Little White Lies - Piccole bugie innocenti di Arkytior (/viewuser.php?uid=913464)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Venerdì ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Sabato ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Domenica ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Lunedì ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Martedì ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Mercoledì ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Giovedì ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Venerdì ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Sabato ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Domenica ***
Capitolo 11: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 - Venerdì ***
Little
White Lies - Piccole bugie innocenti
Un
ringraziamento speciale a Chiara, Rebecca, Edoardo e Laura per il loro
prezioso lavoro di Beta reading.
Disclaimer: Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente
accaduti non è puramente casuale.
Alla mia famiglia.
Vi voglio bene.
Siete troppo forti!
Venerdì
L’appartamento
era un completo disastro. Il pavimento si vedeva a
stento, sotto pile di vestiti e immondizia. Sembrava quasi che un
uragano fosse passato di là pochi istanti prima.
Donna accese un’altra sigaretta e aprì
un’altra finestra, nel tentativo di eliminare la puzza di
fumo,
ma non servì a molto. Guardò la grande valigia
rossa
aperta sul letto e il caos che regnava nel resto
dell’appartamento, come se cercasse una soluzione a un
problema
che non poteva risolvere.
Qualcuno bussò alla porta e la ragazza si
precipitò ad aprire: era una giovane hostess con i capelli
rossi, ancora in uniforme.
«Qual è l’emergenza?» chiese
la hostess.
«Karen, finalmente sei arrivata!»
esclamò Donna. «Ci hai messo un secolo!»
Donna afferrò l’amica per una spalla e
la fece entrare nell’appartamento, dopodiché
chiuse la
porta dietro di lei. Karen si guardò intorno per capire dove
mettere i piedi senza calpestare qualcosa.
«Cos’è successo qui?» chiese
Karen.
«È un disastro!» disse Donna.
«Lo vedo benissimo che è un
disastro… Non si riesce a vedere più nemmeno il
pavimento…»
«No, non sto parlando dell’appartamento!»
Donna prese il suo cellulare, che aveva appoggiato su un tavolo, e lo
porse a Karen.
«”Spero
che sia tutto pronto per il viaggio! Ci vediamo a casa, per poi andare
dai nonni tutti insieme. Un bacio. Mamma,”»
lesse Karen. «Non capisco quale sia il
problema…»
«Mio nonno vuole festeggiare i suoi
settant’anni, e ha organizzato una mega festa con tutta la
famiglia,» spiegò Donna.
«Beh, è una bella occasione per rivedere tutti
quanti, no?»
«Non torno in Inghilterra da cinque anni! Un
bel po’ di cose sono cambiate durante tutto questo
tempo…»
«Beh, ma magari ai tuoi parenti farebbe piacere
rivederti…»
«Certo che sarebbero felici di rivedermi, ma non
così!»
Ci volle un po’, ma finalmente Karen capì cosa
intendeva l’amica.
«I tuoi parenti non sanno che sei stata licenziata, non
è vero?» disse Karen.
Donna scosse la testa e aspirò un’altra boccata di
fumo.
«E non sanno nemmeno che poi ti sei messa a
fare la spogliarellista con il nome di Britney?» chiese Karen.
«Niente di niente,» confermò Donna.
«Donna,
ma è successo tre anni fa! Come fanno i tuoi a non saperlo?
Nemmeno tuo padre?»
«Metà della mia famiglia è in
Inghilterra, l’altra metà in New Jersey. Ho
cercato di
incontrarli il meno possibile, evitare qualsiasi contatto e omettere
qualche verità piuttosto scomoda…»
«Ma tuo padre non si segna tutti i tuoi orari,
per sapere sempre in che parte del mondo ti trovi?»
«Da quando sono stata licenziata, ho iniziato a mandargli i
tuoi.»
«E quindi i tuoi parenti non sanno che
più o meno ogni tre settimane ti ritrovi con un nuovo lavoro
sottopagato e non hai la più pallida idea di come pagare
l’affitto?»
«Non ci avevo pensato… Credevo che
sarei riuscita a risolvere il problema prima di arrivare a una
situazione del genere, ma le cose sono andate
diversamente…»
«Beh, tanto per cominciare avresti potuto
evitare di trovarti in una situazione del genere raccontando la
verità fin dal principio.»
«Sì, e come? Confermando che sono la
buona a nulla della famiglia? Erano tutti così contenti
quando
ero stata assunta… Come avrei potuto deludere tutti quanti
ancora una volta? Specie con mio fratello in giro…»
«Perché? Che ha tuo fratello?»
«Thomas è sempre stato il genio della
famiglia: ha sempre preso il massimo dei voti in tutte le materie e
adesso sta per andare a Oxford, non come me, che non ho neanche finito
le superiori… Lui è sempre stato il figlio
perfetto, e io
non voglio essere da meno.»
«Se fossi stata onesta tre anni fa, ora non
saresti in questa situazione… Quante sigarette hai fumato,
piuttosto?»
«Credo di aver appena finito il secondo pacchetto di
oggi…»
«Visto? Ti sta stressando talmente tanto che hai ricominciato
a fumare!»
«Cosa posso fare, allora? Questa situazione
è un completo disastro, e non posso tornare in Inghilterra e
rovinare la festa a tutti soltanto perché non so tenermi un
lavoro!»
«Cosa intendi fare, continuare a mentire a tutti?»
«Perché no? Ha funzionato fino ad
ora…»
«E se prima o poi ti scoprissero? Che succederebbe
allora?»
«Entrerai in gioco tu e confermerai la mia storia! Siamo
state colleghe, fino a tre anni fa, no?»
Fu una decisione difficile per Karen. Voleva
incoraggiare la sua amica ad essere onesta con la sua famiglia, ma
sapeva quanto Donna teneva all’apparire perfetta agli occhi
dei
suoi parenti.
«D’accordo,» disse Karen.
«Tu sei mia amica e io ti appoggerò sempre, ma
sappi che
prima o poi la verità viene a galla comunque.»
«Oh, grazie, Karen!» disse Donna, abbracciando
l’amica.
***
Non appena suonò la campanella, Thomas
uscì dall’aula in fretta e tentò di
sistemare
rapidamente il foglio incriminato tra i libri che aveva nello zaino,
mentre si avviava verso l’uscita. Lo mimetizzò per
bene
tra le pagine di un libro con la copertina rigida per impedire che si
rovinasse, ma proprio mentre stava riponendo il libro nel suo zaino uno
spintone improvviso lo mandò a sbattere contro un muro. Il
suo
zaino era ancora aperto e tutto il suo contenuto finì
sparpagliato a terra, mentre Thomas cercava di capire cosa fosse appena
successo. Sentì le risate sguaiate di tre ragazzi che si
stavano
allontanando, e purtroppo le riconobbe all’istante. Scuotendo
la
testa, si chinò a raccogliere le sue cose, e si sorprese nel
vedere un altro paio di mani che lo aiutavano.
«Stanno davvero esagerando!»
Luke era nella stessa classe di Thomas. Erano sempre
stati buoni amici, ma durante gli ultimi mesi non erano riusciti a
passare molto tempo insieme a causa delle continue verifiche.
«Non puoi continuare a subire e basta,»
continuò Luke. «Dovrai pur reagire in qualche
modo, prima
o poi!»
«A che servirebbe? La scuola è quasi finita
ormai.»
«Ma perché ce l’hanno così
tanto con te?»
Luke porse a Thomas l’ultimo libro e i due
ragazzi si alzarono da terra. Thomas afferrò il libro e lo
infilò nello zaino, ma il foglio che ci aveva nascosto
dentro
scivolò fuori dalle pagine.
«Attento,» disse Luke, afferrandolo prontamente.
«Grazie.»
Thomas non voleva che Luke vedesse il contenuto del
foglio, ma quando notò lo sguardo dell’amico
abbassarsi
involontariamente sul documento che gli aveva raccolto, capì
che
ormai era troppo tardi. Mise di nuovo il foglio al sicuro nel libro con
la copertina rigida, mentre si ritrovò a fare i conti con
l’espressione interrogativa di Luke.
«Thomas, va tutto bene?»
«Sì, sto bene. Perché me lo
chiedi?»
«Perché tentavi di nascondere la tua
pagella?»
Thomas si guardò intorno, alla ricerca di una
via di fuga da quella situazione. Alla fine decise che sarebbe stato
meglio affrontare la discussione.
«Quei voti… non sono da me,» disse,
abbassando lo sguardo.
«È tutto l’anno che prendi voti
mediocri… Non credevo che la tua situazione fosse
così
grave! Che ti è successo?»
Thomas alzò le spalle. «Non lo so
nemmeno io. Credevo che se avessi iniziato a prendere voti
più
bassi avrei cominciato a stare più simpatico alla
gente…»
«Ma che stai dicendo? Cosa c’entrano i voti con
l’essere simpatici?»
«Pensavo che se avessi cominciato ad andare
male a scuola come gli altri, avrebbero smesso di vedermi soltanto come
un secchione rompiscatole.»
«Nessuno ha mai pensato questo di te, Thomas.»
«Quel cretino di Alexander e i suoi amici non sono della
stessa opinione.»
«Lasciali perdere! Si credono chissà chi soltanto
perché sono pieni di soldi!»
«Forse, se quella volta, all’inizio
dell’anno, non gli avessi detto di stare zitti durante la
lezione, non mi avrebbero preso così di mira.»
«Ma dai, non è mica colpa tua se hanno iniziato a
comportarsi così con te…»
«Credevo che avrebbero smesso, se gli avessi
dimostrato di non essere il ragazzo perfetto, il primo della classe! E
invece la situazione mi è solo sfuggita di
mano…»
«E hai preso voti così bassi in tutti gli esami
finali?»
«Alcune materie non le ho proprio passate… Mi
toccherà ripeterli.»
«Che dirà tua madre?»
«Niente, come al solito! Modificherò i
miei voti al computer, come ho sempre fatto quest’anno, e
continuerò a intercettare le lettere che manda la scuola per
impedire che lei le legga prima di me.»
«Ma dovrai pur dirle che forse non riuscirai ad andare a
Oxford il prossimo autunno…»
«Lo so, dovrò inventarmi
qualcosa… E anche in fretta, dato che molto probabilmente se
ne
vanterà con tutti i parenti durante la festa di compleanno
di
mio nonno!»
«Non potresti raccontarle semplicemente la
verità? Magari lei potrebbe aiutarti in qualche
modo…»
«No, posso risolvere la situazione anche senza
il suo aiuto! Certo, però sarà difficile mentire
a tutti
quanti… E a mia sorella anche…»
«Anche lei è stata invitata alla festa?»
Thomas annuì. «Sì, aveva dei
giorni liberi dal lavoro. Donna è una hostess per la
American
SkyLines e vive a New York. Sono anni che non ci vediamo, e non voglio
che lei pensi che non sono più il fratello geniale che lei
ricorda. È sempre stata così fiera di
me.»
«Capisco, non vuoi deludere le aspettative
della tua famiglia. Spero davvero che tu riesca a risolvere la tua
situazione prima che i tuoi parenti scoprano la
verità.»
«Ci riuscirò. In fondo, si tratta solo
di fingere che vada tutto bene per qualche giorno…»
L'angolo
dell'autrice:
Ho
avuto la prima idea per questo romanzo nel 2016, mentre ero ancora in
pieno blocco dello scrittore. Stavo tornando a casa in treno dal lavoro
(facevo ancora la guida turistica) e per caso mi è venuta in
mente quest'immagine di una hostess che accorreva ad aiutare un'amica
in difficoltà. Piano piano ho iniziato a buttare
giù
qualche scenetta abbozzata, ci ho lavorato durante diverse edizioni del
NaNoWriMo, finché non sono riuscita a completare questa
storia.
Sono partita da un presupposto: e se tutti i personaggi stessero
mentendo su qualcosa? E da questo ho cominciato a sviluppare una storia
piena di elementi che non avrei mai avuto il coraggio di inserire prima
del blocco, quando mi preoccupavo sempre di far piacere le mie storie a
mia zia (che non ci ha mai capito niente di romanzi e letteratura) che
le leggeva sempre.
Spero
che questa storia vi piaccia! Non esitate a farmi sapere la vostra
opinione lasciandomi una recensione, contattandomi con un messaggio
privato, oppure venite a trovarmi sui miei profili social!
A
presto!
~Arkytior
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 - Sabato ***
Sabato
Le sembrava strano
tornare in quel quartiere. Erano anni che non ci
metteva piede, e si chiese che effetto avrebbe fatto tornare nella sua
vecchia casa di Londra. Il taxi accostò vicino al
marciapiede,
Donna pagò l’autista, dopodiché
l’uomo scese
per aiutare la ragazza con il suo bagaglio. Dopo aver preso la sua
valigia rossa, Donna si incamminò verso le scalette che
portavano alla casa in cui abitavano sua madre e suo fratello. Chiuse
gli occhi per raccogliere tutto il suo coraggio e bussò.
Non
appena ebbe bussato, la sua mente fu invasa da ogni tipo di pensieri
orribili. Forse non avrebbe mai funzionato, forse l’avrebbero
scoperta subito e cacciata di casa, forse nessuno sarebbe stato felice
di vederla.
Dopo alcuni
secondi, che a Donna parvero infiniti, la porta si aprì.
Eliza
Rakes era sempre stata una donna molto elegante, anche quando restava
in casa tutto il giorno senza uscire. Aveva gli occhi grandi e castani,
molto somiglianti a quelli della figlia, che però li aveva
azzurri, come il padre. I capelli castani e ondulati erano lasciati
sciolti sulle spalle, e contribuivano a dare l’impressione
che
Eliza fosse in realtà una dama dell’Ottocento,
nata
nell’epoca sbagliata. Lavorava in un’agenzia di
viaggi, e i
suoi colleghi la ammiravano per la sua precisione e le
capacità
organizzative.
«Donna,»
disse Eliza. La sua voce aveva sempre un tono molto dolce e calmo.
«Ciao,
mamma!» salutò Donna, un po’ insicura.
Dopotutto, non si vedevano da cinque anni.
«Su,
coraggio, entra!» la incitò sua madre.
Donna
prese la valigia ed entrò in casa. Era esattamente come la
ricordava, anche se non ci aveva più messo piede da tempo:
pareti bianchissime, centrotavola con fiori freschi, molta luce, e non
un filo di polvere. Donna inspirò e chiuse gli occhi,
assaporando l’inconfondibile profumo del deodorante per
ambienti
che Eliza era solita comprare, e che contraddistingueva il suo ricordo
della casa in cui era cresciuta, prima di andare in America con suo
padre.
«Com’è
andato il viaggio?» chiese Eliza.
«Bene,»
rispose Donna. «Un po’ lungo, ma, del resto, sono
abituata!»
«E
come va con il lavoro?»
«Alla
grande!» Donna cercò di tagliare corto.
«E Thomas come sta?»
Eliza
guardò verso le scale dietro le spalle di Donna, che
conducevano
al piano superiore. Donna si voltò, e vide che sulle scale
c’era un ragazzo: doveva avere sui diciott’anni,
aveva gli
occhi scuri e i capelli castani, un po’ lunghi e spettinati.
Donna lo riconobbe all’istante.
«Thomas?»
chiese Donna.
Il
ragazzo finì di scendere le scale, e si avvicinò
a Donna:
ormai era poco più alto di lei.
«Wow,
sei… cresciuto!» continuò la ragazza.
«Anche
tu…» disse Thomas, quasi imbarazzato. Non
sapeva davvero cosa dire ad una persona che non vedeva da anni, e
conosceva a malapena.
***
A cena
non si parlò molto, dato che Eliza era troppo impegnata nei
preparativi per il viaggio dell’indomani. Sia Donna che
Thomas,
poi, non sapevano bene come comportarsi, dato che non si erano visti
per anni.
Quella
sera, dopo cena, dopo aver finito di fare le valigie, Thomas decise
finalmente di provare a parlare con sua sorella. Andò nella
stanza che era stata di Donna anni prima che venisse riarredata a
stanza degli ospiti. Non trovando la ragazza, notò che la
grande
finestra che dava sul balcone era aperta. Thomas uscì sul
balcone, e trovò sua sorella, che fumava una sigaretta.
«Ciao,»
azzardò Thomas.
«Ehi,»
rispose Donna.
«Tutto
bene?»
«Non
c’è male. Vuoi?» Donna offrì
una sigaretta a Thomas.
«No,
grazie, non fumo.»
«Bravo
ragazzo!»
Donna
sorrise, aspirando un’altra boccata di fumo.
«Perché
tu fumi, allora?» chiese Thomas.
«Avevo
smesso, ma poi ho ricominciato... Le vecchie abitudini sono dure a
morire…»
I due
stettero in silenzio per un po’.
«Com’è
New York?» chiese Thomas.
«Enorme!
Tutto è gigantesco: i palazzi, le strade, le
macchine, le persone… Nulla da invidiare a Londra!»
«E
ti piace stare lì?»
«Beh,
lì ci sono le mie amiche, il mio lavoro, la mia
vita… E papà…»
Thomas
abbassò lo sguardo, al ricordo di suo padre. Non lo vedeva
da
quando aveva divorziato da sua madre e si era trasferito negli Stati
Uniti insieme a Donna.
«Ti
manca, vero?» chiese Donna.
«Un
po’… Ma non lo conoscevo così
bene…»
«Anche
tu gli manchi tanto.»
«E
come sta? Voglio dire, so che ora sta con…»
«Oh,
Eve è carina… L’ho vista poche volte,
ma
mi ha dato l’impressione di essere una persona molto
dolce… Anche se papà ha lasciato mamma per Eve,
almeno
lui ora è felice!»
«Pensi
che verrà comunque alla festa di nonno?»
«No,
mamma gli ha detto esplicitamente che lui non è
gradito… Non credo che verrà.»
L'angolo
dell'autrice:
Nel
breve capitolo di oggi, i nostri protagonisti si incontrano per la
prima volta dopo anni e ci danno qualche cenno sulla situazione della
loro famiglia. Questo è un breve momento di
tranquillità
che li prepara alla grande riunione famigliare a cui andranno incontro
dal prossimo capitolo.
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
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A
presto!
~Arkytior |
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 - Domenica ***
Domenica
La chiamavano Villa Mo, ma in realtà era
tutto fuorché una villa. Si trovava in campagna, a cinque
minuti
da Juliet Springs. Doveva il suo nome a Maureen, o nonna Mo, come la
chiamavano i suoi nipoti, e all’iscrizione Mo Chridhe,
“Cuore mio”, posta sopra la porta
d’ingresso, che suo
marito aveva apposto quando aveva costruito la casa per lei,
cinquant’anni prima.
Eliza fermò la macchina proprio davanti al
grande cancello della proprietà, scese dal veicolo e
andò
a suonare il citofono, per avvertire i suoi genitori che lei e i suoi
figli erano arrivati. Da dentro la macchina, Donna e Thomas guardarono
il cancello automatico aprirsi, mentre la loro madre tornava da loro.
Eliza parcheggiò il veicolo appena passato il cancello, a
lato
del vialetto che portava alla casa principale. Insieme ai suoi figli
scese dalla macchina, mentre Black, il vivace cane nero dei suoi
genitori, saltellava intorno a loro, eccitato all’idea di
avere
in casa gente nuova.
Donna guardò l’enorme casa di campagna
in cui avrebbe dovuto stare per tutta la settimana. Erano passati anni
da quando andava lì per stare con i suoi nonni tutta
l’estate. Aiutò sua madre a prendere le valigie
dal
portabagagli, e, insieme a suo fratello, la seguì mentre si
avvicinava all’entrata della casa.
Davanti all’entrata c’erano tre gradini,
che portavano ad una veranda spaziosa in cui ricordava di aver giocato
da bambina, durante i giorni in cui faceva troppo caldo per giocare al
sole. C’erano alcune sedie impagliate, un divanetto di vimini
con
dei cuscini sopra e una panchina di plastica, sotto cui Black amava
rifugiarsi per ripararsi dal caldo. Donna aveva un vago ricordo di come
doveva essere stata la veranda quando lei era bambina, ma aveva la
sensazione che non fosse cambiato poi molto. Sulla veranda si
affacciavano due entrate: un portone di legno e una porta-finestra che
dava sul soggiorno. Nonna Mo andò ad accogliere i suoi
ospiti
aprendo per loro il portone.
Nonna Mo era sorprendentemente arzilla per la sua
età: era piccoletta di statura, portava occhiali da vista
rettangolari, con una sottile montatura rossa, aveva capelli corti e
grigi che le stavano ritti in testa come gli aculei di un porcospino ed
era perennemente indaffarata. In quel momento indossava un grembiule da
cucina e aveva in mano un cucchiaio di legno, chiaro indizio che stava
cucinando qualcosa.
«Eliza, finalmente!» disse Mo, salutando
sua figlia. Eliza si abbassò per salutare sua madre con un
bacio.
