Libera Nos a Malo

di Tubo Belmont
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 1 ***
Capitolo 2: *** Part 2 ***
Capitolo 3: *** Part 3 ***



Capitolo 1
*** Part 1 ***


 

Il cielo è blu.
L’acqua è bagnata.
Il fuoco è caldo.
E tra le più stupide ovvietà e certezze che esistevano al mondo, Hayakawa Aki ne aggiunse mentalmente un’altra, quando il suo sguardo si posò sull’orizzonte.
In quella Casa, dimora il Male.
Non tecnicamente.
Non filosoficamente.
Non si trattava nemmeno di una stupida metafora, come quelle che si dicono in giro per indicare un luogo dove sono avvenuti orribili fatti di cronaca nera o l’abitazione di un serial killer. Era un concetto puro e semplice, il fatto che quelle rovine di tegole precipitate, legno marcio e vernice scrostata fosse come la tana di un super predatore che trascendeva l’esistenza e l’alba della razza umana stesse.
Per quale motivo uno come lui, così tanto lontano da casa, si trovava lì?
All’inizio era rimasto perplesso: prendere un Jet privato dal Giappone fino in occidente, in quel luogo sperduto in mezzo al Mayne che nemmeno era segnato sulle mappe… solo per un Esorcismo fallito?
Poi, la Signorina Makima aveva aggiunto altre informazioni: trenta Sacerdoti, selezionati personalmente dal Papa in Vaticano, di cui adesso probabilmente lui stesso stava ripetendo i passi, svaniti senza lasciare traccia. In aggiunta, l’intero villaggio di pescatori nelle immediate vicinanze si era svuotato come la sala di un Cinema, alla fine di un film privo di scene extra. In aggiunta a ciò, isterie di massa; atti violenti totalmente ingiustificati e un’esemplare esplosione di aggressività, per quanto riguardava gli animali nei che abitavano le selve limitrofe.
Ed il fulcro era ciò che si trovava davanti ai suoi occhi azzurri ed alla sua espressione dura.
Espressione che, lentamente, stava cominciando ad incrinarsi.
Ciò che aveva davanti… faceva fatica a considerarlo un luogo realmente esistente, associandolo di più al quadro allucinato di un artista ad un passo dal suicidio: sopra ad una collinetta di erba secca e legni spezzati, s’ergeva una villa a tre piani dalle finestre sbarrate e dal tetto spiovente. Doveva essere l’orgoglio della famiglia che la abitava, un tempo, ne era certo. Ma adesso non era altro che una carogna di se stessa; un monumento oscuro e sinistro. Una piccola torre rialzata spuntava dal centro dell’abitazione, rivelando una grossa finestra ovale che, da fuori, doveva dare sulla soffitta.
Era l’unica finestra a non essere sbarrata.
Un sentiero di ciottoli e foglie secche partiva dall’uscio, serpeggiando in mezzo all’erba come una gigantesca anaconda, fino a passare tra il gigantesco gruppo di croci, sculture angeliche e immagini sante di qualsiasi religione, paese o etnia, fino a bloccarsi davanti ai mocassini del giapponese.
L’agglomerato avvolgeva il perimetro della casa come una specie di muraglia di amuleti, eretti per fare in modo che qualunque cosa si annidasse dietro quelle mura marcescenti non potesse proseguire ulteriormente. E vedendo che le prime file di effigi erano totalmente annerite e cadevano in pezzi… non era del tutto convinto che quella lieve protezione sarebbe durata ancora a lungo.
Il paravento a forma di drago, con le ali spalancate e la testa serpentiforme puntata verso l’alto, con le fauci spalancate, era rivolta al cielo terso, rosso come un drappo inzuppato nel sangue.
Aki si accese una sigaretta, portandosela alla bocca e buttando fuori un po’ di fumo.
“Sarà una nottata veramente lunga…” mormorò a bassa voce, infilandosi la mano destra in tasca.
“… non se qualunque cosa si trovi lì dentro ci ammazza prima.”
Aki chiuse gli occhi e sbuffò un altro po’ di fumo dalle labbra.
Quindi si girò verso il collega.
O meglio, l’unico altro pazzo disposto a farsi tutte quelle ore di viaggio dal Tempio per probabilmente morire tragicamente in un paese che nemmeno era il suo.
Con il solito abbigliamento in dotazione ad ogni singolo Sacerdote, costituito dalla spessa giacca nera con annessa camicia bianca e cravatta rossa – rigorosamente adornata dal ricamo di una croce dorata sulla punta – e pantaloni neri, al suo fianco stava in piedi un altro giovane ragazzo. Avevano entrambi la stesa età, ma agli occhi di un esterno poteva risultare almeno più giovane di cinque anni, soprattutto per la statura che superava di poco il petto del compagno. Lunghi capelli, rossi come una fragola matura, scendevano fino a metà della schiena, scompigliati e trasandati come se fossero passati sotto ad una turbina, ed incorniciavano un visino liscio e perfetto, che quasi risultava difficile da associare ad un ragazzo.
Alla cintura dei pantaloni, riposta in un fodero di pelle nera, riposava l’elsa dorata di una spada lunga, che quasi con la punta strisciava sull’erba.
“Anche se” il rosso voltò gli occhi del medesimo colore e l’espressione apatica verso Hayakawa, sbattendo lentamente le palpebre “Secondo me, prima di un Demone, sarà un cancro ai polmoni a farti fuori.”
Aki restò a guardarlo per un po’.
Poi buttò la sigaretta a terra e la spense con un pestone.
“Non dovresti scherzare su queste cose.”
“E chi scherza? Io mi preoccupo solo per te.” Ribadì, tornando a guardare il casolare.
L’altro invece si passò una mano in faccia, senza ribattere ulteriormente.
Tanto l’ultima parola non sarebbe mai stata la sua, a prescindere.
“… certo che…” la voce del rosso parve farsi più affranta “… che grandissima fregatura. Il Capo è davvero una stronza. Io volevo venire in America per mangiare gli Hamburger e vedere il Gran Canyon, non disinfestare una vecchia topaia!”
“Non siamo qua in vacanza, Angel.” Nel rispondere, Aki si passò una mano sui capelli bruni e, così facendo, sul leggero codino da samurai con la quale li teneva a bada. Quindi la mano arrivò dietro la schiena, dove incontrò l’elsa nera della katana.
“Dunque, se usciamo da lì prima dell’alba, ti prometto che ti porto a mangiare da qualche parte.” Estrasse l’arma. La lama luccicante fendette l’aria con un sibilo, creando un arco alla sua destra finché la punta dell’arma non sfiorò l’erba. Rapido, passò la mano sinistra sotto alla giacca, passandola sul calcio della pistola riposta nella fondina e… sul cofanetto di ferro.
Cofanetto di ferro allacciato alla cintola e che avrebbe preferito non dover aprire.
“Offro io.”
Angel guardò la schiena del collega, che aveva preso ad avviarsi senza di lui “Hai così tanta fretta di muovere quella ferraglia?”
“Mi sorprende tu non abbia ancora estratto la tua.”
“Makima mi ha dato in dotazione la spada più PESANTE che aveva! È faticoso tenerla per mano.” Poi aggrottò le sopracciglia “Inoltre, dubito troveremo locali aperti a notte fonda…”
“Sicuramente troveremo qualche fast food, da qualche parte.”
Angel sbatté le palpebre, incredulo “Tutti questi chilometri per-” sbuffò, chiuse gli occhi e alzò le mani al cielo, rassegnato “Proprio non ci sai fare con gli appuntamenti, tu…”
“Che?”
“Come?”
Non tornarono sul discorso.
Arrivati a metà del piccolo agglomerato di croci ed effigi, i due si accorsero del grave aumento di macchie nere e marcescenza.
La Malvagità che quel posto irradiava era quasi fisica.
Se Aki avesse sollevato una mano, era quasi convinto avrebbe potuto sfiorarne la superficie.
Superarono un paio di sculture angeliche dagli occhi anneriti e dalle ali corrose, quindi lo spadaccino si voltò verso il compagno, rompendo finalmente quel silenzio imbarazzante “Non mi hai ancora detto perché hai deciso di accompagnarmi. Non sei esattamente il tipo di persona che salta sul primo volo per una missione oltre Oceano.”
Angel chiuse gli occhi e si ficcò le mani in tasca, abbassando lievemente la testa “Volevo vedere l’America.”
“Hai sempre detto che il Mayne ti faceva schifo.”
Aki venne scrutato da un unico occhio scarlatto “Lo sai, ti preferivo quando non parlavi. Non ero costretto a inventarmi delle risposte, prima.”
“Risposte che sto ancora aspettando.”
Angel sospirò esasperato “Maledizione, Hayakawa” alzò le braccia al verso il cielo “Dannazione… lavoriamo assieme da un sacco di anni! Ti pare che ti lasciavo andare da solo in sto’ paese sperduto a farti ammazzare? Perché ci posso scommettere che quella psicopatica ci ha affibbiato una gatta da pelare grande quanto la Torre di Tokyo, questa volta. Siamo partner” lo superò, piantandosi davanti a lui e dandogli le spalle. Aki lo seguì con lo sguardo.
“Sei un disastro che si butta contro al pericolo a testa bassa come un imbecille.” Il rosso si voltò, intrecciando le dita dietro la schiena e piegandosi verso di lui “se non ci fossi io a tenerti a bada, saresti già tornato al Tempio in una bella confezione da quattro.”
E tornò ad avanzare con la sua andatura placida e delicata.
Aki sbatté le palpebre, cercando di processare il palese insulto misto a sincera preoccupazione del suo collega.
Chiuse gli occhi ed ebbe uno sbuffo di risa, scuotendo lievemente la testa.
Grazie per sopportarmi sempre…
Dopo una scultura della Vergine Maria ed una di Buddah decapitate, i due Sacerdoti superarono l’ultima ‘linea di difesa’ costituita da una muraglia composta da altissime croci di… quello che doveva essere marmo, ma che adesso era talmente nero da sembrare ossidiana.
Bastò poco.
I loro piedi uscirono dal cerchio di sacralità.
Lo fece il resto del corpo.
Angel si ritrasse, occhi sgranati e sudore freddo, una mano sulla bocca.
S’appoggiò con la schiena ad una delle croci per non cadere a terra.
Ma fu l’altro a subire di peggio, sentendo le budella che si contorcevano e la bile che correva lungo la sua gola mentre s’inginocchiava a terra, sudato marcio a sua volta e con gli occhi che parevano uscirgli dalle orbite, infilzando la katana davanti a sé per non rovinare a terra.
Passarono ad una velocità abnorme, davanti ai suoi occhi.
Ogni singola depravazione, atto impuro o più terrificante feticcio.
L’Idea stessa del Male.
Un Male troppo Antico e Perfetto per essere perpetrato dai miseri uomini.
Alzò gli occhi, respirando a fatica, verso quella casa nera che, a dirla tutta, osservata da davanti ricordava quasi la facciata frontale di una cattedrale di Messe Nere. Vide, come un’esplosione nucleare, un miasma di nuvole oscure ed urlanti che si sollevava dalle pareti scure, salendo verso l’alto.
La finestra ovale puntava verso di lui come l’occhio di un mostro incomprensibile.
Gli parve di scorgere un lieve movimento, dietro alla finestra.
“…ki…” le orecchie fischiavano e il respiro era l’unico suono che riusciva a comprendere chiaramente “… Aki…”
Qualcosa gli sfiorò la spalla.
“AKI!”
Un tocco delicato e fresco pervase le sue guance.
L’incubo finì, così come era iniziato.
Il respiro si fece pian piano regolare ed ogni singola terribile immagine, assieme a quella nuvola urlante, si dissolse nel nulla, sostituita dallo sguardo di Angel che, adesso, si trovava inginocchiato davanti a lui, a guardarlo con uno strano ardore in fondo agli occhi di rubino ed a tenergli le guance in ostaggio tra le mani lisce e gentili.
Quel contatto ebbe il potere di calmarlo quasi del tutto.
Al resto ci pensò la domanda “Sei con me, samurai?” utilizzando il nomignolo che aveva sempre pronto quando la situazione peggiorava drasticamente e doveva sdrammatizzare.
In un certo senso, Angel era sempre stato il più forte tra i due.
Lo dimostrava il suo essersi ripreso da quell’orribile irradiazione di oscurità.
Probabilmente non avrebbe mai trovato, a parole, il modo per spiegargli quanto fosse grato della sua presenza al suo fianco.
“S-sto bene. Scusami.” Il moro prese delicatamente le mani del collega, abbassandole. Quello le ritrasse quasi di scatto, distogliendo lo sguardo.
“L-la spada.” Mormorò con un filo di voce, arrossendo lievemente “ti è caduta…”
Aki non se lo fece ripetere due volte e afferrò l’elsa nera, per poi tirarsi su in piedi e spazzolarsi i pantaloni. Avrebbe voluto accendersi un’altra sigaretta, ma sapeva che se lo avesse fatto sarebbe stato sgridato.
“A quanto pare hai proprio ragione” disse, allungando la mano verso il compagno ancora in ginocchio davanti a lui “Se non ci fossi tu, sarei già crepato.”
Angel guardò la mano, poco convinto. Poi gonfiò la guancia destra e la prese “Io ho sempre ragione. Stupido…”
Lo aiutò ad alzarsi.
Poi, entrambi, voltarono lo sguardo verso quella vera e propria casa degli orrori.
Adesso più vicina che mai.
Miss Makima…
Aki si portò la parte piatta della spada sulla spalla
Questa volta vuole veramente farci fuori, dunque?
 
[…]
 
[https://www.youtube.com/watch?v=f717iNkYNLk]
 
L’interno, a parte risultare molto più grande rispetto a ciò che si poteva intuire da fuori, non era diverso da quello di una casa normale. O quantomeno, non era diverso da una casa che era stata abbandonata e dimenticata.
Passarono in mezzo all’atrio, sopra ad un tappeto polveroso e ricoperto di arabeschi. Nel calpestarlo, sollevarono qualche nuvoletta di polvere e sentirono un lieve e scrocchiante rumore sotto le suole. Ai loro lati, in mezzo a due mobiletti dalle quattro lunghe gambe a forma di zampa di leone, adornati da un piccolo vaso occupato da qualche fiore appassito, stavano quelle che dovevano essere le stanze principali della casa: un largo soggiorno buio e tenebroso, occupato da un paio di larghi divani avvolti da un lenzuolo bianco a destra, ed una sala da pranzo con un largo tavolo di legno al centro, coperto a sua volta.
Sembravano fantasmi, immobili ed imprigionati in una maledizione statica ed infinita.
Aki sfiorò qualcosa di duro con la punta della scarpa ed abbassò lo sguardo, fermandosi.
Ciò che vide gli strinse il cuore nel petto, costringendolo a mordersi il labbro inferiore con forza.
Sotto gli occhi di Angel, si chinò in avanti e prese in mano la cornice impolverata di una fotografia. Il vetro era spaccato in più punti, ma l’immagine della famiglia sorridente e felice per il diploma appena preso dalla figlia era nitida ed evidente.
Non importava dove andasse, o quale fosse il luogo che doveva esplorare per trovare il Male.
Ogni singolo posto raccontava una storia diversa.
Una storia che, indipendentemente che fosse triste o allegra, finiva sempre in tragedia.
Una storia che, con tutta probabilità, nemmeno si distanziava di troppo dalla sua.
 
Era inverno, nell’Hokkaido, in quel piccolissimo villaggio di periferia.
Aki e il suo fratellino Toiyo avevano passato tutto il pomeriggio a giocare assieme in mezzo alla neve, come non lo facevano da un sacco di tempo. Il più giovane degli Hayakawa, essendo molto cagionevole di salute, aveva sempre vissuto all’interno di quattro mura fredde e tristi e, benché l’amore della sua famiglia non fosse mai mancato, non era mai stato allegro di quella sua reclusione.
Poi, forse per un miracolo voluto dagli dei o per uno strano scherzo del destino, le cose avevano cominciato a migliorare, ed il piccolo Taiyo era finalmente guarito da ogni singolo male che avrebbe potuto affliggerlo.
E suo fratello era certo che, quella sera, fosse stato letteralmente il momento in cui più lo aveva visto in assoluto in forma.
Giocarono a palle di neve per tutto il tempo, ridendo e scherzando come non facevano da troppi anni.
E quando la madre li richiamò da dentro la casa, avvertendoli del fatto che avesse preparato la cioccolata calda, non ci misero molto a rientrare.
O almeno, Taiyo non lo fece.
Aki rimase fuori, a mettere a posto all’interno di una piccola baracca alcuni giocattoli.
 
“Le cose sarebbero state diverse… se fossi rientrato assieme a lui?”
“Sarei… riuscito a salvarti, fratellino?”
“E voi, mamma e papà?”
“Merito davvero di essere ancora vivo?”
 
Erano dubbi che affliggevano la sua mente, che lo avrebbero sempre fatto.
Ma la realtà era solo una: non avrebbe potuto fare nulla.
Perché quando il Male colpisce è come un proiettile in mezzo agli occhi: troppo violento, troppo veloce per essere fermato. E causa una morte rapida e certa.
Quando Aki era rientrato, sorridente, subito la gioia era stata sostituita dal più terribile e vomitevole sgomento, innanzi ad uno spettacolo che un bambino della sua età non avrebbe mai dovuto vedere.
I genitori fluttuavano a mezz’aria, con le ossa spezzate e gli arti piegati in modo così innaturale da farli assomigliare a bambole rotte. I loro volti erano coperti di sangue, a causa delle lacrime scarlatte e dal liquido scuro che usciva dai lati delle loro bocche, distorte in un innaturale sorriso. Le pupille erano rivolte verso un punto imprecisato del soffitto e la sclera bianca era deturpata da vene rosse.
Al centro di quell’orribile spettacolo, Taiyo era in piedi con il suo maglione di lana bianco e blu e la cuffia con le paffute corna da renna che spuntavano ai lati in testa.
Fu quando si voltò verso di lui che ogni singolo briciolo d’incredulità s’infranse come un bicchiere di cristallo che cade sul pavimento. Aki emise uno strillo e cadde sulle natiche, portandosi una mano davanti alla bocca e cominciando a piangere.
“T-Taiyo… c-che cosa…” la voce uscì come un lievissimo sussurro.
“Non sorridevano quasi mai, fratellone. Mamma e papà non sorridevano quasi mai. Sono rimasto così… deluso dal loro sorriso, quando me ne hanno finalmente regalato uno.” Il bambino si era voltato verso il fratello, rivelando gli occhi neri come due palle di catrame solidificato, la stella nera e sanguinante dalle cinque punte in mezzo alla fronte e il… terribile e mostruoso sorriso, che arrivava da orecchio ad orecchio, irto di denti affilati e aguzzi come quelli di uno squalo “Ma non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.”
Taiyo si voltò del tutto verso di lui, rivelando il maglione sporco di sangue come le mani.
Alzò le braccia e i cadaveri caddero a terra scompostamente con un rumore agghiacciante.
Aki urlò di terrore.
“Così, gliene ho dato uno io.” Sorrise, e lo stesso liquido nero cominciò a scendere dalle sue fauci.
Sono bellissimi. Non trovi?
La voce era la sua.
Ma Aki, in quel poco di stabilità mentale che ancora possedeva, era certo che quello non fosse suo fratello.
Qualunque cosa fosse, ora lo stava sbeffeggiando. Stava distorcendo l’immagine del suo migliore amico, con cui aveva condiviso momenti tristi, rabbiosi, allegri e commoventi.
Violentando i suoi ricordi e la sua mente.
Avrebbe voluto urlare di rabbia, ma era troppo spaventato ed impegnato a piangere per farlo.
Si rannicchiò su se stesso, piangendo ancora più violentemente.
“Ooooh… fratellone…” mosse dei passi verso di lui, con i Moon Boot ancora sporchi di neve che scricchiolava sul pavimento umido di sangue della casa.
“S-stammi lontano!” gridò Aki con le poche forze che rimanevano, strisciando a terra come un verme per mettere quanta più distanza che poteva tra lui e quell’orribile mostro.
“Non piangere… fratellone…” tese le braccia. Le unghie delle mani erano nere. Affilate come artigli “… adesso sistemerò anche te. Sorriderai anche tu come la mamma e il papà! Sarete assieme… per sempre…
“NO!” gridò l’altro bambino, in preda ad un panico sempre più crescente “Ti prego…”
Taiyo rise, divertito, poi parlò con una voce che non gli apparteneva. Profonda come un abisso, e che sembrava l’unione di più voci messe assieme “Piccolo maialino, non vedo l’ora di sentire come strilli mentre spacco tutte le tue ossa…”
Sentire quella voce provenire dalle labbra di suo fratello, probabilmente, fu la cosa che lo ruppe per davvero.
Soprattutto perché, innanzi a quello che successe dopo, non reagì in alcun modo particolare.
Si limitò ad osservare, impassibile ma con le lacrime che ancora gli rigavano le guance, mentre la fronte del bambino esplodeva di sangue nero.
“Cosa diavolo…” mormorò la creatura, mentre un altro scoppio esplose sulla sua spalla.
E poi se ne aggiunsero altri: uno sbarramento di proiettili colpì in più punti il corpo di suo fratello minore, mentre quello spalancava le fauci ed emetteva un ruggito dolorante da predatore ferito. Il suo corpo fu talmente tanto maciullato che, quando gli spari cessarono, nemmeno era più riconoscibile come umano.
Le sue gambe bucherellate e sanguinose si spezzarono.
Nell’impatto col suolo, si staccò anche il suo braccio destro.
Una larga pozza di sangue oscuro si propagò sotto il corpicino martoriato.
Aki sbatté le palpebre, senza nemmeno più comprendere se ciò che aveva davanti fosse reale oppure no.
E nel frattempo, una figura ammantata di nero lo superò, camminando sui tacchi a spillo dello stesso colore e facendo svolazzare la larga tunica da suora dietro la schiena longilinea. La figura si fermò a pochi centimetri dallo scempio che era diventato il piccolo Taiyo. Quello sollevò un volto deturpato verso di lei, con le cervella che colavano da un grosso buco a lato del cranio, le labbra scorticate dai fori di proiettile ed un occhio mancante.
“Lurida… puttana…” sibilò l’essere, sollevando debolmente il braccio con un dito penzolante verso la nuova arrivata “… come osi interrompere il mio… pasto…?”
La canna esageratamente lunga del revolver si appoggiò sulla fronte del bambino, esattamente dove c’era la stella nera. Il proprietario dell’arma fece fuoco e le cervella e il sangue volarono da tutte le parti.
Taiyo non si mosse più.
Ciò che rimaneva di lui, come per magia, si sgretolò nel nulla avvolto da fiamme nere come la pece.
“… mi dispiace. Se solo fossi arrivata qualche momento prima…” mormorò la pistolera, con voce placida ma carica di rammarico.
Aki, che non aveva per un attimo mosso lo sguardo da ciò che ne era stato di suo fratello, finalmente alzò la testa verso l’alto.
L’interlocutrice, in quell’abito da suora che metteva in risalto ogni singola e perfetta curva, rispose con un lieve e affettuoso sorriso: gli occhi gialli, brillanti come topazi, erano incastonati in un ovale perfetto e pallido, in mezzo ad una cascata di lunghi capelli rossi che partivano da un elegante cappello nero, a tesa larga, adornato da una fascetta bianca e liscia.
Aki la guardò dal basso, con le gambe contro al petto e il muco e le lacrime che continuavano a scendere.
Qualcosa lo inquietava, di quella nuova arrivata. Soprattutto quelle pupille così… strane, simili ad una spirale concentrica che si svolgeva fino al centro dell’iride brillante. Tuttavia, a differenza di ciò che aveva provato a fargli del male poco prima, sentiva che in lei non c’era la minima malizia.
La donna si avvicinò, cauta per non spaventarlo.
A pochi centimetri di distanza, piegò le ginocchia, poggiandovi sopra i polsi delle mani guantate di nero. Il largo crocifisso di legno pendette dal collo, legato ad una cordicella di spago.
“Ciao.” Disse dolcemente la donna, all’improvviso, allungando una mano verso di lui “Io mi chiamo Makima. Posso sapere qual è il tuo nome?”
E quel misero, semplice atto di gentilezza volto solo a cercare di tranquillizzare un bambino traumatizzato, fu troppo. Aki, in quel preciso istante, prese coscienza di ogni singola cosa che era appena accaduta. Ogni informazione colpì il suo povero cuore da bambino con immensa violenza e, senza più freni, scoppiò nuovamente a piangere disperato, buttandosi con le braccine al collo della perfetta sconosciuta che aveva appena sparato a suo fratello, stringendo con tutte le sue forze.
La donna posò la propria arma a terra e ricambiò l’abbraccio, poggiando il proprio mento sulla spalla del bambino e carezzandogli la schiena delicatamente.
“Non importa… me lo dirai dopo. Ora penserò solo a portarti via da qui.”
 
