Anaxiphilia

di Nao Yoshikawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


Parte prima

Rumore di piatti rotti.
E l’esasperazione di una donna che era arrivata al limite della sopportazione. Non era questo che Hinata Tachibana aveva immaginato per sé, non era quello che aveva immaginato quando aveva sposato Tetta Kisaki. Hinata si era detta che non ci sarebbe caduta, in uno di quei matrimoni deprimenti e monotoni, tossici o crudeli. E invece ci era caduta anche lei.
«Vai via. Vattene» gridò, le guance bagnate di lacrime. A Kisaki sanguinava uno zigomo, un piatto lo aveva sfiorato di striscio. Una sottile goccia di sangue scendeva lungo il viso. Ma, nonostante ciò, non aveva avuto reazione. Quelli erano i momenti in cui Hinata più lo temeva, perfino più di quando si arrabbiava e le urlava contro, quando la picchiava. Perché quella poteva essere definita la calma prima della tempesta.
«Mi hai colpito» disse Kisaki dopo interminabili minuti di silenzio. Si sfiorò la guancia, osservò il sangue scuro e poi guardò sua moglie che, con la schiena contro il bancone, l’osservava. La sua espressione era un misto tra la paura, la rabbia e il disgusto. Quello non era l’uomo che aveva sposato. O forse quell’uomo non era mai esistito ed era stata tutta un’illusione, difficile a dirsi. Hinata ricordava bene di essersi innamorata della sua intelligenza, del modo in cui la faceva sentire protetta e rassicurata. Tutti avevano i propri lati oscuri, ma con Kisaki si andava ben oltre.
«E lo rifarei ancora!» gridò Hinata, le mani che tremavano.
Respira. Non metterti a correre. L’odore della paura eccita quelli come lui.
«Non ne posso più» continuò. «Non è questa l’esistenza che mi merito. Ho solo ventisette anni, non posso pensare che la mia vita vada così. Con te. Perché devi farmi questo? Farlo a noi?»
La cosa che più di tutte Hinata non sopportava, era il fatto di amarlo. Amarlo e odiarlo allo stesso tempo per tutto il male e le umiliazioni che subiva. Quante volte aveva pensato di lasciarlo, per poi cambiare idea?
Una persona non può essere del tutto cattiva, no? Altrimenti perché mi sarei innamorata di lui?
Un perché non esisteva, l’amore era quanto più di irrazionale potesse esistere.  Ma Hinata era troppo stanca per andare dietro a certe fantasticherie sentimentali.
Ci furono vari secondi di silenzio, di vuoto. Kisaki fu addosso a lei all’improvviso, le mani strette attorno alle sue spalle. Non con la dolcezza di una volta, ma con violenza e possessività, come a volerle dire sei una cosa che appartiene a me.
«Non è colpa mia, Hina. Lo sai che faccio così solo perché tengo a te.»
Aveva quel modo languido e un po’ viscido di rivolgersi a lei, ogni volta che accadevano discussioni o litigi del genere. Kisaki era sempre stato geloso, sin da quando erano fidanzati, ma Hinata non ci aveva mai dato troppo peso (e forse questo era stato l’unico errore da parte sua). Ma da quando si erano sposati le cose erano peggiorate. A suo marito non andava bene niente. Se qualcuno si fermava a parlare con lei, se qualcuno anche solo la guardava, quello era un motivo più che sufficiente per Kisaki per andarle contro, aggredirla.
Sei mia, perché non te lo metti in testa? Ne è la prova la fede che porti al dito. Non osare prendermi in giro.
In quei momenti le sembrava un folle. Soprattutto quando diventava violento. Capitava sempre che rompesse qualcosa, talvolta aveva perfino colpito lei. E tutte le volte che Hinata aveva minacciato di andarsene, ecco che lui era tornato da lei, implorante, affascinante, sussurrandole dolci parole, sfiorandola. Era un altro motivo per cui Hinata si odiava: per l’attrazione sessuale reciproca, perché quando lui la sfiorava, lei non riusciva a dire di no. Perché in quei momenti Tetta Kisaki smetteva di essere violento e spaventoso e tornava ad essere simile al ragazzo di cui si era innamorata. Ma ora basta. Quella persona non era mai esistita.
«Non toccarmi!» gridò. «Sei un ipocrita, e sei anche assurdo. Sei geloso di qualsiasi persona mi si avvicini. Hai provato a rinchiudermi in casa e a farmi lasciare il lavoro, ma non ci sei riuscito. E non riuscirai a fare altro. È finita, non voglio più saperne niente.»
Hinata, hai la guancia arrossata. È stato lui, non è vero?
Non ti si può nascondere niente, Naoto. Non so cosa fare.
Naoto si era offerto tante volte di aiutarla. Era un poliziotto, di sicuro aveva il potere di fare qualcosa. A lui Kisaki non era mai piaciuto, ma per amor di sua sorella aveva sempre accettato la cosa. Aveva cambiato atteggiamento nel momento in cui aveva capito che tipo di persona lui fosse.
 
Va tutto bene, Naoto. Non devi preoccuparti per me. Posso gestirla da sola, non è niente di grave.
Hinata, io so come vanno a finire queste situazioni. E lo sai anche tu. Lui non può farti questo, nessuno può. Ma non posso fare nulla contro la tua volontà. Ti chiedo solo di fare attenzione e di venire da me subito, nel caso dovesse ricapitare.
 
