pillowtalk.

di Marti Lestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Questa storia partecipa all’iniziativa “🌷 First Kiss 🥀” organizzata sul gruppo Facebook “L’Angolo di Madama Rosmerta”.


DISCLAIMER: I personaggi che compaiono nel canon e tutto ciò che è relativo alla saga di Harry Potter appartiene a J.K.Rowling, ma tutto il resto fa parte del mio personale headcanon. Grazie dell’attenzione e buona lettura ☾


 

[pillowtalk]
 

I'm seeing the pain, seeing the pleasure
Nobody but you, 'body but me
'Body but us, bodies together
I love to hold you close, tonight and always
I love to wake up next to you
I love to hold you close, tonight and always
I love to wake up next to you

 

1.


“Teddy?” lo chiamo.

“Mh-mh?”

“L’altro giorno pensavo.”

Teddy apre gli occhi e mi guarda. Ha il viso stanco e all’improvviso mi dispiace aver interrotto il suo dormiveglia. 

“Pensi sempre a un sacco di cose tutte insieme.”

Sorrido e alzo gli occhi al cielo. “Giusto.”

Lui alza una mano e mi accarezza una guancia, mi scosta i capelli leggero, li appunta dietro il mio orecchio. 

“A cosa pensavi, amore?”

“Al nostro primo bacio.”

Gli occhi di Teddy cambiano colore. Gli succede spesso quando è emozionato per qualcosa, o agitato, o spaventato. Ora, da castani diventano dorati: puro oro liquido. 

“Al nostro primo bacio,” ripete.

Annuisco, la guancia sinistra appoggiata al cuscino, il corpo rannicchiato sotto il piumone. Fuori nevica. 

“E come mai?”

“Senza nessun motivo. Ci ho pensato e basta.”

“Ed è un bel ricordo?” Teddy sorride. 

“Sì, certo.”

“Be’, ricordo di non essere stato quel che si dice eccezionale.”

“Hey, eravamo due ragazzini,” protesto ridendo, ma piano, per paura di svegliare i gemelli - Meda1 si è appena riaddormentata dopo che Teddy si è offerto di alzarsi per calmarla, e non possiamo permetterci che svegli anche Artie1, anche se Artie è sempre così tranquillo. “È più che normale non essere eccezionali.”

Teddy mi si avvicina, la sua mano si sposta dalla mia guancia al mio seno. Il suo tocco è fresco attraverso la stoffa del pigiama, nel calore delle coperte. Gli sorrido, premendo il mio corpo addosso a lui solo per sentirlo ancora più vicino.

“Certo che quella prima volta non ho potuto darti questo,” ghigna. 

Alzo gli occhi al cielo. “Certo che no, ti avrei cacciato via a calci se mi avessi anche solo sfiorata in questo modo.”

“Mi pare più che giusto.”

“È stato…” ci penso sopra un attimo. “Be’, strano. Ma non brutto. Solo strano. Dal secondo in poi è andata meglio.”

“Non avevo mai baciato nessuno prima, mia cara, non ero pratico.”

“Lo so, certo.”

Ora il tocco di Teddy si fa più deciso, il calore che sento si irradia nel mio basso ventre e chiudo gli occhi. Mi sfiora il capezzolo con le dita e mi mordo le labbra. 

“Sono contenta che siamo arrivati a questo punto, comunque,” sussurro. 

“Anche io. Da morire.” 

Ora siamo vicinissimi, i nostri nasi si sfiorano. La mano di Teddy è ferma sul mio fianco. Sento l’anticipazione invadermi. Mi crepita sulla pelle come elettricità.

“Mi dispiace lasciarti spesso da sola, ultimamente.” Lo guardo negli occhi: ora sono grigi e spenti. È triste e abbattuto. 

Scuoto la testa. “È il tuo lavoro, Teddy. Lo capisco. Non preoccuparti per me, Dominique è quasi sempre qui, ed è okay, mentre mia madre potrebbe anche starsene di più a casa sua.” 

“Devi avere pazienza, vuole solo darti una mano.”

“Non ho bisogno di una mano. Lavoro al reparto d’urgenza del San Mungo.” 

“Non è la stessa cosa.”

“Forse non è la stessa cosa, ma so gestire una crisi quando ne ho una sotto mano.”

“Giuro che risolveremo questo caso.”

“Be’, lo spero, e per tutta una serie di ragioni.”

“E dopo mi prendo una bella vacanza e andiamo un po’ ai laghi, che ne dici? Noi due e i bambini.”

Sorrido. Annuisco. “Non vedo l’ora.”

“Ricordi cosa ti ho detto prima di baciarti, quel giorno?” I suoi occhi sono tornati dorati. Non rispondo, attendo che sia lui a dirmelo.

