Tra cielo e mare

di moira78
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo Quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo Cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo Otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo Nove ***
Capitolo 10: *** Capitolo Dieci ***
Capitolo 11: *** Capitolo Undici ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Albert si risvegliò a causa di un conato che si arrampicò su per lo stomaco con una sgradevole pressione e sfociò in un rigurgito liquido e salato. Aprì le palpebre pesanti e annaspò alla ricerca d'aria, ma a quanto pareva il suo stomaco non era ancora soddisfatto e stava comprimendo i polmoni impedendogli di respirare. Il corpo sussultò e si ribellò ancora una volta al liquido estraneo e poté giurare che, assieme a quello, uscì anche l'ultima molecola di ossigeno che avesse tra le costole. Il cuore martellava disperato, temendo quasi più del cervello di non avere la possibilità di inspirare come era ormai vitale. Il panico lo avvolse mentre spalancava la bocca cercando di prendere un ansito che, per fortuna, arrivò al posto del conato e fu alquanto gutturale e sibilante, ma gli diede un sollievo quasi catartico. Tuttavia, non gli bastava, aveva bisogno di altra aria. Aveva fame di aria, ed espirare gli parve quasi una violenza contro se stesso. Eppure Albert lo fece, ignorando stoicamente le contrazioni a livello dello stomaco che volevano restituire altra acqua salata.

Mentre lottava per respirare ed espellerla da stomaco e polmoni, Albert vide una sagoma con la coda dell'occhio e cominciò a rendersi conto che le mani stavano affondando nella sabbia.

"Nuota, muovi le gambe, Candy!".

"Cah...!". Mai il suo nome era suonato in maniera tanto sgraziata e gracchiante dalla sua gola. Ma, diamine, avrebbe sfidato chiunque a parlare sentendosi annegare! Si concentrò sullo sgradevole e ancora complicato compito di avere sufficiente ossigeno tra un conato e l'altro. L'ultimo restituì una discreta quantità d'acqua e si domandò quanta diavolo ne avesse bevuta. Con gesti frenetici, si liberò del proprio giubbotto di salvataggio.

Un lumicino oscuro nell'angolo del cervello gli suggerì che quello poteva benissimo essere solo il corpo di Candy, con i riccioli biondi sparsi in maniera disordinata sulla sabbia, immobile in quella luce rosata che pareva quella dell'alba. E se anche fosse stata ancora viva non le sarebbe risultato molto utile finché non fosse stato sicuro di sopravvivere lui stesso. Eppure, fu con uno sforzo sovrumano che s'impose di strisciare, letteralmente, verso di lei, mosso da una forza che proveniva dai recessi della propria anima. Un istinto quasi animale che prescindeva da qualunque ragionamento o volontà, riportandolo a Candy anche se stava tossendo e boccheggiando ancora e di parlare e chiamare il suo nome non c'era proprio verso.

Quando finalmente la raggiunse, trascinandosi nella sabbia come una sorta di creatura marina riluttante, allungò una mano verso il viso: cercò di scoprirlo scostando la massa dorata dei capelli. E anche se si trovava in un momento disperato che era tutto fuorché romantico, non poté fare a meno di notare quanto fossero belli. E quanto lo fosse il suo viso, pallido e con le labbra appena socchiuse.

"Ca...", ritentò, terminando con una sorta di sibilo. Il petto gli bruciava per il sale e l'insufficienza d'aria e un altro conato lo costrinse a voltarsi un poco da lei per non vomitarle acqua addosso. Eppure non uscì nulla e Albert sentì solo un fiotto salato risalirgli su per il naso fino a farlo starnutire. Si concesse qualche istante, solo pochi secondi per verificare se, alfine, riuscisse a respirare con maggior facilità e... incredibilmente, bruciore a parte, l'aria entrava e usciva senza più ostacoli e i conati cessarono.

Adesso era pronto per dedicarsi a Candy senza rischiare di doversi più interrompere. La prima cosa che fece fu toglierle il giubbotto e verificare che respirasse lei e, con orrore, si rese conto che non era così. Il petto immobile, nessun soffio dalle labbra o dalle narici. Tremando, non sapeva se per il freddo o lo shock, Albert accostò l'orecchio al petto di Candy, dove quello che era stato un abito si stava attaccando al suo corpo come una seconda pelle. Per un solo, terribile istante, il battito che non udì gli fece gonfiare dentro un urlo feroce che non sapeva nemmeno se sarebbe stato in grado di emettere, poi lo colse. Lieve, stentato. Ma presente. E non indugiò, Albert: aprì la bocca di Candy e la coprì con la propria, soffiandole dentro più aria possibile.

 
- § -
 
 
Tre ore prima

Quando si era verificata la tragedia del Titanic, Candy non aveva compiuto tredici anni e si trovava ancora alla Casa di Pony. I Lagan l'avrebbero adottata a breve, se così si poteva dire, e avrebbe conosciuto Anthony subito dopo. La tragica storia del naufragio era apparsa su tutti i giornali per mesi, soprattutto a seguito delle inchieste aperte successivamente, tuttavia lei era coinvolta in altri problemi a quel tempo, oltre a essere ancora molto giovane.

Ora, in quell'estate dei suoi ventun'anni, pensò davvero di assistere a un evento troppo simile per sperare che si risolvesse al meglio. La nave sulla quale viaggiava con Albert era inclinata su un lato e alcune scialuppe furono risucchiate dal vortice creato dall'enorme natante. Con orrore, si accorse che il vortice si stava allargando e pareva estendere i suoi tentacoli mortali verso la loro imbarcazione.

"Dobbiamo remare più veloce!", gridò un uomo dietro di sé e la barca si mosse ondeggiando forte quando alcuni lo raggiunsero per aiutarlo. Con orrore, si accorse che anche Albert aveva allentato la sua stretta su di lei per spostarsi.

"No, ti prego, non mi lasciare!", lo pregò, non sapendo bene perché si sentisse tanto vulnerabile in quel momento. Lei, che si era imbarcata come clandestina e aveva rischiato la propria incolumità in un viaggio verso la speranza quando era solo una ragazzina. Certo, un naufragio non le era mai capitato, eppure un terrore atavico le fece afferrare la giacca di Albert con tutte le sue forze, come aveva fatto una sera al Lincoln Park di Chicago per supplicarlo di restare.

"Candy...?". Gli occhi azzurri erano spalancati per lo stupore.

Forse fu proprio quello che le impedì di separarsi da lui quando la scialuppa si rovesciò, d'improvviso, in un marasma di urla, braccia, gambe e vestiti che intralciavano i movimenti. Non seppe quanto rimasero sott'acqua, né per quale miracolo divino riemersero praticamente nello stesso istante, stringendosi come bambini spaventati, mentre la scialuppa rovesciata sembrava essersi allontanata di almeno trentacinque piedi.

Il suo nome uscì in un gorgoglio assieme a un fiotto d'acqua dalla bocca di Albert, che la stringeva a sé con un braccio e stendeva l'altro per galleggiare, mentre lei lo emulava in modo speculare con l'altro lato del corpo. Nonostante la stagione, l'acqua era abbastanza fredda e in breve Candy sentì il suo corpo tremare. Ma poteva essere anche il terrore nel vedere la scialuppa rovesciata che parve allontanarsi, gli uomini e le donne urlanti cercare di raggiungerla e ribaltarla per potervi rientrare.

E le altre scialuppe che non erano state risucchiate dall'affondamento sembravano puntini scuri sotto le stelle e la luna. Come nella precedente tragedia, non sarebbero tornati indietro per loro, rischiando la medesima sorte, rischiando che fossero troppi. Se la dovevano cavare da soli.

L'infermiera che era in Candy nuotava aggrappata ad Albert, muovendo energicamente le gambe sott'acqua, desiderando avvicinarsi alla precedente imbarcazione per salvarsi e salvare. Per aiutare. E ci stavano provando davvero, separandosi persino per muoversi meglio ed essere più veloci.
Il fondo della scialuppa rovesciata aveva una falla e un uomo stava tentando di staccare un'asse di legno per usarla come galleggiante. Ne seguì una colluttazione nella quale volarono insulti, grida sconnesse. Mio figlio è sott'acqua e non riesco a trovarlo, aiutatemi! Un pugno, un urlo di terrore e dolore. E Candy gridò a sua volta, mentre Albert la raggiungeva ansimando e parlandole con tono urgente.

"Vieni via da qui, è il caos. C'è dell'altra legna che galleggia laggiù". Candy seguì la direzione del suo braccio e notò che aveva il giubbotto di salvataggio sulla giacca che indossava a cena, solo poche ore prima, ma aveva tolto il papillon. Erano tutti talmente impegnati con la scialuppa ormai inservibile che non si erano resi conto dei relitti delle altre che l'oceano stava restituendo. Pochi, fatti a pezzi. Su uno galleggiava un corpo e si affrettarono proprio là. Era una donna e sembrava dormire. Candy allungò una mano cercando il battito, mentre Albert le scostava i capelli dal volto. Era morta.

Cominciò a singhiozzare, lottando per rimanere a galla nonostante il proprio giubbotto di salvataggio lo stesse già facendo, tentando irrazionalmente di rianimarla senza poter fare molto, immersa nell'acqua. Come era accaduto che, pur essendo aggrappata a una tavola di legno fosse annegata? Aveva bevuto? Stava cercando qualcuno?

"Candy, Candy basta, non c'è niente che possiamo fare per lei", boccheggiò Albert avvolgendole di nuovo un braccio intorno alla vita, controllando di persona più volte il corpo della poveretta e infine lasciandolo scivolare via. Al suo sguardo orripilato rispose con uno colmo di dolore: "Noi possiamo ancora salvarci. Forza, aggrappati, dobbiamo tenere il busto fuori dall'acqua".

Candy non seppe per quanto nuotarono aggrappati su quell'asse. Ricordava solo la voce di Albert, sempre più affaticata, che le diceva, in un tono perentorio che non gli aveva mai sentito, che doveva muovere le gambe, nuotare, non mollare la presa. Non addormentarsi. Ma lei era solo un'infermiera che sapeva arrampicarsi sugli alberi. Nuotare così a lungo, facendo forza sulle braccia per non scivolare dall'asse, era una fatica che non riusciva a sostenere. Forse Albert era più allenato di lei o magari dipendeva dal fatto che, essendo un uomo, aveva i muscoli più forti. Fatto sta che si ritrovò stesa a galleggiare sulla tavola di legno sotto alla volta stellata e ricadde in acqua in un vero e proprio attacco di panico, chiamando il suo nome, ricominciando a muoversi per tenersi a galla.

"Albert! Dove sei? Dove sei?!". Era annegato pur di salvare lei che si era stupidamente addormentata o era svenuta? Non se lo sarebbe mai perdonato! Si sarebbe lasciata morire a sua volta, piuttosto che vivere con quel peso sulla coscienza e sul cuore!

"Candy, sono qui". Era alla sua sinistra e nuotava con movimenti fluidi e lenti, quasi cercasse di non sprecare energie. "Ero solo andato a controllare quella che mi sembrava una sagoma lontana, ma temo che abbiamo...".

Senza pensare, come se si trovassero sulla terraferma, Candy gli gettò le braccia al collo mandandolo sott'acqua e colando a picco con lui. Riemersero tossendo e spuntando acqua entrambi e Candy cercò di scusarsi.

Ma Albert guardava con vivo allarme un punto alle proprie spalle e si voltò per seguire i suoi occhi nell'oscurità punteggiata di stelle. "L'asse!", gridò galvanizzata. Una scarica di adrenalina le permise di nuotare più velocemente di quanto pensò di aver fatto quella sera e Albert la superò in poche bracciate, recuperandola. "Mi dispiace, scusami, scusami!".

Lui respirò a fondo per qualche istante, appoggiato con le braccia sulla tavola. Tremava e batteva i denti e non poteva biasimarlo, lei stessa faceva lo stesso, ora che se ne rendeva conto: "Ok, tranquilla, va tutto bene. Però, Candy... niente più gesti impulsivi. Alcuni ci hanno salvato la vita, altri rischiano di costarci cari. Quello che cercavo di dirti prima è che purtroppo ho cercato di portarci verso una scialuppa ma non sono stato abbastanza veloce. Inoltre temo che abbiano accelerato per evitare di finire come quella su cui eravamo noi".

Candy rabbrividì ancora di più: era la stessa cosa che era accaduta ai pochi superstiti del Titanic ancora in acqua. Le scialuppe semivuote, a quanto pareva, avevano preferito lasciarli in mare piuttosto che rischiare di sovraccaricarsi.

"Quindi moriremo qui?". Candy non seppe se fu per la situazione disperata e anomala nella quale si trovasse, né se dipendesse dalla stanchezza. Forse solo quando si era risvegliata vicina a una cascata su una barchetta trascinata dalla corrente aveva temuto davvero di morire. All'epoca, però, c'era Albert che l'avrebbe salvata sulla sponda. Ora invece, si trovavano entrambi nel medesimo pericolo, in pieno oceano Atlantico, non sapeva nemmeno bene a che altezza. E nessuno dei due era immortale, nonostante la temperatura dell'acqua non fosse così fredda da costituire un pericolo immediato. Pensava che lui l'avrebbe rassicurata come al solito. Ma la risposta che le diede, scrutandola serio con i suoi occhi azzurri che sembravano quasi neri nell'oscurità, le gelò il sangue nelle vene.

"Non lo so, Candy, ma farò di tutto perché non accada".

E lo fecero. Lo fecero fino all'ultimo.

 
- § -
 
 
Candy vomitò acqua e cominciò a tossire e Albert si ritrovò a singhiozzare di sollievo come un bambino. L'ultima volta che lo aveva fatto in modo così plateale era stato alla morte di suo padre, perché aveva solo otto anni. Persino quando era morta sua sorella era rimasto a piangere discretamente nella solitudine della sua stanza, perché nessuno potesse dirgli che non si comportava da uomo o da futuro patriarca.

Ma in quel momento era solo un naufrago che aveva visto compiersi un miracolo. Doppio, per la precisione. Quando la tempesta li aveva colti...

"Ti amo, Candy!".
Gli occhi di lei spalancati, un sorriso che forse sarebbe rimasto congelato per sempre quando la presa sull'asse sarebbe stata spezzata dalla forza delle onde.
"Ti amo anch'io, Albert".
Il cielo appena tinto di rosa. L'onda. L'aria che mancava. Il buio.

...non pensava che si sarebbero salvati solo con un giubbotto di salvataggio addosso. E infatti stavano entrambi per morire.

La strinse a sé, sentendo il suo corpo sussultare mentre prendeva lunghi respiri. "Brava, così... respira, Candy, respira. Così...". Ripeteva come una nenia, cercando di controllarsi e fallendo.

Sentì le mani di lei afferrare il tessuto fradicio della sua camicia e finalmente vide il suo viso alzarsi per guardarlo: "È la prima volta che ti vedo... piangere così... scusa... non volevo farti...". Tossì di nuovo, scossa dai conati e lui le sostenne la fronte, tirando gentilmente indietro i capelli che sembravano alghe dorate. Le strofinò con carezze decise la schiena.

"Va meglio?".

Lei annuì, portandosi il dorso della mano alla bocca. "Non mi ricordo... nulla".

Albert prese un lungo respiro, riuscendo finalmente a dominare le emozioni. Anche lui dovette fare uno sforzo per ricordare: "La tempesta ci ha sorpresi quando abbiamo avvistato l'isolotto e siamo finiti sott'acqua. La corrente deve averci trascinati qui".

Candy prese a strizzarsi i capelli stringendone le punte con le mani, guardandosi attorno: "Se non siamo annegati non dev'essere accaduto molto tempo fa. Forse siamo svenuti e abbiamo bevuto mentre la corrente ci trascinava. Il cielo non è ancora del tutto sgombro, ma il peggio sembra passato".

La guardò, ammirato. Lui aveva fatto un ragionamento molto simile, ma non pensava che Candy sarebbe rimasta così lucida dopo tutto quello che avevano passato. Tuttavia era indispensabile che continuassero ad esserlo entrambi, così si alzò su gambe dapprima malferme e fece qualche passo abbracciando l'isola con lo sguardo, le sopracciglia aggrottate.

La spiaggia sfumava in un tratto di vegetazione fitta e una sorta di promontorio roccioso sembrava dominarli. Poté individuare alcune palme e altri tipi di albero e pensò che almeno avrebbero potuto procurarsi da bere dalle noci di cocco: quella sarebbe stata la priorità.

"Vieni, Candy. Ce la fai a camminare? Sei forse ferita?". D'istinto le tese la mano e vide che lei strizzava anche la gonna del vestito e si controllava le gambe e i piedi nudi con occhio critico.

"No, direi che sono tutta intera. Mi brucia solo la gola".

"È per via del sale, succede anche a me. Penso passerà quando riusciremo a bere un po'".

"Bere?", chiese lei come se non credesse affatto fosse possibile, intrecciando le dita con le proprie. Albert le indicò le palme e lei sorrise: "Immagino ti servirà la mia grande abilità di arrampicarmi, allora". Si rese conto che anche lei camminava piano, come se fosse sfinita e debole al contempo.

"So farlo anche io", le ricordò facendole l'occhiolino e incamminandosi. Voleva essere ottimista. Doveva esserlo. Non potevano essere finiti su un'isola deserta nel mezzo dei tropici, giusto? Al di là delle rocce, magari a qualche miglio di cammino, avrebbero di certo trovato la civiltà, qualunque essa fosse. Non era l'Africa, ma andava bene lo stesso. Ce l'avrebbero fatta.

Quando arrivarono sul terreno erboso, Candy si chinò per prendere una noce di cocco tra le mani: "Questa è ancora verde", disse con una serietà tale che, nonostante tutto, scoppiò a ridere.

"Ma no, Candy, questo è solo l'involucro esterno. Sta' a vedere". Albert si guardò attorno e individuò un frammento di roccia abbastanza affilato da rompere la parte più esterna, rivelando il guscio duro.

"Accidenti, non sapevo che fossero fatte così!", disse Candy stupita, inginocchiandosi vicino a lui.

"In Africa le ho raccolte spesso per bere. Beh, anche per mangiarle. Ora la cosa importante è non cercare di rompere del tutto il guscio più resistente, o perderemmo tutto il liquido". Aiutandosi ancora con la punta del sasso, praticò un foro su una piccola porzione, picchiettando con colpi brevi ma decisi. Candy lo fissò con qualcosa che poté paragonare all'ammirazione e lui gliela passò, invitandola a bere.

Candy pose le labbra sul foro, rovesciando man mano il capo e allontanando la noce di cocco per far colare tutto il liquido, assaporandolo senza quasi sprecarne una goccia. Alla fine si leccò persino labbra ed emise un sospiro soddisfatto: "Ahh! Non mi ero resa conto di quanta sete avessi finché...". S'interruppe, guardandolo con gli occhi spalancati. "Oh, Albert, scusami, non te ne ho lasciato neanche un po'!".

Lui scosse la testa, afferrandone un'altra che era caduta dall'albero: "Non preoccuparti, Candy, qui ce ne sono in abbondanza, per nostra fortuna". Ripeté l'operazione, bevendo il latte di cocco, e per un po' rimasero seduti a una certa distanza dalla palma, per mangiare insieme il frutto.

"Se una di quelle ci cade in testa potrebbe ucciderci", disse Candy indicando la palma con un pezzo di cocco tra le dita.

"Giusta osservazione. Proprio per questo siamo qui e non lì sotto", le disse infilandosi in bocca l'ultimo pezzo di cocco e strofinandosi le mani sui pantaloni umidi.

Candy ridacchiò: "Credo di avere i riflessi un po' rallentati".

"Non pensare che io sia in gran forma. Ma conosco le palme da cocco e ho letto qualche libro sulle isole tropicali. Tuttavia, le mie conoscenze sono limitate a questo e ora che ci siamo rifocillati e abbiamo trovato un modo per non disidratarci dobbiamo capire come uscire da questa situazione".

I loro sguardi s'incontrarono e Albert fu certo che se non fosse stato per la mera esigenza di sopravvivere, avrebbero parlato a lungo e seriamente. Quella confessione in pieno oceano, quando pensavano di essere in procinto di morire, aveva infine messo a nudo i loro sentimenti. Eppure, mentre lui era certo da tempo di ciò che provava per Candy, non era sicuro che lei lo avesse detto perché lo pensava sul serio. Quante cose potrebbero essere dette d'impulso prima di morire?

I suoi occhi dovettero indugiare un istante di troppo in quelli di Candy, perché lei li distolse apparendo imbarazzata. "Io... non credo di averti ringraziato abbastanza per avermi salvato la vita".

"Sono io che devo ringraziarti per essere ancora con me. Non avrei sopportato...". D'improvviso, l'immagine vivida di lui che seppelliva il corpo di Candy sotto la sabbia dell'isola su cui erano naufragati gli esplose nel cervello. Ci erano andati vicini, maledettamente vicini. Il suo organismo si era ribellato all'acqua che aveva bevuto giusto in tempo per prestare i primi soccorsi a Candy. E se fosse accaduto troppo tardi? Se il fisico di Candy non avesse reagito o se lui fosse persino morto?

Scacciando con decisione qui pensieri lugubri, Albert si alzò in piedi e fissò un punto verso l'orizzonte. L'oceano sembrava ancora scosso, ma tutto sommato la tempesta era passata: un po' come stava accadendo a lui. A loro.

"Albert...?".

"Andiamo a vedere se siamo soli o se abbiamo compagnia", disse incamminandosi e invitandola a seguirlo.

 
- § -
 
 
Candy sentiva i piedi bruciare anche se stavano cercando di passare dove il sole non picchiava direttamente. Aveva spazzolato via spesso la sabbia e le pietruzze che vi si attaccavano, ma forse avevano camminato su delle ortiche o qualcosa del genere, perché persino Albert si era fermato per fissarsi la pianta di un piede con le sopracciglia aggrottate.

"Credo che avremmo fatto bene a confezionarci delle scarpe o qualcosa che vi somigliasse", commentò strofinandosi la pelle con la mano.

Avevano aggirato la parete rocciosa passando nell'acqua bassa per poi inoltrarsi nel fitto della vegetazione che si alternava ad altri tratti sabbiosi. Erano persino giunti a una piccola cascata e a un corso d'acqua e lei si era quasi precipitata lì per bere. Ma Albert l'aveva fermata, avvisandola che avrebbero prima dovuto bollire quell'acqua se non volevano rischiare di contrarre qualche virus che li avrebbe fatti stare male.

"Bella infermiera che sono", aveva commentato. "Sono certa che questo dovrebbe far parte delle mie conoscenze. Non si dovrebbe mai bere acqua da fonti sconosciute, giusto?". Albert le aveva sorriso e Candy era tornata con la mente a qualche ora prima, quando era certa che sarebbero morti. E, accidenti, ci erano andati tanto vicino! Sentire quella confessione da Albert mentre i flutti stavano portandoli sempre più vicini all'oblio, con la tempesta che infuriava, aveva toccato corde che non credeva avrebbe avvertito vibrare così presto: quel viaggio che doveva portarli in Africa li avrebbe avvicinati, certo, ma pensava ci sarebbe voluto ancora del tempo prima che le cose tra loro avanzassero fino a quel punto.

Invece si era ritrovata catapultata in un'ammissione reciproca perché si credevano a un passo dalla morte. Quando si era risvegliata, annaspando e con le labbra di Albert sulle proprie, era stato come tornare in vita. Non lo aveva mai visto piangere in quel modo e sapere di essere la causa di quelle lacrime di sollievo l'aveva colpita nel profondo, lasciandola quasi senza parole. La necessità di uscire da una situazione di emergenza aveva lasciato ben poco spazio a parole o spiegazioni e forse sarebbe stato così finché non avessero trovato aiuto. Quella consapevolezza da un lato la sollevava, perché era estremamente imbarazzata e non sapeva bene come reagire; dall'altro, una parte di sé non vedeva l'ora di ripetere e sentirsi ripetere quelle magiche parole.

"Candy, stai bene?". Albert le stava sventolando una mano davanti agli occhi e lei si sentì stupida.

"Sì... sì, sto bene, mi gira solo un po' la testa". Si portò una mano sulla cima del capo: i suoi capelli erano ormai asciutti e notò da come si accigliava che Albert stava pensando la stessa cosa.

"Accidenti, che stupido! Torniamo alla fonte".

Si immersero nelle acque del fiume che sembravano limpide e Candy ricordò quello che scorreva a Lakewood, da cui Albert l'aveva salvata. Non bere fu una specie di tortura e, mentre l'acqua dolce lavava finalmente via il sale e il calore dai vestiti e dai corpi, le venne in mente qualcos'altro: "Pensi che dovremmo mettere ad asciugare i nostri vestiti come quella volta?", gli chiese tra il serio e il faceto, riferendosi all'avventura nei pressi della sua capanna, quando la barca di Stair si era ribaltata. Anche allora, non avevano che quegli abiti, ma lui in casa teneva delle lenzuola e degli asciugamani.

"Buona idea, non sono certo di quale sia l'escursione termica di notte. Tuttavia dovremmo prima trovare un'alternativa e anche se qui c'è della vegetazione ci mancano ago e filo".

"Beh, intanto possiamo cominciare dalle scarpe". Abbassò gli occhi sulla propria gonna e notò che era strappata in più punti, così ne trasse una lunga striscia di tessuto che divise in quattro parti. Le due più piccole le legò ai propri piedi, creando un minimo di barriera tra la pelle e il terreno, mentre le altre le porse ad Albert.

"Penso di dover prendere lezioni di sopravvivenza da te", scherzò mentre le legava.

"Non dire sciocchezze, ti ricordo che ero quella che voleva bere al fiume".

Lui si raddrizzò: "Hai sete?".

"Beh, camminare su un'isola è un'attività fisica piuttosto impegnativa dopo un naufragio", disse quasi in tono di scuse.

Albert sospirò e riprese a guardarsi attorno con occhio critico: "Bene, direi che allora le nostre priorità cambiano. Dobbiamo trovare altre noci di cocco e accendere un fuoco, far asciugare i vestiti e trovare cibo e riparo. Solo dopo potremo continuare con la nostra esplorazione. Potrei arrampicarmi sulle rocce per avere una visione più completa dall'alto".

"Se scivoli su quelle rocce rischi di romperti un braccio o una gamba, se non peggio...".

"Candy...", il tono era quello imbronciato di un ragazzino che stia sottolineando che non c'è nulla di cui preoccuparsi.

"Dobbiamo evitare il più possibile gli incidenti: sono infermiera, ma non sono attrezzata", insisté con una sfumatura minacciosa. "Direi che abbiamo già sfidato a sufficienza la sorte".

Albert allargò le braccia e guardò in aria: "Posso almeno verificare che ci sia un sentiero sicuro per salire in alto? E prima che tu me lo dica: lo so che non è come arrampicarsi su un albero".

"Va bene, ma verrò con te. Quindi, per quel fuoco?". Aveva cambiato discorso in maniera repentina solo per evitare che lui protestasse, ma gli lesse sul viso che il discorso era tutt'altro che chiuso. Forse non le avrebbe permesso di seguirlo, ma lo avrebbe fatto, a costo di stargli dappresso di nascosto.

"Il fuoco dovremmo provare ad accenderlo subito, ma non qui in mezzo alla vegetazione dove rischieremmo di provocare un incendio. Considerando che possiamo provare a pescare direi di tornare vicino alla spiaggia".

Cercando di unire l'esigenza di riavvicinarsi alla sabbia con quella di vedere qualcosa di più di quell'isola, seguirono una strada diversa, dove il verde era più raro e il canto degli uccelli meno presente. Non si poteva dire che l'ecosistema non fosse variegato, perlomeno. Mentre camminavano, inoltre, individuarono alcuni frutti e raccolsero dei fichi, lasciando stare quelli che non conoscevano.

Quando arrivarono di nuovo vicino alla riva erano esausti e per prima cosa cercarono altre noci di cocco per bere. Albert lo fece avidamente, più della volta precedente, e anche lei si sentì come se non bevesse da giorni: sì, il fuoco era prioritario visto che avevano dell'acqua dolce disponibile e così, mentre Albert si trasformava in una sorta di uomo delle caverne armato di ramoscelli e legna secca, lei si mise a cercare qualcosa che potesse fungere da contenitore.

 
- § -
 
 
Quando Albert si decise a usare le scarpe improvvisate come guanti, le sue mani erano già escoriate a forza di strofinare il legno sulla base che avrebbe dovuto prendere fuoco. Nei libri sembrava molto più facile, invece ora non sapeva cosa avrebbe dato per una confezione di fiammiferi, anche piccola. Inoltre c'era il problema della pioggia: aveva trovato della legna asciutta per puro miracolo, ma se avesse di nuovo piovuto il fuoco si sarebbe spento.
Chino sull'esca, ripetendo il movimento ancora e ancora per creare calore con l'attrito, la camicia legata in testa per evitare un'insolazione, Albert pensò che la cosa migliore sarebbe stata portare il fuoco al riparo di una caverna, ma dovevano prima trovarne una sicura nella quale non vivessero animali pericolosi o velenosi. Non sapeva di preciso dove si trovassero, anche se avrebbe fatto una stima con la mente più lucida, e non conosceva che la fauna africana e le specie più note delle isole tropicali.

"Dai, dai, ti prego!", mormorò rivolto al proprio lavoro. La sete non riusciva più a essere placata solo con le noci di cocco, forse per mero riflesso psicologico dopo aver visto quanta acqua dolce ci fosse nel fiume all'interno.

Sperava solo che Candy fosse stata altrettanto fortunata nel trovare un contenitore per bollire l'acqua e si augurò che se la cavasse e tornasse presto. Non poteva neanche voltarsi per cercarla: si erano tolti i vestiti perché asciugassero sulle rocce e avevano tenuto addosso solo la biancheria. La barba che cominciava a pungergli il viso gli indicò che la trasformazione in uomo delle caverne sarebbe stata completa a breve: gli mancava solo una lancia per la pesca.

Albert aveva appena aggiunto altre foglie secche e gli pareva che la base che aveva creato fosse un po' più calda di prima, quando udì la voce di Candy: "Albert? Ho trovato... altra legna asciutta e alcuni gusci di noci di cocco. Inoltre a riva c'era qualcosa trascinato dalla corrente... un secchio impigliato a un ramo e quello che mi sembra quasi un lenzuolo!". La voce, titubante all'inizio e lontana come se fosse di spalle, divenne più entusiasta verso la fine.

"Bene, questa è un'ottima cosa!", disse asciugandosi il sudore dalla fronte. "Potresti usarlo per coprirti così vieni a darmi una mano qui? Successivamente possiamo usarlo per provare a pescare".

"Io... sì, certo, mi copro con questo, però tu sei... uhm...".

Albert sospirò e scoccò un'occhiata ai suoi pantaloni appesi su una struttura di fortuna assieme all'abito di Candy: "Se vuoi posso rivestirmi, ma dovrai controllare tu che gli abiti siano sufficientemente asciutti".

Senti il rumore di qualcosa che veniva posato a terra, quindi di un tessuto e infine dei suoi passi in direzione del loro insolito bucato.
"In realtà, nonostante il sole, sembrano un po' umidi, ma...".

Albert soffiò forte e si alzò un filo di fumo. "Aspetta, guarda!". Soffiò ancora, senza smettere di strofinare la legna, e finalmente si alzò la prima, timida lingua di fuoco. "Sì!", gridò saltando in piedi e voltandosi verso di lei, che urlò e saltò a sua volta e gli si gettò tra le braccia, trascinandosi dietro il lenzuolo senza inciampare per puro miracolo.

La sollevò e la fece girare, sentendo il fuoco scoppiettare dietro di sé e fu solo allora che si rese conto delle condizioni in cui era, dal rossore sempre più pronunciato di Candy e dalla sensazione del lenzuolo umido contro le gambe nude e il torace.

Si ritirò da lui tanto in fretta che si mise a ridacchiare: "Perdonami, Candy, non volevo metterti in imbarazzo. Però possiamo quasi dire che io sia in costume da bagno, no? Inoltre sei o non sei stata la mia infermiera?". Non voleva suonare audace, ma solo scherzoso, tuttavia l'immagine di lei che si portava le mani al viso e gli diceva di smetterla gli indicò che le cose non erano affatto come un tempo, tra loro. E quello poteva essere davvero un bene: avrebbero parlato, prima o poi, nonostante la situazione critica.

Albert si voltò e lasciò che lei ricavasse due parti di stoffa da drappeggiare intorno al corpo. Quando si avvolse con la sua parte, sussultò: aveva pensato a coprirsi il capo per non prendere un'insolazione, ma non il torace e probabilmente si era scottato anche la schiena.

"Come faremo se viene a piovere?", chiese Candy all'improvviso.

"Ci avevo già pensato", rispose mentre studiava le noci di cocco vuote e il secchio. "Dovremo trovare un rifugio o costruirne uno coperto. Inoltre occorre fare in modo di avere il fuoco accanto all'acqua da bollire, mettendo in sicurezza un'area lì intorno, perché non ne raccoglieremo molta così".

Lei gli parve contrita: "Mi spiace, sapevo che un solo secchio non era sufficiente, ma non ho davvero trovato altro. Però potremmo usare le noci di cocco per bere! Come...".

"Come le nostre tazze con le iniziali alla Casa della Magnolia", terminò per lei. I loro sguardi rimasero allacciati per istanti interminabili, finché con un sorriso decisero che era ora di rimettersi al lavoro.

 
- § -
 
 
Bere acqua calda non fu esattamente un'esperienza gradevole, tuttavia Candy apprezzò la possibilità di dissetarsi completamente e di colpo si sentì stanchissima. D'altronde, la notte prima avevano nuotato a lungo aggrappati a un'asse, rischiando la vita, e avevano camminato su un'isola deserta per miglia mangiando solo un po' di cocco e qualche piccolo frutto. Il suo stomaco brontolò con un rumore piuttosto udibile, ma non fece in tempo a vergognarsene perché accadde lo stesso a quello di Albert. E, nonostante la situazione disperata, scoppiarono a ridere.

"Credo sia ora di tornare sulla spiaggia. Bolliamo altra acqua per stanotte, domani penseremo a creare una postazione qui. Dobbiamo trovare subito un riparo", disse Albert alzandosi con una smorfia. Candy lo guardò accigliata, da come si muoveva sembrava avere un problema alla schiena.

Cercando di comportarsi come un'infermiera e non come una ragazzina alla prima cotta, lo indusse ad avvicinarsi: "Vieni qui, fammi vedere", gli disse cominciando a liberarlo del mantello improvvisato sulla parte superiore del corpo.

"Cosa... che... ahi!".

"Santo cielo, Albert! Il sole ti ha ustionato!", disse lei in un ansito, notando la pelle arrossata su tutto il busto. Lei aveva tenuto la sottoveste, oltre alla biancheria intima, e si era bagnata con acqua di mare più volte durante la sua ricerca, ma Albert era rimasto sulla spiaggia cercando di accendere il fuoco e di sicuro non aveva prestato attenzione a coprirsi, visto che sia gli abiti che i giubbotti di salvataggio erano stesi ad asciugare.

"Non è niente, Candy, mi passerà", disse sussultando quando lo sfiorò.

"E dire che sei stato anche in Africa, dovresti ricordare quanto il sole possa far male soprattutto a una pelle chiara", lo rimproverò cominciando a guardarsi intorno. La vegetazione era più rigogliosa intorno al fiume e Candy cercò di individuare qualche pianta a lei nota che potesse alleviare il bruciore.

"In Africa non sono mai stato in una situazione di emergenza come questa. Comunque hai ragione, avrei dovuto stare più attento". Candy gli scoccò un'occhiata di traverso mentre lui metteva a bollire altra acqua. Frugò nell'erba riconoscendo alcune piante, stupendosi davanti a fiori che non aveva mai visto e individuando qualcosa che le parve Echinacea. La annusò e la strofinò su una mano, attendendo qualche istante per capire se avrebbe avuto una reazione allergica, ma non accadde nulla: il colore delle foglie era un po' diverso e anche i petali del fiore non sembravano proprio gli stessi. Ne strappò uno e osservò la radice.

"Albert, dammi la tua mano, per favore". Lui parve sorpreso, ma obbedì e Candy ripeté con lui l'operazione sul dorso per controllare eventuali reazioni. "Dimmi se tra qualche minuto provi bruciore o prurito".

"Va bene". Quando l'acqua bollì, vide Albert togliere il secchio dal fuoco e cominciare a soffocarlo con della terra. Non aveva trovato altre piante che le potevano sembrare utili e sperò che quel fiore andasse bene. "Questo sito è abbastanza buono anche per le prossime volte, ma avremo bisogno di un contenitore più grande o di altri piccoli per trasportare una maggiore quantità d'acqua sulla riva".

"Ma scusa, perché allora non cerchiamo un riparo qui? Siamo vicini al torrente e le piante ci proteggono dal sole", chiese aiutandolo a soffocare del tutto il fuoco.

Albert la guardò serio e lei cercò di non perdersi del tutto i quegli occhi che la incatenavano sempre di più, imbambolandola per istanti fin troppo lunghi. "Perché se dovesse passare una nave potremmo farci vedere più facilmente".

"Oh...". Candy deglutì a vuoto, quindi annuì. Perciò era questo che pensava Albert? Che avrebbero dovuto sperare che passasse qualcuno a cercarli? L'isola era davvero disabitata? No, di certo lui aveva solo pensato a tutte le possibilità e quella rientrava tra le cose intelligenti da fare in caso di naufragio.
"Come va la mano?".

Lui sembrò smarrito, quindi la fissò: "Direi bene, tutto nella norma".

"Perfetto, allora girati". Albert obbedì e lei provvide a usare quante più parti possibili del fiore per ricoprire le scottature, cercando di essere delicata. I forti muscoli della schiena e delle spalle guizzarono sotto alle sue dita e Candy provò una sensazione inedita che vacillava tra il piacere e il timore reverenziale di avvicinarsi a qualcosa di proibito.

Sono un'infermiera e sto medicando Albert, come ho fatto molte altre volte quando era senza memoria.

Se lo ripeté decine di volte, Candy, mentre provvedeva a strofinare le parti della pianta anche sul torace di Albert, interrompendosi quando passò vicino ai segni che aveva lasciato il leone con i suoi artigli. Un petalo le scivolò tra le dita e lei seguì le linee lunghe e rosate, avvertendo con chiarezza l'ansito di Albert che tratteneva il respiro. "Sc... scusami, ti ho fatto male?".

"No... no, affatto", disse lui voltandosi a guardare il torrente.

Doveva essere impazzita: fino a poco prima si era vergognata da morire solo a guardarlo in biancheria e ora si attardava sui pettorali del suo paziente. No, non andava affatto bene! Con delicatezza e fretta al contempo, cercò di stringergli addosso il mantello improvvisato, ormai appena umido, inserendo all'interno quanta più Echinacea possibile, ammesso che la pianta fosse proprio quella.

"La cosa migliore è fare un decotto, ma evitiamo di inquinare l'acqua che dovremmo bere. Inoltre dobbiamo ancora cercare un riparo...". Imbarazzata, parlò veloce, accorgendosi a malapena di quando Albert le afferrò la mano che stava allontanando da lui come se scottasse davvero.

"Grazie, Candy", le disse con uno sguardo intenso che le sciolse le viscere.

Dio, mi bacerà? Qui, su un'isola deserta dove abbiamo lottato e ancora stiamo lottando per sopravvivere? Dove siamo soli e inermi?

"A...Albert...".

"Torniamo indietro, fra poco il sole tramonterà", disse con voce profonda, roca, una voce che non le parve nemmeno la sua.

Senza più parlare, camminarono fino alla riva, dove li attendeva un'altra ardua sfida.

 
- § -
 
 
Albert lanciò un'altra occhiata al fuoco che avevano acceso al centro della caverna, che non era altro che una sorta di corridoio nella parete rocciosa. Con una torcia di fortuna si era avventurato per primo, appurando che non c'erano animali e che vi era persino un'uscita dall'altro lato. In tutto, lo spazio non doveva superare i quaranta piedi, tuttavia era perfetto e con un po' di accortezza erano riusciti a portare il fuoco lì assieme alle poche cose che possedevano, acqua inclusa.

I vestiti che avevano indosso li avrebbero protetti, mentre i teli si asciugavano, e i giubbotti di salvataggio potevano essere utili se avesse fatto più freddo. Tuttavia, anche ora che erano relativamente al sicuro, la mente di Albert lavorava a pieno regime, alternando gli sguardi dal fuoco al viso addormentato e rilassato di Candy: aveva temuto davvero di averla persa e giurò a se stesso che l'avrebbe protetta a costo della propria vita.

Tanto per cominciare, il giorno dopo avrebbe cercato di osservare l'isola dall'alto come si era ripromesso, quindi avrebbero dovuto cercare di pescare e procurarsi altro cibo che non fosse solo frutta. Immaginò di accendere un falò alto per essere visibili e persino di costruire una zattera per allontanarsi. Dubitava che l'isola, seppur di dimensioni ragguardevoli, fosse abitata: non c'era nulla che facesse pensare alla civiltà e un'altra cosa che aveva in progetto era cercare di stabilire a occhio e croce dove diavolo fossero finiti dopo il naufragio, considerando che navigavano già da una settimana e dovevano essere quasi sulle coste africane. Albert sperava con tutto il cuore che Georges, da Chicago, avesse avviato delle ricerche non dandoli per morti e che la zia Elroy non avesse un malore una volta appresa la notizia dell'affondamento della nave e non vedendoli rientrare.

Le palpebre divennero pesanti e la stanchezza di quella prima giornata piombò su di lui, che si sistemò meglio sul fianco senza interrompere il contatto visivo con Candy, sdraiata accanto a lui. Sperava che il suo letto di foglie fosse sufficientemente comodo come il proprio; sperava che quelle parole che gli aveva detto quando avevano creduto di morire fossero vere. E, soprattutto, sperava che avrebbero trovato un momento per parlare seriamente, mentre cercavano di lottare per la salvezza.

Con questi pensieri, la sua mente infine si spense, trascinandolo nell'oblio del sonno.
 
                                                                                        
 

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Non vi sarà sfuggito che ho cercato di rendere realistici gli avvenimenti e ogni capitolo in cui parlo della vegetazione, delle tecniche per accendere il fuoco, raccogliere l'acqua, pescare o qualsiasi altra cosa, è stato frutto di ricerche più o meno lunghe, per non parlare delle volte che ho aperto Google Maps per controllare latitudini, isole e distanze. Questa quindi è sì, una storia in cui Albert e Candy sono soli su un'isola deserta, ma è soprattutto una storia di sopravvivenza che ho cercato di rendere più plausibile che ho potuto, guardando anche film sul tema come "Cast Away" con Tom Hanks. Se nonostante questo qualcuno più esperto notasse che ho scritto alcune stupidaggini, me ne scuso. Ho fatto del mio meglio.

 
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Candy si svegliò con la sgradevole sensazione di aver dormito su un letto molto scomodo. Era abituata alle stalle, al fieno e all'erba, ma la schiena dolorante le indicò che doveva trovarsi di certo altrove. Albert. La sua proposta di tornare in Africa insieme. Il viaggio in nave. L'incidente. La confessione tra i flutti. Il risveglio su un'isola in apparenza deserta. Candy si rizzò a sedere, i sensi all'erta, riconoscendo al caverna che avevano usato come rifugio per la notte. Il fuoco era quasi estinto e d'impulso cercò di ravvivarlo gettandovi qualche foglia secca che avevano tenuto da parte, soffiando forte.

Uscì fuori e fu inondata dal sole e dal profumo del mare, il rumore delle onde in sottofondo: se non fosse stata una situazione critica, avrebbe detto di trovarsi in un Paradiso terrestre. C'era un altro fuoco acceso e riconobbe la struttura che avevano costruito il giorno prima per asciugare i vestiti: alcuni pesci e persino un grosso granchio erano stati infilzati su dei bastoncini fatti di legno e il suo stomaco brontolò rumorosamente. Il profumo le invase le narici man mano che si avvicinava.

Eppure... dov'era Albert?

Si vergognò che fosse riuscito a pescare e a cuocere il pesce mentre lei dormiva, chissà da quanto era alzato! Notò anche che il pesce sembrava cotto e lui doveva averlo scostato un poco perché rimanesse in caldo senza bruciarsi. Un gabbiano volò proprio in quella direzione, seguito da un altro e un altro ancora.

"Ehi, voi! Non mangerete la colazione che ha preparato Albert con tanta fatica!", protestò avvicinandosi e agitando le braccia. Prima che potesse raggiungerli, però, qualcosa colpì la sabbia vicino agli uccelli, spaventandoli. Mentre volavano via, Candy alzò gli occhi alla parete rocciosa, cercando di capire se quello che pareva un piccolo proiettile venisse da lì.

Ciò che vide le bloccò il cuore in gola.

Albert era una specie di puntino lontano, di cui riconobbe la sagoma e i capelli biondi al vento e stava facendo saltare in mano quelle che potevano solo essere delle pietre. Come era arrivato sin lassù da solo, dopo che le aveva promesso di stare attento? Di colpo, parve voltarsi verso di lei e alzò il braccio per salutarla.

"Ehi, Candy! Tutto bene laggiù? Non ti ho colpita, vero?".

Candy si mise le mani a coppa ai lati del viso e marciò verso di lui quasi potesse raggiungerlo in pochi passi: "Perché sei salito da solo?! Da dove sei passato?". Era abbastanza arrabbiata.

Albert indicò un punto alle sue spalle: "Candy attenta!".

Si volse di scatto e notò che i gabbiani erano tornati all'attacco, così si dedicò a scacciarli: "Via, via! Sono certa che troverete dell'ottimo pesce crudo altrove!".

"Tienili lontani tu mentre riscendo!".

"No, aspetta! Voglio venirti incontro! Dov'è il sentiero? Albert!". Ma lui era già sparito dalla sommità e ora vedeva solo le rocce. "Oh, accidenti!".

L'attesa di Albert le parve durare ore invece che una manciata di minuti e quando tornò tirò un respiro di sollievo. Portarono l'acqua vicino al banchetto a base di pesce e mangiarono in silenzio, godendosi il pasto dopo un giorno intero quasi a digiuno.

"Devo dire che con la pancia piena si pensa più lucidamente", disse Albert massaggiandosi lo stomaco. "Mi è appena venuto in mente che non ho ancora scritto un segnale sulla sabbia".

"Ma hai fatto un mucchio di altre cose e io dormivo! Perché non mi hai svegliata?!". Albert la guardò con un leggero sorriso che le parve un po' forzato.

"Dormivi così bene che non volevo svegliarti. Ho... trovato alcune cose a riva e ho pensato di usarle subito".

Con suo sommo stupore, Albert le mostrò una bottiglia di vetro e un rasoio. "Albert! È come quella che ti ho mandato io a Lakewood! Sicuro che non ci fosse un messaggio dentro?".

Lui scoppiò a ridere in modo così contagioso che si ritrovò a emularlo. Era incredibile come potessero sempre trovare il modo di stare bene insieme anche quando erano disperati. Eppure, la sera prima, sfiniti com'erano, non avevano neanche affrontato il discorso della confessione tra i flutti, quasi avessero fatto un tacito accordo di trovare il momento più adatto, con la mente lucida. Non perché non si trattasse di un argomento meno importante della loro stessa sopravvivenza, ma perché meritava uno spazio tutto suo.

"Di messaggi non ce n'erano, ti assicuro, ma almeno avremo qualcosa che ci aiuterà a riflettere meglio il sole per accendere un fuoco, nonché un contenitore in più per l'acqua. E io non sembrerò un uomo delle caverne", concluse mostrandole il rasoio.

Candy lo prese in mano e lo soppesò, chiedendosi se avrebbe mai avuto il coraggio di chiederglielo in prestito per non sembrare lei una donna delle caverne, quindi lo guardò seria: "Pensi che queste cose vengano tutte... dalla nave affondata?".

Albert sbatté le palpebre, guardando verso il mare, quasi si aspettasse di trovarvi qualcos'altro. "Non so, ma è molto probabile. Dai, ora sistemiamo tutto e proviamo a fare quell'SOS, casomai qualche aereo sorvolasse la zona in cerca di superstiti. Poi voglio vedere se riusciamo a capire dove diavolo siamo finiti azzardando una mappa sulla sabbia".

"Cosa hai visto da lassù?", gli chiese cominciando a raccogliere i resti del pesce perché non ci si avventassero i gabbiani.

"Un'isola senza alcun segnale di altri fuochi e neanche troppo grande, a occhio e croce". Il tono era neutro, tuttavia Candy avvertì un brivido.

"Vuoi dire... che potrebbe davvero essere deserta e noi qui da soli?".

Albert annuì lentamente: "Temo proprio di sì".

 
- § -
 
 
DUE ORE PRIMA

All'inizio aveva pensato che fosse il rumore delle onde del mare o persino qualche uccello che si lamentasse. Ma il dubbio gli aveva attraversato la mente alla velocità della luce e, prima ancora di svegliarsi completamente, Albert era corso fuori dalla caverna sperando che Candy continuasse a dormire. Il fuoco che avevano acceso lì dentro era quasi spento, ma ormai la temperatura era già gradevole, quindi non lo aveva ravvivato.

Ed eccolo, il proprietario di quei lamenti, che si trascinava carponi sulla spiaggia con ancora il giubbotto di salvataggio addosso. Ad Albert si fermò il cuore. Corse da lui e si rese conto che non doveva essere molto più grande di Candy.

"A... Amina... chiedetele di... perdonarmi...". Il viso era arrossato e le labbra screpolate, il che gli indicò che molto probabilmente l'uomo era vittima di un'insolazione.

"Devi bere, ti porto dell'acqua". Stava per voltarsi e correre di nuovo nella caverna, ma un rumore che doveva essere una risata lo bloccò.

"Ho... bevuto... ho già bevuto tanto. Ma la mia sete... era inestinguibile. Sono... fuggito dalla mia famiglia per lei... e ora m...". Il conato lo scosse in maniera così violenta che Albert dovette sostenerlo perché non finisse con il volto nella sabbia. Vomitò una discreta quantità d'acqua e ricadde sdraiato quasi fosse svuotato di ogni energia residua.

"Hai bevuto acqua di mare?", gli domandò, preso dal panico.

Lui rise di nuovo, un suono gracchiante e scomposto che poteva solo essere dettato dal delirio. Toccandolo, Albert si rese conto che bruciava di febbre. "Non avrei... dovuto, vero? Che idiota... il temporale... poi il sole... la gente che urlava... la nave...".

"Ho dell'acqua dolce sterilizzata, vado a prenderla, non cercare di muoverti, capito?", gli disse valutando se lasciargli la camicia per ripararsi dal sole. Rinunciò, considerando che ancora non faceva troppo caldo e lui era ancora zuppo.

"Tu mi traghetterai all'Inferno, vero? Per tutto quello che ho fatto a mio padre... e a mia madre...".

"Non ti traghetterò da nessuna parte, ho intenzione di salvarti", disse correndo nella caverna, versando un po' d'acqua in una delle ciotole e tornando fuori. Ma quando lo raggiunse, chiamandolo a gran voce, si rese conto che forse, tutto sommato, qualche altra entità lo aveva portato altrove. Sperava in Paradiso. Posò la tazza improvvisata sulla sabbia e gli pose due dita sul collo, cercando le pulsazioni, appoggiò un orecchio sul torace, ma tutto rimaneva silenzioso, nessun cuore batteva più. Tentò persino di rianimarlo per alcuni minuti, ma fu tutto inutile e si arrese.

"Forse se non avessi bevuto l'acqua salata non ti saresti disidratato così velocemente. O forse sarebbe stato lo stesso...", mormorò sentendosi, assieme a Candy, un privilegiato. Al posto suo poteva esserci uno di loro due o entrambi. Restò lì, per non seppe quanto, con un ginocchio sulla sabbia e l'altro su cui poggiava un braccio e il capo, dicendo una preghiera a bassa voce. Quindi si riscosse: Candy si sarebbe svegliata di lì a poco e non voleva che lo vedesse.

Con tutta la cura di cui fu capace, gli tolse il giubbotto di salvataggio, sentendosi strano: nonostante gli anni di vagabondaggio era la prima volta che si ritrovava a dover fare una cosa simile. Tuttavia, cercò di mantenere la mente lucida e razionale e si predispose a cercare nelle sue tasche qualcosa che potesse perlomeno indicargli come si chiamasse quel ragazzo sfortunato.

