Gloire éternelle

di Severa Crouch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Esuli ***
Capitolo 2: *** La prima prova ***
Capitolo 3: *** Persino i corvi trovano un compagno ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Seguire il filo - pt. 1 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Seguire il filo pt. 2 ***
Capitolo 6: *** Di figlie e di padri ***



Capitolo 1
*** Esuli ***


Capitolo 1 - Esuli


 

Parigi, 31 agosto 2017

L’aria dolce di fine agosto rendeva difficile dover rinunciare al lento gironzolare per le strade del Marais insieme ai fratelli e ai cugini. A Parigi, la magia non era condensata in un solo luogo, come aveva spiegato zio Rabastan, ma era diffusa lungo tutta la città così che i maghi sorvegliassero i Babbani e non li lasciassero liberi di ordire trame alle loro spalle. Era stata un’idea di Grindelwald, aveva spiegato lo zio nel corso delle lezioni di storia, quella vera, quella che non era finita sulle cronache ufficiali ché la storia la scrivono sempre i vincitori.

Così, se il Ministero della Magia e il suo quartier generale era concentrato sulla collina di Montmartre, nei pressi di Rue des Trois Frères, altre zone magiche si trovavano dall’altra parte della Senna, nel Marais, o a Saint Germain e persino vicino la Bastille di cui non c’era più traccia, ma che ricordava a tutti i Purosangue che i maghi possono anche far decapitare i Re se questi oltrepassano il limite e favoriscono le persecuzioni dei maghi e, soprattutto, provano a mettere le mani sui loro tesori.

Parigi era così ricca di storia e di bellezza che ogni anno, la settimana prima della partenza per Beauxbâtons, i cugini Lestrange si ritagliavano del tempo per girare tra le vie della città insieme. 

In quei giorni, Orion, il loro fratello maggiore, chiedeva qualche giorno di ferie al Ministero della Magia francese per girare insieme a Roland e Cyrille. Orion era il figlio del primo marito della mamma, Barty Crouch jr., un Mangiamorte valoroso, morto in guerra, proprio come Bellatrix, la prima moglie di papà. Roland aveva solo vaghe idee di cosa fosse accaduto durante la guerra perché i suoi genitori non parlavano mai di quei tempi, e nemmeno Orion gli aveva raccontato molto, a parte la paura continua di rimanere senza la mamma e quanto fosse felice quando vedeva Rodolphus. Orion di quei tempi ricordava solo che aveva chiesto a Rodolphus se poteva essere il suo papà e se gli avesse trovato dei fratelli. Quando Roland era nato, poi, tra i due era nata un’intesa così forte che la seconda parola di Roland era stata proprio Orion, tanto cercava il suo fratello preferito. Nemmeno con Roddie e Rab era nata una simile intesa.

Così, se loro tre curiosavano tra i negozi di Quidditch alla ricerca degli ultimi modelli di scopa o di mazze (Roland giocava come Battitore nella squadra di Quidditch della scuola insieme a Cyrille e Rabastan), Rabastan si perdeva tra le librerie di Saint Germain e, a dispetto dei suoi quindici anni, quasi si mescolava tra gli universitari che affollavano i café, discutendo di letteratura e filosofia. Infine, Roddie girava tra gli antiquari, alla perenne ricerca di un regalo che potesse sorprendere la mamma.  Insieme a loro, la cugina Philoméne si alternava tra i negozietti che incuriosivano Roddie e le librerie che piacevano a Rab. 

Quello che stava per iniziare sarebbe stato l’ultimo anno per Roland e Philomène, entrambi incerti sul percorso da seguire dopo l'Académie de magie. L’ultima sera l’avrebbero trascorsa insieme nel grande appartamento dei Lestrange in Place de la Madeleine, in attesa di partire il giorno successivo dalla Gare du Nord alla volta della loro scuola. 

Appena superata la porta di casa, vennero accolti da Polly, la loro elfa domestica che corse a sistemare i loro soprabiti. 

“Vi siete divertiti, padroncini?” domandò loro facendo un inchino. 

“Moltissimo!” esclamò Rabastan.

“Dov’è la mamma?” domandò Roddie. 

“Madame Alexandra è con Madame Pucine in salotto, padroncino.”

Roddie e Philomène si scambiarono uno sguardo complice e sgusciarono in avanti, diretti in salotto quasi urlando: “Maman!” e travolgendo Roland e Cyrille al loro passaggio. “Se faccio loro lo sgambetto, dici che se lo sono meritati?” gli domandò Cyrille strappandogli una risata. 

“Io eviterei, tuo padre ci osserva,” intervenne Orion che aveva intravisto zio Rabastan affacciarsi in corridoio per controllare la situazione. 

 

***

 

La mamma era seduta composta sul divano del salotto, intenta a chiacchierare con zia Pucine. Roddie si soffermò ad osservare la figura elegante, i boccoli castani ordinati, il modo vivace con cui chiacchierava. 

Era così emozionato, sperava che il regalo che le aveva comprato le piacesse, voleva che la mamma avesse qualcosa di suo anche mentre lui era a scuola. Così, insieme a Philomène avevano acquistato per le loro madri dei foulard di seta dipinta a mano da un artigiano del Marais che aveva un negozietto pieno di meraviglie. 

“Siete tornati!” esclamò Pucine allegra. Le due mamme posarono le loro tazze di tè sul tavolino di fronte loro. Il sorriso di Roddie si allargò quando incontrò lo sguardo della mamma. Dietro la schiena teneva il pacchetto regalo e il cuore gli batteva per l’emozione.

Philomène lo anticipò e annunciò solennemente: “Vi abbiamo preso un cadeau!” Porse il suo pacchetto avvolto in una carta celeste come gli occhi di zia Pucine e la zia iniziò a sfilare il nastro con l’espressione sorpresa. Roddie imitò la cugina e porse il regalo alla mamma aggiungendo: “Così non sentirete la nostra mancanza quando saremo a scuola e ci penserete!” 

“È impossibile non sentire la vostra mancanza, la casa diventa così vuota!” La mamma aprì il pacchetto incuriosita e Roddie notò il modo in cui le sopracciglia si sollevarono e la bocca si spalancò in un sorriso incredulo: “Roddie, ma è bellissimo! Sono senza parole!” Philomène precisò: “Roddie ha scelto i colori e le fantasie. Ha detto che il celeste sarebbe stato benissimo alla mamma per via degli occhi e che zia Alex avrebbe adorato questi decori verdi e bianchi.”

“Sono dipinti a mano!” aggiunse Roddie prendendosi il bacio che la mamma insistette per dargli come ringraziamento per quel pensiero dolcissimo. “Mi penserai, mamma?”

“Sempre, pulcino mio!” La mamma alzò lo sguardo e osservò tutti loro. I suoi fratelli erano appena arrivati nel salone. “Mi mancherete tutti voi, persino Orion quando il fine settimana dice di non aver tempo per venire a pranzo a casa.”

“Mamma, ti prego…” 

Il resto della serata trascorse in modo caotico: zio Rabastan aveva deciso di lanciarsi nel racconto delle sue avventure giovanili in Costa Azzurra insieme a papà e a un tale Evan Rosier, un loro amico morto in guerra. Cyrille e Roland avevano deciso di mettere del loro in quello che era un racconto di per sé imbarazzante e continuavano a fare domande per avere maggiori dettagli. Orion si teneva la pancia per il troppo ridere insieme a Rabastan, mentre Philomène si ritirò in camera propria per finire di preparare le ultime cose in vista della partenza.

L’indomani sarebbero tornati a scuola: Roddie avrebbe iniziato il sesto anno, Philomène e Roland il settimo, mentre Rabastan e Cyrille il quinto anno. Avrebbero preso il diretto che alle 12.00 in punto partiva dalla Gare du Nord diretto all’Accademia di magia di Beauxbatons. Il treno attraversava la Francia in circa cinque ore ed era ironico dover arrivare a Parigi con una Passaporta per prendere un treno che li avrebbe portati a scuola sui Pirenei, a poche ore di treno da Bordeaux. Fortunatamente, Parigi valeva sempre una visita e il viaggio con i cugini, dopo tutto, era quanto di più divertente potesse esserci.

Cyrille entrò nello scompartimento dopo essersi fatto il giro del treno alla ricerca di nuovi pettegolezzi. “Se ti interessa, Roddie, Sophie Dupont si domandava se tu fossi aperto all’idea di una reazione.”

Roddie abbassò la sua copia de Le Cri de la Gargouille e osservò il sorriso obliquo del cugino che non prometteva nulla di buono. Sospirò: “Io sono apertissimo all’idea di una relazione con una strega Purosangue che non mi faccia vergognare. Purtroppo Sophie, con le sue maniere approssimative, non rientra nel mio genere.”

“Nemmeno una Veela rientra nel tuo genere,” notò Cyrille.

“Soprattutto una Veela, ho parlato di una strega Purosangue! Lo stato di sangue è il minimo da cui partire.”

“Nominami una strega che non sia tua madre che possa avvicinarsi.”

“Philomene,” lo disse senza pensarci troppo e sua cugina si sorprese tanto quanto Cyrille, al punto che Roddie si affrettò a precisare: “ Non che voglia sposarla, è solo la prima strega impeccabile che mi è venuta in mente.” Philomène gli sorrise lusingata e Roddie scrollò le spalle, come se avesse detto qualcosa di ovvio. 

Quando il sole iniziò a scendere, la linea dell’orizzonte iniziò ad frastagliarsi seguendo la sagoma dei Pirenei. L’ultimo tratto di treno, inerpicandosi tra i tornanti delle montagne, era sempre particolarmente impervio per gli studenti che soffrivano di stomaco, se non fosse stato per gli incantesimi anti-nausea che proteggevano i vagoni del treno. Scesero nella piccola stazione collegata alla scuola da uno stretto sentiero di ghiaia che attraversava i giardini dell’Accademia. Presto avrebbero visto l’ingresso. Si poteva sentire l’eccitazione dei primini, il chiacchiericcio allegro degli altri studenti che finalmente si ritrovavano dopo le vacanze estive. 

Lentamente, quasi a seguire un’abitudine, gli studenti si divisero in due gruppi: a destra le ragazze, a sinistra i ragazzi. Così ordinati, nelle loro uniformi di seta azzurra, si ritrovarono di fronte la grande fontana dorata che prometteva grazia ed eleganza, mentre di fronte il grande portone di legno intarsiato, la loro preside, Madame Maxime, li attendeva insieme ai professori.

“Benvenuti ai nuovi arrivati e bentornati a tutti voi!” 

Roddie tirò una gomitata a Rabastan che continuava a ignorare il mondo intorno a sé per leggere il suo stupido romanzo. “Stai attento!” lo rimproverò indicando il modo in cui Madame Colette Fournier, la professoressa di Difesa contro le Arti Oscure, lo stava osservando. Ricercò con lo sguardo Roland che, invece, era concentrato sulla figura della preside, proprio come Cyrille e, dall’altra parte del cortile, Philomène.

“Questo sarà un anno molto speciale per tutti voi,” esordì la preside. “Il Ministero della Magia e la Confederazione Internazionale dei Maghi hanno deciso di indire il Torneo Tremaghi!”

Un mormorio eccitato si diffuse tra gli studenti. Roland si scambiò uno sguardo con il suo compagno di dormitorio Didier. 

“La scuola di Hogwarts, come la volta scorsa, ospiterà l’evento che terminerà nell’anniversario dei venti anni dalla fine della guerra dei maghi.”

Roddie si scambiò uno sguardo con Rabastan ed entrambi notarono come gli occhi marroni di Roland si incupirono.

“Il Torneo Tremaghi è una tradizione magica che negli anni ha visto un elevato numero di partecipanti rimanere ferita. Quest’anno verrà celebrato in un’edizione tutta speciale: ogni scuola avrà tre campioni, scelti tra gli studenti maggiorenni, e ciascuno di essi porterà lustro e gloria alla propria scuola affrontando una prova. Avrete una sola chance per mostrare la vostra abilità di fronte al mondo magico, una sola occasione per brillare. Confido che saprete dare onore alla nostra prestigiosa accademia!”

Nel refettorio il chiacchiericcio aumentò di intensità. Roddie radunò i fratelli e venne raggiunto dai cugini. “Avete sentito?” domandò Cyrille “si va in Inghilterra!”

“Tra traditori e Sanguemarcio. Nel paese da cui i nostri genitori sono fuggiti, e noi dovremmo festeggiare? Cosa? Non c’è niente da festeggiare con persone che vogliono sbattere i nostri genitori in prigione,” si lasciò sfuggire. Roland sembrava nervoso. Si guardava intorno per essere certo che non li stessero ascoltando. “Roddie, sai che non possiamo parlare di queste cose.”

Philomène sospirò. Prima di congedarsi e tornare dalle sue amiche disse a Roland: “Rimane il fatto che tuo fratello ha ragione.”

 

***

 

30 ottobre 2017

 

C’erano stati scambi di lettere nei giorni seguenti. I gufi avevano fatto avanti e indietro tra l’accademia, casa sua nella Loira, casa di zia Alex in Borgogna. C’erano state anche riunioni e strategie messe a punto.

Secondo Nadine, la sua migliore amica, avrebbe dovuto godersi la vacanza in Inghilterra e smetterla di pensare agli inglesi. Secondo Madame Fournier, doveva partecipare, perché era una studentessa modello e se ambiva a diventare un’insegnante, un prestigioso torneo internazionale di magia era il luogo ideale per dare prova dei propri poteri. Cyrille proponeva di boicottare il Torneo, Roddie di presentare istanza per rimanere a scuola ché andare in Inghilterra avrebbe significato accettare la sconfitta dei loro genitori. Roland, infine, aveva guardato tutti con gli occhi scintillanti di ambizione ed esclamato: “Io partecipo, che non si dica che i Lestrange sono vigliacchi.”

Così, spinti dalla determinazione di Roland, avevano fatto un patto: ciascuno di loro si sarebbe iscritto, ad eccezione di Rab e Cyrille che non avevano raggiunto l’età per partecipare.

Fuori dalle carrozze il cielo grigio della Scozia li attendeva minacciando pioggia. L’enorme carrozza volante dell’Accademia volteggiava in tondo seguendo le manovre per atterrare. “Speriamo che non sia troppo duro come atterraggio!” esclamò Nadine.

Philomène sorrise nervosa. Stava per mettere piede in un posto pieno di storia. Su quei prati, suo padre, proprio nell’anniversario che il mondo magico intendeva celebrare, aveva giurato che con quel paese avrebbe chiuso.

La prima cosa che la colpì fu il freddo pungente e il vento che agitava la sua bella uniforme. Gli studenti inglesi, avvolti nei loro spessi mantelli di lana, li osservavano incuriositi mentre le nubi si addensavano e un tuono annunciava che di lì a breve avrebbe iniziato a piovere.

“Benvenuti!” esclamò la Preside della scuola inglese. “Io sono Minerva McGonagall, la preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts! Prego, seguitemi nella Sala Grande dove potremo ripararci dalla pioggia e stare al caldo.”

Un vento tiepido si sollevò dalla bacchetta della preside e avvolse tutti loro come una sciarpa calda in grado di ripararli dal vento gelido finché non furono entrati nella scuola dove un piacevole tepore li accolse. Intorno a Philomène, pareti di pietra, armature e torce appese alle pareti sembravano riportarla all’epoca medievale. Oltrepassato un grande portone, sotto una volta che riproduceva il cielo esterno, vi era la Sala Grande, dove quattro lunghe tavolate ospitavano gli studenti di Hogwarts. Philomène cercò istintivamente il tavolo di Serpeverde, la Casa che era stata di suo papà, e non si sorprese nel constatare che anche i suoi cugini la osservavano dandosi delle gomitate perplessi, incerti su dove sedersi.

“Io non mi siedo con i Grifondoro!” esclamò Roddie sottovoce.

“Venite, andiamo a prendere posto tra i Serpeverde,” li guidò Roland che si avvicinò a un ragazzo moro dagli occhi azzurri come il cielo di primavera e domandò: “Vi dispiace se ci sediamo qui? I nostri genitori hanno frequentato Hogwarts ed erano in questa casa.”

“Prego.” Il ragazzo moro porse la mano a Roland e sembrò fare gli onori di casa: “Benvenuti in Serpeverde, io sono Lance Rosier.”

“Roland Lestrange, e questi sono i miei fratelli, Rodolphus e Rabastan, e i miei cugini Philomène e Cyrille.”

Il volto del ragazzo sembrò illuminarsi come se una sorpresa inattesa gli fosse capitata sotto gli occhi: “Lestrange? Come…” abbassò la voce, “Bellatrix Lestrange?”

Roddie alzò gli occhi al cielo e sospirò annoiato: “Non era una Lestrange, era una Black, e sì, è stata la prima moglie di nostro padre.”

Philomène fu incuriosita dal cognome del loro nuovo amico, lo aveva già sentito nei racconti di suo padre. “Rosier come… Evan Rosier?” gli domandò. Lance annuì orgoglioso: “Sono un suo discendente ed è veramente un piacere conoscervi! Bentornati a casa.”

“Siamo solo di passaggio,” si affretta a precisare Roddie, “questa non è la nostra casa.” Philomène nota la sorpresa di Rosier, le sue sopracciglia si alzano incuriosite. “Sapevo che i Lestrange fossero fuggiti come vigliacchi, ma addirittura ripudiare il nostro paese…” I cugini e suo fratello si alzano in piedi in sincrono e se Cyrille e Roddie estraggono la bacchetta, Roland e Rabastan cercano di riportare la calma. 

“Piano con le parole,” gli intima Roland. “Non accettare i compromessi e la decadenza non significa essere vigliacchi, ma mantenere l’onore.”

Lance si lascia andare a una smorfia sarcastica e Philomène tira il braccio di Roddie e gli dice: “Andiamo a sederci da un’altra parte.” Indica un tavolo di ragazzi dalle uniformi con i profili blu, un’aquila è il loro animale simbolo e forse possono essere più ospitali di quella che fu la Casa dei loro genitori. Zia Alexandra, dopo tutto, non si è mai lasciata andare a ricordi nostalgici sui tempi di Hogwarts.

Dal tavolo dei professori, Madame Maxime ha seguito tutta la scena e Philomène non vuole iniziare l’anno con il piede sbagliato. Sarà un’edizione speciale del Torneo Tremaghi, tre campioni per scuola, perché i tornei e le battaglie non si vincono da soli, spiega Kingsley Shacklebolt, il Ministro della Magia inglese prima di tracciare una linea dell’età ed esporre il Calice di Fuoco, l’artefatto magico che sceglierà i campioni per ciascuna scuola tra gli studenti che hanno inserito il proprio nome all’interno. 

 

***

 

Dopo cena, prima di tornare nella carrozza, Roland si trattiene con i fratelli e i cugini in Sala Grande. Tra le pareti in cui sono cresciuti i suoi genitori, prova a immaginarne la presenza. Osserva il tavolo di Serpeverde e forse riesce a immaginare sua madre intenta a leggere la Gazzetta del Profeta, o suo padre che scherza con zio Rabastan. Non credeva, però, che l’incontro con gli inglesi potesse essere tanto spiacevole, dar loro una lezione e ricordare la grandezza dei Lestrange è qualcosa che gli solletica la mente. Sa che sarà un campione di Beauxbatons, lo ha visto nei suoi sogni e persino le foglie di tè quella mattina hanno confermato il pronostico. Infila le mani in tasca alla ricerca di qualcosa su cui scrivere il proprio nome.

Fissa la pergamena. Le sue dita ne accarezzano la superficie porosa e spessa mentre ritaglia qualche ultimo momento di riflessione intima.

“Paura?” domanda Cyrille che non ha mancato di notare la sua esitazione.

“No. Voglio ricordare bene il momento in cui ho raccolto l’eredità di famiglia.”

La piuma di corvo traccia il suo nome senza esitazione: Roland Lestrange.

 

***

 

A differenza di suo fratello, non ha un’eredità da raccogliere, ma solo disprezzo verso un mondo che li ha costretti all’esilio. Rodolphus scopre che la rabbia gli attraversa le vene e sibila parole oscure in una lingua che non credeva di conoscere. 

La piuma tratteggia il suo nome sulla pergamena e gli sembra di rispondere sì a una chiamata alle armi. 

Rosier, Malfoy, Avery, Mulciber, sono cognomi che ha sentito nominare, famiglie che hanno negoziato la resa e accettato di riconoscere un Ministero che calpesta le tradizioni e che vuole far scomparire i Purosangue. 

Sospira, oltrepassa la linea dell’età sotto lo sguardo ammirato di Rab. Lascia scivolare il suo nome nel Calice di Fuoco. 

In quel momento, la Borgogna gli sembra più lontana che mai. 

 

***

 

Se chiude gli occhi vede lo sguardo fiero di suo padre il giorno che lo ha disarmato, c’è Madame Fournier che le consegna il diploma e le conferma che sarà un’ottima insegnante. Non le importa niente del passato, di un paese ingrato e decadente, di una sconfitta che continua a bruciare sulla pelle della sua famiglia. 

