These are the days of our lives (I giorni della nostra vita)

di Lella73
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - Una ragazza in due… ***
Capitolo 2: *** 2 - Io me ne andrei ***
Capitolo 3: *** 3 - California dreamin'… ooops! Normandia dreaming… ***
Capitolo 4: *** 4 - Un'estate al mare ***
Capitolo 5: *** 5 - Bocca di Rosa ***
Capitolo 6: *** 6 - tre settimane da raccontare ***
Capitolo 7: *** 7 - Ti voglio bene (non l'hai mica capito) ***
Capitolo 8: *** 8 - Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto ***



Capitolo 1
*** 1 - Una ragazza in due… ***


Capitolo 1 - Una ragazza in due
Soffre di più chi ama senza essere riamato

André se n'era accorto molto prima di lei. Se n'era accorto dall'incedere nervoso, dal modo in cui impartiva bruscamente gli ordini ai soldati della guardia reale, dall'insofferenza che dimostrava nei confronti del tenente Girodelle… ma soprattutto se n'era accorto dai suoi silenzi, dallo sguardo privo di attenzione quando sembrava guardare oltre l'orizzonte e dal non cercarlo più per le sue confidenze: Oscar stava scoprendo che dentro di lei c'era un cuore di donna… e così come se n'era accorto ben prima di lei, si era anche subito reso conto che quel cuore di donna non stava battendo per lui.


Seduto sui gradini antistanti il sontuoso ingresso di palazzo Jarjayes, André guardava in silenzio Oscar e il conte di Fersen sfidarsi al fioretto. Osservava il conte rivolgendogli di tanto in tanto qualche sguardo furtivo: pensava che non esistesse in tutta la Francia un uomo più solo di lui. Veniva spesso a palazzo Jarjayes; si intratteneva con Oscar e con lui… chiacchieravano… bevevano… Arrivava sempre con le spalle curve e quando se ne andava sembrava sempre più solo di quando era arrivato. Non veniva mai avanzando richieste, ma solo in cerca di amicizia e compagnia sincera, tormentato da una malinconia tangibile nel sorriso mite e da una tristezza struggente che traspariva nei begli occhi grigi.

In realtà passavano assieme pomeriggi o serate piacevoli. Fersen era brillante, la sua conversazione era interessante e sapeva persino essere spiritoso, prestandosi volentieri alla risata e non rifiutando mai un bicchiere in più, fosse di vino o di liquore. In quei momenti di spensieratezza, in cui tutti e tre mettevano da parte i loro ruoli e le loro vite, per essere semplicemente giovani e liberi di essere tali, André vedeva Oscar trasformarsi lentamente: il sorriso si addolciva, lo sguardo acquistava un languore che non aveva mai conosciuto, il tono di voce si faceva morbido, abbandonando per un momento la consueta severità marziale.

 

Una stoccata rapida, un movimento agile e aggraziato quanto veloce e preciso e Oscar aveva concluso la sfida. Fersen sorrise, allargando le braccia in un gesto di disarmata rassegnazione, inchinandosi appena in segno di rispettoso omaggio. Sorridendo a sua volta e invitandolo a bere qualcosa nello studio, Oscar gli porse la mano, che lui avvolse in una presa vigorosa e cameratesca, accettando l'invito. André si alzò, seguendoli in silenzio.

Seduti davanti a un tavolino intarsiato, Oscar e Fersen presero i bicchieri di sherry che André aveva riempito per loro, mentre una cameriera serviva con gesti veloci piccoli piatti di fichi secchi e biscotti alle mandorle. Fersen assaporò con piacere: la cantina di palazzo Jarjayes riservava sempre piacevoli sorprese. "Non sono venuto per parlare di qualcosa in particolare Oscar," disse "ma solo per misurarmi con voi; era da tempo che non usavo la spada e devo dire che con voi c'è sempre da imparare.". Oscar abbassò lo sguardo, sorridendo lusingata. André notò un lieve rossore sotto l'ombra che le lunghe ciglia le disegnavano sulle guance. Fersen continuò: "André! La prossima volta vorrei misurarmi con voi! Dicono che siate molto abile, anche se il vostro stile lascia a desiderare!". André, in piedi accanto alla finestra, un bicchiere di sherry in mano, alzò le sopracciglia in un'espressione di ironico stupore: chi poteva avergli detto che era abile con la spada? Oscar? Gli parlava di lui? Quando? Finì col sorridere a sua volta: nessun altro oltre a Fersen gli dava o gli aveva mai dato del voi. Rispetto? Gentilezza? … o forse soltanto un'amicizia sincera a cui in realtà non era capace di non corrispondere: Fersen era un uomo buono, la gentilezza dei suoi modi non era che l'espressione esterna di una gentilezza d'animo che lo induceva ad essere naturalmente premuroso col prossimo. André gli rispose con garbo: "Certo! Mi batterò volentieri con voi!". Fersen terminò di bere lo sherry e contemplò per un momento il fondo vuoto del bicchiere di cristallo che teneva fra le mani, prima di appoggiarlo sul tavolino e alzarsi facendo leva sulle ginocchia con le mani. Oscar gli si rivolse con un sorriso premuroso: "Fersen perché non desinate con noi? Sarebbe un'ottima occasione per chiacchierare da buoni amici…". La dolcezza del tono, la morbidezza nel pronunciare ogni parola, l'espressione del viso intrisa di una tenerezza dal candore quasi infantile non passarono inosservate allo sguardo di André, che aggrottò appena le sopracciglia, non riuscendo a trattenere un dolore sottile che si insinuò dentro di lui. Strinse le labbra impercettibilmente, espirando, e terminò di bere quanto restava nel proprio bicchiere.

Fersen sembrò valutare l'invito, ma poi rifiutò: "No, grazie. Oggi no madamigella Oscar…". Si era fermato tante volte… oggi no… Oscar nascose la propria delusione… Perché oggi no? Suo malgrado si trovò a pensare furtivamente a sua maestà la regina: oggi no… che lei lo aspettasse? Che avessero un appuntamento segreto? Come passavano il loro tempo assieme? Pensò alle serate passate chiacchierando fino a notte inoltrata in compagnia di buon vino e giochi di carte. Con Maria Antonietta di certo Fersen non si intratteneva in giochi di carte… lo immaginò stringerla e baciarla. Come doveva essere lasciarsi stringere e baciare da Fersen? Una sensazione di vuoto la colse alla bocca dello stomaco; sentì le labbra inaridirsi. Chiuse gli occhi solo un istante. Perché il cuore faceva così male?

Ormai il conte si era avviato verso il grande salone di ingresso di palazzo Jarjayes e Oscar lo seguiva in silenzio, guardandolo scambiare battute con André, che appena usciti recuperò il cavallo per lui.

Oscar salutò Fersen, poi rimase immobile a guardarlo allontanarsi: le spalle curve, la testa china. Avrebbe voluto seguirlo. André la osservava; un pensiero prese forma dentro di lui: "Ti sei innamorata, Oscar.". Guardò i suoi occhi azzurri farsi languidi seguendo il conte mentre si allontanava mesto. Gli sarebbe piaciuto avere qualche motivo per odiarlo, ma la verità era che al contrario sentiva per lui una grande pena. "Io credo che Fersen non se ne renda conto, ma a Parigi e forse in tutta la Francia parlano di lui." disse "Sta diventando un personaggio molto impopolare… corrono voci… dicono che la regina Maria Antonietta si sia innamorata del bellissimo Conte svedese e che si incontrino furtivamente nei luoghi più impensati…". Oscar si volse, un'espressione irritata sul volto. Certo che si incontravano! Si incontravano ovunque! Lo sapevano tutti! Lo sapeva anche lei… Lo sapeva e suo malgrado si ritrovava a pensarvi più spesso di quanto accettasse di ammettere con se stessa. André sorrise, Oscar corrugò la fronte: perché aveva sempre l'impressione che André leggesse dentro di lei? Che non riuscisse a nascondergli nulla? Le sembrò per un attimo che lo sguardo di André potesse leggere con imbarazzante chiarezza  i suoi pensieri, ma poi lui continuò: "A lungo andare tutto ciò può diventare molto pericoloso…". La sua espressione si fece seria, il tono quasi doloroso: "Comunque oggi ho notato uno strano sguardo negli occhi di Fersen… sembra che questo grande amore gli dia più sofferenza che gioia…". Oscar non sopportò di ascoltare altro e si incamminò verso l'imponente ingresso; André la seguì.

Tornarono nel salottino dove ancora le cameriere non avevano sparecchiato piatti e bicchieri. Oscar afferrò nervosamente un biscotto e raggiunse la finestra. André si sedette, la guardò; dandogli le spalle Oscar staccava distrattamente una scaglia di mandorla dal biscotto senza mangiarlo. André abbassò la testa. "Ecco…" mormorò "... io ho l'impressione che Fersen si senta in colpa per quello che sta accadendo…". Oscar non rispose. "Doveva soffocare l'amore…" aggiunse André piano. Deglutì; era ancora di Fersen che stava parlando ora? O stava parlando di sè? Sarebbe mai veramente riuscito a soffocare l'amore che provava per Oscar? Avrebbe veramente mai voluto soffocarlo? "C'è gente che ama una persona tutta la vita, senza che questa persona lo sappia…" sussurrò malinconico. Tornò a guardare Oscar, immobile in piedi davanti alla finestra; sembrava non ascoltarlo, assorta nei propri pensieri.

 

Oscar respirava nervosa, il biscotto ormai in briciole fra le dita, lo sguardo sfuggente a scrutare il paesaggio fuori dalla finestra... "C'è gente che ama una persona tutta la vita, senza che questa persona lo sappia…". Perché André doveva sempre puntualizzare ogni cosa? Perché non poteva lasciarla stare? Sentì una stizza pungente crescere inesorabile. Perché finiva sempre col riconoscersi tanto trasparente davanti a lui? … ma veramente la infastidiva che André vedesse con tanta chiarezza dentro di lei? … o la spaventava ammettere di provare per la prima volta qualcosa che non conosceva e non sapeva definire? Si girò repentinamente. Pensava di trovare sul volto di André un'espressione di compiaciuta certezza… invece riconobbe nei suoi occhi una malinconica rassegnazione che la fece sentire più esposta che mai. Immediatamente si trincerò dietro al suo carattere ruvido. "Prendi la tua spada André!" esclamò con tono perentorio "Voglio battermi ancora!". André la fissò e non potè fare a meno di sentire un'immensa tenerezza per lei: pensava davvero che sfinendosi di stanchezza e rabbia spada alla mano avrebbe potuto sfuggire a ciò che le faceva sentire il cuore pesante? Le sorrise prima di seguirla nel parco, dove ormai le ombre iniziavano ad allungarsi e la luce prendeva il colore dorato del tramonto. Sferrò due o tre colpi a vuoto e la guardò: le braccia alzate, la spada levata, i capelli indomiti,  la furia negli occhi… Pensò che non avrebbe potuto amarla mai più di così.

"André!" gridò Oscar "Farò sul serio questa volta!". In realtà stava minacciando se stessa. "Come vuoi Oscar…" le rispose André. Sorrise amaro: lui faceva sempre sul serio con lei… Desiderò che lei potesse guardarlo come guardava il conte di Fersen… desiderò prepotentemente che quel cuore di donna potesse battere per lui e lui soltanto.

Oscar attaccò fulminea. André si difese indietreggiando, ma poi attaccò a sua volta, deciso a non lasciarle alcun vantaggio. L'elsa stretta forte nella mano, la affrontò con un sentimento crescente di rabbia e determinazione, cercando di nascondere a se stesso una gelosia che non riusciva ad arginare. "Oscar dimenticalo! Dimentica il conte di Fersen!" pensò "Voglio che tu non pensi più a lui!". Sferrò un colpo violento. "Voglio che pensi a me! Voglio che guardi me!" il pensiero si insinuò in lui, inarrestabile. Avrebbe voluto urlarglielo, mentre le spade si incrociavano e il volto di lei si avvicinava; i lineamenti sembravano esaltati nella concentrazione: gli occhi luminosi quasi febbricitanti, l'azzurro incupito dalla passione nella sfida, le sopracciglia aggrottate, le labbra strette  e un rossore che André non riuscì a non trovare terribilmente sensuale sulla pelle accaldata.

Una voce accorata li distolse dal loro confronto: "Madamigella Oscar! Madamigella Oscar! La signora governante chiede di voi!". Rosalie correva per raggiungerla. André osservò Oscar: un'espressione di dolcezza comparve sul suo viso alla vista della giovane. Entrambi abbassarono subito le armi. Senza parlarsi si avviarono verso l'ingresso delle cucine.

 

La penombra li avvolse fresca. André recuperò immediatamente una bottiglia di sidro versandone due bicchieri, che bevve tutto d'un fiato uno dopo l'altro, lasciando che una goccia di liquido dorato gli corresse lungo il mento. Sua nonna lo apostrofò immediatamente: "Sei un villano! Perché non hai servito madamigella Oscar prima?!". Lui non rispose, ma si sedette al tavolo continuando a guardare Oscar. "Dov'è il conte?" le chiese l'anziana con voce severa. "Se n'è andato." rispose Oscar con tono incolore. "E perché non l'hai invitato a restare per cena?!" la incalzò. Oscar non rispose. Si sedette e prendendo il bicchiere di mano ad André lo riempì, bevendo avidamente.  "Ma che razza di modi sono?!? Lasciar andare via il conte a quest'ora senza invitarlo a cena…" la rimproverò la governante, aspra. André fissò Oscar: non aveva voluto rispondere che l'aveva invitato, il conte, ma che lui non aveva accettato; decise di tacere, sorridendo impercettibilmente, mentre sua nonna continuava a lamentarsi delle loro cattive maniere: "Razza di villani! Tutti e due! Muli con finimenti da cavalli… ma pur sempre muli!!". Rosalie aveva assistito mortificata a tutta la scena; l'anziana la prese per un braccio trascinandola con sè. "Non li guardare nemmeno!" le disse "Non vorrai diventare sfacciata come loro?!?".

Oscar alzò gli occhi dal bicchiere. André la stava ancora guardando, l'ombra di un sorriso divertito sul suo volto. Incrociando gli occhi verdi, Oscar si ritrovò a sorridere a sua volta. Si guardarono in silenzio per un attimo, poi non poterono trattenere una risata. "Villani!" sentirono la nonna di André urlare loro dal tinello.

 

Oscar era seduta alla scrivania del suo ufficio di comandante delle guardie reali; André, in piedi a pochi passi da lei, le braccia conserte, era appoggiato alla parete e la guardava silenzioso compilare documenti e verbali. Sapeva che era irritata, che i molti commenti ascoltati durante la passeggiata della regina nei sontuosi giardini della reggia l'avevano disturbata, che le riusciva difficile dissimulare un sentimento di disagio e che avrebbe voluto poter dire a Fersen di essere più discreto, non comprendendo che un sentimento così forte e intenso come quello che il conte provava per sua maestà, era impossibile da nascondere e arginare.

Con un sommesso bussare il tenente Girodelle annunciò la propria presenza prima di entrare. "Madamigella Oscar!" esordì pomposo "Sua maestà la regina vi attende nei suoi appartamenti.". Oscar lo ringraziò con distacco. Sperò se ne andasse, invece l'aspettò, con l'evidente intenzione di accompagnarla. Si sedette davanti a lei, i lunghi capelli incipriati e pettinati alla perfezione, un paio di guanti bianchi fra le mani curate e un ricco pizzo che fuoriusciva dai polsini ben inamidati della divisa.

Oscar terminò di sistemare alcuni documenti e li sistemò in faldoni ordinati, quindi fece per uscire. "André," disse "prepara i cavalli e aspettami.". Girodelle guardò furtivamente Oscar prima di rivolgere ad André uno sguardo di vago disprezzo, che lui sostenne senza abbassare il proprio. Girodelle si affrettò ad accompagnare Oscar, che già si era incamminata lungo il corridoio. André serrò la mascella e li seguì con lo sguardo; non gli piaceva Girodelle. Non gli piacevano i suoi modi sempre supponenti, il suo trattarlo con sprezzante sufficienza e soprattutto non gli piacevano i commenti poco lusinghieri e le velate critiche che muoveva contro Oscar quando pensava che lei non sentisse o non lo stesse ascoltando. André trovava che Girodelle mantenesse nei confronti di Oscar una sorta di falso ossequio che lui mal tollerava. Fingeva perciò spesso indifferenza e si allontanava, per evitare che il tenente si lanciasse in apprezzamenti talvolta  addirittura decisamente poco delicati (quando non fuori luogo), cercando in lui una complicità maschile che André non aveva nessuna intenzione di concedergli.

 

Oscar procedeva in silenzio e a passo deciso verso gli appartamenti privati di Maria Antonietta. Girodelle le marciava accanto cercando un qualsiasi spunto di conversazione: "Stasera il conte di Fersen dovrà improvvisarsi diplomatico, se vorrà incontrare la regina durante il ricevimento in onore della delegazione dei notabili di Prussia…" disse con una certa baldanza. Oscar gli rivolse uno sguardo tagliente. "Tenente!" lo ammonì con durezza "ricordate sempre chi servite!". Una risata di scherno morì sulle labbra di Girodelle. Oscar continuò: "Sapete che non tollero pettegolezzi! Se proprio non potete astenervi dal farne, cercate almeno di tacere in mia presenza.".

Raggiunto l'ingresso degli appartamenti di Maria Antonietta Girodelle fece per entrare con Oscar, ma lei lo fermò: "Non mi era sembrato di capire che foste stato convocato anche voi…" il tono fermo, l'espressione impassibile. Girodelle indietreggiò, abbassando lo sguardo, piccato: era vero, non era stato affatto convocato… Lasciò entrare il proprio comandante indugiando qualche istante prima di andarsene, girando indietro il capo un paio di volte mentre camminava  mesto lungo il corridoio. Era infastidito. Ripensò a un attimo prima: "Prepara i cavalli e aspettami." aveva detto Madamigella Oscar al suo attendente… "Aspettami."... per andare dove? … per fare cosa? Dove andavano quando lasciavano Versailles senza mai voltarsi indietro? Cosa facevano? Rientravano veramente a palazzo Jarjayes? E se veramente rientravano a palazzo Jarjayes, cosa facevano là? Trascorrevano insieme le loro serate? E cosa si dicevano quando li guardava allontanarsi parlottando a mezza voce, le cavalcature vicine? Madamigella Oscar sorrideva parlando con lui. Rideva addirittura! Ridevano di lui? Era sicuro che il servitore di Madamigella Oscar avesse dell'animosità nei suoi confronti… che facesse commenti irriguardosi sulla sua persona? Quando lo avvicinava per commentare gli atteggiamenti del giovane colonnello Jarjayes si allontanava e lo evitava. Dopotutto il comandante era una donna santo cielo! Se un uomo non poteva più nemmeno criticare una donna dove sarebbero andati a finire?

 

André accarezzava piano il muso di César, lisciando con le dita della mano destra il pelo fra i grandi occhi acquosi e sussurrandogli parole brevi, sempre le stesse, con tono tranquillo e rassicurante, mentre con l'altra mano tratteneva le redini di Alexandre, mansueto accanto a lui. Vide Oscar sopraggiungere: lo sguardo basso e cupo, il passo nervoso, l'espressione seria… non doveva esserle piaciuto quanto sua maestà aveva avuto da dirle. Quando lei lo raggiunse le offrì le briglie di César,  lei le prese e indugiò un istante, trattenendole fra le dita. "Allora Oscar," le chiese pacato "dimmi, che cosa voleva da te la nostra regina?". La guardò mentre restava in silenzio e distoglieva lo sguardo; la regina doveva averle parlato di Fersen. Gli parve quasi di toccare la delusione negli occhi di lei, di sentire quel malessere indefinibile in fondo al suo cuore, di avvertire quella ferita sottile sanguinare nel suo animo… Provò un'immensa tenerezza per lei. "Ti aspetto a casa." le disse "All'orizzonte il cielo è minaccioso, attenta a non farti sorprendere dalla pioggia.". Oscar si volse, nascondendo il viso mentre saliva a cavallo: non riusciva mai a celare niente ad André, non voleva che leggesse sul suo volto l'impazienza e la delusione. Spronó César partendo al galoppo; André la guardò allontanarsi, prima di montare a cavallo a sua volta ed avviarsi verso palazzo Jarjayes.

 

André aveva ragione: entro breve sarebbe venuto a piovere. Oscar guardava le nubi grigie e pesanti avanzare veloci nel cielo, coprendo il rossore intenso del tramonto. Seduta sull'erba, le ginocchia piegate, i gomiti appoggiati su di esse e la testa incassata fra le spalle, pensava che avrebbe dovuto sbrigarsi: non sarebbe stato piacevole cavalcare sotto la pioggia… non le piaceva la sensazione dei capelli bagnati sulla schiena: diventavano pesanti e freddi… e allora perché non si alzava? Perché non si affrettava? La verità era che non ci riusciva: ripensava a sua maestà che con il viso coperto dalle mani la pregava di portare in gran segreto un suo messaggio al conte di Fersen. Oscar avrebbe voluto che i suoi pensieri fossero di rammarico per il fatto che la regina di Francia si stava comportando come una donna qualsiasi, dimenticandosi che il grande amore di una sovrana dovrebbe essere solo il proprio popolo, invece si trovava a fare i conti con un dolore sottile che non l'abbandonava e le faceva pungere gli occhi, salendo inesorabile da qualche parte dentro di lei. Cercò di ridere di sè ma non le riuscì; una lacrima le percorse il viso suo malgrado. Ripensò alle lacrime di Maria Antonietta e se ne sentì in qualche modo provocata: perché sua maestà si era gettata in una relazione senza futuro né senso? Perché non poteva comportarsi con la dignità che il suo ruolo richiedeva? E soprattutto, perché aveva dovuto proprio far mostra del suo dolore dinnanzi a lei? E perché si sentiva in diritto di soffrire? Non era corrisposta dopo tutto? "... soffre di più chi ama senza essere riamato…" mormorò a se stessa, con un misto di frustrazione e tristezza che non riuscì a soffocare. Perché le faceva tanto male la consapevolezza dell'amore tra Fersen e la regina?

Un tuono annunciò che il temporale era vicino. Si alzò, montando César in fretta e avviandosi al galoppo.

 

Il conte di Fersen accorse alla porta sorpreso. Una pioggia insistente cadeva già da almeno mezz'ora quando il maggiordomo gli aveva annunciato la visita di una persona che si era rifiutata di entrare e che lo attendeva a cavallo davanti all'ingresso. Quando riconobbe Madamigella Oscar rimase turbato dall'espressione malinconica sul suo viso. "Voi qui!" le aveva detto, sperando di convincerla a scendere e ad accettare la sua ospitalità, ma lei non aveva nemmeno risposto ai suoi ripetuti inviti.

Quando Fersen era comparso sulla porta, Oscar era rimasta a guardarlo per un tempo indefinito, incapace di proferire parola, come in ostaggio fra l'imbarazzo che le provocava dover riferire il messaggio della regina e il disagio di dover ammettere con se stessa che  il riferire tale messaggio le provocava un turbamento… un turbamento terribilmente profondo…. Poi strinse le labbra ed espirò, quindi le parole le uscirono tutte in una volta, con la stessa precisione di un allievo intento a ripetere al precettore un brano a memoria.

"... e alla fine ha aggiunto: rimandiamo ogni cosa al ballo della prossima settimana.". Fece una pausa, poi: "È tutto". Fersen non sembrava affatto in imbarazzo ascoltandola; si rivolse a lei con gentilezza: "Vi ringrazio di cuore,  Madamigella.". Oscar annuì e accorciò immediatamente le briglie di César, pronta a partire velocemente. Fersen cercò di trattenerla: "Aspettate!" le disse "Dove andate con questa pioggia?!?", ma lei aveva già spronato il cavallo, partendo al galoppo con la testa bassa.

Fermo sulla porta, Fersen sospirò. Madamigella Oscar era un'amicizia difficile: sempre leale e tanto onesta da costringere lui stesso a porsi quella sua onestà come termine assoluto di paragone in ogni cosa. Oscar era capace di un'accoglienza calorosa e aveva una naturale dolcezza d'animo che faceva sentire chi le stava attorno protetto, eppure manteneva sempre quel distacco e quella ruvidezza che, pensò il conte, lo rendevano incapace di restituirle quello che da lei riceveva quanto ad appoggio e comprensione. Mentre la guardava allontanarsi sotto la pioggia, il capo chino sul collo del cavallo, si rese conto che la molta confidenza che riversava in lei non era in realtà corrisposta: era sempre lui a cercare la compagnia di Oscar. La sua e di André.

Madamigella Oscar gli offriva sempre ospitalità senza fare domande e lo ascoltava quando aveva bisogno di confronto e conforto… o forse solo di ascolto… André rimaneva sempre con loro, ascoltando in silenzio, senza mai permettersi un commento… eppure, le volte in cui aveva incrociato il suo sguardo, vi aveva sempre trovato un'infinita comprensione. Né lui né tanto meno Madamigella Oscar si erano mai permessi di fargli confidenze, eppure avevano sempre accolto le sue e lo avevano fatto senza mai  muovergli critiche e offrendogli piuttosto sincerità e momenti di spensieratezza. Si ritirò e guardando il maggiordomo chiudere il portone ripensò alle molte serate passate a palazzo Jarjayes: in compagnia di Oscar e André non aveva mai avuto bisogno di fingere. Con loro era sempre stato semplicemente se stesso; erano probabilmente gli amici più cari che avesse.  Sperò che spiovesse: era dispiaciuto al pensiero di Madamigella Oscar che cavalcava sotto la pioggia. Ripensò a quando tanto tempo prima Oscar si era presentata presso di lui per intimargli di andarsene. Le aveva chiesto se si fosse mai sentita sola dentro quell'uniforme… ripensandola galoppare via a testa bassa se lo chiese nuovamente.

 

La sera era già inoltrata. André guardava preoccupato dalla finestra la pioggia scendere copiosa. Pensava a Oscar: non si lamentava mai, ma sapeva che non amava cavalcare sotto la pioggia. Si coprì con il mantello e ne prese un altro con sè, prima di raggiungere le scuderie e avviarsi verso Parigi con un recalcitrante Alexandre, non contento di dover uscire sotto una pioggia battente.

Cavalcando con la testa bassa André pensava a Oscar; voleva che lei lo vedesse… che il suo cuore di donna battesse per lui… Sapeva di poter contare sul suo affetto profondo e sincero, ma questo non era più abbastanza. Del resto, non lo era mai stato… 

La scorse da lontano; era sicuro di non sbagliare cercandola sulla via di Parigi. Avvicinandosi le apparve in tutta la sua fragilità: curva sul collo del cavallo, sembrava più esile che mai… la chiamò a voce alta; la vide alzare il viso e andandole incontro le sorrise. Quando la raggiunse le offrì il mantello cingendole le spalle. Per un attimo i loro volti furono vicini e nell'azzurro di quegli occhi tristi André vide improvvisamente comparire una sfumatura di tenerezza… e, guardando il sorriso che si era aperto sul viso di Oscar, seppe che quella tenerezza  era per lui… e lui soltanto.

 

Galoppando sotto la pioggia Oscar si sentiva dolorosamente  sola, incapace di riconoscere le emozioni contrastanti che l'avevano investita. La pioggia le aveva bagnato la giubba e i capelli, appesantiti dall'acqua, la facevano sentire intirizzita; gocce fredde le scorrevano lungo il collo, facendola rabbrividire. Con la testa china sul collo di César e la fronte che ne sfiorava la criniera ispida, improvvisamente si sentì chiamare da lontano a voce alta. Alzò lo sguardo per riconoscere André che le veniva incontro. Lo vide sorriderle mentre la raggiungeva,  cingendole le spalle e avvolgendola in un mantello. Oscar levò lo sguardo sul suo viso  e non poté che sorridergli a sua volta: non era più sola.

 

Raggiunto palazzo Jarjayes André le aveva detto di rientrare velocemente: avrebbe pensato lui ai cavalli… ma Oscar aveva preferito aspettarlo e ora sedeva su un secchio rovesciato fra la paglia delle scuderie e  guardava André muoversi rapido e sussurrare parole a César e ad Alexandre. La marsina bagnata era pesante e fredda; si alzò per toglierla e appoggiarla a una delle traverse che delimitavano gli spazi per le bestie. Alcuni cani della tenuta la guardarono; uno si alzò e le si avvicinò uggiolando. Oscar si sporse per accarezzarlo dietro l'orecchio, quindi tornò a sedersi. "André!" lo chiamò a mezza voce "Cosa dici ai cavalli?". Lui si volse e la guardò, pallida e bellissima, appena illuminata dalla fiammella della lanterna poco distante. Le sorrise, poi piegò un attimo la testa di lato e alzò le spalle in un gesto noncurante: "Sempre le solite cose…" le rispose. Oscar corrugò le sopracciglia: le solite cose? E quali erano le solite cose? Rimase in silenzio. Forse era anche lei come i cavalli: forse anche lei ogni tanto aveva bisogno delle solite cose…

André terminò di sistemare e asciugare César e Alexandre; guardò Oscar. "Hai fame?" le chiese. Oscar annuì e si alzò. André prese i mantelli bagnati e guardò fuori: "Dovremo correre… piove ancora a dirotto…". Oscar fece spallucce e recuperó l'uniforme avvicinandosi alla larga porta di legno. Guardò André. "Pronto?" gli chiese sorridendo. Non aspettó la risposta. Partirono entrambi correndo a più non posso. Oscar ricordò le corse fatte da bambini: si tenevano per mano correndo finché non restavano senza fiato e tante volte finivano col rotolare a terra. Si volse solo un istante: l'espressione concentrata, André correva veloce… forse le sarebbe piaciuto poter ancora allungare una mano… Invece una mano la allungò André: avevano raggiunto la porta sul retro delle cucine di palazzo Jarjayes e lui l'aveva aperta, trascinando Oscar dentro con sè, tenendola saldamente.

 

L'ambiente era caldo e accogliente; una piccola lampada a olio spargeva una timida luce dorata. Appesero i mantelli gocciolanti al chiodo accanto all'ingresso. Residui di brace finivano pigramente di bruciare nel grande camino riempiendo l'aria di odore di fuoco e cenere. "Dammi l'uniforme!" disse André. Oscar gliela porse e lui l'appese a una sedia che sistemò davanti al camino, buttando fra la brace legna nuova per ravvivare la fiamma. Si tolse a sua volta la giacca e la appese."Vuoi darmi gli stivali?". Oscar indugiò; aveva i piedi bagnati e intirizziti, ma "No," gli rispose invece "non occorre…". André recuperó due pezze pulite da una cassapanca e ne lanciò una a Oscar. In silenzio iniziarono entrambi a strofinarsi testa e capelli, tamponando energicamente la lunghezza e asciugandosi il collo.

Oscar prese due bicchieri e cercò del vino, scegliendo fra le bottiglie già aperte nella madia, mentre André armeggiava con un coltello con cui tagliò qualche fetta di lardo, che mise a rosolare in una padella, per farcire due generosi pezzi di focaccia recuperati in dispensa assieme a qualche tocco di formaggio.

Seduti al tavolo su due sgabelli per il personale di servizio, mangiarono in silenzio; Oscar si sentiva a proprio agio: era bello non dover per forza parlare, non aver bisogno di apparire assolutamente impeccabile, non dover ostentare freddezza e distacco. La focaccia era saporita, il vino le scaldò il cuore e le mani e nel tepore della cucina i piedi ancora bagnati le parvero meno freddi. Finì di mangiare e si alzò, spostando rumorosamente lo sgabello indietro, levò le braccia inarcando la schiena e si stirò. André la osservava; lei gli si avvicinò appoggiandogli un attimo una mano su una spalla, poi afferrò la propria divisa e si incamminò verso la porta interna. "Buonanotte André." disse piano. "Buonanotte Oscar." le rispose lui.

 

Salendo le scale silenziose e buie Oscar pensava a una domanda che Fersen le aveva posto tanto tempo prima: "Non vi sentite mai sola?". Ricordò di aver risposto mentendo spudoratamente. "No." aveva detto. Ma chi voleva prendere in giro? Aveva detto che non si era mai sentita sola perché lo scopo della sua vita era diventare un generale, come suo padre. Ripensando a Fersen, le era sembrato che le avesse creduto. Sorrise di sè con amarezza: la verità invece era che la divisa non le faceva proprio nessuna compagnia. Non teneva affatto caldo al cuore, né dava un senso alle sue giornate. Sbuffò.

I corridoi di palazzo Jarjayes erano bui e silenziosi. Raggiunse le sue stanze; il fuoco scoppiettava allegramente nel camino. Una cameriera si materializzò dal nulla: "Posso aiutarvi Madamigella?". Oscar la guardò un istante: "Mi spoglio da sola." rispose con fredda cortesia. Si buttò sul letto; c'erano sempre occhi che la guardavano a palazzo Jarjayes. Inaspettatamente le balenarono alla memoria i ricordi dei soggiorni nella villa di famiglia in Normandia: le lunghe estati pigre e piene di quieta serenità passate giocando con André e trascinandolo in ogni genere di avventura piccola e grande… dopo aver accettato di comandare le guardie reali non vi erano tornati che poche volte e per soggiorni piuttosto brevi… pensò che le sarebbe piaciuto portarvi Rosalie. Nella villa sul mare la vita era semplice e informale: solo sette persone di servizio… e solamente due di loro dormivano in casa… niente occhi a guardarla continuamente… Si alzò velocemente a sedere e si tolse gli stivali scalciandoli via. Aveva ancora i piedi freddi e bagnati. Si liberò dei pantaloni e delle calze umide; avvolta in una coperta rimase lungamente seduta sulla poltrona a guardare il fuoco.


Note al capitolo 1
La storia porta il titolo di una canzone, gentilmente suggeritami da Betz73; per questo ho deciso di scegliere titoli di canzoni anche per i singoli capitoli

- Per l'intera storia:

These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

 

- Per il primo capitolo:
Una ragazza in due…
I Giganti - 1966

Molti dei dialoghi sono ripresi dall'episodio 20 della serie animata "Lady Oscar" ("Un amore impossibile") e riportati fedelmente secondo la traduzione del doppiaggio italiano.

La battuta sugli asini con finimenti da cavalli è presa a prestito da Margaret Mitchell: mi sono permessa di rubarla alla sua Mamy per offrirla a Nanny.

