Pezzi di stelle

di Ladyriddle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aggancia il tuo cuore ad una stella ***
Capitolo 2: *** Soli Soli Soli ***
Capitolo 3: *** Semmai dovessi parlare di amore e di stelle... uccidetemi! ***



Capitolo 1
*** Aggancia il tuo cuore ad una stella ***


Disclaimer: i personaggi di Harry Potter non mi appartengono
Pairing Principale: James Sirius/Scorpius Malfoy  
                                Louis Weasley/Damian 'Ian' Nott
Rating: Verde
Generi: Introspettivo, silence of life, Fluff
Note: Questa è una raccolta di OS senza pretese. Spaccati di vita che mi piacciono, letture leggere, momenti che rubo alla mia mente e ai miei ragazzi. 
Ambientazione: Nuova Generazione


N.d.A Progetto aperto nel senso che non so quando aggiornerò (forse lo farò con più costanza quando posterò l’ultimo capitolo di Vaiolo di Drago)
É una raccolta di Os, non in ordine cronologico e sicuramente ambientate dopo Vaiolo, e senza grandi spoiler (se non quelli che ho già fatto), una lettura leggera in cui proverò a infilarci tanto zucchero. 
I protagonisti sono Scorpius e James, Ian e Louis, ma non escludo di poter inserire qualche altro pg.
Proverò a raccontare spaccati di vita che mi piacciono, momenti piccoli che ti restano nel cuore, di quelli che sono un po’ segreti, le piccole cose non interessano a nessuno – ma che personalmente io adoro leggere.
Immagino che questa raccolta potrà essere letta anche da persone che non segue la storia madre, ma non lo so. 
Per il momento è un progetto campato in aria


 
Aggancia il tuo cuore a una stella.
(Fabrizio Caramagna)


