Ritorno a Tir Asleen

di CervodiFuoco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bussano alla porta ***
Capitolo 2: *** “La Compagnia Si E’ Sciolta!” ***
Capitolo 3: *** Uno spettacolo memorabile ***
Capitolo 4: *** Innocue illusioni ***
Capitolo 5: *** Spirito di gruppo ***
Capitolo 6: *** Cambio di equilibri ***
Capitolo 7: *** Divertimento esplosivo ***
Capitolo 8: *** Ritorno di fiamma ***
Capitolo 9: *** Sorpresa alchemica ***
Capitolo 10: *** "Curiosi Poteri" ***
Capitolo 11: *** Un grande illusionista ***
Capitolo 12: *** L'ultima sera ***



Capitolo 1
*** Bussano alla porta ***


1. Bussano alla porta

 

Toc toc.

 

«Avanti!»

La porta si schiuse di una fessura, giusto lo spazio per far intravvedere a Kit una porzione del volto di sua madre.

«Posso entrare?» chiese lei.

«Si, mamma, certo. Vieni.»

Sorsha s’introdusse e richiuse la porta. Indossava una vestaglia da sera e aveva i capelli impagliati di bigodini.

La stanza di Kit era intonsa, uguale a come l’aveva lasciata alla sua partenza da Tir Asleen, nessuno l’aveva toccata. Alla luce delicata dei candelabri il grosso letto a baldacchino era sembrato finto, tanto era perfetto: per questo motivo Kit ci aveva subito buttato sopra tutte le sue cose del viaggio, ora ammonticchiate selvaggiamente.

«Mi sembrava di aver sentito parlare» disse Sorsha guardandosi attorno. «Ho interrotto qualcosa?»

«Mh?» mugolò Kit, facendo sbucare la testa dal buco superiore della veste da notte. «No, ero da sola. Sono da sola.» In effetti al momento non c’era nessuno visibile oltre a lei, lì dentro. Si diede una spazzolata ai capelli con la mano, mettendoli ancor più in disordine. Sgranò gli occhi. «Che c’è?»

«Nulla… volevo vedere mia figlia.» Sorsha sospirò e fece qualche passo per avvicinarsi. «Finalmente sei tornata, e… ora sento il bisogno di starti vicina. Fra una cosa e l’altra, è come se non ti avessi ancora dato le attenzioni che vorrei darti. Come se volessi essere sicura che ci sei davvero.» Tese le mani.

E Kit gliele prese, sorridendo dolcemente. Poi si abbracciarono.

«Sono qui, mamma.» E, dopo una pausa: «Sto bene.»

«Ne sei sicura?»

«… si.»

Si separarono. Sorsha sembrava afflitta; o forse erano solo i segni dell’attesa straziante che le avevano scavato il volto. «Se vorrai parlarmi… di qualunque cosa… sappi che sono qui. D’accordo?»

Kit deglutì e strinse i pugni lungo i fianchi, in cerca d’aria. Si, forse era il caso di dirglielo.

«In realtà qualcosa c’è. Durante il viaggio di ritorno… ho fatto degli incubi. Continuo ad averli. Vedo tutta la gente che è morta. Che io, ho… ucciso.»

«Oh, Kit...» Sua madre le accarezzò le braccia. «Lo so. La guerra è una cosa orribile. Nessun genitore vorrebbe che i propri figli la vivano. Lascia cicatrici indelebili. Ma… ho sempre saputo che eri destinata a grandi cose. Sei mia figlia, dopo tutto» ironizzò stirando un sorriso. «Col tempo passerà. Ora sei qui, sana e salva. Insieme supereremo anche questo. Insieme. D’accordo?»

Kit rimase con lo sguardo perso nel vuoto qualche istante, limitandosi a respirare e basta, la mente vuota d’ogni cosa. «D’accordo» annuì. «Grazie» aggiunse, rincuorata.

Si diedero un secondo e più rapido abbraccio. Poi Sorsha si voltò e, prima di lasciare la stanza, guardò un’ultima volta sua figlia sulla soglia. «Buona notte.» E uscì.

Clac. La porta si chiuse morbida e insonorizzata sui cardini.

Kit abbassò gli occhi. Girò piano sui tacchi e andò al letto, dove la corazza Kymeriana giaceva in cima alla pila. Vi passò sopra i polpastrelli.

«Puoi uscire, adesso» disse piano.

Dal grosso e imponente armadio intarsiato alla sua destra provenne un thump e un tip-tap di piedi. L’anta si aprì con un cigolio.

«C’è un tanfo tremendo qui dentro» mormorò disgustata la voce di Jade. Aveva dei grumi di polvere nei capelli sciolti, la sottoveste costellata di sfilacciamenti decrepiti. Le spalline sottili lasciavano intravedere la delineata muscolatura.

«Posso immaginarlo» ridacchiò Kit, posandole gli occhi addosso. «Quella roba puzzava anche quand’ero bambina.»

«Ne ho trovato uno che dovrebbe fare al caso tuo… guarda.» Jade estrasse dall’interno buio dell’armadio una veste bianca, dalla vita decisamente troppo sottile e una lunga gonna tempestata di minuscoli gioielli brillanti come perle. Le spalle sembravano fatte di garza, pronte a sfaldarsi al minimo tocco. Puzzava di vecchio, tipo come dovrebbero puzzare le bende di una mummia più o meno.

Kit le rivolse un’espressione alquanto eloquente. «No.»

«Ma come!» Jade scese lo scalino dell’armadio e pestò le assi del pavimento coi piedi nudi. Balzellò al suo fianco e accostò la veste al busto di Kit. «Guarda, ti sta così bene! Scommetto che è stata confezionata per il tuo matrimonio.»

«Qualunque cosa sia, assolutamente no. Non lo metterò mai» rincarò la dose Kit, ma inquinò la serietà del volto con un mezzo sorriso.

«Ehi. Stavo scherzando.» Jade buttò il vestito sul letto, assieme al resto. Squadrò a lungo Kit immobile.

«Sembra che tu e tua mamma vi siate riavvicinate.»

«La distanza fa miracoli, a quanto pare.»

«Kit. Non è solo questo, e tu lo sai.»

L’altra inarcò le sopracciglia.

«E’ normale che ora le cose siano cambiate. Questo viaggio ha cambiato tutti» continuò la rossa, riflessiva.

«Wo wo wo» fece Kit gesticolando. «Prima che ti chiudessi nell’armadio, l’atmosfera qui era diversa. O sbaglio?»

Jade pigolò rialzando gli occhi al viso altrui. «Credo di si.»

Kit tolse la polvere dai sui capelli, poi le posò gli avambracci sulle spalle e annodò le dita dietro la sua nuca. I loro volti adesso erano molto vicini.

«Perché hai voluto che mi nascondessi?» chiese Jade, interrompendo il flusso di ciò che sarebbe dovuto accadere.

Kit si soffermò a lungo e con piacere sulle sue labbra, poi sulle iridi. «Non è ancora il momento di dirglielo. Siamo appena tornate. Lasciamo che si riprenda. Intanto, noi… possiamo organizzarci al meglio.»

E, sorridenti e felici, si baciarono.

 

Toc toc.

 

Digrignando i denti, Kit allontanò il naso da quello di Jade, la quale sospirò un: «Non posso crederci.»

Si guardarono.

Jade sfidò Kit soffiando: «Devo tornare là dentro?». Indicava l’armadio alle proprie spalle.

«Aspetta» negò l’altra. «Mettiti quello» ordinò indicandole una coperta gettata sul letto. Raggiunse la porta, la scostò appena di uno spiraglio e disse, irritata: «Posso avere un minimo di privacy, per fav...» Ma venne interrotta.

«Hey, hey! E’ questo il modo di accogliere tuo fratello?»

Airk si era introdotto senza chiedere permesso e scostando in malo modo, ma con affetto, il corpo di Kit con un braccio. E si ritrovò a fissare Jade, che ora celava la sottoveste in una coperta spessa avvolta attorno al busto. Poi la sorella. Di nuovo Jade. I capelli gli erano un po’ cresciuti durante il viaggio di ritorno, anche se non tanto quanto lo erano stati in passato.

«Oh.»

«Oh! Esatto, Airk, Oh» intervenne Kit, piantandogli le mani sul petto e spingendolo di nuovo fuori. «Vattene. Ti voglio un mondo di bene, ma fuori

«Aspet- »

Clack. Porta richiusa.

«Forse aveva qualcosa di importante da dire» suppose Jade.

Kit alzò un sopracciglio e sospirò rumorosamente.

«D’accooooordo. Dì quel che devi dire e poi va’ via» ribadì la sorella minore, tirando un’altra volta la maniglia. Airk era rimasto lì immobile, accigliato e confuso, avvolto nella sua vestaglia reale.

«Ahm» esordì, compiendo un passo per entrare di nuovo nella stanza. Stavolta con più circospezione. «Jade...» salutò la rossa con un cenno del capo e un sospiro fra i denti, carico di un non so ché che assomigliava a disagio. «Kit, tu… lo sai che la prossima settimana cominciano i giochi, vero?»

«Mai dai? Grazie per avermelo ricordato, proprio me ne ero scordata» lo canzonò Kit, palesemente impegnata a tollerare l’ennesima presenza che disturbava la quiete amorosa della sua intimità.

Nel pomeriggio, qualche ora dopo che l’esausta compagnia aveva finalmente rimesso piede a Tir Asleen, Sorsha aveva proposto di annunciare al regno che si sarebbero indetti dei giorni di festeggiamenti per celebrare il loro ritorno ed il successo della missione. Un’intera settimana di banchetti, feste e giochi. Un torneo. I cui partecipanti… sarebbero stati loro stessi.

L’entusiasmo era fioccato come neve in estate. Ma come avrebbero potuto dirle di no?

«E sai anche… che tutti si aspettano un tuo discorso inaugurale?» proseguì il fratello.

Gli occhi di Kit divennero quanto mai enormi. «Discorso?»

«Si, discorso» continuò Airk. «La mamma non ti ha detto niente? Lei, tu e io apriremo le danze con un discorso.»

«Deve essermi sfuggito» ammise Kit stirando le labbra, sinceramente allarmata.

«Ebbene.» Airk si fregò le mani. «Sono qui per dare alcuni gentili consigli di modo che tu possa evitare una figuraccia. Dato che sei sempre stata terribile coi discorsi.»

La faccia che fece Kit obbligò Jade a stringere le labbra per evitarsi di scoppiare a ridere.

«So che sarà tremendamente noioso, ma dovrai citare e ringraziare tutti i membri più importanti della corte. Per essersi presi cura del castello, e soprattutto» enfatizzò Airk «di nostra madre.» Stava contando con le dita. «Seconda cosa: non parlare della corazza. O… di me. Insomma, di...»

Si intromise Jade che disse, asciutta: «Del fatto che una strega putrida e malvagia si è impossessata di te facendoti il lavaggio del cervello e tu l’hai baciata sulla bocca prima che si polverizzasse?»

Airk impallidì costringendosi a guardare dalla sua parte. «S-si… quello.»

«A meno che non vogliamo far prendere un colpo alla mamma… vedrò di evitarlo» disse Kit. «Ma prima o poi dovremo, Airk. Le sarà già sembrato assurdo che nessuno le abbia raccontato qualche dettaglio in più.»

«Aaah, a quello ci penserà Willow… è bravo in quelle cose» ribatté il fratello con un cenno di una mano.

«E credi veramente che la mamma non vorrà sentire la storia da te?»

Impacciato, Airk tentò di riprendere il filo del discorso. «Comunque, non sono qui per questo. Voglio solo… sincerarmi che fili tutto liscio. Non voglio che tu faccia brutta figura davanti alla gente. Non te lo meriti.»

Kit lo guardò, d’improvviso traboccante d’affetto. «D’accordo. Ti ringrazio. Vedrai che andrò alla grande.»

«Un’ultima cosa.» Il fratello aprì le mani e, prima invitandola e poi avvinghiandola, la strinse a sé.

Jade posò una spalla di peso contro l’armadio, godendosi la scena.

«E’ bello essere a casa» mugugnò Airk.

«Si» disse solo Kit, ricambiando la stretta più forte che poté. Respirò a fondo il suo profumo, che si mescolava con quello della propria stanza, e abbassò le palpebre.

«E a me niente?» Jade si staccò dall’armadio per andar loro incontro. «Guarda che abbiamo collaborato tutti. Fosse stato solo per Kit, probabilmente adesso sarebbe in qualche bosco sperduto a piangere.»

Ignorando le proteste di Kit, Airk disse: «Aah, avanti, vi ho già ringraziati abbastanza… e poi, in teoria sei tu qui l’elemento fuori posto!» Aprì una mano verso Jade. Ma subito cercò di riguadagnare il terreno che seppe all’istante di aver perso, aggiungendo «Non in quel senso, Kit, ovviam… »

Troppo tardi. La sorella lo aveva spintonato fuori dalla porta. «Buona notte, grazie di tutto, ti adoro, riposa, addio» bofonchiò serrando l’uscio e, con un moto d’intima goduria, girò la chiave nella serratura.

«Dove eravamo rimaste?» sussurrò Jade, anche se ormai già aveva la principessa addosso.

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Capitolo 2
*** “La Compagnia Si E’ Sciolta!” ***


2. “La Compagnia Si E’ Sciolta!”


 

Le trombe squillavano in coro facendo da cornice alla porzione di cielo azzurro vivido visibile sotto alla tettoia delle tribune. Tamburi scuotevano l’aria e facevano tremare i sedili. Un vociare continuo e indistinto riempiva ogni istante di silenzio durante il quale non si conversava.

Ci pensò Boorman a rompere quel silenzio.

«E quindi lei che ha fatto?»

Stava mangiando con gusto una coscia di maiale arrosto, enorme. Con gran disappunto di Elora e Graydon, ne aveva presa (rubata) una dalle cucine prima di salire in tribuna assieme a loro e adesso dovevano sorbirselo mentre masticava e si puliva la barba come se non avesse fatto colazione da appena un’ora.

«Non lo so, suppongo che la cosa sia andata avanti per un po’, dopo» rispose evasiva Elora. Pareva intenta a cercare qualcosa o qualcuno nell’ampio spiazzo che si apriva sotto di loro, pieno zeppo di gente che brancolava. Aveva raccolto i capelli rosso vivo dietro la nuca e indossato un lungo abito elegante color verde pallido.

Boorman deglutì. «Come sarebbe a dire non lo so? Ci avrai parlato, no?»

Elora si strinse nelle spalle.

«Credo che non voglia dirtelo, Boorman» intervenne Graydon, seduto dall’altro lato del mercenario. Se ne stava un po’ rigido, a braccia conserte, anch’egli assorto sulla folla. Come Elora, portava un vestito dalla fattura ricercata ma non troppo, sui toni del nero e del grigio abbelliti da ricami in oro.

«Ohf» grugnì l’uomo barbuto. «Voi adolescenti e le vostre turbe mentali. Un giorno vi passeranno, e ripenserete a me e a quanto mi avete trattato male.» Lui invece aveva addosso un camicione bianco e bei pantaloni robusti ramati; una fascia scura legava i capelli in una crocchia dietro il capo. Strappò coi denti un altro grosso pezzo di carne abbrustolita.

Graydon gli rifilò uno sguardo vacuo ma tagliente. «Ma tu non sei mai pieno?»

Boorman si prese tutto il tempo per deglutire e poi pulirsi le labbra col tovagliolo (rubato) che teneva sull’avambraccio a quello scopo. «Ascolta.» Si voltò per guardare per bene Graydon. «Se voi non avete fame, o avete la luna storta per i vostri rispettabilissimi motivi, non è un mio problema. Ok? Siamo stati per un tempo infinito in postacci schifosi e senza uno straccio di cibo decente. Non m’importa niente se è passata una settimana da quando siamo qui, io mi godo il cibo. E anche tutto il resto. D’accordo?» Annuì soddisfatto e serissimo, continuando a fissare in modo penetrante il ragazzo – il quale lo fissava di rimando, anche se meno intensamente. Anzi, a dirla tutta sembrava proprio passargli attraverso e guardare Elora, battendo appena le palpebre.

Boorman si risistemò alla meglio sulla seggiola, un po’ sgangherato, e si pulì i denti con la lingua. «Quindi non vuoi proprio dirmelo, eh?» incalzò Elora dopo un po’.

La rossa sbuffò dalle narici. Adagiò il busto contro lo schienale e volse lentamente il viso sull’uomo. «Che vuoi sapere» piattina.

«Solo come ha reagito Sorsha! Tutto qui» ammise Boorman sulla difensiva.

«Ma tu non ci hai parlato, scusa?»

«Ci ho provato. Ma tutte le volte c’era sempre qualcuno appiccicato a lei. O nel peggiore dei casi, Airk stesso.»

«Io intendevo con Airk» fece Elora rassegnata.

«Ah.» Boorman guardò fisso avanti a sé. «No, in realtà no. Insomma… lui è il principe. O per lo meno, è tornato ad esserlo, no? La compagnia si è sciolta!» esclamò in tono teatrale.

Elora si sporse subito per scavalcare Boorman con la propria attenzione e interpellare Graydon seduto al di là. «Graydon, tu pensi che la compagnia si sia sciolta?»

«No, direi proprio di no» rispose lui con un mezzo sorriso, anche se parve un po’ colto alla sprovvista dalla domanda.

«E credi che Airk sia tornato a fare il principe come prima?»

«Assolutamente no» ridacchiò Graydon.

Elora tornò a squadrare Boorman come se fosse un ragazzino più immaturo di lei.

«Che c’è?» fece lui, irritato.

«Perché non dici la verità e basta? In questi giorni non hai fatto altro che mangiare, dormire e sparire giù al villaggio. Non sai neanche che succede, qui.»

«Ehi. Questo non è vero, ragazzina.»

Elora fece per ribattere, ma le trombe mutarono la loro melodia e l’elettricità che gonfiava l’atmosfera dell’arena d’un tratto si espanse come una bolla. Il brusio era andato pian piano scemando mentre parlavano e adesso l’ampio spiazzo circolare ai piedi delle tribune era sgombro. Tutti avevano preso posto.

Con un sospiro di rassegnazione – sia da parte di Elora, sia di Boorman – entrambi si dedicarono a ciò che stava per avvenire.

Sul lato sinistro delle tribune, dove queste piegavano in una sinuosa curva, s’innalzava il posto d’onore della corte reale, le cui arcate in legno erano maggiormente intarsiate e abbellite da stendardi che in quel mattino ondeggiavano appena nella fresca brezza primaverile. Lassù, poco più in alto rispetto al livello al quale sedevano i tre amici, in quel rettangolo vuoto si erano affacciati Sorsha, Kit alla sua destra e Airk alla sinistra. Erano tutti e tre meravigliosi, con abiti nobili che abbellivano ed enfatizzavano le loro forme e ne slanciavano l’altezza, ed avevano i capelli acconciati in modi elaborati. Ai lati della postazione una coppia di guardie reali riempiva il quadro a lancia impugnata ed elmo calato.

«Gentili amici» esordì flemmatica Sorsha, con voce squillante, le braccia aperte. «Grazie di essere accorsi qui oggi. Sono felice e orgogliosa di annunciare ufficialmente all’intera Tir Asleen che la spedizione partita per recuperare mio figlio Airk ha fatto ritorno, e con successo, come potete ben vedere!»

Seguì uno scroscio di applausi ed esclamazioni positive.

A quel punto Sorsha fece un passo indietro, Airk uno avanti. Fu lui a prendere parola.

«E’ un onore e una gioia immensa, per me oggi, essere qui davanti a voi. Non potrei farlo, se non fosse stato per mia sorella, ed i suoi intrepidi e coraggiosi amici.» Altri applausi. Kit si limitava a stare impalata e sorridere di tanto in tanto. «Ma un doveroso ringraziamento va anche a chi è rimasto qui, a custodire e proteggere Tir Asleen mentre la minaccia del nemico continuava a incombere. E come non ringraziare anche… »

«A me sembra che stia proprio facendo il principe» farfugliò Boorman, che aveva avuto l’accortezza di avvolgere la coscia di maiale nel panno delle cucine e messo da parte. Se ne stava però ancora sulla sedia in modo alquanto scomposto. «Quand’è che ha imparato a parlare così? E’ ancora sotto l’effetto di qualche incantesimo, forse» e rise sotto i baffi per la sua stessa battuta.

«Forse, se la smettessi di dire sciocchezze, ti accorgeresti che sta leggendo un discorso» disse Elora sottovoce, che però non riuscì a non sorridere all’ironia di Boorman. «Guarda.» Fece un cenno col capo.

In effetti era vero. Ogni circa sei o sette secondi Airk abbassava lo sguardo, senza interrompere il parlato, per poi rialzarlo. Solo a loro tre e pochi altri della corte, che sedevano così vicini alla tribuna d’onore, era possibile notarlo.

«Scommetto che l’hai aiutato a scriverlo» osservò Graydon rivolgendosi ad Elora.

«Solo un pochino» ammise lei.

«… ed ora lascio la parola a mia sorella Kit» concluse Airk con un immenso sorriso abbagliante.

Kit fece un mezzo passo avanti. Il suo, di sorriso, era invece sincero solo per metà. Pochi fra i presenti la conoscevano a tal punto da intuirlo.

Proprio mentre la principessa apriva bocca, qualcuno sbucò al fianco di Elora sibilando qualcosa a mezza voce.

«Ah, sei tu… mi hai fatto prendere uno spavento!» gemette Elora. Salutò Jade posando una mano sulla sua, mentre lei prendeva posto. «Dove diavolo eri? Ti aspettavamo!»

«Si, lo so, scusate… i preparativi per questo evento sono qualcosa di allucinante, non avete idea.»

Per Jade era stata confezionata un’armatura leggera in stoffa e cuoio delle fattezze di quella che era solita indossare prima, ma questa era interamente bianca e dorata, con diversi drappi ad abbellire il tutto qui e là. Le conferiva un’aria piuttosto solenne, ma anche aggraziata. Aveva i capelli raccolti in numerose treccine sparse nel mezzo della folta chioma.

«Che mi sono persa?»

«Ah, niente di che… il discorso iniziale» le rispose Elora.

«Ehi, vi state perdendo la piccola che si ingarbuglia da sola» intervenne Boorman, concentratissimo.

In effetti era vero. Kit aveva smesso in quel preciso istante di parlare e si mordicchiava vistosamente il labbro, sbattendo le palpebre. Schioccò la lingua sul palato e proseguì. «Come stavo dicendo, quando si è incaricati di un compito simile, non è mai abbastanza la...»

«Direi che sta andando bene» commentò Graydon, e subito dopo soffocò uno sbadiglio dietro una mano.

«Ma voi avete capito quante prove effettivamente ci sono?» domandò Elora.

Jade la ignorò, ipnotizzata da Kit, ma Boorman e Graydon le prestarono ascolto. Il primo scosse il capo, assorto; il secondo invece assunse un cipiglio moderatamente saccente e mostrò il palmo di una mano aperta, pronto a contarne le dita con l’indice dell’altra.

«Taglio del ceppo, percorso a ostacoli, corsa coi sacchi in coppia e duello uno contro uno. Il tutto condito da banchetti, musici, cibo a volontà. E trucchetti e magie di Willow disseminate ovunque, suppongo, come ha detto di voler fare.» Una pausa. «Oh, e il ballo.»

«Cibo a volontà è un dettaglio da non sottovalutare» osservò Boorman, che continuava ad ascoltare Kit – o forse era in attesa di un altro suo strafalcione.