«E questi devono essere Donna e Thomas!»
continuò la nonna, guardando i suoi nipoti. «Come
siete
cresciuti! Specialmente tu, Thomas!»
Il ragazzo sorrise timidamente, arrossendo. Nel giro
di qualche settimana avrebbe compiuto diciotto anni, ed era
già
più alto di sua sorella maggiore.
«E tu, Donna, perché ti sei tinta i
capelli? Non ti piacevano i capelli castani?» disse Mo a sua
nipote.
Anche Donna fece un sorrisetto timido, mentre si
attorcigliava una ciocca di capelli biondi attorno a un dito, un
po’ imbarazzata.
«Oh, entrate, entrate, non state lì
fermi sulla porta!» li esortò l’anziana
donna.
«Venite, vi faccio sistemare le vostre cose!»
Ognuno prese la sua valigia, e la portò in
casa. Nonna Mo andò in cucina a posare il cucchiaio di
legno,
dopodiché tornò da sua figlia e dai suoi nipoti e
fece
loro segno di seguirla. I tre seguirono Mo in soggiorno, dove si
trovava la scala che portava al piano superiore.
Al primo piano della casa c’era un corridoio
con varie stanze. Donna sapeva che alcune di esse venivano usate per
gli ospiti, ma non c’era mai entrata.
«Eliza, cara, tu starai in quella stanza in
fondo,» le disse sua madre, indicando la stanza in questione.
Eliza annuì e si diresse verso la stanza. La
conosceva bene, dato che era lì che aveva sempre dormito,
ogni
volta che aveva passato lì le vacanze insieme alla sua
famiglia.
«Ragazzi, voi venite con me!» disse Mo
ai suoi nipoti, facendo loro cenno di seguirla dall’altro
lato
del corridoio.
Nell’altra metà del corridoio non
c’erano porte che conducevano ad altre stanze, ma soltanto
un’enorme stanza completa di divano, televisione, scrivania,
computer, ampie finestre, macchine fotografiche costose, e qualsiasi
congegno elettronico esistente al mondo. Donna ricordava di essersi
sempre tenuta alla larga dalla stanza di suo zio Dom, perché
aveva il terrore di rompere qualcosa di valore.
«Non vi preoccupate, ragazzi,» disse
loro la nonna. «Zio Dom sa che siete qui, e non vi
farà
problemi se passate per camera sua! Solo, non toccate le sue cose:
è molto geloso dei suoi giocattoli!»
I due fratelli risero, e seguirono la nonna
all’interno della stanza dello zio. Nonna Mo girò
intorno
alla scrivania e guidò i suoi nipoti su per una scala
nascosta,
che portava all’ultimo piano della casa.
Si trattava di una soffitta, ma era molto più
spaziosa di quanto Donna potesse pensare, nonostante il tetto
spiovente: c’erano due camere e un bagno, ed erano state
preparate apposta dai nonni per il loro arrivo.
«Thomas, tu starai nella camera a destra,
mentre Donna starà in quella a sinistra,» disse
loro la
nonna. «Vi do il tempo di sistemare le vostre cose. Quando
siete
pronti, scendete: il nonno vuole salutarvi!»
Nonna Mo scese le scale e tornò a lavorare in
cucina, mentre Donna e Thomas sistemavano le valigie nelle loro camere.
La camera di Donna era quella in cui ricordava di
aver dormito da bambina. Allora le sembrava immensa, ma ora le sembrava
una camera di dimensioni normali. In un angolo, in cui il tetto era
troppo basso perché una persona potesse stare in piedi sotto
di
esso, erano ammucchiati i suoi vecchi giocattoli: poteva vedere un
tavolino di legno, una sedia abbinata al tavolino, e numerose scatole
piene di bambole di pezza, con cui aveva giocato più di
dieci
anni prima. Proprio davanti a lei, una grande finestra le permetteva di
ammirare la campagna circostante, e il resto della fattoria dei nonni.
Proprio al centro della stanza, con la testiera attaccata al muro di
destra, c’era il letto, che la nonna aveva rifatto,
utilizzando
le lenzuola e coperte multicolori ricamate da lei stessa. Appoggiato ai
cuscini del letto c’era un piccolo panda di peluche, che
Donna
riconobbe immediatamente. Donna lasciò la sua valigia
appoggiata
sulla porta, si avvicinò al letto e prese in mano il panda.
Ricordava di averci giocato da piccola, ma allora le era sembrato molto
più grande. Ora, invece, si rese conto che le stava
comodamente
nelle due mani unite.
La visione di quel pupazzo le riportò alla
mente i suoi ricordi felici. Avrà avuto quattro o cinque
anni
quando suo nonno le aveva regalato quel panda. Le aveva raccontato che
era stato uno dei suoi giocattoli preferiti quando lui era stato
bambino, e che ora aveva deciso di regalarlo a lei. Donna aveva sempre
avuto un rapporto speciale con suo nonno. La ragazza ricordò
i
pomeriggi estivi in cui non si separava mai da quel giocattolo
speciale, e passava ore e ore a giocare con il suo peluche preferito, a
prendere il tè, a guardare le nuvole in cielo, o a esplorare
la
campagna. Era tutto molto più semplice allora, quando non
doveva
mentire per salvare le apparenze, quando poteva semplicemente essere se
stessa, senza preoccuparsi costantemente di non deludere le aspettative
dei suoi familiari. Ora come avrebbe fatto a sopravvivere per una
settimana, circondata dai suoi parenti, che non la vedevano da anni, a
cui aveva paura di raccontare la verità? Tutti avevano
un’idea ben precisa di lei, e non poteva certo distruggerla
per
sempre. Per tutti, lei era una hostess della American SkyLines, una
prestigiosissima compagnia aerea: come avrebbero reagito se avessero
saputo che, quando era stata licenziata, si era dapprima guadagnata da
vivere facendo la spogliarellista in locali poco raccomandabili, in cui
era conosciuta con il nome di Britney, e ora si accontentava di tirare
avanti passando da un lavoro sottopagato all’altro? Tutti i
parenti si sarebbero riuniti per festeggiare i settant’anni
di
nonno Pete, e Donna non avrebbe di certo rovinato i festeggiamenti
deludendo le aspettative di tutti su di lei! Soprattutto, non avrebbe
mai voluto che suo nonno, con cui aveva sempre avuto un buon rapporto,
venisse a conoscenza di quel suo segreto.
«Donna?» la chiamò una voce.
Donna alzò gli occhi, come se si fosse appena
risvegliata da una trance. La voce di Thomas l’aveva appena
riportata alla realtà.
«Tutto bene?» le chiese il ragazzo, avvicinandosi a
lei, e sedendosi accanto a lei sul letto.
«Sì, sì, sto
bene…»
rispose Donna. «Stavo solo…
ricordando…»
«Quello cos’è?» chiese Thomas,
riferendosi al panda di peluche.
Donna guardò il giocattolo che ancora aveva
in mano. «Oh, questo... è Squishy! Era il mio
preferito,
da piccola... Me lo regalò nonno, sai?»
«Squishy?
Che nome è per un panda di peluche?»
«Non lo so! Ma mi piaceva come suonava…»
Donna sorrise al ricordo.
«Che dici, scendiamo?»
Donna annuì. Insieme al fratello si
alzò, rimise il piccolo panda di peluche sul letto, dove
l’aveva trovato, e seguì Thomas.
Al piano terra, nonna Mo li aspettava. Li condusse
in soggiorno, in cui il nonno stava guardando la televisione, seduto
sul divano. Non appena vide la moglie e i nipoti, l’uomo
spense
subito l’apparecchio, per dedicarsi completamente ai suoi
ospiti.
Nonno Pete era un po’ più anziano di
quanto Donna ricordasse. Era alto, aveva i capelli bianchi e portava
occhiali squadrati dalla montatura trasparente. Quando vide Donna, il
suo viso si illuminò, e le sorrise: non la vedeva da anni,
ma
ricordava ancora perfettamente tutte le estati trascorse insieme, i
pomeriggi passati a giocare e a correre per la campagna. Tra loro
c’era sempre stato un rapporto speciale, anche se ormai non
si
vedevano più tanto spesso.
Il nonno si alzò dal divano e andò a
salutare prima Thomas. Lo abbracciò e gli
scompigliò i
capelli.
«Ehi, giovanotto!» lo salutò il nonno.
«Ti sei fatto proprio alto, sai?»
Nonno Pete si voltò quindi verso Donna, e
l’abbracciò.
«Ciao anche a te, signorina!» la
salutò affettuosamente. «Ogni giorno che passa,
somigli
sempre più a tua madre… Anche se gli occhi sono
di tuo
padre!»
Donna sorrise al complimento. Suo nonno era
orgoglioso di lei, ma la ragazza non sapeva se lo sarebbe stato, se
avesse saputo la verità su di lei. No, nessuno doveva
scoprire
il suo segreto: per tutti sarebbe stata esattamente come se
l’aspettavano. Anche se questo significava mentire a tutti,
perfino a suo nonno.
***
Quella sera, né Donna né Thomas
avevano voglia di andare a dormire. Anche se il viaggio era stato
lungo, non erano per niente stanchi. Piuttosto, era il fatto di
trovarsi in quella particolare situazione a impedire loro di dormire
tranquilli.
I due fratelli si sedettero sul letto nella stanza
di Donna, per parlare. Del resto, avevano ripreso i contatti soltanto
il giorno precedente.
«Dev’essere strano per te tornare qui, dopo tutti
questi anni,» disse Thomas.
«Già,» rispose Donna, tenendo
Squishy tra le mani. «Mi sembra tutto così
diverso, eppure
così familiare…»
«Beh, credo che sia normale per te, che vivi in America da
anni…»
«Già, tu sei stato più a
contatto con la parte inglese della famiglia... Credi che verranno
tutti quanti alla festa di nonno?»
«Non ne ho idea… Noi staremo qui per
tutta la settimana, mentre gli altri arriveranno man mano…
Abitano tutti nel Regno Unito, quindi sarà più
facile per
loro venire qui. Zio Dom oggi era fuori per lavoro e ha detto che
sarebbe tornato stanotte, molto tardi, mentre domani dovrebbe arrivare
zia Audrey.»
«E tu li hai visti molto più recentemente di me,
giusto?»
«Sicuramente, ma siamo sempre molto
lontani… Zio Dom abita qui, ma spesso è via per
lavoro, e
zia Audrey abita a Cardiff.»
«Oh… E che tipi sono? Io non li vedo da anni: ho
solo vaghi ricordi di loro.»
«Zio Dom è appassionato di tecnologia e
gli piace stare in compagnia di altre persone. Zia Audrey è
fortissima, è un vulcano di energia: ti
piacerà!»
«Ne sono convinta… E oltre a loro, chi
verrà? Ne sai qualcosa?»
«Non lo so… Forse qualche cugino
lontano? I fratelli di nonna Mo? Qualche vicino di casa? Qualche
vecchio amico di Shilling o Rosehill?»
«Quindi ci aspettano giornate piene di
sconosciuti che ci dicono cose tipo “Oh, quanto sei
cresciuto! Ti
ricordi di me?” e cose del genere?»
«Oh, sì, e anche “Come va la scuola? E
la fidanzatina?”»
Entrambi risero all’idea delle domande stupide
fatte da parenti sconosciuti durante ogni festa in famiglia.
«Seriamente, però,» disse Donna,
accendendosi una sigaretta e avvicinandosi alla finestra aperta per
cercare di far uscire quanto più fumo possibile.
«La
fidanzatina?»
Thomas arrossì visibilmente. «Oh, no, non
c’è nessuna.»
«Fidanzatino, nemmeno?» chiese Donna, abbassando
leggermente il volume della voce.
«Cosa? No, io… Cosa ti fa pensare che io
sia…»
«No, tranquillo, era solo per sapere…
Voglio dire, non ci vediamo da anni, e un sacco di cose potrebbero
essere cambiate in questo tempo… Non che ci sia niente di
male,
sia chiaro…»
«Oh, no, tra la scuola, i compiti e gli esami
non ho avuto per niente tempo… E tu, invece? Esci con
qualcuno?»
«No, tutte storielle da niente…
L’ultima storia importante che ho avuto è finita
in
tragedia tre anni fa, e adesso mi sto godendo la mia ritrovata
libertà.»
La ragazza fece vagare lo sguardo attraverso la
campagna immersa nella notte, mentre si abbandonava ai ricordi
abbozzando un sorriso.
Il volo di ritorno
da Parigi sembrava non finire mai. Dai finestrini non si vedeva altro
che l’Oceano Atlantico, e Donna non aveva la minima idea di
quanto tempo mancasse all’atterraggio. Non vedeva
l’ora di
arrivare a New York per poi passare il resto della serata insieme a
Frank, il suo ragazzo, che in quel momento stava pilotando
l’aereo.
La ragazza si
stava annoiando terribilmente, ma per fortuna il capocabina la
chiamò attraverso l’interfono di bordo:
«Donna, i
piloti hanno chiesto di poter usare il bagno. Ti andrebbe di venire
davanti?»
Senza farselo
ripetere due volte, Donna si alzò dalla sua postazione e si
diresse verso la parte anteriore dell’aereo, dove il suo
collega
la aspettava davanti alla porta della cabina di pilotaggio. Dopo
essersi assicurato che tutti i passeggeri fossero seduti con le cinture
allacciate, il capocabina prese di nuovo l’interfono per
comunicare ai piloti che avevano il permesso di uscire. Donna sperava
che sarebbe uscito il comandante, e di conseguenza lei avrebbe potuto
passare qualche minuto da sola con Frank, ma invece, con sua grande
sorpresa, la porta della cabina di pilotaggio si aprì e fu
il
primo ufficiale ad uscire. I loro sguardi si incontrarono brevemente, e
il volto di Donna si illuminò quando si ritrovò
davanti
gli occhi azzurri, i capelli biondi scompigliati e il sorriso
ammaliante del suo ragazzo.
«Ehi,»
la salutò Frank, facendole l’occhiolino.
Donna gli sorrise,
dopodiché entrò nella cabina di pilotaggio e si
chiuse la porta alle spalle.
Non aveva mai
lavorato con quel comandante, ma le aveva dato l’impressione
di
non essere un tipo molto loquace. Lei lo salutò
educatamente, ma
lui non le rispose affatto. Emise una specie di grugnito, mentre
continuava imperterrito a toccare leve e bottoni, per darle la falsa
impressione di essere molto impegnato a pilotare l’aereo.
Donna
non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, ma era piuttosto
sicura che stesse soltanto fingendo di fare qualcosa di estremamente
importante. Non c’era alcuna traccia di terra
all’orizzonte, ma solo altro oceano, perciò Donna
iniziò a guardarsi intorno per cercare di tenere la mente
occupata nell’attesa. La cabina di pilotaggio era stretta, ma
era
piena di leve, bottoni e comandi di cui Donna ignorava la funzione
nella maniera più assoluta. Pensò che non sarebbe
assolutamente stata in grado di pilotare un aereo e ricordarsi la
funzione esatta di ogni comando, per di più ascoltando
ininterrottamente le comunicazioni della torre di controllo e degli
altri aerei vicini.
Nonostante i
continui incomprensibili messaggi che continuavano a risuonare
all’interno della cabina di pilotaggio, però,
Donna
riusciva a sentire ciò che stava accadendo
dall’altra
parte della porta alle sue spalle. Riconobbe immediatamente la voce di
Frank, che conversava amabilmente con il capocabina. Una terza voce si
aggiunse però alla conversazione, e Donna dovette
concentrarsi
bene per capire a chi appartenesse.
«Alla fine
non mi hai più fatto sapere com’è
andata,»
disse la voce misteriosa.
Dopo qualche
istante, Donna capì che doveva trattarsi di Spencer, suo
collega
e coinquilino di Frank. Tese l’orecchio per capire di cosa
stessero parlando.
«Come vuoi che
sia andata?» stava dicendo Frank. «Alla fine avevi
ragione!»
«Visto? Io ho
sempre ragione!» si vantò Spencer. «Lei
non ne sa niente vero?»
«Abbassa la
voce!» lo ammonì Frank. «Donna
può sentirti!»
Donna si fece
ancora più sospettosa. Di cosa stavano parlando?
Cos’è che non doveva sapere?
«Certo che
comunque ce ne hai messo di tempo per accorgertene,» riprese
Spencer. «Non ti insospettiva nemmeno un po’ il
fatto che
Georgia Black avesse cominciato a passare tutto quel tempo insieme a
Donna?»
«Beh, credevo
che fosse normale, dato che sono molto amiche…»
disse Frank.
«Te
l’ho dovuto dire io che quella stava sempre così
appiccicata a Donna soltanto per passare del tempo con te! Non avevi
mai notato come si vestiva da mignotta ogni volta che vi incontravate?
O che ti guardava sempre come se stesse immaginando di
spogliarti?»
Donna aveva sempre
pensato che Georgia fosse una sua collega un po’ eccentrica.
Anche a lei in fondo piaceva indossare camicette con scollature
vertiginose, minigonne e vestiti attillati, ma non avrebbe mai pensato
che un’amica di cui si fidava così tanto la stesse
usando
come scusa per rubarle il ragazzo!
«Dai, lo
ammetterai anche tu che Georgia è molto meglio,»
incalzò Spencer. «Sì, Donna
è carina, una
bottarella gliela darei anch’io, ma Georgia Black
è su un
altro livello!»
«Non
è decisamente il mio tipo, ma anche io devo ammettere che
è proprio una bella ragazza,» disse il capocabina.
«Sì,
è veramente fantastica!» concordò
Frank. «Se
non mi avessi fatto notare che ci stava spudoratamente provando con me,
non ci sarei mai uscito!»
«A che servono
gli amici, sennò?»
«Domani mi ha
invitato a casa sua, dato che abbiamo tutti e due un giorno
libero.»
«Così
si fa! Divertiti anche per me!»
Donna sentì
finalmente il suo collega allontanarsi. Durante quei pochi istanti di
completo silenzio tentò di processare ciò che
aveva
appena sentito. Davvero Frank era stato capace di tradirla con Georgia
Black? E come aveva potuto Georgia fingere di esserle amica per tutto
quel tempo?
Attraverso
l’interfono, Frank comunicò al comandante la
password per
aprire la porta della cabina di pilotaggio. Senza nemmeno voltarsi per
guardarla, il comandante autorizzò Donna ad aprire la porta
per
far rientrare il primo ufficiale e tornare in cabina. Ancora sconvolta
dalla conversazione che aveva origliato, la ragazza aprì la
porta lentamente, con sguardo truce. I suoi occhi si incrociarono per
qualche istante con quelli di Frank, e Donna giurò di aver
scorto un briciolo di colpa nello sguardo del ragazzo. Senza dire una
parola, Frank tornò al suo posto nella cabina di pilotaggio
e
chiuse la porta alle sue spalle. Quell’attimo di evidente
imbarazzo non fece che confermare che tutto ciò che Donna
aveva
sentito nella conversazione appena origliata era successo davvero.
Decise che Frank l’avrebbe pagata cara per ciò che
le
aveva fatto.
Donna chiese al
capocabina se avesse ancora bisogno di lei, ma il suo collega la
rassicurò dicendole che per il momento poteva andare a
rilassarsi. La ragazza tornò quindi nel retro
dell’aereo,
dove si trovava la sua postazione, e tirò la tendina che
separava l’area in cui si trovavano tutti i carrelli e le
scatole
metalliche con il cibo dalla cabina con i passeggeri. Divideva quello
spazio con Leo, un ragazzetto arrivato da pochi mesi che in quel
momento stava ingannando la noia giocando a un videogioco sul suo
cellulare. Come se fosse la cosa più naturale del mondo,
Donna
aprì il cassetto di un carrello, ne estrasse una piccola
bottiglia di vodka, la aprì e ne bevve un lungo sorso.
«Puoi farmi
un favore?» chiese poi a Leo, mentre si sbarazzava della
bottiglietta ancora mezza piena. «Verresti un secondo con me
in
bagno?»
L'angolo
dell'autrice:
Avevo
già pubblicato una parte di questo capitolo come short story
partecipante a un contest, con il titolo di "Quando tutto era
più semplice". Quella è stata la prima scena che
ho
scritto, in cui volevo riassumere a grandi linee la storia che volevo
raccontare in seguito, in maniera più approfondita. Potete
ancora trovare quella storia sul mio profilo, ma quando l'ho inserita
nella storia completa l'ho modificata e revisionata varie volte.
In questo capitolo arriviamo al setting principale della storia, la
casa dei nonni, immersa nella campagna inglese... o quasi.
Più
scrivevo questa storia, più i personaggi andavano
modificandosi
e adattandosi, prendendo sempre più ispirazione da membri
della
mia vera famiglia. E siccome ho iniziato a scrivere questo romanzo
pensando che la mia vera famiglia non lo avrebbe mai letto, mi sono
sentita libera di fare riferimenti e toccare argomenti che non avrei
mai nemmeno accennato prima di diventare anonima. Solamente il fatto
che Donna sia una fumatrice accanita e che si ubriachi mentre
è
al lavoro mi sarebbe costato mesi e mesi di predicozzi via email e
preoccupazioni inutili di parenti che mi parlano alle spalle.