James entrò in casa con un sorriso stanco ed ebbe l’impressione di essere all’interno di un circo. C’era una tenda da indiano nel mezzo del salotto con tanto di piccolo fuoco finto, di carta, che si muoveva allegro; una corda passava da una parte all’altra della stanza e una scimmietta pupazzo vi camminava a ritmo della musica che usciva dalla radio e, per finire, alcuni piccoli soldatini di piombo gli andarono incontro a dargli battaglia. 
    James sfilò la bacchetta dalla tasca e con un colpo frenò la loro gloriosa marcia bellica. 
    “Ehi, sono tornato” fece da sopra la musica. 
    Dalla camera più piccola si affacciò un visetto sorpreso, seguito da quello di Scorpius che lo osservò con l’occhio scoperto dalla benda che teneva sull’altro. 
    Rigel gli andò incontro con un cappello da pirata e la sua spada finta, urlando ‘papà, papà sei tonnato’ e James si chinò, poggiando a terra il borsone che teneva in mano, e lo abbracciò stretto, apprezzando la sua voce acuta che gli trapanava l’orecchio. Sorrise. 
    “Giochi co’ me?”
    Scorpius spense la radio. “Hai fatto prima?”
    “Sì.” Si scambiarono uno sguardo, poi James si dedicò al loro bambino, sfilandogli il cappello da pirata dalla testa. “Che bello, me lo presti?”
    “Non ti entra, hai la testa toppo gossa” replicò Rigel serio. 
    Aveva cominciato a parlare presto. Già ad un anno diceva tante paroline e piccole frasi, tipo: ‘volio bere’ ,’ho tonno’, ma a tre anni le sue r erano ancora deboli e l’accento newyorkese che sentiva ovunque non lo aiutava per niente.
    “Grossa. Troppo grossa” lo corresse.
    “Toppo gossa.” Rigel fallì miseramente, ma con una convinzione tale che James non potè fare a meno di sorridere. Gli scompigliò i capelli, castani come i suoi, ma lisci e ordinati.
    Scorpius gli andò incontro e gli posò un bacio veloce sulle labbra. “Tutto bene?” Domandò, scrutandolo un po’ in ansia. 
    Il sorriso gli si allargò e andò a sfiorare con le dita il viso sottile di Scorpius in una carezza affettuosa. “Sì, promosso.”  
    “Bravo, papà! Allola non vai più avanti e indieto” disse Rigel che aveva sentito quell'espressione da loro.
    James rise. Da quando Rigel era nato, faceva da pendolare tra New York e Montréal per frequentare l'Accademia. Fortuna che c’era una Passaporta internazionale ogni ora e avevano tenuto il loro vecchio appartamento a Grapham Road che James usava come appoggio: per dormire la sera prima di un esame o studiare. Ma era stato massacrante anche perché, nonostante si districasse tra corsi, studio e tirocinio, ci teneva a passare almeno un’ora col bambino. 
     Annuì. “Esatto. Papà deve dare solo la tesi e ha finito.” Lo disse guardando Rigel, ma era come se parlasse con Scoprius. Quello era un traguardo anche suo. Non sapeva come sarebbe riuscito a fare tutto senza il suo sostegno, soprattutto con Rigel. 
Doveva ammettere che, se fosse stato per lui, avrebbe aspettato un altro anno o due – anche tre o quattro; cinque, meglio ancora –, per averlo, ma da  quando era arrivato non si era pentito neanche un secondo. Anzi, gli sembrava che la sua vita avesse cominciato ad avere un senso proprio con lui.
    Il bambino annuì. “Lo so. Io ho fatto la magia.”
    “Sì, abbiamo fatto un rituale magico.” Intervenne Scorpius indicando con un cenno del capo la capanna e il fuoco finto. Ne inventava sempre nuove per tenerlo impegnato.
    “E ha funzionato, sai? Grazie.” James baciò la fronte del piccolo e sorrise a Scorpius, cercando sul suo viso segni di stanchezza che, per fortuna, da quando c'era il bambino sembravano diminuiti. Scorpius ripeteva che non aveva tempo per stare male anche se a volte capitava, ma sempre meno.
    “Allora, fammi sentire, sei stato buono?”
    Rigel annuì. “Sìsì, vero, papà?” Si voltò verso Scoprius per avere sostegno. 
    “Bravissimo, come sempre” confermò lui con un sorriso. 
    E James non dubitò. Rigel era abbastanza ubbidiente. Quando era nato, suo padre aveva nascosto la commozione dietro un sorriso dicendogli che, se esisteva un karma, quel bambino avrebbe dovuto piangere come un demone la notte per almeno un anno e sarebbe dovuto crescere come un diavolo scapestrato come lo era stato lui almeno fino ai diciassette anni. 
    James aveva fatto gli scongiuri e ringraziato la botta di fortuna perché Rigel gli aveva regalato solo qualche notte insonne, poi sempre dormito come un angelo e, fino a quel momento, doveva ammettere che era davvero tranquillo. Vivace e curioso, un po' furbetto, ma calmo. 
Forse perché, dato che passava quasi tutto il tempo con Scorpius, a cui era morbosamente legato, Rigel si rendeva conto che l’altro suo papà si stancava più facilmente, e non faceva grandi capricci né dava particolari problemi.
    Rigel gli prese una mano e lo tirò, e James lanciò uno sguardo a Scorpius che annuì, come a dirgli: vai, penso io a sistemare qui, ‘sta un po’ con lui. Era naturale, per entrambi, mettere il bambino al primo posto e Scorpius lasciava sempre che James si ritagliasse un po' di tempo tutto per sè con Rigel. Loro due stavano insieme quando il piccolo dormiva e andava bene, avevano imparato ad essere una famiglia e, per quanto ne pensava lui, gli andava benissimo.
    James rivolse a Scorpius un sorriso grato, ma agitò comunque la bacchetta e il salone prese a rassettarsi. 
    “Ti faccio vedere” gli disse Rigel.
    Anche se era costato il doppio, l’appartamento di New York era molto più piccolo di quello che avevano in Canada –
un regalo di Draco e la cosa a James, sempre troppo orgoglioso, ancora non andava giù. Era composto da due camere da letto, un bagno, salone e angolo cottura, ma il terrazzo era enorme, quasi più grande della casa, e da lì, si vedeva Central Park. 
Quando avevano allargato la famiglia, con l’arrivo di Rigel, Draco aveva ritenuto che quell’appartamento fosse troppo piccolo, ma James e Scorpius erano stati d’accordo nel rimanere lì, almeno per qualche anno ancora.
    Rigel lo portò nella piccola cucina, una rientranza del salone che dava direttamente sul terrazzo tramite una porta finestra. 
    “Guadda.” Indicò col dito la sua tabella delle ricompense, una cosa che Scorpius aveva trovato in un libro e che da qualche mese era entrata nella loro routine familiare. Ne avevano creata una ad hoc: per ogni azione buona conquistava un adesivo che avrebbe perso in caso di marachella ma, anche solo la minaccia di privarsi di una delle sue preziose ricompense, lo faceva rigare ancora più dritto del solito. Arrivati a venti adesivi guadagnava un piccolo che di solito era un’attività che facevano tutti e tre la domenica e che decideva il piccolo di famiglia. 
    “Ho mangiato le mie verdure.” Rigel gli indicò il cuoricino storto che aveva provveduto ad attaccare lui. “E ho aiutato papà” e indicò una stellina accanto.
    James sorrise. “Bravo, cos’hai fatto con lui?”
    “I biccotti.” E gli indicò col ditino un barattolo di vetro pieno dei suoi cookie preferiti, con pastafrolla e gocce di cioccolato. “É quasi tutto merito mio” precisò.
    James gli accarezzò il viso. “Ne sono certo, tesoro” lo lodò, perdendosi qualche secondo nel verde dei suoi occhi. 
    “Ma sono per la colasione” lo ammonì, come a dire che non poteva mangiarlo.
    “Oh, quindi tu non ne hai assaggiato neanche uno?”
    Rigel sembrò pensarci, poi ricordò che una bugia poteva costargli una stella. “Sì, l’ho fatto, ma pecché io e papà dovevamo vedere se erano buoni. E non era quasi ora di cena.”
    James represse una risata. “Ah, che peccato. Volevo assaggiarli, anche se tra poco è ora di cena. Che ne dici se ne dividiamo uno?” Propose. 
    Rigel s’illuminò. “Mi sembra una buona idea!” Gli disse.
     Piccolo Furbetto.
    James prese un biscotto dal barattolo e lo divise in due parti, la più grande la diede a suo figlio che la prese con un gran sorriso. 
    Quel mezzo biscotto era buonissimo, pensò James osservando Rigel che mangiava la sua metà a piccoli morsi. Suo figlio gli somigliava tantissimo: era alto per la sua età, con i capelli castani, la pelle dorata e gli zigomi alti, il verde degli occhi era un’eredità di suo padre e di Albus, ma il taglio era appena più sottile, allungato, come quello di Marcus Flint. 
    I suoi piccoli movimenti, l’aria intelligente, e anche un po’ furbetta, gli allargavano il cuore di un’emozione che forse non avrebbe mai saputo descrivere. 
    Sorrise, osservandolo mentre si ripuliva il musetto dalle piccole briciole.
    “Sei stato bravissimo, amore” lo lodò con tenerezza e Rigel sorrise, ma poi guardò oltre la sua spalla e James si girò. 
    Scorpius si era affacciato e stava guardando Rigel con un’occhiata intensa che il bambino rispose con sguardo colpevole. 
    “Che succede?” chiese James che aveva intuito che il biscotto fuori programma non c'entrasse.
    “Niente” disse Scorpius con un sorriso che lasciava intendere che qualcosa c'era, e Rigel abbassò il capo e si guardò la punta dei piedini. 
    “Papà, devo confessarti una cosa” gli disse e James intercettò lo sguardo di Scorpius che annuì.
    “Vi lascio soli” disse a James e gli fece un cenno.
    James guardò suo figlio curioso, si chinò alla sua altezza e lo osservò. “Dimmi, amore.”
    “E che…” il bambino sembrò esitare. “È che ho paura che ci saranno delle conseguense” disse e James rise dentro di sé all’uso di quella parola così difficile che probabilmente aveva ascoltato da Scorpius. “Mi prometti che non ce ne saranno?”
    James ci pensò a sua volta, visto il tono solenne e lo sguardo preoccupato di suo figlio, doveva essere una cosa mai affrontata prima, quindi disse: “Non posso promettertelo, perché ogni volta che si fa qualcosa ci sono sempre delle coseguenze, ma tu devi sempre sentirti tranquillo nel parlare con me, quindi cercherò di essere comprensivo” gli promise. 
    Rigel sembrò rincuorato dal tono gentile. “Ho trovato nel divano delle monete, non so quante. Le ho prese e le messe nel mio salvadanaio.” Si fermò e si guardò ancora i piedini.
    “E questo quando è successo?”
    “Non mi ricordo, qualche giorno fa, ma ieri l’ho detto a papà. E lui ha detto che erano tue e che ti erano cadute dalla tasca.”
    James pensò che era così perché Scorpius non girava mai con del denaro, figuriamoci, probabilmente non ricordava neanche come fosse fatto. 
    “Papà mi ha detto che avrei dovuto chiedere prima di mettelle nel mio salvadanaio e che ho fatto una cosa brutta. Mi dispiace.” E sembrò pentito così tanto che a James fece tenerezza. “E che avevo dei programmi per quel denaro.”
    Quasi scoppiò a ridere. “Avevi dei programmi per quel denaro?” Ripetè incredulo. “E che programmi hai? E da quando hai un salvadanaio?”
    “Papà, non dovrei dittelo” gli disse serio, “perché tutti mi dicono che se tu lo scopri poi non possono più dammeli, ma ogni volta che vengono i nonni, mi danno qualche monetina” confessò, arrotondando tutte le s, e prima che James potesse dire qualcosa, Rigel continuò: “D’argento, come quelle che ho trovato nel divano. Però, l’ultima volta che è venuto nonno Harry, –papà!– , mi ha dato una moneta d’oro!” gli disse, tutto eccitato. 
    James guardò Rigel pensando che suo padre era il primo tra i traditori. “Come, il nonno Harry ti ha dato un galeone d’oro?” 
    E il bambino sembrò animarsi. “Sìsì. Grande e d’oro che ho messo nel mio salvadanaio. Però mi ha ricoddato che non avrei dovuto dirti niente  perché ti saresti arrabbiato perché dici che mi viziano, e io non l’ho fatto.
Poi quando è venuto nonno Marcus, io gliel’ho detto. Gli ho detto che nonno Harry mi aveva dato una monetina d’oro, non una d’argento come al solito.”
    “E nonno Marcus che ha fatto?” Chiese James. “Ti ha dato anche lui una monetina d’oro?”
    “Nono.” Rigel scosse il capo. “Nonno Marcus ha detto che mi avrebbe dato qualcosa di più presioso.”
    “E cosa?” Domandò James a questo punto si stava davvero arrabbiando, anche se riuscì a nasconderlo bene. 
    Rigel lo guardò e disse: “Mi ha dato una informassione. Ha detto: la prossima volta che viene nonno Draco digli che nonno Harry è stato più generoso di lui. Ha detto che mi avrebbe dato almeno dieci galeoni. Tu lo sai, papà, quanti sono dieci galeoni? Sono così” e gli mostrò i palmi aperti di entrambe le mani che guardò tutto felice, come se l’idea di avere dieci galeoni, tanti come le sue dita, fosse una cosa proprio bella. 
    James guardò Rigel avvilito. Ci stava provando a dargli una buona educazione, a farlo crescere come un bambino normale. Stava convincendo anche Scorpius, nonostante comprasse per il bambino abiti oscenamente costosi, ma James fingeva di ignorarlo.
Per il resto, Scorpius era ragionevole ed entrambi si confrontavano molto su come comportarsi con Rigel e generalmente trovavano un punto di accordo; con gli altri gli sembrava di combattere contro mulini al vento. Purtroppo quel bambino aveva più nonni e bisnonni di quanto fosse umanamente possibile. Fortuna che vivevano lontani, altrimenti glielo avrebbero rovinato. 
    “Papà, papà ti prego, non dire a nessuno che ti ho detto tutto, attrimenti nessuno mi darà le monetine e io sto aspettando davvero che viene nonno Draco! Ho dei progetti per quel denaro” ripetè.
    “Rigel.” La voce di James si fece un pochino più severa. “Posso sapere che progetti hai? Perché papà è molto contento se impari il valore dei soldi, ma forse è un pochino presto per darti delle monetine d’oro.” Specie perché suo padre era andato a trovarli due settimane prima, senza nessun motivo, e non c’era nessuna ricorrenza che giustificasse un galeone d’oro. O i futuri dieci di Draco. O tutti gli altri soldi.
    Rigel lo guardò. “É una sorpresa” gli disse con voce piccola e James allargò lo sguardo, invitandolo a dirgli la verità e il piccolo cedette: “É che quando ti laurei voglio pottare tutta la famiglia a mangiare il gelato, ma tutti tutti. Offro io” fece, portandosi una mano al petto.
    Era un’idea bellissima, considerando che per Rigel non c’era nulla di più buono del gelato, che per lui era l'equivalente di un ristorante a quattro stelle. E, ovviamente, agli occhi di James era così. Gli si scaldò il cuore e, nonostante fosse arrabbiato con ‘i nonni’, che come al solito decidevano di fare di testa loro, sorrise a suo figlio. “Amore…” gli baciò una guancia. “É un pensiero molto dolce.”
    “Papà, sai, è che siamo tanti e quindi ho bisogno di tanti soldi, per questo quando ho trovato quelli nel divano li ho presi.”
    Il ragionamento non faceva una piega, più o meno. “Allora Rigel, vuoi farmi vedere quanti solidi hai messo da parte?”
    Il bambino gli prese la mano e lo condusse nella sua camera e James intercettò Scorpius nel salone che gli sorrise comprensivo ed esasperato. Evidentemente anche lui doveva aver scoperto tutto, regali dei nonni, inclusi.
    La camera di Rigel era la più piccola della casa. Rettangolare, con le pareti verde chiaro, un letto, l’armadio, una libreria piena e due cassettoni in cui c’erano i suoi giocattoli. La maggior parte provenivano da Malfoy Manor o dalla casa in cui era cresciuto James, il Granaio. Erano vecchi giochi ben tenuti. Infatti, James e Scorpius, – quest'ultimo un po’ meno convinto, a dir la verità –, avevano vietato a tutti i nonni di portare al bambino dei giocattoli. I regali erano concessi solo a Natale e al compleanno, e solo libri. 
    Dal fondo della libreria, dietro alcuni vecchi volumi che non leggevano più, il piccolo prese una scatola di latta che un tempo era stata di James e in cui lui aveva tenuto la sua collezione di Cioccorane, ma adesso vi era il piccolo tesoro di Rigel.
    Era colma di Falci, decine e decine, c’era un singolo galeone d’oro e un fascio di banconote Babbane, sia sterline che dollari americani.
    “E questi?”
    “Quelli me li ha dati nonno Oliver” confessò. 
    Ah, pure lui! Erano almeno cento sterline e venti dollari. Provò a contare le monete magiche, ma erano parecchie. “Sicuro ci sono almeno dieci galeoni, qui dentro.”
    Rigel lo guardò curioso, con quell'ingenuità che era solo dei bambini. “E sono tanti? Sono abbastanza per pottare tutti quanti a mangiare il gelato?”
    Anche troppi per un bambino di tre anni, ma non ebbe cuore di dirlo a suo figlio. “Penso proprio di sì, amore. Sei contento?”
    Rigel lo guardò e rimase un attimo in silenzio. “Sì, sono contento, ma se poi io potto tutti a mangiare il gelato, quanti soldi mi rimangono? Capisci, è stata una fatica raccoglielli. Secondo te, è proprio brutto brutto se chiedo a uno dei nonni di fare metà?”
    James represse una risata. “Facciamo una cosa, Rigel, portiamo tutti a mangiare il gelato e facciamo metà io e metà tu” gli propose, in modo che suo figlio imparasse ad avere cura dei soldi senza tuttavia rinunciare ad essere generoso. 
    “Nono, papà.” Rigel scosse il capo. “Tu sei il festeggiato, ci penso io. Sono sicuro che uno dei nonni farà a metà con me, però posso tenere i soldi che ho trovato nel divano?”
     Ci pensò su. Suo padre era stato un bravo padre, ma non gli aveva insegnato ad esserlo perché probabilmente bisognava impararlo su strada e non sapeva cosa fare perché voleva far capire a suo figlio che aveva fatto una cosa sbagliata e allo stesso tempo premiarlo per il pensiero gentile e anche per la sincerità.
    “Rigel, non hai fatto una cosa bella a prendere i soldini dal divano, avresti dovuto chiederti di chi fossero. Ma sono molto contento che tu me l’abbia confessato, prima a papà Scorpius e poi a me, quindi facciamo così: io ti prometto che non dirò nulla ai nonni” per ora, pensò. “Puoi tenere tutti i tuoi soldini, anche quelli che hai trovato nel divano, ma ti verrà tolta la prima stellina dal tabellone, anzi, due. Va bene?”
    Rigel sembrò pensarci. “Mi sembra un giusto compomesso” decretò e James lo accolse nelle sue braccia pensando che era davvero un buon compromesso e, sicuramente, suo figlio avrebbe riconquistato le sue stelle entro la prossima domenica. 