“Aki.”
Il Sacerdote si riscosse, scuotendo lentamente la testa, poi si voltò verso il collega che, adesso, lo stava guardando a metà tra l’impaziente e il preoccupato.
“S-scusami. Sto bene, davvero” tornò a guardare la foto, passandosi un dito sotto all’occhio destro “Mi ero perso a rimuginare…”
Poggiò la foto sul comodino più vicino, quasi per volerle dare una parvenza di normalità.
Poi si passò le dita sulle palpebre e sul naso.
Da quando Makima lo aveva preso con sé, era stata dura uscire dall’abisso in cui era precipitato. Nessun bambino ne esce sano, dopo aver visto ciò che aveva visto lui. E tuttavia, una forza di spirito che non era sicuro di avere dentro di se e la vicinanza di molti altri poveri orfani che avevano passato forse anche cose peggiori, lo avevano gradualmente cambiato.
Il suo mestiere era quello di annientare i Demoni che, una volta troppo radicati nell’animo dell’umano che decidevano di possedere, non sarebbero più potuti essere scacciati. Esattamente come ciò che si era preso suo fratello, quella notte. Un tempo, aveva deciso di diventare ciò che era adesso solo per la pura e semplice vendetta. Quello che era accaduto alla sua famiglia era imperdonabile, ed avrebbe annientato ogni singolo di quei maledettissimi mostri.
Dal primo all’ultimo.
Ma con il passare del tempo, la rabbia era andata scemando.
Lasciando spazio solo ad un infinito ed incessante vuoto, profondo, come l’irrazionale e inesatta consapevolezza che, in qualche modo, ciò che era accaduto fosse anche colpa sua.
E forse era proprio per questo che si trovava sempre in prima linea quando missioni terribilmente difficili, simili a quella che stava svolgendo al momento, finivano sulla bacheca. Il suo percorso di vendetta si era trasformato lentamente in uno di tossica redenzione e penitenza.
Perché lo sapeva, Aki Hayakawa, che se fosse morto contro uno di quelli non gliene sarebbe importato nulla. Perché sarebbe dovuto morire quella notte, a casa sua.
Al fianco della sua famiglia.
“… devo mandarti a fare in culo adesso o dopo?” aveva risposto Angel, aggrottando le sopracciglia.
Aki lo non riuscì nemmeno a voltarsi verso di lui, ridacchiando appena.
E nel mentre che mi deprimo, faccio stare in pensiero chi mi vuole bene. Sono davvero un disastro, come essere umano.
“… facciamo dopo. Pensiamo prima a liberare questa casa dal Male.”
“… va bene.” Angel sospirò rassegnato, voltandosi in avanti.
Lo spadaccino seguì lo sguardo del compagno, puntato sulla scalinata impolverata e dai gradini spezzati verso il basso. Ci volle poco per capire che il loro obbiettivo era, da qualche parte, ai piani superiori dell’edificio. Il miasma nero che fuori dalla casa aveva visto eruttare dalle pareti avvolgeva la ringhiera alta ai lati della scala, proseguendo verso l’alto in spire simili ai tentacoli di un mostro marino.
Se c’era una cosa che apprezzava dei Demoni particolarmente potenti, era quando loro stessi invitavano i loro sterminatori ad incontrarli.
Bastardi arroganti.
“Bene, almeno non sarà necessario cercarlo” disse il moro, passando assieme al compagno davanti ad un alto specchio dalla cornice dorata appeso al muro del corridoio principale.
Nessuno dei due si accorse che, le immagini dei loro riflessi sulla superficie di vetro, era stata sostituita da un’ombra nera e priva di forma.
“Credo ti convenga quantomeno tirare fuori la spada.”
Non si accorsero nemmeno dell’enorme agglomerato di braccia irte di dita umane, lunghe come serpenti aggrovigliati tra loro, che emersero dallo specchio come se quest’ultimo fosse stato una semplice pozzanghera d’acqua limpida.
“Forse abbiamo a che fare con uno dei Demoni più forti che abbiamo mai affrontato.”
Le braccia avvolsero il corpo del rosso che, per qualche strana ragione, non reagì minimamente, restando a guardare in avanti impassibile mentre veniva trascinato all’indietro di peso.
“Manteniamo i nervi all’erta.” Finalmente si voltò verso il compagno, che ancora non rispondeva “Angel?”
Non lo trovò al proprio fianco, ed inarcò un sopracciglio.
Voltò lo sguardo appena in tempo per vedere il corpo del collega immerso fino alla vita sulla superficie liquida dello specchio, tenuto per la nuca e per le spalle da quelle mani nere come la pece.
“… CAZZO!” Aki strinse i denti e afferrò la propria arma a due mani.
“Aki” lo sguardo estremamente e fastidiosamente passivo dell’altro ragazzo si puntò in quello preoccupato del compagno “penso che mi stiano catturando.”
“MA NON MI DIRE!?” lo spadaccino scattò verso lo specchio, i nervi a fior di pelle.
“FERMO LI’!” fece tuttavia l’altro, perentorio, riuscendo a liberare un braccio e puntandolo con un dito.
“… come dici?” Aki si fermò e abbassò la spada, incredulo.
“Non perdere tempo con me. Questo tizio che mi sta rapendo è solo un servitore del demonio che si trova in cima a questa casa. Deve essere lui il tuo obbiettivo principale!” affilò lo sguardo “Non fare quella faccia tutta preoccupata. So cavarmela anche da solo!”
Aki strinse i denti.
Sapeva che quell’altro aveva ragione… eppure non si sentiva del tutto sicuro a lasciarlo indietro senza nemmeno provare ad aiutarlo.
Angel però aveva ragione: il loro obbiettivo era da tutt’altra parte.
“Tu…” Aki arricciò il naso e digrignò i denti, mentre la testa del compagno svaniva dietro la pozza riflettente “… vedi di tornare indietro vivo, intesi!?”
Il braccio del rosso, unica parte del suo corpo ancora fuori dalla pozza, si tese all’improvviso.
La mano si chiuse a pugno, sollevando il pollice.
Quindi, anche quello scomparve.
“Razza di idiota…” scosse la testa, rabbioso “DAVVERO non si era accorto di quelle braccia?”
Ma adesso non doveva pensarci.
Si fidava di Angel: se diceva che se la sarebbe cavata da solo, lo avrebbe sicuramente fatto.
Per quanto riguardava lui, doveva proseguire.
Prese quelle scale avvolte dal miasma, cominciando a salire. Adesso con molte più ragioni di fare il culo a quel maledetto Demone rispetto a prima.
 
[…]
 
La prima cosa che Angel disse, dopo il capogiro che lo aveva assalito alla fine del suo rapimento e quando si era ritrovato in quella palese ‘altra dimensione’ fu “Grazie per avermici portato tu. Cercare di trovare questo posto da solo sarebbe stata una vera rottura.”
Il Sacerdote si trovava sopra ad una base di rovi neri, attorcigliati tra loro. Un quadrato che fluttuava in mezzo ad un nulla vorticante, rosso come il sangue, costellato da enormi macchie circolari, alcune più grandi altre più piccole che, ad una più acuta osservazione, parevano formare quasi dei volti bloccati in un’espressione di terrore. spuntando tra i rovi e fluttuando attorno alla piattaforma come strani droni, grossi specchi dalle forme più disparate riflettevano la sua immagine su di uno sfondo completamente bianco, come se l’ambiente circostante non esistesse per davvero.
E lì, proprio davanti a lui, vide il bastardo giocherellone che lo aveva separato da Aki: seduto sopra ad una montagna formata di pezzi di vetro riflettente più o meno grandi, stava una creatura vagamente umanoide, dalle lunghissime braccia e gambe terminanti in dita dai lunghi artigli affilati. Tutto il suo corpo era interamente ricoperto da una fitta pelliccia nera.
Quella che sembrava una versione più malsane e distorta di uno yeti, tuttavia, perdeva completamente la sua identità, non appena la testa entrava in contatto visivo: uno strano e deforme grumo rosso come il sangue, simile ad un grosso anemone, con una cinquantina di tentacoli danzanti simili a dita umane.
Al centro dell’anemone, un largo e disgustoso sorriso dalla dentatura umana marcia.
L’essere osservava lo spettacolo davanti a sé con sufficienza e con occhi inesistenti. Il ‘mento’ era appoggiato sulla mano destra, chiusa a pugno, il cui braccio era appoggiato tramite il gomito sul ginocchio. L’altra invece si trovava appoggiata sul fianco sinistro, a sua volta chiusa a pugno.
Angel chiuse gli occhi e sbuffò, cominciando ad avanzare svogliatamente, ponendo la mano sull’elsa d’oro della spada.
“Senti, non perdiamo troppo tempo: potresti lasciarti decapitare così poi me ne torno ad ammazzare il ‘vero’ Demone assieme al mio partner?”
Per tutta risposta, un bruciore lancinante esplose sul suo tallone.
Angel digrignò i denti e voltò di scatto lo sguardo verso dove aveva ricevuto l’offesa.
Lo spettacolo, dovette ammetterlo tra sé e sé, lo lasciò un po’ inquieto: una sua versione, dal corpo nudo più pallido e rachitico – poteva contare le costole sotto la pelle ad occhio nudo – e dai lunghi capelli non di un bel rosso fragola ma di un lieve rosa morente, stava uscendo da uno degli specchi che spuntavano dalla piattaforma di rovi. Quasi come se si fosse accorto del fatto che la sua controparte originale la stesse guardando, la coppia allontanò le fauci affilate dal piede del ragazzo, alzando la testa e rivelando un volto mortalmente terrificante, distorto da un sorriso allucinato sulle labbra viola; dal sangue incrostato sotto alle narici e dalle pesanti borse sotto due occhi che altro non erano che pozzi neri senza fondo.
Angel si allontanò, disgustato, guardandosi attorno concitatamente: notò come, da ogni specchio, quelle strane ed aberranti copie di sé stessero emergendo come morti viventi. Quelli che fuoriuscivano dagli specchi fluttuanti, precipitavano al suolo tutti anchilosati, per poi rialzarsi sulle gambe tremolanti come cadaveri in un film di zombie, muovendosi mogiamente verso di lui senza perdere quelle espressioni agghiaccianti.
Il sorriso del Demone peloso parve accentuarsi, di fronte allo smarrimento del Sacerdote.
Quando poi il numero delle creature raggiunse la trentina, quelle scattarono come belve inferocite verso Angel, spalancando le fauci e tendendo le braccia.
Quelle dita rachitiche e sporche non lo raggiunsero nemmeno. tuttavia.
Archi bianchi e lucenti brillarono intorno al corpo del rosso, mentre la sua immagine divenne sfocata come quella che si riflette su di una pozzanghera d’acqua mossa. Le copie-cadavere esplosero in sangue marcio e arti, cadendo a terra e bruciando in mezzo alle fiamme nere.
“Questi trucchetti del cazzo…” il ragazzo scrollò la spada lunga verso il basso, pulendola del sangue. Poi puntò la sua lama lucente verso il Demone “Esattamente, il tuo ‘Boss’ con chi ti ha detto di avere a che fare?”
Per tutta risposta, il mostro si limitò a sorridere.
E dal suo trono di frammenti di specchio cominciarono ad emergere come vermi di terra altri di quei disgustosi simulacri, passando gli uni sopra gli altri come formichine.
“Uhm… dunque è così che vuoi giocare?” Angel affilò lo sguardo, quindi si mise in guardia poggiando anche l’altra mano sull’elsa “Molto bene (CRISTO quanto è pesante questa spada). Allora prima mi occuperò di tutti i tuoi amichetti e poi ti sbudellerò in allegria.”
Concluse, mentre altri doppioni spuntavano dagli specchi, accerchiandolo mogiamente.  
 
[…]
 
Aki aveva cercato al piano superiore.
Ma, a parte due camere da letto estremamente spaziose e dai letti impolverati, non aveva trovato assolutamente nulla. Ma l’oscuro miasma, che come una musa malevola lo stava guidando, non si fermava solo a quel piano. Infatti, in fondo al corridoio di legno scricchiolante e dal lungo tappeto rosso impolverato, dopo le pareti adornate da quadri di natura morta realizzati dai colori più gelidi e morti che esistessero, c’era un’altra scalinata.
Le spire del miasma scivolavano sugli scalini, arrivando verso ad una porticina di legno socchiusa. Lo spadaccino inspirò a fondo, chiudendo gli occhi, poi si avviò.
La maniglia nera gli rimase in mano, quando fece per aprire la porta, trasformandosi in polverina scura.
Invitante…
Diede una spinta alla porta con un piede, per poi entrare circospetto, le sopracciglia aggrottate e la katana puntata in avanti, pronto per ricevere qualsiasi aggressore.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=NlQcKBUcgmA]
 
Non fu deluso da ciò che si trovò davanti.
I servi del Male non sono mai stati sobri.
E non lo sarebbero mai stati.
La finestra circolare che dava sul cielo pennellato di rosso, illuminava con un cono di luce vermiglia una stanza enorme e spaziosa. Era… troppo grande per trattarsi di una soffitta, ed il Sacerdote ebbe il chiaro sospetto che, in quel luogo, la realtà fosse completamente distorta a causa dell’influenza del Demone. A parte una quantità innumerevole di mobili impolverati e coperti da lenzuoli sporchi e stracciati, Aki notò anche un altro agghiacciante particolare: manichini.
Tipici manichini beige, senza lineamenti, braccia o gambe, infilzati dentro ad un piedistallo di legno. Alcuni fissavano il nulla, altri invece erano sotto quegli stessi asfissianti e polverosi sudari.
Ma non tutti i manichini coperti erano come gli altri: alcuni avevano una larga e scura macchia di scarlatto sotto di essi e parevano molto più larghi. Il lenzuolo era sporco di rosso a sua volta e, dove avrebbe dovuto esserci la testa, una mente sadica aveva ben pensato di tracciare un ghigno stilizzato con il sangue.
Ne contò una trentina, di quei ‘manichini’.
Dalle legnose e spesse travi del soffitto spiovente, pendevano invece trenta rosari, dalla dimensione, materia e grandezza differente.
La punta più bassa dei crocifissi gocciolava di scarlatto.
Non trovò quello che lo circondava particolarmente confortante, ma le sue attenzioni si rivolsero poi tutte al centro dell’enorme soffitta: seduta su di una sedia in legno, vi era un figura rachitica e cianotica. Le gambe pallide avevano la pelle attaccata alle ossa come macabri adesivi, e lo stesso lo si poteva dire delle braccia, appoggiate sui bracciali della sedia ed incatenate ad essa. Una semplice camicia da notte rosa copriva il corpo di quella ragazzina, pieno di macchie insanguinate e con gli orli gocciolanti.
O almeno, Aki pensava fosse una ragazzina, visto che il volto era celato da un sacco di plastica bianca.
I lineamenti premevano contro al materiale, ma era difficile capire che cosa ci fosse lì sotto.
Vista la quantità di sangue ai piedi della figura e alle condizioni in cui si trovava il corpo, non era difficile pensare che quella persona fosse morta.
Perciò il Sacerdote sussultò quando quella sollevò la testa di scatto, guardandosi attorno concitatamente “D-dove mi trovo?”
La debole voce da ragazza fugò ogni dubbio dalla mente di Aki, che sbatté le palpebre.
I nervi erano ancora a fior di pelle.
“M-mamma? P-papà?” la prigioniera cominciò ad agitarsi, tentando di liberarsi dalle catene che la tenevano costretta alla sedia. Accorgendosi però di quanto le sue azioni fossero inutili, smise di muoversi, prendendo a singhiozzare “… Q-questo è un incubo… c-cosa mi è successo…”
Il Sacerdote, mentre quell’altra piangeva, abbassò lentamente l’arma.
Quindi afferrò la pistola e scaricò tutto il caricatore sulla prigioniera.
Ogni singolo proiettile colpì la ragazzina in testa, riempiendo di buchi il nylon.
La vittima non urlò nemmeno, sussultando semplicemente ad ogni proiettile che le entrava in corpo.
Ed Aki continuò a sparare, con un’espressione impassibile, fino a quando il grilletto non premette a vuoto.
Il collo della ragazza si piegò in avanti e, assieme alla sua immobilità, nella soffitta tornò a regnare il silenzio, scandito dall’eco degli spari che andava scemando sempre di più.
Nessuna goccia di sangue fuoriuscì dal cadavere.
Il giapponese ebbe giusto il tempo di cambiare il caricatore.
“Voi… siete davvero una noia mortale.” Mormorò la ragazza. La paura e lo smarrimento nella sua voce totalmente scomparsi.
Aki aggrottò le sopracciglia, mentre la creatura davanti a lui sollevava di poco le braccia, spezzando le catene che la legavano alla sedia come fossero fatte di marzapane. Puntò dunque i piedi nudi per terra, sollevandosi eretta come se una forza invisibile l’avesse spinta da dietro la schiena, piegata di poco in avanti. I bossoli vuoti del caricatore caddero a terra tintinnando sul legno, e la sedia si sbriciolò sollevando una nuvola di polvere.
Il Sacerdote si rimise in guardia, come prima, attento ad ogni singolo movimento della sua interlocutrice.
Quella, come una scultura, non accennò nemmeno un respiro.
Poi il suo corpo venne scosso da un violento spasmo e, finalmente, sollevò la testa.
I fori di proiettile sul nylon erano scomparsi, rivelando solo tre grossi buchi: due, che si aprivano su occhi neri come la pece; uno, che si apriva su di un agghiacciante sorriso di denti affilati come pugnali.
“Pensavi davvero che un simile trucco avrebbe funzionato con me, Bestia?” mormorò Aki, puntando il Demone con la pistola e portandosi la katana davanti al petto, in verticale e con la lama rivolta verso il basso.
“La tua fama ti precede, Sacerdote. Volevo solo vedere come avrebbe reagito uno dei nostri più promettenti avversari innanzi a questo scherzetto.” L’essere si mosse, sempre in preda a violenti spasmi. Le ossa del corpo da ragazza parevano continuare a spezzarsi ed a ricomporsi, in una cacofonia disgustosa “sei molto lontano da casa, Hayakawa Aki. Tutta questa strada… solo per morire?”
Non era una sorpresa che un Demone tanto potente conoscesse il suo nome.
Ma non riuscì a mantenere il terribile brivido che gli corse lungo la schiena.
“Non sono qua per morire, ma per rimediare al fallimento del Vaticano.” Aki si umettò le labbra, mentre il sudore scendeva lungo la fronte “Niente di personale.”
Niente di personale… moccioso” il sorriso dell’essere si accentuò, mentre la voce di ragazza veniva sostituita da un tono profondo e cavernoso, che non poteva appartenere ad un essere umano “la storia che hai con la mia specie… è sempre stata personale. Non mentire a te stesso: posso leggerti come un libro aperto…” parlò ancora “… l’ho sempre fatto, fratellone.”
Sentendo la voce di suo fratello provenire da quella bocca, Aki sgranò gli occhi e strinse i denti.
Una rabbia cieca artigliò la sua anima, mentre sparò il prossimo colpo.
Il proiettile volò verso l’essere, che lo intercettò senza problemi. Snudò le fauci e lo bloccò tra i denti in un’esplosione di scintille.
Una risata gutturale fuoriuscì dal fondo della sua gola, mentre con una leggera pressione frantumava il proiettile. Il giapponese fece schioccare la lingua sul palato, infastidito.
“Sciocco arrogante… oggi hai morso molto più di ciò che puoi masticare” il Demone, tornato a parlare con la sua voce cavernosa, sollevò lentamente il braccio destro, puntando con un dito rachitico e artigliato di nero il suo avversario “la benedizione del tuo Signore è sopravvalutata. La tua abilità è sopravvalutata allo stesso modo. Questa casa di legno marcescente… sarà la tua tomba.” Rise “E poi, penserò al tuo amichetto…”
“Figlio di puttana…” sibilò avvelenato lo spadaccino, tra i denti.
I ‘manichini’ sorridenti vennero all’improvviso avvolti dalle fiamme. Il cielo, fuori dalla finestra, parve spegnersi come una lampadina, divenendo nero come la pece e buio come un abisso. I crocifissi si separarono dai grani di rosario e precipitarono dal soffitto.
Si conficcarono nel pavimento, capovolti, attorno alla figura del Demone dal volto coperto.
“Nella tua arroganza sei sempre stato convinto di conoscere il limite del Male, samurai” lo disse con tono di scherno e disgusto, ridendo “… ma oggi, ti presenterò un Male che non hai mai visto prima.”
La finestra ovale alle spalle della creatura si ruppe e le schegge di vetro volarono verso il ragazzo che, con una giravolta all’indietro e un rapidissimo movimento della mano destra, le distrusse sulla lama della katana. Sollevò lo sguardo, constatando che la finestra non fosse esplosa del tutto.
Formanva invece un gigantesco buco a forma di pentacolo rovesciato sul vetro rotto, da cui scendevano spessi rivoli di liquido nero simile a catrame, come se quella fosse stata la ferita sul corpo di una colossale creatura.
“Vieni a me, Aki Hayakawa” il sorriso si fece ancora più largo “mostrami la furia di un Sacerdote del Sol Levante!”
E il Demone scoppiò a ridere, con le fiamme che gettavano un’ombra agghiacciante e terribilmente deforme dietro al suo corpo.
Aki deglutì a vuoto, ma non si lasciò intimidire.
L’ultima cosa che voleva, era mostrarsi debole davanti ad una simile minaccia.
… questa serata lunga si è appena trasformata in una serata infinita…  

Mh... sì... l'edge scorre potente tra queste righe.
Devo ammetterlo... non riesco a prendere sul serio la parte finale di questo primo capitolo XD so che dicendo così, sembra che non mi piaccia la faccenda, ma in realtà è l'esatto opposto: porca miseria non avete IDEA di quanto io volessi scrivere una storia di questo tipo, in cui potermi completamente sbizzarrire con immagini sataniche, possessioni demonieche e TRAUMI DURI. Ok, detto così sembro un tizio che sacrifica capretti al Signore Oscuro, ma giuro che non è così!
Gli dei che venero ABORRISCONO i sacrifici di sangue! preferiscono il Burger King.
Ma dilagazioni a parte, devo ammettere che, per quanto metal ed edgy sia tutta la faccenda, sono contento di ciò che ho scritto. Come ho detto, è tipo da un sacco di tempo che volevo scrivere una storia con queste tematiche non esattamente religiose, e sono contento di averne trovata l'occasione! Perciò, ringrazio sia Anchestral e Scarlett per avermi ispirato talmente tanto con la Aki x Angel per permettermi di costruirci su questa storia. Che, devo ammetterlo, doveva avere un contesto diverso, ma poi ripensandoci ho detto 'COL CAZZO. Così è molto più figo!'
Quindi: Aki con un'infanzia ancora più traumatica e il suo scontro con Demoni che non sono solo dei mostri con una testa di pistola a caso. Spero di aver reso bene quanto queste creature siano... letteralmente Male fisico.
No, nessuna backstory triste o misunderstanding: sono Demoni infernali, che probabilmente in privato si toccano mentre vedono l'umanità soffrire.
L'unica cosa che mi dispiace è il non essere riuscito a scrivere tutto in un solo capitolo... MENDOZAAAAA ODIO il mio non-dono della sintesi. Certo, non sarà più lunga di due capitoli tutta faccenda, però uffi -.-
E dunque, come faccio sempre, vi ringrazio per essere passati alla mia PRIMA (magari neanche l'ultima) storia Shonen-ai che io abbia mai scritto, e vi lascio con un'immagine dei personaggi trattati, per chi non conosce l'opera originale!
Aki Hayakawa, und Angel, o Angel Devi. Anche se nella mia versione aureola e Ali da angelo non sono presenti. 
Per ora.
Grazie mille a tutti per essere passati! Al prossimo e ultimo (cazzo, me lo auguro) capitolo!