La scena del flashback ambientata in aereo è stata ispirata
dalla mia reale esperienza come assistente di volo, tuttavia ci tengo a
precisare che, come sa chi mi conosce, non sono solita bere alcolici in
servizio, né chiedere "favori" a ignari colleghi maschi (ma
i
personaggi nominati in quella scena hanno tutti quanti un corrispettivo
nella realtà... Interpretate quest'informazione come
volete...).
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
miei profili social!
A
presto!
~Arkytior
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 - Lunedì ***
Lunedì
La
mattina seguente, Donna fu svegliata dal canto di un gallo. Il sole era
già sorto da un pezzo, perché erano
già le dieci
di mattina, ma evidentemente al gallo non importava. La ragazza si
vestì in fretta, cercando di fumare una sigaretta nel
frattempo,
e scese al piano terra per fare colazione. In cucina, trovò
Thomas e sua madre seduti al tavolo, il nonno che leggeva il giornale
sulla poltrona e la nonna già intenta a preparare il pranzo.
«Buongiorno,
Donna!» la salutò la nonna. «Dormito
bene?»
«Sì,
grazie,» rispose Donna, andando a sedersi a tavola.
Per la
colazione, nonna Mo aveva preparato letteralmente di tutto: uova,
salsicce, bacon, porridge, panini, fette biscottate, burro, marmellata,
biscotti, latte e vari succhi di frutta.
«Avrei
voluto farvi una torta, ma poi quando ho visto scendere
Eliza ho deciso che era meglio cominciare a preparare il
pranzo…
Spero che quello che vi ho messo sul tavolo vi piaccia!»
«Sì,
nonna, è tutto buonissimo!» disse Thomas.
Nonostante
la quantità di cibo presente sul tavolo in quel
momento fosse abbastanza da sfamare un esercito per almeno un mese,
Donna riuscì timidamente a mettere sul suo piatto una
porzione
di uova e bacon. Assaggiandoli, pensò che davvero sua nonna
era
in grado di prendere un piatto banale come quello e renderlo strepitoso.
Finita
la colazione, mentre Donna, Thomas ed Eliza stavano sparecchiando e
mettendo la cucina in ordine, il citofono suonò.
Immediatamente,
Black iniziò ad abbaiare precipitandosi al cancello per
vedere
chi fosse arrivato. Nonno Pete mise da parte il giornale e si
alzò dalla poltrona per andare a rispondere al citofono, ma
Eliza, più veloce di lui, lo precedette.
«Ciao!
Ben arrivata!» disse Eliza, al citofono, mentre apriva il
cancello delle macchine.
Eliza
riagganciò il citofono, aprì il portone e
uscì in
giardino, seguita da Donna e Thomas. Black continuava ad abbaiare e ad
agitarsi vicino al cancello automatico che si stava aprendo lentamente.
Un’elegante Chevrolet blu scuro entrò dal cancello
e si
fermò a metà del vialetto, ancor prima di
raggiungere il
garage. La portiera si aprì e uscì un vivace
cagnolino
dal pelo lungo, che iniziò ad abbaiare e a saltellare in
direzione di Black. Successivamente, una donna scese
dall’auto:
era alta e magra, e aveva lunghi capelli castani e ondulati; si tolse
gli occhiali da sole, rivelando i suoi enormi occhi verdi e vivaci;
indossava una T-shirt e dei jeans scoloriti.
«Eliza,
come stai?» salutò la donna, felicissima di
vederla.
«Ciao,
Audrey,» rispose Eliza, soffocata dall’abbraccio
della sorella.
«Cavolo,
è proprio vero che Londra è una
città fredda!» riprese zia Audrey.
«Tesoro, dovresti
scioglierti ogni tanto: ti farebbe proprio bene! Meno male che adesso
ci sono io, che ti porterò un po’ al mare, questi
giorni…»
«Volentieri,
ma non ho messo il costume in valigia…»
«E
che problema c’è? Te ne presto uno dei
miei!»
«Ecco,
era questo quello che volevo evitare…»
Zia Audrey
non sembrò sentire l’ultima frase, e la sua
attenzione passò ai suoi nipoti.
«Oh,
che bello, mi hai riportato i miei bambini!» disse zia
Audrey, abbracciando sia Donna che Thomas. «Anche se siete
praticamente degli adulti, per me sarete sempre i miei
bambini!»
«Ciao,
zia Audrey!» disse Donna, una volta ripresa
dall’abbraccio della zia.
«Donna,
quasi non ti riconoscevo con quel colore di
capelli!» le disse zia Audrey. «Che ti è
successo,
non ti piacevano più i capelli scuri? O magari pensavi di
assomigliare troppo a quella noiosa di tua madre?»
«Audrey!»
la ammonì Eliza.
«Stavo
solo scherzando!» si difese zia Audrey. «Tua
madre dovrebbe imparare a lasciarsi andare, ogni tanto, non le fa bene
essere sempre così seria,» aggiunse poi, attenta a
non
farsi sentire da Eliza.
Donna
sorrise, imbarazzata, non sapendo bene cosa pensare.
«E
tu, guardati!» disse zia Audrey a Thomas. «Sei
diventato proprio un figo! Scommetto che a scuola stai facendo strage
di cuori, eh?»
«Beh,
veramente…» provò a dire Thomas,
visibilmente in imbarazzo.
«Dove
sono mamma e papà?» chiese poi zia Audrey,
rivolta a Eliza. «E Dom, non è ancora rientrato? O
è rientrato e poi è andato via di
nuovo?»
«Non
lo so, non l’ho visto proprio…» rispose
Eliza.
«Mah,
spero che ieri sera sia rientrato talmente tardi che
è ancora su a dormire fino all’ora di
pranzo…» disse zia Audrey. «O almeno
spero non sia
con quell’affare che si porta dietro…»
I
quattro andarono in cucina, così zia Audrey poté
salutare
i suoi genitori prima di mettere la macchina in garage. Nonno Pete fu
felicissimo di vederla, e i due si abbracciarono a lungo; zia Audrey
volle però evitare di disturbare nonna Mo quanto
più
possibile, dato che era ancora indaffarata con il pranzo.
«Allora,
come va la scuola, Audrey?» chiese nonno Pete.
«Un
disastro!» rispose zia Audrey. «I bambini li
fanno sempre più stupidi! Adesso ci devo mettere due mesi a
spiegare le addizioni! Bei tempi quelli in cui ci mettevo solo un paio
di giorni…»
«Zia
Audrey insegna matematica in una scuola elementare,»
spiegò Thomas a Donna.
Mentre
parlavano, un uomo scese dal piano superiore e si fermò
davanti
alla porta aperta della cucina. Aveva i capelli castani, indossava una
maglietta con delle scritte incomprensibili e dei pantaloni corti color
verde militare. Era intento a guardare lo schermo del cellulare e non
sembrava essersi accorto minimamente degli ospiti nella sua stessa casa.
«Guarda
guarda chi si è svegliato…» gli disse
zia Audrey. «Non si saluta, Bell’Addormentato nel
Bosco?»
L’uomo
alzò gli occhi dal cellulare e sembrò
sorpreso di vedere tutte quelle persone in cucina. Gli ci volle qualche
secondo per mettere a fuoco, dopodiché entrò in
cucina e
iniziò a salutare.
«Ciao,
ma’, ciao, pa’!» disse ai suoi genitori.
«Ciao, Eliza!»
«Dom,
sei sempre il solito!» Eliza ricambiò il bacio
sulla guancia del fratello minore.
«Audrey…»
Zio Dom salutò l’altra sorella con un semplice
gesto della mano.
«Oh,
dai, non fare lo scemo!» gli disse zia Audrey, andando
ad abbracciarlo. «Ci vediamo almeno una volta al mese, ma
resti
sempre il mio fratellino preferito!»
«Grazie,
ma vedi di non uccidermi, se vuoi avere ancora un fratello!»
Lo zio Dom
era molto più alto di zia Audrey, ma i suoi abbracci
riuscivano a soffocarlo comunque.
«Ehi,
e qui chi abbiamo?» disse zio Dom, una volta liberato
dalla stretta di zia Audrey. «Ehi, Tommy! Il mio
genietto!»
«Ciao,
zio!» Thomas salutò lo zio con il pugno, come
era abituato a fare tutte le volte che si vedevano.
«E
tu devi essere Donna,» disse zio Dom. «Sei
più alta di come ricordavo… Ma,
d’altronde, io
ricordo che eri poco più che una ragazzina, mentre ora
sicuramente hai qualche anno in più…»
«Già,
proprio così…» disse Donna, con un
sorriso abbozzato.
«Stai
uscendo, Dom?» chiese nonna Mo. «Ci sei a
pranzo?»
«Non
lo so quando torno,» rispose zio Dom. «Ti mando
un messaggio… Non so se poi viene anche
Griselda…»
«Non
sarebbe un grande cambiamento…» disse nonna Mo
non appena zio Dom non fu più a portata d’orecchi.
«Quella non mangia niente!»
«Io
vado a mettere la macchina in garage!» annunciò
zia Audrey. «Avevo portato anche Brat, ma appena sono
arrivata
è saltata fuori dalla macchina per andare a giocare con
Black,
quindi sarà fuori in giardino da qualche
parte…»
***
Quel
pomeriggio, nonna Mo portò Donna e Thomas con sé
per
mostrare loro l’immenso giardino della casa. La cucina aveva
una
porta che conduceva al retro della casa: scendendo una rampa di scale
si poteva accedere all’orto, in cui la nonna coltivava
pomodori,
insalata, zucche e carote.
«L’anno
scorso nonna ci ha fatto avere una zucca che pesava
più di venti chili!» disse Thomas a Donna.
«Avresti
dovuto vedere quanto era grande!»
«Wow,
e poi che ci avete fatto?» chiese Donna.
«L’avete decorata per Halloween?»
«L’abbiamo
tagliata, mamma l’ha congelata, e poi ha
trovato varie ricette per cucinare la zucca in un sacco di modi
diversi: ci ha fatto le polpette, le torte, il
risotto…»
«Wow,
mi piacerebbe saper cucinare come lei!» disse Donna.
«Sì,
a Eliza è sempre piaciuto cucinare!»
disse nonna Mo. «Poverina, quando si è sposata non
si era
mai avvicinata ai fornelli prima, ma poi ha imparato
velocemente!»
Nonna
Mo entrò nel piccolo capanno ai piedi delle scale sotto la
cucina, soltanto per uscirne pochi secondi dopo con un sacco di iuta
tra le braccia.
«Quello
cos’è?» chiese Thomas.
«Venite
con me,» rispose la nonna.
I due
ragazzi la seguirono fino al pollaio. Era una piccola casetta di legno
posta all’interno di un recinto fatto con una rete metallica.
Un
gallo passeggiava tranquillo nel recinto, mentre due galline, sedute,
lo guardavano. Nonna Mo aprì il sacco, rivelando che era
pieno
di mangime, e subito il gallo e le galline cominciarono ad agitare le
ali e a emettere schiamazzi nella sua direzione. Anche altre due
galline, che erano rimaste all’interno della casetta di legno
fino a quel momento, uscirono e cominciarono a schiamazzare. La nonna
aprì il recinto quel tanto che bastava per poterci infilare
una
mano e cominciò a lanciare del mangime al suo interno. Il
gallo
e le galline smisero di agitarsi e fare rumore per beccare il mangime
lanciato dalla nonna.
«Forse
voi ve ne ricordate di più,» disse nonna Mo.
«Ma queste qui ce le ho da quando voi eravate piccolini...
Sono
le ultime rimaste. Mi sono già messa d’accordo con
una
signora di Shilling per prenderne altre tre o quattro: dovrebbe
portarmele il mese prossimo. Harlequin sarà contento di
avere
altra compagnia,» aggiunse poi, facendo un cenno col mento
verso
il gallo.
Una
volta finito con il mangime, la nonna condusse Donna e Thomas ad
un’altra struttura di legno in giardino. Sembrava una casetta
più grande, e aveva come degli scaffali al suo interno.
Sullo
scaffale più in alto c’era qualcosa che si
muoveva, e i
due ragazzi cercarono di capire cosa fosse.
«Ma…
sono adorabili!» disse Donna.
Quello
che all’apparenza sembrava un cuscino di pelliccia nera era
in
realtà un coniglio, che dormiva adagiato su un giaciglio di
paglia. I due ragazzi si avvicinarono per guardare meglio, e videro
altri cinque coniglietti più piccoli che dormivano accanto
alla
madre.
«Sì,
ma fate attenzione a non toccarli,» li
avvertì la nonna, «o la mamma non darà
più
loro il latte.»
«Ho
sempre voluto un coniglio, da piccola,» disse Donna.
«Davvero?»
chiese Thomas. «Papà non te l’ha mai
comprato?»
«No,
continuava a prendermi in giro dicendo che se me
l’avesse comprato poi l’avremmo cucinato e
mangiato…»
«Che
cosa cattiva da dire!»
Donna
alzò le spalle. «Ehi, è il suo
umorismo…
Ormai ci sono abituata…»
L'angolo
dell'autrice:
Oggi
un capitolo un po' slice of life. Conosciamo altri personaggi
secondari, gli zii Dom e Audrey, e facciamo una passeggiata tra gli
animali della fattoria dei nonni. Qui, oltre che a ispirarmi ad alcuni
miei parenti, mi sono ispirata a piccoli aneddoti della mia vita reale
(ce l'ho ancora con mio padre per aver voluto mangiare il coniglio che
non sono mai riuscita a vincere alla festa del paese).
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 - Martedì ***
Martedì
Il
giorno successivo, zia Audrey propose una gita al mare. Eliza
rifiutò immediatamente la proposta, dato che non aveva un
costume da bagno, e non cambiò idea neppure quando zia
Audrey
rinnovò l’offerta di prestarle uno dei suoi.
Piuttosto, le
suggerì di prestarlo a Donna, dato che la ragazza aveva
dimenticato di metterne uno in valigia. Eliza decise di restare ad
aiutare i suoi genitori in casa, e affidò i suoi figli a zia
Audrey.
Thomas era
stato
previdente e aveva messo in valigia tutto l’occorrente per
una
eventuale gita al mare, mentre Donna non aveva assolutamente preso in
considerazione l’idea. Si guardò allo specchio e
vide che
il costume che le aveva prestato zia Audrey – pieno di
perline e
lustrini, che non la copriva poi molto – non le stava affatto
male. Si infilò una maglietta e dei pantaloncini, prese la
borsa
e scese le scale. Una volta scesa la prima rampa, quando fu entrata
nella stanza di zio Dom, qualcosa attirò la sua attenzione.
La stanza
era sempre
stata vuota, ma quella volta sul grande divano di pelle c’era
una
persona che Donna non aveva mai visto prima. Sembrava una donna, ma era
talmente sovrappeso da risultare sproporzionata: sembrava che
indossasse i vestiti della taglia sbagliata, troppo stretti per
vestirla comodamente, che le provocavano bozzi e rigonfiamenti in tutto
il corpo. Indossava una maglietta con una fantasia decisamente troppo
appariscente e dei leggings strettissimi che sembravano sul punto di
esplodere. Stava guardando il suo cellulare e aveva le gambe
accavallate, e l’attenzione di Donna venne catturata dalla
gamba
che ondeggiava e sembrava volerle indicare la scarpa da ginnastica
consumata e non allacciata sul piede della donna misteriosa. Il volto
era un insieme di tratti somatici privi di armonia, macchie sulla
pelle, brufoli e peli sul labbro superiore, il tutto incorniciato da
una cascata di capelli scuri e oleosi che sembravano non essere mai
stati pettinati. Donna rimase come pietrificata davanti a quello
spettacolo, finché un lieve tocco sulla spalla non la
riportò alla realtà. La ragazza si
voltò e vide
zia Audrey di fianco a sé, che le faceva cenno di scendere
con
lei al piano di sotto.
«Griselda,
la
ragazza di Dom,» spiegò zia Audrey a Donna.
«Non
guardarla troppo a lungo: ti sanguinerebbero gli occhi.»
«Ma…
Che fa lì?»
«Non
lo
sappiamo… Appare, scompare, non mangia e ci toglie
l’appetito a tutti. Non sappiamo nemmeno perché
piaccia
così tanto a Dom…»
«Beh,
sicuramente avrà dei lati positivi… No?»
«Dici
così
solo perché è la prima volta che la vedi,
Donna…
Aspetta di conoscerla un po’ meglio…»
***
Zia Audrey
portò i
nipoti in spiaggia. Aveva riservato un posto in uno stabilimento per
tutta l’estate, perciò si diresse, seguita da
Donna e
Thomas, verso l’ombrellone in prima fila che aveva prenotato.
I
tre si spogliarono e andarono a fare il bagno. L’acqua era
fredda
e non proprio pulitissima, ma a Donna andava bene così. A
New
York non era mai andata al mare, dato che non poteva permetterselo, ma
lei avrebbe comunque preferito una spiaggia in cui aveva passato le
estati più belle della sua infanzia a una qualunque spiaggia
americana.
«Ti
ricordi di quando venivi qui da piccola, Donna?» le chiese
zia Audrey.
La ragazza
si
ricordò degli album di fotografie nella sua casa in
Inghilterra,
pieni di foto di lei in spiaggia con i cugini di sua madre, gli unici
più vicini alla sua età.
«Oh,
sì, quando venivamo al mare con i figli di… zio
Marius, giusto?»
«Sì,
esatto! C’era anche Thomas, giusto?»
«No,
non c’ero,» rispose il ragazzo. «Non
compaio in nessuna delle foto.»
«Oh,
allora mi sto
confondendo con i figli di zio…» disse zia Audrey.
«Piuttosto, siete rimasti in contatto? Che fanno adesso?
Dovrebbero avere più o meno la tua età,
Donna…»
«Franny
si è
sposata e ha una figlia, Stephen passa tutto il suo tempo libero in
palestra, e Ivan è a Rosehill a fare il contadino e a
professare
il suo amore incontrastato per i trattori,» rispose Donna.
«O almeno è quello che ho letto su
Facebook…»
«Wow,
siete proprio
cresciuti tutti quanti…» disse zia Audrey.
«E ora tu
sei una hostess per la American SkyLines, una delle più
famose
compagnie aeree americane e Thomas sta per andare a studiare a
Oxford…»
Nessuno dei
due
osò contraddirla. Sapevano entrambi che zia Audrey stava
solo
credendo a una verità che non le era stata negata per
salvare le
apparenze, ma nessuno dei due poté fare a meno di pensare
che
prima o poi il fatto di nascondere la verità avrebbe fatto
soffrire qualcuno.
«Loro
verranno alla festa di nonno?» chiese Thomas.
«No,
non
credo,» rispose zia Audrey. «Nonna Mo e zio Marius
si sono
allontanati, quindi non credo che verrà lui, o zia Jean, o i
loro figli…»
***
«Mo,
stamattina sono arrivati gli scatoloni che devo portare a Villa
Richard,» annunciò il nonno dopo pranzo.
«Vuoi
una mano a portarli?» chiese zia Audrey.
«No,
ho già
chiesto aiuto a Thomas e Dom,» rispose il nonno.
«Così facciamo vedere a Thomas l’altra
casa che ho
costruito.»
Nonno Pete e
zio Dom
caricarono gli scatoloni in questione nel portabagagli della macchina
dello zio. Quando Thomas salì in macchina, fu molto sorpreso
di
trovare Griselda sul sedile posteriore. La donna guardava il cellulare
e non sembrava accorgersi di ciò che accadeva intorno a lei.
Zio Dom
salì al
posto di guida e il nonno si sedette accanto a lui. Thomas
notò
che soltanto lui e il nonno si erano allacciati la cintura di sicurezza
prima di partire: lo zio sembrò essersene dimenticato
totalmente, facendo risuonare l’allarme della macchina per
tutta
la durata del viaggio, mentre l’attenzione di Griselda era
totalmente catturata dal suo cellulare.
Il viaggio
fino a Villa
Richard durò soltanto pochi minuti, ma a Thomas
sembrò
durare un tempo infinito. Non ricordava che lo zio fosse in grado di
guidare così male, prestando più attenzione al
navigatore
che alla strada, superando i limiti di velocità e cercando
una
canzone da riprodurre sul lettore mp3 durante il breve viaggio.
Villa
Richard era una
casa che il nonno aveva costruito da solo qualche anno prima, e
l’aveva intitolata a Richard, il figlio di zia Audrey. Era
una
grande casa di mattoni bianchi circondata da un grande giardino proprio
come Villa Mo.