Note.

Rigel, è il nome di una stella della costellazione di Orione. Riprende la tradizione dei Black di dare ai propri figli nomi 'strappati' al cielo – ma è un omaggio anche a James che come secondo nome si chiama Sirius. Il nome completo è: 
Rigel
Febo Malfoy Potter che riprende anche la tradizione dei Greengrass di dare ai figli il nome di una divinità/mitologi. 
I Newyorkesi hanno un accento particolare con le r un po' mosce, inoltre tendono anche a mangiarsi qualche consonante.

'I Nonni'. Per chi non leggesse Vaiolo, Rigel è il figlio biologico di James e Samantha Baston Flint, adottato da Scorpius e cresciuto da James e Scorpius, ma Sam è presente nella vita del bambino che conosce come la sua mamma. Sam lo va a trovare spesso e passa del tempo con lui e, quando sarà più grande, Rigel farà anche delle vacanze con lei per cui i suoi nonni materni sono Marcus Flint e Oliver Baston, Harry e Ginny da parte di James, Draco e Astoria da parte di Scorpius, Galatea (la madre biologica di Sam) neanche ve la nomino.
Rigel ha, al momento, 4 bisnonni: Narcissa, Molly e Arthur e la madre di Astoria, che nella mia testa non ha ancora un nome, ci sarebbero anche i genitori di Marcus, ma come sappiamo quest'ultimo non ha contatti con la famiglia. 

Il padrino di Rigel è Ian Nott – e adesso, capiamoci, come fa questo bambino a non crescere iper coccolato e viziato? Verrà su educato, perché io odio la maleducazione, ma questo mi viene su come un principino, vi avverto (James, lo so che ci hai provato, ritenta: con Leon sarai più fortunato!)

James e Scorpius vivono a New York. James ha appena finito gli esami all'Accademia delle Arti Magiche di Montréal, Canada, e come avete letto ha dato il suo ultimo esame e poi farà il tirocinio a New York. 
Draco ha fatto parecchi investimenti a New York che, in teoria, gestirebbe Scorpius (per avere la Green Card), ma in pratica lo fa suo padre e Scorpius è fermo agli esami del primo anno in Psicomagia, e credo non li abbia neanche dati tutti, al momento la sua priorità è Rigel e gli affari non gli interessano per nulla (poi leggerete di Scorpius e Rigel)
In questa Os, Rigel ha 3 anni, Scorpius 24, James 25, fatevi voi i conti XD


Note di Lady
Amo James, amo Scorpius e adoro Rigel che è dolcissimo XD
Ecco, vedete? Anche io sono capace di scrivere cose carine, senza neanche l'ombra di tristezza <3 Amatemi

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Capitolo 2
*** Soli Soli Soli ***


Capitolo 2
 
Soli Soli Soli
 (Al solo Astro della mia terra)