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Capitolo 2
*** 2 - Io me ne andrei ***


Capitolo 2 - Io me ne andrei
Il ballo in alta uniforme, Fersen parte per l'America, Oscar chiede una licenza

Il pomeriggio inoltrato volgeva lentamente verso la sera. Oscar non si era trattenuta che poche ore a Versailles ed era rientrata presto, nel cuore un'inquietudine che non riusciva a definire. Distesa negligentemente sul letto, le gambe lasciate pendere oltre il bordo e gli occhi coperti dall'avambraccio, si sentiva irritata. Dopo la sua ambasciata sotto la pioggia, Fersen non era più venuto in visita a palazzo Jarjayes; si erano incontrati saltuariamente a Versailles, non scambiandosi altro che qualche parola formale. A corte si riportava ogni genere di pettegolezzo maligno su di lui e sua maestà la regina; Oscar non aveva tollerato che se ne parlasse in sua presenza e le sue reazioni erano state talmente risolute e dure quando aveva avuto occasione di ascoltare, che dame e gentiluomini avevano iniziato ad evitarla. Solo Girodelle aveva continuato a darle il tormento, incapace di resistere alla tentazione di qualche commento gustoso di tanto in tanto.

Fuori cadeva una pioggerella sottile e tagliente e l'aria era pesante e umida, troppo calda per la stagione. Di lontano Oscar sentì un battere forte e insistente; pensò che André stesse sistemando la carrozza per la sera. Era previsto un gran ballo di gala a corte. Oscar sorrise: ad André piacevano i balli. Vi prendeva parte volentieri e lei sapeva che avendone l'occasione non gli dispiaceva affatto di poter danzare di tanto in tanto. Oscar invece non ballava mai. Non che le dispiacesse in realtà, ma non amava attirare l'attenzione e consapevole della curiosità che sempre le riservavano i nobili a corte, preferiva evitare di attirare sguardi su di sè. Ballava saltuariamente, quando accompagnava Rosalie a qualche ricevimento privato. Le piaceva l'entusiasmo che leggeva negli occhi della giovane in quelle occasioni; dopo le prime apparizioni pubbliche in cui Rosalie si era sentita intimidita da un mondo per lei sconosciuto, quando aveva finalmente potuto  conquistare una certa sicurezza, aveva iniziato a comportarsi con una naturale grazia che le procurava ammirazione e lusinghe e a Oscar piaceva osservarla, con un misto di orgoglio e affetto.

I colpi, forti e regolari, si susseguivano incalzanti. Oscar si alzò per raggiungere la finestra; dalla sua stanza poteva vedere le scuderie e la rimessa delle carrozze, con l'ingresso spalancato. Espiró rumorosamente: era in cerca di un pretesto per non recarsi a corte. Decise di raggiungere André: aveva bisogno di compagnia, di qualcuno che l'ascoltasse…

 

Oscar camminò veloce verso la rimessa sotto la pioggia sottile, inalando l'aria carica di umidità. Uscendo non aveva avuto bisogno di coprirsi: non sembrava affatto ottobre inoltrato. Si fermò sulla porta, al riparo dello spiovente. Avvicinandosi non aveva fatto rumore e André, intento a sistemare una delle più sontuose carrozze della famiglia Jarjayes, non si era accorto di lei. Era stato meticoloso: Oscar osservò che lo stemma sugli sportelli era stato lucidato e che su tutta la superficie  era stata passata la cera. In cassetta il velluto del cuscino verde scuro era stato spazzolato e le tende all'interno raccolte, formando morbidi panneggi. Oscar guardò André: accovacciato accanto a una delle ruote anteriori, batteva forte con un martello per assicurarla al perno. "André!" gli disse; lui si levò, voltandosi verso di lei.  "È inutile che prepari la carrozza!" proseguì Oscar "Questa sera non prenderò parte al ballo di corte. Invierò un messaggio dicendo che sto poco bene. Questo è tutto". Fece per andarsene, ma esitò, non sapendo bene se nella speranza che lui la richiamasse o tacesse. André strinse forte il martello nella mano e serró la mascella: eccola lì la sua Oscar. Quella che solo lui conosceva. Quella che non temeva di affrontare un intero reggimento, ma che scappava se qualcosa minacciava di svelare la sua fragilità. "Oscar!" la chiamò con cipiglio severo. Lei si volse, indecisa se rispondere o andarsene: sapeva di non poter imbrogliare André. Perché era andata a cercarlo? Le tornarono alla mente le sue parole: "C'è gente che ama una persona tutta la vita, senza che questa persona lo sappia…" ma davvero lei era innamorata? Era questo amare? Un'inquietudine più simile a un tormento che a un piacere? Si trinceró dietro un falso rimprovero: "Non urlare così! Si potrebbero spaventare i cavalli…". Che stupidaggine, pensò: le scuderie erano distanti e inoltre nessuno sapeva trattare i cavalli come André… abbassò lo sguardo e così non potè vedere l'ombra di un sorriso beffardo sul viso di lui. André le si avvicinò. "Oscar," le disse "si tratta di un ballo importante; vi prenderanno parte i personaggi più influenti del regno e tu quale comandante delle guardie di sua maestà e quale erede della famiglia Jarjayes non puoi certo mancare!". Oscar strinse le labbra. Sapeva che André non le avrebbe permesso di mentire a se stessa, eppure l'aveva cercato lo stesso. Lo guardò torva. "Non mi piace l'idea di stare tra quella gente!" gli disse brusca, le sopracciglia aggrottate "Sai bene quello che accade in certi casi! Sua maestà la regina sarà guardata con disprezzo da tutti i nobili presenti!". I pugni stretti e alzati, il tono veemente: André sentì un moto di intensa tenerezza invadergli il petto; se avesse potuto, l'avrebbe abbracciata. Le sorrise con dolcezza. "Vedi," le disse "questa a mio avviso è la ragione per cui dovresti andare al ballo. Sei  l'unica sulla quale la regina possa contare…" fece una breve pausa mentre lei lo guardava negli occhi con una sottile, dolorosa traccia di smarrimento nello sguardo. La vide pronta a ribattere, ma non gliene diede il tempo. "... anche il conte di Fersen  la pensa così…" mormorò. Oscar tacque un istante, per poi parlare a voce alta, il tono quasi rabbioso: "No! Non mi piace André! Te lo giuro! Non mi piace questo ruolo! Non voglio essere coinvolta in questa storia!". Tornò ad alzare gli occhi su di lui e trovare nel suo sguardo una tranquilla comprensione le procuró un istante di incertezza. Pensò che André fosse sempre bravo a dirle cosa non fare… perché non provava invece a dirle cosa fare una volta tanto?? Gli parlò brusca: "Che cosa dovrei fare secondo te? Minacciare con la spada tutti quelli che sparlano di loro? Tutti coloro che li guardano con tanto disprezzo?". André sorrise e per un attimo fugace a Oscar parve che nel suo sorriso il cuore le facesse meno male. Espirò rumorosamente. André rise piano: "Potrebbe essere un'idea!" la schernì con dolcezza, "Provaci Oscar!". Oscar lo fissò interdetta, poi non poté che sorridere a sua volta. Scosse la testa e si ritirò senza aggiungere altro.

 

Sceso con un balzo agile dalla cassetta, André si era affrettato a raggiungere lo sportello della carrozza e lo aveva aperto cerimoniosamente, accompagnando il gesto con un profondo inchino. Oscar aveva sorriso vedendolo inchinarsi e quando lui aveva alzato la testa, offrendole uno sguardo furbo e ammiccante, lei aveva scosso impercettibilmente il capo, simulando un falso disappunto con un'espressione vagamente divertita. André le aveva porto la mano aiutandola a scendere, altera e bellissima nella sua alta uniforme, e lei si era diretta verso il maestoso ingresso. Prima di condurre carrozza e cavalli al ricovero, André si era fermato a guardarla: l'incedere elegante, il portamento fiero, le spalle dritte, il tricorno saldamente trattenuto sotto il braccio e i lunghi capelli che ondeggiavano a ogni passo. Aveva indossato altre volte la sua alta uniforme, ma solo in occasioni formali e mai mondane.

 

Fersen si era tormentato a lungo prima di decidere se recarsi a corte per il ballo. In piedi nel grande salone delle feste di Versailles, elegantemente vestito, i capelli chiari trattenuti in una coda ordinata da un nastro di seta scura, ora teneva fra le mani una coppa di champagne da cui sorbiva brevi sorsi distratti. Pensava alle tristi notizie apprese nel pomeriggio: in America i coloni si battevano per la libertà e l'indipendenza. Il conte Lindberg aveva dato la vita per sostenerli in questa causa… Fersen sospirò corrugando la fronte: morendo il conte Lindberg aveva riempito di senso la propria esistenza… e qual era il senso della sua esistenza? Elemosinare minuti a un amore che non gli era concesso di vivere? La voce alta di un valletto richiamò la sua attenzione: sua maestà la regina Maria Antonietta faceva il suo ingresso: il seno generoso avvolto in un corpetto dal delicato color pudica, le ampie gonne fruscianti, l'elaborata acconciatura e il sorriso enigmatico nel bel volto diafano, Maria Antonietta incedeva lentamente, con il suo portamento regale, avanzando piano fra le due ali di nobili assiepati e falsamente sussiegosi, intenti in realtà a scrutare lo sguardo della regina, certi che avrebbe cercato il proprio amante fra tutti loro. Fersen sentì una fitta al cuore: un dolore sordo e intenso nella consapevolezza di amare senza averne il diritto. L'avrebbe fatta ballare tutta la notte, avrebbe servito a quei nobili infidi quello che volevano su un piatto d'argento. Dal fondo della sala fu annunciato l'arrivo di un ospite tardivo. Fersen alzò lo sguardo e rimase sorpreso nel vedere Madamigella Oscar camminare sicura verso sua maestà: austera eppure bellissima nella sua alta uniforme di colonnello delle guardie reali, guardava diritto dinnanzi a sè, non distogliendo un attimo lo sguardo da quello della sua regina.

Maria Antonietta la accolse con sincero affetto; dal momento stesso in cui l'aveva vista entrare, aveva saputo che l'amica era venuta per lei. Quando furono a pochi passi l'una dall'altra, Oscar si inchinò rispettosamente. "Madamigella Oscar!" la salutò la regina "È la prima volta che venite a corte per danzare! È forse un'occasione speciale questa?". Oscar si levò, un'espressione seria sul viso sottile. "Sì, è vero." rispose "Avete indovinato: questa di oggi è un'occasione specialissima.". La sovrana sorrise con dolcezza: "E avete già deciso con chi danzare madamigella?" chiese, "Con una dama un con gentiluomo?". Oscar la fissó un istante, poi: " Io avrei un solo desiderio questa sera: danzare con voi.". Il tono serio pareva non ammettere repliche, ma Maria Antonietta seppe riconoscere nelle parole dell'amica una supplica sincera. Annuì, offrendo la mano a Oscar, che la prese con fermezza. I musicisti iniziarono a suonare e il ballo ebbe inizio.

Fersen rimase in disparte, osservando l'infinita grazia con cui le due donne si muovevano, consapevole che la disinvolta sicurezza di Oscar aveva strappato l'attenzione malevola di tutti i presenti dalla sua persona. Si sentì meschino per non essere riuscito a controllare i propri sentimenti e soprattutto si sentì solo. Lasciando vagare lo sguardo attraverso la grande sala, scorse André a pochi passi dall'ingresso. La presenza di un amico gli donò conforto; lasciò sul vassoio di un cameriere che passava la propria coppa di champagne ormai vuota per prenderne altre due e si incamminò a sua volta verso l'ingresso: non voleva più bere da solo.

 

Il tenente Girodelle era arrivato per tempo: non voleva perdersi nulla di quanto sarebbe accaduto al ballo! Ovunque non si faceva che parlare della relazione fra il conte svedese e sua maestà la regina e lui voleva assistere personalmente a quanto di sconveniente sarebbe potuto succedere: sguardi di intesa, parole mormorate… sarebbe stato un attento osservatore. Aveva scelto con cura la mise per la sera e aveva provato un certo fastidio nel notare come invece il conte di Fersen fosse dotato di una prestanza tale e di una naturale eleganza da rendere quasi ininfluente la ricercatezza del suo abbigliamento.

Impegnato in una conversazione piacevole con due amabili gentildonne, Girodelle aveva atteso dunque l'arrivo di sua maestà la regina ed era rimasto sorpreso, quando questa aveva finalmente fatto il proprio ingresso, di veder arrivare quasi contestualmente Madamigella Oscar in alta uniforme. Non l'aveva mai vista venire a corte per ballare. Osservandola notò che nonostante la formalità dell'abbigliamento Oscar era rimasta fedele alla propria austerità, non facendo alcuna concessione alla vanità: i capelli sempre negligentemente liberi e privi di acconciatura e soprattutto nessuna traccia di cipria, né sul volto né sulla capigliatura. Girodelle provò un certo disappunto: ballando Oscar avrebbe ostentato un colorito sconveniente! L'aveva già notato durante le battute di caccia con sua maestà il re: non si era mai data pena di nascondere il fatto che fosse accaldata!

Quando vide Madamigella Oscar invitare la regina a ballare Girodelle capì che non era affatto venuta per danzare, ma solo per tener fede al suo impegno di servire sempre fedelmente la corona. Espirò stringendo le labbra; era deluso: non ci sarebbe stato nessuno scandalo con cui distrarsi per quella sera… Abbandonò le sue interlocutrici e si guardò intorno spazientito. Notò l'attendente di Madamigella Oscar vicino all'ingresso della sala; doveva essere appena arrivato. Lo raggiunse: voleva esprimergli il suo disappunto per l'insensatezza di Madamigella Oscar nel rifiutarsi di usare un minimo di belletto, ma appena iniziò a parlargli questi si scostò di un passo e gli parve infastidito… era talmente noioso con quella sua assurda fedeltà alla padrona! Non la lasciava un momento… ora si era persino intrufolato a un ballo ufficiale! Chissà cosa credeva? Pensava non ci fossero abbastanza servitori a corte per la serata? Si sentì disturbato dalla sua presenza: l'intesa che lui e Oscar sembravano sempre ostentare lo faceva sentire escluso… e non di meno trovava tale intesa decisamente inappropriata. Alzò gli occhi: il conte di Fersen incedeva verso di loro con due calici in mano! Piacevolmente sorpreso sorrise superbo: dopotutto la sua mise impeccabile non sarebbe andata sprecata! La serata sembrava prendere una piega tutta nuova e piuttosto interessante ora: avrebbe avuto notizie di prima mano!

 

Quando aveva raggiunto il salone delle feste, trattenendosi in disparte come sempre, André aveva trovato Oscar già intenta a ballare con sua maestà la regina. Maria Antonietta volteggiava fra le sue braccia con grazia e leggerezza; l'elaborata acconciatura, la scollatura generosa, il turbine di colori pallidi e trine del suo sontuoso abito la facevano sembrare una creatura eterea. Oscar conduceva la danza con sicurezza, senza distogliere mai lo sguardo da quello di sua maestà.

Girodelle gli si avvicinò; André si scostò di un passo, ma il conte, le mani intrecciate dietro la schiena, non rinunciò ai commenti che lo avevano tenuto sulle spine fino a quel momento: "Madamigella Oscar dovrebbe usare la cipria!". André dilatò le narici e irrigidì la mascella, infastidito. Non rispose e Girodelle proseguì, ma lui non l'ascoltò: "L'ho notato anche alle battute di caccia con sua maestà il re: Madamigella Oscar non fa uso di cipria mai! Guardatela!" disse indicandola con il mento "Le basta accaldarsi un attimo perché le compaia un colorito sconveniente!". André rimase in silenzio, volgendo lo sguardo altrove; scorse il conte di Fersen, fra i nobili che lo guardavano curiosi e mormoravano. Gli sembrò immensamente solo ed ebbe sinceramente pena per lui: lo sguardo malinconico, l'espressione di rassegnata accettazione… persino la figura elegante sembrava provata dal dolore e dall'inquietudine. Lo vide restituire il proprio calice a un cameriere per prenderne due pieni dal vassoio che questi gli porgeva. Il conte Girodelle continuava a parlare: ancora commenti spiacevoli su Oscar e il suo colorito vivace… André fece un passo indietro verso la porta, ma fu fermato dalla voce del conte di Fersen: "Buona sera André, anche voi qui!". André gli sorrise con gentilezza, accennando un inchino col capo. Girodelle si mosse per raggiungerli, con il braccio alzato e la mano tesa nell'intento di accogliere la coppa di champagne che Fersen stava per porgere, ma questi stava già offrendo quella stessa coppa ad André: "Vi prego amico mio, bevete insieme a me…" gli stava dicendo. André accettò con garbo; fissò negli occhi il conte,  riconoscendo nelle iridi chiare un tormento che gli trasmise tutta la tristezza che incombeva sul suo animo. Entrambi accennarono un gesto di rispetto e buon augurio sollevando appena i bicchieri in direzione l'uno dell'altro e bevvero in silenzio, sotto lo sguardo indispettito del tenente Girodelle.

"Stavo per andarmene." disse piano Fersen. André gli rivolse uno sguardo di comprensione; "Venite," gli disse "vi accompagno alla vostra carrozza.". Si allontanarono lentamente, seguiti dallo sguardo tagliente di Girodelle e di tanti altri nobili, incuranti del dolore altrui e solo interessati ad accaparrarsi qualche dettaglio in più per fomentare le chiacchiere di corte.

 

L'aria della notte era pungente. André camminava accanto a Fersen. Una nebbia sottile pioveva su di loro e quando raggiunsero la carrozza del conte i cavalli sembravano surreali, attorniati dal vapore del loro respiro e con il manto reso innaturalmente lucido dall'umidità. Un servitore aprì lo sportello della carrozza, Fersen vi si appoggiò e congedò l'uomo raccomandandogli di trovare il suo cocchiere. "Ho intenzione di andarmene, sapete?" disse. André affondò le mani nelle tasche, intirizzito. "Dove pensate di andare?" gli chiese. Fersen sembrava cercare le parole. "Credo ci sia soltanto una cosa ormai che mi resta da fare: qualcuno dirà che sono un codardo ma non mi importa… Io devo andare lontano… Anche se mi dispiace devo andare molto, molto lontano… Vi prego André, assicuratevi che Madamigella Oscar si prenda cura della regina per me.". André gli rivolse uno sguardo di infinita comprensione: "Amare non è una colpa, conte…" gli disse piano. Fersen si lasciò andare ad un sorriso mesto. "Grazie," rispose; sembrò cercare di trattenere l'emozione, poi continuò: "Se non fosse stato per Madamigella Oscar io avrei danzato con la regina Maria Antonietta tutta la sera e questo sarebbe stato pericoloso…  Avrei desiderato farlo, ma se l'avessi avuta tra le mie braccia questa sera, non sarei stato capace di nascondere i sentimenti che nutro per lei e le voci che circolano sarebbero diventate ancora più maligne… E allora sarebbe stato impossibile soffocare lo scandalo.". André corrugò le sopracciglia abbassando lo sguardo: possibile che dovesse essere tanto doloroso amare? Fersen era tormentato; si mise seduto sul predellino che sporgeva dallo sportello aperto. Le spalle curve, si prese la testa fra le mani:

"So che non sarei dovuto venire a corte questa sera…"  disse "Eppure l'ho fatto… Mi rendo conto che questa situazione è imbarazzante per lei…". André fece qualche passo per avvicinarglisi; "Voi l'amate, conte." gli disse "L'amate veramente…". Fersen lo guardò. "Già…" rispose "... e proprio perché io le voglio bene veramente, avrei dovuto fare qualunque cosa per evitare di giungere a questi estremi… Non avrei mai dovuto far trasparire i miei sentimenti…". Fu André questa volta a sorridere mesto: esisteva un modo per non far trasparire i propri sentimenti? Per nasconderli, per soffocarli? Ed era veramente giusto un mondo che arrivava ad imporre questo? Fersen continuò: "Con il mio comportamento l'ho esposta allo scandalo, l'ho  fatta soffrire enormemente...".

André gli appoggiò una mano su una spalla: "Avrebbe sofferto di più senza avervi accanto…". Un rumore di passi annunciò l'arrivo del cocchiere. André si fece indietro di un passo e Fersen si alzò: "Addio amico mio. Portate il mio affetto sincero a Madamigella Oscar.". André lo guardò; "Dove volete andare?" gli chiese. Fersen tacque un istante, poi: "In America i coloni combattono per la libertà. Mi arruolo." rispose serio salendo in carrozza. Nel buio André poteva appena indovinare la sua figura sul sedile. "Abbiate cura di voi, conte." gli disse, chiudendo lo sportello.

André si allontanò dalla carrozza e diede ordine al cocchiere di partire. Rimase immobile guardando la vettura allontanarsi finché non scomparve nella bruma. "In America…" pensò "Certo che è lontana…". Pensava al conte di Fersen; avrebbe forse potuto sentirsi sollevato per la sua partenza, invece un'amarezza triste e pesante gli riempiva il petto: un uomo gentile… un uomo per bene era costretto ad andare in guerra per un amore che non gli era dato di vivere nella sua pienezza.

 

La mitezza dell'autunno aveva lasciato il posto a un inverno particolarmente rigido e l'arrivo di temperature più tiepide era stato accolto con un certo sollievo da tutti. L'aria profumata della primavera inoltrata era piacevole e dalle ampie vetrate i colori del crepuscolo rendevano l'atmosfera morbida e accogliente.

Oscar aspettava che Rosalie scrivesse con cura tutte le sue note su Carlo Magno e in silenzio osservava André ostentando una falsa indifferenza; assorto nella lettura, André non sembrava interessato alla loro lezione di storia. In genere gli piaceva intervenire e partecipava con trasporto aiutando Rosalie e riempiendo di colore le spiegazioni di Oscar con aneddoti e curiosità che riuscivano a mantenere alti sia l'umore che l'attenzione. Da qualche tempo invece, anche se si univa sempre a loro, rimaneva in disparte, evidentemente molto interessato dai volumi che sembrava talvolta leggere e altre semplicemente consultare. Oscar non riuscì a trattenere la curiosità: "André! Cosa leggi?". André sollevò gli occhi dalle pagine e richiuse il libro sul proprio dito per non perdere il segno, mostrandole la pesante copertina di cuoio su cui si stagliavano le lettere incise in oro: "La Araucana," le disse "di Alonso de Ercilla… racconta della guerra dei conquistatori spagnoli contro i selvaggi del versante pacifico, nel Nuovo Mondo…". Oscar tacque: nei giorni precedenti aveva visto André prendere dalla biblioteca del generale volumi che riguardavano le Americhe e i viaggi delle navi francesi nelle Indie Orientali. Perché improvvisamente gli interessava tanto il mondo?

Fersen se n'era andato. Le aveva lasciato un breve biglietto in cui le annunciava di essersi arruolato per combattere a fianco dei coloni americani per l'indipendenza dagli inglesi e le chiedeva di vegliare sulla regina Maria Antonietta, ma la verità era che ormai erano poche per lei le opportunità di stare accanto alla sua regina: poco dopo la partenza di Fersen, infatti, anche lei se n'era andata, ritirandosi a una vita quasi frugale per una sovrana. Oscar sapeva che il Trianon non era lontano, ma la distanza fra il piccolo palazzo e la vita della reggia e del regno intero le pareva spesso incolmabile. Le pareva spesso incolmabile anche la distanza fra lei stessa e la regina. Non metteva in discussione la propria devozione o il proprio affetto, era piuttosto la confidenza che sentiva da tempo affievolirsi quando pensava a sua maestà: ormai percepiva la sua figura come quella di una persona cara che fosse partita per un paese lontano: una figura cui pensare con dolcezza, ma nella consapevolezza della distanza…

Quando aveva saputo della partenza di Fersen, Oscar aveva provato un grande dolore. Aveva pianto in solitudine e in silenzio. Aveva persino pregato: "Non morite Fersen… non morite…" aveva ripetuto nel buio, nelle lunghe notti di insonnia. In guerra… era tanta la sofferenza per non poter vivere un amore da spingere addirittura un uomo ad andare in guerra? Si era sentita sola nella consapevolezza che Fersen non fosse partito per lei e che non per lei sarebbe un giorno ritornato. Oscar alzò gli occhi: Rosalie aveva finito di trascrivere la lezione; le sorrise e la chiamò vicino a sè per controllare che nel suo compito non ci fossero errori. Le indicò con pazienza alcune imprecisioni e le spiegò alcuni eventi che sembrava non aver capito. Quando finì, rimandandola al posto con qualche parola di incoraggiamento, si accorse che André la stava guardando. Incrociò brevemente il suo sguardo prima di abbassare il proprio, ancora incuriosita dalle sue letture: era sicura di non sbagliare ricordando che André aveva iniziato a interessarsi a libri di paesi lontani da quando Fersen era partito. Perché improvvisamente il mondo sembrava interessargli tanto? Che volesse andarsene anche lui? Oscar ricordò il suo braccio teso verso di lei per porgerle il mantello sotto la pioggia e la sensazione di non essere finalmente più sola, mentre lui le sorrideva rassicurante. Ricordò la propria mano stretta nella sua mentre la trascinava in cucina la stessa sera e il sollievo di chiacchierare con lui senza dover più essere altri che se stessa, ogni volta che rientravano da Versailles, lasciando gli impegni ufficiali alle spalle. Per un istante provò una sorta di smarrimento: e se anche André volesse andarsene? Oscar si rese conto di non aver mai valutato l'ipotesi che a lui potesse interessare una vita diversa da quella che conduceva. A dire il vero non aveva mai nemmeno valutato se lei stessa era veramente soddisfatta della vita che conduceva: si era sempre semplicemente limitata a fare il proprio dovere. … bravo soldatino agli ordini di papà generale… Era stanca. Tornò a guardare i libri sul tavolino accanto ad André; forse anche a lei sarebbe piaciuto andarsene, almeno per un po'.

Osservò Rosalie: gli eventi degli ultimi mesi l'avevano profondamente segnata. La consapevolezza di essere la figlia della donna che più odiava al mondo e l'aver perso la sorella prima ancora che le fosse dato di imparare a conoscerla e magari anche a volerle bene, l'avevano indotta a chiudersi in se stessa. Sempre gentile e diligente, non era mai venuta meno ai propri doveri, impegnandosi con costanza nello studio, nelle esercitazioni alla spada e con le armi da fuoco e nelle molte faccende domestiche in cui con paziente obbedienza seguiva la severa governante, tuttavia c'era ora nel suo sguardo un velo di amara tristezza che sembrava rendere opaco l'azzurro delle sue iridi. L'espressione del suo viso aveva perso la meraviglia infantile che aveva fino ad allora accompagnato la sua vita a palazzo Jarjayes. Nel tempo che trascorreva con Oscar e André, aveva smesso di partecipare alle loro conversazioni, cui invece in passato era sempre intervenuta con allegro trasporto; restava piuttosto chiusa in lunghi silenzi che rendevano il suo dolore tangibile per chi le stava vicino. Oscar la accarezzò con lo sguardo. Sentiva per la sua piccola protetta un affetto profondo, che le faceva desiderare di poterla sempre tenere al riparo dal mondo. Un'ombra scurì il suo sguardo, riconoscendo la propria impotenza nel proteggere la giovane dai dolori che l'avevano colpita. Pensò che forse le avrebbe fatto bene allontanarsi per qualche tempo: le sarebbe piaciuto portare Rosalie in Normandia, dove lei era stata felice tante volte da ragazzina; lanciò uno sguardo furtivo ad André… forse se fossero partiti tutti per un po', lui avrebbe smesso di interessarsi al resto del mondo… Rimuginò per qualche istante: in tanti anni di servizio non aveva mai chiesto licenze, accontentandosi dei brevi congedi che le venivano saltuariamente concessi. E se avesse chiesto una licenza ora? Strinse le labbra, pensierosa; l'idea le parve allettante.

 

André, immerso nella lettura, di tanto in tanto alzava gli occhi per osservare Oscar; vederla occuparsi di Rosalie suscitava in lui sempre una profonda tenerezza: con lei Oscar era premurosa, la trattava con una dolcezza che a pochi concedeva e si lasciava andare ad atteggiamenti quasi materni. André amava prendere parte alle lezioni che lei impartiva quasi ogni giorno alla giovane; in quei momenti restava in disparte e si sedeva in compagnia di un buon libro, ma in realtà leggeva poco, perché preferiva seguire la lezione, intervenendo volentieri talvolta per raccontare aneddoti interessanti, altre volte per offrire un pretesto di cui sorridere, per poi mantenere più alta la concentrazione nello studio.

Erano questi, per lui, momenti preziosi in cui ritrovava una dimensione intima da condividere con Oscar. Nella tranquillità di questi attimi, infatti, Oscar sembrava spogliarsi della sua rigida corazza, per tornare a essere la "sua" Oscar, come quando rientravano da Versailles e nel tragitto verso palazzo Jarjayes ridevano scambiandosi battute stupide.

Quando il conte di Fersen era partito, André aveva pensato che Oscar avrebbe attraversato un periodo di grande tristezza, invece dopo le prime settimane di silenzi e malinconia, aveva notato piuttosto in lei una sorta di insofferenza, come un fastidio per la vita di corte e le mansioni quotidiane. L'aveva vista particolarmente contrariata, pur senza mai esprimere giudizi, dopo che sua maestà la regina aveva deciso di ritirarsi nel piccolo palazzo Trianon.

André, da parte sua, avrebbe potuto sentirsi sollevato dalla partenza del conte, invece il dolore che aveva sentito in lui quando si erano congedati l'aveva profondamente segnato e aveva finito col chiedersi mille volte fin dove un amore contrastato poteva arrivare a spingere un uomo. Era rimasto anche in qualche modo ammirato dal coraggio di Fersen, perché già guardandolo andarsene in carrozza da Versailles, si era reso conto che invece lui mai avrebbe potuto sopportare di allontanarsi da Oscar: Oscar faceva parte di lui. Profondamente. Alle volte dolorosamente, ma con un amore tale da rendergli insopportabile anche solo l'idea di allontanarsi da lei. Si era sentito tuttavia incuriosito al pensiero di terre tanto lontane come quella che il conte aveva scelto di raggiungere, così si era trovato a leggere con interesse prima testi che raccontavano del Nord America, poi altri che narravano di paesi esotici e misteriosi. La biblioteca del generale era ricca quanto la cantina di palazzo Jarjayes e per André era una fonte inesauribile di letture: l'enorme collezione di libri veniva continuamente impreziosita da nuovi volumi, che tuttavia rimanevano sovente assolutamente inutilizzati, poiché il generale si limitava generalmente a consultare documenti ufficiali, dispacci militari e carte topografiche.

André abbandonò la lettura per alzare lo sguardo su Oscar e rimase sorpreso, accorgendosi che lei lo stava guardando. Rimasero qualche istante con gli occhi impigliati, prima che lei abbassasse i propri, disegnando un'ombra sulle guance con le folte ciglia.

 

Oscar era stanca. Aveva passato la mattina a respingere nobili contrariati per l'assenza della regina Maria Antonietta a corte e a discutere con chi, deluso per non essere stato ricevuto in udienza, presentava le proprie rimostranze. Molti nobili erano arrivati a Versailles dopo lunghi viaggi e ora non si facevano remore a lamentarsi per le aspettative disattese, proclamando le proprie ragioni con parole pesanti o alzando la voce.

Quando aveva raggiunto il proprio reggimento Oscar si sentiva già innervosita e la presentazione ufficiale delle nuove reclute era riuscita a esasperarla definitivamente: ragazzetti brufolosi incapaci di marciare con ordine e di tenere le spalle ben dritte stando sull'attenti. Guardandoli, Oscar non poteva fare a meno di pensare alla dura disciplina con cui era stata educata e di ricordare che era stata probabilmente più giovane di molti di quei cadetti incapaci quando aveva assunto il comando della guardia reale. Contrariata, diede ordine affinché tutti si sistemassero a marciare come in parata e vedendo un ragazzino inciampare sui propri piedi, facendo cadere anche il compagno cui si era aggrappato e mandando fuori tempo la sua intera fila, imprecò a mezza voce per poi rimproverare tutti pesantemente. Aveva spinto il cavallo a un trotto leggero, facendo irruzione tra le file disordinate e rivolgendo alle reclute parole di disprezzo, poi si era fermata improvvisamente e ora stringeva le labbra e gli occhi, cercando di recuperare la calma espirando rumorosamente. Alzò lo sguardo e incontrò quello di André, che la osservava silenzioso presso il colonnato, accanto a Girodelle. "Piccoli idioti!" mormorò infine, poi alzò la voce: "Lavatevi almeno! Puzzate come capre!" e spronò César, allontanandosi in fretta. Era arrabbiata. Dover continuamente assorbire i malumori per le mancanze di sua maestà le procurava una grande frustrazione. Decise di meritare una pausa. Voleva partire. Avrebbe chiesto una licenza. Immediatamente. Accorció le redini, dirigendo il cavallo verso André e Girodelle.

 

André osservava Oscar: sapeva che la presentazione delle reclute, dopo l'estenuante mattinata passata a respingere nobili delusi, l'avrebbe definitivamente esacerbata. Provò una sorta di tenerezza vedendola arrabbiarsi; appena possibile le avrebbe proposto di andarsene via prima e di fare un giro a Parigi anziché rientrare subito a palazzo Jarjayes: avrebbero potuto bere qualcosa insieme e buttarsi alle spalle i malumori della giornata.

Un ragazzetto inciampò causando scompiglio fra i cadetti e Oscar, sul suo cavallo, li raggiunse al trotto, apostrofandoli tutti con parole dure. Girodelle si avvicinò ad André: "Cosa c'è che non va?" chiese brusco, evidentemente contrariato dal tono di Oscar.  "Il comandante sembra molto nervoso oggi." continuò "Avrebbe potuto lasciare a me l'addestramento dei nuovi soldati!". André non lo guardò nemmeno. "Oscar detesta l'immobilità." rispose tranquillo "La situazione a corte la esaspera. … ma voi non potete capirlo," mormorò "non la conoscete come la conosco io…". Girodelle si volse verso di lui, lo sguardo tagliente: "Hai detto qualcosa?" chiese a voce alta. André sostenne il suo sguardo. "No, niente", rispose. Girodelle si mostrò immediatamente molto disturbato. "Attento a quello che dici!" esclamò perentorio; "Ricorda qual è il tuo posto quando dai fiato alla bocca!". André lo osservò: il mento sporto in avanti, l'espressione accigliata… sembrava quasi volerlo minacciare. Serrò la mascella e scosse impercettibilmente la testa traendo un profondo respiro, prima di rivolgere lo sguardo altrove e spostarsi di qualche passo.

