The rainbow in my heart

di SaraPet87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Attesa ***
Capitolo 2: *** PROLOGO ***
Capitolo 3: *** GIADA ***
Capitolo 4: *** MARYLU ***
Capitolo 5: *** Il nostro primo incontro ***



Capitolo 1
*** Attesa ***


THE RAINBOW IN MY HEART ATTESA Sarò forte abbastanza o la mia anima si spegnerà nella tua attesa.

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Capitolo 2
*** PROLOGO ***


Mia nonna ripeteva sempre che affinché le cose belle accadano bisogna imparare a lasciarle succedere. “Se piloti troppo la tua vita” mi diceva “rischi di non assaporarla mai del tutto.” Non ho mai dato un grosso peso alle sue parole: mi sembravano quelle di una vecchia sentimentale. E invece sto per accorgermi di quanto fossero vere. Sono appena uscita dalla doccia. Stasera l’aria è soffocante e ho lasciato che i capelli appena tamponati mi ricadessero sulle spalle per darmi un po’ di sollievo. Mattia dorme nella sua cameretta già da un’ora. Addormentarlo è sempre più estenuante e l’ansia che si risvegli all’improvviso a causa di qualche incubo, costante. Scendo in cucina per prepararmi una camomilla. Non credo nel suo potere rilassante, ma amo il gesto di farmi questa piccola coccola prima di andare a letto. Ho appena messo su il pentolino per scaldare l’acqua quando suona il campanello. Guardo in direzione della porta, stranita. Sono quasi le undici e non aspetto nessuno. Penso ad un’improvvisata di Lisa o Marylu ma poi mi ricordo che una è in gita con figlio e marito e l’altra è fuori per un corso di aggiornamento. Il campanello suona di nuovo. “Chi è?” chiedo guardinga avvicinandomi alla porta. “Sono io, Sam.” Mi immobilizzo. Quella voce è un pugno dritto al plesso solare. Sento mancarmi il fiato e mi appoggio allo stipite della porta perché ho come la sensazione che il pavimento mi vada via da sotto i piedi scalzi. Quella voce è profumo di mentolo. È risate a crepapelle e sorrisi rubati. Litigi furiosi seguiti da abbracci imbarazzati. Mi lacera e mi ricuce nello stesso istante. “Sam potresti aprire, per favore? Sto evaporando con questo caldo.” Penso se farlo soffrire ancora un altro po’: per certi versi se lo meriterebbe. Ma la voglia di vederlo è così forte che ho già la mano sulla maniglia. Apro. E Noah è lì. Davanti ai miei occhi increduli.

