Dregs - A Crows Story

di Carmaux_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 Wylan ***
Capitolo 2: *** 02 Jesper ***



Capitolo 1
*** 01 Wylan ***


01
 
1
WYLAN
Wylan

13 BBY
 

Si trovava su Nal Hutta ormai da una settimana. Quasi quattrocentosessantamila chilometri quadrati di foreste e paludi che gli facevano sembrare il ricordo delle pianure di Naboo dolcemente accarezzate dal tepido sole estivo niente più di un sogno.
Complici l’odore stagnante e la perenne nebbiolina che si sollevava dalla superficie dell’acqua, era immerso in un miasma asfissiante. Un tubo di respirazione cibernetica sarebbe stato esagerato per il contesto nel quale si trovava. Tuttavia, non aveva con sé nemmeno una maschera né un più banale respiratore che gli permettesse di inalare ossigeno pulito al posto di quel lezzo afoso.
Alzò la testa per guardare il cielo, tinto di quelle pesanti gradazioni di giallo. Lasciò che la pioggia gli bagnasse il viso e approfittò di quelle gocce ancora fresche per pulirsi con una manica.
Credeva di aver scelto un buon pianeta per nascondersi: lontano e inospitale. Credeva di essere stato bravo a far perdere le proprie tracce ma quando quella mattina aveva adocchiato due uomini in livrea rosso e oro si era dovuto ricredere.
Per questo ora, a bordo di una chiatta sgangherata, scivolava silenziosamente verso una delle taverne più vicine al porto spaziale.
Non era più stato su un’imbarcazione del genere, grande o piccola che fosse, da quando sei mesi prima aveva lasciato Naboo e i suoi fiumi.
Valutò se assicurare o meno l’imbarcazione al porticciolo: in realtà dubitava se ne sarebbe servito nuovamente. Mentre lasciava cadere in terra la corda, gli giunse alle orecchie un vociare in diverse lingue: la taverna doveva essere più affollata del solito e quel pensiero quasi lo fece tornare sui propri passi. Scosse la testa e cercò di motivarsi: “I migliori piloti di astronavi mercantili del pianeta si trovano qui”. Se voleva trovare qualcuno che lo aiutasse a lasciare Nal Hutta, quello era il posto migliore dove cercare.
Non sapeva ancora bene che approccio usare, se inserirsi nella conversazione di chi, seduto ad uno dei tavoli, discorreva con i propri colleghi oppure se provare a rivolgersi a chi tentava la sorte ai tavoli da gioco o ancora se chiedere consiglio direttamente al barista duros. Optò per l’ultima opzione e si avvicinò al banco prendendo posto su un trespolo. Da lì poté dare un’occhiata in giro: il locale era troppo buio per i suoi gusti ma, ormai, aveva capito che avrebbe dovuto farci l’abitudine, che quella foschia e quell’odore avrebbero dovuto appartenergli se voleva sopravvivere. Dopotutto ormai non era niente più che un fuggitivo.
Umanoidi, insettoidi, altre strane combinazioni di razze squamose e pelose che non aveva mai nemmeno visto prima in vita sua: il campionario da cui pescare era bello grosso.
«Qual è il tuo veleno?» gli domandò il barista.
«Cerco un passaggio fuori dal pianeta».
«Qualche richiesta in particolare?» a porgergli la domanda fu l’umanoide seduto al suo fianco.
«Che parta il prima possibile».
«Sei fortunato, ho un piccolo mercantile che potrebbe fare al caso tuo» disse accarezzandosi le lunghe corna che gli spuntavano dalla fronte. «Non è delle più veloci… o pulite. Insomma, non posso offrirti un servizio a cinque stelle però…» Un rumoroso rutto aromatizzato dei liquori più scadenti che la bettola offriva interruppe quello sfortunato elogio.
Il cencioso pilota doveva aver fatto il pieno, e non di carburante, e se la nave lo rispecchiava anche solo in minima parte doveva trattarsi di una vera fogna. Mettere la vita nelle sue mani unticce non gli sembrava una buona idea: tanto valeva consegnarsi, a quel punto. Abbozzò un sorriso conciliante mentre scivolava via dallo sgabello per allontanarsi.