“I migliori amici si baciano sulle labbra, Vic?”

Sento il mio viso aprirsi in un sorriso. “E io ti ho risposto che i migliori amici possono fare quello che Merlino vogliono.”

Ridiamo, ma sempre sottovoce. Teddy sfiora il mio naso col suo. Sento il suo fiato caldo sulle labbra. Vorrei le sue mani ovunque, ma per adesso rimangono ferme. 

“I migliori amici fanno anche questo?” e finalmente la sua mano si sposta, sorpassa l’elastico del mio pantalone e quello delle mutandine. Mi sfiora piano ma comunque vorrei gridare. Le mie dita si chiudono a coppa intorno alla sua guancia. 

“Possono fare tutto,” biascico senza fiato quando le sue dita mi riempiono. 

“Vic,” mi chiama, la voce roca. “Guardami.”

Apro gli occhi, e i suoi sono neri, nerissimi, puro piacere gli colma lo sguardo. 

“Teddy…”

“Tra un momento.”

“Per favore.”

Allungo una mano e lo tocco anche io, sento la sua eccitazione solida attraverso il pigiama. Lo guardo mordersi le labbra. 

“Voglio prima baciarti,” continua, sfiorandomi le labbra con un bacio leggero. 

Annuisco. “Baciami, allora.”

Ci baciamo lentamente, ci baciamo come ci siamo baciati quella prima volta, in una sera estiva, sul tetto di casa di Teddy, quattro anni dopo l’ultima estate che abbiamo passato insieme prima che lui partisse per Hogwarts2, e ricordo che Teddy indossava la stessa maglietta rosa di Madonna che era stata di sua madre, ma non gli andava più così grande. Era cresciuto. 

“Ti amo.”

Le sue dita si muovono dentro di me; mi lascio portare via. 

Annuisco. “Ti amo.”

 

Le sue dita sulla mia guancia. Leggere. Lo guardo negli occhi e sono dorati, non li ho mai visti così dorati prima di quel momento. 

La t-shirt di Madonna non gli sta più così grande sulle spalle, non ci sparisce più dentro come prima. Le mie dita gli sfiorano le spalle solo per scoprire quanto siano diventate solide. Il desiderio di volerlo toccare per sempre mi riempie la testa, non riesco a liberarmene. Non lo comprendo, e mi domando perché mi faccia quasi male, la fitta che sento nelle mutandine. Chiudo gli occhi. 

“Vic.”

Non posso decidere di non guardarlo, non quando la voce di Teddy suona così: tesa come un elastico, vibrante di qualcosa a cui non so dare un nome. 

Siamo praticamente fronte contro fronte, i nostri nasi si sfiorano, ma non mi da fastidio. Sento il suo fiato addosso e sa dell’aranciata che abbiamo bevuto insieme poco prima. 

Mi sto spostando in avanti, a cercarlo, a cercare un contatto che non sapevo di volere. Voglio sentire Teddy addosso a me, ed è un pensiero che mi invade come un’onda. Non riesco a pensare ad altro. 

“I migliori amici si baciano sulle labbra, Vic?”

Lo guardo negli occhi, senza fiato. Siamo come sospesi in un limbo, e un solo, piccolo cenno potrebbe spingerci definitivamente oltre - oltre una soglia che entrambi siamo pronti a varcare. Sento che cambierà tutto, ma per una volta il cambiamento non mi fa paura. Voglio che cambi tutto, voglio che cambiamo noi

“I migliori amici possono fare quello che Merlino vogliono,” rispondo, decisa, ridente, e bastano queste mie parole per farci cadere. 

Le labbra di Teddy sono calde sulle mie. Non si muovono, rimangono lì. Sono anche bagnate, quando le scosta leggermente per poi baciarmi di nuovo. È strano ma bello. Non so come dovrebbe essere, ci ho pensato tanto ma senza farmi un’idea precisa. Charlotte, una delle mie compagne di casa, blaterava riguardo il suo primo bacio, subito dopo essere rientrata dalle vacanze di Natale, e diceva che la ragazza che aveva baciato le aveva ficcato la lingua in gola e lei per poco non aveva vomitato, ma poi si era ripresa in fretta e adesso non riusciva a pensare ad altro che a quella lingua. Ricordo che il pensiero di avere la lingua di un’altra persona in bocca mi aveva fatto rabbrividire, ma adesso penso solo alla lingua di Teddy, e a quanto la desideri, a quanto la voglia dentro di me. 

Non riesco a definire quello che mi sta succedendo dentro, e allora cerco di concentrarmi sul bacio dolce di Teddy, un bacio che non vuole essere invadente ma solo gentile - proprio come lui. 