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Capitolo 3
*** GIADA ***


Sono in ritardo. Come al solito. Lisa mi dice sempre che dovrei puntare l’orologio con almeno 15 minuti di ritardo in modo da arrivare puntuale agli appuntamenti. Lisa è la mia amica precisa e meticolosa, quella che se la vedi pensi abbia avuto tutto dalla vita: un bambino bello e sano, un marito che la ama e una carriera avviata verso il migliore dei futuri possibili. A volte, mi chiedo come faccia ad esserle così amica senza provare rancore. Ci conosciamo dalle elementari e paragonare le nostre vite è quasi inevitabile. Eppure so perfettamente che anche le cose che luccicano di più possono nascondere qualche macchia. Nonostante sia ormai aprile, l’aria è gelida e il vento mi soffia tra i capelli scuri e spettinati. Essere spettinata è una mia prerogativa. Pettinarmi mi sembra una perdita di tempo, un po’ come stirare. Mi tiro su il cappuccio della felpa mentre frugo nella grossa borsa a sacca di finta pelle nera in cerca delle chiavi della macchina. La terapia inizia tra 10 minuti e io mi trovo ancora dall’altra parte della città. Parcheggio la Smart bianca sulle strisce pedonali. Mi ero completamente dimenticata che di mercoledì ci fosse il mercato e il traffico congestionato mi ha fatto accumulare svariati minuti di ritardo, oltre al farmi esibire in epiteti poco lusinghieri verso gli altri conducenti. Augurandomi di non prendere multe scendo velocemente dalla macchina e suono il campanello. L’edificio è una vecchia palazzina di fine anni ‘60. Al secondo piano, dove vengo ricevuta, le stanze sono grandi e le pareti ricoperte di libri e fumetti. Sul fondo una cucina dove è possibile cucinarsi il pranzo o preparare un caffè per fare una pausa. Sembra più un’abitazione che una scuola di Psicoterapia. Una ragazza con una stretta coda di cavallo e pantaloni a sigaretta color caramello mi si avvicina chiedendomi se abbia bisogno di un bicchiere d’acqua. Scuoto la testa e non posso fare a meno di notare quanto sia curata. Sono anni che non mi prendo più cura di me in quel senso. Cinque per la precisione. Da quando è nato mio figlio e Andrea si è volatilizzato nell’etere in perfetto stile Houdini. “Ho appuntamento con la dottoressa Giada. Mi chiamo Sam.” dico sorridendo alla ragazza. “Sono in ritardo.” Ho appena finito di presentarmi che una giovane donna fa capolino dal corridoio retrostante. Ha morbidi capelli castani lasciati sciolti sulle spalle che incorniciano uno sguardo dolce e accogliente ma anche molto attento. “Ciao Sam.” “Ciao Giada. Ti chiedo scusa per il ritardo.” “Non preoccuparti. Stanza in fondo al corridoio a sinistra. Siediti dove vuoi. Arrivo subito.” Ci sono almeno due motivi per cui Giada è così gentile con me, nonostante l’evidente ritardo. Il primo è che non sono solo una sua paziente ma anche una studentessa della scuola al secondo anno e lei quando non è la mia terapeuta è la mia tutori didattica. L’altro motivo è che che io faccia 10 minuti di colloquio o i canonici 50, il suo compenso sarà sempre lo stesso. Capisco che un discorso del genere possa sembrare meschino e farla apparire priva di tatto. Eppure è uno dei cardini della psicoterapia: l’impegno nell’ intraprendere un percorso terapeutico parte anche dall’essere presenti e puntuali. Rispettare gli appuntamenti e gli orari è indice della nostra volontà di prendere le cose sul serio. Se non lo siamo, il terapeuta era comunque lì per noi. E nessuno lavora per la gloria. Il tempo costa denaro. Mi dirigo nella stanza che mi è stata indicata e prendo posto sulla solita poltrona gialla e con la seduta un po’ scavata: quella che dà le spalle alla porta, quasi in mezzo alla stanza. Giada si siederà sulla poltrona di fronte, davanti alla finestra. Dietro e di fianco a me ci sono due piccole librerie contenenti per lo più volumi di psicologia e le pareti sono ricoperte di maschere di legno (un po’ inquietanti per la verità) e qualche quadretto con frasi motivazionali della serie “Fai qualcosa che ami ogni giorno!”. In fondo, una scrivania dove sono appoggiati fogli e penne sparse e qualche fascicolo. Di effetti personali di chi qui dentro ci lavora neanche l’ombra: neppure una foto piccina picciò. Nel frattempo che aspetto, scruto con lo sguardo la serie di libri dalle copertine colorate sulla genitorialità alle mie spalle. Finalmente entra Giada. Si siede sulla poltrona di fronte alla mia come previsto e poggia a terra una borsa di tela beige. Mi guarda. Giada inizia le nostre sedute sempre in questo modo: con uno sguardo. Credo sia un modo per farmi sentire che da quando ci sediamo alla fine della nostra chiacchierata lei sarà lì per me. È una bella sensazione. Finalmente, possiamo cominciare.