«Che c’è, ragazzino? Mai visto un devaroniano prima? O forse non ti vado a genio io
«Mi dispiace, io…»
«Non ti conviene offendermi».
«Non è mia intenzione».
«Fai lo schizzinoso? Neanche tu mi vai a genio, sai?» esclamò il devaroniano alzandosi traballante e facendo ribaltare il proprio sgabello.
Il giovane alzò le mani in un vano tentativo di calmarlo e lanciò un’occhiata al barista che, a quel punto, ritenne necessario dare il proprio contributo: «Niente folgoratori al chiuso».
Altresì detto: “finché non venite alle armi, poco m’importa se ti rompe le ossa una a una a mani nude”.
«Avanti», un ultimo tentativo di salvare la situazione. «Ti offro da bere per scu-»
La minaccia prese corpo prima che riuscisse a concludere la frase. Il colpo alla tempia che ricevette lo rovesciò su uno dei tavoli da gioco facendo volare in tutte le direzioni le carte e il denaro dei giocatori. Il vultan che si era appena visto strappare la vittoria scattò in piedi profondendosi in esclamazioni irripetibili e gli avrebbe assestato un secondo colpo se il devaroniano non lo avesse fermato dichiarando di reclamare ogni diritto di percossa sul suo corpicino. Questo infervorò il vultan, a sua volta non propriamente sobrio: dopotutto una rissa con un devaroniano regalava molte più soddisfazioni che una contro un semplice e giovane essere umano.
Il ragazzo rotolò giù dal tavolo e vi si nascose sotto. Aspettò qualche istante in cui controllò la situazione e fece il gesto di scattare verso l’uscita ma un paio di gambe lunghe gli bloccarono la strada.
«Non così in fretta.» La voce apparteneva al secondo giocatore della bisca. «Vieni fuori, su». Quando lo aveva visto atterrare sul tavolo da gioco si era concesso solo di sgranare gli occhi verdi e alzare le braccia per salvare la sua mano e il suo drink. Ancora adesso la sua voce ostentava, tutto sommato, calma. Una calma che, il ragazzino se ne rese conto subito, non gli apparteneva affatto: aveva i fianchi fasciati da un cinturone e le pistole infilate nelle due fondine tremavano leggermente, adattandosi al ritmo con cui il loro proprietario faceva nervosamente tamburellare le gambe.
«Mi dispiace, non intendevo rovinare il vostro gioco», disse il ragazzo alzandosi da terra e prendendo titubante posto al tavolo.
Quello gli mostrò le ultime due carte che gli erano rimaste: «Probabilmente dovrei ringraziarti: avevo una pessima mano. Ma venendo a noi, se era un tentativo di furto ti faccio i complimenti per l’impegno.» E così dicendo allungò una mano per sfilargli dal colletto della giacca due tondini calamariani che si erano incastrati lì quando aveva ripulito il tavolo. «Ti capisco: anche a me sarebbe piaciuto rubarglieli».
«Non stavo rubando».
Il pistolero gli sorrise, mostrando i denti bianchi in contrasto con la pelle scura: «Certo, nessuno sta mai rubando nel momento in cui viene beccato».
«Non stavo rubando! Cerco un passaggio per lasciare il pianeta».
«E intendevi pagarlo con i soldi racimolati con questo spettacolino? Devi essere davvero alla frutta».
«Posso pagare di tasca mia!» ripeté per l’ennesima volta, il tono sempre più piccato. Si domandò cosa ci facesse ancora lì. Controllò di non avere altra “refurtiva” addosso e si alzò: avrebbe trovato una nave e un pilota altrove.
«E dove vorresti andare?»
Avrebbe trovato un pilota altrove… se fosse riuscito a superare la notte.
E qualcosa nel tono di voce con cui era stata posta quella domanda gli fece intendere che non era troppo tardi per intavolare una contrattazione: forse quella era un’opportunità.
Il pistolero gli fece l’occhiolino: «I soldi sono una lingua universale: ti fanno fare molta più strada rispetto alla gentilezza».
 