Incredibilmente, nella tasca interna della sua giacca trovò un portafogli in pelle e una piccola scatola che non lasciava dubbi sul suo contenuto: chiunque fosse Amina, l'uomo aveva intenzione di sposarla. Immaginò un ragazzo ribelle come lui, che decide di rinunciare alla propria famiglia per amore e prendere una nave per raggiungere l'Africa e trovare la felicità. E incontrare invece la morte. La similitudine con la propria storia lo fece rabbrividire e Albert si sentì ancora più vicino allo sventurato che ora giaceva immobile sulla sabbia. Anche se l'anello e le altre carte contenute nel suo portafogli c'erano ancora, l'acqua doveva essere penetrata abbastanza da cancellare ogni scritta e rimase stupito nel rendersi conto che riusciva ancora a riconoscere dei dollari, una carta d'identità illeggibile e una foto. Forse la foto di lei.

Costernato, addolorato quasi fino alle lacrime, Albert lo trascinò in un angolo remoto in direzione del sentiero che aveva intrapreso per arrampicarsi sulla cima e si sentì davvero un traghettatore infernale. Si fermò per un attimo a riposare e comprese, con sommo orrore, che doveva seppellirlo. E non aveva nulla per scavare nella sabbia. Si accontentò così di farlo con le mani, arrivando fin dove poteva, ricordando con dolore quando aveva provveduto, in parte di persona, a scavare nella terra per piantare i fiori nel luogo dove era morto Anthony.

"Perdonami, amico, non posso proprio fare meglio di così", disse all'uomo che ora sembrava dormire. Si accertò che nella sua tasca ci fosse tutto come lo aveva trovato e, prima di farlo cadere nella piccola buca, si permise di frugargli nelle tasche dei pantaloni, scusandosi ancora come se potesse udirlo. Quello che trovò, per poco non lo fece ridere. Albert non sapeva se si fosse infilato in tasca, nei momenti frenetici che avevano preceduto l'affondamento, altre cose andate perdute in mare. Ma trovò un rasoio da barba e decise che quello poteva tenerlo. Diede un'occhiata ai suoi vestiti e rifletté velocemente che non aveva proprio cuore di spogliarlo, specie considerando che era più basso di lui: neanche le scarpe erano della sua misura. Avrebbe voluto togliergli perlomeno la giacca per usarla come coperta assieme a Candy, ma preferiva che la tenesse per conservare, nella sua eternità, gli oggetti a lui cari.

Al termine di quel compito pietoso, si concesse di recitare un'ultima preghiera e tornò sulla spiaggia per ritirare le strisce di tessuto che avevano teso la sera prima tra gli scogli per catturare i pesci

"Potrebbero servirci per coprirci quando laviamo i vestiti!", protestò Candy.
"Preferisci fare il bucato o mangiare?".

e accendere un fuoco per cuocerli. Fu solo allora che si rese conto che il mare, in un angolo tra gli scogli, aveva restituito una bottiglia di vetro ben chiusa: un piccolo miracolo che gli fece d'istinto volgere lo sguardo in direzione della recente sepoltura. Scosse la testa, cercando di tornare con i piedi sulla Terra o, meglio, sulla sabbia, e si predispose ad accendere il falò. Grazie al vetro della bottiglia messo contro sole, riuscì a farlo molto più velocemente del giorno prima e attese che il pesce fosse cotto prima di scostare un poco i rami affilati su cui lo aveva infilzato.

Era ora di salire sulle rocce.

Passò prima nella caverna, dove Candy dormiva della grossa e si era persino voltata dall'altro lato. Sorridendo, si disse che anche se si trovavano dispersi chissà dove, lei riusciva comunque a essere la solita dormigliona. Bevve un po' d'acqua e uscì.

Il sentiero verso lo sperone di roccia s'interrompeva a un certo punto e Albert si preparò ad arrampicarsi temendo di udire Candy gridargli alle spalle che era un incosciente. Le rocce erano a tratti scivolose, ma lui si sentì abbastanza sicuro. Perlomeno, finché non rischiò di scivolare davvero. In quel momento, mentre cercava freneticamente un appiglio con le mani battendo un ginocchio e trovando per mero miracolo una rientranza col piede destro, il panico lo colse facendogli aumentare il battito cardiaco a livelli intollerabili. Lo sentiva nelle orecchie, contro il petto, nelle viscere, e il timore lo avvolse con dita insidiose e sudaticce.

Per momenti interminabili, Albert rimase bloccato lì, incapace di muoversi, certo che sarebbe morto e che Candy avrebbe dovuto seppellirlo accanto al ragazzo con l'anello che non era mai arrivato dalla sua bella.

Invece, proprio pensare a Candy gli diede la carica necessaria e lui s'impose di proseguire, arrivando fino alla cima in tempo per scorgere il fuoco che aveva acceso e alcuni gabbiani famelici che sembravano interessati alla loro colazione. Cercò a terrà e raccolse una manciata di sassolini, cominciando a lanciarne alcuni per spaventarli, quindi si guardò attorno, tentando di abbracciare con lo sguardo sia la riva che la parte interna più verde. L'isola non sembrava molto grande e da nessuna parte vide salire fili di fumo che indicassero insediamenti umani. E quello non era affatto confortante.

Poi la vide, in lontananza, che si avvicinava al falò sulla spiaggia, e seppe che avrebbe fatto di tutto per riportarla a casa sana e salva. E quando fosse finalmente accaduto, le avrebbe chiesto di sposarlo.

 
- § -
 
 
Candy seguì le linee tracciate sulla sabbia da Albert con un bastoncino e corrugò la fronte. "Noi siamo partiti da qui", stava dicendo lui indicando il porto di New York. "E abbiamo navigato per cinque  giorni prima dell'incidente". Tra le due coste che aveva abbozzato, quella americana e quella marocchina, Albert tracciò una lunga linea che si fermò poco prima di toccare terra.

"Considerando che mancavano un paio di giorni all'arrivo non dovremmo essere molto lontani dall'Africa, giusto?".

"Giusto", confermò annuendo e battendo il bastoncino sulla sabbia. "E lo conferma il clima tropicale di quest'isola".

"Ed è quindi escluso che siamo finiti vicino al Regno Unito per sbaglio", disse tra il serio e il faceto.

"A meno che non sia stato lanciato un maleficio e siamo entrati in un portale che ci ha trasportati nel tempo e nello spazio". Albert sembrava così serio e concentrato che per un istante il sorriso le scomparve dalle labbra. "Sto scherzando, Candy!".

"Oh, sei proprio impossibile!", lo redarguì colpendolo sulla spalla.

Lui ridacchiò: "Ora, qui dovrebbero esserci le Azzorre e più giù, se non erro, l'arcipelago di Madeira. Purtroppo non so bene che rotta stesse percorrendo di preciso la nostra nave, ma se dovevamo sbarcare a Casablanca l'area incriminata dovrebbe essere questa". Tracciò una sorta di grande cerchio che, nel mezzo dell'Oceano Atlantico, poteva voler dire miglia.

"Sei piuttosto ferrato in geografia", scherzò per mantenere un tono leggero.

"Vorrei avere tre vite per girare tutto il mondo, ma non potendo farlo leggo libri su libri e uso la fantasia. Una volta Georges mi ha detto che con il mio primo viaggio in Africa avevo usato tutte le... ferie cui avevo diritto quale patriarca per il resto dei miei giorni". Rise e lei lo emulò. "Quando gli ho detto che sarei voluto venire qui con te credevo che avrebbe perso la sua compostezza e avrebbe fatto una scenata come la zia Elroy. Invece si è schiarito la voce e mi ha detto: William, se ritieni sia necessario per le nostre aziende, fallo pure".

Albert aveva camuffato la voce per renderla compita come quella del suo Cavaliere Bianco e Candy scosse la testa, divertita: "E in effetti mi hai detto che volevi esplorare nuove opportunità a Casablanca".

Lui inclinò un poco il capo, guardandola, e il suo cuore accelerò. "Sì, l'idea era quella. Ma volevo anche farti vedere i luoghi che mi hanno affascinato: i tramonti, i panorami, le persone... non è come in Kenya, tuttavia non era neanche escluso che decidessi di viaggiare di nuovo sin laggiù". Il tono era serio, quasi vibrante.

Candy chiuse gli occhi, affascinata: "E io avrei scritto al dottor Martin che avrebbe dovuto cercare una sostituta più a lungo. Rischiando che mi facesse lui una scenata al mio ritorno".

Il gesto di Albert fu naturale quasi come il rumore delle onde che s'infrangevano sulla battigia, ipnotiche e ritmiche. Alzò una mano e gliela pose su una guancia con tenerezza, coprendola interamente col palmo: "Candy... voglio che tu sappia...".

Il verso di un gabbiano li riportò alla realtà, interrompendo le parole di Albert, seguito da una raffica di vento più forte delle altre. D'istinto, entrambi alzarono gli occhi al cielo e Candy si rese conto che dal mare provenivano grosse nuvole: entro un paio d'ore al massimo, se non prima, sarebbe di certo piovuto. Il contatto caldo e confortante del palmo di Albert svanì, lasciandola con un senso di vuoto, e anche lui parve contrariato. Ciononostante, si alzò e disse con fare pratico: "Prepariamo dei teli per raccogliere la pioggia. Così avremo altra acqua senza dover tornare al fiume, per un po'".

Candy si alzò per seguirlo con gesti lenti e meccanici, persa in una bolla che era esplosa troppo presto a contatto con la dura realtà: cosa stava per dirle, Albert? Era certa che riguardasse le sue parole in mezzo all'oceano ed era pronta a rispondergli con il cuore in mano. Il suo cervello affaticato dopo tante vicissitudini si rese conto solo dopo che ebbero sistemato i giubbotti di salvataggio nelle rispettive buche che erano tre e non due. Albert ne stava zavorrando uno con delle pietre, mentre lei si rendeva conto che la sua fossa era fin troppo profonda.

"Albert, dove hai trovato il terzo giubbotto?", gli chiese cercando di riempirla di nuovo in parte.

"Lo ha portato la marea stamattina", rispose senza guardarla.

Candy si deterse il sudore dalla fronte con un braccio, voltandosi verso di lui: "Oh... chissà a chi apparteneva... spero a qualcuno che alla fine si è salvato su una scialuppa".

"Se fai la buca troppo profonda l'acqua potrebbe penetrare lungo i bordi e finire nella sabbia. Basta una leggera curvatura che consenta al tessuto di raccogliere l'acqua".
Sembrava molto concentrato mentre le si accostava per farlo al posto suo, la camicia ormai intrisa di sudore e la barba incipiente che cominciava e creare un'ombra dorata sulle sue guance.

"Scusami, credo di essere una frana anche in questo. Dovresti raderti, sai? E bagnare i capelli prima di prendere un'insolazione". Lui si fermò nell'atto di sistemare il recipiente improvvisato e le sorrise, sciogliendole le viscere.

"Grazie, Candy". Stavolta, la sua mano indugiò più a lungo sul suo viso e lei si godette il contatto chiudendo gli occhi per qualche istante.

 
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La tempesta non fu forte come la prima volta, ma durò quasi tutto il giorno. Albert aveva valutato che mancavano almeno due mesi alla stagione delle piogge, tuttavia dovevano essere incappati in un momento meteorologico particolarmente sfortunato. L'acqua cominciava a scarseggiare e, nonostante stessero cercando di tenere il fuoco al riparo dal vento e dall'umidità, rami e foglie secche erano quasi esauriti e chissà quando ne avrebbero avuti altri.

"Avremmo dovuto raccoglierne molti di più", disse frustrato, guardando le cime delle palme piegarsi quasi in orizzontale. Il che gli fece venire in mente che poteva raccogliere qualche noce di cocco caduta a terra con la forza del vento.

"Albert, ma ti bagnerai!", protestò Candy smettendo di soffiare sul falò.

"Lo so, ma se rimarremo senza fuoco non potremo neanche sterilizzare l'acqua raccolta e dalle noci di cocco possiamo avere anche cibo".

"L'acqua sta cadendo dal cielo, non potremmo semplicemente berla così?", gli chiese inarcando un sopracciglio.

"Potremmo... ma sarebbe comunque un rischio".

Lei lasciò ricadere il capo, scuotendolo in un gesto di arresa. "Va bene, ma togliti i vestiti. Perlomeno quando ti sarai asciugato puoi rimetterli senza prendere una polmonite".
Lui la guardò, incerto. "Mi volterò dall'altro lato". E lo fece prima ancora che potesse rispondere.

Albert si tolse la camicia e la stese a terra vicino al fuoco, quindi procedette anche con i pantaloni. Fece qualche passo verso l'uscita e si rese conto che la stoffa della sua biancheria ci avrebbe messo molto di più ad asciugarsi e avrebbe dovuto rimanere senza il capo inferiore per un bel po', con Candy che sarebbe rimasta voltata senza poterlo guardare.

Con un sospiro, le spiegò il problema. "Se togliessi tutto potrei asciugarmi e rivestirmi molto prima e potresti aiutarmi a rompere le noci di cocco e a soffiare sul fuoco". Lei parve pensarci un po' su e lui riuscì a comprendere il suo imbarazzo. Neanche a lui sorrideva l'idea di restare nudo a pochi passi da Candy. "In alternativa dovresti sopportare la sgradevole vista di un uomo in biancheria intima, da brava infermiera".

"Oh, non prendermi in giro! E va bene, spogliati pure e fatti la tua doccia sulla spiaggia, ma non prendere freddo!". L'imbarazzo rendeva il tono di voce nervoso e lui dovette fare uno sforzo titanico per non scoppiare a ridere.

Tuttavia aveva ragione: la doccia gigante lo rigenerò e Albert perse qualche minuto per godersela, lavare via il sudore e la sabbia dal corpo e dai capelli. Fece un paio di viaggi per portare quante più noci di cocco possibili e si fermò dal suo lato del fuoco, che era diminuito drasticamente: sarebbe stato davvero da ridere se li avesse abbandonati proprio ora, mentre lui era zuppo dalla testa ai piedi. Soffiò con vigore alla base e quello riprese un po' di vita.

"Candy, se vuoi puoi fare la doccia tu, ora", disse a metà tra il serio e il faceto.

"Cosa?!", saltò su lei e per un interminabile istante Albert temette che si sarebbe voltata davvero.

"L'acqua non è proprio calda, ma piuttosto tiepida, e immagino che anche tu desideri rinfrescarti". Si avvicinò al fuoco e godette del calore che già cominciava ad asciugarlo.
"Stai insinuando che ho un cattivo odore?", chiese con una vocina che lo riempì di rimorso. Avrebbe voluto dirle che il suo profumo, seppure ormai gli evocasse soprattutto il mare, aveva mantenuto comunque il sentore di rose che tanto amava. Ma si trattenne e cercò solo di rassicurarla.

"No, Candy, ti sto solo offrendo l'opportunità di darti una rinfrescata e togliere via un po' di sabbia, ma la decisione spetta a te".

"Dovrò spogliarmi anche io". Ora era evidentemente tesa.

"Lo so". E lo divenne anche lui. "Per quando sarai tornata io sarò dall'altro lato del fuoco e magari mi starò già rivestendo".

La vide titubare e sperò che decidesse in tempi brevi perché ancora non sapeva quanto avrebbe retto il fuoco.

"Alla Festa di Maggio, mentre mi cambiavo d'abito... credo che Terence mi abbia spiata".

"Che cosa?!", sussultò senza poterselo impedire.

Le spalle di lei si strinsero: "Non l'ho scritto nel diario che hai letto, ma quando avevo indosso il costume di Giulietta lui era là".

Albert prese un respiro profondo: "Ok, non voglio pensarci ora, ma puoi stare certa che io non farei mai nulla di simile".

"Lo so, ti conosco".

"Quindi perché me lo hai raccontato?". Non voleva suonare impaziente o piccato, soprattutto odiò la sfumatura di gelosia che prese il tono suo malgrado, tuttavia il fuoco era davvero al limite.

"Non lo so... forse volevo essere sicura, sai... dopo...".

"Candy, credimi, voglio parlare con te, sul serio. Ma il fuoco è quasi spento e se vuoi fare quella doccia senza dover aspettare di tornare al fiume ti consiglio di sbrigarti".

"D'accordo".

Albert le spiegò con minuzia dove si sarebbe posizionato rispetto al fuoco, portandosi dietro i vestiti, e cercò di rimanere immobile mentre, con il calore del fuoco sulla schiena, la sentiva togliersi gli abiti in un fruscio. Allontanare dalla mente ciò che l'immaginazione gli proponeva fu così arduo che si chiese se per caso il sole non gli avesse dato alla testa.

Candy era completamente nuda a pochi passi da lui. E quasi sospirò di sollievo quando uscì fuori. Ormai il fuoco aveva fatto il suo dovere e cominciò a rivestirsi. Pensò che anche per quel giorno non avevano potuto scrivere nessun SOS sulla sabbia. Pensò che dovevano decidere insieme di darsi un limite di tempo prima di cominciare a costruire una zattera e tentare la fortuna. Pensò a Georges, che sperava si fosse attivato per cercarli e non per celebrare i loro funerali senza corpi, come era successo per il povero Stair. Pensò alla zia Elroy e persino alla sua piccola Poupee, morta in Africa solo un anno prima. Pensò a tutto questo e a molto altro, pur di scacciare dalla testa l'immagine di Candy senza abiti sotto alla pioggia tropicale.

 
- § -
 
 
La pioggia era quasi cessata e la caverna, con il calare della notte, divenne fredda. Il fuoco, per quanto avessero fatto, era ormai praticamente spento. Non c'era più nulla ad alimentarlo e per avere legna o foglie asciutte avrebbero dovuto aspettare almeno il giorno dopo: li attendeva una notte gelida.

Candy si rannicchiò stringendosi addosso il vestito strappato e rotto in più punti e si domandò come avrebbero fatto di lì in avanti. Sull'isola c'erano animali con la pelliccia? Quasi si mise a ridere da sola per quel pensiero: non solo si trovavano su un'isola tropicale, ma dubitava che avrebbero trovato il coraggio di ucciderne uno, semmai ci fosse stato, men che meno ricavarne una coperta. Le vennero in mente foglie e felci, ma non sapeva quanto calore potessero trasmettere. Quanto poteva scendere la temperatura su un'isola tropicale in piena estate? Sarebbero riusciti a tornare a casa prima dell'autunno? Erano lì da soli due giorni, ma solo ora si rendeva conto che rischiava di non vedere più miss Pony, suor Lane, Annie, Archie, il dottor Martin e tutti i suoi amici. Prima di accorgersene, stava singhiozzando silenziosamente e Albert, che credeva addormentato, le si avvicinò circondandole la vita con un braccio.

"Ehi... che succede?", le chiese con voce calda.

"Io... ho paura, Albert. E se rimanessimo qui per sempre? Se non riuscissimo a tornare e i nostri vestiti si disintegrassero lasciandoci al freddo e alle intemperie? E se...?".

"Oh, andiamo, non credevo che fossi così tragica". La sua mano cominciò a carezzarle i capelli ancora umidi. "Siamo qui solo da due giorni e può ancora accadere di tutto. Sono sicuro che Georges ha controllato la rotta, verificato dove è affondata la nave e avrà mandato delle squadre di ricerca. Potrebbero trovarci fra una settimana o due e qui abbiamo acqua dolce, che è la cosa più importante, e pesce in abbondanza. Dobbiamo ancora organizzarci col fuoco per farlo durare, questo è vero, ma anche i vestiti non sono un problema. Possiamo vedere di intrecciare qualche foglia e un po' di arbusti come gli uomini primitivi".

Ridacchiò e Candy, suo malgrado, fece altrettanto mentre si asciugava le lacrime: "Non so come farei senza di te".

"No, Candy, non so come farei io senza di te". Lo disse con un tono così serio che lo guardò negli occhi. "Tu sei la mia forza, la ragione per la quale voglio uscire da questa situazione ancora più velocemente. E vuoi sapere perché?".

Candy fu sconvolta nel rendersi conto che il cuore aveva preso a martellarle nel petto e che un'emozione ben diversa dalla disperazione di poco prima stava prendendo il sopravvento.

"Perché?", chiese pendendo dalle sue labbra. Le belle labbra di Albert, sul viso ombreggiato dalla barba di un giorno.

"Perché quello che ti ho detto mentre eravamo in acqua, l'altra notte, era vero. Io ti amo, Candy, e quando torneremo a casa voglio chiederti formalmente di sposarmi".

Candy soffocò una risata che era quasi un singhiozzo, sentì altre lacrime scenderle sulle guance e intrecciò le mani al petto: "Davvero? Vuoi...?".

"Solo se lo desideri anche tu, Candy".

Allora capì. Capì che anche Albert aveva bisogno di una conferma e gli carezzò la guancia ruvida mentre lui chiudeva gli occhi. "Certo che lo desidero, Albert. Anche io dicevo sul serio. Anche io... ti amo. Più di quanto avrei mai creduto possibile. Tu non sei solo il mio zio William, il mio principe e il mio ex amico smemorato. Sei molto, molto di più. Sei... il mio Albert".

Con emozione, si rese conto che anche gli occhi di Albert si stavano riempiendo di lacrime e lui la strinse in un abbraccio intenso, baciandole il capo con tenerezza struggente.
"Ti riporterò in America e ti sposerò alla Casa di Pony. Avremo una dozzina di bambini e tanti animali". Disse ridendo, con la voce un po' incrinata dall'emozione.

Candy si staccò di lui per guardarlo: "Una dozzina?!".

"Beh, posso accontentarmi anche di mezza dozzina. Ma con riserva".

Candy rise con lui, poggiò la fronte alla sua e si godette il primo timido sfiorarsi di labbra, così etereo che forse se l'era solo immaginato.

"Scaldami", gli chiese rannicchiandosi contro di lui.

E Albert lo fece, dormendo abbracciato a lei come fossero due ragazzini, felici e col sorriso sulle labbra.
                             

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Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


Le mani di Candy scivolavano gentilmente da un lato all'altro del viso mentre, con estrema cura, lo radeva. Si erano svegliati di buon'ora e avevano cercato pietre per buona parte della mattinata al fine di creare un gigante SOS, interrompendosi solo per bere e mangiare dalle noci di cocco raccolte la sera prima. Sapeva che sarebbe stato molto difficile che un aereo sorvolasse l'Atlantico per puro piacere, ma dopo le gesta dei due aviatori britannici di pochi anni prima, nulla poteva essere detto con certezza. Per fortuna, il sole alto stava già asciugando la legna e le foglie per accendere un nuovo fuoco e Albert pensò che forse sarebbe stato il caso di costruire un secondo riparo vicino all'acqua dolce, oltre che fare una scorta di esche per i nuovi falò.

"Fatto", mormorò Candy staccandosi da lui con un sorriso. Albert avvertì un senso di perdita che lo fece sospirare piano e trattenne Candy per le mani, fissandola con intensità: il suo tocco era stato rilassante, tuttavia gli aveva trasmesso un languore struggente di cui non pensava sarebbe più riuscito a fare a meno. Senza pensare, visto che già si erano chiariti e l'aveva anche baciata, ripeté quel gesto in maniera diversa. Più decisa, facendo una pressione sempre maggiore sulle labbra di Candy che sapevano di cocco, anelando qualcosa di più a una velocità vertiginosa. Nonostante l'impulso di aprire quelle labbra, si concesse solo tocchi lenti rispettando i suoi tempi, sentendola rispondere ed emulare i suoi gesti, chiedendosi come sarebbe stato, ora che erano a una nuova fase del loro rapporto, vivere insieme su un'isola deserta.

Albert interruppe il bacio quando gli echi lontani del desiderio cominciarono a diventare allarmanti: aveva sempre rispettato Candy, tuttavia le cose erano cambiate alla velocità della luce, in quella situazione anomala, e lui sentiva risvegliare impulsi che credeva di aver seppellito in fondo al suo essere tanti anni prima.

Candy sorrise, arrossendo, e abbassò il volto. Le pose due dita sotto al mento inducendola a guardarlo: "Da quando in qua ti vergogni di me?", le chiese.

Lei si leccò le labbra, come per cercare le parole e Albert resistette a malapena all'impulso di prenderle ancora e ancora: "È che... non siamo mai stati così... così...".

"Così vicini? Così innamorati? Beh, in questo momento siamo piuttosto indaffarati e abbiamo delle faccende urgenti da risolvere, ma questo non significa che ogni tanto non possiamo concederci di vivere, oltre che di sopravvivere. Possiamo essere fidanzati dispersi su un'isola che cercano la salvezza", concluse con tono pomposo, facendola ridere.

"Oddio, Albert", disse portandosi le mani sul viso. "Che avventura romantica! Ci si potrebbe scrivere un libro!".

"Non è detto che non lo facciamo, una volta tornati", disse risciacquando il rasoio nel torrente e cominciando a guardarsi intorno per individuare i rami più adatti per costruire un riparo di emergenza.

"Quindi ne sei convinto".

Si volse per guardarla, confuso: "A che ti riferisci? Al libro?".

Candy scosse la testa. "Sei convinto che torneremo a casa...?".

No, non lo era al cento per cento, ma si sentiva cautamente ottimista. "Certo che lo sono. Tu no, per caso?", le domandò alzando un sopracciglio.

"Certo, certo che lo sono!". Sembrava quasi voler convincere se stessa e d'altronde, lui non stava facendo forse la stessa cosa mostrandosi così sicuro?

"Bene, allora occupiamoci della nostra seconda casa in riva al fiume, vuoi?". Le fece l'occhiolino e la vide titubare.

"Potresti solo... prestarmi il tuo rasoio? Intanto potresti cominciare a cercare dei rami caduti e io ti raggiungerò in men che non si dica!".

Albert sbatté le palpebre, cercando di capire cosa volesse farsene del rasoio, quindi la mente gli suggerì che una donna, seppur non avesse la barba, poteva averne bisogno per altre parti del corpo. Senza neanche rendersene conto, il suo sguardo andò automaticamente alle gambe di Candy, in parte scoperte dal suo abito consunto e si costrinse a guardarla negli occhi, porgendoglielo.

"Ma certo, sarò dietro quella fila di alberi laggiù. Attenta a non tagliarti".

"Sono riuscita a non tagliare te, posso farcela a non tagliare me", disse strizzandogli l'occhio.

Allontanandosi da lei, Albert si rese conto che, nonostante i buoni propositi, la sua mente lavorava a pieno regime per rendere la permanenza sull'isola il più sicura possibile. Il rifugio, la raccolta di acqua dolce, il fuoco, le provviste. Un tarlo, piccolo e insistente, non faceva che ripetergli che se davvero quell'isola era deserta, avrebbero anche potuto non trovarli mai.

 
- § -
 
 
Chicago, villa Ardlay

Georges Villers riattaccò il telefono proprio mentre Archibald Cornwell entrava nella stanza, con l'espressione interrogativa e persino un poco spaurita. Non attese che gli ponesse la domanda ben impressa sul suo volto.

"Ho predisposto una squadra di ricerca perché controlli le isole vicine, nell'arcipelago di Madeira. L'affondamento a quanto pare è avvenuto lì e le liste dei sopravvissuti e dei dispersi non sono ancora disponibili. Partirei io stesso, ma...".

"Non possiamo lasciare gli affari di Albert... e la zia Elroy", concluse lui avvicinandosi a brevi passi, pallido e provato come non lo aveva mai visto.

"Come sta la signora?", chiese ricordando l'urlo di dolore che gli aveva evocato, in maniera troppo netta, quello che aveva udito alla morte del giovane Anthony.
"Il dottor Leonard le ha dato un calmante e ora Annie si sta prendendo cura di lei".

Georges annuì, crollando sulla poltrona, sfinito. L'incubo si stava ripetendo e stavolta sembrava davvero volersi far beffe di un futuro che poteva essere luminoso: non gli era sfuggito quanto William e la signorina Candy si fossero avvicinati e in cuor suo aveva sperato che quel viaggio, in teoria legato agli affari, li unisse in maniera definitiva.
Con un sussulto, si rese conto che era stato tanto impegnato con i contatti e le ricerche in quei due giorni, che non aveva avvisato le proprietarie della Casa di Pony, né nessun altro.

"A cosa stai pensando?". Archibald sembrava allarmato. Sembrava sulle spine o sui carboni ardenti, quasi temesse che in ogni istante arrivassero notizie nefaste. Toccava a lui mantenere la calma e l'ordine, in assenza del suo principale e lo avrebbe fatto come sempre. In paziente attesa che tornasse.

"Stavo solo riflettendo che dovremmo avvertire l'orfanotrofio. Tuttavia, credo sia meglio farlo quando avremo notizie della signorina e di William, per non preoccuparle oltremodo".

"La notizia del naufragio è uscita sui giornali di stamani".

Georges impallidì, mentre il ragazzo usciva dalla stanza facendogli cenno di attendere. Non aveva pensato ai giornali. Era immerso in una sorta di bolla onirica nella quale gli avevano comunicato l'affondamento della nave ed era cominciato un bailamme infinito di telefonate e telegrammi con il cuore in gola e le viscere annodate. Non ricordava nemmeno di aver mangiato o dormito.

Archibald rientrò tenendo il giornale in mano e, man mano che leggeva, si sentiva sprofondare: il giornalista riportava a piena pagina la foto del natante, intorno al quale erano state disposte, quasi come in un macabro collage, alcune immagini dei passeggeri più in vista che vi si trovavano. Quelle di Candice e William erano in alto a destra. Con frenesia, cercò i loro nomi nel corpo dell'articolo e si mise a leggere.

"William Ardlay e la sua protetta stavano intraprendendo un viaggio che avrebbe dovuto portarli a Casablanca, dove il magnate più in vista degli Stati Uniti si doveva recare per occuparsi di nuovi investimenti. I due viaggiavano in prima classe e sono stati in molti a sussurrare di un possibile coinvolgimento sentimentale, con toni che vanno dal grido allo scandalo fino all'approvazione. Ora, in queste ore frenetiche, l'unica speranza è che i loro nomi siano nella lista dei superstiti. Le scialuppe di salvataggio sono state calate immediatamente, tuttavia l'affondamento pare essere avvenuto in maniera tanto repentina che si teme possa aver coinvolto anche le imbarcazioni circostanti. La tempesta avvenuta quella notte, inoltre, lascia ben poche speranze...".

Georges smise di leggere, portandosi due dita agli occhi, strofinandoli in un gesto stanco, ricacciando indietro le lacrime che stavano per tradirlo. Piangere avrebbe significato portare a livello cosciente i suoi timori, rendendoli reali. E lui non voleva, o sarebbe stata la fine.

"Sono sicuro che si metteranno in contatto con noi non appena troveranno il modo di telegrafare". Archibald era ritto in piedi, con i pugni stretti e appariva vulnerabile dietro la maschera forte che si era imposto.

"Ne sono certo anch'io. Ma visto quello che hanno scritto sui giornali occorre parlare subito con miss Pony e suor Lane della Casa di Pony".

"Darò il cambio ad Annie e le chiederò di recarsi lì con la sua dama di compagnia...".

Qualcuno bussò alla porta e trasalirono entrambi. "Avanti!", disse Georges con voce forte.

La cameriera s'inchinò, contrita. Anche lei pareva sofferente: e come poteva essere altrimenti, visto che lavorava nella loro famiglia da decenni?

"Vi chiedo scusa, c'è la signorina Patricia O'Brien al telefono. Vorrebbe... parlare con qualcuno".

Archibald sospirò, quasi fosse sollevato che si trattasse di qualcuno che chiedeva notizie e non di altri che ne portavano di sgradevoli: "Ci parlo io, prendo la telefonata dal mio ufficio".

Quando rimase solo, Georges si ritrovò a fare qualcosa che aveva smesso di fare da almeno vent'anni. Pregò.

 
- § -
 
 
Candy si posizionò su un ramo robusto e ne afferrò altri più piccoli con una mano per lanciarli ad Albert. Si erano alternati così tutta la mattina e ormai ne avevano a sufficienza sia per il fuoco che per il riparo che avrebbero costruito vicino al fiume.

Stava afferrando un ultimo ramo che le pareva particolarmente adatto al rifugio, quando udì l'esclamazione di dolore e sorpresa di Albert. Senza pensarci, abbassò lo sguardo e cominciò a scendere, vedendolo accovacciato vicino alle rocce, non lontano dall'argine del fiume.

"Albert, cosa ti è successo?!". Si rese conto che aveva le mani strette sul piede, la mascella contratta e pensò che si fosse fatto male proprio contro le rocce, magari spostandosi senza prestare attenzione perché guardava in alto.

"Qualcosa... mi ha morso. Temo proprio fosse un ragno velenoso".

Il sangue le defluì dal volto e Candy, scendendo dall'albero, cercò con frenesia qualche accenno ai suoi studi di infermeria, ma la sua testa era tabula rasa, un enorme buco nero. Sapeva solo che molti ragni e tarantole erano velenosi e già questo bastava a farle suonare mille campanelli di allarme in testa.

"Dobbiamo innanzitutto lavare la ferita. Fammi vedere". Il piede presentava solo un leggero arrossamento, ma lei temeva che potesse peggiorare. Facendolo appoggiare a sé, lo aiutò a sedersi a riva per immergerlo in acqua.

"Il veleno non dovrebbe essere particolarmente pericoloso per l'uomo, perlomeno nelle specie africane che ho avuto modo di studiare. Però fa un male del diavolo". E gli credeva, Candy. Si rendeva conto di come serrasse la mascella cercando di trattenere i gemiti di dolore e le tempie erano già madide di sudore.

Candy si accucciò fino a entrare in acqua, tirando su il piede di Albert per strofinare la ferita con le mani e far uscire quanto più veleno possibile. Si chiese se dovesse inciderlo, ma il lamento di lui quando lo sfiorò la fece desistere e mollare la presa.

"Scusami".

"Non scusarti. Avremmo bisogno di erbe disinfettanti, possono sempre tornare utili, ma non credo ce ne siano".

"Raccoglierò un po' di quelle che abbiamo usato per le scottature", disse cominciando a cercarle nei dintorni. Ogni tanto, con la coda dell'occhio, osservava le reazioni di Albert e comprese che stava cercando di non lamentarsi per non farla preoccupare. "Puoi gridare se ti fa stare meglio. Non mi impressiono tanto facilmente", gli disse.

"Cosa?". La fissò e il volto era arrossato, una vena pulsava sul collo. La camicia mezzo sbottonata metteva in evidenza un'abbronzatura che gli avrebbe garantito protezione da ogni futura scottatura, cosa che cominciava ad accadere anche a lei. Doveva essere impazzita per mettersi a pensare a quei dettagli

e al bacio, non dimentichiamo il bacio

mentre lui soffriva e rischiava i sintomi di un avvelenamento.

"Non fare l'uomo invincibile e lamentati quanto vuoi. Immagino che faccia molto male", si spiegò raccogliendo alcune foglie che le parvero adatte.

Con sua sorpresa, Albert invece ridacchiò: "Non ho intenzione di farlo, Candy. Non ora, perlomeno. Il dolore è ancora sopportabile, dopotutto".

"Certo e io sono Jane e tu Tarzan", sbuffò avvicinandosi e chiedendogli di togliere il piede dall'acqua.

Lo fece con gesti lenti e poté notare che il gonfiore si era accentuato. "Posso fare da solo", disse allungando una mano. Candy gli porse le foglie raccolte, guardandolo mentre le portava al piede poggiandole sopra con un sussulto.

"Dovresti strofinarle sopra per far penetrare meglio il principio attivo", suggerì ben sapendo che la minima pressione avrebbe fatto solo più male. Avrebbe avuto bisogno di un po' di ghiaccio, ma persino l'acqua del fiume era tiepida.

Vide Albert titubare, combattuto come non lo era mai stato. Chiuse forte gli occhi, prese un respiro e fece come gli aveva detto. A quel punto urlò. Urlò davvero.

 
- § -
 
 
Candy gli stava ponendo una mano sulla fronte e di nuovo Albert si sentì vulnerabile al suo tocco. Il piede, sul quale avevano praticato una fasciatura di emergenza con felci e fogliame, pulsava come un enorme dente cariato: non sapeva come fosse, perché per fortuna non gli era mai capitato di averne uno, ma suppose che il dolore dovesse essere molto simile.

"Non hai febbre, ma non puoi certo metterti a costruire rifugi. Hai qualche malessere? Mal di testa o nausea? Non so bene quali debbano essere i sintomi di un morso di ragno, ma...".

"Sto bene, a parte che vorrei tagliarmi via il piede destro. E costruiremo quel rifugio, ma prima bisogna capire se possiamo accendere un fuoco". Aveva cercato di usare un tono tranquillo, ma ogni parola suonava come un ringhio annebbiato dal dolore.

"La cosa migliore è che prendiamo un po' di questa legna e torniamo sulla spiaggia: lì possiamo accenderne uno e disinfettare l'acqua". Come se si fosse ricordata qualcosa, sussultò. "Il fuoco! Una pietra ben calda potrebbe disinfettare anche il morso!".

La sola idea di mettere qualcosa di rovente a contatto con il piede gli fece venir voglia di urlare di nuovo, ma non era quello il problema maggiore: "Candy, sinceramente non so se sarei in grado di camminare fino alla spiaggia. Posso muovermi zoppicando qui nei paraggi, non arrivare sin lì".

"Bene, allora mi darai istruzioni e costruirò il rifugio. Anzi, no, prima metterò in sicurezza un'area qui intorno per accendere il fuoco".

Albert la osservò mentre si affaccendava per strappare erba e arbusti da una zona in cui la vegetazione era meno fitta, creando una sorta di cerchio nel terreno che non facesse fuggire il fuoco. Usò le mani con movimenti lenti e circolari, evocandogli i momenti in cui gli toccava il viso con gentilezza e d'istinto si leccò le labbra, desiderando di nuovo le sue carezze. E un suo bacio. Dio, anelava un bacio da Candy, ne aveva una sete che gli parve d'un tratto inestinguibile.

Sete.

Sete...

Di colpo, Candy era davanti a lui e, senza più titubanze, la prese tra le braccia. La strinse forte e lei lo guardò con occhi pieni d'amore. Finalmente, incontrò le labbra fresche di lei, le assaporò, sapevano di acqua di cocco, di ambrosia, di miele e di rose. Come aveva sognato, approfondì quel bacio beandosi del sapore umido della bocca amata, ripetendo il suo nome per averne ancora. E ancora.

Ed era in piedi, di fronte a lei, e si rendeva conto che aveva qualcosa in tasca. Mise una mano dentro e ne trasse un mucchio di alghe, tra le quali qualcosa brillava: lo ripulì e si rese conto che era un anello. Poteva metterlo al dito di Candy e chiederle formalmente di essere la sua fidanzata! Colmo di emozione, le si inginocchiò davanti e lei cominciò a piangere di gioia.

Con un gesto lento, lo infilò all'anulare sinistro e si alzò per baciarla. Ma quando lo fece, con sommo orrore, vide le sue guance diventare scavate, la pelle raggrinzirsi, i capelli biondi ingrigire e staccarsi a ciocche, fino a lasciare un teschio con un sorriso eternamente congelato. Inorridito, emise un verso di costernazione e fece un passo indietro, gridando il suo nome, vedendola ridursi a un mucchio di ossa e poi di polvere e sabbia.

"Candy... Candy...no!". E capì il suo errore: l'anello, che giaceva a terra tra i resti che erano stati la sua Candy, era quello che aveva con sé il ragazzo morto per la donna che non avrebbe mai sposato. Perché, perché glielo aveva messo al dito? L'aveva uccisa, aveva appena ucciso la donna della sua vita e urlò pietosamente, piangendo e invocandola in lunghi singhiozzi, rendendosi conto che qualcuno gli stava carezzando il capo.

Alzò il viso e incontrò un paio d'occhi simili ai propri: "Rose... Rosemary?".

Sua sorella lo guardava con infinita tristezza, senza smettere di accarezzarlo, come quando era bambino. "Mi dispiace, piccolo Bert. Mi dispiace, papà è morto, ora ce la dovremo cavare da soli. Ma io avrò cura di te, te lo prometto".

No, non è papà a essere morto, è Candy e la colpa è solo mia! E tu... oh, anche tu, adorata sorella...! Cercò di dirlo, dando voce ai suoi pensieri, ma le parole rimasero impigliate nella gola chiusa. Arida. Cocente di lacrime.

"Bert... Bert... Albert, ti prego, non farmi questo! Non lasciarmi da sola, io ho bisogno di te! Io... ti amo!". Cosa stava dicendo Rosemary? Non era lui che la stava lasciando, stava sopravvivendo suo malgrado. Come avrebbe fatto a continuare senza Candy? Si lamentò, pronunciandone ancora una volta il nome. "Sono qui, amore mio, ti prego, apri gli occhi!".

Aprire gli occhi?

Con uno sforzo che gli parve titanico, Albert sollevò le palpebre e la vide. Bella come la ricordava. Con il viso pieno di lacrime illuminato da quello che pareva un fuoco notturno, facendola apparire come una vera allucinazione. Allungò una mano tremante e le sfiorò il volto, sentendolo tangibile e umido: "Candy...?", disse con voce soffocata, temendo che scomparisse da un momento all'altro.

"Oh, Albert, Dio sia lodato, ero così spaventata!". Gli afferrò la mano, la strinse e la baciò e lui si rese conto di essere appoggiato con la schiena a un albero e che sopra di loro c'era un piccolo tetto di rami inclinati e tenuti assieme da alcuni filamenti di foglie di palma. "A un certo punto del pomeriggio mi sono resa conto che ti stava salendo la febbre e non sapevo più cosa fare! Ti ho dato da bere dell'acqua di cocco ma non reagivi quasi più. Allora ho bagnato una striscia di tessuto e ti ho coperto il capo mentre tentavo di accendere il fuoco... non sai quanto ci ho provato! Ogni tanto venivo a controllarti e sentivo che ti lamentavi nel sonno, forse per il dolore. Ti ho trascinato qui all'ombra e ti ho bagnato la fronte per far scendere la febbre, ma tu continuavi a dire cose senza senso, così mi sono affrettata con il fuoco e ho cominciato a legare i rami tra loro per fare un piccolo riparo... non so se reggerà, l'ho costruito di fretta e tu...". Candy interruppe quel fiume di parole per singhiozzare. "Tu hai cominciato a chiamarmi e a piangere, però non ti svegliavi! Ho temuto che il veleno ti stesse uccidendo, Albert".

Gli si gettò al petto e lui l'abbracciò più forte che poté, considerando che si sentiva debole e il piede era un unico fascio di dolore. Ma nulla era più rigenerante di sentirla, viva e vera, contro di sé e lui lasciò fluire le lacrime tra i suoi capelli, senza poter dire altro. Quando fu in grado di parlare si scusò per averla fatta preoccupare tanto.
"Sei stata bravissima a fare tutto da sola, Candy".

"I rami sono tutti storti e i supporti verticali che mi avevi detto di mettere non reggeranno. Fra poco ci crollerà tutto in testa", piagnucolò asciugandosi gli occhi come una bambina.

"Non importa, lo sistemerò io. Adesso però è ora della mia medicina". Candy lo guardò, stranita. "La febbre non mi pare scesa del tutto e il piede mi fa ancora molto, molto male".

"Posso vedere se le piante...".

"Voglio solo un bacio".

 
- § -
 
 
Candy si svegliò con il canto di un gabbiano particolarmente insistente che aveva deciso di sorvolare proprio quel tratto dell'isola. Forse erano uno stormo. I gabbiani volavano in stormi? Sbatté le palpebre e si tirò a sedere con tanta veemenza che sbatté la testa contro il legno.

Il mio piccolo rifugio di fortuna.

Sbadigliò platealmente e si rese conto che era sola. Di nuovo. Doveva fare un discorsetto ad Albert, che ogni volta...

"Albert!". Sconvolta, si rese conto che poteva essersi sentito male e lei dormiva! Bella infermiera che era! Il primo luogo in cui cercò fu proprio il fiume e si rese conto troppo tardi che avrebbe dovuto essere più prudente e discreta: il suo amico di sempre, il principe che sognava fin da bambina e che la sera prima le aveva chiesto baci morbidi come medicina, si stava alzando in piedi emergendo dalle acque del fiume come una sorta di tritone statuario dei fiumi.

La mente gli gridò di non spalancare le palpebre, ma di coprirsi subito gli occhi. E di voltarsi, per l'amor di Dio, visto che Albert aveva deciso di farsi una nuotata completamente nudo. Invece, le sue retine rischiarono di bruciare tra le fiamme dell'inferno, perché titubò un istante di troppo, nel quale poté ammirare il giovane e avvenente prozio William nella sua gloriosa interezza.

Si volse di spalle con un gridolino, avvertendo quelle stesse fiamme avvolgere l'intero viso. E se lo meritava per essere stata tanto sconsiderata! Suor Lane l'avrebbe sculacciata, se fosse stata più piccola, e miss Pony le avrebbe fatto una bella ramanzina per non essersi voltata subito! Eppure, una parte di certo intaccata dal sole tropicale, le suggerì che non c'era nulla di male, che non l'aveva fatto apposta e che comunque era un'infermiera e non era certo un uomo nudo a metterla in imbarazzo.

A parte Albert, che amava con tutto il cuore e i cui baci la mandavano dritta in Paradiso facendole dimenticare che erano dispersi su un'isola a tempo indeterminato.

"Candy? Aspetta... mi vesto e arrivo da te". Oddio, l'aveva vista! Si era accorto che lo stava spiando!

Non lo stavo spiando, sono venuta a cercarlo e l'ho trovato così. E non ho indugiato apposta con gli occhi, volevo solo essere certa che stesse bene!

"Fai con calma e asciugati! Come ti senti?". Il tono era un po' troppo alto, come se lui si trovasse a mezzo miglio e non praticamente lì davanti a lei.

"Mi sento molto meglio, grazie, ma quando la febbre è scesa ho sudato molto e ho dovuto lavare i miei vestiti. Credo che siano già asciutti". Era la seconda volta in due giorni che si trovavano nudi a pochi passi uno dall'altra e Candy si domandò come avrebbero fatto ad andare avanti così. D'altronde, non avevano vestiti di ricambio e il caldo era davvero troppo opprimente per non indugiare in acqua.

"E... il tuo piede?". Il tono era un po' tremolante, ma già più controllato.

"Ho lavato la ferita ma è ancora un po' gonfio. Però il dolore è più sordo e in qualche modo sopportabile. Possiamo fare il pieno d'acqua e tornare sulla spiaggia".

"Bene, io... ti aspetto a casa. Cioè, nella capanna. Volevo dire... al... rifugio". Era persa, non sapeva più cosa stava dicendo e tutto perché continuava a tornarle in mente l'immagine di poco prima. Pensava che l'avrebbe sognata persino di notte e che non avrebbe più osato dormirgli vicino.

"Mi dispiace, Candy. Non era mia intenzione metterti in imbarazzo. Pensavo dormissi ancora e non ho proprio avuto modo di lasciarti un messaggio. Ma pensavo che avessi visto i miei vestiti".

Candy osò spostare appena le pupille verso destra ed eccoli, i vestiti di Albert, stesi ad asciugare sull'erba. Stupida. Distratta. Aveva ragione miss Mary Jane a ripeterle che era sbadata! "Non fa nulla, non... non è colpa tua".

La colpa è mia, non so cosa mi sta succedendo. Da quando ci siamo confessati i nostri sentimenti tutto sta andando troppo veloce. E la situazione è quantomeno anomala.

Corse verso il rifugio e si portò una mano al petto, dove il cuore aveva preso a batterle forte. Solo ora si rendeva conto che in un angolo, ben protetti dal sole dalle fronde degli alberi, c'erano alcuni datteri e le loro ciotole-cocco piene d'acqua. Candy bevve la sua in pochi sorsi e attese che lui tornasse per mangiare assieme. Quando le fece, riuscì a malapena a guardarlo negli occhi.

"Ho intenzione di sistemare la struttura del rifugio e salire di nuovo sullo sperone di roccia dall'altro lato", cominciò a fare conversazione come se niente fosse. "L'ideale sarebbe usare un binocolo, ma non si può avere tutto, no?".

Candy prese un altro morso dal suo dattero. "Possiamo sempre controllare che la marea ci restituisca altri tesori. Non hai forse trovato un giubbotto di salvataggio in più col quale raccogliamo l'acqua e ci copriamo se fa freddo? E il lenzuolo, la bottiglia... persino un rasoio! Magari provengono dalla nave".

"Sì, è probabile. Controlleremo di sicuro".

Finirono di mangiare, raccolsero la legna e tutto ciò che poteva essere loro utile e legarono le fasce di stoffa ai piedi, coprendo il capo con altre. Ormai i loro abiti erano quasi a brandelli e Candy non sapeva più come legare i lunghi capelli. Si chiese se avrebbe potuto tagliarli con il rasoio di Albert. Lo vide zoppicare un po' e si fermarono perché aveva dimenticato di dare personalmente un'occhiata al morso del ragno: aveva ragione lui, la ferita era lungi dall'essere guarita, ma sembrava decisamente meno gonfia.

Sulla spiaggia le pietre dell'SOS erano ancora al loro posto e Albert alzò subito il capo verso le rocce, schermandosi dal sole con una mano: "Pensi di riuscire a pescare con le nostre reti improvvisate come ti ho fatto vedere? Intanto io...".

"Scordatelo", disse lapidaria.

"Cosa?".

"Ho detto: scordatelo. Non ti lascerò fare una cosa tanto pericolosa con il piede in quelle condizioni e con il febbrone che hai avuto".

"Candy!". Il tono era di nuovo imbronciato e supplichevole.

"Non te lo ripeterò due volte, William Albert Ardlay", lo ammonì agitando minacciosamente un dito. "Non osare andartene lì sopra oggi, guarderemo l'orizzonte insieme e accenderemo un bel fuoco per farci vedere, quindi andremo a pesca insieme e...".

Si stava avvicinando a lei, lo sguardo serio che da un lato la intimorì, dall'altro la magnetizzò spegnendo di colpo le sue parole. Le mani le salirono al viso e lei si trovò a trattenere il respiro: "Grazie per preoccuparti per me. Ieri non te l'ho detto, perché avevo la mente annebbiata e non distinguevo il sogno dalla realtà: ma ho adorato che tu mi abbia chiamato 'amore mio'. E ho adorato il tuo antidolorifico. Credo di averne di nuovo bisogno".

I respiri si mescolarono, un po' affannati, e Candy spense la ragione. Chiuse semplicemente la distanza premendo le labbra sulle sue, muovendole in baci lenti e pieni del suo cuore. Gli stava dando il suo cuore a fior di labbra.

"Ti amo, Albert".

"Anche io. Amore mio". Sentirselo dire da lui fu quasi catartico e l'abbraccio e i baci che seguirono le fecero perdere la nozione del tempo, commuovendola fin nell'anima.

"Non andare lassù".

"Devo. E hai ragione sul fuoco, accendi prima quello, visto che sei diventata così brava. Metteremo a cuocere il pesce insieme quando tornerò".

"Io...".

Le chiuse la bocca con un altro bacio. E un altro ancora. "Potrei diventare dipendente da questa medicina, infermiera", mormorò strofinando il naso col proprio. E lei si ritrovò con le braccia vuote, lui che si allontanava mezzo girato.

L'aveva gabbata per bene, confusa, ammaliata. Il languore che le aveva lasciato le formicolava sulle labbra, scendeva fin nel petto e si trasmetteva persino alla pancia. Candy prese un sospiro tremante e si predispose ad accendere il fuoco come lui le aveva fatto vedere, strofinando il bastoncino sulla tavola di legno, aggiungendo esca perché prendesse bene e aiutandosi con il vetro per veicolare i raggi del sole. Che aveva ricominciato a picchiare a tutta forza.

 
- § -
 
 
Albert abbassò un ginocchio per riposare il piede destro e piegò l'altro appoggiandovi sopra i gomiti. La scalata non gli aveva fatto certo bene e il dolore aveva iniziato a ottenebrargli tanto il cervello che aveva avuto l'impulso di tornare giù. Tuttavia, non voleva far preoccupare Candy e voleva capire se quell'isola fosse di origine vulcanica come temeva. Cercò di ricordare i suoi studi principalmente orientati sull'Africa e seppe che la presenza di acque dolci e sabbia scura in alcuni tratti poteva ricondurre proprio all'arcipelago di Madeira, vulcanico ma pressoché innocuo. Ma si trovavano davvero a quella latitudine? Allora perché l'isola era disabitata? Possibile che fossero approdati su un isolotto non ancora scoperto dall'uomo?

