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di teensyears
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The aftermath ***
Capitolo 2: *** Clarity ***
Capitolo 3: *** Someone who understands ***
Capitolo 4: *** Not again ***
Capitolo 5: *** Little things ***
Capitolo 6: *** Knowing ***
Capitolo 7: *** The truth ***



Capitolo 1
*** The aftermath ***


Le dita di Elliot aleggiavano nervosamente sullo schermo del telefono; selezionò il contatto di Olivia in rubrica quasi involontariamente e rilasciò un lungo sospiro. Aveva intenzione di chiamarla, di sentire la sua voce, ma non aveva la più pallida idea di che cosa dirle.

Erano passate quasi due settimane da quando la vide per l’ultima volta, due settimane da quando le disse di tenerci a lei, tanto da considerarla parte della famiglia. L’immagine di Olivia girata di spalle intenta alla ricerca dello zucchero negli sportelli della cucina, mentre evitava a tutti i costi il suo sguardo, era ancora impressa nella sua mente.

“Olivia, guardami” le aveva detto, avvicinandosi in un unico grande passo a lei.

Quando finalmente si voltò, i suoi occhi castani non riflettevano la sicurezza che la contraddistingueva quotidianamente nel lavoro; cercavano agitatamente l’azzurro dei suoi, erano vulnerabili. I loro visi erano a pochi centimetri di distanza: entrambi potevano sentire il respiro dell’altro sulla propria pelle. Elliot ricordava nitidamente lo sguardo di Olivia che si posava sulle sue labbra, mentre lui cercava disperatamente di intuire la direzione nella quale la sua mente era diretta, proprio com’era in grado di fare quando erano colleghi.

“Olivia” mormorò delicatamente.

Il suo nome fu ciò che la riportò alla realtà.

“Elliot” sussurrò, mentre chiudeva debolmente gli occhi, “lo voglio”.

“Lo voglio” ripeté nel momento in cui la sua bocca sfiorò appena la sua guancia, “ma… non posso”.

Fu allora che Olivia iniziò a indietreggiare improvvisamente, spezzando l'intimità di quel momento e reiterando di non essere pronta come se fosse un mantra; forse per convincere più se stessa che il suo cuore.

Era esausta dalla giornata, ma anche visibilmente impaurita. Elliot riusciva a leggerlo chiaramente nel suo atteggiamento: si era accostata vicino al frigo con le braccia che stringevano i fianchi in modo protettivo, quasi a innalzare una barriera che gli impedisse di toccarla e il suo sguardo era fisso sul pavimento.

Sentiva quella rabbia che ormai conosceva bene salire in superficie: le sue mani si chiusero in pugni che lo costrinsero ad abbassare lo sguardo a sua volta. Passarono alcuni minuti prima che decise di guardarlo; lui annuì quasi impercettibilmente e poi si girò, afferrò la giacca e uscì dall’appartamento senza più voltarsi indietro.

***
 
Olivia aveva da poco finito di riporre i piatti nella lavastoviglie; Noah era andato a dormire e si ritrovò immersa nel silenzio della sua casa. Normalmente apprezzava i momenti di tranquillità che riusciva a ritagliarsi dopo il lavoro, ma negli ultimi mesi la quiete che veniva a crearsi non appena suo figlio si addormentava, serviva solo a ricordarle quanto si sentisse sola.

Scosse debolmente la testa per allontanare quei pensieri e si avviò in direzione del divano per accendere la televisione con la vaga speranza che potesse offrirle un po’ di compagnia.

Fantastico, pensò tra sé, non appena vide il canale delle news; il volto del Sergente Bell apparve in primo piano davanti a una schiera di giornalisti che le porgevano domande sull’ultimo caso risolto dall’unità.

Olivia alzò leggermente il volume non appena la telecamera inquadrò Elliot di fronte al suo capo: il suo viso era corrucciato e le sue sopracciglia aggrottate mentre parlava di una sparatoria che aveva coinvolto il dipartimento e di come l’intervento dei suoi colleghi si rivelò necessario per evitare una tragedia.

Nel momento in cui udì la parola sparatoria, strinse forte il telecomando che teneva in mano; c’era stata un’emergenza e lei non sapeva nulla, o meglio, Elliot non le aveva detto nulla.

Si girò verso il tavolino accanto al divano per prendere il cellulare e aprì la sua chat: si fermò alcuni istanti a fissare gli ultimi messaggi che si erano scambiati. Ovviamente lui non glielo aveva fatto sapere, d’altronde perché mai avrebbe dovuto quando lei non gli aveva più risposto?

Dopo la sera in cui Elliot riportò Noah a casa, la stessa sera in cui i loro visi si erano ritrovati vicini per la prima volta in ventiquattro anni e Olivia aveva finalmente ammesso di volerlo (e per di più davanti a lui), le cose tra di loro avevano iniziato a diventare tese – non che prima andassero meglio – ma da quel momento incominciò a evitarlo di proposito, rispondendo sporadicamente ai suoi messaggi, trovando scuse nel lavoro e nella sua routine fuori dall’ordinario.

Le aveva concesso dello spazio nei giorni successivi e ne era grata: inizialmente confidava di poter evitare quella conversazione che ora si stava facendo sempre più insistente, ma tale convinzione ebbe vita breve. Rispose ai primi messaggi senza rivelare troppo delle sue giornate, ma la paura paralizzante che potesse andarsene di nuovo da un momento all’altro, quella di complicare ulteriormente le cose e il fatto che non l’avesse ancora interamente perdonato, la consumavano talmente a tal punto che alla fine smise di rispondere di punto in bianco.


Hey Olivia, come stai? Fin mi ha raccontato del caso su cui state lavorando… fai attenzione.

***
 
Fu nuovamente il lavoro a riunirli. L’unità Crimine Organizzato aveva bisogno della squadra di Olivia per risolvere un caso di trafficanti sessuali, un’indagine che si rivelò più difficile del previsto.

Sorprendentemente, ma forse neanche troppo viste le ultime circostanze, la chiamata di aiuto venne da Ayanna; Elliot, quando la vide entrare nel bureau, si limitò a un formale “Capitano” con un cenno del capo, al quale lei rispose solamente con uno sguardo fugace nella sua direzione.

Nelle precedenti occasioni in cui si erano ritrovati a lavorare insieme, era quasi una regola implicita ormai che avrebbero condotto l’investigazione in coppia; lui avrebbe guidato l’auto di servizio, lei avrebbe dato le indicazioni da seguire per le squadre e insieme avrebbero condotto gli interrogatori. Solo che questa volta Olivia si era ritrovata a lavorare con Fin perché Elliot era rimasto al fianco di Ayanna tutto il tempo e l’unica volta in cui aveva incrociato i suoi occhi fu durante le riunioni di aggiornamento sul caso.

Aveva un atteggiamento esclusivamente professionale nei suoi confronti e ciò la feriva più di quanto mostrasse; non che si aspettasse dimostrazioni eclatanti come quelle avvenute nell’intimità del suo appartamento – alle quali peraltro si era soffermata più volte a pensare – anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.

I trafficanti vennero arrestati dopo più di una settimana di appostamenti, missioni sotto copertura e una quantità interminabile di notti insonni. Poteva contare sulle dita della mano le volte in cui lei ed Elliot si erano rivolti la parola; le poche conversazioni che avevano avuto erano state comunque inerenti al lavoro.

A caso concluso, le due squadre decisero di andare a festeggiare in un locale vicino a Brooklyn particolarmente frequentato quella sera. La tensione tra loro era palpabile anche se nessuno aveva avuto il coraggio di commentare il loro comportamento insolito.

Mentre si accomodavano al tavolo, Olivia alzò gli occhi verso Fin, il quale le fece un occhiolino; aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca per chiedere il significato di quel gesto, ma poi la richiuse non appena si accorse che gli ultimi posti liberi erano due. Uno per lei e uno per Elliot, gli unici rimasti ancora in piedi.

Sentì i suoi occhi addosso, ma non appena si voltò per guardarlo, lui abbassò lo sguardo e si sedette di fianco alla sua sedia. Era inutile protestare ormai e forse anche infantile, pensò, perciò si accomodò vicino a lui, sperando che le cose non diventassero ancora più difficili di quanto lo fossero già.


***
 
Una volta che i loro ordini erano giunti al tavolo e le prime gocce di alcol iniziavano a farsi sentire, l’atmosfera diventò più rilassata; Elliot era assorto in una conversazione con Fin e Carisi e ogni tanto sentiva il suono inconfondibile della risata di Olivia, impegnata in quello che sembrava essere un assiduo chiacchiericcio tra Ayanna e Jet.

Di tanto in tanto, le rivolse qualche occhiata furtiva e si rasserenò nel vederla più tranquilla rispetto a qualche ora fa. Onestamente non ricordava l’ultima volta che l’aveva vista così e la colpa di ciò era da ricercarsi in un unico fatto avvenuto più di dieci anni fa che aveva comportato delle scelte: scelte che oggi era in grado di definire sbagliate.

Proprio nel momento in cui iniziava a essere immerso nei suoi pensieri, la voce di Fin si distinse tra le altre.

“È un po’ come ai vecchi tempi stasera”.

Ruotò immediatamente il capo nella direzione di Olivia per guardarla e lei fece lo stesso: i loro occhi si incontrarono solo per qualche istante prima che lei rivolse il suo sguardo verso Fin. Poté notare un’indistinta tristezza nei lineamenti del suo volto, mascherata dall’abbozzo di un lieve sorriso che però non raggiungeva i suoi occhi.

I bicchieri di tutti si innalzarono per il brindisi ed Elliot fu leggermente sorpreso quando sentì il clic del drink di Olivia scontrarsi con il suo.

La serata continuò liscia fino a quando lei si alzò per annunciare la sua dipartita.

“Si sta facendo tardi” disse, sistemandosi una mano tra i capelli, “domani devo accompagnare Noah a scuola”.

Il gruppo di colleghi la salutò e nel momento in cui Olivia si chinò per prendere la sua borsa, Elliot attirò l’attenzione di tutti quando si mise in piedi a sua volta, ottenendo non pochi sguardi stupiti, compreso quello di Olivia. Notò che la sorpresa iniziale che poteva leggersi chiaramente sul suo volto fu presto trasformata in un’espressione neutra, noncurante, intenta a nascondere qualsiasi tipo di reazione.