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Capitolo 2
*** Part 2 ***


 


 
Angel non era solito ritrattare una sua affermazione.
Era testardo fino all’ultimo centimetro del suo essere e, persino quando aveva torto marcio, non l’avrebbe mai data vinta a nessuno.
E lo stesso, valeva per quando si faceva un’idea su qualcosa.
La situazione in cui si trovava adesso, tuttavia, lo aveva portato a raggiungere quello stato mentale in cui, per la prima volta, era costretto ad ammettere di essersi sbagliato: aveva sottovalutato il suo avversario.
La separazione dal proprio collega non si era rivelata così costruttiva come pensava.
Respiro pesante, occhio chiuso e la mano sinistra, su cui scendevano copiosi rivoli di sangue, stretta attorno al braccio da cui reggeva l’elsa della propria arma. Quando era stato separato da Aki, era abbastanza certo che il Demone ad averlo attaccato non fosse il più pericoloso in assoluto. La sua percezione da Sacerdote aveva suggerito un probabile Generale, con sì e no non più di due o tre legioni sotto di sé.
Ed in effetti, a onor del vero, non è che quella creatura avesse fatto molto per mettergli i bastoni tra le ruote.
Non direttamente, per lo meno.
Quel bastardo se ne rimaneva in cima a quel trono di vetrate rotte, ad osservare lo spettacolo con quel disgustoso sorriso in mezzo ai tentacoli rossi. Mentre le infinite armate di cloni continuavano ad avanzare, in un mare di sguardi vuoti e sorrisi allucinati.
Angel digrignò i denti. Non importava quanti ne facesse fuori e quante volte riuscisse a schivare i loro stupidi attacchi… quelli continuavano a ripresentarsi a dozzine. Ed ogni volta che le creature aumentavano, aumentavano anche le ferite sul suo corpo e gli strappi sulla sua divisa sgualcita. I morti avanzarono, e Angel fece un passo indietro. Poi le creature balzarono in avanti con le braccia tese e le fauci spalancate, finendo tagliuzzati sulla spada del loro avversario.
Non senza che prima alcuni di loro superassero la sua scarsa difesa, raggiungendolo con fauci ed artigli.
Il ragazzo emise una sonora imprecazione ed indietreggiò ancora, rendendosi conto per il rotto della cuffia di starsi trovando a pochissimi centimetri dal limite della piattaforma di rovi. Voltò lo sguardo verso la spalla e guardò di sottecchi ciò che si trovava sotto di lui.
Nel migliore dei casi, sarebbe caduto all’infinito.
Tornò a guardare in avanti, trovandosi di fronte l’esercito di suoi doppioni distorti, osservato dal Demone nero. Un’intensa frustrazione raggiunse il suo corpo, conscio che probabilmente se lui ed Hayakawa fossero stati assieme quella maledetta situazione si sarebbe già risolta da sola. Invece aveva deciso di fare lo ‘splendido’ e di  lasciarsi catturare.
Bravo, cazzo. Davvero bravo.
Si sarebbe volentieri preso a schiaffi, in quel momento, non fosse stato per la fatica ancora più intensa della pigrizia che, ora, gli bloccava le braccia flaccide verso il basso. Inspirò a fondo e chiuse gli occhi.
Poi li spalancò, sforzandosi a mantenere un’espressione dura e seriosa di fronte al suo nemico.
Nemico che, senza allontanare la mano da sotto al mento, continuava ad osservarlo con occhi invisibili ed un sorriso strafottente, ancora più largo e disgustoso.
La cosa lo fece imbestialire.  
Ringhiò rabbioso e, con uno sforzo immane, sollevò l’altro braccio ed afferrò bruscamente l’elsa della spada a due mani, puntandola in avanti come segno di muta sfida.
L’azione fu talmente rapida che, qualcosa di non identificato, cadde dalla larga tasca dei pantaloni, tintinnando al suolo rumorosamente.
Angel si voltò in direzione del suono.
E sgranò gli occhi, vedendo l’oggetto di cui si era totalmente scordato l’esistenza che ricambiava il suo riflesso sulla sua superficie dorata.
 
Un bracciale. Largo almeno come il suo braccio.
Un bracciale dorato e decorato dagli assolutamente non inquietanti rilievi di minuscoli occhi umani spalancati, che contornavano tutta la superficie esterna come bizzarre pietre preziose. L’oggetto era scivolato sulla scrivania di legno lucido e, adesso, era sotto lo sguardo scrutatore del giovane Sacerdote.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, continuando ad osservare con sospetto.
“Uhm…” Angel piegò la schiena e piantò le mani sulla base della scrivania, guardandolo intensamente ad un millimetro dal proprio naso “… mmmmh…”
L’interlocutrice si pinzò il naso con le dita, sospirando pesantemente.
“… sembra costoso…” alzò lo sguardo verso di lei “… se non ti conoscessi, starei quasi per dire che me lo stai regalando per provarci con me.”
“A tanto così, Angel” Sorella Makima, sfoderando un sorriso smagliante sulle labbra pitturate di rosso chiaro e serrando le palpebre sugli occhi, alzò la mano destra tendendo pollice ed indice in perpendicolare tra loro, come se stesse tenendo in mano una biglia “sei a tanto così dal vedere la tua paga drasticamente ridotta.”
E quelle parole, che per le orecchie del giovane suonarono molto peggio di una minaccia di morte, tornò subito composto, mani dietro la schiena, sguardo fisso in avanti ed una lieve goccia di sudore sulla fronte.
La donna riaprì gli occhi, tornando al suo solito e gelido sorriso e lasciando nel cassetto quello da ‘presto giocherò con le tue budella’. Per quanto Makima fosse considerata dai suoi sottoposti solo come una collezionista psicopatica ed una maledetta avara, Angel compreso, era pur sempre anche la più terrificante abitante del Giappone.
Aveva vinto un contest.
“Hai idea di cosa sia questo?” domandò all’improvviso la donna, indicando il bracciale.
Angel si riscosse dai suoi pensieri, tornando a guardare l’artefatto “Sembra un braccialetto. Un braccialetto per chi ha veramente pessimo gusto.”
“Precisamente” annuì quell’altra vigorosamente, compiaciuta “ma in vero, per quanto sia un letterale pugno nell’occhio da guardare, questo coso potrebbe addirittura salvarti la vita, un giorno.”
Angel sbatté le palpebre, confuso.
Poi la consapevolezza si fece strada tra le sue meningi, facendogli alzare di scatto lo sguardo verso la sua datrice di lavoro, a bocca aperta “Aspetta… non vorrai mica dirmi che…?”
“Precisamente. Di nuovo.” La donna lo puntò con il dito, facendogli l’occhiolino “ti sto affidando una delle mie Reliquie, caro il mio Sacerdotino.”
Reliquie. Oggetti così antichi che, si dice, esistessero ancora prima che l’idea dell’umanità fosse, appunto, un’idea. Artefatti posseduti da coloro che, in tempi di un’epoca immemore e sconosciuta, esattamente come pochi esseri umani adesso, combattevano contro coloro che avevano intenzione di distruggere il Mondo.
Armi leggendarie, utilizzate dagli Angeli in persona per annientare i Demoni.
Il ragazzo trovò tutto questo spaventosamente ironico… e sospetto.
Sorella Makima non si sarebbe mai separata da uno dei più pregiati oggetti della sua collezione, una Reliquia Angelica, probabilmente più costosa di casa sua, quella dei suoi genitori e quella dei nonni dei suoi nonni, per poterla dare ad un misero sottoposto.
“Sorella Makima” il ragazzo la guardò, serio. Mentre rimuginava, intanto, la donna si era voltata verso la finestra dietro alla scrivania, avvicinandosi ad essa con le mani giunte dietro al vestito nero da “… che cosa hai intenzione di fare, questa volta?”
“… uhm… la potrei chiamare una… scommessa.” Mormorò in risposta, osservando gli orfanelli che giocavano allegramente nel prato del convento, decorato da una colossale scultura della Vergine Maria posta al centro, in mezzo ad una siepe di fiori colorati “… voglio vedere se tu, assieme a qualche altro figliuolo, hai ciò che serve per prendere in mano un pezzo dell’eredità di coloro che, un tempo, facevano il nostro lavoro.”
Makima tornò ad accomodarsi alla scrivania. Poi posò un dito sul bracciale, spingendolo ulteriormente verso Angel “Gratuitamente.”
Angel guardò il bracciale.
Poi guardò Makima.
E poi tornò sul bracciale.
Non aveva motivo di pensare che il suo Capo stesse provando da ingannarlo in qualche modo. Tra i pochi lati positivi della Sorella, uno principale era la sua brutale trasparenza. La mancanza di peli sulla lingua di Makima era la causa per cui molti suoi sottoposti avevano più di un complesso d’inferiorità.
Però affidare Reliquie ad esseri umani… sembrava un rischio molto grande.
E il primo pezzo di un piano decisamente più grande.
“Morale della favola, Angel” piegò la schiena, la Sorella, abbassandosi sulla scrivania e poggiando il mento sulle mani dalle dita intrecciate. Gli occhi gialli brillarono come topazi in mezzo alla penombra, ricordando al Sacerdote per quale motivo quella donna fosse il capo del gruppo di Cacciatori di Demoni più grande al Mondo “vi sto dando ‘in prestito’ i miei giocattoli. Giocattoli che potrebbero arrivare, un giorno, a significare il futuro di questo lavoro. Avrai notato, ultimamente, che il Male si sta facendo molto più agguerrito, e non vomita soltanto Imp da quattro soldi a possedere mocciosi per squartare qualche vergine. Se chi bazzica sotto la realtà ha intenzione di alzare la posta in palio, chi sono io per rinunciare alla sfida?”
Il ragazzo guardò il bracciale un’ultima volta “Insomma… vuoi creare dei ‘Super’ Sacerdoti, adesso?”
Quella fece spallucce, accentuando il sorriso “Oppure voglio solo evitare che troppi figliuoli muoiano sotto al mio naso. Sono molto più generosa di quello che voi tutti credete, miei cari.”
Il ragazzo sospirò, non pienamente convinto sull’ultima affermazione della Sorella.
Ma prese il braccialetto comunque.
Rifiutare un ‘regalo’ di quel tipo solo perché ‘fidarsi è bene, non fidarsi è meglio’ sarebbe stato scortese. E probabilmente la sua paga sarebbe diminuita drasticamente.
Il tempo di allontanarsi e di aprire la porta dell’ufficio, che Makima tornò a parlare “Mi raccomando, fai molta attenzione con quello.”
Angel si voltò verso di lei, scrutandola da dietro una spalla.
“Non è un Braccialetto Magico che ti fa diventare una Magical Girl, ma un artefatto così antico e potente che potrebbe folgorarti sul posto, se non sei meritevole di utilizzarne il potere.”
Ecco la fregatura…
“Usalo solo in caso di estrema necessità. E non preoccuparti di morire” Makima gli fece l’occhiolino “Se sei costretto ad usarlo, allora vuol dire che saresti comunque morto a prescindere.”
 
Usarlo proprio ora…? Sono deluso da me stesso…
Avrebbe preferito utilizzarlo in una situazione più critica.
Ma quando si sta per morire, è sempre una situazione critica, no?
Il ragazzo scattò verso il bracciale caduto sulla piattaforma, afferrandolo.
Una volta tornato eretto, abbassò l’arma e premette sull’occhio in rilievo più brillante. Il Bracciale dell’Ophanim – così aveva scoperto chiamarsi, dopo una ricerca fatta assieme al suo compagno di stanza Beam – si aprì con uno scatto rumoroso.
Il rosso strinse i denti, cominciando a sentire l’apprensione farsi largo tra le viscere. Allo stesso tempo, però, senti la vicinanza con l’armata di cloni, ricevendo la certezza che esitare ancora avrebbe significato morire. Quindi scoprì il braccio destro, facendo su la manica nera.
“Se per sta’ cazzata ci crepo di merda, brutta stronza” strinse la presa e fece sbattere il bracciale al centro del braccio. Quello si richiuse con uno scatto, come una manetta “il mio fantasma ti perseguiterà fino alla fine dei tuoi giorni…!”
E i cloni scattarono verso di lui, artigliandolo e mordendolo furiosamente.
La spada cadde sulla piattaforma.
E così fece Angel.
O meglio, il Sacerdote cadde fuori dalla piattaforma assieme ad una trentina di suoi doppioni, intenti a morderlo e a graffiarlo. Precipitò, senza un suono o un lamento, verso quel vuoto rosso ed urlante, con il compiacimento della creatura demoniaca che aveva osservato tutto lo spettacolo.
Poi il suo sorriso svanì, per la prima volta da quando aveva fatto la sua comparsa, da in mezzo a quei tentacoli rossi.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=sY5fmZX1A1o]
 
Una colonna di luce brillante si era innalzata dal punto esatto in cui il Sacerdote era scomparso. Una colonna così alta che andò ad espandersi fin verso al soffitto inesistente di quella dimensione di volti urlanti. Il Demone si alzò in piedi, lentamente, col muso deforme rivolto verso la fine invisibile della colonna. I cloni non precipitati parvero ritrarsi, quasi impauriti.
Poi la luce scomparve.
Al posto di quest’ultima, era apparso uno strano bozzolo fluttuante a mezz’aria, formato da tre paia di enormi ali piumate chiuse su di loro. Ali piumate al cui centro, senza alcun preavviso, si spalancarono giganteschi occhi dall’iride rossa, che puntarono la marcia di creature davanti.
Il Demone s’irrigidì, muovendo un passo all’indietro.
“… suppongo dovrei dirvi di non aver paura…”
La testolina di Angel fece capolino da sopra quel triangolo rovesciato di candide piume, assieme alla sua voce vellutata e flebile. La sua espressione era beata, anche se seria, ed ogni segno della fatica sul suo volto pareva essere svanito nel nulla.
“… ma sarebbe un’affermazione che andrebbe contro al motivo per cui sono qui.”
Aprì gli occhi e così fecero quattro delle paia di ali, arrivando a raggiungere i sei metri di lunghezza. Quel semplice gesto, cambiò l’ambiente circostante, come se Angel avesse appena acceso un interruttore invisibile: lo sfondo rosso e i volti urlanti lasciarono spazio ad un’esibizione di nuvole candide come la panna montata, illuminate da una luce dorata che sembrava arrivare da ovunque e da nessuna parte. Ed in mezzo a quelle nuvole, spuntarono a centinaia di migliaia di altri occhi rossi. Tutti che puntavano con un furore ed una superbia antichissime gli scherzi della natura sottostanti.
Angel scrollò le spalle nude e candide, senza rivelare il resto del corpo da sotto le enormi ali ancora piegate su di lui, mentre la spada che era caduta in terra cominciava a fluttuare verso di sé “che ne dite se facciamo la finita subito? Così me ne ritorno da quel pazzo suicida del mio partner?”
Il Demone emise uno stridio furente, simile ad un gruppo di babbuini che finiscono in un tritacarne, puntando quindi il dito artigliato verso la nuova forma di Angel e scatenando ogni suo singolo mostro contro di lui. Altri cloni fuoriuscirono dagli specchi circostanti, correndo concitati contro al bozzolo di ali.
Mogiamente, il ‘ragazzo’ liberò un braccio dalle piume, quello circondato dal bracciale occhiuto. Subito, la spada presa in dotazione per la missione si rizzò sull’attenti, con la lama rivolta verso l’alto.
E si sdoppiò, come una cellula che si moltiplica.
Angel puntò il dito del braccio in avanti, con l’espressione più gelida che avesse mai avuto, e ventiquattro spade scattarono come un gruppo di feroci calabroni, lasciandosi dietro una scia d’energia dorata ovunque andassero. Tagliarono ogni singolo clone, facendo volare sangue oscuro, arti e budella un po’ovunque, e rompendo ogni singolo specchio che continuava a crearli. La danza di spade dorate terminò con ogni singola arma che volava verso una direzione diversa, svanendo in mezzo alle nuvole.
Angel nascose il braccio tra le piume, per poi puntare gli occhi verso il Demone nero, che ringhiò furente.
La creatura piegò la schiena, le gambe e le braccia, per poi eseguire un possente balzo verso l’alto, facendo volare a loro volta diversi pezzi di specchio. Alcuni di quei pezzi li utilizzò come rampe, rimbalzandoci sopra con i piedi per darsi ulteriori e poderosissime spinte, infrangendoli ad ogni suo salto.
Ogni singola azione venne eseguita senza che quei colossali occhi in mezzo alle nuvole lo perdessero di vista, nemmeno per un secondo.
Quindi, arrivato ad un pezzo di vetro bloccato perfettamente al centro del cielo, rivolto per caso verso al corpo del Sacerdote, la creatura emise un acuto ruggito rabbioso e, piegate le ginocchia, balzò verso di lui, con le fauci umane spalancate, gli artigli tesi e la bava scura che colava dal lato destro della bocca come il pezzo di una ragnatela. Angelo lo guardò svogliatamente.
Poi, puntò il dito verso di lui, quando la creatura si trovava a poco meno di qualche centimetro di distanza dal suo corpo. E le spade riapparvero, come baionette di luce, attorno al corpo del Demone. Penetrarono nella carne avvolta dal pelo nero, facendone scempio e macchiando di oscurità le candide piume dell’angelo.
 
Angel, portatosi al centro della piattaforma di rovi, ormai ricoperta di budella e sangue e arti, teneva sollevata nel centro della mano la testa sanguinante del Demone degli specchi.
“Non credo abbia più senso fare il misterioso, adesso che sei solo una testa ansimante…” Angel sbatté le palpebre, guardando la creatura che reggeva in mano boccheggiare mogiamente come un pesce fuor d’acqua “… quale Demone ha richiesto il tuo aiuto, Generale?”
L’essere emise un sospiro raschiante e affannoso.
Angel sbatté nuovamente gli occhi, poi si portò la testa della creatura all’orecchio, in ascolto.
E quella parlò. Rivelando la più atroce e terribile verità che potesse aspettarsi.
Il ragazzo angelico s’irrigidì, sgranando gli occhi, allontanando la creatura da se e guardandola sconvolto, sperando quasi che quel terribile nome di bestemmia che avesse appena sentito fosse solo l’ultimo inganno di quella creatura del Male.
Ma quell’altra tornò a sorridere malevola, beandosi del suo sgomento.
 
Era tornato nel corridoio della casa maledetta.
Inginocchiato a terra, vestiti ricomparsi dal nulla, occhi sgranati e la spada coricata davanti a sé. Lo specchio che lo aveva inghiottito era completamente distrutto, ed i cocci riflettenti del vetro erano tutti sparsi sul pavimento di legno.
Poco importava, però, dato che adesso Angel sapeva che aveva lasciato Aki in balia di…
“DANNAZIONE!” digrignò i denti e scattò in avanti, afferrando l’elsa della spada.
Non c’era tempo da perdere!
Fece per rialzarsi in piedi e correre verso le scale, ma ogni singola parte del suo corpo venne attraversata da una terribile ed intensa fitta, che lo costrinse nuovamente a terra sulle ginocchia, con la spada conficcata davanti a sé per non rovinare a terra.
Poteva sentire l’Ophanim che bruciava sul suo braccio.
Maledizione… tutto questo potere, solo per poi trovarmi più spossato che dopo una notte di alcolici!?
Odiava quella situazione.
Odiava il trovarsi lì.
Odiava starsene dolorante in mezzo a quella catapecchia.
Odiava l’aver lasciato solo quel maledetto bastardo di Aki.
Voleva starsene a casa, a giocare ai videogiochi assieme ai suoi amici.
E invece eccolo lì, a rischiare la vita per un mestiere – enormemente – remunerativo.
In un’altra vita, avrebbe fatto il sarto.
Sei i Demoni non avessero nuovamente raso al suolo il suo villaggio, ovviamente.
“N-non morire… dannazione…” si rialzò in piedi a fatica, usando la spada come bastone da passeggio e avviandosi alla scala “… se provi a morire, ti ammazzo, Hayakawa Aki!”
 
[…]
 
Oltre a quelle fiamme infernali, adesso il buio della soffitta era illuminato dalle scintille di uno scontro.
Il silenzio, era scandito dal forte rumore delle armi che si schiantavano tra loro, esplodendo in una cacofonia feroce e violenta.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=MLbLz7M34ek]
 
All’ombra di un pentacolo sullo sfondo dell’abisso, un essere umano ed un araldo dell’Inferno stavano combattendo all’ultimo sangue. Facendo balenare la katana, che tracciava brillanti archi in mezzo al nulla, Aki Hayakawa continuava ad incalzare il suo avversario in uno scontro serrato, con fendenti rapidi e decisi, accompagnati di tanto in tanto dalla pistola che, dopo un allontanamento rapido, si puntava verso il nemico, sputando un proiettile incandescente dalla canna.
Il proiettile, il più delle volte, sfiorava e feriva il corpo del mostro, facendo sgorgare il sangue nero e macchiando il suolo. Altre volte, la maggior parte, si schiantava sugli affilatissimi e lunghissimi artigli, o si bloccava tra le fauci incastrate nel folle sorriso della creatura.
Creatura che, ad ogni fendente, rispondeva con altrettanta foga, facendo danzare le braccia come fossero fruste dentate, facendo saltare le scintille verso l’alto ed il basso come il martello di un fabbro che si schianta sulla propria creazione.
Così danzavano, i due avversari, mentre l’arena di legno, fiamme e buio, pareva danzare assieme a loro, roteando su se stessa, e i loro passi picchiavano al suolo rabbiosamente, muovendosi a scatti avanti e indietro, assieme agli spari ed al vento che veniva tagliato dalle lame.
Fu a quel punto che il Demone, accentuando il sorriso ed eseguendo un balzo, piombò sul Sacerdote con un doppio fendente dall’alto, facendo quasi sembrare il suo movimento un brutale abbraccio. Aki digrignò i denti e pose la katana di fronte a sé, in verticale e rivolta con il piatto di lui. Gli artigli d’ossidiana della creatura si scontrarono sul metallo lucente della spada, provocando il più potente e stridente suono emesso da quel combattimento fino ad ora. Spinse verso il basso, facendo piegare appena la schiena dell’umano all’indietro, ghignando sempre di più.
Lo spadaccino schiccò la lingua e, con un ruggito trattenuto dalle labbra, spinse in avanti con tutta la forza che aveva, allontanandolo. Quello eseguì un giro della morte all’indietro, fluttuando a mezz’aria, per poi atterrare dolcemente al suolo, in punta di piedi, come una ballerina. L’essere puntò gli occhi neri come pezzi di ossidiana sul Sacerdote, ridendo sommessamente con la sua voce da ragazzina, mentre faceva danzare le dita da cui spuntavano quei dieci artigli neri, lunghi almeno poco più della metà della katana.
Rapido, il Sacerdote si riportò la katana davanti al corpo, puntata verso il basso e puntò la pistola in avanti, poco prima che il nemico scattasse verso di lui ridendo sguaiatamente.
Finì tutto il caricatore, sparando fino all’ultimo colpo.
Nessuno andò a segno, vendendo semplicemente deviato o schivato.
Ed il giovane capì che non avrebbe sicuramente avuto più tempo per ricaricare.
Gettò l’arma scarica di lato e, all’ultimo secondo, tornò a parare un nuovo doppio fendente a croce del nemico, che avvicinò molto pericolosamente il viso coperto di plastica al suo, dal basso verso l’alto. il respiro era gelido e sapeva di zolfo.
“Onestamente… mi aspettavo molto di più dall’uomo che tanto ha fatto parlare di se, giù da noi” rise sguaiatamente, cambiando con una certa costanza la voce cavernosa da Demone a quella da ragazza “… non sono nemmeno sudato.”
“Mi sottovaluti, Demonio.” Aki allontanò nuovamente il mostro da se, con una pedata in mezzo alla pancia. La creatura rise, poi ripartì all’attacco aprendo le braccia ai lati.
Il giovane scattò a sua volta verso di lui, rapidissimo, afferrando l’arma a bimane e menando un fendente in avanti, rivolto al collo della creatura.
Quella però sorrise sghemba, piegando le gambe in modo innaturale e schivando senza problemi.
Il tempo di sgranare gli occhi per la sorpresa, e lo spadaccino si ritrovò cinque lunghi e scarlatti tagli sulla camicia bianca, che sprizzarono sangue allegramente. Il ragazzo strinse i denti per far fronte al dolore, poi parò un affondo rivolto al cuore. L’impatto scatenò una pioggia di scintille e fece strisciare i mocassini al suolo, allontanandolo quasi fin contro al muro alle sue spalle.
Il Demone ritornò eretto, per poi piegarsi all’indietro innaturalmente e portarsi una mano davanti agli occhi, puntandolo con un artiglio e ridendo sguaiatamente.
Il ragazzo digrignò i denti e, sentendo il sangue ribollire nelle vene, ripartì all’attacco.
“Moccioso…” l’essere intanto era già ritornato composto, le braccia larghe ai propri lati e che, lentamente e quasi impercettibilmente, salivano verso l’altro. A loro volta, così stavano facendo le fiamme che attorniavano il teatro dello scontro “… ogni tua espressione è semplicemente una meraviglia.”
Alzò le dita artigliate verso l’alto.
E le fiamme scattarono verso il soffitto, innaffiandolo con le fiamme e creando un terribile tappetto incandescente ed in perpetuo movimento. Aki fermò la sua corsa, alzando lo sguardo al cielo. Una mossa astuta visto che, poco dopo, enormi palle di fuoco cominciarono a piovere verso di lui. il ragazzo masticò un imprecazione, cominciando a correre di lato e schivando una sequela di sfere che minacciarono di centrarlo in pieno. Quindi ne schivò una settima con una capovolta, per poi ripartire in avanti, verso l’artefice di quel maleficio, schivando e dividendo a metà altre palle di fuoco con la katana.
Nel frattempo, una lunghissima lingua di fiamma aveva cominciato a circondare come una serpe il corpo del Demone, senza sfiorarlo di un centimetro.  
nel frattempo, all’interno di quelle spire infuocate, la creatura danzava, muovendo le braccia in un movimento rotatorio, facendole sembrare acqua.
“Mi fai ridere, Hayakawa.” Sibilò, puntando lo sguardo verso l’avversario, sempre più vicino “è per questo che meriti un assaggio di pura malvagità.”
E la lingua di fuoco finalmente prese una forma precisa.
Quella di un gigantesco serpente che, con un sibilo, puntò la testa infuocata verso il giovane Sacerdote.
Quello, schivate le ultime poche palle di fuoco, si bloccò, scambiandosi uno sguardo con quello del predatore.
… perfetto.
Il serpente spalancò le fauci, snudando le zanne infuocate e scattò verso il ragazzo. Quello eseguì una sequela di balzi all’indietro, mentre la creatura lo incalzava sempre di più, molte volte, sfiorando con i denti incandescenti la punta della spada. Aki scappò più che poté… fino a trovarsi con le spalle al muro, in piena balia del nemico. Il serpente s’innalzò in tutta la sua grandezza, per poi gettarsi su di lui con le fauci spalancate. Aki digrignò i denti e affilò lo sguardo, alzando la spada innanzi a sé e colpendo l’essere sul muso. Ci fu una violentissima esplosione di fiamme e polvere, che lo nascose agli occhi del nemico.
Nemico che, dopo aver visto tutta la scena, scoppiò in una fragorosa risata, applaudendo come davanti al momento cardine di un magnifico spettacolo.
Quando la polvere finalmente si fu diradata, Aki era in mezzo ad un enorme macchia nera, assieme a qualche piccola fiammella che si era accesa su muro e pavimento. La giacca era stata quasi del tutto disintegrata, e diversi tagli ed abrasioni coprivano il volto del giovane.
I suoi occhi di ghiaccio erano puntati sul Demone.
“Accipicchia…” quello incrociò le braccia, assumendo un ghigno compiaciuto “Tu sei davvero fatto di tutta altra pasta, non è vero? Mi aspettavo qualche danno in più su quel bel faccino… sono un po’ deluso da me stesso, ora.”
L’altro si limitò a sputare un grumo di sangue di lato.
Per poi strapparsi la giacca nera di dosso e farla cadere a terra.
La camicia bianca e bagnata dal sudore aderì perfettamente al corpo tonico e muscoloso, mentre piegava le gambe ed afferrava la spada a bimane nuovamente, pronto per ripartire all’attacco.
“Oh, Hayakawa Aki…” il Demone piegò le gambe a sua volta, spalancando le braccia sorridendo raggiante. I denti brillanti come pugnali che brillavano tra le ombre “I AM HAVING SOM MUCH FUCKING FUN!
Scattarono l’uno contro l’altro.
E quando si trovarono a poco meno di qualche centimetro di distanza l’uno dall’altro, il tempo parve rallentare fino a stopparsi.
Menarono un fendente all’unisono.
Cinque artigli ferirono una spalla.
Ma anche la katana colpì qualcosa, poiché la sua lama fu immediatamente zuppa di sangue scuro.
I due corpi si allontanarono di diversi metri l’uno dall’altro, ognuno che mostrava la propria schiena.
Il ragazzo strinse i denti ed arricciò il naso per far fronte al dolore, poi scrollò l’arma verso il basso, ripulendola dal sangue del nemico.
Dunque, si voltò verso di lui.
Il sacchetto di plastica, diviso a metà, si trovava ai lati della creatura, che adesso teneva la testa piegata in avanti, invisibile ai suoi occhi. Le spalle erano basse, gli artigli all’ingiù e le gambe erano malferme.
Seguì una silente staticità, che Aki sfruttò per rimettersi in guardia.
Ed in quel momento… la creatura prese a ridere.
Prima piano, poi forte.
Poi ancora più forte, fino a ridere sguaiatamente.
Quando alzò la testa, il Demone mostrò un taglio di capelli corti.
Neri. Neri come i suoi.
Il sangue del Sacerdote si raggelò nelle vene.
“Oh… mio caro Hayakawa…”
La schiena della ragazza si piegò all’indietro, innaturalmente, seguita dal suono delle ossa che si spaccavano.
E con i suoi occhi neri, il sorriso morboso e folle ed un lungo taglio in mezzo alla fronte, il viso di Taiyo apparve di fronte ad un Aki sconvolto, che stava raccogliendo tutte le forze che aveva per non tremare.
“… Non puoi liberarti di me così facilmente.” Anche la voce era la sua.
Non era la prima volta che i Demoni usavano la voce del defunto fratello per attaccarlo. All’inizio era stato difficile ma, con il tempo, aveva trasformato quei tentativi di depistaggio come benzina per accrescere la sua rabbia. Ma il volto distorto dal Male di suo fratello… l’ultima volta che lo aveva visto era stata quella.
Quella maledetta giornata innevata.
Quando era ancora un bambino.
E mentre l’anima del giovane veniva scossa da un puro terrore, le fiamme dei manichini si fecero azzurre, gelide. Il soffitto smise di bruciare. Come sotto ad una bufera, la soffitta si riempì di neve e freddo, tale che ad ogni respiro una piccola nuvola di condensa si faceva largo tra le labbra del Sacerdote.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=VKfyq_hOL0c]
 