Scorpius osservò James baciare la testa di Rigel e chinarsi alla sua altezza. “Mi raccomando: fai il bravo.” Il bambino annuì, convinto. “E proteggi papà dai brutti sogni” gli disse, lanciando un’occhiata divertita a Scorpius da sopra i capelli castani di Rigel. 
    “Conta su di me.”
    James rise e lo strinse. “Allora, papà torna domani mattina. Facciamo colazione tutti insieme, va bene?”
    Rigel annuì e Scorpius si avvicinò a James per salutarlo. 
    “Chiamami se hai problemi” gli disse, guardandolo negli occhi e Scorpius si sfiorò con il pollice la fede d’oro rosa e ossidiana che avevano comprato quasi sette anni prima. Era dotata di un potente incantesimo che riscaldava la gemella se necessario, era stato uno dei pochi extra che James era stato ben contento di pagare.
    “Tranquillo, e buon lavoro.”
    James diede un’ultimo bacio ad entrambi, recuperò la ventiquattrore in pelle di drago e uscì dal loro appartamento per andare a lavoro. Stava frequentando il primo anno di specializzazione nel programma dell’Hopekings Hospital, il più grande dei quattro ospedali degli Stati Uniti e di certo il più prestigioso. 
    Scorpius era molto fiero di lui, ma era sempre più preoccupato per gli orari massacranti e il ritmo di vita tutt’altro che sano. Non sapeva come riuscisse a lavorare quaranta ore a settimana, studiare per gli esami di specializzazione e pure per il dottorato che aveva deciso di dare contemporaneamente, passare del tempo con loro e riposarsi.
    James sembrava riuscire a fare tutto e Scorpius pensò che lui, invece, era ancora fermo all’ultimo esame del primo anno di PsicoMagia. Forse, visto l’ambizione del marito, avrebbe dovuto dare maggiore spazio alla sua istruzione, ma per il momento non era una delle sue priorità. 
    “Allora, pigiamino, poi si gioca un pochino e dopo a nanna, va bene?” Propose a Rigel che annuì, obbediente come al solito. 
    Rigel si fece fare il bagnetto e lavare i capelli, protestò solo una po’ quando gli andò a finire lo shampoo negli occhi chiari che si arrossarono. Maledetto shampoo delicato che non è mai delicato, pensò, distraendolo, facendo diventare la schiuma di una lieve tonalità di verde, con le bolle che si gonfiavano per risalire fino al soffitto. 
    Giocarono un po’ con l’acqua fin quando Scorpius non gli disse che era ora di uscire. Rigel si lasciò avvolgere dall’accappatoio morbido e ridacchiò quando gli sfregò la testolina con il cappuccio che aveva delle piccole orecchie da panda ai lati.
    “Papà, domenica andiamo a vedere i dinosauri?” gli chiese mentre gli asciugava i capelli con la bacchetta. 
    Scorpius sorrise. Ci erano stati già due volte. “Ti piace proprio tanto il museo di Storia naturale.”
    “Sì, e i dinosauri più di tutto. Ma davvelo davvelo erano così grandi?”
    “Sì, amore.”
    “Ne sei sicuro? Non è che è una magia e li hanno ingigantiti?”
    “Ingranditi, amore.” Lo corresse, infilandogli i pantaloncini del pigiama pulito. “No, tesoro, i dinosauri erano così grandi.” 
    “È che fine hanno fatto?”
    “Papà James te l'ha spiegato: si sono estinti.”
    “Sì, lo so, ma perché?”
    Era sempre più difficile rispondere alle domande di Rigel; i suoi perché aumentavano di giorno in giorno e c’erano risposte che non sempre sapeva dare. Nonostante leggesse decine di libri per essere preparato a suo figlio, gli sembrava sempre di perdere qualche lezione. 
    “Probabilmente perché erano troppo grandi o perché mangiavano troppo” provò a scherzare, ma Rigel lo guardò sorpreso, con gli occhi sgranati. 
    “Quindi se mangi troppo ti estingi?”
    “Estingui, amore.” Scosse il capo. “No, no, tesoro, non ci si estingue perché si mangia troppo, era una battuta. I dinosauri non ci sono più, ma abbiamo i loro cugini: i draghi, e mangiano tanto e sono grandi come i dinosauri, se non di più, e non si sono estinti. Quando sarai più grande, ti porterò in una riserva, così li vedrai da vicino, va bene?”
    Rigel spalancò gli occhioni. “Davvero?”
    “Mantengo sempre le promesse, no?” Gli domandò e Rigel annuì, convito “E allora ti porterò insieme a papà James, tra qualche anno.”
Sembrò eccitatissimo, come se tra qualche anno fosse il giorno dopo. Scorpius pensò che che quell’estate avrebbe trascinato James in qualche riserva naturale di draghi, ma almeno il pericolo domande sui dinosauri era stato scampato. 
    “Bene, tesoro, aspetta un attimo che papà mette il pigiama.” Sì era fatto una doccia veloce qualche ora prima, mentre James e Rigel erano andati a ritirare la cena perché lui non aveva voglia di cucinare, quindi poteva semplicemente cambiarsi. 
    Si spogliò. Non aveva mai nascosto le cicatrici da Vaiolo a suo figlio, ma lo sguardo intenso con cui lo scrutava – lo stesso che, anni prima, aveva visto sul viso di James quando le aveva studiate per la prima volta – lo aveva messo a disagio fino a qualche mese prima. Poi, una sera, Rigel era entrato nel salotto e si era alzato la maglietta mostrando, tutto orgoglioso, le linee scure con cui si era ricoperto tutto il corpo. 
    “Papà, papà, guadda, mi sono fatto i disegni come i tuoi.”
    Scorpius aveva riso e baciato con amore le lacrime di suo figlio quando James gli aveva passato l’unguento delicato che aveva preparato per togliergli l’inchiostro indelebile. 
    Rigel aveva protestato tutto il tempo, pianto e urlato. Era stato uno dei suoi rari capricci, ma Scorpius non era riuscito ad arrabbiarsi e aveva consolato il suo bambino fin quando non si era addormentato. Da quel momento, però, James aveva avuto cura di tenere tutti i suoi inchiostri indelebili molto lontano da Rigel. 
    Si infilò il pigiama e, prima che Rigel gli chiedesse di farsi prendere in braccio, gli prese una manina: era diventato pesante e di sera non riusciva a tenerlo su.
    Lo portò in salotto che era la stanza più grande della casa, l’unica in cui potessero giocare, a parte il terrazzo, ma a quell'ora faceva troppo freddo. Spostò il tavolino e stese con la bacchetta un tappeto morbido. Rigel andò a prendere il baule con le rotelle che conteneva alcuni dei suoi giochi, tirandolo con la corda e sbattendo un angolo contro lo stipite della porta. Quella casa stava diventando troppo piccola per loro. 
    Scorpius aveva già adocchiato una deliziosa palazzina, la tipica brownstone con giardino, terrazzo e soprattutto cinque camere da letto e otto bagni sulla 70th strada. 
Due settimane prima, lui e suo padre erano andate a vederla, e a Scorpius era piaciuta tantissimo, nonostante fosse rimasto perplesso per il putting green sul terrazzo e per la stanza col cestino appeso che l’agente immobiliare Babbano aveva ampiamente sponsorizzato, dicendo: ‘non è da tutti avere un vero campo da basket in casa, da veri intenditori.’ 
    Scorpius non ne capiva niente di dollari, ma persino suo padre aveva sgranato gli occhi quando aveva sentito il prezzo, affermando però che: bisognava pagare bene per certi privilegi, confermando che piacesse anche a lui e che quindi gliel’avrebbe comprata. L’unico problema era James. 
    “Quel mulo orgoglioso di Potter avrà da ridire. Ha sempre detto che avrebbe voluto comprarla lui la vostra futura casa” gli aveva detto contrariato, sbottando un: “Bah, Grifondoro!”
    “E questa non può prenderla?” 
    “Sì, quando e se diventa primario gli accetteranno un mutuo. Ho sbagliato a prendervi quel buco, ma doveva essere un appoggio per i week and.” 
    Draco odiava il loro appartamento, non poteva concepire che vivessero in una casa grande come la camera che Scorpius aveva avuto a Malfoy Manor. Ormai, suo padre si era abitato al fatto che non volesse tornare in Inghilterra e anzi, aveva approfittato per fare affari lì, anche se Sorpius non aveva idea di cosa facesse, ma lui e sua madre avevano comprato un attico a due piani a Tribeca e metà del mese la passavano a New York. 
    Scorpius amava il loro piccolo appartamento a SoHo, ma stava cominciando ad andargli troppo stretto. Si era avvilito e suo padre gli aveva dato una pacca dicendogli che avrebbe escogitato qualcosa. 
    Entro fine mese avrebbero avuto l’incontro per la proposta d’acquisto e Scorpius stava ancora cercando di capire come rigirarsi James. Anche perché, il suggerimento di suo padre di ‘mettiti a piangere e digli che la vuoi’’ non gli sembrava particolarmente dignitoso. Sicuramente efficace, ma non dignitoso. 
    Rigel aprì il suo baule, scavando dentro e Scorpius pensò che forse il loro bambino avrebbe potuto dargli una mano. Forse avrebbe dovuto mostrarla a Rigel: era meglio se si mettesse a piangere lui. 
    Che scemo che sono, Scorpius si diede un’immaginaria pacca sulla testa. 
    “Che c’è, papà?”
    Gli sorrise. “Niente, tesoro.”
    I giochi preferiti di Rigel consistevano in delle costruzioni e una casina con tanto di famiglia di topolini di pezza che un tempo era stata di Lily. Rigel costruì una specie di torre a difesa del cottage con dei soldatini appartenuti a James. 
    Scorpius dovette fare la topolina, e recitare la parte della figlia disubbidente, poi assunse il ruolo più appagante di capo del battaglione. Quando la cosa si stava sposando nel mondo degli gnomi si era fatta ora di andare a letto. 
    “Tutto a posto e poi a nanna.”
    “Mi leggi la storia?”
    Gli sorrise. “Certo, come sempre.”
    Rigel mise a posto i suoi giochi e Scorpius rassettò il baule con un colpo di bacchetta – rimase comunque un po’ caotico, ma meglio di prima. 
    Avevano cenato in anticipo rispetto al solito orario, per farlo tutti insieme, quindi mentre Rigel sceglieva la loro lettura serale, gli andò a prendere un po’ di latte. Aveva tentato di appellarlo, ma l’incantesimo non gli era riuscito. Era stanco anche lui.
     Trovò Rigel già infilato sotto le coperte con il libro aperto in mano e immerso nella lettura, peccato che il volume fosse al contrario. Gli sorrise e gli si stese accanto, voltando il libro e cominciando a leggere con Rigel che gli si sistemava addosso, la testolina posata nell’incavo della spalla.
    Rigel ascoltava le sue parole, le manine infilate tra i suoi capelli con le piccole dita che giocherellavano con una ciocca bionda, facendo sfregare i fili chiari tra i polpastrelli.
    “… fecero una buona cenetta: pane, latte e more. Fine.” Inclinò il capo e guardò Rigel che osservava i disegni del libro di racconti Babbani che gli aveva regalato zia Lily per il suo quarto compleanno. Lo avevano letto almeno due volte, ma il bambino restava sempre affascinato dai disegni, nonostante fossero immobili e non animati come per la maggior parte dei libri magici. 
    I suoi occhi erano socchiusi, ma era ancora sveglio. “E ora a nanna” sussurrò Scorpius, scostando il libro e portandoselo in braccio, cominciando a cullarlo un po’ per farlo addormentare. 
    Rigel continuava a giocare con le ciocche ma Scorpius ci era abituato: lo faceva fin da piccolissimo per addormentarsi. 
    “Papà, quando torna papà James?” Non si era abituato ancora ai turni di notte di James e ogni volta che era a letto glielo chiedeva.
    Gli baciò la testolina. “Domani quando ti svegli papà sarà qui e faremo colazione tutti insieme.”
    “Ma poi lui va a dommire?”
    “Sì, amore, riposa qualche ora mentre io e te ce ne andiamo al parco o, se piove, andiamo proprio domani al museo di storia naturale, va bene?” Rigel annuì. Quello era uno dei motivi per cui avevano bisogno di una casa più grande. 
    “Papà…”
    “Dimmi, amore.”
    “Perché io non ho i capelli gialli come il sole?” Gli domandò, scostandosi per guardarlo negli occhi e Scorpius rimase un po’ spiazzato da quella domanda. 
    Decise di rispondergli in modo semplice. “Perché li hai come papà James.”
    Rigel lo guardò curioso, come se lo vedesse per la prima volta. “E perché non li ho come i tuoi?”
    “Perché tu somigli a lui e hai gli occhi verdi di nonno Harry. Tu somigli a loro.”
    “E a te no?”
    “Tu mi somigli qui” gli disse, posandogli una mano sul cuoricino. Rigel sembrò non capire e Scorpius sorrise e disse: “Qual è il tuo colore preferito?”
    “Il verde.”
    “E il mio?” 
    “Il verde.”
    “E il piatto preferito di papà James?” 
    “La pizza.”
    “E il mio?”
    “L’hot dog” gli rispose, poi spalancò gli occhi. “
É anche il mio, papà!”
    Scorpius rise. “Esatto. Tu mi somigli qui, nel cuore. É da li che vieni.” Gli era uscito così, spontaneo e pensò, osservando il viso bello e dolce di suo figlio, che poi non era così lontano dalla realtà. “Vieni dal mio cuore. Io ti desideravo così tanto, ma così tanto che papà James è andato a prendere la stella più bella nel cielo e me l’ha portata.” Si sentì gli occhi un po’ lucidi. “La mamma gli ha dato una mano perché voleva proprio aiutarmi in questo desiderio.”
    “Sono andati loro perché sono Grifondoro?”
    Rise, sentendosi un po’ commosso. “Sì, amore, sono andati loro due perché sono Grifondoro. Perché sono coraggiosi e non hanno paura del buio.”
    “E se sbaliavano?”
    “Impossibile. Loro ti avevano visto nel mio cuore.”
    Rigel guardò i bottoni del pigiama di Scorpius. “Papà, lo sai che io me lo ricordo, quando sono venuti.”
    “Davvero?” Chiese, dandogli corda. 
    “Sì, tanto tempo fa, ma ora me lo ricordo. Li ho visti che mi stavano cercando e allola sono andato da loro pecché lo sapevo che mi appettavi.”
    Il sorriso si allargò sul viso di Scorpius che baciò il suo bellissimo, prezioso, intelligente e dolcissimo bambino. “Grazie, per avermi trovato” mormorò sulla sua fronte. 
    “E tu grazie per avermi appettato, papà” mormorò il bambino, nascondendo il viso nel suo petto e Scorpius lo abbracciò di più, più forte.
Strinse la sua piccola stella tra le braccia, quella che aveva desiderato e che aveva aspettato che lo trovasse.
La sua stella, l’unica che contasse davvero, quella che gli aveva illuminato la notte.


Note. 

Il titolo Soli Soli Soli è una citazione latina. Letteralmente ''all'unico (soli) Sole (soli) del suolo (soli)'' per estenzione: all'unico sole della (mia) Terra. L'uso di solum -i, anziché terra -ae, indica vicinanza, quindi il suolo che calpesto, la MIA terra. Ho tradotto Astro, invece di sole, scorretto, partendo dal presupposto che il sole è una stella in modo da adattarla a questa OS. 

La Brownstone è un materiale diventato stile architettonico, così si indicano 
gli edifici nelle aree urbane che utilizzano questo materiale. I Brownstones possono essere trovati in molti quartieri di New York per includere punti caldi di Brooklyn ma anche i tipi di edifici prevalenti nell'Upper West Side di New York.
Questi villini sono riconoscibili dai loro larghi gradini anteriori che conducono dalla strada al secondo piano dell'edificio, un disegno attribuito alla mancanza di pulizia del livello stradale durante il periodo in cui queste case furono costruite. Oggi vivere in un brownstone  è diventato un simbolo nel mondo immobiliare di New York. 


Il libro che Scorpius sta leggendo a Rigel è di Beatrix Potter, Le avventure di Peter coniglio. 


Note di Lady
La febbre mi fa essere dolce, dolce, dolce. 
Questa Os è scritta per la settimana del Pride a sostegno di tutte le famiglie arcobaleno. LA PARITà DI DIRITTI è una questione di dignità umana perché ogni individuo merita rispetto, accettazione e protezione e queste famiglie, e i loro figli, vanno tutelati nel diritto fondamentale dell'essere umano che, nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo afferma che ''uomini e donne hanno il diritto di fondare una famiglia'', ma non è specificato che debbano farlo necessariamente fra loro.
Questa è solo una storia di fantasia, ma immagino che molti bambini sarebbero molto più felici di crescere con genitori come Scorpius e James, (e non perché sono ricchi), piuttosto che in alcune famiglie tradizionali, le uniche riconosciute dallo Stato. 
Un mondo in cui tutti sono liberi di essere se stessi è un mondo migliore per tutti. C'è ancora tanto da fare per eliminare ogni forma di discriminazione e io spero davvero che un giorno, anche in Italia, famiglie come questa possano sentirsi amati e protetti nei loro diritti fondamentali. Perché un diritto è tale se arricchisce senza impoverire qualcun altro. 
Un sorriso. 