Oh, Naoto. Più giovane di lei, eppure così saggio. Avrebbe dovuto ascoltarlo sin da subito. Ma non era troppo tardi. Poteva ancora fare qualcosa. Kisaki aveva preso a scuoterla, quasi avesse tra le mani una bambola senza vita.
«È così che mi ringrazi, dopo tutto quello che ho fatto per te? Chi ti è stato accanto nei momenti più bui? Chi ti permette di vivere nel lusso, di vivere una vita agiata? Sono io. Quindi smettila di lamentarti. Tu mi sei sempre appartenuta, sin da quando eravamo bambini. È così, era destino.»
Sorrise, Kisaki. Anzi, ghignò e Hinata spalancò gli occhi. Stava cercando di annullarla per l’ennesima volta.
«Appartengo solo a me stessa!» gridò, poggiando una mano sul suo petto per spingerlo. «Mio fratello ha ragione, non avrei dovuto sposarti, che razza di stupida sono stata!»
Lo sguardo di Kisaki cambiò. Ecco che faceva capolino la versione folle, sadica e maligna di suo marito. La versione che odiava.
«Naoto farebbe meglio a farsi i cazzi tuoi! E tu! Dovresti dirmi grazie. Se non avessi sposato me, avresti sposato quell’idiota di Takemichi Hanagaki. E che vita avresti avuto? Ma lui adesso non c’è più e tu hai scelto me.»
Era vero, Hinata lo aveva scelto. Aveva visto in lui la sua seconda possibilità. Meritava di innamorarsi di nuovo e di rifarsi una vita, no?
Anche se non aveva immaginato (e dopotutto, chi lo fa mai?), che sarebbe finita così. Ma quelle parole furono troppo per lei. Takemichi le era sempre stato così caro, lo ricordava come una persona dolce e disposta a fare di tutto per le persone che amava. A lei ci aveva tenuto davvero. Magari insieme sarebbero stati felici, ma quello era solo un bel sogno.
«Tu non sarai mai come Takemichi, hai capito?» gridò. Vomitò quelle parole ancor prima di pensare non è una buona idea. Lui l’avrebbe picchiata. No, peggio. L’avrebbe uccisa. Il viso di Kisaki si contrasse in un’orribile smorfia. Aveva sempre amato il potere, eppure sentiva di non averlo del tutto su Hinata.
«Maledetta. Maledetta, come osi tu dire questo a me? Ti ammazzo!»
Hinata chiuse gli occhi e poi fece l’unica cosa che le era possibile da quella posizione. Strinse con una mano tra le sue gambe, più forte che poté. Kisaki avvertì subito il dolore e Hinata approfittò di quell’unico momento di distrazione per allontanarsi.
«Dove pensi di andare? Non puoi andare!»
Nel suo tono, Hinata ci avvertì qualcosa che somigliava alla disperazione.
Alla fine chi veramente dipende da chi? Io da te o tu da me?
Non si voltò indietro, farlo le sarebbe costato troppo. Aveva bisogno di allontanarsi, correre, respirare.
«Hinata, torna qui. Non importa dove scapperai, io ti ritroverò sempre!» gridò Kisaki, rivolto alla figura di sua moglie che ora usciva da casa loro, che correva via, probabilmente da quel rompiscatole di Naoto. Avrebbe potuto inseguirla, certo. Ma perché abbassarsi a tanto? Lei sarebbe tornata.
 