Lei ha sempre guardato al futuro, il suo, alla strada che ha scelto e alla magia che le scorre potente nelle vene e preme perché venga liberata. Quasi la sente fuoriuscire insieme all’inchiostro mentre firma: Philomène Lestrange.

Avanza a testa alta, tra compagni di scuola e cugini, sotto lo sguardo orgoglioso di suo fratello Cyrille. Si scambiano un sorriso prima di inserire il nome all’interno del Calice di Fuoco, il primo passo verso la grandezza.






 

 

Note:

Grazie per essere arrivati fin qua! 

Il personaggio di Lance Rosier non mi appartiene, è di Bluebell9 che mi ha gentilmente concesso di usarlo (io le ho concesso di usare i miei amati Lestrange). Fa parte della serie “Someone you loved” (leggetela su EFP) e ormai lo considero come un nipotino adottivo a cui sono affezionata.

I nostri personaggi si troveranno a interagire nelle nostre reciproche storie. Non ci siamo organizzate su cosa accadrà, anche i nostri universi narrativi sono ben distinti, quindi per lasciare il massimo spazio di manovra alla creatività di entrambe ci siamo messe d’accordo solo su cose come l’anno di ambientazione, i campioni reciproci e basta. In questo modo, non c’è bisogno di leggere entrambe le storie. 

Personalmente, sono super curiosa di vedere come svilupperà le interazioni tra Lance e i Lestrange nel suo universo narrativo. Come vedete, nel Severa!verse i Lestrange sono piuttosto sulla difensiva e l’incontro non è stato dei migliori, ma credo che superate le reciproche diffidenze, le cose possano migliorare.

In questo capitolo introduttivo ho cercato di presentare i tre campioni: Roland, Roddie e Philomène Lestrange e dare conto di tutte le parentele esistenti tra loro. Ho cercato di evidenziare come e perché sono nati e cresciuti in Francia. Alcuni headcanon su Beauxbatons li ho sviluppati in Giochi pericolosi e spero di mostrarli di più nel corso di questa storia. Non voglio dilungarmi troppo, se avete domande, voglia di commentare o sclerare, sono a vostra disposizione!

Un abbraccio,

Sev

 

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Capitolo 2
*** La prima prova ***


 

Capitolo 2 - La prima prova




Carrozza di Beauxbatons, giardini di Hogwarts, 23 novembre 2017

 

Madame Maxime ha messo in chiaro che, in questa edizione del Torneo, non ci sarebbero stati aiuti da parte dei professori, ma solo l’assicurazione che i docenti sono pronti a intervenire nel caso la situazione sfugga di mano. 

Una magra consolazione per chi brancola nel buio.

“Nella storia del torneo,” dice Cyrille ripercorrendo le cronache passate, “nel 75% delle edizioni, la prima prova consiste nell’affrontare una creatura pericolosa.”

“Basta, Cyrille!” 

Philomène è stremata da quella sfilza di giorni in cui gli allenamenti si sono sommati alle lezioni, perché se si vuole essere Campione Tremaghi, nessuno sconto è concesso. La gloria eterna va conquistata a caro prezzo e l’eccellenza è data dal talento sommato al duro lavoro. 

Agli occhi degli inglesi, gli studenti dell'Académie de Magie de Beauxbâtons sembrano concentrati su aspetti frivoli come l’etichetta e il portamento, ignorano la disciplina severa e gli alti standard di educazione a cui sono sottoposti. 

“Serve una strategia, serve che decidiate chi di voi tre partecipa, e lo dovete stabilire adesso.” Cyrille richiama la sua attenzione, i suoi occhi azzurri scintillano in un modo che sembra mostrare quanto velocemente la sua mente sta correndo. In quel momento, ha la lucidità di chi non è offuscato dalla paura e, da come parla, sembra che per lui sia semplice, quasi fosse la preparazione per un compito scolastico. 

In quella piccola stanzetta che Madame Maxime ha riservato per i campioni, anche per Philomène, facendo uno strappo al divieto assoluto per le ragazze di entrare nelle stanze dei ragazzi, ancorché parenti, Cyrille si alza in piedi e, tra le pareti color carta da zucchero e le tende di lino chiaro, chiarisce la sua posizione. “Domani sarete nel panico ed è importante che, in quella tenda, almeno due di voi siano lucidi e possano supportare il Campione che affronterà la prova.”

“D’accordo, vado io.” Philomène si alza in piedi e raggiunge il fratello. 

“Non esiste, vado io,” esclama Roland alzandosi in piedi. Suo cugino la raggiunge, le prende le mani e afferma solennemente, con lo stesso tono di zio Rodolphus: “Sono il maggiore, è compito mio.” Philomène scuote la testa: “Solo di qualche mese, Ro, non conta.”

Roddie si alza anche lui e con lo sguardo fermo dice loro: “Vado io e non voglio sentirvi discutere in merito.” 

“Ma tu sei il più piccolo,” ridacchia Philomène.

“Sono sufficientemente addestrato, e gli ultimi giorni lo hanno confermato. E poi…” Roddie esita e Philomène quasi sente quanto sta per dire. “Sono il più sacrificabile.”

“No,” lo interrompe. “Questi discorsi non hanno senso.” Philomène sente le lacrime salire verso gli occhi e cerca ad ogni modo di mantenere il controllo. Afferra le mani di Roddie, lui le dice: “Sei l’unica strega in famiglia.”

“Appunto, non trasmetterò il nome dei Lestrange, se c’è una sacrificabile sono io e, per inciso, sono anche la più abile nel duello.”

“Io sono quello che conosce meglio le creature magiche, però!” ribatte Roddie.

“Siamo stati scelti dal Calice di Fuoco, siamo tutti qualificati. Tutti noi siamo in grado di sopravvivere a questa prova. Partecipiamo per vincere, non per andare a morire,” è la posizione di Roland.

“Un bel discorso. Commovente,” lo schernisce Roddie, “ma ti ricordo che durante l’ultimo torneo, le conseguenze sono state gravi e c’è stato un morto. Non posso permettere che ti accada qualcosa, hai idea di come la prenderà papà?”

“E tu, non hai ancora pensato alla mamma? Strano…”

“Smettetela di litigare, voi due!” Rabastan interviene per allontanare i fratelli e sospira. “Ha ragione Cyrille, la chiave è nelle statistiche. Sono tre prove di abilità, la prima ha alte probabilità di essere una creatura magica e, non voglio offendere nessuno, ma Roddie è quello più qualificato.”

“Cosa?” Philomène non riesce a credere a quanto ha detto il più piccolo dei suoi cugini. Cyrille, al suo fianco annuisce. “Sono gli allenamenti che parlano. Siete tutti molto bravi nel duello, conoscete molti incantesimi, ma Roddie è quello che mantiene il sangue freddo davanti alle creature magiche. Ricordate che siete morti due volte perché avete incrociato lo sguardo del Basilisco?” 

“Sì, ma contro i draghi siamo stati grandiosi!” protesta Philomène.

“Anche Roddie,” puntualizza Cyrille. 

Roddie incrocia le braccia e dichiara solennemente: “Allora è deciso. Domani sarò io a sostenere la prova.” Philomène lo osserva raggiungere lo specchio e sistemare la cravatta della sua uniforme, con un rapido gesto della bacchetta sistema i suoi ricci che ora incorniciano elegantemente il suo volto chiaro su cui spiccano due occhi scuri come quelli di zio Rodolphus. Si volta sorridente verso di loro ed esclama: “Allora, andiamo a cena?” Le porge il braccio e domanda, da perfetto cavaliere: “Mi fai da dama, cugina cara?” 

“Posso dire di no al Campione Tremaghi?” scherza Philomène. L’atmosfera è diventata più leggera. Dietro di lei, Cyrille e Rabastan tornano a scherzare: “Secondo voi cosa mangeremo per cena? Pasticcio di piccione?”

“Bleah!” esclama Roland.

Roddie si gira verso di loro e li osserva seriamente: “Non ho idea di cosa mangeremo, ma sappiate che io vi osservo, e vi giudico su come mangerete.”

“Perenelle santissima, proteggici tu!” esclama Roland invocando la fondatrice di Beauxbatons, la compagna di una vita di Nicolas Flamel.

“E infondi grazia ed eleganza in questi zotici,” continua Roddie catturando una risata di Philomène. “A quale tavolo volete sedervi oggi?”

“Io tornerei dai Serpeverde. Dopo tutto, è la casa che ospita più Purosangue.”

“Chissà per quanto lo saranno ancora…” ridacchia Philomène. 

“Cosa vuoi dire?”

“Ho incrociato Rosier qualche giorno fa in biblioteca. Era nascosto tra gli scaffali e una tizia dai capelli rossi, una Grifondoro, credo, gli stava letteralmente mangiando la faccia.” Non ha mai provato tanto imbarazzo come in quel momento, quando si è accorta di essere finita nel posto sbagliato al momento sbagliato. “Certo, lui non sembrava molto contento. Sembrava grato dell’interruzione e ha lanciato un occhio ammonitore alla ragazza che mi ha fulminato con lo sguardo.”

“Oh, Flamel! Una di quelle appiccicose e gelose… Conosco il tipo…” esclama Cyrille che, nei suoi cinque anni a Beauxbatons ha spezzato innumerevoli cuori. Rabastan ridacchia, limitandosi a una smorfia di schifo, quando è Roland che riporta l’attenzione sull’oggetto del racconto. “Sbaciucchiarsi in biblioteca non è una minaccia allo stato di sangue.”

“Pare che la fortunata, se così possiamo definirla, sia una tale Dominique Weasley.”

“Come non detto…” Roland alza le mani e tira fuori un sorriso sarcastico. “Sarà divertente avere a che fare con Rosier d’ora in poi.”

 

* * *

 

Roland cerca di nascondere dietro discorsi futili la preoccupazione che lo divora. Si sente responsabile dei suoi fratelli e una parte di sé continua a rimproverargli di non aver impedito a Roddie di partecipare al Torneo. La verità è che ha sempre sottovalutato il fratello e non avrebbe mai creduto che il Calice di Fuoco potesse sceglierlo.

Osserva Roddie camminare verso il tavolo dei Serpeverde con la sua andatura elegante e si domanda quando ha smesso di essere il bambino che stava attaccato alla gonna della mamma ed è diventato il giovane uomo che porge il braccio a Philomène e le cede il posto migliore sulla panca. A vederli da fuori, qualcuno potrebbe pensare che le premure di Roddie possano essere il preludio di altri interessi, ma Roland conosce fin troppo bene il fratello e la cugina per essere certi che è solo una strategia per combattere l’ansia del confronto con ciò che non conoscono. Tra le mura dell’Accademia si salutano saltuariamente, ma da quando hanno messo piede sul suolo inglese sono diventati inseparabili: fingersi impegnati, dopo tutto, è il modo migliore per non essere raggiungibili dal resto del mondo. Giocano con i pregiudizi e il pudore altrui per difendersi da ciò che non gli piace e che disprezzano.

Roland, invece, non ha paura del mondo esterno. L’Inghilterra lo incuriosisce, è il paese dei suoi genitori e vuole comprendere cosa li ha feriti così nel profondo da indurli a diventare proprio come Roddie e Philomène. È come con la magia oscura, che fa paura se non la si conosce e non si impara a controllarla. E così, lui non allontana Rosier né Flint né Mulciber, ma chiacchiera con loro, pone domande, si confronta. 

In quelle settimane ha scoperto che tutti loro hanno delle ferite e che i processi hanno segnato chiunque abbia sostenuto il Signore Oscuro, che chinare il capo e chiudere gli occhi non è più semplice di lasciare tutto e crearsi una vita altrove. 

Roland siede accanto a Lance Rosier. “Avete deciso chi affronterà la prova domani?” domanda.

“No, credo che lo faremo domani nella tenda. Vedremo se i Grifondoro sono impavidi e coraggiosi come dicono o se toccherà a Serpeverde salvare l’onore di Hogwarts.”

“Confidi su una Weasley o un Delacour? Mi sembra eccessivo,” ridacchia Roland strappando una risatina anche a Lance che scuote la testa e dice: “Però la Weasley ha anche sangue dei Burke. Sai che suo padre è stato accusato di essere un traditore perché ha sposato una Purosangue?”

“E loro sarebbero i buoni? Quanta ipocrisia…” sospira Roland. Manda giù una patata al forno e si domanda quanto burro usino nelle cucine di Hogwarts, da quando è giunto in Inghilterra non ricorda di aver mangiato nulla condito con l’olio. “Mia madre ha lavorato con il padre di Molly, durante la guerra.”

“Se vuoi un consiglio, non parlare di questo argomento con Molly. La guerra è un argomento di cui nessuno parla volentieri da queste parti. Sai, siamo andati avanti…”

“Lo vedo. Posso chiederti un favore?” Lance solleva le sopracciglia, i suoi occhi azzurri sembrano scrutarlo. Roland si sente sciocco per quella richiesta, ma sa che non può sprecare una simile occasione. “Mi faresti vedere la sala comune di Serpeverde e il dormitorio?”

“Che idee ti sei fatto, Lestrange? So che in Francia siete disinibiti, ma con me non attacca.” Roland alza gli occhi al cielo. Perché non riesce a trovare un filo comune con Rosier? Eppure, le loro famiglie erano un tempo molto unite. “Che idee ti sei fatto tu, Rosier? Voglio solo vedere il dormitorio in cui è stato mio padre, tutto qui.”

Lance annuisce, si scambia uno sguardo con il cugino Jude ed entrambi confabulano qualcosa in tedesco, ma alla fine acconsentono. “Non potrai trattenerti a lungo e dovremo chiedere il permesso al professor Lumacorno.”

Così Roland finisce la cena con il pensiero di riuscire, finalmente, a vedere la sala comune in cui i suoi genitori sono cresciuti. Osserva la Sala Grande e cerca di immaginare suo padre, alla sua età, seduto su quelle panche insieme a zio Rabastan, Evan Rosier e tutti i loro amici. Qualcosa l’ha vista di nascosto nel Pensatoio di suo padre, frugando tra le fiale di ricordi dei suoi genitori. Sposta lo sguardo verso il fondo del tavolo, quello vicino al tavolo dei professori, e immagina sua madre e il papà di Orion che leggono la Gazzetta del Profeta e vivono la scuola con lo stesso senso di accerchiamento che sta avvertendo in quel momento.

Dopo il dessert, Lance si alza e fa segno a Roland di seguirlo. Sfilano lungo il tavolo fino a incontrare i professori. Parlano con Lumacorno e Madame Maxime. Il nome dei genitori fa sollevare qualche sopracciglio e comprende la loro preoccupazione, ma dopo tutto le colpe dei padri non devono ricadere sui figli e quindi acconsentono, a condizione che Lumacorno li scorti personalmente in quella discesa nei sotterranei.

Roland cerca di imprimere nella sua mente ogni singolo dettaglio: le pareti di pietra, le armature lucide, le torce che si accendono al loro passaggio. Ci sono dipinti e bacheche con annunci di studenti, qualcuno del terzo anno sta cercando di formare un gruppo di studio di Pozioni. Ci sono elementi non poi così diversi da quelli che si trovano a Beauxbatons. Salvo il freddo, che diminuisce man mano che scendono nei sotterranei, dove i rumori di fuori sono scomparsi e c’è solo silenzio e l’eco dei passi. Si fermano davanti una porta di pietra e Lumacorno bisbiglia la parola d’ordine che Roland non riesce a cogliere. Pensano sul serio che gli studenti di Beauxbatons possano infiltrarsi di nascosto nelle sale comuni degli studenti di Hogwarts o il sospetto è circoscritto ai figli degli ex Mangiamorte? Forse temono la nostalgia? Roland non lo sa ma il cuore si ferma per un istante nel momento in cui varca la soglia della sala comune di Serpeverde. 

È come essere nei racconti di sua madre, solo in quel momento ne percepisce l’accuratezza. Le finestre della sala comune che danno sulle profondità del lago nero, il ritratto di Salazar Serpeverde sopra il camino, le poltrone di cuoio scuro su cui il papà leggeva la Gazzetta del Profeta e il divano davanti al camino dove la mamma si è addormentata consolando Barty dalla perdita di Regulus Black. 

Roland si accorge troppo tardi che lo stupore è trapelato dal suo volto e i Serpeverde intorno a lui lo osservano sorpresi. C’è una ragazza bionda che gli si avvicina e cerca di rassicurarlo: “Ha fatto questo effetto anche a me, la prima volta che sono entrata.”

“Vada in dormitorio, Miss Dolohov,” la esorta il professor Lumacorno. Roland le rivolge un sorriso di ringraziamento e la osserva fluire verso il dormitorio delle ragazze. 

Chissà come dev'essere avere una sala comune in cui trascorrere le sere con le ragazze. A Beauxbatons, scattato il coprifuoco, i ragazzi vanno nella loro ala della scuola dove ci sono diverse sale comuni, ciascuna sul piano dedicato agli studenti dello stesso anno e di quello successivo. Così che il secondo piano è occupato dai ragazzi del primo e del secondo anno, il terzo è occupato dai ragazzi del terzo, quarto e quinto anno, il quarto è occupato solo dai ragazzi del sesto e del settimo anno. In modo perfettamente speculare, le ragazze hanno la medesima organizzazione. Così, conoscere una ragazza, trascorrere del tempo con lei, è limitato alle lezioni, al tempo dei compiti, alle passeggiate in giardino. Nulla di sconveniente, si trova a pensare.

“Vieni, Roland, ti mostro il dormitorio,” gli dice Lance riportandolo con i piedi per terra. Roland segue Rosier oltre una porta di legno scuro, fin dentro la prima porta che si apre su una stanza circolare. Lance allarga le braccia e sorride: “Benvenuto nel dormitorio di Serpeverde.”

Roland si guarda intorno e conta: “Il primo letto era di Augustus, il secondo era quello di papà, il terzo di Yaxley, poi c’erano Selwyn e… Nott.”

“Adesso, il secondo letto è di Jude, il terzo è il mio,” rettifica Lance.

“Nell’anno di zio Rabastan, il terzo letto era quello di Evan,” spiega. 

“Proprio così,” annuisce Lance.

“Signor Rosier e signor Lestrange, vi ricordo che non sono tollerati atteggiamenti nostalgici! La visita è finita.” Lo sguardo di Lumacorno li esorta ad allontanarsi e Roland viene scortato fuori dalla sala comune di Serpeverde e ricondotto nell’atrio dove lo attendono i fratelli e i cugini.

“Non riesco a credere che sei andato da solo!” esclama Roddie indignato non appena ascolta il racconto. Roland si stringe nelle spalle e mormora: “È come nei ricordi di mamma, eppure, è tutto così diverso. Forse è un bene che tu non l’abbia visto.” Stringe la spalla del fratello e lo guarda negli occhi. “Ho però scoperto che Hogwarts non ha ancora deciso chi affronterà la prova.”

“Ti fidi di Rosier?” domanda Philomène sottovoce.

“Sembrava sincero. Andiamo a dormire. Domani sarà una lunga giornata.”

 

***

 

Nella stanza sulla carrozza, Roddie fissa il soffitto su cui i rami dell’albero del Guardiacaccia proiettano strane ombre, rese ancora più confuse dal filtro della tenda. Dovrebbe dormire, ma la paura di non essere all’altezza lo attanaglia.

La porta si apre. 

“Roddie, stai dormendo?” domanda Rabastan sottovoce. Roddie sospira. “Non ancora.” Rabastan chiude la porta e si avvicina al letto: “Fammi posto.” Si scambiano un sorriso e Roddie scorre verso il lato opposto per far sistemare il fratello. “Non riesci a dormire?” domanda incuriosito. 

“Ho pensato che avessi bisogno di distrazione. Se fossimo a casa, saresti con la mamma, ma adesso lei non c’è.” Rabastan allunga un braccio intorno alle spalle del fratello e guida Roddie verso la sua spalla mentre gli accarezza la schiena. “La mamma ti direbbe che sei pronto. Va tutto bene, pulcino mio, sei in grado di essere un Campione Tremaghi!” Rabastan si lancia in un’imitazione della mamma che fa rabbrividire Roddie. “È strano… e inquietante, Rab, non farlo mai più!”

“Dai, la mamma fa così, non negarlo! Vuoi anche i bacini?” 

“Vuoi essere sbattuto fuori dalla stanza?”

Scoppiano a ridere entrambi. La porta si apre e compare Roland. “Mi fate posto?”

Roddie si trova stretto tra i due fratelli. “Perché ridevate?”

Rabastan non perde occasione per riprendere la sua imitazione della mamma e inizia: “Il mio Roddie, il mio pulcino, sono certa che farà un’ottima prova e darà lustro al nome dei Lestrange!” Si avvicina per stringerlo e Roddie si dimena mentre Roland scoppia a ridere e lo immobilizza: “Su, Roddie, fai il bravo, la mamma vuole darti un bacio.” Sente le labbra di Rabastan sulle guance e chiude gli occhi forte, disgustato da quella visione. “Non riuscirò più a vedere la mamma nello stesso modo!”