La faccia allibita di Elora venne accompagnata dalla voce di Sorsha.

«Ma non dilunghiamoci oltre!» La regina sbucò di nuovo in mezzo ai due figli riacquistando il centro dell’attenzione. Kit indietreggiò subito di quel mezzo passo, imitata da Airk che continuava a tenerla d’occhio con una certa preoccupazione. «E’ giunto il momento di chiamare qui il resto della compagnia. Gli eroi che hanno affiancato Kit e con lei hanno salvato mio figlio. Ragazzi, prego, salite!»

All’unisono Graydon, Boorman, Elora e Jade si zittirono, si alzarono in piedi e lasciarono la loro seduta sfilando ordinati e composti. Per mezzo di una scalinata raggiunsero la tribuna d’onore, dove li attendevano raggianti Kit, Airk e Sorsha.

Willow si era appena alzato in piedi da una seggiola alle spalle del trio reale: anch’egli sorrideva caloroso agli amici, accompagnato dal suo fidato scettro in cui era stato incastonato un nuovo cristallo magico. Vestiva una sontuosa tunica ricamata che richiamava lo stile del suo popolo, i Nelwyn.

Assieme andarono a sporgersi dalla balaustra in legno massiccio.

L’arena si aprì maestosa e traboccante di spettatori davanti a loro. Un tripudio di bandierine multicolori percorreva l’intera struttura. E l’applauso: arrivò loro uno scroscio di applausi soverchiante, felice, festoso. Grida. Saluti. Braccia che si muovevano. Volti di ogni età e sesso mostravano espressioni gaie e sollevate. Gratitudine.

Quel giorno era per loro.

 

Il tempo si era dilatato durante quell’applauso, ed ogni membro della compagnia aveva potuto assaporarlo in modo del tutto personale.

Fu Sorsha che, alzando le mani, chiamò nuovamente al silenzio.

«Con oggi si aprono i festeggiamenti per celebrare e ringraziare questi giovani eroi ed eroine. Da oggi potrete osservarli e fare il tifo per loro, nei giochi che abbiamo organizzato per divertirci tutti assieme. Che i giochi… abbiano inizio!»

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Capitolo 3
*** Uno spettacolo memorabile ***


3. Uno spettacolo memorabile


 

Dopo il discorso mattutino ci si era spostati al di fuori dell’arena, in una piazza dove era stato allestito un sontuoso e immenso banchetto di una dozzina di lunghi tavoli, con cibarie e bevande di ogni tipo. Già solo quello rispecchiava quanto detto da Jade poco prima: gli allucinanti preparativi per l’evento. Un altro tavolo ad un capo del banchetto era stato disposto in modo diverso e là sedeva la compagnia di avventurieri, assieme alla regina e ad alcuni membri della corte e della guardia reale. Tutti mangiarono a sazietà e godettero di buona musica.

Poi, alla seconda ora dopo il mezzogiorno, si fece ritorno nell’arena. Era stata preparata nel frattempo la postazione dove si sarebbe svolta la prima prova: il Taglio del Ceppo.

Già di per sé il nome era curioso e praticamente tutti (ad eccezione di Boorman) avevano chiesto delucidazioni. Si trattava di una prova di forza, ma non solo: anche di abilità, precisione e concentrazione. Il gioco consisteva nello spaccare a metà un grosso ceppo d’albero nel minor tempo possibile e con meno colpi; vinceva chi ci sarebbe riuscito più in fretta, o avesse dimostrato particolari capacità. Tuttavia il pubblico giocava un ruolo chiave nei giochi: era stato deciso che disponesse di un ampio margine di coinvolgimento nella valutazione del vincitore, dunque non contava soltanto la riuscita di per sé del gioco, bensì anche il come. Doveva entusiasmare, dare spettacolo e coinvolgere chi guardava.

Quello che si era lamentato di più del Taglio del Ceppo era Graydon, che non ci vedeva niente di divertente, ma quasi tutti lo zittirono accusandolo di dire così solo perché era chiaro che non avesse nessuna voglia di mettersi a spaccare legna. Ben presto però avrebbe cambiato idea anche lui.

Fra gli altri invece era già scattata la competizione.

Fu Willow a raffreddare i bollenti spiriti. Apparve loro quando si trovavano seduti dentro la tenda montata a separare lo spazio del gioco da quello dei partecipanti, intenti a concentrarsi, affilare le asce – o le spade – e assumere un atteggiamento di sfida e velato scherno giocoso gli uni con gli altri.

Il Nelwyn apparve con un’aria tutt’altro che rassicurante in volto. Quel sopracciglio là non prometteva niente di buono.

«Oh-ho» fece Jade, intuendolo.

«Non fare quella faccia» lo avvisò Boorman.

«Perché? Perché?» disse Graydon, picchiettandosi una coscia col flauto.

«State tranquilli, amici miei» tentò di rassicurarli Willow, camminando fino a porsi davanti a loro in modo che potessero vederlo bene. «Innanzitutto voglio augurarvi buona fortuna. So che farete grandi cose in questi giorni di giochi, e mi sono impegnato affinché ognuno di voi possa dare il meglio e divertirsi.»

Graydon esalò un altro sospiro e fece ciondolare la testa fra le spalle.

«Come sapete io non posso fisicamente competere con voi. Per ovvi motivi, mi auguro.» Willow passò in rassegna le loro facce una ad una, serio. «Ma voglio divertirmi anch’io, e con Sorsha abbiamo ideato qualche piccolo… stratagemma, affinché possa collaborare ai giochi e allo stesso tempo offrire a voi e al pubblico di Tir Asleen uno spettacolo… memorabile.»

«Aggettivo interessante» bisbigliò Elora, che teneva incrociate strette le dita delle mani sopra alle ginocchia saltellanti.

Willow strinse lo scettro con entrambe le mani. «Non dovete fare altro che andare là fuori e spassarvela, ragazzi.»

«Aspetta, aspetta» intervenne tempestivo Boorman. Si era sciolto e unto capelli e barba, ed era intento a farlo anche con spalle e braccia, visibili fuori dalla casacca smanicata di tela che aveva indossato; ora però si era interrotto. «Tutto qui? Non ci dici nient’altro? Tipo, che ne so… quando appare quella luce sfolgorante che sembrerà volerti uccidere, tu salta a destra! O… se vuoi vincere, non fare questo e quello.» Tirò su col naso.

Kit si limitava ad affilare la sua ascia in silenzio, sebbene il suo sguardo saltasse qua e là in cerca di chi stesse parlando.

Willow strinse le labbra e corrugò la fronte in un modo che non piacque a nessuno.

«Ho aggiunto ad ogni prova trucchetti e trabocchetti magici, specificatamente ideati per ognuno di voi. Non si tratta di nulla di offensivo o pericoloso» aggiunse, una mano aperta verso Boorman che stavolta stava alzandosi per davvero dalla panca. «Innocue illusioni… manifestazioni elementali… roba simile.»

Quando disse roba simile, Willow si soffermò, forse inconsciamente o forse no, su Elora. La quale colse immediatamente: rilassò le spalle e mise su un ghignetto inquietante, guardando in tralice Graydon che le sedeva vicino.

«Avanti, Willow!» esclamò gioviale Airk, all’estremità della panca, di lato a Boorman. «Amico, stai scherzando? Abbiamo viaggiato per mesi insieme, attraversato il Mare Infranto e le boscaglie, montagne e valichi, pianure sconfinate… abbiamo dormito assieme sotto le stelle!» (Boorman gli rifilò un’occhiata storta.) «Dacci un aiutino. Piccolo piccolo!»

Kit stava scuotendo la testa, intimamente divertita. Jade lo notò e ne venne contagiata.

Graydon era ancora ingobbito e depresso, forse ancor più di prima. Boorman, invece, stringeva i pugni sulle gambe come se già tenesse fra le mani il suo spadone, al momento adagiato a terra.

Willow mollò un lungo sospiro e si spostò per raggiungere Airk. Tok, tok, tok, lo scettro picchiettò il terreno asciutto e sabbioso dell’arena.

«No» disse, allargando fra le gote un sorriso da mettere i brividi. Tutti raggelarono (e Airk sembrò colpito da un pugnale alle spalle, a giudicare da come i suoi muscoli facciali si contrassero). «Date il meglio di voi, mi raccomando! Io vi guarderò dalla tribuna assieme a Sorsha.» Il Nelwin diede le spalle alla compagnia, pronto a scostare il tendaggio. «Ah! Chi di voi ne è capace, può usare la magia, ovviamente.» E scomparve.

«Odio quando fa così» grugnì Boorman.

 

 

Era stato deciso (non si sa bene da chi) che i concorrenti si sarebbero esibiti seguendo un ordine alfabetico. Quindi toccò a Airk affrontare la prova per primo.

«Vi preoccupate troppo, ragazzi» affermò il principe, sicuro di sé, sulla soglia della tenda chiusa. Reggeva una grossa ascia nel palmo della mano, che aveva fatto roteare abilmente così tante volte che tutti avevano capito quanto fosse capace di maneggiarla. «Dimenticate che è il pubblico che dovete far scatenare, non Willow. E poi, guardate il lato buono della medaglia. Il peggio che può succedere è che non vinciate! Ma tanto abbiamo già vinto, ricordate? Queste prove non hanno importanza. Godiamocele!» Fece l’occhiolino, poi diede una spallata di lato e oltrepassò la soglia con grinta.

Un boato spaventoso lo accolse fuori, assieme a tamburi roboanti e squilli di trombe.

«La fa facile, lui.» Elora si umettò le labbra e strinse le braccia al petto. «Ha l’intera Tir Asleen che fa il tifo per lui.»

«Non è giusto» protestò Graydon. «Lui è il principe, non dovrebbe partecipare.»

«Lo stesso dovrebbe valere anche per Kit, allora» disse Jade, penetrante.

«Beh...»

La principessa si alzò in piedi, l’ascia in pugno. «Sentite, perché non ci diamo un taglio e pensiamo solo a divertirci, come ci stanno dicendo tutti?»

Nella tenda calò il silenzio. Tamburi e trombe si erano azzittiti e nell’arena regnava il brusio palpitante della folla, che andava e veniva a seguire di chissà quale evento scatenato da Airk.

«Tanto non ci costa niente! E poi, come ha detto Willow, non è nulla di pericoloso. Dovremmo approfittare di questa cosa per rilassarci davvero… » Kit misurò l’interno della tenda ad ampi passi, sbattendo le palpebre. Non sembrava per nulla rilassata. «E’ la prima volta che ci siamo riuniti da quando siamo tornati a casa. Forse può avere un effetto terapeutico.» Si fermò. «Che ne dite?»

«Io dico che hai ragione» le fece eco Jade.

Tutti gli altri la guardarono come a dire ma dai?

«Non hai tutti i torti» ammise Boorman, che aveva piantato le mani sui ginocchi per alzarsi in piedi a sua volta. Aveva finito di ungersi le braccia. Probabilmente avrebbe fatto cadere ai suoi piedi un buon numero di donne una volta fuori, come da piani. «Massì. Facciamolo e basta. Chissene frega!»

«Graydon… hai sentito Willow.» Elora premette una mano sul braccio del ragazzo. «Possiamo usare la magia. Possiamo fare quel che ci pare.» E, sottovoce: «La vittoria è già nostra, capisci? Questi tontoloni con la forza bruta non ci raggiungeranno mai.» Gli sorrise.

E Graydon ricambiò, illuminatosi. Annuì.

OOOOOOOHHH!

Un’esplosione, e gli spettatori dell’arena a loro volta esplosi in un’ovazione. Le trombe suonarono. Applausi.

«Cosa sarà successo?» disse Graydon.

«Io di certo non verrò a dirvelo, dopo» fece Boorman. Toccava a lui. Estrasse dal fodero sulla schiena il suo spadone e uscì a passo di marcia.

 

 

Fu un’attesa snervante. Nella tenda si parlava sempre meno e al contrario si cercava di capire cosa stesse effettivamente accadendo durante la prova. Ma da lì dentro non era facile.

Boorman finì abbastanza in fretta, acclamato da sostanziose urla. Dopo di lui venne il turno di Elora, che uscì cercando di apparire spavalda, ma dal modo in cui le tremavano le mani fu chiaro che non lo era.

«E’ la prima volta che vive una cosa del genere… l’arena, e tutta Tir Asleen davanti a lei. Dalle stalle alle stelle, capite» commentò a mezza voce Graydon, braccia al petto e gambe stiracchiate.

«Quel che hai detto è estremamente sgarbato, Graydon» lo rimbeccò Kit.

Quello deglutì. «Lo so. Scusate. Me ne sono accorto dopo.» Ficcò la testa tra le spalle e ponderò. «E’ che sono preoccupato per lei. Il popolo adesso sa che lei è Elora Danan. Si aspetterà che faccia chissà che… ma Elora è come noi. Ok, è la prescelta e tutto. Però…»

Jade e Kit lo ascoltavano. «Non lo so. Mi sembra un po’ troppo sotto pressione.»

«Tocca a te» disse Jade con un sorriso felino, indicando a Graydon con un cenno del capo l’uscita della tenda. L’ennesimo scroscio di applausi, tambureggiamenti e strombazzate stava annunciando il termine della prova di Elora.

«Oh! Di già?» Graydon lasciò la tenda dritto come un palo, il flauto stretto nel pugno.

«Quest’attesa è snervante» si lamentò Kit, che si era abbandonata sulla panca. Rimanevano soltanto lei e Jade.

La rossa andò a sederlesi vicino e prese la sua mano fra le sue. «Sei preoccupata?»

«No» rispose Kit con semplicità.

Jade cercò di guardarla negli occhi. «Non ti credo.»

«Perché no?»

«Perché tutte le volte che pensi di essere a posto o di essere pronta per qualcosa, in realtà non lo sei mai.»

«Ehi!» Kit aggrottò le sopracciglia. «Non è vero.»

«Forse.» Jade sorrise. Alla fine anche l’altra lo fece, un po’ in ritardo. E alla fine si ritrovarono a ridere assieme.

«Non so che farei, se non avessi te al mio fianco» sussurrò Kit. «Se non ti avessi avuta al mio fianco… da sempre.»

«Adesso non abbiamo tempo per queste cose, Kit» scherzò Jade. «Fra poco devo andare.»

«Fra poco» ripeté la principessa. «Non adesso...»

E invece toccava a Jade proprio adesso. Il miscuglio ormai divenuto famigliare di strumenti musicali miscelati a urla del pubblico s’intromise nella loro conversazione.

Con un mugugno e un sospiro, la rossa si alzò e lasciò la tenda.

 

 

Così come i turni dei precedenti quattro membri della compagnia, anche quello di Jade durò poco.

Durante la breve attesa Kit si era tolta la casacca e il bustino, restando solo in fasciatura al petto ben stretta, pantaloni scuri e stivali. Aveva i capelli un po’ sudati (nella tenda faceva troppo caldo) e quindi continuava a tirarseli indietro con le mani di modo che non dessero fastidio durante l’esibizione. Era intenta a compiere qualche serie di respirazioni per tranquillizzarsi, seduta e con le mani posate sull’ascia tenuta in grembo.

Pepperepéeeee! Pummm, Pummm, Pupuummmm!

Il pubblico strillò come un’unica creatura.

Era il suo momento. Si alzò e andò dritta all’uscita, scostò i lembi di stoffa e fu nella luce.

Accecata, Kit strizzò gli occhi per guardarsi attorno, mentre i suoi piedi andavano avanti da soli pestando il suolo sabbioso dell’arena. Gli abitanti di Tir Asleen sembravano tutti lì, seduti a riempire ogni singolo spazio disponibile sugli spalti. Facevano un chiasso tremendo. Dal cielo cadevano dei coriandoli colorati; confusa, Kit ne cercò la fonte, ma non riuscì a trovarla.

Là in alto risiedeva la postazione dove qualche ora prima era stata anche lei; adesso vi facevano capolino sua mamma e Willow, accomodati su due scranni. Sembravano rilassati e felici.

Lei invece stava impazzendo. Aveva atteso fino a quel momento e aveva dovuto sorbirsi i piagnistei e le chiacchiere degli altri nella tenda. Avrebbe preferito farlo subito e basta.

Al centro preciso dell’arena c’era un piccolo palco in legno con quattro bandierine immacolate agli angoli. Al di sopra era stata sistemata la sezione del tronco di un albero che aveva dovuto essere bello grosso; di sicuro non sarebbe stato come spaccare allegramente la legna per il fuoco, perché quel coso era gigantesco e appariva duro come pietra.

E davanti al ceppo c’era Jade.

«Perché sei ancora qui?» le mormorò Kit una volta vicina. L’altra aveva seguito i suoi movimenti immobile, senza aprir bocca.

Niente. Jade non rispose. La guardava con… gli occhi lucidi?

«Jade… che c’è?» chiede allarmata Kit.

«Non devi farlo, se non vuoi, Kit» sospirò l’altra. «Torna nella tenda e lascia stare. Non ne vale la pena. Davvero.»

Sconcertata, Kit si lasciò scivolare l’ascia di mano senza pensarci due volte e cercò il viso della compagna. Lo toccò.

«Che cosa stai dicendo? Perché dici questo? Cosa ti è successo?»

Una lacrima scese lungo la guancia di Jade. Scosse debolmente il capo. Appariva devastata ed esterrefatta. «Ho fatto una figura orribile. Adesso tutta Tir Asleen non crederà mai più in me. Non potrò più essere cavaliere.»

Non esisteva più niente. L’arena gremita di occhi puntati su di loro e le bocche urlanti; Sorsha e Willow là in alto. Niente. Solo lei e Jade.

Kit non sapeva cosa dire. Possibile che l’esibizione di Jade fosse andata così male? Che avesse potuto distruggerla a tal punto?

E poi, come un batterio, un’intuizione le si insinuò nella mente.

Non è vero.

Kit tolse le mani dalle guance della rossa. Immediatamente si mise alla ricerca della vera Jade nei dintorni: di lato, avanti, indietro. Ma lo spiazzo dell’arena era vuoto, ad eccezione di loro due, il palco e la tenda.

«Tu sei un’illusione di Willow» dichiarò freddamente, piantando gli occhi in quelli dell’apparente Jade che aveva davanti. «Vero?»

Vi fu un momento interminabile durante il quale la ragazza lentigginosa coi capelli rossi ricambiò il suo sguardo, continuando a piangere e trattenendo i singhiozzi. Poi il pianto cessò. S’irrigidì e divenne glaciale. Infine, un minuscolo angolo delle sue labbra s’arricciò.

«Ottimo, Kit» disse. Con la voce di Willow.

E scomparve.

Furibonda, Kit riacciuffò l’ascia e raggiunse il ceppo come una nuvola tempestosa.

«Te la do io l’illusione adesso, piccolo… perfido… » Digrignò i denti e s’impose di non guardare in alto, laddove sedeva Willow in tribuna. Se lo avesse fatto, si sarebbe di certo fatta sfuggire di bocca qualche parola di cui in futuro si sarebbe pentita.

«AAAAAAAAGH!» Ruggendo di rabbia, sollevò l’ascia sopra la testa e poi la fece calare sul ceppo, gli occhi quasi fuori dalle orbite, i muscoli dell’intero torso gonfi per lo sforzo e già madidi di sudore a causa dell’interminabile attesa nella tenda.

La lama affilata e robusta dell’ascia che aveva preso in armeria, una delle sue preferite, s’infilò nel legno compatto del ceppo come fosse burro. Lo aprì a metà di netto con un crrrriack.

Non appena ciò accadde, dal punto dell’impatto proruppero lingue di fiamma. Prima esplosero come un fuoco d’artificio, poi s’innalzarono verso il cielo di almeno una decina di metri. Assunsero l’aspetto di teste di drago a fauci spalancate e crepitarono rumorosissime.

Spaventata, Kit barcollò e cadde indietro. Si controllò i vestiti: non bruciavano.

La folla era fuori di testa. I trombettisti schierati chissà dove soffiavano e gli addetti ai tamburi pestavano i martelli. Kit avvertì le vibrazioni musicali nella cassa toracica, dove il cuore batteva all’impazzata.

Mentre si tirava su, Sorsha e Willow si erano alzati dagli scranni ed affacciati, pieni di gioia. Entrambi le stavano indicando un punto dell’arena: Kit guardò da quella parte e vide una porta in legno aprirsi su una rampa di scale. D’istinto i suoi occhi salirono verso l’alto… Eccoli là, Airk, Boorman, Elora, Graydon e Jade. Seduti fra gli spettatori ad una postazione riservata ricca di festoni variopinti. Avevano tutta l’aria di starsela spassando alla grande.

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Capitolo 4
*** Innocue illusioni ***


4. Innocue illusioni

 

«Hai visto che faccia ha fatto?»

«Avresti dovuto vedere la mia.»

«Io avrei preferito di no, a dire il vero.»

Gli amici chiacchieravano amabilmente quando Kit li raggiunse in tribuna. Sedette un po’ scocciata di fianco a Jade e incrociò le braccia. L’altra ragazza le rivolse una lunga occhiata indagatrice.

«Che succede?»

Kit si aspettava da tutti quel tipo di domanda, meno che da lei. «Come sarebbe a dire? Non hai visto?»

«No» fece l’altra scuotendo il capo. «Le illusioni funzionano solo per noi. Solo tu hai visto… quello che hai visto.»

Boorman sembrava tenere banco inscenando la propria illusione e Graydon, Elora e Airk lo ascoltavano; a Kit non importava molto, al momento.

Quando si decise a rispondere, disse: «Ho visto te» fingendosi distratta sugli addetti allo smontaggio del palco.

«E…?» la incalzò Jade.

Kit si sforzò di raccontarle tutto. Solo all’inizio fu difficile; poi, dalla mimica facciale della compagna, decise che in fin dei conti non era stato poi così grave.

«Mi ha spaventata. Sembrava così reale.»

«Anche le nostre lo erano. Te lo assicuro.» Jade sospirò. Sorrideva appena. Si girò. «Ragazzi. Raccontiamolo anche a Kit.»

Boorman, Graydon, Elora e Airk stavano smettendo di ridere. «Ancora?» disse il primo.

«Io ho visto» prese parola Elora, determinata ad essere gentile e disponibile nei confronti della principessa a discapito di qualunque cosa stessero pensando gli altri, «la Megera. Fluttuava in cerchio attorno al ceppo, urlava cose oscene e mi fissava minacciosa. Da far venire la pelle d’oca, t’assicuro. Ma chiunque dopo un po’ avrebbe capito che si trattava di un’illusione. Ho sbattuto le palpebre e… puf. Sparita.»

«E come hai fatto a tagliare il ceppo?» domandò Kit, lievemente irritata – senza sapere perché.

«Con queste?» mezza divertita, Elora aprì le mani a palmi in su. «Ho sparato un raggio magico e si è spaccato subito a metà. E ne è uscita fuori...» Arricciò il labbro. «… una specie di melma colorata.»

«A me è piaciuta, Elora» tentò di sollevarla Airk. «Era come un vulcano che eruttava lava arcobaleno.»

«Woooow» miagolò quella.

«Al pubblico è piaciuta!» insistette il ragazzo.

«Senti qua» intervenne Boorman, sporgendosi dalla seduta per incrociare lo sguardo di Kit. «Questi dilettanti non hanno proprio idea di che cosa stiano parlando. Davanti a me è apparsa un’intera armata. Orribile. Saranno stati una ventina. A cavallo. Ero pronto a sguainare la spada, stavo andando loro incontro, ma poi… scomparsi.»