 
Kisaki fece ciò faceva sempre dopo ogni litigio con Hinata: sfogava la sua rabbia sulla mobilia, poi usciva di casa e respirava l’aria della notte. E incontrava una persona. La persona che forse lo conosceva meglio di chiunque, persino meglio di sua moglie. Lui e Hanma si incontravano sotto un ponte pedonale, praticamente isolato. Hanma ogni volta lo accoglieva con uno stupido ghigno, come di chi la sapeva lunga.
«Hai di nuovo litigato con la mogliettina, eh? Mi usi quando lei non c’è, potrei quasi ritenermi offeso!»
Lui e Shuji Hanma erano legati da anni. Da un legame molto più stretto e complicato rispetto a quello che la gente poteva pensare. Un amante, un amico di letto? Avrebbe potuto chiamarlo così, Kisaki
«Sta zitto e dammi una sigaretta, piuttosto.»
Hanma fece un sorriso storto. Prese una sigaretta e l’avvicinò alle sue labbra.
«Immagino tu non voglia parlarne.»
«Immagini bene. Accendi.»
Avvicinò l’accendino. Kisaki, con la sigaretta stretta tra le labbra, poggiò le mani sulle sue. E per un breve istante si guardarono negli occhi. Kisaki poi si allontanò lentamente e sospirò. Nicotina, ringraziando il cielo. Hinata credeva che avesse smesso, invece si limitava a farlo di nascosto. Adesso era quiete. Adesso era tutto perfetto. O quasi.
«Sai cosa? È che io non ti capisco, Kisaki. È chiaro che questo matrimonio non può funzionare. Giuro, non ho mai visto una coppia più male assortita di voi due.»
«Mi sembrava di averti appena detto che non voglio parlarne» lo interruppe subito Kisaki. Hanma era l’unico abbastanza coraggioso (o stupido, a seconda dei casi) da dirgli in faccia quello che pensava senza temerlo. Hanma sorrise. In modo un po’ strano, quasi con amarezza.
«Non avevo capito fossi innamorato. Non sei mai stato un tipo sentimentale.»
«Stai continuando a parlarne.»
Kisaki fece per avvicinare la sigaretta accesa al suo braccio, per bruciarlo e magari zittirlo davvero. Hanma però fu più veloce. Strinse il suo polso, lo bloccò. Kisaki gemette appena, ma non si mosse.
«Andiamo, non essere crudele. Non puoi permetterti questo atteggiamento. È da me che vieni, quando con lei non va bene. È da me che ti fai scopare. E dimmi, Hinata sa che la tradisci con il sottoscritto? Oh, quante cose le nascondi? Oltre a maltrattarla. Quella povera ragazza vive in una bellissima gabbia dorata, ma è pur sempre una gabbia. Lei lo sa che la bella casa in cui vivete l’hai acquistata con soldi sporchi? Ah, bei tempi quando eravamo entrambi dei delinquenti. Ma poi ti sei tirato fuori per amore. Sempre che questa cosa strana sia amore. Tu che dici?»
Adesso Hanma sembrava stare delirando. Kisaki si era tirato fuori dalla malavita, dalle gang, nel momento in cui aveva intrapreso una relazione con Hinata. O almeno, questo era quello che aveva raccontato lei, perché aveva in realtà continuato a farne parte fino al matrimonio. Poi, onde evitare problemi e seccature varie, si era allontanato e ora fingeva di vivere come una persona comune, con un lavoro normale e un matrimonio normale. Poteva darla a bere agli altri, di certo non ad Hanma.
«Si può sapere che cazzo ti prende? Ti sei drogato, forse? Io non sono venuto qui per sentirti chiacchierare.»
Hanma corrugò la fronte. E lo baciò. I loro non erano mai baci dolci e delicati, ma ruvidi e possessivi. I vetri degli occhiali si appannavano, le mani si cercavano per strapparsi i vestiti e per graffiarsi e farsi del male. In quel gioco assurdo spesso faticavano a capire chi fosse la vittima e chi il carnefice. Hanma si staccò dal bacio e lo fissò.
«È per questo che sei venuto qui, no? Avanti, guarda le cose come stanno. Hai sposato la persona sbagliata.»
«Zitto. Sta zitto. Tu non capisci. Io amo Hinata, lei è mia» sibilò furente, gli occhi infiammati. Cosa poteva saperne lui del sentimento bruciante che provava per Hinata sin da quando erano bambini? Lui l’amava in modo disperato. In modo un po’ diverso dalla normalità. Ma non era lui il colpevole. Erano gli altri a non capire. Hanma spalancò gli occhi. E poi sorrise.
«Però, Kisaki. Mi avevi quasi convinto, in caso mi avresti spezzato il cuore. Forse è vero che la ami, in modo molto strano e malato. Aspetta a interrompermi, non ho ancora finito. Ma so che ami anche me, altrimenti non torneresti tutte le volte. Lei è la persona che hai scelto di avere, l’hai voluta a tutti i costi, tanto da uccidere perfino il suo fidanzato. Io invece sono la persona che non hai scelto di avere, ma che ti è sempre stata destinata. Bizzarro, vero?»
Hanma era terribilmente loquace quella sera. A Kisaki non piaceva. A nessuno piaceva quando la verità ti veniva sbattuta in faccia.
«Mi fai venire la nausea. Cosa ti aspetti? Che lasci Hina e la mia vita perfetta per stare con te? Troppo complicato.»
Hanma afferrò il suo viso con una mano. E strinse. Avrebbe potuto trovare in qualcun altro. un sostituto di Kisaki. Ma in verità Kisaki non era sostituibile. Era una devozione viscerale quella che provava per lui, ammirazione e un pizzico di ossessione. Lo amava in un modo che non aveva niente a che fare con l’amore comune. Quelli come lui e Kisaki non erano in grado di amare in modo normale, ecco perché dovevano stare insieme.
«Ti fai sempre desiderare. Mi fai impazzire.»
Kisaki si scostò dalla sua presa facilmente. Hinata sarebbe tornata. Loro erano sposati finché morte non li avesse separati.
 