“Akiiiii…” il Demone, adesso, era diventato una perfetta copia del fratello minore che aveva perso quel giorno. Anche il giubbotto pesante beige e la cuffia rossa, sgualcite e macchiate di sangue e ricoperte di strappi, erano gli stessi. Lo chiamava, canticchiando, senza smettere di sorridere, camminando lentamente e con le braccia armate di artigli aperte ai lati e con la testolina che dondolava a destra ed a sinistra “… avanti… non vuoi giocare a ‘palle di neve’ con me?”
In un lampo, si trovava già davanti a lui, piegato così tanto in avanti da sfiorare il pavimento di legno.
Aki reagì quanto più veloce poteva, ma non fu sufficiente.
Suo fratello roteò su se stesso, strisciando con la schiena a terra come in un passo di break-dance, scagliando un poderosissimo calcio contro al mento del Sacerdote, che volò verso il soffitto. Li si schiantò di schiena, emettendo uno strozzato verso di dolore, per poi precipitare al suolo. Ma la creatura non lo lasciò atterrare: scattò in avanti, con il sorriso che rifletteva la luce spettrale delle fiamme e i denti che perdevano di tanto in tanto gocce nere come la pece, ed eseguì un doppio fendente con le cinquine di artigli.
Attacco che andò del tutto a segno.
Gli artigli penetrarono nella carne, entrando nelle spalle dello spadaccino ed uscendo dall’altra parte, facendo sgorgare una vasta quantità di sangue. Quindi il Demone, cominciando a ridere come un ossesso, piegò le braccia all’indietro, sollevando un lamentoso Aki sopra la testa, per poi scagliarlo verso il muro davanti, spedendolo a rotolare a terra fino a sbattere con la schiena contro alla vetrata rotta.
Il moro, dolorante e con ogni singola parte del suo corpo che gridava pietà, strinse i denti e fece per rialzarsi, afferrando l’elsa della katana e stringendola con tutte le sue forze. Ma la cosa che aveva preso l’aspetto di suo fratello si trovava già davanti a lui, a schiacciarle la mano che stava provando ad armarsi con uno stivale. Il giovane perse la presa, emettendo un lamento dolorante.
Quindi alzò la testa verso il nemico.
“Uhm… che peccato…” la creatura sollevò l’altro piede “… Sembra che io abbia già vinto, uh?
Lo schianto dello stivale contro al muso del Sacerdote fu tale da far tremare tutta la casa nella sua interezza. Una linea spezzata si sollevò dal punto in cui la testa di Aki era sprofondata nel legno, fino a raggiungere ciò che rimaneva della finestra che, finalmente, si spaccò del tutto.
“Mpf…” ‘Taiyo’ si allontanò dal corpo esanime del ‘fratello’, il cui volto adesso era una maschera sanguinante incastonata nelle schegge. A stento, riusciva a sfiorare la propria arma e tenere gli occhi fissi sull’avversario.
“Dunque è così che finisce… la leggenda?” il Demone camminò per qualche altro metro, con le mani intrecciate dietro la schiena. Poi si voltò di scatto, ridente. Liquido nero simile a catrame usciva da occhi, bocca e naso “Ero convinto che saresti stato il primo, dopo così tante ere, a darmi un po’ di divertimento. A quanto pare, nemmeno voi Sacerdoti valete il mio tempo. Che grandissima delusione…”
Si portò due dita davanti alla bocca, unendole tra loro, puntando gli artigli verso l’alto.
Le fiamme azzurre di due paia di manichini cominciarono a sollevarsi verso il soffitto.
“Nonostante ciò…” il sorriso si accentuò, parendo ancora più intenso e brillante a causa di quelle fiamme spettrali “… il tempo che abbiamo passato assieme lo custodirò con avidità. Mi sono davvero divertito!”
Aki alzò debolmente la testa verso l’alto.
Quattro enormi serpenti formati dalle fiamme azzurre restituirono lo sguardo.
“Addio, fratellone!” disse la creatura, usando la voce di Taiyo, mentre i serpenti scattavano in avanti snudando le fauci.
Il Sacerdote non si mosse. Nemmeno quando i nemici furono a pochi millimetri di distanza.
L’esplosione che ne seguì fece brillare d’azzurro tutto l’ambiente.
L’onda d’urto scompigliò il giubbotto sgualcito e rovinato e la capigliatura.
Ridacchiò, abbassando lentamente il braccio “E così, un altro insulso insetto e stato schiacciato.”
Come il braccio fu nuovamente lungo il suo fianco, poco dopo si trovava a svolazzare a mezz’aria, con una scia di sangue nerissimo che seguiva ogni suo movimento. La creatura si accorse della terribile menomazione solo quando l’arto tranciato aveva sbattuto un paio di volte a terra.
E quando un’intensa fontana di sangue esplose dal moncherino.
La creatura, più per la sorpresa che per il dolore, si strinse la zona ferita con la mano ancora agibile, voltandosi con denti digrignati “… perché?” per la prima volta da quando lo scontro era cominciato, l’essere provò un’intensa rabbia. Forse perché detestava l’aver perso un arto così facilmente; forse perché non riusciva a credere di essersi distratto così tanto. O forse perché, alcuni insetti, proprio non hanno intenzione di morire schiacciati “…come mai ti ostini ancora a svolazzare, scarafaggio…?
Alle sue spalle, un trasandato Aki, ricoperto di sangue e ferite, gli dava le spalle, lievemente piegato in avanti e con la katana appena piegata allo stesso modo, come dopo aver appena concluso un fendente dall’alto verso il basso. Gocce di sangue nero colavano dalla spada, fino a sporcargli le mani. Lo sguardo, era celato dalle tenebre.
“Lo sento, umano: la tua volontà di vivere è pressoché inesistente” il Demone si voltò del tutto verso di lui, senza lasciare andare il moncherino ancora zuppo di sangue “eppure… ucciderti è così difficile. È per questo che hai sterminato così tanti miei simili…?” riprese a ghignare “… perché ancora non ti lasci avvolgere dall’abbraccio della morte? Sappiamo che non hai speranze di sconfiggermi. Quindi perché ancora combatti?
Aki tornò finalmente eretto.
Testa bassa; scrollò la katana di lato, pulendola dal sangue.
“… perché, mi chiedi?”
Quando il Sacerdote si voltò, il Demone rimase piuttosto sorpreso. Il suo volto, tumefatto e insanguinato, era ancora più misero di quanto si aspettasse. Il suo sguardo era vuoto, come quello di un cadavere, e sulle labbra c’era l’ombra di un sorriso spento, finto come quello di un manifesto pubblicitario. Non era decisamente l’espressione rabbiosa da Distruttore di Demoni che si aspettava di vedere.
“…perché ho una paura fottuta.” Il Sacerdote si voltò verso di lui, tornando in posizione di battaglia, senza smettere di sorridere “Ho deciso di combattere per vendicarmi. Poi ho deciso di continuare a farlo per morire. Ma ogni volta che sono ad un passo dalla morte…” ridacchiò, senza allegria “… penso a mio fratello. Ai miei genitori. Al fatto che probabilmente non esiste un Paradiso dopo questa vita, ma solo le fiamme dannate dell’inferno dove quelli come te danzano… e temo il loro giudizio, non appena li avrò incontrati nuovamente. Per averli lasciati. Per non averli raggiunti nella dannazione eterna per così tanto tempo…” chiuse gli occhi e mostrò la dentatura sporca di sangue in un sorriso vuoto “… sono un fottutissimo codardo.”
Il Demone non riusciva a comprendere esattamente ciò che vedeva.
Era la prima volta che, l’essere umano innanzi a sé, si torturava da solo senza nemmeno permettergli di compiere il suo lavoro.
Era esilarante. E allo stesso tempo deludente.
“Ragazzino, lo sai…” la creatura allontanò la mano dal moncherino, piegando le gambe e tendendo gli artigli per quella che, se lo augurava, sarebbe stata l’ultima volta “… non dovresti aprirti così tanto nei confronti del tuo avversario. Non trovi?
Scattarono all’unisono.
Demone e umano.
Il primo menò un fendente da sinistra a destra.
Ma il secondo si piegò in avanti abbastanza in tempo, lasciando che l’artiglio fendesse di poco i capelli e tagliasse l’elastico che li teneva legati, facendoli ricadere in avanti in una corta cascata nera. Nell’abbassarsi, Aki aveva menato un fendente ascendente che aveva tagliato il secondo braccio. La lama era penetrata nella carne senza problemi ed aveva reciso l’osso come fosse stato fatto di burro.
Il sangue nero esplose, assieme ad una poderosa bestemmia da parte della creatura.
Ma non poté fare molto altro: Aki girò su se stesso, rapidissimo, dandogli le spalle. Poi sollevò la katana verso l’alto, la roteò verso di se e, rapidissimo, affondò. La lama sfiorò il suo fianco, penetrando fino quasi all’elsa nello stomaco del nemico, che si piegò appena in avanti con un lamento strozzato.
Rimasero così per qualche tempo, in stallo.
Con il sangue nero che continuava sempre più ad accumularsi sotto ai piedi dei due.
Fu la creatura a rompere il silenzio, cominciando a ridere.
Prima piano, poi sempre più forte. Proprio come poco fa.
“C-complimenti… moccioso… quante volte…” la testa si avvicinò all’orecchio del ragazzo, sibilante “mi hai ucciso, fratello caro? Questa è la numero sessantasei, non è vero?”
E mentre quel mostro tornava a ridere, Aki digrignò i denti e si voltò del tutto verso di lui, afferrando al katana a due mani e, con un movimento rapido, la fece uscire dal suo corpo, percorrendo il percorso che partiva dallo stomaco, arrivando fino alla cima della testa.
La risata s’interruppe.
Ma non lo fece il sorriso.
D’improvviso, la parte superiore del corpo di ‘Taiyo’ si divise a metà, scaturendo una lieve onda d’urto che fece finire il Sacerdote a gambe all’aria. Un geyser di sangue nero partì verso il soffitto, dove generò un gigantesco affresco oscuro, composto da budella, organi e ossa.
Rimase spiattellato sul soffitto, sfidando ogni singola legge di gravità.
E alla fine, quando il geyser smise di sgorgare dal corpo martoriato del Demone, quello stesso crollò di schiena, all’indietro.
Ancora sorrideva.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=8N_PXTGdlGw]
 
Aki non aveva idea di quanto tempo fosse passato.
Lo scontro si era concluso da un pezzo, ed il lieve rumore delle gocce nere che cadevano dal soffitto era l’unica cosa che spezzava quel maledetto silenzio. Il corpo della creatura, che ancora replicava perfettamente quello di suo fratello, si trovava riverso al suolo, immobile, diviso a metà come una qualsiasi carogna su di un’autostrada.
Il folle sorriso insanguinato e gli occhi spalancati erano rivolti verso la macchia di sangue.
Il Sacerdote… non aveva idea del motivo per cui non stesse svanendo.
Ma al momento, non era nemmeno la cosa più importante, per lui.
In tutta onestà… nulla aveva più importanza. Da un sacco di tempo.
Quella caccia ai mostri si era, lentamente, trasformata nella più tediante e corrosiva tortura che si fosse mai aspettato. Benché la sua espressione rimanesse impassibile ogni volta che andava a caccia, benché avesse preso lezioni di combattimento dalla Sorella in persona, in modo di diventare abbastanza forte per sconfiggere qualsiasi creatura gli si parasse davanti.
Ma ad ogni mostro che distruggeva… ad ogni volta che la voce malevola che sentiva nelle orecchie provava ad imitare quella amorevole e gioviale di suo fratello, un frammento della sua anima si staccava dal resto, svanendo nel nulla.
Lentamente, era diventato un guscio vuoto.
Lentamente, nemmeno le amicizie che si era fatto al tempio e ogni progetto per il proprio ed incerto futuro, avevano smesso di avere senso.
Perché non sarebbe mai importato quanto a lungo avrebbe dovuto combattere.
Il Male non sarebbe mai morto. Il Male non avrebbe mai perso. Non del tutto.
E che lo volesse o meno, lo avrebbe presto spezzato a metà.
 
Perché in fin dei conti, se lo era sempre chiesto: se il Male aveva l’Inferno, loro che cos’avevano?
 
Per quale motivo la voce di un Bene superiore non rispondeva più alle loro preghiere?
Per quale motivo, gli Antichi Guerrieri che combattevano contro ai Demoni, avevano affidato questa grande responsabilità a dei semplici esseri umani?
Perché Sorella Makima…
 
Perché sorella Makima era entrata in quella casa?
Perché lo aveva salvato?
Perché non lo aveva lasciato morire?
Perché non era rientrato in casa assieme a lui?
Perché non aveva detto ‘ti voglio bene’ abbastanza volte ai suoi genitori?
Perché non aveva dato in anticipo il suo regalo di Natale a Taiyo?
Perché era nato?
Perché non era ancora morto?
Morto?
Morto?
MORTO?
 
“Basta…”
Strinse l’elsa della katana fino a sbiancarsi le nocche.
“Basta…”
Poi la sollevò da terra, stringendo i denti sul labbro inferiore fino a farlo sanguinare, scagliando l’arma verso al corpo del Demone. L’arma lo superò rimbalzando poco lontano. Quindi Aki si portò le mani al volto ed emise un altro grido angosciato.
“BASTA DANNAZIONE! BASTAAAAAAAA!!”
Si chiese per quante altre volte avrebbe dovuto risentire quella voce.
Quante altre volte lo avrebbe ridicolizzato.
Quante altre volte avrebbe potuto resistere, prima che la sua anima e la sua mente si disintegrassero.
Anche se… forse la sua anima si era già spezzata.
“S-sono…” mormorò tra le lacrime, piegandosi in avanti, in posizione fetale “… sono così… così dannatamente stanco…”
Pianse, come un bambino.
Pianse come quella volta, in quella casa, dove in nemmeno un millesimo di secondo aveva perso tutto.
E maledisse se stesso, per la sua immensa voglia di morire.
E per la sua codardia nel non afferrare quella dannata spada ed aprirsi lo stomaco con la stessa.
Restò a piangere, a lungo.
Fino a quando non sentì un lieve rumore di passi, proprio davanti alla sua testa.
Ma sembrarono quasi un eco lontano ed inesistente.
Era troppo impegnato a piangere e ad autocommiserarsi, per chiedersi se fossero vero o solo frutto della sua immaginazione.
“Aki. Fratellone, non piangere, ti prego.”
La voce di suo fratello.
Dolce, vellutata. Esattamente come se la ricordava.
E gentile, totalmente diversa da quella che aveva sentito per tutti quegli anni.
Smise di piangere e sgranò gli occhi, rivolti verso il pavimento.
Tirò su la testa di scatto, con il muso sporco di sangue, lacrime e muco.
Suo fratello era lì, a guardarlo dall’alto verso il basso. In piedi, con il suo giubbotto e la sua adorabile cuffia. Gli occhi erano azzurri e brillanti di vita e compassione. Non se li ricordava così belli.
“S-se piangi… mi rendi triste…”
Il bambino corrucciò la propria espressione, cominciando a piangere a sua volta.
E il Sacerdote davanti a lui… semplicemente smise di pensare razionalmente. Smise di pensare che quella fosse una semplice allucinazione. Un qualche altro orribile trucco, scatenato dal Demone che, chiaramente, non era ancora riuscito a sconfiggere.
Perché quella fu… probabilmente l’imitazione di Taiyo più convincente che avesse mai visto prima.
Inoltre, la sua volontà di combattere e la sua arma erano troppo lontani, irraggiungibili.
Se doveva morire… l’avrebbe fatto credendo di essere tra le braccia di  una persona amata.
“S-scusami. Scusami Taiyo. Scusami…” rapido, il giovane spadaccino si asciugò le lacrime ed il muco come meglio poteva, tornando a guardarlo sorridente “Ero… ero solo un po’ triste, tutto qua. Adesso mi è passato tutto, davvero. Non volevo farti preoccupare.”
Ma Taiyo piangeva ancora, singhiozzando sommessamente, con una manica dello spesso giubbotto davanti agli occhi. Quell’immagine lo ferì profondamente.
“P-perdonami, fratellino” Aki, ancora inginocchiato a terra, abbassò il capo, mordendosi il labbro “N-non sono riuscito a proteggerti. C-che razza di fratello maggiore non è in grado di proteggere la sua famiglia…”
La sua voce venne soffocata.
Il Sacerdote sgranò gli occhi.
Taiyo era scattato in avanti ed aveva circondato la sua testa con le proprie braccia, stringendogliela al petto. La testa di capelli neri e sudati venne carezzata più volte dal guanto morbido. Il bambino aveva smesso di piangere, improvvisamente. E adesso aveva appoggiato il mento sulla nuca del fratello, chiuso gli occhi, ed aveva cominciato a sussurrare, placidamente “va tutto bene… va tutto bene…”
Il Sacerdote ruppe nuovamente gli argini.
Senza freni, strinse il corpicino del fratello tra le braccia, scoppiando nuovamente a piangere con violenza, gridando più e più volte quanto fosse dispiaciuto di averlo abbandonato, quella volta.
Ma il fratellino, sorridendo placido, continuava a carezzargli i capelli, ripetendo più volte che lo aveva perdonato. Che non era colpa sua. Che era il momento di lasciarlo andare.
Non seppe per quanto tempo rimase arrampicato a Taiyo, con le mani che artigliavano il suo giubbino. Fu l’altro a scostarlo, guardandolo nuovamente dall’alto verso il basso, pietoso. Questa volta però sorrideva dolcemente.
“… non sei stanco, Aki?” mormorò il bambino, poggiando le mani coperte dai guanti sulle guance dell’altro ragazzo.
Quell’altro tirò su col naso, beandosi di quel contatto “… sì… sì, sono così stanco…”
Il sorriso di Taiyo si fece raggiante “… allora andiamo.”
La soffitta innevata scomparve.
E dietro al corpicino del bimbo, apparve una gigantesca spirale di nubi dorate. Tutte che convergevano in un unico punto al centro del cielo, da cui si irradiava una luce così intensa e calda che scioglieva ogni singolo dubbio.
“… mamma e papà ci stanno aspettando.”
Ed Aki sorrise, chiudendo gli occhi e lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Così… così tanto stanco…
 
[…]
 
Tra le tenebre della soffitta, rischiarata solo da quei trenta manichini infuocati, il sacerdote era in ginocchio sul legno, con un’espressione placida ed esausta sul volto insanguinato e lacrimante. Davanti a lui, partendo dalla pozza di sangue nero formatasi sul soffitto, scendeva un’empia e disgustosa formazione triangolare di carne, budella e pelle marcescenti, sulla quale spuntavano ad intervalli irregolari grossi volti dagli occhi bianchi e dal largo e disgustoso sorriso di denti neri, come bizzarri bubboni.
Una creatura umanoide, rachitica come una mummia, usciva dalla parte più stretta del grumo. Le lunghe braccia tenevano le mani dalle dita affusolate sul viso di Aki. Ad un collo stretto, si collegava una testa priva di lineamenti, fatta eccezione per il sorriso affilato. Dalla testa, scendeva una cascata di capelli neri e umidi.
Angel, che aveva arrancato sulle scale utilizzando la propria arma come suo sostegno, di fronte a quello spettacolo, sentì il cuore mancare un battito. 