Vicino alla porta di uscita con Elliot al seguito, decise finalmente di dare una risposta ai suoi quesiti.

“Cosa stai facendo?” chiese, alzando lo sguardo.

“È la prima volta che riesci a guardarmi negli occhi per più di dieci secondi stasera” rispose lui, mantenendo il contatto visivo.

Una leggera risata sarcastica uscì dalla sua bocca.

“Potrei dire la stessa cosa di te”.

Lo fissò ancora per qualche secondo con aria di sfida prima di voltargli le spalle per uscire.

“Olivia” la chiamò, posando una mano sul suo braccio in maniera delicata, quasi avesse paura di scottarsi.

A quel punto si accorse che la sua pazienza stava iniziando a diminuire ogni minuto di più, ma, nonostante ciò, la vide sospirare lievemente per poi girarsi.

“Lascia che ti accompagni a casa”.

Osservò le sue sopracciglia inarcarsi, mentre i suoi occhi si posarono su un punto fisso della parete.

“Non ce n’è bisogno” rispose, “ma grazie” aggiunse dopo qualche secondo.

“Sei senza auto” tentò ancora con un timbro di speranza nella sua voce.

“Posso chiamare un taxi”.

“È tardi”.

“Elliot” disse in tono austero, un accenno di esasperazione visibile sul suo volto, “so cavarmela da sola”.

“Lo so” replicò, cercando i suoi occhi. Un tentativo di comprendere la gravità di quelle parole, di venire a conoscenza di tutte le volte, in questi ultimi anni, in cui Olivia aveva dovuto contare esclusivamente sulle sue forze per poter andare avanti.

L’intensità del loro contatto visivo stava iniziando a diventare difficile da sostenere.

“Avrei risposto comunque sai” disse inaspettatamente.

Una certa confusione si palesò sul volto di Elliot.

“Ho sentito della sparatoria” chiarì.

“Oh” rispose, non capendo il repentino cambio di discorso, “non è stato niente di grave”.

Olivia inclinò il capo da un lato, uno di quei movimenti inconsci che lui aveva imparato a conoscere durante gli interrogatori, quando non era pienamente convinta di ciò che il sospetto le stesse dicendo.

“Alla tv hai detto diversamente”.

“In tv si esagera sempre, sai come funzionano queste cose” disse, passandosi una mano sulla fronte.

Lei lo guardò per qualche istante per poi annuire, un’espressione che non riusciva a decifrare si esternò sul suo viso.

Questo” disse, abbassando gli occhi e osservando le sue stesse mani gesticolare in modo incerto tra di loro, “è importante per me”.

Riuscì a catturare il suo sguardo solo per pochi secondi e prima che potesse rispondere, la osservò aprire la porta e sparire nel buio della notte.
 

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Capitolo 2
*** Clarity ***


Olivia stava per infilarsi sotto le coperte quando sentì il telefono vibrare sul comodino.

Sei arrivata a casa?

Un sorriso malinconico si formò sul suo viso mentre leggeva le parole che un tempo era solita vedere sullo schermo quasi ogni giorno.

Sana e salva.

Proprio mentre stava per posare il cellulare, vide tre puntini comparire e scomparire nella chat; evidentemente Elliot stava scrivendo e cancellando il messaggio più volte prima di inviarlo.

Buona notte.

Olivia aspettò qualche istante nel caso ne arrivasse un altro, ma non riuscì a mascherare la sua delusione quando ciò non avvenne. Ultimamente si era ripromessa di non avere alcun tipo di aspettativa riguardo la sua… amicizia con Elliot, anche se non sempre era riuscita a rispettare i suoi propositi, specialmente non dopo quell’incidente successo qualche settimana prima nella sua cucina.

Buona notte.

Prima che la sua mente potesse iniziare a dubitare se avesse fatto la cosa giusta a esporsi più del dovuto qualche ora fa, rivelando che qualunque relazione avesse con Elliot fosse per lei importante, posò il telefono e si mise a dormire, cercando di frenare i pensieri che la tormentavano da mesi.


 
***

Il volto di Elliot si illuminò quando vide il nome di Olivia sul suo cellulare, anche se un leggero nervosismo minacciava di smorzare il suo entusiasmo.

“Hey” la salutò timidamente, rispondendo alla chiamata.

“Hey” ripeté lei, “spero di non disturbarti”.

“Figurati” rispose, mentre fece un cenno al suo sergente, sussurrandole che si sarebbe recato fuori per qualche istante.

“Avrei bisogno del tuo aiuto” disse Olivia dopo un attimo.

Elliot riuscì a distinguere un rumore di documenti che venivano sfogliati in sottofondo; molto probabilmente anche lei era ancora al lavoro.

“Dimmi pure”.

“Ricordi il caso al quale abbiamo lavorato la settimana scorsa?” domandò, “mi sono dimenticata di prendere i rapporti che abbiamo stilato”.

Elliot si fermò di colpo; respirò profondamente per alcuni secondi prima di rispondere. Un disappunto inequivocabile si concretizzò sul suo volto.

Probabilmente il silenzio si estese per qualche secondo, perché Olivia doveva essersi accorta che qualcosa non andava dato che gli chiese se fosse ancora in linea.

“Sì, sono qui” si affrettò a rispondere, “i rapporti… certo”.

“Se per te è un problema, posso passare io a prenderli” disse, intuendo lo sconforto di Elliot, “pensavo che tu ci impiegassi meno a venire qui”.

“No, posso portarli io, non ti preoccupare” rispose Elliot, “ma tra qualche ora” aggiunse, “ora sono ancora bloccato al lavoro”.

“Nessun problema” disse Olivia sollevata, “devo compilare ancora un paio di scartoffie, quindi rimarrò in ufficio per un po’ stasera”.

“Okay, allora a dopo”.

“A dopo” fu l’ultima cosa che Elliot sentì prima che Olivia chiuse la chiamata.


 
***
 
Olivia udì bussare alla porta del suo ufficio mentre si stava togliendo gli occhiali per strofinarsi gli occhi stanchi dopo le ore passate china sulla scrivania a esaminare diversi documenti. Prima che potesse dire avanti, la porta si aprì.

“Elliot” annunciò, guardando nella sua direzione, “grazie per essere passato”.

Lui reggeva in una mano i rapporti che gli aveva chiesto e dall’altra un sacchetto bianco dal quale fuoriusciva un profumo che Olivia avrebbe saputo riconoscere ovunque: fu in quel momento che si alzò per aiutarlo.

“Non dovevi” disse, prendendogli il takeout dalle mani e abbozzando un lieve sorriso.

“Ho pensato che a quest’ora potessi avere fame dato che… immagino non avrai mangiato” rispose Elliot, chiudendo la porta dietro di sé.

“Immagini bene” affermò, facendo spazio sulla scrivania per appoggiare la cena e sedersi, “tu non mangi?”.

“Ho mangiato qualcosa prima” replicò, accomodandosi di fronte a lei.

Olivia iniziò a smontare il pacchetto, uscendo fuori il cibo e i tovagliolini di carta; non appena finì di estrarre tutto, si prese un momento per guardare Elliot negli occhi e ringraziarlo.

Lui alzò le spalle regalandole un timido sorriso.

“Mi dispiace averti fatto scomodare a quest’ora” smorzò il silenzio Olivia mentre afferrava un pezzo di pollo nell’insalata.

“Non dirlo neanche” rispose Elliot osservandola mangiare, “sarei dovuto venire a Manhattan comunque”.

“Oh” fu tutto ciò che uscì dalla bocca di Olivia.

Prese un tovagliolino per pulirsi la bocca e approfittò del momento per scrutarlo; Elliot indossava dei jeans neri, una maglia in canapa scura e una giacca di pelle. Olivia si morse un labbro, pensando che quello non sembrava essere l’abbigliamento per un appuntamento, ma d’altronde sapeva poco delle sue attività fuori dal lavoro di questi tempi… però non poteva fare a meno di domandarsi perché dovesse essere a Manhattan in piena notte quando abitava dall’altra parte della città.

Probabilmente aveva impiegato troppo tempo a osservarlo senza dire una parola perché le chiese a cosa stesse pensando.

“Niente, niente” controbatté, riprendendo a mangiare, “sono solo un po’ stanca”.

Elliot annuì anche se non pienamente convinto della sua risposta; Olivia lo guardò ancora una volta prima di sorprendere se stessa e domandargli direttamente come mai fosse lì quella sera. La curiosità prese il sopravvento e la sua possibile reazione nel caso le confermasse i suoi dubbi la spaventava, ma non abbastanza da tacere. Era consapevole del perché del suo interesse e da settimane non poteva togliersi dalla testa il fatto di averlo quasi baciato e di non aver mai più affrontato il discorso. D’altronde era così che aveva sempre funzionato tra di loro: poteva succedere il finimondo e non ne avrebbero comunque parlato.

“Maureen mi ha chiesto se potessi guardare i gemelli per un po’ siccome lei e suo marito finiranno di lavorare tardi” rispose lui semplicemente.

Olivia rilasciò un respiro che non sapeva di star trattenendo; la risposta di Elliot la tranquillizzò anche se al contempo malediceva se stessa in silenzio per essere così affetta da una situazione immaginaria che si era creata nella sua testa. Nelle ultime settimane aveva fatto di tutto pur di ignorarlo, tentando di evitare l’imbarazzo che si sarebbe inevitabilmente creato tra di loro dopo la sera in cui stava per collassare direttamente tra le sue braccia per cercare conforto.

“Sei sicura che sia tutto okay?” le domandò nuovamente lui con uno sguardo leggermente preoccupato.

“Sì”, affermò Olivia ancora immersa nei suoi pensieri.

“Sai” iniziò Elliot, attirando la sua attenzione, “l’altro sera non ho avuto tempo di dirti una cosa”.

Olivia posò la forchetta di plastica guardando Elliot con curiosità.

“Che cosa?” domandò piano.

Questo” disse, gesticolando con le mani per indicare lui e Olivia, imitando esattamente il gesto che lei aveva fatto qualche sera prima, “è importante anche per me”.