Zio Dom
parcheggiò
sul vialetto che conduceva all’ingresso, dopodiché
scese
insieme a Thomas e a nonno Pete. Griselda rimase in macchina.
«Che
fai, non vieni?» le chiese zio Dom.
«No,
mi devo riposare,» rispose Griselda. «E poi devo
fare una telefonata.»
Zio Dom
alzò gli
occhi al cielo, poi andò ad aprire il portabagagli e
tirò
fuori gli scatoloni da portare dentro. Diede il più leggero
a
Thomas e lui e il nonno portarono i due più pesanti dentro
casa.
«Ma
a chi deve telefonare?» chiese il nonno a zio Dom.
«Alla
madre,» rispose lo zio. «A chi, se no?»
Villa
Richard non era
ancora finita, perciò nessuno avrebbe potuto ancora
abitarci.
Prima di entrare dal portone principale, Thomas notò una
fila
verticale di mattoni messi in modo che un angolo sporgesse dalla
parete. Ricordò che anche a Villa Mo c’erano file
di
mattoni disposti alla stessa maniera: era il modo che aveva il nonno di
“firmare” le case che costruiva.
I tre
entrarono in casa.
Passato l’ingresso, si ritrovarono nell’ampio
soggiorno.
C’era un grande divano da una parte e un mobile di legno
sulla
parete opposta, che lasciava spazio per un televisore che ancora non
era arrivato, evidentemente. Il nonno guidò il figlio e il
nipote in cucina, dove lasciarono i due scatoloni più
pesanti.
Anche Thomas posò il suo sul pavimento e aiutò il
nonno e
lo zio a riporre piatti e posate nella credenza e nei cassetti della
cucina.
Successivamente,
salirono
al piano di sopra portando lo scatolone più leggero.
C’erano due camere da letto e un bagno. Il nonno
entrò in
una e posò lo scatolone di Thomas sul letto. Lo
aprì,
rivelando che era pieno di lenzuola e coperte.
«Queste
mettile di là,» disse il nonno a zio Dom, dandogli
alcune coperte.
Lo zio
ubbidì e
andò a sistemare il letto dell’altra stanza,
mentre nonno
Pete e Thomas fecero lo stesso nella stanza in cui si trovavano.
Uscendo
dalla casa, i tre
recuperarono gli scatoloni vuoti e li ripiegarono senza romperli, in
modo che potessero utilizzarli di nuovo. Tornarono alla macchina, dove
trovarono Griselda che aveva appena finito di telefonare. Lo zio si
rimise alla guida e tornarono a Villa Mo pregando che la guida
spericolata dello zio non causasse incidenti gravi.
***
Donna era
rimasta sola in
casa. Thomas era uscito con il nonno e lo zio, mentre sua madre era
andata a fare la spesa con zia Audrey. Colse l’occasione per
esplorare la casa e rivivere i ricordi che ne aveva. Una volta arrivata
al piano terra, la sua attenzione venne attirata da una porta a vetri:
Donna non aveva mai visto quella porta aperta. Sapeva che
c’erano
delle stanze al piano inferiore, ma non c’era mai stata. Dato
che
non c’era nessuno in vista, spinta dalla curiosità
scese
le scale per scoprire quali segreti nascondeva il seminterrato.
C’erano
due stanze
con la porta chiusa, sicuramente stanze riservate agli ospiti, una
porta che conduceva al garage e un’altra stanza con la porta
socchiusa. La luce della stanza era accesa, ma nessuno era
all’interno. Lentamente, Donna aprì la porta ed
entrò nella stanza.
C’erano
quadri di
ogni tipo, sia appesi alle pareti che appoggiati a terra. Non
c’era più un angolo che fosse libero dai quadri.
Erano
paesaggi, ritratti, e persino figure astratte. Donna non aveva mai
visto quei quadri in giro per la casa, e si chiese per quale motivo
fossero tenuti ammassati in quella stanza in cui non entrava mai
nessuno.
All’improvviso,
la
sua attenzione venne catturata da un volto familiare, ritratto in un
quadro. Lunghi capelli castani, grandi occhi scuri, un sorriso
dolcissimo e un abito da sposa: sua madre.
«Hai
il suo stesso sorriso,» disse una voce alle spalle di Donna.
La ragazza
si
voltò, e fu sorpresa di trovare sua nonna, con indosso un
grembiule sporco di pittura, intenta a pulire un pennello con un
canovaccio.
«Era
il giorno
più bello della sua vita,» continuò la
nonna.
«Non l’ho mai vista così felice. Sono
state fatte
tante foto quel giorno, ma ho voluto comunque catturare la sua
felicità su una tela. Era così bella, quel
giorno.»
«L’hai
dipinto tu questo?»
«Ho
dipinto tutti i
quadri in questa stanza. Qualcuno più discreto
l’abbiamo
appeso nelle varie stanze e per i corridoi, ma tuo nonno ha voluto
dedicare questa stanza ai miei quadri.»
«Sono
bellissimi… Non sapevo che dipingessi.»
«Ho
frequentato un
istituto d’arte, da ragazza. Ho imparato a dipingere con
varie
tecniche, a modellare vasi e anche a fare i ricami.»
«Mamma
l’ha visto questo?»
«No,
ma è
meglio che non lo veda… È stato un giorno felice,
ma
è anche l’inizio di un matrimonio
finito… Non credo
che le farebbe piacere vedere quel ricordo immortalato per sempre in un
dipinto.»
Donna
tornò a guardare il quadro e immaginò come
avrebbe potuto sentirsi sua madre se l’avesse visto.
«Non
deprimerti,
piccola,» la rassicurò la nonna. «Alcuni
matrimoni
finiscono, altri durano per sempre. Tua madre non è stata
altrettanto fortunata, ma guarda me e tuo nonno: quasi
cinquant’anni insieme e ancora si diverte a criticare la mia
cucina!»
Entrambe
risero. Donna si
rassicurò, pensando che non tutte le storie
d’amore
sarebbero finite come quella dei suoi genitori. E, nonostante tutto,
suo padre era riuscito a trovare la felicità con una nuova
compagna, quindi non sarebbe stato del tutto impossibile essere felici
con qualcuno accanto, pensò Donna.
L'angolo
dell'autrice:
Siamo
ancora all'inizio, ma già i parenti cominciano a fare
riferimenti alle vite perfette che Thomas e Donna fingono di avere.
Riusciranno a mantenere i loro segreti prima che vengano scoperti
inavvertitamente?
Nel frattempo, anche altri parenti stanno mantenendo segreti a loro
volta: nessuno sembra sapere della stanza segreta dei dipinti della
nonna. Chissà quali altri segreti stanno mantenendo gli
altri
personaggi...
Nota a margine: che ci crediate o no, Griselda è ispirata a
una
persona reale. È un personaggio troppo particolare per non
inserirlo in un romanzo, troppo assurda per credere che non se
la
sia inventata qualche folle scrittore durante un trip... E invece...
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
miei profili social!
A
presto!
~Arkytior
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 - Mercoledì ***
Mercoledì
Quando
quella mattina
Donna scese in cucina per la colazione, nonna Mo stava già
cominciando a preparare per il pranzo. Stava armeggiando con diverse
teglie vuote e sui fornelli c’erano almeno un paio di
pentoloni
pieni di sugo. Eliza era accanto a lei e cercava di darle una mano, ma
la nonna non la lasciava avvicinarsi ai fornelli.
«Ma
non poteva
farsi accompagnare?» stava chiedendo la nonna al nonno.
«Ha
due figli, non poteva almeno chiedere ad uno di loro?»
«Danny
è
chissà dove con la compagna a studiare russo e a
interessarsi di
politica russa e complotti internazionali, Fran è impegnata
a
credere negli alieni e riscoprire le sue inesistenti radici di nativa
americana,» spiegò zia Audrey, con un velo di
ironia.
«Siamo
davvero discendenti dei nativi americani?» chiese Thomas.
«Ma
certo che
no!» gli rispose sua madre. «Almeno la mia famiglia
non lo
è… Forse però c’è
qualche primate
nell’albero genealogico di quella
sgualdrina…»
«Credevo
che Eve ti stesse simpatica…» intervenne Donna.
«Infatti,
io mi stavo riferendo a tuo padre,» rispose Eliza.
«Buongiorno,
Donna!» la salutò il nonno.
«Vuoi
una fetta di torta?» le chiese la nonna, offrendole un intero
quarto di torta di mele.
«No,
grazie,
nonna,» rifiutò gentilmente la ragazza.
«Vado a
prendermi un po’ di uova. Che sta succedendo qui?»
«Oggi
arriva zio Charlie, il fratello del nonno,» spiegò
zia Audrey.
«Oh,
non credo di conoscerlo,» disse Donna.
«È
simpatico,» disse Thomas. «Forse un po’
particolare…»
«Non
sa
assolutamente guidare,» disse nonna Mo. «Adora
portare la
macchina, ma è quasi cieco e guida malissimo!»
«Gliel’ho
detto tante volte, ma non vuole darmi ascolto,» disse il
nonno.
«Te
lo dico io, quello ci distrugge il cancello!» riprese la
nonna.
Pochi minuti
dopo, suonò il citofono. Eliza, che aveva già
finito di mangiare, andò ad aprire.
«Elizabeth,
bella!» si sentì gridare dall’altra
parte.
«Ciao,
zio!» rispose Eliza, sempre composta. «Ti apro
subito!»
Eliza
premette il
pulsante per far aprire il cancello automatico. Insieme a nonno Pete e
zia Audrey si diresse in giardino per accogliere lo zio. Donna e
Thomas, incuriositi, li seguirono.
Il cancello
si
aprì lentamente. Fuori, una vecchia Fiat scassata stava
cercando
di fare manovra per entrare dal cancello. Dalla porta della casa, si
potevano udire chiaramente i rumori dei freni e della frizione, che
indicavano che molto probabilmente lo zio non era stato dal meccanico
di recente. La macchina arrancò ancora per un po’,
dopodiché, in retromarcia, si fece strada sul vialetto di
Villa
Mo. Zio Charlie non sembrava molto attento a ciò che lo
circondava, e un rumore metallico fece intendere che aveva colpito il
cancello con la fiancata della macchina. Seguì un rumore
fastidioso come di unghie sulla lavagna: il nonno scosse la testa
sconsolato, dato che zio Charlie stava entrando troppo vicino al
cancello, che gli stava rigando interamente lo sportello della
macchina. Una volta passato il cancello, lo zio percorse il vialetto in
retromarcia, andando leggermente a zig-zag, e parcheggiò la
macchina di fronte a quella di zia Audrey, lasciando soltanto pochi
millimetri tra i due veicoli. Zio Charlie tirò rumorosamente
il
freno a mano e scese dalla macchina per salutare i suoi parenti.
«Ciao,
Pete!» disse, allegro. «Quanta bella gente che hai
a casa!»
Zio Charlie
era un ometto
basso e grassoccio. Aveva la testa grossa e squadrata, e in testa aveva
ancora parecchi capelli ricci e neri, dato che era di qualche anno
più giovane di nonno Pete. Indossava una camicia e un
completo
di giacca e pantaloni, e camminava verso l’entrata della casa
con
un’andatura lenta tipica degli anziani.
«Ciao,
Charlie,» lo salutò il nonno. «Quante
volte ti ho detto di avvisare prima di arrivare?»
«Eh,
ho avuto da fare,» rispose lo zio.
«Ma
non potevi farti accompagnare da qualcuno, o prendere un
taxi?»
«Perché
dovrei chiedere un passaggio a qualcun altro se la mia macchina ancora
funziona?»
Lo zio
indicò la
sua vecchia Fiat, che sembrava quasi cadere a pezzi da quanto la guida
maldestra dello zio l’aveva provata.
«Quando
dovevi fare la revisione dal meccanico?» chiese nonno Pete.
«Non
mi
ricordo…» rispose zio Charlie. «Forse la
settimana
scorsa, o a dicembre, oppure un paio di anni fa… Sai, il
tempo
passa…»
Lo zio
sembrò notare soltanto allora gli altri parenti.
«Elizabeth,
come stai?» la salutò zio Charlie, con un volume
della voce più alto del normale.
«Bene,
zio,» rispose Eliza, sempre composta. «Ti trovo
bene.»
«Audrey,
bellissima!» salutò allegramente lo zio, passando
alla nipote successiva.
«Ciao,
zio!» rispose zia Audrey, con un tono altrettanto allegro.
«E
qui chi
abbiamo?» chiese lo zio, avvicinandosi a Donna e Thomas. Zio
Charlie non vedeva più tanto bene, perciò
aggrottò
la fronte per vederci meglio.
«Zio,
non ti ricordi di Thomas e Donna, i miei figli?» disse Eliza.
«Ah,
sì, dove sono i tuoi bambini?» chiese lo zio.
«Siamo
noi, zio,» disse Thomas. «Siamo
cresciuti.»
«Ah,
è vero!» disse zio Charlie, come stupito dalla
notizia. «Come siete diventati grandi!»
«Ciao,
zio!» lo salutò Donna.
«Donna,
tu ormai
sei proprio una bella signorina!» le disse zio Charlie.
«E
il fidanzatino, l’hai trovato?»
«In
questo momento non c’è nessun fidanzatino,
zio,» rispose Donna.
«Ah,
che peccato!
Una bella ragazza come te…» disse lo zio.
«E tu
Thomas, la fidanzatina ce l’hai?»
«No,
zio,» rispose Thomas.
«Ah,
questi giovani di oggi…» disse zio Charlie.
«Dai,
Charlie, vieni dentro, così saluti Mo,» lo
invitò nonno Pete.
Tutti quanti
rientrarono in casa e raggiunsero la nonna in cucina.
«Maureen,
bella,
come stai?» esordì zio Charlie, gridando talmente
forte
che la nonna quasi fece cadere un’intera teglia di lasagne
che
stava per infilare in forno. Anche Black, che sonnecchiava sotto il
tavolo, si spaventò e cominciò ad abbaiare.
«Charlie,
sei
sempre il solito!» disse la nonna, ricomponendosi e infilando
la
teglia in forno. «Spero che tu non abbia divelto il cancello,
stavolta!»
«No,
si è solo rigato una fiancata della macchina!»
rispose nonno Pete, entrando in cucina.
«Pete,
vai a controllare che il cancello non abbia subito altri danni, per
favore!» gli ordinò nonna Mo.
Il nonno
uscì, e lo zio rimase con la nonna e i vari nipoti e
pronipoti.
«Ho
preparato la
tua stanza nel seminterrato,» disse nonna Mo allo zio.
«È la stanza che usi di solito, dovresti sapere la
strada.»
«Sì,
sì, vado a prendere la valigia e poi vado in
camera!»
disse zio Charlie, prima di uscire dalla stanza.
«Vado
a controllare
che non mi distrugga la macchina aprendo il portabagagli!»
disse
zia Audrey, uscendo a sua volta.
***
Quella sera,
a cena,
nonna Mo cucinò un delizioso arrosto di anatra, con contorno
di
patate fritte e al forno, insalata e carote bollite. La sala da pranzo
era piena di gente, una situazione a cui i nonni non erano abituati, ma
a loro faceva piacere avere la casa piena di ospiti. Di solito le
grandi riunioni famigliari erano molto rumorose perché tutti
erano sempre impegnati a parlare tra di loro, ma in
quell’occasione nessuno stava parlando molto: era un buon
segno,
che indicava che la cucina della nonna era talmente buona che non
c’era tempo di parlare tra un boccone e l’altro.
«Zio
Dom è
uscito con Griselda,» disse Thomas a Donna, che si stava
guardando intorno cercando di capire dove fosse lo zio.
«Seriamente,
non so
come facciano a uscire a cena insieme,» disse zia Audrey.
«Lei non mangia niente! Prima o poi Dom ingrasserà
come un
porcellino a forza di uscire a cena con quella!»
«Che
strano…» disse Donna. «Di solito in
tutti i pranzi
di famiglia c’è sempre casino perché
tutti quanti
parlano…»
«È
perché sei abituata alla famiglia di tuo padre,
Donna,»
rispose Eliza. «Sono loro quelli che fanno più
casino di
tutti: Edith, Lucy, Xander…»
«È
risaputo che i britannici sono più tranquilli degli
americani,» disse Thomas.
«Anche
questo è vero,» concordò Donna.
Dopo la
cena, mentre
tutti si stavano rilassando dopo la deliziosa crostata di nonna Mo,
suonò il citofono. Il nonno, che era il più
vicino
all’apparecchio, andò ad aprire il cancello.
«Chi
è?» chiese zia Audrey al nonno.
«È
Ian, ha portato il gelato!» disse il nonno, andando ad
accogliere il nuovo ospite.
«Chi?»
chiese Donna a Thomas, sottovoce per evitare di fare una brutta figura.
«Non
ho idea di chi
sia,» rispose Thomas. «Credo sia una specie di
cugino di
nonna, un prozio lontano…»
Pochi
istanti dopo, il
nonno rientrò, accompagnato dallo sconosciuto che doveva
essere
Ian. Era un uomo anziano, con lunghi capelli bianchi che portava legati
in un codino unticcio. Aveva una camicia a quadri con un paio di
bottoni lasciati aperti sul petto, che lasciavano intravvedere un
cespuglio di peli grigi. Indossava jeans logori e scarponcini marroni,
e in mano aveva una busta bianca con il gelato che aveva portato.
«Non
ci sarò alla festa di domenica, perciò ho portato
il gelato stasera!» disse Ian.
Andò
in cucina con
la nonna e il nonno, per dividere il gelato in porzioni per tutti. Dopo
qualche minuto, i tre tornarono in sala da pranzo e iniziarono a
distribuire le coppette a tutti.
«In
realtà
nemmeno io ho idea di con chi sia imparentato Ian,»
confessò zia Audrey. «Da quello che ho capito,
è un
cugino della nonna che abita a Rosehill, e nella vita fa il
camionista.»
«Fantastico,»
disse Thomas. «A ogni riunione di famiglia appare qualche
parente dal nulla!»
«Puoi
dirlo
forte,» disse Donna. «Io non torno qui da quando
avevo
dodici anni: non conosco più nessuno!»
Finito il
gelato, Donna e Thomas uscirono sulla veranda per rilassarsi e prendere
un po’ d’aria fresca.
«Che
ne dici se
andiamo in paese?» propose Donna. «Prendiamo in
prestito la
macchina di mamma: è l’unica che non è
bloccata dal
parcheggio speciale di zio Charlie!»
Thomas rise
alla battuta
della sorella e andò ad aspettarla vicino alla macchina,
mentre
lei rientrava brevemente per chiedere il permesso alla madre e prendere
le chiavi.
Dopo
solamente cinque
minuti, i due arrivarono al lungomare di Juliet Springs. Donna fu
abbastanza fortunata da trovare un parcheggio gratuito vicino alla
spiaggia, perciò i due scesero e dopo averla chiusa a chiave
iniziarono a camminare. Si stava bene, la sera era calda e
c’era
una leggera brezza che rinfrescava l’aria. La camminata li
avrebbe anche aiutati a digerire la cena abbondante che aveva cucinato
nonna Mo e il gelato portato da Ian.
«Papà
vuole
sapere se va tutto bene,» disse Donna, leggendo il messaggio
che
le era appena arrivato sul cellulare.
«Sì,
va tutto alla grande!» disse Thomas.
Donna
rispose al messaggio del padre, per rassicurarlo.
«È
iperprotettivo con te?» chiese Thomas.
«Qualche
volta,» rispose la ragazza. «Specie quando sa che
sono
troppo distante da lui… Se sono a New York non è
un
problema, ma adesso sono in un altro continente!»
«E
si preoccuperebbe così anche per me?»
«No,
tu sei un
ragazzo, per te è diverso… Io sono la sua piccola
figlioletta adorata, e lui deve proteggermi dai pericoli del
mondo!»
«E
questo non ti fa piacere?»
«A
volte è stressante, a dire la verità. Con te
mamma non si comporta nello stesso modo?»
«Sì,
ogni tanto. È protettiva quanto basta.»
«Perché
sa che sei un bravo ragazzo. Con me sarebbe molto
diversa…»
«Come
mai?»
«Perché
tu
sei un genio e io sono un’incapace. Tu hai il massimo dei
voti in
tutte le materie e io non ho nemmeno finito le superiori.»
Thomas
ripensò al
fatto che sapeva che avrebbe dovuto ripetere gli esami finali. Avrebbe
tanto voluto dirlo a Donna, in quel momento, ma non voleva demolire
l’idea che lei aveva di lui.
«Beh,
ma anche tu
hai dei meriti,» disse a Donna. «Hai un buon
lavoro, vivi
nella città più figa del mondo, sei completamente
indipendente! Mamma dovrebbe essere orgogliosa di te!»
Anche Donna
avrebbe
voluto rivelare a Thomas che aveva perso quel lavoro tre anni prima, e
ora faticava a trovare i soldi per pagare l’affitto del suo
appartamento, ma non poteva. Era troppo bello vedere che suo fratello
aveva una così alta stima di lei, e non voleva deluderlo.