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Capitolo 3
*** Semmai dovessi parlare di amore e di stelle... uccidetemi! ***


Capitolo3
 
    Semmai dovessi parlare di amore e di stelle... uccidetemi!
Charles Bukowski

Sam/Rigel 


“Quando hai la tua Passaporta?” La voce di suo padre Marcus, da dietro la porta del bagno, distrasse Sam dai suoi pensieri. 
    “Tra due ore” rispose, sistemando nella borsa la pochette che aveva tirato fuori per applicare il rossetto – un leggero magnolia molto delicato.
    Era stata in banca, quella mattina, aveva svolto alcune faccende urgenti a lavoro, cose non rimandabili e che doveva fare lei stessa: firmato documenti, chiuso pratiche per la Camera di Commercio e chiesto al suo segretario di spostare tutti gli appuntamenti sulla sua agenda da lì a una settimana.  
    Prima di partire aveva pensato di darsi una rinfrescata a casa dei suoi in modo che potesse anche salutarli – suo padre Oliver si lamentava sempre di non vederla mai, anche se cenavano insieme almeno una volta a settimana.
    “Fatto.” Uscì dal bagno e Marcus Flint la studiò.
    “Allora?” Chiese nervosa. Era meglio se avesse incontrato il ministro dell’economia francese il giorno dopo, come avrebbe dovuto fare, piuttosto che andare al suo appuntamento
    Marcus osservò il blazer turchese con camicetta e pantaloni morbidi, entrambi di un tenue crema, con occhio critico, poi annuì. “Meglio, almeno non sembri un’arpia.”
    “Ah-Ah” gli fece verso. Quando era entrata in casa e si era tolta il soprabito, un cappotto bianco a doppio petto, Marcus Flint aveva strabuzzato gli occhi e messo su un’espressione schifata che l’aveva offesa a morte. Nonostante ciò aveva tirato dalla borsa uno dei cambi che aveva deciso di portarsi dietro ed era andata a cambiarsi.
    “Quel tubino mi stava benissimo” gli disse comunque, perché era vero. “Me l’ha detto anche Ian. Anzi, è con lui che l’ho scelto.” E suo padre poteva detenere il titolo di molte cose, ma il re della moda restava sempre Ian Nott.
    Marcus arricciò di nuovo il labbro. “Incantevole, ma mi hai sbloccato un ricordo, anzi, un incubo” mormorò in tono ironico. 
    Sam ignorò il riferimento a Galatea. Diede un’altra veloce occhiata allo specchio del corridoio, si girò a tre quarti, e pensò di doversi legare i capelli, li prese in una mano e fece per sollevarli. 
    “Lasciali sciolti.”
    E Sam lo fece. Si guardò ancora allo specchio, poi sbottò. “Sono orribile, non mi piace!” E si chiuse in bagno, ignorando le proteste di suo padre. 
    Frugò nella meravigliosa borsa da lavoro verde con cui era uscita quella mattina. Conteneva documenti importanti sul davanti con la cerniera che poteva essere aperta solo da lei e, nello scomparto interno, un’incantesimo estensivo Irriconoscibile la rendeva una perfetta valigia. Dentro aveva l’equivalente per cambiarsi due volte al giorno per quindici giorni, ma considerando che doveva stare via solo una settimana… Forse avrebbe dovuto portare con sé altri due o tre completi. Cinque o sei, tanto per stare tranquilla. 
    Indossò un abito Chemisier bianco con colletto camicia e cintura in vita lungo fino al polpaccio – se fosse stato più corto almeno la gente avrebbe saputo che si depilava ogni tre settimane, cioè, si sottoponeva a pratiche di tortura volentieri, ma doveva essergli riconosciuto, per Merlino! In ogni caso, vista l’occasione, quella lunghezza era decisamente più appropriata.
    Scelse delle scarpe in corda che le davano un’aspetto sofisticato e affidabile, almeno sperò, e indossò un paio di orecchini a bottone e il bracciale d’oro che aveva ricevuto in dono per il suo diciassettesimo compleanno da Scorpius, Ian ed Etienne. 
    Uscì dal bagno e si mostrò a suo padre. “Allora?” Allargò le braccia e fece una piroetta. 
    “Sembri una quasi trentenne in carriera nel suo giorno libero…”
    Sam sorrise felice. “Perfetto, questa doveva essere l’idea.”
    “… che sicuramente si macchierà entro ora di cena” concluse suo padre con un sorriso perfido.     
    Gli fece una smorfia. “Mi smacchierò con un Incantesimo! Ora, controlla bene, si vede la biancheria?”    
    “No, ma spero che la indossi.”
    Mise su un’espressione offesa. “Certo, io la indosso sempre, cosa credi?! E, giusto per precisare, quella di oggi è anche nuova, lavata e inamidata, e anche molto composta.”
    “Buon per te, amore!”
    “Non fare lo scemo, controlla bene se il vestito è trasparente che se lo è lo attorciglio attorno al collo della sarta!”
    “Voltati un po’. Ok, non si vede, inclinati un po’, così, no, niente. Fa una cosa: mettiti a quattro zampe”
    Semipiegata, sollevò un sopracciglio, si voltò e osservò l’espressione divertita di suo padre. “Mi stavi prendendo in giro, vero?”
    “IO? No! Cosa te lo fa pensare?”
    “Sei proprio uno stronzo!”
    Lui rise e sembrò molto più giovane. “Sam, dai, passi la maggior parte del tempo con persone ricche e influenti e hai paura di un ragazzino di nove anni!” 
    “I ricchi e influenti passano il loro tempo a leccarmi il sedere, con lui mi sembra che sia io a leccare il suo – con scarsissimi risultati, per altro” gli disse, recuperando la borsa dal bagno e seguendolo al piano di sotto. 
    “È proprio qui che sbagli.”
    Si arrestò sull’ultimo gradino delle scale. “Dici?”
    Marcus si voltò di tre quarti. “Già.”
    “E che devo fare?” Domandò, l’ansia che aumentava. “Vorrei andarci d’accordo anche se…”
    “Se?”
    Si morse il labbro. “Ecco. Non lo so, mi fa sentire un po’ a disagio, come se fossi sbagliata. Nel senso,” aggiunse ad un’occhiata interrogativa di suo padre, “mi sento sempre in difetto quando James e Scorpius mi chiamano ‘la mamma’ e lui invece non mi chiama proprio e, vuoi sapere la cosa peggiore? Neanche ci rimango male: io non mi sento sua madre. Non fraintendermi: voglio bene a Rigel, davvero, cioè, sono molto fiera di lui: è educato, carino, intelligente e sono felice che abbia due genitori come James e Scorpius, ma sono loro i genitori, io non mi ci sento.”
    “Non ti ci senti perché non lo sei. Tu lo sai, lui lo sa. In realtà lo sanno anche James e Scoprius, ma è bello che vogliano dare a loro figlio una figura materna. Il problema è che tu senti il ragazzino un paio di volte a settimana e perché o tu chiami Scorpius o Scorpius chiama te e ti passano il bambino e, quante volte lo vedi? Tre, quattro volte l’anno?” Marcus incrociò le braccia e lei si sentì come quando da bambina le faceva uno dei rari rimproveri.
    “Vado ogni volta che posso.” Ed era vero: Rigel viveva a New York e lei a Londra, aveva un lavoro a tempo pieno, se avesse voluto una famiglia, insomma, si sarebbe sposata. 
Però lo sentiva ogni settimana, ma era sempre per via dei genitori, e lo vedeva quando Scorpius e James tornavano in Inghilterra, a Natale, o se poteva, andava lei a trovarli e si interessava a lui, si accertava che stesse bene e si preoccupava continuamente di fargli sapere che c’era, anche se sospirava di sollievo quando quelle proposte venivano ignorate.
    “Lo so, ma non è abbastanza per stringere un rapporto” gli fece notare suo padre, più gentile. “Sam, non sei all’altezza, ma non è che sia un problema: il ragazzino dei genitori li ha già e non vuole sostituire loro con te, come tu, insomma, non vuoi fare davvero la mamma e ci sta, non è che tutte debbano avere per forza l’istinto materno. Forse lo avrai più avanti o magari non lo avari mai, ma questo non fa di te tua madre.” Gli disse, e quello, sì, proprio quello, la tranquillizzò.
Lei non voleva figli suoi, non si sentiva tagliata per crescerli ed era troppo egoista per rinunciare alla propria vita, ma e a volte si sentiva in colpa e temeva che questo potesse essere spia di un’inquietante somiglianza con Galatea Selwyn. 
    Suo padre le sorrise. “Ovviamente mi lamenterò ogni volta che indosserai un tubino ma... Sam, non devi sentirti in colpa se non sei quello che la società si aspetta da te. Sei felice e soddisfatta? Ottimo, va bene così. In piccola parte, grazie a te, i tuoi amici hanno la famiglia che disideravano e il bambino che non vuoi, esiste, ed è nato e cresciuto da due genitori amorevoli e affettuosi. Non sarai la sua mamma, ma tu puoi essere una figura femminile se solo la smettessi di leccargli il culo o essere terrorizzata da lui. Guarda che intelligente: se ne accorge e ti trova noiosa.”
    “Wow, che bello.” Rigel le ricordava in modo sinistro e inquietante Albus. Forse perché era sempre imbronciato o per via degli occhi verdi. Sì, erano gli occhi, lo stesso verde intenso di Albus Potter, maledizione a lui!
    “Non è difficile andare d’accordo con Rigel.”
    Sam sbuffò. “Certo, come no.” 
    “No, davvero.” Marcus aggrottò le sopracciglia. 
    Sam lo fissò. 
    “E tu che ne sai?” Per quanto ne sapeva lei, i suoi genitori, andavano spesso a New York a trovare Rigel, soprattutto suo padre Oliver che allenava la nazionale irlandese e aveva più tempo libero di suo padre Marcus che invece faceva il procuratore sportivo. Spesso, papà Oliver ci andava addirittura da solo. Era strano come, nonostante lei non si sentisse madre, i suoi genitori pensassero a loro stessi come a dei nonni e come tale si comportavano. O forse no, forse andava bene così.
    “Io ci parlo con lui.”
    “Tu?” Domandò incredula. Neanche Oliver Baston, che piaceva a tutti i ragazzini, forse perché lo era rimasto, riusciva a legare con Rigel e quello era un motivo di incredibile disperazione per il genitore. Eppure era strano, da bambino, fino a tre, quattro anni, Rigel era affettuoso e dolce con tutti, poi era diventato un ragazzino scostante e quella tenerezza la riservava solo a Scorpius e a James. 
    “Sì. Io. Perché? Che c’è di strano?”
    “E quando ci parleresti?”
    “Tutti i giorni.”
    “Tu?” Ripetè, sempre più incredula. 
    Suo padre lasciò andare un sospiro esasperato. “Io. Sam. Ci parlo tutti i giorni.” Marcus estrasse dalla tasca del pantalone un cellulare di ultima generazione. Suo padre con un telefono cellulare Babbano!
    “E quello?”
    “Il ragazzino mi ha insegnato ad usarlo quando sono andato lì l’ultima, no, la penultima volta. Ci facciamo le chat.
    Sam spalancò gli occhi. “Non ti sei fatto il cellulare neanche quando ce l’avevo io.”
    Marcus la guardò. “Nipote batte figlia.”
    “Ma cos’è? Una gara?” gli disse spalancando gli occhi. 
    Lui gongolò. “Assolutamente sì” confermò. “E comunque, tu non mi hai mai mostrato come si usa e soprattutto perché non hai mai fatto mistero che io non sono il tuo genitore preferito” fece, arricciando il naso. 
    Vero, ma solo per una sorta di affinità caratteriale. A suo padre era sempre bruciato il rapporto che aveva con papà Oliver, ma se l’era anche voluto lui – aveva fatto di tutto per demandare qualsiasi ruolo decisionale all’altro e adesso cosa pretendeva? 
    Marcus stirò un ghigno, come a dire che si stava prendendo la sua rivincita – lui che aveva un rapporto col ragazzino, mentre lei era terrorizzata da lui. Sempre molto maturo, papà, grazie.
    Sam non cadde nella provocazione. “E cos’è che gli dici?” Cambiò argomento.
    Scrollò le spalle e sembrò tornare un adulto. “Niente. Lui mi contatta e io gli rispondo.”
    “Lui contatta te?”
    “Sì, Sam” ripetè paziente. “Sono quello che se lo fila di meno e non sembra fare a gara per avere le sue attenzioni. Forse ha cominciato a farlo per noia o curiosità, ma adesso mi contatta tutti i giorni: mi chiede cosa faccio, mi dice cosa fa lui, mi manda le foto delle mostre e dei musei che visita con Malfoy e mi dice dei ristoranti in cui lo portano i suoi. Niente di che.”
    Sam rivolse a suo padre uno sguardo tra il sorpreso e il basito. Forse non era nulla di che per chiunque, ma visto che si trattava di Rigel, era parecchio. 
Nonni, zii, cugini. Rigel era educato e cortese con tutti, ma una cortina di diffidenza si allargava tra lui e gli altri e la distanza non aiutava. Eppure era stato un bambino dolcissimo. E, Scorpius assicurava, lo era ancora. 
    Ian, che era padrino di Rigel, andava a New York almeno una volta al mese ed elemosinava attenzioni che tornavano al mittente senza grande entusiasmo. 
    Anche Nate, il fratellino di Ian, amichevole e dolce come pochi altri bambini, aveva provato a far amicizia con Rigel, ma si era sempre scontrato contro un muro di diffidenza. Per non parlare della piccola Leni, la figlia di Victoire e Ted Lupin, una creatura deliziosa e amabile che durante le ultime vacanze di Natale era stata incollata a Rigel e rimbalzata senza tanti complimenti.     
    “Sarà…” mormorò Sam. 
    Marcus sollevò un sopracciglio. “È diffidente e anche molto introverso, ma non è difficile andarci d’accordo.”
    “Per te, forse. Siete uguali” realizzò. Aveva sempre associato Rigel ad Albus, ma no, ecco, no. Rigel era scontroso, non apatico; con un’educazione più seccata che impostata e invece che disinteressato e annoiato era ruvido e imbronciato. Cavolo, era un Flint!
    Suo padre rise. “No, Sam, in realtà, la persona a cui somiglia di più non sono io né Potter né il biondino, ma tu” le disse, lasciandola sola e stupita, sull’ultimo gradino della scala in marmo. 