Olivia sgranò gli occhi; fu completamente colta alla sprovvista dalla sua confessione e francamente non sapeva cosa dire, ma prima che potesse controbattere, Elliot poggiò la mano sulla sua, stringendola lievemente per evitare che la ritrasse.

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Capitolo 3
*** Someone who understands ***


Il consueto viavai del distretto era stato rimpiazzato da una quiete inusuale; la maggior parte dei detective era andata a casa e Olivia si ritrovava seduta nel suo ufficio a contemplare gli eventi della giornata.

Diede una rapida occhiata al suo orologio che segnava quasi le tre di notte. Era in piedi da circa trentasei ore e sentiva l’adrenalina che l’aveva tenuta sveglia lasciare spazio alla stanchezza.

La sua squadra si era imbattuta in un’emergenza: un caso di alto profilo che aveva coinvolto il governatore locale, al quale erano state rivolte diverse accuse di violenza che sfociarono in un sequestro di una delle sue vittime.

Olivia sospirò, gettando un’ultima occhiata alle scrivanie pressoché vuote, poi prese la giacca e si avviò verso casa.

Una volta arrivata salutò la babysitter e andò in camera di Noah in punta di piedi; un senso di calma la pervase nel vedere il volto sereno di suo figlio che dormiva, ignaro degli orrori che si celavano al di fuori della sua stanza. Si avvicinò per accarezzagli dolcemente i capelli e socchiuse piano la porta per avviarsi verso la camera dove indossò una comoda felpa, dei leggings neri e si infilò nel letto.


 
***

Elliot era in piedi davanti al bancone del bar mentre scuoteva nervosamente una bustina di zucchero tra le mani e osservava l’entrata del locale da lontano. Erano le otto passate e di Olivia ancora nessuna traccia.

Dopo l’ultima conversazione che avevano avuto nel suo ufficio, durante la quale le confermò che la loro amicizia era importante anche per lui, poté vedere il chiaro stupore nei suoi occhi; Olivia gli lasciò sfiorare la sua mano per qualche istante prima di allontanarsi.

Come suo solito, cambiò immediatamente argomento ed Elliot seguì il suo ritmo senza proteste; credeva che ciò che le avesse detto fosse abbastanza da metabolizzare per lei e l’ultima cosa che voleva era risultare insistente.

Si erano accordati per un caffè tre giorni dopo: Olivia aveva stranamente accettato la sua proposta senza ripensamenti, dicendogli di avere a disposizione una mezz’oretta dopo aver accompagnato Noah a scuola.

Elliot la stava aspettando da circa venti minuti e iniziava a sentirsi leggermente irrequieto; il pensiero che avesse potuto riconsiderare il suo invito all’ultimo momento lo rendeva teso. Non era la prima volta che accadeva: negli ultimi mesi aveva rifiutato qualsiasi tipo di attività che prevedeva di vederlo al di fuori del lavoro, ma non poteva certo biasimarla.

Era consapevole di aver sbagliato un’infinità di cose con lei e stava cercando di rimediare, ma non sapeva come. Ogni volta che tentava di uscire fuori dalla sfera professionale – di parlarle veramente – Olivia diventava sfuggente, si chiudeva in se stessa tenendolo a distanza.

Il fatto che questa volta avesse accettato di prendere un caffè con lui, una cosa semplice che per loro era una normale routine in passato, lo aveva inizialmente sorpreso.

Per porre fine ai quesiti che lo perseguitavano, prese in mano il telefono per mandarle un messaggio chiedendole se fosse tutto okay. Passato del tempo a osservare il suo riflesso sullo schermo con la speranza di ricevere una risposta, provò a chiamarla.

Rassegnato all’idea dell’ennesimo rifiuto, mise il cellulare in tasca e si diresse verso l’uscita per recarsi al lavoro.


 
***

Olivia si svegliò di colpo quando sentì la sveglia suonare; allungò un braccio per spegnerla e quando diede una rapida occhiata all’ora si mise una mano nei capelli.

“Dannazione” borbottò, “è tardissimo”.

Si alzò in fretta per recarsi in bagno, rinfrescarsi e darsi una sistemata; quando si guardò allo specchio fece una smorfia di disgusto.

Sembra che non dormo da una settimana, pensò osservando il suo riflesso.

Una volta finito di sciacquarsi il viso, si affrettò a dirigersi verso la camera di Noah, ma si fermò di colpo quando lo vide in cucina a mangiare i cereali.

“Noah, perché non mi hai svegliata?”.

Noah alzò gli occhi dalla tazza per guardare in sua direzione e poi scosse la testa.

“Ho pensato volessi dormire un’ora in più dato che sei tornata tardi ieri” rispose indifferente.

“Così tu hai perso un’ora di scuola” controbatté lei avvicinandosi al tavolo.

“Mezz’ora… tecnicamente”.

Olivia alzò gli occhi al cielo in risposta e decise di non perdere ulteriore tempo.

Uscì di casa poco dopo e non appena arrivò al distretto si diresse immediatamente verso la macchina del caffè; la giornata era iniziata con il piede sbagliato e aveva bisogno della sua dose mattutina di caffeina per affrontarla.

Una volta pronto, si avviò verso il suo ufficio ed estrasse il telefono dalla tasca per controllare eventuali nuovi messaggi o comunicazioni.

“Oh no” disse ad alta voce quando vide il messaggio di Elliot, portando una mano all'altezza della fronte.

Si era completamente dimenticata di doverlo incontrare quella mattina anche se da un certo punto di vista era quasi sollevata. Ultimamente si sentiva sempre nervosa in sua presenza, non sapeva quasi come comportarsi.

Fece un lungo respiro e poi sbloccò lo schermo per aprire la sua chat.

Mi sono addormentata, scusami. Facciamo un’altra volta?


 
***

Elliot ebbe modo di leggere il suo messaggio solo qualche ora più tardi.

Questa situazione con Olivia stava iniziando a frustrarlo; logicamente comprendeva il suo comportamento e sapeva che avrebbe potuto mandarlo al diavolo in qualsiasi momento vista la sua assenza nell’ultimo decennio. Da una parte si aspettava rabbia e rancore nei suoi confronti; invece Olivia non aveva mai fatto sfuriate né aveva mai alzato la voce. Stava utilizzando l’arma tagliente della distanza e del silenzio e anche se era effettivamente ritornato a New York da due anni, non si era mai sentito così lontano da lei.

Non ti preoccupare.

Le rispose in pausa pranzo mentre stava aspettando che Ayanna ritornasse con i loro ordini da un fast food vicino al bureau. Fissò il telefono per qualche istante prima di riporlo nella tasca dei jeans, convinto di ricevere un’altra risposta silente.

 

***

Olivia stava valutando se avesse fatto la scelta giusta nel momento in cui si avviò verso la sua auto con due sandwich confezionati. Era riuscita a uscire prima dal lavoro e dopo un inizio frenetico, la giornata si era rivelata piuttosto tranquilla.

Quella sera Noah era a un pigiama party con alcuni suoi amici e Olivia sapeva di avere la casa per sé e di poterne approfittare per rilassarsi, ma una vocina nella sua mente le aveva fatto ripensare al caffè mancato con Elliot e alla costante solitudine che avvertiva nell’ultimo periodo che avrebbe finito solo per accentuarsi una volta entrata nell’appartamento completamente vuoto.

Prima di salire in macchina mandò un messaggio veloce a Elliot chiedendogli se fosse ancora al lavoro e poi si mise in viaggio verso casa sua.

Una volta arrivata nel viale della sua abitazione, parcheggiò la macchina e spense il motore. Si prese qualche secondo di tempo per controllare se le avesse risposto, ma si accorse che non aveva neanche letto il messaggio. Nonostante ciò, decise comunque di scendere dall’auto, prendere i sandwich e avviarsi verso il patio.

Non appena si avvicinò al cancello, vide accendersi le luci interne: un chiaro segno che Elliot fosse a casa. Olivia iniziava ad avvertire un certo nervosismo, ma cercò di scacciare i pensieri che la turbavano e allungò un braccio per citofonare.

Passò qualche secondo prima che sentì chiaramente la voce di Elliot chiedere chi fosse.

“Sono Olivia” rispose, con un tono di voce più alto del dovuto.

Il cancello si aprì poco dopo e Olivia si incamminò verso la porta di ingresso.

“Cosa fai qui?” le domandò Elliot aprendo la porta.

Olivia alzò il sacchetto contenente i panini che teneva in mano mentre si avvicinava a lui.

“Offerta di pace” rispose, incurvando leggermente le labbra all'insù. 

Elliot la guardò per qualche secondo senza ribattere e poi si spostò a lato per farla entrare, chiudendo la porta dietro di sé.

“Mi dispiace per stamattina” iniziò Olivia non appena varcò la soglia della cucina quando lui era ancora voltato di spalle “ma l’altra sera stavamo lavorando a questo caso e… sono tornata a casa tardi, non ho più sentito la sveglia e ho dormito come un sasso”.

“Fa niente” rispose lui facendo qualche passo in avanti, ma mantenendo comunque una certa distanza, “non era necessario comunque” aggiunse indicando la confezione che aveva posato sul bancone.

Olivia lo guardò attentamente; la sua espressione era neutrale e diversa da quella che aveva la sera in cui era venuto nel suo ufficio. Sembrava più riservato del solito e ora si stava veramente domandando se venire lì quella sera fosse stato uno sbaglio.


 
***

“Accomodati pure” disse Elliot quando Olivia non parlò per qualche secondo, “cosa vuoi da bere?”.

“Acqua” rispose, sedendosi ad un’estremità del divano.

“Davvero?” le chiese lui mentre apriva il frigorifero, “ero convinto avresti voluto una birra”.

Olivia scosse la testa rivolgendo lo sguardo in sua direzione.

“No, dopo devo guidare quindi preferirei di no”.

Elliot stappò una birra per sé, prese dei tovaglioli di carta e aprì la confezione dei panini per portarla sul tavolino vicino al divano.

“Grazie” le disse.

“Figurati” rispose, prendendo un panino e portandolo alla bocca.