Tirò fuori una sigaretta dal pacchetto che teneva in tasca e
se
l’accese.
«Scusa
per il fumo, Tommy,» disse Donna.
«Tranquilla,
per me non è un problema.»
«Invece
è un problema perché avevo smesso e poi ho
ricominciato.»
«Perché?»
«Stress…
Non so perché, ma sono sempre stressata,
ultimamente…»
Thomas non
osò
chiedere altro sull’argomento. Non voleva invadere troppo la
privacy della sorella che aveva appena ritrovato dopo anni di
separazione. Donna ne fu felice: non avrebbe dovuto inventare altre
scuse per nascondere il fatto che tra le ragioni che
l’avevano
spinta a ricominciare a fumare c’era proprio quella riunione
famigliare.
I due
continuarono a
camminare, finché non arrivarono ad un belvedere che dava
sulla
spiaggia. Era una piazzetta semicircolare piena di panchine su cui ci
si poteva sedere per contemplare il mare. Donna e Thomas scelsero una
panchina libera e si sedettero. Davanti a loro la spiaggia era
totalmente vuota, il mare era calmo ma ogni tanto si potevano vedere
alcune piccole onde infrangersi sulla riva, e l’orizzonte era
praticamente inesistente, dato che il colore del cielo notturno si
confondeva con quello del mare. Dopo qualche minuto passato a guardare
quel panorama, Donna prese Thomas per mano e lo condusse verso la
spiaggia.
«Vieni,
ti faccio vedere una cosa!» gli disse.
Scesero dei
gradini al
lato della piazzetta, che conducevano direttamente sulla spiaggia.
Thomas indossava delle scarpe di tela, che si riempirono immediatamente
di sabbia, mentre Donna aveva dei sandali. La ragazza condusse il
fratello verso il mare, il più lontano possibile dalle luci
dei
lampioni della strada. Una volta trovato un punto sufficientemente al
buio, si fermò.
«Cosa
vuoi farmi vedere?» chiese Thomas.
«Guarda
in alto!» gli disse Donna.
Il ragazzo
obbedì,
e si sorprese di quante stelle riuscisse a vedere in quel punto. Si
ricordò di quando, da piccoli, i loro genitori li portavano
al
mare, d’estate, e il loro padre cercava di insegnare alla
loro
madre a riconoscere le stelle.
«Quello
là
dovrebbe essere il Grande Carro,» disse Donna, indicando un
gruppo di stelle. «Prendi la distanza tra le ultime due
stelle
del carro, ripetila per cinque volte e troverai la Stella Polare e il
Piccolo Carro.»
Thomas fece
come gli
aveva indicato la sorella, e fu sorpreso di constatare che alcune cose
le ricordava ancora, nonostante lui fosse stato molto piccolo, e
fossero passati parecchi anni da allora.
«Lassù
c’è la croce del Cigno, invece,»
continuò
Donna, indicando un gruppo di stelle quasi perpendicolare a loro.
«E Deneb è la stella principale, quella
più
brillante.»
Thomas
guardò in
quella direzione, e gli fu facile individuare la costellazione,
caratterizzata dal gruppo di stelle disposte a formare una croce.
«E
quella stella
più luminosa proprio sopra di noi è Vega, nella
costellazione della Lira,» continuò a spiegare
Donna,
indicando Vega.
«È
la stella verso cui il sistema solare sta viaggiando,»
ricordò Thomas.
«Esatto.
E, se fai
attenzione, proprio sopra di noi puoi vedere una fascia di cielo
più chiara rispetto al resto.»
«La
Via Lattea!»
Donna
annuì.
«E quella costellazione lì, a forma di W? Te la
ricordi?» chiese, indicando una costellazione abbastanza alta
sull’orizzonte.
«Lo
Scorpione?»
«No,
quella
è Cassiopea. Credo sia ancora troppo presto per vedere lo
Scorpione, la costellazione di Antares.»
«E
quella stella grande lì, invece?»
«Se
non ricordo
male, quello dovrebbe essere Giove: brilla di luce riflessa dal Sole,
non di luce propria come le altre stelle.»
«Come
fai a ricordarti tutte queste cose?»
«Vedo
papà
molto più spesso di te, e quando ha perso definitivamente le
speranze di insegnare queste cose a mamma, ha cominciato a insegnarle a
me e Eve.»
«Andate
in vacanza insieme, quindi? Tu, papà e Eve?»
«Sì,
a
volte, se capita l’occasione. E Eve non è come
mamma la
dipinge: è molto carina e affettuosa.»
«Oh,
ma mamma ce
l’ha con papà, mica con Eve. Lo sa che Eve
è una
brava ragazza. Il suo unico difetto è stato quello di
innamorarsi di papà, almeno secondo ciò che dice
sempre
mamma…»
Donna rise.
«Questa famiglia è un teatrino continuo,
Tommy…»
I due
tornarono sulla strada, si scrollarono la sabbia dalle scarpe e
andarono a riprendere la macchina, diretti a casa.
L'angolo
dell'autrice:
Assieme
a zia Audrey, zio Charlie è un personaggio che i miei Beta
Readers hanno adorato alla follia. Se pensate che sia ispirato a Mr.
Magoo, mi spiace deludervi, ma è in realtà
ispirato al
vero fratello di mio nonno, quasi cieco ma adora guidare la macchina
(anche se è un pericolo per la strada). Spero che anche a
voi
sia piaciuto!
La
scena in spiaggia sotto le stelle è il risultato di tutte le
estati che mio padre ha passato a insegnare a mia madre (e anche a me e
alle mie sorelle) la posizione delle stelle più importanti.
Ciao, papà, anche se non stai leggendo sappi che ho preso
appunti!
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 - Giovedì ***
Giovedì
Il
giorno successivo, zio Dom propose a Thomas e Donna di andare a fare
una passeggiata a Shilling. I due accettarono, dato che era da
parecchio che Thomas non ci andava e Donna non ricordava di esserci mai
stata.
Anche
Griselda, la
ragazza di zio Dom, decise di unirsi alla gita. Quel giorno indossava
pantaloni neri che si allargavano sulle caviglie, scarpe da ginnastica
slacciate e un’altra maglia larga dalle fantasie sgargianti.
Portava anche una borsetta decorata con ghirigori colorati, da cui non
si separava mai. Donna e Thomas la trovarono fuori dalla macchina di
zio Dom, che guardava il cellulare come al solito.
«Salite
in macchina, ragazzi!» li invitò lo zio.
Griselda
fece per aprire
lo sportello posteriore, ma Thomas la precedette. Con un certo
disappunto, Griselda si vide costretta ad occupare il sedile anteriore.
Thomas e Donna occupavano il sedile posteriore, e lo zio guidava.
Thomas era
già
stato in macchina con zio Dom, ma Donna no. Era abituata alla guida
precisa e cauta di Eliza, che anche lei cercava di imitare per quanto
possibile, perciò fu presa alla sprovvista quando
constatò che lo stile di guida di zio Dom era molto simile
allo
stile di zio Charlie: guidava completamente senza cintura di sicurezza,
e l’allarme che suonava sia a causa sua che a causa di
Griselda
veniva coperto dalla musica della radio sparata a tutto volume
nell’abitacolo; zio Dom non sembrava rispettare affatto i
limiti
di velocità, e Donna poté udire chiaramente
diverse volte
il rumore della frizione che grattava tra una marcia e
l’altra.
Dopo qualche
chilometro
in cui sia Donna che Thomas poterono giurare di aver visto tutta la
loro vita scorrere davanti ai loro occhi, zio Dom
parcheggiò, e
tutti scesero dalla macchina, tranne Griselda.
«No,
io non vengo,» disse Griselda.
«C’è troppo da camminare.»
«Ma
che ci sei venuta a fare qui, allora?» le chiese zio Dom.
«Non
lo so, mi andava di uscire, ma adesso sono stanca,» riprese
Griselda.
Zio Dom
scosse la testa,
mentre riaccese brevemente la macchina per abbassare i finestrini.
Chiuse di nuovo la macchina e si allontanò con i nipoti
verso il
centro del paese.
I tre
andarono verso un punto panoramico da cui si poteva vedere il piccolo
lago che bagnava le rive di Shilling.
«Siamo
mai venuti qui da piccoli?» chiese Donna.
«Sì,
mi sa
che vi ci ho portato io,» disse zio Dom. «O magari
erano i
figli di zio Marius? Avete la stessa età,
credo…»
«Non
so, credo di essere già stato qui…»
disse Thomas.
«Quella
è la
vecchia casa di vostra nonna, comunque,» disse zio Dom,
indicando
un edificio grigio che dava sulla piazza alle loro spalle.
«È cresciuta lì da piccola, con tutti i
suoi
fratelli e sorelle, e durante l’estate andavano tutti a
Juliet
Springs. Pensa, era la nonna a fare da babysitter a tutti i suoi
fratelli e sorelle, quando sua madre era impegnata.»
Thomas e
Donna si
scambiarono uno sguardo d’intesa. Ricordarono di quando, da
piccoli, era Donna a passare la maggior parte del tempo con Thomas,
mentre i loro genitori non facevano altro che litigare. Donna
ripensò all’idea di nonna Mo che faceva tutto
ciò
che aveva fatto lei, ma con i suoi fratelli minori, Lizzie, Francis,
Esther e Marius, e un ricordo vivido le tornò in mente.
La
mamma e il papà stavano litigando di nuovo. Le loro urla
avevano
svegliato Thomas, che iniziò subito a piangere, spaventato
da
quei rumori forti. Sua sorella, che dormiva nella stanza di fronte, lo
sentì piangere. Donna uscì dalla sua stanza ed
entrò in quella del fratellino, chiudendo la porta alle sue
spalle per smorzare le urla almeno un po’. La stanza era
completamente al buio, fatta eccezione per la luce del corridoio che
filtrava dalla porta chiusa. Si avvicinò al letto di suo
fratello, che aveva poco più di sei mesi, e lo
osservò:
piangeva e si dimenava, perché non sopportava le urla dei
suoi
genitori. Donna allungò un braccio e lo accarezzò
dolcemente, nel tentativo di calmarlo, ma Thomas continuò ad
urlare. Donna, allora, abbassò la sbarra del lettino, come
aveva
visto fare a sua madre un sacco di volte, e si sedette nel lettino
accanto a suo fratello. Lo prese in braccio delicatamente, facendo
attenzione a tenergli la testa sollevata, e iniziò a
cullarlo
lentamente. Pensò che una ninna nanna sarebbe stata
l’ideale per farlo addormentare, perciò decise di
cantargli una canzone che aveva sentito in un cartone animato qualche
giorno prima:
Come stop
your crying
It will be
alright
Just take my
hand
And hold it
tight
I will
protect you
From all
around you
I will be
here
Don’t
you cry
Mentre
lei cantava e lo cullava, Thomas sembrò calmarsi. Lo
accarezzò teneramente e osservò attentamente
tutti i
dettagli del suo corpicino: i capelli scuri, le orecchie minuscole, i
due piccoli incisivi bianchi che spuntavano a malapena dalla gengiva
inferiore, le braccia e le gambe esili, le manine strette a pugno, e i
grandi occhi scuri che ora erano pieni di lacrime. Con una mano, Thomas
strinse forte una ciocca dei capelli della sorella e la
tirò. A
Donna sembrò incredibile che un bambino così
piccolo e
apparentemente indifeso potesse essere in realtà
così
forte.
For one so
small,
You seem so
strong
My arms will
hold you,
Keep you
safe and warm
This bond
between us
Can’t
be broken
I will be
here
Don’t
you cry
Alla
nascita di suo fratello, Donna non si era affatto sentita usurpata,
come tanti fratelli maggiori: anzi, si era sentita importante,
perché sapeva che avrebbe dovuto essere un esempio da
imitare.
Era un compito impegnativo, che richiedeva una grande
responsabilità.
Purtroppo,
però, a causa dei continui litigi dei suoi genitori, le
responsabilità erano aumentate: non era più
soltanto un
esempio da seguire per Thomas, ma ora ricopriva anche il ruolo di
protezione e conforto in una situazione difficile. Lei era sempre
lì per lui ogni volta che sentiva i suoi genitori litigare e
urlarsi insulti a vicenda, a calmarlo e consolarlo ogni volta che
piangeva. Non sapeva quanto ancora sarebbe durata quella situazione:
sapeva soltanto che ci sarebbe sempre stata per il suo fratellino.
Don’t
listen to them
‘Cause
what do they know
We need each
other, to have, to hold
They’ll
see in time, I know
When destiny
calls you, you must be strong
I may not be
with you
But you got
to hold on
They’ll
see in time, I know
We’ll
show them together
«Non
ascoltare le loro urla,» sussurrò a Thomas.
«Solo
perché loro non si amano più a vicenda, non vuol
dire che
non amano più nemmeno noi. Sappi che io ti vorrò
sempre
bene. Ci sarò sempre per te, anche se a volte saremo
lontani.
Devi essere forte. Tu sei forte, più forte di quanto
immagini.»
Le
sue parole sembravano avere un effetto calmante su Thomas. Aveva smesso
di piangere e di agitarsi, e ora la guardava con i suoi grandi occhi
scuri spalancati e concentrati sul viso di sua sorella maggiore. Donna
gli sorrise, e lui ricambiò il sorriso, mostrandole i due
minuscoli incisivi inferiori. Donna riprese a cantare:
‘Cause
you’ll be in my heart
Yes,
you’ll be in my heart
From this
day on
Now and
forever more
You’ll
be in my heart
No matter
what they say
You’ll
be here in my heart
Always
Always
I’ll be with you
I’ll
be there for you always
Always and
always
Just look
over your shoulder
I’ll
be there
Always
Non
era una ninna nanna, era solamente la prima canzone che le era venuta
in mente, eppure riuscì a far addormentare Thomas. Il volume
delle urla dei loro genitori era diminuito, e la discussione sembrava
ormai volgere al termine. Donna, continuando a cullare il fratellino,
lo adagiò delicatamente sul materasso, gli posò
la testa
sul cuscino, gli mise accanto il suo orsacchiotto preferito e lo
coprì con la copertina. Lo baciò sulla fronte,
facendo
attenzione a non svegliarlo di nuovo, e scese dal lettino. Rimise a
posto la sbarra del letto, cercando di fare meno rumore possibile, e si
allontanò in punta di piedi verso la porta. Prima di uscire
e
tornare nella sua stanza, guardò il suo fratellino
addormentato
e ripensò alla canzone che gli aveva appena cantato. Donna
decise che quella sarebbe stata la loro canzone: sarebbe stata la ninna
nanna che gli avrebbe cantato ogni volta che non fosse riuscito a
dormire, per tranquillizzarlo, oppure per ricordargli che gli voleva un
mondo di bene.
Donna
sorrise, ripensando a quel ricordo particolare. Thomas lo
notò.
«A
cosa stai pensando?» chiese Thomas.
«Alla
nostra canzone,» rispose Donna, continuando a sorridere
teneramente. «Te la ricordi?»
Thomas aveva
un ricordo
parecchio confuso di quella prima volta in cui Donna gli aveva cantato
per farlo addormentare, ma ricordava benissimo tutte le altre volte
successive in cui avevano cantato insieme prima di andare a dormire.
«You’ll Be In My Heart,»
ricordò il ragazzo.
«Mi
manca cantartela ogni sera,» disse Donna.
I due si
avvicinarono, e Donna posò la testa sulla spalla di Thomas.
«Ok
ragazzi, chi
vuole un gelato?» propose zio Dom, riportando i due fratelli
alla
realtà. «Lo porterei anche a Griselda, ma a lei
non
piacciono i gusti che ha questa gelateria.»
***
Quella sera
Donna e
Thomas non si fermarono per la cena. Erano diretti ad una festa in
spiaggia, in cui avrebbero potuto passare il tempo con gente della loro
età e avrebbero potuto prendersi una pausa da quella immensa
riunione di famiglia.
Ripresero la
macchina di
Eliza e scesero in paese. Donna trovò un parcheggio un
po’
lontano dalla spiaggia, ma non fu un problema per lei e per Thomas
camminare un po’ di più per raggiungere la festa.
La musica si
sentiva
già in lontananza, ma non era troppo forte per non
disturbare
eccessivamente gli abitanti delle case che davano sulla spiaggia.
C’erano anche luci colorate, festoni, un DJ e tanti tavoli
pieni
di cibo e bevande gratis. L’entrata era libera,
perciò i
due non ebbero problemi ad unirsi ai festeggiamenti.
Sia Donna
che Thomas
presero una bevanda analcolica da un tavolo vicino
all’entrata e
si fecero largo tra la gente che ballava.
«Tu
conosci qualcuno qui?» chiese Donna a Thomas.
«Non
lo so, sono sempre venuto qui d’estate.»
Eppure, due
ragazze poco distanti sembrarono riconoscere Donna, e si avvicinarono a
lei.
«Non
è possibile,» disse una di loro. «Tu sei
Donna Warren?»
«Sì,
perché?» rispose timidamente la ragazza.
«Non
ti ricordi?» continuò la sconosciuta.
«Andavamo a scuola insieme, alle elementari!»
«Vicki?»
chiese Donna, cercando di ricordare. «E Mel?»
Le due
ragazze annuirono contemporaneamente.
«Che
fine hai fatto?» chiese Mel. «Non ti abbiamo
più vista qui intorno…»
«Sono
andata a vivere negli Stati Uniti,» spiegò Donna.
«Wow,
che figata!» disse Vicki. «E
com’è là?»
«Bello,»
disse Donna. «Tutto molto più
costoso…»
Vicki e Mel
risero.
«E
adesso cosa fai?» le chiese Mel. «Non ci vediamo
dai tempi della scuola, dobbiamo aggiornarci.»
«Faccio
la
hostess,» mentì Donna, cercando di sembrare il
più
convincente possibile. «Lavoro per la American SkyLines, una
delle più importanti compagnie del mondo.»
«Wow,
sono felice per te!» disse Mel.
«Dev’essere
proprio bello viaggiare in continuazione!» disse Vicki.
«E
qual è la tua destinazione preferita?»
«Beh,
proprio non
saprei…» disse Donna. «Non ho mai
tantissimo tempo
per visitare i luoghi in cui vado, ma quando posso riesco a fare una
visita veloce. Sono stata parecchie volte in vari paesi europei, e
persino in Australia!»
«Davvero?»
disse Mel. «E com’è
l’Australia?»
«Beh,
più o
meno come la immaginate… Piena di canguri, di
koala…
L’unica pecca e che a noi tocca fare controlli extra, ci sono
procedure speciali per i viaggi in Australia, un sacco di documenti in
più…»
«Oh,
capisco…» disse Vicki. «Fa parte del
lavoro.»
«E
voi, invece, che fate, ragazze?» chiese Donna.
«Sto
studiando per diventare dentista,» disse Vicki.
«E
io sono appena stata assunta da un’agenzia di
modelle,» aggiunse Mel.
«Wow,
sono felice per voi!» disse Donna.
«Anche
noi siamo
felici per te,» disse Vicki. «Chi
l’avrebbe mai detto
che Donna Warren sarebbe finita a lavorare per una delle compagnie
aeree più prestigiose del mondo?»
«Già,
a dire
la verità non me lo sarei aspettato neanche
io…»
Donna abbassò lo sguardo, portandosi una mano dietro la nuca.
«E
il tuo amico chi è?» chiese Mel.
«Mio
fratello
Thomas,» lo presentò Donna. «Thomas,
loro sono Vicki
e Mel, andavo con loro alle elementari.»
«Piacere
di conoscervi, ragazze!» disse Thomas.
«Quindi
tu hai sempre i biglietti aerei scontati,» disse Vicki a
Donna.
«Beh,
sì, in qualche modo…» Donna
provò a improvvisare una risposta convincente.
«Sarebbe
bello
avere a disposizione biglietti scontati per andare a
Parigi…» disse Mel. «Immagina, andare a
fare
shopping nei migliori negozi di moda francesi…»
«Oppure
andare a
fare lunghe passeggiate sulle alpi austriache,» aggiunse
Vicki.
«Sicuramente non perderai occasione di vedere un posto nuovo
ogni
volta che hai del tempo libero!»
«Dipende,
se ho
tempo posso andare a fare un breve viaggio da qualche
parte…» disse Donna. «Adesso avevo
qualche giorno
libero e sono venuta qui per stare con i miei parenti.»
«Ehi,
se mai
dovessi avere dei biglietti in più e avessi bisogno di una
compagna di viaggio, non esitare a chiamarmi!» disse Vicki.
«Vale
anche per me,» aggiunse Mel.
«Potete
contarci!» Donna abbozzò un sorriso, ben sapendo
che,
avendo ormai perso il privilegio di quei biglietti scontati da tre
anni, non sarebbe mai accaduto.