Oscar si era allontanata dai cadetti e ora stava impartendo loro ordini brevi e concisi. Nervosa, si muoveva incitando César a voce alta; il cavallo sembrava agitato. Girodelle la guardava infastidito: quella stessa mattina l'aveva pregata personalmente di essere cordiale con le nuove reclute. Quei cadetti venivano da famiglie prestigiose e molti  dei  loro facoltosi padri si erano rivolti proprio a lui per raccomandare i propri rampolli, nel tentativo di assicurare loro un occhio di riguardo e avviarli a una carriera che avrebbe potuto procurare loro buone posizioni. Girodelle era stato corteggiato dalle famiglie ansiose di conquistare il suo consenso e aveva ricevuto doni preziosi e lussuosi, che aveva accettato assicurando trattamenti di favore e raccomandazioni presso il severo colonnello Jarjayes. … e ora lei stava rovinando tutto con la sua solita intransigenza… Girodelle strinse le labbra e gettò uno sguardo sprezzante  verso André, che si era allontanato di qualche passo. Lo squadrò di sottecchi: aveva antipatia per quel dannato villano ripulito! "Non la conoscete come la conosco io." … come si era potuto permettere anche solo di pensarlo! Girodelle conosceva benissimo il suo comandante! Erano anni che dimostrava a Madamigella Oscar le proprie capacità! Non era sufficiente questo per poter essere certo di conoscerla più di chiunque altro? Gli tornarono alla mente i troppi tramonti in cui aveva indugiato, solo e in silenzio, guardando Oscar allontanarsi da Versailles col suo attendente… sempre fianco a fianco… spesso ridendo o chiacchierando fitto fitto, ostentando un'intimità che l'aveva sempre urtato, solleticando morbosamente la sua curiosità. … chissà cosa era potuto passare per la mente del conte de Jarjayes quando aveva deciso di affiancare alla figlia un servo che non sapeva comportarsi da servo?! Si rendeva conto il generale del pericolo che correva Oscar ogni giorno? Quei due… sempre quei due… Inseparabili come Castore e Polluce… l'uno l'ombra dell'altra… Cosa facevano quando se ne andavano? Stavano sempre insieme anche a palazzo Jarjayes? E come passavano il tempo insieme a palazzo Jarjayes? … come l'avevano passato fino ad ora? … in maniera niente affatto casta, avrebbe scommesso… Pensieri pruriginosi gli affollarono la mente. Madamigella Oscar non era mondana; frequentava pochissimo se non per dovere balli ed eventi. Come passava le sue serate quando se ne andava con quel suo attendente? Stizzito, Girodelle raggiunse André a grandi passi; "Te la scopi?" gli chiese a bruciapelo, la fronte aggrottata e il respiro alterato, per contenere una collera malcelata. André inarcò le sopracciglia, quindi abbozzò un inchino con un fare vagamente teatrale. "Un servo come me ha sempre da imparare dalla vostra eleganza, conte…" disse con tono falsamente sommesso, condito da una buona dose di sarcasmo. Girodelle alzò un braccio stringendo i pugni, sul volto un'espressione offesa di rabbia e disprezzo, ma cambiò repentinamente atteggiamento, improvvisando un sorriso tirato: Oscar si stava avvicinando. André si girò verso di lei. "André," lo chiamò a voce alta "vieni! Voglio chiedere una licenza! Partiamo! Andiamo nella villa di famiglia in Normandia e voglio che tu venga con me.".

Oscar aveva già lasciato le redini di César a uno scudiero e si era subito incamminata attraverso il colonnato, verso l'ingresso.

André sapeva che non avrebbe dovuto, ma la tentazione fu troppo forte: prima di raggiungerla si soffermò solo un istante, volgendosi verso un costernato Girodelle e offrendogli uno sguardo ammiccante e un sorriso soddisfatto. Mentre correva per raggiungere Oscar, non potè fare a meno di ridere fra sè e sè. "Davvero partiamo?" le chiese allegro quando le fu al fianco. "Sì André. Sono stanca. Voglio partire. Porteremo anche Rosalie con noi… le farà bene." gli rispose Oscar in tono grave, il viso fermo in un'espressione severa. André rimase in silenzio e le camminò a fianco, guardando dinnanzi a sè; incedendo, Oscar si volse appena per lanciargli uno sguardo rapido: fu intimamente felice di trovarlo improvvisamente straordinariamente di buon umore. Pensò che forse anche a lui facesse piacere come a lei andarsene per un po' e sperò che smettesse di interessarsi al resto del mondo.

 

Note al capitolo 2

Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 

- Per l'intera storia:
  
These are the days of our lives
 
Da "Innuendo" - Queen - 1991

- Per il secondo capitolo:
  
Io me ne andrei
  
Claudio Baglioni - da "Gira che ti rigira amore bello" - 1973

Molti dei dialoghi sono ripresi dall'episodio 20 della serie animata "Lady Oscar" ("Un amore impossibile") e riportati fedelmente secondo la traduzione del doppiaggio italiano.

- Il "delicato color pudica" dell'abito della Regina Maria Antonietta al ballo è un omaggio alla sfortunata sposa di "Fiori d'acciaio" (1989).

Per quanto riguarda le letture di André:
  
"La Araucana"
  
Alonso de Ercilla - 1569

 

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Capitolo 3
*** 3 - California dreamin'… ooops! Normandia dreaming… ***


Capitolo 3 -  California dreamin'… ooops! Normandia dreaming…
Viaggio in Normandia

La governante aveva fatto preparare bagagli e bauli con la dovizia di un militare, dirigendo le cameriere con cipiglio austero e lamentandosi continuamente di quanto poco preavviso le era stato concesso. Aveva insistito più volte affinché Oscar portasse con sè alcune persone per il servizio, ma lei era stata irremovibile, rispondendo ogni volta che il personale della villa sarebbe stato più che sufficiente. L'anziana si era quindi rivolta al nipote, raccomandandogli di sopperire a qualsiasi mancanza affinché il soggiorno di Madamigella Oscar fosse confortevole e in linea con le abitudini di palazzo Jarjayes. André si era limitato ad annuire e rispondere automaticamente "Sì nonna…" a ogni pretesa e aveva sopportato rimproveri per qualsiasi quisquilia avesse o non avesse fatto, mentre caricava ogni cosa sulla carrozza per i lunghi viaggi e preparava i loro cavalli e quelli per il tiro. 

Da tanto lui e Oscar non tornavano alla villa in Normandia; era contento e in realtà anche un po' emozionato per l'imminente partenza. Aveva trascorso gli ultimi giorni ricordando le corse a perdifiato con Oscar lungo la spiaggia, scalzi e con i calzoni arrotolati sui polpacci; aveva ripensato alla sensazione cedevole della sabbia umida sotto ai piedi e al brivido di camminare nell'acqua fredda fino alle caviglie, per poi scappare veloci fra schizzi e onde dalla sommità schiumosa, che si infrangevano sul bagnasciuga. Soprattutto, aveva ripensato ai capelli biondi di Oscar, che il vento marino sapeva spettinare con grazia infinita, e ai suoi occhi, che nelle giornate di sole intenso potevano acquistare sfumature di azzurro più profonde di quelle del mare; aveva ripensato alla tonalità piacevolmente dorata della sua pelle dopo il tempo trascorso all'aria aperta e al suo modo fresco e spontaneo di ridere quando erano soli e lontano dagli obblighi e dai ruoli di palazzo Jarjayes.

 

Oscar cercava di non mostrarsi apertamente entusiasta per la villeggiatura ormai prossima; il generale non era stato contento che lei avesse chiesto una licenza proprio ora che sua maestà era lontana da Versailles, così lei aveva evitato accuratamente ogni possibilità di scontro. Si era sentita molto emozionata nell'annunciare a Rosalie l'imminente partenza: mentre per se stessa non aveva mai mostrato alcuna vanità, aveva dovuto invece ammettere di provare una gioia sottile e un certo compiacimento nel donare alla giovane abiti, monili e accessori. La meraviglia nei suoi occhi ogni volta che le regalava qualcosa e lo stupore pieno di gratitudine con cui la guardava quando si vedeva allo specchio con un abito elegante o un cappello nuovo, la faceva sentire soddisfatta in un modo che non aveva mai conosciuto. Nei giorni precedenti la partenza Oscar aveva quindi accompagnato Rosalie a Parigi, dove avevano visitato alcuni degli atelier più rinomati; aveva scelto per lei due abiti da viaggio e le aveva fatto confezionare pantaloni e giustacuore per cavalcare e allenarsi con la spada. Le aveva anche regalato camicie da notte di batista riccamente ricamate, un paio di cappelli, nastri di seta per i capelli e scarpine con il tacco. Oscar contava inoltre di arricchire ulteriormente  il corredo della giovane una volta arrivati in Normandia. L'aveva guardata con tenerezza preparare i propri bauli assieme alla governante, che le aveva spiegato con cura quali cose una damigella per bene dovesse portare senza meno con sè in villeggiatura. Ascoltando la governante, Oscar aveva pensato che Rosalie non era solo una "damigella per bene" ma anche una damigella "di buona famiglia": ora era lei la sua famiglia. 

Rosalie era invece semplicemente rimasta affascinata da ogni cosa: fino ad allora non aveva mai nemmeno concepito l'idea di andare in villeggiatura… le era sembrato assurdo che si potesse anche solo desiderare di allontanarsi da un palazzo come quello in cui vivevano i conti de Jarjayes. 

 

Portando Rosalie in giro per atelier a Parigi, Oscar aveva ricordato le rare volte in cui sua madre l'aveva condotta con sè. Mentre André aveva avuto spesso occasione di seguire lavoranti, cuoche o persino sua nonna in commissioni di vario tipo in città o altrove, in realtà a Oscar era stato permesso molto di rado di lasciare la tenuta di palazzo Jarjayes. Non aveva messo piede a Versailles che una volta divenuta capitano delle guardie di palazzo e non aveva quasi mai visto Parigi: la rigida e severa educazione decisa per lei dal padre, non aveva infatti ammesso inutili visite in città o partecipazioni a eventi mondani che non avessero avuto un carattere ufficiale. Forse anche per questo, Oscar aveva sempre vissuto la partenza per la villeggiatura come un qualcosa di veramente straordinario rispetto al normale corso delle sue giornate: madame Jarjayes la portava infatti con sè per scegliere stoffe e tessuti e ordinare corredi da viaggio. Oscar non si era mai interessata agli acquisti che per lo più sua madre aveva sempre finito col fare senza di lei, ma aveva piuttosto cercato di guardare, scoprire e scovare tutto quello che le era stato possibile. Attenta a non perdere di vista la carrozza di famiglia, si era divertita ogni volta ad allontanarsi di qualche passo in cerca di qualsiasi esperienza: le era piaciuto guardare il viavai, avventurarsi al mercato e persino osservare le persone che litigavano. 

Terminando di sistemare i suoi effetti per il viaggio, Oscar sorrise al pensiero del senso di libertà di quei mesi estivi passati lontano da palazzo Jarjayes, quando poteva andarsene ovunque con André senza il continuo controllo paterno e loro due avevano potuto passare le loro giornate con una leggerezza che in seguito lei non aveva mai più potuto ritrovare.

 

Quando André fu pronto sul piazzale antistante l'ingresso del palazzo con la carrozza e i cavalli, la mattina era già inoltrata ma l'aria rimaneva piacevolmente pungente. Oscar e Rosalie lo raggiunsero con la governante al seguito e mentre lui montava in cassetta,  sua nonna continuò a tormentarli tutti dando raccomandazioni di ogni genere. Consegnò infine a Rosalie un cesto pesante e ben coperto  con viveri per il viaggio e finalmente permise a Oscar di chiudere lo sportello. André partì immediatamente. 

Oscar, le braccia conserte, stava comodamente appoggiata al sedile e osservava di sottecchi, con tenerezza, Rosalie sgranare gli occhi per guardare ogni cosa dal finestrino, col bel cappello di paglia annodato graziosamente con un fiocco rosa scuro sotto il mento. Il paesaggio della campagna francese si susseguiva armonioso e regolare. Dopo un paio d'ore di viaggio la giovane si assopì; Oscar frugò nel cesto e ne estrasse soddisfatta una bottiglia di Bordeaux della riserva di suo padre. Aprì appena lo sportello per sporgersi e richiamare l'attenzione di André, che arrestò i cavalli per permetterle di scendere. Oscar lo raggiunse rapidamente, la bottiglia e il cavatappi stretti in una mano, mentre con l'altra afferrava quella che André le porgeva per aiutarla a salire e accomodarsi a sedere in cassetta assieme a lui. André spronò i cavalli e ripartirono a un trotto moderato. Oscar aprì la bottiglia e bevve direttamente dal collo, offrendo poi il vino ad André, che bevve a sua volta; "Rosalie si è addormentata." gli disse Oscar. Lui le rivolse uno sguardo ammiccante: "Russa?" le chiese, un sopracciglio alzato e un sorriso divertito. "Mai quanto te!" gli rispose lei ridendo, un'espressione serena sul volto. 

Il viaggio proseguì tranquillo. Oscar e André passarono il tempo chiacchierando, bevendo vino e scambiandosi battute. André si volgeva di tanto in tanto guardando Oscar: più si allontanavano da palazzo Jarjayes e dagli impegni di Versailles, più il suo viso si distendeva in un'espressione serena; gli occhi sembravano più luminosi, senza più alcun velo sull'azzurro vivido delle iridi e si era lasciata andare a risate franche e spontanee.

 

Nel primo pomeriggio si fermarono per una sosta, svegliando Rosalie e lasciando riposare i cavalli. Stesero sull'erba la tovaglia che copriva il cesto preparato dalla governante e mangiarono assieme. 

Mentre i cavalli brucavano placidamente André si stese chiudendo gli occhi, le braccia incrociate dietro la testa. Oscar lasciò che Rosalie leggesse un po' per lei: le avventure di Robinson Crusoe. Era stato André a  suggerirle la lettura del romanzo di  Defoe… sempre ancora storie di gente che se ne andava in giro per il mondo… La voce di Rosalie era piacevole e la sua lettura fluida, ma Oscar smise di prestare attenzione alle parole e guardò André che riposava. Perché gli interessava tanto il mondo? Se avesse mai deciso di andarsene lei sarebbe rimasta sola… un'ombra scese sull'azzurro dei suoi occhi. Quando ripresero il viaggio, Oscar rimase nella carrozza con Rosalie e suo malgrado si trovò ad essere piuttosto taciturna; lasciò che la giovane parlasse e raccontasse, fingendo di ascoltarla, mentre in realtà continuava a pensare a Robinson Crusoe, all'Araucana e a tutti i libri sulle Americhe e le Indie Orientali che sembravano interessare tanto ad André negli ultimi tempi.

 

Nel tardo pomeriggio raggiunsero "Le vieux sapin", la stessa locanda dove si erano fermati tante volte lungo il viaggio da bambini. André si fermò a sistemare carrozza e cavalli, mentre Oscar entrò con Rosalie. L'ambiente caldo e accogliente le portò alla mente ricordi di cene informali e di sguardi severi da parte di sua madre, contrariata dai dispetti che lei faceva ad André seduto a tavola, composto ed educato. La contessa aveva sempre dimostrato una simpatia particolare per André bambino e ragazzino: i suoi modi dolci, così in contrasto con l'irruenza di Oscar, l'avevano sempre mossa a tenerezza nei suoi confronti. Oscar fermò tre stanze per la notte e attese André per cena. La saletta della locanda ospitava pochi avventori, tutti in abiti da viaggio.

Mangiarono a un tavolo troppo piccolo, scherzando fra di loro, scambiandosi battute e ridendo di André che fingeva di non avere spazio sufficiente, continuando a urtare Oscar con il gomito.

Rosalie, stanca per le emozioni della partenza e per il viaggio, si ritirò presto, mentre André ordinò un'altra bottiglia di vino e raggiunse Oscar, già seduta davanti al camino. Versò da bere per entrambi e si accomodò, prelevando dal suo borsello da viaggio un libro dalla spessa copertina rosso scuro, il suo taccuino e il nécessaire per la scrittura. Scambiò qualche parola con Oscar per stabilire il programma del giorno seguente e si immerse nella lettura; Oscar aveva portato con sè "La Araucana": era curiosa di vedere quale interesse potesse aver suscitato in André una storia di conquista tanto lontana. Sfogliava distratta le pagine, ma in realtà non faceva che  osservarlo: particolarmente concentrato nella lettura e attento, sembrava tornare più volte sugli stessi passaggi e prendeva spesso appunti, scrivendo brevi annotazioni anche sul libro, a margine del testo. Oscar tacque a lungo, poi la curiosità prevalse: "È interessante?"; André non alzò lo sguardo, intento a scrivere alcune note. "Abbastanza." rispose a mezza voce. Oscar si alzò repentinamente e prese il libro dalle sue mani: Jean-Jacques Rousseau, lesse sul dorso; "Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini" era il titolo inciso sulla copertina. Guardò André perplessa; "L'hai trovato nella biblioteca di mio padre?" chiese stupita. André inarcò le sopracciglia e le offrì un breve sorriso che lei trovò antipaticamente sarcastico; "Non direi. No." le rispose pacato, allungando una mano per riprendersi il libro. "Decisamente no." aggiunse, cercando la pagina da cui stava prendendo spunto per le sue note. Oscar si sentì a disagio. Non si era mai sentita a disagio con André. "Scusa." mormorò. Recuperò il proprio libro e si allontanò in silenzio; preferì ritirarsi subito. Salendo le scale continuò a guardare André con la coda dell'occhio: una cameriera l'aveva raggiunto. Forse per ritirare i bicchieri e la bottiglia… si fermò, incapace di resistere alla curiosità: la ragazza non ritirava proprio nulla. Evidentemente si era avvicinata per parlare con lui; aveva un atteggiamento un po' civettuolo e André le rispondeva in modo amichevole. Oscar non se ne rese conto immediatamente, ma riprendendo a salire lungo i gradini si accorse di essere infastidita. Entrò nella propria stanza appoggiandosi alla porta appena richiusa dietro di sè e gettò il libro sul letto poco distante, incrociando le braccia sul petto. Tutte quelle letture di paesi lontani… e ora Rousseau… Non aveva mai immaginato che André avesse interesse per qualsiasi cosa potesse essere al di fuori della vita che avevano sempre condotto assieme. Per la prima volta la solitudine le fece paura.

 

André in realtà si era accorto che Oscar si era fermata a guardarlo quando la cameriera l'aveva avvicinato. Aveva finto di nulla, ma l'aveva seguita con lo sguardo finché non era salita al piano di sopra, ascoltando distrattamente la giovane, che intanto cercava di attirare la sua attenzione. Aveva scambiato qualche parola con lei, ma poi aveva raccolto i propri effetti e si era ritirato presto. Sdraiato nel buio, aveva pensato a Oscar, al pomeriggio passato assieme in viaggio, alla sua risata sincera e cristallina quando avevano scherzato durante la cena… e poi alle sue scuse dopo che si era ripreso il libro che lei gli aveva strappato di mano: Oscar era orgogliosa; tutta d'un pezzo come il generale, raramente si scusava. Era rimasto sorpreso e ora si rigirava nel letto, stentando a prendere sonno. Pensava al conte di Fersen partito per  l'America per non poter vivere il proprio amore. Lui non se ne sarebbe mai potuto andare: Oscar riempiva ogni suo pensiero, sempre. Chiuse gli occhi e li strinse:  rivide le mani di Oscar appoggiate al seggiolino della cassetta mentre sedeva  accanto a lui: le mani chiare che avrebbe voluto stringere fra le sue. Pensò alla sua voce roca e allo sguardo limpido, ai capelli biondi e allo scollo profondo della camicia… Era veramente così sbagliato desiderare di poter amare? … di poter essere riamato? 

André si assopì tardi e sognó se stesso bambino: Oscar lo teneva per mano e correvano sulla spiaggia a piedi nudi alzando schizzi e ridendo.

 

Arrivare in Normandia fu emozionante. La residenza della famiglia Jarjayes, non troppo distante dal pittoresco borgo di pescatori, era un'elegante villa rosa pallido, con sobrie decorazioni geometriche bianche a linee e volute attorno a porte e finestre. Un'ampia balconata con una doppia scalinata introduceva all'ingresso principale, cui si accedeva percorrendo un vialetto profilato da alti cipressi, che attraversava il parco della tenuta. La villa si trovava sulla spiaggia, che poteva essere raggiunta direttamente dall'ingresso sul retro. 

Quando André aveva fermato la carrozza, la governante, Madame Lorette, si era fatta subito loro incontro, salutando con rispettosa cortesia, mentre lui scendeva dalla cassetta per aprire lo sportello per Oscar e Rosalie. 

Erano arrivati alla villa in un giorno di vento e il rumore del mare, benché attutito, poteva distinguersi chiaramente anche dall'ingresso principale, davanti al quale André aveva fermato la carrozza. Rosalie non aveva mai visto il mare. Oscar salutò rapidamente Madame Lorette, non mancando di rivolgerle un sorriso sincero, poi si affrettò ad entrare tenendo Rosalie per mano; la condusse velocemente attraverso l'ampio salone e raggiunsero l'ingresso posteriore. Quando uscirono il vento scompigliò loro i capelli e rivoltó la tesa del cappello di paglia di Rosalie; d'istinto lei lo trattenne con una mano, mentre con la bocca spalancata per lo stupore scendeva i gradini davanti all'ingresso e correva incontro alle onde spumeggianti, che si rompevano sulla spiaggia con fragore. Raggiunse la riva, bagnandosi le scarpe e l'orlo dell'abito da viaggio e piegandosi per toccare l'acqua fredda con le mani. André arrivò in tempo per vederla girarsi indietro felice a guardare Oscar, che era rimasta in piedi sulle scale, con un'espressione di infinita dolcezza nei begli occhi chiari. André si appoggiò con i gomiti alla balaustra, respirando l'aria fresca e salmastra. Oscar scese i gradini rapidamente, Rosalie le si fece incontro, il cappello ormai penzoloni dietro la schiena e trattenuto solo dal nastro attorno al collo, e lei la accolse fra le braccia, stringendola forte e baciandola sul capo, fra i capelli ormai spettinati.

 

Nella villa in Normandia la famiglia Jarjayes non aveva un maggiordomo e la cura della casa era affidata alla governante. Rientrando, Oscar si era fermata a scambiare qualche parola con lei presentandole Rosalie; aveva poi dato disposizioni per la sistemazione nelle stanze e per la cena e le aveva chiesto con gentilezza della figlia: Aurelia doveva avere pressapoco l'età di Rosalie. 

A Oscar piaceva Madame Lorette. Questa era una signora dall'età indefinita e indefinibile: il volto liscio e il corpo snello e prestante rivelavano un'età certo non avanzata, ma gli occhi neri, sempre velati da una tristezza antica, le conferivano un'espressione seria che la faceva sembrare attempata ed esprimeva continuamente una sorta di distacco nei confronti del prossimo. In realtà Madame Lorette non era affatto una persona distaccata; si prendeva anzi cura della villa con passione e ne dirigeva il personale con professionalità e sapienza. 

Era venuta a vivere nella residenza con suo marito quando non erano più che due giovani sposi e lui era stato assunto come custode. Una disgrazia l'aveva lasciata vedova prestissimo: il consorte era caduto colpito da un fulmine davanti ai suoi occhi, quando lei era in attesa della loro prima e unica figlia. Sconvolta, era svenuta e quando aveva ripreso conoscenza si era trovata in travaglio; aveva partorito sola nei propri alloggi contando soltanto sull'aiuto della moglie dell'anziano giardiniere. Quando aveva attaccato al seno la sua bambina, le aveva messo nome Aurelia, come la madre di suo marito, e aveva chiesto carta e inchiostro per scrivere ai conti de Jarjayes, certa di potersi assumere la responsabilità dell'incarico di governante della villa; non sarebbero rimasti delusi di lei e lei avrebbe garantito una perfetta gestione, purché le fosse stato permesso di restare a vivere negli alloggi che già occupava e di tenere con sé la sua bambina. 

Da allora Lorette aveva seguito con scrupolo ogni cosa e la villa era stata mantenuta in maniera impeccabile. Il fulmine che le aveva portato via il marito le aveva lasciato per il dispiacere una ciocca bianca proprio all'attaccatura dei capelli; quella striscia chiara, che si inseriva vistosamente nello chignon, attraversandole il capo dalla fronte, era rimasta come segno tangibile del dolore per la sua precoce vedovanza. Aveva cresciuto Aurelia con un'educazione rigorosa e loro due erano rimaste le sole a vivere nella villa, mentre il resto del personale abitava nel vicino villaggio o nelle campagne attorno alla tenuta.

 

Oscar aveva fatto servire la cena nello studio. La casa disponeva di un'elegante sala da pranzo, ma lei preferiva il piccolo tavolo dello studio: sistemato nel bovindo attorniato da ampie finestre, offriva infatti una struggente vista sul mare. 

Quando lei e André passavano le loro estati al mare, da ragazzini, si era sempre rigorosamente mangiato nella sala da pranzo: madame la comtesse era infatti sempre stata attaccata a certe formalità, ma le abitudini meno rigorose della villeggiatura (e l'assenza del generale) avevano permesso che André e il precettore sedessero con loro. Nello studio Oscar e André avevano invece dovuto seguire le proprie lezioni e se generalmente a palazzo Jarjayes si erano dimostrati allievi diligenti, l'ampia vetrata della villa in Normandia, con la sua vista sulle onde e sulla spiaggia, non li aveva mai aiutati a prestare troppa attenzione alle spiegazioni di monsieur Lachève, di cui ricordavano ancora sorridendo le preghiere affinché André e il contino fossero buoni con lui.

Quando la contessa aveva smesso di trascorrere lunghi soggiorni alla villa, Oscar vi era tornata altre volte con André e aveva sempre preferito mangiare con lui nello studio: erano sempre stati momenti intimi e piacevoli, durante i quali dimenticare impegni e ruoli, per poter essere semplicemente giovani, liberi e complici.

 

Dopo cena Rosalie si era ritirata presto; Aurelia l'aveva seguita per sistemarle la stanza e occuparsi di lei. Oscar le aveva guardate con dolcezza: avevano più o meno la stessa età e Oscar sperava potessero trovarsi bene assieme. Lei e André erano rimasti nello studio; lui aveva servito del Calvados per entrambi e poi era tornato a immergersi nella lettura del suo Rousseau. Ora Oscar lo osservava in silenzio, col libro fra le mani che nemmeno si prendeva la briga di fingere di leggere. Si era dispiaciuta per il proprio gesto della sera prima: era stata invadente e importuna nei confronti di André, eppure non riusciva a far tacere dentro di sè una sottile sensazione di allarmato disagio all'idea che André potesse veramente  volersi allontanare da lei. Sentì il bisogno di fare qualcosa per lui… per rimediare? Per cancellare il silenzio e la distanza? Appoggiò il libro e afferrò un doppiere, lasciando la stanza a grandi passi. André la guardò uscire, sorpreso, ma non la fermò. 

Alla luce delle candele Oscar raggiunse le cucine: Madame Lorette e la cuoca finivano di sistemare dolci e pietanze affinché fosse tutto pronto per la colazione dell'indomani. Furono sorprese di trovarsi improvvisamente al cospetto del padrone. Si inchinarono rispettosamente, per poi levarsi in attesa di ordini o disposizioni. Oscar rimase in silenzio un istante: in realtà non sapeva cosa fosse andata a cercare… era sempre André a occuparsi di lei, mai il contrario… "Cercavo qualcosa di dolce… una fetta di torta…" disse, più brusca di quanto avrebbe voluto, dandosi un tono. "André è goloso…" pensò. "Certo!" rispose pronta Madame Lorette, preparando immediatamente un piccolo vassoio d'argento su cui dispose una forchettina per dolci e un tovagliolo di fiandra. Oscar la fermò: "No, no!" le disse "Basta il piatto.". La governante la guardò incerta. "Per favore," ripeté Oscar "basta il piatto. Davvero.". Madame Lorette le consegnò allora un piattino di porcellana con una generosa fetta di torta di mele e Oscar si avviò attraverso i corridoi scuri, pensando di aver fatto una cosa stupida e che André l'avrebbe canzonata. 

Quando tornò allo studio e aprì la porta rimase in silenzio, incapace di trovare qualche parola conciliante. André la fissò, un'espressione interrogativa sul volto; "Avevi ancora fame?" le chiese allegro, offrendole un sorriso. "No," gli rispose Oscar sbrigativa "è per te. Tieni.". Si avvicinò, appoggiando impacciata il piatto sullo scrittoio con troppa foga; fece per allontanarsi ma André le strinse una mano, trattenendola: "Grazie!" le disse con dolcezza "Dai, prendine un pezzo anche tu! È una fetta grande!". In quel momento Oscar si rese conto di aver sbagliato a rifiutare il vassoio e la posata, ma André non sembrava essersi formalizzato.  Riposto il libro e il taccuino, aveva semplicemente spezzato la torta con le mani e ora gliene porgeva un pezzo, che lei accettò abbassando gli occhi e accennando un sorriso. André versò altro Calvados per entrambi, non tornò a dedicarsi alla lettura e trascorsero il resto della serata chiacchierando e prendendosi in giro.

Quando si coricò, avvolta dal buio e dal silenzio, Oscar si accorse che da che aveva chiesto la licenza non aveva più pensato al conte di Fersen e sorpresa si accorse anche che al contrario, preoccupata che potesse andarsene,  aveva invece pensato molto ad André.




Note al capitolo 3

Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 
 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

 

Per il terzo capitolo:
California dreamin'
The Mamas and the Papas - 1965


Per quanto riguarda le letture di Oscar, André e Rosalie:
- Robinson Crusoe 
Daniel Defoe - 1719
- "La Araucana"
Alonso de Ercilla - 1569
"Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini"
Jean-Jacques Rousseau - 1755

 

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Capitolo 4
*** 4 - Un'estate al mare ***


Capitolo 4 - Un'estate al mare
Ostriche e Champagne, la Marchesa De Rien, Buonanotte

Come Oscar aveva sperato, Rosalie aveva velocemente fatto amicizia con Aurelia e le due giovani passavano volentieri il tempo assieme, quando possibile. 

Le giornate si susseguivano piacevoli e tranquille, la primavera inoltrata offriva giornate lunghe e soleggiate, che loro trascorrevano assieme passeggiando, cavalcando sulla spiaggia e facendo brevi gite nei dintorni, senza trascurare la formazione di Rosalie, cui Oscar continuava a dedicarsi con passione. André aveva ripreso a seguire le loro lezioni intervenendo e aveva sorpreso Oscar, offrendole, quando rimanevano soli, qualche lettura che all'austero generale non sarebbe piaciuta e che non poteva dirsi proprio adatta all'educazione di una giovinetta per bene qual era Rosalie, ma che Oscar accoglieva volentieri, ricordando con nostalgia e forse anche con un pizzico di malizia, i libri che da ragazzini erano stati loro proibiti dal conte de Jarjayes e dal precettore e che perciò loro avevano ovviamente letto con un'attenzione e una curiosità ben più forti di quelle che suscitavano le letture raccomandate nelle ore di studio.

 

Il sole del tardo pomeriggio era tiepido e ancora chiaro; una brezza fresca annunciava il tramonto ormai imminente e Oscar sedeva con Rosalie su un ampio telo di lino steso sulla sabbia, ascoltandola ripetere la lezione di storia del giorno prima. Rosalie, in un delicato abito color malva, graziosamente accovacciata con le gambe da una parte, si appoggiava a terra con una mano e reggeva nell'altra un ombrellino con cui si riparava dai raggi del sole ("Le vere signore proteggono la pelle dal sole! Il sole fa venire le lentiggini! Ricordalo o mi toccherà strofinarti col latte tutto l'inverno per mandarle via!" le aveva raccomandato la governante mentre preparava con lei i bauli per la villeggiatura… e lei non lo aveva dimenticato!). Oscar, invece, era incurante del sole e il suo viso aveva  già preso un bel colore dorato; semisdraiata su un fianco, un gomito a terra e la testa appoggiata alla mano, seguiva con attenzione Rosalie. 

Vide André raggiungerle con un secchio in una mano, mentre stringeva nell'altra un coltello e una bottiglia. Le maniche della camicia arrotolate lasciavano scoperti gli avambracci abbronzati e il vento gli scompigliava i capelli scuri, mentre incedeva verso di loro a passo sicuro, sorridendo. Oscar si levò, mettendosi seduta a gambe incrociate, sicura di sapere quale sorpresa stesse portando André per loro.

"Guarda!" esclamò  quando le raggiunse, sedendosi accanto a loro. "È passato Boncoeur, la cuoca gli aveva ordinato frutti di mare per noi ieri. Stasera avremo ostriche gratinate per cena, ma queste le ho salvate da burro e panure…" disse soddisfatto, mentre scopriva il contenuto del secchio, spostando la pezzuola grezza che lo copriva. Rosalie si sporse curiosa. Non aveva mai mangiato ostriche. André aprì la bottiglia di champagne che aveva portato con sè, mentre Oscar già vuotava sulla sabbia le tazze con l'infuso di fiori di ibisco che avevano portato con loro. Rosalie sembrava interdetta: "Ma le mangiamo ora?" chiese titubante "Crude?"; "Sì," rispose Oscar "sono buonissime". Armeggiando con il coltello André aveva già aperto una delle grosse conchiglie e porgeva a Rosalie il mezzo guscio, su cui si stendeva la carne cerulea; la ragazza trovò che avesse un aspetto viscido e prese incerta la conchiglia, guardandola diffidente mentre André stava già aprendone un'altra. Rosalie guardò Oscar con timidezza. "Assaggiala!" la esortò Oscar "Appoggia la conchiglia alle labbra e alzala!". Rosalie obbedì riluttante; il mollusco le invase la bocca col suo intenso sapore di mare e la consistenza molle. La ragazza strabuzzó gli occhi coprendosi la bocca con entrambe le mani per non sputare, lasciò cadere l'ombrellino e si alzò repentinamente, correndo via. Oscar rise, ricordando di aver avuto pressappoco la stessa reazione la prima volta in cui aveva assaggiato un'ostrica. Mentre guardavano Rosalie correre verso la casa, André sorrise; "Credo che dovremo dire alla cuoca di preparare qualcos'altro per lei stasera…" commentò divertito. Intanto aveva già aperto un'altra conchiglia e Oscar allungò una mano per prenderla, ma lui la fermò: "Lascia!" le disse "O ti rimarrà un odore orrendo sulle mani. Faccio io." e si sporse verso di lei, avvicinandosi. Oscar dischiuse le labbra per accogliere il mollusco, sentì la valva appoggiarsi al labbro inferiore e un attimo prima che il sapore salino le potesse sollecitare il gusto, sentì distintamente un contatto, come una carezza: con il polpastrello del pollice André aveva seguito il profilo delle sue labbra. Fu certa che non fosse stato un gesto casuale. Non si ritrasse, ma alzò gli occhi su di lui e incontrò per un attimo uno sguardo nuovo, che le causò un istante di turbamento, quasi un fugace senso di vertigine, come dopo aver tratto un respiro troppo profondo. André aveva aperto un'altra ostrica e la stava ingoiando, il mento alzato, il collo teso; si passò il pollice sulle labbra. Oscar seppe che era lo stesso con cui l'aveva accarezzata un attimo prima. Trattenne il fiato un istante, ma André aveva già afferrato il collo della bottiglia per bere qualche sorso di champagne e offrirlo poi a lei. 