“Forse lo abbiamo guarito!” esulta Rabastan. Roddie si pulisce il viso con la manica del pigiama e poi guarda il soffitto: “Grazie per essere qui.” Si gira su un fianco, verso Rabastan, e proprio come quando da piccoli condividevano la cameretta e durante i temporali dormivano nello stesso letto, si addormenta stretto al fratello. Dietro di sé, il respiro di Roland si fa via via più pesante.

L’indomani Roddie si alza di buon umore. Ha sognato la Francia e i professori di Beauxbatons che lo guardavano con un rinnovato rispetto, di uscire dall’Accademia a pieni voti e di ricevere innumerevoli offerte di lavoro. Si prepara con cura, indossa l’uniforme dell’Accademia avendo cura di fare un nodo perfetto alla cravatta azzurra. Si avvolge nella mantella di lana color carta da zucchero e si prepara per la colazione nella Sala Grande. 

Nessuno di loro ha lasciato trapelare che avessero scelto chi sostiene la prova, volevano evitare sabotaggi e pressioni indebite. Entrando nell’atrio incontrano Rosier che cammina a fianco a una Grifondoro dai capelli rossi e lo sguardo disgustato. Roddie comprende subito chi sia e la mano va alla bacchetta mentre un moto di nausea lo assale.

“Tutto bene?” domanda Philomène che non ha mancato di notare il suo turbamento. Roddie annuisce e accelera il passo mormorando sottovoce: “Come si fa?” 

“Non ci pensare, Roddie. I Rosier sono morti con Evan, checché ne dicano i suoi discendenti…” Le parole di Philomène lo riportano al presente. “Vedi? I nostri genitori hanno fatto bene a rimanere in Francia, potevamo fare la fine di Rosier…”

“Flamel, che orrore!” 

Roddie sfiora con la mano la pietra della parete alle sue spalle e improvvisamente sente qualcosa. La bacchetta vibra nella sua tasca, quasi risvegliata da quell’epifania: la Sala Grande è il luogo in cui si è combattuta la battaglia di Hogwarts. I Mangiamorte hanno dato battaglia e Roddie quasi sente le tracce delle maledizioni lanciate, perché l’Oscurità non lascia mai i luoghi in cui viene evocata. Sorride. La mano dietro la sua schiena accarezza la pietra e cerca di percepire i segni della magia oscura.

“Sei Rodolphus Lestrange?” 

Una ragazza nell’uniforme di Serpeverde richiama la sua attenzione. Roddie annuisce. “Come posso esserti utile?” Tra i boccoli castani che le scendono ordinati sulle spalle, spunta un sorriso e gli occhi marroni si illuminano per l’entusiasmo. 

“Il mio nome è Alexandra Yaxley, molto lieta di fare la tua conoscenza.” 

Yaxley è un cognome che è girato di frequente in casa, sulle labbra dei suoi genitori, si trova a pensare. “Enchanté, mademoiselle Yaxley,” le risponde seguendo l’etichetta perché, come dice la mamma, l’educazione non è mai fuori luogo.

La ragazza fa una lieve riverenza ed è la prima volta che Roddie vede una ragazza eseguirne una come si deve. “Il piacere è tutto mio,” afferma. “Non vedevo l’ora di conoscere te o uno dei tuoi fratelli.”

“A cosa devo tanto entusiasmo?”

“Beh, mio padre è Aldous Yaxley, compagno di Serpeverde di tua madre, e mio nonno è Corban Yaxley, compagno di Serpeverde di tuo padre.” Alexandra intercetta le sopracciglia aggrottate e sussurra: “Sì, la nonna e il nonno erano già genitori alla nostra età, il calcolo è corretto. Pare che fu nell’estate tra il secondo e il terzo anno.”

Roddie alza le sopracciglia sorpreso e Alexandra nasconde la risata dietro una mano: “È stata la mia stessa espressione quando l’ho scoperto!” Torna composta facendo un sospiro e dice: “Il nome che porto è un omaggio alla tua mamma. Sia il nonno che il papà mi raccontano che grande strega fosse, anche se è del tutto scomparsa dalle cronache del tempo.”

“Sì, la mamma ha sempre avuto un certo talento per passare inosservata. Sarà felicissima di sapere che gli Yaxley hanno conservato un così bel ricordo di lei.”

“Credi che potrò conoscerla?”

Roddie scuote la testa e sospira: “Non in questo Torneo. La mia famiglia ha rifiutato di accettare di riconoscere il nuovo ministero e l’amnistia non ha mai avuto effetto per loro. Temo che finirebbero ad Azkaban se solo provassero a metter piede sul suolo inglese.”

“Un vero peccato,” sospira Alexandra delusa.

“Sono sicuro che sarebbe felice di ricevere un tuo biglietto. Se vuoi, potrò inserirlo nella mia prossima lettera e, chissà, magari riceverete un invito per la Francia!”

“Oh, sarebbe meraviglioso!” Alexandra si guarda intorno e poi abbassa la voce: “A dispetto delle apparenze, non tutti hanno lasciato la vecchia strada.”

“Ma Rosier?” domanda Roddie.

“Non so che passi per la testa di Lance, probabilmente è così pieno di sé da pensare di poter fare come gli pare, ma con il sangue non si scherza. Quando lo saprà suo padre, abbasserà la testa, e se non lo farà, beh, sai come si gestiscono questi casi.”

“Certo, i Black si sono estinti per questi casi.”

“Sai troppo delle famiglie Purosangue inglesi per essere un esule.”

“Beh la mamma ci tiene a rimanere informata.” Si scambiano un sorriso e una risatina complice. “Credo che potremo diventare ottime amiche di penna, in tal caso!” ridacchia Alexandra.

“Desolata dell’interruzione, ma Madame Maxime ha richiesto ai Campioni di avviarsi verso la tenda,” li informa Philomène. Roddie annuisce alla cugina e si congeda da Alexandra con un rapido inchino: “Con permesso, mademoiselle Yaxley.” Si sta allontanando quando sente qualcuno alle sue spalle domandare sarcastico: “Ma chi è quel damerino?”

“Uno educato, Mulciber, non uno zotico come te.” 

Non riesce a trattenere un sorriso al pensiero che quella fanciulla ha colto la sua educazione. Philomène, al suo fianco, ha un sorrisetto divertito. 

Nella tenda dei Campioni, tutti e nove i campioni hanno indossato le rispettive divise e sono stati messi insieme per le foto di rito. Un’inviata della Gazzetta del Profeta, dai boccoli biondi e le unghie scarlatte, li osserva come se fossero delle prede succose. Soprattutto, non perde di vista Philomène. 

Madame Maxime con la sua statura imponente calamita le loro attenzioni. “Avete fatto la vostra scelta?” 

“Sì,” conferma Roland prima di volgere lo sguardo verso Roddie. “Sei ancora sicuro?”

“Sono sicuro. Sono pronto, Madame Maxime.”

“Benissimo, monsieur Lestrange, mi segua. Voi due potete rilasciare le interviste, fare le foto e, se volete, tornare sugli spalti per osservare le prove.” Roddie vede Philomène congedarsi con una riverenza bella come quella di Alexandra Yaxley e un sorriso gli affiora sul volto. 

Deve rimanere concentrato.

Si sorprende nel trovare Lance Rosier tra i partecipanti della prima prova, era certo che sarebbe stato un Grifondoro il prescelto, probabilmente Delacour. Il Direttore dell’Ufficio dei Giochi Magici spiega loro ciò che dovranno fare: “Dovete entrare nell’arena e, ognuno di voi, affronterà una Creatura Magica. Questa Creatura avrà una catena al collo con un cilindro. Prendete il cilindro, contiene un indizio per la seconda prova.” Li osserva e domanda loro: “Chiaro?” Roddie annuisce. Cyrille aveva ragione, la chiave è nella statistica. Domanda: “Qual è la creatura magica?” 

Il tizio del Ministero sorride divertito ed esclama: “Lo scopriremo presto. Prego, signor Lestrange, peschi pure da questo sacchetto.” Roddie infila la mano e trova delle ali e la sua mente immagina che si tratti di un drago. Così, spalanca gli occhi quando si trova davanti un esemplare di Manticora, il volto di un uomo, il corpo di leone, la coda di scorpione e le ali che la rendono temibile. 

“Una Manticora!” esclama lo stronzo del Ministero. “Notevole! Innumerevoli maghi sono finiti vittime del veleno della sua coda.” Roddie solleva le sopracciglia perplesso e Madame Maxime gli stringe le spalle dicendogli: “Non accadrà nulla di tutto ciò, è una prova di abilità. Hai una strategia in mente?” Roddie annuisce. “Ricorda che non la devi uccidere, ma devi solo recuperare il cilindro.” Gli occhi scuri di Madame Maxime cercano di infondergli coraggio, la voce della preside continua a domandargli se si sente pronto e Roddie, ogni volta, annuisce. Si perde l’estrazione che avviene per gli altri concorrenti. L’aria sconvolta di Rosier gli suggerisce di essere stato fortunato, se affrontare una Manticora, la divoramaghi può essere considerata una fortuna. 

Sarà il primo a sostenere la prova. Stringe la bacchetta in mano ed entra nell’arena.

Intorno a sé il pubblico sugli spalti sembra trattenere il fiato. Solo un gruppetto di studenti di Beauxbatons lo acclama con striscioni e urla di incitamento. Forse, riconosce Rabastan. Riporta l’attenzione alla Manticora dinnanzi a sé e trae un respiro profondo. Si sente calmo e stranamente lucido. Credeva che il panico lo avrebbe sopraffatto, ma riesce a tenere lo sguardo sulla creatura magica. 

“Chi abbiamo qui?” domanda la testa di uomo della Manticora.

Roddie fa un passo nell’arena e sorride: “Rodolphus Lestrange, sono qui per il cilindro che porta al collo. Se collabora, non le accadrà niente.”

La Manticora scoppia a ridere: “E rinunciare al mio pasto? Privare il pubblico di uno spettacolo cruento? No, i cuccioli di Mangiamorte sono i miei preferiti… Ci avete riempito di chiacchiere in passato, promesse vane…”

“Abbiamo perso la guerra,” obietta. “Potrebbe darmi un’opportunità e riprendere il discorso.”

“Non credo che sia saggio perseverare in cause perse… Meglio un pasto oggi…”

Roddie si stringe nelle spalle e si avvicina mantenendo lo sguardo fisso negli occhi della Manticora, la bacchetta saldamente stretta nella sua mano. “In tal caso, temo che dovrò essere più convincente. Imperio!” 

Il pubblico emette un gemito di stupore, ci sono persone che urlano che tutto ciò è inaccettabile, ma Roddie non toglie gli occhi dalla sua preda. “Suvvia, dammi il cilindro, da brava,” gli sussurra mentre si avvicina. 

La Manticora giace mansueta, lo sguardo offuscato, segno che la Maledizione è riuscita perfettamente. Porge il collo al suo nuovo padrone, la coda di scorpione è riposta docilmente per terra. Roddie scioglie la catena senza perdere il contatto visivo. Afferra il cilindro e si allontana dall’arena. Poco prima di uscire, scioglie la maledizione e ringrazia la Manticora con un inchino mentre la sente urlare di rabbia.

Ha il sorriso sul volto per il modo perfetto, pulito e cortese con cui ha gestito la prova. Lo sguardo di Madame Maxime, però, non sembra raggiante e orgoglioso come si attendeva. 

“Una prova pulita, veloce, senza spargimenti di sangue, le è piaciuta?” domanda soddisfatto.

“Come ti è saltato in mente di utilizzare una maledizione senza perdono?”

“Ma sugli animali non è vietata!” obietta con tutta la forza che ha in corpo. Roland e Philomène raggiungono la preside con l’aria allarmata. “C’è un gran parlare di quello che hai fatto!” Il volto di Philomène lascia trasparire la sua preoccupazione. Suo fratello, al contrario, sembra entusiasta.  “La tua Imperius è stata perfetta!” 

Madame Maxime gli rivolge uno sguardo di rimprovero e Roland alza le mani in segno di resa: “Lo so, preside, ma dovete ammettere che la maledizione è stata eseguita alla perfezione e nemmeno per un’istante ha perso di intensità. Non è semplice evocare una Imperius su una creatura tanto potente, ci vuole molta volontà per piegarne la mente! Poi, sono d’accordo è stata una scelta… politicamente inopportuna.”

“Inopportuna, monsieur Lestrange? Definirla inopportuna è un eufemismo! Non poteva esserci scelta peggiore. Lo sa cosa dirà il Ministero inglese? Diranno che a Beauxbatons alleviamo Mangiamorte!”

“Dichiarerò l’estraneità dell’Accademia, Madame Maxime, mi assumo tutta la responsabilità della mia scelta. Non è un esame, dopo tutto, è un Torneo e sono libero di scegliere l’incanto da praticare per ottenere il risultato.”

“Vero, ma a cosa serve eseguire un incanto alla perfezione se il risultato sarà scarso? Il vostro punteggio sarà penalizzato da questa scelta.” Si volta verso Roland e Philomène e scandisce quello che è un ammonimento: “Mi auguro di non dover più assistere a prove del genere nel corso del torneo.”

Nella tenda, la giornalista dai boccoli biondi lo afferra per una spalla. “Rita Skeeter per la Gazzetta del Profeta. Buon sangue non mente, vero, Lestrange?”

“A quanto pare, le scuole non vogliono che si utilizzino le Arti Oscure, ma nel regolamento non c’è scritto. Dicono che non dovremmo conoscerle, ma perché? Non siamo liberi di approfondire la conoscenza della magia seguendo la nostra curiosità?”

“E la tua curiosità ti porta verso le pratiche da Mangiamorte? Pensi di voler seguire il percorso dei tuoi genitori che non si sono mai pentiti delle morti che hanno causato?”

Roddie è disgustato dal modo in cui vogliono manipolare la sua vittoria e farlo passare dalla parte del torto. “Non è un crimine usare una maledizione su una Manticora! E non è affare suo dove mi porta la mia curiosità.” 

“Potrebbe portarti fuori dal Torneo, lo sai? Parlano di squalifica.”

Roddie non risponde, sente il respiro strozzarsi in gola. Ha eseguito un compito alla perfezione. Nel momento esatto in cui la Skeeter si avventa su un altro campione, lancia il cilindro di piombo sulla brandina e va a buttarsi sotto la doccia, l’unico posto in cui può dare sfogo alle lacrime di rabbia. Ha domato una Manticora con la forza della sua magia, ha eseguito una Maledizione Imperius alla perfezione. Qualsiasi sia l’esito della sua prova, ha dimostrato al mondo intero di essere il degno erede di Rodolphus Lestrange.

 

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Capitolo 3
*** Persino i corvi trovano un compagno ***


 

Capitolo 3 - Persino i corvi trovano un compagno



 

Non lo hanno squalificato, ma è andato vicino, molto vicino. 

Beauxbatons è arrivata ultima alla prima prova, perché non hanno perdonato l’utilizzo di pratiche magiche proibite e Roddie ha ricevuto appena 13 punti, di cui 7 li ha dati Madame Maxime arrampicandosi sugli specchi per non pregiudicare la sua scuola. 

Dopo giorni trascorsi a trascinarsi per la carrozza, a impegnarsi nelle lezioni sotto lo sguardo contrariato dei compagni di scuola, Roddie inizia a meditare di tornare a casa e lasciare l’Inghilterra una volta per tutte.

“I Prescelti non si possono tirare indietro,” gli rammenta la Preside, per nulla felice di quella richiesta. “Vuoi forse causare la sconfitta a tavolino della nostra Accademia?”

Roddie scuote la testa: “No, Madame. Mi domandavo se, considerato che le altre prove le sosterranno gli altri campioni, potessi tornare prima in Francia.”

“Purtroppo non è possibile. Farei anch’io a meno di tutta questa pubblicità.” 

La Gazzetta del Profeta ha un inserto dedicato al Torneo dove lo apostrofa con cadenza regolare come il Mangiamorte. 

Madame Maxime sospira paziente: “Spero che il ballo di Natale possa distrarti, Lestrange. Non maledire nessuno, però.”

“Grazie, Madame, sarò impeccabile.” 

Sfila via dalla stanza che la preside ha adibito ad ufficio ed esce dalla carrozza per respirare l’aria dei giardini. Gli studenti di Hogwarts sono andati nel villaggio vicino la scuola e Roland, Philomène, Rabastan e Cyrille si sono uniti a quel diversivo. Forse, può raggiungerli e curiosare tra i negozietti, magari riesce a mettere piede a Mielandia. Sua madre gli ha parlato tanto bene di quel posto al punto da esserne incuriosito. Roddie si stringe nella mantella di lana celeste e copre gran parte della faccia con una spessa sciarpa di lana blu, uguale al berretto che gli copre i ricci scuri.

Al cancello della scuola lo informano che ci sono delle carrozze che portano gli studenti al villaggio, lo invitano a salire e lentamente si fa condurre fino a destinazione. Non si è mai sentito tanto solo e fuori posto.

Il paesino di Hogsmeade è una via affollata di negozietti e di studenti che vagano in preda all’entusiasmo. Ci sono luci natalizie e addobbi di ghirlande di abete, agrifoglio e vischio intorno alle porte, mentre candele fluttuanti illuminano le vetrine. Roddie intercetta subito Mielandia e quando apre la porta finisce contro una sagoma scura. 

“Mi scusi, sono desolato,” esclama, terrorizzato al pensiero dell’ennesimo scontro. Gli ultimi giorni non sono stati semplici nemmeno con gli studenti delle altre scuole, con quelli di Hogwarts in modo particolare. 

“Roddie!” la voce allegra di Alexandra Yaxley gli fa spuntare il primo sorriso dopo giorni. “Allora stai bene! Credevo che fossi malato!” confessa. “Ti avevo persino preso un pensiero da Mielandia.” 

Roddie è fermo sulla porta, a disagio, sotto gli sguardi severi delle amiche di Alexandra, così domanda esitante: “Volete accompagnarmi?” 

Le amiche alzano gli occhi al cielo e Alexandra si congeda da loro: “Ci vediamo più tardi ai Tre Manici di Scopa.” Il suo sorriso è contagioso mentre lo conduce all’interno del negozio. “Preparati a vedere il più grande negozio di dolci magici di Inghilterra!”

Spesso ha provato a immaginare i luoghi che sua madre gli ha descritto, riempiendo i dettagli mancanti con la sua fantasia. Nei suoi sogni, Mielandia ricorda le pasticcerie di Parigi, dai colori pastello e file geometriche di macaron ordinati cromaticamente. Così, non appena mette piede in quella bottega dalle pareti di legno, Roddie rimane colpito dalla quantità e dalla varietà di dolci che sono stipati lungo i corridoi storti e tortuosi del negozio. Ci sono fontane di cioccolato, Piperille, Cioccocalderoni, Api Frizzole e Lumache gelatinose. Persino gli Scarafaggi a grappoli sembrano invitanti. Le descrizioni dei suoi genitori, sempre molto accurate, non rendono l’idea di quanto in realtà sia effettivamente pieno di dolci. È un caleidoscopio di colori, profumi, stimoli che stordiscono la mente degli avventori.

Decide di investire qualche Galeone per fare dei regali: le bacchette di liquirizia che ama Cyrille, le Api Frizzole per Philomène, i Cioccocalderoni per Roland e gli Zuccotti di Zucca per Rabastan. Manderà delle scatole in Francia, affinché anche la mamma senta di essere pensata. Alexandra non lo lascia per un istante, gli spiega pazientemente ogni dolce e gli sta accanto anche mentre fa la coda per pagare i suoi acquisti.

Roddie si accorge che gli piace ascoltare le spiegazioni di Alexandra, che la risata di lei è composta, con la mano davanti alla bocca, e sincera, che i suoi occhi marroni diventano luminosi quando ride. Sono quasi arrivati ai Tre Manici di Scopa che Alexandra si ferma e lo osserva con le guance rosse. “Immagino che avrai la fila di ragazze che vorrebbero venire al Ballo del Ceppo con te…”

Roddie scuote la testa, continua a dimenticare del ballo, sebbene intorno a lui non facciano che parlarne. “Non direi proprio. I miei compagni di accademia mi rivolgono la parola a stento, mentre gli altri, beh, mi guardano come se fossi un mostro. Credo che rimarrò in carrozza. Non voglio imbarazzare nessuno con la mia presenza.”

Alexandra sbatte le ciglia sorpresa ed esclama: “Ma non puoi! Sei stato grandioso! E sei anche un Campione Tremaghi, non devi permettere a nessuno di farti passare la voglia di partecipare al Ballo. Non ti hanno squalificato e questo deve pur contare qualcosa, no? La tua maledizione è stata impeccabile e, se permetti, a casa erano increduli ed entusiasti del fatto che un Lestrange non si fosse smentito! Sai, c’erano molte voci su come sarebbero stati i figli di Rodolphus Lestrange. Papà temeva che l’esperienza con Bellatrix avrebbe potuto portarlo a scegliere strade diverse.” Parla velocemente, gesticola un po’, segno che è coinvolta nei discorsi, che il timore che i Lestrange volessero chiudere con il passato, è qualcosa di cui ha discusso. Parlano ancora di loro? Perché?