Airk era a sua volta proteso in avanti dietro al busto di Boorman, il mento affossato in una mano. «A me non sembrava proprio che volessi usare la spada.»

Boorman voltò la testa.

«Sembrava piuttosto che volessi cadere in ginocchio a piangere» continuò innocentemente Airk.

Boorman gli puntò contro un dito ammonitore e non disse altro.

Ognuno raccontò la propria esperienza. La prova di Boorman era culminata col ceppo frantumato e una colonna di luce che scendeva dal cielo irradiando raggi stroboscopici per tutta l’arena. Airk sostenne invece di aver visto da un lato Elora e dall’altro la Megera in versione giovane e ipoteticamente attraente (nessuno gli credette); il suo effetto speciale finale fu un vasto fuoco d’artificio che esplodendo raffigurò il suo stesso mezzobusto in posa. Quello di Graydon fu il racconto più strano: disse di aver visto se stesso morto ai piedi del ceppo, con la Megera che incombeva su di lui. Confuso, aveva sbattuto le palpebre talmente tanto che la visione si era tramutata in lui che, assieme a Elora, proiettava un raggio magico per stordire e indebolire la strega, come era davvero accaduto. E poi era svanito tutto. Dal suo ceppo era fuoriuscita una musica bellissima e trionfale accompagnata da fasci colorati azzurri simili a un’aurora boreale.

«Io ho visto te» dichiarò Jade, rivolgendosi a Kit. «… morta.»

Kit impallidì.

«Non sei l’unica ad aver preso un bello spavento. Fortuna che è durato poco.» Una pausa, dispiaciuta e disagevole. «Dal mio è venuta fuori una spada enorme fatta di fiamme.»

«Quella mi è piaciuta» sostenne Boorman.

«Sentite, ma non trovate strano che i ceppi di tutti si siano spaccati con un solo e singolo colpo?» osservò Graydon. «Non sarà anche questa un’idea di Willow?»

E difatti aveva proprio ragione. Di lì a poco lo stregone in persona andò a far loro visita, felice come una pasqua. Gli spiegò che ognuno aveva prodotto da sé l’illusione, esercitata in tempo reale dal cristallo del suo scettro. E che aveva scagliato un incantesimo sui ceppi di modo che fossero molto più fragili del normale, anche se in apparenza davano la sensazione opposta. La natura dell’effetto scenico finale invece era dipesa esclusivamente dalla natura di colui o colei che effettuava il taglio, e dal suo stato d’animo in quel momento. Quest’ultimo dettaglio mise tutti d’accordo sul fatto che fosse stata la trovata migliore di Willow.

L’arena era stata sgomberata e lo stregone Nelwin era tornato assieme a Sorsha. Sugli spalti calò il silenzio quando la regina avanzò mostrandosi e, dopo qualche parola spesa a fare i complimenti ai partecipanti, invitò il pubblico intero a esprimere il proprio voto per mezzo di un applauso: lei avrebbe scandito uno dopo l’altro i nomi e l’applauso più fragoroso avrebbe decretato il vincitore.

Vinse Airk. Fra gli amici la cosa suscitò molto più rancore di quanto si aspettassero. Si immusonirono tutti, anche se cercarono di non darlo a vedere; ognuno era troppo orgoglioso di aver vanificato la propria illusione e, soprattutto, di aver scatenato quello specifico effetto scenico dopo il taglio, per accettare la vittoria del principe.

Ma non era finita lì. La prima prova era stata studiata apposta per essere di breve durata e di “antipasto” alla seconda. Che si sarebbe svolta entro un’ora, appena fuori dalle mura di Tir Asleen.

 

 

Il secondo gioco di quei giorni di festeggiamenti, il Percorso a Ostacoli, era stato costruito nel giro di una settimana e con l’ausilio di alcuni incantesimi di Willow. Si trovava a cinque minuti da Tir Asleen, ai piedi di una collina nei pressi del bosco.

Quattro grossi tamburi erano stati piazzati a terra rispettivamente ai quattro angoli di quello che appariva come un labirintico intrico di pali, mura e corde, un costrutto studiato ad arte per far sì che chi ci entrasse probabilmente si perdesse (o cadesse nell’acqua torbida dei lunghi canali che costellavano l’incomprensibile pavimentazione). Si sviluppava sia in larghezza sia in altezza.

Due robusti uomini e due atletiche donne stavano percuotendo all’unisono i tamburi ad un ritmo lento, profondo e ripetitivo. Era venuto ad assistere un buon numero di abitanti di Tir Asleen, anche se non tanti quanti lo avevano fatto col Taglio del Ceppo; molti erano rimasti nell’arena a chiacchierare o mangiare; altri erano tornati a casa contenti della prima esibizione. In fin dei conti era pomeriggio inoltrato e presto il sole avrebbe annunciato il tramonto dietro i colli erbosi.

L’entrata della prova del Percorso a Ostacoli si trovava su uno dei suoi quattro lati, e non era una sola: stavolta i partecipanti iniziavano la prova insieme e senza un ordine preciso. Willow aveva specificato che la libera scelta del punto in cui entrare avrebbe determinato in gran parte l’esito della prova, il che fece calare sui ragazzi il peso di quella responsabilità. Iniziavano ad essere stanchi e il carico di adrenalina del mattino gravava sui loro nervi, ora sommato alle aspettative per la seconda prova.

«Sulla linea di partenza!» dichiarò Sorsha, su un piccolo piedistallo alle spalle della compagnia schierata. Al suo fianco sostava anche Willow, attentissimo, il fidato bastone con sé. «Vi ricordo un’ultima volta. Siete liberi di utilizzare le armi o la magia solo per aprirvi una strada o modificare la struttura del percorso quando possibile. Ogni scorrettezza verrà punita con l’espulsione immediata dal gioco. Vince il primo che raggiunge il centro del labirinto toccando il trofeo che troverà.»

«Occhi aperti, ragazzi» aggiunse il Nelwin, corrucciato. «Non è un labirinto normale. Gli ostacoli che troverete vorranno mettervi fuori gioco. Fate in modo che non sia così! Noi potremo vedere che cosa state facendo grazie ai muri incantati, che sono trasparenti da fuori ma non da dentro. E un’altra cosa… chi cade in acqua vorrà non averlo fatto. Vi dico solo questo.»

Nessuno dei partecipanti si mosse o diede cenno d’aver sentito. Erano tutti e sei estremamente concentrati.

«Pronti?»

Bum. Bum. I tamburi echeggiavano, molto più lentamente dei loro cuori.

«Via!»

Come un’unica entità Jade, Airk, Boorman, Graydon, Kit ed Elora s’insinuarono nel Percorso a Ostacoli.

La prima cosa che furono costretti a fare fu saltare: un fossato largo poco meno di un metro circondava l’intero perimetro del percorso. Poi ognuno guadagnò l’entrata per mezzo del varco che si presentava loro. Jade scostò una tenda di fogliame e scomparve dietro di essa. Airk s’infilò in una fessura verticale fra due spesse travi. Boorman imboccò un alto e stretto corridoio buio. Graydon aprì con le braccia un groviglio di pelli e stracci e lo oltrepassò. Kit spinse una porta che si apriva ruotando su un perno centrale anziché laterale. Elora balzò su una passerella in legno e la percorse in bilico fino a svanire al di là.

 

 

Una volta lasciatasi alle spalle la passerella, Elora prese a percorrere un corridoio lungo e stretto dalle pareti molto alte. Non ne vedeva la fine perché curvavano a sinistra. Arrivò in fondo e dovette fermarsi di botto: il pavimento s’interrompeva per lasciare il posto a un buco squadrato. Dovette scivolare in ginocchio per fermarsi in tempo. Dei sassolini caddero nella fanga di sotto.

Alzò gli occhi e vide Kit che, agile come un gatto, schizzava da un lato all’altro del camminamento, oltre la voragine, e spariva alla vista. Subito dopo, da qualche parte si udì la voce di Boorman gridare scontento: «Eh no, dai!». Altrove qualcosa produsse il suono di un grosso palloncino che scoppiava. Tonfi. Cigolii.

Dovevano essere tutti estremamente vicini gli uni agli altri… ma che diavolo si era inventato stavolta Willow?

«D’accordo… d’accordo» si fece coraggio Elora. Con una buona rincorsa riuscì a superare il buco nel pavimento e si trovò dall’altra parte. Qui poteva scegliere se andare a sinistra (da dove era arrivata Kit, un passaggio simile a quello da cui era arrivata lei), dritto (la strada diventava un soffocante buco in un muro in cui doversi infilare) o a destra (la strada si restringeva e per proseguire ci si doveva reggere a una corda sospesa ad altezza viso).

Senza pensarci Elora svoltò a destra. Faceva passi corti e rapidi e cercava di tenere sotto controllo il respiro. Non era certo un’atleta, ma la determinazione a vincere certo non le mancava, anzi. Era determinata a dare il massimo e a dimostrare a Tir Asleen, e a se stessa, che non era più solo una cuoca a palazzo. Adesso era una maga, un’eroina. Era la futura regnante, e ne sarebbe stata degna. Tutti glielo avrebbero riconosciuto e non soltanto per il nome che portava: lo avrebbe dimostrato coi fatti. Lei poteva vincere. Avrebbe vinto. Ad ogni costo.

Elora s’avvinghiò alla spessa corda con entrambe le mani e continuò, in equilibrio su quel pezzetto di pavimento a lato del quale un’altra voragine si apriva sull’acqua.

Graydon urlò chissà dove. Un muro sembrò crollare. E poi Kit strillò: «Jade!», e Jade che rispose: «Sono qui, Kit!».

Imponendosi di non preoccuparsi di quelle distrazioni, Elora lasciò la corda laddove terminava e, andando a sbattere contro la parete in fondo per la foga, virò a sinistra, l’unica via possibile. Dovette arrestarsi di nuovo: ora davanti a lei si apriva un buco nel terreno molto più grande di quelli incontrati finora; si trattava di un intero stanzone privo di pavimento, sommerso d’acqua marroncina, dalla quale sbucava fuori l’estremità piatta di una dozzina di pali posti in verticale, probabilmente conficcati sul fondo. La loro collocazione sparsa poteva avere un senso, però: saltare dall’uno all’altro doveva essere l’unico modo per superare la sala.

Non c’era soffitto, ma solo un intrico di rami contorti che filtravano la luce e lasciavano penzolare giù viticci aggrovigliati e una miriade di foglioline dal colore scuro.

E in mezzo a quel casino di rametti e foglie c’era Graydon, sospeso sopra l’acqua e i pali. I viticci lo reggevano per le caviglie, i polsi e i fianchi.

«Ciao, Elora» la salutò, incerto.

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Capitolo 5
*** Spirito di gruppo ***


5. Spirito di gruppo

 

«Gyaaaaaah!» ruggì Boorman.

Uno scheletro in carne e ossa – o meglio, in ossa e basta, gli stringeva i polsi e lo bloccava sul posto, le dita ossute a cingergli la pelle. Ma Boorman era un uomo alto e grosso, e con una ginocchiata in pieno petto si liberò dello scheletro mandandolo in frantumi.

Ne arrivò subito un altro. Il terzo. Già, quello di prima era il secondo. Una volta entrato nel Percorso, Boorman si era trovato rinchiuso in una sottospecie di tugurio lungo e squadrato con delle strane luci che svolazzavano qui e là e un’apertura sbarrata da una lastra di roccia dall’altro lato. Non appena vi aveva messo piede, dal terreno era sbucata una mano scheletrica che lo aveva fatto inciampare.

Il terzo scheletro uscì dal terreno come gli altri e gli corse incontro. Boorman iniziava ad essere stufo di quella storia e, più che combattere, voleva capire come uscire dal vicolo cieco. Tuttavia non sapeva nemmeno cosa effettivamente richiamava gli scheletri: la sua presenza? O stava facendo qualcosa di preciso che non avrebbe dovuto fare? Ma non stava facendo nulla, a parte camminare…

Le luci. Come pigre lucciole obese, quelle luci si muovevano a rilento nell’aria pesante, in ordine caotico. Boorman mollò un cazzotto a tutta forza sul muso del terzo scheletro, ma non bastò e dovette assestargli un calcione in petto perché anche il resto del corpo smettesse di muoversi. «E vattene!» si lamentò. Dunque osservò attentamente le luci, ora immobile. Attese. Silenzio.

«Jade!» urlò Kit lontana – ma non poi tanto. «Sono qui, Kit!» di rimando Jade. Boorman se ne fregò. Perfettamente immobile, teneva d’occhio le luci. Più nessuno scheletro. Tutto fermo. L’uomo inarcò un sopracciglio trionfante. Se non toccava le luci, gli scheletri non apparivano!

Dopo altri istanti d’immobilità, un ingranaggio pesante scattò e rotolò dentro alla parete alle sue spalle. E la lastra rocciosa venne rialzata, liberando il passaggio.

«Ah-ha!» esultò Boorman.

 

 

La fessura nella quale Airk si era infilato per entrare nel labirinto si era rivelata molto più lunga di quanto si fosse immaginato. Passare al di là fu un sollievo. Ma solo per poco.

Non c’era pavimento davanti a lui, bensì una lunga vasca piena di fanghiglia. Per attraversarla avrebbe dovuto saltare su degli enormi globi che galleggiavano in essa, quattro in sequenza. Non avevano un aspetto stabile.

Convincendosi di potercela fare, Airk si diede lo slancio e saltò per raggiungere il primo globo. Constatò che era piuttosto scivoloso sotto la suola degli stivali e, se non si fosse accucciato, sarebbe finito dritto nella vasca. Si buttò in avanti e usò anche le mani; dopo un po’ di rimbalzi e galleggiamenti pericolanti, il palloncino gigante si bloccò. Forse era ancorato sul fondo per mezzo di una corda.

Per il secondo sarebbe stato molto più divertente… perché non poteva prendere alcuna rincorsa. Gli toccava alzarsi sui piedi e, mantenendo l’equilibrio, compiere il salto perfetto.

Fu ciò che tentò di fare. Atterrò sul secondo globo e per un pelo mancò di ruzzolare su un fianco solo grazie alla memoria automatica del corpo sviluppata in tanti allenamenti di combattimento. Si trovava ora a pancia in giù con braccia e gambe divaricate su quel secondo pallone a galla sull’acqua, intento a riflettere sulla prossima mossa, quando alzò gli occhi: e li vide, i viticci. Dal soffitto pieno di rampicanti e fogliame scendevano dei rametti, ed erano vivi, animati. Si muovevano come minuscole braccia dalle dita affilate. Prima che Airk potesse fare o dire alcunché se non abbassare le palpebre rassegnato, quei viticci raggiunsero il pallone su cui era appollaiato. Lo trapassarono e quello esplose con un forte rumore di scoppio.

 

 

«Jade!»

«Sono qui, Kit!»

Jade era sicura di aver visto Kit entrare nella stanza nella quale si era trovata quasi senza accorgersene, prima che il soffitto si richiudesse su se stesso e calasse la più totale oscurità. Adesso era, o erano, totalmente al buio e senza punti di riferimento. Non aveva avuto il tempo di capire cosa fosse dove: l’intrusione di Kit nel suo campo visivo l’aveva colta troppo di sorpresa.

«Dove sei?» chiese a bassa voce. «Mi senti?»

«Certo che ti sento» ribatté un po’ acida Kit. «Vieni avanti, sono qui.»

Senza la certezza che il pavimento sotto i piedi la sostenesse, Jade avanzò. Passi brevi, ponderati, tacco-punta. Mani aperte avanti. Meglio non rischiare…

E toccò qualcosa. Stoffa. Morbido.

«Ehi!»

«Uh?»

«Jade.»

«Cosa? Ah, sei qui.»

Si cercarono le braccia, poi le mani. Sospirarono forte.

«Questo gioco fa schifo» esalò Kit.

Jade non rispose. Batteva le palpebre ma non vedeva niente. Anche l’udito sembrava fuori uso lì dentro, perché i rumori prodotti dagli altri erano cessati.

«Qualche idea su come uscire?» disse Kit.

Jade si prese un istante prima di rispondere. «No… non so com’è fatta la stanza.»

«Da dove sei arrivata?»

«Come faccio a spiegartelo?»

«Ah, non lo so, provaci. Magari ci è d’aiuto.»

«Mi sono arrampicata su una scala di corda, poi mi sono appesa a una liana e ho dondolato fino a un’apertura. Mi ha portata qui. Tu?»

«Una liana?»

«Si.»

«Quindi al soffitto ci sono quelle liane e le foglie anche da dove sei arrivata tu?»

«Si, credo di si.»

«Lo credi o lo sai?»

«Non ho guardato il soffitto tutto il tempo, Kit. Ma credo di si.»

I loro respiri echeggiavano in maniera innaturale, troppo per le dimensioni che erano certe avesse l’ambiente in cui si trovavano.

«Aspetta un secondo» mormorò Kit. E staccò le mani dalle sue.

Ci fu un frush-frush.

«Jade! Alza le mani.»

«Eh?»

«Alza le mani sopra la testa e senti.»

Jade obbedì e alzò le mani sopra la testa. Avvertì il tocco di foglie e steli rigidi.

«Mh. Cosa dovrebbe voler dire?»

Ci fu un frushhhh più forte. Mentre della roba cadeva in testa a Jade, sopra di loro si aprì uno spiraglio di luce.

«Tira! Tira le piante, dobbiamo aprirci noi un varco!» gridò Kit. Jade la vide nella penombra accanto a sé, intenta ad acciuffare una manciata di quelle liane che venivano giù dall’alto.

Ci si mise anche lei. Ne strinse un gruppetto fra le dita e tirò più forte che poté: quelle opposero ben poca resistenza e si fecero estirpare. Altra luce dissipò l’oscurità.

Kit sorrideva sollevata. E anche Jade. Fecero qualche passo per raggiungere altre piante.

Ed ecco che il pavimento si aprì sotto i loro piedi. Buche. Entrambe caddero nel vuoto.

 

 

«Metti il piede là, Elora! No, no! Non su quella, quell’altra! Alla tua destra, alla tua destra!» strillava Graydon, ancora appeso al soffitto.

Elora si trovava sotto di lui, con un piede sull’estremità emersa di un palo e un piede su un’altra. Faceva volteggiare sghemba le braccia ai lati del busto per non perdere l’equilibrio, mentre delle creature dalla forma ignota volavano all’impazzata fuori e dentro l’acqua, come dei minuscoli delfini. Però più perfidi, e più brutti. Ce n’erano tantissimi.

Elora si spinse in avanti, ma troppo precipitosamente. Coi piedi ancora fermi su due pali diversi, piantò le mani su un terzo, il più vicino, e rischiò per un pelo di finire in acqua. Quei cosi acquatici ora le rimbalzavano addosso con tanti piccoli splat vischiosi per poi precipitare di nuovo di sotto.

Graydon scosse il capo ricciuto. «Te l’avevo detto di lasciarmi perdere. Di andare avanti.»

«Non ti lascio qui, Graydon!»

Il ragazzo la guardò. Elora era bloccata in una posa assurda, e pure buffa. Che si trasse in salvo incolume dalle acque paludose del Percorso era pressoché impossibile. E anche nel caso ci fosse riuscita, i viticci probabilmente avrebbero preso anche lei. Lui aveva indugiato troppo ed era stato preso.

«Ci sarà un modo per passare» gemette Elora. I muscoli cominciavano a tremarle.

«Si» fece Graydon. «Saltare da un palo all’altro abbastanza velocemente da non farsi prendere dalle piante o dalle ranocchie perfide.»

«Ma è assurdo. Sono venute fuori non appena mi sono mossa. E poi con me le piante non hanno attaccato.» E, mentre lo diceva, capì. «Ma certo...»

«Cosa?»

«Willow non ha detto che non dobbiamo cadere in acqua. Ha soltanto detto che se lo avessimo fatto ce ne saremmo pentiti.»

Ci fu un istante durante il quale il cervello di Graydon elaborò quell’informazione. «No, Elora, aspetta!»

Ma Elora aveva già lasciato la presa. Splunf! Finì nella fanga di pancia.

Fu disgustoso. L’acqua era vischiosa e opaca, e vi galleggiava dentro del pulviscolo. Senza perdersi d’animo Elora mosse le braccia e si mise a nuotare. Le ranocchie-delfino perfide fendevano l’acqua a velocità supersonica circondandola da ogni parte, ma non la sfioravano nemmeno. Le stavano addirittura alla larga. Continuò con una certa fatica a nuotare, schivando i pali quando apparivano sulla sua traiettoria, finché non raggiunse una parete. Si spinse in alto per riemergere.

Con una boccata d’aria rumorosa Elora riempì i polmoni, poi si issò sulla soglia che conduceva oltre quella dannata sala. Si trovava ancora prona sul pavimento, ansimante e sgocciolante, quando Graydon mugolò: «Elora?»

«Si?» fece lei, esausta. La nuotata in quell’acqua così densa l’aveva sfinita.

«Ehm...»

La ragazza si voltò. E vide i rospi-delfini saltare come dei forsennati, concentrati in un unico punto sotto Graydon. Sembravano assolutamente determinati a raggiungerlo, dando forma a un nugolo compatto e impazzito. Era come vedere una frotta di zanzare, solo più grandi e bagnate.

La rossa protese una mano e strizzò gli occhi. Doveva aiutarlo… doveva usare la magia. Ma era troppo stanca. Non ci sarebbe riuscita. Inutile. Per quanto si sforzasse, essere all’altezza del suo nome era troppo difficile...

D’un tratto una delle pareti della sala esplose. Una nuvola di polvere e detriti venne proiettata ovunque. Ne emerse Boorman, coperto da capo a piedi di quella stessa polvere incolore. Reggeva un martello enorme fra le mani, la faccia sfigurata dallo sfinimento.

«Davvero questo non è il centro?!» sbottò.

 

 

«Boorman! Aiuta Graydon!» lo implorò Elora.

L’uomo non ci mise molto ad analizzare la situazione. Mentre gli occhi scuri studiavano con un certo ribrezzo i delfini-rospo miniaturizzati, la sua mano calò al cinturone, ne staccò una sferetta metallica e la gettò al centro della vasca. Quella deflagrò liberando una fiammata pazzesca che mise fuori gioco le bestiacce.

«Ma sei pazzo??» strillò isterico Graydon. Gli fumavano le sopracciglia.

Le creature acquatiche erano sparite. Non una stava più tentando di uscire dall’acqua.

«Forza, fuori di qui» disse Boorman. Gettato in terra il martellone, si staccò dalla schiena una specie di zattera monoposto e la depose senza troppa cura sulla superficie dell’acqua. Poi ci salì sopra con cautela e utilizzando le mani per remare si spinse in avanti.

Elora era a bocca aperta, confusa per troppe cose. «Ahm… come ti sei procurato quella roba?»

«Entrate privilegiate» disse fiero Boorman. «Entrate privilegiate. Dai, Graydon, dammi la mano.» Porgeva la sua in alto, dove quella del ragazzo scendeva giù. Le piante al soffitto non dovevano aver gradito molto le fiamme perché si stavano lentamente ritirando: giusto in tempo perché il ragazzo venisse rilasciato e finisse tra le braccia di Boorman.

«Aaw» esclamò Elora, raddolcita da quella scena. Si era inginocchiata sul terreno e si strizzava i capelli bagnati.

«Mettimi giù!» disse irrequieto Graydon.

«Certo. Altrimenti chi rema fino all’altro lato?» ribatté l’uomo.