“Teddy,” lo chiamo quando riprendiamo fiato. Sento di avere delle tracce di saliva sul mento ma non oso asciugarle. Mi guarda in silenzio. “Possiamo farlo ancora?”

Sorride. “Possiamo farlo quante volte vuoi.”

“Siamo ancora migliori amici, giusto?”

“Possiamo esserlo, sì. Possiamo essere quello che vogliamo.”

Fidanzati?” chiedo facendo una smorfia. 

“Questa dove l’hai sentita?”

Alzo gli occhi al cielo. “Da Charlotte.”

“Oh, Godric.”

“Non vuoi?”

“Pensavo fossi tu a non volerlo.” 

“Se siamo d’accordo entrambi possiamo esserlo.”

Teddy sorride e annuisce. “Mi piacerebbe essere il tuo fidanzato.”

“Okay. È deciso, allora.”

Ci prendiamo per mano, le nostre dita si cercano senza volerlo. 

Rimaniamo lì ancora un po’, su quel tetto, a guardare scendere la notte. 

 


1. Andromeda e Arthur, i gemelli figli di Teddy e Victoire; di seguito tutti gli accenni a loro fatti finora: snow flower — un altro buonissimo Natale / dance of death. (atto V) / in the name of the Black. (giorno 30)
2. Mi riferisco a questa storia: it’s nice to have a friend

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Capitolo 2
*** 2. ***


2.


 

Lo guardo dormire e basta. Il corpo è scomposto, le braccia aperte sulla testa, occupa quasi tutto il materasso senza accorgersene. Dorme a petto nudo nonostante fuori nevichi - va avanti da giorni, ormai. Non sembra curarsi del freddo, qui in questa stanza dove siamo chiusi da ore, la sua pelle irradia calore e io ne approfitto, mi accovaccio accanto a lui, la testa sul suo petto, una mano aperta a stella sul suo cuore. Lo sento battere cadenzato. 

Non so perché mi torni in mente quell’anno, il nostro ultimo anno a Hogwarts. Non so cosa mi inneschi il ricordo. Forse stare qui insieme a lui, nello stesso letto, dopo caotici giorni fatti di separazione e troppi impegni, e chilometri e ore a dividere le nostre vite. Ora questa ritrovata stabilità mi fa stare tranquilla, mi trascina via dalla mia irrequietezza e dal mio batticuore, da quella stanchezza che ti fa solo andare avanti, e avanti, a oltranza, ché l’alternativa sarebbe finire a terra. 

Forse questo nuovo anno appena iniziato ci porterà qualcosa di diverso, forse riusciremo a trovare un equilibrio. Aspetto un nuovo incarico dalla Gringott che spero mi porti oltreoceano, là dove le nostre vite ormai sembrano convergere. 

Sento la sua mano accarezzarmi i capelli, adesso. Sorrido sorniona. 

“Sei sveglia?”

Mi sposto, lo guardo negli occhi: sono color ebano. Annuisco. “Pensavo.”

Mi sorride. “A cosa pensavi?”

Gli sorrido. 

 

Inizia tutto con delle voci. Le voci sembrano seguirmi ovunque, ma sinceramente non me ne curo. La gente parla. Sempre. E non la smetterà mai di parlare, soprattutto di cose di cui non sa niente, e di persone che neanche conosce. 

“Dominique la lesbica”; “A Dominique piace la farfallina”; “Dominique vola di fiore in fiore”; “Dominique la puttana si fa ragazze e ragazzi”; “Lascia qualcosa anche per noi, Dominique” e ah-ah-ah, una bella risata per far credere che sia solo una battuta divertente, quando in realtà è impregnata di veleno. Nessuno sa niente di me. Nessuno mi conosce davvero. 

Li ignoro. Ho imparato a ignorarli. All’inizio non era facile. Non lo è mai, e in realtà non è che lo diventi, impari solo a diventare più forte, tu, e questa consapevolezza ti protegge. Non ho mai smesso di amare a modo mio, le loro parole non mi hanno mai fatta nascondere. 

Mio padre mi ha insegnato che non c’è nulla di male nell’essere se stessi, e che dobbiamo combattere per il nostro vero io, per quello che custodiamo nel cuore, senza permettere a nessuno di farci vacillare. Non dimenticherò mai il suo sguardo, durante le estati passate a Villa Conchiglia, quando la scuola scompariva per un momento e riuscivo a lasciarmi alle spalle tutto e tutti, e lui mi portava a passeggiare e camminavamo per chilometri e tornavamo a casa stanchissimi, ma era bello perché potevamo parlare, solo lui e io, e quelli erano i nostri momenti, solo e soltanto nostri, lontano dal caos di casa o della Tana. 