L'alternarsi di costa con sabbia e rari ciottoli, strutture rocciose e verde lussureggiante gli suggeriva che il luogo era piuttosto ospitale, ma l'isola forse era davvero troppo piccola per rientrare nelle cartine. Si accigliò, sospirando e stringendosi la caviglia con una mano, nel vano tentativo di impedire alle pulsazioni dolorose di raggiungere il piede. Candy aveva appena acceso il fuoco sulla sabbia e la vide sussultare con gioia, forse aveva appena emesso un gridolino, se non proveniva dagli uccelli. Sorrise e pensò a Georges.

Ti prego, ti prego non arrenderti. Cerca, cerca nell'area intorno alla nave affondata!

Quanto erano stati spinti lontano dalla tempesta? Quanto erano forti le correnti? E se l'isola era sconosciuta, quante probabilità c'erano che li ritrovassero? L'orizzonte gli restituì una linea piatta e calma, dove il mare azzurro brillava quasi vi fossero cadute sopra migliaia di stelle. Era un panorama da sogno, persino romantico a modo suo e ancora non gli sembrava vero che, dopo tanti anni di attesa, Candy fosse finalmente innamorata di lui.

Ma, come capitava sempre più spesso nella sua vita, il destino ci metteva poco a farsi beffe di una situazione in apparenza tranquilla. Se non fossero riusciti a tornare sulla terraferma, le possibilità di sopravvivenza loro due da soli, senza abiti, materie prime, medicinali e assistenza medica erano ridotte al minimo. Albert sedette in una posizione più comoda, senza staccare gli occhi dall'orizzonte, e cominciò a comprendere le preoccupazioni di Candy: il giorno prima era stato molto fortunato: se il veleno del ragno gli avesse provocato uno shock anafilattico o peggio, lei sarebbe rimasta sola. Se lui fosse scivolato sulle rocce sarebbe stato lo stesso. Bastava una ferita profonda che andasse in suppurazione per ucciderli e non sarebbe stata certo della semplice acqua salata o qualche pianta medicamentosa a salvare le loro vite.

D'ora in avanti sarebbe stato molto più attento, però non si sarebbe risparmiato. Quel giorno stesso avrebbe parlato con Candy e avrebbero disegnato una sorta di calendario sulla sabbia o sulle rocce: che giorno era, a proposito? Si stava già perdendo. Era lì sopra da circa mezz'ora e Candy non era più vicino al fuoco: forse era andata a prendere il pesce, così Albert spostò lo sguardo per individuarla e non la vide. Una punta di panico cominciò a impossessarsi di lui e iniziò a girare la testa da una parte all'altra, freneticamente.

Finché non la sentì urlare.

 
- § -
 
 
Candy aveva ritirato il 'lenzuolo da pesca' con un verso di disappunto: a quanto pareva, pesci e granchi avevano parlato tra loro e capito che non era il caso di tuffarsi lì dentro. Lo stomaco le brontolò, quasi sapesse che quel giorno non avrebbero avuto il pranzo.

Forse devo solo spostarmi in un altro lato dell'isola.

Alzò gli occhi e vide la figura di Albert sopra le rocce, lo sguardo perso in lontananza. Il rossore le raggiunse le guance quasi come un riflesso condizionato e, ancora una volta, s'impose di smetterla di comportarsi come una ragazzina infatuata

una donna innamorata

e pensare al cibo, piuttosto!

Ritirò del tutto il pezzo di lenzuolo e si guardò attorno, mordicchiandosi un'unghia. Forse poteva unire l'utile al dilettevole e raggiungere Albert ai piedi delle rocce provando a pescare lì il loro pranzo, così non avrebbero dovuto fare altro che trasportarlo vicino al fuoco e cuocerlo insieme. Come una coppia, come alla Casa Magnolia, dove non erano una vera famiglia perché fingevano ancora di essere fratelli, amici. Ora erano innamorati e quello era il loro spazio esclusivo. Fin troppo esclusivo. Di nuovo, mentre camminava, Candy ripensò alla Casa di Pony e a tutti coloro che erano rimasti in America: li avevano dati per morti o dispersi? Li stavano cercando o si erano arresi?
Candy si asciugò due lacrime traditrici e scese nell'acqua bassa, dove la sabbia digradava appena formando una sorta di piccola fossa: vide distintamente dei piccoli pesci nuotare. Fin troppo piccoli. Schioccò la lingua con un verso di disappunto e si deterse il sudore dalla fronte, tirando indietro i capelli.

Qualcosa sbucava dalla sabbia e si gelò dentro, perché non sembrava affatto un pesce. Poteva paragonarlo a una stella marina, ma il suo cervello aveva capito prima del ragionamento che si trattava di una mano. Bianca, raggrinzita, che galleggiava nell'acqua bassa quasi volesse fuggire via ma non potesse perché era di certo attaccata a un corpo.

Sì, era un'infermiera, ma non aveva mai visto un cadavere sepolto nella sabbia e l'immagine fu così macabra che l'urlo le risalì le viscere prima ancora che potesse pensare di trattenerlo. Si allontanò come se quelle dita flosce potessero afferrarla e portarla fin negli inferi e cadde in acqua scompostamente, un'onda le inzuppò i capelli e lei bevve acqua salata, tossendo e scuotendo il capo.

Cercò di tirarsi su, ma le gambe non le rispondevano e lei ebbe la visione di come sarebbero potuti finire lei e Albert solo pochi giorni prima. Cosa sarebbe ancora potuto accadere. Era assurdo che solo fino a un'ora prima si preoccupasse e si imbarazzasse per aver visto lui nudo, avvertendo le farfalle nello stomaco ai suoi baci, e ora si sentisse tanto vicina alla morte. La mano si alzò all'ennesima ondata e a Candy parve che la salutasse. Distolse lo sguardo, singhiozzando pietosamente, cercando di mantenere sotto controllo il respiro, chiedendosi a chi appartenesse. Un naufrago? Qualcuno che era stato trascinato lì dalla corrente da una scialuppa?

"Candy!". Spalancò gli occhi, che aveva chiuso, e fu sicura che fosse quel corpo, uscito dalle viscere dell'isola, che la chiamava, che la stringeva, che voleva portarla con sé. Era irrazionale, folle, ma si ritrovò a combattere e a divincolarsi. "Candy, calmati, sono io! Mi dispiace, perdonami... avrei dovuto dirtelo, ma non ho trovato il coraggio. Non volevo sconvolgerti!".

Albert? Era lui che l'abbracciava nell'acqua? E perché si scusava?

"Ho cercato di seppellirlo, ma a mani nude era impossibile scavare più a fondo. L'alta marea deve averlo trascinato fuori".

Finalmente, Candy si focalizzò su di lui e incontrò gli occhi azzurri che tanto amava e la rassicuravano: "Chi... chi è?", singhiozzò tremando.

"Il proprietario del terzo giubbotto di salvataggio".

 
- § -
 
 
Albert aveva appena terminato di raccontare a Candy la storia dello sfortunato naufrago che, disperato e confuso, aveva bevuto acqua di mare mentre la corrente lo trascinava a riva. Mentre parlava, aveva cominciato a scavare in un punto ancora più lontano dal mare, dandosi dell'idiota per non averci pensato prima. Certo, se la marea si fosse alzata molto c'era ancora la probabilità che lo raggiungesse, tuttavia grazie all'aiuto di Candy e con più tempo a disposizione avevano potuto perlomeno arrivare più a fondo: non c'era molto di meglio che potessero fare.

Candy si asciugò le ultime lacrime con la parte del braccio che non era lorda di sabbia e si volse dove il corpo era ormai quasi completamente esposto: era gonfio e aveva assunto una sfumatura verdognola che non lasciava dubbi sullo stato di decomposizione in cui si trovava. E loro avrebbero dovuto spostarlo in quella che, sperava, sarebbe stata la sua ultima dimora. Per fortuna la giacca sembrava ancora al suo posto.

Albert si tolse la striscia di tessuto dal capo e la avvolse sul viso, avendo cura di coprire il naso e la bocca quasi fosse una di quelle mascherine che si usavano negli ospedali quando c'era stata l'epidemia di influenza spagnola.

"Ti voglio aiutare". Si volse a guardarla e il viso di Candy era teso ma determinato, le lentiggini persino più evidenti con il sole tropicale. Stava per trasportare un cadavere nella sua tomba, eppure Albert non riusciva a pensare ad altro che baciarle una ad una, fino a rimanere senza respiro.

"Potrebbe essere... sgradevole", l'avvisò.

"Lo so", disse lei semplicemente, facendo la stessa cosa con il suo pezzo di stoffa.

Lo spettacolo era pietoso e Albert s'impose di non soffermarsi sui lineamenti quasi impossibili da riconoscere e sul fetore che attraversava il tessuto, permeandogli le narici e la gola. "Io lo solleverò sotto le braccia e tu puoi prenderlo dalle gambe". Avrebbe potuto anche trascinarlo da solo, ma la parte razionale gli rimandò l'immagine macabra di un corpo che si sarebbe disfatto sotto ai suoi stessi succhi di putrefazione.

Cercò di trattenere il respiro per tutta l'operazione, ma evidentemente Candy non fece altrettanto, perché quando furono in prossimità della buca che avevano preparato trotterellò in un angolo, si abbassò il tessuto dal viso e vomitò.

Albert le fu subito vicino, afferrandole i capelli e ponendole una mano sulla fronte: "Sc... scusami, non ho resistito... era...".

"Tranquilla, va tutto bene. È normale. Io ho trattenuto il respiro, forse avrei dovuto dirti di farlo". Candy fu scossa da un nuovo conato e lui la sostenne finché non fu di nuovo padrona di se stessa. "Vai a darti una rinfrescata, lo calo io nella buca".

"Ma...".

"Niente ma, Candy. Respira un po', riprenditi, torna dall'altra parte e bevi un po', se vuoi. Qui posso cavarmela da solo".

Invece Candy tornò dopo pochi minuti e lo aiutò a riempire la buca finché non fu compatta. Recuperarono due rametti e costruirono una piccola, rudimentale croce. Dissero una preghiera assieme e lei gli comunicò che non avevano pesce per pranzo con una vocina così contrita che la strinse fra le braccia per consolarla: "Non importa, non ho molta fame".

Ed era vero. Nonostante la mascherina improvvisata, pensò che quell'odore lo avrebbe perseguitato fin negli incubi.
 
 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo Quattro ***


Chicago, Villa Ardlay
Dieci giorni. Dieci giorni dal naufragio e solo una notizia, lapidaria e drammatica, che dava William Ardlay e la sua pupilla Candice White dispersi nell'Oceano Atlantico. I loro nomi non erano nella lista dei superstiti che Georges aveva voluto farsi recapitare con un telegramma urgente, per poterla leggere con i propri occhi. Occhi che, assieme a quelli di Archibald, avevano letto e riletto il maledetto foglio con l'assurda illusione che le lettere si materializzassero come per un sortilegio, magari messe assieme in modo sbagliato da qualcuno che avesse trascritto male i nomi.

Ma no, non c'era nulla che vi somigliasse, a parte quel William Smith su cui aveva indagato subito e che aveva scoperto non essere altri che un medico volontario diretto in Africa, il quale aveva già raggiunto le coste del Marocco e stava cercando di riprendersi dalla funesta traversata.

Georges si prese la testa fra le mani, comprendendo che fare ricerche sarebbe stato il prossimo passo, ma rendendosi anche conto che se davvero fossero stati vivi, avrebbero già avvisato. Dieci giorni. Forse erano entrambi feriti e non potevano comunicare. Forse William aveva di nuovo perso la memoria. Ma la signorina Candice? Possibile che avesse avuto una sorte peggiore e ora giacesse priva di sensi in un letto di ospedale o peggio? Nessuno dei due era in grado di comunicare?

I morti non mandano telegrammi...

Vide una goccia cadere sul foglio con l'inutile lista dei sopravvissuti e, stupito, si portò una mano al viso, dove grosse lacrime avevano preso a scendere senza che nemmeno se ne accorgesse. Si appoggiò allo schienale della poltrona, prendendo un respiro profondo. I membri del clan spingevano per avere notizie e nel caso riorganizzare le cose: si dicevano sconvolti, annichiliti, ma la vita andava avanti e occorreva rivoluzionare l'intero organigramma.

Georges aveva battuto un pugno sul tavolo, discretamente, ma con il primo gesto di rabbia della sua vita. Lo avevano guardato come se fosse impazzito e magari era proprio così. "Non abbiamo ancora la certezza che William sia morto e voi già pensate a un successore? Che differenza vi fa attendere qualche altra settimana?".

Aveva lanciato uno sguardo ad Archibald, che stava in un angolo con il capo chino. Si stava facendo carico di molte responsabilità in quel periodo e, sconvolto com'era, era davvero ammirevole quanta lucidità avesse mantenuto. Lui stesso l'aveva appena perduta.

"Villers, ragiona: William è fuggito in Africa per la seconda volta con la scusa degli affari e con la sua ex protetta maggiorenne, per giunta. La prima volta abbiamo pensato che fosse morto in quell'incidente ferroviario. Possiamo essere altrettanto fortunati dopo un naufragio? Pensi forse che tornerà fra un paio d'anni, con la barba lunga, raccontandoci che è stato su un'isola deserta e magari con prole al seguito?".

Georges aveva guardato Mc Callahan, inorridito. Pensavano davvero di arrendersi così facilmente? E se davvero William e Candice fossero approdati su un'isola deserta? Non avrebbe lasciato nulla d'intentato, non li avrebbe dati per morti fino a che non avesse davvero ritrovato i corpi. Con una punta d'amarezza, però, ricordò che per Stair avevano predisposto solo delle ricerche a distanza e il corpo non era comunque stato ritrovato, essendo disperso in mare.

Con gesti stanchi, si alzò dalla poltrona e andò alla finestra, guardando il verde brillante dell'estate piena che avvolgeva il giardino: lì, molte volte William e Candice si erano messi a passeggiare e a chiacchierare, con una complicità che non lasciava dubbi su quanto il loro rapporto stesse alfine evolvendo. Ci sarebbe mai stata la felicità nella famiglia Ardlay? O erano destinati a veder morire uno ad uno tutti i componenti più giovani e promettenti finché non fosse rimasto solo lui con gli anziani? Georges aveva attraversato molti momenti cupi nella propria vita, ma il dejà-vù di William disperso e con la meravigliosa signorina Candice, per giunta, lo stava prostrando oltre ogni sua più nera aspettativa.

Sì, avrebbe continuato a cercarli, anche dalla base operativa di Chicago. E se non fosse bastato, sarebbe partito personalmente per setacciare tutte le isole vicine e le coste.

 
- § -
 
 
Una dea. Non aveva altri appellativi più adeguati. Una dea del mare, una sirena, una driade. Eppure era la stessa Candy di sempre, bella certo, ma in quel momento gli parve quasi un miraggio. Lì, seduta su uno scoglio, lisciando i lunghi capelli biondi che sembravano un manto sontuoso fatto d'oro che brillava al sole. Albert deglutì a secco e si chiese se fosse stato troppo lì sotto al sole a guardarla di nascosto e non fosse ora di bere un po' d'acqua.

D'improvviso, Candy sbuffò, frustrata, e gettò indietro il capo facendo ondeggiare la chioma. Il movimento, seppur veloce, Albert lo vide a rallentatore e toccò corde del suo essere e del suo corpo che non credeva nemmeno potessero vibrare con un semplice gesto: amava da tanto tempo Candy e il loro livello di complicità aveva di recente raggiunto vette inimmaginabili. Forse fu quello a fargli desiderare di affondare le mani in quei capelli, a dispetto del caldo, della fame e della sete e del futuro incerto che avevano.

"Albert! Puoi venire ad aiutarmi, per favore?". Stava sognando, ne era quasi certo. La voce di Candy gli parve invitante e sensuale anche se aveva parlato con il tono imbronciato di una bambina.

"Oh, sei qui!", disse fingendo di non essere rimasto impalato a guardarla per cinque minuti buoni.

"Vorrei tagliare i capelli, ma non so come fare!", disse quando la ebbe raggiunta.

Albert non resistette all'impulso di toccarli: lo anelava da troppo tempo. "E perché vorresti farlo?".

"Perché sono tutti annodati e non ho nulla per pettinarli! Magari con il rasoio e dei rami affilati... non so... potrei eliminare il problema accorciandoli. Non sono molto pratici e legarli diventa sempre più difficile".

Lui la guardò: comprendeva il suo disagio, non c'era dubbio. Di certo avere dei capelli così lunghi era impegnativo quando si deve sopravvivere su un'isola. "Lasciami controllare", disse a voce bassa e un po' roca. Lentamente, infilò le dita tra le ciocche ricce e cominciò a far scendere la mano finché non trovò resistenza. Allora, con l'altra, si adoperò a sbrogliare la piccola matassa cercando di non tirarli. Candy rimase a guardarlo, l'espressione sempre più rilassata e lui andò avanti, procedendo fino alle punte e ricominciando da un altro lato. Non seppe dire quanto tempo passò sciogliendo i nodi di Candy, ma si rese conto che lei respirava sempre più velocemente e stava protendendo il viso verso il proprio. E non attese oltre per chiudere la distanza.

Baciare Candy con le mani affondate tra i suoi capelli ribelli gli trasmise sensazioni ed emozioni che avrebbe solo potuto paragonare al mare impetuoso, alle onde che s'infrangevano sul bagnasciuga e al vento che piegava le cime degli alberi. Non sapeva cosa gli stesse succedendo, ma capì che non aveva mai desiderato una donna come Candy. Perché l'amava. Perché adorava il suo modo di essere da tutta la vita e voleva che fosse sua, completamente sua. Le sue braccia si mossero per stringerla di più e l'ansito quasi sensuale di lei lo bloccò in quell'atto.

Cosa diavolo sto facendo, per l'amor di Dio?!

Erano lì da meno di due settimane e già stava perdendo la testa? Lui, che era sempre stato l'autocontrollo personificato e che era convinto di aver sempre rispettato Candy. La sua dolce, ingenua Candy, che gli stava chiedendo perché si era fermato.

"Voglio provare a costruire delle forbici o qualcosa di affilato. Può esserci utile anche per aprire meglio le noci di cocco", disse con voce affannata, allontanandosi da lei.
"Oh... pensavo che ti saresti offerto di sbrogliarli tu ogni mattina", disse ridacchiando.

Non sai quanto mi piacerebbe, Candy, ma forse non è una buona idea...

"Posso anche farlo, ma poi perderemmo ore a baciarci invece di procacciarci il cibo". Le fece l'occhiolino e colse lo sguardo imbarazzato di lei.

"Comunque l'idea di pescare con dei tronchi affilati è buona, ma devo dire che preferivo l'altro metodo", aggiunse lei seguendolo nei pressi delle palme e degli alberi.

"Non ti sorride l'idea di doverli infilzare prima che siano da cuocere, vero? Riconosco che è un metodo barbaro che disperde molte energie, ma una volta che riesci nell'intento funziona".

"Funziona soprattutto con il granchi che sono più lenti. E li adoro, davvero! Ma li mangiamo da tre giorni e non mi dispiacerebbe qualche altra specie". La vide staccare un ramo secco particolarmente affilato. "Oh, va bene, odio uccidere i pesci in quel modo!", ammise battendo un piede sulla sabbia e alzando una piccola nuvola.

Albert scoppiò a ridere: "Lo sapevo! Allora faremo così: io mi metto a cacciare come un rozzo uomo primitivo e tu continuerai con il metodo classico della rete, che te ne pare?".

"Mi pare una buona idea. E un'altra cosa: non perdiamo tempo a cercare di capire come costruire delle forbici o cose simili". La vide afferrare un cocco, infilzarlo con precisione col ramo appena colto e bere dal foro che aveva praticato. "Mi armerò di santa pazienza e lo farò con il rasoio, sperando solo di non rovinare la lama".

Lui sospirò, accettando la noce di cocco per bere: "Prima o poi dovrò farlo anche io con i miei capelli e se trovo una pietra adeguata posso sempre affilarla. Però ti aiuterò, non credo che tu possa arrivare facilmente alla schiena".

Candy annuì: "Occupiamoci delle provviste, ora. Lo faremo quando la nostra sopravvivenza sarà garantita", disse in tono pratico.

Albert le sorrise: "Sei incredibile, Candy".

"Cosa? Perché...?", chiese smarrita.

"Perché riesci davvero ad adattarti a qualunque situazione. È uno dei lati del tuo carattere che amo di più, perché in questo sei molto simile a me: non ti preoccupi del superfluo, ma ti adegui a quello che c'è godendo delle piccole cose".

"Per questo volevo seguirti in Africa, per vivere con te come facevano alla Casa Magnolia o come quando abbiamo fatto quella specie di piccola gita nella tua capanna, dopo che c'è stata la tua presentazione. Voglio condividere con te questi momenti semplici, perché rappresentano la parte più vera di noi".

"Magari ci saremmo accontentati dell'Africa ed evitato il naufragio...".

"...magari sì", convenne lei con un risolino affettato.

"Ti amo, Candy, non mi stancherò mai di dirtelo". Le pose una mano sulla guancia, pronto a baciarla di nuovo. Fu in quel momento che il proprio terremoto interiore parve trasmettersi al terreno, facendolo tremare e inducendoli a guardarsi intorno, stupiti.

"Una scossa! Una scossa di terremoto!", esclamò Candy con gli occhi spalancati.

Senza ulteriori indugi, la portò lontana dagli alberi, nell'area più vicina alla riva, dove nulla poteva cadere sulle loro teste. Restarono accovacciati lì, abbracciandosi mentre le palme ondeggiavano e gli uccelli volavano via lanciando il loro grido. Alcune noci di cocco caddero sulla sabbia con tonfi sordi e il mare parve decisamente più agitato. Fu come sentir sospirare forte l'intera isola.

Quando il movimento diminuì, Albert osò allentare la presa su Candy, che tremava come una bambina. "Ora ci sarà un maremoto, vero? Ho letto che se c'è un terremoto su un'isola poi arriva una forte ondata...".

Albert, che amava leggere libri sulla natura e sui suoi fenomeni, mormorò una parola che gli era salita alle labbra quasi senza che se ne rendesse conto: "Tsunami".

"Cosa?!". Candy sembrava ancora più spaventata e lui scosse la testa.

"Scusami, mi sembra che i giapponesi lo chiamino così. Però, Candy, non è detto che al un sisma corrisponda per forza un maremoto. Per sicurezza, però, per oggi ci sposteremo all'interno. Voglio controllare che non ci siano spaccature nel terreno, oltretutto".

"È perché siamo su un'isola vulcanica, vero? Può dipendere da questo!". Candy si era messa a camminare con prudenza dove erano cadute le noci di cocco e aveva cominciato a raccoglierne.

Albert sospirò e la seguì: "Non è detto: il vulcano potrebbe essere sopito da secoli o persino da millenni. Il terremoto che abbiamo sentito potrebbe derivare da uno scorrimento tra placche tettoniche". Lei lo osservò, accigliata. "Sì, insomma, parlo di movimenti della crosta terrestre. Non farci caso, credo di aver letto anche libri che in teoria non mi sarebbero mai serviti. In pratica, ora sono utili eccome".

"Ti immagino, mentre i tuoi precettori cercavano di farti studiare economia e tu aprivi volumi sulla natura e sugli eventi naturali", rise lei, immaginò per scaricare la tensione di poco prima. Ammirò il suo coraggio e sperava davvero fosse ben ripagato. Se il vulcano di quell'isolotto fosse stato ancora attivo, ogni momento poteva essere buono per allarmarsi sul serio.

"Sappi che studiavo entrambe le cose", disse con orgoglio. "Ora andiamo a vedere se riusciamo a pescare qualcosa al volo, poi torniamo nella nostra seconda casa piena di cocco e maracuja".

Avrebbero dovuto riaccendere il fuoco in sicurezza e sostare lì sperando che il livello del mare non si alzasse. E, per un po' di tempo, non avrebbero potuto scrutare l'orizzonte pronti ad alimentare il falò sulla spiaggia nella speranza che qualcuno li vedesse. Eppure, nonostante tutto, avere Candy al suo fianco era tutto ciò di cui aveva bisogno al momento.

 
- § -
 
 
Albert corse nell'acqua e lanciò il bastone con un gesto secco per infilzare il grosso pesce che nuotava nel fiume. Il letto era abbastanza ghiaioso, tuttavia Candy fu sorpresa che non scivolasse nonostante il movimento rapido. Ricadde però con le braccia avanti sotto al suo stesso slancio, in tempo per afferrare la sua preda che si muoveva a scatti, perfettamente infilata nel pezzo di legno affilato.

"Nulla di personale, ma stasera il menù prevede pesce d'acqua dolce!".

Lei scosse la testa e rise: con i pantaloni arrotolati fin sotto alle ginocchia e la camicia parzialmente sbottonata sembrava davvero una sorta di uomo primitivo. Inoltre non si radeva da almeno due giorni e i capelli avevano già cominciato a toccargli le spalle. Candy raccolse i propri sulla spalla in una sorta di goffa treccia e sbuffò: era come avere una sciarpa di lana addosso e non vedeva l'ora di avere un po' di tempo per provare a tagliarli.

Scoccò un'occhiata al fuoco che aveva acceso e notò che occorreva strappare altra erba per scongiurare il pericolo d'incendio. Albert era ancora impegnato con i pesci e lei si mise di buona lena con un bastone lungo a creare un'ampia striscia di terra intorno al falò perché la vegetazione non ne fosse raggiunta. Quando terminò era in un bagno di sudore e, senza pensarci sue volte, tirò un po' su la gonna e si gettò in acqua dove c'era Albert.

"Ci hai ripensato?", chiese lui porgendole il bastone. I pesci pescati giacevano su una grossa pietra e Candy si rese conto che erano solo due: uno sbatteva ancora debolmente la coda.

"No, ma avevo bisogno di rinfrescarmi", gli rispose inginocchiandosi nell'acqua bassa e gettandosene sul capo. "Quei pesci...".

"...sono troppo piccoli per una cena, lo so. Ma quelli di mare oggi sembravano avere altri piani che finire nelle nostre reti e se possiamo aggiungere un po' di proteine alla frutta non mi dispiacerebbe".

"Magari si sono spaventati per il terremoto e se ne sono andati al largo".

Albert si strinse nelle spalle: "Tutto è possibile. Candy, non muoverti!". Le passò vicino, piegò il braccio destro e lanciò con una specie di grido di guerra. Stavolta finì persino con la faccia nel fiume e lei accorse subito: se ci fosse stato un sasso si sarebbe potuto fare male seriamente.

"Ehi, tutto bene?".

Lui riemerse gettando indietro la testa e i capelli tracciarono scie di acqua e di luce dai riflessi dorati. Candy arrossì di riflesso, ora certa che i lineamenti di Albert fossero integri.

"Sì, è solo il mio orgoglio a essere ferito".

Ridacchiò con lui: "Dai, non fa nulla. Male che vada mangeremo quello che c'è, ti ho mai detto che volevo mettermi a dieta?".

Lui scosse la testa: "Voglio provare ancora".

Candy sospirò e usci dal fiume, strizzando il lembo del vestito e andando a prendere il secchio per sterilizzare altra acqua. Lo pose accanto al fuoco e si guardò intorno. "Ehi, Albert!".

"Cosa?".

"Vorrei andare in esplorazione da quel lato", gli disse indicando il punto dove gli alberi si diradavano un po'. "Non abbiamo mai guardato da quella parte o sbaglio?".

Lui si accigliò: "Non mi piace l'idea che tu te ne vada in giro da sola".

Candy guardò in aria: "Ha parlato il maschio alfa che se ne va da solo sulle rocce lasciandomi a dormire. Pensavo che tra noi non ci fossero certi limiti".

"Andiamo, lo sai che non si tratta di questo: siamo su un'isola deserta chissà dove nell'Atlantico e non abbiamo idea di che animali vivano qui".

Lei si guardò attorno, allargando le braccia: "Di sicuro non mammiferi, né rettili pericolosi, a parte il ragno velenoso che ti ha morso. Terrò gli occhi aperti: ti ricordo che sono cresciuta in campagna".

"Una campagna americana, non nei tropici", puntualizzò lui, ma sembrava già arreso.

"Non sono una sprovveduta".

Albert alzò le mani in un gesto di resa: "Va bene, ma se fra mezz'ora non ti vedo vengo a cercarti".

"Albert!".

"Va bene, facciamo tre quarti d'ora".

Di nuovo, lei volse lo sguardo al cielo e si congedò con un lieve cenno della mano, quasi fosse un normale giorno a Chicago e non l'ennesimo su una striscia di terra spersa in un punto indefinito fra America e Africa. A dire il vero, Albert era stato molto preciso nel creare quella sorta di cartina e lei stessa era convinta di non essere troppo lontana dall'arcipelago portoghese. Ma il calendario rudimentale che avevano creato aveva raggiunto sufficienti segni di spunta per farle comprendere che non li stavano cercando nel posto giusto. O forse non lo stavano facendo affatto. Candy si era impedita a lungo di ripensare a casa e ai suoi cari, soprattutto perché la presenza confortante di Albert, nonché la necessità di sopravvivenza, la tenevano tutto sommato impegnata.

E se non ci trovassero mai? Se ci avessero già dati per morti?

Mentre superava la fila di alberi e s'inoltrava in una zona più rocciosa, Candy seppe che era una possibilità più che concreta e che non avrebbero lasciato nulla d'intentato. Albert aveva già individuato legna e bambù per costruire una zattera, ma si trattava di un tentativo disperato che poteva portarli persino più velocemente alla morte, se avessero sbagliato strada. E se ci fosse stata un'altra tempesta e fossero annegati? E se avessero vagato per giorni fino a morire di sete e di fame? Non avevano affrontato mai con troppa convinzione l'argomento, perché la speranza di una salvezza dal mare era ancora vivida.

Candy stava per tornare indietro, bollando come inospitale quel tratto dell'isola che era lontano dal mare, dall'acqua dolce e senza alcun riparo dal sole, quando intravide quella che sembrava una grotta. Titubante, tornò sui suoi passi e si affacciò all'entrata: a una prima occhiata era molto, molto più profonda di quella vicino alla spiaggia e non vedeva che un antro buio e scuro. Fece un paio di passi, dicendosi che non sarebbe andata certo oltre, e fu raggiunta da una sorta di corrente fresca che la fece sospirare di sollievo. Forse, se si fossero trattenuti vicini all'entrata, di giorno avrebbero potuto godere di un riparo persino più gradevole dell'ombra degli alberi, senza contare che un fuoco acceso lì non aveva vegetazione con il quale alimentarsi per sbaglio.

I pochi passi diventarono molteplici e Candy si ritrovò al buio, voltandosi per guardare l'entrata che era una sorta di luminoso arco sbilenco. Doveva tornare indietro, si era inoltrata fin troppo e si diede dell'idiota: meno male che aveva quasi preso in giro Albert per non fidarsi di lei! Inoltre, il terreno sotto ai suoi piedi non era forse leggermente in discesa?

Si avviò sulla via del ritorno quando un'altra scossa di terremoto la destabilizzò tanto che cadde a sedere in maniera scomposta, gridando quando quello che sembrava un gruppo di pipistrelli le volò sulla testa. Candy urlò e annaspò nel buio cercando di tornare alla luce, che non era lontana, ma le parve ondeggiare al ritmo della scossa che non sembrava arrestarsi.

E la terra le franò sotto i piedi.

 
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Albert rimase fermo per interminabili istanti, guardandosi attorno e cercando di rimanere in piedi mentre la terra tremava sotto di lui. Guardò in aria gli uccelli che volavano come impazziti dalle fronde degli alberi, quindi spostò gli occhi sul fuoco che mandò le sue lingue tutto attorno. Si avvicinò: l'acqua era ormai bollente e scostò il secchio da dove lo aveva lasciato Candy. Tutto tornò fermo e immoto, si udivano solo i richiami di qualche gabbiano. Sospirò e mise i tre pesci che aveva pescato puntellati sul terreno vicino al falò.

Candy non era ancora tornata e lui aveva perso la cognizione del tempo, maledizione! Una cosa era tenere la conta dei giorni e delle settimane, un'altra avere la percezione precisa delle ore. Aveva tentato, con le ombre e la posizione del sole, di creare una sorta di orologio, ma era impossibile essere certi di aver colto il momento reale della giornata.

Erano passati i tre quarti d'ora? Aveva perso la conta delle volte in cui aveva cercato di pescare in quel fiume e ormai i suoi vestiti erano zuppi: non voleva toglierli rischiando di mettere in imbarazzo Candy se fosse tornata, ma si disse che avrebbe potuto camminare nella direzione presa da lei mentre il pesce cuoceva e l'acqua si raffreddava un poco.
La vegetazione scomparve poco a poco e sotto ai piedi ormai callosi avvertiva solo la durezza della terra e della ghiaia: quel lato era così inospitale, oltre che lontano dall'acqua, che Candy non poteva essersi addentrata da quella parte. Così, tornò indietro e prese a costeggiare il fiume inoltrandosi nella parte più verde: probabilmente anche lei aveva deciso di fare altrettanto e lui non se n'era accorto.

Tuttavia, quando arrivò nei pressi di quella che sembrava una vera e propria foresta, cominciò a chiamarla e, non ricevendo risposta, iniziò ad avvertire le prime avvisaglie di panico. Candy non era affatto una sprovveduta e aveva attraversato un oceano come clandestina quando era solo una ragazzina, oltre a tutta una serie di altri pericoli su cui non voleva soffermarsi. Ma lì, nella natura selvaggia e a tratti sconosciuta, il pericolo poteva essere dietro l'angolo. E c'era stata un'altra scossa di terremoto neanche troppo lieve.

Albert tornò all'accampamento, superò il loro rifugio sotto agli alberi e cominciò a guardarsi attorno quasi con frenesia, chiamandola ancora e ancora a gran voce. Ma fu sempre e solo il richiamo degli uccelli a rispondergli. Si arrampicò persino su un albero, da dove controllò tutta l'area, prima di ricordarsi che se fosse stato colto da un sisma lì sopra avrebbe potuto perdere facilmente l'equilibrio. Ridiscese e decise di riprendere il sentiero più brullo, perché c'era qualcosa che d'istinto lo riportava lì. Aveva visto quella che sembrava l'imboccatura di una grotta e poteva darsi che Candy fosse entrata per dare un'occhiata. Il suo cervello, però, aveva registrato i segni di uno sgretolamento recente e aveva allontanato da sé l'idea.

Fu proprio quello a farlo cominciare a correre: che stupido, perché aveva ignorato l'istinto, poco prima?

"Candy! Candy, sei lì dentro?".

"Albert!".

Perché la sua voce risuonava così lontana e soprattutto in basso? Imprecando tra i denti, entrò cauto, desiderando aver portato del fuoco per fare luce,
"Dove sei?!".

"Non lo so! Qui sotto!".

Albert emise un sospiro frustrato, cercando di non inciampare dove le rocce erano franate: "Continua a parlare! Come diamine hai fatto ad arrivare così lontana? Non si vede niente!".

"Avevo la luce alle spalle prima della scossa, ma poi devo essere caduta di sotto e non sono riuscita a risalire".

Un brivido gli attraversò la schiena: "Sei ferita?".

"Io... non penso sia grave, solo un graffio".

"Santo cielo, Candy!".

"Stavo per uscire quando è arrivata la scossa! Era così fresco qui dentro che ho pensato potesse rappresentare un buon rifugio nelle ore più calde, ma non è stata una buona idea".

"Decisamente no", disse a voce più bassa, cercando di mettere a fuoco qualcosa nel buio e notando solo delle sagome scure in alto. Di certo pipistrelli. "Ascolta, devo tornare all'accampamento per prendere un falò, non vedo nulla e non sarò in grado di aiutarti! Ce la fai a resistere ancora un po'?".

"Se qualche altro pipistrello non decide di attaccarsi ai miei capelli direi di sì".

"Stasera, dopo cena, li taglieremo", promise, cercando di infondere ottimismo anche a se stesso. "Vedo di recuperare anche una liana o qualcosa del genere nel caso in cui serva una corda. Hai idea di quanto ti trovi in basso?".

"Io... io non lo so! È tutto buio!".

Albert strinse i denti, cercando di mantenere la calma e la lucidità, ma sapere che Candy era in pericolo non lo faceva ragionare come avrebbe voluto. "Tornerò prima possibile. Cerca di proteggere la testa se dovesse arrivare un'altra scossa, farò in un lampo!".

E corse, Albert, come non aveva mai corso in vita sua. Recuperò un ciocco di legno robusto dal falò e lo mise da parte, quindi raccolse quante più piante fibrose potesse, oltre a parti di corteccia qualora si fosse trovato nella necessità di creare una corda: ricordava di averlo fatto mentre viveva nei boschi di Lakewood ed era stato proprio così che era riuscito ad assicurarsi a un albero mentre entrava in acqua per salvare una ragazzina di tredici anni precipitata giù dalla cascata.

Ti salverò anche stavolta, Candy, non dubitarne!

Mentre correva di nuovo verso la grotta, lo sorprese un'altra scossa, ma non si fermò, cercando di mantenersi in piedi e gridando il suo nome, evitando per un pelo una serie di piccole pietre che si staccarono dall'entrata come una grandinata asciutta.

"Albert!". La voce di Candy era pregna di panico e lui individuò il punto in cui il terreno degradava mostrando una falla nella quale doveva essere caduta lei. "Albert, mi dispiace, perdonami!".

"Non è il momento di scusarsi!", la interruppe posando il materiale per la corda e inginocchiandosi per guardare dentro.

E Candy era maledettamente troppo lontana.

La vide alzare su di lui il viso spaurito e fare qualche passo. Con orrore, si rese conto che zoppicava. E non era sangue quello che le colava lungo la gamba? Candy aveva legato sul ginocchio un lembo del vestito, che si era ridotto a una gonna corta, e pregò che la ferita non s'infettasse.

"Ho provato a risalire, però...".

Albert posò la torcia accanto a sé e si sporse nell'apertura, sdraiandosi per non rischiare di finire dentro con lei mettendo fine alle loro speranze. Magari ci sarebbe stata un'altra uscita, passando per le viscere di quella grotta, ma poteva averne la certezza?

"Afferra la mia mano!".

Candy cercò di arrampicarsi e di allungare un braccio, ma si vedeva che il ginocchio le faceva male e la sofferenza che le vide disegnata in viso lo frustrò in modo insopportabile.

"Non ci arrivo, non...".

Albert si allungò ancora di più, chiedendosi se non dovesse davvero realizzare una corda per tirarla su o calarsi lui: ma aveva tempo? La roccia poteva di nuovo franare e non sapeva se ci sarebbero state altre scosse di terremoto.

"Coraggio, riprova!".

Candy aggrottò le sopracciglia, concentrata, e riprovò ad arrampicarsi fin dove la parete glielo permetteva, allungando il braccio fin quasi a sfiorargli le dita. Fu allora che la terra tremò di nuovo. E lei cadde, gli occhi spalancati piedi di terrore, la bocca aperta in un urlo muto.

"CANDYYYYY!".

 
- § -
 
 
Il calore del fuoco era confortante nella notte più fresca. Ma quello che apprezzava di più proveniva dalle braccia protettive dell'uomo che la stava stringendo a sé nel sonno, di certo sfinito quanto lei. Tuttavia, fu sicura che se solo si fosse mossa troppo, lui si sarebbe svegliato di colpo chiedendole se stesse bene: e lei non voleva interrompere quel contatto, né svegliare quello che sembrava un angelo addormentato.

Un angelo con l'ombra scura della barba, i capelli arruffati e i vestiti quasi a brandelli, ma di una bellezza accecante che veniva dalla sua anima, oltre che dall'aspetto fisico. Candy ne fu commossa fino alle lacrime, anche se il ginocchio le pulsava di un dolore sordo sotto alla fasciatura che avevano rifatto insieme. Albert le aveva lavato personalmente la ferita, trasmettendole brividi lungo tutta la gamba e sulla schiena nonostante il dolore, le aveva dato da bere e da mangiare impedendole di alzarsi e la stava letteralmente proteggendo col proprio corpo, sotto al loro piccolo tetto di rami. Non credeva che sarebbe mai uscita così velocemente da quella sorta di buca nella caverna, ma lui aveva compiuto una sorta di miracolo, intrecciando in pochi minuti una corda piuttosto resistente con delle foglie fibrose e della corteccia, raccontandole che lo aveva già fatto in passato. Candy sospettò che volesse farla parlare dopo lo shock della caduta, che l'aveva lasciata priva di sensi per alcuni momenti: erano state le urla piene di urgenza e di dolore di Albert a farla riavere e si era accorta, con enorme sollievo, che non aveva battuto la testa forte come temevano. Di certo lo svenimento era stato dovuto a un mix di stanchezza e paura.

Candy aveva afferrato la corda improvvisata, ancorata a uno sperone di roccia, che si era rivelata piuttosto resistente, pur cercando di usare soprattutto la forza delle gambe e delle braccia. Ma era stata determinante per farle raggiungere la mano di Albert. L'aveva tirata a sé con forza, gli era caduta addosso e lo aveva sentito tremare mentre la stringeva.

Il terreno si mosse di nuovo e Candy spalancò gli occhi guardandosi attorno. Albert borbottò qualcosa nel sonno e la abbracciò ancora più forte, facendole dimenticare la scossa sismica e trasmettendole qualcosa di molto simile nel corpo. Si rannicchiò contro di lui, in attesa che finisse, e aspirò il profumo muschiato che proveniva dal suo petto. Sarebbe rimasta così per sempre.

Così, cullata dal respiro di Albert e della natura, Candy si addormentò.

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Capitolo 5
*** Capitolo Cinque ***


Albert strizzò la camicia, ormai priva di quasi tutti i bottoni, che aveva lavato nel fiume e la appese su una sorta di filo di fortuna che avevano teso usando due rami e la lunga striscia fibrosa dalla foglia di una palma. Stare sulla spiaggia non aveva portato ad alcun risultato e quel giorno si erano stabiliti all'interno dopo aver fatto scorta di pesce da cuocere, se non altro per stare più freschi. Candy si diresse a sua volta verso il fiume a un suo cenno del capo per lavare il proprio abito intriso di salsedine: avere l'acqua dolce a portata di mano era una vera e propria benedizione, non c'era dubbio.

A dire il vero, quella mattina si era svegliato nella loro grotta facendo l'ennesimo segno sul calendario e si era reso conto che erano passate quattro settimane e un giorno. Non che non se ne rendesse conto e che non pensasse che anche Candy non se ne fosse accorta, ma quella era la conferma ulteriore che le loro tracce non erano così ovvie da seguire come aveva sperato. Che l'isola fosse deserta era evidente, che fosse così nascosta nelle cartine da non meritare l'attenzione di Georges era preoccupante. Una parte meno ottimista di sé gli aveva anche suggerito che forse non li stava neanche cercando e che li avessero dati per morti: supponeva fosse stata stilata almeno una lista di superstiti e di certo loro non erano fra quelli, visto che erano dispersi. Ma lui era pur sempre il patriarca degli Ardlay e prima di celebrare un funerale avrebbero certo fatto di tutto.

Pensando e ripensando al loro destino, Albert era infine arrivato alla grotta dove Candy era caduta tempo prima: si era spaventato a morte, tanto che per molti giorni si era ritrovato a dormire abbracciato a lei, quasi temesse che potesse sfuggirgli. Anche se si trovavano in una situazione di emergenza, dormire con il suo corpo fra le braccia gli dava un senso di sicurezza enorme, che derivava dalla certezza di poterla proteggere persino quando la coscienza veniva meno. Una notte l'aveva udita invocare Anthony e aveva asciugato le sue lacrime sussurrandole che andava tutto bene: non credeva si fosse svegliata davvero, ma era certo che le sue parole e la sua voce le fossero arrivate.
Albert entrò nella grotta per alcuni passi e si chiese se spostare il loro riposo lì dentro, perlomeno durante il giorno. Nonostante il fiume, il caldo nelle ore più centrali era opprimente, anche se lui era abituato al sole africano. Candy sopportava bene, a dirla tutta, però si vedeva che era meno abituata di lui a quelle temperature estreme e farlo in quelle condizioni, senza neanche un nutrimento adeguato, non era la condizione migliore. Avevano perso peso entrambi, anche se il pesce e la frutta abbondavano, ma non mangiavano carne da un mese e gli unici carboidrati che consumavano si trovavano in parte in quest'ultima. Anche in questo caso lui si sentiva avvantaggiato, pur se in Africa era più la carne ad abbondare che non il pesce. Aveva perso il conto delle volte in cui si era dovuto tirare su i pantaloni, temendo uno sgradito incidente davanti a lei: la cinta era arrivata all'ultimo foro una settimana prima e quando aveva tentato di praticarne un altro, forse complici il sole e la salsedine, si era spezzata tra le sue mani. L'aveva messa da parte, pensando che gli sarebbe potuta servire in futuro, e aveva usato una striscia di foglia di palma come quella per il loro stendi-bucato improvvisato come cinta.
Ormai Candy doveva aver finito di lavare l'abito, così Albert si risolse a tornare indietro per pranzare insieme. Il pesce doveva ormai essere cotto a puntino e lui era abbastanza affamato. Quando la trovò in lacrime, con l'abito tra le mani, in sottoveste, fu diviso dal desiderio di consolarla e quello di non metterla in imbarazzo. Lei si volse e Albert non seppe davvero come comportarsi.

Fu lei a trarlo d'impaccio: "Oh, Albert! Il mio vestito si è strappato tutto, appena ho cercato di strizzarlo il tessuto si è strappato e io... io...!". Singhiozzava così forte che resistette a malapena all'impulso di chiuderla fra le sue braccia.

"Candy, se ti può consolare anche i miei vestiti sono sul punto di disintegrarsi", disse indicando la camicia logora e i pantaloni arrangiati con la foglia di palma.
Probabilmente la situazione dovette apparirle comica, perché Candy si mise a ridere tra le lacrime, asciugandosi gli occhi con il braccio. Con i capelli corti fino alle spalle e quello che sembrava un bizzarro costume da bagno, era così bella che non poteva pensare ad altro che a baciarla.

"Scusami, lo so che sono una sciocca. E non dovrei provare tanta vergogna obbligando anche te a indossare quegli stracci... ormai è passato più di un mese e non potevo certo essere convinta che i vestiti sarebbero rimasti intatti per sempre con la vita che facciamo!".

Albert azzardò un passo verso di lei, cercando di guardarla negli occhi e non in altre parti

scoperte

del corpo.

"Sono disposto ad avvolgermi nelle foglie di palma pur di non procurare imbarazzo a questa donzella", disse in modo pomposo inchinandosi con un braccio dietro alla schiena, deciso a stemperare la tensione.

Lei rise più forte e Albert fu felice di udire quel suono. "Sono certa che ti starebbero bene anche quelle", disse facendogli inarcare un sopracciglio. "Voglio dire... uhm... mettiti comodo, io tanto sono indecente".

Sospirò, togliendosi la camicia rotta e ponendogliela sulle spalle: "Non sei indecente, Candy. Ma se ti fa stare meglio puoi coprirti con questa, finché durerà. Io terrò i miei pantaloni, ma temo che prima o poi li perderò da qualche parte".

Candy abbassò gli occhi sulla cintura arrangiata, arrossendo: "Non importa. Insomma, ci sono cose più importanti degli stupidi tabù".

"Ho pensato che se vuoi possiamo passare la giornata nella tua grotta, visto che da qualche giorno non ci sono scosse sismiche". In realtà, Albert aveva solo bisogno di cambiare argomento: quell'isola deserta e quella convivenza quasi primitiva stavano avendo uno strano effetto su di lui e non era più tanto certo di poter dormire abbracciato a Candy, sapendo che non aveva indosso nulla di più della biancheria. Il che, a ben vedere, era un po' assurdo, visto che l'abito era già quasi a brandelli. Eppure, per lui rappresentava una sorta di baluardo che gli aveva consentito di mantenere la sanità mentale e di illudersi che Candy fosse vestita di tutto punto. Ora non era più possibile e, peggio che mai, anche lui si trovava meno coperto di prima.

"...un rischio, l'hai detto tu!".

"Eh?". Un rischio? Starle vicino stava diventando un rischio?! No, non le avrebbe mai mancato di rispetto!

"Candy, puoi stare tranquilla, io sono prima di tutto un gentiluomo". Sperava che dicendolo ad alta voce sarebbe riuscito a crederci persino lui.

Quando lei lo guardò con gli occhi sgranati e pieni d'interrogativi, capì che non l'aveva ascoltata con sufficiente attenzione e fu sul punto di mordersi la lingua: "Albert, lo so che sei un gentiluomo, cosa c'entra?". Si era stretta sulle spalle la sua camicia. "Cosa c'entra questo con la grotta che potrebbe franare?".

Albert sbatté le palpebre, confuso: "Sì, è vero, ma basterebbe uscire subito se avvertiamo qualche scossa. Comincia a fare molto caldo". Ovviamente si riferiva solo al mese estivo. Non avrebbe lasciato che pensieri meno che casti sfiorassero le aree primitive del suo cervello.

"Uhm, bene, possiamo andare dopo pranzo, allora, che ne pensi?".

"Direi che è un'ottima idea!", concordò avvicinandosi al fuoco e notando che Candy aveva avvolto il pesce in alcune foglie verdi che emanavano un odore piuttosto aromatico. "Cosa sono?", le chiese incuriosito.

"Oh, le ho trovate dietro quei cespugli: il profumo ricorda la salvia, ma ho pensato che mangiarla non andasse bene. Però potevano dare sapore al pesce".

Albert tolse uno dei bastoncini con il pesce dal fuoco e annusò la foglia. In effetti il profumo non era sgradevole, tuttavia sapeva che, proprio come aveva detto Candy, non era consigliabile usare piante di origine sconosciuta su un'isola deserta. Magari bastava metterle da parte e non sarebbero state di certo dannose.

Mentre mangiavano, però, il sapore di quella sorta di spezia tropicale fu una vera gioia per le papille gustative. E Albert poté dire che sì, il pesce cotto con la finta salvia valeva bene una bistecca.

 
- § -
 
 
Il suo corpo era premuto contro quello di Albert in un abbraccio stretto che non avevano mai condiviso: poteva sentire tutto di lui. Il torace nudo definito, i muscoli saldi delle braccia, persino le gambe a contatto con le proprie. Era così inebriante! E cosa stava facendo Albert con la lingua? Le stava carezzando il labbro!  E l'unica cosa che riuscì a pensare Candy è che voleva, doveva ricambiarlo. Aprì la bocca con gioioso abbandono quando lui si staccò, guardandola con gli occhi spalancati nella penombra della grotta.

"Scusa".

"E di cosa?", ridacchiò lei. "Adoravo quel bacio!".

"Davvero?". Rise anche Albert e nel giro di pochi istanti ridevano entrambi tenendosi la pancia.

"Speravi forse di sentire il sapore di quelle foglie aromatiche sulle mie labbra?", domandò Candy indicandosi la bocca e mordendosi il labbro inferiore.

Lui la guardò con occhi concentrati: "Non mi sarebbe dispiaciuto, ma devo fermarmi perché potrei fare l'amore con te qui, adesso". Fu come risvegliarsi da un sogno. Il suo corpo tremò di desiderio e timore al contempo e una fitta sottile di paura le si insinuò nelle viscere. O era eccitazione? Candy non lo sapeva, ma seppe che Albert si stava portando una mano alla testa quasi fosse di nuovo smemorato. "Oddio, non so più quello che dico...".

Fu davvero strano, ma vedere Albert così vulnerabile e sentirsi così immersa in sentimenti contrastanti servì solo a farle venire più da ridere. Tentò di contenersi, perché non voleva ferirlo, né fargli credere che lo stesse prendendo in giro, cosa che non era affatto nelle sue intenzioni. Ma non ci riuscì e l'unica cosa che disse fu: "Quella roccia non sembra una stalattite?".

Albert sbatté le palpebre, confuso, voltandosi con gesti lenti verso dove lei indicava: "Oh, quella! Beh, visto che si trova sul pavimento della grotta direi piuttosto una stalagmite".

"Una che?!". Al suo grido acuto, alcuni pipistrelli si levarono in volo squittendo come topi con le ali intorno a loro e questo scatenò ancor di più la sua ilarità.

Albert si portò un dito sulle labbra: "Stiamo disturbando questi cortesi uccellini! Sai che sono come i vampiri?".

Candy spalancò gli occhi, sfarfallando le dita delle mani: "Succhiano via il sangue, vero?".