Questa volta mangiarono in relativo silenzio. Elliot si sentiva teso e non era sicuro di come approcciare Olivia: aveva la costante paura di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.

“È stato un caso difficile?” domandò quando finì l’ultimo morso del suo sandwich.

“Cosa?” chiese Olivia scuotendo la testa visibilmente distratta.

“Il caso a cui hai lavorato l’altra sera” chiarì guardandola.

“Scusami” replicò una volta inghiottito il pezzo di pane, “stavo pensando ad altro. Comunque sì, era in corso un sequestro, caso di alto profilo… la giornata ideale all’Unità Vittime Speciali”.

Elliot annuì leggermente e dopo qualche secondo posò una mano esitante sulla sua gamba.

Olivia osservò il movimento del suo braccio e poi alzò cautamente lo sguardo per incontrare i suoi occhi.

“Se hai bisogno di parlarne… sono qui”.

Elliot poté vedere un leggero colorito rosso formarsi sul suo volto e la sentì schiarirsi la gola e abbassare gli occhi prima di alzarsi per sparecchiare, lasciando cadere la sua mano sul divano.

“Grazie” disse mentre si voltò per buttare i tovagliolini di carta nella spazzatura, “ma non ho proprio voglia di parlare di lavoro”.

Elliot la guardò mentre si avvicinava e si rimetteva a sedere nello stesso identico punto di prima.

“Okay” acconsentì lui, alzando le gambe per allungarle sul tavolo.

“A volte…” iniziò Olivia guardando il soffitto, “non è necessario parlare, ma si può restare in silenzio con qualcuno che lo comprende”.

“Hai ragione” rispose lui, girandosi per guardarla, comprendendo il significato di ciò che stava dicendo, “a volte le parole sono superflue”.

“Già” affermò Olivia, appoggiandosi di più allo schienale.

Elliot prese il telecomando vicino a lui e accese la televisione; girando un paio di canali, optò per una sitcom già iniziata. Dopo qualche minuto sentì Olivia avvicinarsi leggermente a dove era seduto, seppur mantenendo ancora un po’ di spazio tra i loro corpi.

Fu allora che gettò un’occhiata furtiva in sua direzione; gli occhi di Olivia erano fissi sulla tv.

Non sapeva perché fosse realmente venuta lì quella sera, ma non aveva intenzione di fare ulteriori domande; tra loro era sempre esistita una comunicazione implicita che gli permetteva di capire immediatamente di cosa avesse bisogno l’altro, anche se ultimamente Elliot pensava che questa abilità innata si fosse affievolita. Apparentemente non era così, però, dato che Olivia era ancora lì con lui.

Passarono circa una quarantina di minuti quando sentì una leggera pressione sulla spalla; in quel tempo aveva finto di prestare attenzione allo schermo, adocchiando Olivia di tanto, la quale era rimasta pressoché in silenzio.

Si girò leggermente e vide la sua testa appoggiata sulla sua spalla. I suoi occhi erano chiusi e la bocca lievemente aperta.

Prese in mano il telecomando per spegnere la tv, facendo attenzione a non muoversi troppo, e poi rivolse la sua attenzione alla donna che dormiva a fianco a lui. Questo non era sicuramente il modo in cui si aspettava che la serata finisse.

Erano le nove e un quarto: sicuramente farle recuperare qualche ora di sonno non era poi una brutta idea.

Elliot le accarezzò gentilmente il viso, lasciando scivolare il pollice sulla sua guancia e la osservò rannicchiarsi ancora di più a lui. La sua pelle era soffice e il suo volto talmente sereno che gli sembrava di essere ritornato indietro di circa dieci anni, quando Olivia era solita appisolarsi negli spogliatoi del distretto e lui aveva il compito di svegliarla dalla temporanea quiete che si era creata.

Prese il telefono per impostare la sveglia un’ora dopo e la guardò un’ultima volta prima di spostare una ciocca di capelli dal suo volto e accostare delicatamente la testa sulla sua chiudendo gli occhi, i loro respiri l’unico rumore che si poteva udire nella stanza.

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Capitolo 4
*** Not again ***


Olivia avvertiva un insolito senso di calore pervaderle il corpo e una consistenza solida fare da cuscino alla sua testa. Aprì piano gli occhi, cercando di mettere a fuoco gli oggetti nella stanza che a primo impatto non riconosceva; quello non era il suo appartamento, pensò.

Percepì un leggero soffio d’aria provenire da sinistra e fu allora che si accorse che un braccio robusto le cingeva la vita e che la sua mano vi poggiava sopra. Alzò appena la testa per vedere Elliot che dormiva accanto a lei e improvvisamente i flashback della serata comparvero in sequenza nella sua mente.

Spalancò gli occhi, non ricordandosi esattamente come fossero finiti in quella posizione. Proprio mentre cercava una risposta a tale quesito, sentì Elliot muoversi lievemente e per un attimo il suo corpo si irrigidì temendo che si svegliasse, ma dopo qualche istante si rilassò nuovamente quando lo vide continuare a dormire.

A quel punto, si guardò intorno per un po’, domandandosi cosa fare. Il suo sguardo cadde ancora sulla sua mano, la quale aveva iniziato ad accarezzare inconsciamente il suo braccio.

Si sentiva al sicuro tra le sue braccia e il pensiero le provocava un certo imbarazzo misto a un senso di rabbia: in tutti questi anni, si era concessa raramente di trovare conforto in lui e sapeva bene il perché. Le poche volte che lo aveva fatto, l’avevano portata a desiderare sempre qualcosa di più – una fantasia impossibile – materializzata dalla fede che portava al dito. Ora quell’anello non era più presente a rammentare la barriera che li divideva e questo la spaventava.

Olivia si scostò, ma quando provò ad alzarsi, avvertì Elliot applicare una leggera pressione sul suo fianco.

“Olivia” bofonchiò con la voce carica di sonno mentre apriva lentamente gli occhi.

“Devo andare” disse con premura, spostando il braccio che la intrappolava sul divano.

“Olivia, aspetta” tentò lui, mettendosi a sedere dritto e schiarendosi la gola.

Olivia però si alzò e prese la giacca, voltandogli le spalle.

“Non pensavo di addormentarmi” sentì Elliot dire da dietro, “ti avrei svegliata”.

Si girò a guardarlo mentre si infilava la giacca; lui si stava strofinando gli occhi e il suo viso era ancora assonnato.

“Okay” rispose, spostando lo sguardo sul pavimento.

“Okay?” domandò, alzandosi per avvicinarsi lentamente a lei.

“Sì” affermò quando Elliot si trovava a poca distanza da lei, “però devo andare”.

Si voltò per aprire la porta, ma quando la sua mano afferrò la maniglia, esitò per qualche secondo, curvandosi di nuovo nella direzione di Elliot: lui la stava guardando con incertezza.

Olivia voleva domandargli cosa stessero facendo e cosa ciò volesse significare, ma le parole le morirono in gola. Scosse la testa prima di girarsi di nuovo e uscire, lasciando Elliot alle sue spalle.


 
***

Una piccola goccia di sudore stava scendendo lungo la fronte di Elliot prima di essere spazzata via dalle sue dita ruvide e leggermente tremolanti; sentiva il cuore battere ferocemente nel petto, i battiti scanditi da un tum tum irregolare che rimbombava nelle sue orecchie.

Il sotterraneo nel quale si ritrovava era particolarmente buio e umido con larghe pozze d’acqua ai suoi piedi. Poco prima stava inseguendo un sospetto, ma lo aveva momentaneamente perso di vista e ora sapeva di dover calibrare i suoi passi con attenzione, cercando di non fare troppo rumore.

Teneva puntata la pistola davanti a sé mentre avanzava lentamente, voltando la testa a destra e a sinistra di ogni angolo per non essere colto di sorpresa.

Olivia era dietro di lui, a qualche metro di distanza, con una torcia in mano per illuminare il tragitto.

Stavano indagando sulla stessa gang che da mesi terrorizzava la città e assieme alla Hate Crime Unit erano arrivati a scoprire i principali mandanti dell’organizzazione. Come loro solito, però, non avevano perso tempo ad aspettare i rinforzi e ora si trovavano da soli nel covo, senza apparenti via d’uscita.

Mentre avanzavano con cautela, entrambi udirono un trambusto provenire poco più avanti di loro e si affrettarono a correre in quella direzione, stringendo le armi con fermezza.

“Fermi!” urlò Moreno, il principale sospettato, appena svoltarono l’angolo.

Elliot e Olivia si arrestarono immediatamente, ma tennero le pistole puntate nella sua direzione.

Moreno aveva un’arma in mano a sua volta e continuava a guardarsi intorno con uno sguardo maniacale, probabilmente consapevole di essere in trappola.

“Abbassa la pistola!” gridò Olivia, compiendo un piccolo passo in avanti.

“Stai indietro!” intimò Moreno, spostando la traiettoria della sua pistola.

“Okay, okay” disse Elliot, agitando le mani verso il basso, “restiamo calmi”.

“Abbassa la pistola e nessuno si farà male” ripeté Olivia, osservando attentamente i movimenti di Moreno.

Passò qualche secondo prima che Elliot vide le sue dita piegarsi e premere il grilletto, la pistola puntata in direzione di Olivia. Il rumore del proiettile scagliato echeggiò nell’aria ed Elliot non esitò due volte prima di muoversi rapidamente verso Olivia e spingere i loro corpi a terra, coprendo la sua testa con le braccia.

Nello stesso momento, ne sentì un altro sparato da Olivia e poi un altro ancora, ma l’unica cosa che avvertì in quel lasso di tempo fu un dolore lancinante alla parte inferiore dell’addome.

Fu allora che si girò di schiena e chiuse gli occhi, facendo pressione sulla ferita.

“Elliot!” udì Olivia urlare di fianco a lui e percepì le sue mani muovere le sue, premendo sulla lesione insanguinata.

Sentì lontanamente un vociare di persone approcciare all’interno del covo e si sforzò di aprire gli occhi.

“Elliot” sussurrò Olivia con voce tremante, “devi tenere gli occhi aperti, okay?”.

I rinforzi li avevano raggiunti e alcuni poliziotti si erano inginocchiati davanti a lui, aiutando Olivia a contenere la fuoriuscita di sangue.