 
«Allora, cosa vuoi fare? Hai intenzione di denunciarlo? Possiamo farlo subito, se vuoi.»
Naoto sapeva che avrebbe dovuto essere cauto, ma non riusciva a trattenere l’impazienza e il nervosismo. Hinata stava seduta di fronte a lui, le mani poggiate in grembo, un po’ tremante. Aveva paura, ma era anche decisa ad andare avanti per la sua strada. Arrivata a quel punto non aveva scelta.
«In questo momento voglio solo riprendermi, sono ancora spaventata» sussurrò, accennando un sorriso. Naoto si chinò su di lei e le poggiò una mano su una spalla.
«Scusa, hai ragione. Sono solo incazzato, con lui e con me stesso. Ma adesso ho il potere di fare qualcosa. Non dovrai tornare da lui. Potresti anche divorziare, così non avreste più niente che possa legarvi.»
Hinata lo guardò negli occhi, si morse il labbro, colpevole. Era come se stesse cercando di rivelare un segreto a Naoto, ma senza usare le parole.
Come se volesse dirgli qualcosa c’è eccome.
Naoto non capì come fece a intuirlo. Forse un sesto senso.
«Hinata… non dirmelo. Di quante settimane?» domandò in un sussurro. Hinata abbassò lo sguardo.
«Sei» disse, con una punta di dolcezza. Aveva sempre voluto un figlio. Quando aveva sposato Kisaki, aveva immaginato che un giorno avrebbero avuto due o tre bambini da crescere. Ma vista la situazione, mettere al mondo un figlio sarebbe stato egoistico da parte sua. Anche quella gravidanza non era stata cercata. Hinata non aveva avuto né il coraggio di dirlo a suo marito, né il coraggio di abortire. Naoto si passò una mano tra i capelli, pallido in volto come se avesse visto un fantasma. Sua sorella aspettava un figlio da quel folle di Kisaki. Avrebbe dovuto tenerlo di conto, in effetti.
«Oh. Accidenti… amh… tu… insomma…»
«So cosa vuoi chiedermi. E so che è una follia e che crescere un figlio da sola non è facile.»
«E sai anche che è figlio suo» aggiunse Naoto. Hinata chiuse gli occhi.
«Ma è anche mio e io lo voglio.»
Quando Naoto la sentì pronunciare quelle parole, capì che Hinata non avrebbe cambiato idea. Non aveva potere in quel caso, era una decisione che spettava a lei.
«In qualsiasi caso, ti aiuterò io» affermò, tremando appena per la tensione. Se sua sorella aveva deciso di tenere il bambino, lui sarebbe stato lì per lei. Era finito il momento di attendere. Hinata gli sorrise e afferrò le sue mani. Sussultarono entrambi quando sentirono lo stridio dato dal campanello. Hinata si irrigidì. Doveva trattarsi di Kisaki.  Naoto le fece segno di non preoccuparsi. Di sicuro non l’avrebbe toccata fin quando ci sarebbe stato lui. Dopo pochi istanti, Tetta Kisaki era davanti a lui, l’espressione più calma, ma lo sguardo attento. I due – Kisaki e Naoto – non si erano mai piaciuti.
«Hina… torniamo a casa» le sussurrò, in tono caldo e gentile. Lo stesso tono che usava tutte le volte per irretirla, riuscendoci. Hinata, in piedi, strinse i pugni tanto forte da conficcarsi le unghie nei palmi.
«Non verrò con te questa volta. Non posso… sarei un egoista.»
Kisaki assottigliò lo sguardo. C’era qualcosa che Hinata stava omettendo, qualcosa che era sul punto di dire, senza però riuscirci.
«So quello che hai fatto, Hinata mi ha detto tutto» disse a quel punto Naoto. «Non la lascerei comunque tornare da te.»
«Oh, non immischiarti, Naoto. Ci hai sempre provato. Ma non puoi riuscirci, capisci? Nessuno può.»
Hinata si fece forza e s’intromise tra i due. Una sorta di scudo per proteggere Naoto. Anche se lei in quel momento si sentiva così fragile. Eppure era guidata da un istinto tutto nuovo.
«È una mia decisione. Non tornerò a casa con te. Io… non posso mettermi in pericolo ancora una volta. Né me né il bambino che porto in grembo.»
Naoto spalancò gli occhi, stupito. Hinata lo aveva detto e nessuno dei due sapeva che reazione aspettarsi da Kisaki. Quest’ultimo, dopo qualche istante di smarrimento, sorrise.
 «Oh, Hina. Sei incinta? Questa è una bellissima notizia. A maggior ragione dovresti tornare a casa con me. Solo io posso prendermi cura di te, di voi.»
Fino a quel momento Naoto si era trattenuto. Ma niente poté impedirgli di colpire Kisaki in viso con un pugno.
«Naoto!»
Kisaki era caduto sul pavimento. Avvertiva un sapore acre di sangue in bocca.
«Tu non sei capace di prenderti cura di nessuno» disse Naoto. «Non rovinerai ancora la vita alle persone che amo. Vattene e… Hinata, trattienimi o giuro che potrei ammazzarlo con le mie mani.»
Naoto sembrava molto poco in sé. Non era riuscito ad essere ragionevole fino alla fine, ma come avrebbe potuto. Con le lacrime agli occhi, Hinata guardò Kisaki.
«Va, ti prego.»
Era già tutto troppo doloroso così. Non voleva assistere ad altra violenza. Sorprendentemente, Kisaki si alzò, non sembrava far caso al sangue che fuoriusciva dal naso.
«Non finirà così. Tornerò. Tu sei mia moglie, Hina. E la madre di mio figlio, quindi è con me che dovrai stare. Lo so che mi ami.»
Forse era vero, pensò Hinata. Ma amava molto più sé stessa, oramai.

N.D.A
Kisaki è tipo il mio personaggio super preferito di Tokyo Revengers e lo shippo molto sia con Hinata che con Hanma. Non era proprio il tipo di idea che avevo all'inizio, però è andata così. Doveva essere una OS, invece la dividerò in due capitoli, altrimenti sarebbe venuta troppo lunga e non avevo voglia di tagliare parti. Spero di aver reso giustizia ai vari personaggi, in effetti è la prima volta per me. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto e che spero vogliate leggere anche il seguito (;
Nao