E insieme i tre varcarono l’uscita da quella stanza infernale.

 

 

Il centro del Percorso a Ostacoli consisteva in una saletta anonima, spoglia e vuota, chiusa da pareti pallide e disadorne. La solita vegetazione faceva capolino dal soffitto attenuando la luce solare, già poca di per sé. Nel mezzo un piccolo pilastro cilindrico faceva da supporto a un’anfora di terracotta.

Graydon, Elora e Boorman si trovavano su una delle quattro soglie che permettevano di entrare. Guardinghi, studiavano l’ambiente. Dal momento che l’acqua nella quale Elora si era tuffata puzzava in un modo orribile, gli altri due se ne stavano un po’ a distanza – anche se era piuttosto inutile, il tanfo arrivava lo stesso.

«Il pavimento sembra a posto, qui» osservò Graydon.

«Si, beh, dovreste fare una qualche magia voi, per assicurarci che sia davvero a posto» commentò sbrigativo l’uomo barbuto.

Non faceva una piega. Elora aprì una mano e pronunciò delle parole magiche.

«Ilanor Vinanna Polar! Ilanor Vinanna Polar!»

«Come se le inventerà, poi?» bisbigliò Boorman, avvicinandosi all’orecchio di Graydon. Quello soffocò una risata.

Un raggio magico partì dalle dita della rossa e si diramò per il pavimento della sala come una ragnatela luminosa. Ci fu un tremito e parve che la sostanza stessa di cui erano fatti i muri crepitasse. Non accadde nulla.

Attesero per sicurezza ancora un po’, ma non stava davvero succedendo niente.

«Ok. Graydon, ora prova tu» consigliò Elora.

Graydon annuì ed estrasse il fidato flauto. Con un poco di concentrazione, anche lui sparò un fulmine incantato che andò a colpire la pavimentazione bianchiccia, rimbalzò contro le pareti e si protese ovunque con un leggero scricchiolio elettrico. Poi scomparve.

«A posto» disse Graydon. «Direi che possiamo andare.» E fu il primo a mettere piede dentro.

Silenzio. Solo i piedi di lui che strascicavano appena sulla sabbiolina a terra. Dunque anche Elora e Boorman gli furono dietro, circospetti più che mai. I tre si arrestarono davanti all’anfora sul piedistallo: Boorman al centro, Elora a sinistra e Graydon a destra.

«Beh» fece il ladro. «Se non vi dispiace, ragazzi…» e si proiettò in avanti a braccio teso, pronto a guadagnarsi l’oggetto bramato.

Elora e Graydon lo acciuffarono nello stesso istante e lo bloccarono. Si guardarono negli occhi, improvvisamente allarmati, mentre si sforzavano di immobilizzare l’uomo, impresa non facile dato che era molto più alto e forte di loro. Poi Graydon ebbe l’idea vincente di fargli lo sgambetto, e quello ruzzolò al suolo gemendo.

«Vai, Elora, prendila!»

La fanciulla non obbedì.

«Elora

«No.» Lei scosse il capo rosso. «Così non è giusto.»

Graydon si era buttato addosso a Boorman nel tentativo di mantenerlo bloccato. «Prendila

«No» si rifiutò di nuovo Elora, triste e sconfitta.

Con un ruggito da orso in calore, Boorman si liberò di Graydon spostandolo di lato, si erse in piedi e si fiondò sull’anfora a dita spiegate. La prese e la sollevò dalla sua postazione.

«Ho vinto! Ho vintoooo!» strepitò, più infuriato che felice, l’anfora sollevata sopra i capelli disordinati e sporchi un po’ di tutto. Rifilò ai due ragazzi un’espressione da invasato, il respiro corto.

«Molto bene» echeggiò sinistra ma amichevole la voce di Willow. Arrivava da… boh? «La prova è finita! Complimenti a tutti. Restate dove siete, veniamo a prendervi.»

 

 

Il sole stava ormai tramontando dietro i colli tingendo di rosso il cielo. L’aria si era fatta più fredda. Una parte del pubblico se n’era andata, ma la maggior parte era rimasta ad assistere al termine del gioco.

I sei concorrenti stavano eretti davanti a Sorsha, uno di fianco all’altro. Airk, Jade e Kit erano usciti prima dal percorso, ma a loro adesso si era unita anche Elora e i quattro erano avvolti ognuno in una pesante coperta per asciugarsi dalle acque torbide nelle quali erano caduti. Airk appariva assente; Jade, perplessa; Kit, furiosa; Elora, afflitta.

Graydon, se avesse voluto, avrebbe potuto fulminare sul posto Boorman: fortuna che non era un mago oscuro. Si limitava a guardarlo con fastidio represso. E di tanto in tanto si voltava verso Elora con dispiacere e trasporto.

«Complimenti al vincitore del secondo gioco, il Percorso a Ostacoli. Boorman!» annunciò Sorsha. Anche lei dava i primi segni di averne abbastanza di quella giornata impegnativa.

Seguì un forte applauso e Boorman che sollevava l’anfora in segno di trionfo davanti alla folla, raggiante.

«Tuttavia.» La voce squillante e chiara di Willow fece da chiusura all’applauso e trasse a sé l’attenzione di chiunque fosse presente. Se ne stava tranquillo a lato di Sorsha, col suo bastone. Però stavolta mostrava un sorriso soddisfatto, dolce. «Abbiamo visto tutti cosa è successo. Possiamo dire che… il primo posto va a Thraxus Boorman. Per il coraggio, l’abilità e l’ottimo intuito.»

Altro breve applauso. La gente era troppo curiosa di sapere come avrebbe continuato Willow. L’unico a non sembrare (più) completamente soddisfatto era Boorman.

«Il secondo posto… va a Elora Danan. Per aver dimostrato bontà d’animo, altruismo, spirito di gruppo. Qualità di cui ognuno di noi avrebbe più bisogno, e che siamo fieri di aver visto in te.» C’era un non so che di paterno nei modi del Nelwin. Aveva scandito con calma e precisione le parole, guardando dritto verso Elora. Lei rimase interdetta e stupita un attimo, per poi aprirsi in un sorriso e accogliere il rumorosissimo applauso degli spettatori, mentre si portava impacciata i capelli bagnaticci dietro le orecchie.

Anche Sorsha e gli altri ragazzi manifestarono il loro assenso. Lo stesso Boorman, posata l’anfora, batté le mani e gli sorrise da dietro la barba.

 

Terzo posto: Graydon, per lo spirito altruistico dimostrato.

Quarto posto: Jade.

Quinto posto: Kit.

Sesto posto: Airk.

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Capitolo 6
*** Cambio di equilibri ***


6. Cambio di equilibri

 

Il fuoco crepitava tranquillo e allegro al centro del falò. Attorno ad esso sedevano Airk, Jade, Kit e Boorman, avvolti in pellicce e abiti pesanti. Una volta conclusosi ufficialmente il primo giorno di festeggiamenti per il loro ritorno a Tir Asleen e tutti si erano finalmente dileguati, la compagnia di avventurieri aveva deciso di ascoltare la proposta di Kit: allestire un campo nei pressi delle mura e dormire lì assieme, intorno al fuoco, sotto le stelle. Come avevano fatto per tante notti.

Regnava un silenzio innaturale, sebbene si trovassero a meno di dieci minuti di cammino dal castello. Al di là delle mura cittadine c’era l’intera popolazione di Tir Asleen che dormiva nelle case. Eppure, era lo stesso un po’ come trovarsi all’addiaccio, sperduti in un qualche luogo lontano.

Nessuno parlava troppo. Ognuno era immerso in profonde riflessioni; giusto di tanto in tanto scambiava cogli altri uno sguardo complice, un sorriso, o una porzione del cibo cotto sul falò.

«Sapete, mi mancava» esordì Boorman. Le fiamme arancioni si riflettevano nei suoi occhi facendolo apparire più giovane di quanto non fosse. «Non so se è una cosa buona.»

«Io credo di si» disse Airk.

«Certo che lo è» dichiarò con una certa soddisfazione Kit, che aveva finito il suo spiedino e stava arrostendo un’estremità dello stecco. «Adesso so cosa vuol dire viaggiare. Andare oltre la Barriera. Vivere le avventure che ho sempre sognato di fare fin da quando ero bambina. Non so quanto sarò capace di fare la principessina chiusa nel mio castello, d’ora in poi.»

Jade sedeva accanto a Kit, quasi attaccata a lei, e poggiava il proprio peso indietro sulle mani, assorta e rilassata. A quel pensiero espresso dalla compagna si portò avanti, per spiare l’espressione che aveva in viso l’altra: Kit era molto concentrata sul suo stecco fumante. Jade rimase in silenzio, sorridendo appena.

Per un pezzo nessun altro disse niente. Il crepitio del fuoco li legava assieme, pacifico, amichevole.

«Credo che quando la festa sarà finita, andrò a trovare mia madre» osservò Boorman, un po’ incredulo per le sue stesse parole. «E voi?»

«Beh, a quanto pare» disse Kit, lanciando al fratello un’occhiata sfuggente, «a Tir Asleen hanno sentito particolarmente la nostra mancanza. Nostra madre ci ha detto che al castello hanno delle novità importanti da comunicarci, una volta finita la festa.»

Airk la guardò a lungo, distratto ma concentrato al tempo stesso; rimase a labbra cucite e tornò a contemplare il fuoco.

«E tu?» domandò l’uomo barbuto, stavolta rivolgendosi a Jade. Quella non si aspettava di essere interpellata direttamente e si irrigidì nella posa seduta che aveva acquistato.

«Ehm» temporeggiò. Non osava guardare la principessa al suo fianco. «Io non ho ancora deciso. Mi piacerebbe molto vedere mia sorella… da quando ci siamo separati alla miniera, non so più dove sia o… insomma, se sia ancora viva.»

«Ci andremo insieme» esclamò Kit energica, avendo colto l’incertezza nella voce di Jade. «Quando vorrai andare, io ci sarò.»

«E le tue faccende… di famiglia?»

«Quelle aspetteranno. Hanno aspettato fino ad ora, possono farlo ancora un po’.»

Seguì un altro lungo momento in cui nessuno parlò.

«Ce l’avranno fatta, quei due?» sospirò Boorman, rompendo di nuovo il silenzio per primo.

«Spero proprio di si» fece Jade, sorridente.

Kit si voltò piano per esaminare il volto di suo fratello. Sembrava calmo, ma anche molto riflessivo. Troppo.

«Che c’è?»

Airk si riscosse. «Eh?»

«A che cosa stai pensando?»

Il principe non rispose subito. «A Elora.» Una pausa. «Non so che cosa fare. Non abbiamo parlato molto in questi giorni. Io ci ho provato, ma...»

«Airk» lo punzecchiò Kit. «Questo non è vero. Lo abbiamo visto tutti. La eviti.»

«N-no!» Il fratello si sentiva chiaramente punto sul vivo. «Ho cercato di parlarle, va bene? Solo… da soli. Non sono riuscito a trovare un momento in cui poter parlare da soli. E’ sempre insieme a voi, o… che ne so.»

Gli altri tre gli rifilarono un’occhiata un po’ rassegnata e un po’ comprensiva. Boorman inarcò le sopracciglia ed espirò dal naso.

«Non devi avercela con te stesso per quel che è successo» continuò Kit. «E poi avresti dovuto vederla, quando siamo partiti. Si è intestardita a voler venire con noi contro la nostra volontà. Voleva salvarti ad ogni costo.» Strinse le labbra. «Beh. Se non lo avesse fatto, oggi non saresti qui. Nessuno di noi lo sarebbe.»

Dopo un po’, Jade aggiunse: «Credo che ti amasse davvero, Airk. E ti ama ancora… forse in modo diverso da prima.» Airk le rivolse uno sguardo esitante. «Ma sono successe tante cose. Sono cambiati gli equilibri fra di noi, da quando...»

«Da quando la Megera è morta» concluse Kit, senza troppi giri di parole.

Con fatica, Airk disse: «L’importante è che sia felice. Voglio solo questo.»

«Suu, forza» ruppe il ghiaccio Boorman, sistemandosi meglio sul sedere. «Cosa sono questi piagnistei. Siete giovani! Queste cose accadono, e… possono sembrare una tragedia, almeno all’inizio… ma poi passa. L’amore va e viene, come il vento… non puoi vederlo, non puoi trattenerlo… puoi solo gustarlo finché c’è.» Sfoderò un breve e languido sorriso.

Un po’ magra come consolazione, dovettero pensare gli altri tre, a giudicare da come lo fissarono.

Jade si spinse piano contro il busto di Kit e avvolse un braccio attorno al suo, in cerca della mano. Lei le posò delicatamente la testa sulla spalla.

 

 

 

«Sicura che non hai freddo?»

Per la terza volta, Graydon era in procinto di sfilarsi la pelliccia dalle spalle.

«Si, davvero» rispose Elora. «Ti ho detto che sto bene!»

«D’accordo. Non te lo chiedo più, allora.»

Camminavano nel folto del boschetto vicino a Tir Asleen, a poco più di un tiro di sasso dalle mura. Elora aveva consumato in fretta la sua cena e poi aveva annunciato di voler andare a fare una passeggiata lì intorno; Graydon, notata l’incertezza di Airk, si era subito proposto di farle compagnia.

E lei aveva accettato.

Gli alberi erano fitti, ma la luna era quasi piena e c’era un sacco di luce. Inoltre, la primavera non era ancora sbocciata del tutto, lasciando i rami parzialmente spogli. Tuttavia faceva molto freddo quando calava la notte.

«Elora...» incominciò Graydon. «Riguardo quello che ti ho detto quella volta, sul Mare Infranto...»

La ragazza si girò lentamente, sorpresa.

«Ecco… insomma, non so bene come dirtelo, ma… non voglio causarti problemi. Se tu…»

«Graydon, tu non sei un problema» disse subito Elora.

L’altro sembrò rincuorato dalla cosa. «D’accordo. Bene. Meglio così.»

Elora sollevò il mento per contemplare la luna e trasse un profondo respiro. «Non so più cosa c’è fra me e Airk, da… quella volta. Non abbiamo più parlato, e… quell’intesa che avevamo prima… Non lo so, forse gli piacevo perché ero una cuoca e basta. Perché facevo la sguattera. Adesso che sono Elora Danan, per lui sono troppo.»

Graydon rallentò, apparentemente ammaliato dal profilo della rossa.

«A volte mi sembra di essere troppo perfino per me stessa» ammise Elora, scuotendo il capo. «Non riesco più a guardarlo come facevo prima. Sento di essere diversa.»

Si erano fermati entrambi in mezzo agli alberi. Regnava un silenzio innaturale. Un gufo cantava lì attorno.

«Non sei troppo, Elora. Sei solo quello che devi essere. Che sei.» Graydon deglutì. «Sei fantastica. Se non fosse stato per te, la Megera non avrebbe fatto la fine che ha fatto. Se tu non fossi quello che sei… io oggi non potrei essere qui. Hai salvato me, hai salvato tutti noi!»

Elora incrociò il suo sguardo. Non avrebbe saputo decifrare l’espressione di Graydon. Nella penombra lunare, i ricci che cadevano sulla sua fronte gli davano un fascino nuovo, tutto suo. Sembrava più maturo rispetto a qualche mese prima. Gli occhi, due pozzi neri, erano rivolti al suo viso.

«Beh, questo non è vero! Ok, sono Elora Danan… ma anche voi siete formidabili, presi da soli. Guarda Kit, e la corazza che può indossare. O la destrezza nel combattimento di Jade. Il modo in cui Boorman è capace di affrontare un intero squadrone di nemici da solo…»

«Elora.»

«Tu! Tu sai usare la magia, come me… è stata una sorpresa, e sei anche piuttosto bravo. Molto bravo. Senza di te non avrei potuto sconfiggere la Megera. E poi Airk, anche lui è formidabile con la spada.»

Graydon sospirò.

«Non è forse vero?» insistette la rossa.

«Elora, perché non riconosci quanto sei incredibile?» Il ragazzo le si avvicinò di un passo. «Quanto sei… » Sospirò. «Non perché hai un nome famoso che conoscono tutti. Non perché sei predestinata a diventare chissà chi. Ma… perché sei tu. Tu e basta. Nessuna Elora Danan.» Alzò piano le mani per andare a cingere le spalle della ragazza, paralizzata sul posto. «Brunilde.»

Sentir pronunciare il nome che aveva prima, fece rizzare a Elora i peli sulla nuca. Ebbe un leggero fremito.

Si guardarono in volto, molto vicini.

Fu Graydon ad accostarsi e a baciarla per primo. Senza fretta e con gentilezza, caso mai Elora avesse preferito rifiutare.

Ma Elora non si rifiutò.

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Capitolo 7
*** Divertimento esplosivo ***


7. Divertimento esplosivo

 

Nuovo giorno, nuova gara. Quel dì l’arena era di nuovo piena di spettatori, accorsi per quella che probabilmente ci si prospettava fosse la prova più divertente e interessante: la Corsa coi Sacchi in Coppia. Qualcuno si era addirittura appostato fuori dalle entrate poco prima dell’alba, di modo da accalappiarsi i posti migliori.

Al centro dell’arena era stato piazzato un recinto rettangolare a delimitarne una precisa porzione. Là dentro il terreno sembrava stato scavato, rivoltato, rimesso a nuovo e anche innaffiato, perché era più scuro e grumoso. Un grosso cartello campeggiava sopra ai pali che delimitavano l’entrata, su uno dei lati corti del recinto: Corsa coi Sacchi, e più sotto, Divertimento Esplosivo.

 

 

«Divertimento esplosivo???»

«Non c’è da preoccuparsi» aveva risposto Willow, chino su un mortaio, intento a spappolare qualche erba in un composto abbastanza disgustoso. «Ma ti pare che mi invento qualcosa che possa ferirvi?»

Kit sbatté le palpebre, fisso su di lui, riabbassando le braccia. Aveva interrotto la sua colazione per fiondarsi nelle cucine, dove le era stato detto si trovasse lo stregone.

«Sarà meglio per te» gli aveva intimato Kit, puntandogli un dito contro. Anche se, conciata così, con quella camicia da notte svolazzante sotto al mantello aperto, aveva avuto un’aria tutt’altro che minacciosa. «Non ho voglia di saltare per aria.»

Willow aveva messo giù il pestello e tirato un sospiro, alzando gli occhi. «Ti preoccupi per te, o per… chi?» Un sorriso storto.

Senza parole, Kit aveva boccheggiato. «N-non so di cosa parli.»

«Ve l’ho detto, ieri, nella tenda. Le magie che ho escogitato sono del tutto innocue. Mi sono solo inventato qualche parolone, giusto per fomentare la folla. Dai, vai a finire la colazione.»

Sorpresa di scoprirsi così protettiva nei confronti di Jade e degli altri, Kit era uscita dalla cucina senza fiatare.

«E’ più pronta di quanto tu creda» aveva mormorato Willow, tornando a lavorare le erbe nel mortaio. «Più di quanto lei stessa creda.»

Una figura era spuntata da dietro una colonna. Sorsha. Guardava la porta dietro cui sua figlia era appena scomparsa, con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

 

 

Il consono rullo di tamburi cominciò ad annunciare l’inizio dei giochi. La folla si calmò e pian piano si ammutolì. Intanto, i sei partecipanti si erano schierati davanti all’entrata del percorso, assieme a Sorsha e Willow che avevano già provveduto ai discorsoni cerimoniali di benvenuto.

«D’accordo, ragazzi» esordì il Nelwin. Teneva sotto braccio un grosso sacco di iuta. Si fermarono. «Qui dentro ci sono i vostri nomi. Dato che siete in sei, tre fra di voi verranno a pescarne uno, e quello che verrà fuori sarà il suo compagno o compagna durante il gioco di oggi. Tutto chiaro?»

Gli altri annuirono. Era stato loro consigliato, ai fini del gioco, di optare per un abbigliamento più sobrio, semplice e sgargiante, monocromatico, rispetto a quello utilizzato il giorno prima: Graydon vestiva di blu, Airk di verde, Boorman di rosso, Elora di azzurro, Kit di nero e Jade di arancione. Inoltre chi aveva i capelli lunghi li aveva raccolti in code o crocchie, di modo che non dessero fastidio durante il gioco.

Willow porse il sacco e lo aprì. A turno prima Elora, poi Boorman e infine Graydon andarono a pescare un nome.

 

Elora – Kit

Boorman – Airk

Graydon – Jade

 

Inutile dire che, quale che fosse stato l’abbinamento, tutti avevano storto un po’ il naso e fattosi pensierosi. Quel gioco poteva pure sembrare molto divertente all’apparenza, ma toccava a loro doversi infilare in due dentro un sacco e attraversare il recinto, in mezzo a chissà quale diavoleria di Willow.

«Le regole sono sempre le stesse. Anche se sono sicura che le rispetterete» intervenne Sorsha. «Niente scorrettezze. E’ vietato intralciare l’avanzata degli altri. Ma non temete… avrete abbastanza a cui pensare, una volta dentro.»

Preoccupati di questo ultimo piccolo dettaglio, i sei andarono a raccogliere i tre grossi e robusti sacchi che erano stati appesi a un palo vicino all’entrata del recinto. Mentre si riposizionavano, constatarono quanto fossero lunghi e larghi. Intanto, Willow continuava a blaterare per cercare di rassicurarli, e la folla riprendeva imperterrita a rumoreggiare sovrastando i tamburi.

«Qualunque cosa accada, mi raccomando, proseguite. E’ tutto a prova di Airk.»

«Ehi!» protestò quello, colto alla sprovvista.

«Scherzavo! Stavo scherzando» Willow protese le mani aperte. «Mi ha chiesto tua sorella di dirlo, lamentati con lei.» Kit strozzò una risata. «Nei sacchi, forza!»

I sacchi erano abbastanza spaziosi da permettere a Boorman, che era il più massiccio dei sei, di entrare con entrambi i piedi e permettere al principe di Tir Asleen di fare comodamente lo stesso assieme a lui.

Eppure, quelle che si lamentavano di più erano Elora e Kit.

«No… no, ahia! E’ il mio piede, quello!»

«Se magari ti facessi un po’ più da parte...»

«Sono già da parte! Occupa il tuo spazio!»

«Ce ne fosse, forse, lo potrei anche fare.»

«Entra e basta, Kit, ti prego.»

«Non… non ci riesco! Mi sono impigliata!»

«Oh, per favore...»

«Dico davvero! Dammi una mano, piuttosto!

Graydon e Jade dovettero interrompere la fase di preparazione e dar loro una mano, perché Kit aveva davvero incastrato uno stivale nella cucitura interna, mentre Elora semplicemente occupava troppo spazio e fu necessario spiegarle come posizionare i piedi e le braccia. Non era mica una procedura semplice, nemmeno con Willow e Sorsha a sovrintendere.

«Ottimo!» Il Nelwin batté le mani e sorrise malignamente. «Pronti?»

Quattro dei sei partecipanti scossero la testa anziché annuire. Boorman e Airk erano rimasti impalati, forse a disagio per il fatto di condividere uno spazio così piccolo, oppure già estremamente determinati a vincere.

«Bene. Auguri, e che vinca il migliore. O meglio, i migliori. Oh! Occhio alle buche. Ce ne sono… un paio, qui e là.»

«Cosa?» esclamò Kit.

«Fra gli altri tranelli, insomma. Buona gara!» Con Sorsha al fianco che scuoteva la testa e sorrideva sorniona, Willow si allontanò, diretto al varco fra le tribune che conduceva al palco d’onore.