La voce di Olivia che pronunciava il suo nome era l’ultima cosa che sentì prima che la sua vista si offuscasse di nero.


 
***

Il tragitto in ospedale fortunatamente fu rapido, ma ad Olivia sembrò essere il più lento della sua vita.

Si sentiva stordita e le fischiavano le orecchie; il mondo pareva muoversi a scatti e non riusciva a mettere a fuoco ciò che vedeva perché i suoi occhi l’avevano tradita rilasciando lacrime amare. Passò il dorso della mano sul viso per cercare di asciugarle e tirò su col naso, cercando di calmare il suo respiro accelerato e il suo cuore afflitto.

Due medici stavano tentando di mantenere stabili i valori di Elliot, il quale era semi-cosciente.

Olivia prese la sua mano e la racchiuse tra le sue, accarezzando le sue nocche e provando a trasmettere parte della forza che la reggeva in piedi.

Resisti. Per te. Per i tuoi figli. Per me.

Quando arrivarono in ospedale, lo vide sparire in ambulatorio e non seppe più niente per un paio d’ore.

Nel frattempo, l’intera squadra di Elliot aveva occupato i posti a sedere della sala d’aspetto assieme a Fin e a Kathleen, Dickie, Maureen e Lizzie.

Olivia era rimasta in piedi appoggiata alla parete; nella stanza regnava il silenzio più assoluto eppure la sua testa non smetteva di martellare. Il suo sguardo era fisso sul pavimento perché non poteva sopportare di vedere gli occhi terrorizzati dei suoi figli, che avevano già perso un genitore, pregare di non perderne un altro.

Dopo qualche istante, le porte si aprirono e Olivia alzò gli occhi da terra giusto in tempo per vedere un dottore camminare nella sua direzione.

Si alzarono tutti in piedi e il medico chiese chi fossero i parenti di Elliot Stabler.

“Noi” rispose Maureen, indicando i suoi fratelli, “come sta?”.

“È stabile per ora e potete vederlo” rispose, “ma non dovete affaticarlo. Abbiamo estratto il proiettile e ora deve rimanere a riposo per qualche giorno”.

“Grazie” lo ringraziò Maureen, la sua voce lasciava trasparire il dolore di quelle ore interminabili.

Olivia vide i suoi figli avanzare verso il corridoio che conduceva nella stanza di Elliot e si lasciò scappare un lungo sospiro.

Quando uscirono, Fin si avvicinò a lei e le mise una mano sulla spalla.

“Credo che dovresti andare anche tu”.

Lei lo guardò e annuì silenziosamente, sforzando le sue gambe stremate lungo la corsia.

“Hey” la salutò Elliot non appena la vide entrare.

Lei non rispose. Chiuse la porta dietro di sé e si avvicinò al letto nel quale era semi seduto.

“Stai sperimentando la tattica del silenzio?” domandò a bassa voce, seguito da un breve colpo di tosse.

“Beh non sono brava come te” rispose, nei suoi occhi riflesse un insieme di emozioni indecifrabili, “tu hai esperienza in questo, magari potresti insegnarmi”.

Elliot abbassò lo sguardo; un colpo basso, ma sapeva di meritarselo.

“Hai perso completamente la testa?” chiese alzando la voce mentre avanzò con passo rapido per poi fermarsi davanti a lui, “cosa pensavi di fare scagliandoti davanti a me quando un sospetto agita un’arma?”.

“È semplicemente istinto” rispose lui, alzando le spalle, come se non fosse un grosso problema, “tu avresti fatto lo stesso”.

“La devi smettere” lo interruppe, la rabbia evidente nella sua voce.

“Di fare cosa?”.

“Di cercare di proteggermi”.

Elliot alzò le sopracciglia e poi scosse la testa.

“So che sei in grado di farlo da sola, ma–”.

“Esatto” lo mise a tacere nuovamente, “me la sono cavata più che bene per circa un decennio”.

Le sue parole stavano avendo l’effetto desiderato, poté notare Olivia. Elliot la stava guardando con un’espressione che poteva riconoscere come rimorso e forse anche irritazione.

Tutto ciò che non aveva mai detto e che teneva dentro da più di un anno stava emergendo a galla, ma sapeva che la sua rabbia era solo un modo di mascherare il dolore per la perdita che non era riuscita a superare in tutto quel tempo.

“Hai ragione” rispose ormai abbattuto, “ma è vero quello che ti ho detto l’anno scorso”.

Olivia strizzò gli occhi confusa; non aveva idea di cosa stesse parlando.

“Voglio trovare un equilibrio. Voglio essere presente per te”.

“Allora smetti di rischiare la tua vita” mormorò, “perché non posso rivivere la stessa cosa due volte”.

In quel momento Elliot cercò i suoi occhi, ma lei aveva abbassato lo sguardo di proposito. Era certa che lui capisse il significato di quella frase e quando finalmente trovò il coraggio di incrociare il suo sguardo, ne ebbe la conferma.

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Capitolo 5
*** Little things ***


Nei giorni successivi alla cattura di Moreno e l’incidente di Elliot, Olivia si era affrettata a prenotare un appuntamento con il suo psicologo: non aveva assolutamente voglia di essere psicoanalizzata dalla testa ai piedi – soprattutto ora che tutti sembravano sapere esattamente cosa suggerirle di fare riguardo la sua situazione con Elliot – ma sentiva il disperato bisogno di parlare con qualcuno.

Non era riuscita a nascondere la sua paura quando venne colpito; aveva tentato invano di camuffarla con la rabbia, di istigare una discussione, perché d’altronde era ciò che sapeva fare meglio. Le parole si erano sempre rivelate un’arma a doppio taglio, ferivano intimamente, e soprattutto erano l’unico mezzo per lasciar andare la frustrazione.

Perché sei così spaventata Olivia?

Perché… non si spaventerebbe se sparassero a un suo collega?

Non stiamo parlando di me.

Non voglio che soffra.

Questa non è la sola ragione per cui ti senti così, però, vero?

Dannazione. Era davvero così facile leggere le sue emozioni? Poteva contare sulle dita della mano le volte in cui aveva menzionato Elliot durante le sue sedute, anche se, a essere onesta, ultimamente lo aveva fatto più frequentemente.

Sono terrorizzata. In generale… questa cosa… credo sia più grande di me, di noi. Non so da dove iniziare.

Con “questa cosa” intendi la tua relazione con Elliot?

Sì. Ci sono tante cose che voglio dirgli, che vorrei lui sapesse… e mi sembra che il tempo stia scorrendo troppo velocemente.

O forse sei tu a farlo scorrere.

Olivia si fermò di nuovo a pensare a ciò che il suo analista le aveva detto; in effetti era vero. Era consapevole di star rimandando le conversazioni che dovevano avere, di allontanare Elliot ogni volta che cercava di avvicinarsi, ma la verità è che era paralizzata dalla paura e non sapeva come sbloccarsi.

Forse.

Credo che tu debba trovare un nuovo modo di vedere le cose. Mi spiego meglio: la grandezza di questa relazione incombe su di te, ma qualsiasi tipo di rapporto non si costruisce da un giorno all’altro, ci vuole tempo. È fatto di momenti, frammenti di quotidianità che vanno progressivamente a sommarsi.

Cosa dovrei fare, quindi?

Iniziare dal principio, fare dei piccoli passi, uno alla volta. Non è sempre possibile risolvere i problemi in un unico istante.

E se… non dovesse funzionare?

Non lo saprai finché non provi. Devi iniziare a essere onesta con te stessa e con lui.

Non poteva dargli torto, anche se il suo rapporto con Elliot non era mai stato fatto di singoli momenti perché era sempre stato tutto per lei e forse era proprio questo ciò che la intimoriva.

 
Fece un lungo respiro prima di prendere in mano il telefono e aprire i messaggi.

 
***
 
“Hey” la salutò Elliot appoggiando una mano sulla sua spalla per annunciare la sua presenza.

“Hey” rispose lei alzando lo sguardo dallo schermo del cellulare e incurvando le labbra in un sorriso.

Elliot si accomodò al tavolo della caffetteria al quale Olivia era già seduta. Aveva ricevuto un suo messaggio qualche ora prima, chiedendogli di incontrarsi e la cosa lo aveva sorpreso.

Dopo il suo ricovero in ospedale, Olivia era andata a trovarlo praticamente ogni giorno (escluse le due volte in cui aveva accompagnato Noah alle prove di danza) e si erano tenuti in contatto telefonico. Le loro conversazioni erano state per lo più semplici e senza impegno e non poteva negare che il fatto che si preoccupasse per lui aveva calmato parte dei suoi dubbi riguardo la loro relazione.

“Spero non ti dispiaccia” disse Olivia indicando il caffè fumante davanti a lui.

Ne assaggiò un sorso; era il suo preferito.

“Ti ricordi ancora” affermò, accennando a un sorriso che non poteva reprimere.

Olivia annuì per poi alzare il suo caffè e portarlo alle labbra per berne un po’ a sua volta.

“Volevo sapere come stavi”.

“Credevo me lo avessi già chiesto stamattina”.

“Le cose possono sempre cambiare” obiettò lei.

“Non così tanto” controbatté, mantenendo un tono di voce leggero.

“È stato brutto per me” iniziò Olivia incrociando le dita intorno alla tazzina e abbassando lo sguardo, “e vorrei che tu fossi più prudente”.

“Lo sono” rispose Elliot con sicurezza.

Olivia alzò gli occhi per guardarlo e inarcò le sopracciglia.

“Sai che non lo sei”.

“Lo sono invece” ripeté lui, “è stato brutto anche per me comunque”, aggiunse poco dopo.

“Buono a sapersi” rispose lei, inclinando il capo.

“Non volevo che ti facessi del male” riprese Elliot dopo qualche secondo di silenzio, “quando l’ho visto puntare la pistola nella tua direzione… non ci ho pensato due volte”.

“Avrei fatto la stessa cosa” mormorò Olivia.

Elliot incrociò il suo sguardo; era la prima volta che Olivia manteneva il contatto visivo con lui quando gli confessava qualcosa di privato e profondo, qualcosa di cui non era neanche sicuro avesse il permesso di ascoltare.