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Capitolo 4
*** MARYLU ***


Lisa e Marylu sono entrambe appoggiate al bancone della cucina di casa mia. Stanno sorseggiando un analcolico alla frutta mentre io mangio un mix di nocciole, uvetta disidratata e anacardi pescandoli direttamente dalla confezione di plastica. Mi sento sempre affamata dopo la terapia. Come se non solo la mia mente ma anche il mio corpo si svuotasse e sentissi il bisogno di riempirlo di nuovo. Deve essere l’effetto del mettersi a nudo di fronte a qualcuno senza togliersi i vestiti. In salotto, Mattia e Giulio - il figlio di Marylu - sono buttati sul tappeto impegnati a lanciare le macchinine sulla pista della Hot wheels. Li sento bisticciare ogni tanto per la macchinina che deve lanciare ognuno, ma la situazione è tutto sommato sotto controllo. Giulio è uno dei pochi bambini con cui Mattia riesce a rimanere tranquillo. “Stasera andiamo al sushi?” Marylu interrompe il flusso dei miei pensieri “Prendiamo la formula All You Can Eat e ci sfondiamo di sashimi e onigiri!” “Ho promesso a Luca una cenetta romantica. Giulio è dai nonni stasera….” risponde Lisa rigirando la cannuccia nel bicchiere. Marylu sbuffa e fa una faccia fintamente esasperata: “uuuuuh, i soliti piccioncini!” “La tua è tutta invidia!” la canzona Lisa. “Puoi giurarci!” Marylu ride e noi con lei. Io e Lisa sappiamo che la sua risate nasconde un velo di tristezza. Ho conosciuto Lisa durante gli anni universitari, mentre io stavo seguendo la specialistica in Neuropsicologia e lei studiava Lettere in una facoltà poco lontana dalla mia. Ci incontravamo tutte le mattine allo stesso bar dove facevamo colazione. Alla fine, mettersi a parlare è stato spontaneo. Così come lo è stato il suo ingresso nel duo, fino ad allora privatissimo, composto da me e Lisa. Ai tempi, Marylu era felicemente fidanzata con la prima cotta del liceo. La loro sembrava una favola da commedia romantica, una di quelle storie che sarebbero durate per sempre dove si finisce col diventare vecchi insieme e camminare lungo le vie della città mano nella mano. Poi lui aveva avuto un incidente in moto e si era lesionato le vertebre toraciche e quelle lombari, finendo su una sedia a rotelle da cui, secondo i medici, non si sarebbe mai più alzato. E così aveva deciso di lasciarla, nonostante Marylu non si fosse fatta abbattere e si prendesse cura di lui con una devozione e un amore senza confini. Ti sto solo rovinando la vita, meriti la libertà di vivere una relazione che non ti costringa a fare la badante. Per lui probabilmente era stato un gesto d’amore. Per Marylu uno di puro egoismo. Come spesso accade quando capitano le cose brutte, la sua esperienza ci aveva avvicinate ancora di più. Dopotutto, avevo sperimentato sulla mia pelle cosa significasse perdere qualcuno con cui avevi progettato di passare la vita insieme: il mio ex si era dileguato due anni prima, quando gli avevo detto di essere incinta. Reagiamo alle esperienze negative in maniera intima e personale, ma spesso c’è un filo invisibile che lega le persone colpite da certi tipi di dolore. Le persone che hanno sofferto si riconoscono a vicenda. Io avevo reagito chiudendomi in me stessa, riversando tutte le mie energie su Mattia e annullando la mia essenza di individuo con bisogni e desideri. Marylu si era buttata a capofitto nel lavoro ed era diventata insegnate di ruolo. Ostentava serenità e aveva imparato ad usare l’umorismo come meccanismo di difesa. Ma si era anche tinta una ciocca di capelli blu, il colore della moto dell’ex. Quella ciocca blu era come i fiori posati sulla tomba di una persona amata e persa. Marylu aveva vissuto un lutto e quella ciocca blu diceva: “tu non ci sei più, ma io ti porterò sempre con me.” “Ooooooooh” Marylu richiama la mia attenzione “tu che mi dici per stasera?” “Cosa?” domando cadendo dalle nuvole. “Eccola là! Sei di nuovo partita per la tangente con le tue riflessioni da psicoterapeuta?” mi sfotte Lisa. “Taci!!” le faccio la linguaccia. “Allora ci vieni al sushi o no?” Lancio un’occhiata a Mattia. L’idea di lasciarlo provoca in me un vortice di sensi di colpa. Anche se so che il problema è più mio che suo e che, anzi, lui sarà più che felice di spararsi una puntata di Booba dietro l’altra insieme a Laura, la ragazza che chiamo in caso di necessità. E, in fin dei conti, una serata con un’amica non può che farmi bene. “Chiamo Laura e le chiedo se può venire a dare un’occhiata a Mattia. E basta che non facciamo troppo tardi: domani mattina ho appuntamento con Marco prima del lavoro.” Lisa e Marylu si lanciano un’occhiata densa di significati. “In effetti sarebbe imperdonabile che tu facessi tardi con Mr. Carta Da Parati!” mi ammonisce la prima, puntandomi l’indice contro. “Smettetela!!! Tutte e due! Sapete che non c’è niente tra noi.” “Noi lo sappiamo. Ma lui?” Le zittisco con uno “shhh” mentre prendo il cellulare dalla tasca della tuta e digito la chiamata rapida per Laura. È disponibile: sarà qui per le 19. Comunico la notizia a Marylu. Lei mi si avvicina e mi butta le braccia al collo. “Sushiiiiiiiii!!!”