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Capitolo 3
*** Part 3 ***




 
Cazzo! CAZZO!
Maledizione, non era il momento di sentire le gambe così molli!
Non era il momento di quasi sbrattare sangue dalla bocca!
Non adesso… non adesso che quell’altro stava per essere sbranato davanti ai suoi occhi.
Angel strinse quanto più poteva i denti e si diede una poderosa spinta sulla spada, superando l’ultimo gradino come fosse stato un insormontabile ostacolo. Poi perse l’equilibrio e cadde in avanti, di faccia.
Figlio di…
Alzò debolmente la testa, digrignando i denti, puntando lo sguardo scarlatto sull’aberrante spettacolo che si presentava davanti a lui: nessuno dei due, umano o Demone, sembrava essersi accorto della sua presenza. O se lo avevano fatto, non sembrava gli dessero troppa importanza. La creatura di carne accentuò il proprio sorriso, avvicinandosi sempre di più al volto rilassato di Aki.
Dannazione… perché non fai nulla per contrastarlo? Brutto bastardo, perché devo sempre farlo io tutto il cazzo di lavoro!?
La voglia di stritolare il collo del compagno era piuttosto potente, in quel momento.
Ma non quanto quella di salvargli la vita.
E quella voglia si trasformò in un’incandescente urgenza, quando la creatura che lo teneva in pugno aprì le fauci. Enormi, lunghissime e che colavano di una scia di bava cristallina ognuna, scendendo verso il pavimento di legno. La bocca si aprì fino a dividere a metà il corpo umanoide, in una lunga e ricurva esibizione di pugnali umidi.
Angel strinse nuovamente i denti, col sangue che colava dalla bocca e dal naso.
Poi afferrò l’elsa della spada, così forte da sentire male alle dita.
L’afferrò, utilizzando il braccio ancora imprigionato nella reliquia, che prese ad irradiare un intenso calore.
Sempre più forte.
Non. Te lo. Lascio fare!
Non seppe verso chi fosse rivolta esattamente quell’ultima frase.
Ma svanì da dove si trovava.
Per poi trovarsi lontano di diversi metri dalla creatura di carne e denti, con la spada sguainata rivolta in obliquo verso destra, piegato in avanti sulle ginocchia e con il corpo esanime di Aki sulla spalla. Un paio di brillanti ali dalle piume candide si erano ripresentate alle sue spalle. Ma adesso, anche un’aureola dorata fluttuava a pochi centimetri di distanza dalla sua testa, roteando mogiamente.
Tutto questo… lo sentirò raddoppiato domani. Sicuro come l’oro.
Girò il collo, mentre ali ed aureola svanivano, voltandosi verso la creatura alle sue spalle.
Quella adesso era priva di una parte della testa e le braccia erano state mozzate, sprazzando sangue nero ovunque si posasse lo sguardo con la stessa violenza di un idrante. Un terrificante verso gutturale, impossibile da distinguere – sembrava una distorta e terribile orchestra formata solo da tromboni – fece tremare la casa fino in fondo alle sue fondamenta. Poi il cono di carne prese a ritrarsi nella sua pozza di sangue e organi appiccicati al soffitto, con una certa rapidità.
Angel emise un lieve sospiro di sollievo, nonostante fosse ben conscio che quello non fosse nemmeno l’inizio. Perlomeno, era riuscito a salvare l’idiota.
Con delicatezza, lo fece scendere dalla sua spalla – infilò in un angolo molto lontano della sua mente l’apprezzamento sugli addominali che aveva sentito sotto la camicia – e lo appoggiò a terra, sulle ginocchia. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma sembrava respirare.
Non era ancora morto, un buon segno.
S’inginocchiò davanti a lui a sua volta, tirandogli su la testa prendendolo dal mento, dandogli qualche colpetto sulla guancia destra con la mano. Con le palpebre tremanti, lo spadaccino riaprì gli occhi, e l’altro riuscì a trattenere un sorriso sollevato solamente per intercessione divina “Ben svegliato, samurai.”
Ma il suo sollievo ebbe vita breve, visto che poco dopo quello ricambiò lo sguardo come se non lo riconoscesse nemmeno. Si limitò solo a guardarsi attorno, concitatamente, come alla disperata ricerca di qualcosa che proprio non riusciva a trovare. Lo vide che cominciava ad agitarsi, con gli occhi sempre più sgranati. Poi lo vide guardare un punto imprecisato della soffitta, assorto “… Taiyo…”
“Taiyo?”
“Dov’è mio fratello?” si spostò in avanti, a gattoni, scostando il suo collega con una certa bruschezza.
Angel si spostò, guardandolo con le sopracciglia aggrottate “Ehi! Un grazie sarebbe gradito, comunque.”
Aki lo ignorò, continuando a cercare come una signora anziana che ha perso il proprio animale domestico. La cosa gli fece una certa pena, ma lo irritò anche un poco “Aki, tuo fratello…”
“NON CAPISCI!” si voltò di scatto verso di lui, con un’espressione allucinata.
Angel si ritrasse di un poco, sorpreso.
Era… la prima volta che lo vedeva così.
Non gli piaceva affatto.
“Era qui! ERA QUI UN ATTIMO FA! Mi ha promesso che sarebbe finita… che sarei… dove…” Aki smise di guardarsi attorno concitatamente. Poi voltò lo sguardo verso l’altro Sacerdote “… hai… hai fatto qualcosa?”
“Come-” l’angoscia lasciò nuovamente spazio al fastidio “TI HO SALVATO LA VITA, brutto scemo!”
“… cosa?”
“Eri troppo impegnato ad immergerti nelle tue delusioni mentali per accorgertene” non voleva suonare così maleducato. Ma diamine, alle volte quell’altro gli tirava proprio fuori il veleno dal fondo della gola “ma il ‘padrone di casa’ stava per farti sparire nella sua bocca. Prego, non c’è di che!” concluse, alzando le braccia al cielo.
Si aspettava quel silenzio. Che solitamente era seguito dal ragazzo che riconosceva di essere andato fuori di testa per l’ennesima volta, seguito poi ancora dalle scuse imbarazzate.
Si aspettava anche una risposta a tono. Un vaffanculo andava benissimo, anche se a quello ne sarebbe seguito un altro da parte sua.
Ma questa volta, il silenzio si protrasse più a lungo del solito.
Aki guardava verso il basso, senza rispondere.
Non volò una mosca.
“… perché…
“… che dici?”
“PERCHE’ L’HAI FATTO!?”
Aki era scattato verso di lui, furioso, come una belva feroce e lo aveva afferrato per le spalle, cominciando a scuoterlo con vigore. Questa volta Angel si spaventò tanto da non riuscire nemmeno a dire una parola “ERA LI’! Dopo tutti questi anni… ho sentito finalmente la sua voce… il suo tocco… perché… perché me lo HAI RIPORTATO VIA!?”
“Aki…” cercò di mormorare il rosso “… tuo fratello è morto. Io ti ho salvato la vita!”
“La vita…” l’interlocutore abbassò la voce e la testa, ridacchiando appena “… mi hai salvato per questa vita…” alzò di scatto la testa, digrignando i denti con le lacrime che scaturivano dagli occhi inferociti “… NON TI HO CHIESTO IO DI FARLO, MALEDIZIONE!”
Angel emise un lieve lamento, chiudendo l’occhio destro “m-mi… mi stai facendo male…”
“Voi maledetti stronzi… cosa credete di fare? Chi vi ha dato il diritto di sindacare sulla vita altrui…” con voce rotta, Aki finalmente lasciò la giacca stropicciata del collega, che si massaggiò le zone offese con un’espressione dolorante “… non ho chiesto io di essere salvato. IO NON VOLEVO NULLA DI TUTTO QUESTO! Ogni singolo giorno che passo a respirare… è solo un prolungamento di questa maledetta tortura. Io non dovrei essere vivo… sarei dovuto morire quel giorno…” si portò le mani alla faccia, ricominciando a piangere sommessamente “… Ma voi persistete. Continuate ad immergere la mia testa in acqua. Vi rendete conto di quanto siete crudeli? Siete dei mostri peggiori dei Demoni che uccidete…”
Singhiozzò violentemente “… almeno loro mi lasciano morire in pace… almeno loro non vogliono vedermi soffrire in continuazione…”
Angel lo sapeva.
Conosceva a memoria la storia di Aki, e conosceva il suo stato mentale. Era proprio per questo che lo seguiva quasi per ogni singola missione che gli veniva affidata. E sapeva anche che, molto probabilmente, qualunque cosa avesse visto durante la sua assenza lo aveva spezzato ulteriormente. Per arrivare a parlare in quel modo… non era in lui.
Aki Hayakawa era una brava persona.
Ma nel vederlo in lacrime, in quel momento, con le mani sulla faccia che ancora insultava tutte le persone che gli erano state vicine anche nei momenti peggiori…
Questa volta Angel non provò assolutamente compassione.
 
“Aki.”
“CHE ALTRO VUO-”
Le parole dello spadaccino gli morirono in gola. Perché le mani del collega, fresche come se le ricordava, circondarono le sue guance, ed Angel lo guardò con estrema intensità e con una linea dura sulle labbra. E per un attimo, un brevissimo attimo, nella sua mente cominciò a svanire la nebbia e la lucidità tornò gradualmente padrona delle sue azioni.
Rimasero in silenzio per un po’, inginocchiati a terra, a guardarsi.
Poi Aki si ricordò all’improvviso di quale fosse il vero dolore. Quello fisico.
Perché il ragazzo davanti a lui sarà stato mingherlino quanto voleva, ma le testate le sapeva tirare.
E forse, l’impatto tra la sua fronte e quell’altra fu tanto doloroso proprio perché era risaputo che Angel avesse davvero la testa dura. Tra la sorpresa e la potenza dello scontro, comunque, lo spadaccino finì catapultato all’indietro, portandosi una mano sulla fronte e stringendo i denti con forza.
Dal canto suo, anche il perpetratore di quell’azione si stava massaggiando la fronte a sua volta, forse perché aveva sopravvalutato la propria resistenza.
“Razza di-” Aki si rialzò, irritato “Si può sapere perché lo hai fatto!?”
“… quanto…” la voce di Angel era un sussurro che a stento tratteneva un’emozione molto più forte.
“Cosa?”
“Quanto… puoi… essere…” fu il turno di Aki quello di essere preso per il colletto, con forza e irruenza “UN FOTTUTO EGOISTA, A VOLTE!”
No. decisamente, non lo aveva mai sentito urlare in quel modo.
No anzi, non lo aveva mai visto comportarsi in quel modo: Angel era solitamente molto passivo, calmo. E benché lo rimproverasse un sacco di volte per il modo autodistruttivo in cui lavorava, non aveva mai alzato la voce a quei livelli. E non lo aveva mai guardato così, con i denti digrignati e uno degli sguardi più cattivi e furenti che gli avesse mai visto in volto.
Non riuscì nemmeno a rispondere per le rime, tanto che era sconvolto.
“CON QUALE CAZZO DI CORAGGIO DICI QUESTE COSE!? COME DIAVOLO TI PUO’ ANCHE SOLO VENIRE IN MENTE DI PENSARLE!?” riprese il rosso, scuotendolo avanti e indietro come un bambolotto “dopo tutto questo tempo... dopo tutte queste mani che vengono tese verso di te… dopo tutto quello che…” la sua voce si ruppe e distolse lo sguardo con una strana smorfia sul viso.
“… contiamo così poco per te?”
Aki sgranò gli occhi.
“TUTTO QUESTO TEMPO CHE ABBIAMO PASSATO ASSIEME NON E’ SIGNIFICATO PROPRIO NULLA!?” gli gridò poi in faccia, furioso come non lo aveva mai sentito.
Dal canto suo, l’altro Sacerdote sbatté le palpebre più volte, senza parole, accorgendosi del lieve tremore che avvolgeva le spalle del suo interlocutore.
Il quale abbassò la testa, continuando a parlare “ lo so che stai soffrendo… lo so che hai sofferto ogni singolo secondo della tua vita, da quel momento…”
“… e allora…”
“ma non credere di essere tu l’unico con il diritto di soffrire” Angel tornò a guardarlo negli occhi, mordendosi il labbro inferiore “Non sei il solo a cui questi mostri hanno portato via ogni cosa. Davvero…” il primo singhiozzo “… davvero pensi che non ci sia un singolo giorno che io non voglia prendere il posto di qualcuno di loro? Sono tutti morti, Aki… ed io sono l’unico ad essere sopravvissuto… credi davvero che io non ti capisca?”
La voce si era finalmente calmata, ma adesso era carica di un risentimento e di una tristezza che sfondarono il cuore del moro come una lancia. Angel… Angel non parlava mai di ciò che era successo al suo villaggio. Forse solo lui era venuto a scoprire cosa fosse successo al suo collega, tramite le informazioni di Makima.
Come… come poteva esserselo dimenticato?
“A-Angel…”
“Tu credi… tu credi che io potrei farcela?” Angel strinse la camicia bianca del compagno, riabbassando la testa “… perdere un’altra persona che per me significa così tanto… credi davvero che potrei proseguire in questo modo?” altro singhiozzo “… pensi davvero che potrei continuare ad avere la forza di combattere, se ti perdessi?”
Alzò la testa di scatto, guardando Aki fisso negli occhi “MA LO VUOI CAPIRE QUANTA GENTE SAREBBE TRISTE SE TU MORISSI!?”
Lacrime.
Il viso corrucciato di Angel era una maschera di lacrime e sofferenza. Fu terribile, soprattutto fare i conti con la consapevolezza che, molto probabilmente, tutte quelle emozioni albergavano nel cuore del suo compagno da molto più tempo di quanto lui potesse anche solo minimamente immaginare.
“Denji, Power, Himeno… Io...” appoggiò la testa sul suo petto, continuando a piangere “sono certo che persino quella stronza di Makima proverebbe qualcosa, sapendoti morto in questo modo. Sei così instupidito dalla tua sofferenza da non accorgerti di quanto stai ferendo tutti coloro che ti vogliono bene…” concluse, colpendolo debolmente al petto con qualche pugno.
Mentre lo guardava, Aki si sentì malissimo.
In un attimo, la consapevolezza di come si era comportato e di tutto ciò che aveva detto poco prima a quel povero ragazzo, che adesso piangeva sommessamente contro di lui, lo investì come un treno. Si sentì… così terribilmente in colpa. Così terribilmente sporco. Esattamente come quando litigava con la sua famiglia, con suo fratello. Arrivava a dire cose crudeli, che non pensava minimamente.
E poi si sentiva male.
Ma questa volta aveva superato ogni limite. Era stato crudele contro una delle poche persone che gli volevano davvero bene in quel mondo di Demoni, oscurità e Male.
Oh mio Dio… che cosa ho combinato?
Non si aspettava che Angel lo perdonasse. Non se lo sarebbe meritato.
Ma doveva, in qualche modo, cercare di rimediare.
“Angel…” incerto e con voce tremante, Aki allungò una mano per cingere la nuca scossa dai tremori del pianto del compagno “M-mi dispiace, io-”
“Adesso non ha importanza.” Disse perentorio il rosso, sollevandosi dal suo petto.
Poi fece vagare lo sguardo dietro di lui.
Un terrificante rumore carnoso attirò anche la sua attenzione, facendolo voltare di scatto.
“… forse, stiamo comunque per morire entrambi.” Angel si affrettò ad asciugarsi le lacrime ed a pulirsi dal muco, afferrando poi l’elsa della propria spada.
Aki invece osservò lo spettacolo che aveva davanti col fiato sospeso: dove stava la pozzanghera di sangue nero, aveva cominciato a formarsi una gigantesca bolla dello stesso. Pulsante ed enorme, come una gigantesca zecca. Poi, quella stessa bolla si squarciò, esattamente al centro, vomitando un colossale  grumo disgustoso e deforme sul pavimento.
Un grumo strisciante e sinuoso.
“Quella psicopatica…” mormorò Angel, alzandosi da terra aiutato da Aki “… non ci ha mandati a far fuori un Demone qualunque…”
Il grumo si scoprì essere in vero un agglomerato di enormi serpenti. Alcuni erano gigantesche anaconda dalle squame lisce e lucide, mentre altri erano semplicemente disgustosi vermi giganti dalla pelle chiara e cadaverica, col muso appuntito terminante in bocche irte di denti aguzzi ed occhietti neri come la pece. Quel gruppo di esseri striscianti era tanto grande da formare una montagnetta sibilante e disgustosa.
Ma i Sacerdoti… videro altro, in quella forma, che pareva aumentare sempre di più di altezza.
“Me lo ha rivelato prima di svanire, il tizio dentro lo specchio” Angel si mise in guardia, afferrando la spada a due mani e facendo spuntare le ali e l’aureola, come poco prima “… il suo nome. Il nome di questo mostro…”
La collina di serpenti aveva cambiato forma, assumendone una più disturbante. Ed umanoide. Dalla base, che sembrava la gonna di un vestito, si formava un busto largo e spesso, da cui partivano due braccia lunghe, prive di mani. Aki però vide, sotto quei corpi squamosi e striscianti, il rosso di un tessuto muscolare parzialmente nascosto e qualche candido e brillante osso. Il tutto, terminava con una testa informe, da cui scendevano le code penzolanti delle bestie come fossero ciocche di lunghi capelli.
“Uno dei Tredici Sovrani della Cabala Nera…” Angel strinse l’elsa, preparandosi alla battaglia “… Valak, il Senza-Forma.
E in mezzo a quel gruppo di ‘capelli’ sibilanti, in cima a quel colosso alto poco meno di dieci metri, si aprì un oscuro abisso. Abisso da cui emerse un gigantesco e terrificante occhio che comprendeva nell’iride tutte le tonalità del rosso, diventando sempre più scure man mano che raggiungevano il centro, contornato da una sclera pallida incisa da venature sanguigne.
Con un rumore carnoso, l’organo si puntò su Aki, che si sentì la terra mancare sotto ai piedi.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=Dcj1c_SFZ_0]
 
La creatura voltò la testa deforme verso l’alto, emettendo un possente ruggito, che era uno stridio, che era un coro di voci tutte assieme. Uno dei suoni più terrificanti e brutali che un orecchio umano avrebbe mai potuto sentire. Urlò così forte, che potevano vedersi delle piccole onde d’urto circolari propagarsi dalla sua invisibile bocca.
Le fiamme, passarono dal loro comune colore ad una luce verdognola e malata, disgustosa.
“Aki” lo spadaccino si voltò di scatto verso il compagno dalle ali angeliche, che aveva aggrottato lo sguardo al suo fianco “… la tua spada?”
Il moro sbatté le palpebre. E, ricordandosi di cosa fosse successo alla katana, iniziò a sudare freddo. Mosse gli occhi con frenesia, trovando l’oggetto d’interesse contro all’altro muro della soffitta, quello con la finestra spaccata. Dietro al Demone. Masticò un’imprecazione.
“Ti consiglio di recuperarla in fretta” Angel si avvicinò a lui, senz’abbassare la propria arma “non credo che il nostro amico aspetterà ulteriormente prima di-”
Come non finì la frase, il gruppo di serpenti si unì in un’unica e gigantesca spira, che si mosse verso l’alto con un movimento a spirale.
Per poi gettarsi verso i due Sacerdoti come un predatore che si scaglia sulla preda.
“… esattamente” disse Angel, mentre una quarantina di fauci spalancate e imbevute di veleno si avvicinavano sempre di più.
Aki fece un breve scatto all’indietro, ma per fortuna non fu necessario: le ali del compagno aumentarono all’improvviso di volume, avvolgendo entrambi i due Sacerdoti e chiudendosi in avanti, come una specie di bozzolo. I denti penetrarono tra le piume, infilzandole e spuntando dall’altra parte, ma bloccando l’avanzata del gruppo di rettili.
Angel grugnì per far fronte al dolore.
Dunque pestò il piede piegandosi appena in avanti, spalancando le ali e generando una fortissima onda d’urto. Diverse creature vennero sbalzate lontane, per poi strisciare nuovamente verso il tentacolo sibilante e tornare parte di esso. Il corpo di Valak vacillò appena all’indietro, riassumendo le fattezze iniziali.
“AKI!” il rosso si voltò con un’espressione agitata verso il compagno “Non so per quanto potrò tenerlo a bada! Sbrigati a recuperare la ferraglia!”
L’altro annuì appena, per poi scattare con quanta più velocità potesse permettergli il corpo verso la sua spada. L’occhio rosso si puntò su di lui e, subito, una decina di enormi serpenti cominciarono a strisciare rabbiosi nella sua direzione, sibilando famelici. Il ragazzo schivò con scatti rapidi due di quelle creature, che si erano alzate sulla pancia per tentare di assaltarlo e stritolarlo dai lati. Poi uno di quei mostri pallidi e senza squame provò a tagliargli la strada, alzandosi e snudando le zanne per mangiargli la testa. Aki eseguì un lieve balzo all’indietro, lasciando che il mostro mordesse l’aria, poi fece una capovolta in avanti utilizzando la testa del rettile come rampa, roteando a mezz’aria e trovandosi alla fine della coda del mostro.
Tornato a terra, il ragazzo riprese a correre, stringendo i denti mentre sentiva alle spalle lo spostamento d’aria di altri serpenti che provavano ad azzannarlo. Nel frattempo, altri si erano staccati dall’agglomerato, strisciando contro di lui concitatamente, fin quasi a circondarlo del tutto.
Ma mancava veramente poco alla spada.
“Maledizione…!” Aki, mentre ancora correva, piegò le gambe e si lanciò in avanti, schivando per il rotto della cuffia l’assalto di tutti quei rettili infernali, che si azzannarono a vicenda in una sfera di squame e veleno. Raggiunse la spada, afferrò l’elsa con la mano ed eseguì una capriola in avanti.
Per poi rialzarsi, rapidissimo, e voltarsi di scatto con un fendente orizzontale, decapitando ogni minaccia che si fosse fatta troppo vicina, schizzando sangue nero verso l’alto.
Lo spadaccino diede un possente scrollone verso il basso, ripulendo la propria spada, poi la fece roteare un paio di volte nella mano destra, riafferrandola bimane e rimettendosi in guardia.
Voltò lo sguardo verso il Demone.
Demone che, purtroppo, adesso aveva tutta l’attenzione rivolta a lui.
“CAVOLO!” sentì gridare da Angel, vedendolo dunque impegnato ad affrontare un paio di enormi creature simili a lumache, plasmate nei serpenti.
Si voltò verso Valak appena in tempo per accorgersi che, riassunte del tutto le sue sembianze umanoidi, stava scagliando verso di lui un poderosissimo pugno di tessuto rosso ed ossa. Trattenne il fiato, ponendo davanti a sé la spada in posizione verticale. L’impatto fu violentissimo e lo fece strisciare sulle suole delle scarpe contro al legno per diversi metri.
Fino a quando, con suo enorme sgomento, la lama non si spezzò.
I piedi si sollevarono da terra quando venne colpito, ed il suo corpo volò lontano diversi metri, sbattendo sugli assi di legno un paio di volte e rotolando ancora qualche decina di centimetri, fino a schiantarsi contro ad un gruppo di mobili impolverati ed avvolti dai lenzuoli bianchi, che andarono in frantumi sollevando un gran polverone.
Rivolto a terra, supino, Hayakawa utilizzò i gomiti per rialzarsi. Quindi, infilzò al suolo ciò che rimaneva della sua arma e sputò un grumo di sangue, mentre si sollevava sulle ginocchia.
Alzò la testa.
Valak lo guardava dall’alto con il suo enorme occhio.
Come un gigante guarda uno scarafaggio da schiacciare.
Aki digrignò i denti mentre, dolorante, tentava di rimettersi in piedi.
A quel punto, il Demone decise di ricominciare a fottere con la sua psiche: tre enormi gobbe di serpi si formarono dietro la sua schiena. Gobbe che si espansero, diventando sempre più lunghe ed alte, come giganteschi tentacoli. Alla fine di questi, cominciarono a prendere forma delle strane sagome circolari, sempre più simili a teste dalle fattezze umanoidi.
Poi i serpenti cominciarono a precipitare, e per poco lo spadaccino non si piegò per rimettere, tanto era il malessere che quell’immagine gli provocò: rivide le teste della sua famiglia, alla fine di quei tentacoli di spire striscianti. Enormi, deformi e ricoperte di simboli eretici e dissacranti, con serpenti che uscivano dalla bocca sorridente e priva di denti e dagli occhi vuoti e neri e attorcigliati tra i capelli umidi. Strinse i denti, mentre le imitazioni da incubo dei suoi genitori e di suo fratello rivolgevano lo sguardo verso di lui.
Aki… perché…?” parlarono senza muovere la bocca tutte e tre assieme, con le loro stesse voci, mentre i serpenti sibilavano e si attorcigliavano tra loro “Vuoi abbandonarci… di nuovo…? Come hai fatto quella volta? Vieni con noi, Aki…” lacrime di liquido nero presero ad uscire dagli occhi vuoti e neri e dalla bocca che, pian piano, allargava il sorriso “… l’Inferno è un posto meraviglioso, per stare in famiglia.
Non poté fare a meno di tornare in ginocchio, appoggiato al moncherino della spada, mentre il sudore avvolgeva la sua fronte.
Non voleva ricadere nel tranello del nemico… ma era così dannatamente difficile quando quelle voci gli parlavano.
Dal canto suo, il capo strisciante di Valak si piegò leggermente di lato, l’occhio che non lo perdeva di vista. Poteva quasi vederlo, un terribile sorriso di scherno sotto quella barriera di squame.
Con una risata gutturale, le tre teste scattarono verso il giovane Sacerdote.
Per poi venire crivellate da una quantità quasi comica di spade, scagliate contro di loro come dardi.
Spade che cominciarono a scavare in fondo, come trapani, martoriando gli incubi, che gridarono di dolore, e i serpenti, i cui resti mutilati presero a dimenarsi concitatamente.
Aki guardò con occhi sgranati ciò che rimaneva di quella visione sgretolarsi a terra, in seguito ad un’esplosione di sangue nero che ricadde a terra come una pioggia di petrolio. Poi, Angel riapparve davanti a lui girato di schiena, con le ali spalancate, la spada in mano ed un’espressione feroce sul volto. Un quartetto di altre spade, identiche a quella di cui era armato, fluttuava mogiamente attorno al suo corpo.
“Angel… ma…?”
“Piace? Un piccolo power-up gentilmente affidato dalla nostra dittatrice personale. A cui presenterò un reclamo…” il rosso, nonostante il tono di scherno, tossì un po’ di sangue, mentre un rivoletto dello stesso scendeva dal naso “… anche se non so per quanto tempo potrò utilizzarlo, prima di collassare del tutto…”
Valak si ritrasse, mentre i tre tentacoli venivano riassorbiti dal suo corpo, quindi provò a ripartire all’attacco dopo un altro movimento a spirale verso l’alto.
“Cerca di ricomporti, tu” Angel si ripulì dal sangue, per poi stringere a bimane la spada mentre le altre quattro si puntavano in avanti come baionette “E bada che, finché non sarò sbudellato da qualche parte su questo pavimento… io non ti lascerò morire.”
Partì contro al Demone.
Ed Aki, imbambolato e seduto sulle sue ginocchia, osservò lo scontro che si consumava davanti a lui, tra le piroette e i brutali fendenti di Angel che tagliava quanti più serpenti poteva e l’altra creatura che continuava ad incalzarlo, cambiando forma in continuazione e facendo tutto ciò che era in suo potere per stritolarlo o morderlo tra le centinaia di fauci. Tentò anche di attaccarlo con dei serpenti spettrali generati dalle fiamme verdi, come aveva fatto con lui, con scarsi risultati.
A guardarlo mentre, furente ma concentrato, mentre danzava a mezz’aria con le sue candide ali che, pian piano, perdevano sempre più piume si bagnavano sempre di più di sangue nero, il samurai non poté che trovarlo bellissimo.
Sapeva che, tra i due, Angel era sempre stato quello più forte, ma non avrebbe mai pensato si sarebbe spinto a tanto pur di proteggerlo.
Doveva aiutarlo.
A qualunque costo
Quel mostro, pian piano che il collega si stancava, sembrava invece diventare più forte.
E presto o tardi…
Ma…
Aki abbassò lo sguardo su ciò che rimaneva della sua arma. Strinse i denti, sentendosi dannatamente inutile.  
Cosa posso fare con una katana rotta?
Un bagliore, a poca distanza da lui, sul pavimento, gli fece alzare appena lo sguardo.
E, probabilmente, se solo avesse saputo che poco tempo prima, la stessa identica situazione si era presentata al suo amico, avrebbe attribuito tutto ad uno scherzo del destino. O forse… ad una Sorella che poteva vedere molto più in là di quanto un misero essere umano potesse fare.
Perché davanti a lui, il cofanetto di metallo rettangolare che si portava dietro da tutta la vita era aperto.
Ed il suo terrificante contenuto era lì, proprio davanti a lui.
Quasi a pregarlo di essere utilizzato.
 
