peccato che Dair si spinga troppo in
là dicendo che la ama. Un concetto che per molti versi le è
ancora del tutto sconosciuto.
In
tutto questo, e molti ne saranno stati contenti, Eden ha finalmente
ricordato di essere una madre e che quindi il suo primo pensiero
dovrebbe essere sua figlia. Nient'altro. Su questo tipo di amore non
ha alcun dubbio. Ecco perché ora si affretta a tornare a
Chicago.
Vi
preannuncio che però non sarà così semplice ;)
Un'ultima
nota per quanto riguarda il personaggio di Blake. Finalmente è
arrivato il suo momento! Finora potete aver pensato che sia solamente
una stronza iperprotettiva, ma vi assicuro che ha i suoi buoni
motivi. E se non si è capito dal suo discorso con Davis (lo so
che non si è capito ahimè ù_ù), si capirà
nella seconda parte quando lei ed Eden avranno finalmente occasione
di confrontarsi.
Mamma
mia quanto ho parlato! Scusatemi. Voglio solo concludere dicendo
grazie a tutti, in particolare a Kicici e Mividam che hanno aggiunto
questa storia alle seguite!
Per
CINZIA818: devo innanzitutto dire che ogni volta mi sorprendo
della tua rapidità! E poi, come sempre, grazie! Il fatto che
tu perda cinque minuti del tuo tempo per recensire significa davvero
tanto per me! Siete la mia motivazione! Vuoi sapere se c'è
qualcos altro dietro la storia del testamento? Posso dirti che
effettivamente non è tutto come sembra, ma non aspettarti
grandissimi colpi di scena ;) Nel prossimo capitolo capirai.
Per
quanto riguarda McPhee, credo che effettivamente sia lui l'unico vero
personaggio negativo della storia. Ma non posso dirti ancora se
raggiungerà il suo scopo! A presto e grazie ancora!!
Per
MEREDITH91: ciao! Grazie mille
della solita gentilezza. Troppi complimenti che non credo di
meritare! Comunque ti ringrazio davvero tanto! Spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto anche se lasciato un po' in sospeso. Anche
per me Davis è uno dei preferiti, ma stavolta ho lasciato la
scena a Dair. Era ora che tornasse in pista anche lui! Non posso
dirti se Eden ami ancora Davis o meno (direi che a questo punto non
lo so nemmeno io! O_O), ma come avrai capito da questo capitolo, per
Eden l'amore non è un concetto molto chiaro. E questo è
il suo più grande problema.
Riguardo
a McPhee sono più sicura, certamente lui è il cattivo
della situazione! E adesso ha anche un'arma contro il povero Dair...
Che succederà? Continua a leggere e lo saprai! ;) Scherzi a
parte, grazie di nuovo e a presto, sperando di non deluderti mai!
p.s.
Ho creato un trailer video, ma non è ancora finito. Lo posterò
da qualche parte appena fatto!
Per
MIVIDAM: ciao! Ho letto il tuo
profilo ed ho capito subito che sei una che se ne intende ;) Quando
ho visto che hai aggiunto la mia storia alle seguite mi sentivo già
onorata, ma dopo la tua recensione, sono stata veramente felice!
Prima di tutto grazie di aver letto e, soprattutto, di aver trovato
il tempo di recensire.
Credo
che tu abbia davvero capito quello che sto cercando di scrivere tra
le righe. E' solo un tentativo, ma ogni personaggio dovrebbe avere la
sua caratterizzazione e pertanto, giocare un ruolo del tutto
personale nella vicenda. Non è facile, ma sto cercando di dare
ad ognuno di loro zone di luce e zone d'ombra, affinché
nessuno risulti scontato e soprattutto perché siano il più
umani possibile. Come ho scritto sopra, il concetto base della storia
è proprio la simmetria. L'esistenza è un continuo
oscillare tra opposti, ma credo che la realtà sia che
preferiamo tutti restare nel mezzo.
Sono
contenta che hai apprezzato i flash back. Oltre ad essere la mia
figura retorica preferita, credo che spiegare gli avvenimenti del
passato (o almeno qualche momento saliente) sia fondamentale per
comprendere il personaggio e le sue vicende attuali. E credo che ne
userò altri nei prossimi capitoli.
Per
quanto riguarda lo stile sono d'accordo con te e ti spiego anche il
motivo. Scrivere mi è sempre piaciuto e l'ho sempre fatto, ma
spesso sono stata ripresa proprio per la mia prolissità!^_^
Per questo stavolta ho deciso di provare a mantenermi al minimo,
anche se non mi è facile! Qualche volta mi capita di non saper
racchiudere un concetto in poche parole e allora finisce che lo
esprimo con una sola parola, anche se chiaramente non è
abbastanza!
Vorrei
che chi mi legge potesse immaginare i dettagli delle scene seguendo
la propria immaginazione, ma mi rendo conto che senza qualche
indicazione diventa difficile!
Ultima
cosa, grazie per la dritta sull'ortografia! Non mi fiderò mai
più del dizionario di word!! Per quanto io scriva e legga, a
volte mi lascio ancora prendere da certe incertezze banali e le
trasformo in dubbi amletici... In fondo o infondo? Pergiunta o per
giunta? Sarò contentissima se avrai la pazienza di
riprendermi! Sia per quanto riguarda l'ortografia che la consecutio
temporum, se non ti dispiace.
Consigliare
la mia storia nel tuo sito? Sarebbe un onore! Spero davvero che
andando avanti non ti deluderò. E se troverai il tempo e la
voglia di recensire ancora, sarò contentissima! Grazie di
nuovo di cuore. Alla prossima! -Martina-
p.s.
Sì, ci sono delle immagini all'inizio dei capitoli, ma non in
tutti. Quando ho tempo mi diverto a creare delle “locandine”
(chiamiamole così ^^) per la storia col photoshop. Visto che
ho dato ad ogni personaggio il volto di un attore famoso, uso un po'
di foto e ricreo un'immagine adatta al capitolo. Mi dispiace che non
riesci a vederle!
|
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Capitolo 16 *** Love is What is All About II ***
capitolo15
CAPITOLO
15
LOVE
IS WHAT IS ALL ABOUT
parte
II
“Hold
me when I'm here
Right
me when I'm wrong
Hold
me when I'm scared
And
Love me when I'm gone...”
When
I'm gone – 3 doors down
“Sono
quasi certa che quello che sto facendo
mi
rende a tutti gli effetti una vigliacca.
Sto
scappando. Non c'è altro modo per dirlo.
Spero
solo che tu riesca a capire.”
Eden
sospirò continuando a rileggere quelle specie di lettera
“Quando
Davis e gli altri domani usciranno di casa,
tu
vattene, più lontano e veloce che puoi.
Se
credi, porta Payne con te.
Spiegale
tutto, sono sicura che capirà.
O
almeno lo spero tanto.”
“Ti
chiedo solo di stare molto attento.
E
di essere sicuro che siano lontani da qui
prima
di fare qualsiasi cosa.”
La
sua sicurezza sembrò vacillare per un secondo
“Immagino
sia un addio.
Grazie
di tutto.
Ricordati
sempre che ti voglio bene e, se puoi,
perdonami.”
Eden
Piegò
in tutta fretta il foglio per non avere ripensamenti.
Era
il suo ultimo messaggio per Tyler.
Prima
di andare via doveva essere certa che lui avesse modo di scappare.
Non
meritava la galera.
Non
lui. E probabilmente nemmeno Payne.
In
quanto agli altri, nonostante le fitte continue allo stomaco
tentassero di suggerirle il contrario, non c'era dubbio che avessero
colpe da scontare.
Strinse
il messaggio tra le mani un'ultima volta.
Blake
attendeva il suo segnale.
Non
aveva troppo tempo.
Per
fortuna.
Scivolò
silenziosa nella stanza di Tyler ed infilò la busta sotto il
suo cuscino.
Di
lì a qualche ora l'avrebbe letto.
Non
restava altro da fare, almeno in teoria.
Eden
chiuse la porta delicatamente e, cercando di essere il più
leggera possibile, attraversò il corridoio.
La
porta dello studio di Davis era socchiusa.
Cosa
molto insolita.
Il
suo primo istinto fu di passarci davanti come un fulmine, ma i suoi
passi rallentarono senza controllo.
Si
ritrovò a guardare dritta in quello spiraglio.
Davis
era seduto al suo tavolo.
Gli
occhi immersi nello schermo del pc.
The
Silent Man in sottofondo.
La
colonna sonora piuttosto triste strideva con la bottiglia di Dom
Perignon accanto a lui.
Che
volesse già festeggiare?
Eden
avrebbe voluto sorridere al pensiero di cosa stava per succedere, ma
nessun muscolo del suo viso si contrasse.
C'era
un uomo così diverso davanti a lei.
Così
assorto nei suoi pensieri da sembrare totalmente indifeso.
Eden
si chiese se fosse il caso di dirgli qualcosa.
Di
mascherare il suo addio ed entrare per l'ultima volta in quella
stanza.
Un
brivido le percorse la schiena.
Non
aveva più parlato con lui.
Né
lui con lei.
Si
rese improvvisamente conto di non avere niente da dire.
Non
poteva dirgli addio.
Non
poteva scusarsi.
Non
poteva dirgli che l'amava.
E
mai gli avrebbe detto che avevano una figlia.
Ogni
volta che quel pensiero le attraversava la mente si sentiva una
persona peggiore.
Ma
non poteva farne a meno.
Davis
era pericoloso, viveva una vita allo sbando, non avrebbe mai potuto
offrire amore e sicurezza alla sua bambina.
Non
poteva offrirne a nessuno probabilmente. Non davvero.
Ironia
del destino.
Cinque
anni prima, se avesse saputo di dover dire addio a suo marito,
avrebbe parlato per ore.
Oggi,
pur sapendo che non l'avrebbe mai più visto, non riusciva a
schiudere le labbra.
Ma
non era contenta.
Non
lo era affatto.
Ancora
una volta accarezzò i suoi lineamenti con lo sguardo.
C'era
così tanto di lui in sua figlia.
Il
sorriso. L'aria imbronciata e pensierosa.
Quella
sorta di irresistibile fascino naturale.
Chissà
se un giorno Sophia l'avrebbe odiata per quello che stava facendo.
Così
come Eden aveva odiato sua madre per non averle fatto conoscere suo
padre.
Un
errore di gioventù, un sociopatico alcolizzato. Questo le
aveva detto.
Guardando
meglio si chiese se un giorno sarebbe stata come lei.
Forse
lo era già.
Eden
scosse la testa senza nemmeno rendersene conto.
Combatteva
contro i suoi stessi pensieri.
Sophia
avrebbe saputo chi era suo padre. Non nei dettagli forse, ma di certo
le avrebbe raccontato di come si erano conosciuti e innamorati.
Sì.
Sophia avrebbe saputo che loro si amavano.
Davis
non era stato solo un errore.
Forse
Eden pensò troppo forte, così forte che i suoi pensieri
arrivarono fino a Davis.
Lui
alzò gli occhi all'improvviso.
Incrociò
i suoi.
Non
si mosse.
Rimase
a fissarla in silenzio, per un tempo che sembrò infinito.
Eden
sentì arrivarle il cuore in gola.
Realizzò
improvvisamente che era l'ultima volta.
E
non solo l'ultima volta che lo guardava.
Era
già certa che mai, mai e poi mai in vita sua, si sarebbe di
nuovo sentita così.
Strinse
i pugni.
Inchiodò
le sue emozioni a quella porta.
Avrebbe
ricordato solo quel momento.
Quegli
occhi scuri che brillavano contro i suoi.
Tutto
il resto l'avrebbe rinchiuso in una scatola e sotterrato nelle
profondità della sua anima.
Davis
si mosse appena.
Eden
decise immediatamente di andare verso il salotto.
“Sei
pronta?”
La
intercettò Blake con una certa ansia in viso.
“André
è fuori e i due piccioncini li ho mandati in cucina. Dobbiamo
muoverci.”
Non
aveva paura che gli altri le scoprissero.
Aveva
paura che Eden ci ripensasse.
Ma
non era nei suoi piani.
“Ok.
Andiamo.”
Rispose
Eden con un filo di voce.
La
borsa ben stretta tra le mani e tutta la sua determinazione nelle
gambe.
In
ascensore Blake non disse una parola.
E
nemmeno lei.
Attraversarono
la hall a grandi falcate.
“Signora
Miller!”
Fu
come se una lama le si conficcasse nelle orecchie.
“Signora
Miller!”
Il
portiere, stretto nella sua stupida uniforme blu, sembrava
rincorrerla goffamente.
Dovette
fermarsi.
Lui
arrivò col fiato corto.
Stringeva
tra le mani una busta gialla.
“Hanno
appena consegnato questa per lei. Stavo per venire a portargliela.”
Eden
aggrottò le sopracciglia. Posta per lei?
Afferrò
l'involucro con un movimento incerto.
Non
era sigillata.
Sollevò
il lembo di carta ed infilò le dita nella carta.
Scorrendo
con gli occhi la prima riga non poté non stupirsi di quanto
fosse rapida la burocrazia criminale.
Istanza
di divorzio
Era
passato appena un giorno.
E
lei se ne era già dimenticata.
“Tutto
ok?”
Di
nuovo la voce di Blake la riportò alla realtà.
Era
un bene che Blake la volesse fuori di lì più di quanto
non volesse lei stessa.
Eden
richiuse di fretta la busta e la infilò nella borsa.
“Sì,
sì. Andiamo.”
Ripresero
i passi veloci sul pavimento lucido della hall.
Blake
le stava davanti.
Aveva
già richiesto che le portassero la sua auto.
Eden
seguiva la sua ombra cercando di non pensare ad altro che al ritmo
dei loro tacchi.
Doveva
resistere ancora per un po', giusto il tempo di arrivare alla
stazione.
Era
sicura che una volta scesa dall'auto di Blake, tutte le sue
incertezze sarebbero sparite.
Avrebbe
preso l'autobus fino al JFK.
E
due ore dopo avrebbe rivisto sua figlia.
Allora
sì che sarebbe stato di nuovo tutto a posto.
Salì
sulla BMW di Blake senza dire una parola.
Fu
lei a parlare appena voltato l'angolo.
“Cosa
vuoi che dica?”
“Come?”
“Quando
si accorgeranno che te ne sei andata. Cosa vuoi che dica?”
Eden
sospirò.
“Dì
che è stata una mia idea. Che non volevo più vivere
così e soprattutto che non voglio più essere cercata.”
Blake
annuì mentre si immetteva nel traffico della via principale.
Le
luci di New York si riflettevano sul parabrezza.
La
città era più viva che mai, anche se il sole era
calato.
Eden
seguì i profili dei palazzi e le sagome indistinte dei tanti
passanti.
Non
c'era motivo di dire addio anche alla sua città.
Eppure
sentiva che non l'avrebbe mai più guardata con gli stessi
occhi.
Adesso
era solo una bugiarda, una spia dell'FBI.
Tra
qualche ora sarebbe stata una donna quasi libera.
Una
traditrice.
“Adesso
siamo solo io e te...”
Iniziò
Blake senza distogliere gli occhi dalla strada
“...Puoi
dirmi la verità.”
Eden
si voltò verso di lei con espressione incerta
“Quale
verità?”
“La
vera ragione per cui stai scappando. E non dirmi che è quello
che hai sempre voluto perché non me la bevo.”
Un
brivido freddo le attraversò le gambe.
Aveva
fatto troppo affidamento sul suo risentimento.
Non
sapeva cos'altro dire.
Non
aveva scusa migliore della verità.
Eden
riportò gli occhi fuori dal finestrino prima di parlare.
“So
del testamento.”
Disse.
Con lo stesso tono con cui avrebbe potuto dire qualsiasi altra cosa.
Blake
aggrottò le sopracciglia
“Cosa?”
Eden
continuò a fissare la città che scorreva veloce.
“Ho
origliato le vostre conversazioni.”
Mentì.
Era
diventata una maestra nel manipolare le sue stesse menzogne.
“Quindi
ora sei anche una spia.”
Il
tono di Blake lasciava intendere una certa rabbia.
Ma
non quella che Eden si aspettava.
“Volevo
solo sapere cosa stava succedendo.”
Tentò
di giustificarsi.
La
calma apparente che ancora regnava nell'auto era più
inquietante dei loro segreti celati.
Blake
non rispose.
Accelerò
e basta.
Eden
voleva sapere.
Sentiva
il bisogno di finire quella conversazione.
Forse
Blake poteva darle una spiegazione, per quello che valeva.
“Domani
erediterete il patrimonio di famiglia quindi.”
Di
nuovo Eden usò quel tono neutro.
Riusciva
ancora a nascondere bene il suo vero stato d'animo.
Sul
viso di Blake apparve una piccola smorfia.
“Vi
ho ascoltato maledire quel denaro per anni...”
Continuò
Eden, mentre la calma iniziava a vacillare
“...Non
ti nascondo che sono delusa.”
Ancora
nessuna risposta.
“Siete
cambiati così tanto... Non sarei mai potuta restare.”
Concluse.
A
quel punto sentì Blake ridere.
Non
era una risata ironica.
Suonava
sorprendentemente sincera.
“Non
è divertente.”
La
ammonì Eden.
Quella
reazione era quasi offensiva.
“Sì
che lo è.”
“Perché?”
L'auto
rallentò appena.
Blake
distolse gli occhi dalla strada.
“Noi
non vogliamo quei soldi.”
Rispose
con una naturalezza disarmante.
Eden
sembrò totalmente spiazzata.
“Non
capisco. Ho visto l'avvocato, so che avete appuntamento col notaio.”
Di
nuovo Blake sorrise.
E
di nuovo la guardò
“Sei
sicura che te ne stai andando?”
Eden
annuì
“Per
sempre?”
Annuì
di nuovo.
La
ragazza dai lunghi capelli scuri sembrò rilassarsi contro il
sedile.
“Tanto
vale che te lo dica allora.”
Eden
rimase in silenzio ad aspettare.
Blake
prese fiato
“So
bene che non sei un genio della finanza, per cui cercherò di
spiegartelo in maniera semplice...”
Iniziò.
Le
mani ben ferme sul volante.
“Domani
tutti i capitali dell'impero Van der Wiel verranno ceduti alla V
corporation, una società informatica
fittizia con sede legale in California fondata da alcuni amici...”
Eden
non riusciva a seguirla
“...Quando
domani il loro patrimonio verrà quintuplicato, le azioni
saliranno alle stelle. E' quasi un peccato che la società sia
destinata alla bancarotta.”
Eden
cercò inutilmente di rimettere insieme le sue conoscenze in
campo finanziario.
“Ancora
non capisco.”
Dovette
ammettere.
Blake
sospirò
“Mai
sentito parlare di trasferimento fraudolento di beni? Insider
Trading? Truffa societaria?”
Stavolta
Eden tentò alcuna risposta.
Era
chiaramente una domanda retorica.
“Ok.
Te lo spiego in parole povere. Tutti i soldi di mio nonno finiscono
nelle casse della V e dei suoi ignari azionisti. Tra un paio di mesi
la società dichiara la bancarotta. E poco conta che sia
fraudolenta, visto che in realtà la società non sarà
mai esistita...”
Blake
sorrise di nuovo.
Stavolta
di gusto.
“...Tutto
il suo denaro andrà magicamente in fumo e gli immobili
diventeranno proprietà della contea, probabilmente. Quello che
conta, comunque, è che nel giro di un paio di mesi il nome di
Anthony Van der Wiel sarà completamente distrutto... E noi
saremo finalmente liberi.”
Ok.
Adesso forse è più chiaro.
Eden
scosse la testa.
“Io
credevo che...”
Era
quasi imbarazzata a dirlo.
Blake
la sollevò dal problema.
“Cosa?
Che avremmo preso i soldi del vecchio e ballato sulla tomba di nostra
madre?”
Non
esattamente la scena che Eden aveva immaginato, ma ci andava vicino.
Sì
sentì una stupida.
Una
perfetta idiota.
Blake
scosse la testa
“E'
così tipico di te.”
Stavolta
il suo tono era sdegnante.
Eden
chiuse le palpebre per un paio di secondi.
“Che
vuoi dire?”
Lei
sollevò appena le spalle
“Ti
perdi nelle apparenze. E' questo il tuo problema. Lo è sempre
stato.”
Quattro
parole per definire il suo problema. La sua nevrosi.
Quattro
semplici parole.
“Per
questo non ho mai pensato che fossi adatta a Davis.”
Eden
cercò di assimilare quella sentenza.
Blake
non aveva tutti i torti.
Di
certo era saltata alle conclusioni troppo in fretta.
E
non era la prima volta.
“Che
intendi dire?”
Chiese
timidamente con un filo di voce.
Non
era sicura di voler ascoltare la sua spiegazione.
“Non
è davvero colpa tua. E' la tipica educazione da quartieri
alti.”
Voleva
essere una rassicurazione?
Una
giustificazione forse?
Eden
rimase in attesa.
“Guarda
in faccia la realtà per una volta in vita tua...”
Iniziò
Blake.
Aveva
tutta l'aria di uno di quei momenti.
Quei
momenti in cui finalmente qualcuno ti apre gli occhi.
E
distrugge tutti i tuoi castelli di sabbia.
“Ti
sei innamorata del ragazzo ribelle, quello con cui tutte le ragazze
del liceo volevano uscire... Ti sei innamorata del rischio, della
trasgressione, dell'idea di fare qualcosa che tua madre non avrebbe
mai approvato.”
Blake
fece una pausa mentre svoltava a sinistra.
Non
era suo solito parlare così a lungo.
E
anche alle orecchie di Eden quella voce arrivava come qualcosa di
insolito.
E
le sue parole come qualcosa di incomprensibile.
Era
come se Blake stesse finalmente svelando il suo vero ruolo.
L'osservatore
muto che per anni ha letto tra le righe.
Vedendo
quello che tutti gli altri preferivano ignorare.
Le
luci della Grand Central brillarono in fondo alla strada.
“La
mia domanda è questa Eden...”
Rallentando
il ritmo di marcia Blake si concesse di guardarla
“...Ti
sei mai innamorata davvero di mio fratello?”
Lei
ricambiò lo sguardo.
Le
sue labbra si schiusero.
“Hai
mai amato l'uomo che si nasconde dietro la bottiglia di scotch e lo
sguardo da duro? L'hai mai neanche conosciuto quell'uomo?”
Sì.
La
risposta esatta da dare era sì.
Eden
spinse aria nei polmoni, ma nulla venne fuori, come se le sue corde
vocali fossero paralizzate.
Abbassò
il viso.
Cercò
ti tornare in possesso delle sue capacità fonatorie.
Blake,
dall'altro lato, rimase rilassata.
Quella
reazione non aveva nulla di sorprendente per lei.
“Non
affannarti a cercare la risposta giusta. Sappiamo tutte e due che se
fosse sì non avresti già crocifisso mio fratello sulla
base delle tue supposizioni.”
Il
silenzio fu interrotto dal ticchettio dell'indicatore di direzione.
Erano
arrivate.
Blake
le rivolse finalmente un vero sguardo.
Ora
il suo risentimento era chiaro.
Stampato
a caratteri cubitali sul suo viso.
Accompagnato
da quell'espressione esasperata.
Il
momento delle confessioni era finito.
Ora
doveva scendere e sparire.
Eden
però sapeva di dover dire qualcosa.
Non
poteva andarsene senza ribattere a quelle accuse.
Accuse
insensate per di più.
Dio
sapeva quanto aveva amato Davis.
Tanto
da lasciare tutto. Da rinnegare ogni cosa.
Tanto
da dare la sua vita per lui.
Non
aveva valore tutto questo?
Di
nuovo prese aria per poter finalmente rispondere.
“Andartene
è la cosa migliore che tu possa fare. Per lui e per tutti.”
Blake
l'anticipò sputando la sua ultima sentenza.
Distruggendo
una volta per tutte ogni sua intenzione di ribattere.
Eden
mandò giù le parole che non aveva detto.
Strinse
la maniglia dello sportello e venne fuori dall'auto più veloce
che poteva.
“Addio.”
Disse
in un sussurro mentre sbatteva la portiera.
L'unica
risposta di Blake fu il rombo del motore mentre sfrecciava via.
Eden
guardò la sua auto scura sparire tra le altre.
In
un attimo fu sommersa dal rumore dei taxi e dal chiacchiericcio dei
viaggiatori.
Era
sola.
Prese
più aria che poteva, mentre una strana sensazione le riempiva
il petto.
Era
finalmente sola.
---------------
La
stanza era insolitamente piena di agenti.
A
Dair non piaceva essere il centro dell'attenzione.
Ma
la situazione imponeva il massimo della professionalità.
Era
lui a guidare le danze.
Guardò
i suoi schemi disegnati alla bene e meglio sulla lavagna bianca.
Scorse
uno ad uno i volti che lo avevano seguito con attenzione.
Aveva
spiegato ogni cosa nei minimi particolari.
Il
piano era chiaro.
Errori
non erano ammessi.
“Potete
andare adesso.”
Le
sedie stridettero contro il pavimento.
Agenti
e federali sparirono l'uno dietro l'altro.
Solo
McPhee rimase impalato nel suo angolo mentre Dair continuava a
fissare la lavagna.
“Devo
ammetterlo...”
Esordì
“...La
bambolina mi ha sorpreso. Non credevo davvero che sarebbe arrivata
fino in fondo. Buon per te.”
Il
suo tono suonava gioviale.
Il
suo viso lasciava intravedere tutta la rabbia malcelata.
Dair
aveva ormai imparato a lasciarsi scivolare addosso i suoi commenti.
Rimase
di spalle.
“Cerca
di concentrarti solo sull'operazione per favore.”
Rispose
secco.
McPhee
si leccò le labbra
“Sembra
che i tuoi piani romantici potranno realizzarsi dopo tutto.”
Dair
sentì un pugno nello stomaco.
“...Non
è solo per questo che io ti amo.”
Quelle
parole risuonarono di nuovo nella sua testa.
Accompagnate
dallo stesso imbarazzo.
Se
non fosse stato un uomo adulto in compagnia di un collega, si sarebbe
concesso di arrossire.
“Lasciami
in pace McPhee.”
Gli
chiese.
Avrebbe
voluto essere un ordine, ma suonò come una richiesta
disperata.
Quell'uomo
riusciva sempre a toccare i suoi nervi scoperti.
“Stavo
solo cercando di essere gentile.”
Precisò
lui alzando le mani.
Si
stava rodendo il fegato, ma non poteva di certo darlo a vedere.
Sperava
ancora in un passo falso di qualcuno.
Avrebbe
ottenuto quello che voleva, in un modo o nell'altro.
“Vado
a vedere cosa combinano questi stupidi agenti di New York. Ci vediamo
più tardi.”
McPhee
fece un cenno con la mano anche se Dair non poteva vederlo.
Lasciò
la stanza senza ulteriori commenti.
Dair
si rilassò appena.
Doveva
restare concentrato su quegli schemi d'azione, ma nella sua testa
l'unica immagine chiara era quella di Eden.
E
la sua espressione ferita.
Stupido.
Stupido Dair.
Scosse
la testa con forza.
Il
piano era più importante.
Di
nuovo ripassò a mente tutte le sue fasi.
Immaginò
il momento in cui avrebbe stretto le manette intorno ai polsi di
Davis Miller.
Non
rappresentava più il momento più importante della sua
carriera.
Quell'attimo
valeva la sua vittoria.
Eden
sarebbe stata sua. Sua e basta.
Si
massaggiò le tempie per qualche istante.
La
sua professionalità stava andando a puttane.
E
mai prima di quel momento qualcosa era valsa più del suo
lavoro.
Forse
McPhee aveva ragione dopo tutto.
Tolto
Davis dal quadro le cose sarebbero tornate a posto.
Eden
avrebbe patteggiato la libertà vigilata per il resto della
pena.
E
lui le sarebbe stato vicino.
Ecco.
Lo stava facendo di nuovo.
La
vibrazione del telefono in tasca arrivò come un allarme a
segnalare che stava nuovamente divagando dalla realtà.
Afferrò
il cellulare aspettandosi l'ennesimo comando di servizio, ma trovò
un messaggio che non si aspettava di certo.
Sto
tornando a Chicago.
Spero
tu possa capire.
PS
fa' attenzione a McPhee,
non
credo che dovresti
fidarti
troppo di lui.
Eden
Mise
meglio a fuoco sperando di aver letto male.
Non
era una visione, quel messaggio c'era davvero.
Tornare
a Chicago?
Non
era nei piani.
Eden
doveva restare lì, fare la sua parte, aspettare che
l'operazione venisse conclusa.
Dair
afferrò con più decisione il telefono e spinse il tasto
di chiamata.
Poteva
capire. Voleva capire.
Ma
quel gesto avventato non avrebbe portato nulla di buono.
-------------
Eden
sgranò gli occhi mentre il numero le lampeggiava davanti agli
occhi.
Non
si aspettava quella telefonata.
Si
era appena seduta sull'autobus che l'avrebbe portata al JFK e già
non sopportava più quel denso odore di polvere e profumo da
uomo.
Dair
si sarebbe arrabbiato.
Avrebbe
cercato in tutti i modi di fermarla.
E
probabilmente l'avrebbe anche convinta.
Non
poteva rispondere.
Eden
ignorò la chiamata.
Due
volte.
Decise
allora di spegnere definitivamente quel maledetto cellulare e
ficcarlo in fondo alla sua borsa.
Quando
infilò la mano nella sua chanel ricordò di colpo cosa
ci aveva già nascosto.
Il
giallo della busta le sembrò improvvisamente così
insopportabile da ferirle gli occhi.
La
tirò fuori lentamente.
La
aprì e sfilò piano i documenti.
Nella
penombra dell'autobus non era facile leggere, ma quei piccoli
caratteri spiccavano con forza sulla carta candida.
Istanza
di divorzio
Matrimonio
di
Coniuge
Richiedente: Eden Spencer Miller
Coniuge
Convenuto: Davis Miller
Non
c'era bisogno di andare oltre.
Non
era difficile da capire.
Due
semplici firme ed un matrimonio finisce.
Poco
importa aver giurato davanti a Dio di restare insieme fino alla
morte.
In
fin dei conti era già parecchio in credito con Dio, uno sgarro
in più non avrebbe peggiorato troppo la situazione.
Eppure
qualcosa le faceva tremare le mani.
Quella
scelta era profondamente sbagliata.
Fallimentare,
forse.
Lei
ci aveva creduto. Davvero.
Si
era sposata a diciannove anni convinta che sarebbe durata fino alla
fine.
Finché
morte non ci separi.
******
Una
grande chiesa gremita di gente in abito elegante.
Gigli
bianchi e spighe dorate ad adornare la grande navata.
Il
suono vagamente triste dei violini ad accoglierla.
Un
abito lungo con lo strascico e le lacrime di sua madre.
Così
Eden aveva sempre immaginato il suo matrimonio da bambina.
Mentre
cercava di ascoltare le parole dell'anziano prete provava ad
immaginarlo di nuovo, ma non aveva più lo stesso fascino.
Quel
giorno per lei c'era solo una piccola chiesetta sperduta nel
Connecticut.
Una
cerimonia veloce.
La
musica stridente dell'organo suonato da una vecchia signora.
Un
bouquet di rose ed un semplice abito bianco senza strascico.
Sua
madre l'aveva cacciata da casa e c'erano solo quattro invitati.
Eppure
si sentiva in cima al mondo.
L'unica
persona che contava per lei era quella che aveva vicino.
Davis
le teneva la mano.
E
ogni tanto le lanciava un'occhiata.
Gli
brillavano gli occhi.
Il
prete si schiarì la voce richiamando la loro attenzione
“Davis
Miller...”
Iniziò
con tono solenne
“...Vuoi
tu prendere la qui presente Eden Spencer come tua legittima sposa per
esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, in salute ed in
malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non
vi separi?”
Quell'attimo
di silenzio durò un'eternità.
Davis
strinse la presa intorno alla sua mano.
Riuscì
a guardarla dritto negli occhi.
“Lo
voglio.”
Rispose.
La
sua voce profonda tremò appena.
Un
timido sorriso si aprì sul suo viso.
“E
tu Eden Spencer...”
Eden
rispose a quel sorriso.
Il
cuore le esplodeva nel petto e non riusciva quasi più a
credere che lo stavano facendo davvero.
“...vuoi
prendere il qui presente Davis Miller come tuo legittimo sposo per
essergli fedele sempre, nella gioia e nel dolore, in salute e in
malattia, in ricchezza e in povertà, finché morte non
vi separi?”
“Lo
voglio.”
Rispose.
Ma
non riusciva a crederci.
Non
aveva mai provato un'emozione così intensa.
Payne
si affacciò timidamente alle loro spalle stringendo le fedi
nella mano.
Piangeva
così tanto che il mascara le era colato su tutto il viso.
Aveva
un debole per i matrimoni.
Davis
infilò l'anello al suo dito.
Eden
ricambiò il gesto.
Tremava
per l'emozione, non certo per paura.
Nell'avventatezza
di quel gesto, nella loro giovane età e nell'incertezza del
loro futuro non c'era nulla di spaventoso.
Sarebbero
rimasti insieme per sempre.
Contro
tutto e contro tutti.
“Col
potere conferitomi dalla chiesa di Dio vi dichiaro marito e moglie.
Non osi separare l'uomo ciò che Dio unisce.”
Eden
non riuscì a trattenere quel sorriso dall'esplodere.
Il
più spontaneo della sua intera vita.
Davis
la strinse a sé poggiando la bocca sulla sua.
Il
loro primo bacio da marito e moglie.
Lui
sorrise contro la sua bocca.
“Ti
amo signora Miller.”
Eccole.
Le due parole più belle del mondo.
Signora
Miller.
“Ti
amo anch'io.”
--------------------
Gli
altri attendevano fuori già pronti a lanciare il riso, come da
tradizione.
Perfino
André aveva il sorriso stampato in faccia mentre ricopriva il
suo migliore amico di chicchi bianchi.
Payne
rideva tra le lacrime.
Tyler
la abbracciò tanto forte da toglierle il respiro.
Aveva
definito l'accompagnarla all'altare come il più grande onore
della sua vita.
E
lui era stato il miglior sostituto di padre possibile.
Eden
non avrebbe voluto nessun altro.
Blake
corse ad abbracciare suo fratello.
Non
era d'accordo col matrimonio, ma non riuscì a resistere.
Quel
giorno aveva di certo qualcosa di magico.
La
magia di due persone che si uniscono per sempre.
La
magia di una promessa solenne.
Finché
morte non ci separi.
******
Finché
morte non ci separi.
Eden
riuscì a sentire quell'emozione riecheggiare dentro di lei.
Riuscì
ad assaporarla di nuovo per un secondo.
Non
era mai stata più felice.
Né
più innamorata.
Blake
si sbagliava a credere il contrario.
Lei
conosceva bene l'uomo che aveva sposato.
E
lo amava.
Aveva
ascoltato tutti i racconti del suo passato.
E
tutti i progetti del suo futuro.
Aveva
riso con lui davanti ad uno stupido film.
E
l'aveva stretto forte a sé quando aveva bisogno di piangere.
Era
rimasta in silenzio ad ascoltare per ore.
E
notti intere sveglia a guardarlo dormire.
L'unico
momento in cui smetteva davvero di combattere coi suoi fantasmi.
Il
momento in cui i suoi tratti si rilassavano e poteva finalmente
vederlo sereno.
Aveva
sopportato le sue urla e le sue critiche, anche se ingiuste.
E
gliele aveva perdonate tutte.
Eden
sospirò sentendosi costretta a trattenere le lacrime.
Peccato
essere già lontana da tutti.
Peccato
non poter più ribattere alle accuse di Blake.
Fissò
il suo riflesso nel finestrino.
La
sua espressione diametralmente opposta a quella che aveva visto nei
suoi ricordi.
Quelle
sensazioni lontane anni luce.
Da
anni cercava vendetta.
Da
mesi sosteneva di star facendo la cosa giusta.
E
per tutto quel tempo, mai un secondo, si era sentita bene.
Mai
felice.
Mai
appagata.
Mai
pulita.
Inspirò
profondamente.
Poteva
davvero fare quello che stava facendo?
Poteva
davvero andare fino in fondo e distruggere l'esistenza all'unico uomo
che avesse mai amato?
Era
giusto ripagare tutto quell'amore col tradimento?
Ancora
una volta sentì su di sé quei maledetti quattro colpi.
D'istinto
portò la mano lì dove l'avevano colpita.
Non
facevano più alcun male.
Tutto
il dolore era passato.
Un
pensiero del tutto nuovo le attraversò la mente.
Per
anni aveva accusato Davis di averla abbandonata, ma non si era mai
fermata a guardare oltre quei ricordi confusi.
Oltre
il terrore della morte.
Lo
amava.
Non
avrebbe mai voluto vederlo morire con lei.
Se
avesse potuto guardare quella scena dal di fuori sarebbe stata lei
stata ad urlargli di scappare.
Di
salvarsi.
Di
ricominciare.
Le
parole di Blake risuonarono ancora.
“E'
questo il tuo problema... Ti perdi nelle apparenze.”
Aveva
ragione.
Si
era persa allora.
E
si stava perdendo adesso.
Davis
non voleva i soldi di suo nonno.
Voleva
solo liberarsi dei suoi fantasmi.
Dimenticare
tutte le volte in cui si era sentito abbandonato ed insignificante.
Un
colpo allo stomaco fermò il respiro di Eden.
Tutto
il suo mondo si bloccò per un istante.
La
realtà la colpì dritta in faccia.
Aveva
solamente due scelte possibili davanti a lei.
Zittire
quelle emozioni, volare da sua figlia e far finta di niente per tutto
il resto della sua esistenza.
Oppure
sotterrare il passato, tornare indietro e, per una volta, sputare
tutta la verità in faccia a Davis.
La
risata di un bambino la risvegliò da quel dilemma.
Era
seduto due sedili più in là, accanto a sua madre.
Insieme
ridevano chissà per quale storia.
I
suoi piccoli occhi chiari luccicavano nell'oscurità.
D'improvviso
Eden non ebbe più alcun dubbio.
Tra
le due vie possibili, scelse la terza.
Frugando
di fretta nella borsa tirò fuori il telefono.
Lo
accese e compose il numero.
Quella
calma improvvisa la sorprese.
Finalmente
aveva la soluzione.
La
sua unica soluzione.
“Pronto?”
Quella
voce, bassa e sicura, tradiva appena l'incertezza provata davanti ad
un numero che non aveva potuto riconoscere.
Eden
chiuse gli occhi prendendo aria.
“Pronto??”
“Sono
io.”
Riuscì
finalmente a rispondere.
Non
si era data il tempo di trovare le parole adatte.
“Eden?”
Stavolta
Davis suonò sinceramente sorpreso.
Forse
credeva ancora che lei fosse solo due stanze più in là.
“Sì.”
“Dove
sei?”
Eden
rimase di nuovo in silenzio.
Il
suo vocabolario sembrava d'improvviso non avere abbastanza parole.
“Devo
dirti una cosa e te la dirò una volta soltanto per cui
ascoltami bene ok?”
Le
sembrò di vedere chiaramente l'espressione di Davis diventare
scura.
Lui
non rispose nulla.
Rimase
in ascolto come lei le aveva chiesto.
Eden
buttò fuori tutta l'aria.
“Domani
non andare alla lettura del testamento.”
Lui
rimase zitto ancora per qualche istante
“Come
fai a sapere che...”
“Tu
non andarci ok?”
Lo
interruppe Eden.
Voleva
sbrigarsi. Quella convinzione non sarebbe durata troppo a lungo.
“Perché?”
Domandò
Davis.
Adesso
il suo tono si era fatto gelido.
Forse
aveva già capito.
“Perché
troveresti tutta l'FBI ad aspettarti.”
Solo
una breve pausa
“Tu
come lo sai?”
Stavolta
Eden non ebbe dubbi.
Quella
di Davis suonava come una domanda del tutto superflua.
Conosceva
già la risposta.
“Perché
li ho avvertiti io.”
Eden
si morse forte le labbra dopo l'ultima confessione.
Non
si aspettava di sentirlo urlare.
Ma
era terrorizzata dall'idea di cosa avrebbe potuto dirle.
Nulla.
Davis
non disse nulla.
Aeroporto
internazionale JFK. I signori passeggeri sono pregati di scendere.
La
voce gracchiante dell'altoparlante riempì quell'insopportabile
vuoto.
Eden
coprì istintivamente il telefono con la mano.
Ma
forse lui aveva già sentito.
La
linea cadde un paio di secondi più tardi.
“Prego
signorina.”
Un
signore dal viso gentile le fece cenno di passare per prima.
Eden
si sforzò di sorridere per pure educazione.
Afferrò
le sue cose e percorse a grandi passi la breve lunghezza
dell'autobus.
Aveva
un aereo da prendere.
Il
più in fretta possibile.
^^^^^^^
Eccomi!!
Stavolta ci ho messo tanto, lo so, e mi dispiace! Ho dovuto preparare
un lavoro per l'università e mi sono rimessa a dare
ripetizioni, per cui tutto il mio tempo è volato via!! Spero
che abbiate avuto pazienza ^_^
Questo
è il vero capitolo in cui le cose iniziano “finalmente” a
complicarsi... Che ne dite della reazione di Eden? Vi aspettavate di
meglio?? Posso solo dirvi che il mio tentativo in questo capitolo è
stato quello di ribaltare i due fronti opposti.
Davis
e Blake li ho sempre dipinti come i cattivi della situazione, ma in
questo capitolo ho deciso di mostrare la loro “parte di luce”.
Blake non evita Eden per pura antipatia o per gelosia, ha i suoi
buoni motivi e spero che li abbia efficacemente svelati durante il
loro discorso. Tutto quello che ha sempre voluto fare è
proteggere Davis, suo fratello.
In
quanto a Davis si era già capito che aveva buone intenzioni,
ma se avevate dubitato per via del testamento, adesso sapete che non
è poi così avido come sembra. Per lui quei soldi hanno
un valore del tutto simbolico ed è profondamente convinto che
liberandosene, potrà liberarsi anche dei brutti ricordi della
sua infanzia. La sua però, è solo un'illusione.
Per
Eden e Dair vale lo stesso discorso. Dair si è sempre sentito
come un onesto paladino della legge, ma in questa situazione inizia a
fare i conti col proprio egoismo e la propria ambizione. Non è
per fare giustizia che vuole arrestare Davis, ciò che vuole
davvero è toglierlo dalla propria strada per poter arrivare ad
Eden.
In
quanto a lei, i suoi pensieri negli ultimi capitoli hanno seguito
passo passo questo processo di capovolgimento di punti di vista.
Dall'essere una vittima di Davis e del destino è passata ad
essere una bugiarda ed una traditrice. Il discorso di Blake fa
scattare il lei qualcosa, le fa finalmente realizzare che non si è
mai fermata a guardare al di là delle semplici apparenze. E
così può finalmente valutare ogni cosa con occhi
diversi: la storia del testamento, l'idea del divorzio, il suo
rapporto con Davis, la sparatoria di cinque anni prima, la
vendetta...
Paradossalmente,
di fronte a tutti questi fatti, si ritrova proprio lei dalla parte
del torto. O almeno è come l'ho vista io... Potete benissimo
non essere d'accordo con i miei monologhi!! ;)
Detto
ciò, non voglio darvi anticipazioni sul prossimo capitolo,
anche perché spero di aggiornare prima la prossima volta!
Un
grazie a tutti come sempre!! E uno speciale a Supermimmina e
karlettasckr che hanno aggiunto la storia alle seguite!
XCINZIA818:
finalmente risolto il mistero del testamento! O almeno in parte.. Che
dici? Delusa? Se non altro il povero Davis ne guadagna in umanità
ed onestà! Credevi davvero che Eden potesse andarsene così
fregandosene di tutto e tutti? Ovviamente no! ;) Data la forte
tendenza alla paranoia, era normale che avesse all'incirca 850mila
ripensamenti diversi. Alla fine ha scelto l'unica opzione possibile,
anche se non ho ancora spiegato del tutto di cosa si tratta. Comunque
lo saprai presto!
Ahimè
Blake non ha ancora scoperto di Sophia, ma credimi, qualcun altro lo
scoprirà presto! A parte questo spero di aver reso l'idea nel
mostrare i veri pensieri di Blake, ma del resto avevi già
capito dal capitolo precedente!^_^ Grazie mille di nuovo e come
sempre! A presto! Un bacio, Martina.
XMEREDITH91:
grazie davvero per i complimenti! Purtroppo scrivere un romanzo è
cosa ben diversa di questa.. Ammetto che mi piacerebbe, ma mi rendo
conto di non essere ancora pronta. Ho mille idee per il cervello e
Deal With My Devil è ancora una di queste.. E' una specie di
tentativo in attesa di scrivere qualcosa di diverso, diciamo. Spero
di riuscire a finirla presto, così potrò iniziare anche
le altre storie! Conoscendomi non scrivo due cose contemporaneamente,
finirei per non concludere nessuna delle due! Ad ogni modo, per il
momento, spero che questa storia rimanga fino alla fine all'altezza
del vostro apprezzamento e delle vostre aspettative! Grazie davvero
di cuore e non ringraziarmi per la locandina, non ce n'è
bisogno.. Quando posso essere utile, sono sempre disponibile! A
presto, un bacio, Martina.
XMIVIDAM:
innanzitutto grazie. Devo ringraziarti di cuore sia per le recensioni
che per la fiducia che hai mostrato nei confronti di questa storia.
Ammetto che, forse per la prima volta, ho scoperto un'altra
lettrice/scrittrice sulla mia stessa lunghezza d'onda. E credimi,
vale molto! Ennesima conferma in questa tua ultima recensione. Anche
tu appassionata di Georgie e fan sfegatata di Abel? Io pure! Da
piccola sottovalutavo molto il significato di questo cartone animato,
ma fortunatamente l'età adulta mi ha portato giudizio ;) E'
tutto esattamente come dici tu. E credo di averne inevitabilmente
preso esempio, ma del resto l'amore in tutte le sue forme è il
sentimento più naturale del mondo e, qualunque storia si
racconti, finisce sempre per spuntare da qualche parte. Deal With My
Davil altro non è che una storia d'amore nel contesto di una
storia d'azione (o che ha la pretesa di essere considerata tale). In
questo capitolo ho di nuovo mischiato le carte, ma ti assicuro che
nella mia testa (almeno nella mia testa) tutto ha un senso, anche
quella giustizia di cui ti stavi domandando. Vorrei che i personaggi
compissero un vero e proprio processo di crescita per arrivare poi
alla conclusione più giusta per l'appunto. Speriamo di
riuscirci! Ho visto che hai aggiornato la tua storia, ho una voglia
matta di leggere, ma purtroppo non ho avuto tempo! In mia difesa
però, ho già deciso che parte di questo week end sarà
dedicata alla lettura e alle recensioni! Quindi a presto e di nuovo
grazie mille! Leggere l'introduzione alla mia storia sul tuo sito è
stato a dir poco emozionante! A presto! Martina
|
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Capitolo 17 *** La Beffa, L'Assassino e La Bambina ***
capitolo17
CAPITOLO
17
“LA
BEFFA, L'ASSISSINO e LA BAMBINA”
“Is
it ever gonna not be so hard
to
see you around?
Am
I really really really really gonna have
to
really gonna have to
really
have to leave town again?”
Joe
Tex, These Taming Blues – Phosphorescent
Eden
conosceva quello sguardo.
Nero.
Deciso. Terrorizzante.
Non
lo aveva mai rivolto a lei prima d'ora.
D'istinto
indietreggiò di un passo.
“Come
hai fatto a trovarmi?”
L'angolo
della sua bocca si sollevò in una specie di ghigno
“Devo
dire che non è stata una grande idea comprare il biglietto
d'aereo con la tua carta di credito...”
Davis
sorpassò la soglia con un solo passo
“...Mi
sono bastati cinque minuti per trovare qualcuno che ti seguisse
dall'aeroporto a qui.”
Il
suo tono gelido e tagliente.
Eden,
se avesse potuto, avrebbe chiuso gli occhi ed imprecato.
Stupida.
Non
mosse un muscolo, immobile in piedi di fronte a lui, cercando di
essere un ostacolo impossibile da aggirare.
I
suoi occhi si mossero istintivamente verso la porta di Sophia.
In
meno di un secondo realizzò cosa sarebbe potuto succedere.
Doveva
farlo uscire di lì. Immediatamente.
Eden
strinse i pugni sforzandosi di guardarlo negli occhi
“Vattene.”
Ordinò.
Lui
scosse la testa, col ritmo di una minaccia silenziosa.
“Cosa
vuoi fare?”
Il
suo fu quasi un sussurro, sapeva già che nulla di buono
sarebbe successo.
Davis
avanzò di prepotenza senza che lei potesse fermarlo.
La
sua mole la costrinse ad indietreggiare ancora. Pericolosamente.
Lui
si sbatté la porta dietro.
I
suoi occhi si fecero due fessure
“Hai
mentito, tutto il tempo.”
Suonava
come una mera introduzione, la prima di una lunga serie di colpe da
scontare.
Eden
rimase immobile, non poteva permettergli di avvicinarsi troppo.
“Volevi
vendermi alla polizia.”
Stavolta
le parole di Davis furono piene di sdegno.
Le
sue mani fremevano ed era come se si stesse sforzando terribilmente
per tradurre in parole ciò che avrebbe ben più
volentieri spiegato in gesti.
Eden
si permise di scuotere appena la testa.
“Non
l'ho fatto.”
Bisbigliò.
Più
lui tremava più lei sentiva crescere la paura.
Non
aveva mai avuto timore di lui prima.
Era
una sensazione del tutto nuova, difficile da gestire.
Gli
occhi di Davis divennero neri di rabbia davanti a quel patetico
tentativo di difesa.
“Fa
lo stesso.”
Sentenziò.
Sembrava
un leone affamato sul punto di attaccare la preda.
“Tutto
quello che hai fatto... Tutto quello che hai detto...”
Davis
accorciò la distanza tra loro
“...Era
una bugia.”
Eden
scosse di nuovo la testa, stavolta con decisione
“No,
non è vero.”
“Cinque
anni di bugie.”
“Non
ho avuto scelta.”
“Non
ti credo!”
Davis
alzò la voce per primo.
L'idea
che per tutto quel tempo lei avesse finto gli aveva annebbiato il
cervello.
Lui
credeva fosse morta.
Lei
collaborava tranquillamente con la polizia.
All'alzarsi
dei toni Eden sentì il suo corpo riempirsi di adrenalina.
Doveva
reagire. Sollevò il viso e contrasse la mandibola.
“Bene.”
Respirò.
“Se
è la verità che vuoi, te la dirò.”
Davis
non tentennò nemmeno per un istante.
Era
un'ombra su di lei, pronto ad attaccare.
Eden
fece appello al suo coraggio, doveva pur averne ancora un po'
nascosto da qualche parte.
“Volevo
vederti finire in galera, è vero. Volevo che pagassi per tutto
quello che mi hai fatto.”
Lui
aggrottò le sopracciglia
“Tutto
quello che ti ho fatto?”
Fece
un piccolo passo in avanti, Eden lo sentì incombere su di lei
e non poté non indietreggiare ancora.
La
sua voce iniziò a tremare di una paura appena percettibile
“Ho
perso ogni cosa per te. Sono quasi morta per colpa tua.”
Lui
alzò le mani.
Eden
ebbe l'istinto di ripararsi.
Davis
strinse i pugni davanti al suo viso.
“Tu
non sei morta.”
Scandì
le parole ad una ad una con decisione.
Voleva
che lei se ne rendesse conto.
Che
riconoscesse di essere viva.
Il
pensiero di aver pianto la sua morte, l'eco di quelle sensazioni
insopportabili, lo facevano sentire un idiota.
Nella
sua testa non faceva che risuonare la risata di Eden.
Immaginava
di sentirla ridere.
Di
gusto. Di cuore. Di lui.
“...Non
ancora almeno.”
Aggiunse
mentre quel suono acuto gli riempiva la testa.
Eden
si fece seria di colpo.
Non
poteva permettersi di indietreggiare ancora, il muro era già
troppo vicino.
E
così anche Davis.
Rimase
dov'era
“Vuoi
uccidermi forse?”
Chiese,
ostentando una spavalderia che non le apparteneva.
Lui
le rivolse gli occhi, era così vicino che Eden poteva sentire
il suo respiro.
Sapeva
di single malt e sigarette.
Di
certo non era stato un viaggio tranquillo il suo.
Ancora
non disse nulla.
“Certo.
Perché è questo quello che fai. Tu ammazzi la gente.”
Incalzò
lei.
Davis
aveva ancora i pugni stretti, ma il suo sguardo aveva tentennato per
un solo attimo di troppo.
Eden
si sforzò di approfittarne.
Se
sperava di disarmarlo, doveva colpire il suo punto debole.
Fortunatamente,
sapeva benissimo quale fosse.
“Se
tua madre potesse vederti si rivolterebbe nella tomba.”
Riuscì
a sputare in un solo respiro.
E
si rese immediatamente conto di aver osato troppo.
Non
ottenne la fuga, bensì l'attacco.
Eden
sentì un dolore improvviso colpirle il viso, qualcosa che
tentava chiaramente di spaccarle le ossa.
Non
ebbe nemmeno il tempo di sentire il suo tocco sulla pelle.
Avvertì
solamente il colpo che la spinse pesantemente contro la parete.
La
stampa di Klimt cadde a terra.
Il
vetro in mille pezzi.
La
guancia iniziò a bruciarle immediatamente mentre la bocca si
riempiva del sapore metallico del sangue.
Doveva
venire dal suo labbro.
Rialzò
gli occhi senza seguire l'esigenza di coprirsi il viso con le mani.
Davis
teneva ancora il braccio a mezz'aria. Gli occhi sgranati per la
collera e la consapevolezza di quello che aveva appena fatto.
Mai
prima aveva desiderato di farle del male.
Mai
quanto in quel momento.
Perdere
il controllo era una sensazione che non sopportava, perché una
volta dentro quella spirale, non riusciva più ad uscirne.
Eden
percepiva il dolore, ma quasi non lo sentiva.
Quello
di Davis era stato un affronto, una violazione... Eppure non riusciva
ad odiarlo di più, come se quel pugno l'avesse meritato
davvero.
Il
senso di colpa iniziò ad urlarle nella testa.
Mischiato
non più alla paura, bensì ad uno stato di estrema
necessità.
Un
bisogno che non era capace di identificare.
Lui
si mosse di nuovo verso di lei.
Un
brivido le corse lungo la schiena mentre Davis alzava di nuovo le
mani.
Stavolta
se lo aspettava, stavolta avrebbe sentito ogni più minima
scheggia di quel dolore.
Avrebbe
voluto essere ancora abbastanza forte da guardarlo negli occhi, ma
non riuscì a trattenere lo sguardo.
Frenò
invece il respiro.
Ma
nessuno schiaffo le ferì il viso.
Contro
ogni aspettativa, avvertì le dita di Davis toccarle il collo.
Erano
calde, tanto da avvertire il loro calore nella gola.
Cosa
voleva fare? Strangolarla forse?
Lui
strinse la presa, abbastanza da farle avvertire un fastidio pungente
fin nella trachea.