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


Parte seconda

Kisaki tornò alla loro casa, ma lei non venne. Provò a telefonarle, ma lei non rispose. Più di una volta gli venne l’idea di tornare da lei, ma in verità non voleva avere a che fare con quel rompiscatole di Naoto. Ma di sicuro non gliel’avrebbe lasciata. Intanto, era caduto in uno stato di nervosismo e impazienza che si alternava ad uno stato quasi depressivo. Per lui era chiaro: non aveva fatto niente di male, era Hina che in qualche modo cercava sempre di sfuggirgli. Meritava questo, dopo tutto quello che aveva fatto per lei? Ah, sì. Anche uccidere il suo ex fidanzato, ma questo non aveva importanza che lo sapesse. Fu uno di quei giorni che Hanma venne a trovarlo. E soltanto perché Kisaki sembrava sparito, oltre a non rispondere a nessuna telefonata.
«Però, devo dire che ti tratti bene, che razza di casa» fu il primo commento di Hanma. Kisaki somigliava tanto ad un tossico in astinenza.
«Cosa sei venuto a fare, qui?» gli domandò.
«Ma come? Io mi preoccupo per te. Immagino sia andata male, eh?»
Kisaki scosse la testa. Stava bevendo qualcosa di alcolico, Hanma se ne accorse e volle favorire. Kisaki non ebbe nulla da obiettare.
«Non può stare lontana da me, soprattutto ora che è incinta.»
«Ma davvero? Hai fatto centro. Certo, sarebbe deprimente se le cose andassero come tu vuoi. Non è che hai intenzione di diventare un marito e un padre modello, vero?»
«Anche se fosse? Perché sarebbe deprimente?»
Hanma bevve e godette di quella sensazione bruciante alla gola. E poi si avvicinò a Kisaki. Che era, tutto sommato, una persona tremenda. Come lui, ma peggio. E nonostante tutto, gli piaceva. Lo amava in quel modo sbagliato che solo quelli come loro potevano capire.
«Non avresti più tempo per me. Me, il tuo amico più fidato… e il tuo amante. Andiamo, Kisaki. Una vita normale non fa per te.»
«Tu dici così soltanto perché ti sei innamorato di me. L’ho capito, non sono certo un idiota. Ora sei tu quello sentimentale. Comunque, non è affar mio.»
La mano di Hanma era ora sulla sua gamba. A Kisaki piaceva credere di avere il controllo, ma spesso e volentieri non era così.
«Sei crudele, Kisaki. Probabilmente è anche per questo che mi piaci tanto.»
Con le dita risalì. Kisaki socchiuse gli occhi e pensò chissà come mai, fra tutti, ho scelto proprio lui come amante?
Oh, no. Non l’hai scelto. Vi siete scelti a vicenda.
Scacciò via quel pensiero. Il destino non aveva nulla a che vedere con quella situazione, con il respiro di Hanma ora vicinissimo al suo. Alle sue labbra che lo stavano baciando con una dolcezza strana, ma che non gli dispiacque. Hanma lo conosceva. E questo non sempre era un bene. Conoscere una persona significava conoscere, allora, anche le sue debolezze. Ed era tutta colpa sua. Ma non si tirò indietro, si lasciò baciare e divorare, non riuscì a staccarsi nemmeno quando sentì la chiave nella serratura. Fu per poco che Hinata non li vide. Proprio sua moglie era appena entrata a casa loro, ancora provata, ma in condizioni migliori dell’ultima volta. Naoto era alle sue spalle e aveva fatto una smorfia stranita nel vedere quei due così vicini e stravolti. Hanma si era guardato intorno e poi aveva sorriso.
«Ops. Mi sa che farei meglio ad andare, non vorrei immischiarmi in una riunione di famiglia.»
Kisaki lo guardò male. Ma visto che era solo il suo amante, non aveva motivo di rimanere lì con lui. Hinata lo osservò. Conosceva bene Shuji Hanma, era perfino stato il testimone di nozze di suo marito. E non solo.
«Naoto, puoi aspettare un attimo fuori, per favore?» domandò Hinata.
«Al massimo vado dietro la porta, non più lontano» rispose suo fratello, di malavoglia. Non si fidava a lasciare Hinata da sola con lui, ma cercò di accontentarla come voleva. E poi era fuori strada. Kisaki non aveva intenzione di fare del male a Hina, oh no. La voleva con sé e avrebbe usato tutto il fascino e la dolcezza possibile per riuscirci.
«Sei tornata» le sussurrò, avvicinandosi per afferrare le sue mani. E sebbene Hinata ebbe come primo istinto quello di cedere, fece un passo indietro.
«Per prendere le mie cose. E per parlarti. Non abbiamo avuto occasione l’altra volta.»
Non avevano mai avuto occasione, non di parlare davvero. Kisaki sospirò, seccato.
«E di cosa dobbiamo parlare? Voglio che torni qui, che cresciamo nostro figlio insieme.»
Hinata chiuse gli occhi. Sarebbe stato così bello, in un’altra vita, forse.
«Io non tornerò da te. Non posso… e non posso neanche starti troppo vicina, perché ho paura che cederei. Perché vedi, io ti ho amato e continuo ad amarti. Ma non sono una cosa di tua prorpietà» disse risoluta. Kisaki si sentì infastidito da quella sua determinazione. Tutto quello che aveva costruito non poteva crollare così.
«E cosa avresti in mente di fare?»
«… Voglio il divorzio per prima cosa» soffiò. Era la prima cosa che poteva fare per mettere un paletto tra di loro, almeno dal punto di vista legale. Kisaki fece per parlare, ma lei non glielo permise e continuò. «E so che sei il padre di mio figlio. Ne ho parlato con Naoto. Lui non è molto d’accordo con me, però… immagino che potrai vederlo, in presenza mia o di mio fratello. Ma anche per questo, ci vorrà un avvocato e…»
Kisaki si avvicinò a lei e le strinse le braccia. Aveva un’espressione contratta. Come se avesse tanto da dire, ma non sapesse da dove cominciare.
«Non era questo ciò che volevamo per noi. Dobbiamo vivere insieme. D’accordo, va bene. Forse sono stato un po’ duro, ma le cose possono cambiare. Se dici di amarmi, dovresti rimanere.»
Hinata voltò la testa dall’altra parte. Naoto aveva ragione. So come finiscono queste situazioni. E anche tu.
Era vero, lo sapeva. Ecco perché faceva così male. Dovette farsi forza per non cedere. Alle sue parole. Al senso di colpa che lui le provocava.
«Te l’ho detto. Ho scelto il mio bene. Non può funzionare. Non rendiamo le cose più difficili.»
Kisaki si rese conto che per quella volta non sarebbero bastate le minacce, non sarebbe bastato essere convincente o attraente con Hinata. Non c’era cosa peggiore per lui di non avere il controllo. Su qualcosa. O su qualcuno. La lasciò andare, ma le mani tremavano.
«Stai pensando di andartene?» domandò allora. Hinata lo guardò per un breve istante.
«Questa casa sarebbe troppo grande per me. Per te e Hanma penso che andrebbe bene.»
Kisaki non capì. Hinata non poteva sapere di loro. Era sempre stato bravo a separare le sue due vite, le sue due relazioni. Certe cose erano però ovvie senza che ci fosse bisogno di dirle. Erano quasi scontate.
«Non capisco di cosa parli.»
«Da quanto tempo è che mi tradisci con lui?» chiese poi, apparentemente tranquilla e indifferente. «All’inizio, quando l’ho capito, mi sono arrabbiata. Penso di esserlo anche adesso, un po’. Ma soprattutto sono rassegnata e mi dico che forse non poteva essere altrimenti.»
«Hina. Hinata.»
«Vedi, questo non è amore, il tuo nei miei confronti. Non sono io la donna… la persona giusta, per te.»
Per la prima volta Hinata poté vantare di averlo zittito. Perché Kisaki non trovò nulla da dire, era stato colto alla sprovvista. Non sono io la donna… la persona giusta, per te. Erano solo cazzate! E sentirglielo dire lo faceva infuriare. Ma se ne rimase zitto mentre Hinata prendeva le sue cose e poi se ne andava.
I suoi giochetti non funzionavano più. E, da solo in quell’appartamento, Kisaki si chiese cosa ne sarebbe stato di lui, adesso. Poteva però dire di non essere solo, perché Hanma aveva solo finto di andarsene. Infine era tornato, con quel suo solito sorriso compiaciuto e divertito.
«Ma tu guarda, interrompono sul più bello e poi se ne vanno. Non fare quella faccia, non sei il primo uomo che viene lasciato dalla moglie.»
«Non mi ha lasciato» sussurrò a voce bassa.
«Come?»
«Ho detto che non mi ha lasciato!» questa volta gridò, alzandosi in piedi. «È inutile che mi guardi così. Lei tornerà da me e vedrai come saremo di nuovo felici. Non ho forse ragione?»
Senza accorgersene aveva afferrato Hanma per la camicia, stringendola e sgualcendola.
Hanma però non aveva battuto ciglio.
«No che non hai ragione.»
«Sei un ingrato figlio di putt-»
Hanma non aveva voglia di sentirlo parlare ancora. Non di quello. Non ora che le cose stavano finalmente iniziando ad andare come voleva. Gli era rimasto accanto tutta la vita, aspettando che compiesse un passo nella sua direzione. Lo baciò in modo così improvviso e violento che quasi provarono dolore, entrambi. Kisaki gli tirò i capelli per farlo allontanare, ma Hanma per tutta risposta gli morse il labbro, facendolo gemere. Se avessero voluto, avrebbero potuto liberarsi l’uno dell’altro facilmente. Ma ad entrambi, alla fine, piaceva quel gioco asfissiante.
 