“Mio piccolo Aki… vuoi combattere contro i Demoni? Ne sei assolutamente sicuro?”
Il bambino aveva annuito, stringendo i pugni e guardandola con un’intensità che un moccioso di quell’età non avrebbe mai dovuto avere.
Voleva diventare come lei.
Voleva diventare abbastanza forte per sconfiggere tutti quei mostri.
Eradicarli dalla faccia della terra, dal primo all’ultimo.
Così… poteva vendicare la sua famiglia.
La donna lì davanti, che diceva di chiamarsi Makima, sorridente, aveva aperto un piccolo scomparto sotto alla sua scrivania, tirando fuori qualcosa.
“Allora, quando sarai abbastanza grande, ti insegnerò ogni cosa. t’insegnerò come combatterli, come resistere ai loro attacchi e come distruggerli” posò ciò che aveva recuperato sopra la scrivania “Ma prima… un piccolo regalo!”
Il bambino guardò ciò che la Sorella aveva posato davanti a lui, incuriosito: si trattava di un cofanetto rettangolare, lungo quindici centimetri e largo sette, di metallo pennellato di bianco e il coperchio che pareva inciso nell’oro. Uno splendido rilievo, che raffigurava un paio di grossi revolver incrociati tra loro sopra ad un teschio sorridente, era raffigurato sopra quest’ultimo.
“Prima di una Sorella, sono un’avida collezionista” cominciò a spiegare Makima, con dolcezza “Mi piace recuperare gli oggetti appartenuti a colore che, prima di noi Sacerdoti, combattevano contro la razza di mostri che ha sterminato la tua famiglia. Anche se… beh…” ridacchiò, poggiando l’indice sul teschio in rilievo ed avvicinando il cofanetto al giaciglio del ragazzo “… non definirei esattamente il proprietario del gingillo rinchiuso qua dentro come… ‘Angelo’. Si trattava però di un mio buon amico. Che più di una volta mi ha aiutato nei momenti più difficili.”
Aki, che con i suoi enormi occhi da bambino stava ascoltando la storia ammirato, riabbassò lo sguardo sul contenitore. Venne spinto dall’inspiegabile voglia di aprirlo, curioso di capire che cosa ci fosse al suo interno. Lo prese tra le manine e fece per forzare il coperchio, in vano. La risatina divertita dell’interlocutrice fece ritornare il suo viso imbronciato su di lei “Oh, mi dispiace marmocchio, ma dubito tu possa fare molto adesso. Vedi, questo contenitore è stato costruito apposta per questo tipo di Reliquie: si aprirà solamente in un unico momento. Il momento esatto in cui ne avrai più bisogno.”
Makima si alzò, girò attorno alla scrivania e si portò alle spalle del ragazzino, che deglutì a vuoto. Il suo corpo s’irrigidì ulteriormente, quando quella donna pose le proprie mani sulle sue spalle. Alzò gli occhi verso di lei, incontrando il suo solito ed enigmatico sorriso e quello sguardo dorato, dalle pupille così inusuali per appartenere ad un essere umano.
“Bada, tuttavia” riprese la donna che, nonostante stesse sorridendo, aveva appena assunto un tono di voce molto più cavernoso e sinistro “Questo regalo va utilizzato con molta attenzione. E, nel migliore dei casi, non deve essere utilizzato. Potrà permetterti di vincere anche durante il momento più disperato della tua vita… ma solo se sarai capace di superare la prova a cui sarà sottoposta la tua anima. So che queste parole potrebbero risultare infinitamente spaventose e confuse per un bambino della tua età, ma mi aspetto che tu sia in grado di comprendere quello che dico, dopo ciò che hai passato.”
Aki abbassò la testa sul cofanetto, dove il teschio ricambiò il suo sguardo.
La bocca si fece una linea dura.
“Conserva questo dono. Portalo sempre con te, che possa tenerti al sicuro. E quando sarà il momento, otterrai l’aiuto del suo contenuto. Non lasciare che loro ti prendano… d’accordo?”
Makima era sempre stata enigmatica. Non aveva, ed era certo che non ‘avrebbe’ mai compreso ciò che le passava per la testa. Eppure lo aveva salvato, accudito, aiutato... come fosse stato un suo fratellino. Non erano tante le manifestazioni d’affetto rivolte a lui, così come quelle rivolte agli altri bambini accuditi nel Grande Tempio. Alla fine di quella frase, tuttavia, aveva percepito una lieve e quasi impercettibile preoccupazione nei suoi confronti. Per qualche motivo, la cosa lo fece sentire bene.
“Coraggio, adesso: non dovrei fare questi discorsi d’adulti con te. Vai!” lo girò verso l’uscio e gli diede una pacca amorevole sulla schiena “mi dispiace averti strappato via da Angel. Sono certa che, uno di questi giorni, formerete un team di Sacerdoti davvero formidabili!”
Aki, sentendo il nome dell’amico, sorrise e arrossì lievemente.
Ringraziò la Sorella e, con il suo nuovo regalo, corse verso la porta.
“Ah, un’ultima cosa.”
Fermò con la mano sulla maniglia, il bambino voltò lo sguardo, incuriosito.
“ricordati queste parole. A tempo debito saranno utili: Ingoia il Piombo!”
 
L’ultima frase detta da Makima, quella volta, risuonò come un eco lontano.
Non aveva mai compreso cosa intendesse la Sorella.
Fino ad ora. Fino ad ora che, il misterioso contenuto del cofanetto, aperto ed ammaccato a poca distanza, si trovava proprio davanti a lui.
Un minuscolo cilindro, rugginoso e rovinato. Dalla cui base, andando verso l’alto, partivano strane escrescenze simili a venature rosse, o minuscole radici.
Se era una Reliquia, non lo sembrava.
Non era nemmeno bella come il bracciale di Angel.
Eppure, per qualche strana ragione, Aki non riusciva a staccarne gli occhi di dosso.
Gattonò verso il minuscolo oggetto, prendendolo poi tra le mani e portandoselo davanti al viso.
 
Angel rotolò sulla schiena, per poi fermarsi a gambe piegate esattamente al fianco del suo collega. Era uno straccio: le sue ali bianche erano piene di buchi e sangue nero e rosso copriva le piume, i suoi abiti ed il suo viso. Il respiro era pesante e la mano tremava. Due delle spade che fluttuavano attorno al suo corpo si stavano, lentamente, sgretolando a mezz’aria.
Lo sguardo infuocato ricadde sullo scempio che aveva di fronte: di Valak rimaneva solo la testa, con l’enorme occhio puntato su di lui, ed una spalla. Una delle gigantesche braccia di ossa e muscoli era coricata a terra, come una balena spiaggiata. Un’enorme pozza di sangue nero e gorgogliante si stava allargando sotto i resti mutilati.
E i serpenti… i serpenti con molta lentezza stavano cominciando a raggrupparsi di nuovo, spuntando dal nulla come se fosse l’aria stessa a generarli. Il Sacerdote sapeva che, nonostante tutti i suoi sforzi, era ancora ben lontano dalla vittoria. Avrebbe avuto ancora poco tempo per prendere fiato e poi il nemico sarebbe tornato all’attacco.
“Ehi… Aki…” voltò lievemente lo sguardo verso il compagno, senza guardarlo del tutto “Penso di aver saltato un passaggio, prima: quando ti ho detto di riprenderti, intendevo di farlo rapidamente, sai? Aki? Ma mi stai ascoltando?”
Stizzito, si voltò del tutto verso di lui. Poi inarcò un sopracciglio, trovandolo intento a squadrare quello strano e minuscolo oggetto che aveva tra le mani. Sembrava… un proiettile?
“Ma che roba è?” domandò Angel, abbassando la guardia ed avvicinandosi.
“Credo che sia… una Reliquia della Sorella.” Mormorò l’altro Sacerdote, assente.
“Una Reliquia Ange-”
Non lo sentì nemmeno arrivare.
Di scatto, si portò una mano al braccio stretto dall’Ophanim, denti stretti e sudore che gli colava dalla fronte. Aveva imparato, per il poco che lo aveva indossato, che quello strano artefatto reagiva in un modo particolare davanti al Male.
Non bruciava così tanto nemmeno quando Valak si era rivelato del tutto.
Inoltre, per qualche strano motivo, adesso la sua mente veniva aggredita da urla viscerali e agghiaccianti.
No, quella storia non gli piaceva proprio per niente.
“Aki…” mormorò Angel, con la voce rotta e il respiro spezzato “… devi… devi liberarti di quell’aggeggio.”
“Come?”
“No so cosa sia… non ho idea di che diavolo ci facesse nella collezione di quella psicopatica e NEMMENO per quale diamine di motivo lo abbia affidato a te…” lo guardò intensamente mentre respirava a fatica “… ma non si tratta di una semplice Reliquia.”
La puntò con il dito “Il mio bracciale sta percependo un Potere completamente diverso… e terribilmente pericoloso.” Strinse i denti “… credo che quella cosa potrebbe rivelarsi ancora più pericolosa del Demone che stiamo affrontando. Gettala via!”
Aki guardò il compagno sconvolto, poi guardò l’oggetto che aveva in mano.
Sorella Makima, ultimamente, aveva deciso di cominciare a dispensare Reliquie ai suoi Sacerdoti, come se sapesse che le cose, molto presto, si sarebbero complicate ulteriormente. Quando aveva consegnato questa… ‘Reliquia’ a lui, si stava semplicemente preparando in anticipo? Però, secondo la reazione di Angel… temeva che, in qualche modo, gli scopi di quella donna fossero più sinistri.
In vero, non aveva mai compreso cosa passasse per la testa di quella persona, come se intorno a lei fosse stata eretta un’inespugnabile fortezza. Ma per quanto sospetta… davvero gli avrebbe affidato un oggetto che lo avrebbe ucciso?
Tornò a guardare Angel, indebolito e sanguinante, con le bellissime ali che stavano perdendo la loro luce. Poi puntò gli occhi su Valak che, mentre stavano parlando, sembrava già tornato quasi completo, fatta eccezione per la parte destra del corpo umanoide.
Aggrottò lo sguardo e strinse le labbra.
“… no. Non posso farlo” si voltò verso l’interlocutore “devo fidarmi di Makima. Se mi ha dato quest’oggetto, lo ha fatto per un motivo.”
“Ma hai sentito quello che ho detto!?” esclamò l’altro, sconvolto e scrollandolo per una spalla “Ciò che hai in mano è tipo… un cazzo di NUCLEO di una centrale! Il Bracciale… non ho idea di come spiegartelo… e come se mi stesse avvertendo della sua pericolosità!” affilò lo sguardo “… non ti lascerò fare questa scommessa! Non dopo-”
“ANGEL ASCOLTAMI!”
Lo zittì.
Il rosso si ritrasse, sorpreso, sotto lo sguardo durissimo del compagno. A differenza di quello che aveva prima, tuttavia… venne investito da una strana ed inspiegabile animosità, racchiusa in quegli occhi chiarissimi. Vide una determinazione che non vedeva più da tantissimo tempo.
“La mia spada è distrutta e tu sei l’unico fronte contro questa creatura. Ma stai perdendo colpi a tua volta e sappiamo entrambi che non potrai ancora resistere per lungo!” guardò il proiettile “sono certo… ne ho la certezza che Makima aspettasse questo momento. E’ un test! Indubbiamente: un test per vedere se i Sacerdoti sono in grado di affrontare cose peggiori di qualche inutile demonietto… ne sono sicuro!”
Intanto, Valak aveva quasi finito di ricostruirsi.
“Aki… cosa stai farneticando?”
“Senti… lo so, lo so! Ho fatto un casino. Mi sono comportato da stronzo e non credo potrai mai perdonarmi ma… ti chiedo solo di fidarti di me.”
Lo disse guardandolo dritto negli occhi, con quella stessa intensità.
Ed Angel vacillò “Ma…”
“Ti prego, se non ci provo nemmeno…” Aki abbassò le palpebre e si strinse la Reliquia al petto “… sarà stato tutto inutile. Se devo morire, questa volta, voglio almeno credere di averlo fatto tentando di proteggere chi amo!”
Il collega sussultò.
Era certo che quell’idiota non stesse pensando alle parole usate, mentre le sparava da quella cazzo di fogna. Ma dannazione, doveva proprio…
Scosse la testa, rosso sulle gote, quindi si pose davanti a lui aprendo appena le ali e puntando la spada verso il nemico. Se prima si sentiva affaticato, adesso, per qualche ragione, percepiva una strana energia inondarlo. Le piume ripresero a brillare come poco prima e le spade si ricostruirono “Idiota… mi raccomando: non provare a morire! Perché puoi giurare su chi ti pare che verrò all’Inferno a tirarti per i capelli!”
Sentendo quelle parole, il moro sorrise “non ne dubito.”
tsk…” e Angel scattò, verso un ormai quasi del tutto completo Valak.
Dal canto suo, Aki prese un bel sospiro e poi, sollevò il proiettile verso l’alto.
Sopra la sua testa.
Ingoia il Piombo, aveva detto Makima.
E lui, il piombo, lo avrebbe ingoiato.
Aprì la bocca e lasciò cadere il proiettile al suo interno. Non fu piacevole, sentire il suo sapore ferroso e la sua forma che scivolava lungo la gola. Non seppe nemmeno come riuscì ad ingoiarlo, senza soffocare.
E tuttavia, la sgradevole sensazione provata ora non era niente in confronto a ciò che sentì dopo.
Bruciava.
Il suo corpo stava bruciando.
Le sue braccia si chiusero attorno alla sua pancia mentre urlava e sgranava gli occhi, con la saliva che colava dalle labbra e le lacrime mischiate con il sudore che scendevano sulle guance. Anche Angel, mentre tagliava i serpenti che provavano a circondarlo, sentì le lacrime scorrere, nell’udire quelle terribili urla. Ma non perse la concentrazione. Nonostante la preoccupazione per Aki avesse ormai raggiunto livelli stellari, aveva deciso di fidarsi di lui.
Lo avrebbe fatto fino in fondo. Mentre falciava quei serpenti e lo copriva… qualunque cosa stesse facendo.
Nel frattempo, il dolore di Aki non diminuiva. Era come se un’esplosione vulcanica stesse avendo luogo proprio dentro di lui. Voleva artigliarsi la pelle dello sterno e strapparsela con le unghie, per far uscire qualunque cosa che, adesso, stava nascendo dentro di lui. Sentiva la gola in fiamme, come fosse stato un inceneritore in miniatura.
E forse… forse aveva ragione. Perché adesso, dopo un ennesimo urlo, da occhi e bocca avevano preso ad uscire intense fiamme gialle e brillanti, così intense da provocare terribili ustioni intorno agli occhi ed alla bocca. La saliva e le lacrime si erano trasformate in metallo incandescente, che a contatto con il suolo sollevava spettri di fumo.
Il Sacerdote tornò ad abbracciarsi, sentendo il dolore che adesso raggiungeva il suo terribile apice.
Poi, come era arrivato, tutto scomparve.
Aki cadde a terra, privo di sensi, rannicchiato su se stesso.
Bocca spalancata, ed occhi che non si trovavano da nessuna parte.
Era… era come morto.
 
Ma morto non era, in vero.
Quando aprì gli occhi, si alzò a sedere e si guardò intorno. Il definirsi smarrito non iniziava nemmeno a spiegare quale fosse la sensazione che provava. Ovunque posasse lo sguardo, vedeva solo numerose ed altissime dune di sabbia rosse, che si espandevano fin verso il nulla a perdita d’occhio. Doveva trovarsi, a suo avviso, proprio sopra una di queste.
Sopra sua testa, un opaco sole cocente imprigionato in un cielo, probabilmente, terso.
Non poteva dirlo con certezza: la volta era nascosta da quella che credeva fosse un’incessante tempesta di polvere e sabbia, che tuttavia fluttuava sopra l’ambiente circostante come una specie di cappa. Incerto, Aki si issò in piedi, continuando a guardarsi attorno mentre l’ansia cominciava a ghermirlo.
Cos’era quel posto?
Come ci era finito?
Era… era per caso morto sul serio, alla fine?
Quello era il suo personale Inferno, per caso?
Non erano domande a cui avrebbe potuto trovare una risposta.
E in tutta onestà, trovare delle risposte non era la sua priorità.
Stava guardando verso il vuoto orizzonte quando, all’improvviso, sentì un suono alle sue spalle. Simile ad uno sbuffo. Si voltò di scatto, portandosi la mano dietro la schiena per estrarre un’arma che non aveva. E strinse i denti, scoprendosi disarmato in una situazione simile.
A pochi metri di distanza, a fronteggiarlo, trovò una grossa cavalla. Il particolare che, oltre a lui, l’unico altro essere vivente nel giro di miglia pareva essere solo quell’animale, venne accantonato mentre il Sacerdote ne studiava l’aspetto: era una bestia possente e muscolosa, decisamente più grande di un normale cavallo, dal manto nero come l’ossidiana. Ma non era quello il particolare che lo lasciava perplesso. Lo era la fluente criniera composta da lingue di fuoco fiammeggianti; lo era l’enorme porzione priva di pelle sullo sterno, che lasciava scoperta la cassa toracica; lo era il muso, costituito da un teschio allungato e bestiale, dai denti aguzzi e sporgenti come quelli di un vampiro. Lo erano le due fiamme rosse come il sangue che, dall’interno dei bulbi vuoti, parevano scrutarlo.
S’irrigidì, quando quella belva infernale mosse gli zoccoli nella sua direzione, lasciandosi indietro impronte incandescenti e fumanti. Si mosse piano, navigando sulla sabbia con eleganza e senza sprofondare.
Aki fece qualche passo indietro, mentre la creatura si avvicinava ulteriormente. Forse avrebbe dovuto darsela a gambe… ma dove sarebbe potuto andare? Le dune lo circondavano come una catena montuosa, e non sapeva quanto quel mostro sarebbe stato veloce a raggiungerlo.
Rimase dunque sorpreso, quando la creatura lo superò, fermandosi a pochi centimetri dal suo fianco.
Il Sacerdote sbatté le palpebre voltandosi verso l’animale, che sembrava guardarlo di sottecchi. Sbuffò dalle narici una linguetta di fuoco, senza smettere di osservarlo.
L’altro rimase un attimo in attesa, pronto a scattare al minimo segno di pericolo.
Ma quella non si mosse. Probabilmente, sarebbe anche rimasta immobile per tutto il tempo.
Poi, finalmente, il ragazzo ebbe un’intuizione “V-vuoi… vuoi che…?”
La creatura nitrì, facendolo sussultare, e sbatté gli zoccoli sulla sabbia. Gli parve quasi di vederla annuire, ma lo attribuì all’immaginazione. Deglutì, Aki: non era mai salito su di un cavallo, prima d’ora. Non si aspettava che, la prima volta, sarebbe stata con un destriero infernale.
Sempre se si trovava davvero all’Inferno, o in qualche altro posto completamente diverso.
In realtà, non ci stava capendo un cazzo.
Che cosa gli aveva fatto ingoiare… quella pazza della Sorella?
Salì in groppa alla belva, non senza una certa difficoltà, mettendo a tacere i suoi dubbi. Ovunque fosse, Angel adesso era là fuori contro quel Demone tutto solo, ed era controproducente perdere tutto quel tempo. Non appena fu sistemato per bene sulla sua groppa, la creatura impennò ed emise un potente nitrito, eruttando fiamme dalle fauci d’ossa, quasi disarcionandolo. Dovette incollarsi al largo collo, per non cadere all’indietro.
E dunque, partì al galoppo, lasciandosi dietro una scia di fiamme.  
 