Eden
poggiò le mani sui suoi polsi facendo forza.
Non
gli avrebbe certo permesso di ucciderla.
Eppure
quella presa non divenne mai più decisa, né più
dolorosa.
Lei
risollevò gli occhi.
Davis
continuava a tenerla stretta contro la parete.
Senza
parlare. Come se fosse immobilizzato da qualcosa, da qualche nuovo
insano pensiero.
Eden
cercò di leggere nelle sue iridi mentre rilasciava la presa
intorno ai suoi polsi.
Qualsiasi
pensiero fosse, era chiaro che non sarebbe riuscito a farle del male.
Non
davvero.
Davis
ingoiò un po' della sua confusione.
Si
riempì i polmoni d'aria come se stesse finalmente per dire
qualcosa.
Eden
chiuse gli occhi ringraziando il cielo per un istante. Non sopportava
più quel silenzio.
“Mamma?”
Quella
voce sottile ruppe la quiete con il fragore di un'esplosione.
Eden
spalancò gli occhi.
Non
era stato Davis a parlare.
Lui
era ancora fermo lì, rimasto con le parole tra i denti.
Il
suo viso si distorse in una smorfia di incertezza ed incredulità
mentre trovava il coraggio di voltarsi.
Eden
si sentì il cuore in gola.
Stava
succedendo. Stava per succedere. Non poteva succedere.
Afferrò
di nuovo il braccio di Davis con decisione, sperando che la
liberasse. Lui, in tutta risposta, strinse la presa.
Gli
occhi di Davis seguirono piano la parete fino in basso, fino a
cogliere la piccola sagoma in pigiama che lo guardava storto.
Chiuse
gli occhi.
Si
trattava di un'allucinazione o qualcosa del genere.
Visto
che stava impazzendo, non doveva certo sorprendersi troppo.
Quando
li riaprì la bambina era ancora lì ed i suoi grandi
occhi scuri lo fissavano con disappunto e curiosità.
Grandi
occhi scuri. Proprio come quelli di...
Davis
si girò di nuovo verso Eden.
Aveva
il terrore dipinto in volto.
Spaventata
come non l'aveva mai vista.
Lentamente
smise di stringere ed allontanò le mani da lei.
Perché
non poteva fare nient'altro.
Eden
si pulì di fretta il viso, non voleva che Sophia la vedesse
sanguinare.
Nonostante
fosse terrorizzata, riuscì a sfoggiare un sorriso.
“Amore,
ti sei svegliata?”
La
voce le tremava, la gola le prudeva e le gambe sembravano non reggere
più il suo peso.
Sophia
camminò a piedi nudi fino a loro.
Di
nuovo i suoi grandi occhi si poggiarono su Davis.
Nel
candore della sua tenera età non poteva nemmeno immaginare
cosa stesse succedendo.
Era
solo curiosa di sapere chi fosse quell'uomo.
Non
capitava spesso che qualcuno venisse a trovarle.
Non
capitava mai, in effetti.
“Chi
sei tu?”
Domandò
con la sua vocina acuta.
Davis
non riusciva a non fissarla come se fosse un mostro o un alieno.
Al
suono della parola “mamma” le sue sinapsi avevano smesso di
attivarsi.
Era
completamente, totalmente perso.
Tutto
ciò che riuscì a fare fu guardare di nuovo Eden, come
se paradossalmente, cercasse il suo aiuto.
Eden
ricambiò il suo sguardo per un attimo soltanto, poi si
allontanò da lui e raggiunse Sophia.
Con
lo stesso sorriso falso si inginocchiò alla sua altezza.
“Lui
è Davis. Un amico della mamma.”
Si
sforzò di mentire.
Anche
se i suoi castelli stavano crollando, neanche un granello di sabbia
avrebbe turbato la serenità di sua figlia.
Sophia
aggrottò le sue sopracciglia sottili.
“Non
l'ho mai visto.”
Obiettò.
Eden
si sforzò di annuire.
“Lo
so. Vedi...”
Annaspò
col fiato corto
“...Io
e Davis non ci siamo visti per tanto tempo.”
Avrebbe
voluto spiegarsi meglio, ma nulla più le uscì dalle
labbra.
Fortunatamente
quelle poche parole tremolanti sembrarono bastare.
Sophia
si mosse al di là di sua madre.
Di
nuovo puntò lo sguardo su Davis.
“Sei
un poliziotto?”
Davis
corrugò la fronte, ma la sua domanda era più che
giustificabile.
Le
poche persone che conosceva come amici di sua madre erano sempre e
solo poliziotti.
Senza
contare che l'unico uomo che avesse mai frequentato quella casa era
Dair. Un poliziotto per l'appunto.
Se
quella domanda fosse venuta da qualsiasi altra persona, molto
probabilmente Davis avrebbe riso. O forse sarebbe addirittura
rabbrividito.
Ma
davanti a lei non riusciva nemmeno a pensare.
Nei
suoi occhioni brillanti non c'era alcuna paura.
Né
colpa. Né cattiveria.
Quegli
occhi erano limpidi.
Per
Davis quella purezza era una cosa del tutto nuova.
Difficile
da guardare.
Non
aveva mai visto nulla di simile.
“No.”
Riuscì
infine a rispondere in una specie di sussurro.
Eden
intervenne prima che la conversazione potesse continuare.
Riuscì
a trascinare la bambina un po' più in là.
“E'
ancora presto Sophia...”
Di
nuovo si inginocchiò di fronte a lei
“...Dovresti
tornare a letto.”
La
piccola protrasse appena le labbra
“Non
partiamo più?”
Chiese
a metà tra sollievo e dispiacere.
Eden
trattenne un brivido, sperando che Davis non avesse sentito.
“Te
l'ho detto, è ancora presto.”
Accarezzò
delicatamente i suoi capelli
“Torna
a letto ora. Io arrivo subito...”
Spegnendo
il sorriso si voltò all'indietro. Davis fissava la scena
immobile.
“...Appena
Davis va via. Ok?”
Eden
lanciò un messaggio subliminale.
Gli
chiedeva disperatamente di andarsene.
Non
aveva abbastanza forza da inventare nuove bugie.
Sophia
annuì stropicciandosi gli occhi.
Era
ancora curiosa, ma non riusciva a nascondere il sonno.
Di
nuovo rivolse a Davis il suo sguardo.
Sollevò
una manina per salutarlo.
“Ciao.”
Disse.
Lui
osservò quel semplice gesto.
Ogni
piccolo tratto di quella bambina sembrava avere qualcosa di
familiare.
Era
come guardare una Eden in miniatura.
Con
qualcosa in più, qualcosa che non riusciva ad identificare.
Davis
rispose al saluto con un gesto della mano.
La
seguì con gli occhi mentre sgambettava fino alla sua stanza.
Eden
le andò dietro chiudendo immediatamente la porta.
Rimase
a fissare il legno per una lunga manciata di secondi.
Non
c'era nessuna via d'uscita.
Stavolta
non aveva storie da inventare, né porte sul retro da cui
fuggire.
Il
suo incubo si stava materializzando, ma era meno spaventoso di quanto
immaginasse.
Doveva
ammetterlo a sé stessa. Per quanto avesse sperato di mantenere
quel segreto a vita, milioni di volte si era scoperta ad immaginare
quel momento.
E'
tua figlia.
Dirlo
nella sua testa sembrava così semplice.
Eccola.
Di nuovo la morsa al cuore.
Respirò
più a fondo che poteva.
Trovò
il coraggio di voltarsi.
Si
aspettava di vederlo ancora immobile, scioccato, incredulo.
E
invece si trovò addosso il suo sguardo torvo.
Forse
più astioso di prima.
Per
un attimo non riuscì a capire.
“Hai
una figlia?”
Domandò
lui con la voce nuovamente piena di sdegno.
Eden
si mosse girandogli intorno.
Gli
occhi di Davis le rimasero incollati addosso.
Annuì
e basta, cercando di capire come comportarsi.
Lui
sfoggiò una strana smorfia
“Incredibile.”
Disse,
di nuovo con quel tono.
Prese
a muoversi verso di lei.
Era
di nuovo il Davis furioso che aveva bussato alla sua porta.
“Quindi
non solo collabori con la polizia...”
Di
nuovo gesticolava nervosamente
“...Ma
mentre noi piangevamo la tua morte hai anche trovato il tempo di
mettere su famiglia.”
Adesso
la sua voce era un mix di disprezzo, ironia e rabbia.
Eden
chiuse gli occhi per un istante.
Non
aveva capito.
Davis
non aveva capito niente.
E
benché dovesse essere un sollievo, si sentì
inaspettatamente delusa.
Lui
la fissava attendendo una risposta decente.
Lei
non disse nulla.
Più
provava ad inventare qualche storia, più si rendeva conto di
non averne la forza.
Gli
avrebbe lasciato credere quello che voleva.
Probabilmente
era meglio di qualsiasi verità.
Davis
si avvicinò ancora.
Non
era certo il tipo di persona che può accontentarsi di qualche
supposizione.
“E
con chi?”
Iniziò
“Con
chi è che te la fai? Con uno dell'FBI?”
Mano
a mano che i suoi pensieri diventavano voce, la collera cresceva.
Ad
ogni passo verso di lei Davis buttava benzina sul suo stesso fuoco.
“Dimmelo.”
Ordinò
ormai ad un passo da Eden.
“Dimmelo!”
Urlò.
Lei
scosse la testa.
Teneva
la mandibola serrata, presa dal terrore che se avesse aperto bocca,
la verità ne sarebbe venuta fuori senza alcun controllo.
Davis
non riusciva a resistere.
L'immagine
di Eden insieme ad un altro si era già fatta nitida nella sua
mente.
Ed
era insopportabile.
Non
poteva visualizzare il suo viso, ma doveva a tutti i costi sapere il
suo nome.
L'avrebbe
ucciso.
Appena
se lo fosse trovato davanti l'avrebbe ucciso.
Afferrò
Eden per le spalle sbattendola di nuovo al muro.
Lei
avvertì il colpo contro la spina dorsale.
Sopportò
in silenzio anche quel dolore.
Le
dita di Davis che ora la stringevano con un'insolita violenza
facevano molto più male.
“Tu
sei mia moglie.”
Precisò
sottolineando con la voce l'aggettivo possessivo.
Stressandolo.
Straziandolo quasi.
Lei
era sua.
L'idea
che qualcun altro l'avesse sfiorata, che addirittura condividesse con
lei un figlio...
Quell'uomo
meritava di morire.
Di
nuovo fece forza spingendola contro la parete.
“Chi
è il padre?!”
Era
totalmente fuori controllo.
“Chi
è?!”
Eden
si lasciò scuotere al ritmo del suo rancore, sentendo ogni
volta il muro collidere con le sue ossa.
Sarebbe
bastato dire un nome.
Uno
qualsiasi.
Dì
un nome.
Dì
un nome.
Dì
un nome.
Dì
un nome.
Quella
voce si ripeteva nella sua testa senza scampo.
Continuamente
strattonata non riusciva a pensare.
“Tu!”
Gli
urlò in faccia, senza nemmeno rendersene conto.
Desiderava
solo che quel dolore finisse.
“Sei
tu.”
Ripeté,
con la voce già ammorbidita dal pianto.
Gli
occhi si riempirono di lacrime in un momento.
Il
loro calore le rigò il viso.
Il
sapore salino si mischiò a quello del sangue.
Come
se avesse abbattuto una diga, un fiume di sconforto e di sollievo la
travolse.
Iniziò
a singhiozzare senza più contegno né timore.
Davis
smise di agitarsi.
Rilasciò
la presa attorno alle sue spalle.
Il
suo viso era un lenzuolo bianco spoglio di qualsiasi espressione.
Abbassò
lo sguardo fissando un punto immaginario.
Cercava
un senso. Una logica. Senza riuscire a trovarne.
Nessun
pensiero.
Eden
piangeva disperata di fronte a lui, ma era come se non ci fosse.
Era
solo adesso, solo con l'eco delle sue parole.
Tu.
Sei
tu.
Iniziò
a scuotere nervosamente il capo.
“No.
E' impossibile.”
Disse
a sé stesso.
Continuava
a pensare al viso di quella bambina.
Ai
tratti così familiari.
Al
suo passato.
“E'
impossibile.”
Ribadì
tornando a guardare Eden, sforzandosi di metterla a fuoco.
Tremava
addosso alla parete.
Gli
occhi già rossi per il pianto.
Le
braccia giù lungo i fianchi, inerme.
Senza
alcuna intenzione di difendersi.
Senza
più alcun bisogno di farlo.
Una
consapevolezza che non si aspettava lo fulminò.
E
se fosse la verità?
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NEW
YORK
4
ANNI e 13 MESI PRIMA
Chiusa
nel bagno del motel Eden continuava a fissare lo specchio.
Non
vedeva l'immagine riflessa. Tutta la sua attenzione era rivolta alle
macchie di vapore che si formavano lì dove il suo respiro
incontrava il freddo dello specchio.
Comparivano
e sparivano.
Sparivano
e ricomparivano.
Allo
stesso ritmo dei suoi respiri affannosi.
Sarebbe
rimasta a fissarle per sempre.
Tutto
pur di non abbassare lo sguardo.
Tre
minuti.
Bastano
solo tre minuti per sapere se tutta la tua vita cambierà.
Erano
passati da un pezzo, ma ancora non aveva il coraggio di guardare.
Troppo
presto. Troppo inaspettato.
Davis
non ne sarebbe stato affatto contento.
E
probabilmente nemmeno lei.
Muovendo
gli occhi incrociò il suo stesso sguardo.
Avanti.
Incitò
sé stessa.
Avanti.
Cercando
di fare il più in fretta possibile sollevò lo stick
bianco dal lavandino.
Trattenne
il fiato e se lo portò davanti agli occhi.
Rimase
a fissarlo per quella che sembrò un'eternità.
Due
linee.
Due
piccole linee blu.
Espirò
lentamente.
Sollevò
piano le sopracciglia.
Ecco.
Tre minuti sono bastati.
Tutto
è cambiato.
Di
nuovo guardò nello specchio.
Si
portò la mano libera al viso.
Provò
a sistemare i capelli.
Finì
a fissare sé stessa come se non si fosse mai vista prima.
Sono
incinta.
Riuscì
a pensare, ma quell'idea sfumò più veloce di qualsiasi
altra.
Trattenne
una smorfia nell'incertezza tra il pianto ed il sorriso.
E
adesso?
“Eden?”
La
voce arrivò seguita immediatamente da tre colpi leggeri contro
la porta.
“Tutto
bene?”
Quanto
tempo era passato da che si era chiusa in bagno?
Pochi
minuti? Qualche ora?
Non
avrebbe saputo dirlo.
La
preoccupazione di Davis era lecita.
Ma
la sua voce la gettò nel panico.
“Sì...sì.”
Balbettò
incerta mentre cercava di capire cosa doveva fare.
“Adesso
esco!”
Seguì
l'istinto di infilare il test nella borsa, insieme alla scatola e a
tutto il resto.
Respirò
a pieni polmoni e girò la maniglia.
Davis
l'attendeva appoggiato allo stipite della porta.
“Stai
bene?”
Forse
la sua faccia diceva il contrario, ma Eden si sforzò di
annuire.
Lui
allungò una mano e scostò una coccia dei suoi capelli.
La
vedeva più pallida del solito.
Iniziava
a preoccuparsi sul serio.
“Sicura?”
Eden
sentiva le labbra come incollate.
Di
nuovo fece cenno di sì con la testa.
Davis
le accarezzò il viso.
“Ti
ho sentita vomitare anche stamattina. Forse dovrei portarti da un
dottore.”
Ci
aveva pensato già da sola.
“Sì
sì, certe cose una donna le capisce subito!”
Ancora
aveva in testa la voce squillante della farmacista e tutto il suo
fastidioso entusiasmo mentre le comunicava che sarebbero bastati 19
dollari e 99 per conoscere il suo futuro.
A
pensarci quasi le tornava la nausea.
“No.
Sto bene.”
Stavolta
si affrettò a rispondere, condendo il tutto con un sorriso
incerto.
“E
poi abbiamo cose più importanti a cui pensare adesso, no?”
Davis
si fece serio.
E'
vero. Dovevano restare concentrati.
Stavano
organizzando un colpo grosso. Uno scambio impegnativo, seppur
conveniente.
Tony
Jenkins li aveva contattati per quell'operazione.
Loro
dovevano solo rubare un carico di merci per conto suo.
Lui
li avrebbe ripagati più che generosamente.
“Nulla
è più importante di te.”
Eden
si sforzò di sorridere mentre un magone le saliva in gola.
Davis
non era troppo solito ad esprimere i suoi sentimenti.
Doveva
essere davvero preoccupato.
Assecondò
l'impulso naturale di abbracciarlo.
Stringendolo
forte si rese conto che non poteva assolutamente dirgli la verità.
Non
adesso.
Avrebbe
significato scombinare tutti i suoi piani.
In
quei momenti, respirando il suo profumo, Eden decise che avrebbe
aspettato. Almeno fin dopo quel colpo.
Se
tutto fosse andato come doveva, avrebbero potuto prendersi del tempo.
Decidere con calma.
Forse
avrebbero potuto anche smettere.
Cambiare
vita.
Sentendosi
stretta tra le braccia di Davis, Eden si sentì finalmente
meglio.
L'unico
posto dove riusciva a sentirsi al sicuro.
Non
poteva ancora sapere che in realtà Tony Jenkins era una talpa
della polizia.
Né
che di lì ad una settimana la sua vita, così come la
conosceva, sarebbe finita.
-----------
Eden
non si era ancora mossa.
Le
sue lacrime era finite da un po'.
Così
come le sue parole.
Quella
stanza era come immersa nel nulla.
Il
tempo sembrava non scorrere più, nonostante il sole avesse
iniziato a brillare tra le tapparelle.
Ognuno
di loro immerso nel proprio mondo.
Davis
aveva barcollato fino ad divano e lì si era seduto.
Con
la testa tra le mani.
Eden
non sapeva cosa fare. Non aveva idea di cosa stesse pensando.
Mosse
i suoi primi passi incerti verso di lui.
Rimase
a guardarlo in silenzio.
Poteva
seguire il ritmo dei suoi respiri mentre la sua schiena si muoveva
lentamente.
Erano
respiri lenti, segno che la collera era passata.
Sentendo
la sua ombra addosso anche Davis si decise a muoversi.
Sollevò
la testa incontrando il viso di Eden.
Lei
non aveva mai visto quell'espressione.
Diversa
da quella che si aspettava.
Niente
disprezzo. Niente odio.
La
desolazione nei suoi occhi era sconcertante.
Eden
sospirò.
Ecco
l'uomo che aveva ridotto in pezzi.
Con
tutte le sue bugie e i suoi segreti era riuscita nell'intento.
Ma
non provava alcuna soddisfazione.
Sentiva
solo ribrezzo per sé stessa.
Non
resse quello sguardo un secondo di più. Si mosse a lunghi
passi verso il tavolino dall'altra parte della stanza.
Muovendosi
nervosamente cercò un po' di conforto nella sua borsa.
Tirò
fuori il pacchetto, infilò nervosamente una sigaretta tra le
la labbra ancora doloranti.
Accese
e respirò in fretta, forse troppo.
Al
posto del gusto del tabacco avvertì sapore acre di bruciato.
Rimase
di spalle alla ricerca disperata di qualcosa da dire.
Un
semplice “mi dispiace” sembrava davvero troppo poco.
Sentì
dei passi dietro di lei e si pietrificò.
Se
avesse parlato prima lui, era già certa che non avrebbe saputo
cosa rispondergli.
Chiuse
gli occhi.
Avrebbe
accettato di buon grado qualsiasi insulto.
“Ne
hai una per me?”
Eden
riaprì gli occhi.
Di
nuovo, per lei, quella stanza scivolò in un vuoto temporale.
La
prima cosa che lui le aveva detto.
Le
esatte parole. Di nuovo.
Quanto
avrebbe voluto poter davvero tornare a quel momento.
Ricominciare
tutto da capo.
Fare
ogni cosa in maniera diversa.
Non
poteva.
Tutto
ciò che le restava da fare era voltarsi.
Tirò
fuori dal pacchetto un'altra bionda e gliela porse.
Lui
la afferrò senza ringraziare.
La
strinse tra le labbra sottili.
Sputò
fuori una nuvola di denso fumo biancastro.
Ancora
un altro tiro.
“E'
bellissima.”
Disse
senza guardarla. Quasi un sussurro.
Eden,
dal canto suo, continuò a fissare quei gesti lenti.
“Già.”
Rispose.
Con
la nicotina in corpo riuscì a rilassarsi un po'.
O
forse non era merito della nicotina.
Si
era appena tolta dal petto un macigno enorme.
E
benché fosse tutto ancora incerto e difficile, era come se i
pezzi del suo grande puzzle fossero finalmente al posto giusto.
Per
il tempo di quella sigaretta si concesse di crederlo.
Davis
infine la guardò.
Di
nuovo quello sguardo spaesato.
Non
era tristezza, notò lei.
Era
lo sguardo della resa. Del rimpianto, forse.
“Raccontami
tutto.”
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NEW
YORK
Il
capitano entrò nell'auto avvolto in un lungo impermeabile
beige.
Dair
smise di tamburellare contro il sedile.
Non
aveva chiuso occhio.
“E'
tutto pronto tenente?”
L'importanza
della conversazione imponeva la serietà.
Dair
si schiarì la voce.
“Sì.”
Rispose
prontamente anche se non era troppo convinto.
Quella
non era un'operazione come tutte le altre.
Ogni
cosa doveva funzionare perfettamente.
Stretto
in una divisa a cui non era abituato, Dair si tirò su.
“Gli
agenti sono già nell'edificio. Abbiamo guardie ad ogni uscita
e cecchini pronti ad agire se mai le cose dovessero complicarsi.”
Il
capitano annuì facendo risplendere l'argento dei suoi capelli
contro i raggi del sole.
Cielo
limpido e temperatura mite.
Una
giornata perfetta per arrestare qualcuno.
“Allora
non mi resta che augurarti buona fortuna tenente.”
Sorrise
appena.
Dair
inspirò profondamente.
La
sua ricetrasmittente si mise a gracchiare proprio in quel momento.
“Sì?”
La
voce metallica riempì l'abitacolo.
“E'
arrivato anche il notaio signore. Siamo pronti a muoverci.”
Dair
spinse il tasto grigio con decisione.
“Bene.
Sto arrivando.”
Mise
via la trasmittente e controllò di avere tutte le armi a
posto.
Era
solo un modo come un altro per darsi sicurezza.
“Capitano.”
Nascondendo
ogni timore rivolse il suo saluto al superiore e scese dall'auto.
Attraversando
un vicolo deserto entrò nell'edificio passando dal retro.
Un
anonimo palazzo nel Queens.
Di
certo più sicuro del City Hall.
Come
sempre Davis Miller non lasciava nulla al caso.
McPhee
l'attendeva in piedi nella piccola stanza improvvisata quartier
generale.
Le
braccia incrociate sul petto.
“Ancora
nessun segno di Miller.”
Tenne
a precisare.
Dair
guardò l'orologio.
10:10
Solo
dieci minuti di ritardo.
“Verrà.”
Ribatté
sfilandogli davanti dritto versi i monitor.
Su
ogni schermo si leggeva chiara l'agitazione degli agenti.
Deve
venire.
Pensò,
lasciando che la sua mente andasse ad Eden.
Non
riusciva ancora a capire perché fosse fuggita in quel modo.
Era
troppo difficile per lei?
Non
era forse quello che voleva?
Altri
dieci minuti trascorsero nella più silenziosa concentrazione.
McPhee
sbuffò alle spalle di Dair.
Non
osava sperare che qualcosa andasse storto.
Sarebbe
stato un bene per lui, ma di certo un grosso problema per tutta la
sezione.
Fortunatamente
nascondeva un asso nella manica.
Sullo
schermo in basso a destra finalmente si mosse qualcosa.
Un
taxi frenò dolcemente davanti al palazzo.
Dair
sentì la tensione colpirlo in pieno stomaco.
Spinse
un tasto per poter parlare con i suoi uomini.
“State
pronti.”
McPhee
lo raggiunse scrutando lo schermo con la sua stessa espressione.
Ansia,
anticipazione, allerta.
Dall'auto
venne fuori una figura vestita di scuro, difficile da definire a
quella distanza.
A
passi veloci raggiunse l'entrata dell'edificio.
E'
venuto da solo.
Dair
premette di nuovo il piccolo bottone bianco.
“Lasciate
che arrivi alla stanza.”
Vide
i suoi agenti trattenere a stento i muscoli.
Dovevano
avere l'adrenalina alle stelle.
Dair
seguì la sagoma mentre si muoveva sicura tra i corridoi.
Il
viso tenuto basso. Una busta tra le mani.
Era
lui.
Doveva
essere lui.
“Andiamo.”
Lo
invitò McPhee.
Dair
annuì stringendo istintivamente il calcio della pistola
d'ordinanza.
Il
lavoro grosso toccava a loro.
Si
incamminarono fianco a fianco senza più dire nulla.
I
loro passi risuonavano cupi alternandosi nel silenzio del corridoio.
Ognuno
con i suoi pensieri privati.
Raggiunsero
la squadra al piano.
Pochi
sguardi bastarono per capirsi.
Il
criminale tanto atteso era entrato nella stanza col notaio e
l'avvocato.
Non
aveva più vie di fuga.
Dair
contrasse i muscoli un'ultima volta.
Era
giunto al punto d'arrivo.
Solo
una porta di legno scadente tra lui ed il suo futuro.
McPhee
lo guardò stringendo la pistola tra le mani.
Iniziò
a contare muovendo solamente le labbra.
Uno...
Due...
Tre!
Dair
si aprì l'accesso con un calcio deciso.
Puntò
la pistola dritto davanti a lui.
“Fermi
tutti, FBI!”
Urlò
mentre gli altri lo seguivano a ruota raggiungendo di fretta ogni
angolo della stanza.
I
tre uomini, del tutto colti di sorpresa, sgranarono gli occhi.
Uno
dei tre, in completo principe di galles, balzò sulla sedia.
Dair
scrutò immediatamente i loro volti.
Una
volta.
Due
volte.
Un'ondata
di incredulità lo attraversò da capo a piedi.
Sentì
la mandibola contrarsi.
Strinse
più forte la pistola.
Non
c'era.
Davis
Miller non era lì.
Dair
avrebbe potuto giurare di riuscire a vedere il suo mondo che crollava
in pezzi.
“Ch...Che...Che
succede?”
Uno
dei tre riuscì ad argomentare una domanda.
Teneva
le mani goffamente alzate.
Il
suo viso, segnato dalle rughe, era visibilmente sconvolto.
Come
c'era da aspettarsi, McPhee non andò per il sottile.
Afferrato
l'uomo di mezz'età per la cravatta, sfoderò il suo tono
minaccioso
“Dov'è
Davis Miller?”
L'uomo
tremò appena.
“D..Davis
Miller?”
Finse
un'inutile stupore.
McPhee
gli agitò la pistola di fronte al naso.
Vide
l'uomo diventare paonazzo tra le sue mani.
Al
suo posto rispose l'altro, quello sceso dal taxi.
“Il
signor Miller non verrà.”
Precisò
con tono fastidiosamente sicuro.
Stavolta
fu Dair a muoversi.
“Che
significa?”
Lo
sconosciuto non si scompose troppo.
“Sono
venuto qui apposta per comunicare ai signori qui presenti che Davis
ha cambiato i suoi piani. Non verrà qui oggi. Né mai
probabilmente. Mi dispiace agenti.”
Quel
finto sorriso fu il colpo di grazia.
Dair
si sentì sul punto di esplodere.
Se
non avesse voltato subito gli occhi, avrebbe finito per picchiare
quel tizio.
Moriva
dalla voglia di sfogare su di lui la rabbia che sentiva crescere.
Riprese
il controllo di sé, quel tanto che bastava per potersi
rivolgere ai suoi uomini.
“Arrestateli.”
Ordinò
senza troppa enfasi.
Immediatamente
corse fuori dalla stanza alla ricerca di ossigeno.
Dopo
un breve tumulto i tre vennero scortati fuori.
Dair
se li vide sfilare davanti.
Ognuno
di loro fu come una coltellata.
“Dulcis
in fundo” sentì su di sé lo sguardo pesante di
McPhee.
Incrociò
i suoi occhi.
Non
c'era bisogno di parole.
Era
la classica occhiata che dice “Te l'avevo detto”.
Insostenibile.
Il
silenzio venne nuovamente rotto dai passi del capitano che arrivava
in tutta fretta.
Li
esortò con un cenno a tornare nella stanza.
Dietro
di lui altri agenti, tra cui McPhee riconobbe con piacere Salinger e
Kline.
“Spiegatemi
cosa diavolo è successo!”
Iniziò
il capitano con tono scosso e voce profonda.
Dair
scosse la testa
“Non
lo so capitano. Era tutto organizzato. Immagino che Miller abbia
cambiato idea all'ultimo...”
“Dov'è
quella donna?”
L'anziano
agente lo interruppe scrutando invano la stanza.
Dair
deglutì.
“E'
tornata a Chicago.”
Lui
aggrottò le sopracciglia.
“Come?
Non è possibile. Dovrebbe essere qui.”
“Lo
so signore, ma...”
Stavolta
fu McPhee ad interromperlo.
“Effettivamente
è abbastanza sospetto che sia lei che Miller siano spariti nel
nulla.”
Dair
inspirò rivolgendosi al collega
“Eden
non è sparita nel nulla. E' tornata a Chicago.”
Precisò.
“Ne
sei certo?”
Ribatté
McPhee.
Avrebbe
voluto dire sì. Urlarglielo in faccia.
Ma
avrebbe mentito.
Non
l'aveva più sentita dopo quel messaggio.
Le
tempie iniziarono a pulsargli, come se il suo cervello andasse in
fiamme.
“Ne
sei sicuro tenente?”
Incalzò
il suo superiore.
Dair
si leccò le labbra.
Tentennò
ancora per un istante.
“Credo
di sì.”
Il
capitano rispose con una strana smorfia.
L'esperienza
gli dava modo di guardare oltre le apparenze.
Afferrò
il cellulare e se lo portò nervosamente all'orecchio.
“Trovatemi
Eden Spencer. Immediatamente.”
Ordinò
senza ulteriori saluti.
Poi
poggiò pesantemente le mani sul tavolo.
“Non
sarà facile spiegare questo fallimento alla direzione.”
Fallimento.
Quelle
quattro sillabe colpirono Dair come proiettili.
Erano
il riassunto perfetto della sua situazione.
Un
incubo diventato realtà.
La
missione in fumo.
Eden
sparita.
Un'intera
carriera in pericolo.
McPhee
avanzò schiarendosi la voce.
“Se
permette signore, vorrei dire la mia.”
Dair
lo guardò con la coda dell'occhio.
Era
terribilmente difficile credere che volesse accorrere in suo aiuto.
Il
capitano lo assecondò con un gesto della mano.
Tanto
valeva ascoltare.
“Sono
davvero desolato per come sono andate le cose...”
Esordì.
“...E
mi dispiace ancora di più dover dire quello che sto per
dire...”
Dair
e il capitano sollevarono gli occhi all'unisono
“...Ma
credo che l'unico responsabile di questa faccenda sia il tenente
Dair.”
“Cosa?!”
Sbottò
il diretto interessato
“Che
cosa vorresti dire adesso?”
Di
certo McPhee aveva scelto il momento peggiore per provocarlo.
Al
bando ogni diplomazia.
Si
fecero pericolosamente vicini.
L'agente
di maggior grado si frappose tra l'incredulità di Dair e la
faccia di bronzo di McPhee.
“Smettetela
immediatamente!”
Li
allontanò l'uno dall'altro stendendo le braccia.
Si
rivolse alla sua destra.
“Spiegati
McPhee.”
Quest'ultimo
si allontanò e si ricompose lisciando la divisa.
“E'
colpa sua se la missione è saltata. Si è fatto
abbindolare da quella donna come uno stupido!”
“Ti
riferisci ad Eden?”
McPhee
annuì
“Esatto
signore. Il tenente aveva una relazione con lei. Decisamente non
professionale.”
Dair
spalancò gli occhi.
Che
gran bastardo doveva essere per comportarsi in quel modo?
Aveva
finto di essergli amico fino al momento più opportuno.
Fino
ad essere sicuro di poterlo affondare.
“Sei
sicuro di quello che dici?”
Il
capitano apparve genuinamente incredulo.
Dair
provò ad intervenire
“Non
è così signore.”
McPhee
trattenne a stento il suo ghigno.
Era
il momento di tirar fuori il suo asso nascosto.
“Posso
provarlo.”
Ribatté
mantenendo un'insopportabile aplomb.
Con
un gesto direttivo ordinò agli agenti Kline e Salinger di
avvicinarsi.
Uno
di loro tirò fuori una busta bianca dalla tasca interna.
McPhee
la afferrò e la aprì.
“Visto
che non sono riuscito a contattarla prima, mi sono permesso di
prendere qualche piccola precauzione.”
Così
dicendo porse il contenuto della busta al capitano.
Fotografie.
Ritraevano
il tenente Dair abbracciato ad Eden Spencer.
In
un contesto decisamente non professionale.
La
semioscurità in cui erano state scattate non permetteva
ulteriori osservazioni, che comunque non sarebbero servite.
L'anziano
agente non poté non prenderne atto.
Emise
un verso indistinto.
Espirò
pesantemente.
Risollevò
il viso.
Incontrò
gli occhi di Dair che riflettevano rabbia e vergogna.
Sembrò
parlare a malincuore
“Alla
luce di tutto quello che è successo non credo di avere
scelta...”
Si
infilò le foto in tasca per non essere costretto a guardarle
di nuovo.
“Tenente
Dair...”
La
solennità del suo tono non lasciava adito a false speranze.
Il
tenente abbassò il volto stringendo i pugni.
“...La
sospendo dal suo incarico fino alla fine delle indagini riguardo la
sua condotta.”
Lui
chiuse lentamente le palpebre.
Quale
miglior finale per la peggiore giornata della sua vita?
Il
capitano fece un ulteriore sforzo voltandosi verso McPhee.
Tutti
sapevano quanta stima avesse per Daniel Dair.
Almeno
quanta ne aveva avuta per suo padre.
Non
era difficile immaginare che stesse agendo contro i propri
sentimenti, in puro rispetto del regolamento.
“Agente
McPhee, affido a lei le operazioni fino a nuovo ordine.”
Lui
chinò la testa per non mostrare il sorriso.
Era
stato più semplice di quanto avesse sperato.
E
se un giorno gli fosse capitato di rivedere Eden Spencer non avrebbe
certo mancato dal ringraziarla.
L'incubo
finì di materializzarsi nel momento in cui il capitano gli
porse le mani.
Dair
guardò quei palmi distesi verso di lui e sentì l'ultimo
colpo dell'umiliazione.
“Distintivo
e pistola per favore.”
Li
depose nelle mani del capitano più veloce che poté.
Spogliato
dei suoi gradi si sentì improvvisamente diverso.
Disarmato.
Leggero.
Inaspettatamente
libero.
Fulminò
McPhee con lo sguardo, ma senza parlare.
Non
voleva perdere fiato né tempo lì dentro.
Aveva
già perso abbastanza cose per una sola giornata.
Ed
era appena mezzogiorno.
Senza
saluti di cortesia corse fuori dall'edificio verso la città.
Non
aveva più obblighi, né regole da seguire.
Poteva
finalmente fare quello che voleva.
Ed
appena l'umiliazione avesse smesso di bruciare, avrebbe di certo
apprezzato quella nuova condizione.
Se
McPhee credeva di fregarlo così, si sbagliava di grosso.
Ed
Eden non aveva mentito.
Era
sicuro che l'avrebbe trovata nel suo appartamento.
Dair
distese i muscoli.
In
fin dei conti, sospensione o non sospensione, era l'unico posto dove
desiderasse andare.
---------------
CHICAGO
Eden
si sentiva la bocca asciutta.
Aveva
parlato per ore.
E
raccontato ogni istante della vita di sua figlia.
Davis
era rimasto in silenzio quasi tutto il tempo, ascoltando ogni sua
parola cose se fosse la più preziosa mai detta.
Era
stato una sorpresa.
La
sua calma apparente riusciva quasi a coinvolgerla.
Eden
fissò il vuoto davanti a lei prendendo nuova consapevolezza
della situazione.
C'era
qualcosa di eccezionale nel modo in cui se ne stavano seduti a terra
l'uno accanto all'altra.
Senza
mai guardarsi in faccia avevano parlato più a lungo che in
ogni altra occasione.
Lui
aveva detto poco e niente, scoppiando in piccoli sorrisi di tanto in
tanto, come se avesse timore perfino ad immaginare i momenti della
vita di sua figlia in cui non era stato presente.
Come
biasimarlo del resto? Immaginarli tutti doveva essere piuttosto
arduo.
Mi
dispiace
Erano
ore che Eden provava a dirlo senza riuscirci.
Nell'ultimo
vano tentativo si voltò verso di lui.
I
suoi occhi si posarono inavvertitamente sull'orologio al di là
del suo profilo.
Erano
le sette e venti.
Tardissimo.
“Oh
no!”
Esclamò
contro sé stessa balzando in piedi.
Rimase
al centro della stanza senza capire da che parte andare.
A
quell'ora doveva già essere su un aereo per l'Europa.
“Che
succede?”
Davis
si alzò inevitabilmente allarmato dai suoi gesti.
“Devo
andarmene!”
Esclamò.
“Devi
andartene!”
Si
portò le mani alla fronte.
Di
nuovo il panico.
Non
poteva restare in quell'appartamento un minuto di più.
E
non avrebbe voluto dire a Davis che stava scappando con sua figlia.
“Devi
andartene!”
Ribadì
guardandolo in viso.
“...Gli
agenti di controllo arriveranno a momenti.”
“E
voi?”
“Non
preoccuparti di noi. Vattene e basta.”
Rispose
distrattamente correndo verso la porta di Sophia.
“Non
andrò da nessuna parte.”
Rispose
lui secco e deciso.
Eden
rallentò il ritmo per un attimo soltanto.
“Ok.
Allora resta qui e fatti arrestare.”
La
punta di sarcasmo nella sua voce non passò osservata.
Davis
la guardò sparire dietro la soglia della stanza di sua figlia.
Sua
figlia.
Era
un concetto ancora del tutto estraneo alla sua mente.
Eden
corse fino al letto cercando comunque di svegliarla il più
delicatamente possibile.
“Sophia?
Tesoro?”
La
piccola aprì gli occhi velati dal sonno.
“Mamma.”
“E'
ora di partire amore mio.”
Odiava
dover sconvolgere oltremodo i suoi equilibri, ma non aveva più
un secondo da perdere.
Scostò
piano le coperte.
Sophia
rabbrividì per un istante stirando i muscoli.
Eden
cercò i primi vestiti a portata di mano.
La
aiutò ad infilarsi una felpa sopra il pigiama.
“Che
succede mamma?”
Chiese
Sophia ancora scombussolata.
“Niente...”
Eden
si sforzò di sorridere.
“...Si
è solo fatto tardi. Dobbiamo correre un po' se non vogliamo
perdere l'aereo.”
Mentre
parlava le aveva già infilato i calzini e le scarpe.
Una
volta fuori di lì avrebbe pensato a sistemarla per bene.
Eden
la strinse tra le braccia e la portò di peso fino al salotto.
Davis
era ancora lì.
Eden
decise di ignorarlo.
Aiutò
Sophia a scendere e si precipitò verso l'armadio a muro.
Tirò
fuori le valigie che aveva precedentemente nascosto.
Davis
aggrottò le sopracciglia
“Che
vuoi fare?”
Domandò
bypassando la bambina per avvicinarsi a lei.
Eden
si sforzò di bisbigliare.
“Scappare.
L'FBI verrà a cercarmi non appena scopriranno cosa ho fatto.”
“E
dove pensi di andare?”
Lei
scosse la testa sollevando il peso di una delle due valigie
“Non
lo so ancora.”
Davis
continuò a seguire i suoi gesti.
Non
trovava ancora il coraggio di guardare un po' più in là.
Si
passò una mano tra i capelli.
“Vengo
con voi.”
Era
un dato di fatto, non una proposta.
Eden
spalancò gli occhi
“Cosa?
No!”
“Sì
invece.”
“No!”
Ribatté
lei cercando di spostarsi da quella scomoda posizione.
Lui
la bloccò afferrandole il braccio.
La
trafisse con la sua fermezza.
“Credo
che tu non abbia capito...”
Cercò
di controllare il tono della voce, senza sembrare meno deciso
“...Non
andrete da nessuna parte senza di me.”
Eden
si perse in tutta quella determinazione.
Poteva
forse opporsi?
“Ok.”
Sospirò
guardando a terra.
Davis
prese allora la valigia dalle sue mani.
Sollevata
da lui sembrava avere un peso specifico del tutto diverso.
“La
mia macchina è parcheggiata qui vicino.”
“Usciamo
dal retro.”
Fu
la sola risposta di Eden.
Si
mosse veloce verso sua figlia.
Inspirò
trovando la forza di sfoggiare un sorriso sincero.
Quell'intera
situazione era un paradosso.
Eppure
sapere che, nel bene o nel male, non erano più sole era un
sollievo.
Allungò
la mano verso quella di Sophia.
“Andiamo?”
Lei
afferrò le dita di sua madre senza alcuna reticenza.
Strinse
il suo orsacchiotto nell'altra mano.
Fece
due piccoli passi poi si bloccò.
Avvolta
dagli strascichi del sonno non aveva notato l'altra presenza nella
stanza.
Davis
era per lei un perfetto sconosciuto, ma non le faceva alcuna paura.
Sophia
alzò il viso verso la madre
“Viene
anche lui?”
Eden
guardò Davis con le valigie in mano.
C'era
del surreale in tutta quella situazione.
Forse
da un momento all'altro si sarebbe svegliata.
“Sì
tesoro. Davis viene con noi.”
Sophia
spostò lo sguardo da sua madre a Davis.
Quell'uomo
non poteva essere male...
Sua
madre stava sorridendo, cosa che non faceva troppo spesso.
E
per di più nessun altro prima di quel momento le aveva mai
portate fuori da quella casa.
No.
Non doveva essere male.
Pensò
Sophia nella sua innocente testolina.
Decise
di sorridergli, del tutto inconsapevole di cosa significasse per lui.
Davis
sentì il cuore esplodergli nel petto.
Il
primo sorriso di sua figlia.
Sua
figlia.
Stavolta
pensarlo fu meno difficile.
“Andiamo.”
Come
si dice meglio tardi che mai!! Mi scuso per il ritardo ma ho le mie
buone ragioni. So che il Natale dovrebbe essere un periodo di pace e
serenità.. Bé, a casa mia invece, vuol dire invasione
di parenti per le feste e perdita totale del tempo libero e della
privacy! Avevo già iniziato a scrivere questo capitolo, ma ho
dovuto riprenderlo e rivederlo milioni di volte! Per questo mi scuso
se non è il massimo :((
Davis
ha finalmente scoperto di Sophia!! Per adesso è ancora sotto
shock, ma nei prossimi capitoli vedrò di affrontare meglio la
questione, sotto tutti i punti di vista. Invece il povero Dair ci ha
rimesso la carriera... Non vi preoccupate, saprà come farsi
valere! E anche tutti gli altri personaggi ricompariranno un po' alla
volta.
Non
mi dilungo oltre.
Un
grazie enorme a tutti per le letture e per la pazienza.. Vi ringrazio
con tutto il cuore e colgo l'occasione per augurarvi un BUONISSIMO
NATALE!!
A
presto!!
XMIVIDAM:
come sempre grazie! Volevo precisare che non ho preso la tua ultima
recensione come una critica, non una critica negativa per lo meno! Mi
fa sempre piacere ascoltare i pareri altrui, specie se vengono da
persone che scrivono meglio di me ^^ Anch'io vorrei migliorare quindi
cerco di assorbire più che posso dagli altri.
Questo
capitolo è stato scritto in condizioni piuttosto precarie (e
mi è dispiaciuto visto che è uno dei capitoli più
importanti) ma spero di non deluderti troppo! ;) BUON NATALE e a
presto! Mi scuso per non aver ancora recensito il tuo ultimo
capitolo.. Spero di riuscire a farlo il prima possibile!
XSUPREME:
di nuovo grazie. Non sai quanto valore abbia per me il tuo
apprezzamento, così come il fatto che tu perda tempo prezioso
per lasciarmi una recensione. Hai notato tutti gli aspetti salienti
della mia storia e questo, credimi, mi fa un piacere immenso!^^ Spero
che anche questo capitolo ti sia piaciuto, anche se avrei voluto
scriverlo forse un po' meglio. Ti auguro di passare un felice natale.
A presto!
XCINZIA818:
ciao! Grazie davvero per la costanza delle tue recensioni.. So che a
volte può essere più un fastidio che un piacere, quindi
le apprezzo ogni volta di più!^^ E così Davis le ha
trovate.. Tutto è successo abbastanza velocemente in questo
capitolo, ma credo che nei prossimi mi soffermerò meglio su
tutta questa nuova “vicenda familiare”. BUON NATALE e a presto!!
PS. Ho visto che hai aggiornato ed ho anche letto il nuovo capitolo,
ma nella fretta non volevo lasciare una recensione improvvisata.
Appena ho tempo provvedo!
XMEREDITH91:
Ciao! E' stato un piacere davvero risentirti! Non per la recensione
(cosa di cui ti ringrazio enormemente), ma soprattutto perché
iniziavo quasi a preoccuparmi (lo so, sono troppo melodrammatica).
Controllando le storie seguite ho notato che non c'è più
la tua.. E' un problema mio o hai davvero cancellato la storia? Ad
ogni modo non preoccuparti quando non hai tempo o voglia di
recensire, capisco bene che siamo tutte persone impegnate! Spero che
userai queste vacanze per riposarti un po'.. Io non ne avrò il
tempo! @_@ BUON NATALE!! PS Youtube rifiuta il mio trailer per via
dell'audio, quindi mi toccherà trovare un altro sito su cui
caricarlo!
|
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Capitolo 18 *** La Terza Via ***
capitolo16
CAPITOLO
16
“LA
TERZA VIA”
“Try
to leave a light on when I'm gone
something
I rely on to get home..
One
I can feel at night
A
naked light, a fire to keep me warm..”
Light
on – David Cook
“Prova
a lasciare una luce accesa quando me ne sarò andato,
qualcosa
a cui possa affidarmi per tornare a casa..
Qualcosa
che riesca a sentire nella notte,
una
luce nuda, un fuoco che possa scaldarmi..”
Le
due ore più lunghe della sua vita.
Avrebbe
dovuto usare quel tempo per riscrivere il suo piano, ma l'altitudine
le dava il mal di testa. E mentre cercava di convincersi che le
orecchie non le sarebbero esplose, se ne stette in silenzio nel
conforto della sua momentanea incapacità di pensare.
L'aereo
rimbalzò un paio di volte sulla pista.
Il
senso di nausea aumentò tanto da doversi stringere nelle
braccia.
Eden
sciolse immediatamente la cintura di sicurezza pregustando l'aria
fresca e pulita che avrebbe finalmente respirato fuori di lì.
Chicago
l'accoglieva ancora una volta a braccia aperte.
Come
se quella città non tenesse conto delle sue colpe.
Il
cielo era scuro, illuminato solo dalle luci della pista.
Il
rumore acuto degli aerei in frenata e decollo si mischiava al
movimento frenetico dei passeggeri e delle navette.
Il
vento freddo, appena accennato, soffiò via parte della sua
stanchezza.
La
confusione dell'aeroporto la avvolse completamente.
Fretta.
Addii. Abbracci. Progetti e ritorni.
Eden
tagliò la folla con passi lunghi e decisi, diretta verso il
primo taxi disponibile.
Ancora
qualche chilometro e sarebbe stata finalmente la fine.
O
l'inizio, a seconda dei punti di vista.
Tra
le due vie possibili Eden aveva scelto la terza.
Perché
quando ti trovi ad un bivio e non sai da quale parte andare, puoi
sempre voltarti indietro e correre.
Eden
allungò le banconote al tassista.
Lui
la salutò con la dovuta cortesia prima di lasciarla sola
davanti al vialetto di quel modesto palazzo.
Lei
guardò l'orologio.
Erano
le undici passate. Con un po' di fortuna non avrebbe incontrato
nessun agente.
Facendo
attenzione a non fare troppo rumore percorse gli ultimi metri.
La
luce del salotto era accesa. O forse era solo la tv.
Eden
guardò con più attenzione attraverso la finestra.
Dorothy
sonnecchiava sul divano.
Dorothy
Stone, la tata assunta dall'FBI per badare a sua figlia.
Una
brava persona.
Eden
decise di bussare.
Le
gambe fremevano al pensiero di riabbracciare la sua bambina.
Dorothy
aprì la porta trattenendo uno sbadiglio.
Non
si aspettava di vederla.
“Eden?”
“Già.”
Lei
non rimase sulla porta un secondo di più.
Casa
sua profumava di biscotti e di vaniglia.
Respirò
quell'odore e riuscì a sentirsi finalmente meglio.
Per
un paio di secondi.
“Che
ci fai qui?”
Eden
si sbatté in faccia un sorriso il più convincente
possibile.
“La
missione è sistemata. Ho avuto il permesso di Dair di tornare
prima del previsto.”
Dorothy
aggrottò le sopracciglia.
“L'agente
Brown è appena stato qui e non mi ha detto nulla.”
La
tata suonò piuttosto scettica.
In
tanti anni di lavoro per l'FBI aveva imparato anche lei a non fidarsi
di nessuno.
Eden
trattenne a stento un sospiro di sollievo.
L'agente
di controllo è già passato, almeno di lui non devo
preoccuparmi.
Sbatté
i suoi grandi occhi scuri.
“Forse
Dair non l'ha ancora avvertito, è così preso
dall'operazione!”
Fece
una pausa cercando di essere il più convincente possibile
“In
quanto a me, non vedevo l'ora di tornare da Sophia. A proposito,
dov'è?”
Dorothy
rimase incerta
“Sta
dormendo. Sei sicura di stare bene?”
Eden
sorrise di nuovo
“Sono
solo un po' stanca.”
“Si
vede.”
Sottolineò
la tata.
“Già.
Credo che andrò subito a dormire anch'io.”
L'ultimo
sorriso fasullo.
“Tu
puoi andare adesso.”
Vattene.
Vattene. Vattene.
“Sei
sicura?”
Eden
annuì.
“Sì,
ma ti ringrazio di esserti occupata di mia figlia in queste
settimane.”
Dorothy
si rilassò appena.
Forse
l'idea di tornarsene a casa sua non era poi così male.
“E'
una bambina stupenda, lo sai.”
“Già.”
La
tata si infilò lentamente il cappotto.
“Sarà
felicissima di rivederti. Non ha fatto altro che aspettarti.”
Eden
sentì un brivido attraversarla.
Voleva
abbracciare sua figlia.
“Grazie
di tutto Dorothy. Davvero.”
Dorothy
finalmente prese la porta.
“Di
niente Eden. Ci vediamo domani.”
Lei
annuì.
“A
domani.”
Eden
la guardò raggiungere la sua auto.
Chiuse
la porta un secondo dopo aver sentito sbattere la portiera.
Poggiò
la schiena contro il legno laccato di rosso.
Guardò
finalmente il suo appartamento.
Dall'ordine
era chiaro che Eden era mancata per un po'.
Era
quasi insopportabile.
Faceva
sembrare sconosciuto anche quel posto.
Venne
fuori dagli stivali e si avvicinò a piccoli passi alla stanza
della sua bambina.
Aprì
dolcemente la porta.
Lo
spiraglio di luce mostrò subito il suo viso addormentato.
Eden
trattenne il fiato davanti a tanta meraviglia.
Non
poteva fare a meno di chiedersi ogni volta com'era riuscita a creare
qualcosa di tanto bello.
Si
avvicinò delicatamente.
Sophia
respirava silenziosa.
I
lunghi capelli mossi e scuri sparsi sul cuscino.
L'espressione
serena.
Il
suo orsacchiotto preferito stretto a sé.
Se
non fosse stata troppo egoista l'avrebbe lasciata dormire.
Invece
Eden non riuscì a resistere.
Ne
aveva troppo bisogno.
Accese
l'abat-jour riempiendo la stanza di una labile luce rosata.
La
bambina si lamentò appena strizzando gli occhi.
Proprio
come lei non riusciva a dormire se non era al buio.
Alla
sua età avrebbe dovuto esserne spaventata, ma Sophia sembrava
non aver paura di nulla.
Ed
il coraggio era una dote che chiaramente non aveva ereditato da lei.
Il
cuore in gola ed i muscoli tesi ne erano una chiara prova.
“Amore
mio.”
Sussurrò
accarezzando quella pelle chiara e perfetta.
Non
voleva assolutamente spaventarla.
Le
lunghe ciglia di Sophia si mossero di nuovo.
Aprì
gli occhi appena un po'.
“Mamma...”
Mugugnò.
Eden
sorrise nella semioscurità.
Quella
parola aveva sempre lo stesso potere.
Il
suono più dolce e rassicurante che potesse sentire.
“...Sto
sognando.”
Sussurrò
Sophia chiudendo di nuovo le palpebre.
Eden
la accarezzò di nuovo, seguendo col dito il suo profilo
perfetto.
“Non
stai sognando amore. Sono qui, sono tornata.”
Stavolta
i suoi grandi occhi scuri si spalancarono, seppur velati dal sonno.
In
un attimo tutta l'energia dei suoi quattro anni e mezzo si impadronì
di lei.
Balzò
fuori dalle coperte e lanciò le braccia al collo di Eden.
“Mamma!”
Dalla
voce non si capì se volesse ridere o piangere.
Sophia
poggiò la testa nell'incavo del collo di Eden.
Le
piaceva sentire il suo profumo.
Sua
madre la strinse talmente forte da dover temere di farle male.
Tutte
le sue incertezze sparirono all'istante.
Non
aveva bisogno di nient'altro.
“Profumi
di zucchero filato.”
Eden
respirò forte l'odore dei capelli di Sophia.
Lei
ruppe l'abbraccio per prima.
“E'
il nuovo shampoo che mi ha comprato Dorothy.”
Spiegò
anche se non era necessario.
“Mi
sei mancata da morire tesoro mio.”
“Anche
tu mi sei mancata mamma.”
La
strinse di nuovo.
Quel
momento sarebbe potuto durare per sempre.
“E'
tornato anche Daniel?”
Come
non detto.
Sophia
era forse l'unica a chiamarlo col suo nome di battesimo.
Eden
si sforzò di sorridere.
“No,
tesoro. Non ancora.”
La
piccola sfoderò il suo tipico faccino imbronciato
“Anche
lui mi manca.”
Eden
chiuse gli occhi per qualche istante.
“Lo
so. Ma lui deve ancora lavorare.”
Sophia
trattenne il broncio
“E
tu mamma? Anche tu devi ancora lavorare?”
Eden
buttò gli occhi in quelli di sua figlia.
Lo
stesso intenso marrone scuro.