La festa
andò
avanti senza particolari avvenimenti. Donna ballò con le
amiche
che aveva appena ritrovato, mentre Thomas preferì restare in
disparte e guardare la sorella divertirsi. Thomas era sempre stato un
po’ timido, mentre Donna era più estroversa e
intraprendente. Per lui era sempre stato difficile conoscere gente e
farsi degli amici, e aveva sempre ammirato la straordinaria
capacità della sorella di sentirsi a suo agio circondata da
così tanti sconosciuti.
Verso
mezzanotte, poi, la
festa finì e tutti tornarono a casa. Quando Donna e Thomas
tornarono a Villa Mo, furono sorpresi di trovare alcune luci ancora
accese in casa. Non erano sicuri di chi fosse ancora sveglio, ma appena
rientrati poterono udire chiaramente la voce di zia Audrey al telefono.
«Come
sarebbe a
dire che non vieni?» stava dicendo. «È
anche il
compleanno di tuo nonno, lui ti vorrebbe tanto alla sua
festa…
Non costringermi a tornare a Cardiff per prenderti di peso e portarti
qui, Dickie! Avrai anche diciott’anni, ma finché
vivrai
sotto il mio tetto obbedirai alle mie regole, signorino!»
Facendo
più
silenzio possibile per non disturbarla, i due salirono le scale fino al
piano di sopra e alla stanza dello zio Dom. La luce era spenta e non si
sentiva alcun rumore, chiaro indicatore che lo zio non doveva essere in
casa. Tuttavia, Donna accese la torcia del cellulare per farsi luce e
guidò suo fratello fino alle loro camere.
Una volta
indossato il pigiama, Donna andò in camera di Thomas.
«Con
chi ce l’ha zia Audrey?» chiese Donna.
«Con
il figlio,
Richard detto Dick, o Dickie, come lo chiama lei. Ha la mia
età
ed è ancora in fase di ribellione adolescenziale.
È da
mesi che litigano ininterrottamente, almeno da quanto dice
mamma.»
«Perché?
Qual è il problema?»
«Beh,
sei stata
adolescente anche tu. Sai, quel periodo in cui odi i tuoi genitori,
vuoi che ti diano più indipendenza, ma poi litigate in
continuazione perché non avete le stesse
opinioni…»
«Ma
poi quel periodo è finito! Non dovrebbe finire verso i
diciott’anni, o qualcosa del genere?»
«Sì,
ma non
so esattamente cosa stia succedendo con Dick… Zia Audrey
chiama
mamma quasi ogni giorno per chiederle consigli su come comportarsi con
lui, ma non sembra che la situazione stia migliorando.»
«Tu
hai mai incontrato Dick?»
«Sì,
ci
siamo visti un paio di volte, sempre d’estate. Era un
po’
come me: il genio della classe, aveva sempre le risposte a qualsiasi
domanda, si interessava di politica e attualità…
A volte
mi faceva spavento!»
«E
poi è diventato un cretino?»
«Tu
ci scherzi, ma
è esattamente così che è andata. Ci
scrivevamo
spesso, ma a un certo punto ha smesso ed è scomparso. Ha
cominciato a litigare con zia Audrey, a passare sempre più
tempo
con suo padre, a frequentare gente strana… Non so davvero se
i
nonni sarebbero felici di averlo di nuovo qui!»
«Zia
Audrey vuole che venga alla festa,
però…»
«Zia
Audrey
è ottimista, vede sempre il buono nelle persone, e non vuole
vedere il suo unico figlio lasciarsi andare in questo modo. Ci tiene a
lui, anche se ultimamente ha preso a comportarsi in questo
modo.»
«Mi
piacerebbe
averlo conosciuto prima che diventasse un cretino, allora. Sembra una
persona interessante, da come lo descrivi.»
«Sì,
ti
sarebbe piaciuto molto… Anche se molto probabilmente non
avresti
capito niente di ciò che diceva!»
«Già,
ho anche io quest’impressione!»
Da
quando i suoi genitori si erano separati, Thomas aveva passato spesso
le vacanze estive a Juliet Springs, con sua madre e i nonni. Era ancora
strano per lui trascorrere l’estate senza sua sorella, ma
sapeva
che ora aveva trovato lavoro a New York ed era felice là.
Sua
madre gli aveva detto che quell’anno zia Audrey era riuscita
ad
ottenere una settimana di vacanze in più, e che sarebbe
venuta a
stare anche lei a Juliet Springs insieme a suo figlio Richard. Sia
Donna che Thomas sapevano della sua esistenza, ma non
l’avevano
mai incontrato di persona: Thomas sapeva soltanto che Richard aveva un
paio di mesi più di lui, e che siccome zia Audrey
condivideva la
sua custodia con il marito da cui si era separata da qualche anno, di
solito Richard rimaneva con suo padre durante il mese di vacanza che la
zia trascorreva a Juliet Springs. Stavolta, in via del tutto
eccezionale, Richard avrebbe trascorso una settimana di vacanza con la
madre a casa dei nonni materni.
Eliza
scese dalla macchina per andare a citofonare e subito Black, come se
avesse percepito la sua presenza, corse verso il cancello abbaiando
felice. Il cancello automatico si aprì, ed Eliza
portò la
macchina all’interno e parcheggiò al lato del
vialetto.
Black continuò ad abbaiare saltellando intorno alla
macchina,
mentre Eliza e Thomas scendevano. I nonni erano usciti sulla veranda
per accoglierli, insieme a zia Audrey e a un ragazzo che Thomas non
aveva mai visto prima. Era alto più o meno come lui, aveva i
capelli neri molto corti e gli occhiali, e teneva un cagnolino al
guinzaglio.
«Ciao,
Eliza!» disse zia Audrey, esuberante come sempre.
«Ciao, Tommy!»
«Ciao,
mamma, ciao, papà, ciao, Audrey.» Eliza
ricambiò il saluto, elegante e distaccata come sempre.
«Hai
visto chi sono riuscita a portare quest’estate?»
riprese la
zia, mettendo una mano sulla spalla di suo figlio. Il ragazzo non
sembrò gradire quel gesto, e si sistemò gli
occhiali sul
naso.
«Tu
devi essere Richard,» disse Eliza, avvicinandosi a lui.
«Ciao,
zia Eliza,» la salutò timidamente Richard. Il
cagnolino
che teneva al guinzaglio si avvicinò a lei e la
annusò
per qualche istante.
«E
la mia bambina non me l’hai portata?» chiese zia
Audrey.
«Donna
lavora a New York adesso,» rispose Eliza.
«L’hanno
assunta come hostess alla American SkyLines.»
«E
va bene, mi accontenterò!» riprese la zia.
«Ti aiuto
a sistemare le valigie, mentre i bambini fanno conoscenza?»
I
nonni rientrarono in casa, mentre zia Audrey aiutava la sorella a
portare dentro le valigie. Thomas e Richard si ritrovarono da soli
sulla veranda, in evidente imbarazzo.
«Ciao,»
abbozzò Thomas.
«Ciao,»
rispose Richard, abbassando lo sguardo e fissando il suo cane che aveva
iniziato a fare le feste al cugino.
«Il
cane è tuo?»
«Sì,
si chiama Brat, e me l’ha regalata mamma.»
«È
piuttosto vivace.»
«Le
ho messo il guinzaglio perché non sapevo se ti desse
fastidio. Se vuoi la lascio libera.»
«Sì,
tranquillo, per me non è un problema.»
Richard
sganciò il guinzaglio dal collare di Brat e la cagnetta
corse
subito via verso il prato per andare a giocare con Black.
«Tu
hai animali domestici?» chiese Richard.
«No,
mai avuti.»
«Mamma
mi ha regalato Brat per tenermi compagnia. Tu hai tua sorella almeno,
ma io sono figlio unico.»
«Beh,
effettivamente adesso è come se fossi anch’io
figlio
unico, dato che Donna vive a New York…»
«Sei
mai andato a trovarla?» Richard andò a sedersi sul
divanetto di vimini che si trovava sulla veranda, e Thomas
occupò invece la sedia di plastica che si trovava di fronte.
«No,
non ancora. Mamma ha detto che quando avrò diciotto anni
potrò andarci. È già quasi un anno che
non la
vedo…»
«Ti
piace la scuola?»
«Sì,
mi è sempre piaciuto imparare cose nuove. Prendo sempre voti
alti perché non ho grandi difficoltà nello
studio.»
«Anche
a me piace. Qual è la tua materia preferita?»
«Inglese.
Da grande mi piacerebbe fare lo scrittore. E a te che materia
piace?»
«Educazione
civica.»
Era
l’ultima risposta che Thomas si sarebbe mai aspettato. Non
aveva
mai conosciuto nessuno a cui piacesse davvero quella materia, e anche
lui dovette ammettere che, nonostante i suoi ottimi voti, a volte
faticava a capire gli argomenti che studiava.
«Lo
so, non è una materia che piace a tutti,» disse
Richard.
«Ma da grande vorrei entrare in politica.»
«Wow,
è una gran bella ambizione!»
«Già,
è molto importante capire come funziona
l’organizzazione
del nostro Paese. Ed è interessante cercare di capire le
differenze tra tutte le varie ideologie politiche, e studiare in che
modo ognuna di loro ha contribuito a creare le leggi del mondo in cui
viviamo.»
«Beh,
sì, senza dubbio.»
«Sai,
non vedo l’ora di compiere diciotto anni per poter votare.
È dovere civico di ognuno esprimere le proprie opinioni
politiche, e io non vedo l’ora di poter scegliere di essere
governato da qualcuno che rappresenti davvero le mie idee. Penso che il
partito conservatore farebbe un lavoro eccellente nella gestione dei
rapporti internazionali…»
«Va
bene, futuro Primo Ministro,» li interruppe improvvisamente
zia
Audrey. «C’è tuo padre al telefono.
Perché
non vai a salutarlo?»
Richard
prese il cellulare che sua madre gli stava porgendo e si
allontanò per parlare con suo padre. Thomas rimase solo per
qualche istante e si ritrovò a riflettere sulle sue prime
impressioni di quel cugino che aveva appena conosciuto. Come lui,
Richard sembrava molto più maturo rispetto alla sua
età
anagrafica, e sembrava avere interessi totalmente diversi dai loro
coetanei. Thomas dovette ammettere che anche lui faceva fatica a
comprendere i discorsi di Richard, tuttavia pensava che presto avrebbe
cominciato ad andare molto d’accordo con quel cugino
appassionato
di studio tanto quanto lui.
L'angolo
dell'autrice:
Avevo
già pubblicato una parte di questo capitolo come short story
partecipante a un contest, con il titolo "Io ci sarò sempre,
per
te". In questa versione, l'ho integrata come flashback. Non trovate
anche voi che sia una scena veramente adorabile?
Griselda continua ad essere un peso morto, altri personaggi secondari
sembrano credere alle bugie sulla vita perfetta di Donna, e zia Audrey
sembra piuttosto preoccupata per suo figlio. Arriverà presto
qualche nuova complicazione che minaccia di rovinare irrimediabilmente
la festa del nonno?
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
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A
presto!
~Arkytior
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 - Venerdì ***
Venerdì
Il
giorno successivo, al
risveglio, Donna e Thomas ricevettero una notizia che sconvolse
completamente l’ambiente della casa: il cugino Dick sarebbe
arrivato quel giorno.
«Ma
perché deve venire soltanto per litigare ancora?»
stava dicendo nonna Mo, tra sé e sé.
«E
per che ora dovrebbe arrivare?» chiese Eliza a sua sorella.
«Non
lo so, non mi ha fatto sapere niente!» rispose zia Audrey.
«Non
promette bene,» disse Thomas a Donna.
«Già,
speriamo non succeda niente di brutto…»
concordò lei.
Qualche ora
dopo, nel
corso della mattinata, suonò il citofono. Zia Audrey
andò
ad aprire, già sapendo che si trattava di suo figlio. Thomas
e
Donna, incuriositi, cercarono di avvicinarsi il più
possibile
per vedere che tipo era questo loro misterioso cugino.
Zia Audrey
aprì il
portone e si precipitò fuori per verificare che suo figlio
fosse
abbastanza presentabile da poter incontrare i suoi nonni. Scese le
scale della veranda, ma non appena il cancello entrò nel suo
campo visivo, si bloccò improvvisamente.
Il cancello
si era aperto
e cinque persone erano entrate. Thomas riconobbe subito suo cugino
Dick, perché era l’unico che portava gli occhiali.
Aveva
tagliato i capelli più corti e indossava pantaloni neri e
una
giacca di pelle. Insieme a lui c’era un altro ragazzo vestito
di
nero, con una cresta da punk, e un ragazzo in tuta, che aveva tutta
l’aria di chi era stato buttato giù dal letto
quella
mattina. Infine, con loro c’era una ragazza con i capelli
cortissimi, quasi rasati a zero, tutta vestita di pelle e borchie e
truccata con pesanti linee di eyeliner nero e rossetto marrone scuro,
che teneva per mano un bambino sui sette anni con la pelle scura e i
tratti somatici vagamente arabi.
«Ciao,
ma’!» salutò Dick, ignorando
completamente la
reazione della madre. «Ho portato anche i miei amici. Spero
che
ai nonni non dispiaccia.»
Zia Audrey
squadrò
da capo a piedi i bizzarri amici che Dick aveva portato. Senza dire una
parola, rientrò in casa per parlare di quella situazione ai
suoi
genitori e prepararli allo shock che avrebbero potuto avere se avessero
visto il loro nipote in quelle condizioni e accompagnato a quel tipo di
gente. Thomas e Donna restarono qualche secondo in più per
guardare da lontano le persone che erano appena entrate in giardino,
per farsi un’idea del loro cugino e per capire bene cosa ci
trovasse in quella gente.
Il pranzo
non fu un
problema, perché nonna Mo abbondava sempre con le
quantità di cibo. Zio Dom era uscito e non c’era
nemmeno
Griselda, perciò in sala da pranzo erano rimasti dei posti
liberi. Dick e i suoi amici si sedettero tutti vicini tra di loro, ma
anche pericolosamente vicini ai nonni.
Zia Audrey
continuava a
lanciare delle occhiate di fuoco al figlio, come per farlo sentire in
colpa di essere venuto lì, mentre il resto dei commensali
cercava di fare conversazione con i nuovi arrivati.
«Allora,
Dickie, te la sei fatta la fidanzatina?» chiese zio Charlie.
«No,
zio,» rispose Dick, freddo.
«E
allora, adesso che fai? Devi finire la scuola?» riprese lo
zio.
«Esatto,
sono all’ultimo anno,» rispose Dick.
«E
questi sono i tuoi amici di scuola?»
«No,
fanno parte di un centro sociale che frequento nel tempo
libero.»
Le occhiate
di tutti
erano puntate sugli amici che Dick aveva portato. Era palese che il
ragazzo con la cresta avesse una storia con la ragazza con i capelli
rasati, ma chiaramente il bambino dalla pelle scura non era suo. Il
ragazzo in tuta, invece, non faceva altro che ingurgitare cibo, come se
fosse stato a digiuno per mesi.
«E
tu, invece, di cosa ti occupi?» chiese nonno Pete al ragazzo
in tuta.
«Costruzioni,»
rispose il ragazzo, ancora con la bocca piena.
«L’altro
giorno ho costruito una scala.»
«Oh,
davvero?» disse il nonno, sorpreso di aver trovato un
argomento
di conversazione con un ragazzo così tanto più
giovane di
lui. «Io da giovane facevo il muratore. Sai, esiste tutta una
tecnica precisa per fare le scale. Non è semplice da
imparare,
ma una volta che ci prendi la mano…»
«Ma
io ho solo
buttato lì del cemento e poi l’ho colpito con un
piede di
porco…» riprese il ragazzo, interrompendo la
spiegazione
del nonno.
Avendo
capito che tipo
era il ragazzo che aveva di fronte, il nonno abbandonò la
conversazione e riprese a mangiare in silenzio, scambiando qualche
parola solo con i suoi parenti.
Dopo pranzo,
Thomas
aiutò la nonna e la madre a portare in cucina le stoviglie
sporche e gli avanzi del pasto. Donna uscì sulla veranda a
fumare una sigaretta, e poco lontano da lei poteva vedere Dick e i suoi
amici parlare e ridere insieme, mentre fumavano ciò che solo
da
molto lontano poteva sembrare sigarette. Donna non conosceva Dick se
non per ciò che le aveva raccontato Thomas. Se davvero era
stato
un ragazzo così brillante, quasi alla pari di suo fratello,
come
aveva fatto a ridursi in quel modo? Forse voleva mandare un messaggio
al mondo, forse voleva attirare semplicemente l’attenzione su
di
sé, o forse in realtà era solo stupido. Donna
provò pena per quel ragazzo: forse avrà avuto la
sua
buona dose di problemi personali, ma li stava risolvendo nella maniera
più sbagliata. Chissà se prima o poi avrebbe
ritrovato la
ragione e sarebbe tornato sui suoi passi, pensò la ragazza.
***
Dick e i
suoi amici non
si fecero vedere per tutto il pomeriggio. Nemmeno zia Audrey ricevette
notizie, ed era visibilmente preoccupata per il figlio. Ricomparvero
brevemente verso l’ora di cena, quando Dick
annunciò
semplicemente alla madre:
«I
miei amici ed io andiamo a casa mia.»
Si riferiva
ovviamente a
Villa Richard, che gli era stata costruita dal nonno, ma non
pensò minimamente a chiedere il permesso alla madre o al
nonno
prima di portare sconosciuti in una casa che non era stata ancora
nemmeno totalmente ammobiliata.
Zia Audrey
rimase in
pensiero tutta la serata, controllando ossessivamente il cellulare
sperando in una qualche notizia da Dick, ma non ricevette nessun
messaggio.
«Sembro
Griselda, non è vero?» chiese zia Audrey a Donna e
Thomas, che la guardavano.
«No,
hai ragione a preoccuparti per Dick,» la rassicurò
Thomas.
«Vedrai
che sta benissimo,» le disse Eliza, cercando di sembrare il
più ottimista possibile.
Zia Audrey
cercò
di pensare positivamente, ma non riusciva a togliersi dalla testa il
brutto presentimento che qualcosa di brutto sarebbe accaduto a suo
figlio.
«No,
non ce la faccio,» disse, alzandosi da tavola.
«Papà, andiamo a Villa Richard!»
Nonno Pete
la seguì fuori dalla sala da pranzo e, insieme, presero la
macchina di zia Audrey e andarono a Villa Richard.
L'angolo
dell'autrice:
Il
cugino Dick entra in scena, ed è completamente diverso dal
bravo
ragazzo che compariva nel flashback dello scorso capitolo, tanto che ha
pure cambiato il nome con cui si fa chiamare. Cosa starà
succedendo a Villa Richard? Cosa troveranno il nonno e zia Audrey?
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
miei profili social!
A
presto!
~Arkytior
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 - Sabato ***
Sabato
Nonna
Mo rimase sveglia fino a notte inoltrata, aspettando il ritorno del
marito e della figlia. Sopraffatta dalla stanchezza, però,
dato
che ormai era molto tardi andò a dormire.
Nonno Pete e
zia Audrey
tornarono la mattina seguente, molto presto, e avevano tutta
l’aria di chi non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Zia
Audrey in particolare aveva un’espressione terribilmente
abbattuta: non sembrava allegra ed energica come al solito. Quando
quella mattina scesero a fare colazione, Eliza, nonna Mo, Thomas e
Donna accorsero da zia Audrey per capire cosa fosse successo di tanto
terribile.
«Sono
andati via,» disse zia Audrey. La sua voce era ridotta a un
sussurro.
«Tutti
quanti?» chiese Eliza. «Anche Dick?»
Zia Audrey
annuì. «Dopo quello che è successo
stanotte, sono tornati a Cardiff.»
«Cos’è
successo, tesoro?» le chiese nonna Mo.
Nonno Pete
lasciò la stanza, per dare spazio a zia Audrey di
riprendersi.
«Si
sono
ubriacati,» spiegò zia Audrey.
«Papà ed io
abbiamo trovato tantissime bottiglie… Alcune erano piene,
alcune
mezze piene, alcune rotte… Crediamo che abbiano
litigato.»
«Non
sapete cos’è successo esattamente?»
chiese Eliza.
Zia Audrey
scosse la
testa. «Abbiamo parcheggiato fuori da Villa Richard e
dall’interno sentivamo ridere e gridare. Poi ad un certo
punto le
urla si sono fatte più forti, e abbiamo sentito rumori di
vetri
rotti e oggetti che cadevano. Pensavamo fosse successo qualcosa di
grave, perciò papà è entrato e io sono
rimasta in
macchina. Li ho sentiti litigare e gridare per svariati minuti,
finché poi non sono usciti inseguiti da papà che
gli
urlava di non farsi rivedere mai più. Dick mi ha mandato un
messaggio stamattina dicendomi che hanno passato la notte in spiaggia e
poi hanno preso il primo treno per Cardiff.»