Wylan
 
Mentre la rissa si era spostata fuori dalla taverna, trascinando con sé alcuni dei suoi avventori, il tavolo da gioco era stato sommariamente ripulito per fare spazio ad una mappa della Galassia sulla quale era stato additato un pianeta.
«Dantooine».
Il pistolero lo guardò con le sopracciglia inarcate e gli spostò l’indice con cui puntava il pianeta in questione di qualche centimetro lungo una delle rotte commerciali tracciate: «Questo è Dantooine. Prima eri su Ventooine».
Il ragazzo si scostò un ciuffo di capelli rossi dal viso, mordendosi una guancia: «C’è troppo buio. Non so come tu faccia a vedere le carte mentre giochi. O forse è perché non le vedevi che stavi perdendo».
«Non sarà un po’ troppo lontano per il tuo portafogli?» indagò il pistolero con scetticismo, per ricambiare la stoccata appena ricevuta.
«Ti pagherò la differenza quando arriveremo».
«Continui a sostenere che prima non volessi rubare? Parliamoci chiaro: di quanta liquidità disponi?» La provocazione gli fece stringere i pugni. Si guardò intorno prima di vuotare le tasche. Il pistolero roteò gli occhi: «Questi sono crediti repubblicani. Forse non ti è giunta la notizia ma la Repubblica è caduta».
«Ho anche crediti imperiali, solo in quantità minore. Ma se ti pagassi con entram-»
«Non ho intenzione di farmi beccare con crediti repubblicani in tasca: ci tengo, alla mia pelle».
Il rosso allora indicò un altro pianeta: «Corellia va bene? È più vicino».
«Non voglio avvicinarmi tanto all’Orlo Interno. Come sopra, la mia bella testa sta bene al suo posto e mi dispiacerebbe immensamente separarmene. Inoltre, un piccoletto come te non sopravviverebbe tra le strade di Corellia: tanto varrebbe andare su Wobani».
Non parlarmi così: non sono un cucciolo inerme.
«Dove puoi portarmi per questa somma?» domandò, esasperato.
«Dipende da cosa vuoi fare».
«Io…»
«Potrei scaricarti su Bracca: potresti cavartela come rottamatore. Tuttavia, poco tempo fa ci sono stati disordini sul pianeta: è intervenuto anche l’Inquisitorio. Oppure, perché no, su Kashyyyk, insieme a quarantacinque milioni di wookie: non sarebbe il primo pianeta sul quale verrei a cercare un fuggitivo. Di contro, se mi venisse questa folgorante illuminazione, certo salteresti all’occhio in mezzo a tanti giganti pelosi».
«Io voglio solo sparire».
«Non è facile come sembra» sussurrò il pistolero, giocherellando con una carta da sabacc.
«Puoi aiutarmi o no? Mi stai facendo perdere tempo!»
Il tiratore accarezzò le mappe, seguendone i disegni con le dita. «Questa è una mappa neimoidiana, vero?»