Scosse
piano la testa
“No.
La mamma ha finito il suo lavoro.”
Sophia
sorrise.
Quel
sorriso le ferì il cuore.
La
sua decisione era l'unica possibile.
Se
non puoi amare qualcuno,
e
se non puoi liberartene,
puoi
sempre scappare e fingere che non sia mai esistito.
“Allora
non te ne andrai più?”
Eden
sentì le sue labbra tremare.
“Non
senza di te.”
Sophia
aggrottò appena le sopracciglia, troppo giovane per saper
leggere tra le righe.
Sua
madre respirò a fondo
“Che
ne dici di fare un bel viaggio, io e te da sole?”
“Un
viaggio?”
Eden
annuì accarezzando di nuovo la sua bambina.
“Una
specie di vacanza, solo io e te.”
Al
suono di quella parola il viso di Sophia si illuminò di nuovo.
“Dove
andiamo mamma?”
Il
suo entusiasmo la colpì allo stomaco.
Non
aveva avuto il tempo di scegliere una meta.
Annaspò
per una manciata di secondi.
“E'
una sorpresa.”
Rispose
infine.
Odiava
dover mentire anche a sua figlia.
Lei
ci pensò su un secondo solamente.
“E
quando partiamo?”
Eden
si morse le labbra.
“Adesso.”
Sophia
aggrottò di nuovo le sopracciglia.
Imbronciò
la sua piccola bocca perfetta rattristandosi appena.
Eden
le si avvicinò
“Che
c'è tesoro?”
La
piccola si strofinò gli occhi
“Adesso
ho tanto sonno.”
Confessò.
Eden
sospirò sorridendole.
Aveva
ragione.
“Hai
ragione tesoro, è tardi.”
Eden
fissò un punto nel vuoto cercando di essere lucida.
Dair
non aveva idea di cosa avesse in mente.
Aveva
ancora un po' di tempo.
“Torna
pure a dormire. Io intanto preparo le valigie ok?”
“Scusami
mamma.”
Quelle
scuse inutili le scaldarono il cuore.
La
abbracciò di nuovo stampandole un bacio sulla fronte.
“Non
devi scusarti.”
La
aiutò ad infilarsi di nuovo sotto le coperte.
“Dormi
adesso, ti sveglierò io quando sarà ora di andare.”
Le
rimboccò le coperte.
Quel
gesto così banale le era mancato da morire.
“Ti
voglio bene mamma.”
Da
quanto tempo non sentiva quelle parole?
Sembrava
passata un'eternità.
Sorrise
trattenendo delle lacrime inattese.
“Anch'io
ti voglio bene amore mio.”
Sophia
chiuse gli occhi.
Eden
rimase a guardarla ancora per un po'.
Anche
lei avrebbe tanto voluto poter chiudere gli occhi e dimenticare ogni
cosa.
Ma
non poteva ancora farlo.
Spense
la piccola luce ed uscì chiudendo dolcemente la porta.
Di
nuovo guardò il suo salotto.
Non
resistette dal buttare all'aria quei cuscini, così
insopportabilmente ordinati l'uno accanto all'altro con una perfetta
alternanza di colori.
Non
era tempo di farsi venire una crisi isterica.
Scivolò
fuori dai suoi vestiti, impregnati di polvere e senso di colpa.
Appoggiò
le mani alla parete della doccia mentre l'acqua calda l'avvolgeva
poco a poco.
Rimase
in silenzio con gli occhi chiusi a sperare che lavasse via anche il
suo stato d'animo.
Non
era riuscita ad andare fino in fondo.
Non
era riuscita a tradire Davis.
Ma
per salvare lui aveva tradito la fiducia di un'altra persona
importante.
Già
immaginava il viso di Dair davanti all'assenza di Davis e dei suoi.
Non
avrebbe mai voluto affrontarlo di nuovo.
Stavolta
lui non l'avrebbe perdonata.
E
nemmeno Davis.
Per
questo aveva scelto la fuga.
La
via più vile, ma l'unica possibile.
Avrebbe
impacchettato le sue cose e sarebbe sparita insieme a sua figlia.
Una
città qualunque all'altro capo del mondo, un nome falso, un
nuovo colore di capelli.
Aveva
ancora un passaporto falso.
L'avrebbe
usato un'ultima volta e poi l'avrebbe bruciato insieme al resto del
suo passato.
Poteva
riuscirci.
Doveva
riuscirci.
Specie
se l'alternativa era finire in galera e perdere Sophia, forse per
sempre.
Tese
il viso al getto d'acqua.
Doveva
riuscirci.
--------
“Dove
diavolo è Davis?”
André
era il ritratto dell'impazienza.
Blake
sollevò gli occhi mentre continuava a ficcare vestiti nella
sua valigia.
“Non
lo so.”
Rispose
nervosamente.
André
scosse la testa allargando le braccia.
“E'
praticamente sparito nel nulla!”
Tutto
l'attico era in subbuglio.
Davis
li aveva avvertiti che dovevano togliere le tende il prima possibile.
Non
si era perso in particolari.
Qualcosa
aveva mandato il piano all'aria. Tutto qui.
Qualche
stanza più giù Tyler continuava a fissare il foglio tra
le sue mani.
Eden
era scappata.
Il
messaggio era chiaro.
Tutta
quella confusione un po' meno.
Davis
aveva scoperto tutto?
E
come?
E
cosa avrebbe dovuto fare lui adesso?
Accartocciò
la lettera tra le mani.
Aveva
poco tempo per decidere e tante variabili da considerare.
Eden
si augurava che lui riuscisse a fuggire.
Poteva
ancora farlo?
Payne
spalancò di colpo la porta della sua stanza.
“Sei
pronto?”
Tyler
infilò in tutta fretta il foglio in tasca.
Guardò
quel viso incerto quasi quanto il suo.
I
suoi pensieri si riordinarono quasi per magia.
“Sì.
Sono pronto.”
Afferrò
la sua borsa e raggiunse Payne accompagnandola fino al salotto.
Gli
altri arrivarono quasi immediatamente.
“Dove
sono Eden e Davis?”
Chiese
Payne notando inevitabilmente che mancavano all'appello.
Blake
teneva le redini della situazione in mancanza di suo fratello.
“Di
lei non devi preoccuparti. Non è più un nostro
problema.”
Payne
non riuscì a comprendere
“Cosa?”
Blake
la guardò dritta negli occhi
“Se
n'è andata. L'ho accompagnata io stessa alla stazione. E'
fuori.”
Tyler
intervenne prima che Payne potesse controbattere.
“E
Davis?”
Non
notare la concomitanza della loro sparizione era impossibile.
Blake
sfoderò uno sguardo deciso e glaciale anche per lui.
“Dev'essere
già andato via.”
Tyler
corrugò la fronte
“Se
n'è andato da solo?”
Blake
sospirò di esasperazione.
“Ci
ha detto di andarcene il prima possibile e lo faremo. Tutto il resto
non ha importanza.”
Stavolta
Tyler non disse nulla.
Non
riusciva a smettere di cercare una spiegazione che legasse tutti
quegli eventi improvvisi.
André
si fece avanti.
“Leman
può procurarci uno dei suoi aerei privati. Dobbiamo solo
arrivare fino alla contea di Westchester.”
Blake
annuì.
“Ok.
Andiamo allora. Davis ci raggiungerà lì.”
Tyler
intervenne di nuovo
“E
come ci arriviamo fino a Westchester?”
“Ho
già fatto preparare la mia auto.”
Tyler
sollevò un sopracciglio
“Non
sarebbe più prudente separarci?”
Per
un secondo gli sembrò di star recitando in un film d'azione di
serie b.
Blake
aguzzò lo sguardo.
“Dici?”
Quella
domanda di circostanza aveva un non so che di sarcastico.
Tyler
inspirò
“Non
usare quel tono con me Blake...”
Era
piuttosto irritante, in effetti
“...Io
so solo che ce la stiamo dando a gambe. Non ho capito perché,
ma a questo punto credo che sia comunque necessario prendere tutte le
precauzioni del caso. Ti sembra un concetto tanto stupido?”
Se
avesse potuto, lo avrebbe fulminato seduta stante.
La
fretta e l'incertezza tiravano fuori il peggio di lei.
“E
cosa proponi esattamente?”
Tyler
indicò distrattamente Payne e André.
“Voi
andate con la tua macchina. Io e Payne andremo con la mia. E credo
sia anche opportuno prendere strade diverse.”
Di
nuovo quella sensazione di essere in uno stupido telefilm.
Blake
sollevò le sopracciglia.
Forse
aveva avuto la stessa impressione.
André
si inserì di nuovo.
“Smettetela
di perdere tempo!”
Porse
a Blake la sua valigia con ben poca delicatezza, poi si rivolse
direttamente a Tyler
“Fa'
come diavolo ti pare, ok?”
Lui
non rispose.
Lo
sguardo di André cadde su Payne
“Tu
vuoi andare con lui?”
Payne
guardò Tyler per un solo secondo prima di annuire.
“Bene.
Allora ci vediamo da Leman. Tu sai dov'è giusto?”
Di
nuovo Payne annuì.
André
poggiò una mano sulla nuca di Blake spingendola verso la porta
prima che potesse ribellarsi.
“Au
revoir mon amis.”
Attraversò
la soglia al suono del suo stesso saluto.
Non
lasciò il tempo a nessuno di aggiungere altro.
Nemmeno
a Blake e al suo pessimo carattere.
Tyler
rimase faccia a faccia col fantasma in carne del suo passato.
Lei
sollevò appena le spalle.
“Andiamo
anche noi?”
Noi.
Payne
aveva scelto lui senza alcuna esitazione.
Ignorando
tutti i suoi segreti.
Che
fosse il segno che aspettava?
“Tyler?”
Lui
tornò di colpo alla realtà.
Accennò
un sorriso appena percettibile.
“Andiamo.”
-------
Eden
aveva chiuso gli occhi per un solo secondo e le forze l'avevano
abbandonata.
Per
più di tre ore aveva dormito senza nemmeno accorgersene.
Adesso
cercava di recuperare il tempo perso mettendo sottosopra la casa.
Doveva
essere sicura che Sophia avesse con sé tutto il necessario.
Per
un attimo si fermò poggiando la schiena al muro.
Accese
una sigaretta.
Non
fumava mai in casa, ma quel momento valeva un'eccezione.
Una
volta in aeroporto doveva ricordarsi di svuotare tutte le sue carte
di credito.
Un
altro appunto mentale ed un'altra boccata di fumo.
Pensava
già all'Inghilterra.
Aveva
sempre voluto andarci, e almeno la lingua non sarebbe stata un
problema.
Londra.
Forse
Manchester.
O
magari un paesino sperduto della Cornovaglia.
-----------
Tyler
tamburellò sul volante in attesa che il semaforo diventasse
verde.
La
musica degli Athlete in sottofondo.
Payne
seguiva i suoi movimenti con la coda dell'occhio.
Era
come vivere in un ricordo.
Quando
ancora fingevano deliberatamente che tutto andasse bene.
“Non
ci capisco più niente.”
Bofonchiò
lei guardando fuori dal finestrino.
Tyler
captò appena le sue parole
“Come?”
Payne
gli rivolse gli occhi
“Non
importa.”
Disse
di prima battuta, poi sembrò ripensarci
“Che
significa che Eden se n'è andata?”
Tyler
non le rispose continuando a fissare la strada al di là del
parabrezza.
“E
perché stiamo scappando in questo modo?”
Gesticolò
lei guardando le sue stesse mani.
Lui
strinse più forte il volante mordicchiandosi le labbra.
Non
aveva le risposte che Payne stava cercando.
Non
tutte, almeno.
Si
limitò ad un sospiro profondo.
Payne
rimase a fissarlo per qualche secondo.
“Fantastico!”
Esclamò
sarcastica davanti al suo silenzio.
“Non
mi sembra questo il momento più adatto per avercela di nuovo
con me.”
Tyler
le lanciò una rapida occhiata
“Non
è questo.”
“E
allora che c'è?”
Era
impossibile non notare la sua espressione.
Payne
se la ricordava bene.
Voleva
dire che il suo corpo era fisicamente lì, ma la sua mente era
decisamente da un'altra parte.
Lui
scosse piano la testa.
Avrebbe
voluto parlare, ma era come se la lingua gli si fosse appiccicata al
palato.
Nonostante
la pretesa di essere uno scrittore, in molte occasioni gli mancavano
proprio le parole.
Payne
rinunciò alzando le mani.
“Ok.
Capito.”
Sistemò
i lunghi capelli dietro le spalle e poggiò la testa sul sedile
concentrando l'attenzione sulla scena che scorreva veloce fuori dalla
macchina.
Tyler
contrasse la mandibola.
Ripensò
a quello che Eden gli aveva scritto.
Sperava
in cuor suo che avesse ragione.
Nel
silenzio cercò di calibrare bene le parole che di lì a
poco avrebbe pronunciato.
Dopo
la svolta a sinistra sentì Payne balzare sul sedile.
“Dovevi
girare a destra per la statale 14!”
Tyler
non si allarmò minimamente.
“Lo
so.”
Lei
aggrottò le sopracciglia.
Un
altro avvenimento stava per aggiungersi alle cose che non riusciva a
spiegarsi.
“La
contea di Westchester è dall'altra parte.”
Precisò,
ma il suo tono si era subito fatto più dolce.
Come
se sapesse già che era inutile precisarlo.
Tyler
si leccò le labbra rallentando la marcia per poterla guardare
in faccia.
“Noi
non stiamo andando a Westchester.”
Disse
serio.
Lei
rimase a guardarlo schiudendo appena le labbra.
Era
Tyler.
Qualunque
cosa avesse in mente non c'era da avere paura.
Con
lui era comunque al sicuro.
“E
dove andiamo allora?”
Chiese.
Anche se la risposta non era davvero importante.
Tyler
riportò gli occhi sulla carreggiata.
Aveva
pensato in fretta, forse troppo in fretta.
Ma
se doveva rischiare, tanto valeva rischiare tutto per tutto.
“Chicago.
Andiamo a Chicago.”
Payne
abbassò lo sguardo provando a collegare quella città
con tutto il resto.
Non
le riuscì.
“Perché?”
Tyler
sospirò di nuovo.
“E'
una lunga storia Payne. Piena di cose che non sai.”
Lui
annuì.
Ovvio.
Payne
si trovava di nuovo nel mezzo di una scelta.
Davis,
Blake, André e le vecchie certezze da una parte.
Tyler
e tutto il resto dall'altra.
Stavolta
non avrebbe fatto lo stesso errore.
Allungò
la mano verso la radio per abbassare il volume della musica.
“Ci
aspetta un lungo viaggio...”
Provò
a sorridergli.
“...Hai
tutto il tempo di raccontarmi.”
--------
Fuori
iniziava ad albeggiare.
Le
valigie erano già pronte vicino alla porta.
Eden
sorseggiava caffè ripassando il suo piano.
Il
suo folle piano.
Non
le restava che svegliare Sophia.
Metterle
qualcosa addosso.
E
chiamare un taxi.
Dopo
l'ultimo sorso dal retrogusto troppo amaro, poggiò la tazza
sul tavolo e decise di alzarsi.
Era
il momento.
Nel
silenzio del primo mattino si avvicinò alla porta della
stanza.
Un
rumore improvviso la congelò mentre afferrava la maniglia.
No.
Non era possibile.
E
invece eccolo di nuovo.
Forti
colpi contro il portone di casa sua.
Qualcuno
bussava.
Senza
alcuna delicatezza.
Eden
buttò l'occhio all'orologio.
Quasi
le cinque e venti.
Troppo
presto per Dorothy e gli agenti di controllo.
A
meno che...
Tutto
il sangue le si gelò in corpo.
Aveva
aspettato troppo.
Sicuramente
Dorothy aveva avvertito Brown e gli altri.
O
forse era stato Dair.
Forse
proprio lui aveva ordinato di fermarla.
Eden
vide il suo piano andare in fumo.
E
così la sua speranza.
Di
nuovo sobbalzò al suono di quei colpi che aumentavano di ritmo
ed intensità.
Non
aveva scelta.
Si
mosse velocemente verso le valigie e le spostò il più
in fretta possibile nascondendole nell'armadio a muro ormai vuoto.
Era
la fine, ma doveva comunque sforzarsi di salvare le apparenze.
Inspirò
profondamente non riuscendo a calmarsi.
Cercò
di spettinarsi i capelli per dare l'impressione che fosse sveglia da
poco.
Calciò
via le scarpe mentre trovava il coraggio di avvicinarsi al portone.
Di
nuovo senza scelta.
Tremando
tirò giù la maniglia.
Posso
improvvisare, posso farcela.
Devo
solo fare in modo che non sospettino le mie intenzioni.
Con
un gesto deciso aprì la porta.
Il
suo cuore smise di battere.
I
suoi occhi si spalancarono.
Non
era possibile.
Eden
conosceva quello sguardo.
Nero.
Deciso. Terrorizzante.
Non
lo aveva mai rivolto a lei prima d'ora.
D'istinto
indietreggiò di un passo.
“Come
hai fatto a trovarmi?”
********
A/N
Ciao a tutti! Ecco il mio nuovo capitolo.. Dovrei studiare in realtà,
ma ancora non riesco a smettere di scrivere!
Stavolta
non mi dilungherò in spiegazioni ulteriori.. Credo che il
concetto sia abbastanza chiaro ;) E scommetto anche che avete già
capito chi ha bussato alla porta di Eden..
Sto
già scrivendo il capitolo successivo, quindi non ci sarà
da aspettare troppo. Almeno spero!
XCINZIA818:
ciao! Grazie come sempre ^^ In un certo senso sono contenta di essere
riuscita a stupirti.. Comunque non pensare che sia tutto risolto!
Potrei farlo di nuovo! Pensavo di avere solo pochi capitoli davanti a
me, ma devo ammettere che le cose si stanno complicando anche nella
mia testa.. Quella di Eden non è affatto una scelta semplice!
Comunque nel prossimo capitolo saprai come reagirà Dair e che
cosa gli succederà di conseguenza.. Anche per lui le cose si
complicheranno!^^ E riguardo all'altra domanda, credo di aver già
risposto con questo capitolo.. A presto!
XSUPREME:
Ciao! E' stato davvero bello scoprire la tua recensione! Quindi
voglio davvero ringraziarti.. Sono contenta che la mia storia ti
abbia colpito e che forse riesco davvero a far trasparire qualche
emozione dalle mie parole ^^ Amo scrivere, ma so anche che ho ancora
tanto da imparare! Spero di non deluderti in futuro e sarò
felice se sprecherai di nuovo un po' del tuo tempo per leggere e
commentare! Grazie davvero! -Martina-
XMIVIDAM:
Ciao! Davvero grazie mille per le tue recensioni, sempre così
accurate e gentili.. Senza contare l'apprezzamento, non hai idea di
quanto mi faccia piacere!
Effettivamente
devo dire che non ero di buon umore quando ho scritto gli ultimi
capitoli, quindi immagino che il mio malessere abbia finito per
influenzare inevitabilmente le mie parole.. Anche per me il
matrimonio è un argomento piuttosto significativo (non che
anch'io stia per sposarmi ^^) e quando affronto la questione “finché
morte non ci separi” finisco sempre per amareggiarmi un po'..
Comunque non volevo contagiarvi con la mia paranoia! Sono davvero
convinta che l'amore per sempre sia possibile e che, con un po' di
buona volontà e sacrosanti compromessi, si possa affrontare
qualsiasi cosa! E con questo tanti auguri per il tuo matrimonio!
A
dirti la verità non avevo capito che tifassi per Davis..
Scrivendo questa storia molto spesso mi sono trovata nel mezzo di
pareri discordi. Molti fanno il tifo per lui, molti mi hanno detto
che sarebbe del tutto irrealistico se Eden scegliesse lui alla fine..
Io la mia idea ce l'ho, ma in tutta onestà non sono ancora
troppo sicura! Speriamo di non deludere nessuno, nemmeno te! Grazie
ancora e a presto! PS
Ti devo una recensione. Provvederò al più presto!
|
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Capitolo 19 *** Ciò che (non) Dovrebbe Essere ***
capitolo18
CAPITOLO
18
CIO'
CHE (NON) DOVREBBE ESSERE
“Now
that It's all said and done,
I
can't belive you were the one
To
build me up then tear me down
like
an old abandoned house...
Well,
I never saw it coming
I
should've started running a long long time ago...
And
I never thought I'd doubt you
I'm
better off without you
More
than you, more than you know...”
Over
you - Daughtry
Il
silenzio era assordante.
Il
motore dell'auto come unico sottofondo alla statale semi deserta.
Davis
continuava a guardare la strada con le mani ben ferme sul volante.
Eden
cercava invano un punto da fissare.
C'era
del surreale in quella situazione.
Sophia
dormiva sul sedile posteriore. Il giubbotto di Davis le faceva da
cuscino.
Lei
continuava a guardarlo con la coda dell'occhio sperando che non se ne
accorgesse.
Aveva
il viso stanco.
E
benché tenesse gli occhi incollati all'asfalto, sembrava non
saper resistere alla tentazione di guardare l'immagine di Sophia
nello specchietto.
Continuava
a farlo.
Lo
sguardo si spostava lentamente sul riflesso della bambina e poi
schizzava via tornando alla strada.
Come
se avesse paura.
Come
se fosse troppo.
Eden
sentì il bisogno di muoversi.
Abbassò
il parasole e guardò il suo viso nel piccolo specchio.
La
guancia aveva assunto un colore viola bluastro, ma almeno non si era
gonfiata.
Passò
le dita sul livido poi distolse lo sguardo.
Ecco.
Davis lo stava facendo di nuovo.
Si
decise a rompere quella sorta di tregua silenziosa.
“E'
davvero così difficile?”
Domandò.
Lui
non si mosse
“Cosa?”
Si
sforzò di rispondere.
Eden
buttò gli occhi su sua figlia
“Guardarla.”
“Non
quanto guardare te.”
Rispose
freddo e tagliente.
Eden
sentì addosso il gelo delle sue parole.
Istintivamente
tornò alla posizione iniziale ed incrociò le braccia
sul petto.
“Almeno
sai che non avevo scelta.”
“Ce
l'avevi invece...”
Ribatté
di nuovo lui.
La
calma apparente in perfetta antitesi al peso delle sue parole.
“...Avevi
un mucchio di scelte.”
Eden
provò a guardarlo, ma non ci riuscì.
Aveva
il terrore di incrociare i suoi occhi.
Forse
la odiava di già.
Si
sforzò di apparire comunque decisa.
“Bene.
Allora diciamo che siamo pari.”
“Non
lo siamo affatto.”
Eden
buttò indietro la testa contro il sedile.
Non
poteva vincere.
Sospirò.
Stava
finendo le carte da giocare.
E
non sapeva nemmeno più com'erano arrivati a quel punto.
Si
concertò sulla vista al di là del finestrino.
Scorreva
così veloce che non riusciva a tracciarne i contorni.
Proprio
come la sua vita.
“Ti
prego non odiarmi.”
Sussurrò.
Piano.
Non
abbastanza piano.
Finalmente
Davis scollò gli occhi dalla strada.
Si
voltò verso di lei.
Sul
viso una smorfia di incertezza mista ad incredulità.
Lo
aveva detto davvero?
Eden
chiuse gli occhi senza muoversi.
Sentiva
lo sguardo di Davis contro le sue spalle.
Non
era abbastanza coraggiosa da ricambiare.
“Mamma?”
La
voce di Sophia arrivò alle sue orecchie più dolce del
solito.
Evitando
accuratamente di incrociare Davis, Eden si girò verso sua
figlia.
“Ti
sei svegliata?”
La
piccola si tirò su trovando d'ostacolo la cintura di
sicurezza.
“Siamo
arrivati mamma?”
Domandò
ritrovando immediatamente il suo entusiasmo per la gita fuori porta.
“Non
ancora tesoro.”
Sophia
mise il broncio.
Incrociò
le braccia.
“Ho
fame.”
Confessò.
Eden
sospirò tornando a guardare la strada.
“Sì,
anch'io.”
Davis
guardò l'espressione di Sophia per un solo secondo.
“Che
ne dite di un hamburger?”
Domandò.
Il
broncio di Sophia si sciolse in un sorriso.
Si
sforzò per tirare la cintura ed avvicinarsi a Davis.
“Con
le patatine?”
Lui
sollevò le spalle
“Certo.”
Il
viso della bambina si illuminò ulteriormente.
Eden
si sforzò di rivolgergli di nuovo la parola
“Meglio
di no. Non voglio che mangi tutte quelle schifezze industriali.”
Davis
aggrottò le sopracciglia
“Dici
sul serio?”
Per
la prima volta, senza nemmeno il bisogno di vedere la sua
espressione, si sentì una madre isterica e petulante.
Il
sorriso di Sophia aveva già ripreso le sembianze del suo
caratteristico musetto imbronciato.
“E'
per la sua salute.”
Oddio.
Sembrava di sentire sua madre.
Eden
scosse la testa cercando di eliminare l'eco di quel suono.
Davis
non la stette nemmeno a sentire.
Gli
era bastato buttare gli occhi allo specchietto per decidere.
Si
preparò a svoltare verso la stazione di servizio.
Eden
aggrottò le sopracciglia.
Non
aveva sentito le sue parole? O forse stava di nuovo andandogli contro
per il puro piacere di farlo?
Rimase
a fissarlo per tutto il tempo di parcheggiare.
Sembrava
che nemmeno ci fosse.
Davis
si slacciò la cintura voltandosi indietro verso Sophia.
Eden
avrebbe potuto giurare che quello fosse un sorriso.
Incerto.
Timoroso forse. Ma pur sempre un sorriso.
Stupefacente.
“Andiamo
a prenderci questo hamburger.”
Anche
la sua voce aveva d'improvviso un che di singolare.
Sophia
esplose in un sorriso di pura gioia.
“Sì!”
Esclamò
letteralmente saltando sul sedile nel vano tentativo di liberarsi
della cintura.
Alla
fine riuscì a scivolarne fuori.
Davis
aprì lo sportello tornando a guardare Eden ed il suo
sconcerto.
“Vieni
anche tu?”
Domandò
con sufficienza.
Lei
protrasse le labbra in una sorta di esasperazione.
Aveva
forse altre possibilità?
“Dai
vieni mamma vieni!”
Incredibile.
Poche
ore ed erano già coalizzati contro di lei.
Eden
finì per sbuffare cercando di soffiare via quel pensiero.
In
fondo un hamburger non ha mai ucciso nessuno.
-------
Tyler
infilò le mani in tasca.
I
suoi passi lenti accanto a quelli di Payne.
“Sei
stata bravissima.”
Lei
sembrava non essere ancora scesa dal palco.
Il
sorriso sulle labbra ed il basco scuro in testa.
Intorno
a lei Brooklyn sembrava davvero tingersi della magia di Parigi.
Tyler
aveva appena assistito al suo ennesimo spettacolo.
E
lei era stata una perfetta Madame Bovary.
Come
dopo ogni spettacolo, camminavano l'uno di fianco all'altra verso
casa.
“Grazie
per essere venuto anche stasera, significa tanto per me.”
Tyler
continuò a fissare l'orizzonte.
“Non
si direbbe.”
Lei
aggrottò le sopracciglia
“Che
vuoi dire?”
Lui
sbuffò
“Non
capisco perché continui a farlo. Tutte le mattine mi ignori
come se nemmeno mi conoscessi e poi invece...”
Colto
da un improvviso imbarazzo, la sua frase rimase a metà.
Payne
abbassò lo sguardo come se davvero avesse accusato quelle
parole.
I
suoi passi rallentarono ulteriormente.
“Tu
non capisci...”
Esordì
provocando in lui uno sguardo di esasperazione.
Payne
ricercò i suoi occhi
“Quelle
persone distruggono tutto quello che toccano...”
Iniziò
riferendosi al gruppo di studenti più snob e popolari di cui,
ogni giorno, fingeva di essere parte.
Si
strinse nelle braccia
“...Ed
io non voglio assolutamente che distruggano quello che abbiamo.”
Tyler
sollevò le spalle
“Quello
che abbiamo?”
“Già.”
“Sarebbe
a dire?”
Payne
sollevò l'angolo della bocca in un sorriso incerto
“Dimmelo
tu.”
Entrambi
si fermarono senza nemmeno accorgersene.
L'aria
della notte muoveva appena i suoi capelli.
Tyler
rimase a guardarla senza dire nulla.
La
amava da sempre, ma non poteva ancora dirglielo.
Inspirò
profondamente incollando gli occhi a quelli di Payne.
Lei
mosse un timido passo avanti sfoggiando un sorriso meno timoroso
“Vuoi
baciarmi Tyler?”
Lui
rimase immobile, preda dell'inaspettato calore che quella domanda
aveva acceso in lui.
Payne
si leccò appena le labbra.
“Non
essere spaventato.”
Disse
facendosi ancora più vicina a lui.
Attese
qualche istante.
Si
riempì i polmoni d'aria.
“Sai,
se questa fosse una commedia adesso ti avvicineresti a me...”
Il
tono della sua voce si addolcì lentamente.
Rimase
in attesa di una sua mossa.
Tyler
finalmente prese coraggio, passando delicatamente tra le dita una
ciocca dei suoi lunghi capelli biondi.
“...Mi
diresti che sono bellissima...”
“Lo
sei.”
Finalmente
la voce di Tyler rispose alla sua sussurrando.
“...che
sogni questo momento da sempre...”
“Sai
già che è così.”
Mosse
lentamente le mani per accarezzarle il viso.
Payne
socchiuse gli occhi godendo di quel contatto
“...Poi
mi prenderesti tra le braccia e poi...”
“Payne?...”
Tyler
si permise di interromperla pronunciando il suo nome a bassa voce.
Lei
socchiuse le labbra, lui sorrise appena.
“...Questa
non è una commedia.”
Payne
rispose al suo sorriso
“Allora
baciami e basta.”
L'incontro
delle loro labbra concluse la conversazione.
Il
primo bacio. Un perfetto primo bacio.
E
comunque era solo questione di tempo.
---------------
“Tutto
ok?”
Payne
balzò sul sedile tornando al presente.
“Sì.”
“Sembravi
finita su un altro pianeta.”
C'ero
davvero.
Lei
sorrise.
Tyler
guardava con attenzione la strada.
Eden
gli aveva raccontato del suo appartamento, ma lui non era mai stato a
Chicago prima.
In
qualche modo quella città sembrava uguale a tutte le altre.
E
cercare nella confusione del traffico non era semplice. Nemmeno lì.
Payne
ripensò di nuovo a tutto quello che Tyler le aveva raccontato.
Il
coma. L'FBI. Una bambina.
Non
riusciva ancora a crederci.
Sembrava
più la trama di uno dei suoi racconti che la realtà.
Tyler
si schiarì la voce.
“Grazie
comunque.”
Payne
si morse il labbro
“Di
cosa?”
“Di
essere venuta con me. Almeno stavolta.”
La
precisazione finale riaccese il suo senso di colpa.
E
tutti i suoi rimorsi.
Payne
si sforzò di non drammatizzare.
“Sai
come si dice...”
Scrollò
le spalle
“...Chi
sbaglia impara.”
Dietro
quelle poche parole un mondo intero.
Rimpianto.
Nostalgia. Colpa.
Speranza.
“Credo
che ci siamo.”
Tyler
rallentò scrutando il nome della via all'altro lato della
strada.
Decise
di lasciare la sua Mustang e proseguire a piedi.
Con
la dovuta cautela si avvicinarono al palazzo.
Il
sole era già calato e tutto sembrava apparentemente calmo.
Percorso
il breve vialetto Tyler bussò alla porta.
Payne
teneva gli occhi aperti alle sue spalle.
Nessuno
rispose.
Bussò
di nuovo.
Non
aveva corso come un matto per più di dieci ore solo per
trovarsi di fronte ad una porta chiusa.
Aprire
la serratura fu più piuttosto semplice.
Dentro
furono accolti da semioscurità e disordine.
Troppo
disordine. Perfino per Eden.
Sembrava
come se qualcuno avesse rovistato tra le sue cose.
Payne
si mosse lentamente nella stanza cercando di immaginare la sua amica.
Passò
le mani sulla pelle fredda del divano.
Visualizzò
la sua sagoma intenta tra i fornelli.
Buttò
gli occhi nella stanza con la carta da parati rosa.
Doveva
essere quella della bambina.
Mentre
cercava di immaginare che viso potesse avere la figlia di Eden e
Davis, intorno a lei Tyler si muoveva come una furia.
Aveva
timore degli agenti ed iniziava a preoccuparsi davvero.
“Sto
scappando. Non c'è altro modo per dirlo.”
Probabilmente
era stato uno stupido a sperare di poterla fermare in tempo.
Payne
espirò cercando qualche parola giusta da dire.
La
delusione di Tyler era evidente.
Per
lei, invece, tutto era ancora troppo irreale.
Non
sapeva come confortarlo.
“Se
n'è andata.”
Quella
voce li colse alle spalle come una fucilata.
Tyler
scattò immediatamente in cerca dello sconosciuto che aveva
pronunciato quelle parole.
Sfoderò
la pistola puntandola alla porta.
Col
braccio spinse Payne dietro di lui.
Quell'uomo
che non aveva mai visto, stava sulla soglia con le mani alzate.
Apparentemente disarmato.
Sul
viso il riflesso della sua stessa delusione.
L'istinto
gli suggerì chi potesse essere.
“Chi
sei?”
Domandò.
“Daniel
Dair, ma chiamami pure Dair.”
Tyler
spalancò gli occhi.
I
suoi sensi non avevano mentito.
Avevano
di fronte l'FBI.
“Dov'è
Eden?”
Incalzò
facendosi minaccioso con la sua 9mm.
“Speravo
potessi dirmelo tu.”
Stavolta
Tyler aggrottò le sopracciglia.
“Io?
Sei tu l'agente...”
Si
mosse di nuovo
“...Dove
l'avete portata?”
Dair
scrollò le spalle
“Da
nessuna parte. Se n'è andata di sua spontanea volontà.
O almeno spero.”
Dair
mosse con cautela il primo passo al di là della soglia.
Con
le mani ancora alzate cercò di spiegarsi.
“Puoi
abbassare la pistola. Sono disarmato. Perquisiscimi pure se vuoi.”
Payne
venne finalmente avanti.
“Ci
penso io.”
Mugugnò
avvicinandosi a lui.
Davvero
non sembrava minaccioso.
“E'
pulito.”
Sentenziò
dopo aver tastato i suoi abiti.
Tyler
deglutì abbassando l'arma con una certa resistenza.
“Tyler
Matthews giusto?”
Lui
annuì e basta.
“E
tu devi essere Payne. So praticamente quasi tutto di voi.”
“Allora
dimmi dov'è Eden.”
Fu
la risposta secca di Tyler.
Dair
abbassò la testa.
“Stavolta
ha davvero combinato un bel casino.”
“Che
vuoi dire?”
Il
tenente rialzò gli occhi.
Sollevò
un sopracciglio.
“Non
lo sai?”
Tyler
rimase incerto sulla sua risposta.
Il
suo sguardo fu comunque abbastanza eloquente.
“Ha
mandato a monte l'intera operazione.”
Spiegò
con palese amarezza.
Tyler
corrugò la fronte
“Non
avete arrestato Davis?”
“Decisamente
no.”
Il
respiro di sollievo di Payne spezzò la tensione.
Non
aveva mai davvero creduto a quella parte della storia.
“Che
è successo?”
Dair
inspirò profondamente
“Davis
non si è presentato alla firma del testamento. E io ci ho
rimesso il posto.”
Tyler
guardò i suoi movimenti.
La
sua faccia stanca.
Il
suo sconforto.
“E'
scappata davvero allora.”
Sbottò.
Dair
alzò il viso
“Dove?”
“Non
lo so. Sono corso qui sperando di trovarla, ma siamo arrivati tardi.”
Nello
sguardo del tenente si riaccese una scintilla
“E
dov'è Davis invece?”
Tyler
sollevò le spalle
“A
quest'ora immagino che sia già dall'altra parte del pianeta.”
Dair
spostò lo sguardo imprecando tra i denti.
“Maledetto
bastardo.”
La
suoneria del cellulare di Payne ruppe quell'attimo di silenzio.
Lei
esitò prendendolo tra le mani.
“E'
ancora Blake.”
Disse
infine.
Mentre
Tyler fremeva d'incertezza Dair si rivolse direttamente a lei
“Rispondi.”
“No!”
Ribatté
Tyler.
Payne
li guardò entrambi mentre il display continuava ad illuminarsi
con insistenza.
“Forse
sanno dov'è.”
“Non
è con loro.”
“Non
vuol dire che non sappiano dov'è.”
Tyler
si portò le mani alle tempie.
Tra
il suono acuto del telefono e la voce di Dair non riusciva più
a pensare.
“Rispondi!”
Sentì
il tenente rivolgersi di nuovo a Payne.
Lei
sembrò voler cedere.
Tyler
intercettò le sue mosse togliendole il cellulare dalle mani.
Fulminò
Dair con lo sguardo mentre si accingeva a rispondere.
Non
doveva fiatare.
“Pronto?”
“Si
può sapere dove cavolo siete??!”
L'urlo
di Blake riempì la stanza.
Dovevano
incontrarsi a Westchester ore ed ore prima e per tutto il tempo
avevano ignorato le sue chiamate.
“Abbiamo
avuto un contrattempo.”
Rispose
lui.
“Un
contrattempo?! Sei impazzito?! Guarda che qui sta andando tutto a
puttane! Davis è sparito e Leman vuole che ce ne andiamo il
più...”
Tyler
ignorò la sua rabbia focalizzandosi sul dettaglio principale
“Che
vuol dire che Davis è sparito?”
A
quella domanda vide Dair diventare di ghiaccio davanti ai suoi occhi.
I
pugni stretti e lo sguardo affilato.
“E'
sparito ti dico! Non è mai arrivato qui e non risponde alle
mie telefonate!”
Il
tono di Blake sfumò nella più genuina apprensione.
Di
lì a poco avrebbe forse anche pianto.
“Sono
sicuro che si farà sentire.”
“Dovete
venire qui, immediatamente!”
Tyler
sospirò notando l'assurdità della sua situazione.
“Temo
che ci vorrà un po' Blake.”
“Un
po' quanto?!”
Circa
dodici ore.
Tyler
is passò nervosamente una mano sulla fronte
“Ho
paura che dovrete aspettare almeno fino a domani.”
“Domani?!
Ma dove diavolo siete??”
“Non
importa Blake. Senti, se Leman non vuole nascondervi allora trovatevi
un posto per dormire ok? Noi ci risentiamo.”
Chiuse
la comunicazione ignorando l'ennesimo urlo di Blake.
Restituì
il telefono a Payne.
Gli
occhi di Dair erano ancora incollati su di lui.
I
suoi muscoli erano sempre più tesi e lo sguardo più
torvo.
“Come
ti avevo detto non è con loro.”
Dair
si mosse nervosamente nella stanza
“Chiamala.”
Ordinò
infine.
Tyler
scosse la testa
“Credi
che non ci abbia già provato?”
“Allora
provaci di nuovo!”
I
toni della conversazione iniziarono a salire.
Dair
aveva ormai rinunciato, ma forse Tyler aveva ancora qualche speranza.
“Perché
dovrei farlo eh?”
Tyler
sollevò un sopracciglio
“Perché
mai dovrei aiutarti a trovarla? Tu sei un poliziotto!”
“Non
in questo momento.”
“Davvero?”
Dair
si morse le labbra.
Odiava
esporre quel concetto ad alta voce.
“Sono
stato sospeso. Non potrei arrestarvi nemmeno se volessi.”
“E
allora che cosa vuoi?”
Il
tenente si spinse a pochi centimetri da Tyler.
Lo
guardò fisso negli occhi.
“Devo
trovare Eden.”
Scandì
con voce ferma e decisa.
Tyler
lesse nel suo sguardo qualcosa di strano.
C'era
più dell'operazione di polizia in ballo. Era evidente.
“Proverò
a chiamarla. Soltanto una volta. Lei non risponderà e tu ci
lascerai andare ok?”
Non
era una richiesta. Erano i suoi termini.
Dair
acconsentì con un cenno della testa.
Non
erano le sue reali intenzioni, ma poco importava.
Tyler
indietreggiò di un paio di passi e compose il numero a
memoria.
Rimase
a fissarlo mentre gli squilli si susseguivano.
Fu
genuinamente sconvolto quando sentì la voce della sua amica
all'altro capo.
Sperava
davvero che non rispondesse.
Non
in quel momento.
“Tyler?”
La
voce di Eden era chiaramente scossa, ma non sembrava spaventata.
“Stai
bene?”
Fu
la prima domanda di Tyler.
“Sì.
Diciamo di sì.”
“Dove
sei?”
Ci
fu una pausa quasi insostenibile.
“Sono
con Davis.”
Tyler
sgranò gli occhi.
Ad
ogni secondo tutto diventava più complicato.
“Cosa?”
“E'
riuscito a trovarci.”
Eden
teneva il tono basso, come se stesse parlando di nascosto.
“Dove
siete adesso?”
“Da
qualche parte vicino a Johnstown.”
“In
Pennsylvania?”
“Stiamo
venendo a Westchester.”
Tyler
abbassò lo sguardo.
Probabilmente
pensava che avrebbe trovato anche lui lì.
“E
lui è lì con te adesso?”
Alla
parola “lui” Dair aveva di colpo affilato lo sguardo.
I
suoi peggiori sospetti andavano prendendo forma.
“E'
andato a prendere qualcosa da bere. Ecco perché ho risposto
solo ora.”
“E'...
E' tutto ok lì?”
Tyler
non sapeva come altro chiederlo.
Vi
siete già massacrati?
Tua
figlia è lì con voi?
Gli
hai detto la verità?
Siete
ancora tutti vivi?
Eden
sospirò all'altro capo del telefono.
“Per
ora sì.”
“Bene...
Ci vediamo lì allora.”
Lei
prese un altro lungo respiro
“Mi
dispiace Tyler. Di tutto. Di averti messo in mezzo a questo casino e
di non averti chiamato prima.”
Tyler
avrebbe voluto sorridere, ma trattenne il suo istinto.
“Non
preoccuparti. Si risolverà tutto.”
Com'era
difficile dirlo con addosso gli occhi furiosi di un poliziotto.
Si
rimise il telefono in tasca e cercò di sfoggiare la più
sicura e minacciosa espressione.
“Lei
sta bene.”
Di
sicuro non era abbastanza.
Dair
incalzò di nuovo contro di lui, afferrandolo per la maglietta.
“Dov'è??”
Payne
si mosse verso di loro.
Non
aveva ancora proferito parola, ma non avrebbe indugiato oltre se ci
fosse stato da intervenire.
“Perché
ci tieni tanto?”
Domandò
spezzando la tensione col suo tono inopportunamente curioso.
Era
rimasta ad osservare per tutto il tempo ed aveva capito che
quell'uomo non agiva per senso del dovere.
Dair
la guardò.
Ritrasse
le mani di colpo consapevole di aver ceduto troppo rapidamente
all'aggressività.
Indietreggiò
riprendendo fiato.
Alzò
le mani cercando goffamente di mostrare la calma ritrovata.
“E'
con Davis non è vero?”
L'esitazione
di Tyler nel rispondere diede il colpo di grazia ai suoi intenti.
Nascose
il viso tra le mani per un secondo.
Non
poteva mostrare il suo reale stato d'animo.
Payne
aggrottò le sopracciglia facendosi avanti.
Ogni
gesto di Dair confermava i suoi sospetti.
“Chi
sei tu?”
Piegò
la testa da un lato
“Voglio
dire... Non ti comporti affatto come un poliziotto...”
Lo
vide stringere di nuovo i pugni
“...Sembri
piuttosto un fidanzato geloso. Preoccupato e geloso.”
Dair
rivolse lo sguardo a Payne.
E
poi a Tyler. E poi di nuovo a Payne.
La
stessa sensazione che lo aveva colpito la prima volta che aveva visto
Eden, lo colpì di nuovo.
Quelle
non erano persone cattive.
Seguendo
di nuovo l'istinto decise di giocarsi il tutto per tutto.
“Hai
ragione.”
Ammise
spostando gli occhi verso il pavimento.
“Non
che sia il suo fidanzato, ma comunque noi...”
Le
parole gli morirono in bocca.
Noi
cosa?
Scosse
la testa tornando a guardare Tyler.
Lui
scrutò a fondo quel viso.
Era
un uomo che chiedeva aiuto.
“E'
con lui?”
Payne
e Tyler si scambiarono un'occhiata di intesa.
Erano
entrambi incerti sul da farsi, ma mentire ulteriormente non avrebbe
risolto le cose.
“Sì.
E' con lui.”
Nessuna
imprecazione. Nessun gesto furioso. Nulla di nulla.
Dair
rimase immobile con gli occhi in quelli di Tyler.
“Sophia
è con loro?”
Quel
nome gli parve estraneo per un momento.
Eden
non ne aveva parlato chiaramente, ma se la bambina non era più
lì, inevitabilmente doveva essere con loro.
“E'
riuscito a trovarci” aveva
detto.
“Immagino
di sì.”
Il
labbro di Dair tremò per un istante.
“Devi
portarmi da lei.”
Il
suo viso era rimasto impassibile ma dalla voce si capì che
aveva chiaramente accusato il colpo.
Tyler
scosse la testa.
“No.
Questo non posso farlo.”
“Ma
devi farlo!”
Dair
alzò la voce rinunciando nuovamente al suo tentativo di
mantenere la calma.
“Eden
non è in pericolo. Davis non farebbe mai...”
Senza
volerlo, Tyler cedette all'istinto di rassicurarlo.
“Come
puoi dirlo? Davis è un assassino!”
Lo
interruppe l'altro.
“Quindi
è questo. Vuoi che ti porti da lei così potrai
finalmente arrestare Davis.”
“Non
mi importa niente di Davis adesso!”
Dair
gli urlò in faccia. Fu sul punto di aggredirlo di nuovo, ma si
trattenne.
“Voglio
solo trovare Eden e Sophia...”
Il
tenente prese fiato tornando a guardare Tyler
“...Sono
certo che lo conosci meglio di me... Forse Davis non è così
cattivo come dicono, ma credi davvero che siano al sicuro con lui?
Che la bambina sia al sicuro con lui? Probabilmente è
terrorizzata.”
A
quel pensiero un brivido corse lungo la sua schiena.
Tyler
rimase incerto sulla sua risposta.
Era
sicuro che Davis non avrebbe fatto del male a nessuno, ma il pensiero
della bambina... Davis non era certo un esperto di bambini... E la
voce di Eden al telefono...
Payne
si mosse di nuovo
“Dici
che non ti importa di arrestarlo, ma cosa vuoi fare allora?”
Dair
si rivolse a lei
“Voglio
solo riportarle qui, al sicuro. Per quanto riguarda voi altri non mi
interessa, vi lascerò andare tutti.”
Sollevò
le spalle. Con lo sconcerto del suo stesso essere, era la verità.
“Perché
mai dovremmo fidarci di te?”
Dair
gettò via anche l'ultimo brandello di dignità
“Perché
io la amo.”
Payne
lesse la disperazione di quell'uomo.
Non
lo conosceva, non lo aveva mai visto, ma non riusciva a non
credergli.
Anche
Tyler rimase a guardare in silenzio.
Nella
sua testa l'immagine di Eden.
La
sua espressione quando quel giorno le aveva raccontato tutta la
verità.
Il
suo viso si era illuminato per un attimo quando, parlando dei suoi
agenti di controllo, aveva detto
“Mentre
l'altro bhé... Lui era... Gentile.”
Parlava
proprio di lui.
Ed
eccolo qui. Daniel Dair.
Anche
i suoi occhi si erano illuminati ogni volta che aveva pronunciato il
nome di Eden.
Ed
era lì. Arreso davanti al nemico pur di ritrovarla.
Distolse
lo sguardo.
Non
poteva tradire Davis. Già... Davis.
Quanto
lo aveva odiato il giorno in cui avevano creduto Eden morta.
E
quanto lo aveva detestato il giorno in cui aveva ucciso quel
gendarme.
Era
colpa sua se tutto era diventato un casino.
Per
lui aveva perso la sua amica e la sua donna.
E
insieme a loro ogni speranza di tornare ad una vita normale.
Dentro
di lui lo aveva sempre pensato.
E
forse era lecito anche pensare che Eden meritasse qualcosa di meglio.
Che
potesse ancora essere salvata.
Che
proprio quel Daniel Dair potesse salvarla.
Payne
gli si avvicinò. Il suo animo romantico si era facilmente
lasciato scalfire.
“Cosa
facciamo?”
Gli
sussurrò.
Tyler
inspirò profondamente. La rabbia per il passato si era
riaccesa prepotente dentro di lui.
Sfilò
al fianco di Payne parandosi davanti a Dair.
“Queste
sono le mie condizioni...”
Iniziò
serio e solenne col pollice alzato
“Primo,
non arresterai nessuno...”
Sollevò
anche l'indice
“Secondo,
lascerai che sia Eden a decidere cosa vuole fare...”
Aguzzò
lo sguardo facendosi minaccioso e terribilmente cupo
“E
terzo, fai anche solo un passo falso e sei finito, agente.”
L'appellativo
finale servì a sottolineare l'entità dell'accordo.
Non
era un favore fatto a lui.
Era
un tentativo dovuto alla sua amica.
La
sua migliore amica.
Dair
annuì ritrovando un po' di vigore.
“Posso
accettarle.”
“Bene...”
Tyler
si mosse verso la porta assicurandosi di avere ancora l'arma a
portata di mano.
Non
avrebbe di certo abbassato la guardia.
“...Muoviamoci
allora.”
Aprì
la porta facendo cenno a Dair di passare per primo.
Mai
e poi mai dare le spalle a qualcuno di cui non ti fidi.
Payne
attraverso la soglia con lui, sperando di aver preso la decisione più
giusta per tutti.
---------------
Eden
ripose il cellulare in tutta fretta uscendo dalla porta semichiusa
del bagno.
Come
sempre, la voce di Tyler aveva avuto il suo effetto ansiolitico.
Rivederlo
sarebbe stato anche meglio.
“Guarda
mamma! Ci sono i Muppets!”
Sophia
se ne stava sul letto con le gambe incrociate ed il telecomando in
mano.
Eden
la raggiunse sedendosi accanto a lei.
Era
sorprendentemente tranquilla.
“Forse
sarebbe meglio dormire un po'.”
“Non
ho sonno!”
Protestò
la bambina.
Eden
sorrise accarezzandole i capelli.
Era
stata una giornata movimentata, ma sembrava che l'unica davvero
scombussolata fosse lei.
“Davvero
non sei stanca?”
Sophia
scosse la testa velocemente poi si tirò su e si accoccolò
tra le braccia di Eden.
“Dov'è
Davis?”
Domandò.
Eden
passò di nuovo le dita tra i suoi capelli.
“E'
andato a prenderci qualcosa da bere.”
“E'
simpatico sai?”
Eden
aggrottò le sopracciglia di riflesso
Simpatico?
Negli
occhi di Sophia non c'era alcun timore di lui.
Come
se qualcosa di realmente innato la facesse sentire al sicuro.
“E
gli hamburger sono strabuonissimi!”
Ecco
svelato il trucco.
Eden
si sentì davvero meglio di fronte a quel visino sereno.
Tutto
il resto non aveva importanza.
O
almeno quasi tutto.
Stampò
un bacio sulla fronte di Sophia.
Guardò
intorno a sé l'arredamento scarno di quella stanza di motel.
Nulla
di rassicurante nelle macchie sulla carta da parati, ma data la
condizione di fuggiaschi non potevano concedersi di meglio.
Il
vento faceva sbattere le veneziane contro il vetro, creando un
sottofondo piuttosto inquietante.
Eden
si strinse nelle braccia guardando di nuovo la sua bambina.
Era
davvero più coraggiosa di lei.
Lei
che cercava di ignorare i suoi veri pensieri.
Davis
era uscito dalla stanza ormai da parecchio e senza di lui...
Bhé...
Inaspettatamente senza di lui non riusciva più a sentirsi al
sicuro.
Lei
che pensava davvero di potercela fare anche da sola.
D'un
tratto non ne era più così certa.
Il
suo pensiero volò dritto da un'altra parte.
Tutta
colpa di Dair.
Sua
e della sua strabiliante capacità di farla sentire al posto
giusto.
Forte
e protetta.
Chissà
dov'era lui adesso?
Un'immagine
prese vita spontanea nella sua mente.
L'idea
di aver distrutto anche lui la investì come un treno in corsa.
Più
insopportabile del previsto.
Quasi
non riuscì a trattenere le lacrime.
Dair
aveva tirato fuori il meglio di lei e lei l'aveva ripagato col
peggio.
Per
cosa poi? Per continuare a scappare nell'ombra delle sue bugie.
Per
fuggire con un uomo che sembrava non conoscere più.
Tirò
su col naso, finalmente conscia della sua nuova situazione.
In
quel momento era solo un punto fermo nel moto caotico dell'universo.
Senza
più un passato da salvare.
Né
un futuro in cui sperare.
Solo
un presente senza uscita.
Improvvisamente
le mancò il respiro, sentì il panico iniziare a
sommergerla poco a poco.
Come
sono arrivata a questo punto??
Aria.
Aveva bisogno d'aria.
“Resta
buona qui un attimo, ok?”
Annaspò
trattenendo il pianto ancora per un po'.
Sophia
annuì con lo sguardo perso nella tv.
E
così corse fuori dalla porta pronta a versare in lacrime tutto
quel dolore.
Eden
scoppiò a piangere stringendo il viso tra le mani.
Si
lasciò cadere contro la parete di legno.
Non
c'era altro da fare.
Davis
riuscì a scorgere la sua figura quasi subito.
Ma
con la birra nella mano e una sigaretta nell'altra, gli ci volle un
po' per capire che stesse piangendo.
Era
la seconda volta in un solo giorno che la vedeva crollare.
E
non si sentiva meglio di lei.
Salì
piano i pochi gradini che lo separavano da lei.
Poggiò
a terra la bottiglia.
Eden
rialzò lo sguardo restando a guardarlo in silenzio.
Odiava
essere vista in quelle condizioni.
Si
strofinò il naso cercando di ingoiare il pianto.
Lui
sputò l'ultima boccata di fumo prima di voltarsi verso
l'orizzonte.
“Io
non ti odio.”
Disse
continuando a guardare verso il cielo.
Eden
rimase impietrita per qualche istante poi chiuse forte gli occhi
sperando che bastasse per sentirsi meglio.
“Per
quanto vorrei, non ci riesco.”
Davis
rimase di spalle sedendosi sulle scalette.
Lei
respirò profondamente quelle parole.
Si
lasciò scivolare lungo la parete distendendo le gambe sul
legno.
Riusciva
a seguire i suoi respiri dal movimento lento delle sue spalle.
E
non riuscire vedere il suo viso era confortante.
Davis
parlò di nuovo
“Non
so come si fa.”
Disse
quasi sussurrando.
Eden
sollevò un sopracciglio
“Che
cosa?”
Lui
sollevò le spalle
“Il
padre...”
Disse
con una naturalezza disarmante.