In ogni caso, non posso negare le voci - o almeno non tutte. Ho baciato ragazzi e ragazze, per me non ha mai fatto alcuna differenza e non ne avrebbe fatta mai. Ma una voce è diversa dalle altre: “Sapete che Dominique Weasley e Roland Zabini3 escono insieme?”. Ah, sì? Sembrano saperlo tutti tranne i diretti interessati. 

Il nostro antagonismo sul campo da Quidditch quest’anno si trasforma in qualcosa di nuovo, di diverso. Qualcuno sembra leggerci una traccia, una sotto-trama che sa di sotterfugio. “Non è che quei due non ce la raccontano giusta?”

“Cosa vogliamo fare riguardo queste voci, Weasley?” mi chiede Roland Zabini una sera, quando sembra tendermi un agguato in corridoio e mi trascina in un’aula vuota per parlarmi, dove nessuno può vederci. 

“Cosa vorresti fare, Zabini? Pubblicare un annuncio sulla Gazzetta per smentire?”

Roland mi guarda con quei suoi occhi scuri e sento qualcosa sobbollirmi dentro, qualcosa a cui non voglio badare e che più tardi cercherò di sotterrare da qualche parte per non doverlo provare più. Puzza di pericolo.  

Sono appoggiata a un banco polveroso, ma non me ne curo. Roland è in piedi di fronte a me, un po’ troppo vicino, ho paura che possa annusare il mio odore - puzzo un po’ dopo essere tornata da allenamento. Poi penso che non me ne frega niente e mi rilasso. È solo Roland Zabini - quel coglione.

“Dovremmo?”

“Cosa?”

“Smentire.”

Lo studio, voglio capire a quale gioco voglia giocare. Non sono sicura mi piaccia. 

“Pensaci,” continua lui scrollando le spalle. “È pubblicità. Fa bene all’atmosfera pre-partita. Carica i tifosi, e anche le nostre squadre.” 

Effettivamente non posso dire che non abbia ragione: durante l’ultimo incontro tra Grifondoro e Tassorosso abbiamo avuto comunque gli occhi puntati addosso, occhi desiderosi di captare qualcosa, forse un cenno della testa o degli occhi, un movimento a denotare aspettative e desideri, una certa elettricità che scorreva sotto pelle. 

Ed è tutto vero. Siamo tutte queste cose. Nessuno dei due sa perché; entrambi vogliamo solo far finta che non esista. 

Ma, da quella sera in quell’aula, non siamo più riusciti a far finta che qualcosa non fosse in corso. I cenni sono diventati reali; le occhiate si sono prolungate; le mani hanno preso a essere irrequiete, i denti a mordere le labbra solo per sopprimere un impulso. 

Convergiamo nello stesso punto, sembriamo finire sempre insieme, lì, nel centro del mirino, dove tutti possano vederci. Siamo attratti da quel centro di profonda paura ed eccitazione, dove le pelli crepitano per essere toccate e le nostre mani, nella solitudine delle nostre notti, non bastano a sfogare quel non-detto che ci perseguita come una maledizione. 

Durante quei due mesi non bacio nessun altro, non cerco nessun altro, non desidero nessun altro. Non mi è mai successo, prima. Tutto il mio desiderio è tenuto in scacco da Roland Zabini. Mi tiene prigioniera pur senza saperlo, e non so come fare a scappare. 

Una sera sono in bagno, mi tocco ripensando all’ultima persona che ho baciato, ormai sembra quasi una vita fa: una certa Zoë di Tassorosso, molto sexy, culo da capogiro e labbra perfette. Neanche il ricordo di Zoë e del sesso che abbiamo fatto dietro le serre riesce a calmarmi. Non riesco ad eccitarmi, non rispondo alle immagini che mi scorrono dietro le palpebre chiuse, agli odori e ai sapori che riesco a rievocare. Sono come un deserto arido. Impreco e lascio il bagno, nervosa e irritabile. È tutta colpa di Roland Zabini, che vada al diavolo. 

Ma non posso dire bugie a me stessa. Non posso negare l’orgasmo che mi travolge quando apro la diga e il pensiero di Zabini mi esplode dentro la testa, inarrestabile come uno tsunami. Lo rivedo tutto sudato dopo un allenamento; rivedo la maglietta che gli si attacca al petto con il sudore e si vede tutto; rivedo il culo fasciato dai pantaloni della divisa incedere maestoso nel corridoio; rivedo le sue labbra strette intorno a una pesca all’ora di pranzo in Sala Grande, i suoi occhi su di me, sempre su di me. 