«Cosa ne sai tu di cartografia?!»
«Ne ho viste anche io ai miei tempi».
«Avrai un anno più di me!»
Il maggiore si concesse un sorrisetto, poi si sporse verso di lui con fare curioso e attento: «Tu chi sei
«Fare domande non va contro le vostre regole?»
«Non sono mica un cacciatore di taglie della Gilda. Per chi mi hai preso! Devo sapere in che tipo di guai ti trovi per decidere se aiutarti o meno. Questa è una mappa neimoidiana», ripeté. «Oltre all’Ufficio del Cancelliere Supremo, solo la Confederazione dei Sistemi Indipendenti e pochi altri potevano permettersi mappe di qualità simili. Dato che abbiamo appurato che non sei un ladruncolo, dico bene?, non rimane che un’opzione: sei un separatista?»
Chi diavolo credeva di essere quella sottospecie di cicogna ghignante? Se si trovava in una delle peggiori bettole di Nal Hutta a cercare lavoro certo non poteva permettersi di elargire giudizi in quel modo. D’altro canto, probabilmente rappresentava l’occasione migliore di salvarsi la pelle. E, se confrontato con gli altri avventori, aveva quasi un che di professionale…? Per quanto professionale potesse essere un giocatore d’azzardo con ancora in mano un bicchiere di chissà quale liquore e che continuava a lanciargli sguardi ambigui.
Sospirò. «Mio padre aveva un seggio nel Senato Galattico, insieme a Lott Dod».
«Tuo padre era uno dei rappresentanti della Federazione dei Mercanti!? Niente meno? A quanto so il caro senatore Dod non ha fatto una bella fine: è da questa realtà che scappi?»
No, la mia realtà è molto più tristemente semplice.
«Il Senatore Dod è morto per mano di Darth Vader. Se io morirò sarà per mano di mio padre».
Come finì di pronunciare quella frase, un colpo secco fracassò le porte della locanda scardinandole e facendole cadere rumorosamente in terra.
Non gli servì aspettare di riconoscere i colori di suo padre addosso a quei due cacciatori di taglie: si alzò appena un attimo prima che un colpo di blaster esplodesse ai suoi piedi facendo ribaltare il tavolo.
Vi si nascose dietro premendo la schiena contro la sua superficie bruciacchiata e cercò di prendere fiato.
Intercettò l’ultima frase del barista – “Ehi! Niente fulminatori qu-“  – e udì un altro scoppio. Il primo di una lunga serie. Assordato, si coprì le orecchie con le mani.
Si sentì in trappola.
«Adesso cominciamo a ragionare». Un sorriso entusiasta stampato in viso, il tiratore era stato veloce ad acquattarsi al suo fianco e ora stringeva fra le mani le proprie pistole. «Devi essere uno che scotta parecchio, eh, mercantuccio
 