“Non
so cosa fare... Non so cosa dire...”
“Stai
andando bene invece...”
Davis
scosse la testa
“Ancora
non riesco a crederci.”
Eden
rimase a fissare le stelle in silenzio.
Lui
mandò giù un altro sorso, ma sembrò non trovarci
alcun conforto.
Eden
inspirò profondamente
“Nemmeno
io ti odio...”
Si
sentì di precisare
“...Ho
passato anni interi credendo che fosse così, ma in realtà
non ha più alcuna importanza.”
Poggiò
la testa al legno
“Nulla
di quello che è successo ha più importanza.”
Mentre
parlava il discorso sembrava venir fuori dalle sue labbra di propria
spontanea volontà.
Come
se stesse parlando solo con sé stessa.
“La
verità è che la vecchia Eden è morta quel
giorno... E con lei tutto quanto.”
Davis
prese un respiro profondo
“Quindi
anche noi?”
Eden
abbassò gli occhi mordendosi le labbra.
Avrebbe
voluto dire di no.
Avrebbe
davvero voluto dirlo.
Ma
i sentimenti per lui non riuscivano a zittire la sensazione che
qualcosa si fosse spezzato.
Irrimediabilmente.
Davis
sorrise alla luna.
“E'
paradossale sai? Dal momento in cui mi hanno detto che eri ancora
viva non ho fatto altro che pensarci...”
L'ironia
forzata della sua voce si interruppe per un po'
“Ho
fatto cose terribili nella mia vita, ma pensavo davvero di poter
ricominciare... Ne ero convinto.”
Eden
chiuse gli occhi.
Quei
pensieri erano un po' anche i suoi.
“Una
vita diversa... Io e te... Una famiglia.”
“Ti
prego non dirlo.”
Lo
zittì lei prima che potesse continuare.
Era
doloroso.
Quelli
erano i sogni che avevano costruito insieme.
Gli
stessi che non avrebbero mai realizzato.
Troppo
tardi.
Quell'urlo
continuava a riempire la testa di Eden.
La
costrinse a portarsi le mani alle tempie.
Erano
due punti fermi nel bel mezzo del caos universale.
Senza
più un passato da salvare.
Né
un futuro in cui sperare.
*******
Questa
volta eviterò di scusarmi troppo per il tempo tra un
aggiornamento all'altro... Mi dispiace da morire, ma ho capito che
dovrò farlo per forza ogni 10/15 giorni :((
Non
vorrei, ma tra gli esami e tutto il resto, non riesco a ritagliarmi
troppo tempo! Spero che abbiate pazienza, anche perché la fine
della storia si avvicina e sono più che decisa ad arrivarci!
Per
quanto riguarda questo capitolo cosa posso dirvi? Forse starete
pensando che la decisione di Tyler è piuttosto strana, ma
immagino che abbiate capito che il suo rapporto personale con Davis è
abbastanza controverso. Del resto aveva già acconsentito ad
aiutare Eden a farlo arrestare, perché non restare coerente?
Per lui la sua amica è più importante del resto (quasi
al pari di Payne ovviamente^^). A proposito, mi è sembrato
giusto dedicare un po' di spazio anche a loro, anche se l'ho fatto
solamente attraverso un flashback. Non sono i veri protagonisti della
storia, ma fanno comunque la loro parte.
E
così Dair si ritroverà catapultato nel loro mondo e,
soprattutto, finalmente faccia a faccia col suo nemico numero uno..
Che succederà? Non posso ancora dirvelo!
Dimenticavo...
BUON ANNO A TUTTI!!!
Ringrazio
da morire CINZIA818, MEREDITH91, SUPREME e MIVIDAM per le splendide
recensioni! Stavolta taglio corto (ovviamente per mancanza di tempo
O_o) ma tanto lo sapete già che vi adoro e che siete la
motivazione che manda avanti questa storia!!
Per
ringraziarvi ulteriormente vi dedico questo trailer, realizzato
sempre da me, con gli ipotetici volti della storia.. Spero che non
abbiate problemi con l'inglese e, tanto per, rifaccio la lista dei
personaggi:
Eden
– Leighton Meester
Davis
– Ed Westwick
Dair
– Jensen Ackles
Tyler
– Penn Badgley
Payne
– Blake Lively
Blake
– Sophia Bush
André
– Robert Pattinson
McPhee
– Sean Bean
Grace
– Kristin Kreuk
E
Sophia?? Scommetto che capirete da dove l'ho rubata!!^_^
Seguite
il link e se ci mette un po' a caricare è normale:
http://www.veoh.com/browse/videos/category/entertainment/watch/v196123085ATwPabM#
|
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Capitolo 20 *** Chiunque tu Sia ***
capitolo19
CAPITOLO
19
“CHIUNQUE TU SIA”
“And
I lost who I am
And
I can't understand
why
my heart feels so broken
rejecting
your love...
Who
I am from the start
take
me home to my heart
let
me go and I will run...”
Shattered
– Trading Yesterday
“Dove
diavolo eri finito?!!”
La
furia di Blake riempì la stanza non appena Davis vi mise
piede.
Sua
sorella gli si scagliò contro pronta a scaricare tutta la
tensione accumulata in quelle ore.
Davis
schivò il suo arrivo restando in silenzio.
“Ti
rendi conto? Credevo ti avessero arrestato! Ho avuto paura che fossi
morto o magari anche peggio!”
“Cosa
c'è di peggio Blake?”
Ribatté
lui con una calma del tutto fuori luogo.
Lei
strinse i pugni
“Ci
hai fatto rischiare tutti, lo sai? Nemmeno Leman vuole più
aiutarci adesso e comunque...”
Blake
rimase a bocca aperta spalancando gli occhi verso la porta.
Eden
fece il suo silenzioso ingresso lanciandole una semplice occhiata.
Una
parte di lei avrebbe voluto sfoggiare un bel sorriso sardonico, ma
data la situazione, meglio evitare.
Nascosta
dall'ombra di sua madre, Sophia rimase sulla soglia sbirciando
l'assoluta novità con i suoi grandi occhi scuri.
Blake
divenne bianca come un lenzuolo.
Riportò
lentamente gli occhi su suo fratello e sulla sua totale mancanza di
reazioni.
Gli
scattò vicino trascinandolo il più lontano possibile.
“Che
cosa significa tutto questo!? Non solo continui a riprenderti quella
strega, adesso ti sei messo anche a raccattare bambini?!”
“E'
la figlia di Eden.”
Rispose,
lasciando ulteriori particolari ad un momento migliore.
Blake
strabuzzò gli occhi.
“Co..
Come?”
Balbettò
guardando di nuovo Sophia.
La
piccola sollevò lentamente la mano in un saluto.
Blake
rabbrividì.
“E'
impossibile.”
“Te
lo spiego più tardi...”
Davis
uscì dalla sua presa riavvicinandosi ad Eden e Sophia.
“...Dove
sono gli altri?”
Proprio
come se avesse sentito il suo richiamo, André venne fuori
dalla cucina con un'enorme ciotola di pop-corn.
“Hey,
ce l'avete fatta!”
Esordì
biascicando con la bocca piena.
Il
suo sorriso sparì due secondi più tardi.
Mandò
giù con fatica puntando il dito verso la soglia.
“Che...
Che cos'è quella?”
Il
suo indice puntò dritto verso Sophia.
Gli
occhi della bambina si illuminarono.
“Pop-corn!”
Esclamò
venendo fuori dall'ombra di Eden per raggiungere André.
Lui
indietreggiò vedendola venirgli incontro.
Di
nuovo deglutì.
“Avete..
Avete rapito una bambina?”
Eden
non riuscì a trattenere un sorriso.
“E'
mia figlia.”
André
guardò giù verso Sophia. Gli arrivava poco più
su delle ginocchia, ma poteva facilmente riconoscere gli stessi occhi
di Eden.
“Pop-corn!”
Esclamò
di nuovo lei allungando la mano.
Quel
sorriso però non era il suo.
André
mise la ciotola alla sua altezza e lasciò che ne prendesse una
manciata.
“Come
ti chiami?”
Domandò
la bambina.
“André.”
Rispose
ancora un po' intimorito.
“Anche
tu sei un amico della mamma?”
“Credo
di sì.”
Ribatté
sollevando un sopracciglio.
“Io
sono Sophia Spencer.”
Precisò
la bambina e lui non riuscì a fare altro che abbozzare un
sorriso.
Davis
si guardò intorno mentre quella scena accadeva poco più
là.
Una
bella casa in un quartiere residenziale. Aveva perfino il parquet ed
il giardino.
“Come
avete trovato questo posto?”
Domandò
riportando l'attenzione su di lui.
Blake
inspirò profondamente approfittando del cambio di argomento
per tranquillizzarsi.
“Io
volevo andare in un motel, ma André aveva bisogno delle sue
comodità...”
Guardò
l'amico in preda al sarcasmo
“...Così
ha convinto un'agente immobiliare del tutto idiota a farci usare
questo posto per un po'. Non chiedetemi come.”
André
sollevò l'angolo della bocca strofinandosi il pugno sul petto
“Modestamente.”
Blake
sfoggiò una smorfia disgustata.
“Ma
se pesava almeno cento chili!”
“Non
era così male! E poi devo ammettere che aveva delle doti
nascoste..”
Davis
sorrise per la prima volta dopo tanto.
“Ci
sono delle stanze anche per noi?”
“Al
piano di sopra.”
Davis
guardò sua sorella sperando che avesse esaurito i bollenti
spiriti
“Ti
dispiace accompagnarle?”
Chiese.
Blake sollevò le sopracciglia mimando un “Come, prego?”,
ma capì ben presto di dover seguire la sua richiesta.
“Andiamo.”
Pronunciò
tra i denti avviandosi verso le scale.
Eden
lanciò un'ultima occhiata verso Davis, come se avesse
improvvisamente paura di separarsi da lui. Scacciò via l'idea
richiamando sua figlia.
Sophia
sorrise guardando in su verso il viso del suo nuovo ed alto amico
“Ciao
André!”
Lui
rispose goffamente al saluto ed attese di vederle sparire sulle
scale.
“Puoi
farmi un riassunto per favore?”
Davis
sembrò cambiare totalmente aspetto in un solo secondo. Tutta
la calma apparente sparì e la stanchezza attaccò
irrimediabilmente i suoi muscoli. Finalmente poteva rilassarsi.
Finalmente poteva dirlo a qualcuno.
“E'
mia figlia.”
Sputò
tutto d'un fiato.
André
fece per parlare, ma rimase a bocca aperta. Non riuscì a
proferire parola mentre il suo amico raggiungeva il divano crollando
sfinito sui cuscini.
Davis
buttò indietro la testa sbuffando verso il soffitto.
Non
si sentiva affatto meglio.
“Com'è
possibile?”
Riuscì
infine a domandare André.
Davis
sollevò le spalle
“Era
già incinta quando noi...”
Non
terminò la frase, ma del resto non era necessario. Era fin
troppo facile tirare le somme.
“Cavolo..”
André
si grattò un sopracciglio ancora preda della sorpresa.
Inspirando
raggiunse la più vicina fonte di alcool e versò un
abbondante whisky doppio.
“Tieni.”
Porse
il bicchiere a Davis sedendosi accanto a lui.
Davis
buttò giù un paio di sorsi mentre tutti e due
guardavano in silenzio il nulla di fronte ai loro occhi.
“E
così sei diventato papà.”
Ribadì
André tamburellando con le dita sulle sue stesse ginocchia.
Davis
rispose con un semplice “Mm”.
L'altro
sospirò ancora, probabilmente cercando qualcosa di giusto da
dire. Le conversazioni intime non erano di certo il loro forte.
André
cercò di sforzarsi. Conosceva bene Davis e in fin dei conti
anche le parole di cui lui aveva bisogno.
“Quindi
adesso hai una famiglia.”
Davis
sollevò una mano buttando giù altro whisky
“Ti
prego non dire quella parola.”
Rispose,
forse senza accorgersi di aver citato proprio Eden.
“Non
è quello che volevi?”
Finalmente
André gli rivolse lo sguardo.
Davis
rispose sollevando un sopracciglio
“Ti
prego, non dirmi che stiamo per avere una conversazione a cuore
aperto.”
André
affilò lo sguardo
“Credimi,
non mi sono rammollito del tutto.”
“Bene.”
Davis
riportò lo sguardo avanti
“Ma
ci tengo comunque a precisare...”
Riprese
André puntando l'indice verso l'amico
“...che
il fatto che io preferisca non parlarne, non vuol dire che non sappia
perfettamente cosa mi succede intorno.”
Davis
contrasse la mandibola in attesa.
André
strinse uno dei cuscini
“Hai
la famiglia che volevi. Dovresti essere felice.”
Disse
con tono sommesso quasi temesse la reazione di Davis.
Lui
scosse la testa
“Non
è quello che volevo.”
“Sì
lo è.”
“No
invece.”
“Sì.”
“No.”
“Perché
diavolo l'hai sposata allora?”
Stavolta
Davis non ribatté.
Sbuffò
di nuovo guardando in su
“Eden
mi ha mentito...”
La
solennità del suo tono svanì in una sorta di
rassegnazione
“...e
mi odia.”
André
sollevò appena le spalle
“Crede
che tu l'abbia lasciata a morire da sola.”
“E'
quello che ho fatto.”
Davis
non riuscì ad ignorare la fitta allo stomaco.
L'altro
scosse la testa
“Sai
che non è vero... Sono stato io a trascinarti via di peso. Se
non l'avessi fatto saresti rimasto lì, ti saresti anche fatto
arrestare.”
Di
nuovo calò il silenzio. Ricordi e flash mischiati a colpa
nella testa di entrambi.
Davis
strinse il ponte del naso tra le dita.
Era
abituato a tenere sotto controllo ogni emozione, ma stava diventando
tutto troppo difficile.
Dal
canto suo André cercava di ignorare la scomodità di
quella situazione.
Era
ora di fare l'amico.
“A
me non piacciono le persone. Questo lo sai, vero?”
Iniziò
girando intorno alla meta del discorso.
Davis
annuì in silenzio.
“Quindi
c'è una ragione se sono diventato tuo amico.”
Continuò
gesticolando imbarazzato
“Ed
è che io ti ammiro.”
Stavolta
Davis sollevò lo sguardo fissandolo quasi allibito.
André
sollevò le mani in tutta risposta
“Non
fraintendermi, non è certo per il tuo sguardo da duro o perché
hai sposato una donna con un gran fondoschiena...”
Davis
si schiarì la voce.
“Come
non detto, scusa.”
André
cercò di riprendere il filo del discorso.
Fece
dondolare la mano davanti al proprio viso come se volesse
sottolineare ciò che stava per dire.
“Tu
prendi sempre quello che vuoi.”
Finalmente
riuscì a riassumere il concetto.
“Da
che ti conosco è sempre stato così. Se vuoi qualcosa tu
vai e te la prendi. Non ti servono ragioni o giustificazioni, ti
basta sapere che è qualcosa che vuoi.”
Davis
abbassò lo sguardo. Non sentiva più di essere l'uomo
che l'altro stava descrivendo. Ma avrebbe voluto esserlo ancora.
André
tirò fuori una sigaretta per smorzare la tensione.
“Ora
lascia che te lo chieda...”
Iniziò
ficcandosi la sigaretta tra le labbra.
La
accese e sputò fuori il fumo.
Per
la prima volta si rivolse direttamente a Davis
“E'
lei che vuoi?”
Lui
inspirò il fumo che André aveva sputato fuori.
Si
riempì i polmoni di quell'odore forte cercando di rallentare
l'improvviso batticuore.
Non
sarebbe riuscito a rispondere con le parole.
Non
avrebbe saputo ammetterlo.
Rispose
con un piccolissimo cenno della testa.
André
soffiò fuori un'altra nuvola di fumo.
“Allora
va' di sopra e prenditela.”
Davis
aggrottò le sopracciglia cercando di ribattere, ma
dall'espressione di André era chiaro che non aveva più
nulla da dire.
Si
era sforzato fin troppo per dire quello che pensava.
Non
gli aveva lasciato via d'uscita. Né le bugie di Eden, né
i suoi segreti... E nemmeno il suo odio.
Davis
Miller se ne sarebbe fregato. Avrebbe solo salito le scale e si
sarebbe ripreso ciò che gli appartiene.
Sua
moglie. La sua famiglia.
-----------
Eden
si strinse nell'abito pulito tra le quattro mura della sua nuova
stanza.
Non
si sentiva a suo agio.
Quella
appena passata era stata la cena a base di take-away più
inquietante che avesse mai consumato.
Blake
aveva fissato il piatto tutto il tempo, o almeno per i dieci minuti
in cui era riuscita a rimanere seduta.
André
aveva mangiato i suoi ravioli al vapore intrattenendo una bizzarra
conversazione con Sophia su Hannah Montana.
E
Davis l'aveva fissata tutto il tempo.
Con
quegli occhi addosso non era riuscita a mandar giù più
di un paio di bocconi.
E
ancora aveva lo stomaco sottosopra.
Tutte
le sue cene sarebbero state così d'ora in poi.
A
meno che non avesse trovato un modo per cambiare le cose.
Tentò
di sistemare i pochi vestiti sparsi sul letto.
Eden
sospirò. Non le piaceva più stare da sola.
Sua
figlia era rimasta al piano di sotto davanti alla tv.
Con
lei André e Davis.
Di
certo una buona madre non affida sua figlia a ladri ed assassini.
Eppure
Sophia sembrava non avere alcun timore di loro.
Eden
contemplò allora l'idea di tornare in salotto.
Il
silenzio di quella stanza era ancora più insopportabile degli
occhi di Davis e delle accuse di Blake.
Tutti
i suoi pensieri urlavano e lei non aveva alcun modo per ignorarli.
Si
passò le dita tra i capelli.
Con
tutto quel rumore nella testa non riusciva nemmeno a pensare.
Quasi
rimpiangeva la sensazione dei giorni passati.
Davis
aveva preso il controllo della situazione ed aveva deciso per lei. E
nonostante quel maledetto vortice di sentimenti contrastanti, si era
sentita leggera. Protetta. Al sicuro quasi.
Adesso
cosa avrebbe fatto invece?
Non
poteva più scappare. E non poteva più tornare indietro.
Molto
presto sarebbero arrivati anche Tyler e Payne e così la
vecchia banda sarebbe stata al completo.
L'ultima
fuga dagli Stati Uniti e poi?
Sarebbe
riuscita a vivere un'intera vita sforzandosi di odiare Davis? O
magari fingendo che il loro passato non esistesse?
Sarebbe
riuscita a vivere con lui senza avvicinarsi mai troppo?
Eden
non trattenne un lamento acuto prendendosi il viso tra le mani.
Non
doveva dimenticare sua figlia.
Per
quanto ancora avrebbe potuto negarle la presenza di suo padre?
Non
per molto probabilmente.
Uscì
dalla stanza spinta dall'esasperazione.
Meglio
la tensione di dividere la stanza con Davis che quella solitudine
assordante.
A
metà della rampa di scale dovette però ricredersi.
Strinse
il corrimano restando in silenzio a guardare quella scena.
Sophia
era seduta al centro del divano, stretta tra Davis e André.
Dalla
tv arrivava chiaro il chiacchiericcio tipico dei cartoni animati.
Una
stupida musica allegra in sottofondo.
I
suoi occhi erano puntati contro lo schermo.
E
la sua testa poggiava tranquilla sul braccio di Davis.
Lui
sembrava sorprendentemente essere altrettanto a suo agio.
Guardava
quei cartoni come se fossero lo spettacolo più divertente del
mondo.
Eden
sentì il cuore spezzarlesi nel petto.
Ciò
che sarebbe dovuto essere.
Per
un istante le sembrò di essere piombata in una delle sue
fantasie.
Milioni
di volte aveva immaginato come sarebbe stato.
Se
solo le cose non si fossero complicate fino a quel punto.
Davanti
a lei prendeva vita la risposta.
Ogni
cosa al proprio posto.
Ogni
cosa tranne lei, incapace di lasciarsi il passato alle spalle ed
andare avanti.
Se
solo avesse messo da parte l'orgoglio per un attimo, se solo fosse
stata meno egoista... Forse poteva farlo davvero.
Eden
scese lentamente un altro gradino.
Era
come se i suoi piedi pesassero di colpo una tonnellata.
La
sua mano scivolava pesante sul legno lucido della balaustra.
La
sua ombra si affacciava in salotto timorosa quanto lei.
Davis
fu l'unico a cogliere la sua presenza tremolante.
Spostò
rapidamente gli occhi dallo schermo alla sua figura.
Eden
si bloccò.
Lui
non disse niente, ma i suoi occhi parlavano da soli.
E
le stavano chiedendo di scendere quei gradini.
Eden
rimase immobile, terrorizzata dall'ennesima conferma di quanto fosse
trasparente agli occhi di Davis.
Scendere
avrebbe voluto dire arrendersi.
Anche
a lui.
L'istinto
di fuga prese il sopravvento sui suoi muscoli.
Eden
voltò rapidamente direzione e corse indietro.
Appoggiata
al letto tentò di calmarsi.
Aveva
paura.
Non
c'era altro modo per definirla. Paura.
Il
rumore della maniglia la fece sobbalzare di nuovo.
Davis
entrò in silenzio chiudendosi la porta alle spalle.
“Stai
bene?”
Domandò
a bassa voce.
Eden
scattò in piedi sistemandosi istintivamente il vestito.
“Sì...
Sì... Volevo solo controllare che fosse tutto a posto.”
Aggiunse
tentando di giustificarsi.
Lo
sguardo di Davis cambiò rapidamente di tono, mentre scorreva
la sua sagoma, ancora vacillante.
Eden
abbassò il viso.
Lui
la guardò arrossire di imbarazzo o di timore e ne rimase
stupito.
Come
se il ghiaccio dei giorni passati avesse finalmente iniziato a
sciogliersi.
Ed
era sempre la donna più bella che avesse mai visto.
Dal
primo giorno che l'aveva vista non aveva mai smesso di pensarlo.
Stupenda.
Elegante. Intelligente. Del tutto fuori dalla sua portata.
Eppure
era riuscito ad averla, proprio come aveva detto André.
Eden
sentì quello sguardo intenso che le si scaldava addosso.
“Che
c'è?”
Domandò
avvertendo i brividi lungo la schiena.
Era
stata piuttosto dura con lui durante l'ultima conversazione.
Forse
era arrivato il momento di essere ripagata con la stessa moneta.
Invece
Davis si stampò in faccia un'espressione inattesa.
Sembrava
sicuro di sé e di quello che stava per dire.
Strafottente
quasi.
Le
ciglia di Eden tremarono mentre un ricordo le affiorava alla mente.
Aveva
visto Davis nelle peggiori condizioni. L'aveva distrutto pezzo per
pezzo ed era rimasta a guardare mentre lui andava giù.
Arrabbiato.
Deluso. Disperato.
Eppure
era ancora quella l'espressione che più aveva effetto su di
lei.
Era
come avere di nuovo di fronte il ragazzo dell'ultimo anno di liceo.
Quello che tutte le ragazze volevano, ma che solo lei aveva avuto.
“C'ho
pensato e non ti credo.”
Esordì.
Eden
arricciò le labbra.
“Che..
Che vuoi dire?”
In
un secondo fu travolta dal terrore che si riferisse a Sophia.
Che
non credesse più di essere suo padre. Che Blake fosse riuscita
a convincerlo del contrario.
“Tutto
quello che hai detto l'altra sera. Al Motel. Io non ti credo.”
Eden
scorse rapidamente la scena.
Aveva
detto di non odiarlo. Aveva detto di essere diversa. Forse aveva
detto anche altro.
Davis
si mosse verso di lei
“Hai
detto che è tutto finito.”
Fece
un altro passo
“Che
il passato non conta.”
E
un altro ancora
“Che
ora sei un'altra persona.”
Eden
mandò giù intravedendo il fine di quella conversazione.
Indietreggiò.
“Mi
ricordo cosa ho detto.”
Precisò
decisa cercando un appoggio, ma quella stanza era tremendamente
vuota.
“Bene...”
Davis
allargò le braccia
“...
allora dimmi chi sei adesso. Cosa sei diventata.”
Eden
strinse i pugni.
Cercò
rapidamente una risposta.
Sono
una madre.
Sono
un'infiltrata.
Una
traditrice.
Sono
una stupida.
Ecco...
Una stupida.
Tutte
cose che già sai.
Eden
annaspò schiudendo le labbra per non dire nulla.
Lui
sorrise sollevando un angolo della bocca.
Scosse
piano la testa
“E'
proprio questo il punto Eden.”
Iniziò
“Tu
nemmeno non lo sai. E a me nemmeno interessa.”
Mentre
parlava si avvicinò ancora un po'.
Eden
rimase ferma sulle sue gambe.
Il
respiro le si fermò in gola.
Chiuse
gli occhi per qualche istante.
Cosa
sarebbe successo se l'avesse lasciato avvicinarsi?
Sarebbe
davvero stato così terribile?
Il
sangue che scorreva veloce nelle sue vene era una chiara risposta.
Forse
sarebbe bastato abbassare la guardia per cambiare le cose.
Lei
non sarebbe stata più sola.
E
così anche sua figlia.
Non
avrebbe più dovuto scappare.
Né
dall'FBI. Né dai suoi sentimenti.
Sentì
Davis sfiorarle il viso.
Tremò
mentre le sue dita le accarezzavano i capelli ed esitavano sulle sue
labbra.
Il
calore di quel tocco aveva il chiaro sapore della resa imminente.
Riaprì
gli occhi in un ultimo stremante tentativo.
Lui
era lì.
Vicino
a lei.
Dove
in fondo era sempre stato.
“Io
ti amo e basta. Chiunque tu sia.”
Gli
occhi di Eden si spalancarono nei suoi.
Il
suo cuore iniziò a battere all'impazzata.
Non
mosse un muscolo mentre lui stringeva la presa.
La
bocca di Davis sfiorò la sua pelle.
Lentamente.
Indugiando sulla linea della mandibola.
Eden
trattenne il fiato mentre tutto il mondo intorno a lei spariva.
Voleva
arrendersi.
Lo
voleva disperatamente.
Sfidando
le sue resistenze mosse piano la mano.
Ancora
ad occhi chiusi accarezzò il viso di Davis con le dita, come
se dovesse riappropriarsi dei suoi lineamenti.
Le
erano mancati per così tanto che quasi li aveva dimenticati.
Lui
le cinse la vita con un braccio stringendola a sé.
Avvicinò
le labbra al suo orecchio sfiorandole il collo col respiro.
“Sei
mia moglie...”
Sussurrò
marcando l'aggettivo possessivo.
“...Ecco
chi sei.”
Eden
trattenne a stento la voglia di piangere.
Non
si era resa conto di quanto fosse vero finché lui non l'aveva
detto ad alta voce.
Sembrava
l'unica definizione possibile.
L'unica
che non suonasse nemmeno un po' sbagliata.
Davis
si mosse ancora.
Le
sue labbra continuarono a lambirle la pelle percorrendo a ritroso il
loro percorso.
In
quel momento Eden non desiderò far altro che dimenticare
tutto.
Sprofondare
in quell'abbraccio e smettere finalmente di pensare.
Cosa
importa che fosse un ladro o un assassino?
Che
le avesse mentito? O che l'avesse abbandonata?
Lei
non era certo migliore.
E
non lo amava di meno.
Strinse
i denti in un ultimo unico istante di dolore, appena prima di sentire
la bocca di Davis sulla sua.
Anch'io
ti amo
Rispose
alla pressione lasciandogli libero accesso.
Raggiunse
il suo viso anche con l'altra mano ed approfondì il bacio.
Perfetto
quanto il primo. Diverso da ogni altro.
Senza
la supremazia della passione, poteva sentire il sapore dei sentimenti
negati che tornavano alla luce.
Ti
amo anch'io
Continuava
a pensare senza la forza di dirlo.
Ma
sapeva bene che non ce n'era bisogno. Non più.
“Perdonami.”
Il
respiro di Davis di mischiò al suo in quell'ultima richiesta.
Non
l'aveva forse appena fatto?
Eden
accennò un sorriso contro le sua labbra.
Tutto
stava tornando a posto.
Quasi
tutto.
“Mamma!
Mamma!”
La
voce di Sophia arrivò dal piano di sotto prima che Eden
riuscisse a dirlo ad alta voce.
Tornando
bruscamente alla realtà si staccò da Davis.
“Mamma!”
Eccola
di nuovo.
Guardò
lui per un secondo.
Tutti
e due in immediato stato di allarme.
Senza
pensarci un secondo di più Eden corse fuori dalla stanza e giù
per le scale.
Sua
figlia era ancora la cosa più importante di tutte.
Dopo
l'ultimo gradino i suoi passi si pietrificarono all'istante.
Per
fortuna Sophia stava bene.
Anzi,
sul suo viso splendeva un sorriso smagliante.
Espressione
opposta per l'uomo accanto a lei sulla porta.
Eden
sgranò gli occhi sentendosi sbiancare.
Davis
apparve dietro di lei aggrottando le sopracciglia.
Non
conosceva lo sconosciuto che se ne stava sulla soglia tra le facce
preoccupate di Tyler e Payne.
“E'
arrivato Daniel!!”
La
voce squillante di Sophia riempì la stanza gelandosi
all'istante.
Era
l'unico volto felice tra tanti.
Eden
credette di essere diventata di pietra.
Lo
sguardo di Dair su di lei era così furioso che forse si era
davvero trasformata in una statua di marmo.
Davis
le passò accanto avvicinandosi al centro della stanza.
Tyler
abbassò lo sguardo sfuggendo i suoi occhi.
Payne
invece li teneva incollati sulla bambina.
“Chi
sei tu?”
Chiese
allora rivolgendosi direttamente a Dair con tono deciso.
Non
rispose.
Dair
ricambiò il suo sguardo per un solo secondo prima di tornare a
fissare Eden.
Lei
riuscì a sentire chiaramente il rumore dell'illusione che si
infrangeva davanti ai suoi occhi.
Come
un vetro che va in mille pezzi.
Davis
seguì la linea di fuoco tra sua moglie e l'estraneo.
Evidentemente
per lei non era affatto uno sconosciuto.
Gli
si parò davanti preso da una rabbia improvvisa
“Chi
sei tu?”
Chiese
di nuovo scandendo le parole come lame perché fosse chiaro che
non avrebbe accettato di nuovo il silenzio come risposta.
Dair
affilò lo sguardo puntando gli occhi in quelli del suo nemico.
Si
leccò le labbra prolungando oltremodo la provocazione.
Quasi
sperava di poter passare direttamente alle mani saltando tutte le
presentazioni.
Davis
strinse i pugni.
Voleva
una risposta.
Risposta
che purtroppo o per fortuna non tardò ad arrivare.
Sophia
si avvicinò tagliando la tensione tra i due con la sua
ingenuità.
Guardò
Davis sfoggiando un nuovo sorriso inopportuno
“Lui
è Daniel. Il fidanzato di mamma!”
*******
Lasciatemi
dire che sono mortificata!! Ci ho messo una vita e mi dispiace!!
Purtroppo sono rimasta 2 settimane senza internet per problemi
tecnici e nel frattempo sono stata risucchiata nella vita reale!!
Attualmente ho 3 esami da preparare e tra libri e tesine tutto il
mese sarà un inferno!! :((
Avevo
già scritto questo capitolo, ma rileggendolo non mi convinceva
più, quindi ho deciso di cambiare alcune parti.. Avrò
fatto bene?? Spero che possiate dirmelo voi e che mi perdoniate per
il lungo ritardo!!
Di
nuovo mille volte scusa, scusa, scusa!!!
Ringrazio
Mividam, Supreme, Meredith91 e Cinzia818, tutti voi che avete
aspettato e tutti quelli che si sono avvicinati alla mia storia in
questo periodo di stasi!! Purtroppo l'università mi toglie la
vita, ma ciò non significa che smetterò di scrivere!
Spero solo che possiate avere pazienza!!
PS.
Una scusa particolare va a Mividam, a Lotiel (se mai leggerai) e a
Meredith91... So che avete aggiornato le vostre storie e che non ho
ancora recensito, ma cercherò di farlo il più presto
possibile!!
|
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Capitolo 21 *** Lascialo Andare ***
Capitolo22
CAPITOLO 21
"LASCIALO
ANDARE"
...and now All I Wanna See is a Sky Full of
Lighters...
A Sky Full of Lighters...
La voce arrivò
all'altro capo interrotta dalle interferenze.
Uno stridio metallico
accompagnò quelle poche parole.
"Qui F21...Credo
che abbiamo trovato la vostra donna."
L'agente che raccolse
la comunicazione balzò in piedi alla ricerca del suo capo. Il suo nuovo capo.
McPhee se ne stava
spalmato sulla poltrona di pelle, il fumo dolciastro del sigaro si
attorcigliava in un filo immaginario al centro della stanza.
Non gli importava
nulla di risolvere il caso.
Non gli importava del
tenente Dair.
Non gli importava più
di niente.
Al massimo, fra
qualche tempo, avrebbe tentato una nuova scalata verso i piani alti.
Per ora il fatto di
non essere più comandato da un "ragazzino" era già abbastanza.
Il giovane agente
entrò senza bussare.
Lo sguardo torvo di
McPhee lo trafisse.
"M... Mi scusi
comandante... Ho appena ricevuto una comunicazione dai ricercatori
speciali..."
Finalmente McPhee
sembrò interessato.
Fece cigolare la
poltrona rivolgendosi verso il messaggero.
"...Pare che
abbiano trovato Eden."
McPhee spalancò gli
occhi per un paio di secondi poi la sua grossa risata riempì la stanza.
Incredibile.
La sua fortuna si era
proprio messa a girare.
E pronto il
trampolino verso la carica di capitano.
L'agente rimase in
attesa di nuove disposizioni, impalato sulla porta.
McPhee poggiò il
sigaro nel posacenere senza smettere di sorridere
"Fatti dare
tutte le coordinate, io preparo la squadra."
L'altro annuì
precipitandosi fuori dalla stanza.
Il vicecomandante
allungò i piedi sulla scrivania.
Le braccia incrociate
dietro la testa mentre stirava i muscoli della schiena.
Eh sì.
La sua fortuna si era
proprio messa a girare.
----------
Eden roteò la forcina
tra le dita.
Scassinare una
serratura nella sua stessa casa.
No, quella non era
affatto casa sua.
Era sono una casa.
Si guardò intorno
nervosamente nella penombra della notte sperando, seppur sapesse di non essere
troppo brava in quelle manovre, di non fare almeno troppo rumore.
Infilò la forcina
nella toppa come una lama nel burro.
Nessun contatto tra
metallo e metallo.
Sospirò.
Adesso viene il
difficile.
Incurvandosi contro
la porta cercò il giusto punto della serratura.
Tyler gli aveva
spiegato dove trovarlo, anche se a parole sembrava maledettamente più semplice.
Nella pratica invece
non le riusciva mai al primo colpo.
Clak
L'eccezione che
conferma la regola.
Un solo scatto
interruppe il flusso di silenzio.
Null'altro sembrò
muoversi.
D'altra parte, anche
le menti più confuse in genere dormono alle quattro di notte.
Ma non la sua.
Non dopo tutto
quell'arrovellarsi.
Mosse la maniglia
senza alcun rumore aggiuntivo, scivolando dall'altra parte della soglia.
Anche la mente di
Dair aveva ceduto al sonno.
E così il suo corpo.
Doveva essere davvero
stanco se, nonostante la situazione, non aveva potuto fare a meno di
addormentarsi.
E se ne stava lì,
raggomitolato sul materasso, le braccia strette sul petto quasi volesse
comunque proteggersi.
Gli occhi chiusi e le
labbra serrate.
La fronte rilassata.
Il respiro regolare.
Eden sentì un colpo
al cuore.
Dair non avrebbe
dovuto trovarsi lì.
E lei non avrebbe
dovuto tradirlo, non se lo meritava.
Cercando di ripassare
le parole che sperava lo avrebbero convinto a fuggire, provò ad avvicinarsi.
Le sembrava un vero
peccato svegliarlo.
Una parte di lei
avrebbe desiderato sdraiarsi al suo fianco e rilassarsi.
Avrebbe voluto
svegliarlo e dirgli che ogni cosa sarebbe tornata al suo posto.
Allungò la mano
sfiorando il suo avanbraccio con le dita.
Insistette ancora un
po' tenendo i denti stretti.
Odiava l'idea di
interrompere quel breve apparente momento di calma.
Lui si mosse
lentamente.
Aggrottò la fronte
muovendo appena le palpebre.
Forse intravide il
suo viso.
Spalancò gli occhi
tirandosi su in meno di un secondo.
"Che
succede?"
Eden gli fece
immediatamente cenno di abbassare la voce.
Non potevano nemmeno
tenerla bassa.
Troppo rischioso.
Avrebbero potuto solo
bisbigliare.
Lei gli si fece
vicino affinché potesse comunque sentirla
"Devi andare
via."
Lui sospirò
passandosi una mano sugli occhi
"No."
"Devi. Ho
bisogno che tu te ne vada."
Lui sollevò le
sopracciglia in quel buio quasi completo.
Si allontanò da lei.
Mentre il sonno lo
abbandonava, un improvviso sconforto si stava impossessando di lui.
Tutto per niente.
Tutto per niente.
Poggiò i gomiti sulle
ginocchia ed affondò il viso tra le mani per una manciata di secondi.
Tutto per niente.
Eden inspirò l'aria
pesante di quella stanza chiusa.
Azzardò un altro
passo per poi inginocchiarsi.
Dritta di fronte a
lui.
Dair sollevò il viso
trovandosi vicino a quello di lei.
Eden lo sfiorò con le
dita fredde.
Lui chiuse gli occhi
per afferrare quella sensazione.
"Non voglio che
ti succeda niente."
Lui scosse lentamente
la testa.
Il suo modo per dire
"Non ti credo".
Se avesse davvero
voluto tenerlo al sicuro non avrebbe mandato all'aria tutto.
E non avrebbe scelto
Davis.
Continuò a scuotere
il capo allontanando la mano di Eden.
"Non è
vero."
Bisbigliò dando voce
al proprio sguardo.
Eden mandò giù a
fatica.
Abbassò gli occhi per
un istante.
"Va' via ti
prego."
Supplicò di nuovo.
Avrebbe voluto poter
dire molto di più, ma se qualcuno si fosse accorto che era lì probabilmente
sarebbe stata la fine.
Lui continuò a
negare.
La mandibola tesa e
lo sguardo deluso.
Eden sentì le lacrime
affacciarsi non appena riprese fiato.
Non poteva piangere,
non poteva urlare, non poteva fare nulla lì dentro che lo convincesse a
fuggire.
E la sua
preoccupazione era più che reale.
Desiderava con tutte
le sue forze che Dair tornasse a casa.
Che riavesse il suo
posto.
E magari che si
dimenticasse di lei e di tutto quel casino.
No, questo no.
Questo non lo voleva
affatto.
Chiuse gli occhi un
attimo.
L'immagine di loro
tre insieme a Central Park si fece nitida di colpo, per quanto non richiesta.
Così come l'aveva
sognata tante volte.
Lei indossava un
vestito a pois.
Dair senza divisa e
coi capelli scompigliati.
Sua figlia col viso
sporco di cioccolata.
La scansò più forte
che poteva.
E si scagliò contro
di lui.
Sperando che non la
respingesse di nuovo lo strinse in un abbraccio.
Spinse il viso contro
il suo collo.
Cercò il suo orecchio
con le labbra.
Dair barcollò appena
un attimo poi contrasse i muscoli.
Ce l'aveva addosso.
E avrebbe voluto non
desiderarla tanto, nonostante la rabbia.
La mancanza di
fiducia.
La delusione.
Eden inspirò
profondamente.
Le era mancato
quell'abbraccio.
Anche se lui non
stava ricambiando riusciva a sentire il suo profumo e tanto bastava per
riportarla a casa.
Casa sua.
Un misero
appartamento a Chicago.
Due agenti che
suonano alla sua porta ogni mattina e sera.
Un divano di finta
pelle rossa.
"Mi sei mancato
così tanto."
Bisbigliò.
Un sibilo appena ma
lui non poté non sentirla.
Ed era sincera.
Maledettamente
sincera.
Strinse ancora la
presa.
Si sentiva divisa in
due.
Come se due donne ben
distinte abitassero il suo corpo.
Quella disposta a
rivoltare di nuovo la sua vita per Davis Miller.
E quella innamorata
di un poliziotto.
Non poteva non essere
amore.
Un singolo abbraccio
in grado di riportarla a casa, di teletrasportarla a Central Park, di farla
sentire in pace con quella vita.
Non poteva non essere
amore anche quello.
Respirò quel profumo
fino a riempire ogni cellula del suo petto.
Sfiorò appena le
labbra contro la sua pelle umida.
"Perdonami."
Non poteva lasciarlo
andare senza quella certezza.
Dair finalmente si
mosse, afferrando i suoi polsi.
Di nuovo la costrinse
a mollare la presa.
I suoi occhi
vacillavano, ma la sua espressione era rimasta dura come all'inizio.
Eden sentì un pugno
nello stomaco.
Non l'avrebbe
perdonata.
Ma poteva forse biasimarlo?
"Ti
prego..."
Sussurrò disposta a
provare comunque un'ultima volta
"...Vai via da
qui."
Lui sollevò un angolo
della bocca in un impeto d'ironia.
"Perché
dovrei?"
Eden sembrò cercare
nel vuoto la risposta più giusta.
Nulla l'avrebbe
convinto.
Nulla eccetto
forse...
Sentì lo stomaco
chiudersi.
Poteva dirlo davvero?
Ed era giusto dirlo
proprio in quel momento?
"Usare"
quelle parole per farlo fuggire?
Mentre un forte
calore le riempiva le guance decise che ci avrebbe provato lo stesso.
Forse era la sua
ultima occasione per dirlo dopo tutto.
Ed era giusto che lui
lo sentisse.
Si bagnò le labbra
cercando i suoi occhi,
inspirò tutto
l'ossigeno che poté
"Perché credo di
amarti anch'io Daniel."
L'idea di usare il
suo nome di battesimo non fu però premeditata.
Uscì da solo, anche
se lei aveva sempre preferito chiamarlo Dair.
Come se in quel modo
fosse riuscita a tenerlo lontano.
Dair sentì la terra
crollargli sotto i piedi.
E si chiese se non
avesse appena avuto un'allucinazione uditiva.
Non era possibile.
Non poteva averlo
detto davvero.
Non in quel momento.
Non in quella stanza.
Non dopo tutto
quanto.
Rimase a fissarla
senza vederla davvero.
Per quanto tempo
aveva desiderato sentirlo.
Ed ora ecco,
lei lo amava e lui
avrebbe dovuto andarsene.
Lei lo amava e lui
avrebbe dovuto rinunciarci.
Avrebbe dovuto
alzarsi e lasciarla lì tra le conseguenze delle sue decisioni.
Avrebbe dovuto
lasciarla lì.
Questo meritava.
Eppure il suo cuore
stava battendo troppo forte.
Eden si sentì di
pietra.
Avrebbe voluto
rimangiarselo immediatamente.
Non perché non fosse
vero,
forse proprio perché
lo era.
Se solo fosse
riuscita a dirlo prima,
prima che questo
amore si scontrasse con quello che provava per Davis.
Con la passione,
con l'abbandono più
completo,
con il passato.
"Vieni con
me."
Eden riuscì a
malapena a respirare di nuovo
"Venite con
me."
Insistette Dair.
Lei arricciò le
labbra nella tipica posizione pre-pianto.
Voleva andare via con
lui.
Ma voleva anche
restare.
"Vieni con
me."
Ripeté abbandonando
la vecchia dura espressione.
Ora non aveva più
importanza.
Devi prendere una
decisione.
Le parole di Payne
risuonarono nella sua testa.
Aveva ragione.
Non poteva più
permettersi di fare avanti e indietro.
Non poteva più
comportarsi come una ragazzina indecisa.
Doveva scegliere una
direzione.
E forse proprio
quella era la più giusta.
Dair.
Davis.
Dair.
Davis.
Devi prendere una
decisione.
La spirale di
pensieri si interruppe all'improvviso.
Un suono acuto e
fastidioso ferì le loro orecchie.
Una specie di lungo beep
intermittente li costrinse a voltarsi d'istinto verso la porta.
La luce del corridoio
al di là della soglia si accese.
La luce che filtrava
dalle fessure mandò Eden in allarme.
Si sarebbero presto
tutti accorti che lei era lì.
Gesticolando in preda
all'agitazione guardò di nuovo Dair.
"Devi scappare
Dair.. Devi andare via!"
Lui era ancora preso
da quel tumulto improvviso.
I rumori provenienti
dall'altra parte lasciavano ben capire che l'intera casa si era svegliata.
Che cavolo stava
succedendo ora?
Eden tornò ben presto
alla lucidità.
Sophia.
Qualsiasi cose stesse
succedendo doveva subito tornare da sua figlia.
Con quel pensiero,
senza troppo indugiare, rivolse gli occhi a Dair un'ultima volta e poi afferrò
la maniglia per uscire.
Le lampade accese la
costrinsero per qualche secondo a strizzare gli occhi.
Il tempo di
accorgersi che Dair si era mosso immediatamente dietro di lei.
Decise di non
fermarsi ancora.
Sfilò dritta verso la
sua stanza.
Payne era già lì.
Sophia sveglia,
seduta sul letto.
Il suo visetto
imbronciato si rilassò appena alla vista della madre.
"Mamma!"
Esclamò.
Eden corse
immediatamente da lei.
La strinse a sé per
poi rivolgersi a Payne.
"Che
succede?"
La ragazza dai
capelli biondi le porse una felpa e dei calzini che aveva trovato tra i vestiti
della bambina.
"Siamo in
emergenza. Dobbiamo andarcene. Subito."
Eden stava per
rispondere con un'altra domanda, ma l'apparizione di Dair alla porta interruppe
la sua curiosità.
"Daniel!"
Esclamò Sophia
divincolandosi velocemente da lei per correre a piedi scalzi verso l'unica
altra figura familiare che potesse riconoscere.
"Hey
piccola."
Rispose lui al
richiamo inginocchiandosi per essere alla sua altezza.
Sophia lo strinse
forte.
Era una bambina dopo
tutto.
E non poteva capire.
Non sapeva che Davis
fosse suo padre.
Non sapeva bene
perché fossero lì.
E di certo non poteva
capire i dubbi di sua madre.
Lei di dubbi non ne
aveva affatto.
"Andiamo a
casa?"
Chiese
innocentemente.
E Dair avrebbe voluto
sciogliersi in quel momento.
Avere la facoltà del
teletrasporto.
Ed il potere di
cambiare il DNA di quella creatura.
Eden, all'altro lato
della stanza, si sentì la madre peggiore del mondo.
Mai più egoista,
crudele ed indegna che in quel momento.
Mai peggio di così.
La porta si spalancò
di nuovo.
Davis si pietrificò
sulla soglia.
Quella scena gli
bruciò gli occhi.
Gli contorse le
viscere.
Gli ferì il cuore più
di ogni altra.
Il cuore che non
aveva.
O almeno che credeva
di non avere più.
Eden si accorse del
suo dolore.
Della sua gelosia.
Del suo rammarico.
Dei suoi rimpianti.
Quasi riuscì a
sentire un altro pezzo di lui che si infrangeva.
Tanti piccoli
pezzetti.
Quanti colpi da ko
avrebbe ancora potuto sopportare suo marito?
Quello era forse
peggio di qualsiasi punizione si era immaginata di infliggergli.
Payne fu mosse dal
terribile desiderio di uscire di lì.
"Siamo
pronte."
Disse muovendosi
verso la porta e costringendo Davis ad indietreggiare.
Deliberatamente lo
scosse un po' affinché i suoi occhi cambiassero meta.
Non era giusto.
Non era giusto.
Eden mandò giù a
fatica.
Riprese a muoversi a
capo chino.
Poggiò la felpa sulle
spalle di Sophia.
"Andiamo tesoro
mio."
Il suo piccolo labbro
tremolante era il preludio di un pianto disperato.
Il suo cuore si
strinse ancora un po'.
"Presto andremo
a casa amore mio. Te lo prometto."
In quel momento Eden
rinunciò ad un pezzo di sé.
Avrebbe rinunciato a
tutto per sua figlia.
La prese in braccio e
scese le scale affiancata da Dair.
Ancora non si erano
detti una parola.
E lei non avrebbe
saputo cosa dire.
Gli sguardi di tutti
si puntarono proprio sul poliziotto.
Davis in un angolo
con un triplo scotch tra le dita.
Il suo sguardo
rivolto accuratamente altrove.
André mosse ancora
qualche dito sulla tastiera.
"Ho posizionato
questi rilevatori per precauzione..."
Fece una pausa
facendo scivolare i polpastrelli su un altro touchscreen.
"...Avrebbero
suonato nel caso in cui qualcuno tentasse di entrare nella nostra rete..."
Di nuovo una pausa di
silenzio interrotta da un non ben celato sbadiglio di Tyler.
Payne accanto a lui.
Le loro sagome chiare
in contrasto con le tende di tessuto marocchino dietro di loro.
"...Non riesco
ancora a capire di chi si tratti, ma ci stanno provando..."
"...Cercano di
intercettarci..."
"...Ci sono
vicini..."
Un ultimo clic ed il
suo sguardo si sollevò lento verso il federale e la traditrice
"...Mi gioco le
palle che si tratti dell'FBI."
Blake scattò sul
posto
"Lo sapevo!
Tutta colpa tua! Tutta colpa tua!"
Additò Eden ancora ai
piedi delle scale con la bambina tra le braccia.
Lei scosse la testa
di risposta.
Non li aveva portati
lei.
Non di proposito.
Non stavolta.
"Alla luce di
quanto detto dobbiamo filare..."
Sentenziò André
"...Di
corsa."
Nessuno sembrò sapere
come muoversi.
"Davis?"
Lui inspirò
profondamente tendendo la narici.
Buttò giù il liquore
e si sforzò di spostare gli occhi per guardare André.
"La tenuta di
Strawberry Plains. E' l'unico posto che mi viene in mente."
Blake gli si avvicinò
"Tennessee? Non
sarebbe meglio cambiare continente?"
Lui tirò su le spalle
"Potete andare
dove volete per me Blake."
Sua sorella
indietreggiò di un passo guardandolo contrariata.
Il suo improvviso
menefreghismo era fastidioso.
E lei non ci teneva a
finire dietro le sbarre.
Ma in fin dei conti
la colpa non era certo di Davis.
Si voltò di nuovo
verso Eden.
Non riusciva a
ricordare se in qualche altro momento della sua vita l'avesse odiata di più.
Poco importa che
quella bambina fosse sua nipote.
Eden aveva rovinato
le loro vite.
A quel punto
avrebbero già dovuto trovarsi in un bel bungalow sulle spiagge della Croazia,
sorseggiando Slivovitz mentre le azioni dell'amato nonno andavano in fumo.
Maledetta Eden
Spencer.
André chiuse uno dei
portatili staccando frettolosamente i fili.
"Al diavolo, io
me ne vado! Non ho intenzione di finire in galera!"
Blake si rivolse a
lui
"Dove?"
"Dove dice
Davis.. Voi fate come diavolo vi pare!"
Afferrò qualche altra
cosa dal tavolo
"Adieu!"
Blake afferrò suo
fratello per il braccio
"Aspetta,
veniamo anche noi!"
Davis però sembrò
fare resistenza.
La camicia
stropicciata fuori dai pantaloni.
La barba appena
incolta.
I capelli
scompigliati come ai tempi del liceo.
Rimase impalato
mentre sua sorella cercava di trascinarlo via
"Andiamo
Davis!"
Insistette
Lui la guardò
sembrando sicuro di sé
"Vai Blake... Ci
vediamo lì."
Non era un saluto.
Né una semplice
richiesta.
Era un ordine.
Blake mugugnò
qualcosa tra le labbra afferrando la borsa e nascondendo una pistola nei jeans.
"Se ti prendono
per colpa sua giuro che..."
Si fermò avvertendo
un'insospettabile soggezione nei confronti di quella bambina.
Decise di non
proseguire.
Filò dritta fuori
dalla stanza sperando che André non fosse già corso via da solo.
Nella stanza piombò
di nuovo il silenzio.
Davis si mise allora
a fissare Tyler e Payne.
Aspettava che si
muovessero anche loro.
E dallo sguardo era
chiaro il suo desiderio.
Dovevano
volatilizzarsi.
Immediatamente.
Payne guardò il
terzetto ai piedi delle scale.
E Davis all'altro
capo della stanza.
Una volta spariti
loro due chissà cosa sarebbe successo.
Chissà a cosa avrebbe
assistito quella povera bambina.
No...
Davis è arrabbiato,
ma in fondo non è un'idiota.
Non farà nulla
davanti a sua figlia.
Non farà nulla che
possa spaventarla.
Nuovamente si sentì
incalzata dagli occhi di Davis.
Rivolse gli occhi ad
Eden per l'ultima volta.
Se lei le avesse
fatto cenno di restare non si sarebbe mossa.
Ma Eden sembrava non
essere minimamente interessata.
Sophia tra le braccia
e gli occhi su suo marito.
Anche lei stava
aspettando.
Aspettava quel che
stava per succedere.
Payne prese allora
Tyler per la mano.
Nemmeno lui sembrava
troppo convinto.
"Andiamo."
Disse. Delicata ma
decisa.
Lui fece appena un
po' di resistenza
"Eden?"
Invocò l'amica per
essere più che certo di potersene andare.
Lei annuì nel mezzo
di un lungo sospiro.
Non c'era modo di
venirne fuori, non senza lo scontro che si sarebbe tenuto di lì a poco.
E meglio che non ci
fossero spettatori.
Tyler prese le sue
cose e seguì Payne.
Le chiavi della
Mustang tra le dita.
Una sacca con poche
cose sulla spalla.
Se Payne voleva
andare in Tennessee ce l'avrebbe portata,
se invece avesse
deciso di seguire lui.. beh.. tanto meglio.
C'erano ancora mille
sospesi tra di loro e sembrava che non trovassero mai abbastanza tempo.
Non ne sarebbe
servito molto in fin dei conti.
Cosa provasse per lei
era chiaro.
Se avesse potuto
fidarsi un po' meno.
Appena i loro passi
sfumarono verso il garage fu la volta dei pochi rimasti.
Davis tremava ancora
al pensiero di ciò che aveva visto.
I suoi nervi erano
così tesi che non riusciva a tener ferme le mani.
In quella stanza
c'era qualcuno di troppo.
Ed era sicuro,
nonostante i crampi
allo stomaco e gli oscuri pensieri che cercava di frenare,
quel qualcuno non era
lui.
Incredibile.
Eden era ferma.
Immobile.
In quella situazione
troppo assurda non c'erano parole giuste da dire.
Non c'era nulla che
avesse senso.
Dair mosse qualche
passo verso il suo avversario.
"Lasciaci andare
via."
Non era una richiesta
la sua.
Non stava pregando
Davis di avere compassione per lui.
Non aveva bisogno del
suo permesso.
Voleva piuttosto che
lui alzasse le mani e si togliesse dalla porta.
Avrebbe voluto
vederlo rinunciare su due piedi.