[ https://www.youtube.com/watch?v=h6wHjHNBYbU ]
 
Per quanto tempo avevano galoppato?
Per quanto tempo, con il sole alle loro spalle, Aki e il suo destriero si erano lasciati alle spalle sabbia bruciata e fumante?
Non poteva dirlo con certezza.
Se si fosse arrovellato su quest’aspetto della sua situazione, era certo non ne sarebbe più venuto a capo. Voleva sperare che il tempo, ovunque si trovasse ora, scorresse in modo diverso da ciò che si trovava ‘all’esterno’.
Perché non era convinto fossero passate solo ore, o giorni.
Nulla aveva senso. Nulla. Che cos’era quella Reliquia che gli aveva consegnato Makima? Dove lo aveva portato? Anche Angel si era ritrovato in una simile situazione, quando aveva utilizzato il potere del suo bracciale? E tra tutte, un quesito lo disturbava maggiormente: si trattava di una Reliquia Angelica?
Perché di Angelico, in quelle dune che sembravano cumuli di sangue solidificato ed in quel cielo annebbiato dalla polvere, non c’era assolutamente nulla. Non era tuttavia nemmeno convinto di essere finito all’Inferno. Non solo l’inesistente ostilità della mostruosa cavalla – che, a passo spedito, lo stava portando verso una meta sconosciuta – lo avevo convinto di ciò. Ma qualcosa… una parte razionale – o forse irrazionale? – della sua mente gli diceva che non si trovava lì. Era un luogo lontano dal suo mondo, questo era certo, ma era lontano anche da concetti come Paradiso e Inferno.
Era qualcosa di… completamente diverso.
Lo sentiva nelle sue ossa, nella sua anima.
Aveva paura? Decisamente, ma non era la paura provata innanzi ad un Demone particolarmente forte, o di fronte alle immagini corrotte di suo fratello a cui era stato sottoposto durante la sua vita. Era un tipo di paura che, ne era certo, avevano provato anche i marinai che esploravano luoghi sconosciuti dell’Oceano. Degli archeologi che scendevano fino nel fondale più oscuro di una tomba dimenticata. Degli astronauti che, dalla loro navicella, osservavano lo spazio infinito.
Non sapeva dove quell’animale lo stava portando, e aveva paura.
Ma per qualche motivo… sentiva che ne sarebbe valsa la pena.
Doveva, valerne la pena.
Lo spettacolo delle gigantesche dune, per quanto bellissimo, cambiò proprio quando stava cominciando a diventare stagnante. Senza sapere come, o perché, Aki si ritrovò su di una strada di granito, composta da blocchi gialli, che si allungava fin dove l’occhio non arrivava. Le dune si erano improvvisamente abbassate, fino a sparire, lasciando spazio agli inquietanti e deprimenti scheletri di altissimi grattacieli vuoti, alcuni crollati di lato, altri appoggiati contro i gemelli ancora in piedi.
Sentinelle di un mondo morto, dai molti ed oscuri occhi da cui scendevano lievi cascatelle di sabbia.
“… sono finito nel futuro?” Si domandò, Aki.
La sua mente prese a vagare, e cominciò a chiedersi se fosse finito in una realtà alternativa, dove l’Apocalisse aveva colpito il suo Mondo. Scacciò il pensiero, conscio di essersi basato troppo sugli stupidi film che guardava assieme ai suoi coinquilini. No, non era un mondo apocalittico, quello. Non era finito nel futuro. Era più… un sogno? Era l’immagine astratta di un luogo di sabbia e rovine, in mezzo alla quale correva una lunga ed infinita strada.
Quindi stava sognando?
Poteva essere?
Ma allora come mai tutto gli sembrava così tangibile?
Un luccichio in mezzo alla sabbia lo costrinse a voltarsi, distraendolo da quei pensieri. Socchiuse la bocca, notando il nuovo spettacolo alla quale il ‘sogno’ lo stava rendendo partecipe: sommerse nei grani, stavano armi e armature, appartenute a popolazioni esistite forse centinaia di migliaia di anni fa. Le armi costellavano il terreno attorno alla strada, spuntando come erbacce, in mezzo ai grattacieli ed a pochissimi centimetri dal granito.
Non ne vide una che fosse identica alla precedente, che fosse una mazza, una spada o altro ancora. Anche le armature si susseguivano. Vide elmi di regni così lontani dalla sua terra, accompagnati dai kabuto dei samurai. Era come se gli eserciti storici di tutto il mondo si fossero scontrati tra loro, causando una distruzione senza precedenti.
Ma… non c’erano cadaveri.
Neanche un osso, o una goccia di sangue.
Solo ciò che questi eserciti avevano ‘probabilmente’ usato per farsi la guerra tra loro.
Era come se stesse passeggiando all’interno di una delle più grandi armerie mai esistite.
Forse, non si stava sbagliando poi così tanto.
Le armi ‘antiche’, molto presto, lasciarono spazio ad armi più moderne: fucili, pistole, baionette e cannoni presero a spuntare tutt’intorno, questi ultimi sommersi nella sabbia per metà. Poi ancora, si saltò di qualche altra epoca. I fucili diventarono mitragliatrici, i cannoni carri armati. Vide anche i rottami di aerei, che poi si trasformarono in droni. Vide missili inesplosi, che spuntavano dal rosso come macabri totem. Vide le immense sagome di navi da guerra arenate in mezzo e dietro ai grattacieli.
E poi, finalmente, vide altro spuntare dall’orizzonte, che gli fece raggelare il sangue in un modo che non aveva mai provato prima: strutture colossali, da far sembrare il Fuji un cumulo di terra, dalla vaga forma di rosa appena sbocciata. Cannoni così grandi che, ne era certo, un loro singolo sparo avrebbe potuto cancellare un intero continente da ogni singola mappa. Vide armature colossali come grattacieli, umanoidi, simili ai mecha che vedeva disegnati nei manga, in piedi come silenziosi guardiani in mezzo alle sabbie, coi grandi cannoni e fucili che spuntavano dal dorso delle braccia metalliche. Vide veicoli corazzati che non aveva mai visto in vita sua e che, molto probabilmente, non avrebbe mai visto prima di morire.
Capì, finalmente, che cos’era quel luogo: era un’eterna ed infinita esposizione.
Un inno solenne alla distruzione e ad ogni singola guerra.
Nelle memorie più lontane del passato.
Nelle viscere più sconosciute del futuro.
Aki, a testa alta, rapito e terrorizzato da ciò che stava guardando al tempo stesso, nemmeno si accorse che il cavallo aveva cominciato a rallentare il passo. Ci rimase quasi male quando, dopo aver visto strutture così maestose, la strada prese a vagare nuovamente in mezzo alla sabbia deserta. Ben presto, le armi delle epoche furono alle sue spalle. Davanti a lui, la strada invece prendeva a salire verso l’alto.
La cavalla, adesso, stava semplicemente camminando placida.
Fino a fermarsi.
Il Sacerdote sbatté le palpebre, trovandosi davanti uno spettacolo che, in confronto a ciò che aveva visto fino ad ora, trovò dissonante. Il destriero sbuffò ed il ragazzo interpretò quel gesto come un invito a scendere, perché erano arrivati a destinazione. Quando fu atterrato sul granito, che adesso formava una piazza di diversi metri, Aki fece vagare lo sguardo sulla casetta di legno annerito che si trovava davanti a lui. Sembrava così decadente e vecchia… che pareva esistere dall’alba dei tempi. A pochi passi, un mulino a vento di ferro arrugginito, le cui pale cigolavano sinistre muovendosi appena.
La cavalla era ripartita al galoppo, andando ad avvicinarsi alla scala di pioli che portava sull’impalcatura davanti alla casa.
C’era una persona, accomodata sui pioli. Qualcuno che non poteva essere definito umano.
Ammantata di nero, indossava un largo pastrano i cui orli parevano essere incendiati permanentemente, con alcuni frammenti che partivano e fluttuavano verso l’alto. Due spessi stivali di cuoio coprivano i piedi, e da essi partivano dei pantaloni rattoppati e stretti alla vita da una cintura composta da proiettili appuntiti. Dal collo, sopra ad una maglietta nera premuta sul fisico scolpito, scendeva una catenella a cui erano fissate tre piastre di metallo ciondolanti.
I nomi che vi erano incisi sopra erano illeggibili, a quella distanza.
La cavalla trottò allegramente vicino all’essere, abbassando il muso.
Senza nemmeno guardarla, quello sollevò un braccio dalla mano guantata di nero, passandola con affetto sul teschio.
“Brava ragazza…” la sua voce era roca e cavernosa ma, sorprendentemente, molto più umana di ciò che Aki si aspettava “… hai fatto un ottimo lavoro.”
Il Sacerdote deglutì a vuoto, non appena quel tizio si voltò verso di lui. La testa era come quella del destriero: un teschio animale, questa volta di toro, dalle lunghe corna infuocate che s’incurvavano verso l’alto. Non aveva collo, solo un’intensa fiammata inestinguibile, che avvolgeva tutta la sua testa come una specie di criniera. I suoi occhi erano fessure sinistre e maliziose, illuminate dalla luce delle fiamme.
Quando il suo sguardo incontrò quello dell’interlocutore, Aki percepì le stesse indecifrabili sensazioni che provava quando parlava con Makima. Uno strano tipo di timore, misto al più sincero e devoto rispetto.
“Sei molto lontano da casa, ragazzino.” Il ‘cavaliere’ puntò l’indice verso l’alto “cosa ti porta al mio cospetto, se posso chiedere?”
Piegò il dito verso di sé.
Subito, il Sacerdote si sentì attratto da una forza immensa, che lo costrinse in ginocchio e, per di più, lo portò a poco più che qualche metro di distanza dall’essere. Respirò a fatica, con l’ansia che stava nuovamente prendendo possesso del suo corpo. Alzò la testa, appena in tempo per vedere la creatura che incrociava le gambe e posava un gomito su una di esse.
“Apprezzo il rispetto, giovanotto. Ma non è necessario.” I suoi occhi parvero farsi ancora più affilati “non sei certo qui per leccarmi gli stivali, vero?”
Aki prese un profondo respiro, cercando di riottenere un po’ di compostezza.
Si mise a sedere sulle proprie gambe, in ginocchio “… sei…” mormorò con la gola secca “… sei un Demone?”
All’inizio, ci fu un lungo silenzio.
Poi l’essere sollevò la testa verso l’alto e spalancò le fauci, sgolandosi in una portentosa risata liberatoria. Il suono, nonostante fosse solo l’eco di risa, era talmente possente che avrebbe potuto scuotere le fondamenta del pianeta stesso. Si diede una pacca sul ginocchio, poi si piegò ulteriormente in avanti, portandosi un pugno sotto al mento “Diavolo no, moccioso! Se fossi un Demone, davanti a te troveresti un traditore della propria specie, dopo tutti i crimini che ho compiuto contro di loro. Certamente non potresti definirmi nemmeno un Angelo, però… o un essere umano.”
Aki deglutì a vuoto. Ma riprovò a fare la domanda “M-ma allora… cosa sei?”
Vide le fiamme propagarsi intorno al suo collo inesistente “… per adesso chiamami solo Cavaliere. D’accordo, giovane?”
Aki annuì. Da che aveva memoria, non si era mai sentito così agitato davanti a qualcuno.
Nemmeno davanti alla Sorella. Chi diavolo era quel tizio? Diceva di non essere un Demone… ma l’aspetto non era esattamente quello? Se così era… allora voleva dire che Makima stava facendo patti con i Demoni stessi per sconfiggerli? Eppure, proprio adesso… aveva detto che non si trattava di uno di quelli. E nemmeno di un Angelo.
Di cosa si trattava, dunque…?
“Senti un po’” con un sospiro infastidito, il Cavaliere aveva cambiato la posizione delle gambe “Avrai capito che il tempo che stai passando qui è diverso da quello che passi là fuori. Al momento la tua anima è letteralmente appesa nel limbo che è il mio Dominio, e stai per morire. Quindi datti una mossa e dammi una risposta: che cosa ci fai qui?”
Aki sbatté le palpebre “… s-sto per morire?”
Il Cavaliera si passò una mano sul muso taurino “Rispondi con altre domande… questi dannatissimi umani…” lo squadrò da capo a piedi “… ricominciamo: come ci sei finito qui? l’unico modo che uno di voi scriccioli può entrare nel regno di un Cavaliere è tramite un Sigillo. Come hai trovato il mio? Chi te lo ha consegnato?”
S-Sigillo?
Quindi non si trovava di una Reliquia?
Aki scosse la testa. Non era il momento “E’… è stata il mio capo, una donna di nome Makima, a farmi avere il tuo Sigillo. Mi ha detto che, se lo avessi utilizzato…”
“Makima?” se il Cavaliere avesse avuto le sopracciglia, probabilmente le avrebbe inarcate “… un momento… intendi dire una donna dai capelli rossi? Di bell’aspetto? Occhi gialli?”
Aki lo guardò sconvolto. Effettivamente, la Sorella aveva menzionato un suo amico quando gli aveva consegnato il proiettile. Aspetta… che quel suo amico fosse proprio il mostro che aveva davanti? La testa era sul punto di scoppiargli, mentre annuiva incerto.
Dal canto suo, il Cavaliere si spalmò una mano sulla faccia, facendolo sussultare. Al suo fianco, la cavalla sbuffò e scosse lievemente la testa “Quella donna non potrebbe semplicemente mettersi le mani nel culo qualche volta, invece di decidere per NOI chi deve diventare il nostro Araldo? È tanto difficile?”
Probabilmente il moro avrebbe capito di più se il suo interlocutore avesse improvvisamente cominciato a parlare in aramaico antico.
“Ascolta, bello” lo puntò con il dito guantato, imitando una pistola “se quella testona ti ha dato uno dei Sigilli, vuol dire solo una cosa: il vostro mondo è sul punto di essere inculato dal più grande e disgustoso cazzo che sia mai esistito. Senza consenso, ovviamente.”
Aki sbatté le palpebre.
L’essere… l’essere antico e probabilmente esterno a qualsiasi legge della natura conosciuta… si era appena espresso come un moderatore di Discord?
“Se i Sigilli che erano stati affidati stanno venendo dispensati, allora vuol dire che gli Eserciti Infernali hanno trovato un modo per risvegliare la Bestia. E fidati: ci siamo passati in quattro. Quando quella cosa uscirà bestemmiando dal mare, sarà veramente la fine per tutti. Senza scena dopo i titoli di coda.”
Aki, che stava ricevendo tutte quelle informazioni prive di filtri, scosse vigorosamente la testa.
Non voleva saperne nulla di tutto questo!
Sicuramente era un problema, ma adesso non era un ‘suo’ problema!
Angel lo stava aspettando, là fuori. Doveva tornare al più presto dannazione!
“Adesso non importa!” esclamò all’improvviso “Non so cosa dici e quale tipo di legame hai con il mio capo… ma non ho tempo da perdere!” lo guardò con animosità “Makima mi ha detto che dentro quella Reliquia, o Sigillo, era imprigionato un potere che mi avrebbe permesso di vincere qualsiasi battaglia. Sono qui perché voglio usare quel potere! Un amico…” strinse i denti e i pugni, sulle ginocchia “… Angel è in pericolo, e sta rischiando di morire perché si fida ciecamente di me! Non lo posso abbandonare perdendo tempo con questi discorsi, quindi ti prego…” tornò a guardarlo, mordendosi il labbro “… farò qualsiasi cosa, ma affidami questo potere! Permettimi di utilizzarlo!”
Seguì altro silenzio.
Silenzio in cui i due teschi animali puntavano gli occhi fiammeggianti sul giovane umano che, sentendosi osservato e giudicato, fu costretto ad abbassare lo sguardo.
Aveva forse mancato troppo di rispetto?
“Mh… forse hai ragione.” Rispose tuttavia il Cavaliere, massaggiandosi il mento ossuto con un dito “posso notare la tua urgenza negli occhi. Probabilmente io stesso mi rivolgerei al mio interlocutore nel medesimo modo, se sull’asta ci fosse la vita della mia amata ‘Rovina’.” Mormorò il Cavaliere, massaggiando nuovamente il muso della cavalla.
Aki sbatté le palpebre, poi voltò lo sguardo verso di lui “D-dunque…”
“Ma il mio potere non potrà mai appartenere alle persone che hanno un’anima troppo debole. Tu credi di essere degno di diventare un mio Araldo, Aki Hayakawa?”
Ed eccolo lì. Le sue viscere si contorsero, la sua mente fremette e la sua anima vacillò. Perché adesso non parlava più come un uomo, il Cavaliere. Ma parlava come ciò che era. Come ciò che era sempre stato. La sua voce possente finì fino in fondo al suo io e, in un momento, capì.
Capì con chi stava parlando. Chi aveva davanti.
E tornò ad avere paura.
“T-tu… tu sei…” mormorò Aki, con voce tremante.
“Umano, ti rivolgi a Guerra in persona, colui che durante la Prima Apocalisse assieme ai suoi fratelli sguainò le proprie armi contro alla Bestia che minacciava di divorare la tua Terra, pretendendo un potere che un misero ed insignificante insetto non potrebbe nemmeno comprendere. La tua insolenza meriterebbe un’esemplare punizione. E tuttavia… non rigetti le tue idee? Nonostante la mia furia ti blocchi per la paura e la mia rabbia faccia tremare le tue ossa… vuoi comunque ottenere il potere di un Cavaliere e portare il suo brutale messaggio ai Demoni come suo Araldo?
Aki respirava a fatica.
GUARDAMI, MORTALE” ruggì l’essere. Le fiamme avvolsero la sua testa come un geyser e la Cavalla di nome Rovina impennò, nitrendo rabbiosa “Vacilla, e sarai disintegrato. Mostra il tuo coraggio… e potrò decidere di renderti partecipe al dono che ti permetterà di fare ammenda e di proteggere coloro che ami. La tua anima è debole, ma con la benedizione di un Cavaliere, potrà finalmente bruciare intensa come un sole in miniatura. Abbandona il dolore del passato, e pensa per una buona volta al presente: vuoi tornare dal tuo compagno?
Aki strinse i denti, mentre calmava lentamente il respiro.
Vuoi distruggere i nemici dell’umanità, che hanno portato via tuo fratello e la tua famiglia?
Strinse anche i pugni, mentre una sensazione che non provava più da tempo s’impadroniva della sua anima.
Vuoi punire i cani e porci che ti hanno ridotto un guscio vuoto? Coloro che minacciano di compiere ciò che hanno fatto con te con altri innocenti? O vuoi passare il resto della tua vita a commiserarti e a desiderare la via d’uscita dei codardi?
“…no” non riconobbe quasi la propria voce.
Allora vuoi tu, Aki Hayakawa, ottenere il potere di un Araldo? Diventare la mia arma contro alla macchina del Male sulla tua Terra e distruggerne ogni singolo frammento!?
“… sì…”
GUARDAMI AKI HAYAKAWA!” il cavaliere si alzò in piedi, sotto all’eco di centinaia di migliaia di ordigni nucleari che si detonavano alle spalle della casetta di legno. I funghi erano talmente tanti da formare una vera e propria foresta “VUOI OTTENERE IL POTERE DI UN CAVALIERE DELL’APOCALISSE!? PREGAMI DI AFFIDARTELO! PREGAMI DI DARTI QUESTO POTERE!
E finalmente Aki alzò lo sguardo. Gli spostamenti d’aria delle esplosioni fecero danzare i lunghi capelli neri e i lembi della sua camicia stracciata. Ma nei suoi occhi ogni segno di esitazione era scomparso. Il suo sguardo era solo una maschera di furia.
Una furia che stava per esplodere “SI’, POTENTE CAVALIERE! TI PREGO DI DARMI IL TUO POTERE! COSI’ CHE IO POSSA DISTRUGGERE TUTTI I MIEI NEMICI E PROTEGGERE CHI A-”
Il suo collo si piegò all’indietro, occhi sgranati e bocca socchiusa.
Un foro di proiettile in mezzo alla fronte, fumante come una sigaretta.
“Uhm… ok, può bastare per oggi” mormorò il Cavaliere della Guerra, tornato seduto. Nella mano destra, la canna fumante di un revolver nero come il carbone, solcato da crepe dentro le quali pareva scorrere il magma “volevo solo fare un po’ di scena: ti avrei dato comunque il mio potere in prestito, perché mi fido della psicopatica che ti ha mandato da me.” Si portò l’arma alla spalla, per poi tornare ad accarezzare il muso di Rovina “tuttavia, Aki, la tua anima è ancora un po’ debole, e voglio credere di non aver appena fatto il peggiore errore della mia vita. Ed ho vissuto a lungo.”
Il corpo di Aki, immobile e piegato leggermente all’indietro, cominciò a tremare spasmodicamente.
“Per adesso, un assaggio: sopravvivi a questa goccia di dono, e sarà tuo. Altrimenti… beh, serve davvero che lo dica?”
Ed assieme ad uno spruzzo di liquido giallo e brillante, simile a metallo fuso, dal foro di proiettile sulla fronte del Sacerdote prese ad uscire la canna nera e avvolta da vene rosse di una pistola.
 
[…]
 
Non poteva andare avanti, così.
Letteralmente, non si trattava di un modo di dire.
Il corpo di Angel era arrivato allo stremo e, molto probabilmente, provare anche solo a fare un passo in avanti sarebbe stato a dir poco impossibile. Tremava come una foglia, ancora in guardia con la spada alzata, sanguinante e macchiato di lividi e polvere. Le lame fluttuanti si erano sgretolate del tutto e le brillanti ali, ormai, avevano ancora poche piume che andavano dal grigio al nero, di tanto in tanto staccandosi e danzando mogiamente verso terra. Le ossa delle ali si vedevano tra gli enormi buchi sanguinanti che adesso le componevano, in uno spettacolo tetro e pietoso.
D’improvviso, pure l’aureola che brillava sulla sua testa si divise in due.
Le estremità s’infransero come bicchieri di cristallo, appena toccarono il suolo.
“Merda… sono davvero fottuto…” puntò lo sguardo avanti, verso Valak, che troneggiava davanti a lui come un fare del male.
Attorno a lui, che avanzavano mogiamente, il segnale che il Sovrano Demoniaco aveva utilizzato contro al rosso la stessa medicina che aveva adoperato con Aki: distorti e anchilosati, avvolti da serpenti più piccoli che pendevano come cinture o sciarpe, con occhi neri e vuoti e sorrisi troppo larghi ed inebetiti, avanzava la gente con cui aveva condiviso per ciò che sembrava un’esistenza passata segreti, amori e passioni.
Un insulto verso gli abitanti del villaggio con cui aveva vissuto la sua infanzia, prima del loro sterminio.
Ci hai abbandonati…
Siamo immersi nel buio…
Perché tu sì e noi no…?
Non è giusto…
I sussurri lo stavano facendo vacillare. Quando il Demone li aveva generati dal nulla come fossero stati solo uno stupido trucchetto di magia, il Sacerdote si era messo a piangere. Era anche sul punto di avere un attacco di panico e, molto probabilmente, se non fosse stato per l’influenza che la Reliquia aveva sulla sua mente in quel momento, sarebbe stato sopraffatto.
Era comunque stato costretto a tagliarli. Più di una volta, dato che quei maledetti burattini di carne e serpi continuavano a rialzarsi. E ogni volta che feriva mortalmente uno dei suoi amici, ogni volta che li vedeva crollare a terra in una pozza nera e che la sua anima vacillava, poteva sentire anche il potere dell’Ophanim sempre più lontano.
E adesso era lì, ricoperto di ferite e più debole di uno straccio, mentre quelli avanzavano.
E Valak lo guardava dall’alto verso il basso come fosse stato un misero scarafaggio.
Sputò un grumo di sangue e-
“Basta Angel… non vedi come sei ridotto…?”
Un paio di fresche mani si posero sulle sue guance sporche.
Il Sacerdote, sconvolto, abbassò lo sguardo specchiò i propri occhi rossi come il sangue in quelli neri dell’altra giovane ragazza, che lo guardava sorridente mentre emergeva da sotto terra, immersa fino alla vita in una pozza di spire. I capelli neri come l’ebano scendevano corti sul collo dalla pelle scura, ed uno strano tatuaggio a forma di catena appariva sulla sua fronte.
Strinse i denti, Angel, mentre le lacrime ripresero a scendere violentemente sulle guance.
“Povero Angel, il mio amato Angel…” disse la giovane, carezzandogli le guance dolcemente e asciugandogli le lacrime con un dito “sarai così stanco. Ma adesso basta, non dovrai più combattere: vieni con noi! Andiamo, tutti assieme, quassooooooooooooooooo
Come l’immagine di una fotografia che comincia a sciogliersi dopo essere passata sotto all’acqua, il sorriso della ragazza si allargò esponenzialmente, partendo da orecchio a orecchio, trasformandosi nella fessura di un abisso. Gli occhi s’infossarono fino a sparire e, dai bulbi vuoti e dal tatuaggio, cominciò a scendere del denso liquido nero.
No…” disse Angel, con voce rotta, mentre la creatura che aveva preso le sembianze della sua prima cotta rigurgitava il corpo pallido e sporco di sangue di un cobra, che salì verso l’alto fino a fronteggiare il ragazzo, estendendo le gobbe e sibilando maligno, squadrandolo con due maliziosi occhietti neri.
Capì ciò che aveva passato il suo compagno.
Capì a cosa molto probabilmente aveva dovuto assistere, prima del suo arrivo.
Capì che, forse, era stato troppo duro con lui, per quanto convinto di aver ragione.
Se non fosse stato per la Reliquia che bruciava il suo braccio, sarebbe impazzito anche lui.
La spada si sollevò, rapida, menando un fendente orizzontale che decapitò la creatura senza troppi complimenti, nonostante quell’azione gli costò una pesante fitta al cuore. Il corpicino della giovane cadde a terra in una pozza di sangue, per poi scomparire avvolto dalle fiamme nere.
Angel crollò in avanti, utilizzando la spada per sostenersi.
Hai macchiato la loro memoria… hai fatto dire ad Aki quelle cose terribili…” sibilò il ragazzo tra i denti.
Poi si sollevò di scatto, su gambe malferme, ma con un’espressione inferocite e gli occhi che lanciavano lampi. Lacrime di sangue scendevano dagli occhi, mentre apriva ciò che rimaneva delle ali del tutto “… NON TI PERDONERO’ MAI PER QUESTO!!
Valak si limitò a continuare a guardarlo con sufficienza.
E gli esseri avvolti dai serpenti scattarono, ridendo sguaiatamente come iene.
Tremante, Angel prese la spada a bimane, preparandosi per l’impatto.
E poi, come durante un’esecuzione in pubblica piazza, ogni singola creatura venne crivellata di colpi, che fecero esplodere i loro arti, i serpenti e le loro teste. Come crollarono a terra, senza rigenerarsi e bruciando tra le nere fiamme, per la prima volta, il Sovrano sembrò sorpreso.
Angel s’inginocchiò a terra, sempre respirando a fatica, con le ali che si sgretolavano dietro di lui, la testa bassa. Alzò la testa, rivolto alla figura che era apparsa innanzi a lui.
Una figura alta come Aki, che indossava gli stessi vestiti di Aki – più uno strano poncio annerito ai bordi, che copriva quasi tutto il suo corpo – e con gli stessi lunghi capelli che scendevano fino alla fine del collo. E nonostante questo, il rosso percepì che qualunque cosa si trovasse davanti a lui, in quel momento, fosse quanto di più distante dal suo collega.
Non riuscì nemmeno a sentirsi sollevato dal vederlo lì in piedi, davanti a lui.
Però lo aveva protetto, no? Non era ostile, giusto?
“A-Aki…?” mormorò, impaurito.
E quello si voltò.
Un brivido corse lungo la schiena mentre si portava le mani alla bocca e sentiva le lacrime che scendevano sulle guance, quando scrutarlo non furono gli occhi chiarissimi del suo compagno ma la canna nera e avvolta da vene rosse di una pistola, che spuntava tra i capelli neri troppo lunghi e che gli coprivano la parte superiore del viso come una maschera. Quella cosa, tuttavia, non mosse un dito nella sua direzione. Si limitò a sospirare una nuvoletta di fumo incandescente, mostrando la dentatura aguzza sostituita da un’esposizione di proiettili appuntiti.
Restò a guardarlo per un po’, come a sincerarsi che stesse effettivamente bene.
Vedendo le ferite, grugnì, voltandosi verso Valak.
Come quell’occhio rosso vide il mostro che Aki era diventato, Angel lo percepì, tutt’intorno a lui, come un gas tossico: il Sovrano Demoniaco era Terrorizzato.
Non era nemmeno certo che i Demoni di quel rango potessero provare paura.
Ma era certo che fosse proprio ciò che, adesso, stava succedendo.
Ma durò poco, poiché poco dopo il corpo di serpenti sollevò la testa verso l’alto, ruggendo rabbioso.
E Aki rispose: sollevò il collo verso l’alto ed emise un ruggito a sua volta, spalancando la bocca in modo naturale. Il suono che uscì dalla bocca aveva un richiamo alla sua voce precedente, accompagnato però da qualcosa di più bestiale, primitivo.
Una rabbia accecante e incandescente, che stava per bruciare ogni cosa.
Mentre ruggiva, liberò le braccia dal poncio, la cui pelle pareva fusa con un’accozzaglia non omogenea di fucili d’assalto, altre pistole e baionette dalla lama arrugginita.
Il Sacerdote ferito capì che era il momento di farsi da parte: non era più uno scontro tra umano e Demone, o tra Bene e Male.
Da lì in poi, sarebbe stata una battaglia tra belve feroci, e solo la più violenta avrebbe vinto.
 