Wylan
 
 
Angolino autrice:
Buona sera! ^^
Perché no? Imbarchiamoci in questa impresa… è da un sacco di tempo che ci penso, ho buttato giù un po’ di appunti e ora, finalmente, in concomitanza con l’uscita della seconda stagione di Tenebre e Ossa, vede la luce il primo capitolo di questa AU ♥
L’idea sarebbe di rispettare la struttura narrativa della duologia: ogni capitolo sarà scritto dal POV di uno dei corvetti… e so già che questa decisione mi si ritorcerà contro quanto prima ‘^^
Un pensiero speciale va a Spirit537 e a Leila91 che hanno sopportato le mie paranoie e che mi hanno sempre sostenuta e incoraggiata ♥
Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto! 
Siccome mi voglio male, ho pensato di fare un ulteriore rimando all'universo di star wars provando a iniziare ogni capitolo con una cit, come accade nella serie animata di Clone Wars... sono sicura che anche questo mi si ritorcerà contro XD
Ringrazio chiunque abbia letto e vorrà seguire questa storia o lasciare un segno del loro passaggio!
Vi mando un abbraccio e un bacione!
A presto!
Bea

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Capitolo 2
*** 02 Jesper ***


02-tutta-la-vita-una-scommessa

2
JESPER

Jesper

Jesper si accucciò, sfruttando il tavolo da gioco rovesciato come riparo. Lanciò uno sguardo in terra: sarebbe stato un peccato lasciare lì quei crediti. Raccolse in fretta tutto quello su cui riuscì a mettere le mani, comprese anche alcune carte di sabacc, e impugnò le sue amate pistole.
«Adesso cominciamo a ragionare. Devi essere uno che scotta parecchio, eh, mercantuccio?»
Quasi non riuscì a credere ai propri occhi quando vide quest’ultimo raggomitolato e pressato contro il tavolo con le mani sulle orecchie. Gli diede una scrollata: «Forza, ragazzino! La festa è appena iniziata!»
Gran parte delle fioche luci erano saltate nell’esplosione e la polvere sollevatasi nell’impatto gli impediva di avere una chiara idea della situazione. Un uomo saltò e, calpestando il corpo esanime del barista riverso sulla penisola circolare al centro della stanza, si issò su quest’ultima guardandosi intorno. Prima che chiunque aprisse il fuoco nella sua direzione – la maggior parte degli avventori stava ancora cercando di mettersi al riparo tossendo polvere e segatura – estrasse dalle pieghe della giacca un piccolo proiettore e lo accese: un’immagine tremolante venne proiettata in aria.
«Stiamo cercando questo ragazzo».
Chiaro. Conciso.
Jesper seguì il braccio del cacciatore che indicava l’ingresso della cantina dove un secondo uomo piantonava la porta, uno scarpone a schiacciare in terra il cadavere del buttafuori. Non si stupì che avesse fatto quella fine: era famoso per la sua tempra irritabile e aveva più volte attaccato briga anche con lui. Il messaggio dei cacciatori era palese: probabilmente non rientrava nei loro interessi fare una strage ma, allo stesso tempo, non avevano problemi a lasciarsi dietro una scia di sangue nel caso avessero incontrato resistenza e poca collaborazione.
Un twi’lek che era stato sbalzato in una delle nicchie della sala si tirò in piedi tirando un paio di colpi di tosse. Come si vide puntare un’arma contro sollevò le mani: «Sono un cacciatore di taglie, come voi: lavoro per Jabba the Hutt».
«Non abbiamo alcun accordo di collaborazione con Jabba».
Pur sentendosi minacciato, il twi’lek azzardò un sorriso che mise in luce i suoi denti appuntiti: «Questo è territorio degli Hutt».
«E questa non è una taglia» dichiarò l’uomo indicando l’ologramma. «È un recupero: non vuoi tornare a casa, ragazzino?»
Jesper lanciò un’occhiata al suddetto che ricambiò lo sguardo: «Che facciamo?»
«Ah, quindi non ti è saltata via la lingua con quell’esplosione».
«L’ho visto trattare con un devaroniano e con un umano: stanno progettando di lasciare il pianeta» continuò il twi’lek.
Jesper sbirciò da sopra il tavolo e un colpo di blaster per poco non gli bruciò i capelli. Tornò a nascondersi, le mani già sulle sue amate pistole, pronto a rispondere al fuoco.
Il ragazzino gli si avvicinò, gattonando. «Dico davvero: come facciamo a-»