Magari rendersi conto
che era la cosa migliore per sua figlia.
E sparire per sempre.
Davis abbassò la testa
mordendosi il labbro.
Una specie di sorriso
nascosto tra i denti.
Dopo tutto quel
poliziotto era forse più disperato di lui.
Per quanto avesse
potuto desiderare ardentemente Eden,
anche se le sue mani
l'avevano toccata,
lei restava SUA
moglie.
Per quanto
desiderasse far da padre a quella bambina,
lei restava SUA
figlia.
L'ultimo pensiero
vacillò appena un po'.
Su Eden non aveva
dubbi.
Lei era un libro
aperto.
Ed era facile capire
che sarebbe sempre stata sua.
Non erano bastate
quattro pallottole.
Non era bastata la
morte,
né il disprezzo,
tanto meno cinque
anni passati con un altro..
Ma Sophia,
per lei era solo un
estraneo,
un estraneo che le
aveva comprato un hamburger..
E se avesse dato
retta a quel tizio non avrebbe mai potuto cambiare le cose.
Al diavolo Daniel
Dair.
"Non puoi
cambiare le cose..."
Esordì in risposta.
Tono basso ma
affilato.
"...Lei è
mia."
Una pausa per
guardarlo dritto negli occhi.
"Sei tu che
dovresti andartene."
Dair strinse i pugni
sforzandosi di respirare.
Non l'avrebbe mai
avuta vinta con facilità.
Nemmeno facendo
appello al buonsenso di tutti i presenti.
Tra di loro le
scintille.
L'apparente
strafottenza di Davis da un lato.
Deciso a fargli
saltare i nervi.
Finché non fosse
esploso.
Dall'altro la tenacia
di Dair.
La sua disperazione.
L'impresa impossibile
di convincere Davis Miller.
Quest'ultimo staccò
gli occhi per primo.
Stavolta verso sua
moglie.
La battaglia valeva
la pena,
ma stavano comunque
sprecando troppo tempo.
E lui su Eden non
aveva dubbi.
"Decidi
tu..."
Sottolineò con un
cenno della testa.
"...Io devo
andarmene."
Ancora un paio di
secondi occhi negli occhi e poi si mosse.
Era serio.
Serio e stranamente
rilassato.
Eden si irrigidì di
colpo.
Era quello il
momento.
Devi prendere una
decisione.
Era quello il
momento.
Mentre nella sua
testa ripeteva di lasciarlo andare, la presa intorno a sua figlia si stringeva.
Il cuore le batteva
forte.
Il respiro si faceva
sempre più corto.
Dair attendeva nel
suo angolo di stanza.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
Davis si infilò il
giubbotto di pelle.
La ventiquattrore che
sarebbe stata il suo solo bagaglio era già lì pronta.
La afferrò senza
indugi.
Si avviò verso la
porta sul retro senza rivolgere nuovi sguardi a nessuno.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
Ben presto si trovò
ad attraversare la soglia della stanza.
Un altro passo e
sarebbe sparito.
Un altro passo e
forse non l'avrebbe più visto.
Un altro passo e
avrebbe dovuto convivere con le conseguenze del non aver scelto lui.
Un altro passo e
sarebbe finalmente stata libera.
Come aveva tanto
desiderato.
Il respiro si bloccò
mentre l'ultimo frammento della sua sagoma spariva dietro lo stipite.
Il suo cuore mancò un
battito.
Le sue labbra tra i
denti.
Lo stomaco in gola.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
"Davis!"
Urlò.
Con tutta la voce che
aveva.
Senza nemmeno aver
dato il comando al cervello.
----------------------
CIAOOOOOOOOOO!!!
Scusatemi!
L'ultima volta ho pubblicato alla meno peggio senza aggiungere nemmeno
una parola... Sinceramente credevo che questa storia fosse stata
irrimediabilmente dimenticata e che nessuno avrebbe notato
l'aggiornamento.. E invece...
GRAZIE MILLEEEEEEEE!!
Devo
innanzitutto chiedervi perdono perché ho smesso di scrivere
sparendo da un giorno all'altro.. Non era nelle mie intenzioni, ma mi
sono fermata un attimo e BAM! La vita reale mi ha investita in pieno!
Riassumendo senza troppo annoiarvi, cosa è successo in questi due anni??
- sono riuscita a laurearmi di nuovo,
- ho iniziato il mio tirocinio post-lauream e sto giusto giusto decidendo cosa farò dopo l'esame di stato,
- mi sono innamorata e ufficialmente fidanzata,
- ho perso due persone importanti in famiglia :((
Quando
succedono queste cose pensi solo che vorresti prendere in mano la tua
vita e cambiare tutto, lasciando da parte ciò che sembra meno
importante.. come appunto la scrittura..
Io
però amo scrivere e questa storia interrotta è sempre
rimasta attiva nella mia testa, in attesa del momento in cui avrei
potuto di nuovo dedicarle il mio tempo.
Un paio di settimane fa ho ricominciato a leggerla dall'inizio,
una
parte di me pensava che sarei finita col dirmi "Che stupida, ancora a
pensare a queste cavolate!", ma in realtà mi sono accorta di
essere ancora innamorata di questi personaggi e dell'idea di finale che
balena nella mia mente da mesi e mesi... Tant'è vero che
arrivata all'ultimo capitolo avrei voluto tantissimo continuare a
leggere...
Mi sono detta "Ecco! E' arrivato il momento!"
E ho ricominciato a scrivere..
Sono arrugginita, lo ammetto... ma spero comunque di arrivare in fondo nel migliore dei modi.
POSSO SOLO RINGRAZIARVI CON TUTTO IL CUORE DI NON ESSERVI DIMENTICATE DI ME!
Martina
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Capitolo 22 *** Un Patto o Una Punizione ***
Capitolo 21
CAPITOLO 20
“UN PATTO o UNA PUNIZIONE”
“...Close your eyes,
sometimes it helps
And then I get a scary thought,
that he's here means he's never lost.
You can see my heart beating,
you can see it through my chest...
And I'm terrified but I'm not leaving,
Know that I must pass this test...”
“Chi sei tu?”
Chiese di nuovo scandendo le parole
come lame perché fosse chiaro che non avrebbe accettato di nuovo
il silenzio come risposta.
Dair affilò lo sguardo puntando gli occhi in quelli del suo nemico.
Si leccò le labbra prolungando oltremodo la provocazione.
Quasi sperava di poter passare direttamente alle mani saltando tutte le presentazioni.
Davis strinse i pugni.
Voleva una risposta.
Risposta che purtroppo o per fortuna non tardò ad arrivare.
Sophia si avvicinò tagliando la tensione tra i due con la sua ingenuità.
Guardò Davis sfoggiando un nuovo sorriso inopportuno
“Lui è Daniel. Il fidanzato di mamma!”
Davis serrò le labbra spostando lentamente lo sguardo verso Eden.
Lei era immobile, pallida come un fantasma.
Aveva sperato di vederla negare in tutta fretta, ma il suo viso non lasciava possibilità ai dubbi.
Lui la guardò con una rabbia che non aveva ancora mai visto.
Eden provò a parlare, ma la sua lingua non si mosse di un millimetro.
Davis spostò lo sguardo con un
rapido scatto come se d'improvviso non reggesse più la sua
vista. I suoi occhi tornarono sullo sconosciuto.
Dair manteneva un'impeccabile aplomb.
“Daniel Dair.”
Finalmente rispose. Sembrava non avere alcuna paura benché si trovasse nella tana del nemico.
Davis schiuse le labbra passando
lentamente la lingua sui denti. Tentava disperatamente di sedare il suo
istinto, dato che la bambina era ancora nella stanza.
Il suo sguardo furente non risparmiò né Tyler né Payne.
Lei sembrava genuinamente
preoccupata, lui non nascondeva una certa sicurezza, come se fosse
effettivamente convinto di aver fatto la cosa giusta.
Davis mandò giù.
“Daniel Dair...”
Ripeté mentre quel nome gli graffiava la gola
“...E saresti...”
Si mosse appena verso di lui, ma fu bloccato dalla voce di André.
“Un poliziotto.”
Completò lui girando lo
schermo del suo pc verso gli altri. Gli erano bastati pochi secondi per
tirare fuori la scheda personale di Dair.
Si mossero tutti in un istante, di colpo in perfetto assetto da combattimento.
Davis strinse i pugni, adesso era davvero pronto a gettarsi su di lui.
André estrasse la pistola nascosta nel mobile bar.
Alla vista dell'arma Eden riuscì finalmente a muoversi.
Stando dritta in piedi davanti alla sua bambina, di modo che non vedesse le armi, alzò le mani.
“Fermatevi!”
André abbassò la pistola con un sospiro nervoso, ma Davis non la degnò nemmeno di uno sguardo.
“Portala via.”
Rispose senza guardarla, la sua voce dura e fredda come una lama.
Eden guardò il viso confuso di
sua figlia. Chiaramente iniziava ad essere spaventata, ma se avesse
lasciato quella stanza non riusciva nemmeno ad immaginare cosa sarebbe
successo.
Payne si morse un labbro lasciando il suo angolo accanto alla porta.
Si avvicinò ad Eden e le poggiò una mano sul braccio, con una tale delicatezza che lei nemmeno la sentì.
Capiva perfettamente perché Eden non riuscisse a muoversi.
Dopotutto Daniel aveva detto loro la
verità, ma lei già iniziava a pentirsi della sua scelta
di portarlo lì.
“La porto di sopra.”
Disse rivolgendo gli occhi ad Eden.
Il suo sguardo sembrava dire “Mi dispiace, ma era
necessario.” o forse era solamente lei a voler sentire quelle
parole.
Annuì abbassandosi al livello della sua bambina. Le accarezzò i capelli sforzandosi di sorridere
“Va tutto bene amore mio. Va' di sopra con la zia Payne, io arrivo subito.”
Era la prima volta che Sophia vedeva
Payne, Eden sperò con tutto il cuore che definirla
“zia” bastasse a conquistare la sua fiducia.
Payne sorrise a sua volta allungando una mano
“Andiamo.”
Eden sorrise di nuovo incoraggiando
sua figlia finché non fu sicura che avesse salito l'ultimo
gradino, poi chiuse gli occhi col cuore in gola.
Di nuovo sentì scattare la sicura delle pistole.
“Fermatevi!”
Urlò di nuovo mettendo tra Daniel e Davis, così che non potesse fargli del male senza farne anche a lei.
Lui arricciò le labbra come se fosse inorridito da quella visione.
André si fece avanti senza abbassare l'arma, ma si rivolse direttamente a Tyler.
“Hai portato qui un poliziotto?”
Non riusciva a capire. Tyler scosse il capo e basta.
“Ma fai sul serio?!”
André era davvero incredulo.
Nella sua mente trovavano posto le peggiori e le migliori spiegazioni.
Forse Tyler l'aveva fatto sotto minaccia. O forse sia lui che Eden
stavano collaborando con l'FBI.
Ma allora perché la casa non
era circondata? Perché c'era un solo poliziotto a far bella
mostra di sé nel loro soggiorno?
“Non sono un poliziotto.”
Precisò Dair nonostante la sua scomoda posizione.
André gli rivolse la canna della pistola
“Già, scusami, federale giusto?”
L'altro sembrò per un'istante voler scoppiare a ridere.
Eden rabbrividì riuscendo già a sentire lo sparo.
Dair sembrava impazzito. Quello non era un comportamento da lui.
“Nemmeno.”
Ribatté sfoggiando solo un sorrisino sarcastico.
Sia Eden che Davis gli rivolsero uno sguardo confuso.
“Lo ero...”
Dair scosse le spalle
“...ma ho perso il mio lavoro grazie a voi.”
Spiegò poggiando un pesantissimo sguardo su Eden. Quel voi era in realtà un te.
Fu come ricevere un colpo allo
stomaco. Sapeva che molto probabilmente sarebbe successo, ma avrebbe
davvero preferito non vederlo con i suoi occhi.
Eden si sentì un mostro. Un'altra vittima della sua stupidità che cadeva a pezzi davanti ai suoi occhi.
Il viso di Dair non aveva più
la sua costante calma, ma solo una maschera di rabbia e delusione. I
suoi occhi erano stanchi, i suoi modi come quelli di un uomo disperato
che non ha più nulla da perdere.
Eden si chiese se non fosse lì
solo per farsi sparare, solo per morire davanti ai suoi occhi
così che potesse sentirsi un'assassina per il resto della vita.
Dair allargò le braccia
“Non sono qui per arrestare nessuno. Sono innocuo e totalmente disarmato.”
Si udì finalmente la voce di Tyler
“E' pulito. Ho già controllato.”
André sembrò non fidarsi. Anzi, chiaramente non si fidava.
“Niente armi? Niente microfoni?”
Sventolò la pistola davanti a Dair senza troppo delicatezza.
“Niente.”
Rispose Tyler per lui.
“Allora che diavolo vuoi?”
La voce di Davis suonò come la più profonda e solenne.
Sorpassò Eden senza degnarla di uno sguardo e di nuovo tese i muscoli dritto davanti a Dair.
Lui abbassò le braccia.
“Credevo che Sophia avesse già chiarito il punto.”
Non so se fosse per le parole o per il tono ironico, ma gli occhi di Davis si iniettarono di sangue.
Afferrò Dair per il collo e lo sbatté dritto contro il muro.
Non importa chi fosse o cosa volesse. Voleva comunque ammazzarlo.
Daniel riuscì a schivare un
colpo prima che gli arrivasse in piena faccia, ma un altro gli
piombò dritto e pesante sulla bocca. Riuscì a sentire il
labbro che si spaccava. E forse anche la mascella.
Approfittò del dolore per scagliarsi contro Davis senza pensare, ma ben presto sentì altre mani su di sé.
“Basta! Davis fermati!”
Eden cercava con tutte le sue forze
di separarli, ma Davis sembrava non sentirla nemmeno. Aveva il viso
arrossato dalla rabbia e ogni particella del suo corpo concentrata su
Dair. L'avrebbe ammazzato, se non fosse riuscita a fermarlo l'avrebbe
ammazzato.
Per fortuna Tyler si mosse in suo aiuto e riuscì con grande sforzo a trascinare Davis un metro più in là.
Dair sospirò sputando il sangue che continuava a versarglisi in bocca.
Davis continuava a contorcersi nella presa di Tyler.
Eden rimase incerta per un secondo poi si rivolse a Davis cercando di essere il più convincente possibile.
“Calmati! Lui non è il mio fidanzato ok? Non lo è!”
Riuscì ad incontrare i suoi
occhi. Sembrò che le sue parole funzionassero. Davis smise di
combattere la morsa di Tyler.
“E chi è allora?”
Ribatté costringendo Tyler a mollare del tutto la presa.
“Lui è...”
Tutta la sua determinazione sparì di colpo. Tabula rasa.
“Lui è...”
Dair si pulì di nuovo il viso con la manica della camicia.
“Già Eden... Chi sono io?”
In quel momento suonarono alla porta.
Il suono del campanello sembrò assordante.
Sembrò apparire chiara nella
mente di tutti l'immagine dei federali schierati intorno alla casa e
del capitano che si sarebbe affacciato alla porta dichiarando
educatamente “Vi dichiaro tutti in arresto”.
André, ancora armato, si avvicinò alla porta senza far rumore.
Era già pronto a scaricare le sue pallottole.
Davis, dall'altro lato, giurava a
sé stesso che in qualsiasi circostanza, prima di finire in
cella, avrebbe ucciso Daniel Dair.
André appoggiò lentamente l'occhio destro allo spioncino. Ogni muscolo teso.
“Crétin.”
Mugugnò nella sua lingua madre prima di infilare l'arma nel retro dei jeans ed aprire la porta.
Il ragazzo sulla soglia sfoggiò un sorriso di circostanza
“Avete ordinato una pizza al formaggio e... ventiquattro bottiglie di birra?”
Domandò indicando incerto lo scatolone ai suoi piedi.
“Oui.”
Rispose velocemente allungandogli una banconota da cento dollari.
“Tieniti il resto...”
Concluse spingendo la birra dentro ed il ragazzo fuori.
“...E anche la pizza.”
Gli sbatté la porta in faccia restando impalato mentre si grattava un sopracciglio.
“Qualcuno vuole una birra?”
-----------
Eden mosse qualche passo incerto nella stanza.
L'acqua scorreva mentre Dair si sciacquava il viso.
Ci era voluto parecchio perché
l'atmosfera si calmasse e chiaramente Dair non era il benvenuto, ma
almeno aveva ottenuto il permesso di andare in bagno.
“Così alla fine l'hai fatto davvero, eh?”
Dair parlò cercando un asciugamano.
Eden si avvicinò velocemente. Aveva pochi secondi per parlare prima che André tornasse.
“Vattene da qui.”
Disse decisa.
Dair non poté non notare una certa apprensione.
“Sembri quasi davvero preoccupata. Devo dire che le tue doti di attrice migliorano ogni giorno.”
Quel sarcasmo non gli si addiceva affatto.
Eden gli piombò addosso con una spinta cercando di riportarlo in sé.
“Dico sul serio!”
Lui barcollò, ma non si tolse dalla faccia quell'insopportabile ghigno.
“Ma che ti è successo?!”
Eden cercò i suoi occhi e finalmente li trovò.
Fu certa in un istante che in fondo la sua era solo una maschera.
“E me lo chiedi anche?”
Dair rispose con un'altra domanda. Eden scosse la testa mordendosi le labbra.
“Devi andare via subito. Non voglio che ti facciano del male.”
Stavolta il suo mezzo sorriso fu solamente amaro.
“A quello hai già pensato tu.”
Eden avrebbe voluto ribattere, ma sentendo altri passi si tirò indietro.
“Muoviti.”
Davis fece un cenno a Dair senza
alcuna delicatezza. Gli indicò una sedia perché vi
prendesse posto. Per Eden non ci fu nemmeno la minima attenzione. Lei
se ne stette in piedi accanto alla porta.
“Dammi una buona ragione per non ucciderti.”
Fu la prima frase.
Dair lanciò un'occhiata
proprio ad Eden. Non era intimorito ma sembrava solamente voler dire
“Incredibile che tu voglia davvero stare con quest'uomo”.
“A dire la verità ho una proposta da farti.”
Dair ribatté con un concetto del tutto inaspettato.
Davis sollevò le sopracciglia
“Una proposta?”
“Esatto...”
Dair affilò lo sguardo raddrizzando la schiena sulla sedia
“...Lascia libere Eden e Sophia ed io farò in modo che non vi arrestino.”
Concluse più serio che poteva.
Davis rispose con un sorriso.
“Spero davvero che tu stia scherzando.”
“Niente affatto.”
Il sorriso sparì. Davis si leccò le labbra.
“Ok...”
Fece una lunga pausa
“...Cosa c'è esattamente tra te e mia moglie?”
Davis cercò di restare razionale sottolineando l'ultimo concetto, ma una fitta gli squarciò comunque lo stomaco.
Dair sollevò le spalle
“Credo che dovresti chiederlo a lei. Sicuramente la sua versione sarà diversa.”
Eden tremò per un istante sperando di non dover davvero intervenire, ma Davis non si voltò verso di lei.
Ad ogni secondo cresceva la sua voglia di spaccare la faccia a Dair.
“Inutile dire che la tua proposta è ridicola.”
“Tu dici?”
Quell'uomo si stava davvero impegnando per fargli saltare i nervi.
Davis lo affrontò di nuovo mettendosi alla sua altezza affinché la minaccia fosse chiara.
“Sta lontano dalla mia famiglia.”
Eden decise finalmente di intervenire.
“Ok, ti dico io come stanno le cose.”
Davis si rialzò piano rivolto verso di lei
“Lui è uno dei miei agenti di controllo. Avrebbe dovuto arrestarti, ma io ho mandato all'aria tutto.”
Davis non sembrava soddisfatto da quelle poche parole.
Eden inspirò profondamente
“Siamo amici, Sophia lo conosce bene ed io... Io credo che... Tu dovresti lasciarlo andare.”
Azzardò. Lui affilò lo
sguardo cercando i suoi occhi. Sperava di poter leggere nelle sue iridi
quello che le sue parole non stavano dicendo, ma Eden continuava a
sfuggirgli.
Dair si inserì nella conversazione
“Non credo sia questo che vuole sapere Eden.”
Lei inspirò di nuovo cercando di reggere il contatto con gli occhi di Davis.
Era arrabbiato, ma non era per questo che trovava tanto difficile affrontare quello sguardo.
In quel momento sentì anche
lei di odiare Dair. Sembrava che le cose stessero finalmente trovando
un senso, perché voleva a tutti i costi far esplodere quella
bomba?
Davis rimase immobile con gli occhi appiccicati addosso a lei. Talmente intenso che sembrava volerle passare attraverso.
“Ci vai a letto?”
La domanda uscì dalle sue
labbra in un sussurro. La sua bocca rifiutava di pronunciare quelle
parole. La sua mente rigettava il solo pensiero con tutta la sua forza.
Le ciglia di Eden tremarono. Non
c'era una risposta a quella domanda che potesse essere allo stesso
tempo sincera e giusta. Non c'era.
Gli occhi di tutti e due le
scottavano addosso. Dair avrebbe smentito la sua bugia e Davis non
avrebbe mai sopportato la verità.
Alla fine abbassò il viso.
Dire che era successo una sola volta
o mille non avrebbe fatto alcuna differenza. Quel poco della sua vita
che aveva riconquistato stava per andare di nuovo in cenere.
Davis spostò lo sguardo verso il muro chiudendo gli occhi per un momento.
Eden non dovette aggiungere altro.
Trattenne le lacrime sicura che di lì a poco la sua furia si
sarebbe scatenata, ma sorprendentemente non successe.
Per una volta il dolore fu più forte della rabbia.
Tutto ciò che Davis riuscì a fare fu fuggire da quella stanza.
Eden liberò le sue lacrime lasciandole scendere in silenzio.
Dair non si mosse dalla sua
posizione, dopo tutto sembrava non voler gioire di quel momento. Veder
piangere la donna che amava non gli dava alcuna soddisfazione.
“E' davvero questo quello che vuoi?”
Domandò rompendo quel pesante silenzio.
Eden tirò su col naso.
“E' il padre di mia figlia.”
Fu la sua più razionale spiegazione.
Dair si alzò finalmente in piedi e le si avvicinò cercando di guardarla in faccia.
“L'hai visto anche tu...”
Iniziò. Eden riconobbe il tono
della sua voce, quello a cui era abituata. Il tono che riusciva sempre
a tranquillizzarla. Ma non stavolta.
“...E' violento, fuori controllo... E' davvero lui il padre che vuoi dare a tua figlia?”
Eden contrasse la mandibola incontrando i suoi occhi verdi.
“Tu non lo conosci.”
“Mi basta quello che ho visto.”
Dair poggiò le mani sulle sue braccia e le accarezzò delicatamente.
“Non dovreste essere qui.”
Eden inspirò sentendo nuove lacrime affacciarsi ai suoi occhi.
Non voleva farlo di nuovo, non voleva ripiombare nella confusione più totale, non ora che si era quasi convinta.
Eppure una parte di sé, seppur piccola, sapeva che Dair non stava sbagliando.
Se lo era chiesto anche lei... Che
tipo di vita avrebbe dato a sua figlia una volta fuggiti dagli Stati
Uniti? L'avrebbe costretta a cambiare nome e nascondersi per sempre? Le
avrebbe fatto cambiare una scuola ogni sei mesi? Le avrebbe mentito
tutto il tempo su suo padre e sul suo passato?
“Non farlo ti prego.”
“Fare cosa?”
“Dire queste cose.”
Lui le sollevò il mento
“Sai che ho ragione.”
Eden chiuse gli occhi. Non voleva sentire, davvero non voleva sentire.
“Lasciami andare.”
Chiese a mezza voce cercando di fuggire quel contatto. Lui non le permise di allontanarsi.
“Davvero non capisci perché sono qui?”
Lui scosse la testa prendendole il viso tra le mani perché non potesse sfuggire i suoi occhi.
“Perché io ti amo.”
Eden cercò con decisione di liberarsi, ma lui non lasciò la presa.
“E non mi importa di cosa possono farmi i tuoi amici...”
Lei chiuse gli occhi per un momento
“...Io continuerò a combattere finché non l'avrai capito.”
Eden riaprì gli occhi
sospirando. Cosa c'era da capire? Sapeva da tanto tempo che lui la
amava, che provava per lui un sentimento puro, pulito e del tutto
immeritato. Mille e più volte si era maledetta per la sua
incapacità a ricambiare, per il terrore che la paralizzava, per
la stupida sicurezza che provava vivendo nel passato. Non aveva mai
avuto il coraggio di provarci davvero, di dare a Dair una vera
possibilità. Le bastava che lui fosse lì, ogni giorno, a
darle la sicurezza di cui aveva bisogno.
“Mi dispiace.”
Disse a voce bassa. Era l'unica risposta possibile a tutti quei pensieri. Dopo aver rovinato ogni cosa, cos'altro poteva dire?
Sfuggendo al suo tocco attraversò la porta a passi veloci.
André, che stava raggiungendo la stanza, si scostò per lasciarla passare poi si piantò sulla soglia.
Dair bloccò sul nascere il desiderio di seguirla.
André lo paralizzò con lo sguardo, chiuse lentamente la porta e girò la chiave nella serratura. Due volte.
Dair poggiò la fronte contro
il freddo legno della porta. La rabbia lo aveva spinto fino a lì
senza dargli tempo di pensare, ma chiuso tra quattro mura, iniziava
finalmente a chiedersi come ne sarebbe uscito.
Forse lo attendeva il peggiore dei
finali, ma era ancora certo che lottare per Eden fosse la cosa giusta.
Avrebbe continuato a lottare per lei, finché lei non avesse
capito.
----------------
Tyler aspettava seduto nel salotto.
Tamburellando con le dita sul tavolo sapeva che ben presto sarebbe
arrivato anche per lui il turno delle spiegazioni.
Vide Davis scendere le scale a denti stretti, da solo.
Lo seguì con lo sguardo
finché non gli fu davanti. Attendeva la sua solita reazione
fatta di pugni ed insulti, ma lui se ne stava lì, come preda di
altri e più pesanti pensieri.
Tyler si schiarì la voce
“Tutto qui? Niente risse, niente insulti? Non mi stai cacciando?”
Domandò rivolgendogli gli
occhi ostentando una certa sicurezza. Il suo era un tradimento, di
certo lo era, ma era anche la cosa più giusta da fare. Non aveva
nulla a che fare con la polizia e con l'FBI, era solo per Eden. Solo
per dare alla sua amica la possibilità di avere qualcosa di
meglio di quella vita. Era certo che Davis non avrebbe mai capito, ma
sperava che almeno Eden lo facesse.
Davis rimase in piedi a fissarlo.
“E' per questo che l'hai portato qui? Solo per vedere la mia reazione?”
Tyler contrasse la mandibola. Non era certo se si trattasse di una domanda.
“Non l'ho fatto per te.”
Davis si sbloccò di colpo, sembrando più confuso che arrabbiato.
“Credevo fossimo amici.”
Disse abbassando gli occhi. Una mossa piuttosto insolita per uno come lui.
“Lo siamo... Ma anche Eden è mia amica.”
Davis sembrava un po' troppo
sconvolto per il poco tempo che aveva passato di sopra. C'era qualcosa
nei suoi occhi che Tyler non si sarebbe mai aspettato.
“Io la amo.”
Ammise, ad alta voce, senza che Tyler l'avesse chiesto.
Tyler annuì guardando le sue
stesse mani. Non l'aveva mai messo in dubbio, ecco perché
combatteva il senso di colpa.
Davis se ne stava lì, immobile, spogliato del suo orgoglio e della sua freddezza.
“Lo so.”
Tyler rimase a fissare la superficie lucida del tavolo. Riusciva quasi a vedere il suo riflesso.
“Lei merita qualcosa di meglio di questo.”
Aggiunse. Dall'altra parte non arrivò risposta.
Davis non riusciva a pensare lucidamente, era ancora troppo annebbiato dall'immagine di sua moglie tra le braccia di quel tizio.
Era stato forse troppo presuntuoso nel credere che lei gli fosse rimasta fedele?
Troppo ingenuo. Troppo stupido.
Probabilmente Eden aveva ragione a dire che le cose era cambiate, lei non era morta dopo tutto e il tempo non si era fermato.
Cinque anni. Cinque anni e lei era andata avanti.
Si era rifatta una vita. Con un altro uomo.
Con sua figlia e un altro uomo.
L'ennesima fitta gli rivoltò lo stomaco. Perfino il pensiero dell'alcool era nauseante in quel momento.
"Lei merita qualcosa di meglio di questo."
Una sorta di eco delle parole di Tyler risuonò nelle sue orecchie.
Tu dici? Pensò.
Lei ha ripreso in mano la sua vita,
è passata all'altro lato, ha fatto di un altro uomo il padre di
mia figlia e tu credi che meriti di meglio di questo?
Qualcosa meglio del mio disprezzo?
Qualcosa meglio di una punizione?
Tyler lo guardò nella sua immobilità
"Non l'avrei portato qui se non avessi avuto delle valide ragioni."
"Valide ragioni?!"
Finalmente il tono tagliente di Davis rispose alle sue parole.
Tyler prese a gesticolare
"Ascolta Davis..."
Una piccola pausa
"...Io non conosco l'uomo che avete
rinchiuso al piano di sopra, non so se gli piaccia il sushi, se gioca a
golf tutte le domeniche o se sia un emerito coglione come tutti i
federali..."
Di nuovo una piccola pausa
"...Ma so di per certo che ha la fedina penale pulita, un lavoro onesto ed un conto in banca non criptato..."
Stavolta dovette fermarsi per più di un paio di secondi e prendere fiato
"...So che è innamorato di
Eden, che si è preso cura di lei per tutto questo tempo e che
è la cosa più vicina ad un padre che tua figlia abbia mai
avuto."
Il vuoto sembrò piombare giù in un attimo.
Stava sfidando Davis Miller, cercando di andare contro tutti i suoi principi.
"Sono io il padre di mia figlia."
Sentenziò lui scandendo ogni sillaba.
Tyler annuì
"Lo so... Ma cosa puoi dargli
tu invece? Vuoi davvero che tua figlia viva come noi? Che si nasconda e
che cominci a rubare?"
"No."
Lo interruppe quasi Davis
"Non succederà questo."
"Succederà invece..."
Tyler non sapeva ancora se stesse
insistendo troppo, lui e Davis non erano quel tipo di amici, non lo
erano mai stati ed era quasi completamente certo che Davis non lo
avrebbe mai ascoltato.
Anzi, forse avrebbe rinchiuso anche lui al piano di sopra.
Tuttavia decise di non tacere
"...Succederà... La nostra
vita è questa, per quanto ci sforziamo di pensare che dopo
l'ultimo colpo tutto cambierà, la realtà è che
resteremo sempre dei criminali... Va bene per noi, ma... E'
quello che vuoi per lei?"
Davis strinse forte le palpebre, delle rughe nervose gli riempirono la fronte
"Basta, non voglio più ascoltarti!"
Esclamò cercando di allontanarsi. Aveva la testa nel pallone. Completamente piena di pensieri.
Che cosa avrebbe dovuto fare?
Ascoltare Tyler?
Rinunciare alla sua famiglia? Alla prima reale possibilità di cambiare la sua esistenza?
Di nuovo i nervi si impossessarono di lui. Strinse i pugni.
Eden e quel tizio.
Eden a letto con quel tizio.
Eden felice con quel tizio.
Eden, quel tizio e la sua bambina.
Che ne avrebbe fatto di lui?
No. No. Non gli avrebbe mai ceduto la sua famiglia.
Non gli avrebbe mai dato sua figlia.
Ma Eden? A lei poteva rinunciare invece?
Il pensiero di vederla rotolare tra le lenzuola insieme a lui, le sue mani su di lei, i suoi gemiti, i suoi sospiri...
Forse aveva goduto ancor più che con lui.
Le fiamme della gelosia gli infuocarono il petto.
Lei poteva tenersela se voleva.
Sì. Lei poteva tenersela.
Sì.
Blake comparve alla porta appena in tempo per salvarlo da quella spirale distruttiva.
"Che facciamo adesso?"
-----------
Eden si asciugò gli occhi col
retro della mano prima di entrare nella sua stanza. Avrebbe più
volentieri continuato a piangere, ma non voleva che Sophia vedesse
qualche altra scena spiacevole.
Aprì piano la porta.
Sedute sul letto, Payne e Sophia
ridacchiavano. Payne aveva la faccia impiastrata di rossetto rosso
mentre le labbra della sua bambina luccicavano di lucidalabbra alla
frutta. Anche Eden sorrise.
“Eccoti.”
Payne si tirò su perdendo all'istante quell'espressione serena.
“Tutto ok?”
Chiese a voce bassa facendosi vicina. Eden annuì, ma i suoi occhi rossi non davano giustizia al suo sorriso.
“Cosa state combinando qui?”
Era così abile a cambiare argomento quando voleva.
Raggiunse Sophia sul copriletto a quadri e le accarezzò il viso.
“Tu e Payne vi stavate facendo belle?”
Sophia annuì felice di mostrare l'improbabile impiastro di ombretti sulle sue palpebre.
“Payne mi ha fatto usare i suoi trucchi!”
“Spero non sia un problema.”
Si inserì l'amica, ma Eden scosse la testa.
“Grazie.”
Quella parola suonò
paradossale. Payne era colpevole della situazione quasi quanto Tyler.
Forse non conosceva la situazione nei dettagli come lui, ma avrebbe
potuto fermarlo.
Se lei e Tyler non avessero preso quell'insana decisione forse, a questo punto, ogni cosa sarebbe già risolta.
Invece Davis, al piano di sotto, stava di certo meditando un piano per sbarazzarsi anche di lei.
E poco più in là, chiuso tra quattro mura, Dair era pronto a combattere per lei.
Combattere per lei.
Per la donna che gli aveva distrutto la carriera.
Per la donna che non aveva il coraggio di ricambiare il suo amore.
Non riusciva a pensarlo in quelle condizioni, spogliato della sua uniforme e delle sue convinzioni.
Aveva distrutto anche lui.
Il pensiero la strinse alla gola, in quel momento era molto più preoccupata per Dair che per Davis.
Certo, Davis l'avrebbe odiata davvero
adesso, ma in fin dei conti il suo orgoglio passava in secondo piano se
paragonato a quello che Dair sembrava pronto a fare.
Non se ne sarebbe andato.
Non senza di lei.
O non sulle sue gambe.
L'idea la pietrificò. E se
Davis gli avesse fatto del male? Se fosse intenzionato ad ucciderlo? Se
lui e André avessero preso una pistola e...
"No."
Le uscì dalle labbra senza controllo.
Payne e Sophia si voltarono dalla sua parte.
Eden scosse il capo
"Scusatemi."
Biascicò alzandosi dal letto e muovendosi di colpo come un leone in gabbia.
Era riuscita a calmare la situazione, ma come poteva esser certa che Davis non avrebbe optato per la scelta peggiore?
Poteva uccidere Dair.
Poteva liberarsi anche di lei.
E poi...
Poi avrebbe potuto prendersi Sophia.
Oh Dio. Perchè tutt'a un tratto questi orribili pensieri le affollavano la mente?
Payne la raggiunse tenendo la bimba distratta con l'ultima palette di Dior.
"Che succede?"
"Non dovevate portarlo qui... Non dovevate portarlo qui."
Sussurrò decisa
"E se lo uccidono?"
Payne corrugò appena le
sopracciglia. Per la prima volta fu sicura che tutto l'amore
proclamato da quel coraggioso quanto disperato federale dopo tutto era
ricambiato... In qualche modo era ricambiato.
"Sei innamorata di lui?"
Chiese a conferma. Una parte di lei
ne sarebbe stata sollevata data la scelta che aveva compiuto, ma
l'altra parte ne sarebbe stata profondamente delusa. Eden e Davis
si amavano. Davis, nei suoi modi bruschi e nonostante
l'oscurità in cui era piombato, la amava davvero.
Loro erano anime gemelle.
Una coppia indivisibile.
Eden abbassò gli occhi cercando di scuotere lentamente la testa. Avrebbe voluto sputare un no deciso.
D'altra parte non sentiva le farfalle
nello stomaco, non le sudavano le mani e non arrossiva come una bambina
ogni volta che lo vedeva.
Con lui non si sentiva mai in imbarazzo o fuori posto, era sempre certa di poter essere come voleva essere.
Terrorizzata... Come al loro primo incontro.
Arrabbiata.
Indecisa.
Scostante.
Codarda... Come quando era scappata dal suo appartamento.
Si era perfino potuta permettere di essere una traditrice.
E nonostante tutto lui era lì a rischiare la vita.
Non sono innamorata di lui.
Sono innamorata di Davis.
Ancora tremo come una foglia quando lui mi sta vicino.
Lo stomaco borbotta e divento goffa.
Ma ho paura che uccida Dair.
Ho paura che si prenda mia figlia.
Ho paura.
Con lui ho paura.
Forse era proprio quella la differenza.
Di Davis era ancora innamorata.
Ma Dair?
Il bello, gentile, perfetto Dair?
Forse di lui non era innamorata.
Forse lui lo amava e basta.
Come amano le persone adulte.
Quelle che dividono un modesto appartamento in periferia.
E pagano la spesa in contanti.
Quelle che hanno figli,
e preparano per loro il migliore dei futuri.
Payne smise di aspettare una risposta, mentre Sophia era rapidamente passata dall'impiastricciarsi il viso al dipingere i muri.
"Forse ho fatto bene a portarlo qui..."
Sospirò.
"Non so niente di lui, ma ho visto i suoi occhi mentre parlava di te e tua figlia... Mi ha spezzato il cuore."
Eden riuscì solo ad annuire.
Payne invece riprese a parlare
"Non so cosa voglia fare Davis adesso, ma tu cerca di prendere una decisione."
"Non so che fare."
Payne sospirò
"Non sai quanto sia grata che tu non
sia morta... Non sai quanto sia felice di averti qui... Te e Tyler...
E' stato come tornare indietro nel tempo..."
Accompagnò la pausa con un gesto rivolto a Sophia
"Ma la verità è che le cose sono cambiate... E nemmeno poco."
I suoi occhi azzurri incontrarono quelli scuri di Eden
"Credimi, io ho sempre fatto il tifo
per te e per Davis... L'ho visto diventare una persona diversa dopo la
tua scomparsa e pensavo davvero che riaverti qui gli avrebbe ridato un
po' di pace..."
Inspirò
"...Ma non sapevo di tua figlia... Non sapevo quanto la tua vita fosse cambiata..."
Buttò fuori l'aria
"So che ami Davis... Ma ho capito
subito che anche tra te e quel poliziotto c'è qualcosa...
Qualcosa di profondo, di profondamente diverso."
Eden immaginò di fretta qualche momento passato con lui.
"Devi prendere una decisione Eden... Prima che succeda davvero qualcosa di brutto."
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Capitolo 23 *** Dancing on Our Own ***
Capitolo22
CAPITOLO 22
“DANCING ON OUR OWN”
Il respiro si bloccò mentre l'ultimo frammento della
sua sagoma spariva dietro lo stipite.
Il suo cuore mancò un battito.
Le sue labbra tra i denti.
Lo stomaco in gola.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
Lascialo andare.
"Davis!"
Urlò.
Con tutta la voce che aveva.
Senza nemmeno aver dato il comando al cervello.
D'istinto mosse due passi lasciandosi la bambina alle
spalle, voleva essere sicura che si fosse fermato.. perché non era così che
doveva finire.. Se fosse mai arrivato nella sua vita il momento in cui avrebbe
visto Davis Miller per l'ultima volta, non è così che l'avrebbe vissuto.
Dair sbuffò la sua rabbia con un gesto di stizza.
Quante volte ancora sarebbe dovuta finire in quel modo? Lui era già stanco di
fuggire, stanco di quel continuo andirivieni di parole e di occasioni sfumate.
Indietreggiò verso Sophia mentre l'ombra di Davis tornava indietro poco a
poco.. Non voleva più guardarlo in faccia.
Davis riapparve nella stanza con un'espressione
vagamente simile ad un sorriso
"Ho forse dimenticato qualcosa?"
Eden tirò un sospiro di sollievo, ma non lo diede
troppo a vedere. Nella sua mente cominciava ad affiorare la malsana idea che
alla fine potessero andarsene tutti e quattro insieme verso un posto più
sicuro, senza tutta quella necessità di decisioni definitive.
Scosse la testa. Non sarebbe andata in quel modo.
"Dacci un minuto."
Chiese voltandosi. Il tono dolce e tenuto basso
affinché, dopo tutto, potesse sembrare una proposta accettabile.
Dair scrollò le braccia
"Cosa?"
Scosse la testa cercando di trattenere lo stupore per
non spaventare la bambina attaccata alle sue gambe.
Eden si voltò verso di lui, nel suo sguardo e nelle
sue movenze una grazia decisa
"Per favore... Porta Sophia di là, ci vorrà solo
un minuto."
In realtà non sapeva se un minuto sarebbe bastato, ma
doveva restare sola con Davis se voleva finalmente essere sincera.
Il sopriro di disapprovazione di Dair riempì la
stanza, decise che avrebbe comunque avuto ancora un briciolo di rispetto per la
situazione. Nella sua testa quella scena si sarebbe risolta in maniera del
tutto diversa e benché la divisa non gli mancasse troppo, il desiderio di
sbattere Davis in una cella era sempre forte e vivo.
Convinse una piccola, assonnata e confusa Sophia a
seguirlo in cucina per latte e biscotti.
Quando Eden e Davis incrociarono di nuovo gli occhi,
senza nessuno intorno, lo sguardo di lui si scurì di botto. Le ferite
dell'orgoglio erano più vive che mai e la mancanza di possibili testimoni
esortava la sua parte oscura a venir fuori.
Eden deglutì
"Non possiamo più andare avanti così."
Davis non rispose. Lei riprese fiato
"Devo pensare a mia figlia."
Qui lui si mosse
"Nostra..."
Sottolineò
"...Nostra figlia."
Eden annuì abbassando gli occhi per un momento
"Non posso fare finta che gli ultimi cinque anni
non siano passati..."
Di nuovo provò a guardarlo in viso, ma i suoi occhi
erano scuri e vitrei.
"...Non posso fare finta che tu non sia quello
che sei..."
"Sarebbe solo colpa mia quindi?"
La interruppe lui. Il suo sopracciglio destro
tremolava, ma il resto del suo corpo era ancora immobile.
"Tu..."
Esordì in risposta
"Tu sei l'artefice di tutto questo."
Eden incassò il colpo e si mosse prima che lui potesse
continuare
"Ti prego, non voglio l'ennesima inutile
discussione."
Quella frase iniziò decisa come una richiesta, ma finì
labile come una preghiera.
"Inutile??"
Davis si morse il labbro, abbastanza stretto da farsi
male
"Io c'ho provato credimi, ci provo con tutte le
mie forze, ma tu..."
Strinse i pugni
"...Tu avresti dovuto dirmi che cosa stava
succedendo.."
"Cosa?"
Davis non rispose, lasciando all'immaginazione ogni
riferimento.
Prese di nuovo fiato
"Tu hai fatto di un altro il padre di mia
figlia."
Eden indietreggiò scuotendo la testa
"No Davis, questo no."
Dair non era il padre di Sophia e non lo sarebbe mai
stato, indipendentemente da come le cose potessero mettersi tra loro. Sophia avrebbe saputo la verità, almeno su
quello, sui suoi genitori e sul loro amore.
Sua madre l'aveva cresciuta raccontando solo i difetti e gli errori di
un padre che non aveva mai conosciuto e lei non avrebbe mai fatto la stessa
cosa a sua figlia.
Di nuovo Davis la fissò in quel modo
"Ma non pensare che ci rinunci."
Eden si sentì per metà sollevata da quell'affermazione
"Ti capisco..."
Replicò cercando di arrivargli più vicino, le labbra
socchiuse aspettando l'arrivo delle parole più giuste.
Lui non si mosse e non si lasciò distrarre dai segni
della stanchezza sul viso di Eden. Le sue lunghe ciglia scure battevano
comunque allo stesso ritmo, quasi tentassero di nascondere il timore nei suoi
occhi, come ogni volta che stava per dire qualcosa di davvero onesto
"...Non avevo mai pensato prima d'ora che
rinunciare fosse tanto difficile."
Conluse, con un sospiro che mosse l'aria tra lei e
Davis. Era combattuta e lui poteva vederlo chiaramente... Così combattuta che
stavolta forse avrebbe finito per scegliere una strada diversa.
Davis aggrottò le sopracciglia
"Vuoi davvero andare con lui?"
Eden abbassò il viso, sperando che senza guardarlo
potesse mentire, ma fissare il pavimento non bastò
"No..."
Confessò cercando di muovere i suoi occhi il più
possibile lontano dalla visuale di Davis
"...Ma devo."
Lui inspirò cercando il suo sguardo senza trovarlo, allungò
la mano verso il suo viso, lo raggiunse e si mosse, delicato e deciso, finché
Eden non sollevò il mento.
Gli occhi di lei brillavano di lacrime prossime e
voglia di un bacio.
"Io non..."
Le parole di Davis si fermarono a metà, la sua
espressione tornò scura ed estranea di colpo. I suoi occhi ora fissavano un
punto che non era più il viso di Eden.
Lei si guardò intorno d'istinto senza capire.
La mano di Davis si allontanò definitivamente da lei
così come il suo corpo, pochi passi lenti lo portarono al di là di sua moglie e
del loro discorso in sospeso.
C'era improvvisamente qualcosa di molto più importante
a cui pensare.
"Merda."
Imprecò tra le labbra mentre Eden individuava
finalmente l'oggetto della sua preoccupazione.
Si erano distratti abbastanza da non notare cosa stava
succedendo sul monitor di controllo lasciato acceso da André.
Auto. Auto intorno alla casa.
E persone.
Agenti per l'esattezza.
Agenti armati schierati intorno alla loro casa.
Mentre Eden stava per parlare due colpi decisi alla
porta ne furono la conferma. Erano lì.
Davis sembrò pensare tutto in un secondo
"Andiamo!"
Eden rimase impalata
"Sophia."
Di nuovo colpi alla porta.
Dair si affacciò dalla cucina
"Che succede?"
"L'FBI."
Davis fu schematico. Nel contempo dalla sua valigetta
tirò fuori una pistola. Fece scattare la sicura.
"Andiamo!"
Ed era l'ultima volta che lo diceva.
"Prendo Sophia!"
Eden fece per muoversi, ma rimase dov'era.
La porta della casa venne spalancata con un solo colpo
deciso, quattro agenti armati si buttarono dentro. Fuoco puntato e pronti a
sparare.
Fortuna volle che Dair si trovasse lì, la sua presenza
all'entrata di quella casa, con un bicchiere di latte in mano, distrasse i suoi
ex agenti abbastanza a lungo da permettere a Davis di volatilizzarsi.
Eden invece non capì cosa le stesse succedendo.
Una stretta morsa alla vita e qualcosa, o qualcuno,
che la trascinava via. Più provava a spingere verso la cucina e più se ne
allontanava.
Si sentì sollevare e, solo dopo aver preso contatto
con la pelle fredda, capì di trovarsi su un'auto che sfrecciava via a tutta
velocità. Lo stomaco le arrivò in gola mentre provava a seguire le curve e
dovette stringersi la testa tra le gambe per non sentire gli spari.
Venivano da fuori, ma anche da quella macchina.
Si sollevò prima di vomitare, Davis stringeva il volante con una mano
mentre con l'altra sparava colpi verso gli agenti. Per fortuna erano meno di
quanti temesse.
"Fermati!"
Esclamò
"Fermati! C'è nostra figlia lì dentro!"
Lui sembrò non ascoltarla
"Reggiti."
Ordinò mentre afferrava il freno a mano. Un gesto
deciso e l'auto si girò di novanta gradi in un secondo, senza minimamente
rallentare.
Eden si ritrovò appiccicata alla portiera.
"Aspetta! Devo tornare lì!!"
Urlò, ma lui di nuovo non rispose.
E non disse nulla finché i rumori esterni furono
zittiti. L'ultima manovra indelicata e la macchina si fermò dopo aver sceso il
bordo della strada. In quell'angolo di campagna e desolazione che avevano
raggiunto sembrava regnare un minimo di tranquillità.
"Scendi. Dobbiamo muoverci."
Davis abbandonò immediatamente l'abitacolo ed Eden si
sentì costretta a seguirlo mentre correvano tra alberi e baracche
fatiscenti. Continuava a pensare di aver
lasciato sua figlia da sola, ma le gambe si muovevano da sole mosse dalla paura
e dall'urgenza.
Un'infinità di passi dopo Davis si fermò di fronte ad
una piccola casupola di legna e rottami.
Ruppe la porta di assi marce con un calcio e spinse Eden dentro. Il sole
era quasi completamente sorto e l'intero armamentario delle forze dell'ordine
si stava muovendo per cercarli. Doveva pensare in fretta.
Senza nemmeno notare la polvere e la sporcizia del
posto tirò fuori il cellulare dalla tasca del giubbotto.
Eden iniziò ad agitarsi
"Devo tornare indietro! Dobbiamo tornare!... Oh
Dio, che cosa sarà successo??"
Lui la congelò con lo sguardo
"Devi stare zitta adesso."
Eden rimase di sasso
"Come fai ad essere così tranquillo?!"
Tranquillo?? Non c'era una sola cellula nel corpo di
Davis che fosse tranquilla al momento.
Compose qualche numero prima di risponderle
"E' una bambina, non le faranno niente..."
Si interruppe in attesa di sentir squillare all'altro
capo
"...E poi c'è il tuo amico con lei."
Era dura da ammettere, ma a giudicare da quel che
aveva visto, per quanto doloroso, Dair avrebbe tenuto al sicuro sua figlia.
Eden non si rilassò, mentre Davis parlava al cellulare
a malapena percepì le sue parole. Un certo McClair li avrebbe aiutati a venir
fuori da quel casino.
Davis si infilò di nuovo il telefono in tasca e
sospirò guardando fuori. Quei minuti sarebbero stati lunghissimi.
"Sei sicuro che starà bene?"
Chiese lei ancora piuttosto angosciata. Davis la guardò con la coda dell'occhio
"Non le succederà niente. Mai."
Eden si sforzò di annuire. Era confusa e spaventata,
ma nuovamente, anche davanti a questo timore, avrebbe lasciato le redini del
comando a Davis.
Sorprendente e meraviglioso come nonostante tutto
riuscisse sempre a fidarsi di lui.
Seguì un lungo silenzio. Lui continuava a fissare il nulla da una
fessura delle travi ed Eden lo guardava da lontano.
Era sempre lo stesso. Gli abiti sgualciti e poche
gocce di sudore che brillavano la luce dell'alba sulla sua fronte. Le braccia
incrociate e l'espressione imbronciata mentre vagliava ogni possibile
soluzione.
Probabilmente erano gli ultimi momenti che passava con
Davis e voleva farne tesoro, fotografando ogni millimetro della sua presenza.
Al di là delle legittime preoccupazioni l'avrebbe
ringraziato di averla trascinata via con sé.
Le stava regalando non poco.
Davis si voltò trovandola immediatamente a portata di
sguardo
"Andiamo."
Eden annuì senza parlare. Si strinse nella felpa
sciogliendo i muscoli delle gambe poi lo seguì alla porta.
Fuori un anonimo furgone blu ed un conducente dai
tratti stranieri. Mediorientali per l'esattezza.
Il tizio non disse nulla mentre gli indicava di salire
dietro.
Davis aprì la portiera posteriore e lasciò che Eden
salisse per prima offrendole una mano come appoggio.
Anche lì dentro era sporco e piuttosto buio.
Eden inspirò l'intenso odore di terra e prodotti
chimici. Tossì cercando di risputarlo fuori.
"Sarà un viaggio breve."
Davis provò probabilmente a rassicurarla. Seduto su
una cassa di legno fissava per terra.
Eden inspirò di nuovo, pian piano il suo naso stava
abituandosi all'odore.
"Perché mi hai portata con te?"
Lui sollevò lo sguardo, così ardente che avrebbe
potuto inchiodarla alla parete.
"Non avevo finito il mio discorso."
Non era quello che stava pensando davvero, era solo la
prima risposta a portata di mano.
Eden arrossì appena respingendo i suoi pensieri più
intimi.
Deviò gli occhi verso un'altra direzione senza
insistere, rimase in silenzio finché il mezzo si fermò.
Davis balzò in piedi e portò d'istinto la mano alla
pistola. Non poteva vedere cosa stesse succedendo fuori e sperò che fossero
semplicemente arrivati.
L'autista improvvisato di nuovo non disse una parola
mentre apriva le porte.
Stavolta Eden scese per seconda, guardando intorno a
sé una fitta schiera di volti sconosciuti.
Davis si sforzò di sorridere mentre improvvisava una
sorta di saluto da confraternita con quegli uomini. Lui e quello al centro si
strinsero la mano avvicinandosi in un breve abbraccio virile. Era un uomo alto
coi capelli chiari e le braccia tatuate.
"Grazie John."
Lui sorrise di nuovo
"Te lo dovevo amico. Non ho mai dimenticato come
mi hai salvato il culo a Vegas."
Eden aggrottò le sopracciglia. L'ennesimo pezzo della
sua vita che non conosceva.
McClair sorrise anche a lei
"Finalmente conosco la tua signora!"
Eden si sentì in imbarazzo, non per l'appellativo, ma
per il disastro che doveva essere il suo viso. Sollevò un angolo della bocca
senza troppo scomporsi mentre gli stringeva la mano.
"Potete usare il bungalow per darvi una
sistemata. Vi procuro un aereo in un paio d'ore."
Eden guardò la casetta di legno alla sua destra,
sembrava realmente accogliente.
"Grazie ancora."
Davis scambiò una nuova stretta di mano con McClair e
si avviò verso la piccola abitazione. Eden lo seguì assaporando il momento in
cui avrebbe potuto togliere gli stivali e godersi una doccia calda.
L'arredamento era povero, ma essenziale e pochi pezzi
scelti lasciavano trasparire il reale potere d'acquisto del proprietario.
Doveva essere solo una specie di rifugio usato di rado.
Eden venne immeditamente fuori dalle scarpe
lasciandosi sfuggire un gemito di puro piacere.
Lui lo raccolse al volo fermandosi per qualche secondo a scorrere la sua
figura sottile. I capelli finalmente sciolti. La maglietta macchiata di terra e
la biancheria scura a contrasto con la pelle bianchissima della spalla.
"Vuoi fare una doccia?"
Lei annuì resistendo al primo istinto di togliere
immediatamente i vestiti.
"Faccio in fretta."
Precisò prima di chiudersi nel piccolo bagno dalle
piastrelle color lavanda.
Davis rimase nella stanza ad ascoltare il rumore
dell'acqua calda che si infrangeva sulla ceramica e sul corpo di Eden.
Tolse le scarpe e sbottonò la camicia. Si passò le
mani tra i capelli mentre aspettava il suo turno per la doccia.