Lui restrinse le palpebre, con fare minaccioso: "Esatto, e poi diventi come loro: ti spuntano le ali e...". S'interruppe, quasi sconvolto. "Candy, abbiamo bevuto dell'alcool?".
"A meno che l'acqua del fiume bollita non sia diventata vino, direi di no", disse arricciando il naso come se ci stesse pensando davvero.

"E allora perché siamo così... così...?".

"Così come?", gli chiese alzandosi in piedi e inciampando su un'irregolarità del terreno, bilanciandosi a malapena con le braccia. "Siamo spersi nell'oceano e rischiamo di invecchiare qui nutrendoci di pesce e frutta. Cosa abbiamo da perdere? Divertiamoci, no?".

Albert si alzò a sua volta e le fece un inchino: "Allora balli con me?".

Fu il suo turno di essere stupita: "Ballare? Qui? Ma non c'è neanche la musica!". Si guardò intorno: magari si sarebbe materializzato un grammofono, chissà. Al momento, si sentiva come Alice nel suo paese delle meraviglie, dove tutto poteva succedere.

"Canterò per te, mia bella Candy. Ricordi la gita a Lakewood?".

"Sì, mio principe. La ricordo. Canta per me come allora".

E Albert cantò, cullandola fra le braccia. Ammaliata dalla sua voce e dal suo calore, si lasciò trasportare finché non divenne tutto confuso: una corsa a perdifiato, piedi che calpestavano l'erba ed entravano in acqua. Le risate, il solletico, il rumore del fiume. Le canzoni gridate nel cielo estivo cui lei si unì, un po' divertita e un po' stonata.

E, infine, la consapevolezza, le sue braccia che la tenevano stretta ai piedi di un albero.

 
- § -
 
 
La prima cosa che Albert controllò furono i vestiti. Aveva completamente perso la cognizione del tempo e gran parte dei ricordi, ma ricordava il sapore delle labbra di Candy sulle proprie quasi le stesse baciando in quel momento. Per fortuna, quel poco che era rimasto dei loro abiti era al proprio posto. Tirò un sospiro di sollievo e si guardò attorno: il fuoco era spento e il loro piccolo riparo fatto di tronchi aveva impedito che prendessero un'insolazione. Ma con la sera e la volta stellata era calato anche il freddo. Individuò i giubbotti di salvataggio e lasciò delicatamente la presa su Candy per andarli a prendere, drappeggiandone uno su di lei a mo' di coperta e indossandone un altro a sua volta.

"... potrei fare l'amore con te qui, adesso".

Dio, le aveva davvero detto una cosa del genere?! E tutti quei vaneggiamenti sui pipistrelli? In nome del cielo, avevano nuotato nel fiume nudi o con gli abiti addosso? Confuso, Albert ricordò una cosa che mise in allerta tutti i propri sensi: il pesce e le foglie di finto alloro con cui Candy le aveva avvolte. Dovevano essercene ancora, da qualche parte. Tornò con passi controllati al falò spento, grato che la luna rischiarasse un po' quel paesaggio tropicale quasi soprannaturale, e trovò i resti del loro pranzo. Una foglia bruciacchiata quasi gli si sbriciolò in mano e la annusò con circospezione: in effetti il profumo ricordava l'erba aromatica, tuttavia era certo che non fosse quello che sembrava.

"Sei tu la causa di questa specie di viaggio nell'allucinazione?", domandò stringendola e disintegrandola definitivamente. Sospirò, decidendo di contravvenire alla sua recente decisione e dormire di nuovo abbracciato a Candy: le notti non erano più tanto fredde e il mese di luglio era alle porte, ma non voleva rischiare che uno dei due si ammalasse. Avevano già rischiato fin troppo, in poco più di un mese.

Con gesti calcolati per non svegliarla, si rannicchiò accanto a lei e guardò il viso arrossato dal sole su cui spiccavano ancora parecchie lentiggini; il naso un po' a patata, ma delicato e delizioso nonostante ciò; le lunghe ciglia che celavano gli smeraldi custoditi sotto le palpebre come gioielli preziosi; i riccioli ora corti ma sempre un po' ribelli: ne scostò uno dalla fronte ampia; il collo la cui linea terminava misericordiosamente sotto al tessuto spesso e arancione del giubbotto di salvataggio.

"Ti proteggerò sempre, Candy. Anche a costo di non lasciarti più cucinare quello che peschiamo". Non seppe se a farlo ridacchiare in modo quasi isterico fosse stata la sua stessa battuta, i residui di ciò che avevano mangiato o la situazione assurda. Ma dovette mordersi forte il labbro per non svegliarla.

Certe cose non sarebbero mai cambiate e tra quelle c'erano le abilità culinarie di Candy.

 
- § -
 
 
 
Chicago, commissariato di polizia

"Signor Villers, comprendo che lei desideri ritrovare il patriarca della famiglia Ardlay, ma non c'è nulla che la sua presenza possa aggiungere ai nostri contatti che stanno setacciando tutte le isole di Madeira".

Georges si mosse sulla sedia come se stesse per scattare in piedi, ma il suo proverbiale autocontrollo ebbe la meglio: "E le Azzorre? Avete pensato a controllare le Azzorre?".
"Signor Villers...".

"Sì, lo so che non sono nella rotta, ma la tempesta che c'è stata poco tempo dopo potrebbe aver spinto la loro scialuppa verso ovest e...".

"Signor Villers, se ci fosse stata una scialuppa ci sarebbero stati altri sopravvissuti a mettersi in contatto con voi".

Sì, lo sapeva Georges, e chiuse gli occhi per un istante. Un singolo, brevissimo istante per riprendere il controllo delle proprie emozioni in caduta libera. Perché voleva essere irrazionale. Voleva credere nell'impossibile. E non poteva proprio rassegnarsi al fatto che William e Candice fossero morti: preferiva saperli senza memoria, fuggiti insieme... diamine, persino feriti e impossibilitati a comunicare. Ma non poteva rassegnarsi a due corpi rubati dall'oceano, spersi nei fondali, trascinati dalla corrente.

"Le cartine potrebbero non riportare tutte le isole presenti in quel tratto", disse con voce soffocata.

Il commissario Smith si alzò poggiando i pugni sulla scrivania, quasi a voler supportare la sua imponente stazza, e cominciò a passeggiare per la stanza: "Stiamo interrogando i pescatori locali, ci siamo spinti fin sulle coste africane e portoghesi, ma nessuno è a conoscenza di isole fuori dalle rotte canoniche".

"Allora organizzerò una spedizione".

Il viso rubicondo dell'uomo si contrasse in un cipiglio che gli fece pensare a una prugna rinsecchita nonostante la stazza: "Se questo è il vostro desiderio potremmo anche farlo, ma ci vorranno settimane. Dobbiamo cercare uomini e mezzi e...".

"Finanzierò il necessario. La signora Ardlay non bada a spese, se si tratta di trovare suo nipote". Georges si alzò in piedi, ricordando il volto pallido ed emaciato di quella che era stata la matriarca integerrima di un tempo e che ora era solo l'ombra di se stessa.

L'uomo lo fissò per momenti che gli parvero eterni: chissà se stava pensando che era tutto inutile; che non stava facendo altro che rimandare l'inevitabile per non cadere nella disperazione; o forse, solo che i ricchi erano pazzi.

"Faremo il possibile", disse infine, allungando una mano che Georges strinse con gratitudine e speranza.

 
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Elroy Ardlay guardò dalla finestra Annie Brighton che si gettava fra le braccia di suo nipote Archibald, singhiozzando come se le fosse caduto il mondo addosso. Stizzita, pensò che di certo piangeva per quella Candice, mentre lei aveva perso il patriarca della famiglia e l'unico figlio ancora in vita dell'adorato fratello.

Perché era certa che il suo caro William, che entro qualche giorno avrebbe compiuto trentadue anni, fosse ancora vivo.

Ciononostante, sul viso rugoso e granitico, una lacrima scese mentre lei mordeva con discrezione il fazzoletto, risolvendosi infine a sdraiarsi a letto come una vecchina indifesa e stanca. Crollava sempre più spesso, come le era capitato solo ai funerali di Anthony e Alistair e, anni prima, di suo fratello e di Rosemary.

Non avrebbe celebrato un altro funerale e non avrebbe dato al clan un sostituto definitivo finché William non fosse tornato a prendere il posto che gli spettava di diritto! Archibald lo stava sostituendo più che degnamente.

Quando nel pomeriggio Georges le aveva comunicato che avrebbero intrapreso a breve la spedizione per setacciare le miglia d'oceano circostanti Madeira, aveva annuito soddisfatta, impedendosi di mostrare in maniera più palese la sua somma gioia. D'altronde, quell'incosciente del nipote era stato anche in Africa e sarebbe benissimo potuto sopravvivere su un'isola deserta per settimane.

Elroy si girò su un fianco cercando di riposare e si concentrò su qualcosa che non fosse la disperazione: non doveva lasciare che avanzasse come un fuoco minaccioso, bruciando tutte le speranze che stavano costruendo con quella spedizione.

Candice! Sì, doveva pensare a lei! Oh, se davvero William era naufragato aveva di certo fatto in modo che si mettesse in salvo anche lei, solo così avrebbe avuto un motivo più che valido per sopravvivere in condizioni anche proibitive. Non che lo immaginasse lasciarsi morire se la ragazza avesse avuto la peggio: anche così, dopo il primo momento di disperazione, era sicura che William si sarebbe comportato da uomo.

Ma se si fossero trovati spersi chissà dove da soli?! Odiava ammetterlo, ma Candice era una ragazza molto bella e non le erano certo sfuggiti gli atteggiamenti di complicità che avevano quei due quando non fingevano davanti a lei. E a un uomo e una donna che si trovino isolati per tanto tempo non può che accadere di perdere il senno e la decenza. Si era sempre fidata di William e dei suoi principi, ma se aveva letto bene nei suoi occhi, poteva anche darsi che cedesse al fascino di Candice compromettendola.
Oh, se solo immaginava che quei due sarebbero tornati di lì a breve con la pretesa di sposarsi e magari anche con un erede in arrivo, pensava che si sarebbe messa a urlare!
Invece, suo malgrado, nella semioscurità della propria stanza, Elroy sentì le labbra distendersi in un sorriso, senza potersi impedire di farlo. Perché avrebbe significato riavere William a casa. Poterlo rimproverare e discutere animatamente con lui. E infine... sì, infine accettare persino quell'unione.

Qualunque cosa, mio Dio, purché lo possa avere qui sano e salvo. Sono persino disposta a fingere di essere d'accordo con il loro matrimonio.

Tutto, purché fosse vita. Tutto, fuorché l'ineluttabile morte.

 
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Candy guardò i segni dei numeri incisi sul muro della grotta con il bastoncino affilato e si rese conto che l'indomani sarebbe stato il compleanno di Albert. Si morse il labbro inferiore, domandandosi cosa avrebbe potuto regalargli, visto che non aveva a disposizione negozi o materiali per confezionare qualcosa, né tantomeno una cucina con un moltitudine di ingredienti. Anche perché, nella migliore delle ipotesi, avrebbe combinato comunque qualche disastro.

Frustrata, sbuffò pensando a cosa avrebbe potuto desiderare Albert in un posto come quello, a parte ovviamente tornare a casa, come lei. In realtà era molto raro che Albert si lamentasse per la mancanza di qualcosa. A dirla tutta non credeva fosse mai capitato: era stata lei a fare storie per l'imbarazzo di restare senza vestiti, tanto che ora indossava la sua camicia quasi fatta a pezzi e una volta... beh, una volta aveva detto che avrebbe ucciso per una fetta di torta al cioccolato di miss Pony. Quando aveva cominciato a piangere grosse lacrime, Albert l'aveva stretta e le aveva persino giurato che si sarebbe messo a cercare piante di cacao, pur di accontentarla. Poi le aveva ripetuto la frase magica: "Sei più carina quando ridi che quando piangi" e lei aveva confessato di sentire più che altro la mancanza dei suoi amici, anche se era lieta di avere lui al suo fianco.
Amava Albert ogni giorno di più e stare soli, in una situazione di emergenza, aveva accelerato il processo in una maniera impressionante. Sì, era da tempo che le cose stavano cambiando, ma era anche sicura che a Chicago avrebbe avuto mille problematiche da affrontare: la zia Elroy in primis, ma anche i suoi impegni da infermiera, nonché quelli di lavoro di Albert che spesso impedivano loro di vedersi per lunghi periodi. Per molto tempo avevano fatto tesoro di ogni singolo minuto, parlando e scrivendosi lettere, facendo sbocciare poco a poco quel sentimento prezioso come un bocciolo pronto a risplendere di luce propria.

Ma lì, soli e con tanto tempo per parlare, si ritrovavano spesso a guardarsi, a sfiorarsi, anche a baciarsi mentre organizzavano il cibo o bollivano l'acqua, in una quotidianità così diversa eppure simile a quella condivisa alla Casa Magnolia, che il loro rapporto era evoluto di colpo. Quando aveva cucinato il pesce con quelle foglie risultate allucinogene, era accaduto qualcosa che aveva abbassato ulteriormente le loro difese: aveva ricordato in particolare una frase che Albert le aveva sussurrato nell'altra grotta e tutti i colori le erano saliti al viso.

"Candy... perdonami se ti ho mancato di rispetto in qualche modo. Non ero in me". Non era stato esplicito, ma lei aveva capito, aveva ricordato.

"Non preoccuparti", lo aveva liquidato non volendosi addentrare nell'argomento.

Perché, accidenti, rammentava benissimo la sensazione gradevole e bruciante che aveva provato alle sue parole, seppur esacerbata dalla sostanza assunta involontariamente. A ripensarci ora si vergognava, certo, eppure...

"Candy ho visto delle nuvole in lontananza, credo sia meglio...".

Gridò, sorpresa come se avesse sbirciato nei suoi pensieri e, in un movimento goffo, cadde così vicina al fuoco che il lembo della camicia che indossava prese fuoco.

Ho preso fuoco davvero...

Si affrettò a toglierla cercando di spegnerlo mentre Albert correva da lei chiamandola a gran voce e, quando alla fine tutto fu finito, la camicia era diventata inservibile.
"Perdonami, mi dispiace!".

"Stai bene?!". Era allarmato e le sue mani erano sulle spalle nude. Ma lei era sull'orlo delle lacrime.

"Sì, sto bene... scusami...".

Albert sospirò, crollando la testa in avanti: "Non devi scusarti, quel pezzo di stoffa serviva più a te che a me. L'importante è che tu non ti sia fatta male".

Candy guardò in basso, costernata: "Ti creo solo problemi".

"Non dirlo neanche per scherzo. Ti ricordo che io mi sono fatto mordere da un ragno velenoso e mi sono ustionato al sole almeno un paio di volte".

"E io sono precipitata in una grotta e ho rischiato di avvelenarci!".

"L'altro giorno ho rotto una noce di cocco invece di aprirla correttamente".

"E io non sono capace di pescare con un bastone a punta!".

Le labbra di Albert tremarono e capì che quell'assurda gara a chi l'avesse fatta più grossa si era trasformata in un gioco divertente. Lei stessa si morse l'interno delle guance per non scoppiare a ridere.

"E va bene, direi che forse in quanto a disastri mi hai decisamente battuto", disse con voce calma, rilassando le spalle e abbassando le mani.

"Albert!". Era quasi indignata.

"Però ti adoro così come sei e non ti cambierei per nulla al mondo, neanche per la Jane più esperta!".

"Oh, ha parlato il Tarzan dei tropici!", ribatté dandogli due piccoli pugni sul petto abbronzato.

"No, cara mia, secondo Terence dei due sei tu Tarzan", rise facendole l'occhiolino.

"Stai diventando odioso come lui!".

Prima che potessero dire altro, scoppiarono a ridere insieme e lui la strinse a sé. "Lo sai che ti amo, vero?".

"Lo so. Anche io". Baciarsi fu inevitabile e Candy pensò che le lingue del fuoco l'avessero di nuovo raggiunta. Ma no, erano solo le mani di Albert che la stavano stringendo e ora che non aveva più altro indosso che la sottoveste e la biancheria, stare così stretta al suo torace nudo le incendiò i sensi.

Fu lui a rompere il bacio, anche se pareva riluttante, e lei cercò di concentrarsi su quello cui stava pensando prima e non sul suo pollice che le tracciava le labbra quasi stesse saggiando la consistenza di un frutto dopo averlo assaggiato.

E Candy fu certa che dopo un mese e mezzo su quell'isola Albert la desiderasse, forse per la prima volta in vita sua, come donna. E per lei le cose non erano molto diverse.

No, non era sui nostri sentimenti esacerbati dalla vicinanza che mi dovevo concentrare, ma sul regalo che voglio fare ad Albert domani!

Ma cosa poteva donare ad Albert se non...

...me stessa?

Con un gridolino, si allontanò da lui spaventata da quel pensiero che l'aveva appena trafitta.

"Candy...?". Albert la guardava stupito, gli occhi sgranati. "Ho fatto qualcosa che non dovevo?".

"No!", si affrettò a rispondere. Era lei ad aver pensato a qualcosa cui non doveva pensare. Nella maniera più assoluta. Accidenti alla sua fervida immaginazione e a quell'isola!

"Forse non volevi che ti baciassi così? Scu...".

"Non è il bacio, sono io!", proruppe prima di poterselo impedire.

Albert restrinse le palpebre, inclinando il capo: "Tu?".

"Sì, io... credo... forse ho mangiato un cocco andato a male". Se avesse potuto si sarebbe schiaffeggiata da sola. Che scusa sciocca e imbarazzante! Eppure, fu il pretesto giusto che le consentì di uscire di corsa senza essere seguita, anche se sentiva gli occhi preoccupati di Albert incollati alla schiena.

Quando fu fuori, invece di dirigersi nel suo angolo privato che avevano destinato a latrina, Candy si ritrovò a camminare verso il lato della spiaggia da cui partiva il sentiero per lo sperone di roccia, dove due bastoncini incrociati segnavano il punto in cui avevano seppellito lo sconosciuto poco dopo il loro arrivo. Gli disse una breve preghiera, cercando di elevare il proprio spirito a pensieri più puri, ma il sole dei tropici doveva aver bruciato i suoi neuroni, perché le labbra di Albert erano sempre nei suoi pensieri. E le sue braccia. E il torace che, nonostante il peso perso, risultava ancora tonico e muscoloso.

Candy nascose il viso tra le mani e fu allora che se lo ricordò: una sera, Albert aveva nominato delle uova. Spalancò gli occhi, guardando davanti a sé, cercando con lo sguardo le nuvole menzionate da lui. A quanto pareva, il vento teso di poco prima stava cadendo e si stavano dirigendo altrove. Immaginò per un brevissimo istante, mentre si alzava e prendeva la direzione opposta, di essere una nuvola a sua volta, per viaggiare attraverso il cielo e capire finalmente dove si trovassero di preciso.

Ma in quel momento aveva una missione: raggiungere la zona alberata dell'isola e cercare qualche nido di uccelli. Non conosceva le specie che popolavano l'isola, ma confidava che le uova, una volta cotte, fossero commestibili. Sperava solo che Albert non la cercasse troppo presto e la immaginasse impegnata con un'intossicazione alimentare, per quanto si vergognasse.

Era ora di cercare il suo regalo per Albert!

 
- § -
 
 
Un'ora e mezza. Un'ora e mezza nella quale i suoi nervi stavano cominciando ad andare letteralmente in pezzi. Era dall'episodio della grotta che non si preoccupava così per lei, tuttavia aveva cercato di essere razionale. Dopo i primi cinque minuti aveva lanciato uno sguardo fuori per vedere le nuvole allontanarsi: quindi, per fortuna, non avrebbe piovuto a breve. Quando dovevano esserne passati venti aveva osato uscire e fare alcuni passi dove immaginava che fosse Candy, ma non volendo disturbare la sua privacy l'aveva solo chiamata chiedendole se andasse tutto bene.

Nessuna risposta.

Si era imposto la calma, prendendo un respiro profondo e aveva fatto un altro tentativo. Era stato immaginarla priva di sensi e bisognosa d'aiuto che lo aveva convinto a contravvenire a ogni regola di buona creanza. Non erano alla Casa Magnolia dove lei andava a lavarsi i denti con la porta aperta e lui le parlava attraverso l'immagine dello specchio, ma non gli importava più di rischiare di trovarla in una condizione poco consona. Raggiunse la zona destinata a Candy e non la trovò.

Frenetico, voltò il capo in direzione delle onde, poi guardò in su verso le rocce e iniziò persino ad arrampicarsi, chiamandola. Sentendosi sciocco a farsi prendere dal panico, ridiscese con gesti calcolati, ripetendosi che era ridicolo pensare che Candy fosse annegata o caduta in qualche altro luogo a lui sconosciuto. Se si era allontanata aveva di certo i suoi validi motivi, molto banalmente desiderava cercare altre erbe medicinali.

Così, si era inoltrato nella vegetazione con passi lenti ignorando paura, ansia e persino rabbia. Oh, ma quando l'avesse trovata le avrebbe ricordato che dovevano avvisarsi a vicenda quando se ne andavano da qualche parte! Non era per essere possessivi, ma dopo mezz'ora senza una traccia che fosse una, chiunque si sarebbe impensierito, visto che non si trovavano a Lakewood o a Chicago, no?

Raggiunse il loro secondo rifugio, il tratto di fiume dove si accampavano e tornò alla grotta dove era caduta Candy, chiamandola e sentendo la sua voce rimbombare: persino i pipistrelli, infastiditi dal suo richiamo, cominciarono a volare costringendolo a proteggersi il capo con le braccia, imprecando tra i denti.

"Accidenti, ma dove sei finita?!", disse frustrato, quando uscì fuori dalla caverna.

Ora, mentre vedeva chiaramente il sole avviarsi sulla via del tramonto, poteva dire di sentirsi quasi disperato. Perdendo quasi del tutto il controllo, iniziò a chiamarla più forte, mettendo le mani ai lati del viso, urlando con quanto fiato aveva in gola. Il raziocinio gli stava scivolando via in una nube di panico che gli fece venire in mente i peggiori scenari. Solo un'ora e mezza prima stavano scherzando su chi l'avesse combinata più grossa e adesso non aveva dubbi nel confermare che sì, era lei quella che si rivelava la combina guai per eccellenza.

Trovandosi proiettato in uno sgradevole dejà-vù, Albert si arrampicò su un albero e cominciò a guardarsi attorno, chiamandola, quasi sull'orlo delle lacrime al solo pensiero di averla persa quando infine la vide, in cima a un albero anche lei, che si voltava. Dovevano essere quasi alla stessa altezza, a poco più di cinque piedi di distanza e avrebbe solo voluto averla più vicina per abbracciarla subito e accertarsi che stesse bene.

Colse il suo sguardo spaventato e si affrettò a ridiscendere correndo verso di lei, la ragione che si offuscava rapidamente a ogni passo. Non era più Albert, ma un uomo delle caverne che rivendicava la compagna che si era allontanata dal focolare facendolo morire di preoccupazione. E non servì neanche concentrarsi sui suoi occhi spalancati e sull'espressione contrita: e cosa stringeva al petto con tanta veemenza, quasi non volesse mostrarglielo? Cosa era andata a cercare in cima a quel dannato albero di così importante per sparire dalla sua vista e non rispondere ai suoi richiami per quasi due ore?

"Spero che tu abbia una spiegazione plausibile a questo!". Le palpebre di Candy, contro ogni sua previsione, si aprirono ancora di più e lui seppe che aveva varcato un limite che non credeva avrebbe mai superato. Ma non poteva trattenersi, pensava che sarebbe morto se le fosse accaduto qualcosa. Così proseguì: "Hai idea da quanto tempo io ti stia cercando, come un idiota disperato, nel timore che tu fossi in difficoltà, o ferita o... annegata?!".

"Albert...". Il pigolio della sua voce, in netto contrasto con la sua baritonale e potente, lo irritò di più e quasi si sorprese di provare quei sentimenti di rabbia proprio verso di lei. Il timore di perderla aveva cancellato, spazzato via ogni accenno di tenerezza.

Le pose le mani sulle spalle con una certa rudezza, sentendo un fuoco arderlo vivo: "Non farlo mai più Candy, non allontanarti mai, MAI più così tanto senza avvisarmi, siamo intesi?! Non stiamo più scherzando come prima, non sono disposto a rischiare di prendere un colpo perché tu te ne vai in giro per le grotte o il bosco come se fossimo in vacanza!".

"Stavo solo cercando... un regalo per il tuo compleanno... non gridare così, ti prego!".

Candy sembrava sull'orlo delle lacrime, ma Albert poté solo alzare la voce di un'altra ottava: "Un regalo, Candy?! Sai che regalo potresti farmi?", disse scuotendola. "Smetterla di farmi morire di paura! Ti è chiaro o no che se ti dovesse succedere qualcosa io potrei... potrei...". E si sgonfiò la rabbia, di colpo. Le energie di pochi istanti prima ricaddero come un ramo spezzato dal vento e una mano invisibile gli strinse la gola soffocandolo in un mare di improvvise lacrime. "Potrei morire con te", concluse in un singulto soffocato, la tensione che svaniva nei lunghi respiri che cercava di prendere.

Chinò il capo, strinse i pugni e portò i polsi alla fronte, singhiozzando pietosamente quasi come gli era accaduto quando aveva ritrovato Candy mezza annegata sulla spiaggia. Lei si allontanò e si chinò come se stesse posando qualcosa a terra, quindi gli avvolse le braccia intorno, spingendo il palmo della mano contro la sua nuca per indurlo ad affondare il viso nell'incavo della sua spalla. Stava piangendo anche lei.

"Scusami. Perdonami, Albert, giuro che non lo farò mai più Mai, mai più!". E, mentre la stringeva forte sfogando del tutto la tensione delle ultime due ore, sperò che stavolta dicesse sul serio.

 
- § -
 
 
La frittata di mezzanotte, cotta su una pietra piatta al loro fuoco della grotta, era stata una vera e propria delizia. Candy avrebbe voluto che Albert, visto che tecnicamente era già il suo compleanno, ne mangiasse più di metà, ma aveva insistito affinché anche lei consumasse la propria parte. E non se la sentì di contraddirlo. Conosceva il lato tenero e quello deciso di Albert, ma non l'aveva mai visto perdere il controllo a tal punto, se non quando si era risvegliata sull'isola rigettando acqua di mare.

In lui, rivide Anthony che la schiaffeggiava per aver passato la notte chissà dove mentre, con Archie e Stair, la cercava senza sosta. Albert non l'aveva schiaffeggiata, ma l'aveva afferrata e scossa facendole comprendere la gravità di ciò che aveva fatto in quel gesto così desueto e opposto al suo carattere.

"Grazie, Candy, al di là di quello che è successo devo dire che hai avuto un'ottima idea a cercare delle uova. Da domani ci organizzeremo per procurarcene più spesso. Sai di che tipo di uccello sono?". Albert aveva la schiena appoggiata alla parete della grotta e il fuoco si rifletteva nei suoi occhi azzurri rendendoli quasi arancioni.

"Mi sembrava come una sorta di piccione dal piumaggio scuro, ma non so se fosse la stessa specie. Il motivo per cui ci ho messo tanto è che volevo essere sicura di riconoscere le fattezze del volatile da cui provenivano e quando ho visto quel nido... lì per lì mi dispiaceva rubargli le uova, però ho ricordato quello che mi hai detto una volta e...". La voce le tremò mentre si spiegava, quasi stesse di nuovo commettendo l'imprudenza che aveva trasformato il gentile Albert in un uomo furioso e disperato.

"Va bene, calmati, Candy. Ti sono davvero grato per aver pensato a un regalo di compleanno per me e ti chiedo di nuovo scusa per come ti ho trattata". La sua mano che le carezzava una guancia, sfiorandola come fosse di cristallo, la commosse nel profondo.

"Credo di avercelo nel sangue, questo vizio di far preoccupare le persone che mi amano". Albert inarcò un sopracciglio, in una muta domanda. "Quando ero piccola penso di aver fatto venire più di una volta i capelli bianchi a miss Pony e a suor Lane e quando ero dai Lagan...". Si morse il labbro, incerta se parlargliene e rischiare di aprire una ferita che avevano cicatrizzato solo poco tempo prima. "Albert, ti ricordi la sera in cui mi hai salvata dalla cascata?".

Lui sgranò gli occhi, abbassando la mano: "E come potrei dimenticarla? Credo fosse stata la prima volta in cui mi sono preoccupato seriamente io, per te".

"Beh, non eri l'unico. Ricordi che Anthony e gli altri mi cercavano?". Lui annuì. "Bene, Anthony era così infuriato con me che mi ha dato uno schiaffo".

Albert sbatté le palpebre, scuotendo un poco la testa come se non ci credesse: "Davvero?".

"Sì. Non lo avevo mai visto così arrabbiato, ma aveva ragione. Proprio come te oggi. Ma nel suo schiaffo di allora e nelle tue urla e nelle tue lacrime di oggi... beh, ho letto ciò che provavate per me. Sono stata proprio una stupida, ma desideravo tanto farti una sorpresa che...". Candy scoppiò a piangere, il senso di colpa la stava lacerando.

Le braccia di Albert l'accolsero subito e le sue dita si insinuarono tra i capelli in una carezza struggente: "Ssst, basta piangere, Candy. Va bene, abbiamo sbagliato entrambi, l'importante è imparare dai propri errori e non ripeterli. Ricorda sempre che siamo su un'isola deserta e che anche se ci sembra che non ci siano pericoli evidenti non abbiamo mai vissuto in condizioni così estreme. Terremoti e animali velenosi possono sorprenderci sempre".

"Avevo immaginato che non mi avresti cercata per un po' e speravo di fare presto. Ma poi ho seguito i gabbiani che invece si sono diretti verso il mare aperto e...".

"Candy, ho capito", disse con voce ferma. "Ma sappi che se accadrà di nuovo non esiterò a seguirti anche quando non dovrei, dimenticando che sei una signora".

Candy alzò il viso per guardarlo, frastornata: "Non oseresti!".

"Mettimi alla prova". Candy aveva solo un modo per cancellare quel sorrisetto compiaciuto e al contempo suggellare il suo compleanno con un dolce che non fosse una torta.
Gli pose le mani sul viso, notando a malapena il suo stupore e premette le labbra sulle sue, baciandolo forte come se non volesse più lasciarlo andare.
 
 
 

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Capitolo 6
*** Capitolo Sei ***


Vila Do Porto, Portogallo

"E quand'è che dovremmo partire?", chiese il marinaio aggrottando le grosse sopracciglia grigie e dando un lungo tiro dalla pipa, mentre scrutava l'orizzonte.

José rilesse la comunicazione urgente che aveva ricevuto dal suo contatto sulla terraferma: "Ieri".

Luìs si voltò di scatto a guardarlo: "Mi prendi per i fondelli?!".

"Senti, qui si stanno mobilitando tutti e anche nelle isole vicine. In palio ci sono mille dollari!".

José vide il collega impallidire, allentare la presa sulla pipa e lasciarla cadere nell'oceano: "Ora sono certo che mi stai prendendo per il...!".

"No! Te lo giuro!", lo interruppe indietreggiando, perché nel frattempo Luìs aveva cominciato a marciare minaccioso verso di lui, con le mani protese come se volesse strangolarlo lì, sulla banchina dove s'incontravano ogni giorno per lavorare insieme.

"Chi cavolo dobbiamo cercare?! Il Papa?!".

"Sai chi sono gli Ardlay?", gli chiese sperando di coinvolgerlo nella conversazione per indurlo a credere alle sue parole.

"Mai sentiti in vita mia". Ora l'altro sembrava impaziente ma molto più controllato.

"Si tratta di una famiglia molto ricca di origini scozzesi che si è instaurata qualche generazione fa negli Stati Uniti. La storia è questa: il patriarca, unico erede universale della famiglia e capo del clan, assieme alla sua compagna, si è perso nell'Oceano Atlantico quando la loro nave è affondata quasi due mesi fa e dall'America hanno cominciato a fare ricerche sperando di trovarli vivi su qualche isola fuori dalle cartine. Hanno iniziato con cinquecento dollari, ma visto che nessuno li trovava e qualcuno dava notizie false sperando di fregarli, hanno alzato la posta in gioco pretendendo una prova inconfutabile del ritrovamento".

Mentre parlava, si accorse che le espressioni di Luìs mutavano in un cipiglio concentrato: "Quel naufragio di cui parli non è avvenuto intorno a Madeira? Cosa c'entriamo noi?!".

José cominciò a spazientirsi: "Te l'ho detto che hanno cercato ovunque! Si sono spinti persino fino a Tenerife, ma non hanno cavato un ragno dal buco e ora stanno procedendo verso ovest".

Il viso impassibile del collega lo mandò quasi su tutte le furie: "Allora sono cibo per pesci già da un bel pezzo. Non ci sono altre isole sulle rotte conosciute".

L'uomo fece un respiro profondo, pensando a sua moglie e ai suoi tre figli da sfamare. Avrebbe potuto muoversi da solo, ma aveva bisogno di una barca e la barca era del grande imbecille che aveva davanti: "Ci sono duecento dollari sul piatto per chiunque s'impegni almeno a cominciare le ricerche. Gli altri ottocento arriveranno quando a Chicago sentiranno la voce del patriarca a un dannato telefono".

"Perché diavolo non me l'hai detto subito?!", proruppe Luìs d'improvviso a un pollice della sua faccia, sputandogli letteralmente in faccia le parole.

Già, perché non glielo aveva detto subito? José alzò gli occhi al cielo e fu almeno felice di aver convinto il collega a partire.

 
- § -
 
 
Sull'isola

Alla fine era successo veramente e non per un cocco andato a male, che avrebbe riconosciuto dall'odore. Candy intrecciò le braccia al ventre, piegandosi letteralmente in due e chiedendosi come stesse il povero Albert, che aveva avuto persino la febbre. Come avevano potuto ammalarsi entrambi?!  Erano stati così attenti a bollire l'acqua, non avevano mangiato bacche sconosciute e il pesce era sempre cotto a puntino, inoltre lei non si era più azzardata a provare spezie strane.

Il suo istinto di infermiera, però, pensava a un virus causato dall'impossibilità di lavare adeguatamente le mani con detergenti appositi dopo aver pulito il pesce. Lavare le mani nel fiume o con acqua sterilizzata non sempre poteva risultare efficace. Fatto stava che i crampi addominali e il senso di leggera febbricola erano mutati in un malessere piuttosto fastidioso che li svegliava persino di notte.

"Tutto bene laggiù?". La voce di Albert, lontana ma tutto sommato udibile sotto le stelle, le indicò che stava affrontando di nuovo l'ennesimo problema cui si trovava a far fronte lei. Una volta, forse, sarebbe morta per l'imbarazzo: ora dovette trattenersi dal ridere istericamente.

"Non dovresti uscire di notte con la febbre", lo ammonì cercando di limitare la sofferenza nella sua voce. Le sembrava che un animale le stesse mordicchiando il ventre.

"Non ho potuto fare altrimenti". E, nella sua voce, riconobbe la risata a malapena trattenuta.

Respirò a fondo, ripetendosi che i virus intestinali di solito non dovevano durare più di due o tre giorni, e si ricompose per tornare nella grotta solo nel momento in cui fu certa che gli spasmi non l'aggredissero più come una grossa mano implacabile.

"Posso tornare nella grotta tranquilla?", gridò in direzione di Albert, incontrando la luna nella sua maestosità. Era incredibile che stessero vivendo un momento tanto mortificante con un cielo così bello, sotto al quale avrebbero solo dovuto baciarsi come innamorati.

Quando lui non rispose, Candy cercò di non preoccuparsi e le parole arrivarono quasi in un lamento: "Vai pure, io credo che mi tratterrò ancora un po' a guardare il panorama". Povero Albert, era certa che stesse soffrendo in modo atroce e non poteva fare nulla per lui.

"Ti aspetto sveglia", gli annunciò incamminandosi.

"Non credo ti convenga", ribatté quasi stizzito.

Candy rientrò curandosi di controllare che ci fosse sufficiente acqua per reintegrare i liquidi persi e ne bevve lasciandone di più per Albert, osservando le semisfere di cocco su cui aveva inciso le loro iniziali come sulle tazze della Casa Magnolia. Non le fu facile aspettare il suo ritorno con pazienza, impedendosi di raggiungerlo invocando il suo diploma d'infermiera, ma quando rientrò gli corse incontro e lo sostenne. Era debole e avrebbe avuto bisogno di una flebo o comunque di mangiare qualcosa di più sostanzioso.

"Siediti e bevi". Lui obbedì, troppo provato per protestare.

"Neanche in Africa mi è mai capitata una cosa simile", borbottò. Candy gli sentì la fronte e si rese conto che scottava.

"Domani mi occupo io della pesca", disse ponendogli una striscia di stoffa umida sulla fronte.

"Anche tu stai male e domani la febbre mi sarà passata".

"Tu stai peggio".

"E tu non sai pescare".

"Oh, devi ricordarmelo adesso?! Getterò la nostra rete di fortuna o uno dei giubbotti di salvataggio". Evitò di ricordare ad alta voce che, da qualche giorno, i pesci avevano deciso di scioperare e che già da un po' si accontentavano quasi solo della frutta.

"Dovremmo cacciare qualche uccello, ma non saprei come fare", mormorò Albert facendo una smorfia che riconobbe come di dolore.

Candy sospirò, ravvivando il fuoco e chiedendosi se l'applicazione di una pezza calda sul ventre avrebbe lenito il fastidio a entrambi. "Potremmo pensare a qualche trappola, anche se l'idea non mi sorride".

"Neanche io ho mai amato la caccia, ma dobbiamo sopravvivere e non abbiamo molta alternativa", le ricordò prendendo un sospiro profondo e portandosi una mano al ventre.

"Devo preparare qualcosa di caldo da applicare, magari può essere di sollievo. Ma non voglio usare l'acqua dolce". Afferrò la bottiglia di vetro per andare a riempirla di acqua di mare da scaldare. La mano di Albert la bloccò per il polso.

"Vado io".

"È fuori discussione!", protestò.

"Devo comunque uscire di nuovo", disse imbarazzato, un rivolo di sudore che gli colava lungo la tempia.

"Vengo con te e non accetto...".

"Candy, per favore, lasciami almeno la dignità!", disse tra i denti, sospettò in bilico tra sofferenza e rabbia.

Lo guardo per brevi istanti, nei quali lui le tolse la bottiglia dalle mani. "Se non ti vedo tornare entro un quarto d'ora vengo da te in barba alla dignità. Sono un'infermiera e non mi lascio impressionare da nulla".

Albert ridacchiò, rialzandosi a fatica: "Non eri tu quella che mi voleva più vestito possibile perché si vergognava?".

"Quello era... all'inizio", ammise arrossendo.

"Ci vediamo tra una mezz'ora. Spero". Albert alzò la mano a mo' di saluto e solo quando fu uscito Candy si rese conto che aveva raddoppiato il tempo suggerito da lei.

"Imbroglione", mormorò nella grotta vuota, sentendo il torpore coglierla. Anche se non stava male quanto lui, anche lei era debole e doveva aver perso parecchio peso in quei due giorni. Fu con estrema fatica che tentò di rimanere sveglia in attesa del ritorno di Albert.

 
- § -
 

Il piccolo pesce che aveva trovato assieme ai granchi di quella mattina si era rivelato provvidenziale. Non certo per riempire i loro stomaci, ma perlomeno avrebbe costituito un'ottima trappola per gli uccelli di passaggio. Albert aveva individuato il nido proprio sull'albero sotto al quale stava lavorando in quel momento, ma non aveva preso le grandi uova che vi erano dentro. Non per il momento, almeno. Sistemò con cura i due rametti simili a piccole fionde che fungevano da supporti laterali e vi sistemò un rametto in orizzontale, sostenuto dal meccanismo grezzo che aveva creato poco di lato. Intrecciando lunghe foglie fibrose, aveva ottenuto un cordino cui aveva legato un bastoncino sul quale aveva infilzato il pesce. Ricontrollò che il cordino fosse ben fissato, all'altra estremità, dal ramo flessibile quasi fosse una piccola canna da pesca e che ci fosse abbastanza gioco per far scattare la trappola, quindi si dedicò al cappio che costituiva la continuazione dello spago improvvisato: lo fece passare intorno all'esca e si alzò in piedi, guardando la trappola con occhio critico.

Alzò quindi lo sguardo verso l'albero su cui aveva trovato le due uova bianche e ricordò quanto gli aveva detto Candy quando aveva visto l'uccello che secondo lei le aveva deposte, il giorno del suo compleanno. Una specie di piccione dal piumaggio scuro.

Albert rifletté strofinandosi la fronte con due dita, cercando di ignorare la debolezza che lo avrebbe indotto solo a sedersi e riposare. Il virus di cui erano stati vittima lo aveva colpito più duramente di Candy e aveva dovuto rinunciare ai pantaloni, almeno finché non avesse riacquistato abbastanza peso da tenerli su senza sembrare una specie di pagliaccio dei tropici. Per fortuna, al quarto giorno la dissenteria lo aveva abbandonato e gli aveva restituito parte della dignità: non avrebbe mai dimenticato la notte in cui, mentre andava a prendere dell'acqua da scaldare per creare degli impacchi, Candy lo aveva trovato mezzo svenuto a pochi passi dalla grotta. Pur avendo vissuto per anni in mezzo alla natura e persino in Africa, era la prima volta che contraeva un virus così aggressivo e sperò che fosse anche l'ultima.

E di colpo, arrivò l'illuminazione: se davvero quella specie era una sorta di piccione tropicale, forse il pesce non faceva parte della sua dieta, se ricordava bene i libri letti su quelle peculiari specie. Imprecando, tornò al loro secondo rifugio per prendere un pezzo di maracuja che avevano messo da parte per il pranzo e lo sostituì al pesce.
Ora non restava che attendere.

I passi dietro di sé gli indicarono che Candy era tornata con la legna e si mise ad accendere il fuoco insieme a lei, spiegandole come aveva realizzato la trappola secondo ciò che aveva imparato in Africa da alcuni indigeni. Quando fu il momento di tornare a visionare il risultato, però, le chiese di attenderlo accanto al falò: sapeva che avrebbe potuto impressionarsi nel vedere un piccione praticamente impiccato e magari ancora agonizzante. Lui stesso sperava di avere abbastanza coraggio da occuparsi di un compito così ingrato, abituato com'era solo alla pesca.

Scuotendo la testa mentre si inoltrava nel punto più fitto della boscaglia, Albert si disse che era molto più facile che la trappola non avesse funzionato e che avrebbe dovuto provare e riprovare accontentandosi di attirare ancora pesci riluttanti nelle lenzuola logore o di arpionarne altri in mare o nel fiume. Invece l'uccello era lì, che sbatteva le ali con il collo stretto nel cordino improvvisato, che emetteva suoni strozzati. E più di dibatteva, più il meccanismo lo stringeva.

Albert deglutì, colto dall'impulso irresistibile di liberarlo e lasciarlo volare via, sentendosi incapace di porre fine alla vita di una creatura così bella.

Non fare lo sciocco, comportati da uomo, William!

Persino la sua voce mentale lo chiamava con il nome amato dalla zia Elroy e ne aveva persino la sfumatura. Sarebbe stato sgradevole o persino straziante, sì, ma si trattava della loro vita in cambio di quella del piccione. Soprattutto della salute di Candy, che aveva grandi occhiaie viola perché aveva riservato la maggior parte del nutrimento a lui che era malato.

Fu con quel pensiero nella mente che si avvicinò al volatile, ricacciando indietro le lacrime e scusandosi in un mormorio sommesso mentre lo afferrava con decisione per il collo. E torceva.

 
- § -
 
 
Albert era tornato con un volatile già pulito tra le mani, ma Candy aveva notato le macchie di sangue sui pantaloncini di Albert, che ormai era rimasto solo in biancheria intima da quando i pantaloni gli erano rimasti troppo larghi. E lei, nonostante l'imbarazzo iniziale, aveva immaginato che fosse in costume da bagno, oppure che si trattasse di un paziente come un altro: avrebbe funzionato se, pur provato e dimagrito, Albert non fosse stato comunque diabolicamente attraente. E loro non fossero stati così innamorati. Lei stessa ormai non aveva che biancheria e sottoveste e poteva solo sperare che quei capi resistessero più a lungo o sarebbe morta per l'imbarazzo.

Mentre il piccione cuoceva, aveva visto lo sguardo assente di Albert e si era resa conto che parlava a monosillabi. "È stato così brutto farlo?", chiese sentendosi stupida subito dopo.

Albert sospirò rumorosamente, fissando gli occhi sull'uccello infilzato nel bastone: "Pensavo che sarebbe stato come pulire un pesce, ma posso dirti che non è la stessa cosa. A questo punto non so se la mancanza di mammiferi in questo posto sia un male o un bene". La voce era roca, velata.

"Avrei dovuto aiutarti", mormorò.

Lui scosse la testa: "Candy, non dico che sia stata una passeggiata di salute fare... quello che ho fatto a questo povero volatile, ma la priorità qui è la nostra vita. Se ci sono compiti sgradevoli me li sobbarcherò senza problemi e se posso renderti il soggiorno forzato meno gravoso lo farò con ogni fibra del mio essere".

Candy aggrottò le sopracciglia: "Però non è giusto: tu sei quello che procaccia quasi tutto il cibo, inoltre riesci ad accendere il fuoco molto più velocemente di me".

"È solo perché sono un uomo e ho più forza fisica. Anche tu accendi bene il fuoco e riesci a organizzare la cena o il pranzo con i pesci o le uova, quando le abbiamo. Una volta avresti bruciato tutto", le ricordò con un sorriso forzato.

"Potrebbe ancora accadere", lo avvertì allontanando per un attimo la carne dal fuoco e verificando che aveva bisogno di cuocere ancora. Nonostante tutto, il profumo che emanava era delizioso e dopo più di due mesi senza mangiare carne ebbe l'acquolina in bocca.

Fu il silenzio ad accompagnare quella cena, assieme a poche frasi di circostanza. E non era solo a causa del compito sgradevole di uccidere un uccello e cucinarlo: era perché ogni evento che accadeva era legato al fatto che nessuno li aveva ancora trovati. Il loro SOS sulla spiaggia difficilmente sarebbe stato notato da qualche intrepido su un aereo, mentre i fuochi non avevano fatto avvicinare alcuna nave: non che ne avessero mai avvistata una all'orizzonte.

In quel silenzio che li accompagnò fino al rifugio, stanchi ma rinfrancati dal pasto sostanzioso, Candy lesse la consapevolezza reciproca che forse a Chicago avevano perso le speranze e magari già celebrato dei funerali. Immaginò le lacrime di miss Pony, di suor Lane, di Annie, persino della zia Elroy sapendo che il suo adorato nipote era morto. L'ennesimo.

E pianse in silenzio Candy, quando fu certa che Albert dormisse profondamente, uscendo dalla piccola tettoia e respirando l'aria notturna per dominarsi. Non avevano che l'uno il sostegno dell'altra e forse, a breve, avrebbero dovuto prendere la decisione di costruire una zattera.

"Non so di preciso in che direzione dovremmo andare, perché non so dove diavolo siamo con esattezza", le aveva detto Albert frustrato, un giorno in cui avevano affrontato l'argomento. "Ma so che potremmo rischiare anche di più andando in mare aperto. Squali. Disidratazione. Fame. Sono solo le cose principali che potrebbero accaderci se non ci coglie una tempesta e distrugge la zattera".

Ecco perché aveva rimandato così a lungo, ora lo capiva ancora meglio. Finché erano lì avevano più possibilità di sopravvivenza. Tentare la fuga sarebbe stato un salto nel vuoto che non necessariamente li avrebbe portati a incrociare una nave o la terraferma continentale.

Tornò nel piccolo rifugio accoccolandosi accanto ad Albert, cullata dal suo respiro ritmico, ammirandone la figura più esile, le ossa del costato che sporgevano e il viso scavato. I capelli così biondi che sembrava il sole li avesse ulteriormente schiariti.

Se dobbiamo morire qui voglio prima donarmi a lui e conoscere la dolcezza dell'amore fra le sue braccia.

E quel pensiero così audace, nel mezzo della loro ennesima notte d'isolamento, per la prima volta non la imbarazzò più di tanto.

 
- § -
 
 
Oceano Atlantico: tra Madeira e Tenerife

José trovò Luìs che contava i centocinquanta dollari con estrema attenzione: ne avevano già spesi cinquanta per rifornirsi di provviste, pagare i marinai e sistemare la vecchia vela. Non fu certo di quello che passava per la mente del suo superiore finché non parlò.

"Quel carico di alcool a Funchal... quanto chiedevano per entrare nel giro?". Aveva ragione: quando fare il pescatore diventava troppo poco remunerativo, il contrabbando di alcoolici stava diventando l'alternativa di molti, che si stavano trasformando in corrieri fuorilegge sfidando le leggi. Se gli americani pagavano fino a mille dollari per un patriarca disperso, di certo erano disposti a investire la stessa cifra, se non di più, per importazioni di quel tipo persino oltreoceano.

"Si tratta di un lavoro pericoloso che potrebbe non durare a lungo. Il commercio clandestino avviene soprattutto con l'America del sud che è più vicina agli USA".

"Credi forse che non lo sappia?!". La voce di Luìs si era alzata di due ottave mentre scattava in piedi. "Però mille dollari, anzi, ottocento diviso tutti noi quanto fa a testa? Sì, oggi sembra un'enormità. Ma se fossimo solo io e te e tenessimo all'oscuro gli altri, potremmo divenire ricchi da fare schifo come i tizi che ci hanno commissionato questo lavoro assurdo!".

"Sarebbero comunque un sacco di soldi e io mi accontento...".

"Ti accontenti?". Il collega si era alzato e stava camminando verso di lui, minaccioso. "Ebbene, ho visto uno dei miei ex marinai metter radici a Casablanca con pochi carichi. Tu dici che non è un lavoro continuativo? E io ti dico che quei mille dollari se ne andranno via come nulla. Anzi, credo proprio che non li vedremo mai e fra poco se ne andranno anche questi", disse sventolando i dollari sul tavolo. "Prima o poi quegli Hardy, o come cavolo si chiamano, si rassegneranno al fatto che dopo due mesi dovranno cercarsi un altro capofamiglia perché qui non ci sono isole nel raggio di miglia. Ma noi abbiamo centocinquanta dollari per avviare un'attività molto redditizia".

José restò in silenzio per lunghi istanti, riflettendo: sapeva che Luìs se si metteva in testa una cosa era irremovibile e non voleva certo rischiare di diventare cibo per pesci contrariandolo troppo! Inoltre, doveva dire che l'idea solleticava non poco il suo interesse: poteva lasciare quello sputo di isola con la sua famiglia e andarsene davvero in Marocco a fare il riccastro. Un sorriso gli incurvò le labbra, pensando che forse non erano stati gli unici a fare quel pensiero.

"Quanto manca per Funchal?", chiese.

 
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Chicago, villa Ardlay

Georges strinse la cornetta certo che l'avrebbe rotta con la sola forza della sua mano destra. Eppure, non ne aveva più di forze. Lanciò un'occhiata al calendario sulla parete e vide che mancavano una decina di giorni al terzo mese di ricerche infruttuose: sarebbe stato troppo per chiunque, ferito o smemorato che fosse, con o senza i documenti di identità.

"Nel tratto di mare indicato non ci sono isole minori e dalla capitaneria di porto delle varie prefetture ci fanno sapere che hanno denunciato numerosi tentativi di contrabbando: veri e propri corrieri del mare che sospettano possano persino aver usato ciò che avevate anticipato per entrare nel giro, una volta compreso che non c'era nessun patriarca da ritrovare".

Doveva rispondere qualcosa al commissario di polizia. Sapeva che doveva, eppure le parole rimasero intrappolate in gola. La gola che era un'enorme, marcescente massa pulsante. "Capisco. La ringrazio molto per ciò che ha fatto finora". Strano che, nonostante quello fosse l'epilogo tragico che aveva rifuggito per settimane, la voce gli uscisse composta e ferma.

"Mi dispiace, mister Villers. Abbiamo fatto di tutto, ma non c'è davvero altro...".

"Lo comprendo perfettamente. Grazie ancora... per tutto". La mano ricadde priva di forze sulla forcella e la cornetta chiuse la comunicazione. Georges stesso ricadde sulla poltrona, esaurì il respiro e pianse. Pianse lacrime silenziose ma amare come non gli capitava dai funerali di Alistair.

Non aveva la più pallida idea di come dire al clan che dovevano nominare un nuovo patriarca. E soprattutto non sapeva come lo avrebbe comunicato alla signora Elroy.