«Noi? Questo è un brutto affare: aiutarti equivarrebbe a scommettere ad occhi chiusi».
Il rosso lo guardò per qualche istante prima di rispondere, gli occhi così sgranati che sembravano bicchieri: «Ma a te piace scommettere».
Un ghigno si fece largo sul bel viso di Jesper: «Sì, mi piace. Mi piace eccome».
«Non perdiamo tempo: puoi venire fuori sulle tue gambe o possiamo farci strada sparando e trascinare il tuo culo viziato a casa».
«Non puoi colpirlo?», sussurrò il diretto interessato ma nonostante avesse riconosciuto una forte nota di preoccupazione nella sua voce, Jesper scosse la testa:
«E’ in posizione di vantaggio: aspetterà che facciamo la prima mossa».
«Come?»
«È. Più in alto. Di noi».
«Non puoi fare niente?! Hanno già ammazzato il barista e-»
«E se rimani imbambolato ancora un po’ farai la stessa fine. Renditi utile e dai un’occhiata in giro: controlla se ci sono altre vie d’uscita. Io farò il mio!»
Lanciò per l’ultima volta un’occhiata. Pur consapevole della posizione sfavorevole tentò di esplodere un colpo. Sapeva già che non lo avrebbe colpito ma riuscì a guadagnare giusto un secondo, il tempo necessario perché capisse cosa fare appena ne avrebbe avuta l’occasione.
«Allora? Hai trovato un’altra uscita?»
«Solo le fogne», ammise il mercantuccio con una piccola smorfia. «Credo che quello sia un punto d’accesso», aggiunse indicando un punto della parete a qualche tavolo di distanza, dove si trovava una grande grata seminascosta da una panca.
«Su con il morale: non puzzano più di questa bettola».
«Parli per esperienza?»
«Chi può dirlo. Pronto?»
Senza aspettare una risposta sparò un colpo contro uno dei tavoli, facendolo ribaltare. Afferrò il ragazzo per il colletto e scattò, trascinandoselo dietro. Scivolarono dietro la nuova quanto precaria barricata. Non riuscì a non sorridere pensando alla raffica che sentì fischiare di fianco alle orecchie così vicino che, quando fosse tornato sulla sua nave, avrebbe controllato se gli fossero rimasti segni di bruciatura. Dopotutto, quella situazione non gli dispiaceva più di tanto: stava bene quando le persone gli sparavano addosso, per quanto strano potesse suonare. In quei momenti riusciva a ragionare con più lucidità del solito.
Staccò la panca dal muro per esporre il punto di accesso. Non era sicuro che le sue sole pistole sarebbero state sufficienti ad aprirvi un varco. Voltandosi vide il ragazzino frugare nelle sue tasche alla ricerca di chissà che cosa: a meno che non nascondesse una qualche altra arma o una bomba, la situazione avrebbe presto preso una piega poco piacevole.
Mentre rifletteva su cosa fare non concesse ai due nemici neanche un momento: sparò un altro colpo mirando ad uno degli spillatori sul bancone. Esplose con un boato che riversò sul cacciatore e ovunque sul pavimento della cantina una pioggia nera.
Lo sguardo perplesso – dov’erano il fuoco e le fiamme? Non era esattamente così che aveva immaginato la scena – appoggiò un dito in una delle pozze createsi e assaggiò quel liquido scuro e dolce. «Ne’tra gal*, ovviamente». Di tutti gli spillatori aveva selezionato probabilmente l’unico che non conteneva un liquore infiammabile.
Una raffica improvvisa di scoppiettii alle sue spalle lo fece sobbalzare. Era il ragazzino: qualunque cosa avesse nascosto in tasca fino a poco prima, la aveva assicurata alla grata da cui avevano iniziato a sollevarsi piccole nuvolette di fumo. Lo vide contare silenziosamente e, infine, tirare un calcio alla grata, che si spaccò aprendo la loro via di fuga.
“Non male, piccoletto…”
In ogni caso, non c’era un secondo da perdere. Mise via le pistole e appoggiò pesantemente una mano sulla schiena del ragazzino, ancora leggermente indeciso sul da farsi.
«Forza, mercantuccio: potrebbe sempre andare peggio!»
«Come?»
«Potrebbe essere lo scarico dei rifiuti».
«Quindi finiremmo intrappolati in un compattatore?»
«Già».
«Aspetta-».
Ma Jesper non aspettò: la mano già sulla sua schiena, lo spinse giù. Un ultimo sguardo alla cantina e saltò a sua volta.
 