Era stanco e visibilmente agitato. L'adrenalina della fuga scorreva ancora nelle
sue vene, ma non era solamente quella a turbarlo. Aveva trascinato Eden con sé cedendo all'istinto..
fuggire da solo sarebbe stato infinitamente più semplice, ma lui l'aveva
afferrata comunque, stretta a sé e portata in macchina.. Anche contro la sua
volontà.
La sua volontà sarebbe stata quella di andarsene con
un altro.
Eccola accendersi di nuovo.. L'agitazione gli faceva
tremare le mani e bruciare lo stomaco. Non poteva sopportarlo. Non ora, non in quel momento, non lontano da
tutto e tutti... Senza distrazioni esterne quel pensiero gli riempiva la testa,
chiedendo al vero Davis Miller di venire fuori.
Eden uscì dal bagno avvolta in un asciugamano bianco,
la pelle ancora umida ed i capelli bagnati, già arricciati per via della nuvola
di vapore che si portava dietro. Mollò
la presa sulla maniglia e cercò Davis con lo sguardo.
Era lì di fronte. La camicia sbottonata lasciava
intravedere la linea dei pettorali ed il lungo tratto verticale che dal petto
in giù delineava i suoi addominali, fino all'ombelico e all'orlo dei jeans.
Inspirò profondamente stringendosi nell'asciugamano
"Puoi andare se vuoi.. Ti ho lasciato l'acqua
aperta."
Davis rimase a fissarla con le labbra socchiuse e le
braccia tese lungo il corpo. Eden si mosse indietro senza nemmeno accorgersene,
l'aria sembrava mancarle d'improvviso e quegli occhi le bruciavano addosso..
gli perforavano la pelle.. trafiggevano ossa e muscoli fino ad invadere ogni cellula..
fino a raggiungere i confini della sua anima.
"Che c'è?"
Riuscì infine a domandare in un sussurro. Davis le fu
presto più vicino, senza mai staccare gli occhi da lei. Eden si strinse ancor più stretta
nell'asciugamano e lui scosse appena la testa. Inutile che cercasse di
coprirsi, lui sapeva perfettamente cosa c'era sotto quel pezzo di tessuto
bianco.
"Come puoi stare con un altro?"
Le chiese. La voce bassa e nervosa. Gli occhi che
continuavano a rimestarle dentro. Il tono quasi dispregiativo.
"Io non... Non sto con qualcun altro."
Balbettò.
Lui scorreva lo sguardo sulla sua sagoma quasi nuda.
"Ma ci vai a letto."
Ribatté stizzito.
Eden nuovamente scosse la testa
"E' stata solo una volta."
Nemmeno capiva perché sentisse il bisogno di
giustificarsi.
E intanto lui aumentava il ritmo del respiro. Ogni
boccata d'aria era più breve, ma più piena. Stava di nuovo immaginando la
scena... Una o cento volte non faceva differenza... Strinse i pugni mentre il
sangue gli scorreva più veloce nelle vene, le mani iniziarono a pulsare mentre
reprimeva ogni primo istinto.
Voleva punirla.
Punirla per averlo tradito.
Per aver concesso a qualcun altro qualcosa che era
stato solo suo.
"Come hai potuto farti toccare da lui?"
Eden aggrottò le sopracciglia. Quello sguardo stava
diventando troppo invadente e quell'espressione troppo pericolosa. Non aveva il
diritto di chiederle delle giustificazioni.
Prese coraggio
"E tu? Con quante sei stato mentre ero morta
?"
Davis avanzò minaccioso
"Non cercare di cambiare discorso. Stiamo
parlando di te..."
La afferrò all'altezza delle spalle. Strinse
abbastanza da far diventare la pelle bianca sotto la presa dei suoi
polpastrelli.
Avrebbe desiderato farle del male, tanto quanto gliene
aveva fatto lei, ma allo stesso tempo altri pensieri si facevano strada nella
sua mente.. pensieri carnali ed insidiosi prendevano forma mentre il suo sangue
iniziava a scorrere al contrario.
Voleva ciò che era suo.
Eden colse quella nuova scintilla nelle sue iridi.
Inspirò sentendo le gambe che iniziavano a tremare. La odiava e la voleva.
Lo odiava e lo voleva.
Lo schianto tra le loro labbra le fece quasi perdere
l'equilibrio. Era un bacio profondo, intrusivo, soffocante.
Lui la sollevò da terra usando il suo corpo per
spalancare la porta del bagno. Le tolse
l'asciugamano di dosso lanciandolo il più lontano possibile. Il corpo di Eden fu avvolto da quell'intenso
vapore caldo mentre cercava respiro fuori dalla sua morsa.
Davis la spinse sotto l'acqua quasi bollente, il getto li colpì in pieno mentre la schiena
di Eden sbatté contro la parete fredda della doccia. Continuava a baciarla
mentre la camicia fradicia gli si appicicava addosso, le sua mani dappertutto
fintanto che Eden continuava a cercar respiro. I suoi gemiti soffocati dal
rumore dell'acqua addosso.
Davis era una furia senza controllo, in preda al solo
desiderio di riprendersi ogni centimetro di quel corpo... Voleva cancellare
dalla mente di Eden e dalla sua pelle ogni ricordo di quell'altro... Voleva che
l'acqua lo portasse via, come se non fosse mai successo...
Eden era sua.
Di nuovo la sbatté contro il muro spingendo il viso
nell'incavo del suo collo.
"Tu sei mia."
Specificò mentre sbottonava i pantaloni.
"Tu sei mia."
Ribadì sollevandola con una presa alla vita.
Eden si appoggiò alle sue spalle annaspando in quella
breve attesa.
"Prendimi Davis."
Riuscì a dire guardandolo negli occhi. Era il
desiderio più onesto che avesse.
Lui non attese un secondo di più prima di farla sua,
spingendo e stringendo con tutta la rabbia che aveva dentro. Voleva sentirla
urlare, sicuro che nessuno conoscesse meglio di lui come farla godere.
Voleva che si dimenticasse per sempre di Dair.
La sentì soffocare i gemiti mentre gli affondava le
unghie nella pelle e non ne fu soddisfatto. Non era ancora abbastanza.
Stavolta la afferrò per i capelli, abbastanza deciso
da costringerla ad alzare il viso senza farle male. Ora poteva guardarla dritto
negli occhi mentre si muoveva. Adesso Eden non poteva più fingere... Sulle
guance arrossate e nelle pupille dilatate poteva chiaramente leggere i suoi
pensieri più intimi... Dentro quel corpo non c'era posto per altri se non per
lui.
Spinse più forte e poi si fermò appoggiando la fronte
sulla spalla di Eden.
Le contrazioni del suo corpo scemarono lentamente e
poté finalmente mollare la presa.
Chiuse il rubinetto rimanendo lì a fissare sua moglie,
stremata e bellissima.
Il suo respiro stantava a tornare regolare. Le aveva
dato tutto, sfogando su di lei rabbia, gelosia e dolore. Era davvero esausto.
Eden inspirò a fatica e lo lasciò allontanarsi.
Lo guardò togliersi i vestiti bagnati senza dire una
parola.
Lei raggiunse un nuovo asciugamano, ci si avvolse
dentro e pensò a cosa dire.
"Davis?"
Lui le rivolse immediatamente il viso. Era
stanchissimo, ma visibilmente più rilassato.
Eden rimase con le parole a mezza bocca, non più certa
che ci fosse qualcosa di giusto da dire. Se ci fossero stati solo loro due non
avrebbe avuto dubbi, ma mentre il suo corpo iniziava ad asciugarsi anche la
realtà sembrava tornare nitida un poco alla volta.
Stavolta però fu lui a sorprenderla. Un mezzo sorriso
si aprì sul suo volto, un sorriso che Eden non si aspettava... Un sorriso che
non vedeva più da tantissimo tempo.
Quell'attimo di pace fu presto interrotto dalla
suoneria del telefono di Davis. Il sorriso sparì e lui corse a rispondere.
Dall'altra parte la voce allarmata di André. Troppo allarmata.
"Sono solo."
"Come?"
"Sono solo Davis, solo! Nessun altro sta venendo
qui!"
"Blake non era con te??"
"No. Me ne sono andato da solo."
La sua espressione si pietrificò.
"Dove siete tutti?!"
Davis si leccò il labbro afferrando d'istinto la
pistola. La sua mente aveva già focalizzato la situazione.
"Ci vediamo a New York. Tu sai dove."
Chiuse la comunicazione restando bloccato per una
manciata di secondi. Tremava di nuovo.
Eden alzò il sopracciglio. Il terrore per la sorte di
sua figlia tornò a farsi sentire come un pugno nello stomaco.
"Che succede?"
Davis si voltò lentamente verso di lei.
Il sorriso di poco prima dimenticato per sempre.
--------------------
NEW YORK - Dipartimento generale della Federal Bureau
of Investigation.
"Andiamo! E' davvero necessario??"
Tyler stringeva tra le mani il cartellino mentre
l'agente dietro la fotocamera lo guardava con sufficienza. Le manette non gli permettavano di muovere le
mani più di quei venti centimetri e la sua apparente calma iniziava a dare
segni di cedimento.
Un flash improvviso gli ferì gli occhi. Ruotò il viso
d'istinto notando che poco più là un altro agente stava strattonando Payne.
"Hey! Toglile le mani di dosso!"
Quello gli rivolse un sorriso compiaciuto
"Muoviti col servizio fotografico, vi aspettano
in cella!"
Rispose spingendo Payne verso una grossa porta
d'acciaio a chiusura elettronica.
Lei guardò Tyler scuotendo la testa. Sperava solo che
non li separassero.
-------------
Nella stanza accanto il vice-comandante McPhee
spingeva un piatto di pasticcini alle mandorle accanto ad una tazza di caffé
fumante. Poco più là un pacchetto di Marlboro.
"Serviti pure tesoro. Sarà una chiacchierata
lunga."
"Va' al diavolo."
McPhee sorrise maligno ed aggiustò il collo della
giacca blu lavata di fresco.
"Andiamo... Ho deciso di usare le buone maniere
con te..."
Gli scivolò dietro sfiorandola appena
"...Non vorrai farmi cambiare idea."
Blake trattenne l'istinto di vomitare. Quell'uomo non
le faceva paura, ma ribrezzo. Nel modo in cui la guardava c'era qualcosa di
così perverso che metteva in soggezione perfino lei.
McPhee accarezzò i suoi lunghi capelli scuri.
"Dimmi dov'è tuo fratello. Adesso."
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Capitolo 24 *** "Io ti amo... E io ti prego" ***
capitolo23
CAPITOLO 23
“IO TI AMO… E IO TI PREGO”
In quella
stanza c’era uno strano odore, come se la cera fosse stata passata di fresco
sul pavimento. Improbabile. Le luci artificiali rendevano lo spazio più stretto
ed Eden dovette sforzarsi di non guardare quelle solide pareti prive di
finestre o avrebbe avuto timore di soffocare.
Incredibile
che qualche metro sopra di loro la vita della grande mela continuasse a
scorrere come nulla fosse… Chissà se un giorno avrebbe potuto godersela di
nuovo..
André
sembrava senza dubbio quello più agitato, le sue dita battevano sulla tastiera
così veloce che quasi non si riusciva a seguirle… I suoi occhi ormai arrossati
riflettevano la continua alternanza di pagine sullo schermo.
Davis era
attaccato al telefono, uno strano grosso telefono in grado di mantenere il segnale
anche sotto terra.
Eden
continuava a pensare alla sua bambina.
Ovviamente era preoccupata anche per gli altri, ma l’unico pensiero era
Sophia, Sophia e la sua angoscia per essere stata di nuovo abbandonata dalla
mamma.. Lei che le aveva promesso di riportarla a casa…
Decise di
raggiungere Davis ed aspettò che la sua conversazione fosse finita
“Posso
usarlo?”
A lui non
servivano dettagli
“Vuoi
chiamare il poliziotto vero?”
“Voglio
sapere come sta Sophia.”
Davis
arricciò le labbra guardando quel telefono che gli ciondolava tra le dita. Non
era una buona idea, sicuramente Dair stava collaborando con la polizia.
D’altra parte
era forse l’unico modo per avere notizie della sua bambina. Aveva già provato a
rintracciarla in altri modi, ma nessuno dei suoi appoggi aveva voluto rischiare
di dare troppo nell’occhio.
E nessun
dubbio che Dair fosse con sua figlia. O che almeno l’avesse riportata al sicuro
prima di affrontare le sue colpe.
Allungò la
mano
“Trenta
secondi. E se non risponde lascia stare.”
Eden annuì e
compose il numero a memoria mentre lui la fissava.
Un insolito
stridio precedette il primo squillo.
Ed il
secondo.
Eden strinse
il labbro tra i denti.
Ti prego rispondi.
Il cuore in
gola con le pulsazioni a mille.
“Si?”
Era lui,
senza dubbio, per fortuna, per grazia divina, era lui.
“Sophia sta
bene?”
“Eden?”
“Sophia sta
bene?”
Anche Davis
accanto a lei si irrigidì.
“Sta bene??”
Una piccola
interferenza e poi finalmente Dair rispose
“Sì. E’ a
casa.”
I polmoni di
Eden sembrarono liquefarsi e finalmente riuscì a riempirli fino in fondo.
“E tu?”
Aggiunse, ma
Davis le fu improvvisamente addosso sfilando l’apparecchio dalla sua mano.
Spinse il grosso bottone rosso.
“Troppo
rischioso.”
Eden trattenne
l’istinto di ribellarsi. Era davvero troppo rischioso o semplicemente Davis
aveva voluto interrompere la sua conversazione? Era un nuovo modo per tenerla
lontana da Dair?
Abbassò lo
sguardo. Non era il momento per frivoli pensieri e vanità.
-------
“E tu?”
Dair si
guardò intorno leccandosi le labbra. Aveva la gola secca, ma era sollevato di
sentirla.
Mentre
prendeva fiato la specie di fischio che faceva da sottofondo alla loro
conversazione si interruppe, sostituito da un bip ed un lungo silenzio.
Sospirò
mentre poggiava il cellulare sulla scrivania.
La confusione
intorno a lui tornò attiva.
“Dove sono?”
Il sostituto
capo dell’FBI si rivolse in tutta fretta agli esperti di fronte ai pc. Una
serie di bande verdi si muoveva sullo sfondo nero degli schermi. Uno di loro si
voltò sollevando le spalle
“Niente
signore. Non abbiamo rintracciato nessun segnale.”
“Maledizione!”
Dair si sentì
sollevato. Era stanco di quella situazione, odiava Davis Miller più di quanto
non avesse mai fatto prima, ma non voleva comunque essere l’autore della
disfatta di Eden. Non dopo quello che era successo tra loro.
Davis l’aveva
trascinata via di peso, non erano fuggiti mano nella mano.. Questo gli bastava
per credere che Eden non se ne sarebbe andata, non di sua spontanea volontà… Se
solo quello stronzo bastardo avesse avuto il fegato e la dignità di lasciarla
libera..
No.
Il maledetto codardo l’ha
portata con sé, rendendola una fuggitiva.
Dair si schiarì la voce
“E’ stato lui, ha interrotto la conversazione.”
L’altro agente lo guardò con sufficienza
“Credi ancora
che la trattenga contro la sua volontà?”
“Ne sono
sicuro.”
In realtà non
lo era, non lo era affatto.
Anzi, lo
stomaco bruciava al pensiero che Eden stesse più che bene con lui.
Forse l’unica
cosa che ancora la teneva legata alla realtà era Sophia.
Forse, se
avessero portato con loro anche la bambina, sarebbe già tutto finito.
Scosse la
testa litigando con i propri pensieri.
Si schiarì la
gola
“Ero lì. L’ha
portata via con la forza.”
“Questo non
cambia le cose…”
Grant, il
sostituto capo, sorseggiò del caffè nero senza zucchero
“…La donna
non ha rispettato le regole. E’ colpa sua se non abbiamo ancora arrestato
Miller…”
Un altro
sorso
“…E’ colpa
sua se hai perso il posto...”
Dair sospirò.
Se non altro non era in arresto.
“…Ed anche tu
hai fatto i tuoi errori agente.”
Riprese
l’altro… Dair non poté che annuire.
“Credevo di
riuscire a sistemare la faccenda.”
Rispose
E la sistemerò.
“Fossi in te
inizierei davvero a pregare che la faccenda si sistemi.”
Stavolta Dair
non rispose, in attesa che Grant concludesse l’ipotesi
“Altrimenti
dovrai cercarti un nuovo lavoro… E noi dovremo cercare una nuova famiglia per
quella bambina… Di certo migliore della prima.”
Dair serrò i
pugni.
Non sarebbe
successo. Eden non avrebbe mai abbandonato sua figlia per stare con quel vile.
“Non
succederà. Troveremo Miller.”
“Bene. Allora
spera che quella donna ti richiami presto e stavolta vedi di tenerla al
telefono abbastanza.”
Dair tentò di
tenere a bada le contrazioni dello stomaco.
“Posso andare
adesso?”
“Vai
all’appartamento?”
“Si signore.”
Grant si
sistemò il nodo alla cravatta
“Bene. Facci
parlare la bambina, sarà un buon modo per tenerla in linea.”
Che cosa
spregevole.
-----
Eden entrò
nell’altra camera visibilmente provata, un po’ per la stanchezza, un po’ per la
crescente preoccupazione. Anche da lì riusciva a sentire Davis e André che
macchinavano cercando di costruire il miglior piano di fuga possibile.
Il programma
prevedeva di recuperare Blake, Payne e Tyler prima di sparire. Stavolta per
sempre.
Ciò che non
era ancora chiaro era il suo ruolo in tutto questo. Davis non le aveva ancora
parlato.
L’avrebbe
trascinata con loro anche stavolta? Così come l’aveva portata via dalla
polizia?
E Sophia?
Avrebbe preso
anche lei?
Decise di accendere
il condizionatore per recuperare un po’ di ossigeno. Starsene chiusi in un
sotterraneo non era certo piacevole, ma era sicuro.
I vestiti le
stavano appiccicati addosso, la tensione stava facendo evaporare tutti i
liquidi del suo corpo.
La sua mente
pensava senza sosta.
Ovviamente
voleva anche lei liberare i suoi amici, ma non era tanto certa di volerli
seguire.
Quel pensiero
in qualche modo la faceva sentire in colpa, come se alla fine di tutto quanto
seguirli potesse essere un dovere.
Scansò l’imbarazzo
di un’ulteriore consapevolezza e si costrinse ad ammettere che non era affatto
sicura di voler seguire Davis.
Lo amava
ancora, forse troppo… Se avesse lasciato fare a lui di certo non avrebbe avuto
la forza di fermarsi a pensare come doveva, come una donna matura e soprattutto
come una madre.
Dopo il coma,
dopo gli sforzi fatti per riprendersi, dopo il miracolo di aver avuto Sophia…
Dopo tutto questo era suo preciso dovere pensare al modo più tranquillo ed
onesto di vivere.
Era questo
che doveva fare, non fantasticare sulla
famiglia e la vita che non avrebbe mai avuto… Non come una fuggitiva…
Respirò
l’aria fredda che le soffiava in viso.
Respirò tanto
forte da non sentire la porta che si apriva.
“Stai bene?”
La voce di
Davis suonava dolce, come non la sentiva da parecchio.
Si voltò
tenendo il viso basso.
“Sì.”
Lui si
avvicinò
“Sicura?”
Stavolta Eden
alzò gli occhi cercando i suoi e si strinse nelle braccia
“Dovresti
lasciarmi andare. Le cose sarebbero più semplici per voi.”
Lui aggrottò
le sopracciglia per un istante poi riprese un’espressione impassibile.
Non era la
prima volta che glielo sentiva dire
“Tu vorresti
andare?”
Eden strinse
i denti. Perché stava rispondendo con una domanda? Non era il momento di
aggiungere nuovi interrogativi.
“Non rispondermi
con un’altra domanda Davis.”
Lui inspirò
avvicinandosi ancora
“Ho bisogno
di sapere se vuoi andare o restare.”
Eden di nuovo
abbassò il volto
“In realtà vorrei
solo dormire.”
Davis allungò
la mano toccandola con dolcezza, spostandole una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
Si prese una
pausa passando quel boccolo color caramello lentamente tra le dita.
“Non ci
riesco...”
Mormorò.
“…Non riesco
a lasciarti andare.”
Eden prese
una grossa boccata d’aria mentre un fuoco le si accendeva dentro. Poggiò la
mano su quella di Davis, immobile accanto al suo zigomo.
Mosse appena
i polpastrelli contro quella pelle ruvida senza dire nulla, ad occhi chiusi.
Lui affondò
la mano tra i suoi capelli.
“Se solo
potessi tornare indietro…”
Le accarezzò
la nuca
“…Non ti
chiederei più quella sigaretta…”
L’accenno di
un sorriso comparve sul viso di Eden mentre riviveva il loro primo momento.
“…Dal momento
in cui ti sei voltata sono perso.”
Eden sollevò
le palpebre incrociando i suoi occhi scuri, senza voler dire ancora nulla.
Lasciò
scorrere la punta delle dita sul suo avambraccio.
Lo sentì
fremere per un secondo.
“Non riuscirò
mai a lasciarti andare.”
Ma dovrai farlo comunque.
La vocina
nella testa di Eden rispose senza essere interpellata, come se la sua psiche
avesse già deciso e fosse fermamente convinta di cosa fare.
Eden se ne
sorprese, cercando di scacciarla via per godersi quel piccolo momento di
intimità.
Strinse la
presa intorno al braccio di Davis
“Mi
dispiace.”
Lui scosse la
testa
“Ne usciremo…
Anche stavolta.”
Da quanto
tempo Davis non era così dolce ed amorevole con lei? Tanto. Troppo. Come se in
cuor suo sapesse che erano vicini alla fine di quell’avventura e avesse deciso
di mettere da parte orgoglio e rancore.
Ma stava
davvero tutto per finire?
“Faremo
uscire gli altri, prenderemo Sophia e ce ne andremo per sempre.”
Quell’immagine
la costrinse a sussultare.
Dolce e amara
allo stesso tempo.
Cercò gli
occhi di Davis per guardare quanto fossero sicuri.
Le sue
pupille vibravano impercettibilmente, era spaventato da quell’idea quasi quanto
lei.
Lui
terrorizzato dall’eventualità di non riuscire a scappare, lei paralizzata dal
sospetto che non fosse la cosa giusta da fare..
Prese a fare
calcoli assurdi a mente. Quanti anni gli avrebbero dato se si fosse costituito?
Avrebbe potuto chiedere qualche sconto della pena? E la condizionale?
Erano
pensieri inutili.
Davis aveva
ucciso delle persone.
Eden si
strinse nelle braccia, consapevole ed amareggiata.
A meno che
non avesse voluto far visita a suo marito una volta a settimana per tutta la
vita, consumando un veloce diritto coniugale nelle stanze gelide della galera,
mandando foto di tutti gli eventi a cui lui non avrebbe partecipato, la fuga
era l’unica soluzione.
La sua
almeno.
Davis la
sentì farsi gelida e si tirò indietro
“Non è quello
che vuoi?”
Nervosismo e
diffidenza riapparvero tra le note della sua voce.
Eden scosse
la testa
“Vorrei che
ci fosse un altro modo.”
“Non c’è.”
Rispose
netto.
“Ma vorrei
che ci fosse.”
“Ma non c’è.”
La fermezza
del suo tono la spaventò per un istante.
Sta forse dicendo che non ho altra scelta?
Che non mi lascerebbe andare?
Che non lascerebbe Sophia?
Davis le
tornò vicino con due passi, prendendole il viso tra i palmi
“Io ti amo.”
Era agitato
di colpo.
Eden inspirò
“Anch’io ti
amo…”
E caricò il
colpo
“…ma non so
se possiamo farlo.”
Lui si bagnò
le labbra nervosamente, la guardò dritta avvicinando la fronte alla sua
“Io ti amo.”
Ribadì
“Io. Ti.
Amo.”
Scandì ogni
parola senza mollare minimamente la presa
“Ti amo.”
Farfugliò
ancora una volta mentre poggiava le labbra su quelle di lei, con decisione. Non
approfondì il bacio, ma spinse contro la sua bocca cercando quasi di lasciarci
un’impronta.
Eden barcollò
per un attimo poi chiuse gli occhi.
Che strano,
incomprensibile, dolce momento.
La morsa di
Davis si ammorbidì ed Eden mosse le labbra ridando forma a quel bacio. Gli
accarezzò piano il viso
“Lo so.”
Concluse,
senza davvero aver restituito un filo logico a quella conversazione.
Poco male,
non era pronta per decidere.
Si schiarì la
voce tentando di interrompere l’atmosfera
“Avete deciso
cosa fare?”
Lui sembrò
ferito per un attimo, colpito dal repentino cambio di tono di Eden.
“Quasi… Il
trasferimento degli altri è previsto per domani sera, dovremo agire lungo il
tragitto.”
Eden annuì.
“Abbiamo gli
appoggi necessari?”
“Sì… Ma
avremo bisogno anche del tuo.”
Eden sollevò
le sopracciglia sentendo un brivido improvviso
“Che dovrei
fare?”
Lui inspirò
profondamente
“Ancora non
lo so.”
Eden si morse
il labbro.
Qualsiasi
cosa le avesse chiesto lei l’avrebbe fatta.
Avrebbe fatto
tutto il possibile per tirarlo fuori da quel casino… Da quel turbinio di fughe,
rischi e ripensamenti in cui proprio lei l’aveva trascinato… Troppo debole per
prendere una decisione…
Come in
quello stesso momento…
Avrebbe fatto
qualsiasi cosa per lui, per la sua sicurezza e per la libertà degli altri.
Si sarebbe
esposta un’ultima volta senza preoccuparsi delle conseguenze e poi..
E poi..
Non sapeva
cosa avrebbe fatto poi.
“Ok.”
Rispose
semplicemente, scivolando di nuovo in una morbida atmosfera. Le braccia
lasciate cadere lungo il corpo e le palpebre pesanti.
Davis inspirò
profondamente tornando a toccarla, passando piano i pollici sui suoi zigomi,
fino a toccare l’alone scuro che le circondava gli occhi.
“Dovresti
dormire un po’.”
Eden annuì
“Sono così
stanca.”
Confessò
“Anch’io.”
Davis aveva
qualcosa di diverso e solo in quel momento Eden riuscì a notarlo sul serio. Una
luce insolita illuminava le sue iridi scure e sembrava avesse lasciato cadere
l’armatura, le spalle più rilassate ed il respiro regolare sotto la maglietta.
Lei gli
poggiò i palmi contro il petto, avvertendo i battiti del suo cuore sulla pelle.
Per la prima
volta sembravano comportarsi come marito e moglie. Senza alcun ombra di
sospetto o di sfiducia.
Davis sorrise
appena passando le dita tra i suoi capelli.
Si stava
fidando di lei.
Possibile?
Lasciò
correre la mano lungo la curva del collo, sulla spalla e giù, fino ad
intrecciare le dita con quelle di Eden.
“Vieni.”
Sussurrò
spingendola verso il divano di pelle nera.
Il tessuto
gelido fu di immediato sollievo non appena vi poggiò la schiena. Le sue gambe
si allungarono lasciando che ogni fibra dei muscoli si rilassasse ed il calore
di Davis sopraggiunse prendendo il posto del freddo.
Sentire il
suo corpo che le prendeva posto accanto, plasmandosi perfettamente contro il
suo, la costrinse a tornare indietro nel tempo ancora una volta.
“E’ stata una lunga, lunga giornata…
E’ andato tutto bene con la consegna?
Fortunatamente sì.
…
Vuoi un caffè?
Voglio solo che tu venga qui vicino a me.”
Eden affondò
la testa nell’incavo del collo di Davis e provò a chiudere gli occhi. Il suo
profumo le accarezzava le narici mentre lui le teneva un braccio stretto
intorno alle spalle, quasi avesse paura che fuggisse.
Davis la
conosceva meglio di chiunque altro ed ogni singolo movimento ne era la
conferma.
Quel braccio
ancora teso che la cingeva con la più decisa delicatezza non era un caso…
Mentre le loro teste se ne stavano vicine, finalmente a riposo su qualcosa di
morbido, Davis scavava i suoi pensieri… contava le vibrazioni del suo corpo…
cercava conferme nei suoi sospiri.
Davis sapeva
fin troppo bene che sua moglie non era davvero lì con lui, non del tutto
almeno…
“Non ti avrei
mai lasciata morire…”
Esordì con la
voce bassa, accarezzandole l’orecchio col respiro.
“…Avrei tanto
voluto essere morto al posto tuo… O con te… Non sai quante volte ho desiderato
che qualcuno mi uccidesse…”
Eden si tirò
su appena un po’ cercando un contatto visivo, inspirò profondamente
“Avrei dovuto
dirti che aspettavo un bambino.”
I loro occhi
si incrociarono più intensamente per una manciata di secondi
“Sarei stato
l’uomo più felice del mondo.”
Eden distolse
lo sguardo per prima, tornando a poggiare il viso sulla spalla di lui. Chiuse
gli occhi lasciando la stanchezza prendere il sopravvento.
Davis rimase
sveglio a fissarla, scacciando a pugni il sonno ancora per un po’.
Era così
vicino alla sua meta… A pochi passi dal suo desiderio… Ad un’ultima missione
dalla pagina che avrebbe concluso quel capitolo della sua vita…
Stringeva tra
le braccia sua moglie. L’unica donna che avesse mai amato sul serio e che
credeva di aver perso. Stretta a lui perché non si smarrisse di nuovo. Così
vicina eppure così tremendamente lontana…
Davis Miller
è un ladro, un delinquente, un assassino.
Davis Miller
è uno che non ha paura di niente.
Un uomo forte
e deciso, senza compromessi.
Mentre
guardava gli occhi chiusi di Eden e stringeva il suo braccio inerme tra le
dita, una lunga immagine iniziò a farsi nitida, scorrendogli davanti quasi
fosse un film…
Davis Miller
è un idiota innamorato.
-----
Quella sera si sentiva nervoso, come se non sapesse
più come muovere le mani… Come se gli tremassero ancora dopo averle usate per
svuotare la cassa di quella stazione di servizio… Se ne stava sdraiato sul
letto con l’ennesima sigaretta in bocca senza che la nicotina riuscisse a
fermare il suo batticuore.
Eden comparve dal nulla alla sua finestra, come in
una specie di allucinazione. Aggrottò le sopracciglia e strabuzzò gli occhi
cercando di capire se fosse reale.
Lei scavalcò il davanzale attraverso il vetro
aperto, il suo vestito si tirò su lasciandogli intravedere il rosa della biancheria.
Dopo il loro litigio non pensava certo di vederla,
sicuramente non in quel modo, nella sua stanza ed in piena notte. Tuttavia
quell’immagine aveva portato la sua tachicardia ad un livello ancora maggiore,
svegliando i pensieri corporali che cercava di frenare da settimane.
“Che ci fai qui?”
Le aveva chiesto, sinceramente sorpreso.
Lei era arrossita di colpo
“Mi dispiace per prima.”
Nulla di nuovo. Ogni rapina equivaleva ad una
litigata ed ormai lui si era abituato… Due giorni o tre di silenzio e poi le
avrebbe fatto cambiare idea… Come al solito…
Strano invece che stavolta fosse stata lei a venire
per prima… Nella sua stanza oltretutto.
“Sono un’idiota, lo so.”
Lui sorrise rilassandosi un po’
“No che non lo sei.”
Eden si era stretta nelle braccia ed in quel
momento Davis aveva capito perché fosse lì. Forse prima ancora che lo avesse
capito lei.
“Mi ci dovrò abituare ad un certo punto, giusto?”
Lui aveva già smesso di ascoltarla, le sue mani
fremevano di nuovo e d’improvviso il silenzio della sua casa sembrava il
sottofondo più invitante.
“Dovrò abituarmi se voglio stare con te…”
Le sue guance si erano infiammate
“…Perché io… Io… voglio stare con te.”
Lui aveva sorriso a metà, coprendo la breve
distanza tra loro per poterla baciare. Finalmente le sue mani avevano trovato
qualcosa da toccare… I suoi capelli che profumavano di pesca e mimosa… La pelle
liscia inumidita dal caldo… Le sue forme, ancora nascoste dal tessuto leggero
dell’abito a fiori.
Dopo poche settimane dal loro primo bacio quel
corpo era una novità, pieno di confini che non aveva ancora varcato.
Eden rispondeva ai suoi baci tenendo i muscoli
tesi. Le gambe le tremavano appena, ma non si fermarono mai lungo il percorso
tra finestra e letto.
Vederla distesa sulle sue lenzuola, con i capelli
sparsi sul cuscino e quel velo d’imbarazzo sulle guance, gli tolse il fiato…
Non era certo la prima ragazza che portava a casa, e nemmeno la prima vergine
che si fidava di lui, ma stavolta tutto sembrava diverso… Qualcosa in lui si
stava muovendo e non solo nei jeans… Il cuore continuava a battergli forte e
nel suo stomaco sembrava ci fosse una tempesta.
Tirando su il vestito le aveva sfilato le mutandine
rosa, senza dire una parola, per poi togliersi i pantaloni... Si era sdraiato
su di lei con dolcezza, restando a guardarla ancora per un po’.
Avrebbe dovuto chiederle se era sicura, ma sapeva
che non ce n’era bisogno… Il suo corpo era pronto per lui, completamente
abbandonato ai suoi movimenti.
Aveva iniziato a spingere piano, senza distogliere
lo sguardo… Eden si era morsa il labbro tenendo gli occhi chiusi, le sue mani
si erano mosse piano cercando appiglio sulla sua schiena… E lui aveva sentito
il bisogno di fermarsi un secondo, consapevole di quel che stava succedendo…
Adesso sarebbe stata sua,
d’ora in poi sarebbe stata solo sua..
E anche se un giorno avesse deciso di fuggire da
lui, comunque non avrebbe mai più potuto dimenticarlo.
Un misto di orgoglio ed eccitazione lo aveva
riempito e con una spinta decisa fu dentro di lei, pronto a coprirle la bocca
con un bacio perché nessuno sentisse il suo lamento. Il dolore acuto e pungente
di un secondo e poi si era fermato di nuovo, aspettando che il corpo di lei si
adattasse alla sua nuova presenza.
Un bacio ancora mentre notava come il suo viso
fosse mutato in un solo attimo, senza timori o ombre di pentimento, solo uno
sguardo intenso che lo pregava di non abbandonarla proprio adesso… E lui non
l’avrebbe fatto…
Muovendosi piano aveva fatto l’amore con lei,
prendendo possesso di ogni centimetro della sua pelle…
Adesso era solo sua…
-----
Quando Eden
riaprì gli occhi aveva la gola secca, Davis si era addormentato dopo di lei ed
il suo corpo le era scivolato addosso. Era piacevole, ma iniziava a toglierle
il respiro. Si mosse il più lentamente possibile cercando di non svegliarlo,
non aveva idea di che ora fosse, ma era chiaro che il suo organismo aveva
bisogno d’acqua.
Lasciò Davis
spalmato sul divano e girò pianissimo la maniglia, era abbastanza abile in
quelle manovre da riuscire a farlo senza il minimo rumore.
L’assenza di
André nell’altra stanza rese chiaro che doveva essere notte fonda. Eden
raggiunse il frigo e ne tirò fuori una bottiglietta d’acqua fresca. Il primo
sorso le ferì i denti, il secondo lo trattenne in bocca abbastanza a lungo da
portarlo ad una temperatura accettabile.
Mentre si
passava la bottiglietta sulla fronte, cercando sollievo anche per la sua
leggera emicrania, i suoi occhi notarono l’apparecchio poggiato sul tavolo di
legno. Una lucina verde intermittente colpì la sua attenzione.. Era il
telefono, quel grosso telefono che Davis aveva sfilato dalle sue mani poco
prima che riuscisse a parlare con Dair…
Dair…
Sophia…
Le fu
impossibile resistere. Corse fino al tavolo e lo prese tra le mani sperando che
non avrebbe emesso qualche sorta di fischio o suono stridente. Provò a premere
piano un tasto per esserne sicura… Nessun rumore tranne il “cric” minimale
della plastica sotto il peso del suo polpastrello.
Compose il
numero alla velocità della luce e rimase in allerta sperando che Davis non si
svegliasse. Non avrebbe capito.
-----
La suoneria
del cellulare fece sobbalzare Dair, lasciandolo completamente spiazzato per un
paio di secondi. Anche quella sera aveva finito per addormentarsi con la testa
sul tavolo.
Si passò la
mano sugli occhi e sul mento mentre il volume degli squilli aumentava
lentamente. Afferrò il telefono premendo velocemente il tasto “mute” poi
strinse le palpebre per mettere a fuoco la scritta sullo schermo. Sconosciuto.
Guardando
l’orologio si rese conto che era tardissimo ed il suo pensiero arrivò subito ad
Eden. A lei e al computer acceso sulla scrivania. Secondo patti avrebbe dovuto
immediatamente collegare il cellulare all’apparecchio così che potesse
registrare la conversazione ed eventualmente individuare la fonte della
chiamata.
Si avvicinò a
passi veloci pronto ad infilare il jack nell’apposita fessura, la scritta sullo
schermo continuava a lampeggiare insistente.. Doveva essere lei..
Imprecando
tra i denti gettò via il filo e spinse il tasto verde.
“Eden?”
Era sicuro
che fosse lei.
“Sì, sono
io.”
Rispose lei a
voce bassa.
“Stai bene?”
Dall’altra
parte lei indugiò per un paio di secondi
“Il tuo
telefono è sotto controllo?”
“No. Non
preoccuparti, sto infrangendo l’ennesima regola.”
Eden si sentì
sollevata e “coccolata” da quel tono quasi ironico. Era meraviglioso scoprire
ancora una volta che non ce l’aveva con lei.
“Tu come
stai? Che ti hanno fatto?”
“Sto bene. E
tu?”
“Anch’io ma…
Come sta Sophia?”
“Bene.. E’ di
là che dorme.”
“Sei con
lei?”
“Certo.”
Eden rimase a
corto di parole per un po’… La naturalezza della sua risposta le aveva acceso
un sorriso involontario in viso. Se Dair era con sua figlia non doveva temere
nulla.. Lui amava davvero quella bambina e Sophia ricambiava quell’amore
incondizionato.
Nella sua
testolina Dair era il fidanzato della mamma, senza nemmeno sapere cosa volesse
dire davvero… Come nelle sue favole preferite dove tutto è facile e spontaneo,
cavaliere e principessa avrebbero finito per sposarsi e vivere per sempre
felici e contenti…
“Dove siete?”
“A New York.”
“New York?! Ma
che volete fare?”
Eden inspirò
incerta sulla risposta, tamburellò nervosamente con l’indice sul tavolo
“Davis vuole
tirare fuori gli altri.”
Rispose infine
mordendosi il labbro. Non era un vero tradimento, Dair non sarebbe corso dal
suo capo per farli arrestare… O almeno è quello che doveva sperare… Che lui non
fosse troppo esasperato.
“Lo sapevo.”
Dair parlò a
denti stretti, quasi si stesse rivolgendo esclusivamente a sé stesso. Ne seguì
un lungo silenzio durante il quale Eden iniziò a fremere… Forse era davvero
troppo stanco di tutta quella storia..
Altri trenta
secondi almeno e finalmente lui parlò di nuovo
“Lo aiuterò.”
Eden scosse
la testa credendo di non aver capito
“Come?”
“Lo aiuterò.”
Ribadì
deciso.
“Dici
davvero?”
Stavolta Dair
non le rispose, rimase ad ascoltarlo mentre respirava a fondo
“Ascoltami
bene adesso Eden…”
Iniziò
solenne. Il tono da conversazione di cortesia del tutto sparito. Lei non osò
nemmeno fiatare.
“…La
situazione è davvero arrivata al limite qui… Ancora uno sgarro e non riuscirò
più a salvarti.”
“Che vuoi
dire?”
La voce
tremante e tutte e due le mani strette al telefono
“Voglio dire
che ti arresteranno… E ti toglieranno Sophia.”
Il cuore di
Eden le balzò dritto in gola
“No.”
“Lo faranno…
Lo faranno se questa faccenda non si conclude il più presto possibile.”
Eden iniziò a
tremare d’ansia e paura
“Che dovrei
fare? Devo dirti dove siamo e farvi prendere anche Davis e André?”
Dair strinse
forte i denti e strizzò gli occhi, profondamente colpito da ciò che stava per
dire
“No Eden… So
che non lo faresti mai e devo smettere di chiederti di farlo…”
Un profondo
respiro
“…Li aiuterò
a far uscire gli altri e farò in modo che possano sparire senza essere fermati
dalla polizia.”
Eden aggrottò
le sopracciglia
“Perché?”
“Perché so
che non avresti pace senza sapere che Davis è al sicuro.”
Lei schiuse
le labbra, a metà tra lo stupore e l’ammirazione per quell’uomo pronto a tutto
“E… E io?”
“Dovrai
lasciarlo andare… Se vuoi restare con tua figlia dovrai lasciarlo andare… Per
sempre Eden.”
Quelle ultime
parole le attraversarono il petto come una coltellata
“Non seguirlo…”
Riprese lui
“…Ti prego
non andare con lui. Non gettare tutto quello che hai costruito per quell’uomo…
Ti prego ascoltami Eden… Farò in modo che se ne vada il più lontano possibile,
ma tu… Tu devi promettermi che non lo seguirai… Devi giurarmi che stavolta lo
lascerai andare.”
Eden tentò di
elaborare tutti quei pensieri in pochi secondi… Quante volte aveva già provato
a rinunciare a Davis? Non c’era mai riuscita… Nemmeno dopo averlo incolpato
della sua morte… Nemmeno dopo averlo saputo un assassino…
Stavolta però
era in ballo sua figlia… Sophia e tutto il suo futuro.
“Eden ti
prego… Ti prego. Devi promettermelo adesso, prima che sia troppo tardi.”
“Troppo
tardi?”
“Manderanno
via Sophia. La affideranno ad un’altra famiglia.”
I suoi occhi
si spalancarono mentre ogni cellula del suo corpo urlava “NO! NO! NO!”.. Non
sarebbe mai successo.
“Eden ti
prego!”
Alla fine il
suo cuore si arrese… Se doveva davvero scegliere tra le due persone che più
amava al mondo, non poteva che sacrificarsi e rinunciare a suo marito… Davis
sarebbe riuscito a sopravvivere anche senza di lei… E lei avrebbe fatto l’abitudine
al vuoto che avrebbe lasciato…
“Va bene!”
Dovette
riprendere fiato per non crollare
“Va bene. Lo
lascerò andare. Stavolta per sempre.”
Dair emise un
lungo sospiro
“Mi dispiace.
Davvero.”
Eden sentì la
prima lacrima rigarle lo zigomo
“Lo so.”
Ne seguì un
altro lungo silenzio. Dair sapeva che stava piangendo… Avrebbe voluto essere lì
con lei, ma il pensiero che stesse piangendo per un altro lo rendeva felice di
essere a chilometri di distanza e non doverla guardare.
Sospirò un’ultima
volta
“Adesso dimmi
esattamente dove siete e cosa pensate di fare. Al resto provvederò io.”
././././.
Ciao!! Scusate per la pausa estiva.. Impegni vari ed un po' di sano relax...
Avvicinandomi
alla fine della storia ho deciso di concentrarmi ancora una volta su
Eden e Davis... Un po' di sano fluff prima della conclusione...
Vi ringrazio infinitamente per le letture, le recensioni e soprattutto la pazienza!!
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Capitolo 25 *** I Dare You... ***
capitolo244
CAPITOLO
24
I DARE YOU…
TO LET ME BE YOUR ONE AND ONLY
“Fammi vedere.”
Payne si avvicinò
lentamente, Blake se ne stava a faccia bassa, seduta e silenziosa come al
solito.
“Non preoccuparti.” Rispose
cercando di evitare le mani dell’altra ragazza, ma Payne le sollevò il viso
comunque, dando una nuova occhiata a quel labbro gonfio.
“Almeno la ferita non
sanguina più.”
Sospirò sfiorando appena il
taglio per non farle male. Blake sollevò le spalle
“Sparirà tra un paio di
giorni.”
Non dava segni di cedimento,
ma le mani le tremavano ancora. Non riusciva a sopportare di non aver potuto
difendersi. Se gli agenti fossero stati solamente due li avrebbe fatti
pentire.. Se solo McPhee fosse stato da solo.. Lo avrebbe fatto a pezzi.
-----
“Dimmi
dov’è. Adesso.”
Blake
non lo guardò nemmeno. Aveva fatto il naso all’odore stucchevole dei sigari e
quasi riusciva ad ignorare il rumore cadenzato dei passi di McPhee intorno a
lei.
Non
si era ancora stufato di farle la stessa richiesta?
Non
gli avrebbe risposto. Mai. Nemmeno per dirgli che non ne aveva idea.
Lui
sospirò schiarendosi la voce. Passò i palmi sulla giacca, all’altezza del
petto, poi rivolse un cenno al secondino sulla porta. Nemmeno trenta secondi e
altri due agenti si unirono alla compagnia.
“Allora
Signorina Miller…”
Una
lunga pausa per pregustare la vittoria
“…Visto
che con lei le buone maniere non funzionano, faremo a modo suo.”
Un
solo passo per immobilizzarle le spalle con una stretta decisa. Di nuovo le sue
mani addosso. Blake deglutì resistendo al primo istinto di mordere con tutte le
forze una di quelle mani.
“Ti
decidi a parlare?”
Le
aveva sussurrato all’orecchio col tono di un amante indesiderato. Lei si era
voltata trovandoselo a pochi centimetri di distanza. Il suo respiro di fumo e
caffè dritto nelle narici. Non riuscì più a contenersi e d’istinto gli sputò
dritto in viso, con tutto lo sdegno di cui era capace.
McPhee
chiuse gli occhi in risposta, stringendo le labbra in una linea sottile mentre
si puliva col dorso della mano. Ciò che avvenne dopo durò un secondo esatto.
Con
le mani che le teneva addosso la spinse forte in avanti, facendole sbattere il
viso con violenza contro il tavolo della sala. Il dolore che la colpì fu
talmente forte che Blake credette in un attimo di aver perso tutti i denti. In
bocca il sapore ferruginoso del sangue e le sue mani che non riuscivano in
alcun modo a coprire tutti i punti che facevano male.
Tentò
di alzarsi per ricambiare, ma gli altri agenti le furono addosso
immediatamente, bloccandole le braccia in una presa sicura. Blake continuò a
scalciare, ma dovette ben presto capire che non ne sarebbe uscita vincitrice.
McPhee
le afferrò il viso dolorante e la costrinse a guardarlo dritto in viso
“Parla
puttana!”
Blake
stette zitta di nuovo, mentre anche la mano del comandante si imbrattava del
suo sangue scuro. Era davvero arrivato al limite. La presa stretta alla
mandibola non si allentò di un millimetro, intanto l’altro braccio si sollevò
pronto a scagliare un colpo deciso su quel che restava del suo zigomo sinistro.
Blake
chiuse gli occhi tendendo tutti i muscoli, ma quel pugno non arrivò.
“Comandante?”
L’agente
in completo blu appena entrato rimase con un piede sulla soglia
“Ma
che diavolo…?”
McPhee
mollò la presa sbuffando come un toro in un’arena. Cercò di riprendere
immediatamente il suo contegno.
“Andate.
Riportatela in cella.”
Ordinò
con sdegno e gli altri due la trascinarono via di peso come fosse un sacco di
biancheria sporca.
-----
“Sei sicura di stare bene?”
“Sì Payne. Sto bene.”
Il tono duro, al limite
dell’infastidito, convinse l’altra a cambiare discorso. Sospirò e si avvicinò
alle sbarre poggiando la fronte sul metallo gelido.
“Chissà dove hanno portato
Tyler.”
Blake sbuffò
“Andiamo Payne, dove vuoi
che sia? Chiuso in una cella, esattamente come noi.”
“E se gli avessero fatto del
male?”
Lei scosse la testa
“Se avesse già parlato di
certo non se la sarebbero presa con me.”
Payne arricciò le labbra
rivolgendo lo sguardo alla compagna di prigione
“Vuoi sapere la verità?
Nemmeno mi importa che l’FBI scopra tutto… Era ora che questa storia finisse.”
“Ma dici sul serio?!”
“Siamo dei criminali Blake.
Questo ci spetta.”
Lei sorrise appena
“Sei un’ingenua Payne… Davis
non ci lascerà mai marcire qui.”
“Cosa pensi che possa fare?”
“Non lo so ancora, ma
conosco mio fratello. Ci tirerà fuori in un modo o nell’altro.”
Payne non rispose, riprese a
guardare tra le sbarre. Non era sicura di quel che sarebbe successo, ma il
pensiero che più le premeva è che forse non avrebbe rivisto Tyler.. Non prima
di una ventina d’anni… E se poi fosse stato troppo tardi per loro?
La sua mente ottimista,
frizzante e squillante anche dentro la galera, non respinse però un pensiero
naif... Una volta uscita avrebbe di certo trovato un regista pronto ad
ingaggiarla per interpretare un film sulla sua vita avventurosa… Anzi, meglio
ancora, vent’anni sarebbero di certo bastati a Tyler per scriverci su un
romanzo e poi da quello avrebbero tratto il copione per il suo film.
Blake la riportò alla realtà
raggiungendola alla grata, guardò con la coda dell’occhio da un lato e
dall’altro
“Davis ci tirerà fuori.”
-----
Sulla branda impolverata
Tyler se ne stava a fissare il soffitto. Aveva sempre creduto che quelli del
Federal Bureau of Investigation fossero raffinati e professionali. Aveva dovuto
ricredersi.
Dopo l’ennesimo inutile
interrogatorio era stato riportato in cella, solo e ricoperto dal silenzio.
Mentre la noia iniziava a
chiudergli le palpebre sentì il fischio pesante della porta automatica e si
tirò su. Un secondino in divisa nera avanzava lento trascinando con sé una
specie di carrello. Quando fu vicino abbastanza riuscì a scorgere una pila di
libri.
Però!
Almeno pensano all’intrattenimento!
Il tizio arrivò da lui con
l’aria scocciata di chi vorrebbe essere da tutt’altra parte.
“Vuoi qualcosa da leggere
amico?”
Amico??
“Ehm…”
Tyler si sporse appena per
intravedere qualche titolo
“…Dammi quello lì. Quello
verde.”
Il secondino corrugò un
sopracciglio
“Dostoevskij? Andiamo amico,
non mi sembra il massimo per passare il tempo qui!”
Tyler lo guardò confuso, ma
non aveva la minima voglia di mettersi a dibattere sulla piacevolezza di
Delitto e Castigo.
“Ok, quello accanto allora.”
“Dan Brown? Non credi che
sia un po’ troppo banale?”
Tyler lo guardò socchiudendo
le palpebre. Avrebbe avuto voglia di rispondere, ma era davvero troppo
sbigottito per farlo. Stava succedendo davvero? Consigli letterari da una
guardia troppo socievole e con la divisa scolorita?
Lo sconosciuto si chinò
afferrando un volume nascosto tra gli altri
“Ecco amico. Questo è
perfetto per te.”
Gli occhi di Tyler si
spalancarono
“Danielle Steel?! Ma fai sul
serio?”
L’altro riafferrò
l’impugnatura del carrello cercando di nascondere un sorriso beffardo sotto il
berretto
“Credimi amico. E’ proprio
quello che ti serve!”
Tyler provò a protestare, ma
il tizio si limitò a sparire nel nulla così come era arrivato. Sbuffò.
Incredibile. Perfino l’ultimo sfigato nella scala sociale delle forze
dell’ordine poteva prendersi gioco di lui.
Tirò quel libro che non
avrebbe mai letto contro la parete, senza sprecarci nemmeno troppa forza. Dalle
pagine sembrò che volasse qualcosa.
Fantastico..
Un libro inutile che cade anche a pezzi.
In un impeto di buona
educazione si piegò per raccogliere la pagina, ma si accorse quasi
immediatamente che aveva un colore diverso.
Quello che aveva tra le mani era un pezzo di carta giallastra piegata in
due. Lo sfregò tra le dita guardandosi istintivamente intorno e finalmente si
decise ad aprirlo, pur consapevole che non avrebbe trovato altro che il numero
di una prostituta o lo schizzo fatto da un condannato.
Però conosceva quella
scrittura.
“Stasera. State pronti.”
Tornò a guardarsi intorno,
col terrore improvviso di essere spiato. Accartocciò immediatamente il
foglietto e lo infilò in tasca, poi, pensando che non fosse abbastanza sicuro,
se lo ficcò in un calzino.
Davis
sta organizzando qualcosa.. Un piano per farci uscire… E dev’essersi fatta
amica parecchia gente qui dentro.
Desiderò che quel secondino
presuntuoso tornasse per spiegargli qualcosa in più, ma sapeva non sarebbe
successo. Chissà se anche Payne e Blake avevano ricevuto un messaggio simile? O
forse sarebbe toccato solamente a lui prepararsi psicologicamente per la fuga?
Il cuore iniziò a battergli
più forte e la noia di colpo era completamente sparita. Immaginava come avrebbe
potuto fuggire ammanettato, tirarsi fuori dai mezzi blindati dell’FBI, evitare
le pallottole… Con la gola asciutta tornò a sedersi sulla branda. Doveva essere
pronto a tutto.
-----
Davis si infilò la maglietta
nera e prese a fissare la pistola sul tavolo. Caricatore pieno. Mira precisa.
Presa ferrea intorno al calcio. Non voleva uccidere nessuno.
Raggiunse Eden nell’altra
stanza. Lei se ne stava in piedi, jeans, felpa e stivali scuri, ripassando la
sua parte a mente. Non sarebbe stato troppo difficile, solo molto doloroso…
Davis non aveva idea di cosa sarebbe successo dopo.
“Tutto ok?”
Chiese, mentre infilava
l’arma nel retro dei pantaloni.
“Dov’è André?” Rispose lei.
“Sta controllando le
cariche.”
Passo numero 1. Far
esplodere le cariche posizionate ai lati della strada cinque secondi prima del
passaggio dei blindati. Derrill
Bride, capo-operaio della società stradale 12, nonché giovane di grandi
speranze ai tempi del MIT, prima che un certo Professor Douglas definisse le
sue piccole manie “tratti di personalità devianti”, era stato ben felice di
posizionarle dopo l’ultimo sopralluogo delle autorità. Lui e André erano
rimasti in buoni rapporti, soprattutto dopo che il francese aveva fatto
“misteriosamente” sparire un paio di incidenti di percorso dalla sua fedina
penale.
Questo avrebbe fermato i
mezzi nel bel mezzo della statale 40, ben poco trafficata a quell’ora tarda.
Non che non fossero già pronti a bloccare qualsiasi avventore fosse capitato di
lì nel momento meno adatto.
“Sei spaventata?”
Eden inspirò profondamente.
“Ce la posso fare, non
preoccuparti.”
Afferrò il telefono e
compose il numero tirando fuori tutta l’aria dai polmoni.
Un paio di squilli filarono
via in un secondo, poi sentì la sua voce
“Eden? Sei tu?”
All’altro capo del telefono Dair
era balzato in piedi con la cornetta stretta tra le dita. Intorno a lui
l’intera squadra intercettazioni.