 
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Sull'isola

Albert aprì gli occhi immerso nel profumo leggermente salino dei capelli di Candy. Durante la notte, Candy doveva essersi stretta di più a lui e dormivano abbracciati come due bambini. Lei era rannicchiata sul suo petto, persino le loro gambe si erano intrecciate durante la notte.

Non c'era neanche un pollice che li separasse e Albert dovette ammettere che non sentiva più freddo come avveniva nelle ore antelucane, anzi, cominciava ad avvertire un calore delizioso provenire dall'esterno della grotta. O forse proveniva dal corpo di Candy premuto contro il suo. Il corpo seminudo di Candy, le cui forme di donna aderivano contro il proprio petto in un contatto morbido e quanto mai gradevole.

La temperatura doveva essersi alzata parecchio, perché un rivolo di sudore prese a colargli lungo una tempia e Albert, forse per la prima volta in vita sua, sentì il bisogno di allontanarsi da Candy per respirare meglio. Eppure non voleva farlo. Il proprio, di corpo, gli urlava che invece quel contatto era ancora troppo poco e di colpo si ritrovò a desiderare di più. Molto di più.

Il petto di Candy si alzava e si abbassava nel sonno, diminuendo e approfondendo la loro vicinanza e i fianchi di lei erano premuti contro i propri tanto che indovinò la linea gentile delle natiche sotto la mano che... accidenti! Senza che se ne accorgesse aveva cominciato a scendere sulla schiena, fermandosi proprio lì dove nascevano.

Il respiro divenne così affannoso che dovette socchiudere le labbra per avere più ossigeno e Albert si accorse, con orrore, che la parte meno nobile del proprio corpo si stava risvegliando alla velocità della luce. O forse lo era già da prima e lui l'aveva semplicemente ignorata. Tuttavia, seppe che doveva uscire di lì e subito, prima di commettere qualche sciocchezza irreparabile. O che Candy lo sorprendesse in quelle condizioni incresciose.

Con molta lentezza, prese il braccio di Candy e lo scostò dal busto, quindi sciolse anche le gambe dalle sue e si allontanò da lei soffocando un gemito di disappunto. Stava facendo l'opposto di ciò che desiderava davvero e, mentre guadagnava l'uscita della grotta, si ritrovò a sperare che l'acqua del mare fosse ancora fredda. Parecchio fredda.

 
- § -
 
 
Candy allungò il braccio per trovare l'appoggio confortante del corpo di Albert, ma a quanto pareva lui era già uscito e lei, come al solito, aveva dormito troppo. Sbuffando, uscì fuori schermandosi dal sole con una mano e lo vide, in piedi tra i flutti, che in apparenza faceva un bagno mattutino. Decise di raggiungerlo senza farsi sentire e si sorprese a rallentare i passi per ammirare la sua schiena: diamine, poteva essere perfetta persino quella?! Beh, non solo quella, certo, anche...

"Candy!". Albert si volse facendola avvampare. Sperava solo che non stesse seguendo il suo sguardo, che si affrettò comunque a portare al suo viso.

"Mi dispiace, ho dormito troppo! C'è qualcosa nella nostra rete?", chiese cercando di apparire naturale e sentendosi solo un po' sciocca.

Lui si strinse nelle spalle, cominciando ad avanzare verso riva: "Non ci ho ancora guardato, ma possiamo andarci insieme".

Camminarono fianco a fianco, in un silenzio complice che era carico anche di qualcosa che Candy non riusciva o non voleva definire. Era conscia dell'attrazione che cresceva tra loro giorno dopo giorno, complici la mancanza quasi totale di abiti e la situazione che ormai era chiara come il sole di quella mattina: avrebbero dovuto cavarsela da soli o sperare in una nave di passaggio. Ed era come se con l'affievolirsi delle speranze di essere salvati aumentasse il desiderio di unirsi di più, mandando a benedire le regole che non valevano come sulla terraferma.

"Oggi il menù prevede tre grossi pesci e una zuppa di granchio", stava dicendo Albert controllando il lenzuolo. "Non male per la tendenza delle ultime settimane".

"Sì, è vero. Penso che con questi e la frutta potremo mangiare oggi e persino domani", disse il tono piuttosto piatto.

E ad Albert questo non sfuggì: "Che hai, Candy, ti senti male?".

Lei si perse per un attimo nell'azzurro dei suoi occhi seri. "Albert, tu... tu mi ami?".

E quegli occhi si spalancarono a dismisura: "Che domande fai, Candy?! Certo che ti amo! Perché me lo chiedi?".

"E allora perché anche stamattina mi sono svegliata da sola?". Aveva fatto una domanda diretta, quasi sfacciata, ma non se ne pentì. Beh, forse un po', e dovette abbassare gli occhi sentendosi arrossire.

Si morse il labbro sentendolo esitare: "Ma... Candy, non volevo svegliarti e sono venuto qui per controllare il tempo e i pesci...".

"La notte non mi abbracci più! Devo farlo io e quando mi risveglio non sei accanto a me!". Lo guardò di nuovo, quasi disperata. Possibile che Albert stesse rifuggendo da quell'attrazione che le pareva di cogliere in lui solo per rispettarla? E da quanti giorni non la baciava?

Lui strinse la mascella, cominciando a ripiegare il lenzuolo con i pesci ancora vivi dentro: "Aiutami, per favore". Il tono era quasi gelido e a lei vennero le lacrime agli occhi. Senza più fiatare, lo aiutò a portare i pesci fin dove di solito accendevano il falò e cominciò a passargli la legna che avevano raccolto il giorno prima, guardandolo di sottecchi mentre procedeva con il movimento secco su una tavola piatta per innescare la scintilla.

"Scusami", disse con voce così bassa che temette non l'avrebbe sentita. Stava cercando di non piangere, ma la visione offuscata le indicò che era troppo tardi. Sentì il rumore della legna che veniva posata e il rumore dei suoi passi morbidi sulla sabbia mentre si avvicinava e la stringeva in un abbraccio.

"Sei tu che devi perdonarmi, Candy. Ma sono preoccupato, capisci? Fino a oggi non l'abbiamo fatto, ma prima o poi dovremmo parlarne seriamente".

Candy sentì che era lei a prendere fuoco. E non c'era ancora nessun falò. "P...però, Albert, io credo che non ci sia nulla di male... voglio dire, possiamo parlarne, ma...".

"Vuol dire che sei d'accordo?". Le lacrime sparirono di colpo e Candy fu costretta a tapparsi la bocca spalancata con una mano per non urlare: glielo aveva chiesto così, all'improvviso e fuori dai denti se era d'accordo?!

Imbarazzata, cominciò a balbettare: "Io... io... non voglio che tu pensi che sia sfacciata o... qualcosa del genere, ma ti amo e... mi fido di te". Voleva spiegarsi meglio, ma al momento il suo cervello era in tilt completo.

"Sfacciata?", Albert sembrava perplesso. "No, veramente non lo penso affatto! Anzi, credo che tu sia molto coraggiosa. Ma dovremo pianificarlo bene o rischiamo che vada tutto storto". Pianificare? E cosa sarebbe potuto andare storto?! Possibile che Albert non avesse mai... "Ci servirà della legna leggera, come il bambù. E delle foglie fibrose per creare corde, tante corde. Dovremo sacrificare uno dei lenzuoli per fare una vela, inoltre ci servirà anche una copertura...".

Candy voleva sotterrarsi. Aveva frainteso tutto, per l'amor di Dio! Albert stava parlando di una zattera e lei aveva pensato a tutt'altro! Oh, era davvero, davvero la donna più indecente di tutti gli arcipelaghi del mondo!

"Te l'ho detto, mi fido di te. E comunque possiamo anche... uhm... riparlarne in un altro momento. Ora accendiamo questo fuoco o non faremo colazione". Aveva tagliato bruscamente il discorso e non sapeva se esserne pentita o sollevata.

"Allora non sei più arrabbiata con me?", le chiese avvicinandosi per scostarle una ciocca di capelli dal viso.

"N..no".

"Prometto che ti bacerò più spesso. A cominciare da ora". E lo fece Albert, lasciandola senza fiato.

 
- § -
 
 
Chicago

Elroy Ardlay era sicura di essere morta. D'altronde, aveva visto uno ad uno tutti i suoi antenati, a cominciare da suo nonno per finire con il povero Alistair, l'ultimo nipote a lasciare la Terra in modo così atroce.

No, non è l'ultimo...

Quel pensiero la catapultò nella realtà con un dolore tale che boccheggiò, senza aria. E si rese conto di essere viva, suo malgrado, stesa su un letto scomodo e con qualcosa infilato in un braccio. E sentiva delle voci. Delle voci vere.

"Dottore, la paziente è in fibrillazione".

"Somministriamo la terapia e chiamate suo nipote qui fuori".

Mio nipote...?

Elroy sentì qualcuno armeggiare intorno a lei, la voce femminile di un'infermiera che le ricordò Candice le disse di stare tranquilla, che tutto sarebbe andato bene. Candice. Candice che era morta assieme a William. Ma se era lì, forse poteva chiederle di lui! Era già nell'aldilà?

"Wi...". Prese un respiro profondo, d'improvviso a corto d'aria. "William... William". Aveva chiuso gli occhi solo per un istante, tuttavia quando li riaprì gli parve di vederlo, con i lunghi e indisciplinati capelli biondi che gli ricadevano sul viso, gli occhi spalancati.

"Zia Elroy, ti prego, non farci scherzi!". La voce, la voce era sbagliata. E quella donna accanto a lui non era Candice, che doveva invece avere la divisa da infermiera. Sbatté le palpebre e riconobbe la signorina Brighton.

Allora non sono morta. E neanche loro! Oh, grazie al cielo!

Allungò una mano, sentendo il braccio pesante come fosse fatto di piombo e toccò il viso di quel ragazzo con la voce melodiosa ma più sottile di quanto la ricordasse. "William, caro...".

Le sopracciglia si aggrottarono sugli occhi di colore diverso e la chioma biondo scuro ricadde ai lati del volto: "Mi spiace, zia, non sono William. Sono Archie".

Ora si spiegava come mai i suoi lineamenti fossero così diversi e la signorina Brighton fosse al suo fianco! Come aveva potuto scambiarli? La realtà le piombò addosso, implacabile come un cavallo imbizzarrito e lei chiuse gli occhi lasciando cadere le lacrime, conscia di trovarsi nell'ennesimo momento della propria vita nel quale l'autocontrollo e le regole della società non valevano più nulla. Quello era di nuovo il momento della perdita e del dolore, dell'essere umano spogliato di ogni dignità che si lascia andare alla sofferenza del lutto.

Come avrebbe fatto ad affrontare tutto ciò? Non poteva semplicemente morire ora e raggiungere l'unico figlio di suo fratello? Il clan sarebbe di certo andato avanti anche senza di lei, Archibald sarebbe stato di sicuro in grado...

C'è ancora bisogno di te.

Di chi era quella voce che le aveva fatto spalancare gli occhi all'improvviso, allarmando il giovane nipote e inducendolo a chiamare l'infermiera che non era Candice quasi gridando? Forse era la propria, che la auto ammoniva; forse era quella dello stesso William; o magari era quella di suo fratello, che le ricordava che aveva un clan che necessitava di un patriarca.

Con sommo dolore, mentre le voci intorno a lei disquisivano di terapie e tranquillità, Elroy si rese conto che aveva una missione, ancora una prima di morire. E non era neanche certa che le sarebbe stata concessa una tale liberazione. Ma sapeva che doveva riprendere le redini come negli anni in cui si era ritrovata da sola mentre il patriarca cresceva e studiava per prendere il suo posto.

Con l'unica differenza che stavolta William non sarebbe tornato. Mai più.

 
- § -
 
 
Albert scrutò l'orizzonte quasi distrattamente, come aveva fatto decine di altre volte in quegli oltre due mesi e mezzo. Certo di essere vittima di un'allucinazione, strizzò le palpebre sentendosi quasi miope e si rese conto che no, non stava sognando: la sagoma era proprio quella di una nave.

"Candy!", chiamò sperando che non fosse su qualche albero in cerca di cocco.

"Albert! Che succede?". Arrivò da lui correndo, spargendo la sabbia intorno a sé a ogni passo.

"Guarda, la vedi?!", le disse trafelato, indicando l'orizzonte. E, come aveva fatto lui poco prima, Candy allungò il collo e strizzò gli occhi, schermandosi con una mano sulla fronte.

"Oh mio Dio! Oddio, una nave! È una nave!". Senza che lui le dicesse nulla, corse al fuoco e Albert la seguì. Cominciarono a gettarvi dentro tutta la legna asciutta che avevano raccolto e persino le foglie e ogni cosa a portata di mano che potesse alimentarlo e fare fumo.

Mentre Candy era ancora impegnata in quell'operazione, lui corse di nuovo verso riva e iniziò a sbracciarsi e a urlare come non aveva mai urlato in vita sua. L'istinto di sopravvivenza, puro e semplice, rese la sua voce forte e potente.

"Ehi siamo qui! Siamo quiiiii!".

Persino i gabbiani che si stavano attardando sui resti del loro pesce volarono via, spaventati dalle grida. Candy lo raggiunse e unì alla propria la sua voce più squillante, quasi perforandogli un timpano. D'istinto, si scostò senza smettere di agitare le braccia in alto gridando, riuscendo a vedere il fumo che si alzava dietro di loro seguito da lunghe lingue di fuoco se solo si voltava un poco.

La sagoma della nave e della vela erano più vicine o più lontane? Colto da un istinto primordiale, Albert prese Candy per le spalle e le disse, quasi rauco per le urla: "Tu continua a gridare da qui, io vado sulle rocce".

"No, ti prego, potresti...!".

"Fallo!", le intimò con una veemenza che non aveva mai usato con lei, esclusa la volta in cui era quasi morto di paura credendola dispersa o ferita.

Nei suoi occhi colse la scintilla della rassegnazione e corse fino alle rocce, pregando di non cadere o farsi del male proprio quel giorno. Il tempo gli apparve come la sabbia che scorreva tra le dita, sfuggente quasi si trovasse lui stesso in una gigantesca clessidra, tuttavia quando fu in cima poté scorgerla, la nave, che mostrava la poppa come una signora maleducata che desse le spalle senza neanche un cenno di saluto.

Albert ringhiò di frustrazione e gridò: "Tornate indietro, dannazione, siete forse ciechi?! Siamo qui! SIAMO QUIIII!".

Anche Candy stava urlando qualcosa e dalla voce spezzata si rese conto che stava piangendo. Frustrato e colmo di una rabbia mai provata, Albert dovette asciugarsi gli occhi a sua volta, gridando ancora e ancora, finché fu senza voce e dovette semplicemente smettere, la gola che bruciava al pari degli occhi.

"Al diavolo!", imprecò battendo un pugno nella roccia, singhiozzando piano e passandosi il polso sulle palpebre serrate. "C'eravamo andati così vicini... così... maledettamente vicini...", mormorò decidendosi infine a scendere per consolare Candy.

Quella notte avrebbe dovuto abbracciarla a lungo e fu certo che anche a lui avrebbe fatto bene un po' del suo calore. L'ultima speranza poteva essersene appena andata.
                                                                                        
 
 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sette ***


Voglio far con te
L'amore vero quello che
Che non abbiamo fatto mai
Quello dove alla fine
Si piange e si leccano le lacrime
Quello che adesso so
Di poter fare solo con te
Quello che ora posso dare
Solo e soltanto, solo a te
Buongiorno bell'anima
Buongiorno bell'anima
Tra me e te, fantasia
Giochi aperti e grandi idee
Che cos'è? Dillo tu
Cosa siamo insieme noi
Siamo tutto e di più


(Buongiorno bell'anima - Biagio Antonacci)
 
 
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Candy si svegliò con una sensazione di panico che scemò nel momento in cui fu conscia del corpo di Albert che la stringeva, abbracciandola da dietro: quella notte si era svegliata in preda a un incubo e aveva pianto a lungo fra le sue braccia. Avevano affrontato il discorso della zattera già da una settimana, specie dopo quello che era accaduto con la nave: i giorni immediatamente successivi erano stati un inferno.

Candy si spostò un poco nell'abbraccio di Albert, che doveva avere il ginocchio piegato contro la sua schiena, e ripensò ai lunghi silenzi che avevano seguito quel momento. Lui era stato tenero e protettivo nei suoi confronti e aveva cercato di rassicurarla, ma non le era sfuggito che qualcosa in lui era cambiato: persino l'ineffabile Albert era deluso e preoccupato. Molto preoccupato. Se dopo quasi tre mesi di permanenza sull'isola quella era la sola nave ad essere passata, e così lontana da non averli notati, la loro unica speranza di non affrontare l'autunno e poi l'inverno lì era davvero tentare il tutto per tutto.

Pensò a Chicago muovendosi, a disagio, nel tentativo di spostare la pressione del ginocchio di Albert dalla parte bassa della schiena e per tutta risposta lui la strinse più forte borbottando qualcosa nel sonno e sospirando. La Casa di Pony. Annie. Archie. Persino la zia Elroy e Georges dovevano averli dati per morti. Secondo Albert forse li avevano persino cercati, ma era probabile che l'isola fosse fuori dalle mappe, ben oltre Madeira, e avessero pensato tutti che non ci fosse più nulla da fare. Le lacrime le risalirono agli occhi quando ricordò l'incubo nel quale si vedeva in piedi davanti alla lapide di Anthony e una folla di persone senza volto piangeva intorno a lei. Nel sogno, Candy aveva compreso che lei era sepolta accanto al ragazzo che un giorno aveva amato di un amore tenero e acerbo e che nessuno poteva vederla.

Gli occhi. Non avevano gli occhi. Ma se solo li avessero avuti, mi avrebbero vista. E saprebbero che sono qui con Albert.

Albert, il suo prozio William e il suo caro Principe della Collina. Colui che l'abbracciava su quel giaciglio improvvisato di foglie accanto a un fuoco quasi estinto in una caverna vicina alla spiaggia. Colui che si era mostrato forte eppure debole, spaventato a tal punto all'idea che potesse accaderle qualcosa da arrabbiarsi con lei come non aveva mai fatto. Proprio come Anthony. Amava tanto quell'uomo e sapeva che se dovevano rimanere lì o rischiare di morire tra le onde non gli avrebbe negato nulla di sé: tuttavia Albert era un gentiluomo e lei aveva ricevuto un'educazione rigida, oltre ad avere principi morali piuttosto ferrei. Ma non erano forse stati loro a infrangere ogni benedetta regola vivendo insieme, seppure come fratello e sorella, in barba alla società?

Candy sospirò e lui si mosse nel sonno intrecciando i piedi ai propri in un gesto che la fece sorridere di tenerezza struggente: sembravano così grandi paragonati ai suoi! Inalò il suo profumo che sapeva di sale, di legna fresca e di sudore

I suoi piedi tra i miei

e si irrigidì, spalancando gli occhi con un brivido bollente lungo la schiena, al limitare della quale non c'era il suo ginocchio. Perché se Albert avesse avuto una gamba tanto piegata da sentire il ginocchio dietro di sé, non avrebbe certo avuto i piedi intrecciati ai propri.

Rimase immobile per interminabili istanti, il cuore che tamburellava nelle orecchie come un boato. Deglutì, ma non aveva saliva. Invece, sentì un languore sconosciuto eppure riconoscibile in ogni fibra del suo essere, a partire dal punto in cui Albert la stava toccando inconsapevolmente nel sonno. E la toccava con una parte del suo corpo che, pur sapendo che esisteva, per lei era lontana mille miglia, quasi non gli appartenesse. Il suo caro, dolce Albert che l'aveva sempre guardata con tenerezza era un uomo che la desiderava e Candy aveva appena avuto la dimostrazione di quanto lo facesse.

Nonostante il primo impulso di staccarsi da lui, il secondo fu opposto e, gettando via ogni retaggio di buona creanza, si beò di quel contatto rilasciando un sospiro languido. Portò le mani su quelle di lui, che l'avvolgevano con dolcezza intorno alla vita e volse il capo per incontrare il suo viso addormentato, cercando e trovando le sue labbra. Dovette allungare solo un poco il collo per baciarlo, soffocando qualcosa che doveva essere un gemito di compiacimento. Candy seppe che se lui l'avesse voluta lì e ora, lei gli avrebbe semplicemente detto di sì.

Di colpo, mentre era immersa in una bolla di puro piacere a metà tra l'ardore e la sensualità, Albert interruppe il bacio e il contatto da lei, guardandola stravolto, del tutto sveglio. Nelle iridi azzurre e nelle pupille un po' dilatate vide il desiderio mutare in panico e nel giro di pochi istanti lui era seduto con la schiena contro il muro, abbracciandosi le ginocchia e toccandosi la barba ispida di tre giorni.

"S... scusa, forse stavo sognando di baciarti", disse con una voce profonda e arrochita dal risveglio brusco.

"In realtà... ti ho baciato io", ammise senza riuscire a sostenere il suo sguardo.

Albert la guardò sbattendo le palpebre e si alzò in piedi: "Vado a controllare se abbiamo pescato qualcosa".

"Non è ancora sorto il sole, se non te ne fossi accorto".

"Magari i pesci saranno più sonnolenti e li prenderemo più facilmente", abbozzò con un mezzo sorriso.

"Ti prego, non andartene, non lasciarmi sola! Io... ho bisogno di te, non ho paura...". Non sapeva quello che stava dicendo, ma vide un lampo attraversare lo sguardo di Albert prima che lui si chinasse di nuovo di fronte a lei, allungando quasi con timidezza una mano per sfiorarle il viso.

"Non ti lascerò mai sola, Candy, mai. Ti proteggerò sempre", mormorò facendole quasi salire le lacrime agli occhi.

"Non voglio più ritrovarmi sola in questa grotta, desidero svegliarmi sempre fra le tue braccia. Te l'ho già detto l'altra volta...".

"Candy...".

"Io ti amo, Albert. E ogni giorno qui è un giorno regalato. Non voglio perderne neanche uno, non con te. Non stavolta". Anthony era morto prima ancora che il loro amore sbocciasse in un sentimento adulto e più consapevole; con Terence aveva vissuto più nel dolore delle separazioni che nell'amore vero e proprio. Ad Albert, che era l'uomo della sua vita, non era disposta a rinunciare. Anche se si trovavano su un'isola deserta con un futuro sempre più incerto. Anzi, soprattutto per quello.

E, finalmente, fu lui a baciarla. Lo fece con devozione, dedizione e con un'intensità tale che crebbe di colpo e le fece girare quasi la testa. Prima ancora che potesse formulare un pensiero coerente su quanto adorasse quel bacio, Candy si ritrovò sotto al corpo caldo e seminudo di Albert, portandogli le mani sulla schiena in una carezza che voleva essere un abbraccio, la ricerca quasi disperata di un contatto maggiore e più profondo. Che trovò, quando lo sentì muoversi su di lei riprendendo fiato in un rapido ansito e ricominciando a baciarla, unendosi a lei e facendole avvertire il suo bruciante desiderio laddove cominciava a pulsare il proprio, strappandole il primo, vero gemito di piacere. Perché alfine si erano sfiorati, l'uomo e la donna, e gli strati di biancheria non erano sufficienti a celare quell'evidenza.

Albert scelse proprio quel momento per allontanarsi bruscamente da lei, come se si fosse scottato. Si passò la mano tra i capelli, quasi inorridito da se stesso e corse fuori.
"Albert!". Lo chiamò, ma lui era già sulla spiaggia che lasciava le sue impronte fino alla riva e Candy all'entrata della grotta, a scrutare la sua sagoma scura che si immergeva in acqua e cominciava a nuotare in lunghe bracciate.

"Albert!", gridò più forte, una nota di fermo disappunto che non dovette essergli sfuggita. Sì, lui era un gentiluomo e voleva rispettarla, ricacciando indietro a forza il desiderio che lei stessa ricambiava. E lo apprezzava, davvero.

Ma era ora di scacciare ogni imbarazzo e parlargli chiaro.

 
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Secondo i suoi calcoli, la stagione delle piogge a quella latitudine doveva essere ancora lontana, ma il cielo non prometteva niente di buono e se n'era accorta anche Candy, che lanciava occhiate nervose all'orizzonte. Mentre ritiravano il pesce cotto che non avevano mangiato dal loro falò e organizzavano le scorte d'acqua da portare nella grotta, Albert provò a immaginare cosa avrebbero fatto se fossero stati al largo, su una zattera improvvisata. La pioggia, il freddo della notte, le onde. E nessun rifugio se non qualche copertura rudimentale su una base fatta di legna e bambù. Ma il rischio peggiore sarebbe stato quello di rovesciarsi e annegare.

"... l'acqua piovana?".

Albert si volse di scatto verso Candy, un ginocchio affondato nella sabbia: "Cosa? Scusa, ma ero distratto".

"Me ne sono accorta", sorrise lei. "Sembrava stessi facendo una sorta di meditazione per allontanare le nuvole! Ti ho chiesto se vuoi che predisponga i teli di salvataggio per raccogliere l'acqua piovana".

Ci pensò su qualche istante, in bilico tra una decisione e l'altra: "Forse è meglio se ne usiamo uno solo e teniamo gli altri due per coprirci: se la tempesta farà abbassare la temperatura, stanotte, staremo più al caldo. Abbiamo comunque altre scorte e confido che presto potremo tornare al fiume".

Candy annuì e cominciò a inserire il telo in una piccola buca fermandolo con due pietre che avevano usato per l'SOS. Una parte remota della sua mente gli aveva suggerito che avrebbero potuto portarne nella grotta uno solo e dividerlo, ma il rischio che ciò li avvicinasse troppo era tangibile. Tanto tangibile che persino Candy se n'era resa conto, alcune mattine prima. A dire il vero aveva colto in lei, e non certo per la prima volta, il consenso che era anche lo specchio del proprio desiderio. Ma semplicemente non poteva farle una cosa simile: non lì, su un'isola deserta, senza prima averla sposata...

...con un futuro così incerto che si tratterebbe solo di sfruttare il tempo a nostra disposizione mandando al diavolo ogni regola di buona creanza, amandoci senza filtri perché abbiamo solo il mare e il cielo a giudicarci.

"Che c'è?". Candy lo stava fissando con gli occhi sgranati e Albert si rese conto che la stava guardando con un'intensità tale che doveva averla spaventata, mentre tornava per raccogliere le loro tazze di fortuna con le iniziali impresse sopra.

Come quelle della Casa Magnolia, dove la considerava una sorellina da proteggere e accudire, almeno quanto lei voleva prendersi cura del suo amico smemorato. Non osando portare mai, neanche per un istante a livello cosciente qualcosa di più che non fosse un amore che non andava fatto sbocciare e che aveva davvero pensato di camuffare con l'affetto. E senza neanche un pensiero poco più che tenero. Ora, che Candy era più adulta e il loro amore svelato, immersi in una realtà che pareva fuori dal resto del mondo, Albert si rese conto di quanto struggente fosse il suo desiderio di Candy. Senza che se ne accorgesse, era cresciuto nel proprio cuore e nel proprio corpo fino a diventare un bisogno fisico da soddisfare contro ogni ragionamento logico. Voleva Candy, la voleva con tutto se stesso, la considerava già sua moglie.

"Niente, niente, andiamo dentro, sta già cominciando". La sua voce era arrochita e le prime gocce di pioggia gli trasmisero un brivido dalle spalle nude alla schiena, anche se non erano fredde.

Candy cominciò a sistemare i teli, l'acqua e il cibo in modo che fossero in ordine accanto a loro, improvvisando quasi una tovaglia con delle foglie larghe e Albert iniziò ad accendere il fuoco con i movimenti che già conosceva, usando la legna asciutta e le esche giuste, pregando in cuor suo che quella tempesta durasse solo un'ora o due e non li costringesse a stare per troppo tempo vicini dentro la grotta. Già una volta avevano parlato del motivo per il quale aveva quasi smesso di baciarla e non voleva che Candy pensasse che lui non volesse più farlo. Ma dominarsi stava diventando sempre più difficile e la disperazione, la disillusione, i timori, uniti al corpo sempre più evidente di Candy sotto al tessuto logoro della sottoveste non aiutavano di certo. Perché nonostante i buoni propositi e l'educazione, Albert non era un santo e amava quella donna da tanti, troppi anni.

Il fuoco levò le sue lingue in alto e Candy batté le mani, come una ragazzina felice. Le regalò un sorriso e insieme si concentrarono sullo spettacolo della natura che stava per avere inizio.

 
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Candy fissò gli alberi scossi dal vento e il rumore delle noci di cocco che venivano sbattute sulla spiaggia dal vento le evocò quello dell'unica palla che avessero avuto alla Casa di Pony quando lei aveva sei anni, poco prima di conoscere il suo Principe. Era stata donata da una famiglia della cittadina vicina e ci avevano giocato tanto che alla fine si era sgonfiata e non rimbalzava più. Eppure, soprattutto i maschietti avevano continuato a calciarla ancora e ancora.

"A cosa pensi con quel sorriso?", le chiese Albert aggiungendo alcune foglie secche al falò.

"Stavo ripensando alla palla. La palla rossa".

Lui inarcò un sopracciglio, la muta domanda impressa nei lineamenti del suo viso smagrito e sbarbato da poco: "La palla rossa?".

Candy annuì: "Sì, la palla della Casa di Pony. C'era un periodo, poco prima che c'incontrassimo sulla collina, in cui ci giocavamo quasi ogni giorno e una volta finì su un albero. Indovina chi si arrampicò per riprenderla?".

Albert ridacchiò: "Fammi pensare: una ragazzina dai grandi occhi verdi, il musetto pieno di lentiggini e due buffi codini biondi?".

"I miei codini non erano buffi!".

Lui rise più apertamente e le sfiorò le punte dei capelli che a malapena le toccavano le spalle, trasmettendole un brivido anche se non le aveva toccato la pelle: "Hai ragione, scusa, ma è così strano vederti con i capelli più corti, adesso... credo di averli più lunghi dei tuoi ormai".

Candy gli si avvicinò affondando piano le dita nella sua chioma, ancora un po' umida, sentendovi la sabbia sotto ai polpastrelli. "Direi che siamo quasi pari". Albert aveva chiuso gli occhi e deglutì prendendo un lungo sospirò, afferrandole con delicatezza una delle mani per baciarla.

"Grazie per avermi aiutato con la lametta, stamattina. Non voglio più sembrarti un pirata".

"Grazie a te per averla affilata, ieri. Altrimenti avrei assomigliato più a Cita che a Jane", rise lei trascinandolo nell'ilarità. "E tu saresti affascinante anche come pirata. Penso che la barba ti doni comunque", ammise arrossendo.

Albert parve imbarazzato da quella confessione e si affrettò ad alimentare ancora il fuoco, prima che una corrente fredda li investisse passando tra le due aperture, portando con sé una raffica di gocce di pioggia.

"Accidenti, così si spegnerà!". Candy si affrettò ad aiutarlo e per quasi mezzora si adoperarono per gettarvi dentro tutto ciò che avevano a disposizione perché non si estinguesse. Avrebbero dovuto avere qualcosa da utilizzare come porta, perché la tempesta di quel giorno fu così inclemente che fu per mero miracolo che non si spegnesse del tutto.

Esausti e infreddoliti, si rannicchiarono nei giubbotti di salvataggio mangiando in silenzio la loro cena mentre, misericordiosamente, la pioggia diminuiva d'intensità fino a smettere. Lasciando comunque un'aria fresca che la fece rabbrividire e avvicinare ad Albert d'istinto. Tremava anche lui e d'un tratto Candy non seppe più il motivo, perché nella loro stretta c'era qualcosa di diverso, di più intimo, che non era la mera esigenza di scaldarsi.

Albert la fissava quasi fosse combattuto, come se la lotta dentro di sé si stesse rivelando più impetuosa della tempesta appena terminata. Per loro stava iniziando in quel momento e recava gli ultimi scampoli della ragione, le grida del cuore, il profumo dei loro sensi pervasi da un amore puro e vero che li accompagnava da anni. E che ora esigeva, a gran voce, di essere completo perché non avevano che la vita da perdere. Quella vita che non era infinita, che talvolta pareva avere limiti ben precisi delimitati dal mare stesso che li circondava. Quella vita che volevano entrambi, ne era certa, vivere fino all'ultima stilla.

 
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"Stringimi, Albert... non lasciarmi". Albert cercò di recuperare un briciolo di autocontrollo e la guardò negli occhi. Fu un errore e una benedizione al contempo. Gli occhi di lei brillavano di una luce intensa, supplichevole. Le labbra socchiuse gli ricordavano le mele rosse che non mangiava da mesi e gli parvero la cosa più succulenta che potesse anelare: senza rendersene conto, si leccò le proprie.

"Candy, proverò ad alimentare il fuoco e...". In realtà, il fuoco dentro di sé si era già alimentato a sufficienza. Avevano vissuto alla Casa della Magnolia per più di due anni, ma lei era ancora piuttosto giovane e lui uno smemorato innamorato che aveva avuto la possibilità di mantenere un forte autocontrollo, perché la sola idea di nuocerle o avvicinarla mentre forse era ancora innamorata di Terence aveva portato ai massimi livelli i suoi freni inibitori.

Ora, a distanza di anni, dopo averle finalmente dichiarato i propri sentimenti e aver appurato che lei provava lo stesso, tutto era diventato più complicato. Sulla terraferma, forse, sarebbe stato più semplice: lì erano immersi nella natura selvaggia, sopravvivendo ogni giorno, seminudi per la maggior parte del tempo e spesso costretti ad abbracciarsi in quelle condizioni per scaldarsi. Era un uomo di grandi principi morali, lo era stato per tutta la vita. Ma non era una specie di santo o asceta ed era fatto di carne, sangue e ossa anche lui. E amava Candy da tanti di quegli anni che vederla così, arresa a lui, lo fece quasi capitolare. Forse era l'effetto della fame e della stanchezza, la lontananza dalla civiltà, ma quando lei parlò non poté fare a meno di seguire ciò che richiese.

"Se dobbiamo morire qui, voglio conoscere prima la dolcezza dell'amore completo. E voglio che me la insegni tu. Desidero che tu sia mio... marito. Ho rinunciato per troppo tempo a innamorarmi, dopo Terence, ma con te... con te non è più possibile. Tu hai rubato il mio cuore e io ti appartengo per l'eternità".

"Oh, Candy!". La strinse a sé e, senza più alcuna titubanza, le avvolse un braccio intorno alla schiena, suggellando quell'amore con l'ennesimo bacio. Toccare le labbra di lei, in quel momento così intenso, non fu come assaporare una mela, né un altro frutto proibito e succulento. Fu come consegnarle la propria anima e il proprio essere, fondendosi in lei senza ancora aver fatto l'amore.

La baciò, prese fiato e la baciò di nuovo, sempre con più urgenza, sempre con maggiore affanno, sentendola rispondere ed emularlo con incredibile ricettività. L'istinto sembrava essersi impossessato di loro e fu con un sollievo inspiegabile che la sdraiò sotto di sé stringendola come quando dormivano insieme ma senza smettere di catturare le sue labbra, rabbrividendo quando lei, appena glielo richiese con un gentile tocco della punta della lingua, aprì la bocca nella sua.

Erano passati da carezze e baci innocenti a qualcosa di tanto ardente che il suo corpo reagì in modo repentino e quasi doloroso, rivendicando Candy come sua e sua soltanto. La sentì sussultare, forse stupita, forse spaventata, e finalmente riuscì a connettere le cellule cerebrali in un pensiero coerente: non poteva averla finché non fosse stata davvero sua moglie.

"Scusami, io... forse sono solo un po' nervosa, ma va bene... puoi...".

Lui ridacchiò, a sua volta nervoso, riavviandole i capelli dalla fronte e ricacciando indietro a forza il desiderio che lo stava obnubilando: "Voglio fare le cose per bene. Voglio prima sposarti". Lo sguardo di Candy aveva una sfumatura oltraggiata che comprese perfettamente. Lui stesso non capiva come potesse interrompere un atto così legittimo e soprattutto già iniziato senza urlare per la frustrazione. "Lo faremo subito. Vieni".

Si alzò in piedi e la tirò su aiutandola con una mano, fino ad arrivare vicino a una delle palme da cui erano cadute alcune foglie verdi. Strappò una delle fibre, non troppo sottile, e la divise fino a farne due piccoli cerchi misurando la circonferenza dei rispettivi anulari. Quindi ne legò meglio che poté le estremità e le soppesò in una mano: erano così leggere che al primo soffio di vento sarebbero volate via, se non le avesse strette. Incredibile come qualcosa di così vulnerabile stesse per sancire un legame tanto forte.
Erano vestiti solo di biancheria e giubbotti di salvataggio, i capelli scompigliati e pieni di sabbia, soli, infreddoliti e affatto eleganti, ma non aveva alcuna importanza.

"Io, William Albert Ardlay", cominciò con voce forte e solo un po' tremante per l'emozione, quasi si trovassero in una chiesa gremita, "prendo te, Candice White, come mia legittima sposa e prometto di amarti e onorarti per tutti i giorni della mia vita". Senza mai interrompere il contatto visivo, notando le lacrime nascenti negli occhi sorridenti di lei, le infilò quell'anello improvvisato e mormorò: "Ora tocca a te".

Lei rise a metà del pianto, prendendo dalla sua mano la propria fede e ripeté i voti. Alla fine, fecero insieme il segno della croce. "Amen", disse lei, tremante di felicità.
"Ora può baciare la sposa", terminò Albert camuffando un po' la voce, facendola ridere.

E il bacio arrivò, ben più casto e dolce di quello di poco prima. Il bacio di due neosposi. Prima che Candy potesse dire altro, la sollevò e la riportò nella grotta, dove si dedicò anima e corpo a renderla davvero sua moglie.

 
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Bohemian National Cemetery di Chicago

"Polvere alla polvere". Polvere. Non v'era neanche quella. Georges sentì le parole del sacerdote riecheggiargli nella testa quasi fossero una bestemmia e non una preghiera e tentò disperatamente di allontanare le immagini di corpi decomposti sotto l'oceano Atlantico.

La signora Elroy era appoggiata al nipote Archie che la sorreggeva da un lato e dalla signorina Brighton che singhiozzava dall'altro. I membri del clan sembravano statue rigide e senza anima, mentre fissavano la lapide e persino i fratelli Lagan avevano lo sguardo sconvolto di chi non potesse credere ai propri occhi.

E lui, Georges Villers, stava vedendo morire gli ennesimi membri di quella che da sempre era stata la sua famiglia. Una catena di eventi impetuosa e spietata che sembrava volergli strappare senza pietà tutte le persone più care, anno dopo anno. Un giorno, anche il proprio cuore si sarebbe arreso. Ma non poteva farlo ora: Archibald Cornwell sarebbe diventato il nuovo patriarca e quando Neil Lagan si accostò a lui e a uno dei membri anziani nel salone della villa dove si era spostata la cerimonia funebre, capì che c'era un'altra battaglia che avrebbe dovuto combattere.

"Vorrei parlare con voi, per favore". Il tono gelido, gli occhi seri e qualcosa di inquietante che gli fece presagire subito quali sarebbero stati i toni di quella discussione.
"Bene, giovane Lagan, cosa c'è di così urgente da interrompere una commemorazione tanto triste e importante?", chiese mister Scott seduto al grande tavolo di mogano della piccola biblioteca, giocherellando con i lembi del cilindro nero.

"Voglio sapere perché non avete pensato a me quale successore. Ho gli stessi diritti di mio cugino".

"Diritti?!". Per fortuna, mister Clark era intervenuto mentre Georges s'imponeva di contare fino a dieci. "Figliolo, hai un giro di affari in Florida con tuo padre, sei l'erede di una catena di alberghi tra le più solide di quei luoghi e vorresti anche ereditare il titolo di patriarca?".

"Beh, perché no?", chiese lui alzando le spalle e inarcando un sopracciglio, costringendolo a mordersi la lingua per non ricordargli quanto poco tenesse alla famiglia e molto alle ricchezze.

E tuttavia, stavolta non poté impedirsi d'intervenire: "Il signorino Cornwell ha lavorato a lungo fianco a fianco con William, dopo la laurea, e conosce molto bene le esigenze e i progetti che stavamo portando avanti. Inoltre ha dimostrato di sapersi barcamenare in maniera eccellente sia con gli affari locali che con quelli all'estero".

"E pensate che io non ne sarei in grado?!". Neil aveva perso di colpo tutta la compostezza e si era alzato in piedi battendo i palmi delle mani sul tavolo. Georges si chiese se si sarebbe comportato allo stesso modo nel caso in cui Raymond fosse stato presente e non fosse rimasto nel salone principale.

"Non si tratta di essere in grado o meno", ribatté Scott in tono duro. "Ciò che ora rivendichi passerà naturalmente ad Archibald perché è stato quello più vicino al clan e agli affari di famiglia. Questa tua richiesta suona alquanto fuori tempo e persino opportunistica".

"Anche io faccio parte del clan Ardlay!".

"Il signorino William ha predisposto personalmente le cose affinché la famiglia Lagan avesse un'attività fiorente in un altro Stato, non credo proprio che nelle sue intenzioni ci fosse quella di coinvolgervi negli affari di Chicago o del Regno Unito", puntualizzò cercando di mantenere la calma.

"Lo zio William ce l'aveva con me perché volevo sposare la sua Candy! Ma ora non può più prendere decisioni e io esigo giustizia!". Georges sbatté le palpebre, allibito. Era così sconvolto per la recente perdita, che rimase quasi senza parole davanti a tanta arroganza.

"Pensa davvero di sapere cosa sia la giustizia, signorino Neil?", si sentì rispondere interrompendo le rimostranze indignate degli altri due membri. A quella domanda, pacata ma vibrante, tutti tacquero e lo fissarono.

"Cosa? Che vorresti insinuare?". L'istinto di colpire fisicamente il volto indignato del ragazzo fu tale che Georges non si riconobbe e ne fu quasi spaventato.
Ma fu grazie al suo vecchio autocontrollo che riuscì a esprimersi con voce ferma. O quasi. "Le ricordo che io ero presente quando la signorina Candice è stata adottata dalla famiglia Lagan e, anche se non ho mai osato intervenire nelle questioni private della famiglia, avevo occhi per guardare e orecchie per ascoltare".

"Ma come ti permetti...?!".

Georges alzò una mano per interromperlo, lanciandogli uno sguardo tanto gelido che pensò di averlo visto rabbrividire: "Ho sempre avuto un grande rispetto per tutte le famiglie del clan e non mi sono mai azzardato a muovermi dal mio posto. Ma William e io parlavamo di ogni aspetto che riguardasse i suoi cari e quando la signorina Candice è stata adottata dagli Ardlay non le nego che si è sentito molto più tranquillo".

"Non le abbiamo mai fatto nulla di male!", quasi gridò, e Georges incrociò gli sguardi degli altri due uomini. Anche loro sapevano. "Mia madre si è persino scusata pubblicamente per le accuse ingiuste che le abbiamo mosso io ed Eliza e ormai sono cose che appartengono al passato! Qui quello che conta sono le mie abilità che...".

"Le tue abilità, giovane Lagan", lo interruppe Clarck con tono accondiscendente, "le stai utilizzando in modo eccellente per la catena di alberghi che gestisci con tuo padre. C'è un vecchio detto che suggerisce di non tirare troppo una corda per evitare che si spezzi. Lascia che ti suggeriamo, visto che abbiamo maggiore esperienza, di godere di ciò che hai tra le mani senza pretendere altro che non ti spetta. La nostra decisione è stata già presa da tempo e ti domandiamo di rispettare questo giorno funesto occupandoti solo di consolare la tua povera zia, che a nostro avviso hai appena degnato di uno sguardo".

Georges fu lieto di vedere il viso di Neil arrossire violentemente mentre stringeva forte i pugni e la mascella e si congedava persino con un leggero inchino. Fece un sospiro di sollievo quando uscì dalla stanza e si preparò ad affrontare i giorni a venire. I lunghi, devastanti giorni a venire. Doveva adempiere ancora una volta ai suoi doveri e collaborare con Archibald per tenere in piedi quell'impero senza più un erede diretto: era la sua unica missione sulla Terra.

 
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Sull'isola

Quando Albert scivolò in lei per la seconda volta, Candy si irrigidì solo per un istante, temendo di provare di nuovo il dolore della prima. Invece, con suo sommo stupore, il fastidio fu davvero minimo e il piacere prese quasi subito il sopravvento. Come poche ore prima, Albert si mosse dapprima lentamente, continuando a baciarla e ad adorarla toccandola con languida gentilezza, facendole anelare di più. Facendole venire le lacrime agli occhi per l'emozione di averlo così vicino, fin dentro al suo essere. Quindi aumentò i movimenti, riempiendola di un amore accecante che non era solo fisico, ma la penetrava fin nei recessi dell'anima mentre fuori spuntava una timida alba.

Stavolta, Albert restò più a lungo nel proprio corpo facendo esplodere i suoi sensi mentre la possedeva e non prima, usando il semplice tocco delle sue belle mani. E non si scusò prima di uscire precipitosamente da lei ma, a differenza di allora, Candy non lasciò che si allontanasse troppo stringendola con un solo braccio mentre si riversava sul terreno. Mandando a farsi friggere ogni vergogna, abbassò la mano e fu lei a guidarlo alla gloria, beandosi dei suoi gemiti rochi e stupiti, avvertendo il suo calore lungo il fianco e adorando quell'unione quasi completa.

Mentre Albert si abbandonava con le labbra sul suo collo, dandole piccoli baci umidi attraverso il fiato bollente, Candy cercò di calcolare se avrebbero mai potuto amarsi in modo totale senza rischiare che lei restasse incinta su un'isola deserta. I suoi studi di infermieristica, in realtà, le davano delle indicazioni precise, tuttavia sapeva bene che il rischio era sempre presente persino in quel modo.

La verità era che lei per prima non ci aveva affatto pensato, neanche la prima volta. Quando Albert si era allontanato da lei, nel momento in cui lo aveva percepito irrigidirsi e trattenere il fiato in un ansito strozzato, aveva subito riconosciuto l'esplosione deliziosa nella quale lei stessa era rimasta coinvolta solo pochi minuti prima grazie alle sue carezze insistenti. E aveva compreso solo successivamente quanto Albert fosse stato molto più lungimirante e attento di lei, nonostante l'emozione che doveva aver provato.

"Stai bene?", le chiese di nuovo.

"Come non mai", gli rispose sorridendogli con gli occhi lucidi.

"Mi hai... sorpreso", disse ridacchiando e arrossendo un po', quasi fosse in imbarazzo.

"Anche io mi sono sorpresa, ma ho solo seguito... beh, il mio istinto e il mio desiderio", ammise abbassando le ciglia, certa di essere arrossita molto più di lui.

"Seguilo pure come e quando vuoi, moglie mia", rispose lui baciandole una tempia.

"Come lei desidera, marito mio". Fu lei a baciarlo, sentendosi di colpo sfinita e desiderando dormire contro il suo corpo nudo. Albert dovette percepirlo, perché prese uno dei due giubbotti e lo stese su di loro come una trapunta.

"Più tardi possiamo provare a uscire per raccogliere altra legna da asciugare, se il sole ci assiste. Ora riposiamo un po', vuoi?". L'alito caldo le carezzò l'orecchio e gli si rannicchiò addosso come una bambina.

"Sì...", disse con un grande sorriso.

"Candy, mi dispiace, non volevo che la prima volta fosse così... beh, diversa da come l'avevo immaginata".

I sensi, quasi addormentati, si risvegliarono di colpo e Candy lo fissò. Era forse arrossito ancora? Era senso di colpa quello che scorgeva nei lineamenti contratti?

"Perché, come l'avevi immaginata?".

"Beh, io speravo che fossimo in un altro luogo, in luna di miele, sposati sul serio. Ho immaginato di prendermi tutto il tempo per... credevo che avremmo avuto tutta la notte per...".

Candy sospirò, posandogli un dito sulle labbra: "Forse non ti sei reso conto di quanto ho adorato che tu ti sia preso cura di me come fossi un fiore delicato. Non hai nulla di cui scusarti e non eravamo su un comodo letto in qualche località esotica, ma siamo su un giaciglio improvvisato, dopo lunghe settimane nelle quali i nostri sentimenti sono cresciuti e maturati tanto. Non potevo desiderare nulla di più. Ti amo, Albert".

Lui la strinse forte, tanto forte che poté avvertire il suo cuore battere contro la guancia. Sentì le lacrime inondarle gli occhi, così come la stava inondando la gioia di aver condiviso davvero tutto con l'uomo della sua vita.

"Ti riporterò a casa, Candy, farò di tutto per riportarti a casa". E seppe, dalla sua voce spezzata e profonda, che anche lui stava piangendo in quell'abbraccio che non aveva più nulla di sensuale, ma era solo protettivo. Candy gli credette, seppe che Albert avrebbe fatto tutto per lei. E intendeva ricambiarlo, fino in fondo, finché avesse avuto la luce negli occhi e il sangue nelle vene.

 
- § -
 
 
Ponta Delgada, Portogallo

Luìs Costa si rigirò la pipa tra le mani fissando la bagnarola che doveva essere l'imbarcazione discreta che avrebbe dovuto portarlo alla gloria. Come potessero aver stipato sottocoperta tutte quelle bottiglie era un mistero, ma d'altronde non stava a lui soffermarsi su quei particolari: il suo compito era verificare che i mozzi facessero il loro lavoro e portare la poppa di quella barchetta fino a Capo Verde, da dove sembrava volessero attraversare l'oceano fino in sud America. Un giro tortuoso che doveva servire a eludere i controlli e confondere la Guardia Costiera?

"Ecco un altro mistero di cui non mi può importare meno", mormorò con voce roca soffiando una nuvola di fumo verso l'orizzonte. Ma allora perché tutti quegli interrogativi, di punto in bianco? Eppure era sfuggito per un soffio a una retata massiccia, corrompendo qualche poliziotto con quel che gli rimaneva dell'anticipo di quella bizzarra famiglia americana che aveva il patriarca disperso chissà dove. Non pensava di essere intoccabile, ma ormai aveva una certa esperienza in quel campo così come in mare: sarebbe diventato un corriere eccellente, ne era certo!

Gli occhi acquosi irritati dal fumo e dalla salsedine si posarono sul nome della barchetta: non che non ne avesse condotte di migliori, in passato, ma una che si chiamasse Marìa gli mancava. E come molti altri suoi colleghi, non poteva che essere in parte superstizioso e associarla alla Santa Marìa di Colombo che aveva avuto una pessima sorte qualche secolo prima, se non ricordava male i libri di storia, proprio nel giorno di Natale. Non che le somigliasse o avesse una fila di cannoni, quella che galleggiava nel porto somigliava più a una zattera a forma di barca perché non doveva dare nell'occhio. Tuttavia, proprio le sue dimensioni ridotte e il nome non gli evocavano nulla di buono.

Vibrazioni negative...

Luìs cercò di razionalizzare quel pensiero assurdo e comprese che, per come era costruita, un tratto di mare così lungo sarebbe stato pericoloso, quasi un suicidio se fossero incappati in qualche tempesta. Le tenute stagne che avrebbero dovuto impedirle di affondare sembravano affidabili, a una prima occhiata, ma chi gli diceva che erano state controllate fin nei minimi dettagli? Bastava una fessura per fare la fine del Titanic o di quella nave che aveva indotto quei riccastri degli americani a cercare il loro rampollo per tutto l'Atlantico orientale. O quasi, perché dubitava che qualcuno lo avesse cercato alacremente una volta avuti i duecento bigliettoni.

Ti stai facendo troppe paranoie, qui c'è da guadagnare anche di più se smetti di tremare come una femminuccia.

No, non si sarebbe lasciato impressionare da nomi o dimensioni, né da compartimenti stagni che aveva appena osservato. L'interesse che la barca reggesse era di tutti e non erano in molti a dividersi il malloppo. La vasca da bagno avrebbe retto, lo scambio sarebbe avvenuto e lui, forse, a breve avrebbe potuto godersi la sospirata pensione.

 
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Sull'isola

Albert schioccò la lingua in un gesto di disappunto, cercando di concentrarsi sul compito di ritirare la loro rete improvvisata senza far scappare tutti i pesci e i granchi che erano riusciti a catturare. Da quando lui e Candy erano diventati marito e moglie, seppure in maniera decisamente poco ortodossa, ogni momento del giorno e della notte era buono per unirsi in una danza ardente e desiderata da entrambi.