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Capitolo 5
*** Il nostro primo incontro ***


Laura è arrivata puntuale e io mi sono subito raccomandata di non stimolare troppo Mattia durante la mia assenza. Mattia è un bambino che in gergo si definisce "altamente sensibile": il suo cervello riceve gli stimoli in maniera diversa elaborandoli a un livello più profondo. Questo fa sì che si sovraccarichi facilmente buttandolo in uno stato di agitazione difficile da gestire. Il che, se avviene prima di andare a dormire, significa passare quasi certamente una notte infernale. Di Alta Sensibilità mi occupo anche nel mio lavoro di Psicologa ed è stato proprio mio figlio a spingermi in questa direzione. Quando sfociava in pianti incontrollabili e tutti mi dicevano che era normale, che era solo un bambino e i bambini piangono, il mio istinto e la mia formazione mi hanno spronata ad andare più a fondo. L' Alta Sensibilità non è una malattia, ma solo una caratteristica della persona: è come avere i capelli biondi o castani, essere alti o bassi, grassi o magri. Ma conoscerla può essere di grande aiuto. Soprattutto quando sei una madre single che già spende molte ore della sua giornata tra le lacrime. Laura mi ha tranquillizzata e io ho salutato Mattia con un bacio sulla guancia e mille parole di rassicurazione. Io e Marylu camminiamo verso il ristorante: le vie sono semi deserte un po' perché siamo in mezzo alla settimana, un po' perché l'aria è fredda e minaccia pioggia. Io indosso dei jeans e ho fatto lo sforzo di cambiare la felpa. Sono struccata e i miei capelli sono raccolti in una coda spettinata. Non mi interessa granché del mio aspetto, ad essere sincera. Ci pensa Marylu ad alzare il livello estetico del nostro duetto con il suo vestitino di lana blu notte stretto in vita da un cinturone, i tronchetti con il tacco alto e grosso e un trucco leggero che fa risaltare i suoi meravigliosi occhi verdi erba. 'L'isola del sushi' si trova in Piazza della Sala, nel centro della città. Di giorno questa piazza quattrocentesca ospita il mercato giornaliero di frutta e verdura, ma di sera le luci dei locali si accendono per aperitivi e cene. Entriamo nel piccolo ristorante dalle tende a righe rosse e gialle e ci accomodiamo al tavolino per due che ci viene indicato. "Ho voglia di involtini!" annuncia subito Marylu "Voglio mangiarne fino a star male! È una vita che non metto piedi in un sushi!" "Sì ma non esageriamo che poi dobbiamo pagare comunque." la ammonisco io. Marylu ha, come direbbe mio padre, gli occhi più grandi della pancia. Sarebbe capace di ordinare cibo per un esercito solo per la soddisfazione di riempirsi lo sguardo. Ovviamente esageriamo. Le portate arrivano a rotazione e sembrano non finire mai. Rischiamo davvero di sentirci male. In questi casi, si può fare solo una cosa. "Bagno?" bisbiglia lei. Annuisco anche se un po' riluttante. Senza farci beccare, avvolgiamo una discreta quantità di pollo fritto, gamberoni alla piastra, avanzi di