I suoi occhi erano esitanti e stavano scrutando attentamente il suo viso.

“Starò più attento, te lo prometto”.

“Anche io tengo a te, Elliot” si lasciò sfuggire quasi inaspettatamente.

Lui la osservò mentre la sorpresa di ciò che aveva appena detto si esternava sul suo volto.

“Non te l’ho detto quella sera” continuò alludendo a quella sera nella sua cucina, “però, ecco…”.

Era la seconda volta che vedeva Olivia arrossire nelle ultime settimane.

“È bello sentirtelo dire” la interruppe per risparmiarle l’imbarazzo e cercò di mantenere un tono calmo, anche se la sua voce risultò più vibrante del solito.

Il silenzio calò al tavolo. Il locale era abbastanza frequentato quel pomeriggio, eppure le voci delle persone sembravano essere un rumore di sottofondo lontano e irraggiungibile.

Elliot si schiarì la gola.

“Voglio che questo… qualunque cosa sia… funzioni”.

“Anch’io” acconsentì Olivia.

Elliot si accorse però che l’espressione sul suo viso non corrispondeva esattamente alle sue parole.

“Cosa c’è?” chiese lui aggrottando la fronte temendo di essersi spinto troppo oltre.

“Cosa fai dopo?” domandò lei, ignorando la sua domanda.

Ora era visibilmente confuso.

“Niente, perché?”.

“Volevo chiederti se… mi accompagneresti a fare compere? La prossima settimana è il compleanno di Noah e–”.

“Certo” rispose lui un po’ troppo velocemente.

Fu allora che Olivia si interruppe per sbattere le palpebre un paio di volte, colta alla sprovvista dalla rapidità della sua risposta.

“Okay” asserì, “allora finisci il caffè e andiamo”.

 
***

“Credo che queste siano carine” disse Elliot indicando le decorazioni azzurre e bianche sullo scaffale davanti a lui.

Olivia adocchiò prima lui e poi gli ornamenti da parete per poi fare una smorfia.

“Elliot” si lamentò sbuffando leggermente, “non ha cinque anni”.

“Non sono così male” rispose lui, fingendo di essersi offeso.

Olivia scosse la testa, urtando amichevolmente la spalla con la sua.

“Dillo a Noah e poi vediamo”.

“Okay, okay” le concesse lui, ormai abbattuto.

Elliot si incamminò qualche passo avanti a lei per poi scrutare attentamente dei semplici palloncini; la scena davanti agli occhi di Olivia era piuttosto comica.

“Questi possono andare” asserì lei, avvicinandosi.

“Non sono troppo semplici?” domandò.

Olivia si girò a guardarlo; un piccolo sorriso trovò spazio sul suo viso.

“Sono del colore preferito di Noah” rispose, tentando inutilmente di nascondere l’emozione udibile nella sua voce, “penso che gli piaceranno”.

“Allora li prendiamo” confermò Elliot, alzandosi in punta di piedi per afferrarli.

Girovagarono per il negozio ancora una mezz’oretta, scegliendo delle stelle multicolore, delle luci al neon e una grande scritta che recitava “Happy Birthday”.

Elliot stava trasportando la maggior parte degli oggetti alla cassa e si era mostrato particolarmente interessato durante tutto il pomeriggio e non poteva negare che la cosa le scaldasse il cuore.

Lui e Noah avevano trascorso poco tempo assieme perché lei stessa aveva deciso che proteggere suo figlio era la cosa più importante da fare. Elliot adorava da sempre i bambini – e suo figlio non era certo un’eccezione – e sapeva bene che sarebbe andato in capo al mondo per lui, ma non poteva permettergli di conquistare il suo affetto rischiando di vederlo scomparire di nuovo dalla sua vita.

Nell’ultimo periodo le aveva dimostrato di essere molto più attento ai suoi sentimenti e aveva persino accompagnato Noah a casa dopo che Olivia era stata brutalmente aggredita da una gang di criminali. Non era ancora sicura di potersi fidare di lui completamente, ma stava imparando a farlo nei confronti di Noah.

Dopo che Olivia pagò, si avviò con Elliot verso la sua auto; una volta che caricarono i sacchetti nel bagagliaio, entrambi si fermarono di fianco alla portiera.

“È stata una bella giornata” enunciò Elliot per spezzare il silenzio.

“Già” confermò Olivia, “non ti sei annoiato?”.

“Assolutamente no”.

“Davvero?”.

“Olivia” disse sottolineando chiaramente il suo nome, “mi sono divertito, davvero”.

“A fare shopping” sorrise lei.

“Mi divertirei ovunque con te” rispose guardandola dritta negli occhi.

Lo sguardo di Elliot era sempre stato capace di farla sentire in fiamme e negli ultimi tempi la sensazione era solo che aumentata. Nei suoi occhi vedeva riflessa la sincerità più disarmante e ciò la spaventava, oltre che renderla tremendamente nervosa.

Cercò di ricordarsi le parole del Dottor Lindstrom.

Momenti, frammenti di quotidianità che vanno progressivamente a sommarsi. Essere onesti con se stessi.

“Ti lascio andare” sussurrò Elliot prima di abbassare il capo e posare delicatamente le labbra sulla sua guancia.

Olivia trattenne il respiro quando lo vide avvicinarsi a lei e la sua bocca si schiuse appena, ma non riuscì a proferire parola.

Osservò Elliot guardarla un’ultima volta prima che si incamminasse verso la sua auto. Fu allora che Olivia portò lentamente la sua mano dove le labbra di Elliot avevano appena lasciato la loro traccia.

Incapace di formulare un pensiero coerente e visibilmente meravigliata da quel gesto, era cosciente che quella notte non avrebbe preso sonno tanto facilmente.

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Capitolo 6
*** Knowing ***


Olivia era bloccata nel mezzo di una riunione con il suo capo e altri dieci suoi colleghi da circa mezz’ora e la sola cosa era sufficiente a spazientirla: McGrath non era esattamente il tipo di superiore scrupoloso e pacato di cui il dipartimento aveva bisogno, ma era per lo più insofferente e irritabile.

Un sospiro seccato sfuggì dalla sua bocca mentre gettava una rapida occhiata all’orologio; mancavano ancora un paio di minuti alla fine del meeting e non vedeva l’ora di uscire da quella stanza per ritornare nel suo ufficio.

Il capo della gang che aveva arrestato qualche settimana prima insieme all’Unità Crimine Organizzato era in qualche modo connesso ad Oscar Papa, il mandante della sua aggressione avvenuta mesi fa in mezzo alla strada, che l’aveva lasciata con un occhio nero, diverse contusioni e le ossa fratturate. Il solo pensiero la fece rabbrividire: la paura che aveva provato quella sera era paragonabile soltanto a un altro evento traumatico del suo passato, del quale non aveva intenzione di ripercorrerne i dettagli.

Tutti concordarono di riaprire il caso e di seguirne gli sviluppi, specialmente dopo la confessione di Moreno sugli altri membri del gruppo che aveva lasciato intendere una velata minaccia nei confronti della polizia. Olivia mentirebbe se dicesse di non avvertire una certa ansia al riguardo; la probabilità di essere assalita nuovamente era molto alta, soprattutto dopo essere stata lei stessa ad aver incriminato il sospetto.

Quando McGrath annunciò la fine dell’incontro, raccolse la sua borsa e si alzò dalla sedia, salutando gli altri poliziotti presenti e incamminandosi verso l’uscita; attraversò un lungo corridoio a testa bassa e a passo svelto, evitando di incrociare lo sguardo delle persone.

Alzò il capo solamente nel momento in cui udì una voce familiare parlare con qualcuno a poca distanza da lei: fu allora che intravide Elliot appoggiato con la schiena al muro intento in una conversazione con il suo sergente. Olivia rallentò per avvicinarsi a loro; lui si accorse immediatamente della sua presenza.

“Capitano” la salutò Ayanna, “io e Stabler siamo attesi nell’ufficio del capo quindi faremo meglio ad andare”.

“Ti raggiungo tra poco” disse Elliot volgendo la sua attenzione verso Olivia.

Ayanna lo guardò in modo austero, intimandogli di non fare ritardo, per poi allontanarsi.

“Hai sentito?” domandò Olivia facendo un passo in avanti.

“Oscar Papa?” chiese conferma lui.

“Sì… non so cosa pensare”.

“C’è un’intera squadra che si occupa del caso” rispose Elliot cercando di sembrare il più rassicurante possibile, “non sei da sola”.

Una risata amara uscì dalle labbra di Olivia; è sempre stata da sola, fin dal momento in cui emise il suo primo respiro.

“Ho visto di peggio, onestamente”.

Pronunciò quelle parole d’impulso e si rese conto solo poco dopo di ciò che aveva appena detto; Elliot la stava osservando in modo ambiguo e prima che potesse chiederle spiegazioni, lei parlò nuovamente.

“Vi hanno convocato qui per questo?”.

Lui annuì e Olivia notò all’istante il conflitto interno che lo stava angosciando: quasi certamente stava riflettendo su cosa dire e ne ebbe la conferma nel momento in cui la sua bocca si schiuse più volte prima di esprimersi.

“Non hai notato niente di strano ultimamente?”.

“No” rispose, “ma starò più attenta del solito”.

“Credo che dovresti valutare l’ipotesi della scorta” bisbigliò Elliot guardandosi intorno per non essere ascoltato.

“Non se ne parla” replicò Olivia a bassa voce, “nessun indizio fa pensare che io sia in pericolo”.

“No” concordò Elliot posando una mano sul suo braccio, “ma è sempre meglio essere prudenti”.

Le ultime parole vennero pronunciate direttamente vicino al suo orecchio e Olivia sentì il suo respiro caldo solleticarle il viso; la sensazione le fece chiudere involontariamente gli occhi prima di riaprirli nuovamente scuotendo il capo, ricordandosi di dove fosse.

“Non è necessario per ora” controbatté convinta, “riesco a cavarmela”.

“È già successo una volta… sarebbe meglio–”.

“Elliot” lo interruppe guardandolo in modo sostenuto, “questo è niente in confronto a–”.

“In confronto a cosa?” la incalzò lui disorientato.

“Niente”.