D'altronde, essendosi trattenuti per tanto tempo, essendo soli e con l'unica incombenza di sopravvivere giorno dopo giorno, chi avrebbe avuto da ridire? Bastava guardarsi e trovarsi in una situazione di apparente calma per riempire qualunque ritaglio di tempo. Ed era passata solo una settimana.

Albert imprecò a bassa voce quando alcuni pesci guizzarono via e si affrettò e ritirare quelli rimasti, conscio che d'ora in avanti avrebbero dovuto prestare attenzione. Molta più attenzione. Era evidente a tutti e due quanto fosse frustrante e pericoloso quel gioco nel quale doveva evitare che Candy potesse restare in stato interessante. Solo la notte prima ne avevano parlato e lei aveva avanzato timidamente l'ipotesi di fare un calcolo dei giorni del mese: tuttavia, si erano trovati d'accordo sul fatto che si trattasse di un metodo ancor meno sicuro.

No, la cosa migliore sarebbe stata diradare i loro incontri e anche così le precauzioni non sarebbero state sufficienti. Ogni volta che il suo corpo era in procinto di arrendersi, Albert doveva fare uno sforzo titanico per allontanarsi da Candy, così accogliente e calda, così... sua. La prima volta era stata la peggiore, perché ci aveva davvero pensato solo all'ultimo istante e aveva compiuto un miracolo, ma anche una violenza contro se stesso. Non gli importava, il benessere di Candy era la priorità, ma anche lei sembrava scontenta. Neanche a lei bastava più.

Trascinando a riva i pesci per controllarli, Albert quasi rimpianse i giorni alla Casa della Magnolia, per paradossale che fosse. Ammise con se stesso di averla amata molto già all'epoca e sì, qualche volta anche desiderata. Ma era così facile controllarsi e seppellire l'istinto di stringerla a sé sapendo che lei era ancora molto giovane e soprattutto innamorata di un altro! Doveva essere impazzito: stava praticamente rimpiangendo Terence.

Erano lì, da soli, innamorati, quasi sposati, liberi eppure intrappolati.
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo Otto ***


Oceano Atlantico

Quelle nuvole. Quelle maledette nuvole. Le paratie che non mi sembravano a regola d'arte.

"Capitano, il vento è teso e siamo quasi a otto nodi". Il ragazzo non poteva avere più di sedici anni e il viso pallido gli disse che anche lui temeva la tempesta. Luìs seguì con gli occhi la direzione delle nuvole e socchiuse le palpebre per avvertire meglio il vento.

"Viriamo verso ovest e monitoriamo attentamente il corpo nuvoloso. Con un po' di fortuna potremo essere solo sfiorati dalla pioggia".

Il ragazzo annuì, sembrando più sollevato, correndo a manovrare la vela. Luìs si chiese se la sua inesperienza gli avesse fatto comprendere comunque che stava facendo un tentativo quasi disperato di evitare l'inevitabile: affermare di poter sfiorare la tempesta gli era costato non poco, considerando che ci credeva molto poco, e Luìs si domandò se avessero mandato al macello altri ragazzi come quel mozzo solo per assicurarsi lo scambio di merci. Sospettava che non avesse fatto, fino ad allora, altro che imbarcarsi su qualche peschereccio non troppo lontano dalla costa. E anche l'altro doveva arrivare a malapena a vent'anni.

Con un grugnito, quasi mordendo la pipa, afferrò il timone e virò diminuendo la velocità, considerando per la prima volta la possibilità di portare a casa la pelle invece dei soldi. Forse, se avesse seguito l'istinto fin da subito e non fosse stato tanto avido, non avrebbe dovuto illudere persino se stesso, raccontandosi che sarebbe piovuto e non minacciava una vera e propria tempesta. Forse, se avesse speso meglio quanto guadagnato fino ad allora, avrebbe potuto prestarsi a missioni più mirate e mettere da parte un gruzzolo sia per se stesso che per aiutare la sorella che aveva tanto bisogno di quell'operazione costosa. Forse, se fosse stato più lungimirante e usato l'esperienza accumulata negli anni di navigazione, ora non si sarebbe trovato in un mare di sterco ma in un punto ben più tranquillo dell'oceano.

Se fosse stato particolarmente abile e fortunato e Dio non avesse distolto lo sguardo da lui nonostante gli errori commessi, forse avrebbe riportato il sedere a casa assieme a una cospicua somma di denaro. Altrimenti, prima di affondare avevano qualche buona bottiglia di whisky da bere per ubriacarsi andando incontro alla morte con i sensi obnubilati.

 
- § -
 
                                                                                        
Sull'isola

Albert gridò il nome di Candy e si rese conto che lo stava stringendo con le gambe impedendogli di allontanarsi da lei. Imprigionandolo, affondandogli le unghie nella schiena. Facendogli commettere l'inevitabile. Accecato dall'estasi più potente che avesse mai provato, immerso nel corpo di colei che amava, Albert spense la ragione e si godette il momento interminabile avvertendo quella di Candy in contemporanea. Stupito, appagato, sconvolto, rotolò accanto a lei quando ormai fu troppo tardi.

I loro occhi s'incontrarono mentre i respiri si normalizzavano e in quelli di Candy lesse finalmente consapevolezza e panico. "Perdonami", le disse.

"No! La colpa è mia. Io... non ho voluto... non potevo... era così...". Arrossì e a lui parve bellissima.

"Intenso. Giusto?", terminò per lei. Candy annuì. "Bene, infermiera, visto che ormai abbiamo fatto il danno, hai una stima di quanto possa essere grave?".

Lei restò per un attimo a bocca aperta, come indecisa su cosa rispondere. Albert inarcò un sopracciglio, inclinando la testa come per suggerirle e finalmente lei capì. Passò dal rossore a un pallore evidente e comprese che avrebbero dovuto pregare perché il miracolo più bello che potessero desiderare non si avverasse.

"Albert...". Lui però non l'ascoltò e si mise a sedere sulla sabbia, scrutando l'orizzonte. Dovevano uscire da lì, con o senza una vela adeguata. Dovevano cercare le coste dell'Africa o qualche altra isola abitata, e quanto prima.

"Sono un idiota. Avrei dovuto essere più deciso, invece mi sono lasciato trasportare. La responsabilità maggiore è mia, ho perso il controllo!". Lo avevano perso entrambi, in realtà, dopo aver giocato a spruzzarsi l'acqua sul bagnasciuga come due ragazzini. Ma quello più adulto avrebbe dovuto essere lui, almeno alla fine.

"Albert, non hai capito! Io... veramente... non so se sia il momento sbagliato o no. Non... non ho il mio... periodo da quando siamo naufragati qui. Ben prima di sposarti".

La mascella gli ricadde e lui cercò di comprendere quanto gli stava dicendo Candy: "Cosa... perché non me l'hai detto prima?".

"Perché non potevo rivelarti una cosa così intima, scusa! E poi per i primi due mesi ho pensato che dipendesse dalla stanchezza e dall'alimentazione sbilanciata. Ho stupidamente immaginato che magari tutto sarebbe tornato come prima dopo... lo sai...".

"Ed esiste un'evidenza scientifica di questo?", domandò camminando con lei verso l'acqua per lavarsi via il sudore e la sabbia.

"In effetti non credo. Non lo so! Oh, Albert, sono quasi del tutto ignorante su questo, ho solo le nozioni di base! Un'infermiera non ha bisogno di approfondire ogni singolo aspetto", si lamentò lei facendo il broncio.

"Va bene, va bene". Albert immerse la testa sott'acqua e riemerse. "Però, per una mia maggiore tranquillità, posso chiederti una cortesia?".

"Certo".

"Se dovessi avere altri... sintomi strani, avvisami. E vorrei domandarti anche di farmi sapere... beh, quando tutto tornerà alla normalità". Candy arrossì, annuendo. "Voglio provare a costruire quella zattera. Mi pare evidente che rischiamo di svernare qui, se non peggio, occorre muoverci e rischiare. Ma non come poco fa".

"La vela...".

"Proveremo con quelle vecchie lenzuola e cercheremo di capire se le foglie di palma possono tornarci utili". Uscì fuori dall'acqua, scuotendo il capo e i capelli che si erano già allungati, osservando Candy fare lo stesso. Desiderandola più di prima, così bella con i riccioli che le ammantavano le spalle.

D'istinto, la prese fra le braccia, ancora nuda com'era, attirandola al proprio corpo altrettanto nudo. Adamo ed Eva e il peccato già commesso. La mela proibita e il serpente in agguato tra i flutti dell'oceano. Ma non gli importava: l'avrebbe protetta e riportata a casa o sarebbe morto tentando. Tuttavia, se le cose fossero andate storte, poteva sopportare di essere il fautore della sua stessa fine? E d'altronde, se così fosse stato, l'avrebbe seguita subito dopo, sia che l'avesse reclamato la natura stessa, sia che avesse dovuto decidere di saltare giù dalla sua stessa zattera.

"Albert, a cosa stai pensando?". Il tono spaventato di Candy gli fece comprendere quanto cupi fossero i propri pensieri. Persino più cupi di quando era senza memoria e non trovava il suo posto nel mondo.

"Pensavo che non vedo l'ora di tornare a Chicago e sposarti in chiesa, festeggiare come si deve con le persone che amiamo e andarcene in luna di miele in piena campagna o ovunque tu vorrai". Il tono era appassionato e pacato come desiderava e gli occhi di Candy si riempirono di lacrime.

"Ce la faremo, non è vero?". E lui tacque per un lungo, interminabile istante. Perché aveva colto la supplica nel tono accorato di lei, non la domanda ingenua. La speranza condivisa che non era certa di lasciar sbocciare.

"Faremo del nostro meglio. Te lo giuro". Poi, non ci fu che un lungo, lunghissimo abbraccio.

 
- § -
 
 
Candy lasciò cadere nella grotta le canne di bambù che avevano raccolto nella zona più verde vicino al corso d'acqua e sedette con Albert per riposare un attimo: erano stati tanto impegnati nella ricerca che avevano mangiato poco e in fretta, così afferrò due noci di cocco che avevano lasciato di scorta e ne porse una a lui, che l'accettò con un sorriso. Praticarono il solito foro con un bastoncino affilato e ne bevvero il succo prima di romperlo e assaporarlo in silenzio.

"Credo che quando torneremo a casa non riuscirò più a sentirne nemmeno l'odore, ammesso che lo si trovi da qualche parte nei mercati", disse Albert inghiottendo un boccone.

Candy ne morse un pezzo guardandolo con attenzione: "Io invece penso che sarebbe ottimo per fare un dolce. Mi piacerebbe farlo assaggiare ai bambini della Casa di Pony, semmai riuscissimo a portarne qualcuna con noi senza che marcisca nel frattempo".

"Se avanzeranno dalle nostre scorte perché no?". Nonostante la risposta gentile, Albert sembrava lontano anni luce e stava fissando le lunghe canne di bambù prima di restringere le palpebre e mettersi a riunirle metodicamente tutte assieme, come a voler vedere come sarebbe stata la base della loro zattera. "Anche se lo spazio ci farà comodo alcune vanno accorciate", disse cercando di piegarne una verso la punta e torcendola senza risultato.

Affascinata, lo vide avvicinarla al fuoco prima ancora che il suggerimento di usare lo stesso metodo impiegato per sradicarle lasciasse le sue labbra e sorrise quando riuscì nell'intento. "Ora sappiamo come avere delle canne di bambù su misura", gli disse facendogli l'occhiolino. "Ma ci manca sempre la corda".

Albert guardò verso l'esterno, un ginocchio piegato su cui poggiava il gomito e uno posato a terra: "Ho intenzione di provare con le foglie fibrose delle palme come quando ho dovuto realizzare altre corde. Tuttavia non so se sarà sufficiente. E avremo bisogno di altre canne di bambù. Domani potrebbe essere necessario accamparci dall'altra parte dell'isola con delle torce per prenderne ancora".

Candy lo osservava, ammirata: era lo stesso Albert di sempre, sicuro e pacato eppure non lo era. Smagrito ma bello da togliere il fiato, quell'uomo poteva abbassare la guardia fino alle lacrime o gridarle contro di non fare mai più sciocchezze. E poteva vibrare fra le sue braccia regalandole il Paradiso in Terra. Sospirò tremante, ricordando che non aveva più osato avvicinarla dopo l'incidente, se così voleva chiamarlo, nel quale aveva rischiato di rimanere incinta. Ancora non sapeva se in effetti il suo corpo fosse stato tanto ricettivo da creare una nuova vita e francamente ne dubitava. Ma, pur comprendendo l'esigenza di non abbassare la guardia, sentiva che Albert le mancava.
Cercò di distrarsi predisponendo con lui il vecchio lenzuolo per la pesca e osservando l'altro che volevano usare come vela.

"L'albero maestro dovrebbe stare più o meno al centro, ma dobbiamo capire come fermarlo", commentò stendendolo sulla sabbia e guardandolo con occhio critico prima che una folata di vento glielo facesse quasi volare via. Albert lo afferrò dal lato opposto, mentre lei cercava di trattenerlo dal proprio e sembravano davvero congelati nell'atto di tendere una vela. Senza bisogno di una parola, si misero meglio contro vento per capire quanto si sarebbe tesa e si sorrisero quando compresero che la forza di quel vento sarebbe stata sufficiente a farli muovere.

"Credo che stanotte verrà a piovere", disse Albert accigliandosi mentre la ripiegavano. Candy cercò e trovò il suo sguardo, trovandovi il sorriso e il tormento al contempo: sarebbe stata una notte molto simile a quella cui era seguito il loro matrimonio solitario sull'isola.

E seppe che, dopotutto, sarebbe bastato prestare attenzione per non rinunciare a stringersi ancora.

 
- § -
 
 
Oceano Atlantico

La barca era colata a picco, come aveva immaginato. Luìs seguì il movimento della prua che rimase sospesa sull'acqua in verticale per poi affondare piano, spazzata via dall'ennesima onda. Le sagome dei due mozzi erano figure urlanti di cui a malapena distingueva il suono nel frastuono dell'acqua e dei tuoni. Lui, invece, non riusciva più neanche a urlare, annichilito da un fato che aveva temuto e che sembrava quasi si fosse avverato per sua volontà.

Non era mai stato un uomo particolarmente superstizioso, tuttavia si rimproverò, inutilmente e per l'ennesima volta, di non aver ascoltato l'istinto dato dall'esperienza. La barca non era stata costruita a regola d'arte, magari realizzata proprio in fretta e furia per sopperire alla richiesta di mezzi per quel commercio illegale nel quale era entrato. Non era fatta per affrontare il mare aperto in condizioni critiche e lui si era fidato delle previsioni meteo che, sapeva bene, potevano anche essere sbagliate. D'altronde, che certezze si potevano avere in acque tropicali? Ora, non solo qualche centinaio di dollari di whisky di puro malto era colato a picco, ma stavano tutti per morire.

Avrebbe venduto cara la pelle, però. Gli dispiaceva per quei ragazzi, che aveva visto scomparire tra i flutti aggrappati a due tavole di legno e si aggrappò forte alla sua, cercando di orientarsi per tentare di muoversi verso la terraferma. Inutile, vista l'impetuosità della corrente: tanto valeva fare forza con le braccia per non annegare e lasciarsi trasportare fin dove il demonio avesse voluto condurlo.

Sì, perché visto quello che aveva fatto in quelle ultime settimane, non credeva che ci sarebbe stato un Dio disposto a salvare un uomo stolto come lui. Sperava solo che l'Inferno non fosse troppo caldo.

 
- § -
 
 
Sull'isola

Albert aprì gli occhi di scatto, lo scoppiettio del fuoco era l'unico rumore nella caverna, assieme al respiro ritmico di Candy ancora rannicchiata contro di lui.

Me lo sono immaginato?

Aveva sentito un lamento, ma poteva benissimo essere parte di un sogno che stava facendo e che non ricordava più, oppure era stata Candy ad avere un incubo. La osservò con attenzione, senza potersi impedire di sorridere quando la vide trarre un sospiro più lungo: sul viso abbronzato, le lentiggini spiccavano intorno al ponte del naso e i riccioli indisciplinati, tagliati sommariamente con un rasoio settimane prima, continuavano a caderle scomposti a pochi pollici dalle spalle. Li riavviò con delicatezza, ripensando che erano stati incoscienti e felici al contempo, ritrovandosi solo poche ore prima. E tuttavia, avevano prestato la massima attenzione.

Albert non avrebbe mai smesso di stupirsi di come Candy fosse diventata una donna fra le sue braccia, arrivando a esprimersi liberamente, chiedendo e dando, toccandolo e lasciandosi toccare quasi fossero sposati davvero e da anni. Di sicuro, gli anni di convivenza e la loro intesa reciproca erano serviti a costruire un rapporto tanto profondo che tutto era stato molto più naturale, fra loro, scevro da imbarazzi ed esitazioni. E solo ripensare al viso di lei contratto dal desiderio, sorridente mentre lo lasciava andare quando era stato il momento, ma senza interrompere il contatto, lo riempì di gioia e gli fece anelare, ancora un volta, di perdersi in lei. Era diventato dipendente da Candy e sospettava che il sentimento fosse reciproco.

"...soccorroooo!".

Il torpore dolce che lo aveva avvolto gli scivolò di dosso come la vecchia pelle di un serpente e Albert si raddrizzò per ascoltare, in maniera così repentina che Candy si svegliò.

"Che succede?", chiese assonnata, stropicciandosi un occhio.

"Lo senti anche tu?", le domandò guardando fuori.

Candy sbatté le palpebre, confusa: "Ha smesso di piovere, cosa...? Oh!". La bocca che si spalancava gli indicò che sì, lo aveva appena sentito anche lei.

Senza indugio, si alzò in piedi e corse fuori, sentendo Candy che lo seguiva a pochi passi. L'uomo era raggomitolato sulla battigia e si teneva il piede con due mani: "Vai a prendere una torcia!", le chiese in tono urgente. Lei annuì e tornò dentro.

Il ferito alzò gli occhi su di lui, il volto contratto dalla sofferenza e da qualcosa che gli parve stupore: "Per tutti gli squali, c'è davvero qualcuno!", disse incredulo. Albert lo comprese nonostante parlasse in una lingua che gli ricordava vagamente lo spagnolo: di certo, una di quelle che aveva studiato e usato in Sudamerica. Si sentì stranamente emozionato nel vedere qualcuno dopo tre mesi e mezzo di completa solitudine assieme a Candy e si chinò per vedere la ferita.

"È stato uno squalo?", fu la prima cosa che poté chiedere, vista l'espressione usata poco prima dall'uomo che, a occhio e croce, doveva essere poco più giovane della zia Elroy.

L'uomo si accigliò come se non capisse bene, quindi rispose: "E chi lo sa? Magari mi ha assaggiato ma ero troppo coriaceo per lui". La risata catarrosa si trasformò in un  lamento di dolore. "O più probabilmente mi sono tagliato sui coralli". No, non era spagnolo, era portoghese! Meno male che era stato in Brasile solo un anno prima. E da quel che aveva letto sugli squali, una volta avvertito il sangue difficilmente avrebbero lasciato andare una vittima perché poco appetitosa, quindi optò anche lui per quella soluzione.

"Che cosa è successo?", gli domandò nell'idioma giusto, sperando che Candy tornasse presto con la torcia e magari qualche striscia di stoffa della sua vecchia camicia da usare come benda.

"Presumo la stessa cosa che è successa a te, ragazzo. O sei qui in vacanza?".

Albert aprì la bocca per rispondere, ma Candy tornò con tutto quello che serviva, inclusa la bottiglia di vetro con dell'acqua dolce dentro: "Signore, mi faccia vedere la sua ferita".

Lui aggrottò le sopracciglia e Albert si affrettò a rassicurarlo: "Mia moglie è un'infermiera, si fidi di noi".

"Beh, non che abbia molta scelta", borbottò apparendo d'improvviso stanchissimo.

Alla luce della torcia poté vedere i lineamenti dell'uomo che sembravano scolpiti nel marmo. Il viso era scuro per un'abbronzatura che doveva derivare dai tanti anni in mare o comunque vissuti ai tropici: neanche nel capitano Vincent Brown li aveva mai visti così marcati.

Prese la torcia a Candy e le fece luce mentre gli prestava le prime cure, dandogli da bere e usando parte dell'acqua per pulire la ferita dal sangue e dalla sabbia, prima di praticare una fasciatura: "Il taglio non è molto profondo, ma piuttosto esteso. Da quanti giorni non mangia?".

Lui fissò Candy e lo guardò con aria interrogativa: "Candy, non parla la nostra lingua. Credo sia portoghese". Tradusse per lui la spiegazione di Candy e lo aiutò a entrare nella grotta, dove gli diedero della frutta e uno dei pesci essiccati che avevano messo da parte per il giorno dopo. Il loro ospite mangiò di gusto e lo osservarono in silenzio mentre si appoggiava alla parete rocciosa sorseggiando il contenuto di una noce di cocco. Si presentò come Luìs Costa, capitano di una barca colata a picco ad alcune miglia da lì, secondo le sue stime.

"Il mio nome è William Albert Ardlay", si presentò a sua volta, "e questa è mia moglie Candice White".

Luìs saltò su come se lo avesse appena morso un ragno velenoso o qualcuno lo avesse pungolato sulla schiena: "Che mi venga un colpo!".

Candy lo fissò: "Che ha detto? Ha male da qualche parte?".

"No, credo...".

"Tu sei il patriarca da mille dollari!", gridò indicandolo e riprendendo vigore d'improvviso.

Albert fu sicuro di aver sentito male: "Come?".

"Ripetimi il tuo nome! Vieni dall'America? Ahhh, dov'era che mi hanno detto che vivevi? New York? Chicago?".

Scosse la testa, cercando di raccapezzarsi, visto che Luìs parlava tanto veloce che alcune parole erano smozzicate e poco chiare. Quando gli spiegò tutto, Albert tradusse per Candy e lei si portò le mani alle labbra.

"Allora ci stanno cercando!".

"Da quello che ho capito lo hanno fatto fino almeno circa un mese fa". Si rivolse di nuovo all'uomo e gli domandò se avesse qualche informazione in più ma lui si richiuse a riccio, obiettando che era stanco.

"Penso che ormai abbiano rinunciato, ma a questo punto semmai usciremo di qui mi beccherò io tutto il malloppo. Ho perso un'occasione ma si è appena spalancato un  portone". Albert non seppe bene cosa volesse dire di preciso Luìs, perché cadde addormentato, di certo provato da ore o persino giorni in mare. Lui e Candy lasciarono che riposasse sul loro giaciglio e gli lasciarono uno dei giubbotti di salvataggio per coprirsi, spostandosi dall'altro lato. Si appoggiarono alla parete rocciosa a loro volta e ad Albert parve di tornare indietro nel tempo, quando avevano passato la notte fuori dopo l'inganno di Neal e la sua auto era andata in pezzi: Candy dormì rannicchiata addosso a lui finché, vinto dal sonno, ciondolò il capo e si addormentò a sua volta.

 
- § -
 
 
Luìs cercò di concentrarsi sulla spiegazione del giovane rampollo tentando di non pensare a quando desiderasse fare un tiro dalla sua pipa. Diamine, pensava che gli sarebbe bastato costruirsene una posticcia infilandoci dentro qualche foglia e un po' d'erba dell'isola pur di avere l'illusione di fumarla! Perlomeno il piede sembrava fargli meno male e il pericolo dell'infezione scongiurato grazie alle cure della bella moglie di William. Nonostante la differenza di età, non disdegnò di scoccarle ogni tanto un'occhiata e, anche se gli apparve troppo magra, il suo viso era di una bellezza tanto peculiare che capiva come mai il ragazzo fosse caduto ai suoi piedi.

"...e ho pensato che per la vela potremmo usare una delle lenzuola che utilizziamo anche per la pesca". Spostò gli occhi dalle canne di bambù posate sulla sabbia a creare la base della zattera fino a incontrare quelli chiari di William Ardlay.

"Quel lenzuolo non reggerà a lungo con i venti del mare aperto, potrebbe strapparsi e rimarreste senza vela. Occorre usare le foglie di palma, che sono più resistenti", spiegò riflettendo che sarebbe stato pericoloso comunque. "Inoltre dovremmo cercare di usare della legna e altre foglie per avere un paio di remi e costruire una copertura come quella che avete dall'altro lato dell'isola per ripararci dal sole".

Lui lo ascoltava e annuiva, sembrava fidarsi ciecamente di lui e Luìs si ritrovò ad ammirarlo: era lì solo da due giorni eppure aveva compreso quanto forza d'animo avessero avuto quei due e come fossero stati bravi ad arrangiarsi su un'isola deserta. Nonostante l'estrazione sociale, se la cavavano quasi avessero vissuto sempre in mezzo alla natura, pur se non marittima. Quando glielo aveva chiesto, con un misto di stupore e curiosità, l'uomo gli aveva risposto che avevano sempre amato stare in mezzo al verde e avevano delle terre in campagna, laggiù in America. Non si era sbottonato più di tanto e francamente nemmeno gli interessava molto conoscere nei minimi dettagli la loro storia: la coppia d'oro era lì, davanti a lui, e se fosse riuscito a portare la pellaccia al sicuro sarebbe diventato ricco. Non solo sua sorella avrebbe potuto affrontare l'operazione, ma avrebbe comprato una casa nuova per lei e per sé, prima di andarsene definitivamente in pensione. E senza commettere alcun atto illecito.

Discussero ancora sulla modalità migliore per creare delle corde spesse e resistenti che tenessero ben legate le canne di bambù, quando arrivò la moglie di William con due noci di cocco già forate: "Ho pensato che aveste sete...". Ripeté l'ultima parola in portoghese e Luìs rimase estasiato dal suo tentativo di usare qualche parola nella sua lingua. Cercò di concentrarsi su quello e non sulle lunghe gambe della ragazza, che poteva essere come minimo sua figlia, accettando la noce di cocco.

Suo maritò le passò un braccio intorno alla vita baciandola brevemente mentre la ringraziava e si mise a parlare con lei, forse spiegandole cosa si erano appena detti. Luìs fece un sorrisetto sbilenco e attese che William la congedasse con un buffetto sulla guancia e che lei corresse via, prima di dire a bassa voce, anche se lei non lo avrebbe capito: "Immagino che sia meglio che io mi trovi un'altra sistemazione, ora che sto meglio. Non voglio essere il terzo incomodo nella vostra grotta anche di notte. Soprattutto di notte". Rise scolando il resto del latte di cocco.

Incredibilmente, gli parve di cogliere un leggero rossore sulle guance scavate del giovane, anche se poteva essere per il sole che era già alto: a breve, avrebbero dovuto spostarsi all'interno per fare scorta di acqua.

"Non ci da nessun fastidio, signor Costa. Può rimanere tutto il tempo che desidera".

Lui inarcò un sopracciglio, certo che la gentilezza mascherasse il sollievo per la sua proposta: "Credo comunque che mi sposterò nella zona verde, le mie vecchie ossa non possono stare una notte in più sulla pietra, anche se sul giaciglio che così cortesemente mi avete riservato. E non penso che un paio di occhi in più possano esservi utili: semmai avvistaste una nave, saranno loro a dover vedere la colonna di fumo".

William sospirò, cominciando a raccogliere il bambù mentre lui lo aiutava a riportarlo al riparo: "Una volta è successo, ma non ci hanno visti nonostante avessimo alimentato il fuoco. Come è possibile che siamo finiti così fuori rotta?".

Lo bloccò con un gesto giusto sotto a una palma da cocco, dove per fortuna i frutti erano ancora piccoli e approfittò dell'ombra per indurlo a guardare cosa si era messo a disegnare sulla sabbia con una delle canne di bambù. Mosse le labbra in una smorfia come quando passava la pipa da un lato all'altro e la frustrazione crebbe tanto che rifletté seriamente sulla possibilità di ficcarsi in bocca un bastoncino o un pezzo di legno qualunque: si sentiva quasi un poppante cui sia stato tolto il succhiotto da un giorno all'altro.

"Guarda, figliolo, io sono partito da Ponta Delgada, nelle Azzorre. Dovevo arrivare a Madeira ma in questo punto la bagnarola che mi hanno affibbiato è stata colta dalla tempesta". Incontrò gli occhi azzurri interrogativi di William è sostituì la parola 'bagnarola' con 'barca'.

"Vada avanti", disse lui annuendo.

"Bene, sospetto che non siamo troppo lontani da Madeira dove vi hanno cercato, ma la direzione è sbagliata". Fece una croce in un punto tra le Azzorre e l'arcipelago di Madeira. "Qui ci sono delle correnti che spesso vanno verso Sud, specie quando c'è maltempo, e sono del tutto imprevedibili".

William, o Albert, come lo sentiva chiamare spesso dalla sua affascinante moglie, fece un sospiro frustrato, indicando con la mano la rozza cartina sulla sabbia: "Ma se da quello che mi ha detto ci hanno cercato tanto a lungo, come è possibile che non ci abbiano trovati?".

Luìs alzò la mano e incontrò solo il vuoto davanti alle labbra, fosse dannato se pensava di avere la maledetta pipa lì a portata di dita. Di nuovo. "Ragazzo mio, molti di coloro che vi hanno cercati hanno seguito una linea retta". La tracciò, nel tratto di mare tra i due arcipelaghi. "Ma bastano poche miglia alla deriva per trovarsi qui... o qui...". Segnò vari punti a sud-ovest di Madeira e lo vide accigliarsi. Disse qualcosa ma non lo capì, perché doveva essere tanto sconvolto che parlò in inglese. O americano che fosse.

"Dicevo che tutto questo è assurdo", si corresse. "Immagino che Georges abbia pagato le spedizioni profumatamente e... da come parla direi che lei faceva parte di una di quelle! Perché non ha avuto la medesima intuizione che sta avendo ora?". Luìs sbatté le palpebre, colto in fallo, comprendendo che aveva a che fare con un uomo sveglio e acuto, che sapeva fare le domande giuste. Ora capiva come mai fosse considerato a peso d'oro nel suo Paese. Era inutile tentare di rimangiarsi quanto detto: si era appena scoperto da solo.

A disagio, si eresse in piedi dalla posizione accovacciata che aveva assunto per disegnare sulla sabbia e l'altro fece altrettanto, sovrastandolo di diversi pollici. Il piede gli cominciava a mandare segnali dolorosi lungo la caviglia e prese a zoppicare un poco mentre alzava di nuovo la mano verso la pipa fantasma e imprecava in modo colorito contro se stesso e il destino infame.

Cosa avrebbe dovuto dirgli? Optò per la prima cosa che gli venne in mente: "La cosa più ovvia era seguire la rotta della nave, non aveva senso allontanarsi tanto".
Non seppe se fu per il fatto che non lo avesse guardato negli occhi mentre lo diceva o per via della sofferenza nella sua voce. Il dolore alla ferita, quando arrivava, gli pareva acutizzato dalla mancanza di tabacco. Se solo avesse avuto con sé una delle bottiglie di whisky affondate in mare! Forse furono tutte quelle cose messe assieme che lo fecero cadere nella piccola trappola di William Albert Ardlay. Dapprima, si mise a raccogliere di nuovo il bambù quasi avesse lasciato cadere l'argomento, poi chiese con noncuranza: "Quanto vi hanno offerto dall'America per ritrovarci?".

E Luìs rispose, senza esitazioni: "Devo avertelo detto l'altra sera, mille bigliettoni con un anticipo di duecento...". Si bloccò, soffermandosi stavolta su uno sguardo quasi sornione.

"Mi ricordavo bene, dunque. E immagino che ci deve essere un motivo più che valido per il quale un lupo di mare come lei non abbia avuto l'intuizione giusta che avrebbe potuto moltiplicare quella cifra". Nonostante il fisico asciutto per via delle ristrettezze sull'isola, l'uomo era riuscito a contenere fra le braccia quasi tutte le canne di bambù. In quel momento, provò un rispetto autentico per quel giovane che era sopravvissuto sull'isola e comprese che meritava davvero di tornare a casa per contribuire a far crescere il suo Paese. Per la prima volta in vita sua, nonostante l'età, Luìs Costa si sentì piccolissimo davanti a quello che poteva essere un figlio per lui: quel figlio che non aveva mai avuto per la sua testardaggine e il suo sogno di condurre navi come lo sfortunato Titanic. Invece cosa aveva ottenuto? Di infilarsi in un giro pericoloso, con una pseudo caravella che quasi lo aveva condotto alla morte.

Guardò l'orizzonte, perdendosi nell'immensità di quell'oceano che forse non lo aveva inghiottito per un motivo in più, oltre quello di renderlo ricco: redimersi. D'altronde, se doveva riconsegnare il patriarca e la consorte prima o poi sarebbe stato scoperto, a meno di non inventare una storia plausibile su come fosse arrivato sin lì per caso.
"Non ci ho pensato davvero, alle correnti anomale", disse stizzito, passandosi il palmo della mano sulla bocca contratta in una smorfia. "Ero troppo distratto dalla possibilità di moltiplicare ancora di più quei soldi investendo l'anticipo. Come tutti. Complimenti, Watson, saresti un ottimo investigatore, sai?".

"Cosa...? Di cosa parla?". Di colpo, la sicumera del ragazzo alle sue spalle era svanita e sembrava davvero disorientato. Quando si volse per affrontarlo lo trovò davvero smarrito e gli parve persino più giovane.

Tuttavia, fosse dannato se sapeva perché, non poté mentirgli: "Commercio illegale di alcoolici, figliolo. Di questi tempi il tuo Paese importa persino da queste latitudini. Hai idea di quante migliaia di dollari si possano ottenere senza dover cercare due cadaveri quasi certi?".

William Ardlay balbettò qualcosa che a lui fu incomprensibile, cominciando a camminare in cerchio prima di avanzare verso di lui a grandi passi, sollevando la sabbia intorno ai suoi piedi. D'istinto, Luìs si allontanò, certo che lo avrebbe colpito: "Quindi avete usato i soldi dell'anticipo per entrare in questo... commercio illegale? È per questo che ora si trova qui?!".

"Sì, va bene?", disse allargando le braccia, sconfitto. "E penso di aver avuto la giusta punizione, perché semmai torneremo al mondo civilizzato sarò costretto a confessare tutto. Non posso dire che stavo facendo una gita di piacere o seguendo la rotta con una nave passeggeri, tantomeno con un peschereccio! Prima o poi mi beccheranno. Ma forse se confesso e faccio un po' di nomi posso comunque avere i soldi per il tuo ritrovamento e aiutare mia sorella ad affrontare quell'operazione...". Se prima aveva parlato in modo veemente, quasi alzando la voce, verso la fine si era messo a passeggiare in tondo anche lui, riflettendo sulle sue possibilità. Solo ora che era rifocillato riusciva a essere più lucido, anche se si era appena fatto gabbare da un giovane che poteva avere trent'anni meno di lui. Sedette sulla sabbia, afferrandosi la caviglia e il calore gli bruciò le natiche. "Dannazione, dovremmo allontanarci da qui. Il sole già scotta".

William Ardlay però sembrava perso in un mondo suo e lo vide allontanarsi verso la grotta con le canne di bambù in mano per riporle, quindi tornare per prendere le altre senza chiedere aiuto. In due viaggi aveva terminato l'incombenza e si mise a sedere a sua volta sotto la palma dove aveva deciso di trovare rifugio lui, quella con le noci di cocco ancora acerbe.

"Anche una di queste potrebbe caderci in testa", disse a bassa voce alzando il viso. "Venga con me, la prego. Candy è impegnata a cuocere il pesce nella caverna e le ho detto che stiamo mettendo a punto il progetto della zattera qui fuori. Riesce a camminare solo un po'?".

Luìs annuì e accettò il suo aiuto per alzarsi. William lo condusse in una zona dietro alle rocce, dove c'era un po' d'ombra e gli indicò un punto in cui dei bastoni a forma di croce erano stati piantati e fermati tra loro da una foglia di palma. La gola gli si seccò.

"Quello è...".

"Un luogo di sepoltura. Un paio di giorni dopo il nostro arrivo ho sentito dei lamenti sulla spiaggia e ho trovato questo ragazzo... credo fosse poco più grande di mia moglie. Ebbene, era stato trascinato dalla corrente dopo il naufragio, esattamente come noi, però non è stato altrettanto fortunato. Ha bevuto acqua di mare ed è spirato poco dopo". Il tono era triste come se lo avesse conosciuto e Luìs non poté fare a meno di provare pietà.

"Immagino di essere stato un bastardo fortunato", disse in tono secco. "Qualcuno potrebbe dire che non vi è giustizia divina".

"Ogni vita è preziosa è importante, signor Costa, e ritengo che la sua presenza qui sia provvidenziale. Grazie alle sue conoscenze potremmo farcela davvero". Lo guardò con aria seria e capì che credeva veramente alle proprie parole. Fu quasi commosso dal suo accenno alla vita e dovette guardare altrove.

"Non sono infallibile. Come hai visto sono qui anche io".

"Ma potremmo unire le forze e fuggire insieme dall'isola. Inoltre... ha parlato di una sorella o sbaglio?".

Si volse di nuovo di scatto per guardarlo: dunque lo aveva udito? "Sì, ma...".

"Cosa voleva farne di tutto quel denaro, signor Costa? Di solito non approvo in alcun modo i metodi illegali per arricchirsi, perché i miei antenati hanno lavorato sodo e in maniera onesta per raggiungere la posizione che abbiamo oggi nel clan, e della quale sono mio malgrado responsabile".

Mio malgrado, aveva detto? Quante cose gli sfuggivano ancora di quell'uomo che, a dirla tutta, conosceva appena? E cosa lo spingeva, ancora una volta, ad aprirsi davanti a quello sguardo serio ma placido, azzurro come l'oceano di quella mattina? Limpido e sincero al pari di quello di...

"Beatriz è nata dieci anni dopo di me e a differenza mia si è sposata e ha avuto un'unica figlia", cominciò a raccontare con voce velata e remota, sedendo sulla battigia e lasciando che la risacca gli bagnasse il piede non fasciato. "Quella figlia le ha dato una nipote che oggi ha cinque anni e di cui Beatriz, rimasta vedova precocemente, si prende cura da sola. Maria è morta di parto".

Era un ansito di sorpresa quello che aveva udito? "Mi dispiace molto". E il tono che aveva usato non era affatto di circostanza, ma pervaso di una sincerità che lo sconvolse.

"Purtroppo mia sorella soffre di una malattia cardiaca che temo sia la stessa che ha trasmesso alla figlia e dovrebbe subire una delicata operazione per sopravvivere ancora qualche anno. La piccola Benedita non ha altri al mondo e io non sono uno zio molto presente". E mentre lo diceva, accidenti, sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Non aveva mai portato a livello cosciente quel segreto della sua vita fino a parlarne con qualcuno: nemmeno i suoi colleghi ne erano a conoscenza e lo consideravano poco più di un orso attaccato al denaro. Ma la verità era che semmai gli fosse riuscito, in passato, di avere dei guadagni extra, cercava di aiutare Beatriz e sua nipote come poteva. Il fatto che si stesse confidando con uno sconosciuto poteva dipendere dal fatto che aveva visto la morte in viso solo due giorni prima. O magari dipendeva anche da quegli occhi così simili a quelli dell'unica donna che avesse mai amato in vita sua...

"Mia madre è morta di parto, dando alla luce me. E anche io avevo una sorella che ho perso anni fa", disse William con voce carica di emozione, sedendo accanto a lui. "E che ci creda o no, avevo anche un giovane nipote: aveva solo quindici anni quando è morto". Scosse la testa e si passò una mano sul viso. Luìs tacque, sopraffatto, condividendo con lui lunghi istanti di silenzio. Che fu il giovane a rompere, con voce più ferma: "Non condivido affatto la modalità con cui ha cercato di aiutare la sua famiglia, ma da me nessuno saprà cosa stava facendo o perché si stesse recando dalle Azzorre a Madeira seguendo quella rotta".

Sbatté le palpebre, credendo di aver capito male: "Ma se me lo chiedessero...!".

"Ci stava cercando e ci ha trovati, giusto? Missione compiuta, avrà i suoi mille dollari. Più ciò che serve per l'operazione di sua sorella".

Ora era certo che l'udito gli avesse fatto cilecca, magari per via dell'acqua di mare che aveva intaccato il timpano: "Ma... ma ho già usato...".

"Questa è la mia ultima offerta", disse quasi duramente, alzandosi in piedi, lontano mille miglia dal ragazzo quasi commosso di poco prima. "Non sono tipo da mercanteggiare oltre quando propongo un affare e mi pare di aver raggiunto un accordo". Gli allungò una mano accennando un sorriso, quasi a voler suggellare quell'accordo con una stretta e un supporto per rialzarsi.

"Grazie", poté solo dirgli chinando la testa, chiedendosi quando fosse stata l'ultima volta che aveva pianto nella sua vita.

"Ora andiamo da mia moglie. Credo che dovrà vedere e medicare la sua ferita".

 
- § -
 
 
Candy si asciugò gli occhi e sentì il braccio di Albert circondarle le spalle: la storia di Luìs Costa che le aveva appena raccontato l'aveva colpita nella sua essenzialità e capì come mai avesse colpito anche lui. Non solo per la mera somiglianza con quella della sua famiglia, ma anche perché indicava che, sotto a quella scorza in apparenza dura che sembrava circondare l'uomo, c'era una persona sensibile che aveva commesso degli errori ma voleva cercare di aiutare chi amava.

"Anche se penso che avrebbe potuto trovarci settimane fa con dei mezzi adeguati al soccorso, non posso fare a meno di pensare che tutto accade per un motivo", disse con voce rotta, alimentando il fuoco senza sciogliersi dall'abbraccio di Albert.

"Lo penso anche io", ribatté lui aiutandola. "Luìs ha avuto modo di rendersi conto che la vita è un bene prezioso e ci ha comunque trovati. Sono certo che grazie alle sue conoscenze costruiremo un'imbarcazione che ci porterà sulla terraferma. Mi ha raccontato che l'ultima che ha governato e che lo ha portato qui non l'aveva convinto fin dall'inizio. Non sa che fine abbiano fatto i due marinai giovani che c'erano a bordo".

Candy trattenne il respiro, colpita: "Poveri ragazzi, chissà se se la sono cavata!".

Albert scosse la testa e alzò le spalle: "Purtroppo il mare è implacabile e non possiamo saperlo. Ma abbiamo la conferma di una cosa che ti ho sempre detto...".

"...ovvero che non si può giudicare nessuno dalle apparenze", concluse per lui, guardandolo mentre rovistava nel mucchio di foglie e spostava lo sguardo sui resti della sua vecchia camicia.

"L'hai usata quasi tutta per le fasciature di Luìs?".

Senza poterselo impedire, distolse lo sguardo, sapendo che doveva dirgli qualcosa di importante. Perché non l'aveva usata solo per Luìs. "Pensi che dormirà tranquillo vicino al fiume? Poteva restare qui con noi, così avrei potuto controllare la sua ferita".

Albert tornò accanto a lei: "Pensi forse che non sappia badare a se stesso?".

"Non ho detto questo, ma è ferito e...".

"Se la caverà, tranquilla. D'altronde è stata una decisione sua". Ridacchiò. "Ha detto che non voleva più fare il terzo incomodo tra due sposini".

Candy spalancò gli occhi: "Oh, no, che imbarazzo! È vero, lui crede che siamo sposati!". D'istinto, si portò le mani al viso, vergognandosi oltre ogni dire.

Albert gliele scostò con gentilezza indicando il suo finto anello e poi il proprio: "E non è così, forse?", le disse dolcemente baciandole le dita, proseguendo lungo i polsi.
Era arrivato il momento di confessargli quanto doveva e le ci volle una buona dose di coraggio. D'altronde, avevano condiviso davvero tutto, fino a quel momento, e glielo aveva anche promesso: "Albert, devo dirti una cosa".

"Dimmi, amore mio", mormorò prima di posarle le labbra sul collo in un tocco tanto leggero che le strappò un sospiro compiaciuto.

"Non ho usato la tua vecchia camicia solo per le fasciature di Luìs". Lui si staccò per guardarla negli occhi e inarcò un sopracciglio. "È... è tutto tornato alla normalità, Albert".

Restrinse le palpebre, piegando un poco il capo: "Vuoi dire...?".

Candy sospirò: "Non avremo un figlio su quest'isola. O, se Dio vorrà, mentre torneremo a casa".

Albert socchiuse un poco le labbra come se stesse per dire qualcosa, invece sospirò cominciando ad annuire: "Beh, questo è davvero confortante. Grazie per avermi avvisato". Le carezzò una guancia con dolcezza e lei approfondì quel tocco appoggiando meglio la guancia sul suo palmo.

Fuori, alcuni gabbiani tardivi lanciarono il loro grido e loro si rannicchiarono sul loro giaciglio, quel letto matrimoniale nel quale potevano finalmente sognare il ritorno a casa.

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Capitolo 9
*** Capitolo Nove ***


Chicago, Villa Ardlay

Georges Villers pensava che si trattasse di un sogno vivido, vista l'ora antelucana nella quale il maggiordomo aveva bussato, ancora in pigiama, alla sua stanza, scusandosi profusamente e dicendogli che Vincent Brown lo cercava con urgenza al telefono. Lo aveva visto solo al funerale di William e Candice e aveva ricevuto alcune parole sconvolte di conforto, quasi fosse stato il padre di entrambi e non solo il braccio destro del patriarca e un

cavaliere Bianco

conoscente affezionato della signorina.

Il capitano parlava con voce urgente e Georges dovette farsi ripetere quello che stava dicendo perché era certo di aver capito male.

"La rotta che abbiamo seguito per mesi era sbagliata! Non ero a conoscenza delle correnti in quella zona e io stesso non mi sono spinto più a Sud". Il senso della frase gli era chiaro, ma ancora non aveva realizzato appieno.

"Mi sta dicendo che il naufrago che avete raccolto dalla zattera era un suo collega esperto di quell'area e non è stato mai coinvolto nelle ricerche?". Non sapeva come mai si stesse focalizzando su quel particolare invece di fare la domanda più importante. Magari gli aveva già dato la risposta ma il suo cervello semplicemente non l'aveva registrata. Sarebbe stato troppo per il suo povero cuore. Troppo dopo tanto dolore e tanto lutto. Troppo dopo tante settimane a riprendere le fila del clan con un silenzioso Archibald Cornwell e un'insolitamente accondiscendente signora Elroy.

"Non sappiamo le motivazioni, ma quell'uomo ci ha dato le coordinate e stiamo organizzando una spedizione per...".

"Vi raggiungo", disse senza esitare, l'adrenalina che entrava in circolo facendogli stringere la cornetta da un lato e un foglio sulla scrivania dall'altro. Un contratto importante? Un bilancio? irrilevante.

"Ma... ci vorranno giorni e noi...".

"Prenderò un aereo". Di nuovo, le parole avevano lasciato le sue labbra senza che lui si fermasse a riflettere. Stava succedendo una cosa strana: non era affatto passato dalla negazione di una realtà che poteva essere troppo bella per risultare vera all'emozione dell'accettazione. Si trovava direttamente nella fase irrazionale che forse aveva sperimentato solo da ragazzo, prima di incontrare William Ardlay senior nei sobborghi francesi.

E, diamine, non si era mai sentito tanto vivo!

"Un aereo?!". Vincent Brown aveva lo stesso tono di un uomo cui avesse appena confessato che sarebbe arrivato volando come Icaro. Cosa non troppo lontana dalla realtà, in effetti. Le industrie che si occupavano di velivoli a scopi civili e commerciali erano appena nate e una di queste era finanziata proprio dagli Ardlay, in onore al giovane Alistair che li amava tanto. A parte un paio di pionieri avventurosi, nessuno si era mai spinto attraverso l'Atlantico e Georges aveva notizia solo di qualche servizio postale tra New York e la California.

"Mi accerterò con gli ingegneri delle nostre aziende che sia sicuro e potrei arrivare... in capo a due giorni, se tutto va bene".

"Beh, è proprio il tempo che ci vorrebbe per organizzare la nave e raggiungere le coordinate indicate da quell'uomo", borbottò Vincent come se stesse riflettendo.

"Bene, mi lasci suo recapito, la richiamo tra qualche ora", disse cercando freneticamente in un cassetto i numeri di telefono che gli servivano, la mente che lavorava ormai a pieno regime.

"Il fuso orario...".

"Sono quasi le sei del mattino, non sarà un problema". Vincent si stava già congedando, quando si ricordò che non gli aveva ancora detto la cosa più importante. "Grazie", mormorò e finalmente le lacrime di sollievo e nuova speranza si affacciarono ai suoi occhi stanchi.

 
- § -
 
 
Due settimane prima

Albert spinse assieme a Luìs la zattera finché non fu in acqua e lanciò un'esclamazione di gioia e vittoria assieme a lui e Candy quando la vide galleggiare. Sua moglie gli saltò fra le braccia e la sollevò quasi fosse una piuma, mentre il vecchio marinaio si univa in una sorta di goffo abbraccio collettivo che sarebbe stato quasi sconveniente se non si fossero trovati in una simile situazione di emergenza.

"La cima!", gridò Candy dimenandosi contro di lui finché non la mise giù e corse a recuperarla, come se temesse che la zattera potesse andare alla deriva nel giro di pochi minuti.

Rise con Luìs e batterono le mani sulle rispettive schiene quasi si trovassero in un locale a condividere una birra e stessero decidendo la prossima meta. Per Albert era stato abbastanza semplice cominciare a dargli del tu come avrebbe fatto con Georges.

"Visto che ti ho detto tutti i miei segreti più intimi e scottanti pretendo che non mi tratti come un vecchio signore. E se non avete perso le rispettive fedi in mare sostituendole con quella cordicella, credo di doverne mantenere uno anche io", gli aveva detto pochi giorni dopo la sua confessione. Albert non aveva negato che avesse ragione, ma gli aveva lanciato uno sguardo eloquente e aveva sorriso. Luìs sapeva che condividevano l'isola da mesi, nonché la stessa grotta e persino il medesimo giaciglio, tuttavia non li aveva giudicati, anzi. Non perdeva occasione per lanciargli brevi battute allusive che, a dirla tutta, lo mettevano alquanto in imbarazzo.

Raggiunsero Candy alla palma sul tronco della quale stava assicurando la robusta corda intrecciata a mano assieme a tutte le altre che legavano tra loro le canne di bambù e l'aiutarono affinché fosse ben stretta. Se tutto fosse andato bene e non avesse piovuto, come da previsioni azzardate da Luìs, la mattina dopo all'alba sarebbero partiti.
"Anche se ho cercato di aiutarvi devo farvi i complimenti per quanto siete stati bravi a costruirla così bene in soli venti giorni", disse Candy guardandola ondeggiare vicino alla riva.

Albert seguì il suo sguardo annuì: "Devo correggerla, signora Ardlay", le disse sentendola già tale e scambiando uno sguardo complice con Luìs che di certo aveva capito le ultime due parole. "Lei ha intrecciato foglie per giorni fin quasi a farsi sanguinare le dita, quindi se ce l'abbiamo fatta in così poco tempo il merito è anche suo".

Tradusse per il capitano mentre lei scuoteva la testa: "Ma il grosso del lavoro lo avete fatto voi, notte e giorno e persino mentre io dormivo!".

"Però lei ci ha rifocillato cucinando il pescato del giorno e raccogliendo frutta", le fece osservare Luìs. "E comunque sono d'accordo con suo marito". Gli si avvicinò all'orecchio sussurrandogli: "Godetevi l'ultima notte qui da soli, una volta tornati in America forse dovrete aspettare il matrimonio per starvene un po' per conto vostro".

Albert sentì il rossore salirgli al viso, anche perché gli occhi spalancati di Candy gli dicevano che aveva cominciato a imparare il portoghese, a forza di sentir parlare il loro amico.

"Aspetta, non dirmi nulla!", disse sventolando le mani e serrando le palpebre come per concentrarsi. "Ha detto che la frutta era buona e che questa è l'ultima notte che passeremo qui prima di tornare in America".

"Beh, più o meno sì...", ammise mentre Luìs prorompeva in una risata e Candy alzava un pugno in aria, soddisfatta.

Quando furono certi che la zattera non sarebbe andata alla deriva nelle ore successive, cominciarono a predisporre le provviste da portare con loro, proteggendole dal sole assieme all'acqua dolce grazie alla copertura con rami intrecciati simile a quella del rifugio nel bosco. Notò che Luìs guardava con orgoglio la vela che avevano realizzato con le foglie di palma e ringraziò ancora un volta il Cielo che fosse arrivato fino a loro per istruirlo al meglio anche da quel punto di vista. L'imbarcazione che avrebbe dovuto portarli fuori di lì misurava poco più di tre iarde quadrate, ma era stato necessario decidere se stare un po' stretti o costruirne una più grande perdendo altre settimane preziose che avrebbero rischiato di farli partire a settembre, quando la temperatura poteva diminuire molto di notte e le piogge sorprenderli più spesso.