involtini nei tovaglioli di carta. Poi buttiamo tutto nelle borse e ci dirigiamo verso il bagno dove ce ne liberiamo gettandolo nel wc. Non è una cosa bella da fare e io un po' me ne vergogno. La mia amica se ne accorge. "Dai, Sam! Non è la fine del mondo. Non saremmo né le prime né le ultime a farlo. Paghiamo e usciamo a prendere una boccata d'aria!" Non so se se sue parole mi facciano stare meglio o sentire ancora più in colpa. Probabilmente la seconda. In mezzo alla piazza c'è un vecchio pozzo. Ci sediamo sulla sua pietra dura e gelida e ci mettiamo a chiacchierare. So già che quando mi alzerò avrò dei cubetti di ghiaccio al posto delle natiche. "Ehi, ragazze! Possiamo disturbarvi?" Davanti a noi ci sono due ragazzi più o meno della nostra età. Prego che non stiano tentando di rimorchiarci perché non ne ho proprio voglia e faccio cenno di sì. "Ci siamo appena trasferiti. Che cosa si può fare  di sera in questa città?" Non mi aspettavo una domanda del genere e dal sopracciglio alzato di Marylu mi accorgo che anche lei è stata colta alla sprovvista. Ma si riprende in fretta. "Facciamo un giro che ve lo mostriamo." O mio Dio no, penso. È tardi. Domani devo alzarmi e Mattia mi aspetta. Non mi pare proprio il caso di improvvisarmi guida turistica per due sconosciuti. Perché Marylu ha sempre queste iniziative bizzarre? "Fantastico!" esclamano in coro. "A proposito, non ci siamo presentati. Io sono Giorgio." "Francesco." E niente. Mi ritrovo a mostrare la città a due perfetti estranei insieme alla mia migliore amica. Ho avvisato Laura del ritardo assicurandole che non farò più tardi delle undici. A quando pare Mattia sta già dormendo. Marylu parla a spada tratta. Io per lo più ascolto e, ogni tanto, bofonchio qualche sillaba. Giorgio e Francesco vengono dalla Sicilia ma sono emigrati al nord per intraprendere la carriera di Paracadutisti della Folgore. "Ci hanno spostati alla caserma Marini da un paio di giorni" spiega Francesco. "A proposito. Ecco Noah!" Questo Noah sta parlando fitto fitto al cellulare e quando ci vede fa un cenno con la mano ai suoi compagni. Lancia un'occhiata furtiva a me e Marylu, poi abbassa lo sguardo e torna a camminare spazientito avanti e indietro sul marciapiede con una mano che tiene il cellulare e l'altra in tasca. Deduco che la telefonata lo stia agitando. Noi continuiamo a passeggiare. Marylu e Giorgio sono avanti e parlano tra loro con una certa intensità. Francesco è più silenzioso. Forse il mio controllare l'ora di continuo non lo invoglia ad intavolare una conversazione. Mi rendo conto che qualcosa nei movimenti di Noah attira la mia attenzione. Sono curiosa di sapere cosa sta dicendo: sarà la psicologa che è in me che si attiva ogni qual volta qualcuno mi sembra in difficoltà. Dopo circa dieci minuti lo vedo chiudere la chiamata e avvicinarsi. "Scusate" dice un in tono concitato "mio padre". Giorgio e Francesco si limitano ad annuire senza dire niente: evidentemente è un tasto delicato. Poi è un attimo. Senza