“Se avesse voluto percorrere strade diverse, saremmo tornati in Inghilterra e avremmo accettato il nuovo Ministero,” risponde piccato.

“Sai cosa diceva sempre mio papà quando qualcuno diceva che i figli di Rodolphus sarebbero stati diversi… più accomodanti?” 

Roddie alza un sopracciglio e scuote la testa incuriosito. Il sorriso di Alexandra si allarga, si guarda intorno con aria complice e sussurra: “Che siete anche i figli di Alexandra Turner e lei non avrebbe mai cresciuto i suoi figli al di fuori della tradizione.”

“Proprio così,” annuisce Roddie sentendo affiorare un altro sorriso sul volto. È così riposante non doversi giustificare continuamente e sentirsi compreso senza bisogno di dilungarsi in spiegazioni. Benché non sia solito agire di istinto, decide di assecondare l’intuizione che gli balza nella mente. Raddrizza la postura e sorride verso Alexandra prima di domandarle: “Signorina Yaxley, mi farebbe l’onore di venire al ballo del Ceppo con me?”

“Sarebbe un vero piacere!” 

“Ho proprio bisogno di una figura amica che mi renda tollerabile l’evento e tu sei molto brava a sollevarmi l’umore.”

“Stai insinuando che sono ridicola?”

“Non mi piacciono le persone ridicole. I miei fratelli dicono che non ho il senso dell’umorismo.”

“E cosa cerchi in una dama?”

“Grazia, eleganza e… comprensione. Credo che tu sia la prima persona che mi comprende spontaneamente.”

“In tal caso, sarà un vero onore accompagnarla, signor Lestrange.”

Roddie sente di poter osare, le porge il braccio mentre si dirigono verso i Tre Manici di Scopa.

 

***

 

“Non ci posso credere.”

Il sorriso di Rabastan porta tutti loro a voltarsi nella direzione verso cui puntano i suoi occhi. Roland rimane di sasso, proprio come il fratello, quando vede Roddie entrare nel pub con una ragazza sottobraccio.

“Roddie è stato il primo a rimorchiare un’inglese?” domanda Cyrille quasi oltraggiato. Philomène non perde occasione per sfoderare il suo sorrisetto perfido, quello che riserva principalmente ai battibecchi con il fratello. “L’ho sempre detto che voi lo sottovalutate e che, di tutti voi, è quello che ci sa fare di più con le ragazze.”

“Tu scherzi, lo dici solo perché è il tuo cugino preferito. È impossibile che sia così.”

“Oh, no… nessuno di voi mi ha mai chiesto quali voci girino nell’ala femminile dell’Accademia. Il segreto di Roddie è che è totalmente indifferente alle voci sul suo conto. Potete dire che è un damerino fissato con l’etichetta, che è perennemente attaccato alla mamma, ma poi esegue una Imperius perfetta su una Manticora e trova una dama prima di tutti voi, che vi atteggiate a grandi seduttori. La verità è che Roddie sa quello che vuole.”

La verità di Philomène è uno schiaffo in faccia. Roland incassa le spalle e deve ammettere di aver sottovalutato il fratello. Lo sguardo si posa, inevitabilmente, in un angolo della sala, dove tra un gruppo di ragazze con la sciarpa verde argento, ve n’è una dai lunghi capelli biondi che continua ad attirare la sua attenzione. 

Lucile Dolohov è sempre stata gentile con lui, specie negli incontri in biblioteca. Roland ha impiegato un po’ per cercare di scoprire i suoi orari e farsi trovare da solo. Solo da qualche giorno la loro routine si è assestata, dal parlare dell’organizzazione della biblioteca sono passati ai convenevoli e a qualche chiacchiera informale. È troppo presto per invitarla al ballo ché Lucile non è mica come Alexandra Yaxley che, in preda a un misterioso interesse per Roddie, si è fatta avanti stordendolo di chiacchiere. A dirla tutta, non è da escludere che sia stata lei a prenderlo a braccetto per entrare ai Tre Manici di Scopa con un campione Tremaghi. Lo sguardo di Roddie, il modo in cui le scosta la sedia per farla accomodare, rivelano altro, e Roland sa decifrare troppo bene il comportamento di suo fratello per non notarlo.

Sulla via del ritorno, Roland si trova accanto Lance Rosier. Davanti a sé, Philomène chiacchiera con Nadine ed Eric Lagrand. 

“Hai già una dama per il ballo?”

“Non ti chiederò di accompagnarmi, Lestrange.” 

“Ti ho già detto che non sei il mio tipo, Rosier,” ribatte ricambiando il sorriso sghembo di quello che può definire quasi un amico, un fragile legame con l’Inghilterra. 

“Non lo so, potrei anche andare da solo.” Rosier è misterioso, ma gli occhi azzurri saettano alla ricerca di un altro paio di occhi chiari e Roland comprende chi sia la sua dama. 

“Chi dei due si vergogna?” Lance alza un sopracciglio e Roland continua: “Lei di avere come cavaliere il discendente di una famiglia di Mangiamorte, o il Purosangue di avere una dama… con un’eredità pesante.” Usa un eufemismo ché nelle lettere sua madre gli ha raccontato chi sia Dominique Weasley, figlia dell’ex campionessa di Beauxbatons Fleur Delacour e Bill Weasley, una delle tante vittime di quel mostro di Greyback.

“Sai che sei uno stronzo, Lestrange?” Lance si irrigidisce, segno che Roland ha colpito un nervo scoperto, qualcosa con cui Rosier non ha fatto o non vuole fare i conti. “Solo perché ricordo le regole del nostro mondo?” Osa perché non riesce a credere che l’erede dei Rosier si esponga a simili pericoli. Sì, suo padre (e zio Rabastan) gli hanno detto che ci si può divertire in vari modi, ma esporsi in società è un altro discorso. Cosa accade in Inghilterra? Possibile che il nuovo Ministero abbia cancellato secoli di cultura Purosangue?

“Stiamo parlando di una festa scolastica, non di un matrimonio o di un ricevimento formale.”

“Una festa scolastica con la Gazzetta del Profeta che fa il reportage? Pensa che bello scoop per la tua famiglia, Rosier…”

“Hai pensato che questo è proprio il motivo per cui potrei voler andare da solo? Per essere libero? Ma poi, a te, cosa cambia?”

Roland alza le mani in segno di resa. Non è della purezza dei Rosier che deve occuparsi, ma di quella dei Lestrange. Dopo tutto, i suoi genitori hanno fatto bene a rimanere in Francia. Lascia che Rosier si allontani con tutto il suo nervosismo e rallenta il passo, si volta alla ricerca di un fratello o un cugino a cui aggregarsi. Tra la neve vede spuntare il berretto verde e due ciocche bionde che incorniciano il viso arrossato di Lucile. Avanza tra la neve con un’enorme busta di carta. 

“Hai bisogno di una mano?” le domanda.

“Grazie, è il mio vestito del ballo. Non capisco perché mia madre non l’abbia fatto recapitare direttamente in dormitorio. Ho dovuto ritirarlo all’ufficio postale!”

Roland scrolla le spalle, ma l’occasione gli è propizia per sondare il terreno: “Hai un cavaliere per la serata?”

“Più o meno,” abbozza. “Ho accettato di accompagnare un mio compagno di Casa che non riusciva a trovare una dama, ma… insomma… giusto per non andare da sola.”

“Certo… io… beh… sarò lì con i cugini e se… beh, se dovesse andarti di concedermi un ballo, ne sarei lusingato.”

“Sì, volentieri!” 

Sono quasi arrivati alla carrozza e Roland vuole solo fuggire nella sua stanza e seppellirsi per l’imbarazzo quando Lucile lo richiama. Si volta nella sua direzione e lei gli dice: “Se me l’avessi chiesto prima, sarei venuta al ballo con te, lo sai?”

Roland sorride grato e si maledice per quella timidezza che gli impedisce di fare ciò che per altri è naturale, persino per Roddie, a quanto pare. 

 

***

 

Lo specchio restituisce a Philomène l’immagine di una giovane strega nel fiore degli anni. Si osserva con indosso l’abito da cerimonia di rosa cipria, così impalpabile da renderle le spalle apparentemente nude. Gli strati di tulle rendono la gonna vaporosa e i capelli raccolti in uno chignon morbido le lasciano il collo scoperto. Apre il cofanetto porta gioie e indossa gli orecchini di diamanti che suo padre ha regalato alla mamma per il fidanzamento, il portafortuna che le ha mandato sua madre quando ha saputo della sua partecipazione al Torneo Tremaghi.

All’ingresso della carrozza, con gli altri cavalieri, Eric Lagrand l’attende nella sua veste da cerimonia azzurro polvere e lo sguardo emozionato. Si intravedono le lentiggini sul volto quando le sorride e una ciocca bionda sfugge sulla fronte, segno del nervosismo che anche lui prova.

“Sei un incanto,” le sussurra e la voce è impastata dall’emozione in un modo che Philomène trova tenero. 

“Alla fine lo abbiamo fatto sul serio.” Al primo anno di Accademia, scherzavano sul fatto che da grandi avrebbero partecipato a un ballo insieme. Eric le porge il bouquet e l’aiuta a fissarlo al polso: è composto da non ti scordar di me e viole blu - amore vero e fedeltà - che illuminano lo sguardo di Philomène. Eric è appassionato di Erbologia e conosce troppo bene il linguaggio dei fiori perché quella scelta sia casuale. In quel momento è rosso come la divisa di uno studente di Durmstrang e le confessa a fatica: “Forse, prima della fine della serata, riuscirò a dirlo anche con le parole.”

“Lo hai già detto con i fiori, ed è stato bellissimo.” Philomène recupera la bacchetta dalla tasca del suo abito e crea una piccola composizione con gli stessi fiori, la fissa alla giacca di Eric. “Adesso sai che lo penso anch’io.” 

Rimangono fermi a guardarsi per qualche istante, durante il quale il cuore di Philomène batte fortissimo e lei assapora quello che è un dono insperato. È innamorata di Eric dal primo anno, spesso sono andati vicini al compiere quel passo e, ogni volta, si fermavano, spaventati dall’idea di rovinare la loro amicizia. 

È stato l’annuncio di Roddie, di andare al ballo con Alexandra Yaxley, a far cambiare tutto e poi c’è stata Nadine, la sua migliore amica e compagna di stanza in Accademia, senza la quale tutto ciò non sarebbe mai accaduto. È stata lei a prendere da parte Eric e ordinargli di invitarla al ballo, Nadine ha persino distratto Cyrille con l’aiuto di Roland e Roddie.

Philomène alza lo sguardo verso gli occhi azzurri di Eric e afferra il braccio che le porge per poi dirigersi verso il castello. Intravedono Nadine e Roland che li attendono chiacchierando e Cyrille e Rabastan che arrivano con le lacrime agli occhi. 

“Che avete combinato, voi due?” 

“Abbiamo spiato Roddie, dovete vedere come procede tutto pomposo verso i sotterranei.”

“Lasciatelo in pace.” 

Roland rivolge ai due il suo sguardo serio, quello che sfoggia poche volte, sempre in modo azzeccato e quasi sembra zio Rodolphus. L’atmosfera si è appena calmata e stanno riprendendo il percorso verso la Sala Grande, tra fila di studenti che si accalcano nell’atrio. Dalle scale che conducono ai sotterranei scorgono Roddie con la Yaxley al braccio che procede sereno nella loro direzione. I due si fermano a salutarli e quasi sembra di vedere zia Alex nel modo in cui Roddie è finalmente felice. 

Eric le posa una mano su quella con cui Philomène gli stringe il braccio per attirare la sua attenzione. “Andiamo anche noi? Dobbiamo inaugurare le danze,” le ricorda. 

C’è stato un istante in cui ha dimenticato di essere una Campionessa Tremaghi e si è sentita solo Philomène, speranzosa che suo cugino possa superare il risentimento per un passato che non ha mai conosciuto, che quel ballo sia l’occasione perché si apra al futuro, glielo augura con tutto il cuore. 

Oltre la porta di quercia, lo spettacolo della Sala Grande lascia chiunque varchi la soglia senza parole. È difficile fare un paragone con le feste all’Accademia, altrettanto incantevoli, ciò che la colpisce è il pensiero di ritrovarsi insieme ad altri studenti, in un paese diverso, con quel tocco di eccentricità che rende l’atmosfera ancora più magica. 

Inoltre, Yule è da sempre la sua festa preferita e in Francia la trascorre in casa con la famiglia.

Poco oltre la porta vi sono dei rametti di vischio legati a fiocchi d’oro che pendono dal soffitto, Eric la conduce proprio lì sotto e Philomène domanda divertita: “Non aspetti nemmeno la mezzanotte?” 

“Non voglio aspettare nemmeno un istante di più. Non voglio correre il rischio che i tuoi cugini, o tuo fratello ci separino,” le sussurra mentre la distanza tra loro si riduce sempre di più. Philomène chiude gli occhi e schiude le labbra come ha letto nei romanzi. Dentro di sé c’è un caos di sentimenti, le mani che tremano, l’attesa di quel bacio, la voglia di aprire gli occhi perché non ha voglia di smettere di guardare Eric, nemmeno per un istante. Lo avverte, poi, lo sfiorare delle labbra, la pressione che, prima lieve ed esitante, poi più decisa aumenta la superficie del contatto, il momento in cui le sue labbra ricambiano. 

Non sa cosa stia facendo la sua bocca, ma a quanto pare sta baciando Eric.

“Spostati Lestrange.”

Philomène ed Eric vengono spinti di lato mentre i campioni di Hogwarts entrano in sala. Rivolge un’occhiata infastidita a Rosier, Molly Weasley ed Etienne Delacour che afferma divertito: “Esibizionisti, questi francesi!”

“Ti senti a casa, Delacour?” domanda Lance. 

Philomène sta per rispondere ma Eric le stringe un braccio e le sussurra: “Non lasciare che rovinino il nostro momento.” Il suo volto si avvicina e le lascia un bacio sulla guancia per poi condurla verso gli altri campioni di Beauxbatons, appena in tempo, prima che la preside di Hogwarts dia il via alle danze.

L’inizio dei balli è impeccabile. 

Eric la conduce con grazia sulla pista da ballo e i loro movimenti risultano perfettamente in sincrono. Non smettono di sorridere e seguire la musica mentre volteggiano sulla pista da ballo. Lentamente, gli altri studenti si uniscono e i nove Campioni Tremaghi non sono più sotto i riflettori. Philomène nota il modo in cui Nadine si congeda da Roland per andare a ballare con Jean Luc, mentre suo cugino inizia a danzare con una biondina di Serpeverde. 

Cyrille è intento a versare qualcosa nel succo di zucca e lei ed Eric si avvicinano. “Questa festa ha bisogno di un po’ di brio,” ghigna perfidamente suo fratello. “Volete un po’ di Firewhisky per correggere il succo di zucca?”

“Volentieri,” acconsente Eric mentre prende la boccetta dalle mani di Cyrille. Philomène è sorpresa della gentilezza del fratello e gli sorride grata. È solo quando i suoi occhi si posano sul grande albero di Natale che una punta di malinconia le stringe il cuore.

“Cosa c’è?” 

“È il primo Natale che trascorro lontano da casa. Suppongo che significhi questo, crescere.”

“Beh, sì, credo che crescendo possa capitare di trascorrere qualche Natale lontano da casa, ma non credo che sia necessario quando si diventa grandi. So quanto sei legata alla tua famiglia e io sono imbattibile in Difesa contro le Arti Oscure.” Philomène alza un sopracciglio sorpresa ed Eric scoppia a ridere: “Beh, tuo padre cercherà di maledirmi, no? E se non è tuo padre, sarà Cyrille. Sono sorpreso che non abbia avvelenato il succo di zucca…”

“Sta facendo progressi,” ridacchia Philomène mentre si lascia cullare dall’abbraccio di Eric. Sono seduti in disparte, in attesa di tirare il fiato prima di tornare a danzare con gli altri per tutto il resto della serata. Eric le cinge le spalle con un abbraccio e osserva: “Forse si è reso conto che persino i corvi trovano un compagno.”

Sulle labbra di Philomène affiora un sorriso al pensiero dell’animale simbolo della sua famiglia: generalmente solitario, diffidente, è uno dei pochi animali rigidamente monogami che, quando trova un compagno, tende a tenerlo per tutta la vita e c’è qualcosa di confortante nell’immaginare di crescere e invecchiare con Eric. In questo Torneo, intriso di ombre del passato, è il futuro che la chiama con più forza.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Seguire il filo - pt. 1 ***


Capitolo 4 - Seguire il filo - pt. 1




Roland aprì gli occhi, intorno a sé c’era solo buio e un tanfo terribile. L’ultima cosa che ricordava era Madame Maxime che gli domandava chi, tra lui e Philomène, intendesse affrontare la seconda prova. 

Né lui né sua cugina sapevano nulla di quanto avrebbero affrontato. Non erano stati in grado di aprire quel dannato cilindro. Non che non ci avessero provato, anzi, avevano tentato ogni mezzo e percorso ogni strada possibile: magia, maledizioni, manipolazioni, indovinelli, sistemi di cifratura, rompicapi Babbani, ma nulla aveva funzionato. 

Adesso, Roland era sperduto, in un luogo buio e putrido. Portò la mano nella tasca della veste alla ricerca della bacchetta e non la trovò. Una morsa gli strozzò il respiro per il terrore: come aveva potuto rimanere senza bacchetta? Come poteva sopravvivere in un un torneo magico senza bacchetta? Chi gli aveva rubato la bacchetta? Era vittima di un boicottaggio? Respirò profondamente. Non doveva farsi prendere dal panico. “Ricorda l’addestramento,” si disse sottovoce. 

Il nemico fiuta il terrore e la paura, mantieni il sangue freddo. 

Erano gli insegnamenti di suo padre, quando lo aveva disarmato e gli stava insegnando a usare la magia ancestrale. 

Puoi perdere la bacchetta, ma non la magia, Roland.

Quel pensiero sembrò tranquillizzarlo. Aprì il palmo della mano per evocare un globo di luce, ma si disse che poteva essere un segnale per il nemico. Lasciò perdere. Decise di alzarsi mentre gli occhi si stavano abituando al buio di quel posto. Non si era rotto niente, era tutto intero e sembrava che non mancasse nulla, a parte la sua bacchetta.

Nella tasca della veste trovò il frammento di uno specchio, era un elemento curioso, ma forse poteva servirgli per guardarsi alle spalle o per riflettere la poca luce che filtrava in quel posto. Riuscì a illuminare fiocamente le pareti di mattoni, le curvature di quel lungo corridoio lo rendevano simile a una gigantesca tubatura. Era forse finito nell’impianto idraulico di Hogwarts?

Alzò lo specchio all’altezza del suo viso per guardare alle proprie spalle senza muoversi. Quasi sobbalzò quando vide comparire un occhio nero all’interno dello specchio. Si voltò di scatto ma sentì la voce di Roddie richiamarlo. Era uno Specchio Gemello.

“Roddie, tutto bene? Dove sei?”

“Non lo so so dove siamo, a giudicare da quanto ci circonda, direi che io e Philomène siamo chiusi in un’orribile aula scolastica! Ci siamo svegliati qui, siamo senza bacchetta e abbiamo solo questo specchio e quel dannato cilindro difettoso.”

“Roddie!” La voce di Philomène arrivò chiara alle orecchie di Roland, sembrava eccitata. “Il cilindro! Si è aperto!”

“Grandioso!” Il tono di Roddie era sarcastico ed era il preludio di una delle sue infinite polemiche. Roland, però, non aveva tempo per ascoltare le lamentele di Roddie, voleva uscire da quel posto puzzolente e ringraziò la scarsa luminosità che non gli permetteva di vedere cosa ci fosse sotto i suoi piedi, sebbene la consistenza e l’odore fossero un indizio abbastanza netto. “Ragazzi, io non so dove mi trovo, vi prego, credo che sia iniziata la prova. Cosa dice l’indizio?”

Un fruscio di carta anticipò la comparsa del volto di Philomène nella cornice dello specchio. Roland sorrise sollevato nel vedere la cugina e confidò nel suo senso pratico. “Allora, è un piccolo rotolo di pergamena che dice Ti saranno date tre ore di tempo, vedi di trovare l'uscita nel frattempo. Sarai solo, isolato e inzuppato, senza alcun incantesimo come alleato. Ascolta i tuoi compagni e usa l'intuito, saranno il tuo unico aiuto.

“Perfetto, quindi ho tre ore di tempo per uscire da questo posto e non è un caso che siamo senza bacchetta,” disse Roland, cercando di recuperare lucidità. “A questo punto, non so se non posso o non devo usare la magia.”