«Aaah… perché ho la sensazione che sarà tutta Tir Asleen a divertirsi, tranne noi?» gemette Kit. Elora si voltò sfiorandole la guancia col naso, demolita dalla sua poca fiducia.

«Calmi, ragazzi! Va tutto bene. L’importante è rimanere concentrati e…» la buttò lì Graydon. «… godersi l’esperienza, no?» Jade annuì accanto a lui.

Boorman e Airk non fiatavano, occhi dritti sul traguardo, laggiù in fondo, dove era stata tesa una fascia bianca da palo a palo. Quasi stavano a braccetto l’un con l’altro.

VIA!, gridò Willow in mezzo alle solite trombe squillanti.

 

 

Due bombe fumogene liberarono un nuvolone grigio accecante che inondò lo spazio di entrata nel recinto. Le tre coppie vi si trovarono nel bel mezzo quando scoppiarono. Ulularono e gridarono, chi spaventato, chi arrabbiato. Ma non si fermarono.

Oltrepassato il fumo, fu facile capire che il percorso era stato separato in tre corsie parallele, delimitate da una grossa corda a terra. Proseguirono.

Per avanzare in quel gioco folle ed esilarante, occorreva innanzitutto un’ottima intesa e coordinazione dei membri della coppia: dovevano saltare nello stesso istante se volevano procedere, altrimenti si restava fermi o, nel più disastroso dei casi, si cadeva in due, trascinati giù da quello o quella che aveva sbagliato tempismo. In secondo luogo, si doveva avere piena consapevolezza del “mezzo di trasporto” utilizzato, il sacco. Si doveva reggere ben stretto il bordo superiore, su per giù all’altezza del ventre o del petto, di modo che ad ogni balzo quello non scivolasse. Insomma, la coppia doveva agire come un’unica entità.

In più si sarebbero messe in mezzo le trappole di Willow.

Ad un primo esame, la coppia che se la stava cavando meglio era la Graydon – Jade: poche ciance, intesa silenziosa, predisposizione alla praticità, volontà a dimostrare le proprie capacità. Se la stavano cavando alla grande, lì nella loro corsia di destra, davanti agli altri di due o tre balzi.

Subito dopo di loro venivano Boorman e Airk, nella corsia al centro. Avanzavano piuttosto bene: buona sincronia, ottima fisicità. Il problema è che tenevano le braccia un po’ troppo larghe e per questo continuavano a mollarsi gomitate nelle costole un salto si e uno no, con annesse lamentele.

Elora e Kit invece erano un disastro, nella corsia a sinistra. Avevano superato la linea di partenza di appena un paio di balzi e continuavano incessantemente a lagnarsi. La loro sincronia era pessima, saltavano l’una in ritardo di mezzo secondo rispetto all’altra, senza contare il terreno limaccioso nel quale si affondava di due dita buone, il che rendeva atterraggio e carica del salto cosa non facile. Al quarto balzo, difatti, finirono faccia a terra. Si tirarono su a fatica, accese dall’ira e la voglia di raggiungere gli altri, e ripartirono.

Più avanti, Graydon esclamava: «Attenta!», mentre il terreno sprofondava in un piccolo fossato ai suoi piedi. Ci mancò poco che Jade non lo tirasse giù. Contarono fino a tre e, con un salto ben calibrato, oltrepassarono l’ostacolo.

Boorman e Airk invece erano alle prese con un’altra tipologia di ostacolo: dal sottosuolo era emerso davanti a loro un fantoccio di legno pieno di braccia, di quelli che usano i lottatori corpo a corpo per allenarsi. Una magia lo manteneva in perpetua rotazione. Non era così grosso da riempire tutta la corsia, ma passare oltre significava che almeno uno dei due avrebbe dovuto beccarsi una botta da qualche parte.

«Vai, vai, vai!!» esortò Boorman a voce alta, irritato dal fatto che Airk si fosse fermato.

«E dove vuoi andare?» protestò il principe. «Dobbiamo passare al momento giusto!»

«Beh, il momento giusto è ora! Muoviti, andiamo!»

«No, aspet… »

E splat. Finirono giù.

«Uno! Due! Uno! Due! Uno… due!»

«Ok… ok! … Ce l’ho… ce l’ho!»

Le voci sovrapposte e concitate di Elora e Kit si avvicinavano ai due baldi uomini crollati nel fango. Si voltarono e videro le ragazze che lentamente li superavano: si erano sincronizzate grazie a Kit che scandiva i numeri “uno, due” e l’altra che seguiva le indicazioni.

Senza troppe storie Boorman e Airk tornarono in piedi e cercarono di passare a fianco del manichino rotante, accettando l’altissima probabilità di beccarsi un colpo in faccia. Purtroppo si accorsero tardi che le braccia apparentemente minacciose dell’ostacolo erano inconsistenti, robuste più o meno come la pergamena. A labbra cucite andarono avanti, almeno per rimettersi in pari con Kit ed Elora.

Là davanti, Jade e Graydon sembravano avanzare ottimamente. Si trovavano già a metà percorso. Esattamente il punto dove Willow avrebbe potuto piazzare un trabocchetto particolarmente interessante...

E così fu. Prima di non capire più un accidente e trovarsi la bocca piena di non sapevano cosa, Jade e Graydon avvertirono un clic sotto i piedi, all’atterraggio dell’ennesimo salto. Qualcosa venne rilasciato nell’aria. Ne furono accecati. Ed erano a bocca aperta, dato che quell’attività faceva per forza venire il fiatone.

Da dietro, gli altri videro solo la coppia vincente scomparire dentro diverse nuvolone colorate, una blu, una rossa e una verde, liberate da uno scoppio poderoso.

«Continua a saltare! Non fermarti!» urlò Graydon a occhi strizzati. E sputacchiò senza ritegno quella robaccia. Jade tossiva e sputava a sua volta. Entrambi erano coperti da capo a piedi di quella polvere variopinta, pelle e vestiti. Persino le ciglia.

Boorman ridacchiava rumorosamente. Li stavano raggiungendo, lui e Airk. E lo stesso si poteva dire per Elora e Kit, che apparentemente avevano guadagnato un ottimo ritmo e coordinazione.

Per le altre due coppie non vi fu alcun tranello ad attenderli a metà percorso, mentre superavano Graydon e Jade intenti a pulirsi la faccia e ripartire di buona lena. Giusto poco più avanti...

La corsia di sinistra bloccò senza il minimo preavviso,l’avanzata di Elora e Kit con una buona dozzina di buche circolari sparse qui e là. Semplicemente la terra venne risucchiata in basso con un rumore viscido. Passare in mezzo a quel groviera avrebbe richiesto grande abilità, concentrazione e cautela. Rallentarono, si guardarono e continuarono a procedere con la dovuta attenzione.

Al loro fianco, Boorman e Airk sghignazzavano della loro sfortuna; e proprio nel bel mezzo delle risate, i loro piedi cozzarono contro qualcosa di duro. Dal fango erano emersi dei bassi gradini, una serie da sei o sette almeno, che andavano scavalcati… o meglio, saltati. Al primo di sicuro avevano fatto cilecca, perché il divertimento era scemato nella seconda rovinosa caduta.

Ai tre quarti di percorso, la situazione era questa: Jade e Graydon che riguadagnavano terreno in seconda posizione; Elora e Kit che, facendo lo slalom fra le buche, primeggiavano davanti; Boorman e Airk, in terza posizione, con qualche difficoltà ad alzarsi perché uno voleva farlo più in fretta dell’altro.

La fascia bianca che delimitava il traguardo distava ormai poco. Willow non era potuto essere così perfido da piazzare trappole proprio alla fine, non dopo tutta quella fatica…

E invece si: proprio al limitare dell’arrivo, si innalzò dal terreno un vero e proprio muro. Per oltrepassarlo ci si doveva infilare in un’apposita fessura larga quanto una persona. Una, non due. Ciò significava il doversi trascinare avanti di traverso, uno davanti e l’altro dietro, anziché saltare uno di lato all’altro in parallelo. Proprio all’ultimo cambiavano le regole del gioco.

Senza fiatare, Kit decise che sarebbe andata davanti lei. Ma Elora non doveva essere d’accordo, perché le tirò la manica biascicando: «Aspetta, fallo fare a me questo!»

La principessa non le diede ascolto. Una luce strana le animava il volto e gli occhi; la competizione l’aveva infiammata ed ora andava a fuoco. Come i capelli e la faccia di Elora, più o meno. «Ehi, ascoltami!» continuò lei, strattonando la manica di Kit.

Si misero a litigare come due bambine, con vocine strozzate, schizzate di fango dappertutto, lì ai piedi del muro. Non si accorsero neanche che Jade e Graydon non solo le avevano raggiunte, ma si stavano già posizionando in modo da passare, Jade davanti e Graydon dietro, in perfetta sintonia e senza una parola. Comunicavano a gesti e sguardi ardenti. Nonostante l’aria sfiancata e sudicia, stavano passando oltre la fessura nel muro con estrema efficacia, strisciando pian piano i piedi nel terreno fangoso.

«Uuuuuaaaaaah!» ululò Boorman, due o tre salti più indietro. Doveva essere fuori di sé per via del mix “essere rimasto così indietro” più “ennesimo ultimo ostacolo odioso”. La sua coda di cavallo si era sciolta e i capelli neri gli svolazzavano attorno alla testa e davanti alla faccia ogni volta che faceva su e giù, la barba tutta sporca e gli occhi sporgenti. Airk invece, un po’ derelitto, cercava di tenere il suo passo–salto, anche lui insozzato (ma coi capelli ancora raccolti, per fortuna).

«D’accordo, vai tu!» cedette infine Kit stizzita. E forse Elora avrebbe anche condotto bene attraverso il varco nel muro, se non fosse che in quel momento la coppia della corsia di destra aveva appena tagliato il traguardo.

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Capitolo 8
*** Ritorno di fiamma ***


8. Ritorno di fiamma

 

La Corsa coi Sacchi aveva reso tutti estremamente esausti, Willow compreso. Il piazzamento delle trappole lo aveva impegnato fin dal primo mattino, senza contare il resto dei preparativi assieme a Sorsha e i suoi consiglieri.

Quella sera, al consono e ricco banchetto che si teneva nell’arena, partecipò di nuovo moltissima gente: il cibo era gratis, fornito dalle cucine del castello (e da un altro gran mucchio di cuochi e massaie offertesi a Tir Asleen per l’evento), il vino scorreva a fiumi e la musica suonava a volontà fino a tardi.

Kit sedeva al tavolo della corte, stravaccata e mezza distesa con i piedi sulla panca. Teneva una mano sulla fronte e gli occhi chiusi: aveva l’aria di qualcuno che ha saltato dentro un sacco per troppo tempo, è caduto nel fango, ha bisticciato, ha perso la competizione e poi si è buscato un brutto mal di testa.

Al tavolo non sedeva nessuno; gli altri erano andati tutti a ballare. Ad eccezione di…

«Ehi, principessa» brontolò Boorman.

«Mhn.» Kit staccò la mano dalla fronte e ruotò la testa, ma non aprì gli occhi. Boorman stava di fronte a lei sull’altro lato del tavolo, intento a mangiare. Ancora.

«Non hai una bella cera. Non hai nemmeno mangiato. Che ti prende?»

«Si che ho mangiato...» ribatté Kit, stanca. «E’ solo che non ho fame. Voglio solo andarmene a dormire.»

La fugace perplessità di Boorman lo portò a tardarsi sul viso pallido di Kit giusto un istante. Poi tornò a divorare a mani nude il suo pollo arrosto.

Poco distante, su un ampio palco di legno che veniva montato velocemente e facilmente la sera dopo i giochi, si ballava. Elora, Graydon, Airk e Jade erano là in mezzo. A fianco del palco un buon numero di musici intratteneva strimpellando arpe, liuti, violini, campanelli, fisarmoniche, tamburi e tamburelli. Al momento il ritmo era sostenuto e allegro.

Nonostante le gambe dolessero quasi a ognuno di loro, i ragazzi si erano dati alle danze senza pensarci troppo su. Dopo un momento iniziale in cui avevano ballato assieme, Airk si era allontanato, attratto da chissà quale fanciulla; Graydon allora aveva ben compensato la sua assenza e magnetizzato la vacua attenzione di Elora, proponendole un ballo in coppia. Jade aveva dovuto accontentarsi di ballare con sconosciuti o alcuni bambini che le gironzolavano attorno, divertendosi forse molto più degli altri.

 

 

«Hem-hem» si schiarì la voce Airk, alle spalle di una saltellante Elora. Lei si voltò e vide il principe guardarla dritto negli occhi: l’aura da cagnolino bastonato era fiutabile anche a chilometri di distanza. Graydon, al fianco della ragazza, smise di ballare.

«Elora… posso… posso parlarti?»

Disorientata, Elora gli rispose un po’ in ritardo. «Si. Va bene.» E aggiunse rivolgendosi a Graydon: «Torno subito.»

Si allontanarono insieme lasciando la pista da ballo.

Graydon, a cui sembravano stati appesi due enormi macigni a entrambe le spalle, cercò una via di fuga dall’intreccio di corpi che si divertiva attorno a lui. Ma una mano sul braccio lo arrestò. Jade.

«Volevo fare una pausa, sono un po’ stanco» commentò lui, sforzandosi (malissimo) di sorridere.

«Va bene. Vengo con te» disse Jade, che forse sin da principio non aveva voluto proporgli di ballare assieme ma solo di parlare. In fila indiana si aprirono un varco e anche loro abbandonarono il palco. Là in fondo Kit era perfettamente visibile, con le gambe distese e gli stivali poggiati sulla panca. Però guardava da quella parte; doveva aver notato Jade, perché sollevò di poco il capo e fece un breve cenno di saluto. Lei fece altrettanto, per poi indicare Graydon. Kit annuì e tornò meditabonda.

«Allora...» esordì Jade, mentre si sedevano su un muretto perimetrale, proprio ai piedi degli spalti, lontano dalla ressa che mangiava, chiacchierava e danzava. «… ho saputo che hai rivisto tuo padre.»

Un sospirone da parte di Graydon. «Si. Diciamo che non è esattamente entusiasta di me.»

«Voleva che… cos’è che voleva? Che tu uccidessi Airk? O Boorman? Non ricordo con esattezza.» Quella di Jade suonò molto più come una battuta di quanto in realtà fosse.

«Lascia perdere.» Graydon si passò una mano nei capelli, poi buttò di peso la fronte sul palmo, aggiustato il gomito su un ginocchio.

Jade lo esaminò con calma. «Tornerai a casa, dopo la festa, suppongo.»

«Si.»

«Sarà strano non averti più intorno… ti manca casa tua?»

Durante il viaggio di ritorno, gli avventurieri avevano avuto modo di discutere di molti argomenti, ma era tutto diverso adesso che si trovavano al sicuro, protetti: potevano parlare con spirito più leggero di qualsiasi cosa.

«Ma certo» rispose Graydon. «Anche se non sarà mai come prima. Sto iniziando ad affezionarmi a Tir Asleen. Ma… sono il principe là. Ovviamente devo fare ritorno.»

Jade annuì e si strinse le mani intrecciate sulle gambe. Non aveva ancora capito bene quale fosse la situazione familiare di lui adesso che non si doveva più sposare con Kit e aveva tradito i segreti propositi del re del suo regno, suo padre. Ovviamente il matrimonio organizzato fra la principessa di Tir Asleen e Graydon era stato annullato la sera stessa del loro arrivo, non appena entrambi avevano spiegato quasi con noncuranza le proprie posizioni a Sorsha.

Jade preferì cambiare discorso, tornando al vero motivo per cui aveva deciso di smettere di ballare e stare in compagnia di Graydon. «Come va con Elora?»

Lui staccò la testa dalla mano e tornò eretto. «Non lo so. Cosa intendi dire?»

«Beh… ieri sera, nel bosco… è stato chiaro un po’ a tutti, insomma.»

«Oh.» Forse Graydon unì i puntini solo in quel momento. «Giusto.» Si schiarì la voce. «E’ combattuta, in realtà. Dice che Airk non gli interessa più, ma...»

«Io credo abbiano solo bisogno di parlarsi e dirsi le cose come stanno» ribadì Jade, ferma ma gentile. «Sono due bambinoni.»

Graydon si voltò a guardarla quasi con allarme.

«Voglio dire… fanno fatica a esternare i propri sentimenti e a chiarirsi, adesso che… sono diversi» aggiunse con attenzione Jade. «Ma dev’essere così per ognuno di noi, dopo tutto.»

«Si. Penso sia così.» Lui annuì e tornò a cercare distrattamente Elora nei dintorni. Non si vedeva. Chissà dove si era cacciata seguendo Airk.

«Grazie, Jade.»

«Di cosa?»

Graydon cercò lo sguardo di lei. «Sei una buona amica. Lo apprezzo molto. Kit è molto fortunata.»

Jade ricambiò con un caloroso sorriso.

«A proposito… dov’è?»

«Laggiù» indicò la rossa, allungando un dito in direzione della tavolata reale. Kit era ancora immobile al suo posto, spiaggiata e derelitta. Boorman seduto accanto aveva smesso di mangiare, sonnacchioso e pensieroso.

«Dai, vieni. Andiamo a parlarle. Non sembra stare bene» propose Graydon.

Si alzarono e avviarono dalla principessa. Raggiungendola, però, notarono subito che Boorman non stava sonnecchiando né pensando, bensì leggendo qualcosa su un foglio stropicciato steso sul tavolo. Nel pugno stretto di una mano teneva un piccolo sasso. Quando li notò, il ladro fu come colto da un raptus e appallottolò fulmineo il messaggio, ad occhi sgranati.

«Che cos’è?» domandò Graydon, mentre Jade sedeva dietro la testa di Kit e le sussurrava qualcosa.

Boorman tardò a rispondere, con un’aria apparentemente sconvolta. Passò in rassegna i presenti e poi si fermò su Jade, che dovette percepire la sua attenzione perché si girò dalla sua parte. «Vieni con me» disse soltanto. Si alzò e si mise a camminare senza attendere.

Confusa, Jade decise di seguirlo. L’uomo s’infilò in uno dei tanti pertugi che dallo spiazzo dell’arena portavano agli spalti attraverso una stretta e ripida scaletta.

«Che succede, Boorman?» gli chiese, allarmata.

L’altro non rispose. Aveva assunto un atteggiamento molto insolito per il suo temperamento.

«Ehi? Terra chiama Boorman?»

«Adesso lo vedrai» scandì l’altro. Avevano raggiunto gli spalti. Nessuno stava lassù a quell’ora, le fiaccole erano spente e le sedute avvolte nel buio della notte. La musica e le voci festanti facevano da cornice a quell’atmosfera appena più intima e raccolta. Boorman continuava a camminare e Jade alle sue spalle si sporse per cercare d’intuire dove stessero andando o per quale motivo: così facendo, notò una figura ammantata di scuro seduta poco più avanti.

«Ti pare il modo di dichiarare il tuo amore, questo?» esclamò infine Boorman, chiaramente non rivolto a Jade dietro di lei. «Colpendomi con un sasso.»

«Preferivi una freccia?» rispose una voce. La sua voce…

«Scorpia?» disse fremente Jade, occhi negli occhi con sua sorella maggiore.

 

 

 

Dopo essere riuscita a portare in salvo un altissimo numero di prigionieri dalle miniere ove si erano separati, Scorpia aveva fatto ritorno alla sua gente nel bosco. Per poi essere stata irrimediabilmente attratta da Tir Asleen una volta venuta a sapere che la compagnia vi era rientrata.

«Sono appena arrivata» continuò a spiegare Scorpia. Sotto al mantello logoro indossava gli abiti tipici del suo popolo. Non teneva più i capelli stretti nelle treccine della prima volta in cui l’avevano incontrata: adesso li teneva tagliati corti e sciolti. Somigliava di più a Jade così. «Aspettarvi era inutile. Voi come state? Vi trovo bene.»

Jade e Boorman le raccontarono per sommi capi cos’era successo dopo che avevano abbandonato le miniere dei troll. Jade era al settimo cielo: si tratteneva dall’abbracciare Scorpia solo per via di Boorman e perché aleggiava un’atmosfera da mistero segretissimo; Boorman invece faceva il figo, atteggiandosi eccessivamente da eroe che ha salvato il mondo e ora ha la sua bella che le cade ai piedi.

«Perché non vieni a fare due salti giù con noi?» propose lui. «Nessuno ti riconoscerà. Qui nessuno sa chi sei.»

«Neanche se vedono questi?» osservò Scorpia, abbassando il mento a indicare gli indumenti che portava addosso.

«Qui vicino hanno montato una tenda dove ci cambiamo» disse Jade. «Puoi metterti qualcosa di mio, abbiamo più o meno la stessa taglia.»

«Più o meno» commentarono, quasi in coro, Scorpia e Boorman.

 

 

 

Fu una conclusione di serata decisamente inaspettata: Scorpia che ballava in mezzo agli abitanti di Tir Asleen, ora avvinghiata a Boorman con il sottofondo di un lento romanticissimo, ora a braccetto con Jade mentre una canzone allegra invitava tutti a buttarsi nella ressa a fare le trottole.

Alla fine si scoprì che Airk aveva discusso con Elora molto meno di quanto ci si aspettasse: lei era tornata al tavolo della corte poco dopo la dipartita di Jade e Boorman, dicendo che il principe le aveva spiegato quanto fosse difficile ora rapportarsi ed essere gli stessi di prima. Elora fu felice di non doversi dilungare e limitarsi solo ad acconsentire e aggiungere che comunque si sarebbero sempre voluti bene al di là di tutto.

«Credo che stia venendo mal di testa anche a me» mugugnò lei, la testa elegantemente acconciata stretta fra le mani.

«Forse è il caso che andiamo a riposare» disse comprensivo Graydon, con un sorriso da guancia a guancia. «Domani sarà una giornata impegnativa!»

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Capitolo 9
*** Sorpresa alchemica ***


9. Sorpresa alchemica


 

File e file di lame, lance, scudi, balestre, archi e armature riempivano l’armeria su appositi ganci, rastrelliere e manichini. Sotto ai riflessi multicolore irraggiati da un grosso finestrone era stato posizionato il mezzobusto di un manichino che doveva sorreggere una speciale armatura, apposta per quel giorno.

Kit era lì davanti, in piedi, spada in spalla. Contemplava la Corazza Kymeriana.

Un rumore asciutto di passi alle sue spalle la fece voltare. In fondo alla stanza c’era Jade.

«Ti ho cercata dappertutto» iniziò quella. La sua voce echeggiava nell’armeria. «Stiamo per iniziare, Kit. Che fai qui da sola?»

«Arrivo» rispose Kit, pensierosa. Tornò a squadrare la Corazza.

Avvertì i piedi della compagna avvicinarsi e poi il suo tocco su un fianco.

«Ci riuscirai.»

Più volte Kit si era confidata con lei esternando il suo timore di non riuscire a indossare da sola la Corazza. Custodiva la Lux Arcana come un tesoro in un borsello nella sua stanza al castello, e quando la tirava fuori era solo per volare con la mente al giorno in cui le sarebbe servito di nuovo utilizzarla. Da quando si erano scontrati con la Megera, non era più stato necessario.

«L’ultima volta sei stata tu a darmela. La Lux.»

«Si» ribatté Jade, dolce. «E ti ha riconosciuta. La Lux ti ha riconosciuta, Kit. Io ti ho solo aiutata. Ora sei pronta. Puoi anche farlo da sola.»