Jesper

«Visto? Alla fine niente compattatore».
Il ragazzino, i vestiti fradici e insudiciati e i capelli così infangati da aver perso il loro colore fulvo, fece una smorfia.
«Io non farei troppo lo schizzinoso, sai? Poteva andare molto peggio!» Come finì di pronunciare quella frase, Jesper si morse la lingua: doveva imparare a stare zitto e a non farsi mai sfuggire un commento del genere, considerando la iella insita nell’affermazione.
«Peggio? Peggio dei cacciatori di taglie, delle fogne e della polizia locale?»
Sì, effettivamente la polizia locale che, vedendo Jesper con i vestiti inzaccherati all’attracco dove aveva lasciato la sua nave e apportarvi una veloce riparazione, aveva ben pensato di venire a fare qualche domanda, era stata uno spiacevole inconveniente. Niente che Jesper non sapesse gestire, comunque:
«Ci sono stati scompigli alla taverna vicino al porto».
«Ed è una novità?» No, certo che no: su quella orrida palla che si vantava della nomea di “pianeta” erano tutti pendagli da forca, dopotutto.
Rimase sorpreso, tuttavia, quando gli chiesero del giovane scappato di casa: dopotutto la polizia locale lavorava per gli Hutt, che non nutrivano alcun interesse per lui. Che i due cacciatori avessero già fatto girare la voce in tutta la città? «Preferisco quelli alti, con i capelli neri e l’aria tenebrosa» aveva dunque risposto. E, alla fine, aveva allargato le braccia: «Io? Rapire bambini? Sembra un delitto di poco conto per uno come me, non pensate?**» Davanti all’apatia degli agenti aveva ritenuto di doversi arrischiare di più: «Siete comunque i benvenuti, se volete dare un’occhiata».
E aveva teatralmente fatto strada alla polizia che, così, era salita sulla sua vecchia nave sgangherata.
Era sicuro che non avessero visto nessuno salire a bordo ma, in ogni caso, quella mossa era stata una scommessa azzardata. La sua piccola GX1-hauler non aveva scompartimenti atti al contrabbando e il mercantuccio si era infilato in uno degli armadi a muro. Un occhio attento avrebbe notato subito gli indizi che avrebbero rivelato il suo nascondiglio ma Jesper aveva confidato nel disinteresse della polizia per un caso che non gli avrebbe procurato alcun guadagno. E aveva continuato a sperarci anche quando il suddetto armadio aveva emesso un rumore secco che chiunque avrebbe trovato sospetto.
«Ringrazia la tua buona stella che gli Hutt non sono interessati a te e se ne siano andati senza fare domande. Era così difficile restare fermo per un paio di minuti?» “Da che pulpito…”
«Non è stata colpa mia: quel coso mi è saltato addosso! Non me l’aspettavo…».
«“Quel coso” ha un nome!» esclamò Jesper allungando un braccio verso terra.
Il piccolo droide bipede che aveva appena scalato il braccio di Jesper per poi prendere posto sulla sua spalla non gli era saltato addosso con l’intento di spaventarlo: semplicemente, incuriosito, aveva pensato di avvicinarsi per fare una rapida scansione del nuovo passeggero che aveva appena occupato il suo armadietto preferito.
«Ti presento Milo. Saluta, Milo».
Il droide guardò prima il suo proprietario, poi lo sconosciuto, poi nuovamente il suo proprietario. Jesper si rese conto che Milo aveva assolutamente ragione: quelle presentazioni erano incomplete.
«Se dobbiamo portarti dall’altra parte della galassia dobbiamo almeno sapere come ti chiami, mercantuccio».
Il ragazzino si passò una mano sul viso, ripulendosi dal fango. Un ricciolino di nuovo rosso gli scese sulla fronte.
«Wylan».
 