[https://www.youtube.com/watch?v=7ORadFmHcIY]
 
Aki pestò il piede a terra, sollevando le assi di legno e scattando verso il nemico.
Quello roteò il proprio deforme corpo verso l’alto e partì all’attacco a sua volta, snudando le centinaia di fauci. Ma il mostro che il Sacerdote era adesso diventato, scrollò il braccio di lato e liberò una lunga baionetta, che menò in avanti in un poderoso fendente ascendente.
Divise a metà il corpo per lungo, mutilando diversi mostri nel processo, poi balzò e si ritrovò esattamente sopra al gruppo di esseri, che si contorcevano rabbiosi. Ricominciò a correre in avanti, facendo danzare la lama arrugginita come quella di un frullatore e tagliando tutto ciò che gli passava sotto tiro. L’arma brillava alla luce delle fiamme verdi, sollevando schizzi neri verso l’alto come esplosioni di petrolio e sporcandosi il poncio.
Valak emise un lamento rabbioso e subito cambiò forma, assumendo le sembianze di due gigantesche braccia dalle mani con spesse dita che partivano dal suolo. Aki balzò verso l’alto poco prima che la metamorfosi finisse, con una capovolta, quindi si voltò in direzione del nemico che, con un ulteriore ruggito, tese gli arti striscianti verso di lui. il Sacerdote tese le braccia di lato, facendo scattare qualcosa come dieci sicure in una volta sola, poi puntò fucili, mitragliette e pistole verso la minaccia, sempre più vicina.
Aprì il fuoco, crivellando di buchi i serpenti e ciò che si trovava sotto di essi con la stessa quantità di proiettili che avrebbe sparato un intero plotone armato. Talmente tanti erano i colpi, che bastarono per tenerlo sollevato da terra, bloccato in aria.
Valak non riuscì nemmeno a sfiorarlo.
E subito, non appena ne vide l’occasione, Aki si voltò di scatto all’indietro e sparò con otto fucili a canne mozze all’unisono, scagliandosi come una meteora verso la base serpentesca del nemico, proprio al suo centro. Arrivato lì, tornò a fronteggiarlo e snudò le zanne, infilandosi poi una mano in gola ed estraendone una grossa granata fatta di metallo, budella e arterie.
Infilò la bomba in mezzo alle serpi e tolse la sicura.
L’ordigno esplose con un lampo, scagliando lontano il Sacerdote, che atterrò con la schiena sugli assi di legno, assieme ad altro sangue nero e altre viscere di serpente.
Non ci mise che un secondo a ritornare subito in piedi, mentre Valak si lamentava come un cetaceo demoniaco. Ripartì dunque all’attacco, il Demone, circondando il nemico con una recinzione fatta spire e fauci. Da cui, lentamente, emersero le coppie roteanti di suo fratello e dei suoi genitori. Coppie che lo insultavano, denigravano, che gli chiedevano per quale motivo li stesse ferendo, per quale motivo non si fosse ancora arreso e per quale motivo non li avesse ancora raggiunti.
E per tutta risposta, l’Araldo della Guerra sollevò le braccia armate verso l’alto, facendo danzare i vari fucili che le componevano e unendoli tra loro come tentacoli. Il metallo si fuse col metallo, le vene con le vene, e le braccia di Aki diventarono due gigantesche minigun, spesse come pali della luce. Tese le braccia e, mentre ancora suo fratello gli chiedeva ‘perché mi fai questo? Io ti voglio be-” cominciò a sparare, facendo cadere a terra una quantità infinita di bossoli, fino a formarne un largo tappeto.
Senza smettere di sparare, prese a roteare su se stesso, come una mortale elica.
Sordo ai lamenti dei famigliari che lo pregavano di smettere.
Non c’era più spazio per inutili sensi di colpa, dentro di lui, e per lasciarsi ingannare da quei trucchi.
Aveva solo un obbiettivo: distruggere tutto.
Senza lasciare più nemmeno un pezzettino di quel Male che adesso provava ancora a tormentarlo.
Smise di sparare quando le voci smisero di tentare di graffiargli la mente. Puntò le minigun ancora fumanti, dunque, su di un grumo di serpenti e sangue che vibrava debolmente davanti a lui. Impietoso, ricominciò a sparare, schizzando sangue nero e pezzi di serpente verso l’alto, crivellando e facendo scempio di quella piccola montagnetta di rettili.
Che rimase tale ancora per poco.
Subito, da quella stessa emerse una gigantesca colonna vertebrale, collegata all’enorme teschio di un caprone dalle tre paia corna affusolate e nere. L’occhio rosso di Valak brillava nel bulbo vuoto destro. Aki cambiò la mira, puntando le armi verso la creatura ruggente, che ignorò tutti i colpi. Le fauci candide del Demone bloccarono il ragazzo a terra in un’esplosione di polvere e pezzi di legno, facendogli smettere di sparare. Lo sbatté a terra un paio di volte, per poi scagliarlo verso il soffitto, dove si schiantò violentemente.
E poi, il Sovrano si lanciò nel suo ultimo e disperato attacco: il corpo ossuto tornò nella poltiglia di serpi, che tremò appena per poi sollevarsi ed abbassarsi, creando un infinito e permanentemente in movimento lago di creature, che si attorcigliavano tra loro all’infinito.
Come il corpo del Sacerdote prese a precipitare verso il basso, dal lago si formarono sei enormi copie della forma umanoide di Valak, che tesero le braccia verso il ragazzo con un ruggito scrosciante. Ragazzo che, forse, non aspettava che quel momento: sollevò il braccio destro verso l’alto, che tornò normale. E, lentamente, generò dalla pelle del palmo della mano che si apriva come tagliata, una sfera di metallo.
Sfera che prese ad allungarsi sempre di più.
Fino a trasformarsi del tutto in un grosso missile di metallo e vene pulsanti. Tese l’altro braccio verso l’alto, sparando nuovamente con il suo gruppo di fucili a pompa e piovve verso il basso, schivando le braccia del Demone che provarono ad afferrarlo, tendendo più che poteva l’ordigno dietro la schiena.
A pochi centimetri dal suolo di squame, Aki abbassò il braccio.
La punta del missile sfiorò appena uno dei serpenti.
La potentissima esplosione illuminò a giorno il cielo dell’abisso e divelse il tetto della casa, scagliando i serpenti che non vennero sgretolati dalla sua potenza a spiaccicarsi contro al muro. Angel, che aveva osservato il susseguirsi di eventi a bocca e occhi spalancati, infilzò la spada a terra e la tenne stretta per l’elsa, per evitare di venire spazzato via dall’onda d’urto.
Chiuse gli occhi, per evitare di venire accecato dalle schegge.
E finalmente, quando le orecchie smisero di fischiargli, tornò a guardare ciò che aveva davanti.
Di Valak, a parte il sangue nero e qualche serpentello che si sgretolava o strisciava via impaurito, non vi era più traccia. Ed al centro del poco che rimaneva di quella soffitta, ora tornata quella di una normale casa, sotto un normale cielo che, lentamente, stava uscendo dalla notte ed entrando nel mattino, circondato dalla macchia nera di un’esplosione, Aki nella sua terrificante forma stava solenne, testa bassa e respiri placidi.
“…W-woah…” non seppe che altro dire, nel guardarlo.
Un movimento dal fondo della casa, poi, attirò i due Sacerdoti.
Aki si voltò di scatto con un grugnito in direzione del rumore, rimettendosi in guardia: un grumo di serpenti, intenti ad azzannarsi a vicenda, si stava lentamente alzando, fino ad assumere le vaghe sembianze di un essere umano. Tra le spire, si potevano vedere i muscoli pulsanti di rosso e le ossa.
Incastonati in quello che si poteva riconoscere di un teschio umano, vide un paio di occhi rossi, che lo scrutavano da sopra un ghigno rabbioso.
L’Araldo si calmò, riconoscendo il poco che rimaneva del Male di Valak in quella misera caricatura umana.
Voltò lievemente lo sguardo verso il tappeto di bossoli, e tese le dita della mano destra.
Nella sua mente annebbiata dalla furia e dall’intento di annientare il nemico, trovò spazio un po’ di lucidità: adorava giocare a baseball con suo fratello. Ed era sempre stato un ottimo lanciatore. Pensò a questo, mentre i bossoli si sollevavano da terra e convergevano nella sua mano spalancata, formando poi una palla di metallo incandescente che il Sacerdote fece palleggiare un paio di volte.
Valak alzò le braccia al cielo e ruggì rabbioso, scattando come una belva feroce verso Aki.
Aki che, all’ennesimo palleggio, si voltò verso il nemico e si piegò in avanti, tendendo il braccio all’indietro più che poteva e stringendo la palla di proiettili con forza.
Per te, fratellino avrebbe detto, se fosse stato in grado di parlare in quella forma.
Scagliò la palla di proiettili che, non appena incontro il bersaglio, esplose. Il corpo di Valak venne divelto della sua parte superiore in un’esplosione di sangue e organi. Di lui rimasero solo le gambe, ancora intente a correre. Quelle superarono il corpo tornato sull’attenti di Aki, per poi rallentare tremanti, cadere in ginocchio e coricarsi del tutto.
Una polla di sangue nero si formò sotto di esse.
Ed il Sovrano della Cabala nera si sgretolò, svanendo per sempre.
Aki rimase ad osservare la pozzanghera di nero lì davanti, imitato dal compagno. Poi, di scatto, si portò le mani al petto, inginocchiandosi a terra e vomitando qualcosa che doveva corrispondere ad una scatola di proiettili. Emise un altro strepito, dolorante, per poi rimettere ancora.
“AKI…!” sgranò gli occhi, Angel, quando vide tutte le armi staccarsi dal corpo del compagno, mentre il poncio che lo avvolgeva si sgretolava al vento.
Poi, finalmente, la testa della pistola che aveva in mezzo alla fronte si staccò a sua volta, colando a picco collegata da filamenti appiccicosi di sangue. Liberando finalmente i suoi splendenti occhi azzurri. Prese lunghe boccate di respiro, passandosi le mani tremanti sul suo viso.
Sono… sono ancora vivo?
“AH! Pazzesco: mai mi sarei aspettato di rivedere un moccioso umano sostenere il potere di un Araldo in modo così divertente!”
Aki sussultò, voltandosi di scatto verso destra ed incontrando il Cavaliere della Guerra e Rovina, il primo che lo stava guardando a braccia conserte ed annuendo compiaciuto.
“Una mini esplosione nucleare, Hayakawa? Sul serio!? Anche meno!” rise il Cavaliere, seguito dallo sbuffo della cavalla.
Il Sacerdote, dopo lo smarrimento iniziale, sorrise “Qualcosa mi dice che avresti potuto fare di peggio…”
“Oh certo! Ma se avessi fatto io ciò che hai fatto tu oggi, l’America sarebbe sparita dalle mappe.”
Adesso capiva per quale motivo non lo avesse aiutato direttamente.
“Ragazzo” la voce imperiosa del Cavaliere lo fece sussultare “Ora che hai ottenuto il vero potere di un Araldo dell’Apocalisse, non potrai più tornare indietro: se stiamo parlando, in questo momento, è perché la Chiamata è sempre più vicina. Gli altri Araldi sono stati scelti e, molto presto, l’ultimo scontro contro i Demoni si consumerà lasciando terra bruciata sul tuo Pianeta. Dovrai essere pronto, e condurre la Voce del Drago alla vittoria.”
“… con tutto il dovuto rispetto” Aki sospirò spazientito “… io non ho la benché minima idea di cosa tu stia parlando.”
Guerra lo squadrò torvo. Poi scoppiò a ridere.
“Già, già… immagino di no. In fin dei conti, sarai decisamente esausto. Non si può sopravvivere all’utilizzo del potere di un Araldo senza avere una gran quantità di ripercussioni. Ti lascio al tuo riposo, umano. Non ti annoierò con ulteriori discorsi che ora non puoi comprendere. Credo che tu sia in buone mani, dopo tutto.”
Un impatto mediamente forte piegò il corpo inginocchiato a terra di Aki in avanti, facendogli sgranare gli occhi e facendo svanire la visione del Cavaliere. Lo stesso oggetto che lo aveva colpito, lo fece coricare a terra, restando appoggiato sulla sua pancia. Il moro sbatté le palpebre, rivolto al cielo, poi abbassò lo sguardo, incontrando una famigliare chioma rossa. Forse Angel disse qualcosa, ma era tutto troppo sommesso dal fatto che adesso la sua faccia era affondata contro di lui, mentre gli abbracciava la vita.
Quindi, il neo-Araldo sorrise arrossendo lievemente, poggiando una mano sulla testa del compagno e carezzandolo dolcemente, rimanendo a guardare il cielo che andava a schiarirsi sopra di lui.
Rimasero immobili per tutto il tempo necessario a riprendersi.
 
[…]
 
 “… e in sostanza, a quanto pare, sta per arrivare una specie di mostro gigante che sta per distruggere tutto. E adesso la patata bollente è stata passata a noi.”
“Mh.”
“Sono abbastanza sicuro che la Sorella Makima sospettasse questa sequenza di eventi già da prima. altrimenti non ci avrebbe consegnato le Reliquie così presto. Non trovi?”
“Hai ragione.”
Si erano lasciati alle spalle le rovine della casa di legno, dopo essere rimasti abbracciati sul freddo pavimento per molto più tempo di quanto si aspettassero entrambi, raccogliendo il poco che rimaneva delle loro cianfrusaglie. Le effigi sacre che contenevano Valak nella sua prigione pronta ad essere infranta si erano sgretolate al vento, come se una volta sconfitto permanentemente il Male che tentavano di contenere il loro ruolo fosse finalmente arrivato a compimento. Dall’abbraccio, non si erano più parlati, circondati da una pesantissima bolla d’imbarazzo.
Inoltre, Aki, era abbastanza convinto che quell’altro ce l’avesse ancora con lui per come lo aveva trattato prima. E come biasimarlo? Era stato davvero uno stronzo ed aveva detto cose che, ne era certo, non si sarebbe mai sognato minimamente di dire a mente lucida.
Era un po’ preoccupato di aver rovinato per sempre il loro rapporto.
Ma insomma… dopo quel breve momento d’intimità, voleva dire che c’era ancora qualche possibilità di rimettere a posto le cose, no?
All’ennesima gelida risposta di Angel, che lo precedeva, Aki sospirò sconsolato.
Strinse i pugni “Ehi, Angel…”
“Andiamo adesso.”
“… ehi.”
“voglio subito farmi una doccia, e lasciarmi dietro questa nottata del cazzo.”
“Aspetta…”
“Non perdiamo tempo.”
“ANGEL, PORCA MISERIA!”
Si portò di scatto le mani alla bocca, rendendosi conto di aver alzato troppo la voce. Però il collega si era fermato, voltandosi lievemente verso di lui. Non poteva vederlo in faccia, ma sicuramente lo stava guardando male.
Prese un profondo respiro, facendosi coraggio.
Non poteva certo comportarsi da codardo, adesso che lo aveva istigato, giusto?
“Angel, ascolta… quello che ho detto prima…” si passò una mano dietro la testa, imbarazzato “Non ho scuse, davvero. Neanche una. Potrei dire che la mia testa non era esattamente al suo posto, ma sarebbe solo da codardi. Ho fatto un’enorme cazzata e ti ho ferito… mi dispiace.”
“… puoi scommetterci, che l’hai fatto.”  
Beh, almeno aveva finalmente risposto. Con al freddezza di Nettuno, però lo aveva fatto.
“I-io non so come ti sarai sentito. Ho sofferto a mia volta, ma sicuramente anche tu hai subito lo stesso terribile trauma e, a differenza mia, sei riuscito ad uscirne molto più dignitosamente. Perché, a differenza tua, io sono molto più debole…” ridacchiò nervoso, sentendo le lacrime che pungevano i suoi occhi “p-però… però non voglio che tu ce l’abbia con me, davvero.”
Angel non disse nulla. Lo prese come  un invito a continuare.
“Qualcosa non va con la mia testa. Ogni giorno che passa, me ne rendo conto sempre di più! Ho deciso che avrei fatto del mio meglio per tenermi tutto dentro… per non esporre nessuno ai miei problemi del cazzo… ma se il risultato è solo arrivare poi al limite e reagire in questo modo davanti alle persone che amo…” lo guardò intensamente, con le guance bagnate “… non so se potrai mai perdonarmi… ma ti prego… non odiarmi, Angel! Farò del mio meglio per smettere di trattenere tutto, per parlare di più con voi… ma non posso farcela, senza il tuo aiuto!”
Non rispose, il rosso, ma lo vide irrigidirsi.
Si strinse nelle spalle, pizzicandosi la giacca nera con le dita.
“… pensi davvero che questa scenata basterà per farmi smettere di essere arrabbiato con te?”
“Ang-”
Il pugno alla bocca dello stomaco gli bloccò il respiro, facendolo piegare in avanti. Doveva ricordarsi che, nonostante la stazza minuta e i modi, quasi sempre, delicati, quel tipo era piuttosto violento quando ci si metteva. Aki s’inginocchiò a terra, con le mani sulla pancia, e alzò lo sguardo verso il suo interlocutore, che abbassava lentamente il braccio guardandolo con l’incazzatura che usciva dalle orecchie.
“Vuoi che ti perdoni? Comincia allora a smettere di pensare di meritarti tutte le punizioni del mondo. Non è colpa tua se la tua famiglia è morta, e anche se ti sei comportato come un bastardo, poco fa, ci vuole molto più di questo per cancellare il fatto che sei una brava persona! Soprattutto, non credere che facendo una scenata da pazzo suicida ti permetta di farmi allontanare! Non riuscirai a liberarti di me così facilmente” si diede qualche pugno sulla fronte “PORCA MISERIA AKI, sei il tipo di persona che non si ritiene degna nemmeno del più semplice ed inutile complimento. Hai idea di quanto la cosa mi faccia prudere le mani!? La modestia ti rende sicuramente sexy, ma a questo livello ti rende anche una calamita per pugni.” Affilò lo sguardo “I miei.
Lo spadaccino, inginocchiato a terra mentre recuperava il fiato, guardò il compagno che lo stava sgridando con due occhi che quasi uscivano dalle orbite.
“Adesso ti spiego cosa succederà: andremo all’albergo, ci faremo una cazzo di doccia e poi, a costo di trascinarti di peso, mi porterai da Denny’s a fare colazione. E ti conviene sganciare il portafogli, perché non ho intenzione di sborsare nemmeno un centesimo. Ci siamo capiti?”
Chiuse il discorso alzando un po’ più la voce del dovuto.
E rimasero per un po’ in silenzio, a guardarsi.
A quel punto Aki, scosso da un brivido, si portò una mano alla faccia.
Per poi esplodere in una grassa risata liberatoria, con le lacrime che scendevano dagli occhi.
L’interlocutore, sorpreso, scosse la testa “Adesso si può sapere che diavolo ti pre-”
Sia benedetto il giorno in cui ci siamo conosciuti, Angel” alzò la testa, Aki, verso l’altro Sacerdote, che adesso lo guardava con occhi sgranati “Sono così felice che tu sia mio amico. Che tu abbia ancora tutta la forza necessaria per sopportarmi. Cazzo…” si passò una mano tremante sugli occhi “… se tu non facessi parte della mia vita, non saprei nemmeno come farei respirare.”
Angel, che adesso aveva le guance dello stesso colore degli occhi, digrignò i denti ed aggrottò le sopracciglia “C-come… come puoi dire queste cose in modo così- sei davvero… davvero…
Scattò ed afferrò quel poco che rimaneva del colletto della giacca del compagno, facendolo sussultare e tirandolo verso di se. Per poi stampare le proprie labbra sulle sue, in un miscuglio di violenza e delicatezza che lo stordì come una mazzata dietro la nuca.
Quindi l’alito di Angel sapeva di menta? Chi lo avrebbe mai detto.
Onestamente? Sarebbe morto bloccato in quella posizione, ma poi il rosso interruppe il contatto con una certa irruenza, facendolo vacillare all’indietro.
Cadde sulle chiappe.
“ANGEL! MA COSA-” tornato in sé, Aki si portò una mano alla bocca, arrossendo fino alla punta dei capelli.
Quell’altro era tornato a dargli le spalle, ciondolando avanti e indietro e intrecciando le dita tra loro, con le mani giunte dietro la schiena “Quando… quando hai detto di voler utilizzare quella Reliquia, mi sono arrabbiato, perché pensavo fosse semplicemente una tua altra scusa per tentare di ammazzarti… ma poi…” prese un profondo sospiro, intrecciandosi una ciocca rossa attorno all’indice “quando sei tornato in quel… modo, e quando hai fatto il culo a Valak così platealmente… eri davvero super figo, Aki.”
Si voltò verso di lui, rosso in viso e lo puntò col dito, aggrottando le sopracciglia “Voglio ancora vedere altri tuoi lati così fighi, da ora in poi. Quindi… quindi non tentare mai più di morire, intesi?”
Mentre collegava i pochi neuroni che non erano bruciati urlando durante il bacio, il moro trovò la forza di sorridere raggiante “Te lo prometto.”
E Angel capì di essere molto debole ai sorrisi sinceri, sereni e grati. Soprattutto se attaccati al volto della persona che si ama. Si voltò di scatto con la testa bassa, con la pelle che adesso era un tutt’uno con il colore dei capelli “Idiota. Sono ancora arrabbiato con te! Prenderò le cose più costose che ci sono in quel cazzo di ristorante e ti farò finire in banca rotta!”
Aki ridacchiò, per poi tirarsi su in piedi.
“… e sorridi più spesso.” Mormorò tra i denti Angel, sperando di non essere sentito “… sei decisamente più carino quando lo fai.”
“Hai detto qualcosa?”
“Non ho parlato?”
“Sicuro?”
“Sicuro.”
E finalmente, dopo una delle notti più infernali della loro vita, i due Sacerdoti si avviarono verso l’alba, in silenzio. Ed Aki, alzando lo sguardo verso l’astro solare, si rese conto che quella luce, in un mondo dominato dal Male e dall’oscurità, per la prima volta gli sembrava molto più brillante di ciò a cui era abituato. 

E così, si conclude anche un'altra storia... CAZZO, tre storie finite in un anno? Non sembro io
se mi avessero raccontato che avrei finito di raccontare così tanti racconti, decisamente non gli avrei creduto.
Andiamo, non mi credo nemmeno adesso! COmunque sia, temo che dire questa storia conclusa sia un po' una... bugia.
Eh raga... ho aperto robe di trama abbastanza aperte... e forse non mi va poi così tanto di lasciare tutto al caso. Diciamo che, se mi dovesse girare, potrei dire 'basta' e mi metto a scrivere una long in questo AU di Chainsaw-Man. Ne ho ABBASTANZA voglia, disciamo. Anche perché è morto uno dei Sovrani, ce ne sono ancora dodici.
E molto probabilmente non rimarranno lì a compiangere il caduto. Molto probabile lo abbiano già sostituito.
E poi c'è la questione 'Bestia'. Diciamo che a qualcuno, qua, qualcuno con una certa passione per le boobies, dovrà pur metterci una pezza, no?
Ma detto ciò: non mi sarei mai aspettato di scrivere una storia simile! il BL non è esattamente il mio kind of bread. Per chi mi conosce SA che sono molto più per l'altra parte. Quella in cui posso sciogliermi davanti all'amore e alla tenderness dimostrata da un rapporto romantico tra due ragazze. Però devo ammetterlo, sono molto soddisfatto di cosa ho scritto! Certo, ho ancora i miei classici ed interminabili dubbi da scrittore che non è mai soddisfatto di ciò che scrive, ma sono contento di aver concluso la storia.
Inoltre, ormai... questi due maledetti sono a gamba tesa tra le mie top ship di CSM. Sempre dopo la Powerbeni, OVVIAMENTE.
Miei cari, grazie mille per avermi accompagnato in questo viaggio.
Spero di risentirci presto! 

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