André prese dal secchio un riccio di mare e lo aprì con sicurezza, estraendo con la punta del coltello la carne morbida e arancione; Oscar continuò a guardarlo con insistenza: teneva la polpa saldamente sulla lama e gliela offriva. Lei sporse il viso verso di lui e lo fissò; lui sostenne il suo sguardo… le sembrò quasi… spavaldo. Oscar sentì il coltello freddo appoggiarsi alle labbra, poi assieme al mollusco sentì qualcos'altro sfiorarle appena la punta della lingua. Questa volta si ritrasse. André non sorrideva, ma la guardava, ostentando un'espressione che lei non seppe decifrare. Aprì un'altra conchiglia. "Ne vuoi?" le chiese, con tono indifferente. Oscar pensò che avrebbe dovuto rifiutare; era sicura che quei fugaci contatti fossero stati voluti… cercati… e che l'atteggiamento di André fosse stato inopportuno… o se non altro invadente… ma la verità era che aveva trovato in qualche modo intrigante la sua audacia e non riuscì a rifiutare la sfida: mentre André le offriva ancora un'ostrica annuì e si sporse nuovamente verso di lui; quando sentì ancora una volta lo stesso tocco lieve sul labbro, gli afferrò il polso e lo strinse, trattenendolo. 

"Madamigella Oscar! Madamigella Oscar!"; entrambi alzarono gli occhi: Rosalie correva eccitata verso di loro. Oscar lanció ancora uno sguardo rapido verso André prima di lasciargli il polso, ma lui sembrava perfettamente tranquillo e a suo agio e si volse, sorridendo scanzonato: "Sembra non serbarci rancore, dopotutto!" osservò ironico. Rosalie li raggiunse, le guance arrossate per la corsa, gli occhi lucenti; "Madamigella Oscar!" esclamò nuovamente "Aurelia dice che alla fine della prossima settimana ci sarà una grande festa in paese! Ci vanno tutti!". Oscar sorrise: "Oh bè… se ci vanno tutti, dovremo andarci anche noi…" commentò. "Domattina andiamo dalla modista. Vediamo se possiamo trovare qualcosa di bello per te, va bene?". Oscar pensò che, con il permesso della madre, avrebbe portato anche Aurelia con loro. 

André voleva bene a Rosalie, ma soprattutto provava un'immensa dolcezza per la tenera accondiscendenza con cui a Oscar piaceva viziare la sua giovane protetta. La ragazza battè le mani, felice, poi cambiò espressione tutto in una volta osservando il secchio, ormai pieno di valve vuote, fra i piedi di André, ancora seduto a terra, con i gomiti appoggiati alle ginocchia piegate e il coltello ben stretto fra le mani. Rosalie fissò prima lui, poi Madamigella Oscar: "Davvero voi mangiate questa roba?!?" chiese incredula. Oscar rise. "Certo!" le rispose André, portandosi alle labbra l'ultima ostrica rimasta. "Sai?" continuò dopo averla ingoiata, "C'è sempre stata una grande festa qui in paese all'inizio dell'estate!"; si volse verso Oscar "Noi ci siamo sempre andati quando venivamo qui da ragazzi…". Rosalie parve curiosa e interessata. 

 

Oscar abbassò lo sguardo sorridendo impercettibilmente: ricordava bene le feste del paese con André, le giornate passate guardando i preparativi e l'agitazione palpabile negli abitanti, intenti a decorare la piazza fino a farne un salone da ballo all'aperto.

André guardò Oscar e la rivide tredicenne: il profilo sottile, i capelli biondi e ribelli, gli occhi azzurri dallo sguardo obliquo, il sorriso supponente e l'eterna aria di sfida…. 

La presenza annunciata alla festa del giovane conte de Jarjayes aveva facilmente messo tutte le ragazze in subbuglio… Il suo aspetto androgino non aveva fatto che affascinare tutte le giovani del villaggio; nonostante la finezza dei lineamenti, con il suo portamento mascolino ed elegante e il suo fisico asciutto e prestante, nessuno in paese aveva mai dubitato che Oscar potesse non essere un ragazzo. La libertà di cui godeva, inoltre, aveva fugato qualsiasi incertezza: quale famiglia per bene, infatti, avrebbe permesso a una ragazza di fare quel che voleva e andare e venire come le pareva?

André ricordò la piazza illuminata dalla luce di mille lanterne, i musicisti che suonavano musiche popolari allegre e coinvolgenti e Oscar contesa da tutte le ragazze presenti che cercavano di assicurarsi un ballo con lei, credendola un principe delle fiabe. Sorrise guardandola. 

 

Rosalie chiese a Oscar come mai dovessero andare dalla modista: non poteva indossare uno degli abiti da sera scelti a Parigi? Oscar le spiegò che si trattava di abiti troppo sofisticati per una festa di paese: metterli sarebbe stato un inutile esibizionismo. "L'eleganza," le spiegò "è sempre discreta.". Rosalie sgranò gli occhi. "Tutto sommato poi di marchesa ne basta una…" boffonchiò André, cercando lo sguardo di Oscar con un'espressione divertita sul volto. Oscar non poté non trattenere un sorriso di rimando: "Dio André! Credevo mi avrebbe ammazzato con quelle tette!". I due risero di gusto, mentre Rosalie li guardava costernata; "Chi è la marchesa?" chiese curiosa. "Nessuno, nessuno…" rispose Oscar continuando a ridere, ma poi, vedendo l'espressione delusa della giovane, spiegò: "È la figlia del signor Buvet. La vedrai certamente alla festa…". André specificò: "Madame la marchesa de Rien! Non mancherà di certo: é un'istituzione!". Lui e Oscar scoppiarono a ridere nuovamente e Rosalie se ne andò imbronciata, persuasa che si stessero burlando di lei.

 

Monsieur Buvet era il personaggio più in vista del paese. Ricco e autoritario, si era sempre comportato come una sorta di sindaco o di signore locale. Abile mercante, disponeva di un discreto patrimonio, che gli aveva assicurato una moglie ambiziosa ma più vecchia di lui, cui non piacque mai di non possedere alcun titolo nobiliare. 

Oscar e André avevano tutti ricordi pittoreschi legati a questo personaggio. Quando la contessa de Jarjayes veniva in villeggiatura con il giovane conte suo figlio, Buvet si presentava puntualmente chiedendo di essere ricevuto per offrire il benvenuto ufficiale del paese. Troppo mansueta  per rifiutarsi, la contessa Marguerite si era sempre trovata a dover sopportare almeno un pomeriggio di disagio, durante il quale Buvet e la moglie avevano occupato il suo salottino privato parlando a voce troppo alta e pretendendo che lei assaggiasse i prodotti che portavano in dono. Quando finalmente riusciva a congedare gli ospiti, Madame annunciava ogni volta che non sarebbe scesa per cena a causa di una forte emicrania e si ritirava prima possibile.

Oscar e André avevano sempre guardato monsieur Buvet con la stessa curiosità con cui avevano osservato i doni esotici che i compagni d'armi del generale portavano per lui quando tornavano da terre lontane che loro non potevano neppure immaginare: basso e tozzo, aveva una parlata con un forte accento dialettale e respirava rumorosamente, come avesse avuto continuamente il fiato grosso. Ascoltarlo troppo a lungo faceva venire loro un senso di affanno. Si divertivano a spiarlo, impressionati dai suoi vistosi favoriti, dettaglio decisamente stravagante per chi, come loro, aveva visto sempre e solo visi rigorosamente lisci.

 

André raccolse il secchio e la bottiglia di champagne ormai quasi finita. Si attaccò al collo per berne un ultimo sorso. Oscar non poté fare a meno di guardarlo di sottecchi: così abbronzato sembrava diverso… era… molto bello; osservandolo bere le sembrò quasi di sentire la piacevole sensazione delle bollicine sulla lingua. Lui si volse:  "Rientriamo?" le disse "L'aria si sta facendo fresca…". Oscar si alzò recuperando l'ombrellino dimenticato da Rosalie e il telo di lino. Pensò che la ragazza dovesse essersi sentita presa in giro dalle loro allusioni; "Non avresti dovuto parlare della marchesa de Rien davanti a Rosalie!" lo apostrofó. André le rivolse un sorriso ammiccante, poi si avviò verso la casa. Mentre lo seguiva, Oscar spiava le spalle larghe e ripensava alle sue dita che sfioravano appena le sue labbra e la sua lingua. Era certa che quei contatti  lievi, non più di brevi carezze impercettibili, non fossero stati casuali. Si chiese perché non l'avesse allontanato, o almeno perché non si fosse ritratta. L'aveva anzi assecondato.

Salirono gli scalini verso l'ingresso sul retro e André si fermò aprendo la porta per lei; Oscar entrò nell'atrio fresco e le ci vollero alcuni istanti per abituare gli occhi, ancora pieni della luce del sole, all'ombra dell'interno. Quando ebbe messo a fuoco ogni cosa André stava già camminando verso le cucine, per restituire il secchio, il coltello e la bottiglia ormai vuota. Oscar lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava, poi se ne andò per sistemarsi e prepararsi per la cena. 

Quando fu nella sua stanza non si avvicinò alle finestre, come faceva sempre, per ammirare nuovamente il mare. Raggiunse invece lo specchio e si guardò. Non aveva mai passato molto tempo di fronte allo specchio: non era vanitosa e le era sempre bastato guardarsi quel tanto che serviva per assicurarsi di essere in ordine. Eppure ora si trovò a fissare la propria immagine, alla ricerca di qualcosa che non riusciva a indovinare. Si portò una mano al viso e si sfiorò le labbra, nello stesso modo in cui si era sentita sfiorare da André.

 

Rosalie si presentò a cena imbronciata e convinta che Oscar e André si fossero burlati di lei, ma poi quando vide che Oscar aveva appositamente ordinato per lei una cena diversa dalla loro e che la accoglieva parlandole degli abiti che aveva intenzione di prenderle, si ammorbidì e tornò a fare domande sulla festa di paese cui avrebbe partecipato. 

André, silenzioso, guardava Oscar chiacchierare con Rosalie: Oscar, serena, sorrideva spontanea. Improvvisamente alzò lo sguardo su di lui e i loro occhi rimasero impigliati per un istante, prima che lei tornasse a dedicare la sua attenzione alla ragazza. 

André si versò altro vino, bevendo lentamente e ricordando un momento di tanti anni prima, non più di un paio di giorni dopo il loro arrivo alla villa. Monsieur Buvet aveva mandato una missiva e la contessa Marguerite, solitamente molto mite e compassata, sembrava infastidita e nervosa. 

Erano nello stesso studio in cui ora stavano cenando; lui e Oscar stavano fingendo di ascoltare la lezione di monsieur Lachève, mentre in realtà contavano i minuti che li separavano dalle loro corse spensierate sulla spiaggia,  finché Oscar, incuriosita, nell'irruenza della sua giovane età, aveva sfilato la busta già strappata dalle mani della madre, leggendone rapidamente il contenuto. Madame la comtesse avrebbe forse voluto rimproverarla, ma dinnanzi all'espressione divertita della figlia aveva stretto le labbra e non aveva proferito parola. Oscar allora aveva assunto un'espressione furba, abbassando la lettera fra le proteste del precettore, contrariato dall'atteggiamento del contino. André ricordava ancora la voce squillante di Oscar: "Maman comtesse, la figlia del signor Buvet si è sposata con un marchese, ora sarà contenta! È nobile come noi!". La contessa aveva sgranato gli occhi, espirando rumorosamente suo malgrado e stringendo troppo forte il ventaglio fra le mani appoggiate in grembo. André ricordò di essersi meravigliato; con ingenuo candore aveva subito chiesto: "Marchese di… ?" ed era rimasto stupito dallo sguardo gelido di madame. "Di niente!" aveva detto lei, visibilmente in collera "Marchese di niente!". Vedendo la contessa adirata, lui si era affrettato a scusarsi, ma Oscar aveva riso tanto forte da coprire la sue parole; "Allora la figlia di Buvet sarà la marchesa de Rien!" aveva esclamato fra le risa. André ricordò l'espressione improvvisamente attonita della contessa Marguerite, che, portandosi una mano al viso per coprire la bocca, aveva iniziato a ridere a sua volta. Da allora a Villa Jarjayes tutti avevano sempre chiamato la figlia di Buvet e il marito i marchesi de Rien.

 

André trasalì: Oscar aveva detto a Rosalie che avrebbe potuto invitare dalla modista anche Aurelia e la ragazza si era alzata in piedi, battendo le mani felice. Una cameriera aveva iniziato a sparecchiare con discrezione e lui si era recato in fondo alla stanza, dove aveva aperto uno stipetto intarsiato da cui aveva preso due bicchieri panciuti e una bottiglia di cristallo riccamente decorata, piena di liquido ambrato. Ne versò sia per sè che per Oscar e subito si diffuse il profumo intenso del cognac invecchiato. Oscar prese il proprio bicchiere, scaldandolo fra le mani mentre, gli occhi bassi, osservava il liquore roteare leggermente, ma non poté fare a meno di alzare di tanto in tanto furtivamente lo sguardo su André, già assorto nella lettura. Sorrise fra sè e sè ripensando all'entusiasmo di Rosalie e si rivide tredicenne alla stessa festa cui la ragazza anelava di andare: corteggiata da tutte le ragazze del paese, persuase che lei fosse indiscutibilmente il giovanissimo conte de Jarjayes, non aveva perso un ballo e quando si era accorta dell'attenzione insistente della marchesa de Rien, questa le si era già avvicinata con fare suadente. 

 

Molto somigliante alla madre, la figlia di Buvet ostentava una bellezza vistosa e a tratti in qualche modo volgare; era piuttosto alta e corpulenta, con una capigliatura folta e crespa color mogano, pelle olivastra e occhi scuri, grandi ma troppo vicini, che le conferivano un'aria in qualche modo minacciosa. Usava tenere le spalle ritte e ben indietro, per mettere in mostra un petto poderoso a stento contenuto in scollature vertiginose, su cui era impossibile non posare lo sguardo.

Più vecchia di Oscar di qualche anno, aveva coltivato con i genitori il sogno di diventare una nobile, proponendosi più volte a sproposito come fidanzata del giovane conte, offerta che la contessa Marguerite, che si era sempre ben guardata dall'informare il generale, aveva sempre considerato un'offesa, senza comprendere invece che i Buvet guardavano a Villa Jarjayes come qualunque parigino avrebbe guardato alla Reggia di Versailles e che, come tutti in paese, non dubitavano che Oscar fosse un maschio.

Delusa dai continui rifiuti, la signora Buvet era infine riuscita ad affiancare la figlia a un sedicente nobile decaduto, ben disposto a sposarsi pur di entrare in possesso della cospicua dote promessa alla sposa. Lo sposo aveva dichiarato di essere marchese di nessuno sapeva cosa e i Buvet non avevano voluto indagare. La giovane sposa non aveva tuttavia mai smesso di sospirare per Oscar e così una sera, durante la festa del paese, aveva deciso che benché maritata, avrebbe conquistato almeno un bacio del giovane conte.

 

André aveva continuato a leggere con un'espressione concentrata e Oscar questa volta aveva evitato di chiedere a cosa dedicasse la propria attenzione. Guardandolo, aveva preso lei stessa un libro, ma poi non lo aveva aperto: aveva appoggiato il bicchiere sul tavolino ed era tornata a toccarsi impercettibilmente le labbra come aveva fatto davanti allo specchio. 

Ripensò a una notte di pioggia di molti mesi prima e al desiderio di prendere André per mano mentre correvano assieme. Strinse forte il libro chiuso cercando di ricordare la sensazione di calda familiarità provata quando lui l'aveva presa saldamente per condurla al riparo, nelle cucine. La stessa presa salda con cui l'aveva salvata, appena adolescente, dalle sgradite avances della Marchesa de Rien, quando era riuscita a condurla in disparte al buio, dopo aver ballato con lei alla festa del paese. Oscar sorrise fra sé e sé ricordando i seni generosi, rotondi e invadenti che spingevano contro il suo torace esile, mentre arrossiva per le sconcezze che le venivano sussurrate quasi con prepotenza all'orecchio. Impietrita e senza fiato, schiacciata contro il muro di un androne poco distante dalla piazza da cui la musica riempiva tutte le vie intorno, aveva già pensato di non poter scampare alle labbra carnose di cui già aveva iniziato a sentire il fiato sul viso, quando una mano aveva stretto forte la sua e la luce di una lanterna aveva improvvisamente illuminato l'androne.

 

André alzò gli occhi dalla sua lettura e fu piacevolmente sorpreso accorgendosi dello sguardo di Oscar posato su di lui. "Stavi ancora pensando alla Marchesa de Rien?" le chiese. "Sì." gli rispose lei sorridendo. "Quando non ti ho visto più mi sono spaventato. Ti ho cercato ovunque… ma quando ti ho trovato nell'androne sembravi più spaventata di quanto lo fossi io…" le disse, ricordando come si era subito posto davanti a lei allontanando la figlia di Buvet e portando via Oscar. Lei rise: "Te l'ho detto! Credevo mi avrebbe ammazzato con quelle tette! Avrebbe potuto soffocarmi!". André ripose la sua lettura e trascorsero il resto della serata chiacchierando e ridendo assieme, ripromettendosi di stare bene attenti a Rosalie la sera della festa.

Quando le candele sui doppieri si furono quasi completamente consumate decisero di ritirarsi. André prese il candelabro e si avviarono verso il piano superiore, camminando l'uno accanto all'altra. Salendo le scale in silenzio le braccia si sfiorarono appena e Oscar ebbe la sensazione di una vicinanza fisica cui non aveva mai dato peso; si voltò guardando il profilo elegante di André. Lui l'accompagnò fino alla porta della sua stanza e augurandole la buonanotte si sporse leggermente verso di lei, appoggiandole solo per un attimo la mano alla vita, su un fianco. Oscar non si mosse; gli sguardi si cercarono: alla luce tremula dei mozziconi di candela gli occhi brillavano. Entrambi trattennero il respiro per un istante. "Buonanotte André." sussurró lei.

Note al Capitolo 4

Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

Per il quarto capitolo:
Un'estate al mare
Giuni Russo - 1981

 

 

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Capitolo 5
*** 5 - Bocca di Rosa ***


Capitolo 5 - Bocca di Rosa
Dalla modista, il fazzoletto, la Maison Anglaise, la festa
 

In piedi davanti al portone principale di Villa Jarjayes, le mani affondate nelle tasche, André, pantaloni color sabbia e camicia bianca con le maniche arrotolate fino al gomito, guardava il calesse allontanarsi. Oscar, in cassetta, i lunghi capelli che riflettevano la luce chiara del mattino, guidava i cavalli spronandoli leggermente col lungo frustino; Rosalie ed Aurelia chiacchieravano fitto fitto ridendo e gesticolando animatamente. Madame Lorette, rigorosamente vestita di nero, sedeva di fronte alle giovani, sul sedile anteriore, con la schiena dritta, tenendo con una mano la tesa del cappello di paglia scuro, decorato con un semplice nastro color ecrù, che portava sempre quando si recava in paese. Il suo volto, sempre serio, fu l'ultimo che André poté scorgere prima che il piccolo convoglio sparisse dietro gli alti cipressi lungo le curve morbide del viale di ingresso.

Il risveglio era stato molto piacevole: a colazione Oscar gli era sembrata particolarmente di buon umore e insolitamente elegante, Rosalie era emozionata per l'uscita imminente dalla modista e lui aveva potuto mangiare biscotti al burro e bere cioccolato. Preparando cavalli e calesse aveva pensato di passare la mattinata in solitudine oziando sulla spiaggia o al fresco nel patio: aveva infatti trascorso la notte rigirandosi nel letto e pensando alla giornata trascorsa con Oscar, all'espressione dei suoi occhi quando le aveva offerto le ostriche, accarezzandole le labbra, al polso che gli aveva stretto forte e alla luce nello sguardo mentre gli sussurrava la buonanotte con una voce bassa e roca che raramente le aveva sentito usare. Nel buio della notte non aveva potuto non ascoltare il proprio cuore in tumulto, che gli faceva notare prepotentemente che lei non lo aveva respinto. Né allontanato.

 

Oscar aveva tardato ad addormentarsi e aveva passato molto tempo ascoltando il proprio respiro e pensando ad André che le offriva ostriche… ad André che le sfiorava la vita prima di congedarsi, nella penombra delle candele… ad André che la guardava con una profondità e un'audacia che non aveva mai notato prima. Perché non l'aveva notata prima?

Al mattino si era svegliata più tardi del solito e si era soffermata a scegliere con rara cura l'abbigliamento per la giornata,  presentandosi a colazione con una camicia decorata da un ricco pizzo sui polsini e sul collo e con un giustacuore rosso scuro che trovava facesse risaltare la sua carnagione chiara, ora appena abbronzata. Quando era uscita dalla sua stanza si era tuttavia sentita sciocca e aveva fatto per rientrare e cambiarsi, ma poi aveva incrociato André che usciva dalla propria stanza e così non era più tornata indietro. Lui le aveva sorriso con gentilezza e avevano raggiunto Rosalie assieme.

A colazione lo aveva osservato sorseggiare cioccolato e aveva finto indifferenza quando gli aveva chiesto di preparare per lei i cavalli e il calesse. 

Le piaceva condurre il calesse; a Parigi non lo usava mai: non era un mezzo consono al suo ruolo e alla sua posizione, ma lontano dalla corte e da palazzo Jarjayes poteva permettersi di fare semplicemente quello che le piaceva.

 

Il negozio della modista era lungo e stretto, con lunghi tavoli su cui erano esposte stoffe colorate, nastri e passamanerie. La vetrina dell'ingresso, ombreggiata da un piccolo pergolato su cui si arrampicava un gelsomino profumato, benché ampia non era sufficiente a illuminare tutto l'interno, dove quindi erano disseminate lampade a olio lungo tutta la parete. Sul fondo, coperto di specchi fino al soffitto, le fiammelle si riflettevano più e più volte, conferendo all'ambiente un aspetto piacevolmente accogliente. Entrando, Oscar fu accolta ossequiosamente da una signora piccola e robusta, bluvestita, con una cuffietta di sangallo e un grembiule bianco, sulla cui pettorina erano appuntati aghi e spilli. "Madamigella Oscar!" le disse andandole incontro "Quale onore accogliere i conti de Jarjayes nel mio negozio! Come posso accontentarvi?". Oscar sorrise. "Buongiorno!" rispose "Vediamo se possiamo trovare abiti graziosi per rendere felice qualche damigella!". Rosalie si fece avanti, portandosi accanto a Oscar, la signora fu per muoverle qualche complimento, quando riconobbe dietro di lei il visino sottile di Aurelia. "Non ho tempo per voi!" disse quindi aspramente la signora, in tono spiccio, rivolta alla ragazza e a Madame Lorette "Ora sto servendo clienti importanti!". Rosalie trattenne il fiato, mortificata;  Oscar, urtata dalla scortesia, si volse giusto in tempo per vedere il volto di Madame Lorette irrigidirsi in un'espressione severa e dignitosa. Oscar capì in quel momento il perché dell'iniziale rifiuto alla sua proposta di portare Aurelia con loro, cui la donna aveva ceduto solo dopo le molte insistenze della figlia e di Rosalie. Strinse le labbra: "Madame e Mademoiselle sono con me. Saranno oggi le vostre migliori clienti. Quale colore pensate possa far risaltare la carnagione di Aurelia?". La modista dissimulò un'espressione contrariata, ma poi si affrettò a scusarsi, battendo le mani per chiamare alcune lavoranti ad aiutarla a servire. Oscar si sedette in disparte, la gambe accavallate, le braccia incrociate, il cipiglio serio: "Vi prego, Madame, occupatevi voi per me di scegliere il meglio per vostra figlia e per la mia parente.". Madame Lorette ringraziò con gentilezza e Oscar rimase a guardarla mentre dava disposizioni precise e competenti su tessuti, modelli e colori. Quando ebbe finito chiese il permesso di recarsi al mercato e di portare anche Rosalie con sé. Oscar acconsentì; guardando tutte e tre uscire dal negozio e incamminarsi verso la piazza, sentì nel cuore un moto di tenerezza per la dolcezza con cui Madame Lorette teneva attentamente  vicino a sé entrambe le ragazze e non solo la figlia. Tornò quindi a rivolgersi alla modista, dando disposizioni affinché ogni cosa venisse recapitata a Villa Jarjayes. Prima di chiudere il conto scelse ancora alcuni nastri per capelli che aveva intenzione di regalare a Rosalie ed Aurelia e una spilla di onice per Madame Lorette: Oscar sapeva che Madame osservava ancora dopo tanti anni dalla morte del marito un lutto stretto e che quindi non avrebbe potuto accettare altro che un monile in onice. Prima di uscire notò in una piccola vetrina dei bei fazzoletti da uomo per il collo. Si soffermò un istante e chiese che gliene venissero mostrati alcuni. Ne scelse uno di seta color avorio. La modista fece per aggiungerlo a quanto già scelto, ma Oscar la fermò. La signora sorrise compiaciuta: "Desiderate indossarlo oggi stesso! Molto bene!", commentò, ripiegandolo ordinatamente nella carta di riso. Oscar annuì e, mentre abbozzava un sorriso, si accorse di arrossire: non aveva scelto il fazzoletto per sé. Prese il pacchetto che le veniva porto, salutò rapidamente e uscendo lo ripose nella tasca interna del giustacuore. Camminò a testa bassa per qualche passo, cercando di nascondere il rossore, raggiungendo il calesse. 

 

Seduta in cassetta, le redini morbidamente trattenute in una mano, Oscar, in attesa di Madame Lorette e delle due ragazze, lasciò vagare lo sguardo sulla piazza: due osterie provocavano un andirivieni di avventori e davanti a una di esse una donna con un fazzoletto sul capo, annodato dietro la nuca, spazzava con impegno. Altre botteghe, oltre a quella della modista, affacciavano le loro vetrine sulla passeggiata; il maniscalco contrattava animatamente con un uomo dal ventre prominente che strattonava un grosso cavallo da tiro con una mano sul morso.

Durante i pochi e brevi soggiorni che lei e André avevano trascorso negli ultimi anni in Normandia, non erano più tornati in paese: avevano sempre avuto non più che pochi giorni a disposizione e avevano sempre preferito passarli a Villa Jarjayes, godendo della solitudine e della libertà dai mille impegni di corte. Oscar si scopriva quindi  piacevolmente sorpresa, ora, nel riconoscere, guardandosi intorno, luoghi e ambienti della propria infanzia e adolescenza. Improvvisamente riemerse in lei un ricordo e d'istinto alzò gli occhi per guardare dalla parte opposta della piazza. C'era ancora! La facciata di un caseggiato a due piani era tinteggiata in un intenso rosso pompeiano, scrostato qua e là; gli scuroni alle finestre erano accuratamente accostati e ai due lati dell'ingresso, su due colonnette posticce, facevano bella mostra di sé due amorini piuttosto grezzi in pietra bianca, ritratti in pose lascive. Uno aveva il naso rotto e un sopracciglio scheggiato e all'altro mancavano le dita di una mano. Sopra il portone sporgeva un'insegna di legno su cui campeggiava in leziosi caratteri dorati a sbalzo sull'immagine di una bandiera britannica un invito: "La maison anglaise - Venez!". Oscar abbassò gli occhi e sentì di non poter trattenere un sorriso; ebbe il ricordo della visione fugace di una stanza piena di sofà in velluto rosso, con pensanti tendaggi alle finestre e alti specchi alle pareti; ricordò la curiosità, arrampicata al davanzale di una finestra con un'anta appena scostata, nel vedere donne succinte camminare lasciandosi guardare da uomini di ogni età o sedere sulle loro ginocchia in atteggiamento negligente, sotto l'occhio vigile di una matrona dai capelli di un colore assurdamente innaturale, sdraiata su una dormeuse; ricordò André che la tirava per la camicia, dicendole che non avrebbero dovuto stare lì e lo spavento, quando un colpo di bastone inaspettato e poderoso l'aveva raggiunta sulla schiena facendola cadere, mentre André, già a terra, la abbracciava e cercava di proteggerla dai colpi che continuavano a piovere loro addosso, riparandole la testa. Le parve di sentire ancora l'affanno, nel correre via a gambe levate, con la testa girata indietro per vedere se l'aggressore li stava seguendo e ricordò lo stupore nel fermarsi all'improvviso, accorgendosi che l'uomo che li aveva colpiti era un nano. Era scoppiata a ridere, certa che questi non li avrebbe raggiunti mai, mentre André le aveva afferrato un braccio, gridandole: "Che fai? Corri!" e l'aveva presa per mano. Avevano corso a perdifiato e si erano fermati solo una volta raggiunta la spiaggia, dove si erano buttati sulla sabbia, le mani ancora strette, il cuore in gola, il respiro spezzato.

 

"Madamigella Oscar! Madamigella Oscar!" la voce di Rosalie, che le veniva incontro assieme a Madame Lorette e ad Aurelia la distolse dai suoi pensieri. Rosalie portava fra le braccia un mazzo di peonie, che raggiunto il calesse le porse con un sorriso raggiante. "Per voi!" le disse; il rosa dei fiori era della stessa tonalità dell'abito che indossava e Oscar trovò che fosse bellissima, nella freschezza dei suoi anni. Ringraziò, scendendo dalla cassetta per aiutare tutte a salire, ma Madame Lorette chiese il permesso di restare, con la figlia, per poter sbrigare alcune commissioni, dicendo che avrebbero provveduto a rientrare da sole. Si congedarono e Oscar aiutò Rosalie a salire in cassetta assieme a lei. Fece per spronare i cavalli, quando notò Madame Lorette trattenere la figlia stretta accanto a sé e camminare velocemente verso un altro lato della piazza; alzò gli occhi e non le fu difficile indovinare il motivo della fretta improvvisa: sul loro lato della piazza incedeva infatti, con un atteggiamento provocatoriamente austero, una donna dai capelli innaturalmente rossi. Era piuttosto alta, con un abito blu troppo scollato per l'orario, il luogo e anche per l'età della donna. Gli occhi pesantemente truccati rendevano lo sguardo indecifrabile e le labbra dipinte di un rosso fiammeggiante sembravano una voluta ostentazione. La donna era preceduta dal "suo" nano: il volto dalla carnagione scura segnato dal tempo presentava un'espressione arcigna che creava un grottesco contrasto con l'abbigliamento da paggetto, con tanto di maniche a sbuffo a spicchi giallo e azzurri. Le gambe corte e leggermente arcuate, l'uomo camminava appoggiandosi a un bastone da passeggio, col quale non si faceva scrupolo di colpire i passanti, qualora avessero avuto l'ardire di avvicinarsi troppo. Il bastone terminava in una lavorazione piuttosto equivoca che rendeva l'oggetto qualcosa di talmente osceno da far spostare lo sguardo a chiunque. Oscar lo riconobbe subito: era lo stesso bastone con cui erano stati colpiti lei e André tanti anni prima. Rosalie, accanto a lei, non poté trattenere la curiosità: "Chi è quella donna?". "Madame l'Anglaise." rispose Oscar automaticamente, in tono incolore. Rosalie si stupì: "Ma è inglese veramente?" chiese, costernata, poi:  "Ma conoscete una donna con i capelli tinti?". Oscar si accorse improvvisamente che non avrebbe nemmeno dovuto permetterle di guardarla, quindi rispose, con un tono più severo di quanto avrebbe voluto: "Ovviamente no. E tu non dovresti nemmeno guardarla! Le ragazze per bene non guardano donne come quella!". Rosalie tacque all'istante. Avrebbe voluto chiedere se "ovviamente no" la donna non era inglese o se "ovviamente no" Madamigella Oscar non la conosceva, ma non osò e rimase in silenzio per quasi tutta la via del ritorno, finché Oscar, dispiaciuta di averla mortificata, non iniziò a domandarle cosa avesse visto di bello al mercato e quale abito intendesse mettere per la sera della festa. La ragazza si animó immediatamente e si lanciò in racconti sognanti, che tuttavia Oscar seguì solo distrattamente, ripensando alla fuga dalla Maison Anglaise: mentre correva con la mano stretta in quella di André, il loro aggressore li aveva insultati a gran voce. In seguito, a corte, le era capitato altre volte di incontrare dei nani, artisti che si esibivano in spettacoli grotteschi e scenette per lo più volgari, e le era rimasto da allora un senso di disagio che l'aveva sempre indotta a mantenersi a una certa distanza.

 

Una volta rientrate Rosalie espresse il desiderio di rinfrescarsi e Oscar cercò André; non trovandolo salì verso la propria stanza e quando passò davanti alla porta di André indugiò un istante. Appoggió la mano sulla maniglia e aprì piano: la stanza era vuota. Entrò silenziosa muovendosi con circospezione. Raggiunse lo scrittoio di ciliegio su cui erano impilati ordinatamente alcuni libri e il taccuino; accanto, un piccolo astuccio di cuoio aperto lasciava intravedere del materiale da scrittura.  Alzò gli occhi: sul tavolino accanto al letto c'era il libro dalla pesante copertina rosso scuro che lei gli aveva strappato di mano alla locanda. Si avvicinò e ne seguì il profilo con la punta di un dito, poi cercò nella tasca interna della giacca, estraendone l'involto con il fazzoletto di seta, che appoggiò proprio sopra il grosso volume di Rousseau. Rimase immobile un attimo, premendo con una mano sul piccolo pacchetto, poi uscì e raggiunse la propria stanza.