Jesper

Avevano lasciato il pianeta appena qualche minuto dopo: forse i cacciatori ci avrebbero messo un po’ per ritrovarli ma non valeva la pena perdere tempo.
Erano già lontani da Nal Hutta quando Jesper, le gambe incrociate ai lati della console dei comandi, sentì Wylan entrare nella cabina di pilotaggio e sedersi di fianco a lui con un sospiro. Gli aveva proposto di darsi una ripulita e il ragazzino aveva accolto il suggerimento molto volentieri. Aveva gettato i vestiti inzaccherati e, dopo essersi lavato di dosso il sudiciume del pianeta, ne aveva indossati di nuovi. A Jesper quel cambio d’abiti sembrò troppo leggero per le temperature dello spazio ma non commentò.
«Molto meglio» gli disse.
«Cosa?»
«Tu: sei molto più carino così ripulito».
I capelli ancora umidi ma che stavano riprendendo la loro forma boccoluta, Wylan tossicchiò imbarazzato e tentò di sviare l’attenzione da sé: «È una unità GT***?» domandò indicando il droide accoccolato in grembo a Jesper. Aveva ripiegato le zampe e, in quella posizione, sembrava davvero accucciato con la testolina rettangolare che si inclinava sotto le carezze del pistolero.
«Esatto».
«I GT sono droidi esplorativi, giusto?»
«Qualcosa del genere». Anche se per lo più Jesper lo sfruttava come droide di supporto emotivo. Non che fosse necessario rivelarlo al mercantuccio così su due piedi. «Per essere uno appena scappato da un postaccio come Nul Hutta con ancora tutti gli arti e la testa sulle spalle non mi sembri di buon umore» disse invece, notando il suo sguardo afflitto.
«Non è il mio posto, questo…» esalò. «Non sono un criminale».
«Nulla da obiettare».
«Mi manca Naboo», ammise improvvisamente.
«A me manca la terraferma, di qualsivoglia pianeta».
«Siamo partiti solo da qualche ora».
«Non c’è niente da fare quando si viaggia nello spazio: c’è solo, beh, spazio aperto… e silenzio».
«In molti lo troverebbero uno scenario rilassante».
«Follia!» Milo emise un breve cigolio, come a sostenere il pensiero di Jesper. «Ti va una partita a sabacc?»
«Non so giocare a sabacc».
«Te lo insegno io!»
«Non credo sia il caso».
«Non penserai che passeremo tutto il tempo con le mani in mano!»
«Si possono fare altre cose, oltre a giocare d’azzardo!»
Jesper ghignò: non poteva lasciarsi scappare occasioni servite così su un vassoio d’argento. «Hai ragione: tante cose decisamente più interessanti».
E di nuovo le pallide guance del ragazzo si tinsero di un bel rosa intenso.
Ecco: quello, per esempio, aveva tutte le basi per diventare uno dei suoi nuovi passatempi preferiti.
«Non ti manca mai?»
«Che cosa?»
«Il tuo pianeta natale».
Jesper si mosse sul sedile, leggermente a disagio di fronte a quella domanda. Scrollò le spalle.
«Non vorresti tornarci?» insistette Wylan.
Strinse le mani sull’elsa delle sue pistole. Stava per rispondere bruscamente quando una piccola spia sonora richiamò la sua attenzione. Cercando di ignorare quell’ultima conversazione, premette il pulsante che si era illuminato.
«Jesper».
Anche non avesse visto il traballante ologramma azzurrino che aveva preso forma di fronte a lui, avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.

 
Jesper
 
 
 
 
*dovrebbe trattarsi di una “birra” mandaloriana.
**semicit di Cad Bane (non che ci azzecchi qualcosa con il personaggio di Jesper ma mi piaceva XD)
***non credo che esistano droidi GT nell’universo di star wars XD ho pensato io di chiamarlo così in quanto Milo è una capra, GoaT ‘^^ Me lo sono immaginato come BD1… perché sono innamorata di quel robottino *^*
milo
 

Angolino autrice:
Eccoci qui con il primo pov di Jesper! Come ho scritto nel precedente capitolo (e come scriverò di nuovo anche nei prossimi) spero di non aver fatto pasticci e di non aver snaturato il personaggio! ^^ A chi toccherò con il prossimo capitolo? :-P
La fuga di Wylan procede e il gruppetto si è già allargato con la comparsa di Milo, che volevo assolutamente inserire ♥
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Grazie a chi ha già inserito questa storia fra le ricordate, le seguite e le preferite! *^*
Un abbraccio! E a presto con il prossimo aggiornamento! ♥
Bea

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