“Questo non è un torneo di maghi, è una buffonata,” commentò Roddie, decisamente indignato: “Mandarci nelle fogne! Senza bacchetta! Come degli schifosi Babbani!” Come al solito, suo fratello non si faceva problemi a dare voce a ciò che tutti loro pensavano.

“Abbassa la voce, Roddie!”  Philomène era la più preoccupata dalle possibili reazioni, così concentrata sul rendersi presentabile al mondo in cui voleva disperatamente inserirsi. Andare al ballo con Eric Lagrand era stata una mossa interessante, si trovò a pensare Roland. Lui apparteneva alle famiglie Purosangue francesi che non avevano ufficialmente preso parte alla seconda guerra magica, anche se dietro le quinte, attraverso la loro rete di prestanomi, avevano fatto arrivare il loro sostegno economico. La mamma diceva che era solo politica e che non era escluso che i Lagrand non sostenessero anche altre fazioni, per essere sicuri di finire dalla parte dei vincitori, qualunque fosse stato l’esito della guerra.

“NO! Non mi importa niente! Non ha più nemmeno senso partecipare, oramai! Il prestigioso Torneo Tremaghi è morto! Questa è una farsa, uno schifo!”

“Non ha tutti i torti, sai?” disse Philomène. Roland inspirò profondamente. Oramai era nelle tubature, aveva sottoscritto un contratto magico vincolante. “Non saremo noi a causare scandalo o disonore a Beauxbatons. Non ho nessuna intenzione di ritirarmi. Aiutatemi piuttosto!” 

“E come?” domandò Philomène. “Non conosciamo la scuola, non sappiamo dove ti trovi!”

“Aspetta, guarda qui,” Roddie sembrò calmarsi. “C’è una mappa ed è segnato un punto. Roland, ti trovi al centro esatto. Devi andare verso nord.”

“E qual è il nord?” Il corridoio in cui si trovava era dritto, qual era la destra o la sinistra giusta? 

“Devi andare per esclusione. Vai alla fine del percorso, se trovi un bivio in cui puoi andare in due direzioni, a destra o a sinistra, è quello giusto. Prendi quello di destra, mentre se trovi un bivio con tre strade, allora è quello sbagliato.”

“E dopo?”

“Poi devi prendere la prima a destra, la seconda a sinistra e continuare dritto per un po’, ci sentiremo più avanti. Stai attento.”

Roland provò a seguire l’istinto e andò a destra, sorrise nel vedere che era il condotto giusto. Voltò ancora una volta a destra, mentre sentiva che il livello dell’acqua aumentava pericolosamente. Si domandò se Roddie sapesse leggere le mappe e quasi si pentì di non aver chiesto conferma delle indicazioni a Philomène. Man mano che procedeva nell’acqua sentiva una strana sensazione, come se qualcosa o qualcuno lo stesse spiando. 

“Saranno degli incantesimi di localizzazione,” si disse. “Dopo tutto, la giuria dovrà darci dei voti.” Nel buio del condotto, proprio all’imbocco del secondo tunnel a sinistra, gli sembrò di vedere un paio di occhi gialli. 

“Non può essere.”

Inspirò profondamente e cercò di concentrarsi sulla magia che dimorava in sé, richiamando alla mente gli insegnamenti di suo padre, quasi gli sembrò di rivedere lo sguardo serio e i lineamenti induriti mentre gli chiedeva di compiere uno Schiantesimo senza bacchetta.

“Potresti doverti difendere disarmato,” gli ripeteva durante le sessioni di allenamento, e mai aveva immaginato che si sarebbe realmente trovato in quella situazione. A quei tempi, Roland pensava che era sufficiente non mescolarsi ai Babbani per vivere sicuro, rimanere in Francia e lasciare le paranoie da sopravvissuti ai suoi genitori. Eppure, quel ritorno in Inghilterra lo poneva di fronte a nuove riflessioni, a fili che sembravano spezzati e potevano essere riannodati, a un posto che, sebbene non fosse casa e non ne avesse l’odore, in qualche modo lo era.

Gli occhi gialli comparvero di nuovo. 

“Allora non sono solo.” 

Un lieve bagliore illuminò qualcosa di simile a un tentacolo verdognolo. Roland non fece in tempo ad esclamare “Un Avvincino!” che la creatura si fiondò contro di lui in un attacco.

“Stupeficium!” urlò ma dalla sua mano non uscì alcun incantesimo. I tentacoli dell’Avvincino si aggrapparono alla sua mano e Roland, quasi mosso dall’istinto di sopravvivenza, sbatté violentemente il braccio contro la parete del condotto. Il suo braccio non si aspettava un urto così violento né si attendeva che la superficie fosse tanto irregolare, fatta di mattoni stretti e lunghi messi in modo non uniforme, con sporgenze e rientranze che aumentavano l’impatto del colpo. La Creatura magica urlò di dolore insieme a lui, ma non mollò la presa sul braccio, anzi, si strinse ad esso ancora di più. Roland fu costretto ad aumentare la forza del colpo, cercando di far sbattere la testa dell’Avvincino alla parete del condotto. Fu solo quando riuscì a tramortirlo che questi lasciò la presa e fuggì. Roland si tastò il braccio dolorante. Non poteva vederlo, ma doveva essere rosso per i segni della stretta dei tentacoli, il dolore era come una fasciatura che seguiva i punti in cui i tentacoli erano riusciti a infilarsi sotto l’uniforme nel tentativo di raggiungere la pelle.

Teneva il braccio stretto al petto, come per cercare di lenire il dolore, mentre si addentrava lentamente nel condotto. Andò avanti, al primo bivio avrebbe provato a usare lo specchio gemello per chiedere indicazioni a Roddie e Philomène. Riprovò ad evocare un incantesimo, questa volta piuttosto semplice. 

“Lumos.” 

Dalle dita della sua mano non uscì nemmeno il più piccolo segno di magia. Tutto ciò che gli era stato insegnato, sembrava dissolto. Roland iniziò ad aver paura e, per la prima volta da quando si era risvegliato, avvertì un freddo pungente che arrivava a farlo tremare. Sembrava che il livello dell’acqua stesse continuando a salire. Sentì lo scrosciare dell’acqua e poi una figura comparve davanti a lui; era pallida e traslucente, un vero e proprio fantasma.

“Oh, un altro Lestrange nelle fogne.”

“Quanti Lestrange hai visto nelle fogne?”

Il fantasma sorrise e ridacchiò divertito. Era una ragazza, indossava un’uniforme scolastica e un paio di occhiali. Roland si domandò se fosse morta durante uno dei tornei di magia della scuola.

“Tanti anni fa, tuo padre rischiò di farsi espellere da scuola per aver trovato un passaggio con l’esterno e averlo usato per far entrare Tu-Sai-Chi dentro la scuola.”

“Cosa?”

“Oh, sì, era proprio come te, zuppo, infreddolito e senza bacchetta.”

“Puoi aiutarmi ad uscire da qui? Dove si trova questo condotto?”

“Oh, no, io non posso dare suggerimenti ai Campioni Tremaghi, volevo solo vedere se eri carino come il tuo papà, e devo dire di sì, anche se… beh… potresti fare di meglio…” Roland alzò un sopracciglio perplesso: “Mi stai dicendo che non sono abbastanza bello?”

“No, ma il fisico di Rodolphus… beh… io non ho mai capito Bellatrix…”

“Nemmeno mia mamma l’ha mai capita, ma suppongo che non ci sarei stato a quest’ora.”

“Oh, tua mamma… lei si che sapeva divertirsi!” Il fantasma iniziò a ridacchiare nel modo stupido e irritante che avevano le ragazzine, che facesse dell’ironia su sua mamma, poi, era una cosa che non tollerava. “Risparmiami i dettagli, per favore!” 

Il fantasma gli si avvicinò sussurrò nel suo orecchio: “Non vuoi sapere di lei e Barty nel bagno dei Prefetti?” Doveva essere divertita dal suo imbarazzo. Roland non voleva immaginare sua mamma con il papà di Orion né voleva immaginare sua mamma in alcun modo. Insomma, era sua mamma! Senza contare che sapeva fin troppo bene, quanto sua mamma si lasciasse trasportare dalla passione. “Ehm… no, mi è bastato sorprenderla con papà una mattina che sono andato in spiaggia prima del solito…” Il fantasma scoppiò a ridere: “Certe cose non cambiano mai!”

Decise di cambiare argomento prima che fosse troppo tardi. “Passi tutto il tempo a guardare le coppie di Hogwarts?”

“Sei proprio antipatico e permaloso come tuo padre!” Roland scoppiò a ridere per quella battuta e rivolse un sorriso complice a quel fantasma, insieme a un tentativo di farle gli occhi dolci. “Lo prendo come un complimento. Allora, vuoi farmi compagnia  in questa prova? Ascolterei molto volentieri i tuoi racconti…”

“Purtroppo devo andare, ma ti lascio un consiglio: allena i bicipiti.” 

Il fantasma scomparve prima che la reazione permalosa di Roland arrivasse. Si toccò le braccia come alla ricerca di cosa non andasse nel suo corpo. Forse non era massiccio come suo padre, la sua muscolatura era più smilza come quella di zio Rabastan, ma questo non lo rendeva meno forte né meno affascinante. Pensò a Lucile Dolohov e alle passeggiate che avevano fatto insieme e una leggera stretta allo stomaco iniziò ad opprimerlo: forse anche Lucile pensava che lui avrebbe dovuto essere come suo padre? Eppure, i baci che si erano scambiati sembravano dire qualcosa di diverso. Doveva trovare Lucile! Al diavolo la prova, il Torneo e tutto il resto! Al diavolo Roddie, Philomène e tutta l’Accademia! C’erano altre cose importanti nella vita e lui aveva bisogno di esplorarle. Non voleva intossicarsi con l’odio del passato, sentirsi appellare “il Mangiamorte”, voleva essere libero e vivere una vita normale.

“Ro, sei arrivato?” La voce di Roddie lo riportò con i piedi per terra. C’era come uno strano ronzio nell’aria, qualcosa che sembrava una melodia in grado di smuovere la sua anima. Roland si appoggiò alla parete del tunnel e quel contatto con i mattoni irregolari gli ricordò che aveva una prova da portare a termine. Solo che quella canzone… Forse poteva ascoltarla per un po’ e rimanere seduto in quel posto. 

“Ro, sbrigati!”

“La sentite anche voi?”

“Sembra Maride, stai attento,” gli disse Philomène. La delusione gli invase l’animo: se voleva uscire da quel posto e rivedere Lucile, doveva terminare la prova. Ma che senso aveva? Lucile avrebbe preferito uno come suo padre, lo aveva detto persino il fantasma! Suo padre preferiva Orion, la mamma Roddie, era palese e nessuno si sarebbe preoccupato per Roland, che volevano solo per portare avanti il nome dei Lestrange. Era solo un nome sull’albero di famiglia, l’adempimento di un compito, nessuno era realmente interessato a lui.

“Roland…” La voce di Philomène era preoccupata.

“Ro!” La voce di Roddie e quel tono allarmato. “Non ti sentiamo muoverti, cosa succede?” Roland si sedette sul fondale melmoso. L’odore era terribile. “Ti prego, Ro, qualsiasi cosa ti stiano facendo pensare, è solo il canto dei Maridi! Ti prego, vai avanti!” 

“Non vediamo l’ora di riabbracciarti,” aggiunse Philomène. “Devi leggere la lettera di Orion, ricordi?” Il ricordo dello sguardo complice di Orion, il modo in cui gli tendeva la mano, le notti trascorse a dividere il letto durante i temporali, i giochi con gli elfi domestici e con i suoi genitori. I cugini che andavano a fargli visita. Zio Rabastan che lo prendeva sulle spalle e gli faceva fare i tuffi in acqua. Si fece forza e si alzò e, nonostante i pensieri che la mente confusa gli proponeva, riuscì ad allontanarsi.

Arrivò al bivio indicato da Roddie frastornato. Trovò il condotto chiuso da un cancello. “Grandioso! Lo sapevo che Roddie non era in grado di leggere una dannata mappa.” Afferrò lo specchio gemello e sperò che i suoi compagni di squadra fossero ancora lì, pronti ad aiutarlo. 

“Il condotto è sbarrato,” esclamò. 

“Solo perché hai superato il punto in cui dovevi svoltare,” disse Philomène il cui occhio azzurro comparve con un’espressione accigliata. “Cosa ti è successo?” 

“Un Avvincino…” mormorò. “Non so se ci sono incantesimi anti magia, ma non posso utilizzare nemmeno la magia ancestrale,” commentò sconsolato. “Forse non sono capace… E se perdiamo per colpa mia?”

“Non è il momento di farsi prendere dallo sconforto,” gli disse suo fratello che allontanò Philomène e comparve con i suoi occhi neri e l’aria preoccupata dentro la visuale. “Sei assolutamente in grado di superare la prova. Sei il miglior studente dell’Accademia e anche il miglior allievo di papà, non dimenticarlo. Questo torneo è truccato, vedi solo di uscirne intero, ok?”

La voce di Philomène annuì accanto a Roddie. “Sì, Roland, pensa a uscire, tutto il resto non importa.” Lo specchio tornò a inquadrare l’occhio attento di Philomène. “Adesso, prendi il primo condotto che troverai, vai in fondo e poi devi voltare a sinistra e dovrai attraversare un lunghissimo canale. Ci saranno circa una ventina di tunnel che sboccano lì.”

“Credi che sia il canale principale di scolo?”

“Temo di sì.”

“Sarai nella cacca fino al collo,” disse Roddie. “Buona fortuna.”

“E poi dove vado?”

“Dovrai contare circa sei condotti a sinistra e altrettanti a destra, attento che sono sfalsati, e poi dovrai prendere il settimo condotto di destra. Attento perché il sesto è l’ottavo non so dove potrebbero portarti.”

“D’accordo. Ci sentiamo dopo, se ci sono altre creature non voglio attirarle parlando.”

“A dopo.” 

Roland tornò indietro, alla ricerca del condotto giusto. L’odore era terribile e la sensazione di star camminando nei rifiuti degli studenti di Hogwarts aumentava il fastidio. Era senza bacchetta, rinchiuso nelle fogne, con creature magiche e impossibilitato a difendersi. Non capiva cosa ci fosse di istruttivo nel togliere la magia ai maghi. Non era un torneo di ingegno, o altre cazzate da Babbani, era il torneo Tremaghi e, nella storia del Torneo, i maghi si erano sempre sfidati con gli incantesimi. I suoi piedi toccarono qualcosa di duro, dal rumore sembrava legno. Tastò meglio la zona sottostante e si sorprese nel riconoscere quelle che, a tutti gli effetti, sembravano delle bacchette magiche. Non poteva essere così fortunato… Consapevole che potesse trattarsi di una trappola, infilò la mano dentro quel liquido melmoso alla ricerca di uno di quei cilindri di legno. Il tanfo lo assalì insieme alla nausea mentre la mano tastava il fondale. 

Fu più forte di lui, un conato di vomito lo assalì e la colazione mattutina divenne qualcosa di cui non doversi più preoccupare. L’intuizione avuta dai suoi piedi, però, si rivelò corretta e quasi sorrise nel comprendere che sul fondale, per qualche misterioso motivo, erano finite una quantità indefinita di bacchette magiche.

“Ahi!”

Il pizzico di qualcosa gli fece scappare la presa della bacchetta. Tornò velocemente a recuperarla mentre faceva largo con i piedi. Afferrò l’impugnatura e tirò velocemente la bacchetta fuori dalla melma. “Lumos!”

Nulla. 

Roland tastò la bacchetta e poi saltò per il dolore. 

Qualcosa lo aveva pizzicato dentro il fondale, qualcosa che si stava muovendo lungo il legno della bacchetta che teneva in mano. Assottigliò lo sguardo portando il braccio nella direzione da cui filtrava un po’ di luce riflessa: uno chizpurfle si muoveva pericolosamente in direzione delle sue dita. 

“Dannazione!” esclamò lasciando la presa della bacchetta e allontanandosi velocemente. Sul fondale, come risvegliati da tutto quel trambusto, altri chizpurfle iniziarono a muoversi e a riempirlo di pizzichi. 

“Dannazione! Ecco perché le bacchette non funzionano!” 

Gli chizpurfle amavano le bacchette magiche, si nutrivano del loro nucleo, oppure vivevano nel fondo dei calderoni che non venivano puliti. Roland li aveva studiati in Creature Magiche in Accademia, dove aveva potuto osservarne qualcuno. Se non erano pieni di magia, non erano particolarmente pericolosi. Il problema, però, era che lui non aveva nessuna delle pozioni che si utilizzavano come repellenti, ed era sprovvisto di una bacchetta per praticare qualunque incantesimo. Non solo, il fondale melmoso in cui si trovava costretto a camminare e l’oscurità che lo avvolgeva, rendevano per lui impossibile difendersi. 

La sola strategia possibile era la fuga, lasciare il territorio di quelle creature orripilanti e sperare che non lo seguissero. Si infilò nel cunicolo che gli aveva indicato Philomène, sperando di non aver perso il conto nella fuga dagli chizpurfle che continuavano a inseguirlo. Arrivò alla fine del tunnel continuando a sentire quelle gambette che ticchettavano sul fondale melmoso. 

“Ahi!” Esclamò sentendo il primo pizzico. Roland non aveva modo di prendere lo specchio gemello per coordinarsi con i suoi compagni di squadra, doveva andare per tentativi. Prese il primo cunicolo a sinistra, poi andò a destra, e ancora a sinistra. Era sul punto di credere di aver seminato gli chizpurfle quando uno scroscio soprastante precedette l’arrivo di un getto d’acqua, o di quella che sperava essere acqua. Venne preso in pieno e finì inzuppato completamente. Rimase immobile, in attesa che tornasse il silenzio e l’acqua si calmasse. Continuava ad esserci uno scroscio d’acqua da qualche parte, sul fondo del condotto. Il lato positivo era che gli chizpurfle dovevano essere tornati indietro, quello negativo era che che se non si dava una mossa sarebbe finito annegato nelle fogne di Hogwarts.

Suo padre si era orientato in quei condotti, aveva fatto entrare Lord Voldemort nella scuola meglio difesa del mondo magico, proprio sotto il naso di Albus Silente… Lui non poteva essere da meno, doveva dimostrare la propria tempra, di essere un ottimo Lestrange.

Nonostante l’alzarsi del livello dell’acqua, decise di andare avanti e raggiungere il fondo di quel tunnel. Tastava con le mani le pareti, alla ricerca di altri condotti in cui poter uscire. L’acqua era arrivata all’altezza del collo e l’olezzo era così terribile che Roland si sentì felice che la colazione lo avesse già abbandonato. Arrivò al fondo del tunnel e trovò una sorta di botola chiusa da una maniglia di ferro spesso e viscido che non doveva essere aperta da secoli. Provò a ruotarla con tutta la sua forza, gli ci vollero diversi tentativi prima di sbloccarla e riuscire a far defluire l’acqua. 

Solo quando il livello dell’acqua tornò basso, Roland afferrò il frammento di specchio alla ricerca di nuove indicazioni da parte di suo fratello e di sua cugina.

“Cosa ti è successo?” Lo sguardo di Philomène lasciava trasparire lo sconcerto per le sue condizioni. “Preferirei sorvolare… immagino di non essere un bello spettacolo…”

“Folli! Sono folli!” La voce di Roddie era furiosa e quello era il suo modo per mostrare la sua preoccupazione. 

“Sapete quanto tempo è passato?”

“Circa un’ora e mezza.”

“Quanto manca all’uscita?”

“Non molto, teoricamente, ma la mappa è incasinata e ci sono un sacco di condotti bloccati, quindi dovrai fare attenzione. Adesso sei lontano dalla strada che dovevi prendere, puoi tornare indietro?”

Roland scosse la testa: “No, quel condotto è presidiato da un centinaio di chizpurfle e, senza bacchetta, è piuttosto doloroso affrontarli.”

Roddie sospirò. “Vorrei proprio sapere come ci sono finiti nelle fogne…”

Roland alzò le sopracciglia: “Ho delle ipotesi, ma vorrei discuterle una volta che mi sarò fatto una doccia. Aiutatemi ad uscire da qui.”

“Giusto.” Lo specchio tornò a inquadrare Philomène che, finalmente, lo allontanò dal proprio volto e Roland riuscì a rivedere lei e il fratello. “Finalmente vi vedo.”

“Scusa. Ti mostro la mappa. Tu sei qui.” Philomène indicò sulla mappa un puntino da cui partiva un cartiglio con il nome “Roland Lestrange”. Non vide gli altri concorrenti, segno che erano molto indietro o molto avanti. Doveva muoversi. “Devi prendere la prima a destra, vedi? Poi di nuovo a destra, quindi a sinistra. Andrai avanti per un po’, troverai un bivio con tre strade, di cui due chiuse, prendi la terza, percorrila tutta e dovresti trovare l’uscita.”

Roland annuì. “Chiaro. Destra, destra, sinistra, strada percorribile. Spero di non incontrare altre creature magiche. A dopo.”

“A dopo.”