La casa di Scorpius e James era una palazzina in mattoni a quattro piani sulla 70th strada. Dall’aria antica, tradizionale, stretta e lunga con la tipica linea apprezzata dai ricchi newyorkesi, sembrava più indicata per una grande famiglia composta da genitori di mezza età impegnati a lavorare nella City e almeno tre figli con un cane e servitù. 
    Invece, i Potter– Malfoy erano solo in tre e non avevano animali né elfi domestici.
    James Potter era un promettente Guaritore in carriera, ma aveva un’aria noncurante che non doveva renderlo degno di considerazione ai vicini e il fatto che Scorpius sembrasse bloccato in un’età sospesa tra l’adolescenza e quella adulta, li rendeva un po’ stonati in quel ricco quartiere. 
    L’abitazione era stata un regalo di Draco ‘per Rigel’, così aveva detto quasi cinque anni prima, ma Sam sapeva che era stato Scorpius a pestare i piedi e a James quella cosa ancora non andava giù, ma aveva ingoiato l’orgoglio e si limitava a mettere il broncio ogni volta che ci pensava. 
    Sam amava quella casa. Amava il fatto che ci fosse una camera per lei e che fosse solo sua. Quando Scorpius gliel’aveva detto si era un po’ commossa. Forse per lui non era una gran cosa che, su sei camere da letto, una fosse per lei, ma Sam era rimasta colpita. Era bello pensare che, se fosse successo qualcosa ai suoi genitori, dove anche lì aveva ancora la sua camera da bambina, avrebbe avuto comunque un posto per sé.
    Bussò al campanello. Attese. Premette di nuovo il dito, più a lungo. Finalmente, la porta si aprì. 
    James Potter era come il vino: migliorava con gli anni, osservò. Doveva aver messo su almeno dieci kg da quando aveva finito Hogwarts ed era meno atletico, più robusto, e i lineamenti duri si erano ingentiliti tanto che gli sembrò bello, molto più di quanto non fosse stato a scuola.
Lui la guardava un po’ sorpreso. Probabilmente non la aspettava prima di un’ora abbondante. 
    “Dimmi un po’” gli disse con un sorriso, “perché io e te un figlio non l’abbiamo fatto come da tradizione?”
    “Perché tu non volevi cagare un bambino.” La citò e Sam ridacchiò, lasciando che James la stringesse come avrebbe fatto con Lily. In un’altra vita, forse, avrebbero potuto essere fratelli, pensò, abbracciandolo a sua volta, più forte e James dovette sentirlo perché le serrò le braccia attorno alla vita, e si piegò un po’ di più. Annusò il suo profumo e, sorprendentemente, era così simile a quello di Albus.
    Accidenti a tutti i Potter. 
    “La verità è che ho sempre preferito immaginarti al di sopra delle mie aspettative: se mi avessi deluso sarei morta dal dolore, Poo.” Lo chiamò col nomignolo che utilizzava a scuola quando lui era il suo dispotico capitano e lei lo chiamava PooPoo nella sua mente, Poo, per non rischiare di farsi ammazzare. All’epoca, lei era una cretina e James una testa di… PooPoo
    James rise. Aveva una bella risata, calda e allegra che si estendeva agli occhi nocciola. “Vieni, accomodati. Hai fatto prima?”
    “Sì, l’Ufficio Passaporte di Londra ha cambiato l’orario, il mio segretario me l’ha comunicato questa mattina e non ho fatto in tempo ad avvisare.” Seguì James nel salone, un grande spazio arredato con finiture classiche e tocchi moderni che rendeva l’ambiente fresco e giovanile, seppur ricercato. C’era la borsa da lavoro e il soprabito di James su una delle poltrone segno che fosse appena rientrato dall’ospedale e piccoli indizi di una casa vissuta: una rivista abbandonata sul tavolino, il caricatore di un cellulare Babbano sul mobile, un paio di occhiali da sole che forse erano stati dimenticati.
    “Il Ministero inglese fa sempre pasticci con le Passaporte” Osservò James, facendole staccare gli occhi dalle fotografie che decoravano il marmo sopra il camino. “A noi è capitato di perderne parecchie. Comunque, accomodati, Scorpius e Rigel saranno qui tra poco”
    Sam si sedette su una poltroncina giallo . “Bene. Che mi dici? Scorpius come sta?”
    Il sorriso di James si inclinò appena. “Se lo vedi sembra un fiore, ma gli ultimi controlli non mi piacciono molto. Voglio che lo vedano alcuni colleghi in sud Africa, sono specializzati nelle malattie magiche. Sarà un ricovero breve, basteranno tre giorni, quattro al massimo…”
    “James,” Sam lo interruppe, “non è un problema: ho liberato l’agenda per una settimana e se ce ne fosse bisogno posso liberare anche l’altra.”
    Lui sorrise, grato. “Mi spiace comunque crearti casini, ma io e Scorpius abbiamo pensato che se fosse rimasto coi suoi si sarebbe insospettito e sono anni che diciamo che prima o poi dovete passare qualche giorno insieme.”
    “Quindi lui non sa proprio niente?”
    “No.” James scosse il capo. “Ma penso che sospetti qualcosa, Scorpius dice di no e ne è convinto, ma sono certo che ha capito tutto e non lo da a vedere per non farlo preoccupare.”
    “Scusa, e cosa te lo fa pensare?”
    “Mi tiene il muso” fece, poi alzò la testa, come richiamato da un rumore familiare, conosciuto, di una porta che sbatteva, un cigolio, forse di un armadio a muro, la voce di Scoprius che lo chiamava, chiedendogli se fosse tornato. “Sono nel salone, c’’è Sam!” Rispose James
    Sam si lisciò la gonna del vestito e sorrise a Scorpius che entrò nella stanza con un luminoso sorriso. 
    “Ehi! Sei arrivata prima. Che bella che sei!” Gli abbracci di Scorpius e il suo profumo… Sam voleva bene a James e le piaceva punzecchiarlo e litigarci bonariamente, ma era Scorpius il suo preferito. 
    Lo strinse forte e si sentì sussurrare all’orecchio: “Sei qui da tanto?”
    “No, stavo circuendo tuo marito, ma è tempo sprecato” rispose al suo orecchio, i capelli biondi di Scoprius le accarezzavano il viso e il suo odore che le riempiva le narici. “E mi sa che è lo stesso anche con te, ma che ci faccio qui?” Sussurrò, facendolo ridere.
    L’osservò per un secondo. Sì, stava bene, un fiore, come aveva detto Potter. Nessun ombra sul viso o segno di stanchezza, il colorito era pallido, ma sano e anche gli occhi erano vispi e allegri, illuminati dalla luce che si era accesa con la nascita di Rigel e che non si era più spenta.
    Sam era convinta che quella piccola cosa, che nulla le era costato, in realtà era stata una delle azioni migliori che avesse fatto. 
    Sciolse l’abbraccio e si dedicò al ragazzino che sembrava volersi nascondere dietro Scorpius.
    “Ehi, ciao!” Il cuore accelerò il battito e stirò un'espressione allegra e nervosa che Rigel ricambiò con una specie di smorfia che poteva passare per un sorriso.
    Era cresciuto di un paio di centimetri, osservò Sam mentre Scorpius posava una mano sulla spalla di Rigel e lo invitava ad avvicinarsi a lei. 
Era un bel bambino con lucidi capelli castani, lisci e tagliati di fresco, la pelle dorata, come se avesse passato qualche giorno al mare, gli occhi verdi col taglio un po’ allungato, e i lineamenti del viso che ricordavano quelli di James. Non c’era traccia di lei sul suo volto e probabilmente nessuno a guardarli per strada avrebbe detto che fossero parenti. E, infatti, non lo erano. Forse. Boh!
    “Stai diventando un gigante.” Gli tese le braccia e Rigel si avvicinò, si lasciò abbracciare, baciare prima una guancia, poi l’altra. “Tra poco sarai più alto di me, anche se non ci vuole molto.”
    Rigel si guardò i piedi, come se non sapesse bene cosa dire per non sembrare maleducato. “Non sono il più alto tra i miei compagni di scuola” decise di dire.
    “Di sicuro crescerai ancora, e meno male: essere bassi è un disagio” scherzò lei e James, di nascosto, le fece un cenno di incoraggiamento col pollice. “Ti ho portato un regalino, spero ti stia, ma per fortuna ho preso una taglia in più.” E per fortuna non l’aveva scelto lei, ma Ian, e infatti Rigel apprezzò il chiodo di pelle nera e le regalò un vero sorriso
    Mentre Scorpius proponeva di andare a cena fuori, Sam seguì lo sguardo di Rigel posato sul risvolto del suo abito bianco. Il costoso abito bianco che aveva fatto confezionare e che aveva una bella macchia sul bavero e non sapeva come se la fosse procurata. Grandioso!