 

André aveva passato la giornata oziando nel patio, poi si era incamminato lungo la spiaggia e quando era rientrato Oscar e Rosalie erano già tornate. Era salito per raggiungere la propria stanza  e prepararsi per cena; appoggiando la mano sulla maniglia si sorprese di trovare la porta solo accostata, poi entrando notò subito un piccolo involto appoggiato sul "Discours" che aveva lasciato sul tavolino accanto al letto. Sorpreso prese il pacchetto e immediatamente avvertì profumo di lavanda e verbena. Sorrise. Aprì con cura e nella carta di riso trovò un elegante fazzoletto di seta. Lo portò alle labbra, inalò per un lungo istante: lavanda e verbena… e qualcos'altro che poteva distinguere con chiarezza senza tuttavia poter definire. Era lei. Doveva averlo portato addosso, probabilmente  custodito nella tasca interna della giacca. Guardò il fazzoletto; non riusciva a smettere di sorridere.

 

André si preparò con particolare cura per la cena e quando raggiunse lo studio dove amavano mangiare, Oscar e Rosalie erano già arrivate. Oscar sedeva sul sofà di velluto rosso, non portava più il giustacuore, ma aveva ancora l'elegante camicia impreziosita da pizzi del mattino. Appoggiata negligentemente su un lato, aveva fra le mani un calice di vino bianco e teneva gli occhi bassi, mentre ascoltava un'emozionata Rosalie, intenta a fare supposizioni e a sognare riguardo alla festa del paese, anziché a concentrarsi sui propri studi. Quando André entrò nella stanza le bastò uno sguardo fugace per riconoscere al collo il fazzoletto di seta; lui le si avvicinò appoggiandole una mano sulla spalla, indugiando un istante più del necessario e stringendo appena le dita, in un gesto affettuoso a cui lei non si sottrasse.

 

Seduti allo scrittoio, le teste chine sui libri, André aiutava Rosalie: indicando le parole a una a una sulla pagina, cercava di farle seguire il senso del testo e la invitava a leggere un'intera frase a voce alta. La giovane pronunciava incerta le parole, fermandosi spesso e tentennando: "Stat suas cui… que…  cuique dies, breve et in-re-pa-ra-bi-le tempus… tempus… tempus omnibus est vitae; sed fa… famam exte.. extendere factis… hoc virtutis opus.". "Guarda," le diceva André, paziente "nella tua versione hai tradotto 'Uno ha fissato il suo giorno; breve è la vita per tutti e irrevocabile, ma la fama estendere coi fatti, questa è la virtù dell'opera'. Proviamo a mettere ciascuno al posto di uno…"; Rosalie corresse immediatamente. André continuò: "Inverti in questo punto: non la fama estendere, ma estendere la fama. Senti? È più elegante.". Rosalie ascoltava, attenta. "Va bene" rispose. "Guarda qui adesso," proseguì André "rileggi bene le ultime parole.". Rosalie le lesse obbediente: "Hoc virtutis opus…". "Ecco!" le disse allora André "Vedi? Nella tua versione dici 'la virtù dell'opera'.  È l'opposto invece: l'opera della virtù.". "Oh…" fece la ragazza. "Non fa niente," ribatté lui "ora correggiamo. Cerchiamo qualche parola più bella però: guarda… che ne dici di 'premio' e 'valore'?". Rosalie annuì, mentre intingeva la penna nell'inchiostro. "Va bene," le disse André "ora rileggi tutto da capo.". Rosalie lesse, diligente: "Ciascuno ha fissato il suo giorno; breve è la vita per tutti e irrevocabile, ma estendere la fama con le imprese, questo è il premio del valore.". André sorrise; "Molto bene!" le disse, appoggiandosi indietro allo schienale della sedia.

Oscar lo osservava alzando di tanto in tanto gli occhi dal proprio bicchiere: c'era in André una dolcezza innata che dopo tanti anni di vita condivisa riusciva ancora a sorprenderla. Nel tono di voce calmo e pacato con cui spiegava la lezione a Rosalie, riconobbe la stessa tranquilla sicurezza con cui le parlava quando era nervosa o contrariata. Ricordò una notte di pioggia di tanti mesi prima in cui si era recata da Fersen per portare un'ambasciata della sua Regina; tornando si era sentita sola come non mai, ma poi André le era venuto incontro… Oscar ripensò al tormento che le aveva procurato al cuore l'insieme di sentimenti confusi che aveva provato… o almeno creduto di provare… per Fersen. Guardando ora André, chino sui libri con Rosalie, insolitamente elegante per la cena informale che li aspettava, riconobbe che quel tormento non era stato che un'emozione non troppo intensa, se paragonata all'ansia,  inizialmente interpretata, sbagliando,  come un fastidio, provata all'idea che André volesse allontanarsi e che cercasse una vita diversa da quella che conducevano insieme… all'idea che lui potesse… lasciarla. Oscar si stupì di scoprire dentro sé questa consapevolezza, mai considerata prima: la verità era che André la faceva sentire bene. La sua dolcezza non si lasciava sopraffare dalla ruvidezza che lei stessa riconosceva al proprio carattere.

Guardò ancora André. Era stata contenta di vedergli al collo il fazzoletto che aveva preso per lui. Non era che una piccolezza, eppure… perché se ne sentiva così soddisfatta allora?

 

Madame la Comtesse aveva sempre avuto per André una spiccata simpatia che non si era mai preoccupata di nascondere e che André aveva saputo ricambiare con affetto sincero. Oscar ricordava che da bambini sua madre amava la dolcezza di André, il suo sorriderle sempre, il modo gentile con cui le rispondeva quando gli parlava e l'educato e composto atteggiamento con cui si comportava sempre:  tutti modi così in contrasto con quelli di questa figlia in qualche modo mancata, spesso irruente e sguaiata. 

Oscar si portò il calice alle labbra. Il vino bianco era fresco e fruttato; nell'aria si stavano diffondendo i gustosi aromi che presagivano alla cena imminente. 

Quando lei, curiosa, aveva deciso di voler scoprire cosa ci fosse  nella Maison Anglaise, André aveva cercato di dissuaderla. Ora, con uno sguardo adulto, si rendeva conto che con ogni probabilità lui aveva saputo esattamente già da prima cosa ci fosse nella Maison Anglaise, ma per delicatezza aveva preferito non raccontarglielo… André era stato sempre protettivo con lei. Bevve un altro sorso; non poté trattenere l'ombra di un sorriso: caro, caro André. Lo ricordava sulle spine, mentre lei si arrampicava fino al davanzale, dalla cui finestra uno scurone scostato faceva intravedere un'invitante luce dorata. Aveva cercato di trattenerla tirandola per la camicia.

Rosalie rise a una battuta che André le aveva detto; Oscar trasalì. Li guardò con le teste chine su un libro che la giovane aveva iniziato a leggere a voce alta. Si accorse che il piacere che sentiva nel vedere la sua piccola Rosalie indossare gli abiti e gli accessori che prendeva per lei, era molto diverso dall'intima soddisfazione che aveva provato nel vedere il fazzoletto al collo di André.

 

Quando il nano di Madame l'Anglaise li aveva aggrediti, li aveva evidentemente anche riconosciuti: i riccioli biondi del giovane conte de Jarjayes non passavano mai inosservati in paese! Oscar ricordò lo sguardo severo e l'espressione tirata sul volto di sua madre rientrando, qualche sera dopo, alla Villa. Lei e André avevano passato tutto il pomeriggio a caccia di granchi ed erano rientrati scalzi e pieni di salsedine e sabbia, litigandosi il secchio col bottino. Quando erano arrivati nell'atrio, nella frescura della penombra, si erano trovati al cospetto della contessa Marguerite che stringeva in mano un biglietto tormentandone gli angoli con la punta delle dita. Lei era rimasta stupita e perplessa: sua madre non li aspettava mai. Né chiedeva dove sarebbero andati o dove fossero stati… André invece doveva aver compreso immediatamente. Oscar lo ricordò con gli occhi bassi. "Mi dispiace Madame…" aveva mormorato lui. La cosa veramente curiosa, ricordò ora, fu che Madame la Comtesse, forse rassegnata al carattere indomabile della figlia, a lei non aveva detto nulla. Si era rivolta invece, con cipiglio serio e voce quasi incrinata, a un mortificatissimo André: "Uno sgarbo come questo non me lo sarei mai aspettato.". Se n'era andata senza proferire nessun'altra parola, lasciando il biglietto con sprezzo sul tavolo al centro della stanza, mentre André arrossiva come Oscar mai l'aveva visto prima, tornando a mormorare nuovamente "Mi dispiace…". Oscar, impettita e arrabbiata per la mancanza di spiegazioni, aveva abbandonato a terra  il secchio pieno di granchi e aveva afferrato in malo modo il biglietto lasciato sul tavolo, leggendone rapidamente il contenuto. Arrivata all'ultima riga era scoppiata a ridere senza poter credere all'espressione sempre più contrita di André, che dinnanzi alle sue risate si era addirittura lasciato sfuggire una lacrima (di rabbia? di vergogna? di frustrazione?). Si era avvicinata, appoggiandogli una mano sulla spalla: "E dai André! Ci hanno riconosciuto! E allora?? E poi hanno riconosciuto me. Non te. Lascia perdere. Andiamo a vedere cosa può fare le cuoca con questi granchi adesso.".

 

L'inizio della stagione estiva aveva portato con sé sempre più ore di luce e crepuscoli lunghi e struggenti, in cui il cielo indugiava a lungo nel rosso e poi nel viola, prima che le stelle arrivassero a trapuntare il blu della notte. André, in cassetta, conduceva il calesse che portava lui, Oscar, Rosalie ed Aurelia alla festa del paese. Madame Lorette aveva concesso alla figlia di partecipare senza di lei, affidandola alla severa supervisione di Madamigella Oscar e all'occhio vigile di André, che aveva promesso di non perdere di vista le due giovani nemmeno per un momento.

L'aria della sera era tiepida e piacevole. La strada che seguiva sinuosa la spiaggia era profilata da alti tigli in fiore dall'odore forte e dolce, che rendeva il breve viaggio ancor più ricco di attese.

Oscar si era compiaciuta vedendo le due ragazze pronte per la serata: Rosalie particolarmente graziosa nel suo nuovo abito di mussolina a fiori bianchi su un delicato fondo color carta da zucchero, che faceva risaltare la delicatezza dell'incarnato e il colore dei suoi occhi, e Aurelia sempre timidamente con gli occhi bassi, con il bel vestito giallo che le aveva regalato e un fiore appuntato fra i capelli scuri, che Rosalie le aveva raccolto in un'acconciatura raffinata che aveva definito scherzando "alla moda di Parigi".

 

Arrivati in paese la musica già riempiva tutte le strade. Lanterne e fiori erano ovunque e il vociare allegro della gente invitava a prendere parte a danze e divertimenti. Nella piazza una pedana rialzata coperta di festoni variopinti fungeva da palco, su cui si esibiva un'orchestra colorata che suonava con vigore, mentre giovani e ragazze vestite a festa ballavano animatamente ritmi popolari e coinvolgenti. Tutto attorno bancarelle offrivano cibi e bevande di ogni genere e al banco di un chiosco una donna gridava invitando gli avventori a misurare la propria abilità di tiratori in un gioco di tiro al bersaglio.

Il calesse si fermò e Oscar scese assieme alle due ragazze, mentre André si allontanó per sistemare carrozza e cavalli. Si soffermò un istante a guardare con dolcezza Oscar che, con fare protettivo, cingeva la vita a Rosalie, accompagnandola verso la festa, mentre sospingeva delicatamente Aurelia toccandole appena il gomito.

La modista aveva rapidamente diffuso la notizia di aver servito nel proprio negozio i conti de Jarjayes e in paese c'era una certo fermento all'idea che Oscar potesse partecipare alla serata, perciò appena raggiunse la piazza fu facilmente riconosciuta da molte persone che le rivolsero parole gentili. Oscar rispose a tutti rispettosamente e non poté trattenere un sorriso accennato quando fu cerimoniosamente salutata da Monsieur Buvet, con il suo fiato grosso, che voleva sapere se lei aveva già avuto il piacere di incontrare sua figlia la marchesa…

Poco distante dall'orchestra, circondata da uno stuolo di donne che avrebbero potuto ricordare le cortigiane e le dame di compagnia di sua maestà, sedeva regalmente la Marchesa de Rien, con un abito di un rosso acceso assolutamente fuori luogo e fuori moda, ma indiscutibilmente costoso. Rosalie l'aveva riconosciuta immediatamente e guardandola aveva finalmente compreso ciò che Madamigella Oscar le aveva spiegato quando le aveva chiesto perché non poteva indossare uno degli abiti comprati a Parigi: "L'eleganza non ostenta mai.": la marchesa non sembrava infatti una signora, ma qualcosa da guardare con curiosità, una sorta di fenomeno da fiera delle vanità. Rosalie pensò che la governante di palazzo Jarjayes l'avrebbe certamente disapprovata! 

Dalla parte opposta della piazza, la Maison Anglaise era decorata a festa: gli amorini ai due lati dell'ingresso erano stati coperti con bandiere britanniche a far loro da mantello e allegre signorine con scollature troppo profonde richiamavano l'attenzione degli uomini con inviti pieni di allusioni, sollevando di tanto in tanto le sottane a mostrare le gambe fino alle cosce. 

Il garzone di servizio a Villa Jarjayes, Mathieu, un bravo giovane dall'aspetto solido e rassicurante, con caldi occhi castani e lunghi capelli biondo cenere, si era affrettato a raggiungere Madamigella Oscar appena l'aveva vista scendere dal calesse e ora, il cappello stretto fra le mani, chiedeva rispettosamente il permesso di condurre Rosalie e Aurelia in una passeggiata attraverso le bancarelle. Oscar acconsentì e rimase a guardare i ragazzi che si allontanavano. Quando André la raggiunse portava con sè una ciotola di teurgoule con due cucchiai di legno immersi nel morbido riso al latte e un bicchiere colmo fino all'orlo di sidro caldo alle spezie, che offrì subito a Oscar. Lei bevve grata, trovando confortanti il profumo e il gusto della cannella e dell'anice stellato. Mangiarono in silenzio, il dolce era morbido e piacevolmente speziato. Oscar di tanto in tanto alzava gli occhi per accorgersi che lo sguardo di André restava concentrato sui suoi occhi e sulle sue labbra. Era sempre stato così spavaldo?

 

Quando André era sceso dal calesse aveva subito individuato Oscar al bordo della piazza: appoggiata alle transenne di legno che delimitavano l'area occupata dall'orchestra, era girata di tre quarti e la figura esile si stagliava scura contro la luce delle lanterne, mentre i lunghi capelli ricadevano morbidi lungo la schiena. 

Si era fermato a una bancarella e aveva comprato teurgoule e sidro caldo: sapeva che lei amava i gusti speziati e dolci del nord. Raggiungendola aveva ripensato ai giorni trascorsi finora in Normandia: Oscar si era spogliata della rigida corazza che raramente abbandonava a corte e a palazzo Jarjayes. Aveva lasciato che la avvicinasse… lei stessa si era avvicinata… lo cercava. Ripensò al fazzoletto da collo che aveva lasciato per lui sul "Discours"... l'aveva certamente portato addosso… era entrata nella sua stanza appositamente per lasciarglielo…

Quando le aveva offerto il sidro aveva accettato con piacere. Erano rimasti in silenzio l'uno accanto all'altra guardando la gente del paese ballare e avevano mangiato assieme il riso al latte. Guardandola, gli occhi luminosi nel riverbero delle mille luci delle lanterne che riempivano la piazza, aveva giurato a se stesso che non sarebbe ripartito senza averle detto che l'amava.

 

La musica era coinvolgente e ballate dal tono languido si alternavano a pezzi che davano vita a danze movimentate. Rosalie li raggiunse, il volto sorridente, gli occhi brillanti: "Madamigella Oscar! Aurelia sta ballando! Balla con Mathieu! È bravissima! Voi conoscete questi balli Madamigella Oscar?". André rivide Oscar ragazzina non perdere un ballo come giovane conte de Jarjayes. "Certo che li conosce!" disse, prima che lei potesse rispondere, inchinandosi appena con fare scanzonato per invitarla a ballare, guardandola negli occhi. Oscar non rispose; era il buio della notte illuminata a festa a rendere gli occhi di André di un verde tanto intenso? Rimase in silenzio e un  attimo dopo la sua mano destra era stretta nella sinistra di André, mentre lui le cingeva la vita, appoggiando la mano aperta impercettibilmente più in basso del dovuto. Oscar alzò un braccio per appoggiargli l'altra mano appena dietro il collo e furono vicinissimi; le spalle di André erano solide sotto il suo tocco, sollevò il viso. André la sovrastava di tutta la testa. Da quando era così alto il suo André? Il suo André? Sentì il suo respiro accarezzarle il viso, avvertì distintamente il profumo della sua pelle: lo conosceva da sempre. Le era caro. Perché ora trovava attraente la lieve sporgenza al centro del suo collo? La camicia si apriva lasciando intravedere appena il petto contro cui lui la stringeva; avrebbe potuto indovinare la forma del torace attraverso la stoffa sottile. Perché il cuore le batteva così forte? Perché una sensazione di vuoto l'aveva presa alla bocca dello stomaco? Deglutì. La mano di André, in fondo alla schiena… troppo in fondo alla schiena, era calda e la tratteneva con dolcezza e decisione.

Oscar fece repentinamente un passo indietro, staccandosi. André non la trattenne. Lei abbassò un istante lo sguardo prima di alzarlo su Rosalie. "Non so fare la parte della dama." disse brusca "Balla con Rosalie!". André si inchinò nuovamente, cerimonioso, invitando la giovane e offrendosi di insegnarle i balli che non conosceva. Oscar rimase a osservarli: Rosalie guardava i piedi mentre André le mostrava i passi, paziente. La tratteneva alla vita e la sua mano era rispettosamente e giustamente appoggiata nel mezzo della schiena. Benché lei gli tenesse la mano sulla spalla, restava fra loro comunque un certo spazio. André non la stringeva affatto come aveva stretto lei poco prima… Rosalie non arrivava che al petto di André e l'espressione impegnata nell'imparare i passi che non conosceva la faceva sembrare una bambina. Sopraggiunse Aurelia, distogliendo Oscar dai suoi pensieri. Con lei Mathieu e un altro giovanotto che questi le presentò come suo fratello. Aurelia le disse che presto avrebbero suonato delle quadriglie. Non fece in tempo a finire la frase che l'orchestra intonò l'animato ballo. Oscar cercò Rosalie: sembrava spaesata quando André la lasciò con un inchino per prendere posto nella fila dei cavalieri, ma subito la raggiunse Aurelia, mostrandole come muoversi. Oscar li guardò ballare. Le ragazze volteggiavano a turno, i volti sorridenti, le guance accaldate, prendendo di volta in volta le mani dei cavalieri. Le ampie gonne colorate si allargavano come corolle di fiori. Oscar sorrise osservando André: gli era sempre piaciuto ballare. Le spalle ampie, i movimenti fluidi, il portamento prestante… in realtà era veramente un bell'uomo… in realtà era sempre stato un bell'uomo… in realtà… aveva sempre trovato che André fosse bello… solo… non le era mai importato… era sempre stato… solo André… E adesso? Non era sempre André? Il suo André? … il suo André… Arrossì, sorpresa dei propri pensieri. Si allontanò in cerca di qualcosa di fresco da bere.

 

Quando André la raggiunse, Oscar stava bevendo birra da una bottiglia di vetro scuro. Gli aveva sorriso vedendolo venirle incontro e appena le si era avvicinato gli aveva offerto la birra dalla propria bottiglia; lui aveva accettato, bevendo avidamente, accaldato dalle danze. Quando ebbe finito, osservò Oscar, le labbra gli rimasero umide e lucide… forse le sarebbe piaciuto allungare una mano e sfiorarle appena… come aveva fatto lui pochi giorni prima, mentre mangiavano ostriche insieme… ripensò allo sguardo verde cupo di André, alla sua espressione improvvisamente spavalda, al polso che lei gli aveva stretto forte prima che Rosalie arrivasse… in silenzio accanto a lui, abbassò lo sguardo. Ripensò alle sensazioni contrastanti che le aveva dato il sentimento che aveva creduto di provare per Fersen: un dolore sottile, un senso di inadeguatezza e insoddisfazione… Stare con André era molto diverso; non le faceva sentire niente di simile: la faceva al contrario sentire bene… la faceva sentire… a casa… Alzò lo sguardo: Rosalie e Aurelia ballavano ancora, sembravano felici; dall'altra parte della piazza, invece, davanti alla Maison Anglaise si stava consumando una piccola tragedia: una signora sgridava gesticolando vistosamente, mentre trascinava un uomo per il braccio e un gruppetto di ragazze discinte le faceva il verso. Oscar sorrise; diede di gomito ad André e gli indicò la scena. "Visto? Esiste ancora…" gli disse, beffarda  "Qualche giorno fa ho visto pure Madame l'Anglaise in paese… C'è sempre quell'orrendo nano con lei…". André si coprì gli occhi ridendo. Oscar lo canzonò: "Povera maman comtesse… proprio il suo moralmente ineccepibile André…". André ripensò allo sguardo severo e deluso della contessa Marguerite:  "Dio Oscar…" disse "Credo di non essermi mai vergognato tanto in vita mia…". Risero insieme. André le passò un braccio attorno alle spalle, stringendola appena a sé. Lei non lo allontanò.

 

Tornando a casa Oscar salì in cassetta con André. Le ragazze, stanche ma ancora eccitate per le molte emozioni della serata, sedevano l'una accanto all'altra, tenendosi per mano e parlottando ancora fitto fitto fra loro.

Quando aveva visto Oscar salire accanto a lui, André si era sentito piacevolmente sorpreso e le aveva sorriso, spostandosi per farle spazio. Il calesse era molto più piccolo di una carrozza: in due in cassetta si stava stretti… André spronò i cavalli, poi si volse verso di lei, per accorgersi che lo stava guardando. Oscar distolse subito lo sguardo. Rimasero in silenzio fino a casa, con il vociare di Aurelia e Rosalie a far loro compagnia. Oscar teneva le mani in grembo, ma le braccia non facevano che sfiorarsi… e in realtà era salita in cassetta proprio  perché quella vicinanza, aveva scoperto, non le dispiaceva affatto…

Al rientro a Villa Jarjayes trovarono Madame Lorette sveglia ad aspettarli, sempre impeccabile nel suo abito nero. Accolse la figlia con un cipiglio serio ma non privo di tenerezza. Si fermò a ringraziare prima di ritirarsi con lei e Rosalie; congedandosi, Oscar notò che portava sul collo la spilla di onice che le aveva regalato. Raggiunse la porta sul retro e si fermò in cima alle scale; appoggiata alla balaustra, guardò la luna che disegnava fili d'argento sulle onde del mare. André si era attardato per sistemare il calesse e i cavalli; Oscar lo sentì sopraggiungere alle proprie spalle. Le si affiancò in silenzio. Solo dopo qualche minuto le chiese se volesse bere ancora qualcosa. Oscar si volse e lo guardò. "No." gli rispose, "... restiamo qui ancora un po'. L'aria è buona.". André annuì. I capelli di Oscar erano mossi dalla brezza della notte;  nel buio André, le maniche arrotolate fino al gomito, li sentì accarezzare il suo braccio e la sua mano. Ne strinse la punta di una ciocca qualche istante fra le dita.


Note al capitolo 5 
Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 
 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

 

Per il quinto capitolo:
Bocca di Rosa
Fabrizio De André - 1967


Il personaggio di Madame l'Anglaise è liberamente ispirato a quello di Bella Watling da Via col Vento di Margaret Mitchell.


Per quanto riguarda il libro sul comodino di André:
"Discorso sull'origine e i fondamenti della diseguaglianza tra gli uomini"
Jean-Jacques Rousseau - 1755


Per quel che riguarda gli studi di Rosalie, la citazione che André la aiuta a tradurre ("Stat suas cuique dies, breve et inreparabile tempus  omnibus est vitae; sed famam extendere factis hoc virtutis opus", ovvero "Ciascuno ha fissato il suo giorno; breve è la vita per tutti e irrevocabile, ma estendere la fama con le imprese, questo è il premio del valore"), è tratta da Virgilio, Eneide X, 467- 468.


La teurgoule, una sorta di budino di riso speziato, è una specialità tradizionale della Normandia.
 

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Capitolo 6
*** 6 - tre settimane da raccontare ***


Capitolo 5 - Tre settimane da raccontare
Un bacio sulla spiaggia, la burrasca, un buco nel tetto, il generale alla Maison Anglaise

La giornata era trascorsa pigra. Oscar aveva risparmiato a Rosalie la lezione di storia e André le aveva poi convinte entrambe ad andare a cavalcare sulla spiaggia. Avevano corso forte, spingendo i cavalli al galoppo, all'inseguimento di punti immaginari sull'orizzonte. Quando si erano riavvicinati a Villa Jarjayes Rosalie aveva preferito rientrare: aveva visto Aurelia e aveva voluto raggiungerla subito. André aveva invitato Oscar a correre ancora e insieme avevano galoppato lungamente, sfidandosi a tutta velocità. Quando il sole si era abbassato sull'orizzonte, erano tornati verso casa e 

avevano lasciato che i cavalli riposassero brucando le sterpaglie che spuntavano qua e là fra la sabbia.  André aveva recuperato un paio di libri ed era tornato sulla spiaggia,  per  rimanere a leggere all'aperto, sull'ampio telo che di solito usavano quando si sedevano con Rosalie. 

Oscar era rientrata per dare disposizioni per la cena; aveva pensato di ritirarsi, ma poi aveva scorto André ancora sulla spiaggia ed era uscita. Era rimasta qualche istante a guardarlo, di schiena, seduto con i gomiti appoggiati alle ginocchia piegate e il capo chino su un libro aperto a terra; inizialmente pensò di raggiungerlo con del vino bianco o dello champagne, ma non lo fece. Prese anzi la rincorsa pensando di sorprenderlo e quando gli fu vicino allungò una mano, sfilandogli agilmente dai capelli il nastro con cui era legata la coda. Scappò correndo veloce, volgendosi di tanto in tanto, sorridente, per accorgersi che André si era immediatamente alzato, lanciandosi all'inseguimento. "Fermati!" le diceva, a voce alta  "Ridammelo!". "No!" gridò Oscar di rimando, cercando di correre più veloce. In poche falcate André le fu addosso, braccandola. Le strinse le braccia attorno alla vita attirandola a sé. Oscar si sentì trattenere, rise e si lasciò andare, abbandonandosi contro di lui. Caddero insieme, ma lui la protesse tenendola saldamente con un braccio, affinché non si facesse male. Una volta a terra André la trattenne, schiacciandola sulla sabbia col suo peso. Oscar tese il braccio verso l'alto, stringendo forte il nastro, mentre lui allungava la mano per recuperarlo. Sciolti, i suoi capelli erano più lunghi di quanto lei credesse e le ricadevano, folti e morbidi, sul viso e nella scollatura della camicia. Improvvisamente Oscar smise di ridere e abbassò la mano, che André strinse nella propria, senza lasciarla. Oscar divenne seria tutt'a un tratto; non seppe dire perché lo fece… non ci pensò, fu un gesto estemporaneo e spontaneo: si sporse appena e sfiorò le labbra di André, depositandovi un bacio lieve e leggero. Immediatamente pensò di aver sbagliato, di essere stata inopportuna e invadente. Pensò che André avrebbe fatto una battuta… o che l'avrebbe presa in giro… invece lui non rise di lei. Restò anzi immobile un istante, la mano sempre stretta attorno alla sua. Oscar vide nei suoi occhi il verde delle iridi farsi scuro e profondo. André lasciò scivolare il braccio con cui l'aveva protetta nella caduta, per appoggiarsi al gomito. Abbandonò la mano che le stringeva e le accarezzó una guancia con il dorso, due volte, per poi toccarle la bocca con la punta della dita. Con prepotente dolcezza spinse fino a farle dischiudere le labbra. Oscar lasciò che le sfiorasse appena la lingua. Non richiuse le labbra quando lui ne estrasse le dita per portarle a sua volta alla bocca e lo accolse quando finalmente la baciò. Oscar trattenne il fiato un istante: il bacio di André era profondo, esigente. Sentì il suo sapore, che riconobbe come famigliare, e respiró il suo respiro con la stessa meraviglia con cui si scopre il conforto dell'alba dopo una notte di oblio. Sentì André premere con una gamba fra le sue ginocchia e non oppose resistenza, offrendogli un abbraccio fatto di languore e stupito desiderio. André la baciò a lungo, con lentezza, fermandosi di tanto in tanto per guardarla negli occhi e accarezzarle le labbra. Oscar lasciò andare il nastro che ancora teneva stretto nella mano e questo volò lontano, trasportato dalla brezza del tardo pomeriggio, che lo fece volteggiare in mille capriole fino a raggiungere la battigia. Col braccio ormai disteso lungo il fianco, si ritrovò a stringere la sabbia nel palmo della mano, mentre appoggiava l'altra sulla spalla di André, alla base del collo, dove la camicia si apriva, offrendole un lembo di pelle profumato di salsedine.

 

Quando aveva sentito il rumore dei passi veloci attutito dalla sabbia, André non vi aveva prestato attenzione, convinto si trattasse di Rosalie che lo raggiungeva per farsi aiutare nelle consegne di letteratura e latino. Era perciò rimasto sorpreso quando la mano di Oscar gli aveva sfilato il nastro dai capelli. Si era alzato velocemente, ma si era soffermato un istante a guardarla correre: i lunghi capelli biondi che ondeggiavano al ritmo dei suoi passi, l'andatura terribilmente aggraziata e sensuale, il viso sorridente girato indietro a guardarlo. Quando si era lanciato all'inseguimento lei aveva riso: una risata argentina che gli aveva fatto scoppiare il cuore, perché era consapevole che questa era la sua Oscar, quella con cui lui era cresciuto condividendo ogni cosa e che la sua spontaneità, lontano dai duri obblighi di corte e di palazzo Jarjayes, era concessa a lui e a lui soltanto. La chiamò, gridandole di restituirgli il nastro, ma lei rifiutò, correndo  più forte. In poche falcate la raggiunse e la afferrò alla vita con entrambe le braccia. La sua arrendevolezza lo lasciò disarmato: si era abbandonata infatti contro di lui e il bel viso appena abbronzato era accanto al suo; i suoi capelli biondi e morbidi si mischiavano ai suoi scuri, ormai sciolti sulle spalle, gli sfioravano il collo e si insinuavano là dove la camicia si apriva sul torace. La strinse forte, con tenerezza disperata e quando caddero cercò di proteggerla passandole velocemente un braccio dietro la schiena.

Lei aveva alzato il braccio e ora lui cercava di riprendersi il nastro giocando sporco: l'aveva infatti costretta sotto il proprio peso e tendeva una mano verso quella di lei. Improvvisamente Oscar smise di ridere e si fece seria. André pensò di averle fatto male, di essere stato troppo violento o di essere troppo pesante per lei. Si sollevò appena e la guardò negli occhi. Trovò qualcosa di indecifrabile nello sguardo che incontrò. Oscar abbassò la mano in cui ancora stringeva il nastro e lui la avvolse nella propria. Poi successe qualcosa che non avrebbe mai potuto immaginare. Oscar si sporse verso di lui e gli sfiorò le labbra in un bacio lieve e timido che lo sorprese, lasciandolo in qualche modo commosso per la delicatezza e la coraggiosa intimità del gesto. La guardò per un lungo istante: lesse ingenuità, incertezza e forse anche stupore sul suo viso. Le lasciò la mano per accarezzarla, mentre si sollevava appoggiandosi sul gomito per avvolgerla in un abbraccio. Le passò il dorso della mano due volte lungo una guancia. Lei non lo respinse. André sentì una sensazione di vuoto allo stomaco, mentre scorreva con le dita lungo il profilo delle sue labbra, per poi spingersi fino ad aprirle la bocca e sfiorarle appena la punta della lingua. Quando ritrasse le dita le labbra di lei rimasero  dischiuse e umide e André si portò le dita alla bocca come a volerla assaporare ancor prima di baciarla. 

Un fiume di pensieri e di parole si affollava nella sua mente. Avrebbe voluto poterle dire che l'amava da sempre  e sempre l'avrebbe amata. Che voleva che il suo cuore di donna battesse solo per lui e che non l'avrebbe mai più lasciata andare via… Avrebbe voluto dirle che avrebbe passato tutta la vita al suo fianco se lei l'avesse voluto… il futuro non era tuttavia che una nube di incertezze e quello che poteva avere era soltanto il presente… ma il presente era questo: Oscar fra le sue braccia, distesa sotto di lui. Oscar che l'aveva baciato. Il suo primo bacio. Il primo bacio di Oscar  gli apparteneva. Era suo. Questo era il presente e niente né nessuno avrebbe mai potuto portarglielo via. Avrebbe fatto in modo che lei ricordasse per sempre questo primo bacio, che il pensiero rimanesse impresso assieme a lui e al rumore delle onde nel suo cuore in ogni giorno a venire. L'avrebbe baciata fino a toglierle il fiato.

Quando appoggiò la bocca sulla sua ritrovò un sapore che conosceva. Quando respirò il suo respiro riconobbe una fragranza che faceva parte di lui da sempre. La baciò lungamente, con desiderio ed esigenza. Un bacio profondo e intenso in cui fece proprio ogni sospiro ed ogni fremito di lei e che interruppe solo per accarezzare con le dita le labbra che si stava prendendo e per bucare col proprio sguardo cupido gli occhi azzurri che tanto amava, resi languidi e lucenti dalla scoperta di un desiderio finora sconosciuto. 

Le passò una mano fra i capelli e spinse un ginocchio fra le sue gambe, lasciandosi sorprendere dall'accogliente morbidezza con cui lei accettò che si insinuasse fra le sue cosce. Oscar lasciò andare il nastro; un alito di vento lo condusse lontano.

 

Un vociare sempre meno distante li sorprese. André si girò su se stesso, Oscar si levò puntellandosi sui gomiti. Le voci si avvicinavano: Rosalie e Aurelia li cercavano. Il sole era ormai basso sull'orizzonte. La cena stava per essere servita. Entrambi si alzarono velocemente. A qualche passo l'uno dall'altra rimasero immobili, fissandosi per lunghi istanti. Oscar sentiva nel cuore un rincorrersi di emozioni cui non sapeva dare nome né forma. André strinse i pugni come a trattenere fra le mani quelle stesse emozioni; i capelli liberi dal nastro gli coprivano le spalle fino a mezza schiena e scendevano attorno al viso in ciocche scomposte.

Quando Rosalie li raggiunse pensò che avessero discusso: il silenzio denso e pesante fra loro e un'intensità sconosciuta nel loro occhi le fece pensare che si stessero fronteggiando; si preoccupò, ma Oscar si affrettò a sorriderle. "La cena è pronta?" le chiese con dolcezza, affiancandola e incamminandosi con lei e Aurelia verso la villa. André si voltò e le seguì con lo sguardo: Rosalie portava uno dei completi maschili che Oscar aveva preso per lei. Oscar si passava una mano fra i capelli per scrollare la sabbia e ascoltava la giovane; improvvisamente, tuttavia, si volse per guardarlo e André seppe che per la prima volta lei, veramente, poteva vederlo.