Roland iniziò a correre. In qualche modo, era come se il suo corpo si fosse abituato a quell’ambiente sporco e maleodorante. Riusciva a orientarsi, ad ascoltarne e riconoscerne i suoni. Seguì le indicazioni e all’ultimo bivio dovette provare tutte le strade prima di trovare quella giusta. Alla fine c’era una scala di metallo, salì con il cuore che gli batteva forte in petto, aprì la botola pregustando il momento in cui si sarebbe fatto una doccia calda e profumata.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Seguire il filo pt. 2 ***


Capitolo 5 - Seguire il filo - pt. 2



Sbatté gli occhi e un senso di angoscia lo assalì. Era ancora in un condotto fognario. Afferrò lo specchio con le mani che gli tremavano, in preda all’ansia di non riuscire più a uscire. Roland era certo che se quel frammento di vetro fosse caduto e si fosse frantumato, lui sarebbe impazzito. 

Doveva respirare. 

Forse allo scadere del tempo lo avrebbero fatto uscire, forse si sarebbe risvegliato nella sua stanza, ma al pensiero di dover passare quasi un’ora in quel posto, sentì la nausea assalirlo. 

“Ragazzi! Sono ancora qui dentro!” 

“Continua a salire,” gli disse Roddie, “sembrano essere più livelli, forse tre.” 

Roland cercò di guardarsi intorno, l’oscurità gli rendeva difficile orientarsi e impiegò un po’ di tempo prima di trovare le scale e riprendere a salire. Era stanco e ogni gradino gli sembrava una tortura. Le braccia erano piene dei morsi degli Chizpurfle e persino il ricordo dell’Avvincino sulla mano e intorno al polso gli faceva malissimo. Ciò che lo motivava era il pensiero dell’aria fresca e di una doccia calda. 

Aprì l’ultima botola, pronto a inspirare l’aria fresca della scuola e tutto quello che sentì fu un terribile tanfo di letame. “Dannazione!” esclamò mentre si tirava su e compariva nel retro di quella che doveva essere la serra di Erbologia. Il professor Longbottom sussultò nel vederlo emergere, strinse la mascella come per prepararsi a dire qualcosa ma fu superato dalla preside di Hogwarts che arrivò insieme a Madame Maxime, più sorridente che mai. 

“Complimenti, Beauxbatons! Signor Lestrange, è il primo ad essere uscito.”

“Eccellente, Roland! Eccellente!” Madame Maxime sembrava molto entusiasta e Roland si disse che forse era riuscito a rimediare alla prova disastrosa di Roddie. I Lestrange, dopo tutto, sapevano cavarsela anche senza bacchetta. Sorrise quando vide arrivare i suoi compagni di squadra che gli stavano andando incontro, felici di rivederlo. Roddie era più avanti di Philomène ma, non appena sentì il suo terribile odore, si fermò di soprassalto al punto che Philomène gli finì addosso. “Ci salutiamo dopo la doccia,” li anticipò Roland mentre si dirigeva nella tenda dei campioni. 

Sotto l’acqua calda e profumata, si strofinò a fondo, cercando di eliminare ogni traccia dello schifo che aveva invaso ogni parte del suo corpo. Bevve copiosamente l’acqua della doccia e riempì le narici del bagnoschiuma al talco, quello che sapeva di casa e pulito più di tutto. Ripensò a suo padre, all’espressione sorpresa e orgogliosa che avrebbe avuto quando gli avrebbe raccontato della prova e dell’incontro con quello strano fantasma. 

Quel viaggio in Inghilterra, in qualche modo, era come un labirinto in cui il filo del passato della sua famiglia si stava srotolando e gli stava mostrando molte cose sui suoi genitori. 

Indossò l’uniforme cerulea della sua Accademia e raggiunse Roddie e Philomène che lo attendevano nella tenda dei campioni in compagnia di Rabastan e Cyrille. Era stato allestito un tavolo con un ricco buffet di stuzzichini. Sentì il profumino di alcuni panini farciti e si ricordò di essere a stomaco vuoto. Rabastan, con la sua voracità, stava saccheggiando il piatto con i croissant salati che, per fortuna, continuavano a ricomparire. 

“Potrei mangiarne all’infinito,” gli disse non appena si accorse di essere osservato.

“Non credo che sia una scelta saggia,” scherzò Roland mentre prendeva un piattino con solo qualche tramezzino con il formaggio spalmabile e i cetriolini. Lo addentò e pensò che erano proprio come quelli che sua mamma faceva preparare per i pic-nic in spiaggia. 

“Signor Lestrange, venga qua.” 

Una donna burbera, con la divisa da infermiera, lo prese in disparte e controllò lo stato delle sue braccia; praticò degli incantesimi curativi che riportarono le braccia al loro stato originario, eliminando i segni delle strette dell’Avvincino e dei pizzichi dei Chizpurfle. Come ricordo di quell’avventura nell’impianto idrico rimase solo il segno di un lieve indolenzimento. 

“Non faccia sforzi e domani sarà come nuovo.”

Roland annuì e la ringraziò. Si sistemò su una comoda poltrona, circondato dai suoi compagni di Accademia e raccontò loro come si era sentito smarrito lì sotto e, proprio mentre raccontava i dettagli della sua avventura e avvertiva di nuovo quel senso di impotenza, la sua mano corse a cercare la bacchetta. Sorrise nel ritrovarla al suo posto, nella tasca della sua uniforme. Dalla punta della bacchetta uscirono delle scintille rosse e Roland le disse dolcemente: “Anche tu mi sei mancata…”

Philomène sedeva accanto a lui, sul bracciolo della poltrona, e gli cingeva le spalle con un braccio, mentre le dita di sua cugina passavano tra i capelli. Doveva essersi spaventata. Roland appoggiò la testa contro il fianco di Philomène e si lasciò accarezzare, persino Roddie gli si era attaccato.

“Hai avuto paura?” domandò Roland.

“Un po’ ma soprattutto tanta rabbia. Non so che mi succede, ma da quando sono arrivato in questo posto continuo ad essere arrabbiato.”

“Non ha senso, non ci hanno fatto niente.”

“Stanno distruggendo il mondo magico! Tutto quello che vediamo da quando siamo in Inghilterra è… sbagliato! Io volevo vedere la scuola della mamma, ma qui è terribile!”

“Lo sai, però, che la mamma non ha un bel ricordo degli anni di scuola, ed è il motivo per cui lei e papà hanno deciso di rimanere in Francia. Beauxbatons è la nostra casa, qui non c’è niente per noi, se non macerie e ricordi di un passato che è meglio lasciarsi alle spalle.”

“Roland ha ragione,” intervenne Philomène. Si voltò verso la cugina, grato dell’intervento. Philomène si fermò una ciocca bionda dietro l’orecchio e sospirò prima di iniziare il proprio ragionamento: “Sono secoli che i Purosangue devono confrontarsi con i sostenitori dell’integrazione con i Babbani. Le nostre tradizioni non possono essere decise dalle sorti della guerra. Lo sai che le idee non muoiono mai.”

Roland annuì, si stiracchiò sulla poltrona e passò nervosamente la mano lungo la coscia. In quel momento si accorse che qualcosa era comparso nella sua tasca. Forse anche gli altri concorrenti avevano terminato la prova. Estrasse un foglio di pergamena piegato in quattro e lo porse a Philomène.

“Che cos’è?” 

“Il prossimo indizio, suppongo.”

***
 

“Mio caro Roland, 

io e la mamma seguiamo l’andamento del torneo sulle pagine della Gazzetta del Profeta e attraverso la “Gazzetta di Rabastan” che, nelle sue lettere, non manca mai di fare una cronaca molto dettagliata degli eventi. Le lettere di Roddie ci stanno illuminando sul clima che state vivendo e ci confermano, ancora una volta, di aver fatto bene a rimanere in Francia. 

Suppongo che il fantasma che ti ha raccontato della mia avventura nei condotti idrici della scuola fosse Mirtilla, una ragazzina drammaticamente morta a scuola, ai tempi in cui tuo nonno Roland frequentava Hogwarts, pare che fosse coinvolta nell’apertura della Camera dei Segreti. 

Avevo proprio la tua età e l’anno successivo avrei dovuto intraprendere il mio percorso da Mangiamorte. Avevo intenzione di farmi notare dal Signore Oscuro e avevo saputo da Bellatrix che era venuto a scuola per chiedere di poter insegnare Difesa contro le Arti Oscure. Oh, sarebbe stato un insegnante meraviglioso! Ancora oggi, molte delle mie conoscenze e il metodo di studio lo devo ai suoi insegnamenti. Era un mago grandioso, come ne nascono pochi al mondo, al punto che i grandi maghi odierni impallidiscono per abilità magiche al suo cospetto. 

Ad ogni modo, gli rivelai che avevo scoperto un passaggio segreto, attraverso le tubature, andai a incontrarlo, ai margini del Lago Nero, lo guidai dentro la scuola. Non so cosa dovesse fare, ma era molto importante per lui. Ricordo che nel tentativo di arrivare al passaggio segreto persi la bacchetta, ma riuscii lo stesso a orientarmi.

Purtroppo, mentre tornavo in sala comune venni fermato dal professor Silente in persona, era su tutte le furie. Minacciò di espellermi da scuola e solo la mediazione del professor Lumacorno lo convinse a farmi finire l’anno. Dentro di me, però, ero orgoglioso di aver reso un servigio al Signore Oscuro. Non appena presi i M.A.G.O., mi ricompensò ed entrai nella sua cerchia ristretta e fui in grado di essere istruito da lui in persona e scalare le posizioni fino a diventare il suo braccio destro. Dopo la fine della guerra, quando la mamma lesse il rapporto di Potter, pare che il Signore Oscuro quella notte abbia nascosto il Diadema di Corvonero in una stanza magica della scuola. Abbiamo impiegato molti anni e attraversato ingenti sofferenze per arrivare a capire che la Causa dei Purosangue era solo un pretesto per accumulare potere. Abbiamo creduto alle sue parole, affascinati dalla prospettiva di un mondo magico che seguisse il filo delle nostre tradizioni, abbagliati dalla sua grandezza, e siamo stati traditi.

Ogni famiglia Purosangue è andata avanti, a modo proprio, è inutile fare paragoni tra le scelte di ciascuna famiglia. Abbiamo scelto di ritornare in Francia ed essere liberi di darvi un insegnamento completo, senza i dogmi che affliggono la società inglese e farvi vivere da Purosangue senza compromessi, per noi era importante riuscire a trasmettervi le nostre tradizioni. 

La mamma ed io siamo contenti che tu voglia conoscerci meglio, che le tue radici ti incuriosiscano, e hai ragione nel dire che nel passato ci sono i segni per decifrare il futuro, ma questo è solo nelle tue mani: sarai tu a decidere un giorno quale sarà la posizione dei Lestrange, quando prenderai sulle tue spalle l’eredità della famiglia. Se vorrai tornare in Inghilterra, avrai tutti gli strumenti per farlo. Dopo tutto, lo ha già fatto Radolphus Lestrange, non vedo perché tu non possa farlo! Sono certo che saprai soppesare i pro e i contro di ogni decisione, sei molto giudizioso.

Fino ad allora, continua ad essere il meraviglioso giovane e talentuoso mago che sei e che ci sta rendendo molto orgogliosi. Veglia sui tuoi fratelli, non ti nascondo che siamo molto preoccupati per Roddie.

Con affetto,

Papà

 

Roland ripiegò la pergamena che Antares II, il nuovo gufo della mamma, gli aveva recapitato. Sorrise mentre infilava la lettera all’interno del suo taccuino, asciugò una lacrima di commozione al pensiero di quanto gli mancasse la presenza di suo padre e quel senso di sicurezza che sapeva trasmettergli. 

Si alzò dal muretto nel cortile di Hogwarts in cui si era nascosto per poter leggere in tranquillità. Sperò di riuscire a tornare verso l’Atrio e poi dirigersi verso la carrozza dell’Accademia dove i suoi fratelli e i cugini lo attendevano prima di cena.

“Ti sei perso?”

Lucile Dolohov era comparsa con i suoi splendidi occhi azzurri incorniciati da una cascata di capelli biondi. 

“Forse,” ammise, dicendosi di non avere idea della strada da percorrere per tornare indietro. Aveva camminato fino a quel cortile con lo sguardo fisso sulla pergamena, alla ricerca di un posto tranquillo in cui leggere e non aveva fatto caso al percorso.

“Mi stavi seguendo?” Roland era diventato diffidente, quel riferimento al modo in cui ogni famiglia Purosangue era andata avanti a modo proprio, lo metteva all’erta. 

“No, stavo andando in biblioteca a prendere un libro,” gli rivelò mostrando l’ingresso della biblioteca. Roland sorrise, imbarazzato. Certo, che presunzione, come poteva credere che Lucile Dolohov lo seguisse?

“Sei stato molto abile nella prova.”

“Grazie.” Roland non sapeva cosa dire. La sua testa era diventata improvvisamente vuota e gli sembrava che nulla esistesse al mondo al di fuori degli occhi azzurri e del sorriso di Lucile. 

“Vado?” domandò lei, forse credendo di metterlo a disagio.

“No!” Roland rispose con troppa veemenza, l’espressione sorpresa, quasi spaventata, di Lucile gli confermò che doveva mantenere la calma. “Vorrei che mi aiutassi ad orientarmi, per favore,” aggiunse. Il viso di Lucile si sciolse in un sorriso che provocò un sussulto allo stomaco di Roland. Non stavano insieme senza altre persone dal ballo, dove erano riusciti a danzare un paio di valzer e poi lei aveva dovuto raggiungere le sue amiche e il suo cavaliere, lui era tornato dai fratelli e i compagni di Accademia.

Erano trascorsi quasi due mesi da allora. Lo realizzò in quel momento, mentre osservava Lucile che gli spiegava punti di riferimento per non perdersi a Hogwarts che lui non avrebbe ricordato. Era un idiota: a giugno sarebbe ritornato in Francia e non l’avrebbe mai più rivista, ma come si corteggiava una ragazza? 

“Tu non mi stai seguendo, vero?” Lucile lo osservava con un sopracciglio alzato e una pazienza infinita. Roland scosse la testa. “Perdonami, ma ho un pessimo senso dell’orientamento e non riesco a memorizzare questi posti…”

“Però nell’impianto idrico riuscivi a orientarti…”

“Beh… c’erano meno… distrazioni.” Roland non sapeva cosa fare, sapeva solo che doveva continuare a parlare, perché quel silenzio tra loro era carico di elettricità e lui non sapeva fino a dove spingersi, cosa fare, come farlo. Sapeva solo che vedere il sorriso di Lucile che si allargava e le guance che si colorivano di rosso era quanto di più bello ci fosse al mondo. Il cuore gli batteva forte nel petto e sembrava che avesse perso la capacità di respirare.

Lucile riprese a camminare, il suo sguardo leggermente scurito e Roland comprese di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato. “Non voglio dire che sia distratto!”

“Lo hai detto.”

“No!” Roland aveva un nodo alla gola e sentiva solo paura. “Volevo dire… beh… volevo dire…”

“Risparmiati le scuse Lestrange, non è importante.”

“Tu mi piaci.” Lo disse così, senza riuscire a trovare parole migliori, più romantiche, più appropriate. Lucile si fermò a studiarlo e Roland comprese di non poter rimanere in silenzio. “Tu mi piaci. Tanto. Ed è per questo che non posso concentrarmi sui nomi delle classi di questa scuola, perché avrei voluto dirlo meglio.”

Credeva che confessando il suo stato d’animo si sarebbe tolto un peso dallo stomaco, invece, la paura era solo aumentata. Cosa pensava lei?

“Anche tu mi piaci,” gli confessò con un sussurro sufficientemente alto da giungergli alle orecchie.

“Posso tenerti per mano?” Si pentì subito della domanda sciocca. Qualsiasi altro ragazzo si sarebbe limitato a guardarla, stringerla a sé e baciarla. Philomène glielo aveva spiegato un milione di volte cosa sognano le ragazze, ma lui era troppo terrorizzato dal rifiuto per correre un simile rischio. Lucile annuì e Roland sentì una capriola nello stomaco nel momento in cui i loro palmi si sfiorarono. Le dita si allargarono spontaneamente per accogliere quelle di Lucile. 

“Devo confessarti una cosa,” le disse mentre erano già fuori dal portone di quercia della scuola. 

“Cosa?”

“Non voglio più tornare alla carrozza.”

“Vieni. Conosco un posto.”

Roland si lasciò condurre verso il Lago Nero da cui arrivava un vento freddo sotto un cielo carico di nuvole. Avrebbe voluto portarla con sé a Beauxbatons e invitarla a passeggiare nei loro giardini fioriti, con il sole, gli uccellini che cinguettavano e le rose che sbocciavano durante tutto l’anno. Si sarebbero seduti su una panchina in ferro battuto e chiacchierato mentre un gruppo di anatre nuotava nello stagno.

Erano seduti sull’erba, ciascuno sul proprio mantello e Lucile aveva appoggiato la testa contro la sua spalla. Aveva un profumo delizioso come nessuna ragazza dell’Accademia. 

“Le vedi quelle montagne?”

Roland annuì. 

“Lì ci sono le Highlands. Pare che siano dei posti intrisi di magia ancestrale. Durante i sabba, mio papà ci porta spesso, per compiere i riti celebrativi e rafforzare la nostra magia. Mi ha detto che alla nostra età era compagno di classe di tua mamma.”

“Adesso cosa fa?”

“Lo stregone di magia antica. Lo chiamano per celebrare i matrimoni con i riti tradizionali, oppure compiere magie di buon auspicio sui nuovi nati. Cerca di non far scomparire il mondo antico.”

“Un po’ come i miei genitori, è difficile?”

Lucile si strinse a lui. “In casa non si parla mai della guerra, solo della modernità. Papà aveva la nostra età quando suo padre, Antonin Dolohov, è finito ad Azkaban per la prima volta. Non lo ha visto per quasi sedici anni. Hai idea di quanti siano? E poi, è stato con loro appena due anni. Dopo la guerra è stato catturato e rispedito ad Azkaban dove è morto.”

“Insieme al Signore Oscuro, tuo nonno è stato il maestro di mio papà.”

“Credo che mio padre non abbia mai voluto farci sentire lo stesso dolore, quello dell’assenza. Voleva iscrivere me e mio fratello a Durmstrang, sai?”

“Cosa gli ha fatto cambiare idea?”

“La magia delle Highlands. È tutto quello che ci resta, voleva che la conoscessimo e che la praticassimo senza essere contaminati dalla magia scandinava.” Lucile fece un respiro profondo. “Sai, papà dice sempre che quando si è giovani si è modellabili come creta ed è facile cambiare forma o inquinare la magia se si mescolano troppi stimoli.”

“Non dovrebbe essere il contrario?” domandò Roland. “Che più stimoli si ricevono, più si diventa forti?”

“Vale per la conoscenza, ma non per la magia ancestrale che ha bisogno di un legame con gli elementi della natura e le forze magiche che sono dentro di esse e che devono diventare parte di te.” Lucile si voltò verso di lui e gli prese la mano tra le sue. “Guarda,” gli disse. Chiuse gli occhi e respirò. Le mani di Lucile divennero calde, di un calore che gli entrava fin dentro il corpo e sembrava allargarsi allo spazio che li circondava.

“Sentito? È la magia antica, la connessione con il cuore della terra.”

“È così diverso dagli insegnamenti di zio Rabastan,” confessò. 

“La Francia ha una magia tutta sua, ogni terra ha le sue tradizioni magiche. Bisogna dominarle, prima di aprirsi ad altre.”

“Il punto è che io non so a che terra appartengo. Non riesco a sentire nessun legame, oltre il sangue, mi sento perso.”

“Non sei abituato a sentire il legame. Inizia a casa, nel luogo in cui il sangue può farti da medium. Vai a ricercare le origini dei Lestrange e lì potrai sentire la connessione. Una volta scoperto il contatto, sarà più facile ritrovarlo altrove.”

“Vuoi dire che riuscirò a sentire le radici con la mia terra?”

“Esattamente.”

“Wow! Grazie!”

“Non ringraziarmi, Lestrange, baciami, invece. Non voglio aspettare altri mesi.” Le mani di Lucile corsero verso il viso di Roland che sorrise contro le labbra di lei e poi si lasciò andare a un bacio. Fu diverso da tutti i baci dati in precedenza, era come se non ci fosse solo attrazione, ma qualcosa di più profondo che si agitava in lui e che lo spingeva verso Lucile. La strinse a sé ed era leggiadra, delicata e forte al tempo stesso. Le dita le accarezzavano i lunghi capelli biondi mentre le labbra non si staccavano dalla sua bocca.

Era felice, incredibilmente felice.