Sono io che lo aspetto in corridoio, questa volta. Sono io che lo spingo dentro un’aula vuota. Sono io che mi premo addosso a lui. Inizia tutto con me. 

Lui mi lascia fare. Non protesta, non parla, accetta solamente - e prende, prende tutto quello che vuole e che io gli lascio prendere. Mi colma, è come se tutti i pezzi vadano a posto, sento solo calore e calore, un immenso calore che mi fa urlare, le mie dita ad arpionare le sue spalle forti, le gambe strette intorno ai suoi fianchi e la gonna tirata su fino alla vita. Non riusciamo nemmeno a spogliarci del tutto. Roland mi spoglia solo alla fine, lecca la mia pelle, ne percorre ogni curva, segna ogni anfratto col suo passaggio, la sua lingua è come lava, e quando mi riempie sono di nuovo eccitata come una ragazzetta inesperta e smaniosa, e allora mi aggrappo al suo collo e lo spingo più a fondo, sempre più a fondo dentro di me, fino a perdere il controllo. 

Ho baciato tante persone prima di lui, e sono stata baciata da tante persone prima di lui, ma quel primo bacio con Roland Zabini cambia tutto. È come se diventi improvvisamente il primo - il primo bacio - e Roland diventi il primo - il primo di tutto, il primo di tutta una serie di prime volte che marcheranno la mia vita da qui in poi. 

 

“Mi sei mancato,” concludo alla fine, quando i nostri corpi giacciono sudati e ansimanti sul materasso dopo l’orgasmo. “Per Merlino se mi sei mancato.”

“Solo per il sesso?”

Lo guardo e scuoto la testa. “Certo che no.”

Ci accovacciamo l’uno di fronte all’altra, ci vogliamo guardare negli occhi. Appoggio una mano sulla sua mascella. 

“Posso dire una cosa che potrebbe spaventarti?”

Aggrotto le sopracciglia. “Cioè?”

“Ti amo.”

Abbasso lo sguardo, divertita. Non riesco a reggere ciò che Roland mi sta dicendo. 

“Non mi ha spaventata,” rispondo, ché non voglio che pensi che non me ne importi niente quando mi importa tutto. “Tu non potresti mai spaventarmi.”

“Ti amo,” ripete, e sorride. 

“Davvero?”

“Non sono solito dire ti amo alle persone per scherzo.”

Mi avvicino ancora di più, mi stendo praticamente sul suo petto, in mezzo alle sue gambe, e siamo entrambi nudi e sudati ma chi se ne importa. Lui mi accoglie, mi tiene stretta a sé e le sue mani scendono presto sui miei glutei come se una forza intrinseca operasse su di noi. 

“Roland,” lo chiamo.

Lui non risponde, mi guarda soltanto. Continua a guardarmi.

“Roland,” ripeto.

“Sono qui,” replica finalmente. “Sono qui, Dom.”

“Ti amo.”

Ora il sorriso di Roland gli apre tutto il viso. È bellissimo. Ed è la persona che amo. Ed è qui con me. 

“Ti amo,” ripeto, poggiando l’orecchio sul suo petto. “Ti amo.” Mi piace il suono della mia voce quando pronuncio quelle parole. 

Il cuore di Roland batte forte. E anche il mio.

 



3. Roland Zabini, personaggio di mia invenzione; figlio di Blaise. Ho nominato lui e Dominique qui.

 

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Capitolo 3
*** 3. ***


3. 


 

Non so bene cosa sto facendo. So solo che una forza sconosciuta mi spinge in avanti, sempre più avanti, finché i nostri nasi si sfiorano. Respiriamo forte, posso quasi sentire il battito del suo cuore che preme per uscire dal suo petto. 

È strano - o almeno dovrebbe esserlo. Forse? Forse sì. O forse no. Non lo so. 

Quello che sento non ha niente a che fare con me, ma allo stesso tempo non posso scinderlo dalla mia persona. Mi confonde e mi fa vacillare, e nella mia testa di quattordicenne stupido e immaturo ha ormai assunto le proporzioni di un Erumpent imbufalito. Scalcia e strepita. Scalpita dentro il mio petto. 

Sotto la mia cintura è un disastro, ormai ho perso qualsiasi possibilità di controllo. Questa reazione mi confonde, anche se dovrebbe soltanto farmi riflettere. Ma forse sono troppo cieco per capire. 