 

Madame Lorette stava controllando che le stanze fossero state riordinate per la notte e si occupava personalmente di riporre la biancheria stirata nei cassetti. Quando arrivò nella stanza di Oscar sistemó con cura le camicie, spianò per bene la piega del lenzuolo e sprimacciò i cuscini, poi si avvicinò alle finestre per accostare le tende. Con le mani già intente a sciogliere le passamanerie che trattenevano i panneggi, vide sulla spiaggia Oscar correre dopo aver sfilato il nastro dai capelli di André. Vide lui alzarsi e rincorrerla e i due cadere a terra. Li vide baciarsi mentre il nastro volava via sospinto dal vento leggero e sorrise sospirando di tenerezza. Mentre il languore di appassionati ricordi di gioventù veniva a bussare prepotente alla porta del cuore, là dove il dolore della perdita non era mai stato sopito, ripensò alle molte volte in cui da quando lo conosceva, fin da ragazzino, aveva letto l'amore sul volto di André e a quante volte nelle rispettose attenzioni di Madamigella Oscar per lui, aveva riconosciuto un affetto tangibile che mai si era permessa di osservare. Rimase a guardarli, abbracciati sulla sabbia, la testa bruna di lui china su quella bionda di lei, i capelli sparpagliati attorno a loro, le gambe improvvisamente intrecciate… e si dispiacque quando le voci lontane delle ragazze li distrassero. Se avesse potuto richiamare Rosalie e la figlia senza palesare la propria presenza alla finestra, l'avrebbe fatto, perché trovava che l'amore meritasse di non essere disturbato. Quando li vide alzarsi repentinamente e il giovane conte raggiungere Rosalie, mentre Aurelia aspettava qualche passo più indietro, si affrettò a chiudere le tende per farsi trovare pronta a dirigere il servizio della cena. Mentre raddrizzava le pieghe, libere ormai dai nastri che le trattenevano, lanciò un ultimo sguardo ad André, fermo sulla spiaggia e vide che Madamigella Oscar si girava per guardarlo. Abbassò gli occhi mentre un sorriso mesto le nacque spontaneo al pensiero del proprio amore perduto. Uscì dalla stanza velocemente. Dall'atrio già illuminato giungevano le voci di Rosalie e del padrone. Madame Lorette scese velocemente le scale. "Desiderate che vi aiuti a prepararvi per cena, Madamigella Oscar?" chiese premurosa. "Non occorre." rispose Oscar, più freddamente di quanto avrebbe voluto, lasciando Rosalie e avviandosi a capo chino verso le proprie stanze. André, i capelli a incorniciargli il volto fino a raggiungere il petto e uno sguardo indecifrabile negli occhi, era appena rientrato e richiudeva la porta dell'ingresso sul retro dietro le proprie spalle.

 

Il crepuscolo aveva portato con sé dense nubi che incombevano sull'orizzonte: una striscia netta di cielo nero avanzava nel rossore degli ultimi raggi del tramonto. Il vento si era fatto più forte e le onde che andavano a rompersi sulla battigia erano sempre più gonfie e spumeggianti. André, fermo alla finestra del bovindo dello studio, guardava il mare farsi sempre più grosso e minaccioso; presto sarebbe piovuto. Madame Lorette dirigeva una cameriera che finiva di mettere a punto la tavola già apparecchiata per la cena. Rosalie era china sul libro di letteratura e Oscar sedeva sul sofà, gli occhi bassi, una coppa di champagne in una mano e l'altra impegnata a tormentare la punta di un ricciolo biondo. Respirava piano, silenziosa. Era allerta, quasi spaventata dal rumore dei pensieri e delle emozioni che si susseguivano incalzanti nella sua mente. Al momento in cui la cena fu servita, fu l'ultima a sedersi, quando ormai André e Rosalie avevano già preso posto e Madame Lorette, con la zuppiera in mano, le rivolgeva uno sguardo interrogativo. Guardò André mangiare tranquillo chiacchierando amabilmente con Rosalie, mentre lei non riuscì a sorbire più di due o tre cucchiai della delicata crema di porri. Rifiutò le seguenti portate, guardando André continuare invece a mangiare con gusto prima lo scorfano al forno con la purea di cavolfiore e poi la torta alla melassa; sorrideva, apparentemente tranquillo, mentre lei continuava a sentire come una vertigine al ricordo insistente del sapore salino delle dita che le avevano accarezzato le labbra e le avevano toccato la lingua e al pensiero della bocca di André sulla propria. Si sentì impaziente nell'attesa che Rosalie si ritirasse e quando lei se ne andò augurando la buonanotte, rimase sorpresa di vedere André sedersi semplicemente con un libro e un bicchiere di armagnac. Fuori dalla finestra la pioggia aveva iniziato a scendere copiosa e formava fitte cordicelle sulle ampie vetrate. Da bambini quando c'era burrasca cercavano di aprire uno spiraglio di finestra per ascoltare il mugghiare del vento e il fragore dei cavalloni; reggevano l'anta insieme, sporgendosi a turno e tirandosi indietro, ridendo per le gocce di pioggia sul viso. Oscar sorrise: una volta il vento era stato troppo forte e la finestra si era richiusa con forza, intrappolandole due dita. Aveva gridato e André l'aveva liberata, per poi correre alla ricerca di Madame Lorette per recuperare un poco di burro con cui lenire le nocche scorticate. Lei aveva pianto e André le aveva asciugato le lacrime, chiudendo la finestra e raccontandole una favola. La ricordava ancora: parlava di uno stormo di oche che si era rifugiato in un lago nel parco della villa per sfuggire alle intemperie. Lei aveva osservato, sempre puntigliosa, che nel parco di Villa Jarjayes non c'era nessun lago e così André le aveva risposto che durante la notte le temperature erano scese tanto da far ghiacciare l'acqua e così al mattino quando le oche erano volate via avevano portato il lago via con loro. Oscar lo aveva ascoltato con stupore e quando gli aveva detto, dopo averci pensato un attimo, che era impossibile, ormai non stava più piangendo e il dolore alle dita era stato dimenticato. Alzò furtivamente lo sguardo: André era insolitamente elegante per una serata informale… e portava al collo il suo fazzoletto. Ora che l'aveva visto, non era più capace di guardarlo allo stesso modo.

 

Quando era rientrato dalla spiaggia, André aveva raggiunto silenziosamente la propria stanza. Aveva richiuso piano la porta appoggiandovisi contro con tutto il peso ed era restato immobile per un tempo indefinito, poi aveva cercato un altro nastro per i capelli e si era preparato per la cena con cura particolare, non tralasciando di indossare il suo fazzoletto. A cena si era accorto che Oscar lo aveva notato; aveva mangiato con appetito, sentendosi addosso i suoi sguardi furtivi e ripetuti. Non l'avrebbe lasciata andare… Non l'avrebbe lasciata andare mai più. Ma sapeva anche che se si fosse lasciato trasportare dall'euforia e dai sentimenti che gli gonfiavano il cuore, lei lo avrebbe allontanato.

Quando Rosalie si congedò da loro, si limitò quindi a sedersi sul sofà di velluto rosso con un libro e un bicchiere di armagnac, osservando di tanto in tanto Oscar, in piedi, che guardava la pioggia dalla finestra. La burrasca aveva gonfiato il mare e un fulmine illuminò improvvisamente le onde, quasi immediatamente il tuono arrivò a squarciare l'aria della notte. André vide le spalle di Oscar sussultare appena al frastuono improvviso. Alla luce dei doppieri i suoi capelli erano di un color oro antico. Lei si volse, un'espressione di attesa sul viso e una luce febbrile negli occhi. André sostenne il suo sguardo. Il rumore della pioggia riempiva il silenzio fra loro. Un bussare sommesso annunciò l'arrivo di Madame Lorette: mortificata di dover disturbare veniva ad avvertire che purtroppo la furia del vento e della pioggia aveva danneggiato il tetto e ora un preoccupante rivolo d'acqua si riversava incessantemente nel corridoio del piano superiore. André appoggiò il libro e il bicchiere. "Venite," disse "vi aiuto io madame. Vediamo se si può fare qualcosa.".

 

Nel corridoio scuro, illuminato dalle lampade ad olio, il viso di Madame Lorette aveva un aspetto fra il dispiaciuto e il preoccupato. Osservando l'acqua che dal solaio scendeva copiosa nel corridoio, André pensò di aver visto già una volta quella stessa espressione sul volto della governante di Villa Jarjayes. Era stato tanto tempo prima; lui poteva aver avuto dodici o tredici anni. Si era sempre trattato di una richiesta di aiuto. Allora lui non dormiva in una delle stanze del piano nobile: era stata Oscar ad assegnargli la prima volta una di quelle stanze… quella accanto alla propria… quando avevano iniziato a frequentare la villa soli, senza Madame la Comtesse. Madame Lorette era venuta a svegliarlo a tarda notte: il volto angosciato, le mani in tormento che si stringevano fra loro… André ricordò di essere rimasto più colpito di vederla con i lunghi capelli scuri attraversati dalla ciocca chiara sciolti e lisci, che di accorgersi che Madame era in camicia da notte. "C'è bisogno di un uomo…" gli aveva detto, gli occhi speranzosi.

Verso la tarda mattinata lui e Oscar, appena adolescenti, erano rientrati da una cavalcata sulla spiaggia e si erano sorpresi di trovare il generale alla villa. Il generale non amava il nord e soprattutto, sempre ligio e austero, non concepiva l'idea dello stare in villeggiatura. Lui e Oscar, sguaiati e rumorosi, erano entrati correndo e si erano subito bloccati, cercando di ricomporsi velocemente, quando nel grande salone di ingresso si erano trovati al cospetto del conte de Jarjayes.

 

L'acqua aveva già creato una pozza preoccupante sul pavimento del corridoio. Madame Lorette era corsa a prendere degli stracci con cui poter arginare e asciugare. Quando Oscar arrivò, André si stava togliendo la giacca per poter lavorare più liberamente. Oscar la prese e lo guardò avviarsi verso il solaio. Entrò nella propria stanza e avvicinò il collo della giacca al viso, annusando. Era l'odore di André. Lo stesso che conosceva da sempre. Lo stesso che aveva sentito poche ore prima respirando il suo stesso respiro, accogliendo il suo bacio. Appoggiò la giacca sul letto. Quando uscì nel corridoio c'era solo Madame Lorette che cercava di asciugare per terra. 

 

Nel solaio scuro il vento e la pioggia si insinuavano freddi fra la polvere, avanzi di costruzione e qualche vecchio baule. André trovò presto la falla e cercò qualcosa con cui ripararla. Madame Lorette lo raggiunse con un lume. Sporgendosi dal buco del tetto André riuscì ad afferrare un paio di coppi che la burrasca aveva rovesciato. Fra i tralicci, un'asse si era danneggiata lasciando cadere il reticolato che sorreggeva le tegole. Madame si affrettò a cercare qualcosa di utile fra il ciarpame e André poté presto mettersi all'opera. Lavorarono in silenzio, senza bisogno di parole inutili, come tanto tempo prima, quando appena ragazzino l'aveva seguita nella notte. André ricordava di essersi vestito rapidamente e di non aver domandato nulla. Aveva solo seguito Madame Lorette fino alla porta di servizio, dove era arrossito fino alla radice dei capelli trovando in piedi ad aspettare qualcuno che chiunque fosse vissuto anche un solo giorno in paese non poteva non conoscere: il nano della Maison Anglaise. "Devi andare con lui e portare a casa il padrone." gli aveva detto Madame Lorette. André aveva annuito senza parlare ed era uscito nella notte guardandosi più volte indietro: nel rettangolo di fioca luce della porta, Madame Lorette era rimasta immobile finché lui non era salito sul birroccio e il cavallo, un baio giallo e stanco, non era stato spronato con la punta dell'orrendo bastone che tutti conoscevano e tutti cercavano di non guardare.

Arrivati a destinazione André aveva ormai scoperto che il nano aveva origini italiane e portava un nome storico e altisonante: Annibale. Questi aveva passato l'intero tragitto a raccomandargli di essere rispettoso, perché la sua padrona era una gran signora e meritava rispetto. André non aveva mai risposto, limitandosi a spostarsi solo un po' più in là ogni volta che Annibale si era sporto toccandogli la spalla o il braccio.

 

"Pronta?" disse André "Ora spingiamo forte insieme verso l'alto!". Madame Lorette mise le mani ben aperte sul traliccio che André aveva recuperato e sistemato fra le assi e insieme fecero pressione, fino a incastrarlo bene. L'acqua smise di scendere, ma Madame sistemó comunque una grande bacinella per il bucato sotto la falla. "Per stanotte dovrebbe tenere, ma domani dovremo cercare qualcuno per riparare per bene il tetto." sentenzió André, mentre si puliva le mani con uno straccio che Madame gli porgeva. "Mi occuperò io di tutto." risoluta, determinata, Madame non mancò di farsi carico, come sempre, di ogni responsabilità per la casa. Scesero con attenzione lungo la scala a pioli. André lasciò che la governante andasse per prima.

"Mi occuperò io di tutto."... gliel'aveva detto anche Madame l'Anglaise quando, tanti anni prima, ancora ragazzino era entrato a testa bassa nella sua Maison. "Tu devi solo portarlo a casa con discrezione. Ti metterò a disposizione un fiacre anonimo. Sai condurre i cavalli?". André aveva annuito salendo le scale dietro la matrona. Ricordava ancora la voce profonda e mascolina, il tessuto nero dello strascico del suo abito mentre camminava davanti a lui e il tappeto rosso che correva sui gradini della scalinata profilata da un corrimano dorato. Curioso, aveva sbirciato cercando di non farsi vedere: giovani donne più o meno svestite sedevano annoiate sui sofà. Non c'erano avventori. Tutto gli era sembrato sospeso e immobile, fra il rosso del velluto e il luccichio delle luci che si riverberava infinite volte sugli specchi che coprivano quasi interamente le pareti. 

Al piano superiore la signora l'aveva introdotto in una stanza molto sobria rispetto agli ambienti che aveva appena percorso: tende color panna, mobili di solido mogano… e un grande letto con una spalliera riccamente intarsiata, su cui sedeva a petto nudo, i pantaloni in parte calati e la testa fra le mani, il generale, piangendo come un bambino, mentre due ragazze gli accarezzavano i capelli spettinati e cercavano inutilmente di consolarlo. André aveva sbarrato gli occhi facendo un passo indietro, ma Madame l'Anglaise l'aveva sospinto in avanti. "Aiutami!" gli aveva intimato "Dobbiamo rivestirlo e ve ne dovete andare subito. Ho già perso affari a sufficienza stanotte cacciando tutti i clienti per lui!". André si era allora fatto avanti, recuperando la camicia e la marsina che aveva trovato appoggiate in fondo al letto. Il conte de Jarjayes aveva alzato su di lui uno sguardo sofferente e vacuo. "Sono io, signor generale." gli aveva detto lui "Sono André. Lasciate che vi aiuti. Vi riporto a casa.". Il generale era ubriaco. André non l'aveva mai visto ubriaco. Né l'avrebbe più rivisto: il generale non beveva. Quando si era apprestato a rivestirlo aveva notato il suo fisico: asciutto e prestante nonostante l'età… e forgiato da una vita di dura disciplina militare. Cercando di infilare le braccia uno alla volta nelle maniche della camicia, aveva visto sulla pelle segni e cicatrici e si era chiesto se veramente, da padre, poteva aver voluto e scelto questo per Oscar… André aveva sospirato: per la sua Oscar, con la pelle sottile e diafana, i lineamenti delicati, le forme aggraziate… Vestire il generale si era rivelato più difficile del previsto: questi infatti non aveva dimostrato nessuna intenzione di aiutare e Madame l'Anglaise era rimasta a guardare immobile con le braccia incrociate sul petto. Mettergli la giacca era stata un'operazione piuttosto impegnativa e André aveva inizialmente allacciato i bottoni in maniera sbagliata, trovandosi poi costretto a liberarli dalle asole e a ripetere tutto da capo. Aveva quindi invitato il conte ad alzarsi, ma senza successo; aveva cercato di alzarlo di peso, ma il suo fisico acerbo non era stato in grado di sorreggere tutto il peso di un adulto. Si era allora come materializzato dal nulla Annibale, che lo aveva aiutato a condurre il generale lungo le scale e  poi fuori, quindi  a caricarlo sulla carrozza scura. André era allora salito per la prima volta solo in cassetta: sapeva portare la carrozza, ma finora l'aveva fatto solo col cocchiere. Aveva pensato di partire subito, invece una voce l'aveva raggiunto, perentoria: "Dove credi di andare?". "A casa. Dove credete che voglia andare?" avrebbe voluto rispondere, ma aveva taciuto, mentre Madame l'Anglaise lo stava raggiungendo, un piccolo borsello rigido in una mano e una tazza fumante nell'altra. Quando gli era stata vicino l'odore di qualsiasi cosa fosse stata nella tazza l'aveva costretto a voltare il viso. "Aspetta!" gli aveva ordinato lei "I conti de Jarjayes sono un'istituzione qui! Non vorrai riportarlo da sua moglie in questo stato!". André aveva spalancato gli occhi figurandosi la contessa Marguerite: sua moglie?? Lui aveva sperato proprio di non incontrarla per niente, sua moglie!

 

Oscar, seduta sul letto, le gambe accavallate e le braccia lungo i fianchi, sentì rumori provenire dalla stanza accanto: André doveva essere sceso dal solaio. Guardò la giacca che aveva lasciato accanto a sé esitando qualche istante, quindi si alzò e la prese per raggiungerlo e portargliela. L'uscio era accostato; non bussò. André, a torso nudo, chino sulla toletta, si stava rinfrescando, la camicia abbandonata sul pavimento ai suoi piedi e il fazzoletto che lei gli aveva regalato, invece, accuratamente piegato sul ripiano accanto al catino. Lo sguardo basso, sulla porta, Oscar esitò. La luce fioca del lume a olio disegnava le forme di André con riflessi caldi e dorati; l'aveva visto cento altre volte compiere gli stessi gesti. Avevano condiviso tanti momenti come quello. Si erano vestiti tante volte insieme. Eppure ora esitava, immobile. Eppure ora, guardandolo, lo vedeva diverso. André si levò e si volse, prendendo uno degli asciugamani di lino pronti sulla mensola. Vedendola ferma sulla porta le sorrise. Era lui, pensò Oscar, era il suo sorriso. Lo stesso che conosceva da sempre e da sempre la faceva sentire a casa. Perché ora le sembrava tanto diverso? "Ti ho riportato la giacca." gli disse, piano. "Sei gentile!" rispose lui, cercando in un cassetto una camicia pulita. La marsina di André ancora stretta fra le mani, Oscar lo guardò vestirsi. "Sei riuscito a fare qualcosa per il tetto?" gli chiese, ostentando indifferenza. "Per stanotte ce la caveremo," rispose lui "ma domattina Madame Lorette chiamerà qualcuno per sistemare bene. Sono cadute alcune tegole. C'è qualche danno.". Oscar lo guardò lisciare le pieghe della camicia, poi gli porse la giacca. Prendendola, lui la guardò negli occhi. "Non è una serata troppo fresca…" le disse, appendendo la giacca alla spalliera della sedia dello scrittoio. "... e non è nemmeno tardi," continuó "avevo aperto una bottiglia di eccellente Armagnac. Ne vuoi? Possiamo tornare un po' nello studio.". "Non mi va," mormorò lei "ero venuta solo per augurarti la buonanotte.". Il viso sottile, lo sguardo incerto e luminoso, la fronte leggermente aggrottata, i capelli che ricadevano, a riccioli, lunghi e morbidi oltre la curva lieve dei seni… André ebbe un moto di tenerezza che sentì di non poter arginare. Avanzò verso di lei. Oscar fece un passo indietro, ma quando lui le fu vicino e le prese il viso con una mano, accarezzandola con il pollice mentre le altre dita sfioravano piano la pelle sottile appena dietro l'orecchio, non si sottrasse. Oscar sollevò una mano per aggrapparsi leggermente al colletto della camicia di André. Ne seguì il profilo trattenendo l'orlo fra le dita e quando arrivò al petto aprì la mano per appoggiarla interamente a lui. Percepì sotto la stoffa la pelle tiepida e ancora accaldata, sentì il movimento regolare del respiro, avvertì la forma solida e rassicurante del torace. Di nuovo inalò la sua stessa aria e sentì la propria pelle accaponarsi quando lui le appoggiò una mano sul fianco, attirandola delicatamente a sé. Per la prima volta nella sua vita, nella dolcezza di quell'abbraccio silenzioso, ebbe la percezione del proprio corpo. Sentì qualcosa sciogliersi in fondo al cuore, mentre una sensazione di vertigine le riempiva lo stomaco. Ebbe paura. "Buonanotte André." sussurrò. Lui, la bocca già vicina alla sua, volse appena il viso, arrivando a sfiorarle l'orecchio con le labbra. "Buonanotte Oscar." mormoró, la voce bassa e carica di attesa trattenuta. Quando il fiato di André le accarezzò, quasi impercettibile, la base del collo, un brivido sottile le percorse la nuca. Lui la lasciò andare. Oscar si allontanò. La testa bassa, percorse lentamente i pochi passi che la separavano dalla propria stanza, ma alzò lo sguardo su André un'ultima volta prima di aprire la porta e sparire dietro di essa.

Nella solitudine della propria stanza Oscar tolse le scarpe gettandole da una parte, poi si lasciò cadere sul letto, le braccia alzate sopra la testa, i palmi rivolti verso l'alto, le gambe lasciate pendere oltre il bordo. Chiuse gli occhi e sospirò, mentre una leggera euforia la induceva a sorridere senza motivo. Ricordò un tardo pomeriggio di tanti mesi prima, in cui si era sdraiata allo stesso modo sul letto, nelle proprie stanze a palazzo Jarjayes, dopo essersi congedata dal Conte di Fersen, col cuore colmo di un turbamento che non aveva saputo definire. Nemmeno ora era in grado di dare un nome all'insieme di emozioni e sentimenti che sentiva rincorrersi dentro di lei, ma certamente questi non la turbavano. Provava anzi una sorta di ubriachezza del cuore che la faceva sentire leggera.

 

André, il respiro contratto, il desiderio negli occhi, rimase qualche istante a fissare la porta chiusa della stanza di Oscar prima di chiudere anche la propria. Si passò una mano sul viso e fra i capelli, sorridendo; eccola la sua Oscar, nella sua meravigliosa fragilità… Non l'avrebbe lasciata andare via mai. Aveva pensato tutta la vita che il suo amore così forte sarebbe potuto essere sempre abbastanza per tutti e due, ma ora… ora che l'aveva tenuta fra le braccia, ora che aveva visto il suo sguardo cercarlo, ora che aveva assaggiato le sue labbra, sapeva che non era così. Ora comprendeva che l'amore di uno soltanto non sarebbe stato mai sufficiente, perché ora sapeva di poter essere riamato.

Si mise seduto sul letto, i gomiti appoggiati alle ginocchia, la testa incassata fra le spalle… quanto tempo era passato da quando Oscar si era lasciata abbracciare da lui? Erano bambini o poco più.

Quando tanti anni prima, appena tredicenne, era tornato a Villa Jarjayes col padrone era ancora notte; aveva trovato Madame Lorette ad attenderlo sulla porta di servizio, già vestita di tutto punto. Lei lo aveva aiutato a far scendere il generale e gli aveva raccomandato di sistemare il fiacre e i cavalli nelle stalle: avrebbe provveduto lei a farli tornare a chi di dovere. Insieme avevano condotto il conte lungo le scale nel silenzio della notte, poi Madame gli aveva detto di tornare a dormire un po': si sarebbe occupata lei di tutto il resto. Camminando stancamente attraverso il corridoio buio, André si era spaventato trovando una figura esile avvolta in una veste chiara in piedi davanti alla porta di una delle stanze del piano nobile. Si era fermato trasalendo; Madame la Comtesse lo aveva fermato dicendogli poche parole, con voce bassa e vibrante: "Sei un ragazzino per bene. Promettimi che non frequenterai mai più luoghi tanto inverecondi!". André era rimasto immobile, trattenendo il fiato. Nell'oscurità aveva potuto distinguere del volto della contessa Marguerite solo il profilo. Lei gli aveva allora appoggiato una mano sulla spalla ribadendo: "Prometti!" e lui aveva annuito energicamente, scappando via subito dopo.

L'indomani il generale non si era presentato a colazione. 

La contessa era arrivata prima del solito quell'estate alla Villa. Aveva trascorso mesi particolarmente difficili che l'avevano enormemente prostrata e aveva detto al marito di aver bisogno di riposo e tranquillità. Dare alla luce Oscar, dopo due aborti spontanei che l'avevano duramente provata, aveva infatti  minato il suo fisico di natura già fragile. Il dottor Lassonne aveva sconsigliato altre gravidanze e il generale, intento ad educare con disperata ostinazione la sua ultimogenita come un maschio, era sembrato ormai rassegnato a non avere altri figli. Contrariamente a ogni aspettativa, tuttavia, una sera fu annunciata una nuova maternità di Madame la Comtesse. André ricordava perfettamente il volto preoccupato di sua nonna durante il solenne annuncio. A palazzo Jarjayes la vita era stata solitamente sempre piuttosto austera, tuttavia il generale aveva voluto dare un sontuoso ballo per il quale non aveva badato a spese. Erano seguiti mesi di anomalie e stranezze, durante i quali lui e Oscar avevano potuto beneficiare di un'insolita libertà, poiché il generale aveva dato l'impressione di aver temporaneamente dispensato la figlia dalle molte ore di addestramento cui l'aveva sempre sottoposta.

Le euforie e le stranezze erano terminate tutte in una volta in una notte di nebbia in cui fu mandato con urgenza a chiamare il dottore: la contessa Marguerite era stata piegata dal dolore; violente doglie erano infatti arrivate a preannunciare un parto prematuro, che era terminato con la venuta al mondo di una minuscola creatura avvizzita e senza vita, non più grande della mano di un uomo. André ricordava sua nonna che la mostrava al generale avvoltaa pietosamente in un panno. Era un maschio. Rosso e freddo già dopo pochi istanti. Il generale non aveva voluto toccarlo e aveva lanciato con violenza un pesante vaso di cristallo contro la vetrata che era andata in mille pezzi con fragore, mentre le rose della contessa si sparpagliavano scompostamente sul tappeto.

 

André sospirò; si era spogliato lentamente, riponendo con cura ogni indumento. Sdraiandosi sotto le lenzuola aveva ripensato al corpo di Oscar disteso sulla sabbia nel pomeriggio, morbido sotto il suo peso… e stretto a lui poco prima: un corpo esile e aggraziato, sottile ed elegante, eppure in grado di sopportare dolore e fatica. 

Dopo la notte in cui lo aveva recuperato alla Maison Anglaise il generale era partito senza voler vedere nessuno. Aveva accettato il comando di un reggimento, André non ricordava dove, ed era rimasto lontano per mesi. Quando era tornato sembrava invecchiato di mille anni. La luce orgogliosa dei suoi occhi si era come trasformata in una cupa determinazione di cui aveva finito col rendere vittima la figlia. André ricordava con dolore un'Oscar poco più che bambina, le forme acerbe e il viso delicato, sottoposta a ore di addestramento che la sfinivano, trattata con una durezza che aveva finito con lo smorzarne il carattere allegro e punita in maniera impietosa per una colpa da cui non avrebbe mai potuto redimersi: non essere nata maschio.  André aveva accolto e raccolto le sue lacrime finché lei non aveva imparato a nascondere la propria dolcezza. Aveva cercato di consolarla finché lei gliel'aveva permesso…  e finché ogni gesto di tenerezza non era diventato per lei dimostrazione di debolezza, l'aveva abbracciata.

Ora, dopo tanto tempo, Oscar gli aveva offerto nuovamente se stessa, gli aveva permesso di vederla e guardarla per come era: la sua Oscar spavalda, capace di sfidare il mondo a testa alta, eppure così fragile dinnanzi alla potenza dei sentimenti… André ricordò un pomeriggio di molti mesi prima, quando, guardando Oscar misurarsi al fioretto con il conte di Fersen, aveva riconosciuto in lei un cuore di donna di cui forse lei stessa non era stata ancora nemmeno consapevole. Allora si era tuttavia dolorosamente reso conto che quel cuore di donna non stava battendo per lui. Ora invece… ora… ripensando a Oscar fra le sue braccia… a Oscar che si lasciava baciare, a Oscar che lo guardava come mai aveva fatto prima… ora era certo che quel cuore di donna battesse per lui. 

Nonostante la pioggia la notte era calda. André si rigirò più volte nel letto. Si addormentò tardi. Sognò Oscar fra le sue braccia.

Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 

 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

 

Per il sesto capitolo:
Tre settimane da raccontare
Fred Bongusto - 1973

 

Nei ricordi di Oscar e André bambini il racconto delle oche volate con il lago ghiacciato è tratto dal film "Pomodori verdi fritti alla fermata del treno" (1991).

Il personaggio di Madame l'Anglaise è liberamente ispirato a quello di Bella Watling da "Via col Vento" di Margaret Mitchell.

Nel racconto dei ricordi riguardanti il passato del Generale mi sono permessa di omaggiare l'ottimo racconto di Dorabella27: "Era una notte buia e tempestosa".

 

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Capitolo 7
*** 7 - Ti voglio bene (non l'hai mica capito) ***


Capitolo 7 -  Ti voglio bene (non l'hai mica capito)
Vita in normandia, visita a Hortense, l'incapacità di amare e di lasciarsi andare, la partenza


La pioggia continuò battente nei due giorni seguenti: folate di vento portavano pesanti scrosci a infrangersi contro le finestre. Il mare era grigio e minaccioso e alti cavalloni sormontati da schiuma bianca si abbattevano sulla riva arrivando a coprire le spiaggia per molti metri. A Oscar non dispiacevano le burrasche del nord: protetta dal tepore della casa amava ascoltare il fischiare del vento e il rumoreggiare del mare. Sarebbero stati certamente giorni comunque quieti e piacevoli se la falla sul tetto non avesse ceduto nuovamente, creando non pochi problemi. 

Dopo aver riparato il buco nel solaio alla bell'e meglio con André, Madame Lorette si era immediatamente prodigata a cercare una manovalanza capace di sistemare la situazione in maniera definitiva e così già di buon mattino, preoccupata per il maltempo che non accennava a placarsi, aveva inviato il garzone in paese. Questi era tornato bagnato e infreddolito con notizie poco rassicuranti: in paese c'erano stati infatti diversi danni e nessuno era disponibile per accorrere subito a Villa Jarjayes. Madame Lorette aveva premiato la solerzia del garzone con del latte caldo alla vaniglia e una fetta di crostata, poi si era confrontata con Madamigella Oscar e André. 

Leggendo una profonda preoccupazione sul volto della governante, André si offrì di occuparsi personalmente del problema. Aveva seguito tante volte interventi e riparazioni a palazzo Jarjayes ed era sicuro di poter sistemare definitivamente la falla senza troppe difficoltà. Gli servivano un paio di buone braccia in aiuto e scrisse per Madame Lorette una lista del materiale di cui avrebbe avuto bisogno. 

Affiancato dal giardiniere, uomo dotato di buona manualità e non spaventato dai lavori faticosi, André si mise velocemente all'opera.

 

Trascorsero così alcuni giorni piuttosto affaccendati; Oscar passava per lo più il suo tempo con Rosalie, studiando insieme o distraendosi con giochi di carte o letture, mentre André restava in solaio a lavorare alacremente e Madame Lorette si adoperava affinché la casa fosse sotto ogni aspetto gestita alla perfezione.

Durante la permanenza alla Villa, Oscar aveva ricevuto diverse missive da parte di sua sorella Hortense: era ospite presso parenti della prima moglie del generale in una località poco distante e la pregava di andare a trovarla per qualche giorno. Oscar aveva inizialmente declinato, quindi ignorato le missive, ma i ripetuti inviti l'avevano costretta a rispondere e così quando la pioggia cessò, decise di accettare e di annunciare il proprio arrivo assieme a Rosalie; l'avrebbe presentata come sempre come una parente di sua madre.

André non riusciva a raggiungere Oscar e Rosalie per pranzo, ma la sera si univa a loro per cena, sempre elegante e ordinato, intrattenendosi con loro nonostante le molte ore di fatica. Quando Rosalie si congedava, lui e Oscar rimanevano in compagnia bevendo cognac o sherry e a lei piaceva ascoltare André leggere per lei brani scelti che avevano amato o che lui le proponeva, parlandole di nuove letture e di nuovi autori interessanti. In questi momenti di quotidiana intimità Oscar provava una sensazione di pace infinita ed ora si sentiva dispiaciuta di doversi assentare, anche se brevemente.

 

Dopo il primo giorno, Oscar aveva trovato un pretesto per portare il pranzo ad André in solaio. Madame Lorette, impeccabile ed efficiente come sempre, non si era posta domande e dal giorno seguente le aveva fatto  semplicemente trovare il cesto già pronto. 

Dopo aver pranzato con Rosalie, Oscar raggiunse quindi André. Quando arrivò in solaio lo trovò intento a impastare malta in un ampio secchio, mentre Fernand il giardiniere, gli avambracci villosi e le mani grosse e callose,  preparava i coppi necessari a sostituire quelli rotti. André, una vecchia camicia con le maniche arrotolate fino ai gomiti e un paio di pantaloni logori e macchiati, la accolse con un sorriso. Lei rimase in silenzio a guardarlo mangiare, mentre lui scambiava qualche parola con Fernand e rideva ai suoi racconti gioviali; alzava tuttavia di tanto in tanto lo sguardo su di lei, per restare ogni volta con gli occhi impigliati per qualche prezioso istante.

 

Oscar si preparò alla partenza di malavoglia; si alzò di buon'ora senza alcun entusiasmo, ma fu piacevolmente sorpresa, presentandosi per la colazione, di trovare André ad attenderla. Quando arrivò il momento della partenza, lui si occupò di sistemare i pochi bagagli sulla carrozza e aiutò Rosalie a salire ed accomodarsi. Oscar, in piedi accanto allo sportello, sembrava non decidersi a prendere posto. André le appoggiò con dolcezza una mano sulla spalla. "Non ti divertire troppo in questi due giorni con tua sorella!" la canzonò. Lei sorrise, abbassando lo sguardo. "Quando tornerai il tetto sarà tornato come nuovo!" continuò lui. "Va bene." rispose Oscar, appoggiando già il piede sul predellino. André si allontanò, avviandosi a passi lenti verso l'ingresso. 