 

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Capitolo 6
*** Di figlie e di padri ***


 

Capitolo 6 - Di figlie e di padri



 

La carrozza di Beauxbatons era deserta. Gran parte degli studenti dell’Accademia di magia francese si era riversata sui prati di Hogwarts approfittando del bel tempo. Era stato un anno difficile per l’intera delegazione: tra un autunno e una primavera piovosi, c’era stato un inverno gelido, al punto che il bel clima dell’accademia con gli incantesimi di Perenelle che rendevano sempre tiepida e piacevole l'aria, era diventato un lontano ricordo. Non era strano che, ai primi raggi d'un sole tiepido, l’intera delegazione fosse corsa a godere del tepore e dell’aria fresca.

“Dove sono finiti tutti?” 

“Ovviamente sono al sole,” disse Cyrille indicando con lo sguardo le finestre che affacciavano sul prato. Intorno al Lago Nero, qualcuno aveva improvvisato un pic-nic con una baguette e del formaggio.

“Per Flamel, è la cosa più francese che vedo da mesi!” Il sospiro di Roddie strappò un sorriso a Philomène che aggiunse: “Andiamo anche noi, chissà cosa mi accadrà in questa terza prova. Potrebbe essere il mio ultimo pic-nic.”

Intorno a lei, gli sguardi di suo fratello e dei suoi cugini si spensero. Roddie balbettò: “Non dire così.”

“Già. Sei fortissima,” aggiunse Cyrille. “Il Calice ti ha scelta, dopotutto.”

Philomène annuì, infilò la mano nella tasca dell’uniforme ed estrasse il foglio di pergamena piegato in quattro. Lo guardava dal mese di febbraio a momenti alterni. Per i primi tempi lo aveva tenuto sempre aperto sulla propria scrivania, sperando che magicamente potesse comparire un indizio della terza prova. Non era mai comparso nulla. Persino in quel momento, a poche ore dall’inizio della prova, il foglio continuava ad essere bianco. Roddie era stato il solo ad essere fortunato con l’indizio, a scoprire per tempo cosa avrebbe dovuto affrontare e prepararsi in modo adeguato. Roland e lei non erano stati altrettanto fortunati.

Il bussare alla porta della carrozza la distrasse dai pensieri. Intravide solo lo sguardo sorpreso di Roland e poi l’esclamazione di Cyrille alle sue spalle: “Mamma!”

Philomène si voltò incredula e felice. Non appena incontrò il sorriso di sua madre, le si lanciò tra le braccia esclamando: “Maman!” Fu così confortante, dopo tutti quei mesi, ricevere la stretta di quelle braccia sottili e sentire nuovamente il profumo di sapone di Marsiglia e lavanda della sua veste da strega. “Ma petite…” le sussurrò dolcemente prima di darle un bacio sulla fronte, proprio all'attaccatura dei capelli. 

“Vieni, mamma, ti mostro la scuola di papà,” disse Cyrille intromettendosi e aprendo la porta della carrozza. “Un attimo, cherie, lasciami salutare la nostra Campionessa.” 

Philomène si staccò da quella presa quando intravide lo sguardo di Roddie, le labbra strette in un sorriso che non riusciva ad allargarsi del tutto perché anche lui avrebbe voluto ricevere lo stesso abbraccio da zia Alex. 

“Andiamo, maman.” 

Philomène fece strada oltre la carrozza, nei giardini affollati. Socchiuse leggermente gli occhi, la luce del sole era così forte che l’abbagliava. Le dita erano intrecciate a quelle di sua madre che si guardava intorno incuriosita.

“Non credevamo che saresti venuta, zia,” disse Roland, riprendendo il filo del discorso. Pucine rise divertita: “Non mi sarei mai persa la finale del Torneo Tremaghi,” lanciò uno sguardo al nipote e aggiunse: “Senza contare che sono l’unica senza un mandato di cattura sulla testa. Vi porto i saluti di tutti, naturalmente. Siamo estremamente orgogliosi di voi e, Roland, sei stato coraggiosissimo nella tua prova, veramente eccellente. Rodolphus non smetteva di ripetere che hai dimostrato di essere un Lestrange in tutto e per tutto.” Si voltò verso Roddie e aggiunse: “Più tardi, io e te dovremo fare un discorsetto perché non posso riferirti adesso le esatte parole che sono state utilizzate per commentare la tua prova.”

Philomène vide il cugino stringersi nelle spalle, imbarazzato. Quella scelta lo stava perseguitando fin dall’inizio della loro esperienza, ma dopo tutto, come insegnava suo padre, “le Arti Oscure esigono sempre un prezzo da pagare.”

“Oh, ma che bel quadretto familiare!”

La voce stridula di Rita Skeeter interruppe i loro discorsi. Li aveva fermati nel mezzo del sentiero che portava al castello, la cui facciata si stagliava alle spalle di quell’orribile strega in un completo giallo canarino pieno di discutibili piume viola. Sorrideva come un predatore che sta per mettere i denti su una preda succulenta. Le dita di sua madre si strinsero leggermente intorno alle sue, evidentemente infastidita dall’interruzione.

“Rita,” la salutò con la voce severa e fintamente gentile che riservava solo alle persone che detestava. Philomène si voltò ad osservare la madre e notò, al di là delle apparenze, la mascella leggermente indurita, gli occhi vigili e puntati sulla Skeeter.

“Mi sento quasi in famiglia,” esclamò divertita. 

Philomène si sentiva a disagio. Cercò prima Roland, poi Roddie con lo sguardo ma entrambi strinsero le spalle, dimostrando di saperne quanto lei. Alle sue spalle, Rabastan e Cyrille si davano delle gomitate. Quei due pettegoli dovevano avere delle informazioni esclusive ed erano troppo lontani perché riuscissero a condividerle senza che sua madre intervenisse.

“Oh, non ti azzardare nemmeno a sognare una cosa del genere. Tu con la nostra famiglia non c’entri niente, non ne hai mai fatto parte.”

“Perché non l’ho voluto, Pucine, perché questa recita della mamma modello non fa per me.”

“Allora sparisci. Lui non c’è.”

Rita allargò ancora di più il suo sorriso, si limitò a dire: “Benissimo, ma una foto della Campionessa con la sua famiglia, non al completo, la scattiamo per la Gazzetta del Profeta. Sono sicura che in Francia vorranno vedervi tutti insieme.”

Le dita di sua madre si sciolsero dalla presa e vide la sua figura raddrizzarsi, pronunciare il “Trés bien,” che in realtà significava basta che la finiamo con questa sciocchezza, che utilizzava sempre quando zio Corvus e zia Balbine li andavano a trovare. Il braccio le cinse le spalle, mentre posava elegante, sorridente, orgogliosa, come una vera aristocratica, tra i suoi figli e nipoti. 

Subito dopo lo scatto, si allontanarono dalla giornalista. Attesero di essere sufficientemente lontani dalle orecchie indiscrete della Skeeter prima che Pucine si lasciò andare a un commento: “Come ha osato rivolgermi la parola… Quella… megera!

Philomène continuava ad osservare la madre nella speranza che si lasciasse andare a un commento che le fornisse un indizio in più. Sicuramente, le due donne si erano conosciute in passato e non correvano buoni rapporti. Fu Cyrille a risolvere il mistero: “Potevamo dirle che se vuole un Rabastan, c’è lui.” Pucine lo fulminò con lo sguardo. “Non dirlo nemmeno per scherzo! Povero Rab, finire tra le grinfie di quella donnaccia!”

“Hai visto come è rimasta male nel vedere che c’eri solo tu? Sicuramente ha atteso il momento per avvicinarsi e chiedere se papà fosse qui.”

“Vuoi dire che?”

Cyrille allargò un sorriso obliquo, perfido: “È la ex fidanzata di papà, non lo sapevi?” Si sentì meno in colpa quando vide lo stesso stupore sui volti di Roland e Roddie; quest’ultimo, poi, proprio come lei era inorridito al pensiero. 

Cyrille, a differenza dei cugini, sembrava trovare l’argomento divertente. “Pensa, se papà avesse sposato lei quando erano in Inghilterra, a quest’ora magari avevi il suo stesso gusto nel vestire.”

“Per tutti i draghi, che orrore!” Philomène e Roddie lo esclamarono in sincrono, con il medesimo tono disgustato, strappando una risata a Pucine che aggiunse: “Oh, non c’era pericolo, tua nonna Philomène lo avrebbe impedito anche dopo la sua morte.”

“Nonna Philomène, però, non approvava nemmeno Bellatrix,” aggiunse Rabastan che dava corda a Cyrille. “Eppure papà l’ha sposata lo stesso.”

“Per quanto fossero due streghe discutibili…” esordì Pucine, “Bellatrix era una Black e questo faceva tutta la differenza del mondo.”

“Pensa, papà avrebbe sposato una Mezzosangue, a quest’ora oltre all’armadio, anche il tuo sangue…” continuò Cyrille al punto da far venire i brividi a Philomène. 

“Smettila di tormentare tua sorella con queste sciocchezze! Ricordiamoci che a breve avrà una prova da affrontare e deve rimanere calma e concentrata!”

Philomène aveva quasi dimenticato la prova, si era rilassata al pensiero di essere in compagnia di sua madre, del fratello e la presenza dei cugini era rassicurante.

“La mamma sarebbe piaciuta alla nonna?” domandò Roddie, incerto. “Insomma, non è una Black.”

Pucine si voltò verso il nipote e gli prese il volto tra le mani. “L’avrebbe adorata. Alex ha l’educazione da lady Purosangue che tua nonna auspicava avesse la futura Madame Lestrange. È un vero peccato che non l’abbia vista con tuo papà, ma soprattutto che non abbia avuto l’occasione di vedere suo figlio finalmente felice con una moglie che lo ama, circondato da figli deliziosi.” Roddie si strinse alla zia e Philomène vide la mamma accarezzare i ricci neri del nipote e sospirare: “Tua nonna non era così ostinata con i cognomi, l’importante era che fosse Purosangue, educata e con la stoffa e il portamento di una lady. Purtroppo, tuo nonno si è messo di mezzo e il risultato lo conosciamo. Eppure, come dice sempre tua mamma, tutto quel percorso era necessario, in qualche modo, perché lei e Rod si trovassero e non dimentichiamo Orion che dovrebbe essere già qui.”

Tutti loro si guardarono intorno sorpresi. Il volto di Roland era improvvisamente diventato raggiante nel momento in cui aveva assorbito la notizia. Alle loro spalle, la voce di Orion esclamò: “Vi cercavo alla carrozza! Eric mi ha detto di avervi visto venire verso il castello!”

“Orion!” 

Roland, Roddie e Rabastan si avventarono sul fratello che non risparmiò abbracci e pacche sulle spalle. Anche lui guardò Roddie e gli disse: “Io e te dobbiamo fare un discorsetto…”

“Desolée, Mademoiselle Lestrange, mais…” 

Philomène alzò lo sguardo verso l’ombra della preside e annuì. Non credeva che il tempo con la sua famiglia sarebbe trascorso così velocemente. “È giunto il momento che mi congeda da voi e che raggiunga gli altri Campioni Tremaghi, suppongo.”

“Più o meno, mi segua.”

“Un attimo, Madame Maxime!” Philomène spostò lo sguardo da quello preoccupato di sua madre ad Orion che si allontanava dai suoi fratelli per raggiungerla. “Mi permetta di salutare mia cugina un istante!” Madame Maxime alzò gli occhi al cielo senza riuscire a trattenere un sorriso: adorava Orion e lo ricordava come uno degli studenti più talentuosi ed educati dell’Accademia. Negli occhi della direttrice, ogni volta che riceveva aggiornamenti sulla brillante carriera di Orion al Ministero della Magia si leggeva dell’orgoglio. Philomène aveva decifrato quegli indizi fin dal suo primo anno di Accademia quando la sua cotta infantile per il cugino iniziava a scemare per lasciare il posto a un affetto sincero. 

Le mani di Orion si posarono sulle sue spalle e Philomène vide gli occhi marroni del cugino e il suo sorriso ampio e accogliente, proprio come quello di zia Alex, sotto una spruzzata di lentiggini e un caschetto di capelli color paglia. La figura longilinea di Orion lo costringeva ad incurvarsi per raggiungere l’altezza degli occhi della cugina. “Mi raccomando, Phi, sappiamo tutti che puoi farcela.” 

La mamma si unì a loro aggiungendo: “Pensa solo che, comunque vada, sei già una Campionessa Tremaghi e tutti noi ne siamo orgogliosi.” 

Philomène soffermò un attimo lo sguardo su Cyrille e Rabastan che avevano smesso di ridacchiare, lo spostò su Roddie e Roland, gli unici in grado di capire il suo stato d’animo. Un po’ in disparte, Eric la osservava, troppo timoroso di farsi avanti e conoscere sua madre in qualità di fidanzato e, in qualche modo, rubare la scena al Torneo. 

Ci sarebbe stato tempo, dopo, per le presentazioni e progettare un futuro che contemplasse la fine dell’Accademia e l’inizio della vita adulta. Il pollice in su, in segno di incoraggiamento e il sorriso che aveva sempre amato, era tutto ciò di cui necessitava per poter affrontare quella prova. Annuì e si congedò dalla sua famiglia dicendo: “Ci vediamo dopo la prova.” 

Furono sufficienti pochi passi in direzione del castello perché il suo animo tornasse a concentrarsi. La mano corse immediatamente alla tasca dell’uniforme: la bacchetta e la pergamena erano ancora presenti. 

“La nostra pergamena era vuota. È normale che fosse così?” 

“Perfettamente normale, mi segua.” 

Era un ultimo controllo, fatto per scrupolo, mentre entravano nella Sala Grande, affollata di studenti che sembravano interrompere le loro conversazioni non appena videro la solenne ed elegante figura di Madame Maxime. Dallo sguardo della Direttrice, era chiaro che non approvava quel clima svagato e poco armonioso. C’erano altri standard a Beauxbatons e le brutte maniere inglesi erano state oggetto di diverse puntualizzazioni nel corso dell’anno. Non si fermarono nella Sala Grande, ma la oltrepassarono entrando in una porticina di legno posta al margine del tavolo dei professori. Dall’altra parte della stanza, Rita Skeeter la osservava con attenzione. Allontanò i pensieri su suo papà e il passato con quella donna

Si ritrovarono nella saletta in cui era avvenuta la pesa delle bacchette. 

Gli altri Campioni Tremaghi sembravano spaesati tanto quanto lei. Si guardò intorno e non riusciva a cogliere elementi che potessero darle degli indizi. Sembrava che in quella stanza i direttori delle tre scuole avessero cenato, o forse erano quelli del ministero ad aver cenato in disparte, ma perché gli elfi domestici non avevano finito di riordinare?

“Benvenuti per l’ultima prova del Torneo Tremaghi,” il delegato del Ministero della Magia la costrinse a prestare attenzione. “La vostra prova inizierà bevendo questa pozione,” annunciò indicando i tre calici che erano sul tavolo di legno. Evidentemente, non stavano cenando e quei calici erano l’inizio della prova.

“Non vi succederà nulla di male,” li rassicurò la Preside di Hogwarts, Minerva McGranitt. Philomène osservò Madame Maxime che le fece cenno di bere con un leggero segno di assenso del capo. Si augurò che il sapore non fosse pessimo.

Buio. 

Luce. 

Una luce abbagliante. 

Philomène aprì gli occhi e il riverbero del sole le fece quasi male, li richiuse per proteggersi da tutta quella luce. “Buongiorno, stellina, vogliamo alzarci e concludere questa buffonata?”

Quella voce. Come poteva essere a Hogwarts? 

Si alzò. 

Le sue mani erano a contatto con l’erba e il primo pensiero fu di essere stata più fortunata di Roland con la sua esperienza nelle fogne. Aprì gli occhi per accertarsi di non essere impazzita. Forse la pozione che le avevano fatto bere le provocava allucinazioni.

Eppure, non c’erano dubbi: i capelli argentei, gli occhi grigi, quell’aspetto altezzoso e sfrontato al tempo stesso, la luce crudele negli occhi. 

“Delphini? Ma cosa ci fai qui?” 

La osservò meglio e notò le sembianze incorporee, l’incredulità aumentò ancora di più. 

“Ma… sei morta?”

Di fronte a lei, Delphini scoppiò a ridere. Dal modo in cui la guardava, la stava prendendo in giro. “Non dire sciocchezze! Ho fatto un patto con le Arti Oscure, mi sto spingendo dove nemmeno mio padre si è spinto!”

“Ma… sembri un fantasma!”

“Ho bisogno di tempo e di poter superare tutti gli ostacoli che un corpo fisico incontra. Non sono un fantasma! Nemmeno il Ministero saprebbe classificarmi e credo che non esista una definizione per questo stato…”

“Quindi, non sei morta?”

“No, posso riprendermi il mio corpo quando voglio. Posso trascorrere anche un secolo in questa forma e poi riprendere il corpo e ritornare come se non fosse trascorso nemmeno un secondo.”

“Quindi il tuo corpo non invecchia?”

“No, rimane sospeso in uno stato di attesa.”

“Non credevo fosse possibile, è… incredibile!” 

Il sorriso di Delphini si allargò. “Certo che è incredibile! Sono la figlia del Signore Oscuro, posso fare cose che le streghette mediocri come te non riescono nemmeno a immaginare!”

“Ehi! Io non sono una streghetta mediocre, sono una Campionessa Tremaghi!” Philomène si alzò da terra e con un colpo di bacchetta rimosse lo sporco dalla sua uniforme. Portò all’indietro la treccia in cui aveva acconciato i capelli e osservò Delphini. Era difficile definirla. Non erano cugine e, certamente, non erano amiche. Eppure erano cresciute insieme da che ne aveva memoria. Suo padre la invitava spesso nella loro casa francese, mandando su tutte le furie zio Rodolphus. Altre volte, organizzava viaggi sull’isola di Lewis dove abitava Delphini con la sua tata, Euphemia Rowle. A lungo, erano state in competizione per le attenzioni di Orion ed era solo uno degli innumerevoli motivi per cui Delphini Riddle non le piaceva per niente.

“E allora vediamo di chiudere questa pantomima ridicola! Con tutta questa gente, io non riesco a portare avanti i miei piani.”

“Che piani?”

“Riportare in vita mio padre e mia madre, mi pare ovvio.”

Philomène le rivolse uno sguardo canzonatorio: “Oh, e io che credevo che una strega potente come te volesse conquistare il mondo. Invece, vuoi solo la mamma e il papà…”

Lo sguardo di Delphini si fece serio. “Ringrazia che sono incorporea, altrimenti ti farei pentire amaramente della tua insolenza.”

“Tu sai dove siamo?”

“Siamo nella Foresta Proibita.”

Philomène assimilò l’informazione. Orientarsi era impossibile, non c’era alcun punto di riferimento al di là della luce del sole. Guardò le ombre degli alberi e sospirò: doveva essere mezzogiorno. Poi, si ricordò dell’umidità del clima scozzese e osservò meglio i tronchi degli alberi: il muschio indicava sempre il nord, poteva orientarsi! Ma in relazione a cosa? 

La Coppa Tremaghi poteva essere in qualsiasi punto di quella Foresta.

“Guarda che dopo il tramonto, la situazione diventa poco piacevole,” le ricordò Delphini. “Non vorrei che il tuo visino delicato venisse sfigurato da un Lupo Mannaro!”

“Smettila.”

Delphini ridacchiò. “Non ci penso nemmeno, sei il mio passatempo.”

Philomène estrasse la bacchetta e tentò di evocare un incantesimo di localizzazione. “Trova la Coppa Tremaghi,” sussurrò alla bacchetta. Sottovoce, Delphini commentò: “Ridicola…” La bacchetta non si mosse, segno che la posizione della Coppa Tremaghi era stata occultata. “Era un tentativo che meritava di essere esplorato,” ribatté piccata. Da qualche parte, c’era una giuria che l’osservava. Al di là della presenza fastidiosa di Delphini, Philomène doveva dimostrare la propria abilità magica. Forse, avrebbe lasciato senza parole anche la sua compagna di avventure.

Si incamminò verso la direzione che le sembrava produrre un sentiero, era sulla sua destra, in direzione est, in modo che il passare del tempo le avrebbe dato il sole alle spalle e delle migliori condizioni di luminosità. Nonostante tutto, lei inseguiva la luce.

“Mi sono accorta di non avere né cibo né acqua.” Delphini scosse la testa e alzò gli occhi al cielo. “Ti aspettavi di fare una scampagnata, Lestrange?”

“Sta’ zitta, Riddle…” Philomène continuò ad andare avanti mentre la figura di Delphini le fluttuava accanto improvvisamente silenziosa. Il frinire delle cicale si era interrotto, gli uccelli in quella zona della foresta avevano smesso di cinguettare e sembrava che vi fosse avvenuto qualcosa di terribile. Philomène strinse la presa della bacchetta e si mise in allerta.

“Non è possibile…” mormorò sottovoce mentre un unicorno si afflosciava al suolo ferito. Alle spalle della creatura, la sagoma di un’Acromantula. Philomène ebbe l’istinto di avvicinarsi all’animale, ma Delphini esclamò: “Stai scherzando, vero?”