Luìs li aiutò a sistemare il pesce essiccato e la frutta nella loro caverna, dove sarebbero stati al riparo fino al giorno dopo. La bottiglia di vetro era già piena di acqua dolce precedentemente bollita. Per il resto, la loro riserva di liquidi era conservata nelle noci di cocco che erano riusciti a raccogliere contando di stiparle togliendo un po' di spazio al cibo, soprattutto al pesce, che li avrebbe di certo nutriti di più ma fatto venire loro più sete della frutta. Avevano stimato, a occhio e croce, di poter navigare verso nord e quindi Madeira per circa una settimana prima di rimanere senza nulla da bere. Quella era la finestra della loro sopravvivenza, che avrebbero cercato remando con dei robusti rami cui avevano assicurato delle pietre piatte trovate nella caverna dopo il bosco. Una delle ultime scosse, seppure leggera, ne aveva fortunatamente staccate alcune perfette per lo scopo.

"Bene, coniugi Ardlay, mi ritiro al mio rifugio boschivo per la notte", disse facendo una sorta di inchino. "Ma vi avviso che se quando l'ultima stella comincerà a sparire in cielo non sarete alla zattera, entrerò qui senza bussare". L'occhiolino che fece indusse Candy a chiedergli cosa avesse appena detto.

"Dobbiamo essere puntuali o verrà a svegliarci", spiegò con un sospiro.

"No!", quasi gridò, veemente. "Digli di dormire qui, è inutile che faccia tutta quella strada anche stanotte".

Albert ripeté per lui, ma Luìs scosse la testa: "Non so se e quando mi ricapiterà di nuovo di dormire in mezzo alla natura selvaggia come piace fare a voi. E poi... ricordati il mio suggerimento, ragazzo", aggiunse a voce più bassa.

"Ma... ma...".

"Oh, niente ma. Se avessi trent'anni in meno non lascerei mai andare Dorotea senza prima averla resa mia moglie. Era italiana, sai? E i suoi occhi avevano il tuo stesso colore. Chissà se si è risposata dopo avermi detto di no...". Luìs sembrava perso nei suoi ricordi di gioventù e Albert tacque.

Candy si rassegnò quando le disse che il capitano voleva godersi un'ultima notte nel verde e lo videro andare via con una torcia in mano mentre il sole si tuffava nell'oceano.
"Imprimiti bene negli occhi questo panorama, perché non so quando lo rivedremo", mormorò circondandole le spalle con un braccio.

Candy tacque per lunghi istanti prima di dire con voce tremante: "Pensi che ce la faremo? E se andassimo alla deriva e finissimo le scorte d'acqua senza aver toccato terra?".

Senza rendersene conto, la stretta della sua mano aumentò: "Non accadrà. Remerò notte e giorno per riportarti a casa sana e salva". La guardò e si rese conto che le lacrime stavano già lasciando i suoi occhi. Le asciugò con un dito. "Ehi, nervosa per la nuova avventura?".

Lei sorrise un poco inclinando il capo: "Un po', ma soprattutto sono felice".

"Quindi anche tu credi che ce la faremo".

"Sono felice perché in ogni caso sarò accanto a te. E questo mi basta".

Forse fu quella frase piena di significato che lo scosse nel profondo, ma d'improvviso Albert sentì l'impulso di abbracciarla forte, mentre un nodo gli si stringeva in gola. Non era mai stato fatalista, né pessimista. Tuttavia erano sfuggiti alla morte già una volta e non era ancora certo che nonostante tutte le accortezze e l'esperienza di Luìs ce l'avrebbero fatta davvero. Poteva coglierli una tempesta improvvisa. Potevano esserci degli squali. Potevano persino sbagliare direzione a causa delle correnti o di un orientamento sbagliato, visto che si sarebbero regolati solo con il sole e le stelle. Molte cose potevano andare storte eppure, mentre Candy ricambiava il suo abbraccio cercandogli le labbra, Albert si disse che non doveva pensarci.

Era meglio concentrarsi sul bacio che diveniva sempre più esigente e affamato, sulle gambe che li portarono al loro giaciglio come per un muto accordo, quasi cercassero la vita nella sua espressione più forte per scacciare l'idea della morte. Alla fine, perdersi nella morbida e profumata pelle di Candy era quello che desiderava da giorni, visto che per prudenza avevano evitato di amarsi a lungo. Luìs aveva ragione, dopotutto. Fare l'amore con lei fu il modo migliore per impiegare quell'ultima notte sull'isola deserta.

 
- § -
 
 
Luìs non credeva che gli sarebbe successo di fare un sogno simile alla sua età, ma quando si svegliò fu costretto a immergersi nelle acque fresche del fiume che scorreva lì vicino per calmare i bollenti spiriti che si erano accesi nel sonno. Come capitano di pescherecci e imbarcazioni minori gli era capitato di trovare delle donne consenzienti, durante i suoi viaggi, ma la verità era che quella che aveva sempre desiderato non era mai stata sua.

Dorotea.

La donna italiana sbarcata alle Azzorre con la sua famiglia che non aveva voluto legarsi a un uomo errante che sognava di capitanare grandi navi da crociera. Colei che aveva corteggiato in quella maniera forse un po' goffa e che non era della sua stessa estrazione sociale. Quella che aveva i lunghi capelli castani raccolti in una crocchia che mai aveva potuto vedere sciolti come anelava. E che aveva due laghi azzurri nello sguardo. Aveva provato le sue labbra una sola volta, in un bacio rubato che l'aveva fatta fuggire via. Il suo ultimo messaggio, prima di sparire dalla sua vita, ce l'aveva marchiato a fuoco nei propri.

Non sei tu ad essere destinato a me. Non ho abbastanza coraggio da fuggire dal matrimonio combinato che i miei genitori vorrebbero per me.

Chissà se non era davvero mai fuggita da quel destino, neanche per un altro uomo! Di certo non aveva mai capito se lui avesse una speranza o meno. Ma non aveva più importanza, ora che usciva gocciolante dal fiume dopo aver sognato di amarla completamente come avrebbe tanto voluto. Sperava che almeno William e la sua compagna lo stessero facendo davvero, mandando per l'ennesima volta al diavolo le regole e i canoni di quella società che aveva sempre faticato ad accettare anche lui. Matrimoni combinati, rigidi dettami che imponevano ai ceti di stare opportunamente separati: sciocchezze enormi che forse avevano contribuito a indurlo a fare quella vita da lupo solitario. Se solo Dorotea gli avesse dato la minima speranza forse avrebbe anche trovato un lavoro diverso, per lei.

Ora era troppo tardi. Gli conveniva vivere gli ultimi anni che gli restavano in maniera retta e responsabile, aiutando la sua famiglia e pregando che non diminuissero fino a diventare pochi giorni. Guardando la luna che sembrava farsi grasse risate davanti a un uomo della sua età che sognava di possedere la donna amata affondando le mani nei capelli infine sciolti, Luìs prese una decisione improvvisa che non aveva nulla a che vedere con Dorotea. O forse sì. Perché in quella coppia che ora forse si stava abbracciando su una grotta in riva all'oceano, gli parve di vedere quello che sarebbero potuti diventare.

 
- § -
 
 
Candy sentiva freddo e si svegliò cercando il corpo di Albert, trovando solo il logoro giubbotto di salvataggio. Colta da un vivo senso di allarme, per un solo, incredibile istante, pensò che aveva dormito troppo e rischiava di rimanere sull'isola da sola. Ma si diede subito della stupida, perché sapeva benissimo che Albert non avrebbe mai fatto una cosa simile. Non era molto lucida e forse in parte era dovuto alle poche ore di sonno che erano seguite alla passione che li aveva travolti dopo aver evitato di toccarsi per settimane.

Solo ripensarci le accendeva le guance come se il fuoco quasi spento vi si fosse trasferito: non ricordava un tale impeto neanche durante le loro prime volte e non fu complicato per lei capirne il motivo. Quella poteva essere l'ultima notte che condividevano in quel modo. A breve, sarebbero stati in tre su una zattera che li avrebbe portati incontro a un destino ignoto. Ricordava le lacrime sul proprio viso, mentre si stringeva di più a lui. E ricordò quelle di Albert, un attimo prima di lasciarla andare. Le emozioni li avevano travolti, ma non avevano detto una parola sui timori che condividevano rigorosamente in silenzio. Perché se si fossero semplicemente amati senza esprimerli, forse non si sarebbero avverati, come in un sortilegio alla rovescia che doveva funzionare a ogni costo.

Candy vide che mancavano molte provviste e capì che doveva portare sulla zattera quelle mancanti. Quasi si scontrò con Albert che rientrava: "Buongiorno dormigliona! I primi raggi del sole stanno schiarendo il cielo e Luìs sostiene di aver aspettato fuori per un'ora prima che io mi degnassi a uscire. Ha preferito non bussare alla nostra porta, alla fine", concluse con aria complice facendola ridere.

"Oh, Albert, mi dispiace aver dormito troppo! Credo che fossi solo molto stanca...". Non appena pronunciò quelle parole, si portò una mano alla bocca, imbarazzata.

Lui scoppiò a ridere rovesciando la testa all'indietro. Non c'era più traccia di quell'ombra fatalista che aveva oscurato persino lui la notte precedente, quasi fosse stata spazzata via dal sole nascente. "Le chiedo perdono, mia signora, temo di essere in parte responsabile della sua stanchezza", le disse facendole un inchino simile a quello di Luìs della sera prima.

Ridacchiò anche lei: "Bene, messere, andiamo a caricare gli ultimi bagagli e poi spegniamo il fuoco?".

Albert annuì e, nel giro di pochi minuti, la zattera era pronta per partire. Luìs salì per primo, guardando verso l'orizzonte che andava schiarendosi con i colori dell'alba: sembrava un dipinto e Candy seppe che gli sarebbe in parte mancato.

"Pare che il cielo prometta bene e anche la brezza è a favore. Il mare aperto potrebbe essere raggiungibile con qualche buon colpo di remi".

Candy prese la mano che Albert gli stava porgendo mentre traduceva le parole di Luìs per aiutarla a salire: "Vai avanti, io vado a sciogliere la cima e vi raggiungo".

D'improvviso, la paura irrazionale che Albert restasse indietro le fece stringere forte quella mano e trovò impossibile sciogliere la stretta, guadagnandosi da lui un'occhiata perplessa.

"Scioglietela insieme la cima". Non capì cosa dicesse il capitano, ma il gesto che fece indicandoli fu inequivocabile. E Candy gliene fu grata, perché doveva aver compreso il suo diniego da dove si trovava.

I nodi erano stati fatti fin troppo bene e lei ringraziò il fatto di aver lasciato le unghie solo appena più corte del solito, perché fu in grado di aiutare Albert con un cappio particolarmente ben fatto. La cima si sciolse e ricadde sulla sabbia e subito iniziò a scivolare via, come se...

"Ehi, ehi Luìs! Cosa stai facendo?!". Albert stava correndo verso l'imbarcazione, sulla quale l'uomo aveva iniziato a remare come se avesse uno squalo che lo inseguisse.
Candy entrò in acqua con lui ma Luìs alzò un braccio per imporre loro un 'alt' che la sconvolse. Possibile che, dopotutto, avesse loro mentito e desiderasse salvarsi da solo? E perché Albert titubava alle sue parole che continuava a non comprendere, specie a quella distanza? Cosa diamine gli stava rispondendo sembrando di colpo rinunciare a seguirlo tra le onde?

Colta dal panico, lo afferrò per un braccio, tirandolo. "Albert, Albert andiamo! Si sta allontanando velocemente! Rimarremo qui se...!".

"Infatti rimarremo qui. Luìs vuole andare da solo", disse a bassa voce prima di urlargli qualcos'altro portandosi le mani ai lati del viso.

Lacrime di frustrazione le scesero dagli occhi e Candy non capì se era più dispiaciuta di non averlo salutato o se doveva esserlo di non averlo rimproverato aspramente. Confusa, udì il nome di Georges nello scambio di battute fra i due. Accanto a lei, Albert era teso e guardava la zattera allontanarsi lottando contro le onde che cercavano di portarla a riva. Anche lei poté scorgere la sagoma di Luìs che manovrava i remi con movimenti energici anche quando sembrava che stesse per ribaltarsi. Udì il mormorio di Albert che lo incitava con dei "Forza!" tra i denti e comprese che quell'uomo stava rischiando tutto al posto loro.

Non seppe per quanto rimasero lì, fino a che il sole infine non li accecò quasi cancellando l'immagine di Luìs sulla zattera. Seppe solo che quando accadde si lasciò cadere in ginocchio cominciando a pregare per lui.

 
- § -
 
 
Albert allungò un braccio per afferrare e lasciar cadere la noce di cocco, tenendosi saldamente con l'altro e stringendo la presa sul tronco con le gambe intrecciate. D'istinto, anche se sapeva che Candy non l'avrebbe mai fatto, controllò che non fosse nei paraggi quando la sentì atterrare sulla spiaggia con un suono sordo e attutito.
Era passato solo un giorno e ancora le sentiva risuonare nelle orecchie, quelle parole in portoghese, già tradotte nella mente come aveva dovuto fare con una Candy piangente e sconvolta.

"Sarò più veloce se andrò da solo e avrò il doppio del tempo! Manderò a prelevarvi una nave equipaggiata con servitori e cuochi che servano bistecche anche di notte! E con una cabina doppia solo per voi!". Persino mentre se ne andava remando come se avesse il diavolo alle calcagna riusciva a fare battute.

Per fortuna era riuscito a fargli il nome di Georges e a vedere il suo pollice alzato in lontananza in segno di assenso. Era iniziato il conto alla rovescia. Ogni giorno sarebbe stato buono perché quel fuoco, che lui e Candy cercavano di tenere alto persino di giorno, segnalasse ulteriormente la loro presenza. Le noci di cocco erano finite e Albert scese agilmente con un piccolo salto, passandosi un braccio sulla fronte per evitare che il sudore gli finisse negli occhi.

Trovò Candy vicina al falò, che cuoceva granchi e pesci. La sottoveste era così logora che a malapena le copriva i seni e per lui era diventata quasi una missione non allungare una mano anche solo per sfiorarli e sentirne la morbidezza in ogni momento possibile. Una parte di sé sapeva che Luìs non aveva tutti i torti: se davvero stavano per tornare a casa, gli sarebbe mancata quella vicinanza continua con Candy, a prescindere dalle notti d'amore che avevano cercato di diradare. Sarebbe stato un po' come rinunciare ancora una volta alla vita che conducevano alla Casa Magnolia, quando vivevano solo come fratello e sorella.

Se avessero rivisto sul serio Chicago di lì a breve, sarebbe stato il caos: come minimo li avevano dati per morti e non osava pensare alle pratiche burocratiche che avrebbero dovuto stilare per far tornare tutto alla normalità agli occhi del mondo e del clan. Sperava solo che il cognome servisse ad accelerare il processo. L'equilibrio familiare ne sarebbe stato sconvolto e se avesse aggiunto altra carne al fuoco annunciando che aveva la ferma intenzione di sposare Candy era certo che la zia, ammesso che sopravvivesse all'ennesimo colpo, ne avrebbe rischiato un altro.

Non che gli importasse: era disposto a tornare da dove era venuto, magari con una maggiore organizzazione, pur di stare con lei. Ma le doveva la stabilità necessaria e il riscatto della sua vita. Candy avrebbe voluto rivedere a sua volta tutti gli amici della Casa di Pony e anche a lui mancavano Georges, Archie e persino sua zia Elroy.
"A che pensi?". La voce di Candy e la sua mano che gli porgeva un pesce appena cotto lo riscossero dai suoi pensieri.

"Pensavo a Luìs. Stanotte l'ho sognato", ammise dando un morso e sussultando quando si bruciò la lingua, avendo dimenticato di soffiare.

"Stai attento, Albert! Sì, lo immaginavo... hai fatto il suo nome a un certo punto".

Albert inarcò un sopracciglio: "Davvero?".

Candy annuì: "Era un sogno buono, perlomeno?".

Albert soffiò energicamente sul pesce prima di addentarlo: arrampicarsi sulla palma gli aveva fatto venire una fame da lupi e masticò persino qualche piccola spina. "Non so se fosse un sogno positivo o meno. Ma mi stava dicendo quello che immagino avesse in mente e non ha espresso. Fai rischiare me, non affrontate tutto questo anche voi. Vi salverò per redimermi dai miei errori".

Candy parve colpita da quelle parole e Albert rifletté che c'era stata almeno un'occasione nella quale Luìs aveva detto che voleva cercare di redimere la propria vita dai suoi errori. E d'altronde, non era forse quello il senso di ciò che aveva detto mentre si allontanava? Quando Candy era crollata in ginocchio si era messo a pregare anche lui e lo avevano fatto anche la sera.

"Dove pensi che sarà ora?".

Albert sospirò, guardando l'orizzonte: "Da qualche parte in direzione di Madeira, spero. Oppure su una nave incrociata durante la traversata".

"Io sono certa che ce la farà! Luìs ha navigato tanto nella sua vita e la sua zattera era perfetta, anche se non me ne intendo! Si è allontanato alla velocità della luce, quindi reggerà anche alle onde più grosse".

Le sorrise, attirandola a sé e baciandole una tempia: "Non ne dubito nemmeno io, Candy. Quell'imbarcazione è solida e robusta, un po'... beh, un po' come lui, da quel che ho potuto conoscerlo".

Stettero in silenzio per un po', guardando l'oceano quasi potessero scorgervi Luìs sulla sua zattera. Mangiarono il loro pranzo e Candy posò il granchio su una striscia di stoffa per aprirlo: "Dovresti far avere i soldi a sua sorella come prima cosa, non appena saremo arrivati a Chicago. Davvero credi che la tua famiglia abbia predisposto una ricompensa così alta?".

Albert annuì: "Non mi sorprenderebbe e anche se così non fosse sono disposto a dargli il doppio se davvero ci salverà tutti. Una volta mi ha confessato che vorrebbe capitanare una nave da crociera, ma non ne ha mai avuta l'opportunità e si è dovuto sempre accontentare dei pescherecci".

Candy s'illuminò e batté le mani: "Albert! Potremmo organizzare delle visite su quest'isola per far scoprire ai turisti le meraviglie incontaminate! Basterebbe che facessi il tuo nome come patriarca degli Ardlay e tutti verrebbero qui a vedere dove è stato il magnate più famoso degli Stati Uniti!".

Albert sbatté le palpebre, colpito dall'entusiasmo quasi infantile di Candy e, senza poterci fare niente, cominciò a ridere: "Solo a te vengono in mente idee simili, sei proprio unica!".

"Beh, mi sembrava un buon modo per attirare persone e aiutare Luìs e la sua famiglia", ribatté lei imbronciandosi.

Lui le sorrise: "Preferisco trovare altri modi per aiutarlo. Voglio che quest'isola resti... un ricordo solo nostro. Il luogo dove abbiamo sofferto ma anche scoperto quanto ci amassimo".

Ricambiando il suo sorriso, Candy gli gettò le braccia al collo e Albert la strinse vicino al falò che si levava alto nel cielo.

 
- § -
 
 
Funchal, Arcipelago di Madeira, porto. Quindici giorni dopo.

Vincent Brown lo stava abbracciando e Georges rimase per un attimo impietrito, non aspettandosi da quell'uomo, solitamente così equilibrato, un gesto così plateale. Ma comprese che le convenzioni non servivano quando accadevano i miracoli, così ricambiò quella stretta chiedendosi quando fosse stata l'ultima volta che ne aveva ricevuto uno simile. Forse proprio dalla signorina Candice, qualche anno prima, mentre lo chiamava Cavaliere Bianco. La signorina Candice, che avrebbe rivisto assieme a William, viva e vegeta. Avrebbe abbracciato anche loro? O sarebbe stato sconveniente?

Georges chiuse gli occhi, pervaso dall'emozione e dall'urgenza di partire per vederli, felice di essere sopravvissuto a quello che aveva creduto il suo primo e ultimo volo. Quando finalmente aveva toccato terra, si era quasi accasciato al suolo, pervaso dal desiderio di baciarne la superficie. Ma non aveva fatto nulla di tutto questo e aveva solo respirato a fondo prima di complimentarsi con i piloti e con il costruttore del velivolo che doveva essere solo un prototipo. E ringraziando il cielo di aver potuto ottenere, grazie al denaro di famiglia e alla posizione del clan, un'autorizzazione lampo per portarlo a sorvolare l'Atlantico in tempi così brevi.

Il suo mondo ondeggiava ancora mentre si imbarcava con la sua piccola valigia al seguito e il capitano Brown gli spiegava come aveva trovato il naufrago sulla zattera. "Ci ha riferito che le ricerche erano sbagliate fin dall'inizio e che anche chi non ha seguito la rotta fino in fondo era a malapena a conoscenza di quelle correnti".

"E nessuno aveva immaginato che in quel tratto di mare ci potessero essere altre isole", concluse per lui ringraziando con un cenno della testa il marinaio che prese in consegna la valigia, scortandolo nella sua cabina.

"Proprio così, Georges. Per fortuna, prima di morire il poveretto ci ha dato un'idea delle coordinate e sappiamo di dover andare molto più a sud di quello che credevamo".

"È un vero peccato che non ce l'abbia fatta. Non aveva abbastanza provviste o acqua sulla zattera?". Georges si rese conto solo in quel momento che al telefono non aveva fatto domande sull'uomo che aveva praticamente riportato in vita William e Candice.

Il viso di Vincent divenne cupo e abbassò lo sguardo sul ponte della nave: "No, è morto dissanguato. Uno squalo lo aveva attaccato due giorni prima".

 
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Oceano Atlantico, una settimana prima.

Tutto sommato le giornate erano andate lisce come l'olio e Luìs era fiducioso che a breve avrebbe avvistato le coste di una delle isole di Madeira. Magari proprio Funchal, se aveva calcolato bene la rotta. Aveva ancora parecchia frutta e persino acqua dolce in abbondanza, oltre alle noci di cocco: non aveva piovuto e il vento era quasi sempre stato a favore.

Troppo bello per essere vero.

E infatti, quando aveva notato gli squali, si era detto che se l'aspettava già da un po'. Era pronto, non si sarebbe lasciato gabbare. E tuttavia era successo in un modo così assurdo che, mentre la vista gli si annebbiava e cominciava a perdere il contatto con la realtà, Luìs si diede dello stupido. Aveva remato tutto il pomeriggio, deciso a mettere tra sé e quei pesci troppo cresciuti una sana distanza ed era quasi crollato addormentato, conscio di aver preso troppo sole senza essersi neanche bagnato un po' il capo. Si era rintanato sotto al riparo di rami intrecciati quando ormai era quasi il tramonto e un'onda improvvisa doveva aver spostato il suo piede in acqua senza che se ne accorgesse, sfinito com'era.

Il dolore gli aveva ottenebrato il cervello e sospettò che, oltre ad essersi dimenato tanto quasi da rovesciare la zattera, le sue grida avessero contribuito ad allontanare lo squalo. Aveva ritirato a bordo un piede con tre dita in meno e si era detto che se lo squalo fosse stato più grande, forse sarebbe stato mutilato dell'intera caviglia. Come era potuto succedere?! Se lo era chiesto cercando di non svenire, afferrando una striscia di stoffa e cercando di fermare l'emorragia, evitando di sprecare acqua dolce per irrigarla come avrebbe fatto l'infermiera che aveva lasciato sull'isola. Poteva essere stata una ferita tanto piccola che non se n'era quasi accorto ad attirare lo squalo? Possibile: quelle bestiacce sentivano l'odore del sangue a distanze impressionanti.

Ora, mentre la febbre gli divorava il corpo e sentiva pulsare il piede, le tempie e persino lo stomaco, Luìs si ripeté che forse aveva contratto l'infezione per quelle sue mancanze. Oppure la fasciatura non era stata sufficiente e si era semplicemente dissanguato. In bilico tra realtà e dolore, Luìs si era preoccupato di allontanarsi ancora di più da quel luogo, perdendo l'orientamento che tanto aveva decantato e portando il proprio corpo già provato al limite: la benda era così zuppa di sangue che era semplicemente scivolata via dal piede e il miracolo era stato trovarsi in una zona dove probabilmente non c'erano altri squali o non sarebbe rimasto nulla di lui.

Però sapeva di non essere in salvo. Aveva visto il sole sorgere un paio di volte, ma era debole e ricordava confusamente di aver bevuto più del dovuto, al punto che aveva cominciato ad aprire le noci di cocco. Aveva tentato di fermare il sangue con il giubbotto di salvataggio che usava come coperta ma non riusciva a stringerlo abbastanza e, anche se cercava di rimanere idratato, sospettava che la ferita avesse sanguinato così tanto che aveva bisogno di un ospedale perché era certo che si stesse anche infettando.

Con uno sforzo sovrumano, si era imposto di usare una delle ultime noci di cocco per lavare la ferita dopo aver immerso l'arto nel mare salato, nel tentativo disperato di disinfettarlo. Non credeva di avere ancora voce per gridare per il dolore che ne conseguì. E non sapeva più quanto fosse rimasto svenuto, mentre la ferita sembrava non rimarginarsi mai.

Un giorno? Due? Non aveva importanza, aveva fallito.

Perdonatemi, William, Candice. Perdonami Beatriz. Perdonatemi... tutti.

Gli occhi gli si chiudevano, ma ebbe giusto il tempo di avere un'allucinazione, mentre cercava di scaldarsi con il giubbotto di salvataggio: era giorno eppure aveva freddo. La sagoma enorme che si avvicinava poteva essere un corpo nuvoloso molto basso. Oppure una nave.

E quella era indubbiamente una voce.

Anzi, tante voci, una delle quali gridava: "Tiratelo su!". E in effetti sentì il corpo sballottato, lo stomaco che si contraeva e il puzzo del vomito quando voltò il capo scosso dagli spasmi. "Un medico, presto!". Ma Luìs sapeva, sentiva che non ci sarebbe stato tempo e quella era la sua ultima possibilità di salvare gli altri, se non se stesso. Poi, forse, avrebbe potuto riposare in pace.

" Benedita... Beatriz...", articolò a fatica, socchiudendo le palpebre per incontrare gli occhi concentrati di un uomo che doveva essere il capitano della nave. Se la vista non lo ingannava, era vestito come aveva sognato di esserlo lui al comando di un'imbarcazione di tutto rispetto.

"Non si preoccupi, potrà rivederle. Ora arriverà il medico e...". L'uomo accanto a lui poteva essere un marinaio: vedeva ancora i capelli scarmigliati e bagnati, forse era proprio quello che lo aveva salvato.

Colto dall'urgenza, afferrò la mano di quest'ultimo, che gli era più vicino e cercò di bloccarlo quando tentò di allontanarsi. Non aveva ancora fatto i nomi più importanti: "William... C...Candy...".

Il ragazzo si voltò lentamente guardando il suo capitano e l'uomo impallidì in maniera visibile, tornando a guardarlo: "Come ha detto?". Sembrava senza fiato.

"William e Candice... Ardlay... sono vivi. Sull'isola. La rotta... era sbagliata. Dovete cercare più a sud... di Madeira. Le correnti... le correnti hanno trascinato anche me". Come se il destino avesse deciso che era abbastanza, Luìs udì appena l'uomo mormorare "Oh mio Dio", prima di essere colto da convulsioni.

La voce gli sfuggì così come il corpo, che si ribellava alla debolezza, alla febbre, alla probabile infezione. La vita gli scivolava via eppure, ancora una volta, riuscì a pronunciare quelle che furono le sue ultime parole.

"Sono vivi... salvateli...".

 
- § -
 
 
L'isola, ultimo giorno

Albert sonnecchiava appoggiato a una palma da cui avevano saccheggiato le ultime noci di cocco il giorno precedente e, nel dormiveglia, sentì Candy appoggiarsi a lui in cerca di riposo. Da quando Luìs era partito, erano tornati solo quattro o cinque volte nella zona più verdeggiante solo per prendere l'acqua: ormai, facevano a turno per alimentare il fuoco e scrutare l'orizzonte in attesa che arrivassero i soccorsi. E di notte non facevano eccezione. Erano tanto sfiniti che ormai capitava loro di addormentarsi brevemente persino di giorno.

Quando sentì il dolce peso di Candy su di lui, Albert pensò che avrebbe dovuto aprire gli occhi e restare vigile al posto suo, ma le membra erano così pesanti, per tacere delle palpebre, che cominciò a sognare. E sognò il loro matrimonio, un matrimonio vero, vicino alla foresta di Lakewood. Vide, emozionato e commosso, Candy con il suo abito da sposa che lo raggiungeva e gli stringeva la mano. Sì, lo voglio, ripetevano insieme, più e più volte. Ed erano nella loro stanza, facendo l'amore dolcemente, in maniera completa, senza restrizioni, con somma gioia di entrambi. Ed erano al molo, attendendo una nave che li avrebbe condotti in Scozia. Una nave da crociera il cui capitano era Luìs che faceva loro un saluto militare sorridendo con un occhiolino compiaciuto. Finalmente poteva condurre l'imbarcazione dei suoi sogni e Albert seppe che quelle accanto a lui erano la sorella e la nipotina.

E lui e Candy stavano salendo sulla nave...

La nave...

Con un verso strozzato, Albert spalancò gli occhi e sentì il cuore accelerare nel petto. La nave era reale e la sua sagoma era tanto vicina che avrebbero potuto arrivarci a nuoto. Scosse Candy, incapace di parlare, e lei si svegliò di colpo guardando a sua volta davanti a sé, senza riuscire a ripetere altro che il suo nome.

Non si fidava molto delle sue gambe, ma ressero mentre la aiutava ad alzarsi e correvano verso riva riconoscendo la seconda sagoma di una piccola imbarcazione a remi che stava arrivando da loro. Chi remava dava loro le spalle, ma Albert avrebbe riconosciuto l'uomo elegante e impeccabilmente vestito di nero persino a quelle latitudini fra mille.
"Oh mio Dio, oddio, Albert, è... Georges!", gridò Candy portandosi le mani alle labbra e scoppiando in un pianto liberatorio.

E, mentre anche i propri occhi si riempivano di lacrime e un sorriso gli nasceva spontaneo sul volto, vide l'uomo che lo aveva cresciuto alzarsi in piedi sulla barca, facendola oscillare, togliersi la giacca con gesti frenetici e scendere in acqua prima ancora che il natante toccasse riva, ignorando i richiami del rematore.

"William, Candice!".

"Georges!", proruppero a una voce e, come nei più banali romanzi, si corsero incontro abbracciandosi fra i singhiozzi, un uomo in completo elegante e due naufraghi con solo la biancheria logora. Le frasi erano incoerenti, colme di lacrime, e le mani di Georges furono improvvisamente ai lati del suo viso come se volesse guardarlo meglio, un gesto che pensava non avesse fatto neanche quando era un ragazzino.

"Sei proprio tu, William!", disse con voce soffocata.

"Sì", soffiò ridendo nel pianto e lo vide lanciare uno sguardo commosso al viso di Candy, alzando una mano quasi volesse toccare anche lei per essere certo che fosse vera.

Lei afferrò quella mano e se la portò alla guancia come se fosse un bene prezioso: "Caro Georges!". E singhiozzava, Georges, sommesso e composto, riprendendo il controllo a fatica e accorgendosi forse solo in quel momento del loro abbigliamento, arrossendo davanti a Candy. "Scusa, non volevo metterti in imbarazzo", disse lei ridendo e asciugandosi gli occhi.

"Sulla nave ci sono abiti nuovi e un bagno caldo. E potete ordinare da mangiare tutto ciò che volete", disse Georges con la voce ancora rotta dall'emozione.

"È stato Luìs, vero? Ha lanciato l'allarme, è riuscito a toccare terra, quel lupo di mare! C'è anche lui o è tornato a casa?", chiese Albert ricomponendosi e posando le mani sulle spalle di Georges, rifiutandosi di interrompere quel contatto come temendo che potesse svanire.

Tuttavia, lo sguardo dell'uomo si oscurò e il sorriso svanì dalle sue labbra. Anche le proprie si rilassarono e comprese che era successo qualcosa. Qualcosa di molto grave al loro amico.

"Purtroppo, quando lo hanno trovato era ferito gravemente. Pare che uno squalo lo avesse attaccato pochi giorni prima".

"Oh, no, Georges... no!", disse Candy, sconvolta, riprendendo a piangere. E stavolta di dolore.

"Sono molto spiacente, è morto poco dopo averci dato le coordinate per trovarvi. E ha nominato anche due donne. Beatriz e Benedita".

Mentre accoglieva Candy fra le braccia, piangente e sconvolta, Albert mormorò: "Sono sua sorella e la nipotina. Dobbiamo avvisarle. E aiutarle".

Georges annuì e Albert affondò il viso tra i capelli di Candy, stringendola forte tra le braccia, ringraziando Dio di averli infine salvati, pregando per l'anima di Luìs Costa e dell'uomo sepolto vicino alle rocce e dando l'ultimo addio all'isola che li aveva ospitati per quattro, lunghi mesi.
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo Dieci ***


Candy aprì gli occhi di scatto, con un senso di vivo allarme che le si diffondeva nel corpo. D'istinto, cercò quello di Albert accanto al proprio e non lo trovò. La sua mano incontrò un tessuto morbido e pensò che doveva aver dimenticato di tendere il lenzuolo per pescare, portandolo con sé nella caverna per chissà quale motivo. Strano però che il giaciglio fosse così morbido: erano forse nella zona boschiva? No, avevano deciso da qualche giorno di sostare sulla spiaggia, così da avvistare una nave in caso Luìs...

La nave. Luìs. Georges.... e il capitano Brown, il padre di Anthony che mi abbraccia come al funerale di Stair...

La realtà la colpì come un macigno e Candy provò dolore e sollievo al contempo. Si alzò a sedere così velocemente che le girò la testa e si portò una mano alla fronte. Indossava ancora il vestito estivo che aveva messo con l'aiuto di una cameriera dopo il bagno e quasi si sentì a disagio con tutta quella stoffa addosso. La cabina era davvero bellissima, il letto era stato coperto da lenzuola di cotone leggero e una coperta rosa antico come la federa del cuscino su cui aveva riposato per chissà quante ore. Dall'oblò poteva notare che la sera era già scesa.

Con gesti lenti, sentendosi ondeggiare leggermente, Candy mise i piedi a terra e trovò delle morbide pantofole che titubò se indossare o meno, abituata com'era a stare ormai sempre a piedi nudi o coperti da un pezzo di stoffa sulla sabbia calda.

Si reco in bagno, accese la luce e si lavò il viso gonfio di sonno ma più riposato e si domandò se anche Albert avesse dormito quanto lei. Tornò nella stanza, cercando delle scarpe e nell'armadio di fronte al letto ne trovò cinque paia ordinatamente in fila. Scelse quelle più basse e comode e uscì dalla cabina, cercando di ricordarsi dove fosse quella di Albert.

"Vai a riposare, Candy. Ci vediamo più tardi per mangiare insieme a Vincent e Georges, va bene?".

Invece, come al solito, lei aveva dormito troppo e quando colpì con le nocche la porta della cabina di Albert le rispose il silenzio. Fu quasi tentata di entrare comunque, ma ormai non erano più soli su un'isola e non poteva farsi vedere nella sua stanza come se niente fosse.

Uscì sul ponte e lo vide, di spalle, appoggiato alla balaustra che guardava l'orizzonte. Gli si avvicinò pensando che la sua vita l'aveva portata, un giorno, a conoscere un giovane scambiato per Anthony in maniera molto simile. Quell'uomo, che aveva rubato il suo cuore, era invece molto più simile al ragazzo morto così prematuramente: d'altronde, era suo zio.

"Non dirmi che la nave è tutta per noi", disse accostandosi a lui e incontrando i suoi occhi azzurri. Aveva messo una camicia bianca molto simile a quella che aveva sull'isola prima che andasse distrutta e indossava comodi pantaloni di lino chiaro.

"Vincent ha creato questa spedizione apposta. Oltre a Georges c'è solo il personale di bordo, qualche cameriera e un maggiordomo che voleva aiutarmi a fare il bagno come un bambino piccolo". Su quell'ultima frase, Albert fece una smorfia di disappunto che la fece ridere.

"Ma Albert! È normale nel tuo ambiente! Non dirmi che a Chicago non avevi un maggiordomo personale!".

Lui allungò una mano per riavviarle i capelli mossi dalla brezza e lei chiuse gli occhi al suo tocco: "Sì, ma non ho mai voluto che mi aiutasse a lavarmi o a vestirmi. Si tratta di qualcosa che ho sempre odiato. E il mio ambiente naturale rimane la natura".

Candy gli baciò la punta delle dita, il palmo e lo prese per il polso perché non interrompesse il contatto: "Ti capisco benissimo, io sono come te. Mi dispiace aver dormito troppo, hai mangiato?".

"No, confesso che mi sono alzato da poco anche io e aspettavo te per la cena. Forse è il caso di segnalare la nostra presenza o penseranno che ci siamo gettati in mare per tornare sulla nostra isola".

Lei rise, ripetendo le sue parole: "La nostra isola. Suona così bene! Eppure abbiamo fatto di tutto per fuggire da lì. E nonostante ciò... ce ne siamo anche un po' innamorati, vero?".

Albert sospirò, abbracciandola e facendole finalmente sentire di nuovo la solidità del suo petto: "È così. Stava diventando impensabile sopravvivere a lungo in quel luogo, specie ora che si avvicina l'autunno. Ma ho amato averti vicina notte e giorno, amarti senza filtri, averti tutta per me. Anima... e corpo. Senza regole. Senza nessuno che ci giudicasse".

Candy arrossì un poco ma annuì: era d'accordo su ogni singola parola. "A Chicago non sarà lo stesso, vero?".

Avvertì il momento in cui Albert trattenne il respiro, prima di scostarla un poco per guardarla negli occhi: "All'inizio temo di no, Candy, ma ti ho ben detto che ho intenzione di sposarti. Non posso immaginare la mia vita lontano da te e appena sarà possibile tu diventerai mia moglie. Sempre che tu lo voglia...".

Candì chiuse gli occhi sulle lacrime nascenti: "Certo che lo voglio, ma la zia...".

"La zia e il clan non mi fanno paura, Candy. Sono io a prendere le decisioni e sono disposto a lasciare tutto per te, se sarà necessario".

"Albert!".

"Ma non lo sarà, credimi. Inoltre c'è qualcosa che devo fare, prima di tutte".

"La famiglia di Luìs...", mormorò Candy sentendo la tristezza avvolgerla di nuovo in un tocco gelido.

Albert annuì. "Una volta in America farò immediatamente delle ricerche e mi assicurerò che abbiano il necessario per vivere bene e per avere le cure mediche di cui necessita Beatriz". Candy si morse il labbro, cercando di non piangere più e affondò di nuovo il viso nel petto del suo principe, inalandone l'aroma che ora le evocava il sapone oltre al sale marino. "Che ne dici di andare a cena? Ho sentito parlare di arrosto, poco fa, da un marinaio di passaggio".

Candy sentì, suo malgrado, l'acquolina in bocca. Era da quando avevano provato a mangiare il piccione che non assaggiava della carne e il pensiero le fece brontolare forte lo stomaco. Albert scoppiò a ridere.

"Pensi che ci sarà anche un dolce?", chiese immaginando una torta al cioccolato.

"Credo che ci saranno almeno due o tre contorni e un mucchio di dessert. Prima che mi recassi in cabina, Georges mi ha chiesto se avessimo preferenze e io gli ho detto che andava bene tutto purché non fossero pesce o noci di cocco".

E anche lo stomaco di Albert ruggì, facendoli ridere di nuovo. "Bene, allora andiamo prima che cominciamo a mordicchiare questa balaustra".

Le offrì il braccio e la scortò dentro.

 
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Georges osservò discretamente William e Candice per tutta la durata di quella cena intima cui si unì anche Vincent. Nonostante le prelibatezze e la quantità di cibo, i due sembravano non riuscire a mangiare più di tanto. Erano dimagriti molto e cominciò a essere in pensiero.

"Volete che faccia preparare altri piatti?", domandò tentando di capire se fosse una questione di gusti. Eppure, ricordava che nessuno dei due era mai stato schizzinoso.
"Oh, no, Georges, non so Candy, ma se mangio solo un altro boccone rischio di scoppiare", disse William portandosi una mano allo stomaco.

"Lo stesso vale per me. Ho finito il dolce al cioccolato per pura golosità, ma sono piena anche io".

"Grazie per questa cena deliziosa", dissero all'unisono guardando il capitano Brown, causando le risa generali.

"Bene, sono felice che abbiate apprezzato, se c'è qualcosa che desiderate non esitate a chiedermela, avremo almeno altri dieci giorni di navigazione prima di raggiungere New York".

William annuì: "Sei molto gentile, Vincent, e so che vi sembra che non abbiamo mangiato molto. In realtà credo che dopo tanto tempo nutrendoci solo con quello che ci offriva la natura, ci siamo abituati a saziarci con meno cibo". Accanto a lui, Candy annuì.

"Dovete perdonarmi se mi permetto, ma mi sentirei più tranquillo se vi faceste visitare dal medico di bordo. Avete passato quattro mesi su quell'isola e spero non mi fraintendiate se oso dirvi che è evidente che avete perso entrambi parecchio peso".

Il patriarca e Candice si guardarono con aria complice e li vide intrecciare le dita delle mani quasi inconsapevolmente. Non gli erano sfuggiti neanche quei due fili verdi intrecciati sui loro anulari, tuttavia avrebbe atteso che William gliene avesse parlato. Se avesse voluto farlo.

"Hai ragione, domattina andremo entrambi dal medico e ti prometto che tutto tornerà alla normalità. Non preoccuparti, immagino che una volta tornati a casa la nostra salute non potrà che migliorare. A proposito, come stava la zia Elroy quando l'hai lasciata per venire qui?".

Geroges si tolse il tovagliolo dalle ginocchia, rifiutando con un gesto educato il vino che uno dei camerieri voleva versargli. "Lei sa bene da quanto tempo la conosca. Ebbene, nonostante temessi per la sua salute, non l'ho mai vista tanto energica ed entusiasta. Sembrava... mi perdoni, ma sembrava ringiovanita di trent'anni e ha chiesto persino di venire con me sull'aereo".

I volti di William e Candice mostrarono uno stupore tale che persino Vincent sorrise: "Mi domando come hai fatto a convincerla a non farlo, Georges", gli disse il capitano battendogli una mano sulla schiena.

"Beh, le ho spiegato che non sarebbe stato il caso di sottoporsi a un simile strapazzo e lei ha voluto vedere di persona il velivolo per accertarsi che non sarebbe precipitato. Ma suppongo non fosse in pena per me, piuttosto per il fatto che non riuscissi a raggiungere suo nipote.

William scosse la testa, ancora ridendo: "Povera zia, deve essere stato un colpo molto duro per lei. E Georges... immagino che non vi aspettaste di trovarci ancora vivi, vero?".

Quella era la domanda che temeva e, visto che da quando erano saliti sulla nave tutto era stato frenetico e avevano dovuto occuparsi come prima cosa del riposo e del cibo,
non aveva avuto tempo di raccontargli le ultime novità. Vincent scelse quel momento per alzarsi e congedarsi: "Signori, è stato un vero piacere. Ma ora devo tornare al timone. Ci vediamo domattina a colazione?". William e Candice acconsentirono nel medesimo istante, rivelando ancora di più la complicità che sembrava cresciuta in maniera esponenziale da quando avevano sostato sull'isola. E lui non poteva che esserne felice.

"Signorino William, se vuole possiamo discutere nel salottino dove possiamo prendere del whisky o un tè", propose guardando alternativamente lui e la signorina Candy.

"Quindi dopo la riunione e gli abbracci sulla spiaggia sono tornato a essere il signorino William?", gli chiese ironico, inarcando un sopracciglio e alzandosi.

"Io... mi dispiace, non volevo mancarvi di rispetto, ma ero così felice di rivedervi vivi...".

"Georges, non devi giustificarti. Anzi, dovresti smetterla una volta per tutte con tante formalità". Senza attendere la sua risposta, si rivolse a Candice. "Vieni anche tu?".

Lei scosse la testa, facendo ondeggiare i capelli corti tirati indietro da un semplice nastro rosso. Chissà come aveva fatto a tagliarli. "No, Albert, immagino che tu e Georges dobbiate parlare di affari e questioni private. Io mi ritirerò nella mia stanza a riposare ancora un po'. Credo di avere accumulato un po' di stanchezza ultimamente".
William le strinse le mani, guardandola con serietà e Georges non osò nemmeno respirare per non interrompere il momento.

"Candy, non c'è nulla della mia vita che tu non possa o non debba sapere. Nulla che sia così privato. Quindi se vuoi riposare non ti costringerò, ma sappi che potrai entrare nel salottino quando vorrai".

Il viso della signorina si distese in un sorriso sincero e luminoso che parve emanare luce solo per William. Georges valutò seriamente la possibilità di girare i tacchi e lasciarli parlare da soli. "Ti ringrazio di cuore, lo terrò presente".

Si congedarono scambiandosi sguardi tanto intensi che suppose stessero trattenendosi a stento dall'abbracciarsi. O dal... baciarsi. Georges si costrinse a voltarsi verso la finestra della grande sala da pranzo per scrutare l'orizzonte, fingendo di interessarsi al tempo e alle nuvole, ma sentì i passi di William avvicinarsi e si incamminò con lui verso il salottino dando la buonanotte a Candice che stava facendo persino un leggero inchino. Nonostante le settimane passate su un'isola deserta, sembrava non aver dimenticato le buone maniere così come la sua fresca spontaneità.

Nella stanza, William accettò un dito scarso di whisky, suppose per mancanza di abitudine, e sedette sul divano di fronte alla stufa, mentre lui si accomodò su una poltrona alla sua sinistra.

"È così strano trovarsi davanti a una stufa e non a un falò sulla spiaggia o in mezzo alla foresta", disse con voce bassa e pacata.

"Ne parla come se le mancassero quei luoghi", osò osservare Georges scrutando il volto smagrito e rilassato.

"In parte sì, lo ammetto a costo di sembrare impazzito. Il senso di libertà che si respirava lì era... unico. Simile a quello che ho provato in Africa, ma per molti versi anche differente. Non sapevo quanto saremmo sopravvissuti con quelle risorse. Non sapevo se ci attendeva un inverno freddo e l'isola sarebbe diventata gelido e inospitale di notte. E non ero certo che non avremmo mai avuto imprevisti: sai che ci sono state anche scosse di terremoto? Avremmo potuto restare feriti o ammalarci e non avere cure. In realtà è accaduto anche questo, pur se è andato tutto bene. Ne avrei di cose da raccontare, Georges... E tuttavia, svegliarsi ogni mattina decidendo se avrei pescato con un lenzuolo o arpionando i pesci del fiume, insegnare a Candy ad accendere il fuoco, esplorare l'isola costruendo trappole o cercando le uova degli uccelli... è stata un'avventura che con le dovute precauzioni non mi dispiacerebbe ripetere".

Georges fu certo che avesse letto l'incomprensione nel suo sguardo sconvolto, ma sentì l'urgenza di dire qualcosa. Qualunque cosa per dimostrargli che a livello profondo lo comprendeva: "Capisco, signore. Anche se non del tutto...".

"Grazie, Georges, lo apprezzo", disse con un lieve sorriso. "E... dunque, aggiornami su come stanno le cose a casa".

Per un attimo, fu certo che volesse dirgli qualcos'altro e avesse deviato il discorso sulla domanda di poco prima, ma gli rispose comunque riferendogli delle ricerche, delle speranze sempre più flebili e infine dei funerali, per il dolore di tutti. Gli raccontò di come il giovane Archibald, con il consenso del Consiglio e di una distrutta signora Elroy, avesse preso le redini dell'azienda e la stesse conducendo in maniera eccellente.

"Cerco sempre di dargli il mio supporto, ma ormai non ne ha quasi più bisogno", disse con orgoglio. "Lui e la signorina Brighton vi attendono al molo e la signorina Pony ha fatto sapere che vorrebbe una vostra visita quanto prima, non potendosi muovere per via dei bambini".

William sospirò, come assorbendo tutte quelle informazioni: "Sarà una delle prime cose che faremo, anche se io non potrò trattenermi molto, purtroppo. C'è qualcosa che devo fare e sarà il primo impegno cui voglio prestare fede".

Georges indovinò subito: "Si tratta della famiglia del capitano Costa, non è vero?".

"Hai indovinato. Se non ci fossimo trovati nelle condizioni in cui eravamo vi avrei chiesto di fare una deviazione per cercarli, ma voglio fare le cose per bene da dove ho il pieno controllo".

"Sarà mia cura telegrafare a Chicago per chiedere subito ai nostri collaboratori di cominciare le ricerche delle persone interessate".

Il sorriso sul volto abbronzato di William si allargò: "Non mi aspettavo niente di meno da te, grazie Georges". Lui annuì, discreto, attendendo che continuasse o che lo congedasse. E, come quasi si aspettava, fece la prima cosa. "Te ne sei accorto, vero?".

Ebbe per un attimo il dubbio di fingere di non capire, ma seppe che sarebbe stato inutile: "Immagino che abbia confezionato lei stesso i due anelli che avete al dito, vero?".

William ridacchiò, quasi imbarazzato, guardandosi l'anulare: "L'ho realizzato in maniera sommaria e con il poco che avevo a disposizione...". Si morse il labbro, come impedendo ad altre parole di lasciare le sue labbra. "L'ho sposata sull'isola e intendo farlo anche una volta tornati a Chicago. Non subito, certo, ma non voglio aspettare troppo".

Georges prese un respiro profondo: "Bene, in tal caso vi faccio le mie congratulazioni", disse con sincerità.

"Grazie di cuore, Georges, per tutto. Anche tu hai bisogno di riposo. Hai fatto una grande impresa a sorvolare l'Atlantico per noi, sai?".

"Lo rifarei altre mille volte se servisse a riportarla a casa... William".

Lui annuì, compiaciuto del fatto che fosse stato un po' meno formale. Quando si lasciarono all'ingresso della fila delle cabine, Georges lo vide indugiare con lo sguardo verso la stanza della signorina Candice prima di proseguire verso la sua. Senza indugio, entrò nella propria: William aveva detto che l'aveva sposata e la loro vita privata non era affar suo.

 
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Dormire lontano da Candy, senza sentire il suo respiro ritmico, il profumo dei suoi capelli e sì, anche i suoi borbottii nel sonno era stato strano. Albert aveva dovuto riabituarsi a vederla solo durante il giorno, condividendo solo pochi minuti da soli, rubandole un bacio casto di tanto in tanto e avvertendo anche da lei la destabilizzazione per quella nuova eppure vecchia realtà.

Ma tornare a casa e vedere la zia Elroy in lacrime gettarglisi fra le braccia chiamandolo 'figlio mio', fu davvero qualcosa fuori dal mondo. Lei era stata una delle prime a insegnargli come nascondere i propri sentimenti al mondo, mantenendo sempre un contegno dignitoso in ogni caso della vita. E ora eccola lì, trasformarsi in una signora anziana che singhiozzava aggrappandosi alla sua giacca, costringendolo a dirle parole dolci per calmarla mentre la circondava con le braccia e la sentiva fragile come non mai.

E per fortuna che aveva deciso di ricambiare il suo abbraccio disperato, perché la sentì accasciarsi e la sorresse, allarmato. Il maggiordomo e Georges gli furono subito accanto e Candy chiese che venisse stesa sul primo divano disponibile all'ingresso, dove le fece poggiare le gambe su un bracciolo e il capo su un cuscino basso. Senza scomporsi, mantenendo la freddezza e la lucidità di un'infermiera professionista, le sentì il battito con due dita sul polso e le toccò la fronte con il dorso della mano.
E, Dio lo perdonasse, quella Candy così seria e adulta, a dispetto di dove si trovavano e della situazione di emergenza, gli fece solo desiderare di baciarla finché non avesse avuto più fiato.

"È solo svenuta per lo shock, non è nulla di grave. Ma sarebbe meglio portarla in camera sua e chiamare il dottor Leonard perché la visiti".