 
Non era stato per sua volontà, se alla fine Shuji aveva finito con il trasferirsi in casa sua. Di fatto sembrava che ora avessero una vera relazione. Non solo il sesso, ora c’era la convivenza, ma Kisaki aveva chiarito la cosa sin da subito noi non siamo una coppia. Mi sto solo divertendo, ma quando Hinata tornerà da me, non avanzerai pretese.
Hanma allora aveva sorriso e gli aveva detto come al solito sei crudele e insensibile.
Rifrequentando così tanto il suo amante, Kisaki aveva finito di nuovo con il caderci, nella malavita. Ed era stato ben felice di ricaderci, quasi sollevato. Hinata non lo sapeva, non c’era motivo che lo sapesse. Quello era solo un periodo di stallo, ma Kisaki sapeva che, una volta nato il bambino, sarebbero tornati insieme.
In quei mesi Hinata si era ricostruita pian piano una vita, e capitava raramente che vedesse Kisaki. Aveva preferito andare alle visite di controllo con Naoto, piuttosto. Voleva vivere una gravidanza serena e così era stato. E poi era arrivato il giorno del parto.
Kisaki aveva ricevuto una chiamata da parte di Naoto. Nell’altra mano teneva una pistola. Naoto non era stato molto felice all’idea di avvisarlo, ma Hinata gli aveva detto di farlo e lui non aveva avuto intenzione di mettersela contro.
«Ehi, Kisaki. Avanti, ci siamo divertiti abbastanza, ora sto iniziando a stancarmi. Spara e basta.»
Hanma teneva bloccato il malcapitato di turno. Era sempre magnifico inferire e uccidere i nemici, che fossero membri di altre gang o semplici criminali fastidiosi. A Kisaki piaceva prima usare un po’ di tortura psicologica. Ma quel giorno aveva fretta.
«Dobbiamo andare in ospedale. Hina sta per partorire mio figlio.»
«Che meraviglia» commentò Hanma, senza nascondere un filo di sarcasmo. «Allora fai questa cosa.»
Kisaki sparò. Avrebbe dovuto ripulirsi prima di andare, liberarsi dell’odore ferroso del sangue.
 
Le mani che poco prima erano state macchiate dal sangue, che avevano stretto una pistola, ora stringevano un neonato. Kisaki guardava il bambino meravigliato. Lui e Hinata erano e sarebbero stati legati a vita, era impossibile che non tornassero insieme e felici.
«Non trovi anche tu che sia perfetto?» domandò. Hanma fece una smorfia.
«A dir la verità è piuttosto bruttino. E poi non ti somiglia, sicuro che è figlio tuo?»
«E sta zitto» si lamentò. Il bimbo si lamentò e Naoto, che lo aveva tenuto attentamente d’occhio, lo riprese con sé.
«Hinata deve allattarlo, adesso.»
«Rilassati, Naoto. Niente tensioni oggi, no? Sono sicuro che Hinata muore dalla voglia di vedermi» disse Kisaki compiaciuto.
Non era esatto che Hinata morisse dalla voglia di vederlo, ma felice per come si sentiva non le sarebbe importato poi di niente. Era stato un travaglio stancante e duro, ma adesso poteva stringere tra le braccia il suo perfetto bambino, dai pochi capelli neri, piccolo e innocente. Kisaki la trovò particolarmente bella e raggiante, anche se stanca. Si immaginava già la sua vita perfetta. La sua doppia vita perfetta. Perché lasciare ciò che aveva riscoperto era impensabile.
«Sei stata brava, hai messo al mondo un bambino sano e forte» disse Kisaki, carezzevole. Hinata sorrise. Per una volta era d’accordo con lui.
«Vero, eh? Ma più che perfetto, spero tanto che sarà felice. Il mio piccolo Takemichi.»
 Kisaki guardò prima Hinata, poi il bambino. Doveva aver capito male. Non avrebbe mai dato a loro figlio il suo nome.
«Come lo hai chiamato?»
Hinata lo guardò negli occhi. Ora non aveva paura.
«Il suo nome è Takemichi Tachibana» disse scandendo attentamente ogni parola.
Che onta. Il figlio che avevano concepito insieme doveva portare il nome di quell’essere inutile che Kisaki aveva personalmente fatto fuori? Voleva forse dire che Hinata lo amava ancora? Che non aveva mai smesso di amarlo? Possibile che la donna che aveva sempre tenuto così saldamente a sé, non fosse mai stata sua?
Il solo pensarci spazzò via ogni pensiero positivo circa la loro riconciliazione. E Kisaki scoppiò.
«Tu non darai a mio figlio il suo nome. Hai capito, Hinata? Lui non ha niente a che vedere con noi. Non sto scherzando! Non lo chiamerai così. Questo è anche mio figlio.»
Lo aveva detto gridando. Hinata si era irrigidita, stringendo il bambino che aveva iniziato a piangere. Naoto allora afferrò Kisaki e lo spinse fuori dalla stanza.
«Sta lontano» lo minacciò. «Arrenditi al fatto che mia sorella non tornerà con te. Non avrai alcun controllo su di lei, non più.»
Kisaki doveva avere la sua pistola da qualche parte. Oh, no. L’aveva lasciata ad Hanma. Era un vero peccato, perché avrebbe volentieri sparato a qualcuno. Anche alla sua dolce Hinata, che a quanto sembrava gli era sempre stata infedele nel cuore, amando qualcun altro, l’avrebbe volentieri stretta con le sue mani fino a farla soffocare. Sarebbe stato inutile per Hinata spiegargli che non si trattava di amore, ma di un semplice tributo ad una persona a cui aveva tanto tenuto. Non gli doveva spiegazioni.
 