«Ma
è terribile,» disse Donna.
«Non
so
perché abbia cominciato a comportarsi
così…»
disse zia Audrey, che ormai non riusciva più a trattenere le
lacrime. «Forse c’entra qualcosa il fatto che ha
cominciato
a passare più tempo con suo padre… Io non so
più
cosa gli passa per la testa a quel ragazzo!»
Eliza e la
nonna rimasero
a consolare zia Audrey. Thomas decise di andare in camera sua, mentre
Donna uscì sulla veranda a fumare. Sul divanetto di vimini
trovò il nonno, intento a fumare la pipa.
«Cosa
combini, Donna?» le chiese il nonno, in tono volutamente
scherzoso.
«Giuro
che è tabacco!» si difese la ragazza.
«Tranquilla,
lo so che tu sei una brava ragazza, in fondo.»
Il nonno
invitò Donna a sedersi vicino a lui sul divanetto.
«Come
sta zia Audrey?» chiese nonno Pete.
«Distrutta.
Ancora
non riesce a credere a quello che è successo ieri sera, e
ora
non sa più cosa fare per tenere sotto controllo suo
figlio.»
Il nonno
annuì, come se avesse già saputo la risposta alla
sua stessa domanda.
«Va
così da
parecchi mesi, purtroppo,» spiegò il nonno.
«Dickie
ha cominciato a riallacciare i rapporti con suo padre, Robert, ed
è diventato praticamente l’opposto di
ciò che era
prima. Audrey sapeva che Robert era una pessima influenza per il
figlio, perciò ha tentato di tenerli quanto più
lontani
possibile, ma ora Dickie ha diciott’anni, è un
uomo, come
ha detto lui, e ora si sente in grado di fare le sue scelte. Peccato
che ancora non sia in grado di capire quali scelte siano giuste e quali
sbagliate, per lui!»
Il nonno
aspirò
una boccata di fumo dalla pipa e contemplò il giardino che
aveva
di fronte, nel tentativo di mettere ordine ai pensieri.
«Pensi
che sarebbe potuta andare così anche a noi?»
chiese Donna. «A me e Thomas?»
«Oh,
no,» le
disse il nonno, mettendole affettuosamente la mano sulla spalla.
«Tu e Tommy siete diversi. Eliza ed Eric sono due bravi
genitori,
anche se la loro storia non era destinata a continuare. Vi hanno
educati nel migliore dei modi, e vi hanno sempre insegnato ad essere
onesti, con loro e tra di voi. So che non avreste mai intenzione di
dare un dispiacere così grande ai vostri genitori, solo per
farli sentire in colpa.»
Donna
abbozzò un
sorriso per le belle parole del nonno, tuttavia non riuscì
ad
apprezzarle totalmente dato che sapeva di star mentendo spudoratamente
a tutta la sua famiglia. Non era totalmente onesta con i suoi parenti
in quel momento, è vero, ma così facendo stava
evitando
loro un grande dispiacere.
***
Per far
riprendere il
nonno e zia Audrey dalla brutta nottata, nonna Mo decise di preparare
una deliziosa cenetta per tutta la famiglia. Thomas e Donna volevano
aiutare, ma la nonna disse che non c’era bisogno del loro
aiuto,
perciò decisero di andare a passare il pomeriggio in
spiaggia.
Donna prese in prestito la macchina della madre e andò col
fratello a occupare l’ombrellone che zia Audrey aveva
prenotato
per tutta la stagione.
Era una
bella giornata e
l’acqua del mare era pulita, nonostante fosse pomeriggio,
perciò decisero anche di andare a fare il bagno.
«Tu
cosa pensi di tutta questa situazione?» chiese Thomas a
Donna, entrando in acqua.
«Povera
zia
Audrey… Non si aspettava che suo figlio fosse capace di fare
una
cosa del genere. E soltanto due giorni prima della festa di nonno,
poi!»
«Nessuno
si
aspettava una cosa del genere da Dick. Te l’ho detto:
soltanto
due anni fa era una persona completamente diversa!»
«Tu
conosci zio Robert?»
«No,
ma ne ho
sentito parlare da mamma e da nonna: zia Audrey non ne parla mai tanto
volentieri. Ho sentito che lui voleva avere il completo controllo della
vita di zia Audrey, e non le lasciava mai fare ciò che
voleva.
Doveva anche essere un uomo violento, stando a quello che mi
è
stato raccontato.»
«Ma
poi si sono separati e Dick è rimasto solo con zia Audrey,
giusto?»
Thomas
annuì.
«Zia era finalmente al sicuro ed è stata capace di
crescere suo figlio come voleva lei: Dick era bravo a scuola, con
tantissimi amici e si interessava parecchio di politica e
attualità. Zia Audrey ha detto che avrebbe tanto voluto
vederlo
diventare Primo Ministro, un giorno! E ci sarebbe anche riuscito, se
non si fosse lasciato influenzare così tanto da suo padre
negli
ultimi tempi…»
«È
stato zio Robert a ridurre Dick così?»
«Dick
ha sempre
avuto una personalità parecchio volubile: si lasciava
influenzare facilmente da tutto ciò che lo circondava. A
quanto
pare, zio Robert è una persona molto carismatica, e ha fatto
cambiare idea a Dick su parecchie cose: ora non ha più
rispetto
per sua madre o per la famiglia di sua madre. Hai visto anche tu che
non ha rivolto mezza parola né a me né a
te!»
«Si
crede un uomo fatto e finito soltanto perché ora ha
diciott’anni…»
«Credimi,
non è così che funziona.»
Una volta
usciti
dall’acqua, Donna e Thomas tornarono alle sdraio dove avevano
lasciato le loro cose, per asciugarsi. Vennero raggiunti da una ragazza
con i capelli rossi, che correva verso di loro.
«Donna!»
disse la ragazza. «Finalmente ti ho trovata!»
«Karen!»
la riconobbe Donna. «Cosa ci fai qui?»
«Che
domande! Sono venuta a trovarti!»
«Tommy,
lei è Karen, una mia ex… una mia
collega,» la presentò Donna al fratello.
«Piacere
di conoscerti,» le disse Thomas.
«Avevo
qualche
giorno libero, così ho pensato di passare a
salutarti,»
spiegò Karen. «Come vanno le cose qui?»
«Tutto
a meraviglia,» mentì Donna.
«Oh,»
disse Karen. «La festa è domani, giusto?»
«Esatto,»
confermò Thomas.
«Puoi
venire anche tu, se vuoi,» le disse Donna.
«Oh,
no, è una festa di famiglia,» disse Karen.
«Io sarei solo d’intralcio…»
«Ma
no, non credo
che si faranno problemi se porto un’amica,» disse
Donna.
«E poi, mia nonna cucina sempre tanto…»
Karen non
sapeva se
accettare o meno. Stava aiutando Donna a mantenere il suo segreto, ma
non sapeva se avrebbe peggiorato le cose accettando di partecipare alla
grande riunione famigliare. Donna, però, pensava che la
presenza
di Karen sarebbe stata più d’aiuto,
perché avrebbe
reso la sua bugia molto più credibile.
«Va
bene,
verrò alla festa,» disse Karen alla fine.
«Non vedo
l’ora di scoprire se tutto ciò che mi hai
raccontato sulla
tua famiglia sia vero oppure no…»
***
Karen aveva
prenotato una
stanza in un albergo in riva al mare, perciò non
andò a
Villa Mo per la cena. Donna e Thomas tornarono in tempo per farsi una
doccia e cambiarsi. Quando scesero per cenare, videro che zio Dom e il
nonno sembravano essere appena tornati a casa.
«Siamo
stati a
sistemare Villa Richard,» spiegò lo zio.
«Dick e i
suoi amici avevano lasciato un casino…»
«Letti
disfatti,
cassetti della cucina buttati a terra, posate scomparse, pentole
bruciate, piatti rotti…» cominciò a
dire il nonno.
«Pavimenti
sporchi,
lampadine rotte, cocci di bottiglie ovunque…»
continuò lo zio. «Meno male che ancora non era
arrivato il
televisore, o avrebbero rotto anche quello!»
«Accidenti!»
disse Thomas. «Cos’è successo quella
sera?»
«Non
siamo sicuri
di volerlo sapere,» rispose zio Dom. «Ci basta
già
aver ripulito tutto quel casino…»
Insieme
andarono in sala da pranzo, dove la nonna aveva già
cominciato a preparare i piatti.
«Cos’hai
cucinato di buono, nonna?» chiese Donna.
«Coniglio,»
rispose nonna Mo. «Con patate e carote al forno.»
«Coniglio?»
chiese zio Dom. «Ma Griselda non mangia il
coniglio.»
Nonna Mo
guardò la teglia in cui aveva disposto con cura i pezzi di
coniglio, adagiandoli su un letto di patate e carote.
«Dille
che è pollo,» disse la nonna a zio Dom.
«Tanto non la capisce la differenza.»
Donna e
Thomas
soffocarono una risata, quando videro con la coda dell’occhio
Griselda scendere le scale guardando il suo cellulare come al solito.
L'angolo
dell'autrice:
La
vicenda del cugino Dick sembra essersi risolta per il meglio. Tuttavia,
questo è stato uno spunto per Thomas e Donna per chiedersi
se
stessero facendo la cosa giusta, e se dopotutto non stessero anche loro
causando in qualche modo un dispiacere alla loro famiglia.
Prima d'ora non avevo mai inserito personaggi fumatori in una delle mie
storie. Men che meno personaggi che fumavano "qualcosa che soltanto da
lontano poteva sembrare tabacco", come nello scorso capitolo.
Fun fact: mia nonna era solita cucinare coniglio e raccontare a
"Griselda" che in realtà era pollo. Da lì il
nostro inside joke di
famiglia sul "coniglio con le ali".
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esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
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A
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~Arkytior
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 - Domenica ***
Domenica
La grande
festa stava per
iniziare. Nonna Mo aveva passato tutta la mattinata a cucinare
ininterrottamente i piatti preferiti del nonno, e adesso che era quasi
ora di pranzo gli ospiti cominciavano ad arrivare. La sala da pranzo
era stata sgombrata, erano state portate altre sedie dal garage ed
erano stati disposti diversi tavoli lungo le pareti, apparecchiati con
piatti e posate di plastica, in modo che ogni ospite potesse servirsi
con le pietanze che preferiva.
Donna si
guardò
allo specchio. Aveva indossato un vestito con grandi fiori arancioni e
orecchini a cerchio, ma non poteva fare a meno di notare che le radici
dei suoi capelli stavano pian piano tornando scure. Forse non era stata
una grande idea tingersi i capelli così male e di fretta, ma
ormai era troppo tardi per cambiarli. Ora avrebbe dovuto affrontare la
sfida finale, la festa che aveva tanto temuto, e mentire ai suoi
parenti per l’ultima volta. Finita la festa, sarebbe tornata
in
America e avrebbe trovato un nuovo lavoro più dignitoso, e
allora forse sarebbe stata in grado di dire la verità e
ammettere che non era più una hostess. Guardò
Squishy,
adagiato sul letto, per darsi coraggio. Abbozzò un sorriso e
uscì dalla sua stanza.
Anche Thomas
si stava
preparando per la festa. Aveva indossato una camicia azzurra e dei
jeans scuri, ed era determinato a fare una bella impressione con tutti
i parenti. Da sempre lui era il genio della famiglia, che aveva
imparato a leggere a soli quattro anni, e a sei già era in
grado
di ripetere svariate fiabe a memoria. Aveva sempre avuto il massimo dei
voti in tutte le materie, e nonna Mo gli aveva sempre dato soldi per
ogni bel voto che portava a casa. Non poteva proprio deludere tutti
quanti e rivelare che in realtà non aveva passato gli esami
finali! Sua madre aveva già immaginato il suo futuro: lo
vedeva
già laureato a Oxford con il massimo dei voti, ma Thomas
sapeva
che non sarebbe mai successo. Si sforzò di sorridere per
continuare la sua messinscena e scese in sala da pranzo con gli altri.
Villa Mo non
era mai
stata così piena di gente. C’erano anche parecchie
persone
che Donna e Thomas non avevano mai visto: da come interagivano con i
nonni e gli zii, dedussero che si trattava di amici e vecchi vicini che
abitavano al centro di Juliet Springs, a Rosehill o Shilling. Il
citofono del cancello continuava a suonare e, a turno, Eliza, zia
Audrey e zio Dom andavano ad aprire, accompagnati da Black e Brat che
abbaiavano ai nuovi arrivati e cercavano di uscire dal giardino.
«Wow,
nonna ha fatto le sue lasagne speciali!» disse Thomas,
indicando una teglia.
«Perché?
Che hanno di speciale?» chiese Donna.
«Dentro
c’è qualsiasi cosa,» rispose Thomas,
porgendo un
piatto a Donna e prendendone un altro per sé.
«Ogni volta
che nonna prepara le lasagne, giochiamo sempre a indovinare cosa ci ha
messo dentro.»
«Pasta,
sugo di pomodoro, mozzarella…» disse Donna,
assaggiandone un angolo.
«…prosciutto,
salsiccia, uova, piselli, parmigiano…»
continuò
Thomas. «E credo che nemmeno lei sappia cosa ci ha messo
davvero!»
Donna rise,
continuando a
mangiare le lasagne della nonna. Guardò gli altri tavoli, e
vide
che c’era abbastanza cibo da sfamare un intero esercito.
Probabilmente gli avanzi sarebbero bastati per le due settimane
successive.
«Oh,
Donna, sei qui!» disse una voce alle sue spalle, che la
ragazza riconobbe come quella di Karen.
«Che
succede, Karen?» le chiese Donna.
«La
situazione sembra ancora sotto controllo, se stai mangiando
tranquillamente,» rispose Karen.
«Perché?»
chiese Donna, preoccupata.
Karen si
guardò
intorno per assicurarsi di non aver inavvertitamente attirato
l’attenzione di qualcuno. Tirò fuori il cellulare
e
aprì Facebook.
«Non
credo che tu
corra rischi perché qui l’età media
è
più o meno un’ottantina d’anni, ma
questa la devi
proprio vedere,» disse Karen, digitando qualcosa nella barra
di
ricerca.
«E
questa com’è finita lì?»
chiese Donna, smettendo di mangiare.
Sulla pagina
Facebook del
night club dove Donna aveva fatto la spogliarellista fino a qualche
tempo prima, qualcuno aveva caricato una sua foto in alta definizione,
in cui il suo viso si vedeva perfettamente. Non era eccessivamente
volgare, ma si trattava lo stesso di Donna, con i capelli scuri e un
bikini di paillettes, che ballava attaccata a un palo.
«Nascondila
prima che qualcuno la veda!» disse Donna a Karen.
L’amica
non se lo
fece ripetere due volte: chiuse l’applicazione e fece
scivolare
di nuovo il telefono nella sua borsetta.
«Credi
che qualcuno
potrebbe trovarla?» chiese Donna, posando il piatto con
l’avanzo di lasagna su un angolo di tavolo libero.
«Non
credo,»
disse Karen, incamminandosi con l’amica verso
l’esterno
della casa. «Dovrebbe conoscere il nome del night club,
sapere
che ha una pagina Facebook e capire che Britney sei tu. A meno che
qualcuno non abbia reso quel post
un’inserzione…»
«Una…
cosa?»
«Ma
sì,
un’inserzione! Uno di quei post che vengono mostrati in
automatico a tutti i potenziali utenti interessati a quel genere di
cose! Ma qui mi sembra piuttosto un ospizio di campagna: nessun
partecipante a questa festa sembra interessato a night club di qualche
tipo… O anche solo ad avere un profilo
Facebook…»
Lo sguardo
di Donna prese
a vagare per il giardino, mentre la ragazza si sforzava di
metabolizzare quelle nuove informazioni. Una figura nei pressi del
cancello attirò la sua attenzione, e le ci volle qualche
istante
prima di realizzare chi fosse.
«Oh,
no…» disse Donna, guardando fisso verso il
cancello.
***
Nel
frattempo, Eliza
stava elogiando Thomas di fronte a dei vecchi vicini dei nonni che
abitavano in paese. Thomas li ricordava vagamente: tutto ciò
che
gli veniva in mente era che a volte la nonna gli faceva visitare la
casa della signora Doris, che abitava di fronte alla casa di zio
Marius, per vedere le sue tartarughe nuotare nell’acquario.
«E
Thomas come va a scuola adesso?» stava chiedendo la signora
Doris.
«È
sempre il
piccolo genio di casa,» si stava vantando Eliza.
«Ha sempre
il massimo dei voti in tutte le materie, e il prossimo anno
andrà a Oxford!»
Sua madre
sembrava
così fiera di lui, e Thomas non voleva rovinarle tutto
rivelandole che in realtà non sarebbe riuscito ad andarci.
Forse
glielo avrebbe detto con calma dopo la festa… Parecchio
dopo… Forse sarebbe riuscito a trovare una soluzione ancor
prima
di essere costretto a dirglielo…
I suoi
pensieri furono
interrotti dal suono del citofono: altri ospiti erano arrivati. Eliza
si scusò con la signora Doris e andò ad aprire il
cancello. Dopo aver chiesto chi fosse al citofono, la sua espressione
cambiò improvvisamente, e Thomas la vide precipitarsi fuori
dalla casa di corsa. Non appena si voltò verso il cancello,
Thomas vide sua madre assumere la stessa espressione di quando, due
giorni prima, zia Audrey aveva visto Dick e i suoi amici. Thomas
seguì sua madre e notò che anche Donna e la sua
amica
Karen erano rimaste impalate davanti al cancello, sorprese
dall’arrivo del nuovo ospite. Thomas non lo vedeva da
parecchi
anni, ma il suo aspetto non era cambiato dall’ultima volta
che
l’aveva visto, se non per qualche leggera ruga in
più:
capelli marrone scuro che sembravano quasi neri, occhi azzurri e
brillanti proprio come quelli di Donna, e una mascella squadrata che lo
rendeva inconfondibilmente americano.
«Ciao,
Eliza! Ciao, ragazzi!» salutò Eric Warren.
***
Controvoglia,
Eliza
aprì comunque il cancello. Era certa che la presenza del suo
ex
marito non fosse per niente gradita ai suoi genitori, e che sarebbe
riuscito a rovinare la festa di suo padre. Tuttavia, non se la sentiva
di sembrare inospitale proprio in un’occasione come quella.
Si
sforzò di sembrare gentile a tutti i costi, ma la sua
espressione alterata e i movimenti bruschi la tradivano.
Donna e
Thomas rimasero
senza parole. Non si aspettavano che il loro padre sarebbe venuto alla
festa, specialmente dopo che la loro madre aveva detto loro di
averglielo esplicitamente vietato. Ora avrebbero dovuto mentire ad
un’altra persona importante nelle loro vite. Donna si era
trasferita in America con suo padre quando Eliza e Eric si erano
separati, ma erano anni ormai che viveva a New York, mentre suo padre
continuava a vivere in New Jersey. Non si vedevano molto spesso,
perciò nemmeno suo padre sapeva che aveva perso il lavoro
tre
anni prima.
Black e Brat
abbaiarono a
Eric, dato che per loro era un completo sconosciuto, ma lui non
sembrò curarsene. Percorse il vialetto con passo sicuro,
sotto
gli sguardi sbalorditi di Donna, Thomas e Karen, mentre Eliza chiudeva
il cancello alle sue spalle, cercando un modo di mandarlo via prima che
potesse rovinare la festa.
L’uomo
entrò
in casa, e tutti i presenti si voltarono a guardarlo. Anche zia Audrey
e zio Dom lo videro, e rimasero senza parole. Eliza aveva detto che non
sarebbe venuto, perciò la sua presenza era stata una
sorpresa
per tutti.
«Cosa
sei venuto a
fare qui?» chiese Eliza al suo ex marito, afferrandolo per un
braccio per impedirgli di proseguire oltre.
«Sono
venuto a fare
gli auguri al mio ex suocero, mi pare ovvio,» rispose Eric,
con
naturalezza. «È pur sempre il nonno dei miei
figli, e non
ho mai avuto problemi con lui. Anzi, credo pure di essergli stato
simpatico.»
«Ti
avevo detto di non venire,» ribatté Eliza,
cercando comunque di rimanere composta.
«Sì,
me lo ricordo,» disse Eric. «Ma questo non vuol
dire che io sia obbligato a darti ascolto.»
Eric si
diresse verso la
cucina, per andare a salutare gli ex suoceri, ma li incontrò
nel
corridoio tra la sala da pranzo e la cucina.
«Augurissimi,
caro Peter!» disse Eric. «Maureen, ti trovo
bene!»
«Grazie
mille, Eric!» disse nonna Mo. «Vieni a mangiare
qualcosa!»
«Grazie,
Eric!» disse il nonno. «Eliza non ci ha detto che
saresti venuto!»