Dalle cucine, Aurelia si affrettò: voleva raggiungere Rosalie per un ultimo saluto, ma Madame Lorette aveva scorto dalla finestra Madamigella Oscar scendere dalla carrozza e correre verso André, ancora di spalle. Fermò perciò la figlia assegnandole immediatamente una commissione. Vide Oscar avvicinarsi ad André e prendergli la mano e lui girarsi sorpreso. Madame Lorette sorrise, testimone involontaria di un istante di tenerezza.

 

Hortense fu felice di ricevere Oscar; la accolse con profusione di attenzioni e si dimostrò ammirata da Rosalie, dalla sua bellezza e dalla sua naturale grazia. I parenti della prima moglie del generale si rivelarono ospiti attenti e cordiali e offrirono un'accoglienza raffinata. Rosalie si dimostrò brillante nella conversazione e perfettamente a proprio agio nei vari appuntamenti mondani che si susseguirono nei due intensi giorni di permanenza. Si tenne una cena di gala in loro onore e Oscar fu orgogliosa di vedere la sua protetta bellissima ed elegante negli  abiti che aveva preso per lei a Parigi.

Dopo cena Hortense si esibì al piano e ascoltandola distrattamente mentre sorseggiava cognac seduta accanto al cognato, Oscar si sorprese, accorgendosi  di pensare ad André. Si sorprese ancor di più rendendosi conto che le mancava: da che era bambina non era mai andata da nessuna  parte per più di un giorno senza di lui. Hortense finì il suo pezzo e gli astanti applaudirono; Oscar rimase seria, il pensiero di André stretto nel cuore. Il cognato richiamò la sua attenzione e Oscar sorrise automaticamente, applaudendo educatamente in direzione della sorella. 

Si coricò pensando che era la prima volta da che André era arrivato a palazzo Jarjayes, che loro due non avrebbero passato la notte sotto lo stesso tetto. L'indomani, nonostante le molte insistenze di Hortense, non volle prolungare la visita neppure di un solo giorno.

 

Seduta con le gambe accavallate, intenta a sorseggiare cioccolata dopo aver sbocconcellato un biscotto alle nocciole e mandorle, Oscar alzava di tanto in tanto gli occhi e da sopra la tazza osservava André sorridente ascoltare con attenzione i racconti di Rosalie, commentando di tanto in tanto con gentilezza. Appoggiò la chicchera e schiacciò con la punta del dito le briciole rimaste nel piattino di porcellana decorato a motivi floreali. Raccolse una scaglia di mandorla portandola alla bocca e non poté ignorare una sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco ripensando alle dita di André che le sfioravano le labbra e la lingua. Le era mancato. Perché le era mancato? Perché erano sempre stati insieme. Ma come le era mancato? Non come le poteva essere mancato il conte di Fersen, per cui non poteva che sentirsi preoccupata, sapendolo in guerra. Le era mancato per questo: per la pace di questi momenti in cui non aveva bisogno di altro che essere se stessa… le era mancato perché era André…

Si alzò repentinamente e andò a versarsi un bicchiere di Armagnac, prendendo la bottiglia dallo stipetto intarsiato. André la seguì con lo sguardo; "Ne versi un po' anche per me?" le chiese. Oscar si avvicinò porgendogli il bicchiere; prendendolo André le sfiorò le dita, indugiando un istante più del necessario; gli occhi si incontrarono. Oscar, nervosa, abbandonò il proprio bicchiere e si mise al pianoforte.

 

André aveva mantenuto la sua promessa e al ritorno di Oscar e Rosalie il tetto era stato definitivamente riparato. 

Quando verso sera la carrozza era arrivata davanti all'ingresso di Villa Jarjayes, lui era ancora nella propria stanza. Madame Lorette, impegnata in guardaroba, si era resa conto dell'arrivo solo all'ultimo momento; aveva pensato che ad André avrebbe fatto piacere poter accogliere per primo Madamigella, ma giunta nell'atrio si era accorta che non avrebbe avuto il tempo necessario per raggiungerlo e bussare per avvertire, come sarebbe convenuto, così, ovviando alle sue solite maniere impeccabili lo aveva chiamato a gran voce. André era accorso allarmato e quando Madame Lorette si era scusata, indicando la carrozza ormai ferma, lui le aveva sorriso grato ed era uscito di corsa, arrivando ad aprire lo sportello prima che il cocchiere potesse scendere dalla cassetta. Rosalie era scesa per prima e dopo averlo salutato era subito andata incontro ad Aurelia che la aspettava accanto alla madre. Oscar lo aveva guardato in silenzio e aveva preso la mano che lui le porgeva. Lui l'aveva aiutata a scendere e l'aveva accompagnata fino alla sua stanza.

Ritrovarsi nuovamente tutti e tre a cena era stato piacevole e ora André  ascoltava Rosalie raccontare con entusiasmo della visita presso i parenti del generale. Di tanto in tanto alzava gli occhi su Oscar e presto si accorse che anche lei, ostentando una falsa indifferenza, lo osservava, lanciando sguardi furtivi oltre la tazza da cui sorseggiava cioccolata. Quando lei si alzò per prendere del liquore, le chiese di versarne anche per lui e quando lei gli porse il bicchiere, lui fece in modo da sfiorarle le dita, inducendola a guardarlo negli occhi prima di mettersi al piano. Quando la musica riempì la stanza Rosalie interruppe il suo racconto; André sorrise. Dandogli le spalle Oscar suonava nervosamente; André la sentiva pestare sui tasti conferendo alla melodia un andamento incalzante ed ebbe la certezza di esserle mancato.

 

Quando Oscar ebbe finito di suonare Rosalie si alzò in piedi battendo le mani, prodiga di complimenti. Oscar l'ascoltò ringraziando e quando la giovane si congedò, le auguró la buonanotte con dolcezza.

Ancora seduta al piano, si accorse che André, rilassato sul sofá di velluto rosso col suo bicchiere di Armagnac, reggeva un volume di Tacito di cui teneva il segno con un dito stretto fra le pagine chiuse. Mentre lei amava leggere Tacito, sapeva che non era fra gli autori preferiti di André. Incuriosita gli lanciò uno sguardo obliquo; "Da quando ti diletti con Tacito?" chiese ironica. André si alzò e in un attimo le fu alle spalle. Sporgendosi verso di lei fino a portare il viso accanto al suo, aprì il libro sul leggio del pianoforte. Oscar non poté fare a meno di ridere: ben spianato fra le pagine fitte di caratteri stampati e appunti al lapis, ricordi di studi e consegne degli anni di studio, faceva bella mostra di sè un foglio malamente strappato su un lato, leggermente ingiallito lungo i bordi, su cui era disegnata stentatamente la figura di un gentiluomo dalla testa di capra, con tanto di corna che spuntavano dall'abbozzo di un cappello piumato. Sopra il disegno, in un corsivo svolazzante ed artefatto, si leggeva "Monsieur La Chèvre". L'opera era anche firmata: "I banditi giustizieri O. e A.". Lei e André non erano più che bambini all'epoca del disegno! Erano sempre stati allievi studiosi e diligenti, ma stare in villeggiatura non era come essere a palazzo Jarjayes… e così con il mare che occhieggiava dalle ampie finestre del bovindo dello studio si erano sempre ritrovati tutti e due svogliati e poco attenti. Ricordavano entrambi che Monsieur Lachève, il loro precettore,  non faceva che richiamarli: "André! Signor contino! Attenti!" ma anziché stare ad ascoltarlo, loro si scambiavano di nascosto disegni satirici (.. e spesso poco rispettosi…) su di lui, il cui nome si prestava sempre purtroppo a facili ed irriguardose storpiature. Il disegno rimasto per tanto tempo nascosto nel libro di Tacito della piccola biblioteca della Villa, era stato evidentemente fatto a quattro mani… Oscar ricordava che si erano firmati  "banditi giustizieri" sull'onda dei racconti di Robin Hood che avevano ascoltato e letto e che li avevano molto impressionati.

Oscar volse il viso; André era così vicino che lei gli sfiorò una guancia con la punta del naso, ma lui non si ritrasse. Si avvicinò anzi di più e senza esitazione la baciò. Lei aprì la bocca per accoglierlo, le mani ferme in grembo come un attimo prima, quando ridevano insieme del disegno ricordo d'infanzia. Lui le accarezzò  piano uno zigomo. Oscar chiuse gli occhi per un attimo; il sapore dell'Armagnac era sensuale nella bocca di André. Forse le sarebbe piaciuto toccarlo. Alzò una mano per appoggiarla alla sua nuca. I suoi capelli erano morbidi… ma lei già lo sapeva. Sapeva ogni cosa di lui… ma fino ad ora non si era mai resa conto che ogni cosa di lui le fosse tanto cara. Oscar si staccò un istante per accarezzargli le labbra con la punta delle dita, poi si sporse per baciarlo di nuovo. André era esigente; la baciava  intensamente  e profondamente e il suo respiro era caldo e umido. Oscar pensò che forse, davvero, valeva la pena di non essere razionale per una volta… valeva la pena di lasciarsi andare, di vivere e basta. Le sembrava di poter finalmente bere dopo aver avuto sete per molto tempo. Si fermò e si alzò, costringendo André a indietreggiare di un passo, ma allungò una mano per trattenerlo, stringendogli le dita fra le sue. "Perché non mi hai detto niente?" chiese a bruciapelo, per poi mordersi l'interno del labbro: André non le avrebbe mentito. Non le mentiva mai. Era lei piuttosto a mentirgli. Spesso. Per mentire a se stessa… ma ogni volta lo faceva senza guardarlo, perché sapeva che lui non si lasciava ingannare affatto. Sapeva che poteva leggerle la verità negli occhi, nella voce… nel cuore. Si pentì e avrebbe voluto non aver detto niente perché sapeva che ora André le avrebbe risposto con la verità e lei non sapeva se voleva sentirla, la verità… se era pronta a sentirla… e soprattutto se era pronta ad accettarla…

André espiró guardandola negli occhi. Oscar vide nel verde delle iridi una determinazione che non conosceva. "Perché ti ho atteso con una pazienza di cui sono stupito," rispose André, la voce bassa e profonda "perché voglio poterti dire quello che provo per te senza che tu mi allontani o te ne vada.". Le cinse la vita attirandola a sé. La sentì irrigidirsi, ma non lo respinse. La baciò di nuovo, profondamente, prima di portare la bocca al suo orecchio, per dirle sottovoce, con fermezza: "Io ti amo Oscar. Credo di averti sempre amato.".  Oscar si divincolò dal suo abbraccio per guadagnare la porta ad ampie falcate; le mani strette a pugno, nel buio del corridoio gridò, chiamando due volte Madame Lorette. André, un'espressione dura sul volto, la guardò impassibile, espirando rumorosamente; strinse le labbra e serrò la mascella, determinato a non permetterle di mentire né a lui, né a se stessa.

La governante accorse allarmata. "Partiamo domani. Di buon'ora. Conto sulla vostra impeccabile capacità di organizzazione. Sono spiacente per il poco preavviso." le disse Oscar con lo stesso cipiglio con cui dava ordini alle sue guardie reali, per poi andarsene, sparendo nell'oscurità della casa.

Madame Lorette volse lo sguardo su André, con aria interrogativa. Lui scosse appena la testa, in un muto segno di diniego, prima di passarle davanti e avviarsi a passo spedito verso il piano nobile, inoltrandosi, come Oscar prima, nel buio. Quando raggiunse la porta della propria stanza, quella di Oscar era già chiusa e un denso silenzio avvolgeva ogni cosa. Indugiò un istante prima di ritirarsi, chiudendo rumorosamente. 

 

In piedi dietro la porta della propria stanza, le mani basse dietro la schiena, con i palmi appoggiati al legno, Oscar sussultò sentendo la porta sbattere nella stanza accanto. Sentì l'impulso di uscire. Avrebbe voluto fare irruzione nella stanza di André e gridargli che non si sarebbe dovuto permettere! Che avrebbe dovuto tenersi per sè le sue parole e i suoi sentimenti! … ma non lo fece. "Perché non mi hai detto niente?"... gliel'aveva chiesto lei. Gliel'aveva chiesto anche se conosceva già la risposta. La conosceva benissimo. "Credo di averti sempre amato.". Conosceva la risposta da sempre? Non avrebbe saputo dirlo…  ma certamente la conosceva da quando aveva sfiorato le labbra di André e aveva lasciato che lui la baciasse sulla spiaggia. Cosa aveva creduto di poter fare? Cosa aveva creduto di poter provare? … di poter vivere? Non era questo che ci si aspettava da lei. Non sarebbe dovuta partire. Non avrebbe dovuto lasciare Versailles e il proprio ruolo. Colonnello delle guardie reali. Il colonnello Jarjayes. Quello era il suo ruolo! Si tolse le scarpe e ne lanciò una attraverso la stanza con stizza, colpendo la finestra. La raggiunse. Aprì un'anta, poi la richiuse repentinamente, coprendo con le pesanti tende l'immagine della luna che si specchiava sul mare nero della notte, cospargendo di fili argentati le onde.  Si lasciò cadere sulla poltroncina. Non poté dormire.

André, il respiro contratto, il cuore in tumulto, le mani sui fianchi, restò fermo in piedi nel centro della propria stanza dopo aver sbattuto la porta. Sarebbe voluto uscire. Avrebbe voluto entrare nella stanza di Oscar e darle della vigliacca. Chiederle perché  ammettere di amare la spaventava tanto e perché lasciarsi amare la spaventava ancora di più… Avrebbe voluto domandarle perché gli aveva chiesto di parlare se poi non era disposta ad accettare le sue parole… Arrabbiato, frustrato, lasciò cadere le braccia. Non avrebbe dovuto risponderle. Non le avrebbe dovuto dire niente! In un impeto di rabbia diede un calcio al nulla. Vide ben ripiegato accanto alla toletta il fazzoletto da collo. Non poteva essersi sbagliato! Si buttò a sedere sul letto con pesantezza, incassò la testa fra le spalle prendendosela fra le mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Sbuffò.

 

La partenza fu triste e frettolosa. Madame Lorette aveva dato prova di tutta la sua efficienza ed era riuscita a organizzare ogni cosa nel poco tempo che le era stato concesso. Oscar aveva rifiutato persino la colazione e la governante si era premurata di preparare un ricco cesto di generi di conforto per il viaggio. Rosalie aveva accolto con grande tristezza la notizia dell'improvvisa partenza, cui Madamigella si era rifiutata di dare spiegazioni che non fossero generiche allusioni a qualche non ben definito richiamo da Versailles. Lei e Aurelia si erano salutate abbracciandosi e piangendo, promettendosi di scriversi con assiduità e di cercare di rivedersi presto. Avevano continuato a stringersi le mani finché André, dopo aver aiutato Rosalie a salire in carrozza, non aveva chiuso lo sportello. Oscar era già salita senza aspettarli, prendendo posto nell'angolo di un divanetto e girando il viso verso il finestrino che dava sul parco per non dover vedere la Villa e il mare allontanarsi una volta partiti. Aveva salutato Madame Lorette e il poco personale di servizio presente con poche parole di ringraziamento fredde e distaccate. André era salito in cassetta serio e taciturno e aveva incitato i cavalli a voce bassa, con un gesto secco e deciso delle redini, che andarono a sollecitare gli animali, colpendoli sulle terga. La carrozza partì subito a una velocità sostenuta. Madame Lorette, ritta e compunta accanto alla figlia, la guardò allontanarsi con tristezza, augurandosi in cuor suo che "il giovane conte" potesse trovare il coraggio di non sprecare il dono dell'amore e della gioventù.

 

Il viaggio fu lungo e noioso. Oscar rimase sempre trincerata dietro un ostinato silenzio e nonostante si sforzasse di essere gentile con Rosalie, non le rivolse che poche parole. André rimase sempre in cassetta e mangiò solo, durante una breve sosta. Oscar non mangiò affatto. Dopo diversi tentativi di conversare caduti nel vuoto, Rosalie si arrese al silenzio e fra i sospiri e il dispiacere per aver dovuto lasciare un posto che le era diventato subito caro e un'amica cui si era molto affezionata, passò il suo tempo leggendo e assopendosi di tanto in tanto. Fu necessario fermarsi per la notte; la cena nella piccola sala della locanda "Le vieux sapin" non fu affatto così allegra come durante il viaggio verso il mare. Madamigella Oscar si ritirò senza nemmeno darsi la pena di offrire una scusa, lasciando Rosalie sola con André. Mesti, mangiarono poco e di mala voglia e la giovane preferì ritirarsi presto, non mancando tuttavia di lasciare una carezza lieve sulla mano di André, fermo al tavolo con un boccale di birra la cui schiuma si era già dissolta; lui le sorrise con gentilezza: sempre cara, Rosalie!

Oscar si era spogliata in fretta e si era buttata sul letto sbuffando dopo essersi rinfrescata velocemente. Nuovamente, tuttavia, avrebbe trascorso una notte insonne, perché per quanto si girasse e si rigirasse non riusciva a trovare requie.



Note al settimo capitolo

Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

 

Per il settimo capitolo:
Ti voglio bene (non l'hai mica capito?)
Vasco Rossi, dall'album "Colpa d'Alfredo", 1980

 

Per quanto riguarda i ricordi di infanzia di Oscar e André, benché abbia fatto ricerche non sono riuscita a stabilire se effettivamente il personaggio di Robin Hood fosse noto nella Francia dell'epoca, ma non trattandosi che di un piccolo accenno non fondamentale per lo sviluppo della trama, ho scelto comunque di lasciare questo riferimento nella narrazione.

La battuta di André ("Ti ho atteso con una pazienza di cui sono stupito") è in realtà di Retth Buttler e nuovamente l'ho presa a prestito dal genio creativo di Margaret Mitchell. La battuta seguente ("Io ti amo Oscar. Credo di averti sempre amato.") è invece presa dalla traduzione italiana originale dell'episodio 28 dell'anime "Lady Oscar", "Un innamorato respinto".

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Capitolo 8
*** 8 - Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto ***


Buongiorno! Sono arrivata all'ultimo capitolo di questa mia storia, che ho scritto con un infinito amore per questi personaggi che porto nel cuore da tutta la vita. Ringrazio sinceramente chi ha avuto la gentilezza di farmi dono del proprio tempo per farmi compagnia con la propria lettura nel corso di queste settimane. Spero di aver potuto trasmettere le emozioni che ho provato scrivendo.​



Capitolo 8 - Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto
Ritorno a palazzo Jarjayes, il corteggiamento di Girodelle, una missiva dalla Normandia, la scoperta di saper amare - Epilogo

Non avendo annunciato il loro rientro, arrivarono a palazzo Jarjayes inaspettatamente. Nessuno li stava attendendo e quando la carrozza si fermò dinnanzi al sontuoso ingresso, Oscar si affrettò a uscire immediatamente; voleva andarsene per ritirarsi nelle proprie stanze senza incontrare nessuno e senza doversi fermare con André a dare spiegazioni riguardo al rientro repentino. L'anziana governante aveva tuttavia sentito il rumore dei cavalli e delle ruote ed era accorsa, gridando gioiosa appena riconosciuta la carrozza. André era saltato veloce giù dalla cassetta e già sua nonna lo stava sgridando perché si affrettasse con il bagaglio, mentre prendeva la mano di Madamigella Oscar fra le proprie e si sporgeva verso l'abitacolo per chiedere a Rosalie se si era ricordata di proteggere la propria pelle dai raggi del sole come le aveva raccomandato. Non diede nemmeno il tempo alla ragazza di rispondere, perché già stava rimbrottando Oscar per l'abbronzatura a suo dire non consona al suo rango e al ruolo. "Perché non hai messo un cappello?!" le disse, con puntiglio. Oscar non rispose. André abbassò la testa, perché suo malgrado non potè trattenere un sorriso all'idea di Oscar con un cappello a tesa larga, magari dotato di fiocco da fermare sotto il mento… lei che non aveva mai portato altro che il tricorno dell'uniforme delle guardie reali…

Oscar si allontanò. Voltando le spalle a tutti annunciò che l'indomani avrebbe ripreso servizio e che le sarebbe servita la sua divisa da colonnello  pronta entro la sera stessa. 

L'estate volgeva al termine e le giornate si stavano accorciando, ma lontano dal mare l'aria rimaneva tuttavia ancora calda e un' afa persistente rendeva il clima pesante e opprimente. André non protestò né si lamentò; si occupò di scaricare tutti i bagagli, per poi sistemare la carrozza nel ricovero e strigliare i cavalli. 

La sera portò il sollievo della frescura; con le gambe immerse fino ai polpacci nel grande bacino d'acqua fra le scuderie e il palazzo, André si occupava di César. Come al solito gli sussurrava poche parole famigliari, che l'animale accoglieva muovendo le orecchie, alzando e abbassando il collo in attesa di carezze e della piccola gratificazione di qualche generoso pezzo di mela. Dalla stanza di Oscar le finestre aperte lasciavano libere di spargersi per l'aria della notte le note di Scarlatti; André l'ascoltava: suonava nervosamente. La musica si interruppe senza che l'esecuzione fosse giunta al termine. André si chinó per raccogliere la spazzola caduta nell'acqua e quando si rialzò si volse: dalla sua finestra Oscar lo guardava. Quando i loro sguardi si incrociarono lei non se ne andò. André espirò. Non si era affatto sbagliato. Le sorrise. Solo allora lei chiuse le tende e spense tutte le luci.

 

Oscar provò un certo sollievo nell'apprendere che il generale era lontano. Raggiungendo le proprie stanze aveva ordinato un bagno per sè; dopo essersi rinfrescata si era fermata per un doveroso saluto alla contessa, poi aveva scritto due veloci missive da inviare immediatamente  a corte per annunciare il proprio rientro e infine si era messa al piano. Aveva pensato di affrontare un nuovo spartito che aveva abbandonato partendo, ma non riusciva a trovare la concentrazione sufficiente. Aveva iniziato perciò a suonare brani noti finché non si era resa conto che le note di Domenico Scarlatti non stavano affatto esprimendo la bellezza che l'autore aveva cercato di donare al mondo con le sue sonate, ma il tumulto del proprio animo. Aveva allora interrotto l'esecuzione e di malumore era andata alla finestra. Nella fioca luce del crepuscolo che ormai cedeva il proprio posto al buio della notte, con i piedi immersi nell'acqua, André strigliava César. Oscar si fermò a guardarlo mentre si piegava per recuperare la spazzola per poi volgersi verso di lei, il volto alzato e gli occhi puntati sulla finestra della sua stanza, come fosse stato già certo di trovarla lì. Oscar ripensò alle tranquille serate alla Villa sul mare, al suo primo bacio rubato sulla spiaggia, a quel piacere sottile nello sfiorarsi salendo le scale prima di congedarsi per la notte e non riuscì a distogliere lo sguardo. André le sorrise. Lei sentì come un languore profondo scaldarle il fondo del petto. Il suo primo bacio… anche lei aveva avuto un primo bacio… ed era stato di André… e di chi altri avrebbe potuto essere? Ogni prima volta della sua vita era stata con André: la prima volta che aveva bevuto… e che si era ubriacata… la prima volta in cui aveva passato la notte furtivamente sotto le stelle, la prima volta che aveva fatto a botte… la prima volta in cui era entrata in una delle bettole di Parigi e anche la prima volta in cui era stata a corte… la prima volta in cui aveva indossato l'uniforme era con lui… era con lui persino la prima volta in cui la sua femminilità aveva reclamato prepotentemente la propria disarmante evidenza, sporcandole i pantaloni chiari mentre si esercitava con la spada…

Chiuse le tende con un movimento secco e si affrettò a spegnere tutte le luci. Perché aveva deciso di rientrare a palazzo Jarjayes con tanta furia? Si lasciò cadere sull'ampia poltrona davanti al camino spento gettando le calzature da camera lontano da sè e si raggomitolò, le ginocchia piegate e raccolte su un fianco e i piedi nudi alla ricerca di un poco di refrigerio nella calura estiva. Tormentó fra le dita un ricciolo di capelli. Perché era voluta partire così in fretta? Era scappata via. Buttò indietro il capo; sfinita dal lungo viaggio e dalle ultime due notti insonni, si addormentò.

 

Le prime luci dell'alba sorpresero Oscar ancora rannicchiata sulla poltrona. Con gli arti intorpiditi per la scomoda posizione, si affrettò ad alzarsi e si vestì in fretta; voleva andarsene prestissimo. Voleva andarsene da sola, senza vedere nessuno… voleva andarsene senza vedere André… Non voleva dovergli dare spiegazioni, ma quando raggiunse le scuderie lui era già lì, impeccabile e vestito di tutto punto, col suo fazzoletto di seta al collo, e la aspettava, accanto ai cavalli già sellati. Le porse le redini di César senza dirle niente. Oscar cincischiò, trattenendole qualche istante fra le mani. André era certo che lei non l'avrebbe voluto con sè, che avrebbe cercato di allontanarlo, ma, deciso a non facilitarle il compito, rimase immobile guardandola negli occhi. Oscar aggrottò le sopracciglia. "Non occorre che tu venga con me André." disse dopo un lungo istante, il tono piatto, l'espressione seria. "D'accordo Oscar." rispose lui, pacato, "Ti aspetterò a casa.". Oscar montò a cavallo, César si mosse nervoso, girando su se stesso; Oscar lo trattenne accorciando le redini, mentre gli zoccoli pestavano il terreno. "Tornerò tardi." disse "Non aspettarmi.". Spronò il cavallo con decisione e partì al galoppo.

 

Quando gli era stata consegnata la missiva del colonnello Jarjayes, la sera prima, Victor Clêment de Girodelle si era molto agitato: un'emozione che non riusciva a trattenere lo aveva colto alla notizia del rientro di Madamigella Oscar. La sua assenza gli era stata insopportabile e ancor più insopportabile gli era stato pensare a lei in Normandia con quel suo dannato attendente. Aveva immaginato ogni possibile orribile sviluppo in cui lui avrebbe potuto approfittarsi di lei in una situazione priva di controllo e si era lasciato togliere il sonno da supposizioni scabrose che non aveva fatto che alimentare con una fervida immaginazione ed  che l'avevano di volta in volta fatto adirare o cadere nella più assoluta disperazione.

Certo che lei si sarebbe presentata a corte di buon'ora, aveva provveduto la sera prima a preparare ogni cosa affinché lei potesse trovare tutto perfetto e notare subito quanto lui era stato attento e capace in sua assenza. Solo in seguito si era reso conto che Madamigella stava rientrando anticipatamente rispetto alla licenza che aveva richiesto e ottenuto. Scegliendo con cura camicia e accessori da abbinare alla sua divisa di tenente, aveva quindi iniziato ad arrovellarsi riguardo al motivo di tale anticipo… in realtà il comandante aveva già altre volte dato prova di attaccamento al dovere, presentandosi anticipatamente per ricoprire il proprio ruolo anche in seguito ad eventi gravi, come quando un enorme lampadario era rovinato su di lei e sul suo servitore e quando aveva subito la misteriosa aggressione da cui fu tratta in salvo dal conte di Fersen appena rientrato. Anche lui non avrebbe esitato a salvarla trovandosi lì, aveva pensato più e più volte Girodelle: quella di Fersen non era stata altro che la fortuna di cogliere un'ottima opportunità!

Il tenente aveva avuto il riguardo di alzarsi particolarmente presto e di entrare in servizio prima del solito e ora, con un plico fra le mani pieno di documenti accuratamente compilati, verbali e resoconti, si stava apprestando ad entrare nell'ufficio di Madamigella Oscar per farle trovare tutto in ordine al suo ritorno. Con la mano sulla maniglia, aprì senza bussare ed entrò; rimase molto sorpreso di trovare il suo superiore già seduto alla scrivania, intento a lavorare. 

Sentendolo entrare Oscar alzò immediatamente gli occhi, l'espressione seria e concentrata. "Buongiorno tenente." disse fredda "In mia assenza è andata in disuso l'abitudine di bussare e chiedere permesso?". Girodelle farfugliò qualcosa, sentendosi esposto e in imbarazzo. "Avete con voi i resoconti delle ultime settimane?" continuò Oscar. Girodelle annuì, porgendole in silenzio il plico che recava con sè e mentre lei lo prendeva, la fissò, incapace di distogliere lo sguardo dagli occhi chiari per i quali aveva sospirato durante la lunga assenza. Oscar non fece caso al turbamento del proprio sottoposto e si apprestò immediatamente a consultare i documenti che attestavano le attività svolte durante la sua licenza. Girodelle rimase immobile in piedi davanti a lei; notò il colorito dorato delle mani e del viso e si chiese come avesse potuto Madamigella Oscar lasciare che la sua pelle si abbronzasse. Già non ricorreva mai alla cipria o al belletto! La sua pelle avrebbe dovuto essere protetta, restare sempre diafana e perfetta! 

Oscar, spazientita, tornò ad alzare gli occhi su Girodelle; "Dovete dirmi altro?" chiese asciutta. Il tenente fece un passo indietro. "No…" rispose "... solo…". "Solo?" lo incalzò Oscar. "Solo… ben… bentornata comandante.". Oscar gli offrì un rapido sorriso di cortesia: "Grazie tenente. Radunate le guardie. Inizieremo le esercitazioni appena avrò finito con queste incombenze burocratiche. Non ci vorrà più di mezz'ora.". Girodelle rimase tuttavia immobile e Oscar espirò rumorosamente. "C'è altro?" chiese severa. Girodelle avrebbe voluto trovare qualcosa di brillante da dire prima che arrivasse quel Grandier a imporre come al solito la sua noiosa e irritante presenza, ma si trovò impacciato dinnanzi allo sguardo serio del suo comandante e finì col congedarsi rapidamente e uscire in silenzio, mentre lei, il capo chino sui documenti, non alzava più nemmeno lo sguardo su di lui.

 

Le esercitazioni furono lunghe e faticose. Oscar volle sincerarsi che le reclute goffe e inesperte che aveva lasciato per andare in licenza fossero state adeguatamente addestrate. Fu severa e attenta, controllando e valutando ogni uomo con scrupolo severo. Girodelle, preoccupato di dimostrare il valore del proprio impegno e del proprio operato, si accorse solo molto tardi che per l'intera giornata Madamigella Oscar era rimasta sola. Guardandola montare sul suo cavallo per lasciare la Reggia, si rese conto che nessuno le era venuto incontro porgendole le redini col solito sorriso sul quale tante volte si era interrogato. Si guardò intorno in cerca della propria cavalcatura, ma ormai lo scudiero, solerte come sempre, l'aveva già condotta alle scuderie ed era troppo tardi per recuperarla e poter correre dietro al proprio comandante senza risultare patetico. Girodelle se la prese subito con se stesso: come poteva aver sprecato una simile occasione! Quando si ritirò sentiva un'insoddisfazione sottile che andava lentamente trasformandosi in un'inspiegabile collera, se la prese perciò col proprio valletto per aver preparato una mise che giudicò non consona, quindi annunciò di essere indisposto e che perciò avrebbe cancellato gli impegni mondani per la serata.

 

Oscar cavalcò lentamente fino a palazzo Jarjayes. Entrò nella tenuta con la testa bassa e di malumore. Benché fosse ormai scesa la sera, la calura era rimasta comunque opprimente e l'uniforme le pesava enormemente addosso. Sentiva il sudore correre lungo la schiena e i capelli incresparsi per l'umidità persistente. Quando arrivò alle scuderie pensando di essere sola trovò invece André. Con la camicia appena aperta sul petto, i pantaloni scuri e i capelli trattenuti dal nastro di seta blu, aveva un aspetto ordinato e sorridente e la accolse prendendole di mano le redini di César. "Non c'era bisogno che mi aspettassi fino a così tardi André." gli disse con un tono forzatamente indifferente. "Ma io ti ho aspettato lo stesso." le rispose lui con gentilezza, "Dimmi Oscar! Com'è stato rientrare a corte?". "Triste, noioso, interminabile…" avrebbe voluto rispondergli. "Girodelle in mia assenza sembra aver preparato bene i nuovi cadetti." disse invece con tono incolore, facendo spallucce. André iniziò a occuparsi di César. Dissimulò un sorriso nascondendo il viso contro il collo del cavallo. Oscar non aveva in realtà risposto alla sua domanda: non era stata una bella giornata per lei. Tolta la sella e sfilato il morso, André riempì di biada la larga mangiatoia davanti al cavallo e iniziò a strigliarlo. Oscar indugiò qualche istante prima di andarsene. "Grazie André." mormorò sulla porta. Lui la seguì con la coda dell'occhio, la vide volgersi dopo qualche passo prima di andarsene e seppe di esserle mancato.

 

Quando Girodelle raggiunse l'ufficio del colonnello Jarjayes era deciso ad essere brillante e a non farsi condizionare dalla presenza di quel dannato Grandier; il giorno prima aveva perso un'occasione, ma si sarebbe rifatto dimostrando sicurezza e autorevolezza. Bussò quindi ripetutamente, rimase molto deluso non ottenendo risposta e provò ad aprire la porta con circospezione: l'ufficio era vuoto, così si trovò a dover tornare sui propri passi. Possibile che il comandante non fosse ancora arrivato? Uscendo trovò invece Oscar a cavallo che con cipiglio severo dirigeva già le esercitazioni delle guardie reali. A poca distanza, due scudieri lamentavano il fatto che con il ritorno del comandante avrebbero dovuto riprendere il servizio molto prima la mattina; quando si accorsero di Girodelle lo ossequiarono e si spostarono subito. Lui sentì una certa agitazione crescergli nel petto: e se qualcuno avesse detto a Madamigella Oscar che il suo sottoposto era stato meno zelante negli orari in sua assenza? Cercò di darsi subito un tono, pensò a cosa poter dire avvicinandosi per apparire immediatamente brillante e rimuginando notò che nessuno era al fianco di Madamigella Oscar. Che fosse sola? Di nuovo? Si fermò accanto al colonnato e si guardò intorno con circospezione: non sembrava esserci traccia dell'attendente! Si ravviò i capelli e si aggiustò l'uniforme. Emozionato, prese tempo. Trasse un profondo respiro e si avvicinò a Oscar. "Buongiorno Madamigella!" esordì. Oscar gli lanciò uno sguardo gelido dall'alto della sua cavalcatura; il sorriso gli si smorzò subito sulle labbra e si sentì in qualche modo intimorito. Con una lieve sensazione di panico che aveva iniziato a stringergli il cuore, cercò di ricordare le battute cui aveva pensato. Annaspò, mentre lei tornava a concentrare la propria attenzione sugli uomini intenti a misurarsi a coppie con la spada. "La luce del mattino rende l'oro della vostra capigliatura più luminoso che mai!" disse con tono galante. Oscar si volse verso di lui, l'espressione seria e le sopracciglia aggrottate: "Non stiamo facendo una passeggiata di piacere attraverso il parco, tenente!" lo apostrofó. "Prendete nota!" continuò, "Voglio sapere chi é quel giovane in fondo; sembra molto abile con la spada. Potrebbe essere promettente.". Girodelle cercò di sembrare più professionale possibile, ma si accorse di non ricordare affatto chi fosse il cadetto cui il suo comandante si riferiva. Dato il prolungato silenzio Oscar proseguì: "Non sono invece affatto soddisfatta di quei due.". Girodelle continuava a tacere. Oscar, spazientita, strinse le labbra. "Controllate voi il termine dell'esercitazione. Vi attendo nel mio ufficio con le note riguardo agli uomini che vi ho indicato.". Spronó il cavallo e si avviò attraverso la piazza. Girodelle la guardò scendere e sparire nell'ombra del colonnato dopo aver affidato le redini a un ragazzetto che si inchinò con sussiego.