che io me ne accorga mi ritrovo a camminare al suo fianco. Lui fa su e giù dal bordo del marciapiede. "Anche tu ti sei trasferito da poco?" è una domanda retorica ma non so come rompere il ghiaccio. "Mi sono trasferito dalla Calabria da otto anni. Ma sì: sono arrivato qui da poco." "Ah, sei calabrese." "Sorpresa?" mi chiede con un mezzo sorriso "pensavo si intuisse dall'accento." Alzo le spalle: "Il tuo nome mi ha mandato in confusione. Noah non mi sembra un tipico nome del sud, ecco." mi giustifico. Lui fa una breve risata: "no, hai ragione. Ma mia madre è fissata con Noah Kornor. È uno scrittore statunitense. Lo conosci?" Scuoto la testa. "Immaginavo! Lo conosce solo lei. E tu, invece? Come mai ti chiami Sam?" "Oh, il mio nome è Samantha. Sam è solo un diminutivo." "E cosa fai nella vita Sam?" si informa. "Mi sto specializzando in Psicoterapia" rispondo "sono una Psicologa." Mi aspetto già qualche battutina ricca di cliché. Invece Noah resta in silenzio. "Ti prendi cura del prossimo" dice serio "deve essere bello, ma anche stancante." Sono stupita. Parlare con questo sconosciuto si sta mostrando davvero gradevole. E dire che ho sempre difficoltà ad aprirmi con chi conosco poco o nulla (come in questo caso). "In un certo senso anche il tuo è un mestiere dove ti prendi cura dell'altro." Per la seconda volta, Noah scoppia a ridere. Questa volta la sua risata è più piena e contagia anche me. "Sì, ma ti prego: non dirlo in giro! Non ti crederebbe nessuno se dicessi che noi Paracadutisti facciamo un lavoro altruista!" Immagino sia vero e avverto un po' di amarezza nella sua risata. Senza accorgercene siamo arrivati in Piazza San Francesco, punto principale di ritrovo della città. Sento una goccia colpirmi la fronte e scendermi lungo il naso. Ci mancava solo la pioggia! "Accidenti, fa sempre così freddo da queste parti?!" sbuffa Giorgio soffiandosi sulle mani nel tentativo di scaldarle. "Direi che è meglio rientrare..." interviene Noah. Sono d'accordo anche se realizzo che salutarlo un pochino mi dispiace. "Ragazze, ci lasciamo i numeri?" questa volta è Francesco a parlare. Lo chiede ad entrambe, ma il suo sguardo è tutto per Marylu. Penso che è da una vita che qualcuno non mi chiede il numero di cellulare: solo contatti Facebook o Instagram, ormai. Come usava ai vecchi tempi, iniziamo a farci squilli per salvare i rispettivi numeri. Poi è il turno di Noah. "Io preferirei di no. Non ve la prendete." Il suo sguardo, invece, è tutto per me. Rimango spiazzata per un attimo. Vorrei dirmi di non esserci rimasta male, ma mentirei a me stessa. Non sarò la gnocca di turno ma mi era sembrato che parlare con me gli fosse piaciuto. Lui deve essersi accorto di avermi indispettita, ma io riprendo in fretta il contegno. "Figurati. Non ci conosciamo neppure." taglio corto "andiamo Marylu?" È stato bello passare una serata diversa dal solito e Noah diventa un piacevole ricordo lungo la strada verso casa.

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