«Ho
pensato di
farle una sorpresa,» disse Eric. «A proposito,
Eliza, sono
passato a casa tua e ho visto che era arrivata della posta,
così
te l’ho portata!»
Eric
estrasse delle buste
dalla tasca interna della giacca e le diede a Eliza, che le
guardò senza dire una parola. Thomas cercò di
sbirciare
il mittente, sperando con tutto il cuore che non fossero lettere
inviate dalla sua scuola, ma venne distratto.
«Maureen,
questa
pasta è veramente squisita!» disse Eric,
assaggiando un
piatto di fettuccine al sugo. «Sei l’unica persona
che
conosco che sa fare un sugo all’anatra così
buono!»
«Sono
felice che ti piaccia!» disse nonna Mo. «Pete ha
detto che mancava il sale.»
«Ho
solo detto che sarebbe stato migliore con un po’ di sale in
più,» si difese il nonno.
Donna e
Thomas
continuavano a guardare ciò che succedeva incapaci di
reagire o
intervenire in qualche modo. Non si aspettavano che il loro padre
avrebbe deciso di presentarsi comunque alla festa a cui non era stato
invitato, e non sapevano come il resto dei parenti avrebbe reagito alla
sua presenza. La loro madre era evidentemente arrabbiata, delusa e
sconvolta, ma non poteva darlo a vedere: non voleva essere una causa di
disagio per i propri genitori, specialmente durante una grande festa di
famiglia.
«Oh
mio Dio,
cos’è quell’affare?» chiese
Eric, facendo un
cenno verso Dom e Griselda. «È
vomitevole!»
«È
Griselda, la ragazza di zio Dom,» spiegò Donna.
«Quella
cosa ha un
nome?» chiese Eric, visibilmente disgustato. «Sei
sicura
che non sia un esperimento di laboratorio riuscito male? Non so,
tipo… Frankenstein?»
Donna
alzò le
spalle, incapace di rispondere. Sapeva bene che suo padre stava
commentando l’aspetto di Griselda in modo volutamente
sarcastico,
ma era troppo preoccupata di mantenere il suo segreto per trovare una
risposta soddisfacente alla battuta.
«Thomas
Peter Warren!» chiamò Eliza.
Thomas si
voltò
verso sua madre, e vide con orrore che aveva aperto una delle lettere
che le erano state portate da Eric. Anche da lontano, Thomas
poté riconoscere il simbolo della sua scuola
nell’intestazione. Cautamente, si avvicinò a sua
madre.
«Mi
spieghi cosa
significa questo?» continuò Eliza, visibilmente
alterata
ma pur sempre composta. Gli stava parlando con un tono di voce
abbastanza basso, per non farsi sentire troppo dagli altri parenti.
Thomas si
avvicinò
lentamente a sua madre, temendo ciò che gli avrebbe detto.
Anche
Donna si avvicinò, ma si tenne a debita distanza.
«Questa
lettera
viene dal preside della tua scuola,» continuò
Eliza,
serissima. «Dice che dovrai ripetere gli esami finali. Per
quale
motivo?»
«Forse…»
provò a dire Thomas, timidamente. «Forse si
sarà
confuso con qualcun altro…»
Eliza
mostrò a Thomas tutti i fogli che c’erano nella
busta.
«Il
preside mi ha
inviato tutte le tue pagelle di quest’anno,»
riprese Eliza.
«Perché non mi hai mai parlato di questi
voti?»
Thomas non
sapeva davvero
cosa rispondere. Sua madre, davanti a lui, sembrava veramente delusa
dal suo comportamento. Alle sue spalle, con la coda
dell’occhio,
poteva vedere Donna, anche lei incredula, che origliava la
conversazione. Era stato messo con le spalle al muro: la sua bugia era
stata scoperta prima che fosse riuscito a trovare una soluzione.
«Io…
io…» balbettò Thomas. «Non ho
superato gli
esami finali,» disse Thomas, abbassando lo sguardo per la
vergogna.
«Perché
non mi hai mai detto niente?» insistette Eliza.
«Perché
non
era da me prendere quei votacci,» rispose Thomas. Cercava con
tutte le forze di trattenere le lacrime, ma era sempre più
impossibile.
«Cosa
sta succedendo?» chiese Eric, avvicinandosi a loro.
«Thomas
è stato bocciato agli esami finali!» disse Eliza,
sbalordita.
«Che
cosa?» chiese Eric, voltandosi verso Thomas.
«È vero?»
Thomas
annuì, senza dire una parola.
«E
tu…» continuò Eric, rivolgendosi a
Donna. «Tu
non dovevi operare la tratta New York-Londra Heathrow di ieri? Me lo
avevi anche scritto per messaggio!»
Donna
spalancò gli
occhi, ricordandosi del messaggio che aveva inviato a suo padre,
contenente gli orari di Karen, non i suoi. Karen, che aveva sentito
quella frase e si era avvicinata a Donna per esserle di supporto,
rimase in silenzio e fece il possibile per nascondere la sua
espressione.
«Sì,
io…» disse Donna, cercando di prendere tempo per
pensare
ad una scusa. «Gli orari che ti ho inviato sono cambiati, e
mi
sono dimenticata di dirtelo.»
«Allora
aspetta,
dimmi quelli nuovi, così me li segno,» disse Eric,
prendendo il cellulare dalla tasca e sbloccando lo schermo. Stava
facendo tutto con una mano sola perché nell’altra
mano
aveva un piatto pieno di cibo. Invece del calendario in cui segnava
tutti gli orari che Donna gli comunicava, però, per sbaglio
aprì Facebook.
«Ops,
applicazione
sbagliata!» disse, cercando di chiuderla. «Aspetta
un
attimo, questa cos’è?»
La ragazza
ritratta nella
foto che era apparsa sullo schermo gli sembrò vagamente
familiare. Eric si avvicinò al cellulare per guardarla
meglio, e
Donna notò i suoi occhi spalancarsi nel momento in cui la
riconosceva. Eric girò il telefono verso sua figlia, e la
ragazza vide con orrore che aveva trovato proprio la foto che le aveva
mostrato Karen poco prima.
«È
un fotomontaggio,» si giustificò Donna.
«A
me sembra piuttosto autentica,» disse suo padre, guardando di
nuovo la foto incriminata.
«Donna!»
la rimproverò Eliza.
«Posso
spiegare!» disse Donna, arrossendo sempre più
violentemente.
«Ecco,
lo
sapevo!» disse Eliza, rivolta a Eric. «Questa
è
tutta la tua influenza! Donna è sempre stata una brava
ragazza.
La lascio sola con te qualche anno e guarda cosa si mette a
fare!»
«Nemmeno
io lo
sapevo!» disse Eric, cercando di difendersi. «E
allora io
cosa dovrei dire? Sapevo che mio figlio fosse un bambino prodigio, e
adesso scopro che non è stato in grado di passare gli esami
finali!»
«Ah,
pensi sia
colpa mia?» riprese Eliza, mostrando a Eric la pagella di
Thomas.
«Mi ha nascosto i suoi voti per tutto l’anno: non
sapevo
che avesse cominciato ad andare così male a
scuola!»
Tutti gli
ospiti della
festa ora erano in silenzio, e guardavano il diverbio tra Eric e Eliza.
I nonni cercarono invano di distrarre gli ospiti, ma ormai la nuova
attrazione della festa era il litigio tra i due ex coniugi. Thomas e
Donna si guardarono, incerti sul da farsi e troppo imbarazzati per
parlarsi. I rispettivi segreti erano stati scoperti e la stima
reciproca ora sembrava crollata.
«Donna
aveva un
lavoro sicuro e ben pagato, di tutto rispetto,» disse Eliza.
«Come si è trovata a ballare mezza nuda in una
bettola
circondata da pervertiti che non fanno altro che infilarle banconote
sudicie dentro quel costumino striminzito?»
«Non
ne ho
idea!» si difese Eric. «È la prima volta
che vedo
quella foto! Credevo che facesse ancora la hostess!»
«Questa
è
tutta colpa tua e della tua pessima influenza!»
continuò
Eliza, senza più preoccuparsi di alzare troppo la voce.
«Come se non sapessi che hai ancora interi hard disk pieni di
film porno…»
«Ti
ho già
detto che io non c’entro niente!» ripeté
Eric.
«Come se tu c’entrassi qualcosa con i votacci di
Thomas… Non sto certo insinuando che ha cominciato ad andare
male a scuola perché tu lo annoi a
morte…»
«Oh,
certo,
perché tu lo faresti divertire così tanto che
sarebbe
più invogliato a studiare… Ma cresci un
po’,
Eric!»
I loro
genitori stavano
litigando di nuovo davanti a tutti, e loro erano la causa scatenante.
Se non avessero scoperto i loro segreti, forse la situazione sarebbe
rimasta sotto controllo. E invece no: le loro bugie avevano causato
tutto quel casino. Non sapendo cosa fare, e troppo in imbarazzo per
rimanere lì, Donna e Thomas corsero fuori, sulla veranda,
trovando uno spazio solitario e silenzioso per sfogare le lacrime e
allontanarsi dal litigio dei loro genitori.
I due si
rifugiarono in
due lati diversi della veranda. Nessuno dei due poteva credere al fatto
che l’altro aveva mentito per tutto quel tempo. Non volevano
deludere le aspettative reciproche, dopo essere stati lontani per tutti
quegli anni, separati da un oceano, ma ora quella barriera di bugie era
crollata. Silenziosamente, si chiesero su cos’altro avessero
mentito per tutto quel tempo. Cinque anni erano un tempo lunghissimo
alla loro età, un periodo in cui la personalità
di
qualcuno può cambiare completamente, proprio
com’era
successo al cugino Dick. Quando si erano incontrati di nuovo, una
settimana prima, Thomas e Donna erano perfetti sconosciuti, e avevano
cominciato a ritrovarsi durante quei giorni passati insieme. Ora, dopo
aver scoperto i segreti reciproci, erano di nuovo sconosciuti. Non
sapevano più cosa fosse vero e cosa no, della vita
dell’altro. Si sentivano sempre più soli, senza
nessuno
dalla loro parte.
Entrambi
stavano
piangendo, e nessuno aveva il coraggio di fare il primo passo e
affrontare ciò che era appena successo. Avevano bisogno del
sostegno dell’altro, ma non sapevano come ottenerlo, dato che
la
fiducia reciproca sembrava essere appena crollata. Donna
ripensò
a ciò che davvero la legava al fratello, e, quasi
inconsapevolmente, iniziò a cantare.
Come
stop your crying
It
will be alright
Just
take my hand
And
hold it tight
I
will protect you
From
all around you
I
will be here
Don’t
you cry
Era la
canzone che aveva
sempre cantato al fratellino per farlo calmare quando i genitori
litigavano. In fondo, Donna sperava che avrebbe funzionato anche quella
volta.
‘Cause
you’ll be in my heart
Yes,
you’ll be in my heart
From
this day on
Now
and forever more
You’ll
be in my heart
No
matter what they say
You’ll
be here in my heart
Always
Suo fratello
le aveva
mentito come aveva fatto con tutti gli altri parenti, ma in fondo era
ciò che aveva fatto anche lei. Immaginava che Thomas lo
avesse
fatto per le sue stesse ragioni: non voleva deludere le aspettative
della sua famiglia. In quel momento voleva dimostrare a Thomas che lei
ci sarebbe sempre stata per lui, in qualsiasi situazione. Lui le aveva
mentito, ma lei lo aveva perdonato. Sperava che, capendo che lei lo
sosteneva, anche Thomas avrebbe perdonato lei.
Thomas
alzò lo
sguardo verso Donna e riconobbe la canzone che lei gli stava cantando.
Si ricordò della ninna nanna che condividevano, ogni volta
che
lui piangeva da piccolo, svegliato dai litigi dei genitori che si
stavano separando. Comprese che Donna gli aveva mentito per non
sfigurare davanti a lui, all’idea di fratello perfetto che
ancora
aveva, dopo essere stata lontana da lui per cinque anni, e la
perdonò. Sorrise alla sorella, sperando che anche lei fosse
riuscita a perdonarlo.
Don’t
listen to them
‘Cause
what do they know
We
need each other, to have, to hold
They’ll
see in time, I know
When
destiny calls you, you must be strong
I
may not be with you
But
you got to hold on
They’ll
see in time, I know
We’ll
show them together
Donna
continuò a
cantare quella canzone così speciale per loro. La stava
usando
per dire al fratello che, anche se la verità era stata
scoperta,
i loro genitori li stavano giudicando senza sapere tutta la storia.
Avevano avuto i loro buoni motivi per mentire, ma nessuno ne stava
tenendo conto. Thomas si avvicinò a Donna e le mise un
braccio
intorno alle spalle.
«Mi
dispiace di
averti mentito,» le disse. «Ti avrei detto la
verità, ma non volevo distruggere l’immagine che
avevi di
me.»
«Sarai
sempre il
mio fratellino geniale,» gli disse Donna, sorridendo.
«Dispiace anche a me di averti mentito. Non volevo che tu
pensassi che io sia ancora più una perdente.»
«Tu
non sei una perdente!»
«Non
ho mai finito
le superiori, sono riuscita a trovare lavoro solo perché
uscivo
con uno che poi sarebbe diventato mio collega, e ho perso il lavoro
perché uscivo con un altro mio collega. Quel bastardo ha
pensato
bene di raccontare una serie di cavolate al nostro superiore soltanto
perché era convinto che io lo tradissi, ma in
realtà era
stato lui a tradirmi per primo!»
«E
qual era la verità?»
«Beh,
potrei essere
andata a letto con un altro per ripicca, come potrei aver bevuto
qualche alcolico di troppo mentre ero in servizio… Ma
è
stato lui a mettermi le corna per primo, con una collega che mi stava
pure antipatica!»
«Cos’è
che facevi al lavoro?» chiese Thomas, ridendo.
«A
mia difesa, lo
facevano tutti! Alcuni viaggi erano lunghi e noiosi, così
con i
colleghi ci dividevamo qualche boccetta di gin o
whiskey…»
«Wow,
ricordami di non volare mai più con la American
SkyLines!»
«Lo
fanno in tutte
le compagnie, Tommy, io non sono di certo l’eccezione.
Comunque,
dopo essere stata licenziata, mi sono ritrovata a fare diversi lavori
sottopagati perché non avevo i soldi per
l’affitto…»
«E
adesso lavori in un night club?»
«No,
ho smesso mesi
fa… Adesso faccio l’allenatrice di softball per
una
squadra di bambine, ma non sta andando benissimo… Credo che
presto mi licenzieranno, così dovrò cercarmi un
nuovo
lavoro. Tu, invece, cosa ti è successo?»
Thomas
abbassò lo
sguardo. «Ad alcuni ragazzi non piaceva il fatto che io
avessi
sempre il massimo dei voti in tutte le materie… Hanno
cominciato
a inviarmi bigliettini anonimi, poi sono passati alle minacce, e poi
sono arrivati alle mani. Mi hanno spinto contro gli armadietti, mi
hanno fatto inciampare per i corridoi varie volte, buttato i libri
nella spazzatura…»
«Ma
è terribile!»
«Non
dovrei
dargliela vinta così… Ma ormai è
troppo tardi per
recuperare: ripeterò gli esami a settembre e poi non
riuscirò a iscrivermi a Oxford!»
Nel
frattempo, Eric e
Eliza avevano ascoltato tutto perché avevano smesso di
discutere
e si erano avvicinati ai loro figli. I due ragazzi si voltarono e li
videro, appena usciti dal portone.
«Ragazzi,
perché ci avete mentito?» chiese Eliza.
«Avremmo
potuto aiutarvi a risolvere i vostri problemi: è questo il
ruolo
dei genitori.»
«Non
volevamo farvi preoccupare,» disse Thomas.
«O
pensare che siamo dei completi fallimenti,» aggiunse Donna.
«Non
lo penseremmo mai,» disse Eric, rassicurandoli e
avvicinandosi a loro con l’ex moglie.
«Anche
se io e
vostro padre non ci amiamo più, ci saremo sempre per voi,
per
aiutarvi a superare ogni difficoltà,» disse Eliza.
«Thomas, ti aiuteremo a studiare per superare gli esami con
il
massimo dei voti, come hai sempre fatto.»
«E,
Donna,
inizialmente ti aiuteremo a pagare l’affitto,
finché non
troverai un lavoro più stabile,» le disse Eric.
«Grazie!»
dissero Donna e Thomas all’unisono, con le lacrime agli occhi.
I quattro si
abbracciarono. I nonni assistettero alla scena guardandoli dalla
finestra della sala da pranzo che si affacciava sulla veranda.
«Bella
festa, eh?» chiese nonna Mo al marito.
«Non
ricordo di
aver mai avuto una festa così piena di sorprese,»
rispose
nonno Pete. «Stai sicura che non la dimenticherò
mai!»
L'angolo
dell'autrice:
E
finalmente siamo arrivati alla fatidica festa, in cui tutte le bugie
crollano e tutta la verità viene a galla. È stata
sicuramente una festa memorabile, tra riunioni di famiglia e
confessioni a cuore aperto.
Spero che questa storia vi sia piaciuta! È
partita da un'idea vaga, un'immagine casuale, e si è
sviluppata
in un progetto molto più ampio di quello che avevo pensato
inizialmente.
Qualche curiosità: non so se si sia notato, ma diversi nomi
dei
personaggi di questa storia fanno riferimento ai nomi di personaggi
ricorrenti o attori che hanno recitato in Doctor Who,
una delle mie serie preferite, complice anche l'ambientazione della
storia nella campagna inglese. E, a proposito di campagna inglese, i
nomi dei luoghi citati (Juliet Springs, Rosehill, Shilling) potrebbero
sembrare inventati, ma sono in realtà un riferimento a paesi
reali che non si trovano affatto in Inghilterra, bensì in
Abruzzo, da dove viene il lato materno della mia famiglia.
Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questo capitolo
lasciandomi una recensione,
contattandomi con un messaggio privato, oppure venite a trovarmi sui
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A
presto!
~Arkytior
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Capitolo 11 *** Epilogo ***
Epilogo
Donna
era felice di essere seduta accanto al finestrino. Le era sempre
piaciuto guardare fuori mentre viaggiava, anche se in un volo
intercontinentale non c’era poi molto da vedere.
Si
voltò verso il
corridoio, per dare un’occhiata agli altri passeggeri che
salivano a bordo, e fu sollevata nel vedere un ragazzo, più
o
meno della sua età, che si stava sedendo accanto a lei. Era
bello, con capelli castano chiaro e occhi azzurri.
«Salve,»
la salutò educatamente il ragazzo.
«Salve,»
rispose lei, timidamente.
«Vieni
in America per una vacanza?»
«No,
veramente ci abito da parecchi anni.»
«Ma
come? Hai un accento britannico…»
«Già,
ho cercato di non perderlo.»
«Oh…
È carino… Mi piace.»
«E
tu stai tornando a casa, a quanto pare…»
«Già,
sono
stato scaricato dopo un viaggio in giro per il mondo che sembrava non
finire mai… Torno a casa per cercare di rifarmi una
vita.»
«Lunga
storia?»
Il ragazzo
annuì.
«Già… Una lunga e incredibile
storia… Ma
abbiamo parecchie ore davanti, quindi farò in tempo a
raccontartela. Pensa, è cominciato tutto con mio
nonno…»
«Ma
dai! Anche per me è cominciato tutto con mio
nonno!»
«Ti
ha chiesto di accompagnarlo da qualche parte e poi le cose non sono
andate come dovrebbero?»
«No,
ha solo organizzato una festa con tutta la
famiglia…»
«La
tua storia
sembra più tranquilla della mia… Sono Jason,
comunque,
non mi sono ancora presentato!» Il ragazzo porse la mano a
Donna
«Donna,»
disse lei, stringendo la mano a Jason. «Piacere di
conoscerti.»
TO BE
CONTINUED…
L'angolo
dell'autrice:
Inizialmente
non avevo pianificato di continuare questa storia. Doveva essere un
romanzo autoconclusivo, un esperimento casuale. E invece mi sono
ritrovata a pensare, "In questa storia abbiamo conosciuto il lato
materno della famiglia di Donna e Thomas. Come sarà il lato
paterno invece?" E da lì le idee hanno cominciato a
frullarmi in
testa.
Questo
epilogo non serve a molto, di fatto non anticipa niente del
secondo romanzo, ma serve a introdurre il personaggio di Jason, che
tornerà nel sequel e sarà molto importante per
Donna. E
non posso dirvi niente su di lui, senza incappare in potenziali
spoiler, perciò aspettate per conoscerlo meglio!
Spero
che questa storia vi sia piaciuta! Ci vediamo presto con il
secondo romanzo della serie, "Big Fat Lies - Bugie belle e buone". Non
esitate a farmi sapere la vostra opinione su questa storia lasciandomi
una recensione,
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A
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