Per quanto detestasse ammetterlo, Delphi aveva ragione. Non c’era rimedio al veleno dell’Acromantula e se solo avesse soccorso l’unicorno, si sarebbe aggiunta come secondo spuntino di quel ragno gigantesco. “Mi dispiace,” disse solo mentre si allontanava da quel posto cambiando direzione, cercando di andare il più lontano possibile dall’Acromantula che sembrava non gradire l’idea di rinunciare a una seconda preda. Ci fu un verso stridulo, cui seguirono rumori di zampettii: stava chiamando i suoi figli, gli altri ragni.

“Presto, allontaniamoci di qua,” esclamò iniziando a correre mentre Delphini fluttuava al suo fianco. Philomène correva con tutto il fiato che aveva in corpo. Di tanto in tanto lanciava un’occhiata alle sue spalle e notava come la distanza con i ragni si faceva sempre più ridotta. Erano moltissimi, giganti, pelosi, con quelle chele che uscivano dalla bocca e si muovevano ritmicamente sotto gli occhi neri e famelici. 

Presto iniziò a mancarle il fiato e dovette fermarsi bruscamente quando il sentiero si interruppe su uno strapiombo. Sotto di lei, rocce e un torrente che scendeva dalle montagne che, nonostante fosse giugno inoltrato, avevano le cime innevate. 

Le Acromantule si stavano avvicinando, aveva poco tempo per prendere una decisione e nessuna possibilità di cambiare strada. Chiuse gli occhi e si gettò nel dirupo sperando di riuscire ad attutire la caduta grazie alla magia.

L’Arresto Momentum non funzionò fino alla fine. I versi di disappunto dei ragni finirono per distrarla e cadde malamente nell’acqua gelida del torrente. “Per tutti i draghi, Lestrange… Nemmeno un incantesimo banale,” commentò Delphini, esasperata. I ragni la tenevano d’occhio correndo lungo il bordo del dirupo, alcuni stavano scendendo con le loro zampette lungo la parete rocciosa. 

Fu in quel momento che abbandonò ogni remora e si lasciò trasportare dalla corrente del torrente gelido. Presto le Acromantule scomparvero dalla vista, il torrente deviò grazie a qualche rapida. Le rocce presenti sul fondo sbattevano violentemente contro il suo corpo, ma l’incantesimo difensivo che era riuscita a evocare le creava una barriera che rendeva quei colpi inoffensivi. 

La corrente rallentò in una radura in cui le cicale frinivano e il sole illuminava l’erba. Su alcune margherite, delle api svolgevano il loro lavoro di operaie. Era il posto perfetto per fermarsi e asciugarsi. Guadagnò la riva e approfittò di un istante per sedersi sull’erba e riprendere fiato mentre il getto di aria calda della sua bacchetta la asciugava e scaldava. Un ultimo colpo di bacchetta e l’uniforme tornò impeccabile sotto lo sguardo sarcastico di Delphini.

Philomène la ignorò perché non aveva nessuna voglia di affrontare l’ennesima discussione in cui Delphini la chiamava la cocca di papà o la principessina per via della sua attenzione all’eleganza e all’ordine. Piuttosto, cercò di capire dove fosse finita e in che direzione andare. Un uccello dorato, un Golden Snidget, le sfrecciò davanti al naso. Seguì la creatura magica con lo sguardo e sulle cime dei massi che circondavano quella radura vi erano dei nidi di Golden Snidget. 

Avevano rischiato l’estinzione a causa dei maghi e del loro utilizzo nel Quidditch. Erano creature affascinanti, ma lei aveva una missione da portare avanti e così decise di percorrere il sentiero che sembrava aprirsi sulla sinistra, verso una zona poco illuminata della Foresta Proibita. 

Iniziò a camminare con Delphini al suo fianco. Doveva ammettere che, nonostante la sua indisponenza, era sollevata di avere una figura conosciuta al suo fianco. “E così vuoi far ritrovare i tuoi genitori,” le disse. Sembrava l’unico argomento su cui poter imbastire una conversazione.

“C’è una profezia, io sono l’Augurey, rovescerò il tempo e farò tornare il Signore Oscuro.”

“Papà ha dei ricordi di quando sei nata, lo sai? Li conserva in un armadietto nel suo studio,” confessò. Lo sguardo di Delphini si allargò. “E tu come lo sai?”

Philomène ridacchiò: “Beh, sono meno principessa di quanto sembri. Ti ricordo che mio fratello è Cyrille…” Si fermò un istante per osservare lo sguardo sorpreso di Delphini e poi aggiunse. “Volevamo saperne di più, dei tempi della guerra. Papà non vuole parlarne, e nemmeno zio Rod e zia Alex.”

Al nome di Rodolphus, Delphini emise uno sbuffo indispettito. 

“Non ti piace proprio, zio Rod.”

“Mi ha confinata con quella megera della Rowle, mi ha tenuta lontano da tutto!”

“Vuole proteggere la tua identità. Cosa accadrebbe se il ministero scoprisse che sei viva?”

“Ma non si rende conto di quanto è crudele vedervi così felici mentre io sono sola, perennemente sola! Cosa hai visto con il Pensatoio di tuo padre? Hai visto mio padre?”

“Sì, e tua madre. Ho visto il modo in cui tua madre ti guardava. Ti sussurrava che saresti diventata una strega invincibile perché avevi il sangue dei Black e quello di Salazar Serpeverde.”

“E mio padre?”

Philomène non sapeva decifrare l’atteggiamento di Lord Voldemort. “Era… più distaccato. Forse non voleva mostrarsi sentimentale davanti a mio papà che, insomma, era pur sempre un suo seguace benché fosse il miglior amico di tua mamma.”

“Me lo dice sempre, zio Rabastan, che sono come la mamma ma anche come il papà, ed è questo che fa soffrire Rodolphus,” sospirò Delphini. “Eppure, crescere con lui e zia Alex, e Orion, Roland, Roddie e Rab mi sarebbe piaciuto.”

“Pensi che tutto questo serva per la profezia?”

Delphini scrollò le spalle. “Me lo auguro.”

L’odore di resina e abete della foresta aveva lasciato il posto a un sentore più salmastro. Gli alberi iniziarono a diradarsi, la vegetazione si trasformò in una sequenza di arbusti e giunchiglia. Pochi passi oltre, giunsero in una palude dalle cui acque emerse un Serpente Marino. 

Philomène strinse la bacchetta. Attese per comprendere le intenzioni dell’animale che, tuttavia, non sembravano essere affatto amichevoli. Riuscì a schivarlo per un soffio non appena questi si lanciò contro di lei. Provò ad attaccarla più e più volte. Philomène ricorse unicamente ad incantesimi difensivi. Dopo la prova di Roddie, non aveva alcuna intenzione di usare maledizioni o incantesimi oscuri e temeva che se avesse attaccato l’animale in qualche modo, avrebbe finito per peggiorare la situazione. Dopotutto, sapeva che non aveva mai ucciso un essere umano, mago o Babbano che fosse. In quel momento, stava difendendo il proprio nido e probabilmente era una femmina che difendeva le sue uova. Philomène aveva letto di spedizioni di cacciatori e collezionisti di uova di Serpente Marino per via della numerosità delle specie esistenti e per le proprietà magiche che rafforzavano gli amuleti e alcuni filtri. 

Osservò il muso cavallino dell’animale, il lungo corpo squamoso le cui spire sarebbero state in grado di stritolarla. 

“Non voglio farti del male, ora me ne vado!”  

“Dai, Philomène, un Avada Kedavra e hai risolto,” le disse Delphini.

“No, è una madre, sta difendendo il nido. Le uova finirebbero in pasto a qualche predatore. Dobbiamo andarcene di qui.” 

“Se la madre muore, qualcun altro baderà a loro, o si faranno forza da soli,” rispose Delphini, la voce indurita dal dolore che si portava dentro da troppo tempo. 

In quel momento, dopo tutti quegli anni, Philomène la vide finalmente per la bambina sola che era sempre stata. Si era avventurata nell’oscurità alla ricerca dei genitori e nel farlo aveva rinunciato a tutto: alla possibilità di una famiglia e persino a un corpo. Era certa che zio Rodolphus si sarebbe ricreduto se lei non si fosse sempre mostrata come una bambina pestifera. Zia Alex l’avrebbe convinto e lei sarebbe stata una cuginetta. Forse, sarebbero persino diventate amiche.

“No, mi dispiace, non permetterò che accada loro qualcosa di male.”

Riuscì ad evitare per un soffio l’attacco del Serpente Marino, ma perse l’equilibrio e rovinò per terra. Da quella posizione, intravide l’inizio di un sentiero che si snodava verso un punto in cui gli alberi tornavano ad essere fitti, segno che la palude sarebbe finita di lì a breve. Si puntellò sui gomiti per alzarsi, quando la creatura magica le afferrò una caviglia e iniziò a trascinarla verso l’acquitrino. Più Philomène si dimenava, più la creatura stringeva. Non aveva altra scelta che ricorrere alla magia: “Relascio!” La presa si allentò e ne approfittò per correre velocemente in direzione del sentiero.

Delphini scoppiò a ridere: “Che incantesimo ridicolo!”

“Ma ha funzionato! Non voglio essere inutilmente crudele,” commentò mentre raggiungeva il sentiero. Passo dopo passo, il terreno tornava ad essere più solido e dall’erba molle della palude si tornò a camminare su un tappeto di aghi di abete. 

Aveva perso il conto di quante ore fossero trascorse da quando aveva iniziato la prova. Iniziava a sentirsi stanca e affamata, segno che poteva essere l’ora del té, o forse era già ora di cena. Non avrebbe saputo dirlo, il sole non l’aiutava e il fatto di trovarsi in Scozia, così distante da casa, dove faceva buio più tardi, finiva per alterare tutto il suo segno del tempo.

“Sai che ore sono?” domandò a Delphi che scosse la testa dicendole: “Ti sembro forse un orologio?”

“No, ma dici di sapere sempre tutto e l’unica cosa che ti chiedo non la sai. Sei proprio inutile.” Delphini la osservò oltraggiata, ma quando Philomène aveva fame perdeva tutte le sue capacità diplomatiche. Aveva bisogno di riposarsi prima di riprendere il cammino, anche perché non era certa di riuscire a sopravvivere all’incontro con le altre creature se non si fosse prima riposata per un po’.

“Ti ricordo che non è una scampagnata.”

“Ti ricordo che il corpo umano ha dei limiti.”

Scoppiarono a ridere entrambe, Delphini la sorprese sollevandosi in aria e puntando il dito verso un luogo in cui sembrava aprirsi una radura. “Forse lì possiamo fare una sosta. Non vedo nessun nido di Golden Snidget né altre creature pericolose.”

Non le sembrava vero di potersi sedere sull’erba morbida e concedersi il tempo di fare un respiro profondo. Il contatto con il terreno le ricordò che era fradicia dall’incontro con il Serpente Marino. Provò ad asciugarsi nuovamente e il suo pensiero corse al povero Roland che si era ritrovato nelle tubature idriche senza alcuna bacchetta magica a supporto. Accese un fuoco per riscaldarsi, pensando che se non potesse mangiare, almeno poteva trovare conforto dalla fiamma scoppiettante e forse, avrebbe trovato qualche fungo da arrostire e mettere sotto i denti.

“Non so se è una buona idea accendere un fuoco,” commentò Delphini guardandosi intorno.

“Sono stata in campeggio con papà, so che si può fare.”

“Scusami, io non ho avuto un papà che mi portasse in campeggio.”

Si osservarono per un attimo e poi Delphini aggiunse: “Non che sia importante andare in campeggio. Sicuramente è più importante conquistare il mondo magico. Sarei stata al suo fianco in battaglia, insieme a mia madre.”

“Sappiamo che era un grande collezionista di manufatti magici antichi,” le concesse Philomène che iniziava a desiderare che Delphini potesse placare quella furia oscura e intrisa di dolore che le divorava l’anima. “forse ti avrebbe portata con sé in missione e forse avreste dormito in un bosco.”

“Lo credi possibile?” La speranza che illuminava gli occhi di Delphini la portò a dire di sì e concedergli un ulteriore elemento di riflessione. “Dopotutto, tua mamma è stata la sua allieva prediletta. Dicono che lui stesso l’abbia addestrata e credo che la tua forza magica lo avrebbe spinto a fare altrettanto.

“Pensi che le cose potrebbero andare in questo modo se riuscissi a tornare indietro nel tempo e salvarli?”

“Non lo so, ma è un’ipotesi che non possiamo escludere.” Philomène si strinse ancora di più al fuoco, ravvivò la fiamma perché sembrava che stesse iniziando a scendere il freddo. Non sapeva se erano i discorsi con Delphini, la possibilità del ritorno di Lord Voldemort e Bellatrix e il pensiero di cosa sarebbe stato di lei se solo fosse accaduto. Suo padre sarebbe andato in Francia? Si sarebbe innamorato della mamma? O sarebbe rimasto in Inghilterra con Rita Skeeter?

L’immagine di suo padre comparve nella sua mente, il sorriso non era orgoglioso, ma sarcastico, gli occhi verdi erano gelidi mentre le diceva che quella vita era la sua seconda scelta, che se avesse potuto scegliere, avrebbe sacrificato moglie e figli per riavere la sua amica Bellatrix, per vincere la guerra, per dimostrare alla Skeeter di essere il mago fatto per lei. Era crudele come non lo era mai stato. Le sfuggì un gemito, “papà…”

“Devi sapere la verità, tu sei la realtà che mi sono fatto andar bene…”

Gli occhi si riempirono di lacrime. “Papà…” Quelli di Rabastan, invece, rimanevano gelidi. “Non sei nemmeno un mago, proprio un primogenito inutile…” Aveva pronunciato l’ultima frase con un sorriso obliquo, scegliendo di farle male. Philomène non riusciva a credere che lui potesse pensare questo di lei. “Ma papà…”

“Spero solo di riuscire a concludere un buon accordo matrimoniale e liberarmi di te.”

Si tappò la bocca per non far uscire il dolore, mentre era rannicchiata per terra, il fuoco incapace di scaldarla. 

“Svegliati, Phi, sono i Dissennatori!” urlò Delphini. 

Philomène aprì gli occhi e vide un gruppo di Dissennatori, troppi perché li potesse affrontare, lei che non sapeva nemmeno evocare l’incanto Patronus. 

“Muoviti, per lo meno!” Delphini si tappava le orecchie, mentre svolazzava cercando di sfuggire alle creature che facevano effetto anche su di lei. 

“No, padre…” urlava quando un Dissennatore si avvicinava troppo. 

Non riusciva a guardarla, ogni volta che alzava lo sguardo verso la figura incorporea di Delphini pensava che sarebbe diventata come lei, pronta a tutto pur di elemosinare un briciolo di affetto a suo padre. Si accovacciò scoppiando in lacrime. Era finito, era tutto finito, presto sarebbe stata baciata da un Dissennatore e sarebbe morta.

Urlò quando qualcosa l’afferrò, provò a dimenarsi, ma una voce maschile, calda, le intimò di star ferma. Aveva un odore di muschio e stalla, doveva essere un cavaliere coraggioso, ma cosa ci faceva nella Foresta Proibita?

Aprì gli occhi e capì che era stata salvata dai Centauri che erano stati in grado di scacciare i Dissennatori e ora le stavano portando lontano da quella radura.

“Non si accendono i fuochi nella foresta, è stato molto sciocco da parte sua, mademoiselle Lestrange,” le disse il Centauro mentre la posava ai margini di un sentiero. “Faccia attenzione.”

“Lei sa da che parte è la Coppa Tremaghi?”

“Non posso darle questa indicazione, ma seguirei Venere, se fossi in lei.” Il Centauro osservò Delphini e poi riportò lo sguardo su Philomène. “La sua famiglia ha sempre danzato tra le ombre, ma se vuole un consiglio, mademoiselle, segua la luce. Il resto è solo inganno, un gioco di specchi che esige molto senza dare niente. La sua famiglia ha pagato un tributo troppo elevato all’oscurità. Eppure, è prosperata solo nella luce.”

“Lo terrò a mente, grazie,” rispose con un inchino che sorprese il Centauro per qualche istante prima che riprendesse il trotto insieme al resto del branco. Philomène si fermò per qualche istante ad ammirare quelle creature così diverse dai maghi, eppure portatrici di enorme saggezza. Fiorenzo, ad esempio, era il primo Centauro ad aver lavorato in mezzo ai maghi ed era stato il primo a scrivere un libro di Divinazione che zia Alex aveva bollato come infarcito di sciocche superstizioni. La zia, però, era prevenuta nei confronti dei Centauri, e di Fiorenzo in modo particolare, perché pareva che le avesse soffiato la cattedra di Divinazione a Hogwarts.

Alzò gli occhi verso Delphini e la trovò immersa in qualche pensiero, con lo sguardo triste rivolto verso il cielo. 

“Cosa succede?”

“L’ho visto, sai?” le disse. “Mio padre, intendo.”

“I Dissennatori possono rievocare i ricordi più dolorosi.”

“Ho visto il suo sguardo e poi quello di mia madre, ho visto il momento in cui mi hanno affidata a zia Alex.”

“Hai sentito cosa le hanno detto?”

“Di proteggermi, che nessuno doveva sapere della mia esistenza. Sapevano che non sarebbero tornati.”

“Non credo, gli zii dicono che fosse la persona meno incline a credere di poter morire. Credo che avessero messo in conto la possibilità di impiegare del tempo prima di raggiungerti, ma non che quella fosse l’ultima volta che ti avrebbero vista.”

“Vorrei rivederli. Forse dovrei tornare dai Dissennatori.”

“Non essere sentimentale, non è da te. Aiutami a trovare la Coppa Tremaghi, piuttosto e dimostriamo che i Lestrange possono vincere il Torneo.” 

Delphini alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “Va bene, Lestrange, ma sappi che quando ritornerò nel mio corpo, verrò a trovarti e sfiderò te, Roland e quel pesantone di Roddie. Così potrò dire di essere la strega più forte, quella che ha battuto anche  i Campioni Tremaghi.”

“Dovrai guadagnartela questa vittoria.”

Si scambiarono un sorriso mentre la luce del giorno iniziava a scendere e loro non avevano la benché minima idea della direzione da intraprendere. Philomène si ricordò del consiglio del Centauro e iniziò a camminare nella direzione del sole. Camminò nel silenzio della Foresta per circa mezz'ora, con i piedi indolenziti, stremata dalla fatica. Voleva che finisse e che potesse godersi il banchetto dei Campioni riservato nella tenda. Se Rabastan non divora tutti i croissant salati, le suggerì la mente strappandole un sorriso. Al suo fianco, Delphi fluttuava più serena. Non era poi così male, dopo tutto. 

Fu solo quando il sole toccò la linea dell’orizzonte che un riverbero luminoso nell’aria iniziò a produrre uno strano sfarfallio alla sua sinistra. Voltò lo sguardo e la vide, in una radura, sopra una pila di rocce, si stagliava la Coppa Tremaghi. L’aveva trovata! Corse in direzione della Coppa, salì velocemente le rocce, con la stessa abilità con cui da piccola si arrampicava sugli alberi con Cyrille e Roland, allungò la mano e la strinse intorno al manico della Coppa Tremaghi. Sorrise in direzione di Delphini, ma la scena cambiò improvvisamente e Philomène si ritrovò stesa su un letto dentro la stanza in cui l’aveva condotta la Direttrice.

Si guardò intorno. Gli altri Campioni Tremaghi stavano ancora dormendo. Era stato tutto un sogno? Era mai stata nella Foresta Proibita? E Delphini, l’aveva incontrata veramente?

“Complimenti, mademoiselle Lestrange! Lei è la nuova Campionessa Tremaghi, è stata la prima a trovare la Coppa, ben prima dello scadere del tempo.”

“Voi… avete visto la prova? Non è stato solo un sogno?”

Era molto confusa. Poi, lentamente, un filo di paura iniziò ad attanagliarle lo stomaco: avevano visto Delphini? Avevano scoperto dell’esistenza della figlia del Signore Oscuro e del fatto che i Lestrange l’avevano protetta per tutti quegli anni?”

Cyrille superò la Direttrice e corse ad abbracciare la sorella. “Sono così orgoglioso di te! Sei stata bravissima, elegante, i tuoi incantesimi erano perfetti.”

“Non direi… almeno non tutti,” sospirò insoddisfatta. Gli sguardi di scherno di Delphi le tornarono in mente. 

“Dimmi, Cyrille, hai visto il sogno? Tutto? Hai visto con chi ero?”

“Sul soffitto venivano proiettati i sogni e le prove. Ci hanno detto che ognuno di voi avrebbe avuto un accompagnatore, ma che sarebbe stato qualcuno con cui si ha un rapporto conflittuale e che per proteggere la vostra intimità non lo avremmo visto. Chi era?”

Philomène tirò un sospiro di sollievo, sorrise al fratello e gli rivelò sottovoce: “Delphini.”

“Per tutti i draghi!”

“Esattamente.”

“Vieni, la mamma ci aspetta. Devi prepararti per la premiazione.”

 

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