Le sue labbra sono morbidissime, la cosa più morbida che abbia mai assaggiato. Sembra averlo già fatto altre volte - numerose altre volte, secondo me - perché sa cosa fare, sa esattamente quando osare e dischiudermi le labbra per cercare la mia lingua, intrecciarla alla mia fino a farmi gemere, la mia bocca aperta sulla sua, vorace. Non ho mai sentito questa fame, prima. Non che abbia mai baciato qualcuno, prima di questo momento, no, ma il fatto è che nessuno mi ha mai provocato questo tipo di reazioni: la voglia pazza di stendermi su un letto, o da qualche parte, da qualsiasi parte, non importa, e lasciare che il mio corpo venga leccato, e baciato, ed esplorato, per poi leccare a mia volta, baciare, ed esplorare, fino a colmare ogni anfratto, a riempire ogni mancanza. 

Non sembra avere fretta, forse perché la giornata volge al termine e gli adulti stanno preparando la cena e non badano a noi, o forse perché ha tutto il tempo del mondo, e io non protesto, non mi lamento, ricambio il bacio con ansia e un desiderio che mi incendia la pelle. La sua mano scivola sul mio petto nudo, giù fino all’orlo del costume da bagno che indosso. Si ferma. Mi guarda negli occhi. 

“Posso? Non voglio spaventarti…”

Annuisco, incapace di parlare. Mi sorride. 

E adesso la sua mano è dentro il mio costume, circonda la mia erezione e mi sento morire. Affondo il viso nella sua spalla - la sua pelle profuma di sole e sale. 

“Va bene così?” mi chiede. Sento dell’incertezza, forse si chiama aspettativa. 

“Sì,” ansimo in risposta. “Continua. Per favore,” aggiungo alla fine, ricordandomi l’educazione. 

E allora continua, stringe e rilascia che è una meraviglia, e vengo quasi subito, come un ragazzino inesperto - che poi è quello che sono, a chi voglio darla a bere? Nessuno mi ha mai toccato così, prima. 

“Va tutto bene,” sussurra baciandomi teneramente. “È perfettamente normale.” 

Mi bacia la mascella e glielo lascio fare. Il suo tocco è delicato, mai arrogante o prepotente. Gliene sono grato. Sono talmente subissato da mille nuove e diverse sensazioni ed emozioni che non saprei gestire niente di troppo deciso. Il mio respiro si regolarizza, e trovo il coraggio di alzare gli occhi. 

Mi sta guardando, e sorride. 

“Va tutto bene, Louis?”

Annuisco. Poi scuoto la testa. Nascondo il viso nelle mani aperte. “Non lo so. Scusami.”

“Non devi scusarti con me.”

“Mi dispiace.”

“Era la prima volta che…” allude.

“Già.”

“In assoluto o…”

“In assoluto.”

Mi accarezza i capelli. “Andrà sempre meglio.”

Qualcosa mi straccia il petto, una strana sensazione di irrimediabilità e un’ansia che mi toglie il respiro. Abbasso lo sguardo. Chiudo gli occhi, ché non voglio vedere ciò che ho davanti, prova inconfutabile di ciò che potrei essere. O di chi sono?

Mi alzo in piedi di scatto, sollevando sabbia e demoni, gli stessi che mi inseguono da tutta l’estate - forse da tutta la vita. Non posso permettere che mi raggiungano - sono vicinissimi, ora. 

“Devo andare,” biascico. 

“Okay…” replica, imitandomi e alzandosi. Non nasconde nemmeno le sue reazioni, e davvero non voglio guardare. “Ci vediamo domani?”

“Non lo so… Può essere. Forse.”

“Forse? Quando partite per l’Inghilterra?”

“Tra cinque giorni.”

“Allora magari avremo modo di stare ancora un po’ insieme...”

Scuoto la testa, mi passo una mano sul viso. “Non lo so, okay?” Il mio tono di voce è scontroso e annoiato. Sul suo viso leggo una prima scintilla di dispiacere, e forse una consapevolezza che mi ferisce, ma non me ne importa - non me ne importa se ci sta male. Io ci sto male, e tutto il mondo deve soffrire con me. 

“Louis,” mi chiama mentre io mi sono già incamminato, diretto verso casa - voglio solo andarmene da lì e dimenticare tutto. Fare come se niente fosse successo. Ma non posso non ascoltare cos’ha da dirmi. Mi fermo e giro leggermente lo sguardo indietro. “Se ho fatto o detto qualcosa che ti ha ferito mi dispiace. Non intendevo…” Sospira. “Non volevo farti del male.”

Annuisco. 

Non mi ha fatto del male, o almeno non direttamente. Sono io che mi faccio del male, che continuo a farmene. Non rispondo e vado via, mi volto e proseguo, prima a passo lento, poi sempre più velocemente. Voglio solo lasciarmi la spiaggia alle spalle, voglio dimenticare quel momento. Col costume sporco e appiccicato sulla pelle, corro via, a nascondere la mia vergogna laddove nessuno potrà vederla. 

 

“Non ci ho più parlato, dopo quella sera.”