Kit si voltò di quel tanto che bastava a inquadrare il viso della rossa. Solo con lei si concedeva di apparire così vulnerabile, così scoperta. Non era triste, solo un po’ preoccupata. E in trepidazione.

Si sorrisero.

 

 

Piccoli e festosi fuochi d’artificio tingevano il cielo coperto di nubi di quel mattino. Willow lo stregone si era inventato un tipo di spettacolo pirotecnico che si poteva ammirare anche di giorno, chissà come: quando il missile esplodeva, liberava subito una densa polvere nera in ogni direzione, per poi sprigionare la polvere da sparo variopinta vera e propria su quel fondo scuro.

«Io dico che pioverà» commentò saccente Boorman, le lunghe gambe che calpestavano le pozzanghere sul terreno. Quella notte aveva piovuto.

«Non essere così negativo» fece Elora. «Io spero di no, invece. Sarebbe un disastro.»

«Beh, se non altro renderebbe il tutto molto più epico e suggestivo, non pensi?»

Si stavano dirigendo all’arena.

«Kit e Jade? Le avete viste?» proseguì Elora, annodandosi la treccia sopra la testa.

«No» rispose Graydon alle loro spalle. «Credo siano rimaste al castello. Così ha detto Airk.»

«E lui? Il principe dov’è? A lustrarsi i parabracci?» disse Boorman sogghignando. Elora gli diede una leggera gomitata.

«Ha detto che doveva discutere di qualcosa di importante con Willow.»

Gli spalti non erano ancora gremiti e la gente appostata sulle gradinate non aveva motivo di esultare, perciò l’arena si trovava immersa in un silenzio greve e quasi inquietante, date le dimensioni. Il trio fece il suo ingresso in sordina per mezzo di uno dei tanti cancelli laterali e si indirizzò alla tenda, quella del primo giorno, che era stata montata in un angolo dello spiazzo.

Al suo interno ci trovarono Willow e Airk che discutevano in modo acceso.

«… si, ma non puoi farlo!» stava dicendo Airk. «E’ una follia!»

«Solo perché è la tua prima volta, mio caro ragazzo, non significa che sia così.» Il tono del Nelwin era calmo ma tagliente. «Si farà in questo modo.»

«Che cosa si farà?» intervenne Boorman, pronto a smascherare eventuali misteri poco piacevoli.

Willow posò su di lui una delle sue micidiali occhiate da sopracciglio incuneato. «E’ una sorpresa.»

«Oh, un’altra» si lamentò a mezza voce Elora.

«Non puoi dirci cos’è e basta, stavolta, Willow?» disse Graydon aprendo le braccia. «E’ l’ultimo gioco… sono tre giorni che andiamo avanti così, iniziamo a essere stanchi. Per di più questo è il Duello… non abbiamo voglia di scontrarci fra di noi. Ma lo facciamo per voi. Per voi, d’accordo? Per Tir Asleen!»

Il ragazzo aveva realmente dato voce alle opinioni dell’intero gruppo?

Willow sospirò. Prese a camminare, dirigendosi verso uno scaffale dove erano esibite un mucchio di boccette colorate. Allungò una mano e ne prese una. La studiò.

«Per questa prova...» iniziò.

«Perché le chiama prove, mette soggezione» sibilò Boorman.

«… ho deciso… abbiamo deciso, io e Sorsha, di sottoporvi a un piccolo test.»

Il ladro si lasciò sfuggire l’ennesimo commento: «Magnifico.» Elora invece si limitò a una risatina mezza isterica. Graydon era allibito.

«Ovviamente non potete scontrarvi con armi comuni. Nessuno ha voglia di vedere ferite vere, non dopo quello che è successo e non adesso, durante i festeggiamenti. Non su di voi, che al momento siete gli eroi e le eroine del regno. Non vogliamo rischiare. Sorsha mi ha chiesto di escogitare qualcosa che rendesse la sfida… divertente, e al contempo innocua.» Sospirò ed esaminò un’altra volta la boccettina fra le dita.

Boorman, Elora e Graydon pendevano dalle sue labbra. Airk se ne stava a braccia conserte, corrucciato.

«E’ da giorni che ci lavoro. Ho creato diversi elisir alchemici e li ho imbottigliati. Qui dentro.» Mostrò il contenitore a forma di goccia che teneva in mano, facendolo brillare alla luce che entrava nella tenda dal foro centrale sul soffitto. Dopo di che andò a riporlo dove stava prima. «Ognuno di essi ha effetti differenti. Temporanei. E assolutamente indolori.»

«Si, ma… che fanno?» insistette Boorman.

«Vi daranno dei… curiosi poteri, da utilizzare per scontrarvi fra di voi. Senza farvi male. Non posso dire di più perché non so da quale fiala berrete. Sta qui la sorpresa.» Willow era tornato al fianco di un perplessissimo Airk. «E’ il bello dello spettacolo.»

Un po’ sconcertata, Elora esclamò: «Vuoi usarci come cavie per i tuoi esperimenti?»

Quello portò avanti le mani. «Li ho testati prima di proporveli» disse in tono di chi si stava quasi offendendo per la scarsa fiducia riposta. «Alcuni provocano una trasformazione fisica. Altri conferiscono dei poteri magici. Altri ancora… chissà.»

«Chissà!» ripeté Airk lamentoso, e si scostò dal Nelwin. «Willow, è proprio questo il punto! Io ho una certa reputazione da mantenere. Sono il principe! Non posso… non voglio farmi vedere da tutti quanti con… che ne so, una coda di maiale che mi spunta dal di dietro!»

Boorman trattenne una risata. Anche Elora e Graydon furono tentati di sorridere, e non resistettero.

«E invece ti farà bene eccome, mio principe. Così capiranno che anche tu, nella tua maestà, sei umano come tutti noi.»

Le parole di Willow schiacciarono inesorabili Airk come una frana. Palliduccio, si diresse a un angolo della tenda e prese a far roteare e poi lucidare la sua spada, che a quanto pare si era portato dietro – inutilmente.

Un istante dopo entrarono nella tenda Jade e Kit. Quest’ultima aveva sotto braccio la Corazza Kymeriana e un ampio sorriso a illuminarle i lineamenti. «Tutti pronti?»

Quella splendida felicità le venne tolta quando anche a loro due venne raccontato quale sarebbe stata la procedura per il gioco di quel giorno.

«Coosa? No! No, assolutamente no! Mi sono preparata psicologicamente per oggi, e poi… e poi io voglio indossare la Corazza, va bene?» Accaldata, Kit stava spiegandosi e dimenandosi. «E’ una scemenza, Willow!»

«Sembra un po’ esagerato anche a me» si accodò Jade, molto seria.

Willow sbuffò forte. Airk invece sembrava rincuorato dalle parole della sorella ed era tornato a far parte del gruppo, speranzoso.

«Ma è possibile che non abbiate un briciolo di fiducia in me, voialtri?» disse piccato lo stregone.

«Aaaah- noo?» ribatté Kit, inarrestabile. «Ci hai rifilato di tutto da quando sono iniziati i giochi. Per non parlare delle pochissime volte in cui hai usato la magia per aiutarci durante il viaggio per la Città Immemore. Praticamente mai! Eri sempre il primo a volersi arrendere!» Prese fiato avvampando. «Sono stanca, non ho dormito un accidente stanotte e ho bisogno di sfogarmi, va bene?»

Nella tenda calò un silenzio denso, da sabbie mobili. Tutti si guardarono con timore e un senso morboso di agghiacciante attesa.

«Voglio combattere. Con la spada di mio padre. E con la Corazza Kymeriana» dichiarò Kit.

Dopo un altro lasso di tempo estremamente poco piacevole durante il quale nessuno osò parlare, Willow finalmente aprì bocca. «Non posso permettertelo, Kit Tanthalos. Mi dispiace.» E lei stava per esplodere un’altra volta, quando lo stregone continuò: «E’ il desiderio di tua madre, prima del mio. E anche il mio. Hai ragione. Non sono lo stregone che tutti voi credete. Non sono mai stato l’eroe che i libri raccontano. La mia è fama immotivata. Sono un prestigiatore. E senza dubbio avrei potuto fare di meglio con voi.» Elora provò pietà per il suo maestro e fece per interromperlo, ma lui negò con un cenno. «Ma vi voglio bene. Mi sono affezionato… come se foste figli miei.» Li guardò uno a uno, la severità del volto che andava intiepidendosi, gli occhi accesi di paterno affetto. «Capisco il vostro sconforto e…» Fece un lungo sospiro. «D’accordo.»

D’accordo cosa?, dovettero pensare in coro i presenti.

«Potrete usare le vostre armi.»

La tenda si riempì di respiri, sbuffi e mugugni d’assenso.

«E assieme servirvi dei miei elisir.»

I rumori soffocarono.

«Come, prego?» commentò a fil di voce Boorman.

«Anche quelle risentiranno degli effetti magici dell’elisir. Così saremo tutti contenti. Voi avrete armi e armature, quello che volete… e io e Sorsha - e Tir Asleen» calcando particolarmente sull’ultimo nome «ci godremo lo spettacolo a cuor leggero.»

Altro silenzio. Kit teneva il mento alto quasi in atteggiamento di sfida, squadrando il basso Nelwin davanti a lei, i ciuffi arruffati sulla fronte e un paio di vaghe borse sotto agli occhi.

«Andata.»

«Non c’era bisogno di dirlo, non ho bisogno della tua approvazione» la rimbeccò Willow. «Sono io che decido.»

Boorman e Airk aggrottarono la fronte. Elora invece tentò un: «Ehm, Willow...», ma quello se ne stava già andando.

«Che palle» borbottò Graydon.

«Avresti potuto evitare, Kit» disse Jade, una volta che lo stregone fu uscito dalla tenda.

La principessa andò a sedersi al tavolo con le lunghe panche dove due giorni addietro si erano seduti per attendere il loro turno al Taglio del Ceppo. Con foga estrasse dal fodero la spada e ne ammirò la lucentezza. «Divertiamoci.»

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Capitolo 10
*** "Curiosi Poteri" ***


10. "Curiosi poteri"

 

Dei veri e propri boati sconquassavano le fondamenta dell’arena. Quel giorno il pubblico era impazzito, letteralmente. C’erano bambini sulle spalle dei genitori che si sbracciavano e persino gente in piedi dietro a delle piccole recinzioni costruite perché non c’era più spazio sugli spalti.

Oeee oeeeeee! Oeeeee oeeeeee!

Sorsha sostava in piedi con le mani sulla balaustra della postazione regale, nel punto più alto e panoramico dell’arena. Così appollaiata e assorta sulla folla, non si accorse del sopraggiungere di Willow.

«Impressionante, eh?»

La regina sobbalzò e guardo giù. «Mi hai spaventato, scusa!» Si pose una mano sul petto. «Allora? Gliel’hai detto?»

Willow andò a prendere il suo bastone nell’angolo. «Dipende che cosa.»

«Delle pozioni che hai preparato. Cosa, altrimenti?»

Recuperato lo scettro, il Nelwin tornò vicino a Sorsha. Anch’egli si affacciò e assunse un’aria pensierosa. «Gli ho detto quello che avevano bisogno di sapere.» Storse appena le labbra in un mezzo sorriso.

«Willow.» Sorsha espirò e si mise a contemplare la gente che urlava, fomentata dal suo discorso appena concluso. «Perché non gliel’hai detto? E’ giusto che sappiano.»

«Sanno che le pozioni provocano una trasformazione di qualche tipo. Che sei stata tu a volerle. Questo dovrebbe bastare.»

Sorsha lo fissò, poco condiscendente. «Ti piace prenderti gioco di loro, non è vero?»

Willow temporeggiò. «Un po’. Io dico che gli piacerà. Forza, è ora di iniziare, non credi?»

 

 

 

I sei partecipanti alla sfida del Duello si erano messi in fila dietro allo scaffale e, a turno, avevano scelto una boccetta colorata. Willow aveva detto di berne il contenuto solo quando veniva chiamato il loro nome, quindi attesero.

Le regole del gioco erano semplici: vietato ferire in qualsiasi modo, vinceva chi avrebbe disarmato oppure atterrato l’avversario. Si trattava di un combattimento, quindi ogni mossa era lecita, purché non troppo scorretta. Queste le parole di Willow prima che li lasciasse ai preparativi.

«Elora Danan! Thraxus Boorman!»

La voce della regina era echeggiata fuori dalla tenda sovrastando il rumore degli spettatori, forse grazie a un trucchetto magico dello stregone. I due interpellati si rivolsero uno sguardo atterrito; poi si alzarono legnosi dalla panca. Allo stesso modo dei compagni, indossavano gli abiti che avevano portato nell’avventura verso la Città Immemore - avevano trovato l’idea carina e suggestiva.

Elora e Boorman si portarono la boccettina di Willow al naso, la scrutarono come un insetto malefico e ne stapparono la chiusura: Elora titubante e Boorman tutta d’un fiato, ne bevvero il contenuto.

Sia l’uno che l’altra fecero una smorfia di disgusto.

«Di che sa?» chiese Kit.

«Meglio che non te lo dica» gracchiò Elora. E uscì dalla tenda, seguita da uno stordito Boorman.

 

 

L’affettuoso e lungimirante Willow doveva aver pensato bene di sigillare l’uscita della tenda con un incantesimo, perché per quante volte o con quanto impegno ci provassero, i loro occupanti non riuscirono neanche per un momento a spiare ciò che stava succedendo fuori. I drappi sembravano cuciti insieme con la colla. A malapena potevano udire i rumori.

Eccitazione e agitazione erano alle stelle.

«Io la bevo adesso, al diavolo» proruppe un esasperato Graydon, la boccetta già stappata fra le dita.

«No, fermo!» gli dissero in coro gli altri. E Kit continuò: «Non sappiamo che effetto abbia. Willow è stato chiaro, dobbiamo berla appena prima del nostro turno.»

«Ma quest’attesa è terribile! Stiamo impazzendo, non potete negarlo!»

«Graydon.» Jade si alzò in piedi e raggiunse il ragazzo. Gli si inginocchiò davanti e gentilmente gli sfilò il boccettino dalle dita. «Devi stare calmo. Se solo uno di noi perde le staffe, le perderemo tutti. Datti una calmata

Per assurdo, il gioco più sottovalutato ora si rivelava essere quello più insidioso e temuto. E tutto per colpa di Willow e i suoi dannati stratagemmi che voleva tenere segreti.

Poi la voce di Sorsha risuonò di nuovo nell’arena.

«Jade Claymore! Kit Tanthalos!»

 

 

Le ragazze avevano appena ingoiato in un unico sorso il contenuto della boccetta alchemica (a dir poco disgustoso: sapeva di miele e fango rancido, qualunque sapore fosse) ed erano uscite nella luce grigia dell’arena. Aveva iniziato a scendere una pioggia leggera.

Il terreno era tempestato di buche enormi. Ma che razza di scontro aveva avuto luogo tra Elora e Boorman?

Per qualche strano motivo, la moltitudine di voci della folla non giungeva ai timpani di Kit. Si sentiva aliena, lontana, come sotto a una campana di vetro. La sua prima intenzione, dopo quell’occhiata d’intesa con Jade e l’aver deglutito la pozione, era stata raggiungere il centro dell’arena, ma… adesso non era più così sicura che fosse ciò che stava facendo. Aveva come l’impressione che i suoi piedi non la stessero portando da nessuna parte, sebbene fosse certa di muoverli. E poi quel vago giramento di testa…

Kit si voltò in cerca della compagna. Ma… lei non c’era. Al posto di Jade, una sagoma nera, un’ombra.

Con un brivido a correrle lungo la schiena, la principessa annaspò e si sforzò di guardare meglio: quell’ombra aveva le fattezze di Jade, in effetti. I capelli raccolti in treccine aderenti alla testa, l’armatura leggera che le ingrossava appena le spalle, e poi il suo tipico incedere. Kit conosceva a memoria il modo in cui camminava, riusciva a identificarla dalla ritmica del passo. Era lei. Ma… completamente nera. Come se qualcosa impedisse al suo corpo di ricevere il benché minimo raggio di luce.

Jade?, disse Kit. No, aspetta… non lo disse. Fu ciò che pensò. Quel che le uscì dalla bocca… o meglio, dalle mascelle, fu… un ruggito.

«Kit… oh mio dio.» La Jade-ombra era immobile e aveva parlato. Impossibile dire se stesse guardando dalla sua parte o no, ma la sua voce era suonata incredibilmente metallica, affilata, come finemente affettata in più parti.

Kit non ci stava capendo più nulla. Mosse il collo, il potente e lungo collo, e si guardò i piedi. Non ce li aveva più. Al loro posto, delle zampe giganti dotate di artigli e squame rosso cupo.

Qualunque cosa volle dire, Kit lo esalò in un Grwaoouurl.

 

 

E poi avvenne. Quell’euforia. Un sentimento incontenibile. Un altro effetto della pozione di Willow? Ah, né Jade né Kit ci pensarono minimamente. Seppero solo che una sconquassante brama di divertirsi, giocare, dare sfogo a un brivido interiore, si stava impossessando di loro. Risero (e ruggirono) e iniziarono a combattere.

Kit spalancò le enormi ali e le sbatté per librarsi in alto, producendo un micidiale spostamento d’aria. Si sentiva onnipotente. Continuava a ridere incontrollatamente. Guardò giù: Jade era sparita. Doveva trovarla. Continuò a sbattere le ali per guadagnare qualche metro in più, in modo da avere sotto controllo l’intera arena. Le bastava spostare lo sguardo e, sbattendo le doppie palpebre, focalizzare e zoomare il punto desiderato per setacciare ogni centimetro dello spazio destinato ai giochi.

«Sono quassù, dragoncello» la schernì la voce di metallo di Jade. Allarmata, la nuova Kit tentò di ruotare il capo, ma per qualche motivo la fonte della voce di Jade proveniva da un punto cieco proprio alla base del suo collo. La cosa la fece infuriare. Gridò e iniziò a volare con più foga, dimenandosi. Poi compì un giro mortale su se stessa. Un altro. Piroettò. L’arena gremita di gente si capovolgeva e ruotava sotto e attorno a lei.

Scendi subito!, pensò. Groaaawrl!

«Ti è rimasto qualcosa sullo stomaco, eh?» continuò a prenderla in giro Jade, sempre ben ferma al suo posto in mezzo alle scapole di Kit. E rise: produsse un suono simile a quello di due padelle che sfregano l’una sull’altra.

Allora stomaco e cuore di Kit divennero incandescenti. Mezzo secondo dopo, le sue fauci si aprirono e dalla gola sputò un fiume di fiamme bianco e blu.

Jade doveva essersi presa un bello spavento, perché adesso si trovava laggiù a terra, nera come un’ombra. Kit si fiondò da lei e atterrò con precisione sulle zampe con un tonfo pesante.

E Jade scomparve sotto i suoi occhi. Un istante prima era lì e quello subito dopo non c’era più. Semplicemente staccò un piede da terra e si… teletrasportò, non c’era altra spiegazione. Kit se ne accorse troppo tardi: era ancora in procinto di assimilare il fatto che l’altra fosse svanita, che un legaccio nero si avvitò attorno ad una zampa anteriore fissandola al suolo. Subito dopo, la stessa cosa avvenne all’opposta.

«Sarai pur … forte…» La voce di Jade proveniva da più direzioni contemporaneamente, per quanto assurdo fosse. Si stava muovendo alla velocità del lampo? «… ma sei… terri… bilmen… te lenta.»

E in men che non si dica, Kit si ritrovò le quattro zampe, più le ali, incatenate al terreno per mezzo di strane liane nere, dense e robustissime. Strattonò e ululò. Niente da fare, quelle strane catene non si rompevano.

L’ombra ultrarapida di Jade riapparve sotto il suo naso. Non poteva vederlo, ma Kit scommise che avesse stampato in volto un sorriso di autocompiacimento.

«Fin troppo facile!»

«Grwoouuoon è… ancwuora detta l’ultima parolah!»

Oh si. Kit aveva appena parlato, sul serio stavolta… con una voce cavernosa, bestiale. Jade doveva di sicuro aver sussultato.

Portando indietro il capo, Kit caricò. Cosa? Sapeva solo di star caricando qualcosa dentro di sé. Avvertì di nuovo il calore, quello che nasceva nello stomaco e nel cuore e poi… ecco, si, risaliva lungo la gola. Le narici le si dilatarono e si preparò. Schiuse le labbra crestate e portò in avanti la testa. E fu l’inferno. Stavolta la fiammata fu spaventosa, potentissima, si propagò nell’arena allungandosi ed esplodendo come una bomba. Il fuoco bianco-blu si espanse divorando l’aria, inglobando, cancellando ogni cosa, sino a raggiungere gli spalti .

Allora avvenne un prodigio: una qualche sorta di barriera, invisibile per forza, impedì alla fiammata di raggiungere chi stava assistendo allo spettacolo dalle gradinate. Si schiantò contro un muro invisibile e risalì verso l’alto, raggiungendo il cielo e producendo una possente colonna di luce infuocata.

Quando il fuoco smise di divampare, pian piano agli occhi di Kit riapparvero le fattezze dell’arena. Erano intoccate, perfette. Ma non importava, importava invece Jade, soltanto lei. Dove si era cacciata? La cercò morbosamente producendo un basso ringhio ferale.

Eccola là! Si stava ri-materializzando… doveva essersi tramutata in una “vera” ombra, aderendo completamente al muro di cinta dello spiazzo dell’arena ai piedi degli spalti. Ne stava emergendo come stesse attraversando una soglia.

E Kit le volò addosso. Ma Jade fu più veloce. Stavolta si sdoppiò. Una decina di copie identiche all’originale furono vomitate fuori dalla sua figura oscura e presero a correre in ogni direzione (ridacchiando). E le spararono di nuovo addosso quei legacci, quelle liane nere, proiettandole direttamente fuori dai palmi delle mani.

«Ti piacerebbe» soffiò Kit. Una raffica di vento e via, si sollevò in aria al riparo dagli attacchi. Decise allora di fiondarsi sulle copie come un rapace e ghermirle con gli artigli delle zampe davanti. Si tuffò e, quando fu sulla prima, fece per stringerla; quella si polverizzò al contatto in una nube di polvere bianchiccia.

Una liana appiccicosa le immobilizzò la coda – aspetta, aveva una coda? Sta di fatto che il volo di Kit ne risentì e lei si trovò un’altra volta incatenata al suolo, nonostante ancora libera di librarsi. Ma altri lacci erano in arrivo. Tuttavia li debellò sparando fiammate incandescenti: fortuna che quelle sembravano avere effetto, li inceneriva e dissolveva completamente.

Occupata in quel tiro a segno, Kit perse di vista la Jade originale, che fra l’altro era indistinguibile. Per quanto si sforzasse di identificarla, ormai non era più certa di quale fosse quella vera. La riconobbe soltanto quando le saltò davanti al muso e le lanciò qualcosa addosso, serrandole forte mascella e mandibola assieme.

«Così non potrai più ferirmi» disse metallica Jade, particolarmente teatrale.

Nel frattempo ennesimi altri legacci avevano bloccato Kit al suolo; le copie non avevano battuto la fiacca in quella fatale manciata di secondi. Finiva davvero così? Tutta la sua forza, il suo coraggio, la sua volontà, bloccate a quel modo? Ridotta a un cagnolino al guinzaglio?