 
*



Nonno Draco aveva comprato una piccola villetta sul mare negli Hamptons quasi quattro anni prima. L’aveva acquistata per sé, sì, proprio per se stesso. Aveva specificato che aveva bisogno di riposo, sole e aria di mare e quindi si era fatto un piccolo regalo perché ‘gli affari in America andavano benone’. Questa era stata la scusa perché, gli aveva detto papà Scorpius, suo padre James avrebbe dato di matto se il nonno avesse comprato un’altra casa per loro, ma non poteva dire nulla se l’acquisto era stato fatto per se stesso e se, di tanto in tanto, l’avrebbero usata loro sarebbe andato bene.
    Draco Malfoy non c’era andato neanche una volta, ma Rigel e Scorpius ci erano stati spessissimo anche solo per un giorno, per rientrare a New York per l’ora di cena. Col tempo, ma sempre con il muso lungo, anche suo padre James aveva finito per cedere e passare lì i suoi week and liberi da lavoro e lì avevano costruito tanti ricordi e bei momenti. 
    La casa era stata costruita su una morbida collinetta a pochi passi dal mare, immersa in un erba verde che a mano a mano si diradava svelando una sabbia bianchissima e sottile. Poteva dire di essere davvero felice in quel posto e i suoi genitori lo sapevano, ecco perché lo avevano mandato lì con Lei.
    La scusa era di passare tempo insieme, conoscersi, come se non lo avessero fatto ogni volta che Lei andava a trovarli o trascorreva qualche giorno con loro. Una volta erano andati anche a San Diego, a Disneyland, un posto che suo padre Scorpius aveva definito ‘di plastica e stucchevole’, ma che a Rigel era piaciuto tanto, anche se Lei era stata tra i piedi tutto il tempo. 
    Non aveva nulla contro: se ai suoi piaceva, andava benissimo e finché si sentivano per telefono non era neanche troppo spiacevole, tanto le telefonate duravano sempre pochi minuti e si sforzava di essere educato e gentile, ma era strana e frequentarla era noioso. Impacciata, imbranata, goffa e inopportuna, ecco cos’era. 
    A Rigel ricordava singolarmente nonno Oliver con la differenza che Oliver Baston era stato un famoso campione del mondo di Quidditch e l’allenatore della nazionale irlandese. Era decisamente troppo appiccicaticcio, sì, ma lo sopportava per amor di nonno Marcus.
    La gente imbranata o eccessivamente espansiva o che provava ad imporgli simpatia gli faceva venire la pelle d’oca. Escluso i suoi genitori, non andava particolarmente d’accordo col resto della famiglia, forse perché erano tutti troppo felici, allegri, affettuosi. Grifondoro sì, era quello il problema. 
    Ovviamente faceva eccezione suo nonno Harry perché era… Harry Potter! Al Salvatore del mondo Magico si perdonava qualsiasi impaccio o timidezza: solo quello bastava a portarlo in cima alla sua lista dei preferitissimi. Valeva la pena fare di cognome Potter solo per poter dire di essere il nipote del Prescelto. 
    E poi era il padre di suo padre, era impossibile che avesse difetti!
    I genitori di suo padre Scorpius erano quelli che vedeva più spesso e sì, erano decisamente invadenti, ma votavano la loro esistenza alla realizzazione di ogni più piccolo desiderio quindi, cosa poteva dire contro di loro? E poi suo nonno Draco era come Mida: qualunque cosa toccasse diventava oro, come faceva a non ammirarlo?
    Gli altri nonni erano decisamente troppo (e troppo anonimi) per interessarlo. Era gentile ed educato con loro perché gli era stato insegnato così, e perché i suoi genitori ci sarebbero rimasti male, ma la loro lontananza non gli procurava particolare angoscia, anzi! 
    Li vedeva due volte l’anno ed era già tanto.
    Faceva eccezione zio Ian che usava ogni scusa buona per andarli a trovare, ma rimaneva al massimo due giorni. 
    “New York è fantastica, ma è troppo inquinata” diceva. “Mi si rovinano i polmoni.”
    “Ha paura che Louis si abitua alla sua assenza. Quello o che qualcuno lo rapisca.” Obbiettava suo padre James. 
    In ogni caso le visite di zio Ian non erano sgradite: portava sempre regali bellissimi e passava la metà del tempo a trascinarli da un negozio all’altro comprando qualunque cosa per se stesso, per lui e suo padre Scorpius e per chiunque gli venisse a mente. Chiunque avrebbe sopportato i suoi isterismi solo per tornare a casa con il tassista magico che doveva fare tre o quattro viaggi per portare dentro tutti i pacchetti; peccato che spesso ad accompagnarlo c’era quella lagna di suo fratello!
    Quella, invece, andava a trovarli un paio di volte l’anno. E insieme agli abbracci schiacciossa di nonna Molly e le chiacchiere di zia Lily o la risata stridula di nonna Ginny, era la cosa più irritante a cui dovesse sottostare. 
    Non capiva proprio con che criterio i suoi l’avevano scelta come materiale biologico o, quello che era. La salvava solo lo status di sangue e il padre figo – l’altro padre faceva parte del pacchetto e, ok, se lo teneva –, ma lei era un caso disperato…
    E Rigel sentiva chiaramente quanto anche lei fosse a disagio in sua presenza. Come se lui fosse l’effetto collaterale del passare un po’ di tempo con i suoi. E ok, poteva anche capirlo, era reciproco, ma chi voleva imparare a conoscerla prima che andasse a Illvermory? Lui no di certo!
    Aveva capito benissimo che c’era qualcosa che non andava con suo padre Scoprius e non volevano dirglielo, non volevano farlo preoccupare e lui non voleva far preoccupare loro, di conseguenza, l’unica con cui potesse prendersela, era quella. 
    Ovviamente era troppo ben educato per fare capricci e scenate e poi, non avrebbe ma dato agio a quella di lamentarsi con i suoi genitori, ma non aveva nessuna intenzione di essere collaborativo e accettare le sue proposte per passare il tempo. 
    Voleva tornare a casa sua.
    Dai suoi papà.
    E sperava che andasse tutto bene.