 

Mentre riempiva documenti e firmava dispacci, Oscar pensava che avrebbe dovuto trovare il tempo di andare a rendere omaggio a Sua Maestà la Regina al Trianon. In realtà non aveva ancora nemmeno scritto annunciando il proprio rientro, né aveva incontrato Sua Maestà il Re. Sbuffò. Per un attimo ebbe la visione fugace dell'azzurro del mare dalla finestra del bovindo di Villa Jarjayes… per un attimo ebbe la visione fugace del verde degli occhi di André che la fissava, mentre le offriva ostriche. Chiuse gli occhi stringendoli forte. Un bussare sommesso la riportò alla realtà. "Avanti!" disse forte. Girodelle entrò, un sorriso che le parve tirato stampato sulle labbra. "Avete i dati sugli uomini che vi ho chiesto?" domandò sbrigativa. Girodelle le porse un piccolo plico che lei consultò rapidamente. Attese che lui se ne andasse e infastidita dal fatto che anziché congedarsi il tenente si fosse accomodato sulla poltroncina davanti alla sua scrivania, annunciò che sarebbe rientrata di lì a poco a palazzo Jarjayes. Girodelle non si mosse. Quando terminò di vidimare alcuni documenti, affidandoli a un valletto chiamato appositamente, Oscar si alzò. "Perdonatemi," disse "voglio rientrare presto oggi.". Girodelle si alzò velocemente. "Permettetemi di accompagnarvi!" esclamò. Oscar lo guardò stupita. "Non occorre." rispose. "Vi prego!" obiettò lui "Sarebbe un'ottima occasione per aggiornarvi sulle novità di corte!". Oscar espirò contrariata; "Credo sappiate già che non amo il pettegolezzo." rispose con freddezza. Girodelle non si perse d'animo: "No!" soggiunse "Non si tratta di pettegolezzi, ma di importanti novità!". Oscar capitolò; "Se proprio ci tenete…" rispose laconica.

Girodelle sentì il cuore fare una capriola nel suo petto! Aveva fatto preparare per tempo il suo cavallo accanto a quello di Madamigella Oscar e quando, montando, constatò che effettivamente lei era nuovamente sola, pregustò una lunga, piacevole cavalcata.

 

La cavalcata non fu affatto lunga né piacevole. Il conte di Girodelle si era immaginato una tranquilla, lenta passeggiata fino a palazzo Jarjayes, invece Oscar aveva subito spronato il cavallo imponendo un'andatura sostenuta e non aveva ascoltato che distrattamente le sue chiacchiere, rispondendo cupa e a monosillabi alle domande che lui le poneva a gran voce, per farsi sentire sopra il rumore degli zoccoli. Girodelle aveva ripensato alle molte volte in cui aveva guardato Madamigella Oscar allontanarsi lentamente da Versailles, parlando fittamente con Grandier, perennemente al suo fianco. L'aveva vista ridere con lui e persino talvolta sporgersi per toccarlo o afferrarlo. Aveva ora pensato di poter essere per lei la stessa piacevole presenza, ma Oscar era rimasta indifferente ai suoi racconti, né gli era sembrata godere della sua compagnia.

Arrivati all'ingresso della tenuta Jarjayes il sole aveva iniziato ad abbassarsi sull'orizzonte. Oscar arrestò bruscamente la propria cavalcatura, tirando le redini per far girare César e trovarsi di fronte al conte. "Vi ringrazio del tempo che mi avete dedicato. Ora permettetemi di accommiatarmi." disse sbrigativa. Girodelle cercò qualcosa di interessante con cui destare l'attenzione di Madamigella per non essere congedato così rapidamente e le chiese tutto d'un fiato se avesse sentito parlare delle nuove stravaganze di Sua Maestà la Regina riguardo a certe messinscena  di stampo bucolico. Oscar gli rivolse uno sguardo gelido: "Sapete già che non mi interessano i pettegolezzi. Buonasera tenente." rispose, incitando il cavallo e avviandosi rapidamente lungo il viale alberato.

Avvicinandosi alle scuderie Oscar si sorprese a sperare  che André fosse di nuovo lì ad aspettarla e quando smontò da cavallo rimase delusa non trovandolo. In realtà si era sentita sola rientrando in servizio senza di lui e il tragitto appena percorso al fianco di Girodelle era riuscito a farla sentire ancora più sola. Rimuginando, si rese conto di aver congedato velocemente il suo sottoposto non solo perché infastidita dalla sua presenza, ma soprattutto perché non voleva che André l'avesse potuta vedere rientrare con lui… o meglio: non sapeva spiegarsi perché, ma non voleva che André la vedesse rientrare con un uomo. Rise di sè sfilando i finimenti a César: passava ogni suo giorno fra uomini! Cosa le passava mai per la testa ora? "Ciao Oscar! Sei rientrata presto oggi!". La voce di André la sorprese alle spalle; si volse e gli sorrise. "Ero stanca." rispose "... fa molto caldo.". André la aiutò con César e questa volta lei lo aspettò. Rientrarono a palazzo Jarjayes assieme, senza dirsi niente e quando lei fu sul punto di avviarsi lungo le scale per raggiungere le proprie stanze, indugiò un istante ferma sui primi gradini, come in attesa di qualcosa. "Oscar!" la chiamò André "Non ho ancora cenato. Vuoi mangiare con me?".

Mangiarono in silenzio; Oscar piluccava frammenti di stracotto, immergendoli di tanto in tanto nella salsa di vino rosso delle pere volpine. Guardandola versare vino sia per se stessa che per lui, André fu certo che entro breve sarebbe rientrato a corte con lei.

 

Nei giorni che seguirono, Oscar continuò a prendere servizio sola, ma come per un tacito accordo la mattina non se ne andava prima che André le avesse preparato César e quando tornava lo trovava sempre ad aspettarla; scambiavano qualche parola e si fermavano a cenare assieme.

Non seguendo Oscar, André aveva molto tempo da dedicare a Rosalie e così si occupava della sua formazione, la aiutava ad esercitarsi con la spada e la accompagnava spesso in lunghe cavalcate, durante le quali capitava che lei si aprisse, raccontando il dolore che ancora le riempiva il cuore per la sorella che aveva perduto senza che nemmeno fosse stato concesso loro di conoscersi e volersi bene. André cercava di consolarla e la invitava a scrivere ad Aurelia, per coltivare un'amicizia che sarebbe potuta diventare nel tempo un appoggio prezioso, dal momento che nessuna delle due aveva fratelli o sorelle.

A Rosalie piaceva la compagnia di André: meno severo di Madamigella Oscar, quando la seguiva negli studi riusciva sempre a offrirle momenti di ilarità fra una spiegazione e l'altra, inoltre le proponeva  letture non solo interessanti, ma anche divertenti. C'era tuttavia, da che erano rientrati dalla Normandia, una malinconia di fondo nell'espressione del suo viso, ogni volta in cui alzava gli occhi su di lui senza che se ne accorgesse, che riusciva sempre a turbarla. Rosalie si chiedeva se Madamigella Oscar si accorgesse come lei di quella malinconia sottile ed evidentemente dolorosa… se non si dispiacesse per lui, sempre tanto caro con loro.

 

Girodelle aveva continuato a farsi trovare pronto con il suo cavallo accanto a César ogni volta in cui Oscar si era apprestata a fare ritorno a palazzo Jarjayes e lei era stata costretta a constatare suo malgrado che il suo sottoposto presentava molta più intraprendenza come corteggiatore che come ufficiale. Ascoltando taciturna e di malavoglia i suoi discorsi (sempre e rigorosamente su se stesso) lungo il tragitto, aveva spesso ripensato ai molti rientri passati chiacchierando piacevolmente con André. Ogni volta Girodelle aveva cercato di accompagnarla fino all'ingresso del palazzo, ma lei lo aveva sempre congedato prima di entrare nella tenuta. In qualche modo tuttavia la notizia che il conte di Girodelle la stava accompagnando a casa da Versailles ogni giorno era arrivata fino alla sua governante, che ora le dava il tormento affinché lei proponesse al conte di fermarsi per cena, insistendo riguardo al fatto che non averlo ancora invitato era una grave mancanza. Oscar non rispondeva e di solito si ritirava senza dare seguito alle insistenze della sua nutrice, finché una sera l'anziana non la raggiunse, rimproverandola per quello che considerava un atteggiamento privo di buona creanza, mentre lei era seduta a cena al tavolo della cucina deserta assieme ad André. Oscar abbassó gli occhi senza rispondere, sperando che la donna se ne andasse, ma poi, date le molte insistenze, liquidò la questione con poche parole: "Non ho intenzione di invitare il conte a cena." disse a bassa voce ma con fermezza, poi abbozzò l'ombra di un sorriso, alzando lo sguardo sulla governante indignata. Aggiunse: "Però puoi farlo tu se vuoi… e… tranquilla: non mi unirò a voi…". L'anziana fece un gesto spazientito e se ne andò, infilando la porta con passo spedito mentre mormorava qualcosa di incomprensibile in un tono contrariato. Oscar la guardò sparire nel buio. "Allora è vero…" disse André. Oscar trasalì, voltandosi verso di lui con gli occhi sgranati: André stava mangiando dell'uva, non erano rimasti che pochi acini chiari, che lui buttava in bocca con lentezza, tormentando distrattamente i raspi rimasti sul piatto. "Allora é vero che Girodelle ti accompagna a casa tutti i giorni…" un vago tono di scherno nella voce... Oscar lo osservò, guardinga, poi si accorse di un mezzo sorriso e di un lampo divertito negli occhi. "Sì," rispose con falsa indifferenza "credo gli suggerirò di scrivere una biografia di se stesso. Magnificamente io, potrebbe intitolarla…". André rise piano. "La sua compagnia deve essere molto interessante…". "Certo," rispose Oscar seria, a mezza voce "come stare a guardare la pittura mentre si asciuga…".

 

Nella notte si era alzata una leggera brezza e qualche nube era apparsa sull'orizzonte fin dall'alba. L'aria di fine estate prometteva di farsi presto più fresca. 

Oscar era arrivata molto presto a Versailles. Chiusa nel suo ufficio stava compilando verbali quando qualcuno bussó alla sua porta: un valletto le portava alcuni dispacci e qualche documento. La salutò ossequiosamente, lasciando un piccolo plico accanto a lei, sulla sua scrivania. Oscar aprì la severa cartella di cuoio; sopra gli incartamenti trovò una busta indirizzata al Colonnello Jarjayes, vergata con una grafia minuta e ordinata che riconobbe immediatamente: era la grafia di Madame Lorette. Prese la busta fra le mani, rigirandola un paio di volte, incuriosita: perché mai Madame Lorette le scriveva a corte? Aveva sempre inviato a palazzo Jarjayes i puntuali resoconti riguardo la Villa… Forse si trattava del dettaglio dei costi della riparazione del tetto e aveva pensato di inviare tutto alla sua attenzione anziché come di consueto a suo padre… Impaziente, afferrò l'elegante tagliacarte d'argento e aprì rapidamente la busta. All'interno, un foglio recante solo poche parole: "Concedetevi di essere felice, con rispetto e stima infiniti, Madame Lorette.". Oscar rilesse più e più volte. La data indicava il giorno stesso in cui era voluta partire di fretta e furia dalla Normandia. "Concedetevi di essere felice"... essere felice… prepotente si fece largo fra i suoi ricordi il respiro di André nel suo respiro. Strinse forte gli occhi. Aprì i primi alamari della giubba e nascose la missiva nella tasca interna.

 

La giornata trascorse lenta; Oscar impose un ritmo serrato alle esercitazioni e fu costretta a passare diverso tempo con un manipolo di guardie a cercare di sedare gli animi dei nobili delusi per essere  giunti a corte nella speranza disattesa  di un'udienza con Sua Maestà. Quando nel tardo pomeriggio  rientrò nel suo ufficio era stanca e di malumore. Nel silenzio, estrasse la busta che aveva nascosto nella tasca interna. La tenne fra le mani qualche istante senza aprirla. Quando sentì bussare alla porta si affrettò a riporla nuovamente, allacciando velocemente gli alamari e aggiustando il collo dell'uniforme. Girodelle entrò con passo baldanzoso e sorriso ammicante. "Buonasera Madamigella Oscar!" salutò cerimoniosamente, accomodandosi sulla poltroncina davanti alla scrivania. Oscar alzò gli occhi, ma non su di lui. Fissò per un attimo un punto della parete accanto alla porta, dove André si appoggiava sempre, le braccia conserte, aspettandola mentre terminava le incombenze di fine giornata, prima di uscire per rientrare assieme a palazzo Jarjayes. "Buonasera tenente." rispose solo allora con una certa freddezza. "Perdonatemi. Sono impegnata." aggiunse, iniziando a compilare un verbale. Passarono alcuni minuti di silenzio; Oscar continuò a scrivere, senza mai alzare la testa, volutamente concentrata sui documenti che stava redigendo, chiedendosi come le donne riuscissero ad allontanare un corteggiatore senza mortificarlo. Improvvisamente Girodelle intervenne: "È una buona cosa per voi che abbiate smesso di farvi vedere sempre ovunque col vostro servo.", il tono noncurante, lo sguardo concentrato su un punto della manica dell'uniforme da cui stava pulendo qualcosa di invisibile. Quando si volse trovò gli occhi di Oscar puntati su di lui: le sopracciglia corrugate, le labbra strette. "Non è il mio servo." ribatté lei con durezza. Girodelle si lasciò andare a una breve risata artefatta; "Adoro come riuscite ad essere sempre precisa e puntigliosa anche sulle piccole cose!" esclamò "È vero! Non è il vostro servo! È il vostro attendente!". Oscar non rispose. Solo una volta nella vita aveva detto che André era il suo attendente. Una volta sola. Non avevano nemmeno 18 anni e Sua Maestà Luigi XV aveva condannato André a morte. Girodelle continuò a parlare, ma Oscar non lo ascoltava più. I suoi occhi erano fissi sul volto del conte, ma in realtà non lo vedevano. Aveva impressa invece nella mente l'immagine di André inginocchiato dinnanzi al re che sentenziava contro di lui, in realtà incolpevole dell'accusa che gli veniva imputata, dopo l'incidente con il cavallo della principessa Maria Antonietta. Lei era corsa fino alla sala delle udienze col cuore in gola e aveva fatto irruzione contravvenendo a ogni regola. Non aveva esitato a offrire la propria vita in cambio di quella di André. Sarebbe morta per lui. Senza dubbi. Senza ripensamenti di alcun genere. Girodelle continuava a parlare; le sue parole riempivano la stanza come un ronzio indistinto a cui Oscar non prestava alcuna attenzione, mentre altre parole si facevano strada, fra i ricordi, nella sua mente: era il venerdì santo di tanto tempo prima e lei era bambina, aveva forse otto o nove anni. "Non c'è amore più grande di chi è disposto a dare la vita per te.". Aveva ancora nelle orecchie la voce strascicata dell'Abbé François e vedeva l'aria assorta di André mentre insieme, seduti composti nella cappella di famiglia, ascoltavano rispettosamente le storie della passione. "Non c'è amore più grande di chi è disposto a dare la vita per te.". E lei sarebbe morta per André. Lo amava. Improvvisamente potè vedere dentro se stessa con una chiarezza che non aveva mai conosciuto: amava André.

"Scusate." disse improvvisamente, interrompendo il monologo che continuava ormai da qualche minuto. Girodelle le rivolse un'espressione interrogativa. "Devo andare. Perdonatemi." ripeté Oscar alzandosi rapidamente e guadagnando l'uscita in poche falcate, mentre il tenente, che si era alzato immediatamente dopo di lei, cercava di seguirla:  "Aspettate!" diceva "Vi accompagno!". Oscar non rispose. Raggiunse César, montò in sella e lo spronò, partendo al galoppo. Il cuore in tumulto, la testa bassa, cavalcò veloce senza fermarsi, nella mente il pensiero di André e il bisogno di vederlo.

 

Quando arrivò a palazzo Jarjayes era  presto e il sole era ancora alto e caldo nel cielo; Oscar lasciò velocemente César a uno stalliere e si avviò verso l'atrio: voleva raggiungere immediatamente André. Non sapeva cosa avrebbe fatto o quali parole avrebbe potuto dirgli, ma voleva vederlo. Voleva vederlo subito. "Io ti amo Oscar. Credo di averti sempre amata.": le parole di André, sussurrate al suo orecchio, le tornavano ora prepotentemente alla memoria. Anche lei lo amava. Quel sentimento di benessere quando erano insieme, quel non sentirsi mai sola quando lui era al suo fianco, quella vaga sensazione come di ubriachezza dello spirito dopo il suo primo bacio sulla spiaggia e la paura che lui potesse aver mai desiderato una vita diversa da quella che avevano sempre condotto insieme, non erano più un turbinare di sensazioni indistinte. Ora avevano un nome. Erano amore. Era innamorata di André. L'aveva amato sempre. "Credo di averti sempre amata"... "Anche io…" mormorava ora a se stessa, camminando velocemente "... anche io credo di averti sempre amato…". Si sentì come in affanno. Stava ormai quasi correndo quando la governante le si fece incontro dicendole che il generale stava ricevendo degli alti ufficiali e dei suoi vecchi compagni d'arme e che desiderava che lei li raggiungesse. Oscar strinse le labbra: non voleva fare altro che andare da André… ma l'anziana la trascinò impaziente per un braccio camminando con lei verso il salottino azzurro.

Oscar non amava queste riunioni. Ogni volta suo padre la definiva "suo figlio", fra gli sguardi incuriositi di uomini che non conosceva, poi immancabilmente qualcuno la chiamava "Madamigella Oscar" e da semplicemente incuriositi, quegli sguardi si facevano irriverenti, talvolta addirittura morbosi quando non lascivi e a lei veniva in mente sempre la volta in cui qualcuno aveva condotto una coppia di zebre a Versailles per il divertimento dei Reali: una piccola folla di curiosi si era radunata intorno e tutti avevano fatto a gara per infastidire le povere bestie, che lei aveva guardato soffrendo, pensando alla tragedia di essere creature selvatiche ridotte a intrattenimento per nobili annoiati. Le osservazioni dei vecchi commilitoni del generale, che spesso parlavano come se lei nemmeno fosse presente, facevano nel suo animo lo stesso effetto degli sberleffi con cui durante l'esibizione le povere zebre erano state fatte oggetto di scherno. Lei rispondeva sempre con freddezza, limitandosi a far presente il proprio grado, mentre certi sorrisi falsamente compiacenti la urtavano come la lunga verga sottile con cui aveva visto il domatore sferzare le zebre per renderle più interessanti.

 

Quando Oscar entrò in silenzio nel salottino azzurro, il generale sedeva comodamente in poltrona, fra alcuni alti ufficiali, ascoltando i racconti di un vecchio compagno d'arme ora in marina. Oscar appoggiò le spalle alla parete e rimase in piedi accanto alla porta, con le braccia conserte. L'ufficiale di marina raccontava di un'isola caraibica piena di meraviglie e vegetazione rigogliosa, in cui non c'era tuttavia alcun corso d'acqua e perciò gli abitanti, per lo più pirati e contrabbandieri, erano costretti a bere solo rum e latte di cocco. Sorridendo appena, Oscar pensò ad André e alle sue letture di terre lontane… chissà se a lui sarebbe potuta interessare questa storia…

Una volta che l'ufficiale della marina di Sua Maestà ebbe finito il proprio racconto, il generale presentò la figlia a lui e agli altri convenuti. Oscar salutò con distaccata cortesia e approfittò dell'attenzione benevola del padre per accampare una scusa e sgattaiolare via immediatamente. Uscendo allungò una mano sul mobile intarsiato accanto alla porta, afferrando una bottiglia scura dalle forme tondeggianti che l'aveva incuriosita entrando: i compagni d'arme del generale in visita portavano spesso doni esotici, di cui a suo padre, che beveva pochissimo e conduceva comunque una vita piuttosto austera, non importava mai un granché. Non si sarebbe accorto della mancanza. Camminando veloce lungo il corridoio, Oscar guardò meglio la bottiglia che aveva sottratto: un'etichetta chiara a forma di piccolo scudo profilata di bordeaux  recava l'immagine di una lunga processione di figure femminili filiformi dalla pelle scura. Sopra le loro teste campeggiava una scritta dorata in caratteri allungati: "Rum di Haiti".

Oscar camminava veloce e leggera, cercando di non far rumore: non voleva più essere fermata da nessuno; i lunghi capelli ondeggiavano sulle sue spalle mentre i passi si facevano sempre più rapidi. Doveva vedere André e soprattutto voleva vederlo subito! Raggiunse la sua stanza ed aprì la porta senza bussare. André, seduto in poltrona con un libro in mano, levò gli occhi su di lei, sorpreso. Con la mano destra sulla maniglia e la bottiglia ben stretta nella sinistra, Oscar rimase immobile sulla soglia senza saper che dire né che fare. Restarono a guardarsi per un lungo istante; "Ho portato… il rum…" disse infine Oscar, con la voce che andava smorzandosi assieme al suo coraggio.

 

L'aria di fine estate si era fatta finalmente meno calda e opprimente; dalla finestra aperta della sua stanza André poteva sentire i rumori del parco di palazzo Jarjayes: le cicale cantavano rumorosamente e gli uccelli andavano  e venivano con leggeri frullare d'ali, cinguettii e trilli. Il pomeriggio era ormai inoltrato. Ancora un paio d'ore e si sarebbe avviato verso le scuderie per aspettare Oscar di rientro da Versailles. Avrebbero cenato nuovamente insieme e questa volta le avrebbe annunciato di voler tornare ad accompagnarla in servizio. Non glielo avrebbe chiesto; glielo avrebbe detto e basta. Trasse un respiro profondo; non avrebbe lasciato che lei lo allontanasse. Non voleva perdere quello che era riuscito a toccare, lo spazio che aveva potuto conquistare fra loro. La amava. La amava con un'intensità tale che poteva sentire il cuore far male in fondo al petto. Cercò di concentrarsi su altro e tornò alle letture cui si era dedicato in mattinata, dopo aver seguito Rosalie in storia e letteratura. Tracciò su una delle molte mappe e carte del generale aperta sul suo scrittoio le rotte seguite da Marco e Niccolò Polo. "Il Milione", in una preziosa edizione riccamente illustrata e decorata, era aperto sul tavolino accanto alla poltroncina della sua stanza. Tornò a sedersi e cercò di immergersi nella lettura: "In Persia è la città ch'è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch'andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co' capegli: l'uno ebbe nome Beltasar, l'altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe…". Un rumore improvviso gli fece levare immediatamente il capo: Oscar aveva aperto bruscamente la porta e ora se ne stava in piedi sulla soglia, una mano ancora appoggiata alla maniglia e una bottiglia scura e panciuta stretta nell'altra. La fissò sorpreso e gli occhi di entrambi rimasero impigliati per un lungo istante, prima che lei dicesse a mezza voce, con un tono che andava affievolendosi a ogni parola, che aveva portato il rum.

"Vieni," le disse "entra!". André non ricordava l'ultima volta in cui Oscar era stata nella sua stanza, a palazzo Jarjayes. Ricordava invece benissimo quando vi era entrata nella Villa in Normandia: una prima volta sola, per lasciargli il fazzoletto che gli aveva regalato e un'altra per riportargli la giacca… e si era fermata come ora, sulla soglia. La guardò: gli occhi sgranati, la bocca appena dischiusa… Oscar sembrava sul punto di dire qualcosa, ma tacque, rimanendo ancora immobile. "Vieni," disse ancora lui "vado a cercare dei bicchieri.". Oscar avanzò di qualche passo, richiudendo la porta dietro di lei; non voleva che lui se ne andasse. La bocca le si fece arida. "Non occorre che tu vada a cercare dei bicchieri…" mormorò. André si alzò, andandole incontro e prendendole la bottiglia dalle mani. "Sembra interessante!" esclamò, con  entusiasmo studiato, mentre un'emozione profonda lo stava in realtà cogliendo. "Dono dei vecchi commilitoni di tuo padre?" chiese in tono volutamente allegro osservando l'etichetta, ma Oscar non rispose; si era inoltrata nella sua stanza e si guardava intorno come la vedesse per la prima volta… o almeno la prima volta dopo tanto tempo… 

ora stava seguendo con la punta delle dita il profilo del libro che lui stava leggendo, un'espressione seria sul bel viso e un'ombra negli occhi chiari: aveva richiuso il pesante volume e ora seguiva con l'indice le lettere elaborate incise sul cuoio decorato della copertina: "Il Milione". Di nuovo letture sul mondo… sul resto del mondo… sul mondo che esisteva al di fuori della vita che avevano sempre condotto insieme… "Vorresti andartene André?" chiese piano. André la fissò per un attimo, stupito. Oscar pensava che lui se ne volesse andare? Guardò i suoi occhi chiari: era preoccupata. Gli tornarono alla mente i lunghi silenzi e i malumori degli ultimi mesi, durante i quali lei si era interessata alle sue letture con malcelata insofferenza mascherata da curiosità. Pensava che se ne volesse andare… Improvvisamente se ne rese conto: aveva paura che lui se ne andasse! Una tenerezza che non potè arginare gli riempì il cuore. Avrebbe voluto stringerla fra le braccia, dirle che non avrebbe potuto vivere lontano da lei, che lei era il suo mondo… ma scelse di ostentare  distacco. "No Oscar." rispose con pacatezza "Non me ne voglio andare. Solo… forse mi piacerebbe vedere il mondo.". Oscar lo guardò. "È ancora vero André?" chiese. Lui sostenne il suo sguardo, un'espressione indecifrabile sul volto. Lei continuò: "Quello che mi dicesti la notte in cui decisi di rientrare dalla Normandia… è ancora vero André?". Lui serrò la mascella e appoggiò la bottiglia di rum che ancora teneva fra le mani. Trascorse un lungo istante di silenzio. "Io non ti allontanerò André," disse Oscar "né me ne andrò.". Ancora silenzio. Oscar si avvicinò; non più di un passo fra loro. "È ancora vero André?" solo un sussurro.

André la guardó; non avrebbe mentito. Non avrebbe mentito mai. Non poi dopo averla baciata, non dopo averla tenuta fra le braccia. "È sempre stato vero Oscar. Lo sarà sempre.". Oscar si avvicinò di più, annullando lo spazio fra loro; André restò immobile davanti a lei. Oscar poté sentire il suo respiro sul viso e alzò una mano per porla fra il petto e la spalla di André; lo sguardo basso, gli appoggiò la fronte al petto; inalò il sentore della sua pelle dallo scollo della camicia, quello stesso sentore che le era caro e famigliare da sempre… André prese la mano di Oscar, ormai aggrappata alla sua spalla e la strinse nella propria, appoggiandole le labbra fra i capelli.

"Sai André," mormorò Oscar "se tu volessi partire,  io verrei con te…". André la strinse a sè e la sentì rispondere al suo abbraccio. Le depose un bacio lieve su una tempia. Oscar respirava piano; pensava a quanto aveva cercato di allontanarlo, alla freddezza che aveva mantenuto nei suoi confronti dopo che lui semplicemente aveva risposto con franchezza alla domanda che pure lei stessa gli aveva fatto, a come aveva cercato di rifiutarsi di accettare l'amore che lui le offriva, insieme a tutto se stesso. "È mai possibile che adesso tu mi voglia ancora bene, Andrè?” chiese in un sussurro. "Oscar… Io ti voglio bene da sempre”. Oscar alzò il viso in cerca del suo sguardo; gli accarezzò le labbra con la punta delle dita, seguendone il profilo finché lui non le prese il viso fra le mani e la baciò. La sentì aprire la bocca per accogliere il suo bacio e, mentre la stringeva a sè, una mano sulla nuca persa fra i lunghi capelli e l'altra sul fondo della schiena esile, la sentì abbandonarsi al suo abbraccio e ricambiarlo, gettandogli le braccia al collo. La consapevolezza di essere amato lo fece sentire completo. La baciò a lungo, facendo proprio il suo sapore, imparando la morbida sinuosità del suo corpo contro il proprio. Quando infine la trattenne nel suo abbraccio, lei appoggiò l'orecchio al suo cuore, restando in silenzio per un istante infinito. “Andrè…" mormoró poi "oh, Andrè. Anch’io! Anch’io ti voglio bene, Andrè. Ti voglio bene.”

 

L'autunno arrivò portando con sè giornate più corte ma ancora miti, colorate dalle mille tonalità della terra che iniziava a cambiare per prepararsi all'inverno. Come nei lussuosi giardini di Versailles, anche nel parco della tenuta di palazzo Jarjayes gli alberi si erano tinti di giallo, ocra, rosso e marrone, rendendo il paesaggio accogliente nella sua struggente bellezza. Sdraiato sotto la grande quercia in riva al lago, André stringeva fra le braccia Oscar, raggomitolata contro il suo petto. Avvolti in una morbida coperta rosso scuro ascoltavano le oche chiamarsi levandosi in volo. André lasciò vagare lo sguardo: il cielo iniziava a tingersi di arancio e l'aria a farsi più frizzante, ma il tepore della pelle di Oscar contro la sua, attraverso la camiciola sottile, lo confortava e lo faceva sentire bene. La strinse più forte, abbassando il capo per lasciarle un bacio  fra i capelli. Attorno a loro la giacca rossa dell'uniforme da colonnello, la marsina di fustagno, gli stivali e altri indumenti erano sparpagliati sull'erba. 

Erano tornati al galoppo da Versailles, lanciando i cavalli per sfidarsi a tutta velocità sulla via di casa; avevano riso col vento nei capelli, richiamandosi a vicenda ogni volta che l'uno superava l'altra, e una volta arrivati a palazzo Jarjayes si erano fermati rapidamente perché André potesse recuperare un paio di coperte dal guardaroba e una delle bottiglie di vino dimenticata in cucina; avevano poi cavalcato tranquillamente, ripercorrendo i luoghi che li avevano visti crescere assieme  e si erano infine fermati davanti al lago, lasciando che i cavalli si allontanassero brucando qua e là e abbeverandosi sulla riva. Avevano passeggiato brevemente scambiandosi in silenzio fugaci sguardi di desiderio, per poi cercarsi con urgenza, amandosi con lentezza sulle coperte stese sotto la quercia, sfinendosi di baci e sospiri mentre i raggi del sole del tardo pomeriggio filtravano languidi fra le foglie. Ora, le gambe intrecciate, indugiavano appagati per rubare ancora qualche istante segreto di serena felicità. 

Gli occhi chiusi, la testa adagiata nell'incavo del collo di André, i lunghi capelli biondi sparpagliati tutto intorno, Oscar tratteneva fra le dita il nastro di seta blu con cui André era solito raccogliere i capelli e ripensava a una breve lettera ricevuta settimane prima dalla Normandia: "Concedetevi di essere felice.". Forse non aveva mai pensato di averne diritto. Forse aveva creduto che a lei non fossero dovuti amore, né felicità. Ora che li aveva assaporati… ora invece che aveva deciso di accettarli, viveva ogni giorno con gratitudine, serbando gelosamente  ogni emozione. André tolse un braccio dall'avvolgente tepore della coperta per indicarle un punto lontano, distogliendola dai suoi pensieri. Oscar aprì gli occhi per guardare: uno stormo si levava alto nel cielo. "Guarda Oscar!" le disse André "Gli uccelli migratori stanno volando verso sud. Volano liberi e felici nel cielo, ma poi in primavera torneranno nei luoghi da cui sono partiti. Nessuno può impedire questo.". Oscar sorrise. Anche loro in qualche modo stavano volando: liberi e felici di amarsi. Si strinse più forte a lui. “Andrè," sussurrò "quando siamo insieme sento di vivere…", avvicinò le labbra al suo orecchio, "sento di vivere.".

Fine

 

Note al capitolo 8
Come sapete già, la storia e i capitoli portano titoli di canzoni: 

Per l'intera storia:
These are the days of our lives
Da "Innuendo" - Queen - 1991

Per l'ottavo capitolo:
Nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto
Lucio Battisti, 1969

 

La battuta di spirito di Oscar a cena con André, ispiratami dal delizioso libro di Silvia Stucchi "Lady dal fiocco blu?" (2022), che propone un capitolo intitolato "Le risate di Oscar, ovvero: anche i Comandanti nel loro piccolo ridono… ogni tanto", è un omaggio a J.K. Rowling: "Magnificamente io", la biografia che Oscar suggerisce per il tenente Girodelle, è un chiaro riferimento a "Magicamente io" di Gilderoy Allock, da "Harry Potter e la Camera dei Segreti" (1998).

La battuta "come stare a guardare la pittura mentre si asciuga" (detto popolare) è invece un omaggio alla cultura dialettale della mia amata terra di Romagna.

L'accenno all'isola caraibica priva di corsi d'acqua dove si beveva esclusivamente rum è un riferimento alla leggendaria Tortuga, in omaggio a "Pirati dei Caraibi, la maledizione della prima luna" (Disney, 2003).

 

Per quanto riguarda le letture di André, la citazione da "Il Milione" di Marco Polo e Rustichello da Pisa (1298) è tratta dal capitolo 30: "De la grande provincia di Persia: de' 3 Magi".

 

Infine molte battute dei dialoghi della parte finale del racconto sono riprese dalla traduzione italiana originale degli episodi 37 ("La voce della libertà") e 25 ("Cuore di donna") dell'anime Lady Oscar.

 

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