“Non vi siete neanche più visti?”

“Visti sì, l’ho visto per i successivi quattro giorni, alla spiaggia, ma l’ho ignorato. Se ci penso ora mi sento male.”

“E lui… Lui non ha provato a parlarti o…”

“Un paio di volte, sì. Ho accampato delle scuse. Non riuscivo neanche a guardarlo negli occhi, le gambe erano come paralizzate e mi veniva l’ansia. Non avrei potuto spiegargli cosa sentivo neanche se ci avessi provato. E forse neanche volevo, spiegarglielo, non lo so.”

“Perché me lo stai raccontando ora?”

Alzo gli occhi. Caleb4 è bellissimo, nella luce incerta di quell’alba invernale. L’aria è satura del sesso che abbiamo fatto a più riprese durante la notte, quando la mancanza l’uno dell’altro che abbiamo sentito in questi mesi andava sfogata in modo degno. I capelli scuri gli incorniciano il viso e gli occhi azzurri - azzurrissimi - sono come due ampolle ghiacciate, ma nelle quali io mi sento bene, al sicuro, e al caldo. 

“Forse perché sono pronto a dire alla mia famiglia chi sono veramente,” rispondo con un sospiro. Sento le mani tremare ed è come se Caleb lo avesse sentito perché le prende e le stringe tra le sue. 

“Nessuno sa nulla, giusto? O si è mai accorto di qualcosa?”

“Lo sa solo Lucy. E per quanto riguarda la seconda domanda, non so dirti: magari qualcuno può essersi accorto di qualcosa, non lo so per certo.”

Caleb annuisce.

“Lucy era a Villa Conchiglia, quell’estate. Abbiamo sempre avuto un rapporto particolare, lei e io. Cane e gatto, eppure parliamo tra noi come con nessun altro. Nemmeno con le mie sorelle ho questo tipo di rapporto.”

“Scusa se ti ho chiesto, è che so così poco della tua famiglia…”

“Hai ragione,” rispondo. Mi porto le nostre mani intrecciate al viso e gli bacio le nocche, delicatamente. “A Capodanno ho qualche giorno libero e pensavo di andare a Londra, visto che Vic ha partorito. Ti va di venire con me?”

Caleb mi sorride. “Certo che mi va. Chissà cosa diranno i tuoi, però…”

“Abbiamo già una Nott5 in famiglia, James ha aperto la via.”

Ridiamo entrambi. Sentirlo ridere è così bello… Non posso credere che, per delle stupide e infondate paure, io abbia rischiato di perderlo. 

“Tutti credono che tu abbia passato il Natale con Lynn6,” riprende Caleb ghignando. 

“Non sei decisamente Lynn,” replico ammiccando, liberando una mano e appoggiandogliela sul sedere. Stringo leggermente. Caleb mi si fa vicino, i nostri corpi a contatto. 

Sospiro. “Ci ho pensato. Voglio che tutti sappiano che ti amo. Questa è la cosa più importante.”

“Louis,” inizia lui, la fronte aggrottata. “Lo sai cosa ne penso. Io ti amo comunque, che tu sia out o no.”

“Lo so, lo so, ma il fatto è che io voglio esserlo. Io voglio che il mondo sappia che sono gay. Sono stufo di essere visto solo come quello muscoloso che corre dietro alle ragazze e ha poco cervello. Voglio essere conosciuto per come sono realmente. Louis Weasley. Omosessuale. Innamorato di Caleb Nott.”

Ci sciogliamo in un sorriso. Davvero è come respirare, parlare con Caleb - amare Caleb. Ed è così necessario, per me, lo è diventato ancor più di qualsiasi altra cosa al mondo. Non posso perdere quest’uomo, non posso lasciare che le mie vecchie paure mi trascinino a fondo. La mia famiglia è la più inclusiva del mondo, so che mi avrebbero amato nello stesso modo in cui mi hanno amato, ma l’immagine che mi è stata costruita addosso a Hogwarts ha come riempito tutto me stesso, soffocandomi, impedendomi di essere reale. Ero un bluff. E io ho contribuito a quel bluff, a tenerlo vivo, non permettendo agli altri di guardarmi negli occhi solo per paura di scoprire tutto quanto. 

“Quindi non hai più rivisto quel ragazzo… Com’è che si chiamava?”

“Non l’ho detto.”

“Ed è un segreto?”

“No, affatto. Si chiamava Bastien. Abitava a Parigi.” 

“Bastien,” ripete Caleb, come a voler assaporare quel nome sulla punta della lingua. “Te lo ricordi ancora.”

“Mi sono comportato da stronzo. Ed è stato lui a farmi capire che ero gay. Tu non ti ricordi il nome della prima persona che hai baciato?”