“Sì.”
“Dove sei?”
“Non posso dirtelo.”
“Che vuol dire? Perché mi
stai chiamando?”
Eden mandò giù a fatica
“Mi dispiace Daniel, mi
dispiace tanto..”
La voce quasi spezzata da
improvvise lacrime
“Che succede? Che vuoi
dire?”
“Non volevo che finisse
così.”
Dair inspirò mentre lo
sguardo del sostituto capo sembrava volesse incenerirlo
“Dove siete?”
Domandò di nuovo. Eden
sembrò esitare.
“Non posso dirtelo.”
“Perché? Vuoi di nuovo
aiutare Davis?”
Strinse il pugno
inconsapevolmente mentre attendeva risposta
“No io… Ormai sono nei
casini Dair, non posso più tornare indietro.”
Grant lo incalzò con un
gesto della mano
“Puoi ancora tornare
indietro, puoi ancora risolvere tutto quanto.”
“Per finire in prigione? No,
non posso farlo.”
“Non finirai in prigione.
Dimmi dov’è Miller e si risolverà tutto.”
Eden fece una lunga pausa,
su di lei lo sguardo altrettanto attento di Davis
“Ho bisogno di sapere che
avrò mia figlia.”
“Certo. Tornerà tutto a posto.
Come avevamo pattuito dall’inizio.”
Un sospiro angosciato
“Posso fidarmi di te
Daniel?”
Dair guardò l’agente Grant
col viso contratto. Stava per dire una bugia bella e buona e non si sentiva
sereno. L’altro lo colpì con un’occhiata severa
“Sì. Puoi fidarti di me.”
Eden esitò di nuovo. Anche
la sua era una recita.
“Non so cosa voglia fare
adesso, ma…”
“Avanti, dimmi tutto.”
“Ha un aereo pronto nel
Jearsy. Per l’Europa.”
Disse velocemente, quasi
corresse il rischio di ripensarci. Dair corrugò la fronte
“Quindi è qui vicino, nel
New Jearsy?”
“Non farmi dire altro Dair.
Vuole partire stanotte.”
“E gli altri?”
“Non lo so.”
“Sicura? Sicura che non
voglia farli scappare in qualche modo?”
“Non lo so Dair. Davvero.”
“Ok.”
Grant gli fece cenno di
chiudere agitandosi la mano davanti al viso
“Quindi è all’aeroporto che
dobbiamo andare. Giusto, Eden?”
“Al circolo di Volo
Pepperton.”
Rispose in un sussurro
“Bene. Spero tu sia
sincera.”
Un lungo sospiro
“Voglio solo tornare a
casa.”
“Ok Eden. Ti ci porterò
allora.”
La conversazione si
interruppe bruscamente.
Davis si avvicinò a sua
moglie massaggiandole piano le spalle
“Bene. Abbiamo cominciato.”
--
Nell’altra location invece
regnava il tumulto. Dair si era lasciato cadere pesantemente sulla sedia da
ufficio, mentre gli altri gli giravano intorno.
“Abbiamo il segnale
signore!”
Trillò uno degli agenti
dall’aria nerd posizionato agli schermi. Grant non trattenne una certa
esultanza
“Bene! Dove sono?”
“Castle Hill signore. Un
capannone vicino al fiume Hutchinson.”
Immediatamente la frenesia
dell’ufficio sembrò crescere in maniera esponenziale. Grant si strofinò le mani
nervosamente
“Bene. La ragazza non
mentiva, sono qui vicino.”
Aggiunse un altro tizio con
gli occhiali, ma il sostituto capo scosse la testa
“Non mi fido nemmeno un po’
di quella donna…”
Dair sollevò la testa con
sorpresa
“…Dobbiamo controllare.
Controlliamo immediatamente la pista di volo Pepperton e mandiamo una squadra
nel Bronx.”
Iniziò ad armeggiare al
telefono richiedendo due squadre. Dair gli si avvicinò
“Non credi a quello che mi
ha detto?”
“Nemmeno un po’ tenente.”
Si rivolse poi ai topi di
biblioteca telematici
“Iniziate a cercare!
Qualsiasi movimento di denaro, qualsiasi mossa insolita nelle telecamere
stradali, tutto!”
“Ma signore, avremmo bisogno
di qualche coordinata per…”
“Cercate!”
---
André arricciò le labbra
davanti allo schermo del pc
“Accidenti ragazzi..ci hanno
beccato!”
Annunciò con tono
sarcastico. Un puntino intermittente sul desktop indicava Caste Hill.
Davis arrivò a grandi passi
poi si bloccò accanto a lui.
“Bene. Tutto come previsto.”
“Già.”
Concluse l’altro alzandosi
da quella comoda posizione per infilare il giubbotto ed assicurarsi che la sua
pistola avesse ancora la sicura inserita.
“Si comincia allora.”
---
Tyler era stato prelevato in
malo modo dalla sua cella. All’esterno era quasi freddo, ma quegli stronzi
dell’FBI non avevano lasciato che si riprendesse la giacca. Lo avevano
semplicemente ammanettato e buttato fuori. Doveva solo salire sul furgone e
stare zitto. Dentro di sé la tensione e la voglia di sorridere aspettando la
mossa di Davis.
Poco dopo la portiera si
aprì di nuovo e sia Blake che Payne vennero spinte dentro. Gli occhi della
bionda si illuminarono
“Tyler!”
Avrebbe voluto abbracciarlo,
ma anche le sue mani erano strette nel metallo, senza contare lo sguardo torvo
delle due guardie armate che si erano posizionate ai due lati di quello spazio
angusto.
Lui rispose facendo
l’occhiolino, ma non disse nulla per non infastidire gli agenti. Aveva bisogno
della calma più assoluta per riuscire a fare ciò che sperava di poter fare.
Nel silenzio, mentre il
mezzo si muoveva, Payne gli stava seduta davanti continuando a guardarlo.
Accanto a lei Blake, visibilmente più agitata continuava a contrarre i muscoli,
era sicura che qualcosa stesse per succedere.
Tyler cercò lo sguardo di
Payne con più decisione, usando gli occhi per indicare anche Blake. La prima
decise allora di attirare l’attenzione della sorella di Davis con un tocco
minimo della mano, così delicato da essere impercettibile per le guardie.
Di nuovo Tyler mosse gli
occhi, stavolta verso il basso ad indicare i suoi piedi. Payne aggrottò il
sopracciglio per un attimo, ma capì ben presto di dover far attenzione ai suoi
piccoli movimenti. Era come se Tyler si fosse messo a tamburellare con la punta
del piede destro, una specie di movimento cadenzato anti-stress o almeno è ciò
che avrebbero pensato gli altri.
In realtà era molto di più.
Il Codice Morse è la base di ogni buon delinquente e per loro, nati negli anni
ottanta, quando il massimo della tecnologia comunicativa era rappresentato dai
Walkie Talkie, impararlo era stato un passo inevitabile.
Anche Blake strizzò appena
gli occhi per non perdere nemmeno un battito. Intanto nella sua testa il
messaggio prendeva lentamente forma
D – A – V – I –S – E – Q – U
– I
S – T – A – T – E – P – R –
O – N – T – E
Balzò sul posto senza
riuscire a controllarsi
Davis
sta arrivando. Lo sapevo!
“Hey tu, vedi di stare
buona!”
La ammonì una delle guardie.
Blake abbassò la testa e
sorrise tra sé e sé.
---
“Guardi questo signore.”
Grant si avvicinò
nervosamente
“Che hai trovato?”
“E’ l’esterno di un negozio
di liquori qui a Manhattan. Guardi qui.”
Indicò col dito sul monitor,
mentre una figura incappucciata veniva fuori dall’esercizio con un sacchetto di
carta tra le mani. Il volto basso per tutto il tempo, tranne che per un
secondo, un piccolo secondo che l’agente immortalò sulla schermo
“Non potrebbe essere…”
Sembrò timoroso, ma Grant si
sporse fin quasi a poggiare il naso sull’immagine
“Duval. Quel bastardo.”
“E’ un video di due giorni
fa signore.”
“Quindi non sono nel Jearsy,
bensì a pochi passi da qui.”
Di nuovo corse all’interfono
“Voglio che una squadra
controlli tutti i contatti di Miller qui a Manhattan. Chiunque abbia avuto a
che fare con lui… E mandate qualcuno direttamente al Liquor Store sulla
ventesima.”
Scosse la testa lasciando il
bottone
“Stavolta non ci
fregheranno… E’ già partito il trasferimento?”
“Affermativo signore. Sto
seguendo il percorso del veicolo.”
“Bene.”
Dair si sollevò allora dalla
sedia
“Se permette signore, io
andrei a fare la mia parte.”
“Non sei ancora in servizio
Dair.”
“Lo so. Ecco perché è
inutile che stia qui.”
“E che vorresti fare?”
“Controllerò la bambina
signore. Miller potrebbe mandare qualcuno anche lì.”
Grant sembrò rimuginarci su,
ma alla fine cedette
“Va bene, ma vedi di stare
molto attento a quello che fai.”
Dair improvvisò un saluto
militare
“Signore.”
Si congedò con l’adrenalina
già a mille.
Non appena fu fuori un altro
ragazzotto robusto nella schiera degli informatici alzò la mano
“Signore. Ho rintracciato la
carta clonata con cui Duval ha pagato…”
Qualche battuta sulla
tastiera
“…E’ a nome di un certo
Robert Mason, amministratore delegato della Seven Medicines. La carta preleva
dal conto dell’azienda.”
Gli occhi di Grant si
chiusero in due fessure mentre si calava nel pieno della concentrazione
“…Dall’estratto conto
risulta un movimento di un milione di dollari, spostato ieri su un conto
criptato in…”
L’agente riprese a battere,
asciugandosi rapidamente il sudore della fronte col polsino della divisa
“…Praga signore. Repubblica
ceca.”
L’altro sembrò incerto e
colpito
“Nient’altro?”
“C’è un altro prelievo
signore… Biglietti aerei.”
“Biglietti aerei?”
“Sì. Sette per l’esattezza.”
“Hanno comprato dei
biglietti aerei?”
“Non loro. Sono a nome
dell’azienda farmaceutica… Di alcuni impiegati… Gray, Lawson, Brenda Phillis…
Forse i due eventi non sono…”
“Fesserie!”
Lo interruppe Grant
“Certo che sono loro! Quella
donna ha tentato di fregarci di nuovo! Sono quasi sicuro che non ci sia nessun
aereo a Caste Hill… Useranno la linea aerea nazionale, quello che mai ci
aspetteremmo!”
Visibilmente contrariato, ed
anche un po’ offeso, Grant rivolse l’ultima schiera di ordini
“Mandate immediatamente una
squadra al JFK!”
Stavolta la voce all’altro
capo gracchiò in risposta
“Signore.. Abbiamo già fatto
uscire tre squadre e gli altri sono impegnati nel trasferimento..forse dovrebbe
asp…”
Grant si impettì ed alzò la
voce
“Mandi gli agenti rimasti
all’aeroporto! Adesso!”
“Bene Signore.”
Passo numero 2. Sparpagliare
gli agenti dell’FBI per la città. Con tutte le squadre
impegnate in punti diversi di NY non sarebbe stato semplice per il grande
vice-comandante McPhee richiamare immediatamente tutti gli agenti sulla statale
40. Avrebbero perso almeno cinque minuti, forse otto o dieci, di certo
abbastanza perché quella fase del piano fosse conclusa.
---
Davis aprì lo sportello del
SUV con i vetri oscurati, gentilmente offerto dal “collega” Demon, pezzo grosso
dello smercio locale di cocaina, poi stette sui suoi passi. Si voltò ancora una
volta verso Eden
“Andrà tutto bene.”
Lei annuì stringendosi nelle
braccia
“Potevo venire con voi.”
“No. Non voglio che tu venga
coinvolta in altre sparatorie o roba del genere… E poi lo sai, ci servi
altrove.”
Eden allora infilò la mano
nella tasca dove teneva il cellulare che suo marito le aveva affidato.
“State attenti, ti prego.”
Lui trovò la forza di
sorridere con sincerità.
“Te lo prometto.”
Poi si abbassò appena un po’
per lasciarle un bacio sulla fronte
“Ci vediamo dopo.”
Lei si alzò sulla punte e
rispose a quel bacio pudico con un altro, ben più appassionato.
Lo strinse a sé cercando di
restare sulle sue labbra il più a lungo possibile.
Davis riprese fiato
“Hey, ti ho detto che andrà
tutto bene!”
Eden annuì di nuovo,
rimanendo a fissare la grossa auto che si allontanava da lei.
Tirò fuori il telefono e
compose il numero di Dair
“Pronto?”
“Sono io.”
“Tutto bene?”
“Sì…”
Sospirò
“…Sono appena partiti.”
“Ok.”
Seguì il silenzio per una
manciata di secondi
“Siamo d’accordo?”
Riprese lui
“Sì. Ti aspetto lì.”
La conversazione si
interruppe senza saluti di cortesia. Eden ripose il cellulare e si guardò
intorno. Era arrivato il suo momento di muoversi.
Compito di Eden (secondo
Davis). Convincere Dair della sua buona fede, recuperare Sophia
ed aspettare nel punto prestabilito. Nulla di troppo difficile, almeno in
apparenza.
---
I due SUV sfrecciavano a
grande velocità, in senso opposto, uno dietro ed uno verso il blindato della
polizia. Secondo le ipotesi ci sarebbero state quattro auto di scorta, due
davanti e due dietro. Le prime sarebbero state messe fuori uso dall’esplosione,
alle altre avrebbero pensato loro.
André seguiva il percorso
del nemico su un tablet, pronto a fare un cenno qualora fosse il momento.
Accanto a lui, stretto in un giaccone nero quasi quanto la sua pelle, Quentin
Pratt. Ladro anche lui, doveva a Davis parecchi favori, ma con questo soltanto
avrebbe estinto il suo debito. Stringeva tra la mani il detonatore delle
cariche.
Quel cenno arrivò piuttosto
presto. Quentin spinse deciso con il pollice, mentre l’autista si arrestò di
colpo facendo fischiare i freni. Il botto deciso del tritolo li fece vibrare,
quasi sollevare dall’asfalto.
Davanti alle loro facce una
grossa nuvola scura ed il rumore della ferraglia accartocciata.
André lasciò da parte la
tecnologia ed afferrò un grosso fucile prima di scendere dall’auto e prendere a
correre verso il fumo. Quentin lo seguì, mentre l’autista del SUV rimase in
attesa.
---
Il furgone che trasportava Tyler
e gli altri sterzò all’improvviso, quasi perdendo il controllo. Il rumore fu
assordante per un secondo e Payne perse l’equilibrio rischiando di rotolarsi in
quello spazio angusto.
Immediatamente si rimise
sull’attenti insieme agli altri. Una delle guardie era caduta battendo la
testa. Non poteva andare meglio, perché l’altro si era subito prodigato in suo
aiuto.
“Che cavolo succede qui?!”
Dal rumore degli sportelli
era chiaro che i conducenti erano scesi, così Tyler ne approfittò per mettere
fuori uso anche l’altro agente di guardia. Sollevando le braccia gli prese la
gola nella morsa delle manette, col metallo premuto sulla trachea il tizio non
poteva urlare, tantomeno respirare. Blake si mosse pronta a colpirlo con un
calcio ben assestato qualora si fosse rifiutato di svenire, ma non servì. Ben
presto l’agente crollò di peso vicino all’altro, già messo ko da una gradita
commozione celebrale.
Si mossero tutti e tre verso
il portellone, ma non c’era verso di aprirlo. Potevano solo aspettare.
---
Davis, che era nell’auto davanti, scese
correndo verso la nuvola di polvere. Le due auto di scorta erano saltate ai
lati della strada e avrebbe potuto, con un po’ di fortuna, raggiungere
direttamente il furgone.
Dall’altro lato André e
Quentin avevano di fronte le due macchine ancora intere. Dentro una delle due
McPhee si agitava senza tregua.
“Chiama rinforzi idiota!”
Si rivolse all’agente alla
guida che, tremolante, afferrò la radio
“Abbiamo un’imboscata.
Mandate rinforzi al chilometro 37!”
Il vice-comandante si guardò
dietro, dal parabrezza poteva scorgere due grosse figure armate. Afferrò a sua
volta la pistola e sporgendosi dal finestrino decise di sparare senza indugi.
Al fuoco rispose fuoco,
André puntò subito alle ruote della vettura e poi al motore, sperando che
prendesse fuoco e non rappresentasse più un problema. Schivare le pallottole fu la cosa più
impegnativa, ma erano preparati, indossavano giubbotti antiproiettile ed erano
pronti a darsela a gambe non appena la loro missione da due minuti circa fosse
conclusa.
Obiettivo: tenere impegnati
McPhee e compagni.
---
“Abbiamo un’imboscata.
Mandate rinforzi al chilometro 37!”
Urlava la voce metallica
dalla radio, senza che nessuno potesse sentirla.
Dair, prima di uscire dalla
centrale, aveva deciso di fare una piccola deviazione. Di certo gli sarebbe valsa
la carriera, ma che cavolo, in quella confusione nessuno ci avrebbe fatto caso.
Gli era bastato passare
davanti alla stazione di smistamento delle chiamate, attendere la pausa caffè dell’insignificante
agente Oliver e spingere un paio di pulsanti. Tutte le comunicazioni deviate
direttamente nell’ufficio di McPhee ai piani alti.. Lì, dove non c’era nessuno
che potesse raccoglierle.
---
Davis raggiunse ben presto
lo sportello del furgone e con l’aiuto di un altro esponente della piccola malavita
newyorkese, Giovanni Lopez, esperto in furti d’auto e portavalori, riuscì ad
aprirlo.
Gli occhi di Blake si
illuminarono letteralmente quando suo fratello apparve
“Sapevo che ci avresti
tirati fuori!”
“Andiamo!”
Rispose lui e insieme
corsero come il vento verso il SUV in attesa. Dopo un viaggio di un paio di
chilometri appena nella campagna circostante, un altro mezzo li attendeva. Li
avrebbe portati dritti all’aereo privato in attesa di decollo. Prima
destinazione Messico.
Stesso identico discorso per
André, scampato ai colpi maldestri degli agenti.
McPhee scese dall’auto in
principio di incendio. Una lunga serie di imprecazioni uscì dalle sue labbra
contratte in una smorfia. Avrebbe voluto scalciare come un bambino deluso, ma
doveva correre, inseguire quei maledetti e sparare. Solo questo avrebbe potuto
salvargli la brillante carriera ormai.
---
Eden raggiunse lo stabile
che Dair le aveva indicato. In uno di quegli appartamenti c’era sua figlia.
Finalmente.
Col cuore in gola, in
mancanza di notizie riguardo Davis e gli altri, si infilò guardinga nella porta
del garage. Il corridoio scuro, con l’odore di gas di scarico, la portò fino
alle scale. Salendo un gradino alla volta coprì la distanza tra lei ed il terzo
piano.
Al di là della porta per le
scale di servizio c’era un agente in piedi. Indossava abiti borghesi, ma sapeva
di per certo che si trattava di uno della polizia. Attese da lì l’arrivo di Dair.
Pochi minuti o forse mezz’ora,
un’ora dopo, il rumore di passi la fece ben sperare. Assistette alla scena
sbirciando dal vetro. Quattro chiacchiere e l’agente con i jeans se n’era
andato. Dair si schiarì la gola ed Eden colse il segnale per uscire.
Gli fu vicino in un attimo,
abbracciandolo nel modo più istintivo. Lui rispose senza stringerla troppo, non
voleva fare l’abitudine a qualcosa che forse non avrebbe mai avuto. Ormai
sapeva di non poterci contare troppo. Anche se la teneva tra le braccia poteva
sparire in un solo istante, questa era Eden Spencer.
“Mi dispiace.”
Disse lei spingendosi contro
il colletto della camicia azzurra. Profumava di pulito.
“Anche a me.”
Rispose scostandosi dalla
presa. Non era saggio restare lì sul pianerottolo.
La porta si aprì dopo tre
giri della chiave nella serratura. Dair entrò per primo, si guardò intorno e
scorse la figura della tata in cucina.
“Signora Kennedy?”
Quella si voltò di scatto.
Presa dal fischio del bollitore non aveva nemmeno sentito la porta aprirsi.
“Agente Dair. La aspettavo
più tardi.”
“Lo so, ma abbiamo avuto
qualche problema in centrale.”
“Problema?”
“Già. I nostri ricercati
sono riusciti a fuggire e sono quasi certo che siano diretti qui per prendere
la bambina.”
La tata sobbalzò facendosi
seria
“Qui?”
“Già. Altri agenti
arriveranno immediatamente. Intanto le consiglio di andare subito via se non
vuole incappare in una sparatoria o cose così…”
“Spa.. Sparatoria?”
“Sono criminali piuttosto
pericolosi. Io sono venuto a prendere la bambina, la porto via immediatamente.”
La signora Kennedy si
dimenticò completamente del bollitore e dell’earl grey che stava preparando
“Dovrei andare quindi?”
“Vada pure.”
Senza bisogno di ripeterlo
ancora, la tata, che non era affatto felice dall’inizio di essere incappata in
quell’incarico, afferrò borsa e cappotto.
“Mi saluti la piccola.”
Un breve saluto e sparì. Il
rumore delle sue ciabatte veloce per le scale.
Dair tirò un sospiro di
sollievo
“Vieni.”
Eden venne fuori dal suo
nascondiglio e guardò intorno a sé in quell’appartamento sconosciuto, ben
diverso dal suo a Chicago.
“Dov’è?”
Chiese impaziente e Dair le
indicò una porta poco più là.
Seduta all’indiana su un divanetto
a quadri, la piccola Sophia teneva gli occhi puntati sulla tv. Simba e i suoi
amici cantavano Hakuna Matata.
Le si strinse il cuore.
Dopotutto forse, stava facendo la cosa giusta.
“Tesoro mio.”
La bambina si voltò piano e
spalancò la bocca in un sorriso
“Mammaaaaa!”
Le corse incontro saltandole
al petto.
“Mamma sei tornata!”
Eden la strinse più forte
che poté
“Sì amore… E non ti lascio
più, stavolta non ti lascio più.”
Dair irruppe in quella scena
perfetta
“Dobbiamo andare.”
---
Tutto era andato secondo il
piano. Almeno fino a quel momento.
Davis cercò di chiamare Eden
ancora una volta, ma come per le altre 27 chiamate, nessuno rispose. Iniziava
ad essere preoccupato. Forse Dair non era stato così ingenuo da cadere in un
nuovo tranello, forse non avrebbe permesso ad Eden di andarsene con sua figlia.
Eppure conosceva le doti di
sua moglie, con o senza il consenso del poliziotto sarebbe riuscita a prendere
Sophia. Non era un compito troppo difficile per lei. Doveva solo farsi dire
dove fosse, prenderla e chiamare l’altro scagnozzo di Pratt. Quest’ultimo le
avrebbe caricate sulla sua anonima berlina e portate a destinazione, pronte per
volare in Messico.
“Ancora niente?”
Chiese Payne. Anche lei era ormai
preoccupata.
Poco più in là André e Blake
parlavano per conto loro. Lui era arrabbiato, vistosamente. Quel bastardo di
McPhee l’aveva picchiata e lui si stava pentendo di non averlo ucciso con un
colpo in fronte. Lei era tesa, voleva solo andarsene e in tutta onestà le
importava ben poco che Eden li raggiungesse. Tantomeno sua figlia. Con tutto il
rispetto per Davis era solo colpa loro che si erano ridotti in quel modo.
L’ennesima chiamata a vuoto.
Davis compose un altro
numero.
“Eden ti ha chiamato?”
Il tizio arruolato come
autista risposte con un certo timore. Con Davis Miller era sempre meglio non
scherzare.
“In realtà sì. Sono dietro
Central Park, mi ha mandato qui venti minuti fa, ma ancora non la vedo.”
Un campanello di allarme si
accese. Chiuse la chiamata senza aggiungere altro. Si rivolse agli altri
“Andate.”
“Cosa?”
“Andate ho detto. L’aereo è
già pronto. Io vi raggiungerò più tardi. Con Eden.”
Concluse sottolineando il
nome di sua moglie. Qualcosa non quadrava, il Davis sospettoso e cattivo si
stava rianimando.
“Più tardi? E come?”
Incalzò Blake
“Non preoccuparti. Andate.
Adesso.”
Un cenno ad André perché
prendesse le sue veci. Al francese non interessava interferire nelle sue
decisioni, pertanto sarebbe salito su quell’aereo senza fiatare.
Payne gli si avvicinò
“Sei sicuro?”
Davis annuì senza sbloccare
di un millimetro la faccia seria.
La bionda compagna si
avvicinò per abbracciarlo. Erano così rari i momenti d’affetto nella loro “banda”
che per un attimo Davis trasalì.
“Grazie.”
Disse lei sinceramente, ma
non riuscì a strappargli un sorriso.
Si avviarono verso l’aereo
mentre lui rimase lì, in piedi davanti all’auto, il cellulare in mano e un
tremendo mix di paura e sospetto nello stomaco.
Poco dopo il suo telefono
squillò, il nome di Eden si mise a lampeggiare come per incanto.
“Dove sei? Perché diavolo
hai mandato l’autista a Central Park?!”
Non voleva esserlo, ma era
arrabbiato.
Eden prese aria, ma la sua
voce rimase calma e coincisa
“Vieni a questo indirizzo.
Solo tu.”
“Cosa?! Ma che dici? Ti
hanno presa? E’ forse questo? Eden?!”
Lei rimase impassibile,
almeno all’apparenza. Dentro era come se un gruppo di cani famelici le stesse
divorando anima e budella.
“Ti prego. Warrington Street
1244… Ti prego.”
La linea cadde e lui pensò
per un attimo di aver sognato, ma la scritta “Chiamata terminata” era
effettivamente lì.
Warrington Street… Non gli
diceva niente, assolutamente niente. Ne
dedusse che dovevano averla presa. Dair o i federali erano riusciti a fermarla
ed ora attendevano solo lui per l’atto finale di quella commedia.
Cazzo.
Imprecò. Non era giusto, tutto era andato secondo i piani, tutto! Quello era il
suo finale e nessuno gliel’avrebbe rovinato. Nessuno.
Strinse la sua pistola per
cercare sicurezza e salì in macchina. Avrebbe fatto quello che doveva fare.
Quel giorno la sua famiglia sarebbe tornata tutta insieme, a qualsiasi prezzo.
---
“Ecco.”
Dair le porse una
cartellina, lasciandola scivolare sul legno della scrivania con delicatezza.
Lei si morse il labbro
scorrendo la prima pagina con gli occhi. Dovette distogliere lo sguardo per non
piangere.
“Mi dispiace.”
Aggiunse lui. Era sincero,
ma forse non fino in fondo.
Eden annuì pensando a sua
figlia. Era stata la cosa migliore lasciarla a Grace piuttosto che portarla lì.
Non sarebbe riuscita a farlo con lei presente.
Forse non sarebbe riuscita a
farlo nemmeno così.
Guardò Dair con la coda dell’occhio.
Non stava esultando, non sembrava nemmeno felice e probabilmente davvero non lo
era. Daniel Dair è un uomo troppo onesto per godere di una misera ,triste,
ingiusta vittoria come questa.
Strinse i pugni.
“Non so se ce la faccio.”
Dair la raggiunse e la
strinse di nuovo, stavolta con decisione.
Prendendole il viso tra le
mani la guardò serio
“E’ l’unica cosa che puoi
fare. Ed è la cosa più giusta per tutti.”
“Ne sei sicuro?”
Lui si ficcò dritto nelle
iridi scure di Eden
“So che lo ami. So che forse
non smetterai mai di amarlo… E so che non amerai me come ami lui…”
Eden lasciò sfuggire un
sospiro d’angoscia
“…Non è per me che ti ho
chiesto di farlo, lo sai vero?”
Lei annuì in silenzio.
Per quanto bene gli volesse
non lo avrebbe mai fatto per lui. E non lo avrebbe mai fatto nemmeno per liberare
sé stessa.
Era solo per Davis che era
pronta a rinunciare.
Per la sua libertà, la sua
redenzione, tutto quello che cercava da anni. Certo, gli sarebbe mancato un
pezzo o due, ma col tempo anche quel dolore sarebbe passato.
Ed il vecchio Davis Miller
non sarebbe stato che un ricordo.
Scoppiò a piangere senza
riuscire a frenarsi in tempo. Lacrime e singhiozzi nella speranza che sfogarsi
prima l’avrebbe resa coraggiosa abbastanza da andare fino in fondo.
Dair la strinse di nuovo.
Forse non avrebbe mai
posseduto il suo cuore per intero, ma avrebbe fatto di tutto per conquistarne
più spazio possibile.
L’avrebbe resa felice.
Eden non avrebbe rimpianto
Davis.
Lo scatto metallico della
sicura li riportò alla realtà.
Gli arti rigidi, lo sguardo
torvo e l’arma puntata contro il poliziotto.
“Giù le mani da mia moglie!”
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Capitolo 26 *** ...Sarà tutto finito ***
Capitolo25
CAPITOLO
25
...SARA’
TUTTO FINITO
Davis attraversò lo strada
tenendo gli occhi ben aperti, gli sembrava di non essere mai stato prima in
quella zona periferica di NY eppure, tra palazzi fatiscenti ed anonimi
chioschetti di hot-dog, si sentiva più a casa che a Times Square.
Passando raso ai muri, il
colletto della giacca di pelle ben tirato su e gli occhiali scuri piantati sul
naso, scorse i numeri ad uno ad uno. Il 1244 era un palazzo come tutti gli
altri, al pianoterra ospitava un negozio di ferramenta e più in là doveva
esserci un ristorante cinese. L’odore di fritto gli arrivava dritto nel naso,
nonostante fosse appena mattina.
Continuava ad essere nervoso
e a stringere la pistola nascosta sotto il giubbotto. Se si fosse trattato
dell’FBI avrebbe notato qualcosa, volanti, agenti in borghese, un tizio in
trench che lo pedinava maldestramente.. Invece niente, calma piatta da tutti i
lati.
Le ipotesi più probabili
erano due: o stavolta si erano fatti furbi ed un cecchino piazzato chissà su
quale tetto lo avrebbe freddato al volo sulla soglia del 1422, o Eden si era
fatta di nuovo prendere dai rimorsi. O magari peggio, si era fatta mettere
strane idee in testa da quel Dair.
Avevano già un conto in
sospeso, ma stavolta lo avrebbe ucciso sul serio.
Cercò di aguzzare la vista
al massimo per scorgere un puntino nero in alto da qualche parte. Decise infine
di entrare in fretta, qualsiasi cosa lo stesse attendendo al di là del grosso
portone di legno inciso. Via il dente, via il dolore.
Di fronte a lui si apriva un
lunga e scura rampa di scale. A
giudicare dalla polvere e dall’odore di muffa, quegli appartamenti dovevano
essere vuoti da tempo. Sentiva già i nervi a fior di pelle, ogni muscolo del
corpo disposto all’attacco e l’istinto di sopravvivenza pronto a scattare.
Affacciò il viso notando una luce qualche pianerottolo più su, tese l’orecchio
alla ricerca di segni di vita e gli parve di cogliere una voce di donna. Decise
di salire un gradino alla volta.
Arrivato al quarto
pianerottolo captò perfettamente la voce di Eden dietro la porta socchiusa. E
quella di Dair. Senza il vaglio del cervello afferrò la pistola e la tirò
fuori, completamente pronto ad usarla.
Ancora qualche passo e poté
aprire la vista sulla stanza. L’immagine di fronte gli ferì gli occhi come se
gli avessero tirato in faccia un vodka-lemon in fiamme. Quel bastardo stava
abbracciando sua moglie, il suo corpo le era spalmato addosso ed una di quelle
mani indegne accarezzava i suoi capelli.
No. Non sarebbe successo di
nuovo.
Allungò le braccia e strinse
forte intorno all’impugnatura fredda. La distanza era così minima che non
avrebbe mai sbagliato. Col pollice fece scattare la sicura e lasciò scivolare
l’indice sul grilletto, pronto a far fuoco.
“Giù le mani da mia moglie!”
Urlò cattivo. Cattivo ed
arrabbiato.
Li vide saltare sul posto e
separarsi immediatamente. Bene, così non avrebbe corso il rischio di prendere anche
lei.
Eden smise di piangere all’istante
e si paralizzò in mezzo alla stanza.
Dair inspirò profondamente
fissando il nemico negli occhi.
Era la fine. Solo uno di
loro sarebbe uscito vincente stavolta e benché Davis tenesse in mano una
pistola, le armi mortali le avrebbe sfoderate lui.
Davis deglutì spostando la
testa da un lato
“Stavolta ti ammazzo sul
serio bastardo.”
Fece per riprendere la mira,
ma Eden gli si parò davanti
“Davis no!”
Quel tono e quell’espressione
lo costrinsero a contrarre il viso in una smorfia di fastidio ed incredulità.
“Togliti di mezzo Eden, è
ora che questa storia finisca.”
“No, fermati!”
“Levati!”
“Metti giù la pistola!”
Incontrò gli occhi di sua
moglie e li scoprì lucidi, arrossati, tremanti. Sollevò un sopracciglio senza
abbassare l’arma
“No Eden, stavolta no…”
Ripassò lo sguardo
sull’altro
“…Stavolta non lascerò che
ti metta in testa strane idee…”
Un passo avanti verso di lui
puntando dritto alla fronte
“Devi smetterla di toccarla
capito?! Lei è mia moglie… MIA, non tua… Tua non lo sarà mai.”
Nonostante il proiettile che
gli puntava contro Dair si mosse appena, nelle sue migliori intenzioni avrebbe
detto non più di due parole, lasciando che Eden parlasse da sola.
“Abbassa quella pistola
Davis! Abbassa quella cavolo di pistola, dobbiamo parlare!”
Urlò lei risvegliandolo
dallo stato di trance criminale. Il cuore era a pezzi, ma guardarlo in quella
maniera, ancora una volta sopraffatto dalla gelosia e dall’istinto omicida, aveva
contratto qualche nervo di troppo anche in lei.
“Parlare?”
Si concesse di abbassare la
mira di una manciata di centimetri
“Non dobbiamo parlare di
niente! Dobbiamo prendere un cazzo di aereo, ecco che dobbiamo fare!”
Allo stesso tempo sembrò
guardarsi intorno per la prima volta
“Dov’è mia figlia?”
Era contento che non fosse
lì a guardarlo, ma la sua essenza era di certo un cattivo segno. Di nuovo tese
l’arma tra gli occhi di Dair
“Dov’è mia figlia??”
L’altro non indietreggiò, ma
per la prima volta lasciò intravedere un certo timore, forse nemmeno troppo
dovuto all’idea di una pallottola nel cervello. Da una parte iniziava a temere
che Eden crollasse, ma dall’altra… Se solo lei avesse mostrato il minimo segno
di cedimento allora bhe.. non avrebbe atteso un secondo in più prima di
fiondarsi addosso a quel maledetto, coprirlo di cazzotti e trascinarlo in
galera, giusto dopo essersi accertato di avergli rotto la mascella e un paio di
costole.
“Non è qui.”
Rispose Eden.
“Dov’è?”
“Al sicuro…Dove non ci sono
pistole.”
Un accenno di sarcasmo,
fuori luogo ma efficace, convinse finalmente Davis ad abbassare l’arma
“Che stai facendo Eden?”
Dal repentino cambio di tono
si capì quanto iniziasse ad essere spaventato. Eden inspirò abbassando gli
occhi che non riusciva più a tenere dritti nei suoi. Non voleva vederlo
crollare un’altra volta.
“Devi ascoltarmi adesso. Te
ne prego.”
Lui si bagnò le labbra
lanciando una rapida occhiata al terzo ospite della stanza, chiedendosi perché
dovesse assistere a qualcosa tra lui e la donna che aveva sposato. Quello gli
dava le spalle e se ne stava a testa bassa, appoggiato al tavolo con i piedi
incrociati.
Con la trachea annodata allo
stomaco ed il respiro corto di un condannato a morte decise che avrebbe
ascoltato.
Lei contrasse i muscoli del
ventre in una specie di spasmo, quasi dovesse improvvisamente vomitare. Prese
fiato lentamente un paio di volte e cercò di sfoderare il più convincente degli
sguardi
“Devi andartene… Senza di
me.”
Lui aggrottò le sopracciglia
“Cosa?” Bisbigliò
“Devi andare via, ma senza
di me.”
Davis si morse il labbro
cercando di far quadrare quelle poche parole.
“Che succede Eden?”
Lei guardò il pavimento
cercando di ignorare l’insopportabile tremolio nella voce di Davis. Strinse i
pugni per farsi forza.
“Non posso venire con te.
Non posso scappare ancora.”
Lui scosse nervosamente la
testa
“Non stiamo scappando, noi
andre…”
“Scapperemmo Davis.. Lontano
dove nessuno ci conosce, sempre nascosti, sempre in allerta… Non posso più
farlo.”
“Ma che dici?” Bisbigliò
ancora, contraendo i muscoli delle braccia fino a farli tremare
“E’ stato lui vero? E’ lui
che ti ha messo in testa tutte queste stronzate…”
Dair sollevò gli occhi
“…E’ lui, è sempre stato
lui.”
Riportando la voce al volume
della rabbia raggiunse Dair in tre passi e lo afferrò per il collo della giacca
“Vedi di sparire subito se
non vuoi che ti ammazzi.”
Lo minacciò, ma Dair
raccolse la provocazione
“Non vado da nessuna parte
io.”
Davis allentò la presa
trovando il tempo per un sorriso quasi isterico, scosse di nuovo la testa a
caricò un colpo micidiale in un solo secondo, fiondando il pugno chiuso dritto
sullo zigomo di Dair.
Il tenente barcollò
vistosamente portandosi la mano al viso. Tentò di muovere la mascella per
controllare che non fosse saltata in una decina di pezzi. Mentre fissava il
pavimento cercando di ignorare il dolore, arrivò alla rapida conclusione che
non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione. Riprendendo forza dopo un lamento,
rispose al pugno con un gancio altrettanto deciso.
Davis Miller era certo più
abituato ai cazzotti e riuscì a contenere il dolore senza barcollare di un
centimetro. La benzina sul fuoco che spinse Dair a colpire ancora.
Non poteva sopportare che la
vita avesse benedetto un tale bastardo con una donna come Eden.
Non riusciva ad accettare
che fosse toccata a Davis e non a lui.
Eden corse nel mezzo
cercando di separarli, tirando a destra e a sinistra con tutta la forza che
aveva.
“Fermatevi! Fermatevi!”
Alla fine urlò abbastanza
forte che la rissa si interruppe. Dair si avvicinò alla finestra mentre Davis
si mosse di appena due passi per restare a portata dei suoi occhi.
“Non vedi Davis? Non lo
vedi?!”
Prese a gesticolare
“E’ sempre così! Scappare,
nascondersi, fare a botte, uccidere qualcuno… Non è questo che voglio!”
Lui si pulì il viso col
palmo della mano
“Invece è lui che vuoi? E’
questo che stai cercando di dire?”
Eden sbatté i piedi a terra e
si mosse per colpirlo al petto
“Smetti di pensare a Dair,
lui non c’entra niente!!”
A quelle parole
l’interessato decise di intervenire
“Vi lascio soli, forse è
meglio.”
Concluse con quello che
sembrò uno sbuffo di nervi malcelato. Non appena ebbe lasciato la stanza
l’atmosfera sembrò cambiare di colpo, Davis le prese il viso tra le mani e la
guardò dritta negli occhi
“Non ascoltarlo ti prego.
Dobbiamo andarcene da qui. Ti prometto che andrà tutto bene.”
Gli angoli della bocca di
Eden si piegarono verso il basso mentre provava a contenere nuove lacrime.
Avrebbe voluto crederci, avrebbe tanto voluto crederci perché sicuramente lui
stava dicendo la verità, ma non poteva mollare. Avrebbe perso non solo suo
marito, ma anche sua figlia se avesse mollato le redini al suo cuore.
“Ti prego Davis…”
Riprese poggiando le mani
sulle sue e liberandosi piano
“…Devi ascoltarmi, io non
posso farlo.”
“Ma che significa? Vuoi dire
che per tutto questo tempo hai mentito? Che sei sempre stata d’accordo con
loro?”
Eden scosse il capo
“No. Non ti ho mentito.
Andarmene con te è quello che vorrei fare con tutto il cuore, ma non posso.
Perdonami ti prego.”
Eccole. Altre lacrime.
“Perdonarti? Io non ti
capisco Eden, credevo che mi amassi ancora.”
“Non c’entra niente l’amore
Davis. E’ quello che devo fare.”
Ancora una volta sottolineò
il verbo servile. Non era una passeggiata per lei, era una lenta tortura che
avrebbe finito per ucciderla, ma si sarebbe sacrificata per le due persone più
importanti.
“Devi andartene. Adesso.”
Lui insistette
“No, no.. Non me ne andrò
senza di voi.”
“Devi farlo.”
“No, non lo farò…”
Ogni sicurezza iniziava a
vacillare
“…Non lo farò Eden. Noi
siamo una famiglia e abbiamo fatto tutto quanto per poter stare insieme, non ho
intenzione di rinunciarci.”
Lei trattenne a malapena un
singhiozzo, era difficile, ma non voleva piangere. Davis doveva convincersi che
faceva sul serio o davvero non sarebbe mai andato via.
“Noi non siamo una famiglia,
non lo siamo mai stati.”
“Ma che dici, siamo sposati,
abbiamo una figlia..”
Lei chiuse i pugni tanto
forte da conficcarsi le unghie nella carne
“Non siamo più sposati. Sono
passati quasi sei anni da quando lo eravamo e Sophia… Lei non ti conosce
nemmeno.”
Riuscì a sentire netto il
cuore di Davis che mancava un paio di battiti.
“Cosa stai cercando di fare
Eden?”
Inutile, per quanto ferito
non riusciva a convincersi.
Lei ingoiò le lacrime e di
nuovo fece appello a tutta la forza di madre che aveva
“Voglio che tu te ne vada.”
“No, non è questo che vuoi.”
“Va’ via Davis, ti prego.”
“No.”
“Va’ via.”
“No. No. No.”
Insistette tornando a
toccarla, provando a stringerla e, se fosse servito, a scuoterla fintanto da
farla rinsavire. Lei tentò di uscirne prima che potesse baciarla, ma non ci
riuscì.
La bocca di Davis le tolse
ogni facoltà di parola, calandola in un vortice improvviso di ricordi ed
emozioni. Rivide la scuola, la Dwight High, Callie Robertson della classe di
educazione fisica… Quel giorno era così stufa delle sue prestazioni
pallavolistiche che aveva sentito l’immenso bisogno di uscire a fumare.. Davis
Miller, il misterioso ragazzo che tutte volevano.. I suoi cerchi col fumo.. Il
sangue della sua verginità sulle sue lenzuola.. Il disco di Springsteen rubato
per il compleanno.. I litigi con la madre.. Un diamante al suo anulare
sinistro.. Un vestito bianco da scegliere.. Fare l’amore nel retro di un
pick-up.. Quel paio di Manolo Blahnik che desiderava da una vita comprate con i
suoi soldi.. La musica in chiesa.. La sua voce.. La sua voce meravigliosa..
Si abbandonò al bacio
valutando l’idea di restare per sempre in quel momento, senza alcun bisogno di
scegliere.
La puzza di fumo al Café Des
Artistes.. I tarocchi di Grace.. Il piano da rivedere.. Birra analcolica per
festeggiare.. La nausea mattutina.. La nausea pomeridiana.. Suo marito che le
teneva i capelli..
Il test di gravidanza che
aveva cambiato tutte le sue prospettive.. Le dita incrociate perché andasse
tutto bene.. La pistola puntata verso di loro.. La sensazione che tutto sarebbe
finito.. Il freddo.. La paura.. Il buio..
Si staccò dal bacio cercando
respiro.
“Ti prego va’ via adesso.”
“Perché dovrei? Tu mi ami,
io lo so.”
Eden chiuse gli occhi. E’
vero, lo amava... Da morire. Così tanto che proprio in quella stanza avrebbe
rinunciato a lui.
Inspirò
“Ascolta per favore perché
non te lo dirò ancora…”
Prese a piangere senza
nemmeno rendersene conto, il viso era serio, ma calde gocce scendevano di loro
volontà
“…Non verrò con te. Né io né
Sophia verremo con te…”
Lo vide tentennare
“Non possiamo più andare
avanti così… Io non voglio più andare avanti così.”
Le sue labbra si schiusero
in una smorfia incomprensibile mentre Eden concludeva quel breve monologo.
Raccolse le lacrime con la punta della lingua e racimolò le forze per guardarlo
negli occhi
“E’ finita Davis. Devi
andartene.”
Si stupì di essere riuscita
a dirlo davvero, come se per un attimo le sue corde vocali avessero vissuto di
vita propria, senza tener conto del suo cuore a pezzi e della sua mente
affollata.
Lui sollevò le sopracciglia
visibilmente colpito
“Non ti credo.”
“Devi credermi…”
Ribatté avvicinandosi al
tavolo e porgendogli con mano tremante la cartellina verde che attendeva lì da
un po’. Davis la afferrò con cautela e si passò la lingua sulle labbra prima di
sfogliare la sottile copertina semitrasparente.
ISTANZA
DI ANNULLAMENTO
Sbarrò gli occhi senza
leggere una parola in più. Sbatté la cartella sul legno
“Non esiste!”
Il tono ripiombato nella
durezza e gli occhi di colpo scuri come la pece
“Non mi farai questo.”
Eden indietreggiò cercando
respiro
“Devi farlo.”
“No Eden. Non mi farai questo.”
Ribadì di nuovo vicino,
stavolta incombente. Le strinse le spalle in una presa ferrea a la guardò
dritta negli occhi. Avrebbe tanto voluto trovarci qualcosa in più di quella
confusione terribile.
“Vuoi davvero che firmi
quelle carte?”
Le sue dita tremavano,
fremevano, mosse da qualcosa che prima non aveva mai sentito.
Avrebbe dovuto andarsene?
Mettere il suo nome su quel documento e sparire come se il loro matrimonio non
fosse mai stato celebrato? Come se non si fossero mai incontrati?
Come se non avesse mai
scoperto di essere padre?
Aveva già perso Eden, ma con
la magra consolazione della morte ed il grande supporto dell’alcool, aveva
facilmente trovato rifugio nella colpa e nella certezza che le cose non
sarebbero mai potute andare diversamente.
Poi l’aveva ritrovata ed
aveva concesso al suo cuore di aprirsi di nuovo, per la seconda volta nella
vita, sempre con lei… Non l’avrebbe mai ammesso, ma si era convinto che il
destino l’avesse premiato con una seconda possibilità, nonostante tutte le
brutte cose che aveva fatto.
Davis Miller si era lasciato
tentare dal pensiero della normalità. Un’aberrazione vera propria. Arrosto e
patate per cena, un paio di marmocchi dai capelli scuri attaccati alle sue
gambe e una moglie da abbracciare la sera.
Si sentì un completo idiota.
Forse la Eden che aveva
ritrovato non era più la sua Eden..
Forse quei mesi erano stati una mera illusione…
Ci pensò ancora ed ancora,
scorrendo le immagini alla velocità della luce.. Ogni attimo dal momento in cui
l’aveva rivista, voltando lentamente la sedia di uno studio negli Hamptons.. I
capelli più scuri, i boccoli più morbidi, la pelle più chiara ed un’insopportabile,
incolmabile distanza tra loro.. Ne aveva riassaporato ogni più minuscolo tratto
senza trovare la forza di toccarla, come se di fronte avesse avuto un’estranea.
Ritrovarla gli aveva fatto
più male che perderla.
Sentì in gola il sapore
bruciante ed aromatico dello scotch che aveva sorseggiato durante quelle notti
insonni, perso nel tentativo di comprendere perché soffrisse tanto.. perché
dentro di lui serpeggiasse il pensiero più meschino.. l’idea che forse sarebbe
stato meglio continuando a saperla morta.
Eppure l’aveva rincorsa,
giorno dopo giorno, cercando di ritrovare in lei quello che aveva lasciato,
provando tutto il tempo a riconquistare una fiducia sua di diritto, punito per
un crimine che non aveva commesso, tenuto all’oscuro della verità più
importante.
Se Eden lo avesse davvero
amato ancora non avrebbe fatto tanta fatica, sarebbe corsa da lui
raccontandogli di sua figlia e chiedendo che le portasse via il più lontano
possibile.
Nessuna scusa avrebbe
retto.. Né l’FBI.. Né Dair.
Se quella fosse stata ancora
la sua Eden sarebbe tornata da lui, come aveva sempre fatto dopo ogni lite o
incomprensione.
La donna che aveva di fronte
invece continuava a sfuggirgli tra le dita, con gli stessi occhi profondi e lo
stesso sapore, ma con una luce diversa negli occhi, un caos che lui non
riusciva più a decifrare.. non come una volta, quando gli era bastato
osservarla col naso ficcato tra le pagine della Brontë per essere certo che proprio
lei sarebbe stata la sua Catherine, il suo amore anche oltre la morte.
Inspirò un’ultima boccata di
incertezza
“Vuoi davvero che stavolta sia
io a sparire ragazza invisibile?”
Eden rimase a fissarlo senza
dire una parola, consapevole di dover far tesoro dei brandelli di dolcezza che
lui le stava regalando.
Lasciò scivolare piano la
testa da un lato, provando a guardarlo da un’altra prospettiva, cercando
qualcosa di lui che non avrebbe rimpianto… Cercando un solo attimo del loro
passato che avrebbe potuto facilmente dimenticare…
Tutto quello che poteva ancora fare era
respirare, continuare a respirare.
“Ti amerò per sempre...”
Rispose infine
“…Amerò per sempre ogni
secondo di ogni giorno che abbiamo passato insieme… E penserò a te ogni singola
volta che vedrò nostra figlia sorridere…”
Indietreggiò di un passo
“...Devo a te ciò che di più
bello ho avuto nella mia vita… Non passerà giorno senza che pensi a te, ma non
posso vivere con te Davis… Potrò vivere solo sapendoti lontano, libero e al
sicuro.”
Davis sorrise, dopo averla
riconosciuta per un attimo, piccola e nascosta dietro l’oscurità del rimmel
colato… La maniera più candida ed incerta con cui cercava sempre di fare la
cosa giusta… Di convincerlo a smettere con le rapine alle stazioni di servizio…
Di spingerlo a mettere da parte il rancore per la sua famiglia… Di finirla con
quella vita dopo l’ultimo grande colpo…
Sorrise a metà come piaceva
a lei
“Parli come se fossi
convinta che me ne andrò davvero senza di te.”
Eden sbuffò fuori il respiro,
di colpo in preda allo sconforto.. Indietreggiò ancora fino alla finestra.. Si
affacciò tenendo gli occhi chiusi e finalmente poté sentirli arrivare.
Appena udibile il suono
acuto e tagliente delle sirene della polizia.
Davis ci mise un po’ a
capire, si guardò intorno e di colpo parve irrigidirsi
“Maledetto.”
La cantilena pungente delle
voltanti iniziò a farsi vicina.
Dair piombò nella stanza
visibilmente spaesato, ma Davis gli fu addosso prima ancora che potesse parlare
“Sei stato tu vero?! Sei
solo un bastardo!”
Prese a strattonarlo, mentre
Eden se ne stava ancora col viso rivolto al grigiume della via semideserta
“Sono stata io a chiamarli.”
Davis mollò lentamente la
presa ed entrambi si voltarono verso di lei, Eden rimase di spalle
“Sapevo che non te ne
saresti mai andato altrimenti.”
Lui aggrottò le
sopracciglia, quella era una svolta del tutto inattesa.. Una mossa del tutto
inaspettata da parte della sua Eden.
“Se non te ne vai subito
avrai il carcere a vita.”
“E..Eden…”
Balbettò lui, schiacciato
tra l’ansia e la delusione.
Finalmente sua moglie si
voltò, gli occhi pieni di lacrime in contrasto con l’espressione seria
“Va’ via.”
Il loro ultimo breve
incontro di occhi sembrò durare un’eternità.. Davis non aveva scelta.. Se fosse
rimasto in quella stanza non avrebbe mai più passato un’ora da uomo libero.. Non
sarebbe più passato a far visita alla tomba di sua madre.. Non avrebbe più
rivisto le persone che amava.. Sua sorella.. André… Sua figlia.. Voleva
rivedere sua figlia.
Strinse i pugni contraendo
la mandibola, staccò gli occhi da Eden senza più indugiare e si precipitò al
tavolo afferrando la penna con stizza.
Un’ultima volta le rivolse
gli occhi poi spinse la punta sui fogli lasciandovi sopra un segno indelebile.
Quest’ultima volta decise di
non voltarsi, troppo spaventato dal trovare un’anche minima espressione di
sollievo sul viso di Eden.
Prese fiato, strinse la
pistola nella mano e fuggì via al suono incombente delle sirene ormai vicine.
Eden scoppiò a piangere all’istante,
mollando il peso delle gambe e cadendo in ginocchio sul pavimento polveroso. I
singhiozzi si alternavano senza che potesse prender fiato tra l’uno e l’altro,
le mani le formicolavano e la testa iniziò a girare.
Dair si precipitò da lei
prendendole il viso tra le mani
“Respira!”
Le ordinò
“Respira Eden, respira.”
Il suo pianto divenne meno
affannoso, ma più intenso.. Grosse lacrime cadevano a pioggia ed i suoi lamenti
riempirono la stanza
“Starai bene..”
Aggiunse lui accarezzandole
le spalle
“Starai bene, te lo
prometto.”
Stringendola delicatamente
attese l’arrivo dei poliziotti in cima alle scale, vedendo la stanza riempirsi
lentamente di tute blu, giubbotti antiproiettile e mitragliatrici
“Dov’è Miller signore?”
Dair scosse la testa
“Andate via.”
“Ma signore, siamo stati
chiamati perché Davis Miller era nell’edificio e…”
“ANDATE VIA HO DETTO!”
Dair li scacciò fino all’ultimo
attendendo che sparissero dalla sua visuale, poi tornò a fissare il corpo
tremante di Eden accovacciato nell’angolo.
Era quello che voleva, ma
non poteva esserne felice.. Non se la donna che amava se ne stava in un cantone,
priva di forze e di lacrime che non avesse già pianto per un altro uomo.
Sospirò avvicinandosi al
tavolo, la cartellina se ne stava abbandonata lì sopra, maltrattata dall’ultimo
gesto di rabbia di Davis. Allungò le dita per portarsela vicino e prese a
sfogliarla in silenzio, cercando la firma che avrebbe reso ufficialmente fine a
quell’avventura.
Scosse la testa incredulo e
stupito, sbuffò e rivolse gli occhi al cielo
“Bastardo.”
Sulla carta campeggiava una
scritta calcata a forza, ma quello scarabocchio lasciato di fretta non era il
nome di Davis Miller, bensì un messaggio per lui, un chiaro e diretto monito
per il “soddisfatto” tenente Daniel Dair
LEI E’ MIA
Così dicevano quelle tre
piccole enormi parole,
“lei è mia”.