Sam stava lavorando su alcuni documenti che gli erano stati spediti via mail dal suo assistente. Sì, aveva voluto un assistente Nato Babbano e avvezzo alla tecnologia perché questo le permetteva di poter lavorare, anche se era in vacanza. 
    Se si svegliava alle quattro del mattino aveva tre ore di produttività e Rigel, come un bravo bambino, andava a dormire alle dieci, e fino a mezzanotte erano altre due. Quattro ore di sonno erano più che sufficienti: il sonno era un lusso sopravvalutato mentre cinque misere ore di lavoro erano il minimo sindacale.
    La verità era che le vacanze erano per i lavativi e non avrebbe mai permesso a se stessa di non controllare che tutto fosse sotto il suo controllo.
    C’erano persone che criticavano chi vivesse del loro lavoro e poi quelle erano le stesse che avevano dedicato la vita a compagni e famiglia, e magari i figli erano cresciuti e i compagni se n’erano andati con ragazze di dieci anni più giovani e si erano ritrovati nulla in mano. 
    Il suo lavoro non le avrebbe mai messo le corna, né l’avrebbe mai delusa se non fosse stata lei stessa a fallire e quello non era assolutamente contemplato. Era brava in quello che faceva, anzi, no, era la migliore. Si circondava di giovani ambiziosi, ma non aveva remore a metterli gli uni contro gli altri per capire chi fosse più bravo – o più meritevole o, peggio, se ci fosse qualche talpa – e tutto il suo tempo libero lo dedicava a studiare per essere quanto più autosufficiente possibile.
    Mentre stava ricontrollando per la seconda volta il rendiconto giornaliero, un leggero rumore attirò la sua attenzione. 
    “Rigel.” Controllò l’orologio. Le sei. Si tolse gli occhiali da lettura fissò il bambino avvolto nel suo costoso pigiama celeste polvere. “Tutto bene? Hai avuto un…” Si arrestò, cosa avevano i bambini di solito? “Hai avuto un incubo?”
    Lui imbronciò le belle labbra e poi scosse il capo. Era evidente che fosse preoccupato, ma non aveva nessuna intenzione di condividere i suoi pensieri con lei. 
    Ecco perché non poteva fare la mamma a tempo pieno: i ragazzini erano decisamente problematici, per lei era meglio un lavoro a tempo pieno che almeno sapeva fare e non le faceva venire l’ansia. 
    “Hai fame? Vuoi fare colazione?” Propose, a disagio, ma Rigel scosse il capo. “Stai bene?”
    “Certo.”
    Lei sospirò. In quei giorni aveva provato a ignorare la cosa, a mantenere la versione di James e Scorpius, ma era evidente che Rigel sapesse e che il ragazzino si sforzasse – con loro– di mostrarsi tranquillo, sereno e apparentemente ignaro.
    “Un giorno sarai un Serpeverde coi fiocchi e forse imparerai a mentire per bene, ma non è questo il giorno.”
    Rigel le rivolse uno sguardo corrucciato. “Perché?”
    “Perché so che lo sai ed è stranamente Grifondoro, per te, questo tuo modo di affrontare la cosa, anche se fulminare me con lo sguardo e detestare ogni momento non aiuterà. In ogni caso, i tuoi genitori torneranno presto e forse sarebbe meglio se chiedessi a loro di parlarti di come stanno le cose: tu ti tranquillizzerai e loro impareranno a trattarti in modo diverso.”
    Rigel sembrò pensarci poi annuì e Sam considerò una vittoria personale che non la mandasse a quel Paese. Non si azzardò a sorridergli – era ancora troppo spaventata per farlo – ma lo osservò guardare la tavola colma di fogli su cui aveva trasferito le mail con un semplice incantesimo. 
    “Cosa fai?” Le chiese, sopraffatto dalla curiosità.
    Quella domanda la sorprese. “Oh! Nulla, approfittavo che dormivi per sbrigare alcune cose di lavoro” fece, ripescando i fogli. Li rimise in ordine con attenzione, per macro e micro sezioni, allineando con cura i fogli. 
    Rigel osservava con una curiosità che non gli aveva visto negli ultimi tre giorni. “Cos’è?” Chiese indicando uno dei report che stava leggendo.
    “Una relazione sulla produzione mensile di Galeoni, Falci e Zellini in base all’esigenza del Paese e alle regole europee.”
  "E quello?"
    "Una proposta di legge per aumentare la pena per chi mette in circolazione oro dei lepricani."
    “Le stai studiando?”
    “Sì, le devo approvare.”
    Rigel sollevò le sopracciglia. “Tu?”
    “Sì, io. Perché?”
    “Non lo so. Fa parte delle tue mansioni?”
    Fu il turno di Sam di sollevare le sopracciglia. “Questo e molte altre cose."
    “È un po’ impegnativo per una segretaria.”
    Una segretaria?! L’espressione basita di Sam dovette sorprendere Rigel, che aggiunse: “Zio Ian ha detto che lo sei. La sua segretaria. Che questo fai alla banca.”
    “Ha detto così? Quello stronzo! La segretaria, gli faccio vedere io.” Recuperò il cellulare e fece segno a Rigel di stare zitto. Adesso era questione di principio. 
    Cercò il numero e avviò la videochiamata.
     Nate rispose al primo squillo.
    “Ciaoooo!” Le sorrise. Se non fosse stato per qualche piccola differenza – occhi a mandorla, capelli di un castano più chiaro, naso all’insù – la somiglianza con Ian sarebbe stata inquietante. Una somiglianza solo fisica perché Nate non aveva le ansie, le sovrastrutture e tutti i tormenti di Ian. Un Nott felice era quasi un abominio, almeno è quello che diceva Ian, ma sembrava tutt’altro che insoddisfatto di tale esito. I due erano molto uniti, tanto che Nate preferiva trascorrere tempo con Ian e Louis piuttosto che con sua madre, con cui aveva comunque un bellissimo rapporto. 
    “Ciao, tesoro.” Andare d’accordo con Nate era facile: era dolce, affettuoso, allegro. “Mi passi quel finocchio di tuo fratello?”
    Nate rise ma Rigel spalancò gli occhi. “Non si dice quella parola!” 
    “Io posso. Specie con Nott.” Precisò Sam e, dall’altra parte dello schermo, il sorriso di Nate si allargò.
    “Te lo passo subito!”
    L’inquadratura si mosse, vide la scala in legno consumato di VillaAlMare, la casina sulle dune della Cornovaglia in cui Louis e Ian vivevano. 
    Sentì la voce di Nate dire: “Ehi, è per te!” E Ian replicare qualcosa di indefinito e, ancora, Nate rispondere: “È Sam, e penso che sei nei guai.”
    “Ci puoi giurare” replicò Sam. Ancora immagini confuse e una specie di grugnito seguito dalla voce di Nate. 
    “Ian, più lontano. Così vedono tutti i peli che hai nel naso.”
    “Io non ho peli nel naso” replicò il fratello scostando però lo schermo. 
    Ian Nott sembrava fermo ai suoi diciassette anni. Tutti erano cambiati, affinati, diventati più grandi. Anche Scorpius che sembrava sempre un po’ sospeso in quell’età tra l’adolescenza e l’età adulta aveva una luce diversa negli occhi – e, rispetto a dieci anni prima, almeno sei o sette kg in più e in generale un aspetto molto più sano. James era un uomo fatto e finito, anzi, sembrava persino più grande e lo stesso Louis con quell’aspetto selvaggio – e talmente attraente che Sam l’odiava solo perché gay. Louis Weasley, la prima meraviglia del mondo, completamente disinteressato alle ragazze e, anzi, in realtà completamente disinteressato a chiunque non fosse il suo compagno. 
    Le botte di culo capitavano sempre a chi non se le meritava. Doveva odiare Ian, non Louis.
    Ian che l’aveva definita la sua segretaria. 
    Ian che aveva ancora la stessa espressione di sfacciata impertinenza di quando aveva diciassette anni. 
    “Tesoro, ciao, come stai?”
    “Hai detto al ragazzino che sono la tua segretaria” tagliò corto lei. 
    “Devi farti le sopracciglia, Sam”
    “Ian!”
    “Cosa?!”
    “L’hai detto?”
    “Ciao, zio!” Rigel si avvicinò a lei per entrare nell’inquadratura. 
    “Ehi, campione! Eh, non mi ricordo, ma è una cosa che potrei aver detto.”
    Sam sorrise. “Perfetto. La tua segretaria ti ha appena tagliato l’assegno mensile.”
    Ian rise. “Dai, Sam.”
    “Fatti bastare le camicie fino a Natale.”
    “Ma sei seria? Stavo scher–“
    Gli attaccò il telefono. “Bastardo” commentò mentre il telefono cominciava a squillare. Ovviamente lo ignorò, ma osservò Rigel che intanto la guardava stupito.
    “Puoi farlo davvero?”
    “Certo. Io sono l’amministratore delegato della Gringott.”
    “Davvero?!”
    Sam riprese a riordinare i documenti, ignorando le anteprime dei messaggi che comparivano sulla schermata del suo telefono. “Sì.”
    “Ma credevo che la Gringott fosse di zio Ian.”
    “Sì, ma lui odia la Gringott e la burocrazia e i conti e, insomma, è un idiota: tu lasceresti mai che qualcuno si occupasse dei tuoi affari?” Rigel scosse il capo. “Neanche io, è un cretino, e non faccio altro che ripeterglielo, ma lui dice che non lo tradirei mai, ed è vero, sono leale – vendicativa, ma leale – ma potrei perdere la testa, un giorno, che ne sai? In ogni caso, tu, non fidarti mai di nessuno quando si tratta di soldi. Capito?”
    Lui annuì. “Lo dice anche mio nonno Draco. Lui dice sempre che un giorno mi occuperò io degli affari dei Malfoy e che sono la sua sola speranza perché al mio papà non interessa.”
    “Stupido anche tuo padre.” Rigel sembrò risentito, ma lei non ritrattò. Amava Scorpius e come Rigel tendeva ad ignorare i suoi difetti, ma c’erano e questo non avrebbe cambiato le cose. La verità a volte era dura, dolorosa, ma faceva crescere. 
“Se c’è una cosa che mi ha insegnato mia madre è che non bisogna mai dipendere da nessuno che sia un genitore, un figlio, un compagno… da nessuno. Che poi, puoi continuare ad amare e ad essere leale, quello è giusto, così si fa, ma essere autosufficienti rende liberi di scegliere chi amare e da chi farti amare.”
    “Non ti facevo così.” Rigel la guardava con gli occhi verdi sgranati e Sam si perse qualche secondo.
    Lei rise. “Lo immagino. Ma non è che io e te ci conosciamo tanto” ammise, a malincuore. 
    Rigel dovette concordare. Sembrò un attimo incerto, poi annuì e si sedette accanto a lei. “Vero. Di che si occupa il tuo lavoro?” Le domandò. 
    Lei sorrise. “Mettiamola così: tuo nonno ha i soldi, io i soldi li faccio.”
    Quell’immagine sembrò colpirlo. “Ti posso aiutare?”
    “Bene, ragazzino. Metti in ordine questi fogli, guarda bene la data: dal più vecchio, al più nuovo. Sono report generali.”
    Rigel prese i bilanci tra le dita. “Dalla data più vecchia a quella più recente?” Ripetè. 
    Sam annuì, osservando il suo ragazzino stendere con le piccole dita i fogli sul tavolo e studiare le date. 
    Sorrise. Non aveva avuto una madre convenzionale e non poteva esserlo per quel bambino, ma forse poteva avere con Rigel un rapporto migliore di quello che lei aveva avuto con Galatea. Non era la sua mamma, ma gli voleva bene e sì, forse poteva insegnargli qualcosa che nessun altro poteva.
    E magari quello era solo il primo di tanti anelli. Di un legame che forse sarebbe durato per sempre. 

Note. 
Sono tornata con questa Os che mi ha bloccata per giorni e giorni (questo e altre cose che non sto qui a raccontare), è una storia strana che avevo voglia di raccontare e non so se ci sono riuscita come volevo io. Non lo so davvero. 
Però mi ha fatto bene. Questo è un perido particolarissimo per me e il mio inconscio si è legato molto alla mia Sam e a questo momento. Sam, la mia ragazza impavida, la mia ragazza speciale e diversa, anticonvenzionale, forte, insicura, imbranata, bellissima, di successo. Io la amo. E amo il suo essere non-mamma che però si interessa comunque al suo ragazzino <3
Spero che questa Os senza pretese vi sia piaciuta. Per i lettori di VdD c'è qualche spoiler. 
Un sorriso.

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