No. Con violenza inaudita Kit strappò i legacci dalle zampe anteriori, si allungò e acciuffò Jade – quella vera. Le ali la aiutarono a disarcionare le catene che la imprigionavano: con un ruggito si slanciò in cielo, stringendo forte Jade-ombra fra le zampe.

Svettarono sopra agli spalti e li superarono a gran velocità. Dominarono l’arena, e continuarono a volare. Il mare infinito di nuvole grigie le sovrastava bagnandole di pioggia. Kit si capacitò solo in quel momento che stava piovendo, non aveva minimamente avvertito le gocce addosso.

Poi, come era arrivata, quell’incontenibile euforia che aveva dato inizio al duello si affievolì: un rubinetto in fondo alla loro anima si chiuse lentamente, con gentilezza, e le bollicine che ne sprigionavano smisero di scoppiettare. Le forze vennero meno a entrambe. Il volo cessò e loro presero a fluttuare nel vuoto.

Mentre un profondo desiderio di riposare avvinceva Kit e Jade, un bozzolo di colori iridescenti le avvolse.

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Capitolo 11
*** Un grande illusionista ***


11. Un grande illusionista

 

Al suo risveglio, Kit si trovò immersa nel piacevole tepore di coperte calde. Un soffitto di legno e un sontuoso lampadario accolsero i suoi occhi assonnati appena aperti. La luce chiara entrava attraverso le tende chiuse della finestra per mezzo di una lama abbagliante che andava a disegnare una ferita bianca contro il muro buio. Doveva essere l’alba fuori dalla sua camera.

Kit si girò nel letto e si accorse che Jade dormiva lì accanto a lei. Ne rimase sorpresa, ma per poco. Sopraggiunse il desiderio di stiracchiarsi e abbracciarla. Però al contempo non voleva svegliarla.

Poi arrivarono i ricordi, uno a uno, limpidi e reali più che mai. Le ali, la sensazione del volo. La possanza di un corpo che non era il suo… o si? Il fuoco eruttato dalle fauci, il calore, la battaglia… e Jade. Anche lei si era trasformata, in quella… cosa, d’ombra, rapidissima. E strafottente!

«Ehi» gracchiò in quel mentre Jade. Aveva socchiuso gli occhi. Stese le braccia fuori dalle coperte e sbadigliò.

Kit ruotò il busto sul materasso per esserle di fronte e fissò il suo volto. Sembrava riposata e in perfette condizioni. I capelli spettinati e le palpebre cementate dal sonno la rendevano adorabile. Indossava una camicetta da notte.

«Ehi» rispose Kit. Allungò una mano e le carezzò una guancia. «Dormito bene?»

«Si, credo di si» fece Jade, ad occhi chiusi, godendosi la coccola. «Come un sasso.» Sospirò. «Ma che è successo?»

«Credo che le pozioni di Willow abbiano fatto il loro effetto» commentò Kit, assorta sui lineamenti della compagna.

«Oh.» Lentamente Jade sollevò le palpebre, la fronte appena aggrottata. «Ora ricordo.»

«Già.»

Rimasero a guardarsi. Poi entrambe, quasi all’unisono, si mossero per darsi un bacio. Fuori gli uccelli cinguettavano. L’aria nella stanza era fresca e non appesantita da chi vi aveva dormito dentro; qualcuno doveva essere entrato e aver aperto le finestre nel mentre.

«Un drago?» disse poi Jade, lasciando che la testa affondasse di nuovo sul cuscino. Sorrideva. «Veramente?»

«E che ne so.» Anche Kit sprofondò con la nuca nel suo cuscino, guardando il soffitto. Teneva per mano Jade sotto le coperte. «Non l’ho voluto io.» Ma non appena lo disse strinse le labbra, colta dal dubbio. Davvero non l’aveva voluto lei? Non ne aveva idea. Riusciva a ricordare per filo e per segno che cos’era accaduto dal momento in cui era uscita dalla tenda assieme a Jade, ma nella sua mente non trovava alcun nesso con l’essersi tramutata in un enorme drago sputafucoco, eccetto l’aver trangugiato l’elisir alchemico di Willow.

«Forse è stato come nella prima prova.»

«Cioè?» domandò Kit, tornando a posare gli occhi su Jade. Lei non aveva smesso di contemplarla.

«Quando abbiamo tagliato il ceppo. Ed è uscita quella roba, quell’effetto magico. Willow ha detto che era una cosa personalizzata, dipendeva da noi. Dal nostro animo. Ricordi?»

«Adesso che me lo dici, in effetti si.» Kit dovette ammettere che quella di Jade era una supposizione vincente. In effetti dal suo ceppo era uscito un drago di fiamme – a tre teste invece che una, ma non è che cambiasse molto. Da quello di Jade, però, non era mica uscita un’ombra munita di liane… una spada, forse? Si, doveva essere stato uno spadone infuocato, così aveva detto lei.

«Che ora è?» domandò Jade. Aveva staccato la testa dal cuscino.

«Credo le sei o le sette del mattino» rispose la principessa, sollevandosi sui gomiti. «Vuoi alzarti?»

«Ho un certo languorino» ammise Jade. E si mise seduta scostando le coperte. «Colazione?»

Nella penombra protettiva della sua camera da letto, Kit osservò il profilo dell’altra indorato di polvere di luce. Era bellissima. E sensuale. Anche conciata così.

«Ancora un attimo.» Kit si spostò e l’abbracciò forte per i fianchi, ficcando la faccia contro il suo ventre, nel tessuto della camicia intiepidito. «Uno solo» bofonchiò soffocata.

Jade tornò a distendersi, cingendola a sua volta con le braccia. Coccole time!

 

 

 

Vestite e uscite di stanza, scesero gli scaloni che portavano al pianterreno del castello. Kit aveva intenzione di portare Jade a fare una colazione intima nelle cucine, come usava fare di solito, ma un vociare chiacchierone e ridarolo proveniente dal salone principale attirò l’attenzione di tutte e due.

«Boorman» mugolò Jade.

«Andiamo a dare un’occhiata?» propose Kit.

Così si avviarono verso il salone. Anziché discendere l’ennesima rampa di scale tortuosa, piegarono a destra infilandosi in un ampio corridoio illuminato dalla luce di una serie di finestroni a sesto acuto. Le voci si fecero più cristalline: ebbene si, non ce n’era soltanto una – quella di Boorman – ma anche quella di Elora, più acuta. Ed altre di tonalità più basse in sottofondo.

Quando Jade e Kit, per mano, sbucarono per mezzo di un’arcata nel muro nel grande salone principale del castello, videro Boorman, Airk, Elora e Graydon seduti ad uno dei grandi tavoli che chiacchieravano e consumavano una ricchissima colazione. Non c’era nessun altro a parte un paio di guardie piantonate alle entrate.

«Ah! Ecco le belle addormentate!» esclamò Elora. Doveva averle notate. Fece loro cenno di avvicinarsi. Quando le due fanciulle raggiunsero il tavolo imbandito, le chiacchiere non erano cessate: come al solito Boorman teneva banco. Tutti mangiavano contenti e scoppiavano di salute. Il sottile timore che Willow li avesse avvelenati con le pozioni abbandonò del tutto la testa di Kit, che andò a sedersi con Jade vicino a Elora.

«Ehilà» disse Boorman, interrompendo il vivace racconto. Indossava un’elegante vestaglia arancione con ricami blu e neri arzigogolati, i capelli neri raccolti in un codino. Stava spalmando copiose quantità di burro su una lunga pagnotta tagliata a metà. «Dormito bene, eh?»

Kit e Jade risposero affermativamente.

Elora puntò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di loro. «Ma lo sapete quanto avete dormito?»

«Una notte?» suppose Kit.

«Due giorni» ridacchiolò Elora. Anche lei portava una sorta di vestaglia, un soprabito verdino molto leggero e una sciarpa di seta avvolta larga intorno al collo.

Stordita, Kit cercò intesa negli occhi di Jade e la trovò in pieno: com’era possibile?

«Anche voi vi siete svegliati stamattina?» chiese incuriosita Jade.

«Oh, non è mattina» rispose Boorman, che aveva finito col burro ed era passato alla marmellata di arance. «E’ pomeriggio, mia cara.»

Ammutolite e più confuse di prima, Kit e Jade decisero che era arrivato il momento di sentire cos’avevano gli altri da dire, ma soprattutto di mettere qualcosa sotto i denti. C’era di tutto: latte caldo e freddo, caffè, tè e tisane, biscotti, montagnole di pagnotte ben ammonticchiate, cesti di frutta fresca e succhi di frutta, uova strapazzate e sode, striscioline di carne abbrustolita, panetti di burro e piattini di formaggi assortiti.

Mentre Boorman ricominciava a cicalecciare, Kit spiò suo fratello dall’altra parte del tavolo. Stava ricurvo sulla sua tazza come se dovesse vederci dentro qualcosa, i capelli sciolti e sfatti. Non aveva una bella cera, o almeno quella era l’impressione che dava. Graydon, di fronte a lui, invece, era pimpante e fresco come una rosa nella sua camicia bianca sotto al gilet di pelle marrone – aveva persino i baffi lucidati?

«Mancate soltanto voi due all’appello, ragazze» aveva detto Boorman, riferendosi a Jade e Kit. «Noi non abbiamo visto quel che avete combinato quando avete combattuto. Nessuno lo ha fatto, eccetto Willow, Sorsha e… beh, tutta Tir Asleen.»

«Non appena è finito lo scontro, siamo caduti addormentati» disse Graydon, con un biscotto mezzo morsicato in mano.

«A quanto pare rientrava negli effetti della pozione. O Willow ci ha fatto un incantesimo, non lo sappiamo ancora» disse Elora.

«E chi ci ha portati al castello? Come?» domandò Jade, che stava versandosi un bel po’ di tè fumante nella tazza.

Prima di affondare i denti nel suo panino, Boorman disse: «Suppongo mister stregone.»

«Anche le vostre pozioni facevano schifo?» chiese Graydon con sincero e acuto interesse.

«Terribili.» Kit aveva quasi riempito il suo piatto di carne, uova e pane e si fece passare il burro da Elora. «Sapevano di fango, più o meno.»

E così ebbe inizio l’accurata ed entusiasta condivisione di ciò che era loro accaduto durante il gioco del Duello, l’ultimo dei festeggiamenti.

Il primo scontro si era svolto tra Elora e Boorman. Sulla ragazza l’elisir aveva avuto l’effetto di permetterle di scatenare fulmini e saette a volontà, le quali le avevano permesso persino di sollevarsi in volo. Era mutata anche nell’aspetto, diventando una specie di dea del tuono o qualcosa del genere (così disse lei). Boorman invece aveva assunto la consistenza della gomma: ammise che non fu un’esperienza del tutto piacevole all’inizio, perché fu come svuotarsi delle ossa del corpo e perderne totalmente il controllo. Ma poi fu divertente, moltissimo. Era riuscito a schivare (e in realtà a diventarne assolutamente incolume) ogni colpo fulminante di Elora, che per vincere lo scontro aveva dovuto immobilizzare le mosse sguscianti e saltellanti dell’altro con un reticolo elettrico e rendere così inoffensivi i suoi attacchi che sferrava allungando spropositatamente braccia e gambe.

«Eri troppo inquietante» rabbrividì Elora.

«Beh, tu non eri da meno, sai?» Boorman aveva finito a tempo record il panino e sorseggiava del succo. «Sarai stata alta due metri e mezzo.»

A Graydon scintillavano gli occhi neri, la guancia accomodata sul palmo di una mano. «Avrei voluto vederti.»

Poi Kit e Jade raccontarono ciò che era avvenuto durante il loro, di scontro. La cosa suscitò sgomento (e invidia, persino) in quasi tutti; anche Airk era stato dissuaso dal fissare la propria colazione e si era messo ad ascoltare, con uno strano cipiglio scostante ma interessato.

«Un drago, dannazione» inveì Boorman.

«Sarà stato bello, immagino» disse Graydon.

Kit raccontò dell’euforia spumeggiante e della voglia di giocare e combattere che l’aveva empita improvvisamente, subito dopo la mutazione magica. Gli altri convennero sul fatto che era avvenuta anche a loro la medesima cosa.

«E tu eri veramente così veloce?» chiese Elora a Jade.

Lei annuì con soddisfazione. «La stavo battendo.» Indicò Kit con un cenno del capo.

«Si, come no» ribatté Kit, a bocca piena.

«E voi due, invece?» riprese Jade guardando in fondo al tavolo, dove Airk e Graydon chiudevano la combriccola. Quest’ultimo si schiarì la gola.

«Beh, anche il nostro scontro è stato… molto avvincente.»

Dall’espressione che Boorman fece nel nascondere la faccia dietro la tazza sollevata per bere, Kit intuì che Graydon fosse stato troppo generico e gentile. Si rivolse direttamente a suo fratello. «Airk?»

Quello inarcò un sopracciglio e la degnò di un’occhiata rapida e devastata.

«Ma… hai dormito? Stai bene?» si assicurò lei.

Airk sbuffò e si alzò in piedi. «Scusatemi, non ho fame. Vado di sopra.»

Una marea di rumorose proteste si innalzò scatenata da quella frase. Boorman, già in piedi accanto a lui, gli mise una mano sulla spalla. «Fratello. Lo so che non è facile. Ma ti riprenderai. Non è successo niente di così grave. E’ solo un gioco, d’accordo? La gente se ne sarà già dimenticata.»

«Si.» Elora si mise in mezzo. «Resti sempre il principe di Tir Asleen.»

Afflitto, Airk tornò a sedersi. Sollevò le braccia sconfitto, mentre un risolino gli congelava le labbra. «Raccontalo tu, Graydon, per favore. Io una seconda volta non la reggo.»

E dunque Graydon si mise a spiegare. Che il loro duello si era svolto con lui tramutato in un essere ibrido umano-albero, i piedi composti di radici e le braccia fatte di rami. Era stato in grado di dominare il terreno sabbioso e terroso di cui era composto lo spiazzo dell’arena scatenando brevi ma forti scosse di terremoto, e anche prolungare i propri arti-radici-rami per rintracciare Airk a grande distanza. Aveva utilizzato gli uccelli come alleati.

E il principe, invece? Beh… Airk si era tramutato in… un maiale. In realtà un maialino davvero adorabile: non troppo grosso, non troppo sporco e nemmeno troppo a quattro zampe. Un maialino-Airk. Era rimasto sempre lui nelle fattezze, ma aveva assunto connotati suini – con tanto di dolce codino a cavatappi a fuoriuscire dalle brache. Il suo superpotere era consistito in...

«Beh?» incalzò Kit. Graydon si era fermato per l’ennesimo sorso di bevanda calda, evidentemente a disagio. «Cosa potevi fare, tu?» Stava cercando di moderare l’ilarità nella voce, al contrario di Boorman che non riusciva a smettere di sorridere e nasconderlo con il cibo o il bere. Persino Jade dovette riempirsi la bocca di pancetta per non scoppiare a ridere a un certo punto.

«Ecco, Airk poteva… far innamorare chiunque lo guardasse» si decise infine a rivelare un Graydon tremendamente a disagio.

Airk aveva messo la faccia nelle mani e scuoteva la testa.

«Come?» fece incredula Kit.

Eh si. Graydon si era immediatamente infatuato del bel principe suinoso: nonostante i suoi tentativi di vincere la battaglia con i mezzi in suo possesso, alla fine si era arreso al desiderio irresistibile di andare da lui a dargli un bacino. Peccato (ma non poi tanto, forse) che in seguito qualcosa glielo avesse impedito. Doveva essere stato l’effetto dell’elisir. Graydon sapeva solo di essersi addormentato a metà strada.

«Ridevano tutti» disse Airk, con ancora le mani sulla faccia.

«Beh, dai, fratellino! Almeno Tir Asleen ti ha visto sotto una nuova luce.» Fu un tentativo inutile e pure sbagliato di tirargli su il morale da parte di Kit, che lo aveva detto senza impedirsi che suonasse come una battuta. Fu triste e assieme contenta del fatto che gli altri ridacchiassero, e preferì abbassare la testa tra le spalle per non infierire ulteriormente. Sapeva quanto fosse permaloso suo fratello in quei delicati frangenti.

«Ha ragione, Airk» continuò Elora in tono dolce. «La gente non lo sa, che abbiamo bevuto una pozione magica. Pensaci bene. Crede che tu abbia voluto fare quello che hai fatto, in un certo senso. Vedila così. Puoi ancora far prendere la piega che vuoi tu alle cose!»

Per qualche momento sulla tavola imbandita calò un silenzio tintinnante di posate e piatti. Poi una porta da qualche parte cigolò sui cardini aprendosi.

«Buongiorno, ragazzi» esclamò con un po’ d’eco la voce di Willow. Stava discendendo una rampa di scale che lo avrebbe portato al livello dei tavoli. Portava una casacca spartana e un nastro blu gli legava una porzione dei capelli sopra la nuca. Anche lui appariva ben riposato e pimpante.

La compagnia lo salutò, ma non così allegra come probabilmente lui si aspettava, perché disse: «Che vi succede, vi hanno tagliato la lingua?»

«Buon giorno, capo» rispose con più vigore Boorman, levando in alto una tazzina di caffè. «Vieni, siedi con noi.»

«Ma certo.» Il Nelwin trovò posto vicino a Graydon, di fronte al principe, sul quale posò uno sguardo indiscriminato. «Allora, che mi raccontate? Vi sentite rigenerati, non è vero?»

Titubanti, gli altri dovettero ammettere di si.

«Come sospettavo. Me ne compiaccio. Vedete, tra gli effetti delle pozioni che ho preparato per voi rientrava quello di potente sonnifero. A innesco un po’ ritardato, ma… l’ho fatto apposta.»

Tagliente, Kit disse: «Ci avevi assicurato che avremmo usato armi e armature a nostra scelta.»

Willow si accigliò. «Se non l’avessi fatto, non avreste mai preso parte al gioco. Ho dovuto mentire. Mi dispiace. Ma era l’unico modo.» Fece una pausa scrutando le loro facce: chi assorto, chi incupito. «E poi, non ditemi che la trasformazione non vi è piaciuta!» Prese un tozzo di pane e lo spezzò per spalmarci sopra qualcosa.

Nessuno osò mentire. No, era piaciuta a tutti, per quanto li avesse colti di sorpresa.

«Risponderò alle vostre domande, se ne avete» proseguì Willow, e addentò la sua fetta di pane e marmellata.

«Mmh, vediamo» esordì Boorman, fingendosi dubbioso. «Vorrei chiederti, perché diavolo ci hai rifilato delle pozioni così pericolose!» In quel frangente, era evidente la maturità di Boorman; per quanto si gongolasse in racconti e pettegolezzi al riguardo, era un adulto fatto e finito (circa) e forse scorgeva alcuni piccoli dettagli prima degli altri.

«Uno.» Willow mostrò un dito della mano. «Ve lo ripeto per l’ennesima volta, le pozioni erano innocue. Per quanto i poteri che avete scatenato sembrassero reali, non avrebbero fatto male nemmeno a una mosca. E così è stato. Lo avete visto. E poi ho alzato una barriera protettiva, così che nessuno fra il pubblico si spaventasse.» Morsicò, masticò e deglutì. «Due,» altro dito, «ho pensato che un po’ di brivido vi servisse. Dopo quello che abbiamo vissuto… tornare alla normalità è strano. Anche per me.»

Non uno di loro ribatté.

«Ho provveduto a inserire un po’ di sonnifero come effetto conclusivo della pozione, di modo che poteste dormire un bel po’, dopo il duello. Riposare, distendere i nervi. Penso che ne abbiate abbastanza di lottare, per quanto vi manchi l’avventura. Un paio di giorni di riposo completo vi avrebbero aiutato a rimettervi totalmente in sesto. E mi pare che sia proprio così!»

Kit alzò gli occhi sugli altri. Si guardavano a vicenda, un po’ sgomenti; ma in fondo ai loro cuori cominciavano a capire. Prima, così coinvolti nei giochi, non lo avevano afferrato bene. Willow era sempre stato dalla loro parte, fin dall’inizio; ma al contempo non aveva potuto né osato contraddire Sorsha, concedendole quel “capriccio” di indire i giochi a Tir Asleen. Così si era messo sotto a preparare quelle pozioni, in modo da “rimediare” alla situazione cercando di far contenti tutti. E ci era riuscito, più o meno.

«Resti sempre un grande illusionista, dopo tutto» esclamò Kit, con una nota particolarmente zuccherina nella voce.

«E’ quello che so fare meglio, principessa» le sorrise Willow.

«E per quanto riguarda me, che cos’hai da dire?»

Era stato Airk a parlare, che fino a quel momento se n’era stato zitto in disparte. Ora gli brillavano gli occhi.

Willow lo squadrò con calma e fermezza, continuando a mangiare. «Le pozioni non erano fatte per trasformarvi in qualcosa di casuale. Non era questione di scegliere quella migliore o di avere fortuna. Hanno semplicemente tirato fuori la parte di voi che in quel momento voleva venir fuori più di ogni altra.»

Questa informazione fece cadere e rovesciare lo stomaco a Kit. E doveva averlo fatto anche con gli altri, perché tutti si fecero allibiti e contenti.

«Come ti sentivi, prima di bere la pozione?» insistette Willow.

Airk non dovette pensarci. «Avevo paura» disse amaro. «Di… »

«Che ti spuntasse la coda di maiale» lo aiutò Boorman, spigliato. «L’hai detto nella tenda. Lo ricordo perfettamente.»

«Esatto» confermò Willow, ben più serio del ladro. «Avevi paura di quello, ma soprattutto volevi ad ogni costo risultare affascinante agli occhi di chi ti guardava, suppongo.»

Colto in scacco, Airk non dovette nemmeno annuire. Digrignò i denti e si mise finalmente a fare colazione.

«Non ti preoccupare. Sei andato alla grande. Ho parlato con un sacco di gente in due giorni e ti posso assicurare che nessuno ha riso di te» cercò di rincuorarlo Willow. «Non nel modo che pensi tu.»

Continuarono a consumare la loro abbondante colazione-pranzo, parlando del più e del meno e coinvolgendo il più possibile anche Airk, il quale si rasserenò man mano che passavano le ore. Potevano prendersi quel giorno per loro, ma l’indomani si sarebbe svolto l’ultimo evento dei festeggiamenti: il gran Ballo.

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Capitolo 12
*** L'ultima sera ***


12. L’ultima sera

 

Per quella sera l’intero castello, ma soprattutto la sala grande, era stato decorato e allestito in modo trionfale a festeggiare il ritorno a Tir Asleen degli avventurieri. I giochi svoltisi durante la settimana, se pur divertenti, erano stati nulla più che il preambolo del Gran Ballo.

Enormi drappi bianchi dalle sfavillanti sfumature argentate campeggiavano davanti al portone principale spalancato, affiancato da ben quattro guardie reali vestite di tutto punto con l’armatura buona priva di graffi o ammaccature; nei corridoi erano stati stesi sontuosi tappeti rossi e oro, e gli arazzi attaccati alle pareti e ai soffitti riprendevano i medesimi colori. I candelabri sembravano brillare più che mai, le piastrelle splendevano come lastre di diamante, i legni coperti di cere luminose. Persino i pomelli delle porte apparivano ridicolmente più belli e invitanti del normale. Quasi dispiaceva toccarli.