“Olivia…” la implorò.

“Dovresti andare, ti stanno aspettando”.

Olivia lo congedò e iniziò a camminare verso l’uscita, ignorando il fatto che la stesse chiamando nel bel mezzo del quartier generale; quando si accorse che la stava seguendo, decise di non attirare ulteriormente l’attenzione altrui e fece un rapido dietrofront per afferrargli un braccio e spingerlo in una sala vuota.

“Smettila di urlare” gli ordinò a denti stretti e chiudendo la porta per appoggiarvi contro le spalle.

“Che cosa intendevi prima?” le domandò una volta dentro.

“Perché ti interessa tanto?” sviò lei, incrociando le braccia sul petto.

Elliot inclinò la testa da un lato e la guardò in modo scettico.

“Sei seria?” chiese, un accenno di esasperazione ben udibile nel suo tono, “lo sai perché”.

Olivia inspirò profondamente; ultimamente le cose tra loro erano meno tese e si sentivano quasi ogni giorno. Dopo un caso particolarmente difficile, capitava spesso che Elliot la chiamasse la sera per tenerle compagnia una volta che Noah si ritirava nella sua camera. La loro ultima conversazione al bar aveva incoraggiato entrambi a essere più onesti, anche se pur sempre ponderando le loro parole ed emozioni, temendo che una frase sbagliata potesse demolire il precario equilibrio che avevano da poco costruito.

Nonostante ciò, ora avvertiva un inconfutabile rancore farsi spazio nel suo cuore e non era più in grado di ignorarlo.

“In realtà non lo so” rispose contemplando il suo viso, “tutte le volte in cui avrei voluto il tuo aiuto… tutte le volte in cui avevo bisogno di te, tu non c’eri”.

Elliot la guardò stupito, ma dopo poco la sua espressione tramutò in una maschera di rammarico e dolore; lo fissò attentamente mentre la sua mandibola si irrigidì, i suoi lineamenti si incupirono e il suo sguardo si abbassava. Le sue parole lo avevano ferito, pensò, e una piccola parte di lei si sentiva quasi appagata nel riuscire a conficcare una minuscola scheggia nell’ampia ferita che lui stesso le aveva procurato.

Passò almeno un minuto intero prima che lui alzasse gli occhi da terra e trovò il coraggio di guardarla.

“Mi dispiace” fu tutto ciò che usci dalla sua bocca, la voce spezzata dalla desolazione.

L’emozione che vedeva riflessa sul suo volto le fece stringere più forte le braccia intorno al petto: si sentiva esposta davanti a lui e non preparata a sostenere quella conversazione, ma in qualche modo le parole vennero fuori senza che lei potesse frenarle, come un fiume in piena indomabile, pronto alla devastazione di qualsiasi cosa si incontrasse sul suo cammino.

“Ho passato mesi ad aspettare una tua chiamata o un tuo messaggio” sussurrò Olivia chinando il capo – il segreto che custodiva da anni ora svelato tra le mura della sala – “eppure non ti sei mai degnato di rispondermi”.

Alzò lo sguardo per scrutarlo, ma Elliot stava evitando volutamente di guardarla negli occhi.

“Tu non sai l’umiliazione che ho provato quando tutti mi chiedevano il motivo per cui avessi lasciato il lavoro e io non sapevo cosa rispondere perché ti rifiutavi di parlare con me” continuò con piglio pungente, “è difficile crederti quando dici di tenere a me”.

A quelle parole, Elliot alzò finalmente gli occhi da terra e la fissò: la sua espressione era spenta e tetra.

“Volevo chiamarti…” disse a bassa voce, “ma avevo paura”, aggiunse poco dopo.

Olivia sogghignò amaramente prima di rispondere, incredula a ciò che stava ascoltando.

“Paura di cosa?” domandò irritata.

Elliot spostò il peso del suo corpo da un piede all’altro mentre lei lo scrutava impaziente; sapeva che quello non era né il luogo né il momento adatto per avere quel tipo di discussione, ma sentiva il bisogno di sapere la verità, di porre fine ai quesiti a cui non aveva mai trovato risposta.

“Di affrontarti” rispose, la sua voce un sussurro quasi inudibile, “dopo quello che era successo al comando… ero sconvolto. Avevo bisogno di qualcuno, ma non potevo–”.

“Io ero lì davanti a te–”.

“È proprio quello il problema, Olivia”.

Olivia sgranò gli occhi involontariamente; l’aria sembrava essere stata risucchiata dalla stanza e l’unica cosa che avvertiva in quel momento era il battito accelerato del suo cuore rimbombare nelle sue orecchie. Si sentiva improvvisamente accaldata e percepì le sue mani iniziare a sudare.

“Tu eri l’unica persona che mi avrebbe compreso e io non…”.

Elliot si interruppe per prendere fiato, la sua voce era titubante, così come i suoi occhi che si guardavano intorno in modo incerto.

“Avevo bisogno di te Olivia, capisci? E ciò mi ha spaventato. Avevo intenzione di prendermi una pausa, di riordinare le idee… e poi le settimane sono diventate mesi, anni… non avevo il coraggio di dirtelo e a essere onesto, non avrei saputo neanche come” disse cercando il suo sguardo.

Un singhiozzo sfuggì dalle labbra di Olivia, il quale cercò invano di essere silenziato dalla mano che avvicinò alla bocca, mentre i suoi occhi si inumidirono.

“Quindi hai preferito svanire nel nulla?” chiese con la voce spezzata, sbattendo più volte le palpebre per evitare di far scendere le lacrime sul viso.

Non voleva piangere di fronte a lui, ma il dolore che aveva incamerato durante gli anni era sempre stato troppo forte da tenere a bada; aveva impiegato molto tempo a ricucire i brandelli del cuore che lui stesso le aveva spezzato e ora si sentiva di una fragilità che non le apparteneva.

“Non avrei mai voluto” si affrettò a rispondere lui, tentando di sfiorarle un braccio, ma si rese presto conto che fu la scelta sbagliata. Olivia gli lanciò un’occhiata velenosa e spinse via la sua mano.

“Ma l’hai fatto” controbatté chiudendo gli occhi con forza prima di schiarirsi la gola.

Odiava il fatto di apparire così vulnerabile e cercò di calmare il suo respiro, anche se era consapevole che a quel punto i suoi sforzi sarebbero stati inutili.

“Olivia” pronunciò il suo nome con riverenza cercando i suoi occhi inquieti, “sono successe tante altre cose nel frattempo… so che non è una scusa, ma se solo sapessi–”.

“Davvero?” lo interruppe lei, il suo tono tagliente e avvilito, “non hai la minima idea di quante cose sono successe da quando te ne sei andato. Non hai idea dell’inferno che ho dovuto affrontare”.

Avvertì il suo sguardo addosso bruciarle l’anima; il fatto che sembrasse confuso la faceva imbestialire. Si sentiva una tigre in gabbia impaziente di uscire e sfogare la sua collera.

“Non so… non so davvero di cosa tu stia parlando” replicò con voce insicura.

I polpastrelli delle sue mani avevano iniziato a contrarsi convulsamente lungo i fianchi e Olivia si rese conto che stava reprimendo il desiderio di toccarla. Da quel punto di vista era quasi sollevata perché sapeva che se lo avesse fatto, avrebbe sperimentato la rabbia che ardeva dentro di sé direttamente sulla sua pelle.

“Non importa” disse mentre portò una mano all’altezza del viso per asciugarsi aggressivamente una lacrima che aveva tentato invano di trattenere, “tanto non c’eri”.

Non aveva bisogno di usare il proprio corpo per ferirlo: erano sufficienti le parole.

“Non voglio più parlare di questo” annunciò poco dopo, reclamando la sua compostezza, “ma solo perché tu lo sappia… posso tenere a bada Oscar Papa. Lui è niente in confronto… al resto”.

Elliot era teso come una corda; sembrava volesse dire di più, ma si limitò ad annuire. Nel momento in cui pensava che la conversazione fosse finita, lui chiuse la distanza tra loro e si avvicinò lentamente per allungare il pollice e asciugarle un’altra lacrima che le bagnava il viso.

“Quando sarai pronta” mormorò mentre la sua mano era ancora appoggiata sulla sua guancia, “voglio continuare questo discorso. Non so cosa sia successo Olivia, ma devi sapere che muoverei il cielo e la terra per te”.

“Elliot” sussurrò debolmente allontanandolo – la sua vicinanza la intossicava – “dov’eri nel 2013?”.

Lui la guardò confuso mentre la sua fronte si corrucciò, immerso nei ricordi.

“2013?” ripeté lui distanziandosi lievemente da lei, “ero in Europa, prima in Inghilterra e poi in Svizzera. Lavoravo nei servizi di sicurezza privata… perché?”.

Olivia rilasciò un lungo respiro, cercando di calmare il battito del suo cuore, e chiuse per un attimo le palpebre. Lui non aveva davvero la minima idea di cosa le fosse successo.

La sua risposta non la rincuorava, ma forse l’avrebbe aiutata a porre fine a uno dei capitoli più oscuri della sua vita. Quando venne rapita e torturata da uno dei criminali più pericolosi con cui aveva mai avuto a che fare, il suo primo pensiero era sempre stato Elliot. Pensava ai suoi occhi, alla sua voce che le diceva di non mollare e a come fosse l’unica persona che avrebbe voluto vedere quando finalmente riuscì a salvarsi. Da sola. Come sempre.

“Devo andare” annunciò Olivia dopo qualche minuto di silenzio. Si passò una mano tra i capelli e il volto per aggiustarsi e asciugare i residui acquosi sotto gli occhi.

“Puoi passare da me stasera, se vuoi. Voglio… finire questa conversazione” aggiunse prima di uscire.

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Capitolo 7
*** The truth ***


Le luci soffuse dell’appartamento illuminavano il salotto e contribuivano a conferire all’ambiente una certa quiete; fuori, la città era ancora viva e frenetica e il suono distante dei clacson alleviava il silenzio della stanza.

Elliot, però, si sentiva tutt’altro che tranquillo: la parola giusta con cui definire il suo stato d’animo era irrequieto, pensò, mentre appoggiava il bicchiere ormai vuoto sull’isola della cucina di fronte a lui. Deglutì l’ultimo sorso di vino ancora in bocca per poi spostare la sua attenzione verso Olivia, il cui sguardo era rivolto alla parete.