Quando tornò a casa, Hanma andò con lui. Ed era piuttosto compiaciuto, era chiaro che Kisaki e Hinata non sarebbero tornati insieme. Quando arrivarono, Shuji si comportò come se avesse sempre vissuto lì.
«Senti, prendiamo qualcosa da bere. Ho visto che hai delle bottiglie di vino che non sembrano niente male, avrei bisogno di una sbronza.»
Kisaki lo guardava senza vederlo per davvero. Sembrava assente. Non riusciva a smettere di pensare al fatto che tutto ciò che aveva duramente costruito, stesse crollando.
«Hanma» lo chiamò ad un tratto. «Sei consapevole che quando non mi servirai più ti getterò via, vero?»
Hanma gli sorrise, con una leggera malinconia non troppo celata.
«Ma certo, ti conosco. E mi piace anche questo tuo lato» ammise. Di Kisaki adorava anche i lati più oscuri e crudeli. Anche se ciò voleva dire provare a sua volta una sofferenza, che lo inebriava e ubriacava tanto quanto un buon vino.
 
Erano passati quasi tre mesi quando Hinata si ripresentò a Kisaki. Quest’ultimo in un primo momento credette che Hinata avesse cambiato idea. E l’aveva accolta con un sorriso, che si era poi spento subito dopo che Hinata lo aveva schiaffeggiato. Lei, che non aveva mai avuto il coraggio di reagire, ora veniva fino a lì per colpirlo! Che stava succedendo mai?
«Sei una persona disgustosa, e ora me ne rendo conto. Avrei potuto perdonarti tutto, ma non questo» la voce di Hinata era piena di dolore e gli occhi pieni di lacrime.
«Di cosa stai parlando?» si allarmò Kisaki. Ma aveva già intuito.
Hinata ansimò, come se avesse corso. Faceva fatica persino a parlare.
«Hai… è per colpa tua che… Takemichi è morto, vero?»
Non riusciva nemmeno a pronunciare la frase è stato ucciso. Kisaki gli aveva dimostrato di essere violento e narcisista, ma era anche la stessa persona che le aveva riservato dolcezza e comprensione. Era dunque tutta una montatura?
Kisaki pensò ad Hanma, quel traditore. Poteva essere stato solo lui a dirle tutto, era l’unico a saperlo. Se davvero era così, era appena stato tradito nel modo peggiore.
«Te l’ha detto Hanma, non è vero?» domandò Kisaki afferrandola. «Non ascoltarlo. Lui è ossessionato da me, ecco perché vuole separarci. Secondo te avrei mai fatto una cosa simile?»
Hinata gemette. Un tempo non avrebbe mai dubitato di lui. Adesso non riusciva a fare altro. Le parole di Hanma continuavano a tormentarla.
 
«Tu non conosci così bene Kisaki come lo conosco io. Non sai quello che è capace di fare quando si mette in testa qualcosa. È sempre stato così ossessionato da te che non gli sarebbe importato di uccidere qualcuno.»
 
«Ma perché… perché mi stai dicendo ora, una cosa del genere?»
Hanma allora aveva sorriso.
«Non so, forse perché voglio liberarmi di te in modo pulito. O forse perché, amando la stessa persona, posso capirti. Ma non illuderti: il mio modo di amare è molto diverso dal tuo e più simile a quello di Kisaki.»
 
«Io… non ti credo» sussurrò, guardandolo negli occhi. «Non riesco più ad avere la minima fiducia nei tuoi confronti. Speravo, nonostante tutto, che potessimo avere un rapporto civile, per nostro figlio. Ma mi rendo conto che non è possibile. Si, è vero. Hanma mi ha detto tutto. Mi ha detto anche che sei tornato a frequentare cattive compagnie.»
«Quel maledetto bastardo…» sibilò. Sentiva di aver perso Hina definitivamente e l’obiettivo di Hanma doveva essere stato proprio questo. Era un po’ come lui: faceva di tutto per ottenere quello che voleva.
«Lui tiene a te» disse Hinata. «In un modo che non comprendo e un po’ malato, ma è così. Mi viene quasi da dire che siete fatti l’uno per l’altra.»
Non c’era sarcasmo nelle sue parole. Pensava davvero che Hanma e Kisaki fossero fatti l’uno per l’altra. Lei oramai non aveva più niente a che spartire con lui. In qualche modo se ne stava già facendo una ragione.
Kisaki non le corse dietro. Lui non correva dietro a nessuno. E sarebbe stato inutile. Prese la sua pistola e andò da Hanma. Aveva qualcosa da chiarire con lui.
 