"Ci penso io", si offrì subito Albert, guadagnandosi gli sguardi allarmati della servitù. "Tranquilli, sarò dimagrito ma ho lavorato sodo su quell'isola, ce la posso fare". Fece l'occhiolino e trasportò la zia, che gli parve leggerissima, fino alla sua stanza, dove la cameriera la coprì e preparò una brocca d'acqua oltre a una bacinella per inumidirle la fronte secondo i suggerimenti di Candy.

Un'altra ragazza arrivò con i sali e li passò a Candy, che lo guardò: "Credo sia meglio che lo faccia tu, io penso che andrò subito alla Casa di Pony. Fammi sapere come sta, ovviamente".

Albert fu colto dal panico, molto più di quando vivevano alla Casa Magnolia e aveva deciso di andarsene per il suo bene. "No, Candy, ho intenzione di ospitarti e, se vorrai, domattina presto chiederò all'autista di accompagnarti".

"Albert... non credo che per la zia sia il momento...". Esitò, distogliendo lo sguardo. "Non voglio che sia sconvolta o contrariata in un momento così delicato, capisci?".

Lui sospirò: "Candy, sono certo che è come dici tu e la zia Elroy non ha nulla di grave. Avrai la tua stanza e magari potrebbe essere utile un'infermiera nelle prossime ore. Ti prego, resta".

La cameriera e Georges erano gli unici ad aver assistito a quello scambio di battute e Albert aveva dovuto usare tutto il suo autocontrollo per non prenderla fra le braccia e pregarla di non andarsene così all'improvviso. Non credeva che di punto in bianco il bisogno di lei sarebbe diventato così forte, ma di fatto era diventata sua moglie a tutti gli effetti e non si biasimava più di tanto.

"E va bene, resto. Ma non facciamola agitare, va bene?".

Albert le sorrise: "Non succederà, tranquilla".

Candy annuì e, una volta accertatosi che il dottor Leonard fosse in arrivo, accompagnò di persona Candy nella stanza che era da sempre assegnata a lei. Quella con i mobili verde menta che le aveva regalato per il suo compleanno.

"Albert, potrebbero vederci". In un passo, l'aveva stretta a sé e baciata come anelava da ore. L'ultima volta era accaduto solo la sera prima e non poteva davvero attendere oltre. Dopo il primo momento di diniego e di imbarazzo, Candy rispose al suo bacio, abbandonandosi alla sua stretta e passandogli le mani nei capelli. Portandolo a un passo dal chiudere la porta a chiave per fare l'amore con lei lì, in quel letto alle sue spalle.

Smise di baciarla solo per scongiurare quell'eventualità che avrebbe solo finito per nuocere alla reputazione della donna che amava, come se già non la stesse rischiando abbastanza: "Quando la zia starà meglio renderò pubblica la mia intenzione di fidanzarmi con te", disse con voce roca, senza allentare troppo la stretta.

Candy lo fissò, anche lei col fiato ancora corto: "Sei certo che... andrà tutto bene?".

"Da quando in qua hai timore del giudizio degli altri?".

"Non temo il giudizio degli altri, temo che possano... non so, crearti dei problemi perché hai scelto me invece di una donna del tuo stesso ceto sociale".

Albert lasciò ricadere le braccia con un sospiro, il desiderio bruciante di lei che si intiepidì a quelle parole: "Siamo partiti insieme quando già sapevano che non eri più sotto la tutela della famiglia, direi che un'idea di cosa stesse cambiando fra noi se la sono già fatta".

"Sì, ma...".

"Candy", disse guardandola con serietà, i sensi del tutto all'erta. "Hai dei dubbi? Giuro che preferisco sapere ora se per caso...".

"Ma cosa ti salta in mente?!". Per buona misura, gli si avvicinò di nuovo ponendogli le mani sul viso e lui si affrettò a coprirle con le proprie. "Se sono stata proprio io a... rompere i tuoi indugi quando... oh, lo sai quando!", concluse arrossendo, vedendolo inarcare le sopracciglia come se non capisse.

"E allora smettila di farti tutti questi problemi. Detterai tu i tempi, con i tuoi impegni di lavoro, se vorrai riprendere. Potrai decidere di stare con i tuoi amici alla Casa di Pony quanto desideri". Le scostò i capelli dal viso con tenerezza. "Ma non farmi aspettare troppo, va bene?".

Finalmente Candy sorrise: "Non ci penso nemmeno".

 
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Elroy Ardlay odiava sentirsi così fragile e perdere il controllo, ma era stato inevitabile. Rivedere il suo unico nipote diretto, il patriarca della propria famiglia dopo mesi in cui lo credeva morto era stato più di quanto il suo vecchio cuore potesse sopportare. Ma non era il momento di tergiversare, doveva alzarsi da quel letto e risistemare le cose perché tornassero come erano un tempo! Sapeva che a breve sarebbe tornato il dottor Leonard con un'infermiera e non ci voleva un indovino per capire chi sarebbe stata.
L'aveva vista, quella Candice, all'entrata della villa, nascosta quasi volesse scomparire e non disturbare il momento della riunione fra lei e William. Aveva in parte apprezzato il suo gesto, tuttavia si era anche chiesta come mai non fosse andata direttamente al suo orfanotrofio per incontrare i suoi amici.
E, anche a quella domanda, aveva una sua personale risposta.

"Avanti", rispose con voce risoluta e, quando il buon medico entrò, il primo dei suoi sospetti divenne reale. Candice era poco dietro di lui, anche se non cercava più di nascondersi, e aveva persino indossato l'uniforme. Sembrava addirittura professionale.

"Bene, signora Elroy, la sua pressione è tornata nella norma, ma le raccomando di riposare oggi e anche domani. L'infermiera White si preoccuperà di monitorare i suoi parametri vitali ogni tre-quattro ore".

"Non ce n'è bisogno", disse quasi stizzita. "Non le sarà sfuggito che ci sono un mucchio di affari da sistemare, ora che William è tornato".

"Posso immaginarlo, però mi trovo costretto a insistere chiedendole di delegare qualcuno finché non si sarà ristabilita". Elroy restrinse le palpebre, fissando gli occhi su Leonard e su Candice alternativamente. La ragazza distolse i propri solo dopo qualche istante. Era pallida, ma pareva risoluta.

"E va bene, non ho intenzione di discutere la parola del dottore. Ma spero di poter almeno ricevere persone per definire alcuni dettagli", cercò di patteggiare appoggiando di nuovo la schiena sui cuscini.

"Magari nella giornata di domani", concesse il medico facendo cenno a Candice di avvicinarsi. "Per qualunque cosa, faccia riferimento alla sua infermiera. Per fortuna la conosce bene e sa quanto possa seguirla in maniera eccellente".

Elroy non rispose, ma si limitò a scambiare uno sguardo con lei, che stavolta lo sostenne, fiera ma senza traccia di arroganza. Era come se sapesse che si stava muovendo su un territorio a lei familiare e che poteva svolgere il suo compito in modo impeccabile, come aveva detto Leonard.

L'uomo si congedò e rimasero sole. Candice posò sul comodino alcuni medicinali: "Queste sono le prescrizioni del dottor Leonard, dovrebbe prenderne una già adesso. Sono davvero felice che stia meglio, zia Elroy".

"Non sono più tua zia", sbottò più duramente di quel che intendesse. Sopportava a malapena quella condiscendenza e ripensò al giorno in cui aveva pregato Dio di restituirle il nipote, anche se fosse stato al fianco di quella donna senza origini. Ebbene, a quanto pareva era stata esaudita, anche se non sapeva ancora fino a che punto si fosse sviluppata la loro relazione. E tuttavia, faticava ancora ad accettarlo, in bilico tra la necessità di non lamentarsi dopo il compimento di un miracolo e quella di mantenere saldi i propri principi.

"Mi perdoni, signora Elroy, ha ragione. Non sono più una Ardlay da quando ho compiuto i ventuno anni. Ma quello che ho detto è vero, sono lieta...".

"Dovresti essere alla tua Casa di Pony dopo tanti mesi di assenza! Hai almeno fatto sapere loro che sei ancora in vita?". Indagare sulle sue prossime intenzioni fingendo di preoccuparsi per la sua famiglia acquisita le diede modo di non scoprirsi troppo.

"Io... io... sì, so che Georges ha telegrafato loro poco prima di partire per venire a prenderci. Ma Albert mi ha chiesto di restare almeno un giorno o due e a me fa piacere prendermi cura di lei".

Albert, si ostinava a chiamarlo con il suo secondo nome con tutta quella confidenza! Se solo pensava alle implicazioni che quella vacanza fuori programma poteva aver causato le tornava il mal di testa!

"Per me puoi andare via anche subito, ma non si discute la parola di William", disse calcando sul nome che riteneva corretto. "E lungi da me farlo arrabbiare appena tornato".

Candy si limitò ad annuire e le diede la medicina prima di prenderle la pressione e appuntare i risultati su un foglio. "È un po' più alta di prima, ma tutto sommato nella norma".

"Non mi sorprende", disse Elroy voltando il capo e sentendola rimettere a posto l'apparecchio nel cassetto.

Candice fece un sospiro discreto e cominciò a parlare: "Signora Elroy, so benissimo che la mia presenza qui non le è gradita e le assicuro che sono stata io la prima a chiedere ad Al... a William di poter andare via oggi stesso. Ma lui era preoccupato per il suo malessere e, che ci creda o no, anche io. Per cui temo che dovrà sopportarmi come sua infermiera almeno fino a domani sera, quando andrò alla Casa di Pony per riabbracciare le mie madri e i miei amici".

Elroy rimase interdetta di fronte a tanta forza d'animo, ben lontana dalla sfacciataggine, ma sufficiente a emanare una certa autorità. Eppure, non voleva farsi confondere da quella ragazzina. "Cosa è successo su quell'isola?", chiese a bruciapelo, quasi pentendosi subito dopo di averlo domandato.

Gli occhi di Candice, infatti, si spalancarono neanche l'avesse schiaffeggiata e la bocca si socchiuse come se volesse dire qualcosa. Fece persino un passo indietro. Non poteva essere più eloquente e Elroy si domandò se avrebbe avuto un infarto in quel momento, rovesciando la situazione di qualche settimana prima in una manciata di minuti. "Cosa... cosa intende dire? Abbiamo cercato di sopravvivere, abbiamo persino costruito una zattera insieme a un naufrago che...".

"Oh, ti prego, risparmiami i particolari, non lo voglio più sapere!", disse alzando una mano come se non le stesse raccontando nulla di più che la storia di come erano infine stati salvati.

"La prego, non si agiti a causa mia. Ho promesso a William che avrei avuto cura di lei e intendo essere l'infermiera che merita". Per una volta, poté dirsi d'accordo con lei.

"Bene, Candice, stabiliamo una tregua per amore di mio nipote. Se qui hai finito, che ne diresti di chiamarlo? Vorrei parlare un po' con lui". La sua voce ora era più bassa e conciliante.

"Ma il dottor Leonard ha detto...".

"So cosa ha detto il dottore, ma ti prometto che non mi agiterò e che la prossima volta che misurerai la mia pressione avrà valori normali". Non era affatto certa di poter mantenere quella promessa. A dirla tutta, non sapeva in che condizioni avrebbe versato dopo aver parlato con William, ma era qualcosa che andava definito subito.

Infine, Candice acconsentì, raccomandandosi di chiamarla in ogni momento. Non era solo William ad apparire dimagrito e provato, ma anche lei. Eppure, non aveva esitato a indossare la sua divisa da infermiera, evitando di riposare e persino di tornare a casa dai suoi cari pur di fare il suo lavoro. Che lo facesse per amore di William era certo, che fosse anche perché tenesse a lei... beh, stentava a crederlo.

Quando suo nipote entrò, gli chiese di prendere una poltrona e sederle accanto. Lui lo fece stringendole una mano. "Sono contento che tu ti senta meglio, zia. Candy si prenderà cura di te".

"È proprio di lei che ti voglio parlare, William. E non guardarmi così! Hai bisogno di riposare anche più di me, ma da domani l'assetto del clan verrà di nuovo stravolto, grazie al Cielo, e io ho bisogno di sapere alcune cose". Era vero. La strada per l'accettazione la vedeva lunga e tortuosa, ma non poteva neanche fingere che il problema non sussistesse. Meglio togliersi subito quel dente e stabilire delle regole.

"Zia, te ne avrei parlato quando fosse stato il momento, ma oggi...". Ecco, lo sapeva! Gliene avrebbe parlato! Oh, che gli antenati la sostenessero...

"Voglio sapere fino a che punto la situazione è compromessa". Lo chiese di nuovo fuori dai denti e l'espressione di William, benché fosse più controllata, non era molto dissimile da quella di Candice. Ricordava una reazione molto diversa quando gli aveva domandato come avessero convissuto per due anni sotto lo stesso tetto come infermiera e paziente. Non v'era stata traccia di imbarazzo o pallore. E, anche se ben nascosti, quelle due caratteristiche si dipinsero sul volto smagrito di suo nipote.

 
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Albert aveva incrociato Candy nel corridoio giusto il tempo di sapere che la zia voleva parlare con lui. Sembrava abbastanza tranquilla, ma purtroppo non erano soli perché la cameriera si stava adoperando per portare in camera della zia alcune lenzuola. Stava per indurla a seguirlo altrove, ma lei aveva scosso la testa: "Meglio se vai subito da lei, non contrariamola più di quanto lo sia già. Ha provato a farmi delle domande, però ho cercato di... non risponderle".

Albert aveva annuito: "Riposa un po', finché puoi. E grazie".

Nonostante la stanchezza che doveva affliggerla, Candy era rimasta per lui e per la zia, tuttavia desiderava che avesse il meritato riposo. Così si era accertato che potesse dormire qualche ora, perlomeno fino a che non avesse dovuto procedere con i controlli ordinati dal dottor Leonard. Ci sarebbero state davvero tante cose di cui parlare, ma Albert era certo che non fosse il momento.

Eppure quando la zia Elroy si metteva in testa qualcosa, non ci si poteva proprio esimere. E nonostante il suo tentativo di rimandare la questione eccolo, davanti a lei, come un ragazzino colto in fallo. Gli aveva fatto una domanda così diretta che si trovò a dover dire la verità senza rivelarle nulla.

"Non mi piace definire così il mio rapporto con Candy. Non c'è nulla di compromettente fra noi. Tutto è sempre stato basato sul rispetto reciproco". Ed era vero. Anche se Candy era praticamente già sua moglie, lo avevano deciso insieme, in piena coscienza, quindi non era affatto una bugia.

E tuttavia la zia insistette: "Siete stati soli per quattro mesi su quell'isola e non voglio neanche sapere in quali condizioni! Non venirmi a dire che avete convissuto come in quell'appartamento perché non me la bevo. Sarò vecchia ma non stupida. Lo avete scritto in viso e il fatto che quella ragazza abbia deciso di restare perché glielo hai chiesto tu mi conferma quanto tenga a te. O ai tuoi soldi e alla tua posizione...". Aveva inclinato la testa un po' di lato, quasi a chiedere conferma.

"No, zia, questo non devi dirlo", rispose subito. "Candy è rimasta quella di sempre e se fa qualcosa è perché segue il suo cuore. Ormai dovresti averlo capito anche tu".

La donna si accigliò, insistendo: "Quindi è vero! Hai intenzione di sposarla per il suo buon cuore. E magari anche per salvare la sua reputazione!".

Albert aveva perso il controllo della sua conversazione. A quanto pareva la zia, anche se si era lasciata andare poco prima tanto da ammalarsi, non intendeva lasciar cadere la questione ed esigeva risposte immediate. Ebbene, le avrebbe avute. Albert cercò di essere il più delicato possibile per non nuocerle, però visto che insisteva si risolse a confessare.

"Zia Elroy, io e Candy siamo innamorati, se è questo che vuoi sapere. Penso che lo fossimo da molto, molto prima di partire, solo che non abbiamo mai affrontato l'argomento in maniera esplicita". La vide portarsi una mano al capo e deglutì in attesa, incerto se continuare. Lei gli fece un cenno spazientito, quindi sì, doveva continuare. "Voglio sposarla, ma non c'entra nulla la reputazione, mentre c'entra molto il suo buon cuore. È una delle cose che me l'ha resa cara da sempre. Attenderemo il tempo necessario per ristabilire i giusti equilibri e poi annuncerò il fidanzamento. Volevo però attendere qualche giorno per parlartene".

La donna si appoggiò ai cuscini come se fosse infinitamente stanca, le sopracciglia aggrottate e il sudore che le imperlava la fronte. Temette che potesse sentirsi male e provò ad allungarle un bicchiere d'acqua.

"Hai idea di cosa diranno i giornali quando annuncerai un fidanzamento con una ragazza simile dopo aver passato mesi da solo con lei in un luogo deserto?". Il tono era quasi rassegnato e rifiutò il bicchiere. A dirla tutta, non ci aveva mai pensato in quei termini.

"Possono dire ciò che desiderano, zia. La cosa non mi tocca. Non abbiamo nulla da nascondere perché i nostri sentimenti sono sinceri".

La zia fece una smorfia: "Da quando in qua sei così sdolcinato, William?!".

"Volevo solo dire...".

"Potrebbe essere incinta...?". L'allarme sul suo volto si unì a un pallore improvviso e Albert sperò che il dubbio non s'insinuasse sul proprio. Non avevano mai avuto certezze matematiche, ma era piuttosto tranquillo da quel punto di vista.

"Ora basta, zia", disse cercando di essere gentile e di eludere ancora una volta quell'argomento scomodo. "Non è mia intenzione creare scandali e faremo in modo che la nostra unione porti solo prestigio nella nostra famiglia". Non amava esprimersi in quei termini, ma desiderava accontentare quelli che erano i desideri della zia. D'altronde, lui era il capofamiglia e doveva curare anche l'aspetto sociale, suo malgrado.

"Come potrebbe portare prestigio l'unione fra te e una ragazza orfana che avevi addirittura adottato?".

"Non l'avevo adottata personalmente e il fatto che sia orfana è irrilevante", spiegò con pazienza.

"Irrilevante? Irrilevante, dici?! Tu sei l'erede di uno dei clan più importanti del Paese e dovresti unirti in matrimonio con una donna di pari ceto sociale!". Aveva persino battuto il pugno sul letto.

"Zia, questa conversazione ti sta facendo agitare e non va bene. Non sei solo felice che io sia tornato sano e salvo?". Domandò conciliante e la vide esitare. "Davvero in tutti questi mesi la tua preoccupazione più grande è stata salvare l'onore della famiglia? Quando sono entrato non mi sembrava. E comunque se il mio futuro matrimonio ti causa tanto imbarazzo, possiamo semplicemente lasciare le cose così come sono. A quanto pare Archie se la sta cavando egregiamente".

La zia impallidì di più e Albert si allarmò: "Lasceresti persino il patriarcato per lei?!".

Le prese una mano e, di nuovo, cercò le parole più adatte: "Zia Elroy, lungi da me fare minacce o cercare soluzioni drastiche. Ma prima accetterai che Candy, nonostante le sue origini, è la donna che voglio al mio fianco, prima smetteremo di discutere. Non riesco a immaginare il mio futuro con nessun'altra che non sia lei e per quanto riguarda il fatto che non abbiamo notizie della sua precedente famiglia... ebbene, non è così".

La donna sbatté le palpebre, presa in contropiede: "Vuoi dire che hai fatto delle ricerche di cui io non sono a conoscenza?".

Albert sorrise, scuotendo la testa: "No, zia, ma so che è stata adottata da una nobile e ricca famiglia di origini scozzesi, quando aveva solo tredici anni. Il suo tutore legale ne era il patriarca. E solo di recente ha lasciato il loro cognome perché ha raggiunto la maggiore età".

Lei si accigliò: "William Albert Ardlay, ti stai prendendo gioco di me!".

"No, non è mia intenzione. Voglio solo farti capire che se è il nome che ti interessa, ebbene, ha avuto il nostro per ben otto anni. Ed è educata, gentile e sa come comportarsi a un ballo di gala. Non sono condizioni sufficienti per te?". Entrare nella mentalità della zia era abbastanza sgradevole, ma Albert tentò di farlo pur di calmare le acque e non risultare troppo drastico. A dirla tutta, era pronto a riprendere la prima nave, riempirla di viveri e tornare sull'isola con Candy in quello stesso istante, se fosse stato necessario. Tuttavia la sua mente pragmatica sapeva che non poteva semplicemente abbandonare tutto su due piedi e doveva conciliare il cuore con i suoi doveri.

La zia Elroy strinse tanto le labbra che quasi sparirono in una linea sottile e bianca: "Mi farai diventare matta, William. È da quando eri piccolo che sei la causa principale dei miei mal di testa! Tu e i tuoi animali, le tue fughe pericolose, le tue decisioni irrevocabili! E va bene, sposati pure con quella... Candice, ma aspetta almeno un anno e mezzo!".
Albert deglutì: un anno e mezzo non era affatto la tempistica che aveva in mente. Non gli si avvicinava neanche un po'. Tuttavia, baciò educatamente la mano della zia e la ringraziò per la comprensione, sancendo l'armistizio e sapendo di aver appena vinto la battaglia più grande di quella piccola, grande guerra familiare.
 
 


 
Il prossimo sarà l'ultimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Capitolo Undici ***


"Bene, la pressione è tornata ai parametri normali. Il dottor Leonard arriverà tra un paio d'ore per visitarla. Se non ha bisogno d'altro, vorrei congedarmi".

Elroy Ardlay vide Candice, o Candy, come si ostinavano a chiamarla tutti, sistemare le medicine sul suo comodino e scrivere un biglietto al medico con le indicazioni delle ultime misurazioni prese e capì che quello era il momento di parlare.

Non sapeva se il giorno prima si fosse confrontata con William, perché di fatto lei era stata impegnata con le sue cure ogni tre ore e suo nipote, da quanto aveva appreso, si era dedicato a controllare i documenti più importanti con Archibald che era giunto nel pomeriggio e poi era andato a riposare. A cena li aveva visti scambiarsi sguardi discreti e più di una volta le era sembrato che quello di Candice fosse interrogativo, quindi sospettava che non avessero parlato della conversazione avuta con William nella mattinata.
Fu la prima domanda che le pose, giusto per rompere il ghiaccio.

"Certo, mi ha chiesto come si sentiva e...".

"Non mi riferisco alla mia situazione medica", le rispose un po' esasperata, sorbendo dal letto il suo tè. "Siediti, per favore. Fra quanto hai il treno?".

Lei parve imbarazzata: "Veramente... Alb... William ha chiesto all'autista di accompagnarmi quando fossi stata pronta per partire".

"Bene, allora non c'è fretta. Vorrei parlare un po' con te". Candice sembrava tesa come una corda di violino, tuttavia rimase in piedi con la schiena dritta e le mani intrecciate sulla gonna quasi fosse in attesa di andare al patibolo. "Santo cielo, ragazza, non credo che rimanendo in piedi crescerai ulteriormente in altezza! Prendi una sedia e avvicinati, per cortesia, o penserò che mi temi".

Lei si limitò a scuotere la testa, facendo quello che le aveva chiesto e fu quasi il dejà-vù del giorno prima con William. Quei due erano così simili!

"Ha bisogno di un altro cuscino?", le domandò premurosa, vedendola posare la tazza sul comodino accanto.

"Ho bisogno che tu mi dica se ricambi i sentimenti di mio nipote. Ieri mi ha riferito che siete... innamorati", concluse socchiudendo gli occhi come se sentisse un cattivo sapore in bocca. Era qualcosa che ancora non concepiva, che sembrava perseguitarla da quando la sua adorata Rosemary aveva annunciato al mondo di volersi sposare con un marinaio.

No, è da molto prima. Anche la moglie di tuo fratello, Priscilla non ti sembrava alla sua altezza...

Mentre era immersa in tutti quei pensieri, Elroy colse distintamente il sussulto di Candice, lo stropicciare la gonna mordendosi il labbro inferiore e il suo sospiro. La sua risposta chiara e tranquilla, però, la sorprese: pensava che avrebbe fatto storie.

"Sì, lo amo con tutto il mio cuore", ammise guardandola negli occhi.

Fu Elroy a vedervi una luce così abbagliante e appassionata da non essere certa di sostenere quello sguardo. Annuì: "Hai idea delle implicazioni che comporterebbe sposare mio nipote, Candice? Di quello che potrebbe dire la gente?".

Le sue mani si contrassero ancora più forte sulla gonna: "È una delle prime cose a cui ho pensato. So di non avere origini nobili, anzi, non ho la più pallida idea di chi fossero i miei genitori. Tuttavia...".

"Tuttavia?", Elroy inarcò un sopracciglio, un po' irritata. Sentirlo dire ad alta voce da lei aveva rinnovato la stilettata al cuore.

"Tuttavia sono loro grata per avermi lasciata alla Casa di Pony, come ho avuto modo di scrivere anche a lui tempo fa. Perché grazie a questo ho potuto conoscere delle persone meravigliose e... lui", concluse in un mormorio, arrossendo persino.

E accadde una cosa strana: una parte di Elroy si sentì quasi indignata per quella confessione tanto sfacciata; ma l'altra era così commossa che un groppo le artigliò la gola, costringendola a deglutire e riprendere tutto il proprio autocontrollo.

"Vuoi dirmi che sei felice di essere stata abbandonata perché hai potuto incontrare William?!", domandò cercando di mostrare il suo disappunto.

Candice sorrise: "No, certo, non mi fa piacere sapere di essere stata abbandonata. Ma ho sempre pensato che nella vita tutto può rappresentare un'opportunità. E chi mi ha lasciata alla Casa di Pony mi ha comunque dato la possibilità di crescere con tanti fratelli e sorelle e ben due madri! Ho conosciuto tante persone meravigliose da quando sono stata... beh... chiamata dai Lagan...". Incredibilmente, furono gli occhi di Candice a riempirsi di lacrime e Elroy capì che stava pensando ad Anthony, forse anche a Stair.

"Va bene, va bene, ho capito", le disse con un cenno spazientito della mano. Quella ragazza stava abbassando in maniera troppo repentina le sue difese.

"Mi scusi...".

"Sposando William diventerai la matriarca e la padrona di questa casa, ne hai coscienza?". Cercò di riportare la conversazione sulla retta via.

Candice spalancò le palpebre: "Ma io non ho la pretesa di...!".

"Non si tratta di quello che tu vuoi, si tratta di un dato di fatto. Sarai la moglie del patriarca e quella è la posizione che ti spetta. Sei in grado di gestire una casa? Vivere al fianco di un uomo spesso costretto a viaggiare, presenziando a tutti gli incontri sociali in maniera impeccabile?".

Il pallore sul viso di Candy si accentuò in maniera tanto drammatica che Elroy fu certa che sarebbe svenuta da un momento all'altro.

"Io... io...".

"Oh, mio Dio, lo sapevo! William è ancora convinto che basti l'amore per contrarre un matrimonio e pensa di vivere ancora in mezzo ai boschi di Lakewood. Non ha idea di quanto lavoro ci sia da fare con te!".

"Sono disposta a imparare!", rispose con veemenza. "Ho già partecipato a qualche ballo e...".

"Ma non è sufficiente! Ci sono moltissime cose che devi apprendere, dalla storia dei nostri antenati alla gestione della servitù. E sarai la donna che darà un erede al patriarca, quindi dovrai lasciare il tuo lavoro di infermiera e occuparti anche dell'aspetto educativo dei tuoi figli".

"Ma... ma...". Il rossore sul volto di Candice la rassicurò: perlomeno aveva ripreso colore.

"Per questo occorre che il matrimonio non avvenga prima del prossimo anno, meglio se qualche mese in più. Devi essere pronta a prenderti le tue responsabilità. Quindi d'ora in poi avrai una dama di compagnia che ti seguirà ovunque e non dovrai stare sola con William per nulla al mondo".

"Ma... ma...", balbettò di nuovo, il rossore che si accentuava.

"Sei diventata balbuziente? Candice, sarò vecchia ma non sono stupida e siete stati su quell'isola per mesi! Anche se avete entrambi la bocca cucita basta guardarvi per capire che non vi siete limitati ad aprire noci di cocco e cercare acqua potabile". Soffocò un colpo di tosse stizzito nel pugno e Candice rimase in silenzio, con le spalle curve e lo sguardo fisso sulle mani: semmai le serviva una conferma, ce l'aveva davanti agli occhi.

"Io...".

"Sei disposta a imparare e ad attendere il tempo necessario, Candice?".

Lei la fissò con quel viso fiero e pallido che ora sembrava davvero quello di una donna e ad Elroy parve di intravedere il piglio della matriarca che avrebbe potuto essere nonostante tutto.

"Sono disposta a qualunque cosa per Albert". Non si era nemmeno preoccupata di correggere il nome.

"Bene. Ora torna pure dalla tua famiglia e dai tuoi amici per far sapere loro che stai bene, ma sappi che dovrai tornare qui molte volte perché possiamo lavorare sulla tua educazione e preparazione".

"Va bene. Grazie, signora El...".

"Puoi tornare a chiamarmi zia. A breve sarai la fidanzata di William".

"Grazie, zia Elroy", ripeté con gli occhi di nuovo umidi. Per un attimo temette che l'avrebbe abbracciata, facendo crollare l'ultimo baluardo a difesa della propria dignità, ma per fortuna si limitò ad alzarsi e fare un piccolo ed elegante inchino prima di congedarsi e farsi promettere che si sarebbe riguardata.

Quando finalmente uscì dalla stanza, si chiese se con alcune condizioni sarebbe stato d'accordo anche William o avrebbe dovuto sostenere altre lunghe conversazioni.

 
- § -
 
 
"Candy!". Si volse mentre stava salendo in macchina e Albert la raggiunse. "Te ne andavi senza salutarmi?".

"Io... no, è che... ho parlato con la zia e poi... sono venuta davanti al tuo ufficio ma mi sono ricordata che avevi un incontro con Archie, quindi...".

Albert si accigliò: "E pensi forse che non avremmo interrotto volentieri per salutarti? Cosa ti ha detto la zia?".

Lei abbassò gli occhi, quasi in imbarazzo: "Ha detto che vuole che io abbia una dama di compagnia per non rimanere mai sola... con te".

Albert serrò la mascella, contrariato. Il giorno prima non erano riusciti a ritagliarsi cinque minuti che fossero cinque per parlare di quello che si erano detti lui e la zia e ora veniva fuori che aveva imposto chissà quali cose a Candy! Ah, ma avrebbe fatto valere la sua autorità, anche se non amava usarla! Si chinò verso il finestrino dove chiese all'autista di concedere loro ancora un po' di tempo e prese Candy sottobraccio conducendola nella parte più interna del giardino.

"Vieni", le disse adorando la sensazione di averla ancora vicina, inebriandosi del profumo di rose che emanava.

"Ma la zia ha detto...".

"Non importa, le parlerò io. Ora raccontami cosa vi siete dette, per favore".

Sedettero sotto a un acero appoggiandosi al tronco e Albert rimase in silenzio mentre Candy gli riassumeva la conversazione avuta da poco con la zia. Rimase piacevolmente colpito da alcuni punti, mentre su altri aggrottò le sopracciglia, pensieroso.

"Cosa le hai detto in merito al tuo lavoro?", le domandò alla fine. Era la prima questione davvero spinosa.

"Niente, ho sorvolato. Ma, Albert, anche se comprendo che avrò delle responsabilità e quindi meno tempo, non voglio abbandonarlo del tutto!". Lo guardò con aria quasi supplichevole e lui non resistette all'impulso di posarle una mano sul viso, sfiorandole le labbra laddove avrebbe voluto baciarla fermamente e a lungo. Molto a lungo.

"Troveremo una soluzione. Non devi rinunciare a fare ciò che ami, Candy", le disse con dolcezza.

"Oh, Albert, grazie! Sapevo che tu mi avresti capita!". Fu lei ad allacciargli le braccia al collo, mandando a farsi benedire ogni traccia di autocontrollo avesse mantenuto. Era da quando si trovavano sull'isola che non la stringeva così e, prima ancora che potesse rendersene conto, le sue mani stavano viaggiando sulla sua schiena, mentre la bocca rivendicava quella di lei nel bacio che anelava da lunghi giorni. Voleva perdersi nella sua pelle, amarla lì, su quel prato, ma dannazione, non poteva! Se non stavano già dando spettacolo così era grazie alla vegetazione o li avrebbero visti dalle finestre della villa.

"Se sapessi quanto mi manchi, Candy", proruppe sul suo collo, ansimando.

"Lo so più di quanto tu creda", rispose lei allo stesso modo, incendiando ancora di più i suoi sensi, facendogli commettere l'imprudenza di ricominciare a baciarla e ad accarezzarla su quel vestito che voleva solo toglierle una volta per tutte, per averla come sull'isola, con la pelle nivea esposta per lui.

"Non aspetterò mai un altro anno per sposarti. Già è tanto se non l'ho fatto sulla nave approfittando della presenza di Vincent".

Candy ridacchiò, roca: "E perché tanta fretta?", chiese con finta innocenza.

Albert cercò di mettere sotto controllo le proprie emozioni, nonché il desiderio ardente che andava solo ad esacerbarle e si staccò un po' da lei come avrebbe fatto con una fonte d'acqua... beh, su un'isola deserta.

"Perché desidero che tu sia la prima cosa che vedo appena mi sveglio e l'ultima prima di addormentarmi. Perché voglio condividere con te le gioie e i dolori, ogni giorno che Dio mi concederà di vivere e tutti i raggi di sole e le gocce di pioggia che cadranno su questa terra. Perché voglio fare l'amore con te ogni volta che lo desideriamo senza dovermi nascondere. Perché voglio che un giorno si possa compiere il miracolo della vita che ci faccia diventare genitori. Perché ti amo, Candice White".

Le lacrime avevano già cominciato a scorrerle sulle guance a metà frase e divennero un fiume in piena alla fine. Albert stesso aveva gli occhi umidi e il loro abbraccio, stavolta, fu colmo di tenerezza, speranze e della certezza che nessuno al mondo li avrebbe mai più divisi.

 
- § -
 
 
Era di nuovo sull'isola e stava facendo l'amore con Albert sulla spiaggia. Poteva sentire il calore e la ruvidezza dei granelli di sabbia sotto la schiena, le onde di risacca che ogni tanto le bagnavano i piedi e la sensazione del corpo di lui sul proprio, mentre cercava le sue labbra rubandole il respiro.

Il sale. Il sale nella bocca. Il sale negli occhi, l'acqua delle lacrime. Un corpo senza vita che galleggiava nel mare e il suo urlo muto. Il fiato uscì violento e Albert era sparito. Candy aveva freddo e la sua voce sembrava esserle stata rubata dalla strega del mare per un sortilegio come nella fiaba della Sirenetta.

Il corpo era quello di Luìs, ma mutò di colpo, mentre veniva trasportato a riva: Candy vi riconobbe Anthony, Stair, persino Terence. E quando i capelli divennero biondo grano e i lineamenti indiscutibilmente quelli dell'uomo che amava, finalmente Candy urlò davvero.

Si rizzò a sedere di scatto con un verso gutturale e, nei pochi istanti che le ci vollero per riconoscere la sua stanza della Casa di Pony, ringraziò il cielo che non avesse gridato davvero o avrebbe allarmato tutti. La notte, pur essendo settembre, era ancora tiepida e Candy andò al catino di porcellana per bagnarsi il viso sudato, tamponandosi con l'asciugamano con gesti lenti, come per calmarsi. Aprì la finestra e prese un lungo respiro, rabbrividendo leggermente: tutto sommato, la temperatura era scesa durante la notte.

Non era la prima volta che faceva quel sogno, che cominciava facendole sentire tutto il corpo bruciare e terminava con la disperazione più cupa. Come infermiera che aveva lavorato anche durante il periodo della guerra, aveva sentito parlare molte volte di stress post traumatico, e tuttavia pensava che si trattasse di una diagnosi abbastanza azzardata. Sì, avevano vissuto momenti difficili e c'erano stati giorni in cui la paura e la rassegnazione si erano impadronite di lei.

Ma aveva al suo fianco l'appoggio incrollabile di Albert, che pur avendole mostrato a sua volta le proprie debolezze, era stato comunque la roccia che la sosteneva. E sull'isola il loro amore era sbocciato più forte che mai, rendendoli marito e moglie sotto ogni punto di vista. Candy arrossì, ricordando la prima parte del sogno e soprattutto i loro incontri reali nella grotta, sulla spiaggia, nella foresta o vicino al fiume. Dopo i primi giorni avevano osservato il tacito patto di prestare maggiore attenzione, eppure, mentre tornavano in America con il padre di Anthony che raccontava loro del modo in cui li aveva infine ritrovati, Candy aveva sognato di portare in grembo il frutto del loro amore.

Avrebbe creato uno scandalo e non sarebbe stato certo il momento adatto, ma l'idea di un figlio suo e di Albert, che magari avrebbe chiamato Anthony o Rosemary, era così bella che si ritrovava spesso a portare le mani in grembo quasi evocandolo. Ovviamente non era accaduto, eppure Candy fu felice di sapere che sarebbe potuto succedere di lì a qualche mese, se Albert avesse sistemato le cose in modo da celebrare il matrimonio in tempi brevi.

Candy richiuse la finestra, di colpo infreddolita, e si rimise a letto cercando di trattenere l'impulso a recarsi in cucina per mangiare un altro pezzo del dolce di miss Pony. Lei e suor Lane l'avevano abbracciata a lungo piangendo, quindi si erano subito date da fare per prepararle il suo dolce preferito, quello che aveva davvero sognato durante alcune delle notti sull'isola. Era certa che se avesse continuato su quella linea, avrebbe ripreso velocemente il peso perduto.

Le mancavano, in parte, le serate davanti al falò con Albert, le notti passate a scaldarsi a vicenda nella grotta e persino le risate mentre cercava di pescare come lui con un bastone affilato. Però le lacrime di Annie e persino di Archie, il loro abbraccio, quello delle sue madri adottive e di tutti i bambini le avevano scaldato il cuore ed era grata a Dio di averli potuti rivedere tutti. Ora, se le cose fossero andate bene e la zia Elroy fosse stata persino più magnanima di quanto lo era stata quella mattina, stupendola oltre ogni più rosea aspettativa, forse avrebbe potuto godersi l'amore di tutti loro più quello di Albert ogni giorno della loro vita.

Fu grazie a quel pensiero che infine, lasciato alle spalle l'incubo, Candy si addormentò.

 
- § -
 
 
Elroy Ardlay osservò gli sposi allontanarsi sulla Rolls Royce mentre gli invitati applaudivano prima di incamminarsi alla volta del Giardino delle Rose. I commenti entusiastici la inorgoglirono oltremisura, perché era stata lei a consigliare alla coppia di sposarsi proprio lì, dando il ricevimento sontuoso direttamente nella villa.

Per l'occasione, e per sostituire il vecchio signor Whitman ormai in pensione, avevano chiamato i migliori giardinieri della provincia, così che il giardino di Lakewood risplendeva di colori e profumi nei quali le rose erano le protagoniste, ma non mancavano varietà di fiori più rari come le orchidee e l'ibisco. Il risultato era stato all'altezza della famiglia Ardlay, proprio come doveva essere.

"Sarà difficile superare la bellezza di un matrimonio simile", mormorò Sarah al suo fianco.

"Sì, sono in parte d'accordo. A proposito, Eliza ha già trovato un buon partito?". Un cameriere si avvicinò con un vassoio colmo di flute di champagne e la donna più giovane ne prese uno distrattamente, mentre lei rifiutò: non avrebbe contravvenuto alle indicazioni del suo medico e della sua infermiera bevendo più alcool di quello che le era stato concesso.

"Ha conosciuto un paio di giovanotti molto interessanti. Uno di loro è a capo di una delle industrie alimentari più note della Florida. Dovresti conoscerlo, zia, si chiama...".

Ma Elroy non l'ascoltava già più e la sua domanda era stata fatta per mera formalità. Con gli occhi, tra la folla d'invitati che si andavano sparpagliando per il giardino che era stato curato dal suo giovane e compianto nipote, stava cercando qualcuno con cui voleva parlare già da un po'. E lo individuò, accanto a un cespuglio di rose, che ne annusava una con lo sguardo pieno di tenerezza.

"...per il mese prossimo potrebbero annunciare il fidanzamento e... zia Elroy, mi stai ascoltando?".

"Scusa, Sarah, ne riparliamo più tardi". Alzò la mano per fermare il fiume di parole di cui era responsabile e udì a malapena il suo richiamo indignato mentre sollevava con eleganza l'orlo della gonna rosa antico per avvicinarsi all'uomo con il viso segnato dal mare e dai lutti, che si era commosso fino alle lacrime per una rosa bianca.

"Mi commuovo sempre quando ne vedo una. E non stento a credere che il mio Anthony sia stato ispirato da Candy per creare queste rose: senza offesa per la sposa, ma oggi sembrava davvero emanare luce propria, accanto ad Albert". Vincent era l'unico, insieme a Candice, a usare il secondo nome di suo nipote.

"Non posso darti torto. E ti ricordo anche che in parte la sua educazione attuale la deve a me", disse altezzosa, spostando lo sguardo verso uno dei pergolati sotto al quale li vide, seduti su una panca di legno con la dama di compagnia di lei a discreta distanza. Un po' troppo distante.

"Certo, non ne dubito. Sono certo che il loro matrimonio sarà incantevole almeno quanto questo. Come sta, signora Elroy?",domandò facendole un elegante baciamano. Nonostante gli anni in mare, Vincent Brown sapeva ancora essere un gentiluomo.

"Uhm, non mi lamento. Ho al mio fianco un medico eccellente e un'infermiera molto devota", ammise rendendosi conto che i due si stavano tenendo la mano mentre parlavano e Mildred guardava altrove. Contrariata, restrinse le palpebre.

"Ripartirò domattina per imbarcarmi, ma non mancherò per nulla al mondo alla loro unione. Candy... mi ha chiesto di accompagnarla all'altare in vece di suo padre", concluse con un sorriso quasi incredulo.
Elroy ne rimase colpita: non ne aveva idea, tuttavia era come se un cerchio si chiudesse e comprese quanto Candice avesse amato davvero con tutto il cuore lo sfortunato Anthony. Fu certa, d'improvviso, che lui avrebbe benedetto quell'unione ovunque si trovasse e dovette impedire alle lacrime di salirle agli occhi.

"Credo di non averti mai ringraziato come si conviene per aver riportato indietro William... e Candice. Noi non siamo mai andati davvero d'accordo e mi rendo conto che ora è tardi per parlare del passato. Ma dentro al mio cuore, ho cominciato a pensare che sia stata proprio la mia Rosemary a guidare i tuoi passi perché incontrassi quel naufrago". Vincent pose su di lei i chiari occhi arrossati e sorridenti ed Elroy si affrettò a cambiare discorso, visto che la cosa più importante l'aveva appena detta. "A proposito, so che il mese scorso William ha finalmente trovato la sua famiglia e ha fatto una generosa donazione".

Vincent annuì, schiarendosi la voce: "È vero, la sorella di Luìs Costa è stata operata con successo una settimana fa ed è tornata a casa dalla nipotina. Albert e Candy mi hanno letto la sua lettera proprio ieri: sono stato felice di poterli accompagnare fino in Portogallo sulla mia nave".

Elroy notò, con sommo disappunto, che William stava voltando con discrezione il capo da un lato e dall'altro, prima di indurre Candy ad affrettarsi fuori del pergolato dove neanche la dama di compagnia di Candice poteva vederli. "Ma tu guarda che insolente!", proruppe muovendo il pugno come se lo stesse battendo su un tavolo.

"Come, scusi?".

"No, nulla, dicevo che sono davvero lieta che l'ultimo desiderio di quell'uomo sia stato esaudito e che la signora stia bene: d'altronde è stato lui a indicarti la rotta corretta. Li accompagnerai anche in Scozia per la luna di miele?", chiese allungando il collo e ripromettendosi di fare una ramanzina coi fiocchi a Mildred che cominciava a cercarli con evidente apprensione. Sperava solo che quei due non decidessero di abbracciarsi o addirittura di baciarsi attirando il flash di qualche giornalista intraprendente. Non che alcuni di loro non avessero già scritto di tutto, ma...

"Purtroppo subito dopo le nozze devo avventurarmi lungo i mari del sud e non sono di strada. Ma il capitano della loro nave è un mio carissimo amico e collega, anche se...".
Elroy si volse di scatto, un campanello di allarme che le suonava in testa.

"Anche se?!".

"Beh, non so se spetta a me dirlo, ma dopo l'impresa di Georges e l'interesse dei media, Albert mi ha confessato di voler provare ad arrivare a Glasgow in aereo".

"Cosa hai detto?!". Di colpo, la cosa importante non era più il fatto che William e Candice potevano essere in un angolo del giardino ad amoreggiare come due adolescenti sfacciati. No, il fatto grave era rappresentato dal tentativo quasi suicida che voleva fare quello sciagurato del nipote! Ah, ma non avrebbe rischiato di perdere altri dieci anni di vita nel timore che quel trabiccolo, su cui già uno dei suoi nipoti aveva perso la vita, potesse precipitare nell'oceano.
Nossignore.

"Signora, tutto bene...?".

Elroy lo liquidò con un gesto della mano, allontanandosi, conscia che durante quella giornata aveva già contravvenuto ad almeno un paio di regole di buona creanza interrompendo altrettante conversazioni di colpo. Ma, come si aspettava, nessuno contravveniva meglio alle regole di quei due scellerati che si stavano non solo baciando, ma stringendo quasi si trovassero sul talamo nuziale! Perché le mani di William erano così inopportunamente vicine ai fianchi di Candice? E perché, per l'amor del Cielo, lei lo stava spettinando?! E quel bacio che non era neanche un bacio alla francese, ma quanto di più scandaloso avesse mai visto!

"A-ehm!". Si schiarì la voce piuttosto forte, ma per fortuna erano in un punto del giardino che, come aveva preventivato, era pressoché deserto. La reazione dei due fu impagabile e quasi le solleticò una strana ilarità: spalancarono gli occhi nel medesimo istante separandosi precipitosamente e Candice si portò le mani alle labbra come se potesse cancellare quello che stava facendo poc'anzi. William, invece, con i capelli in disordine e la giacca stazzonata, sembrava aver preso un forte colpo di vento.

Tuttavia, mentre lei sembrava davvero mortificata, suo nipote sorrideva e lei dovette ricordarsi che era un uomo adulto e non un ragazzino, altrimenti lo avrebbe sculacciato personalmente.

"Ciao zia", disse con una faccia tosta che fece solo aumentare la sua adrenalina.

"Svergognati! Penso che Mildred non sia adatta a voi due, piuttosto devo affiancarvi un cane da guardia!".

"Oh, no, zia, ti prego non sgridare la povera Mildred, è che io e Albert volevamo parlare e...".

"Parlare?! E quella cosa... incresciosa che stavate facendo prima lo chiamate parlare?!". Con la coda dell'occhio Elroy si rese conto che Candice appariva tanto sconvolta quanto William sembrava cercare disperatamente di non scoppiare a ridere.

"Il cane da guardia potrebbe non essere una buona idea, zia. Ti ricordo che io faccio amicizia con gli animali e potrebbe essere dalla nostra parte". Fece l'occhiolino a Candice e la sciagurata si morse il labbro come se venisse da ridere anche a lei.

Elroy alzò gli occhi al cielo: "E comunque non ero venuta per interrompere queste vostre... inopportune effusioni! Sono venuta per ordinarvi di non salire su una macchina volante per andare in Scozia o vi diseredo!".

William spalancò gli occhi: "Hai parlato con Vincent?".

"Sì e non ti permetterò di fare una cosa tanto irresponsabile! La nostra famiglia ha bisogno di un patriarca in vita e di un erede. Possibilmente, la prima cosa con effetto immediato e la seconda non prima che vi siate sposati!", sottolineò cogliendo il rossore violento in Candice.

"Che ne pensi, Candy? Anche se io fossi un lavapiatti tu mi sposeresti lo stesso, vero? Dopotutto potremmo prendere quell'aereo e lasciare che la zia mi diseredi". William aveva un tono serio, nonostante il sorriso, e si era allungato per prenderle la mano.

"Ma, Albert... certo che ti sposerei lo stesso, però forse la zia ha... uhm... ragione. Dopotutto non ci sta chiedendo nulla di male ed è preoccupata per la nostra sicurezza".
Elroy inarcò le sopracciglia: e chi l'avrebbe detto che un giorno quella ragazza avrebbe avuto più giudizio dello scapestrato nipote?

"Solo se questo fa felice anche te, amore mio". William s'inchinò come il gentiluomo che era e le fece un lungo baciamano, facendole ancora roteare gli occhi in aria. Non era sgradevole vedere quanto fossero innamorati, ma era certa che i suoi livelli di glicemia fossero appena saliti alle stelle.

Bastò qualche altra frase sussurrata per sancire la decisione finale ed Elroy annuì, soddisfatta.

"Bene, zia. Hai la nostra parola".

"Perfetto, e ora un'ultima cosa: per cortesia, evitate di defilarvi come due adolescenti e attendete con pazienza il vostro prossimo matrimonio. Non siete su un'isola deserta!".

 
- § -
 
 
Candy aveva osservato con attenzione il modo in cui Albert remava. I muscoli del torace che guizzavano sotto alla camicia e i bicipiti che si gonfiavano ogni volta che faceva forza sui remi. La gioia di aver sposato l'uomo che amava era così grande che sentiva formicolare l'intero corpo e il cuore sembrava volerle saltare fuori dal petto a ogni battito.
Si volse per guardare la riva e la sua mente tornò indietro nel tempo: la spiaggia di sabbia fine, la parete rocciosa e più in là, dove il suo sguardo non poteva ancora arrivare, la zona verdeggiante con l'acqua dolce. Albert attraccò guardandola con stupore condiviso quando ritrovarono il medesimo paletto che avevano predisposto per la zattera.

"Assicurati che sia ancora ben piantato!", gli gridò prendendo una delle due borse con vestiti e provviste per due settimane. Avevano comunque patteggiato, con una spaventata zia Elroy che sperava andassero subito in Scozia, che ogni tre giorni sarebbe passata un'imbarcazione per verificare che tutto andasse bene. Quello che non sapeva, era che lei e Albert avevano convinto il capitano a non presentarsi prima di un'intera settimana.

Nessuna coppia vuole essere disturbata quando si trova in viaggio di nozze e, nonostante gli abiti adatti alle notti più fresche, a quanto pareva suo marito era riluttante all'uso di vestiti durante il giorno, a meno che non fosse stato davvero necessario. Candy mise i piedi in acqua e si rese conto che era davvero un'isola tropicale: nonostante fosse autunno, l'acqua era tiepida come lo sarebbe stata in estate nell'arcipelago di Madeira.

Posò il suo bagaglio sulla spiaggia, guardandosi attorno e inspirando l'aria salmastra, e vide Albert prendere la seconda borsa, accostandosi a lei e abbracciandola in modo protettivo.

"Non avrei mai pensato di vedere con occhi diversi questo posto. Ora è il nostro piccolo angolo di Paradiso". Bastarono quelle parole innocenti e appena sussurrate per farla tremare in attesa, cominciando a risvegliare i suoi sensi, anelando infine il tocco che non riceveva da giorni.

"È per questo che hai convinto il capitano a portarci fin qui e a officiare una seconda cerimonia in mare?".

"Sì", le sussurrò in un orecchio prima di cominciare a posarle caldi baci sul collo. "Non che non abbia adorato i primi due giorni di luna di miele a Lakewood o nella nostra suite sulla nave... ma qui... siamo davvero soli".

E, senza aggiungere altro, si staccò da lei guardandola con occhi maliziosi, cominciando a spogliarsi gettando gli abiti sulla sabbia. Candy lo imitò quasi subito, ridacchiando imbarazzata nonostante tutto. Sì, era stato bello tornare fra le sue braccia come sua moglie, senza più restrizioni, né regole o timori. Ma lì tutto sembrava più intenso. Proibito. Selvaggio.

Come il contatto pelle a pelle in acqua, che le mozzò il respiro ancor prima del bacio di Albert; o come le mani che le attraversavano, in una scia infuocata, i seni e il ventre prima di girare attorno ai fianchi e catturarle la schiena, sempre più in basso. Sempre più in basso.

E toccare Albert allo stesso modo fu impagabile, meraviglioso. Unirsi su quel bagnasciuga con la speranza di creare una nuova vita proprio lì divenne quasi una missione che ripeterono più volte in quei giorni sulla loro isola.

L'isola deserta e senza nome di Candy e Albert.
 
 
 
 

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