Non sapeva cosa aspettarsi quando si presentò alla porta; la conversazione che aveva avuto con lei quella mattina continuava a ripetersi nella sua mente, mentre un’infinità di interrogativi aveva distolto la sua concentrazione dal lavoro, tanto che Ayanna gli intimò di andare a casa dopo che passò metà della giornata a ignorare i suoi ordini. Quando Olivia lo invitò dentro, sul suo viso non era più visibile alcuna traccia di trucco, i suoi capelli erano raccolti in una coda disordinata dalla quale cadevano due ciuffi ondulati e il suo abbigliamento formale era stato sostituito da un largo pullover celeste e dei leggings neri.

Era bellissima. Il pensiero era sulla punta della lingua, ma dovette mordersi un labbro per evitare di pronunciarlo ad alta voce; aveva il presentimento che nel momento in cui le sue gambe avrebbero varcato la soglia d’ingresso, la serata non sarebbe stata poi così serena da permettere quello scambio di parole. Qualsiasi cosa dovesse dirgli, era importante e intima al punto di non poter essere discussa altrove.

“Grazie per essere venuto” spezzò finalmente il silenzio Olivia.

Elliot annuì senza rispondere e voltò leggermente il capo nella sua direzione; fu sorpreso nel vedere un paio di occhi castani cercare i suoi.

“Non so da dove iniziare… ma voglio che tu lo sappia prima che qualcun altro te lo dica”.

“Non devi fare niente per cui tu non ti senta pronta, posso aspettare”.

Lei continuò a guardarlo: la sua espressione era cupa e le sue labbra strette tra i denti.

“Il mio psicologo mi ha suggerito di iniziare a essere onesta con me stessa…” disse, “e con te” aggiunse, spostando le gambe appoggiate allo sgabello e dirigendo il corpo verso di lui, “se voglio che questo funzioni”.

“Ti ascolto” la incoraggiò, imitando il suo movimento e trovandosi faccia a faccia con lei.

“Sono successe tante cose da quando te ne sei andato” iniziò alzando lo sguardo verso il soffitto, “ma una in particolare mi ha cambiata per sempre”.

Elliot posò gli occhi sulle sue mani: erano chiuse l’una nell’altra in quella che sembrava essere una forte presa. Era chiaramente nervosa e ciò era evidente nei suoi gesti.

“C’è stato un caso… tempo fa…” disse riprendendo a guardarlo, “uno dei più terribili che abbia mai visto”.

Olivia cominciò a raccontare di come, nel lontano 2013, un sospetto di nome William Lewis venne fermato dalla detective Rollins a Central Park, dei suoi precedenti e del suo sadismo nell’infliggere dolore alle vittime che avevano la sfortuna di capitare tra le sue grinfie.

“È entrato nel mio appartamento” mormorò, abbassando lo sguardo, “e mi ha torturata”.

Elliot strinse involontariamente le mani in pugni; i suoi lineamenti si indurirono di colpo e percepì un feroce senso di rabbia. Inspirò profondamente per cercare di calmare i nervi, ma fu del tutto inutile: aveva voglia di colpire un muro, di rovesciare qualcosa a terra e di trovare la canaglia che l’aveva ferita per fargliela pagare cara. Sapeva che la violenza non era una soluzione, le sedute terapeutiche lo avevano aiutato a trovare altre valvole di sfogo decisamente più sane, ma in quel momento non era sicuro di riuscire a controllarsi.

Avvertendo il suo sconforto, Olivia lo scrutò attentamente e fece una pausa per prendere fiato a sua volta.

“Olivia” sussurrò Elliot – la sua voce flebile e tinta di dolore – “io non… non ne avevo idea. Devi credermi”.

“Ti credo” rispose piano.

“Se lo avessi saputo…”.

“Elliot”.

“Se lo avessi saputo, avrei preso il primo volo per tornare”.

Elliot la osservò mentre i suoi occhi si inumidirono e le sue labbra tremarono lievemente; voleva allungare le braccia per toccarla, per sentire che fosse effettivamente ancora lì con lui, ma pensò che non fosse la scelta più indicata.

“Volevo che tu fossi qui” riprese lei con la voce spezzata e chiudendo gli occhi per non far uscire le lacrime, “più di qualsiasi cosa”.

Al suono di quelle parole, le sue mani si chiusero ancora di più, fino a che le sue unghie non forarono i palmi. Sentire Olivia così vulnerabile non faceva altro che accentuare il suo interminabile senso di colpa, il suo rimorso per averla lasciata sola ad affrontare l’inferno.

“Mi ha rapita e tenuta con sé per quattro lunghissimi giorni” continuò lei tra i singhiozzi, “ho… ho ancora le cicatrici di cosa mi ha fatto”.

“Olivia…”.

“Non voglio scendere nei dettagli” replicò, scuotendo fortemente la testa mentre le lacrime le bagnavano il viso, “è troppo doloroso farlo”, aggiunse dopo qualche secondo di silenzio, “ma volevo che–”.

A quel punto Elliot la interruppe e si alzò in piedi per stringere le braccia attorno alla sua schiena; Olivia era ancora seduta, ma appoggiò il capo sul suo petto senza proteste. Proseguì a piangere mentre lui la sosteneva per alcuni secondi, fino a quando lei stessa non allungò le braccia per cingergli la vita.

“Va tutto bene” cercò di rassicurarla mentre le accarezzava il dorso, “sei al sicuro ora”.

“Ero così impaurita Elliot” sussurrò dopo qualche minuto di silenzio – la sua voce soffocata dal loro stretto abbraccio – “e volevo chiamarti…”.

“Mi dispiace tanto Olivia” bisbigliò, “mi dispiace”, ripeté.

Il dolore che provava in quell’istante era inimmaginabile, ma era nulla in confronto a quello che lei aveva dovuto sopportare; quella sera, doveva dimostrarle di essere l’uomo del quale poteva ancora fidarsi.

“Sei la persona più forte che io conosca” disse piano Elliot, sollevandole delicatamente il viso per guardarla negli occhi, “sei sopravvissuta e sei qui”, aggiunse, “questa è la cosa più importante”.

I suoi polpastrelli asciugarono le lacrime ancora presenti sulle sue guance e scivolarono gentilmente lungo i suoi lineamenti. Iniziava ad avvertire un bruciore agli occhi e riuscì a malapena a trattenere le gocce che minacciavano di scendere; i sentimenti che provava per la donna di fronte a lui erano sconfinati e se c’era una cosa che desiderava, era quella di proteggerla da tutte le ingiustizie del mondo, anche se aveva miseramente fallito da circa dieci anni.

“Ciò che ti è successo non definisce chi sei” asserì con fermezza, tentando di mascherare l’emozione presente nella sua voce.

Olivia tirò su con il naso e si alzò; il suo respiro era irregolare e i suoi occhi incerti.

“Ti ho pensato tutto il tempo in quei giorni” confessò sottovoce, quasi imbarazzata al pensiero, “eri l’unica persona che avrei voluto vedere”.

Elliot abbassò il capo e una lacrima scese irrefrenabile: era arrabbiato con se stesso.

“Mi dispiace Olivia” disse con voce roca, “non hai idea di quanto” continuò, “vorrei poter riparare ai miei errori”.

“Te l’ho raccontato perché… il caso con Oscar Papa e ora Moreno mi ha fatto ritornare alla mente… quei momenti… e in entrambe le circostanze, ti avrei voluto al mio fianco” ammise adagio.

“Non mi perdonerò mai di non essere stato presente” rivelò, “ma ora sono qui… di qualsiasi cosa avessi bisogno… sono qui”.

Lei lo guardò per qualche istante senza dire nulla per poi avvicinarsi a lui.

“Lewis ora è…” parlò di nuovo Elliot.

“Morto” rispose, intuendo la sua domanda.

“Bene” disse, “bene”.

“Non mi ha… lui non ha–”.

“Dio, Olivia” ansimò, chiudendo la distanza che li divideva per abbracciarla, “è tutto finito, sei al sicuro ora”.

Olivia gettò le braccia al suo collo, accostando la testa sulla sua spalla; la sentì rannicchiarsi il più vicino possibile a lui, mentre percepiva il suo respiro caldo vicino alla gola, provocandogli dei piccoli brividi sulla schiena. Elliot la strinse ancora più forte a sé: non voleva lasciarla andare.

“Non sono la stessa persona che ero prima, Elliot” confidò a bassa voce.

“Sei molto di più” controbatté lui, portando le labbra all’altezza del suo capo, sfiorandole appena la fronte.

In quell’istante, la avvertì rabbrividire e lasciar andare un lungo respiro affannoso.

“Mi sei mancato” mormorò, sfregando la sua guancia contro la sua.

“Anche tu” rispose piano, accarezzandole la schiena.

Sentì Olivia strofinare il viso sul suo ancora una volta prima di staccarsi leggermente.

“Sai che ti voglio qui, vero?” domandò, facendo scendere le braccia dal suo collo per appoggiarle delicatamente sul suo addome, “non voglio che tu ti faccia di nuovo del male”.

“Sto provando ad essere presente” replicò, guardandola negli occhi con sincerità.

“Lo so” disse annuendo, “è solo che… ho paura”.

“Lo capisco” rispose, mettendo le mani sopra le sue, “ma sono qui. Possiamo fare le cose una alla volta”.

“A patto che tu stia lontano dai proiettili” disse lei, avvicinandosi lentamente, “mi hai fatto spaventare l’altra volta”.

“Ti prometto che starò più attento” replicò lui con sicurezza.

Elliot la osservò mentre continuava ad avvicinarsi, fino a quando non si fermò per dargli un bacio sulla guancia; fu colto alla sprovvista da quel gesto d'affetto, ma prima che potesse commentare, Olivia parlò.

“Voglio che tu sia presente nella mia vita Elliot” confessò guardandolo, “ho solo bisogno di tempo, credo… e che tu sia qui…”.

“Sarò qui Olivia” la rassicurò, “non c’è nessun altro posto in cui vorrei essere”.

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