 
Quella era una bella serata, il cielo era limpido. Hanma era disteso sull’erba, le braccia incrociate dietro la schiena, una sigaretta tra le labbra. I momenti di quiete erano così rari. Stava solo attendendo che Kisaki arrivasse e se lo conosceva bene (come era sicuro che fosse), non avrebbe tardato tanto. Anche ad occhi chiusi riconosceva la sua presenza, i suoi passi, il suono del suo respiro, in quel momento pesante, agitato.
«Ah, sei arrivato» disse Hanma senza scomporsi. Non poteva vedere – ma poteva immaginare – lo sguardo di Kisaki, in cui c’erano follia, rabbia e disperazione.
«Come hai potuto dirle tutto?» domandò Si sentiva… forse deluso? Aveva davvero risposto la sua fiducia in Hanma e lui lo aveva tradito così. Shuji sospirò.
«Fammi capire. Tu uccidi il tuo rivale in amore, e allora va bene così. Io cerco di allontanare la mia rivale in amore in modo quanto meno pulito, e sono una persona orribile? Non mi pare giusto, Kisaki.»
Finalmente Kisaki, guardando Hanma, poté rivedere sé stesso, come in uno specchio. Entrambi erano vittime di un amore folle e violento. Solo che lui, oramai, aveva perso il controllo.
«Tu sei pazzo» sibilò. «Avevo ancora una possibilità, e tu me l’hai tolta.»
Tirò fuori la pistola. Hanma finì la sua sigaretta e poi si mise in ginocchio.
«Vuoi uccidermi? Va bene, fallo pure. Ma oramai Hinata non tornerà da te a prescindere che io sia vivo o meno. Se però può farti sentire meglio, spara. Avanti» lo provocò. «Morire per mano tua ha un non so che di eccitante e poetico.»
Kisaki sentì il braccio tremare, in modo impercettibile. Un tentennamento, da parte sua.
Sei patetico, alla fine ti sei in qualche modo legato a lui?
Mise via la pistola, stanco, come se avesse ansimato. E gli diede le spalle.
«Vattene via. Non voglio più vederti.»
Sì, era stanco. Cercare di tenere insieme i pezzi senza riuscirci era frustrante. Hanma si alzò, ma non se ne andò: gli arrivò alle spalle per stringerlo nella sua morsa. Con possessività, disperazione. Ah, l’amore era una cosa assai difficile. Il loro amore poi era ancora peggio, torbido e doloroso.
«Dimmelo guardandomi in faccia» sussurrò al suo orecchio. Kisaki chiuse gli occhi: aveva perso Hinata, aveva perso suo figlio e la possibilità di una vita perfetta. Tutto ciò perché Hanma aveva fatto di tutto per averlo con sé. In questo erano uguali.
«Adesso che sanno che sono stato io ad uccidere Takemichi, faranno di tutto per incastrarmi» Kisaki cercò di cambiare discorso.
«Ti prego, non hanno le prove.»
«Hai comunque rischiato di mettermi in pericolo solo per la tua smania di avermi. Sei davvero un essere umano sgradevole.»
Ma non c’era rancore nelle parole di Kisaki. Anzi, c’era un certo compiacimento. Anche lui avrebbe fatto questo e altro per la persona che amava. Lui era arrivato ad uccidere.
«Andiamocene di qui. Solo per un po’» suggerì Hanma, che lo stringeva ancora in un abbraccio. Voleva convincerlo a lasciarsi definitivamente alle spalle quella che era stata la sua vita con Hinata. Quelli come loro, dopotutto, non erano fatti per avere un matrimonio e una famiglia felice. Erano fatti per bruciarsi e consumarsi, come una candela.
«Mi stai dicendo di scappare» disse Kisaki.
«Ti sto dicendo di allontanarci un po’ dai problemi. Io verrò con te. Lo so che ce l’hai con me. Ma credimi, mi ringrazierai un giorno. So chi sei. E quelli come noi devono stare insieme.»
Hanma era sempre stato bravo con le parole. Lui con i fatti. Aveva ancora voglia di ammazzarlo, ma il fatto di non riuscirci lo faceva pensare. Ora, in qualche modo, riusciva anche a immaginare una vita diversa da quella che si era costruito. Aveva perso il controllo, e ciò lo rendeva eccitato ed impaurito. Kisaki si voltò appena, i suoi occhi incontrarono quelli di Hanma.
«Noi non avremo mai una storia d’amore come quelle altrui.»
Hanma poggi la fronte sulla sua, e sorrise.
«E non è quello che voglio. In fondo so bene che mi ami, come ti amo anche io.»
Kisaki non disse niente. Com’era? Chi tace acconsente?
Hanma lo aveva sempre seguito ovunque fedelmente. E per un breve, brevissimo istante, Kisaki pensò che lo avrebbe seguito fedelmente a sua volta, per quella volta soltanto.


Nota dell'autrice
Devo dire che all'inizio avevo in mente un finale diverso, ovvero un finale dove Kisaki veniva ucciso per qualche motivo. Che ci sarebbe anche stato, però più andavo avanti, meno me lo sentivo. O semplicemente mi sono rammolita e non riesco più a infierire troppo sui miei personaggi preferiti. Già nel manga le cose vanno come vanno, almeno nelle fanfiction ho il controllo io, comunque... alla fine Kisaki si è ricongiunto alla sua anima gemella, anche se stava quasi per ammazzarlo. Come ci insegna Disney "le persone fanno sempre cose pazze, quando sono innamorate" E io aggiungo: Kisaki e Hanma poi non hanno limite.
Spero che questa seconda parte vi sia piaciuta.
Nao

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