Per l’occasione le mura del castello erano state aperte per ogni abitante di Tir Asleen, che aveva modo di prendere parte all’evento con o senza abiti cerimoniali. E come volevasi dimostrare, per il Gran Ballo c’era stata una sorprendente affluenza di partecipanti; al calar della sera i collaboratori di Sorsha avevano dovuto suggerirle di chiudere il castello perché non c’era proprio più spazio per nessuno: lei allora aveva organizzato un piccolo distaccamento di intrattenitori affinché portassero la festa anche fuori, nella piazza ghiaiosa antistante l’edificio.

La festa comprendeva un cenone da sballo nel salone poco dopo il tramonto, al che i tavoli sarebbero stati sgomberati e ci si sarebbe dati alle danze fino alle ore piccole. Si trattava di un ballo in maschera.

 

Quando Graydon e Elora fecero il loro ingresso in sala grande, tutti coloro che si trovavano nei paraggi si voltarono a guardarli. Erano splendidi nei loro colori panna e oro nero. Elora indossava una lunga e ampia gonna a balze con sfilacciamenti dorati, un bustino rigido con cuciture in oro, un nastro candido a legare i capelli rossi sopra la testa in un’acconciatura ad ananas e a completare un paio di guanti lunghi dello stesso bianco panna del vestito. Camminava a braccetto con un quasi militaresco Graydon: i capelli neri stretti in un morbido codino, giacca, pantalone e scarpe di un nero laccato, elaborati ricami dorati a seguire trame fantasiose sul tessuto. Portava un filo di matita oro sulle palpebre.

«Elora Danan!» stavano esclamando i paesani nel mezzo del brusio. «Elora! E’ Elora Danan!». Le loro voci echeggiavano nel salone sopra i brusii generali.

«E il principe Hastur» presentò Elora con un cenno della mano, indicando Graydon al suo fianco. «Graydon Hastur è il mio accompagnatore per questa sera!»

Seguirono sonori applausi. Loro due erano i primi dei Sei ad essere apparsi in sala.

«Non ce n’era bisogno» mugugnò Graydon un po’ in imbarazzo.

«Tu lasciami fare» rispose soddisfatta Elora. Insieme scesero i gradini e si avviarono nel varco stupefatto che i presenti stavano aprendo per loro.

Una sfilza di affaccendati camerieri faceva avanti e indietro dalle cucine per apparecchiare i numerosi tavoli che riempivano l’area centrale del salone: erano già state stese tovaglie immacolate e qualche piatto e bicchiere qui e là. Di Sorsha, la regina di Tir Asleen, non c’era ancora ombra in giro; gironzolava soltanto qualche membro della corte, forse per accertarsi che i preparativi stessero procedendo nel migliore dei modi.

Poco dopo l’uscita allo scoperto di Elora e Graydon, toccò a Kit e Jade. Apparvero assieme, una a fianco dell’altra e mano nella mano, in cima agli scaloni che portavano ai pieni superiori. La principessa di Tir Asleen aveva optato per un vestito dal tono incerto: virava dal grigio scuro al blu cupo fino a picchi di azzurro elettrico, poiché ricoperto da cima a fondo di minuscole placche come scaglie di pesce che mutavano di sfumatura ad ogni movimento o fonte luminosa. Risultava elegante e fiera in quel completo, per metà maschile e metà femminile: assieme agli stivali in cuoio portava dei pantaloni, con al di sopra una lunga giacca simile a un frac con doppio petto. Da una certa angolazione era come se indossasse gonna e camicia; da un’altra, gilet e pantaloni coperti di stelle blu. I capelli castani erano più ricci del normale e fissati da un lato come se soffiasse il vento. Un fine trucco nero enfatizzava il suo sguardo.

Assieme a Kit Tanthalos, una formalissima e affascinante Jade Claymore infilata in un completo da soldato che aveva molto di regale e poco di guerresco: giacca bianca con spalle rigide e ricami in rosso, e rossi erano anche i pantaloni che le fasciavano le gambe, per metà celati sotto ad altissimi e audaci stivaloni scuri. Le consone treccine riducevano l’altrimenti notevole dimensione dell’acconciatura naturale, tenendo aderenti i capelli al capo mediante laccetti rosso-oro.

Anche il loro sopraggiungere venne seguito da rumorosi applausi, forse più scroscianti dei precedenti essendo comparsa la principessa. Scesi gli scaloni, Kit e Jade andarono a salutare Elora e Graydon che nel frattempo avevano preso posto al tavolo reale per la cena.

La sala era ormai gremita di gente, per la maggior parte già accomodata ai tavoli. Si doveva quasi urlare per farsi sentire. Ogni cosa riluceva di una luce speciale, bianco-oro. Regnava un’atmosfera di quieta e frizzante tensione che avvolgeva e faceva sentire tutti piacevolmente uniti. L’andirivieni di camerieri non cessava, anzi, si faceva sempre più pressante.

«Ma dove si è cacciato Boorman? Tu lo hai visto più da stamattina?» strillò Kit a Jade, che le sedeva accanto. Una sedia più in là c’erano Elora e Graydon stretti l’uno all’altra intenti a ridacchiare.

«Ha detto che voleva andare a lucidare il suo spadone» borbottò Jade, che sembrava infastidita dal caos ma non abbastanza indiscreta da spiattellarlo fuori dai denti. Non quella sera.

«E’ una frase piuttosto equivoca» ribatté Kit con rassegnazione. In effetti era proprio da Boorman uscirsene con quelle trovate.

«Airk invece?» chiese Jade.

Kit era assorta sull’enorme candelabro di cristallo sopra di loro. «E’ con mia madre. Stanno stendendo un discorso per la serata.»

Jade sorrise con metà volto. Sapeva che Kit non era molto tagliata per quel genere di cose e non fece domande.

«Ehi, ragazze» intervenne Elora, una mano sulla spalla di Jade. «Sono quasi certa che stasera avremo degli ospiti speciali. Voi ne sapete niente?»

«Credo di aver capito qualcosa, si» fece Kit sorniona. «Ma non è sicuro. Me ne ha accennato mia madre.»

«A me l’ha detto Willow» continuò Elora, dandosi un colpetto ai ciuffi eretti sulla testa a sistemarsi la capigliatura. «Cioè, in realtà l’ho spiato mentre scriveva la lettera. Mi ha fatto promettere di non dire niente a nessuno. Ne parlavo giusto ora con Graydon.»

«Secondo me sarebbe grandioso se riuscissero a venire» si aggiunse il ragazzo, molto più spigliato e disinvolto del solito. Stava giocando con un tovagliolo per darle la forma di qualcosa.

«Mettete al corrente anche me?» disse Jade, per nulla offesa.

Elora non tardò a rispondere. «Willow ha invitato i suoi amici e parenti Nelwin a venire alla festa stasera. Però non ha ancora ricevuto risposta. L’ha fatto un po’ in ritardo, sai.»

Le chiacchiere proseguirono, amabili e leggere come il vino bianco frizzante nelle bottiglie sistemate davanti a loro, finché un campanellino trillò da una parte del salone. Lo fece una, due, tre volte a intervalli regolari, sino al momento in cui il brusio nella sala cessò quasi del tutto.

Era stato un membro della corte ad attirare l’attenzione. Si schiarì la gola ed esclamò: «Signore e signori, la regina di Tir Asleen.»

E Sorsha entrò da una porta laterale in fondo all’ambiente, sbucando dietro a un paio di statue. Tutti rumoreggiarono. Un vestito lungo sui toni del bianco e del giallo impreziosiva e snelliva la sua figura: per certi versi somigliava a un abito da sposa, ma la gonna lunga con strascico era molto corta sul davanti e mostrava dei pantaloni leggeri attillati alle gambe. Una tiara le abbelliva i capelli intessuti in fini trecce arrotolate attorno al capo. Quel vestito chiariva senza lasciare dubbi chi fosse Sorsha: una graziosa regina di mezza età, solenne e forte nella sua femminilità, ma anche una guerriera, una donna capace di tirar di spada con grande abilità, andare a cavallo, prendere a cazzotti gli uomini se voleva, e via dicendo.

Mentre tutti erano assorti sulla regina, Kit notò suo fratello entrare in sala da un’altra parte, non visto, probabilmente di proposito. Portava un vestito simile a quello che si era messo nell’arena il giorno dell’inaugurazione dei giochi, solo che ora teneva la coroncina da principe stretta in mano e si guardava attorno. Kit levò una mano ed egli la notò; sorrise e si mosse in sua direzione.

Sorsha aveva dato inizio al discorso di benvenuto quando Airk si accomodò alla destra di Kit. «Scusa il ritardo – dov’è la tua corona, Kit?»

«Non ho voluto metterla.»

«Questo l’ho notato.»

«E perché nemmeno tu la indossi?»

«Beh, mi sembra… scortese nei confronti degli altri. Non ho voglia di apparire più importante.»

Kit sostenne il suo sguardo, gli occhi stretti sotto al fine trucco nero. «Altra conferma che siamo fratelli. Posso stare tranquilla.»

L’altro se la rise. Poi salutò gli altri sottovoce.

 

Boorman si fece vivo mentre gli addetti stavano servendo gli antipasti sulle tavolate. Arrivò direttamente dalle porte spalancate che dal corridoio centrale del castello davano accesso al salone. Aveva legato i capelli neri in una coda, lunga e fluente, e si era unto la barba di modo da acconciare anch’essa e renderla meno cespugliosa e più affilata.

«Grazie per avermi tenuto il posto» disse sedendo al fianco di Airk. Stava infilandosi un tovagliolone nel colletto della sontuosissima camicia madreperlacea quando aggiunse: «Sarà una serata speciale, questo lo avete capito, si?»

Gli altri gli rivolsero un’occhiata distratta, ma nel profondo si chiedevano se anche lui avesse in serbo qualche sorpresa, oppure si riferisse a quella che Willow aveva tentato di organizzare.

Boorman si fregò le mani e, eccitato, disse: «Diamoci dentro. Che ne dite?»

«Dove sei stato, amico?» gli chiese Airk, che finalmente era riuscito a sistemare le posate come voleva lui.

Il ladro incespugliò le sopracciglia. «E’ un segreto. Segretissimo.»

Incapace di trattenersi per via dell’energia che animava chiunque si trovasse nella sala grande, e anche per colpa di quel goccio di vino di troppo a stomaco vuoto, Jade disse: «Hai incontrato Scorpia?»

La combriccola se ne uscì con numerose ripetizioni del nome della sorella di Jade.

«Calma, calma! Insomma» ribatté Boorman aprendo le mani in tono ammonitore. «Piano.»

«Allora? Eri con lei?» insistette Jade un poco maliziosa.

L’altro sospirò. «Si.»

«Verrà?»

«Che intendi?»

«Non far finta di niente» lo canzonò Jade andando a bere ancora un po’ di vino. «Il ballo in maschera sarebbe l’occasione perfetta per entrambi. Vi piace il rischio.»

Intanto Kit, Airk, Elora e Graydon bofonchiavano qualcosa in proposito al fatto che la sorella maggiore di Jade si era intrufolata a Tir Asleen da qualche giorno.

«Lo sai? Tu sei fin troppo perspicace. Non mi piaci quando fai così. Te ne stai zitta zitta, ma… in realtà, sai tutto di tutti.» Boorman iniziò a servirsi di sottili sfoglie di carne arrotolate e infilzate in uno spiedo. Si riferiva a Jade ovviamente. «Comunque, si, ovviamente. Scorpia è ancora qui, e si, verrà. Le ho procurato un abito e una maschera per dopo.» E sorrise sghembo, gettando su Jade un cupo sguardo complice. «Fa piacere anche a te, dì la verità.»

Jade non fece altro che sorridere compiaciuta e si riempì il piatto anche lei di roba, mentre Kit si godeva quello scambio vicino a lei.

 

 

Agli antipasti seguirono diverse opzioni di primi piatti, poi di secondi. Il tutto proveniva dalle cucine del castello animate non solo dai consoni cuochi reali ma anche da quelli che, come era avvenuto per gli altri giorni di festa, si erano resi disponibili fra la popolazione di Tir Asleen. Non erano soltanto piatti deliziosi e ben presentati, ma dei veri e propri manicaretti, da leccarsi le dita. Non ci si poteva permettere il bis di un piatto né sceglierne più di uno a portata: lo stomaco di nessuno si sarebbe dimostrato abbastanza capiente (forse solo quello di Boorman).

Dopo un lasso di tempo impossibile da definire, le pance più piene, il dolce appena degustato e una battaglia di battute perfide gratuite, gli avventurieri si accorsero che la cena era finita già da un po’ e che i tavoli si stavano svuotando. Anch’essi dunque si alzarono e, restando in gruppo, si assieparono contro una parete, sotto un gigantesco arazzo che raffigurava il blasone di Tir Asleen, in attesa che accadesse qualcosa.

I camerieri, che probabilmente avevano atteso con qualche fastidio, poterono sparecchiare quella parte del tavolo ed infine quest’ultimo, come gli altri, venne spostato in modo da formare un grande spazio squadrato al centro del salone, un perimetro entro il quale le danze avrebbero avuto luogo.

Al che Kit avvertì un tocco sul braccio. «Kit.» Sorsha era al suo fianco. «Ho bisogno che vieni con me. Oh, e anche tu, Airk.» Rifletté. «Anzi, forse è meglio se venite tutti e sei.»

Sorsha li condusse fuori dalla sala, giù per il corridoio e infine al portone d’entrata del castello. Disse di attendere e che qualcuno sarebbe venuto presto a riferire qualcosa, non volle dire cosa.

«Signora, sono arrivati. Sono qui» annunciò qualche minuto dopo una guardia infilandosi dal portone aperto.

«Falli entrare!» esclamò gaia Sorsha. «Oh, che emozione» commentò subito dopo, voltandosi verso i Sei. «Forza, ragazzi. Disponetevi in ordine.»

«Mamma» la bloccò sua figlia prendendola per le spalle. «Sono arrivati i Nelwin?»

Sorsha si mostrò sorpresa – ma era talmente in trepidazione che rimase in quello stato d’animo giusto un istante. Annuì. «Li ha chiamati Willow. Hanno risposto stamattina, si sono messi in viaggio non appena hanno ricevuto il suo messaggio.»

Kit, Airk, Jade, Boorman, Elora e Graydon in questo ordine, si piazzarono in fila a lato del portone, assieme a un capannello di guardie e membri della corte agghindati di tutto punto. Poi le porte si aprirono ed entrarono i Nelwin.

Fu al contempo esilarante e stupefacente. Non era facile dimenticarsi di quanto fosse speciale quel popolo, eppure, in seguito all’avventura in giro per il mondo, i sei compagni avevano quasi accantonato i Nelwin in un angolo della memoria. Adesso sfilavano lì davanti a loro, sorridenti come non mai, con vestiti pieni di pagliuzze, gingilli, nastri e ricami curiosi (dovevano essere i loro vestiti festaioli); alcuni brandivano delle piccole trombe e vi soffiavano dentro, mentre altri agitavano degli alti e sottili stendardi che garrivano passando dall’aria fredda a quella calda dentro al castello. Portavano quasi tutti dei cappelli a punta e le loro scarpe erano lunghe e buffe. Bassi, tozzi, alcuni barbuti a tal punto da dover annodare i peli facciali in trecce e codini. E poi, in fondo al corteo, c’era ovviamente il trono dello Stregone del villaggio, che con grande sollievo dei suoi portatori era vuoto e leggero, poiché quel posto avrebbe dovuto occuparlo proprio Willow.

Quando apparve la figlia di Willow, più radiosa che mai, venne accolta dagli avventurieri con caldi saluti entusiasti. Fu bello rivederla. Potevano solo immaginare cosa volesse dire per lei aver dovuto attendere il padre e nel frattempo detenere il potere decisionale sul villaggio; finalmente adesso poteva riunirsi a Willow, a cui era mancata oltre ogni modo.

 

 

Il corteo dei Nelwin venne accolto in sala grande da curiosità frammista a grande cordialità e ospitalità. In pochi avevano avuto occasione di conoscere direttamente un Nelwin a Tir Asleen, escludendo Willow ovviamente. Intanto fu possibile constatare che su un lato dello spazio adibito alle danze si erano schierati un buon numero di musici e cantanti, stavano accordando i loro strumenti e preparandosi. Alcuni danzatori già indossavano le maschere sul viso.

«Bene, ragazzi. Io vi lascio» dichiarò la regina. «Oh, che meravigliosa serata! Spero vi stiate divertendo. E’ tutta per voi!»

«Mamma!» Kit cercò di fermare Sorsha sul punto di allontanarsi e ci riuscì, distaccandosi dagli amici. Esitò. «Vorrei tanto che papà stasera fosse qui con noi.»

Sorsha non doveva aspettarsi quella frase neanche in sogno, perché rimase di stucco e abbassò gli occhi. «Lui è qui con noi» disse dopo un po’.

«No, davvero» proseguì Kit animata. «Vorrei tanto che potesse ballare con te. E con me. E aver mangiato assieme a noi. E...»

Sorsha le si avvicinò e le posò la mano su una guancia. «Non preoccuparti. Anch’io lo vorrei tanto. Sarebbe l’anima della festa! Me lo vedo in piedi sui tavoli a ballare come un pazzo… e a volteggiare mentre mi tiene stretta a sé… e poi con te, mentre vi allenate assieme con la spada.» La voce le si era incrinata sin dall’inizio; tuttavia, sorrideva. Un alone di dolce, deliziosa, nutriente malinconia l’avvolgeva. «E poi...» Staccò la mano dalla guancia di Kit e la guardò con intensità. «… mentre ti accompagna all’altare, al tuo matrimonio.» Temporeggiò un secondo. «Tuo e di Jade.»

Kit non aveva ancora avuto modo di spiegare con la dovuta attenzione la sua situazione con Jade ma, visti i recenti accadimenti (e vista la prodigiosa intuizione e lungimiranza di Sorsha, che continuava a sottovalutare) a quanto pare non ce n’era stato bisogno.

«Mamma… è un po’ presto per quello, credo» disse Kit, che non aveva idea di che miscuglio di emozioni stesse provando: più intensa fra tutte di certo vi era disagio. Dispiacere per non averne parlato prima con sua mamma direttamente. «Io...»

«Tranquilla. Ci sarà modo. Ma non stasera. Ora pensa solo a divertirti senza pensieri. Di qualunque cosa tu voglia parlarmi, sappi che sarò a tua disposizione. E non ti giudicherò.» Sorsha sospirò e carezzò la nuca a Kit. «So che tu ti credi molto diversa da me. Ma più ti guardo, più mi rivedo in te. Ribelle, testarda, orgogliosa, precipitosa… ma anche molto emotiva e sensibile.» Si guardarono. «Tuo padre è molto orgoglioso di te. Lo so.»

Si diedero un abbraccio – ma non troppo lungo, perché Kit ebbe la netta sensazione che gli amici fossero alle sue spalle a scrutarla come gufi, e che dopo avrebbe in qualche modo dovuto riferir loro di cosa aveva parlato con sua mamma.

Si congedò dalla regina e tornò dagli altri, Jade che la attendeva con un braccio steso e la mano aperta pronta a stringere la sua.

 

 

Le maschere dei ragazzi (Boorman non era più un ragazzo, ma questo era valido solo per l’aspetto estetico dopotutto) riprendevano lo stile degli abiti che portavano, coprivano la zona del viso dal naso in su, con l’aggiunta di piccole e grandi piume di volatili a dar loro una qualità svolazzante e leggiadra. Quella di Graydon era nera e oro; quella di Elora bianca e oro; Kit, blu perlaceo; Jade, bianca e rossa; quella di Airk era marrone e dorata come il suo completo; quella di Boorman invece bianco e mattone.

Ad aprire le danze furono le coppie Kit-Jade, Gryadon-Elora e Sorsha-Capitano delle Guardie. Iniziarono con un valzer, dapprima adagio, poi sempre più sostenuto, finché le tre coppie non si trovarono a volteggiare e roteare per il salone e ben presto vennero accompagnate da chiunque avesse intenzione di buttarsi. Ovverosia in molti, moltissimi.

Fra loro c’erano anche Willow e la figlia: dopo aver parlato di un sacco di cose, appartati sui gradini di una rampa poco frequentata, indossarono le maschere e si lanciarono nelle danze anche loro – assieme a un ingente numero di Nelwin.

Dopo il valzer seguì una canzone dal ritmo sostenuto e allegro, con l’aggiunta di strumenti a corda e percussioni che la rendeva qualcosa di moderno e mai sentito prima, molto travolgente (era tipo un rock, ma hey, mica esiste il rock a Tir Asleen). Tutti si misero a dimenarsi, saltellare, seguire a voce il duo di cantanti dell’orchestra; alcuni si percuotevano e andavano a sbattere gli uni contro gli altri per l’eccitazione. Si poteva chiaramente intravedere ogni tanto Boorman appiccicato a una donna vestita tutta di nero, con una maschera calata sul volto a foggia di teschio piumato: si baciavano ogni due per tre. Anche Elora e Graydon di tanto in tanto si baciavano. E pure Kit e Jade (come se ci fosse bisogno di precisarlo). L’unico a non baciare nessuno al momento era Airk, che tuttavia dava l’impressione di starsela spassando alla grande, ora con quel gruppetto di Nelwin – lui non l’aveva mai visto il popolo di Willow, ora con quelle graziosissime fanciulle di paese attratte dal suo charme.

Sui tavoli al perimetro del “palco” i camerieri avevano disposto stuzzichini e bevande ad allietare chi voleva fare una pausa o non ballare affatto. Insomma, si era pensato proprio a tutto.

 

 

Fu una serata memorabile. Si ballò fino a tardi, finché i piedi o le gambe o i polmoni non ressero più a nessuno, e ci si fermò e si andò a sedere, a gruppi, in coppia o da soli.

Ma prima che i popolani potessero decidere che il loro pernottamento al castello era finito e tornassero nelle loro case, Sorsha attrasse l’attenzione battendo con una posata su un bicchiere (era piuttosto brilla) e richiamò gli avventurieri protagonisti di quella serata. E ne scandì i nomi per intero a gran voce, declamandone le buone qualità.

 

 

Kit Tanthalos

 

Airk Tanthalos

 

Willow Ufgood

 

Elora Danan

 

Jade Claymore

 

Graydon Hastur

 

Thraxus Boorman

 

 

 

 

 

 

 

 

(«Ma come, di già?» bofonchiò Boorman, la bocca impastatissima dal troppo alcool e dal sonno, seduto storto su una panca e sul punto di cadere all’indietro sul pavimento.

«Si» rispose ridendo Elora, che era andata a svegliarlo. «La storia è finita. Andiamo a riposare, adesso. Stavolta sul serio.»

«Se proprio dobbiamo...» disse Boorman, un occhio chiuso e l’altro mezzo aperto.)

 

 

 

- FINE -

 

 

 

 

 

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Salve salve!

Innanzitutto grazie per aver letto questa storia. Spero che ti abbia divertit@ e intrattenut@!

Era da un sacco di tempo che non scrivevo più, non in questo modo; e soprattutto, che non postavo online un mio scritto. E’ strano, ma anche molto soddisfacente. Il nostro modo di esprimerci, anche per iscritto, cambia assieme a noi, in base a ciò che leggiamo, diciamo, le persone con cui stiamo, le opere che guardiamo (film, serie tv, ecc).

E posso dire che Willow è una serie tv fantasy classico (anche se proprio “classico” non è, ma lo si può capire solo guardandola) che è riuscita a conquistarmi fin dal primo episodio con un entusiasmo davvero grande.

Ho cercato di trasmettervelo in questi capitoli, a mio modo.

 

A rivederci (rileggerci?)!

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