-------
Al suono delle chitarre
spagnole Blake continuava a sventolare freneticamente una brochure che aveva
trovato sul bancone della taverna, improvvisando un ventaglio che scacciasse l’ansia
e la calura. Erano ormai in territorio
neutrale, lontano dalla giurisdizione americana, ma fintanto che non avesse
visto Davis non avrebbe respirato.
Payne ondeggiava col corpo
al ritmo della canzone suonata dal piccolo gruppo di miriachi, cercando di
dimenticare le incertezze che si erano lasciati dietro. Aveva fiducia in Eden e
sapeva che qualunque decisione presa sarebbe stata la migliore per tutti, soprattutto
per la bambina.
Si scoprì a fissare Tyler,
lui rispose allo sguardo e Payne si chiese come potesse essere avere un figlio,
soprattutto con l’uomo che si ama e con cui si vorrebbe passare la vita.
Tyler abbandonò il piccolo
volume scritto in spagnolo e la raggiunse nel mezzo di quella pista
improvvisata, proprio al centro del piccolo locale scuro, colmo di facce
sconosciute ed odore di tequila.
Sorrise trovandola immobile,
spostando i lunghi capelli biondi dal lato del suo viso.
Lei sospirò e prese timidamente
la mano di Tyler nella sua.
Lui le si avvicinò ancora,
poggiando quella stessa mano sul suo fianco, cingendole la vita e portando la
bocca accanto al suo orecchio.
Payne chiuse gli occhi
riprendendo a muoversi lentamente, erano in un nuovo mondo ed in quel nuovo
mondo il passato non aveva più alcuna importanza.
Sentì il respiro di Tyler
sfiorarle la pelle e gli si strinse ancor più addosso. Lui la sfiorò con le
labbra e si fece spazio tra i capelli di miele e vaniglia perché lei sentisse
bene
“Te amo... Nunca dejé de
amarte.”
Sussurrò e la vide subito
dopo esplodere nel più sincero dei sorrisi.
Poco più là André buttava
giù l’ennesimo bicchierino di tequila seguendo con gli occhi il movimento
veloce delle carte tra le dita del messicano.
“¿Dónde está la reina de
corazones ahora?”
Sbuffò indicando
distrattamente la carta nel mezzo, l’altro scoprì la regina per l’ennesima
volta
“El señor vuelve a ganar!”
Voci di ammirazione e
sospetto si sollevarono di nuovo, André non capiva che quattro parole di
spagnolo, ma quel gioco era uguale dovunque ed il suo QI era sempre più veloce
di qualsiasi mano muovesse le carte. Questione di probabilità matematiche e
prevedibilità umana.
Accese una sigaretta
iniziando a contemplare tutti i possibili piani per tirar Davis fuori di galera.
Scusatemi!! Ci ho messo
tantissimo lo so… Ma ci vediamo presto per l’epilogo! Qualsiasi feedback sarà
apprezzato! Grazie a tutti!!
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Capitolo 27 *** They'll never know ***
epilogo
EPILOGO
They’ll
Never Know..
Eden mosse le ciglia, ancora
totalmente immersa in quel caldo, tranquillo dormiveglia. Era il suo momento
preferito in tutta la giornata, quegli attimi di silenzio in cui il suo corpo
sembrava aver trovato la più comoda delle posizioni e la sua mente riusciva a
vagare in ogni più remoto angolo dello spazio-tempo. Poteva sentire i rumori del traffico di New
York ed il sole che le scaldava la fronte. Riusciva ad immaginarsi esattamente
dove avrebbe voluto essere.. E poteva percepirlo perfino sulla pelle.
Corrugò la fronte colpita da
un raggio di sole reale, riuscito a penetrare tra le tapparelle appena
sollevate. Controvoglia sollevò le palpebre una prima volta, riuscendo a
malapena a mettere a fuoco. Allungò ogni muscolo stirandosi tra le lenzuola di
cotone bianco poi mosse il braccio verso il lato vuoto del letto, sforzandosi
ancora una volta di aprire gli occhi. La sveglia segnava le 8e35, tempo di
alzarsi e vivere un’altra giornata di realtà.
Venne fuori lentamente ed
infilò la vestaglia color cipria prima di passare la soglia del bagno. Uno
scroscio d’acqua fresca a poté finalmente cogliere un’immagine nitida di sé
nello specchio. Le sue guance avevano un bel colorito roseo ed i cerchi intorno
agli occhi si intuivano appena, segno che aveva passato un’altra nottata
serena. Sospirò passando la crema idratante sul viso e la spazzola tra i
capelli, adesso che era totalmente sveglia riusciva a percepire perfettamente i
crampi allo stomaco. Se ne era quasi dimenticata.
Tornò in camera ancora una
volta e decise di tentare la fortuna aprendo la finestra. Il sole di poco prima
era ancora lì, timido tra le perenni nuvole grigie di Chicago, eppure caldo ed
invitante. Sorrise ringraziando la città per quel dono che oggi sentiva essere
solo per lei.
Seguendo la scia di zucchero
e caffè arrivò in cucina e lì, poggiata allo stipite della porta, si concesse
il secondo sorriso della giornata.
Sophia sollevò lo sguardo
incontrando il suo, gli occhi le si spalancarono di gioia mentre correva ad abbracciarla.
“Mamma, mamma! E’ lunedì!”
Esclamò saltellando insieme
ai suoi boccoli scuri. Era già cresciuta parecchio, ma il suo viso non era
cambiato di una virgola, tantomeno il suo sorriso.
Eden si abbassò per
poggiarle un bacio sulla fronte
“Buongiorno amore mio.”
Sophia rise ancora, senza
fermare il suo moto continuo
“E’ lunedì!”
Ribadì ed Eden sospirò di
sollievo
“E’ vero tesoro, è lunedì!”
Risollevando la schiena
concesse finalmente attenzione all’altra persona nella stanza.
Dair era in piedi vicino ai
fornelli, un grembiule a quadri proteggeva la sua camicia azzurra mentre la
padella di fronte sfrigolava ancora. Si mosse per raggiungerlo e lo baciò sulla
guancia inalando un piacevolissimo odore di pancake.
“Buongiorno.”
Lui sorrise in risposta
“Buongiorno a te.”
Eden inspirò ancora e per la
prima volta passò gli occhi sul tavolo.
“Pancake al cioccolato,
torta di mele, croissant e…” Si sporse riempiendosi il naso con i fumi della
tazza “… caffellatte alla cannella.”
Guardò Dair sollevando un sopracciglio “Sarà mica natale?”
Lui tolse al volo il grembiule
e si allungò al di là di lei rubando una rosa dal vaso sul davanzale. Gliela
porse
“E’ comunque un giorno da
festeggiare.”
Eden prese il fiore tra le
mani e lo annusò sorridendo di nuovo. E’ vero, quello era un gran giorno per
lei.
Trentuno mesi erano passati.
Due anni, sei mesi e
diciotto giorni per la precisione.
Chiuse gli occhi per un
istante, non avrebbe mai pensato sarebbero passati tanto in fretta.
Dopo l’esito fallimentare
della sua missione aveva dovuto fare i conti con i vertici dell’FBI. Non solo
il piano era fallito per colpa sua, ma l’innumerevole quantità di regole
infrante avrebbe potuto costarle ben più degli arresti domiciliari.
Aveva temuto di finire in
galera e perdere comunque sua figlia, ma con l’aiuto di Dair ed uno sforzo in
più da parte del giudice era riuscita a patteggiare per la custodia
domiciliare. Daniel aveva garantito per lei, accogliendola nel proprio
appartamento insieme alla bambina. E lì aveva passato gli ultimi 929 giorni in
attesa di questo lunedì.
“Grazie.”
Disse piano tornando alla
realtà e lasciandosi scivolare nella sedia.
Sophia ridacchiava
parlottando col personaggio nel suo piatto. Come ogni mattina Dair aveva perso
cinque minuti buoni a disegnare occhi, bocca e capelli al suo pancake.
Eden sospirò di colpo persa
nella malinconia riflessa sul suo caffè.
Dair le raggiunse al tavolo
“Allora, è il tuo primo
giorno di libertà… Hai già deciso cosa fare?”
Lei guardò ancora più a
fondo, sperando che la tazza le desse un’idea. Non aveva davvero pensato a come
avrebbe vissuto la sua nuova vita da donna libera, finalmente lontana dai
casini della malavita newyorkese e dalle pretese dell’FBI.
Sospirò. Non pensava quel
giorno sarebbe arrivato tanto in fretta.
“Tu non vieni con noi?”
Rispose annullando
furbamente la precedente domanda di Dair.
“No, purtroppo ho una lunga
riunione oggi.. E poi c’è l’indagine Menphis da sistemare.. Dovrete fare a meno
di me.”
Eden allungò il broncio per
una manciata di secondi, la presenza di Dair avrebbe reso tutto più facile.
“Andiamo al parco mamma!
Andiamo a giocare al parco!”
Rivolti gli occhi a sua
figlia quell’attimo di malumore sparì. Sophia era un incanto con addosso quel
leggero abito a pois, il rosso donava alla sua carnagione e le piccole maniche
a sbuffo le davano un’adorabile aria alla Shirley Temple. Ben presto sarebbe
ricominciata la scuola e lei avrebbe dovuto imparare a fare a meno di lei,
venendo a patti con le sue prossime mattinate solitarie e pensierose.
Decise che l’avrebbe
accontentata in tutto quel giorno.
“Certo tesoro. Andremo al
parco e in qualsiasi altro posto tu voglia andare! Ma prima facciamo un salto
in libreria.”
Sophia corse ad abbracciarla
ed Eden si perse nel profumo fruttato dei suoi capelli.
Aveva mantenuto la promessa
a sua figlia ed era fiera di averlo fatto.
“Ancora? Quel libro deve
piacerti davvero da morire, ne hai già ordinate mille copie!”
Dair indicò la pila di libri
poggiata sul tavolo del soggiorno. Ognuno di essi portava sulla copertina la
stessa scritta.
“Round Trip” by
Matt Mylers.
Eden sorrise una volta
ancora al suono di quel nome fittizio.
“Voglio comprarne una copia
di persona.”
Dair sollevò le spalle
“Tutto quello che vuoi!”
Scolando il suo caffè si
alzò in piedi dopo aver buttato l’occhio all’orologio.
“…Allora vi auguro buon
divertimento signore. Ci vediamo stasera
per cena.”
Eden annuì con un sorriso e
lo guardò mentre infilava la giacca, sistemava la cravatta e lasciava un bacio
sulla fronte della bambina prima di uscire dalla porta.
Daniel Dair era stato la sua
salvezza, la sua ancora, il suo punto fermo. Chissà dove sarebbe finita senza
il suo appoggio e le sue spalle su cui piangere.
Già, perché non avrebbe mai
potuto quantificare il monte di lacrime che aveva versato. Notti intere passate
a piangere prima di realizzare che cosa aveva fatto davvero, a cosa aveva
rinunciato, cosa avrebbe dovuto affrontare.
Poi, un poco alla volta, il
bisogno di piangere era sparito ed al suo posto era emersa l’ansia dell’attesa.
I suoi giorni chiusa in un appartamento, dapprima tristi e ripetitivi, si erano
riempiti di cose da fare e ben presto si era scoperta capace di cose che non
avrebbe mai pensato.
Eden Spencer era in grado di
cucinare. Non più solo uova e pasta al sugo, ma anche soufflé e perfino
un’ottima boeuf bourguignon. La sua prossima prova sarebbe stata costruire un
alto e perfettamente simmetrico croquembouche.
Si strascinò in camera
pensando a cosa avrebbe indossato quel giorno, era forse ingiusto nei suoi
proprio confronti, ma continuava a cercare il pezzo più neutro del suo
guardaroba, così sarebbe passata inosservata.
Alla fine scelse quell’abito
morbido che non aveva mai indossato, il suo intenso verde bottiglia era
abbastanza vivace eppure abbastanza sobrio da rispecchiare perfettamente il suo
stato d’animo odierno. Infilò ai piedi le zeppe Jimmy Choo e si sedette al
vanity.
Guardandosi più attentamente
decise che avrebbe almeno sfoggiato il miglior make up, leggero, ma abbastanza
luminoso da attirare tutta la luce di quell’insolita giornata a Chicago. La
matita scura ed il mascara YSL le allargarono lo sguardo, cercando un
equilibrio col blush rosa ed il tocco di lucido sulle labbra. Ravvivò i capelli
color caramello scuro e sospirò un’ultima volta contro il proprio riflesso.
L’aria che l’accolse fuori
dal portone del palazzo si scoprì più calda di quanto si aspettasse. Infilò gli
occhiali da sole respingendo una luce fin troppo brillante e prese la mano di
Sophia. Pochi isolati ed avrebbe varcato i confini del parco da donna libera,
da madre orgogliosa e nulla più.
Sfilando tra la folla
indifferente del lunedì mattina capì per la prima volta che tutto era davvero
finito. La vita da ladra, da ribelle, da moglie di… Scacciò il pensiero… Il
passato era ormai alle sue spalle e solo il futuro l’attendeva davanti. La vita
che aveva sempre desiderato stava iniziando in quel preciso istante.
Lo squillo del cellulare la
riportò alla realtà. Si fermò sui suoi passi assicurando la bambina accanto a
lei, poi sbuffò un attimo prima di rispondere.
“Mamma?”
La voce all’altro lato
sembrava sorridere, seppur mantenesse una perfetta aplomb.
“Eden cara, è oggi che
finisce la tua condanna vero? Stavo andando da Jules per la manicure ed ho
realizzato che fosse lunedì.”
Lei sospirò scuotendo appena
la testa
“Sì mamma, è oggi.”
“Oh cara, sono così contenta
per te! E dimmi, come sta la mia adorabile nipote?”
“Benissimo. Stavamo andando
al parco giusto adesso.”
“Dalle un bacio da parte mia
e Eden…”
Poteva immaginare la sua
espressione anche a chilometri di distanza
“…Ho appena fatto emettere
una carta platino a tuo nome, puoi ritirarla in banca dal Signor Baker quando
vuoi.”
“Non era necessario mamma.”
“Oh sì invece. Il fatto che
non sia lì non vuol dire che mi esimerò dal far avere a mia nipote tutto ciò che
desidera.”
“Grazie mamma. Dobbiamo
andare adesso.”
“Bene.. Eden?”
“Sì?”
“Richiamami stavolta.”
“Certo mamma.”
Eden chiuse la comunicazione
ed inspirò a pieni polmoni. Sua madre, sua madre era tornata nella sua vita e
contrariamente a quanto pensasse, non la odiava affatto.
Con l’inizio del processo
vero e proprio anche la sua famiglia – sua madre – era stata convocata e lei
non aveva potuto far nulla per impedirlo. Nonostante lo sguardo avvilito e miserabile
con cui l’aveva raggiunta nella stanza degli interrogatori, la conversazione
seguente non era stata terribile. La Signora Spencer aveva un’idea perfetta di
cosa significasse perdere la testa per il cattivo ragazzo e sposare un uomo che
non sarebbe mai stato il perfetto stereotipo di padre di famiglia.
Aveva temuto per anni di non
rivederla viva, pertanto era riuscita suo malgrado ad elaborare lo shock del
matrimonio e delle rapine in banca.
Sophia poi aveva fatto il resto. Pochi sguardi rivolti alla bambina e
sua madre aveva ritrovato una ragione per vivere, una nuova piccola donna in
famiglia da istruire, viziare e spingere ai massimi livelli dello stile e della
grazia. La nuova speranza di poter un giorno vedere le sue aspettative
soddisfatte dalla nipote aveva sancito la rinascita del loro rapporto.
E dopo tutto, non era
affatto male.
Il parco si aprì davanti ai
loro occhi e Sophia lasciò la mano della madre per correre dritta verso
l’altalena. Eden rimase a guardarla mentre con la coda dell’occhio cercava una
panchina libera su cui sedersi. Da tanto tempo lo desiderava, sedersi su una
panchina e sfogliare una rivista di moda, lanciando di tanto in tanto uno
sguardo alla bambina, esattamente come fa ogni altra madre al mondo.
Inspirò l’odore dell’erba
tagliata di fresco e scelse una seduta di spalle al sole, abbastanza lontano
dalle altre donne, mamme, tate o babysitter. Era troppo presto per confrontarsi
col resto del mondo.
Vide Sophia che la salutava
correndo con gli altri bambini.
Sorrise di cuore, sua figlia
avrebbe avuto una vita normale, il più possibile vicina alla perfezione.
Un brivido di tristezza le
percorse la schiena al pensiero di quello che era successo qualche mese prima;
al pomeriggio in cui Sophia era tornata da scuola col viso imbronciato e le
braccia incrociate al petto. Dopo vari tentativi di carpire qualche notizia la
piccola aveva confessato di essere arrabbiata. Tutti i bambini avrebbero dovuto
portare una foto della loro mamma e del loro papà da mettere nella cornice di
cartone e pasta che avevano costruito qualche giorno prima con l’insegnante.
“Posso prendere la foto di Daniel?”
Le
aveva chiesto timidamente, facendole sanguinare il cuore. Eden si era
inginocchiata per accarezzare il viso della sua bambina
“Ma
lui non è il tuo papà, lo sai vero?”
Sophia
aveva allungato di nuovo il broncio, stavolta accompagnato da grossi lacrimoni
agli angoli degli occhi. Eden era entrata in allarme e l’aveva stretta a sé.
Quel giorno doveva arrivare, prima o poi.
Quella
domanda.. Quella terribile domanda sarebbe arrivata prima o poi.
“Dov’è
il mio papà?”
Eden
aveva quasi perso l’equilibrio sentendola dal vivo. Aveva stretto ancor più la
presa per qualche istante, profondamente indecisa su cosa rispondere.
“E’
lontano, ma ti vuole bene.”
Si
era morsa il labbro.. Che stupida risposta da film di bassa lega.
Inspirò
“Tuo
padre è dovuto partire, quando tu eri ancora molto molto piccola…”
Accompagnò
le parole stringendo il pollice e l’indice fin quasi a farli toccare, cercando
di distrarre l’attenzione della bambina dalla tensione del suo viso
“Come
pollicina?”
Eden
sorrise
“Esatto,
forse anche più piccola…”
Respirò
ancora
“…E’
dovuto andare lontano, così lontano che ora non riesce più a tornare.”
Sophia
aggrottò le sopracciglia
“Il
mio papà si è perso?”
“Qualcosa
del genere… Ma ti vuole tanto bene e pensa a te ogni giorno.. Questo io lo so
per certo.”
Sophia
sembrò convincersi di quell’assurda spiegazione e sollevò un sopracciglio
dondolando le spalle, quasi si vergognasse di ciò che stava per chiedere.
“Ce
l’hai una foto del mio papà?”
Ecco.
Questo non era previsto.
Si
leccò le labbra guardando l’orologio, Dair non sarebbe tornato prima di un paio
d’ore e probabilmente era tempo che quella conversazione venisse affrontata.
Annuì
tornando in piedi ed allungando la mano
“Vieni
con me tesoro.”
Nella
sua stanza, nel suo armadio, da dietro una pila di maglioni e sciarpe smessi
Eden tirò fuori una scatola, una piccola scatola blu chiusa da un nastro
bianco.
La
aprì di fretta mettendo da parte quelle poche foto di Davis e gli altri. Non
voleva che Sophia scoprisse di aver già conosciuto suo padre senza saperlo..
Per raccontarle quella parte della storia avrebbe aspettato il momento giusto,
la certezza che sua figlia avesse dimenticato i giorni passati fuggendo da una
città all’altra, lontana da lei o accanto a persone che forse non avrebbe mai
rivisto.
Si
sedette sul letto e la aprì di nuovo con delicatezza, era tutto ciò che ancora
conservava del suo passato. Almeno in termini materiali.
“Guarda…”
Esordì
tirando fuori una piccola custodia color oro. La aprì e tirò su un rossetto
mezzo consumato. Il suo colore rosa intenso era lo stesso anche dopo più di
dieci anni.
“…questo
rossetto me l’ha regalato tuo padre.”
Ovviamente
non poteva dirle che l’avevano rubato insieme, ma di certo era stato un regalo.
La prima volta che aveva rubato qualcosa, la prima volta che Davis le era stato
vicino, la prima volta che si era sentita viva in quel modo.
Sophia
spalancò gli occhi allungando la manina
“Lo
posso prendere?”
Eden
sospirò ed accennò un sorriso poggiandolo su quel piccolo palmo. La bimba lo
prese e guardandolo come fosse fatto di cioccolato, se lo portò alle labbra. Un
paio di secondi appena ed era tutto spalmato sulla sua bocca, sul mento e
perfino sulla punta del naso.
Sophia
aprì un enorme sorriso ed Eden non se la sentì di protestare.
Infilò
di nuovo la mano nella scatola e tirò fuori un fiore secco, divenuto ormai di
un languido color marroncino.
“Questo
è uno dei fiori del mio bouquet, i fiori che avevo nel giorno in cui io e tuo
padre ci siamo sposati. E’ stato un giorno bellissimo.”
Sua
figlia sorrise di nuovo, totalmente estasiata all’idea di conoscere qualcosa in
più della sua breve vita.
Infine
afferrò l’ultimo segreto nascosto nella scatola. Una piccola custodia di
velluto. La aprì lentamente trattenendo il fiato, non osava guardarlo ormai da
tempo.
Il
grosso diamante luccicò al centro della stanza, incastonato in una lucida
fascetta d’oro bianco. Eden non trattenne un brivido di nostalgia e tristezza.
“Ecco…”
Porse
la scatolina alla visione di Sophia
“…Questo
è l’anello che mi ha dato tuo padre quando mi ha chiesto di sposarlo.”
La
piccola spalancò la bocca ed allungò la mano
“Posso
mamma?”
Stavolta
Eden dovette restar ferma e decisa
“Non
ora tesoro mio, ma un giorno sarà tuo.”
“Quando
mamma? Quando?”
Inspirò
“Il
giorno in cui ti innamorerai di un ragazzo perbene, un ragazzo fatto apposta
per te e che ti amerà allo stesso modo.. Il giorno in cui deciderai di passare
tutta la vita con lui.”
Sophia
scosse la testa
“Io
voglio stare sempre con te mamma.”
Eden
sorrise chiudendo la scatola, poi strinse la bambina in un nuovo abbraccio
“Io
ci sarò sempre per te. Tutta la vita.”
Sophia
guardò di nuovo il rossetto pensando che lo avrebbe custodito come un tesoro
“Come
si chiama il mio papà?”
Eden
rimase spiazzata per un secondo.. Mentire o non mentire? Forse sua figlia non
ricordava già più i particolari.. Forse le aveva già mentito abbastanza.
“Davis.”
Rispose
a mezza bocca, sperando che la sua breve memoria di bambina mollasse il passo.
“E
com’è mamma?”
Eden
sospirò di sollievo, sorridendo nel nulla mentre accarezzava quell’immagine
“Bellissimo…
Ha i capelli castani, gli occhi scuri ed il tuo stesso identico sorriso.”
A
quelle parole Sophia corse allo specchio del vanity. Provò a sorridere, una,
due, dieci volte. Sua madre rimase a guardarla in silenzio, lacerata dal
rimpianto e dalla piacevole consapevolezza che sua figlia aveva il meglio di
loro due.. Addosso e non solo.
“Tuo
padre è coraggioso, è forte, non ha paura di niente.”
Sophia
si voltò a guardarla
“E’
come un principe azzurro?”
Stavolta
sorrise
“Sì,
un principe azzurro.”
Tornata alla realtà vide
Sophia ricomparire di corsa di fronte a lei
“Mamma mamma, c’è Amber!”
Amber. La sua piccola
compagna con i capelli biondi e le lentiggini sul naso.
“Questa è la mia mamma!”
Esclamò Sophia facendosi
tutta fiera in un istante. Eden sorrise di cuore
“Ciao Amber!”
L’altra bimba sollevò la
mano in risposta mentre da lontano una donna con i capelli dello stesso colore
avanzava verso di loro.
“Buongiorno…”
Si presentò
“…Sono Angelica Brown, la
madre di Amber.”
Eden si alzò dalla panchina
allungando la mano
“Salve, Eden Spencer.”
Si scambiarono una stretta
decisa, poi la signora Brown indicò il piccolo locale al di là della strada.
“Le bambine vorrebbero un
gelato. Le dispiace se le accompagno a prenderlo? Anzi, viene con noi?”
Eden ci pensò su un secondo,
non era pronta ad una chiacchierata tra mamme. Cosa le avrebbe raccontato sul
perché non si era mai vista a scuola? Cosa le avrebbe raccontato della sua vita
da casalinga ai domiciliari?
“Mamma andiamo?”
Eden sorrise a sua figlia
“Va’ pure con Amber tesoro.
Io devo fare un paio di telefonate poi vi raggiungo.”
Si rivolse poi ad Angelica
“Ne approfitto per fare un
paio di telefonate, ma andate pure.”
“Se vuole la aspettiamo.”
“Non importa, non ci metterò
molto comunque.”
“Ok, allora andiamo
bambine!”
Eden sorrise di nuovo
“La ringrazio.”
L’altra prese per mano le
due bimbe e si incamminò sugli alti tacchi che calzava alla perfezione.
Eden sospirò guardandoli
entrare nella gelateria. Non sarebbe stato tutto così semplice come sperava.
Abbandonò la testa
all’indietro sulla panchina e chiuse gli occhi per un istante, il tempo giusto
perché il vento leggero portasse quel profumo fino alle sue narici.
Se ne riempì i polmoni senza
il coraggio di aprire gli occhi. Forse si era addormentata e stava già
sognando.
Respirò ancora mentre la sua
ombra proiettata in avanti si infrangeva con quella di qualcun altro.
Rimase a fissare
quell’intreccio di semioscurità.
Il cuore a mille dentro il
petto.
“Come puoi essere qui?”
Chiese Eden a mezza voce..
Doveva essere un’allucinazione.
Chiuse di nuovo gli occhi
tendendo e rilassando i muscoli allo stesso tempo.
Sospirò senza avere però il
coraggio di voltarsi.
Ogni giorno di quei 929 si
era chiesta se l’avrebbe mai rivisto.
Ripensò all’annullamento che
lui non aveva firmato. Al divorzio che lei non aveva mai chiesto.
Era ancora suo marito.
“Non me ne sono mai andato.”
Rispose lui muovendo un
passo più vicino sull’erba.
Eden poteva quasi sentire i
suoi capelli sfiorargli il corpo, lo sentiva dietro di lei ed avrebbe voluto
tanto voltarsi, ma non ne aveva il coraggio.
Dopo quel che aveva fatto,
dopo le decisioni che aveva preso, Davis avrebbe avuto tutto il diritto di
odiarla, ma lei non avrebbe sopportato di voltarsi e trovare nei suoi occhi
null’altro che odio.
“Come puoi essere qui?”
Ripeté quasi in un sussurro,
domandandolo più a sé stessa che a lui.
Davis si mosse ancora,
aggirando la panchina e finendo finalmente davanti ai suoi occhi.
“Meno ti nascondi e più sei
difficile da trovare… Non resterò a lungo comunque.”
Eden reagì istintivamente a
quell’ultima frase e finalmente si concesse di guardarlo.
Abiti borghesi, un anonimo
paio di jeans, occhiali da sole e barba incolta, almeno di una settimana o due.
Fece fatica a respirare.
Mille cose avrebbe voluto dire, ma nulla venne fuori. Come sempre quello col
sangue freddo era lui.
Davis prese posto accanto a
lei. Eden trattenne a malapena la voglia di toccarlo per capire se fosse vero.
Forse stava ancora dormendo, forse quella giornata non era mai iniziata.
“Sei bella.”
Le disse con una naturalezza
disarmante che la costrinse ad arrossire. Guardarlo le veniva così difficile.
“Grazie…”
Rispose lei riprendendo
fiato
“…Stai bene?”
Davis si passò la lingua
sulle labbra mentre tirava fuori una sigaretta.
La accese inspirando
lentamente.
“Sto bene.”
Non aggiunse altro, quasi
non volesse correre il rischio di dire qualcosa di troppo.
Le rivolse gli occhi, lo
sguardo nascosto dietro le lenti scure
“E tu? Sei felice?”
Eden scattò con la testa di
fronte, non sapeva cosa rispondere e non voleva che lui le leggesse il viso. In
fondo non poteva dire di star male, il suo mondo era quasi perfetto, quasi… Non
avrebbe nemmeno potuto dirgli che era felice.
“Faccio quello che posso.”
Rispose infine il più vaga
possibile.
Davis emise una specie
mugugno, un suono incerto con cui forse annuiva alla sua inutile risposta.
“Guardami.”
Le ordinò. Lei tremò contro
il legno della panchina.
“Guardami per favore.”
Lentamente gli rivolse lo
sguardo, incerta ed impaurita come una ragazzina. Si era tolto gli occhiali ed
ora i suoi occhi allungati e scuri la scrutavano senza protezioni.
Allungò le mani facendola
trasalire, ma nessun contatto avvenne tra pelle e pelle. Davis afferrò con
attenzione gli occhiali da sole e li sfilò dal viso di Eden.
Ora potevano guardarsi
davvero.
Lui ripassò i contorni del
suo volto curato, notando ogni particolare al di là del trucco. Niente
occhiaie, segno che dormiva bene. Guardò più giù, lo smalto rosso alle unghie e
l’assenza di anelli al suo dito sinistro. Rimase incerto tra l’essere sollevato
oppure dispiaciuto.
Eden cercò i suoi occhi per
capire se lui la odiasse. Aveva l’aria più rilassata di quel che aveva
immaginato. Nessun livido o cicatrice recente. Nessun segno di abuso di alcool.
Quasi se ne sentì ferita, forse lui stava bene da solo, forse anche meglio di
lei.
“Vuoi chiedermi qualcosa di
Sophia?”
Domandò Eden, bisognosa di
interrompere quello scambio di sguardi.
Lui sorrise a metà dandole
il colpo di grazia.
Sputò fuori un paio di
cerchi di fumo.
“So tutto di lei.”
Eden sospirò
“Oh…”
Disse tra i denti. Era stata
un’ingenua nel pensare anche solo per un istante che Davis sarebbe rimasto
lontano da sua figlia. Da lei forse sì, ma mai da Sophia.
“Ho parecchi amici da queste
parti.. Non mi sono perso un solo giorno della sua vita… E della tua.”
Eden sollevò di nuovo il
viso, sorpresa, emozionata, lusingata, spaventata, tutto nello stesso momento.
“So che hai fatto pace con
tua madre.”
Eden annuì senza voglia di
affrontare l’argomento. C’erano mille altre cose che avrebbe voluto chiedere e
sapere piuttosto, ma nuovamente non riuscì a proferire una sillaba.
Quell’attimo di pura
illusione le aveva tolto ogni facoltà razionale.
Lui fumò ancora due boccate
senza dire altro, poi lanciò il mozzicone un paio di metri più in là
“Torna qui stasera dopo le
dieci.”
Ordinò continuando a
guardare di fronte
“Ho alcune cose da dirti.”
Eden trasalì cogliendo quel
repentino cambio di tono.. Era stato serio, conciso, non l’aveva nemmeno guardata.
Strinse i pugni guardandolo
alzarsi, la bocca asciutta quasi avesse la lingua paralizzata.
“Davis..”
Riuscì infine a pronunciare
quel nome, senza sapere se e con quali parole sarebbe mai riuscita a continuare
la conversazione.
Lui calzò gli occhiali e le
lanciò un’ultima occhiata
“A stasera.”
Concluse, sparendo a passi
veloci tra gli ospiti di Grant Park, lasciandola completamente fuori dal mondo.
Cercò di calmarsi prendendo
due lunghi respiri, si guardò ancora intorno.
Inutile… Doveva averlo immaginato.
“Mamma!”
Sophia corse verso di lei
col viso ancora impiastricciato di cioccolata.
“Eccoti qua tesoro mio…”
Barcollò appena sulla
panchina tornando alla realtà.
Angelica ed Amber poco più
in là.
“…Gelato al cioccolato eh?”
Sophia aggrottò le sopracciglia
“Come lo sai?”
Eden sorrise prendendo una
salviettina dalla borsa
“Scommetto che ne è finito
più sul tuo vestito che nella tua pancia.”
Allungò la mano per pulire
il viso della bambina.
“Scusami, ho cercato di non
farle sporcare, ma è stata una missione impossibile!”
Angelica sorrise a sua
volta, tenendo Amber per la mano
“Non preoccuparti, ne sono
perfettamente consapevole!”
Il passaggio dal Lei al Tu
era stato completamente naturale.
“Io e Amber dobbiamo andare
adesso, ma spero di rivederti… Le nostre bambine vanno così d’accordo, spero
che varrà lo stesso anche per noi.”
Eden si alzò in piedi
“Lo spero anch’io… E ti
ringrazio ancora.”
“Di nulla. A presto!”
La signora Brown e la sua
copia in miniatura si allontanarono lentamente. Eden si lasciò cadere di nuovo
sulla panchina, stringendo Sophia accanto a sé.
Torna
qui stasera dopo le dieci
Quella frase continuava a
ripetersi nella sua testa.
“Mamma andiamo?”
Incalzò Sophia balzando giù
e iniziando a dondolarsi sul posto.
“Dove vuoi andare tesoro?”
Lei sembrò doverci pensare
mentre Eden rimirava le macchie marroni sul suo vestitino a pois.
“Sai cosa? Dovremmo passare
in banca.. La nonna ha lasciato un regalo per noi.”
Sophia si illuminò
“Un regalo?”
“Esatto. Vuole che oggi ti
compri tutto quello che desideri.”
La bambina prese a
saltellare
“Tutto tutto??”
Eden annuì
“Già… E credo cominceremo
con un bel vestito nuovo.”
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Rientrando a casa col peso
di almeno dieci buste da shopping Eden assaporò con piacere il profumo
familiare di sandalo e vaniglia.
Sophia corse a sedersi sul
divano. Doveva essere stanca. E lo era anche lei.
Poggiò tutto sulla porta e
si tolse le scarpe prima di camminare fino alla cucina.
Un bicchiere d’acqua e tornò
a sentire quella frase nella sua testa
Torna
qui stasera dopo le dieci
Possibile che fosse stato
solo un sogno?
Possibile che lui non fosse
davvero lì?
Chiudendo gli occhi riuscì a
percepire di nuovo il suo profumo e l’odore del fumo di sigaretta.
Ripensò ai suoi capelli
scompigliati, alla sua barba incolta, alla sua t-shirt, alla sua voce.
Torna
qui stasera dopo le dieci
Inspirò mentre lo stomaco
iniziava a brontolare.
Cosa avrebbe detto a Dair?
Come avrebbe potuto uscire di casa dopo cena? Cena.. Si avvicinò al frigo e
notò con sollievo la presenza dell’arrosto che aveva preparato la sera
precedente. Non sarebbe riuscita nemmeno a scaldare un pasto surgelato in
quelle condizioni.
Sophia si era già
addormentata.
Scivolò silenziosamente in
camera e di nuovo tornò a guardarsi nello specchio.
Cosa voleva dirgli Davis?
Che la odiava forse? Che la ringraziava di averlo lasciato libero? Che si
sarebbe vendicato togliendole Sophia e tutto ciò che aveva di più caro?
Scosse la testa.
No. Davis non le avrebbe
fatto questo… Ma come poteva esserne certa? Lei invece era riuscita benissimo a
fargli del male.. A distruggere le sue speranze ed i suoi sogni.. A tenerlo
lontano da sua figlia.. A lasciarlo..
Stavolta forse era il suo
turno.
Il rumore della porta la
fece sobbalzare, Dair fu vicino a lei poco dopo.
“Tutto bene?”
Eden si sforzò di sorridere
“Sono solo stanca.”
Lui poggiò un bacio tra i
suoi capelli
“Troppo shopping?”
Eden abbassò lo sguardo e si
voltò verso di lui
“Cosa avrei fatto senza di
te?”
Dair sospirò
inginocchiandosi fino alla sua altezza
“Io non ho fatto nulla… Ci
sei riuscita da sola… E io sono orgoglioso della donna che sei diventata...”
Eden non rispose
“…Sei libera adesso.”
Non lo era affatto. Nemmeno
un giorno e nuovamente si era persa nel suo passato.
Dair allungò due dita e le
sollevò il mento
“Che c’è?”
Lei scosse la testa
“Niente.”
“Sicura?”
Eden prese la mano di Dair
nella sua
“Ti devo tutto. Non voglio
deluderti.”
Lui sorrise
“Non l’hai fatto.. E non
succederà mai…”
Le accarezzò piano il viso
“…Io ti amo.”
Concluse.
Eden inspirò profondamente
quelle parole. Per tutto il tempo della condanna erano state il suo mantra, la
forza che l’aveva spinta a superare il dolore e l’incertezza. Anche se non lo
meritava, anche se non avrebbe mai potuto ricambiare nello stesso modo,
quell’uomo perfetto era suo.. L’uomo che sua madre aveva sempre desiderato
sposasse.. Un compagno fedele ed un patrigno stupendo.
“Lo so… Me lo ricordi ogni
singolo giorno.”
Dair si sporse e le sfiorò
le labbra con le proprie. Eden ricambiò con la stessa delicatezza.
“Vuoi mangiare?”
Domandò, instillata di nuova
forza. Lui si alzò e si passò la mano sullo stomaco.
“E’ stata una lunga noiosa
giornata.”
Eden sorrise balzando in
piedi
“Andiamo allora.”
Fu solo dopo l’arrosto e lo
sformato di broccoli, solo dopo aver riposto gli ultimi piatti nel lavandino,
che Eden si concesse di guardare l’orologio.
Le nove e trenta.
Ebbe un sussulto
incontrollato e lasciò cadere la spugna.
Doveva andarci. Comunque
doveva andarci.
Sfilò in camera bypassando
il divano ed afferrò la borsa. Uno sguardo veloce al mascara ancora intatto e
rientrò in soggiorno.
Dair sollevò un sopracciglio
“Dove vai?”
Eden sollevò maldestramente
le spalle
“Stavo controllando la
dispensa ed ho scoperto che manca… Manca… La salsa di soia.”
“Esci a quest’ora per la
salsa di soia?”
Eden annuì
“Ne ho assoluto bisogno.
Devo marinare la carne per domani.”
Dair aguzzò lo sguardo,
quella nuova passione per la cucina stava diventando una vera ossessione.
“Sei sicura di non poterne
fare a meno?”
Lei annuì di nuovo
“Un’altra cosa che posso
fare da sola adesso… La spesa.”
Dair sembrò rilassarsi.
Probabilmente era solo questo, bisogno di uscire di casa.
“Se davvero è
indispensabile…”
Eden strinse la borsa sulla
spalla
“Farò più in fretta che
posso.”
Nella sua testa l’amara
constatazione che la sua scusa non avrebbe retto. Il supermarket era solo pochi
passi più in là del palazzo. Comunque scese le scale e si immerse tra le vie
ancora popolate della città.
A piccoli passi continuava
ad avanzare, la borsa stretta da una parte ed una sigaretta nell’altra. Solo un
po’ di nicotina le avrebbe permesso di arrivare ancora in piedi fino al punto
stabilito.
Mancavano due minuti alle
dieci quando raggiunse la panchina. La zona dei giochi era deserta. Quasi tremò
al pensiero di esser sola in quel posto.
“Stai davvero bene in
verde.”
Un nuovo complimento.
Si voltò di scatto e lo
trovò lì davanti, anche lui negli stessi vestiti della mattina. In mano una
valigetta nera.
“Gra… Grazie.”
Si fece avanti a passi
lenti, lui si avvicinò a sua volta.
Rimasero in piedi a guardarsi
nella penombra della serata. Dire “mi dispiace” sembrava davvero troppo banale.
“Ecco…”
Iniziò lui poggiando la
valigetta sulla panchina per tirarne fuori una pila di fogli.
Documenti del divorzio? Eden
deglutì a fatica.
“Ricordi quando hai mandato
a monte la lettura del testamento di mio nonno?”
Eden aggrottò la fronte
senza rispondere a quella domanda retorica
“Beh.. Avrei voluto
ucciderti allora, ma adesso credo che dovrei ringraziarti.”
Lei avanzò un passo esitante
“Cosa sono?”
Lui le porse il pacchetto di
fogli scritti in piccolo
“E’ la mia eredità…”
Sospirò lasciando i
documenti nelle mani di Eden e riempiendo la sua con una nuova sigaretta
“…Ho messo tutto in un fondo
fiduciario a nome di Sophia Miller. Ovviamente non vi avrà accesso prima dei
ventun anni, ma tu potrai gestirlo al suo posto.”
Eden buttò gli occhi ai
documenti senza riuscire a mettere a fuoco nemmeno una parola
“Ma… Ma lei… Lei non…”
“Lo so.”
Interruppe Davis porgendole
un ulteriore modulo
“E’ per questo che sono
qui…”
Le porse anche una penna
“…Voglio che abbia il mio
nome. Voglio che sia mia figlia, biologicamente e legalmente.”
Eden spalancò la bocca
comprendendo cosa avrebbe dovuto firmare.
“Farai almeno questo per
me?”
Incrociò gli occhi di Davis
di fronte ai suoi, finalmente vide la sua profonda tristezza. Era solo colpa
sua.
Annuì mordendosi il labbro
inferiore.
Firmò senza pensarci due
volte, anche se ciò significava dargli potere, rischiare che un giorno venisse
a reclamare la sua progenie.
Almeno questo glielo doveva.
Davis sospirò
“I miei avvocati ti faranno
avere il resto.”
Concluse. Buttò la cicca e
sembrò volersi allontanare.
Eden si sentì morire.
“Aspetta!”
Lui si fermò sui suoi passi,
lei lo raggiunse
“Ti prego non andartene.”
Davis sembrò frugare nella
confusione del suo sguardo, accarezzandola con occhi indecifrabili. Sputò fuori il suo ultimo respiro e prese
posto sulla panchina poco distante.
“Ho capito perché l’hai
fatto…”
Esordì guardando altrove
“…Ma non posso sopportare il
pensiero che tu stia con lui… Non riesco nemmeno a guardarti.”
Eden accusò il colpo nello
stomaco
“Io non… Non sto con lui.”
Davis tirò su col naso
“Tu vivi con lui.”
Precisò “Con lui e con mia figlia.”
Sentì le lacrime bagnarle
gli occhi
“Non sto con lui… Potrei…
Dovrei in realtà, ma non sto con lui…”
Davis alzò finalmente lo
sguardo
“…Ho provato, ho provato a
dargli quello che merita, ma non ci riesco.”
Lui si leccò le labbra
“Perché?”
Eden abbassò gli occhi,
strinse i pugni, tremò appena
“Perché amo te…”
Confessò
“…Non ho mai smesso… Non
smetterò mai.”
Lo guardò abbassare la
testa, rifugiando il viso tra le mani.
Eden sentì l’urgente bisogno
di piangere. Aveva sperato che quelle poche parole sarebbero bastate per
sistemare tutto.
Stupida. L’amore non è una giustificazione.
“Tu mi odi vero?”
Osò chiedere con la voce già
impastata dal pianto. Davis balzò in piedi e le fu presto vicino, cercando i
suoi occhi tra le lacrime
“Non potrei mai odiarti…”
Si passò nervosamente una
mano tra i capelli
“Qualsiasi cosa tu faccia…
Qualsiasi cosa tu possa dire… Anche se hai fatto in mille pezzi il cuore che
non pensavo di avere… Io non posso odiarti.”
Eden pianse di sollievo.
“Devo andare via adesso.”
Davis contrasse la mandibola
dovendo per forza sputare fuori quelle parole. Era troppo pericoloso per lui
girare indisturbato per le vie di Chicago.
Negli occhi di lei il
terrore che fosse la fine tanto temuta
“Dove andrai?”
“Lontano. Molto lontano da
qui.”
Eden dimenticò di respirare.
La testa prese a girarle.
“Ti vedrò ancora?”
Lui sorrise appena
sollevando un angolo della bocca
“Chi lo sa ragazza
invisibile… Nemmeno la morte ci ha tenuti lontani per molto in fondo.”
Si strinse nella giacca e
prese un lungo respiro
“Abbi cura di Sophia… Abbi
cura di te.”
Eden scosse la testa
“Non posso credere che stia
succedendo.”
Lui si grattò un sopracciglio
cercando di restare impassibile nonostante tutto
“Dovevi scegliere… E l’hai
fatto.”
Eden si morse il labbro,
quasi fino a farlo sanguinare. Era completamente dilaniata tra la
consapevolezza di aver deciso per il bene di sua figlia ed il desiderio di
seguire quell’uomo, di piangere, buttarsi in ginocchio, fare qualsiasi cosa
purché restasse.
Non mosse un muscolo.
Davis le sorrise per l’ultima
volta.
“A presto ragazza
invisibile.”
Concluse ignorando che fosse
un addio. Accese l’ultima sigaretta ed immerso nel suo stesso fumo si voltò
verso l’uscita.
Eden rimase piantata a terra
mentre lui si allontanava, affrontando nuovamente quella scena… Come due anni e
mezzo prima.
Un’altra volta guardava la
sua schiena, ancora una volta avrebbe rivissuto quell’orrore.
Mollando la borsa e lasciando
volare i documenti al vento, corse quei pochi passi chiamando il suo nome
“Davis!”
Lui inchiodò i passi prima
di varcare il cancello, il tempo di voltarsi e già la sentì addosso, stretta a
lui, aggrappata alle sue spalle come fosse l’ultimo punto d’appiglio in mezzo
all’infinito dell’oceano.
Barcollò per il suo peso e
per il dolore che provava dentro. Toccarla avrebbe reso ognuno di quei secondi
invivibile… Toccarla avrebbe significato non trovare più la forza di andare
via.
Chiuse gli occhi inspirando
quel profumo, cercando di bloccare il fortissimo desiderio di ricambiare quell’abbraccio…
Stringerla… Baciarla… Fare l’amore con lei in mezzo a quel parco… Sollevarla e
portarla via con sé.
Respirò ancora, cedendo all’irrefrenabile
voglia di passare le dita tra i suoi capelli ancora una volta.
Lo fece e non riuscì più a
fermarsi, scorrendo le mani sulla sua nuca, sulla sua schiena.. Ricambiando
finalmente quella stretta, trovando inevitabilmente la sua bocca su quella di
lei… Il suo sapore… Non avrebbe mai dimenticato il suo sapore...
“Devo andare…”
Disse tra i sospiri. Prese
il suo viso tra le mani e la guardò dritta negli occhi per l’ultima volta
“…Sii felice…”
Eden provò a divincolarsi
scuotendo la testa, ma lui la bloccò
“Sii felice…”
Ribadì
“…E se non ci riesci,
troverai il mio ultimo regalo in quella valigetta.”
Un secondo. Un secondo ed
era sparito.
-----
Eden chiuse di fretta la
porta e corse in camera buttando la valigetta sotto il letto, appena in tempo
prima che Dair comparisse alle sue spalle.
“Niente salsa di soia?”
Il tono pesante, la domanda
retorica, lo sguardo serio.
Eden sospirò
“Mi dispiace. Ti ho mentito…
Avevo bisogno di schiarirmi le idee.”
Lui si avvicinò
“E ci sei riuscita?”
Eden annuì
“Mi dispiace.”
Stavolta non per scusarsi
dell’uscita notturna.
Lui abbassò gli occhi
“Lo so.”
Era il loro continuo
andirivieni di scuse e tentativi.
Dair sospirò facendosi
avanti, tentando di raggiungerla e stringerla tra le braccia. Eden non riuscì a
trattenere un sussulto.. Dopo essere stata nell’abbraccio di Davis, quello
sembrava del tutto sbagliato.
Lui si tirò indietro,
spiazzato e suo malgrado ferito.
Sospirò
“Ti lascio da sola.”
Lei cercò i suoi occhi
“Scusami, è solo che…”
Dair alzò il palmo per
fermarla
“Non importa.”
Concluse uscendo di fretta
dalla stanza. Eden avrebbe voluto seguirlo, ma il richiamo più forte era quello
che proveniva da sotto il suo letto.
Tirò fuori la valigetta e la
aprì, scostando lentamente i documenti. Sul fondo trovò una bustina quadrata ed
al suo interno un DVD. Nemmeno il tempo di osservarlo che già era infilato nel
computer.
Quasi pianse vedendo quel
viso.
“Ciao Eden… Spero tanto che tu stia bene.”
Sullo schermo il viso di
Payne brillava sullo sfondo di una spiaggia assolata. I suoi lunghi capelli
biondi mossi dal vento ed il più grande sorriso che avesse visto.
“Vorrei tanto che tu fossi qui…Ho così tante cose da dirti.”
La Payne del video buttò gli
occhi al cielo e si morse il labbro poco prima di esplodere in un nuovo
sorriso. Sollevò la mano sinistra di fronte alla telecamera. Sul suo anulare
brillava un’inconfondibile fede d’oro.
“L’abbiamo fatto!”
La vide ridere di cuore
mentre i suoi occhi si facevano lucidi.
“E…”
Riprese alzandosi in piedi
“…Abbiamo
fatto anche questo!”
Sorrise mostrando il profilo
del suo pancione. Eden spalancò la bocca davanti a quell’immagine.
Si sentì di colpo così
felice.
Sullo schermo Payne sorrise
di nuovo
“Ecco che arriva mio marito!”
Accanto a lei apparve Tyler,
abbronzato e radioso. I suoi capelli mossi erano più lunghi del solito e la sua
espressione non lasciava possibilità di dubbi.
“Ciao Eden, spero tanto che tu stia bene!”
Lei si mosse impaziente,
desiderando con tutto il cuore di poter rispondere ai suoi amici, di potersi
congratulare, di confessare a Tyler che aveva già comprato venti copie del suo
romanzo.
“Ti ringrazio amica mia, ti ringrazio di tutto.”
Eden sorrise. Dopo tutto le
sue scelte avevano portato anche a qualcosa di buono.
Payne aveva ripreso il
controllo della camera, riempiendo l’inquadratura col suo sorriso
“Mi manchi, mi manchi tanto!”
“Anche voi mi mancate..”
Sussurrò Eden mentre lo
schermo diventava nero.
Erano felici. Payne e Tyler
erano felici. Lei invece…
Si tirò su prima di finire
il pensiero. Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno.
Tirò giù lo schermo del
laptop e tornò alla valigetta, sperando di riuscire a mettere tutto via prima
del ritorno di Dair.
Nel momento in cui provò a
riporre il DVD esattamente dove l’aveva trovato, notò un’altra busta nell’angolo,
mimetizzata nella pila di documenti legali.
La aprì timorosa e ci guardò
dentro.
All’interno due biglietti
aerei, uno col suo nome e l’altro col nome di sua figlia.
Sophia Miller.
La loro figlia.
Li accarezzò con la punta
delle dita.
Due biglietti aperti, senza
data di partenza o ritorno… Destinazione Tokyo.
Li strinse istintivamente al
petto.
Ecco dove sarebbe andato.
Ecco dove le avrebbe
aspettate.
Un sorriso sincero e
liberatorio si aprì sul suo viso. Non era finita, non sarebbe mai finita.
Solo in quell’istante poté
apprezzare le ultime parole di Davis.
Quello era il suo regalo.
Un finale sempre aperto. Una
porta sempre spalancata.
Ripose i biglietti e camminò
fino alla stanza di Sophia.
Dormiva, tranquilla e beata,
stringendo a sé il solito orsetto di pezza. Il suo piccolo mondo quasi
perfetto.
La accarezzò sfiorandola
appena perché non si svegliasse. Un giorno tutti i dubbi della sua bambina
avrebbero trovato soluzione. Un giorno avrebbe potuto raccontarle il resto
della storia.
Suo padre non poteva tornare,
ma lei ora poteva raggiungerlo nel suo regno lontano.
Un giorno…
Un giorno avrebbe usato quei
biglietti.
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PORT ELIZABETH – SUD AFRICA
André scacciò le mosche
intorno al suo naso con un gesto automatico della mano.
Fece roteare la monetina tra
le dita guardando la sua immagine riflessa nello schermo della slot machine
elettronica. I capelli tirati indietro col gel non si erano mossi di un
millimetro ed ormai era riuscito ad abituarsi a quel nuovo pizzetto dai riflessi
rossastri.
Sbuffò di noia infilando la
moneta nell’apposita fessura.
Spinse i tasti seguendo il
giusto ritmo che ormai conosceva a memoria.
Ding. Ding. Ding.
L’immagine dei quattro assi
di picche si ricompose rapidamente davanti ai suoi occhi. Una cascata di
monetine fuoriuscì in pochi secondi.
Stupida tecnologia
dozzinale. Fin troppo semplice da prevedere.
“Phinde!”
Esclamò in zulu il proprietario
di quella baracca sita sulla costa sudafricana. Sorpassò il bancone e lo
raggiunse con aria esasperata.
“Ancora! Tu vince ancora!”
André sembrò non notarlo
nemmeno e si sollevò dallo sgabello senza prestare alcuna attenzione ai gesti
increduli dell’uomo di colore al suo fianco.
Non raccolse nemmeno un
centesimo della sua vincita, allontanandosi con un sorrisetto in faccia e gli
occhi puntati all’orologio.
Raggiunse il telefono
pubblico alla parete.
Compose il numero stampato
nella sua memoria.
Tre lunghi squilli metallici
e finalmente lei rispose.
“Sì?”
“Sono io…”
Ancora una volta André
controllò l’orario
“…Accendi la tv..CNN.”
Dall’altra parte del globo,
a quasi 15000 chilometri di distanza, Blake afferrò il telecomando.
Odiava la lingua giapponese.
Dopo qualche sforzo riuscì a maneggiare i canali satellitari e trovò la CNN.
L’anchorman annunciava
puntuale l’ultimo scoop.
“Uno
scandalo inaspettato colpisce quest’oggi il Federal Bureau of Investigation. Uno
dei suoi membri più conosciuti al pubblico americano è stato oggi sollevato dal
suo incarico e messo immediatamente in detenzione preventiva… L’agente McPhee,
vice-comandante della sezione criminalità organizzata di Chicago, è infatti
accusato di istigazione alla prostituzione ed abuso di minore…”
Blake sollevò un
sopracciglio cercando di capire
“…Proprio
questa mattina, in condizioni ancora da chiarire, tutta la rete è stata invasa
dalle immagini del vice-comandante in atteggiamenti lascivi con una prostituta
coreana minorenne. Non sappiamo ancora se sia stata opera di un hacker o un
attacco personale all’agente, ma queste foto hanno fatto in un solo secondo il
giro del mondo, comparendo perfino sugli schermi pubblicitari di Times Square…”
Blake
non trattenne un sorriso
“…
Le autorità stanno ora cercando l’hacker in grado di provocare un simile
trambusto nella rete e tra gli uomini che proteggono questo paese… Nel
frattempo l’ex vice-comandante resta in cella, in attesa di processo.”
Blake distolse lo sguardo
dalla tv e riportò la cornetta all’orecchio
“E’ opera tua?”
André sghignazzò come un
bimbo fiero della sua ultima marachella
“Nessuno mette le mani
addosso a Blake Miller per poi passarla liscia.”
Lei scosse la testa
“Sei un folle.”
All’altro capo André usò la
mano libera per scompigliarsi i capelli
“Sono un genio.”
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