Caleb ci pensa su, poi scuote la testa. “Dev’essere stato qualcuno di Serpeverde, di più grande… Ricordo che eravamo nascosti da qualche parte in Sala Comune, ma tutto il resto è nebuloso. Non ha più granché importanza. Ne sono venuti molti altri, dopo.”

Alzo gli occhi al cielo. “Certo. E poi tu sei geloso delle ragazze che ho avuto.”

“Io non sono geloso delle ragazze che hai avuto. Forse lo ero all’epoca, ma perché mi piacevi da morire, e allo stesso tempo non ti sopportavo, sai, per via del Quidditch, ed era tutto molto sexy e dannatamente invitante, ma no, ora non sono più geloso di quelle ragazze: so che non avevano alcuna importanza.”

“Invece i tuoi uomini ne hanno avuta.”

“Forse sul momento. Ma nessuno ha mai lasciato il segno nella mia vita.”

“Perché nessuno di quelli ero io.”

È il suo turno di alzare gli occhi al cielo, ora. “Sai che ti amo,” continua. “Anche se sei estremamente petulante.” Mi accarezza la coscia dal gluteo al ginocchio, l’afferra e la solleva per mettersela addosso e incunearsi in mezzo alle mie gambe, i nostri corpi perfettamente allacciati l’uno all’altro. 

“Lo so,” rispondo ridendo. “E so di esserlo. E ti amo perché mi ami per questo.”

Ci baciamo, dapprima lentamente, e poi sempre più voracemente, come se non ci vedessimo e baciassimo da mesi. È sempre così, tra noi.

Finiamo ben presto a strusciarci, le nostre erezioni premute l’una contro l’altra in mezzo ai nostri corpi nudi. 

Lecco via il sudore dalla clavicola di Caleb, dopo - dopo l’orgasmo. E la mia lingua scende sulla sua pelle, a leccare via tutto il resto. 

“Per Salazar,” lo sento imprecare. “Impazzisco quando fai così.”

Mi rialzo e lo bacio sulle labbra. Voglio che senta il suo stesso sapore, il nostro sperma che è diventato uno, voglio che senta sulla punta della lingua cosa significa amarlo e farsi amare da lui. 

“Non vedo l’ora che sia dopodomani.”

Caleb ride nel mezzo del nostro bacio. Gli lecco i denti con la lingua. 

“Dovresti solo pensare ad allenarti, dopo l’ultima batosta che vi abbiamo dato,” ridacchia lui. 

“Allora è per questo che sei qui, per distrarmi…” 

“Vi abbiamo battuto, direi che distrarti ulteriormente non mi serve più, ormai.”

Gli faccio il solletico per vendicarmi, lo soffre terribilmente. Ridiamo come matti. I miei compagni di squadra dalle stanze accanto non possono sentirci perché abbiamo insonorizzato le pareti. Un’idea - geniale - di Caleb. 

“Stai con me solo per farmi fare cilecca sul campo?”

“Consolati sapendo che non hai mai fatto cilecca qui, in camera da letto, amore,” risponde lasciandomi un bacio sul naso. “E comunque no, sto con te perché ti amo. Mi pareva che fosse chiaro.”

Sorrido. “Ti stavo prendendo in giro.”

“Sarà meglio per te.”

“Perché, se no?”

Si tira su improvvisamente e mi butta sul materasso, salendomi sopra senza sforzo. Mi tiene le braccia ferme in alto sopra la testa. 

“Cazzo,” impreco, senza fiato. 

“Già.”

Le sue gambe sono strette intorno ai miei fianchi e mi si preme addosso. Il suo peso è confortante, ma anche terribilmente eccitante. Sono di nuovo quasi duro. 

“Che ne dici?” mi chiede facendo scivolare i fianchi in avanti. Guardo la sua erezione lievitare e questo non fa altro che peggiorare le cose. Deglutisco mentre mi lascia andare e le mie mani sono finalmente libere di toccarlo. “Hai tempo per un altro round?”

“Ho tutto il tempo del mondo,” rispondo prima di attirarlo verso di me e le mie labbra.

 



4. Caleb come Caleb Nott, personaggio di mia invenzione; chi ha letto Death in the Night magari se lo ricorda, l’ho nominato brevemente.
5. 
L’altra Nott in famiglia è proprio Emma Nott: i lettori di The Haunting of Heydon Hall la conoscono bene.
6. Lynn come Lynn Collins, altro personaggio di mia invenzione, figlia di Cho Chang, ormai ex fidanzata di Louis.



Non ho altre particolari note da aggiungere, tranne che il titolo e la citazione arrivano dall’omonima PILLOWTALK di ZAYN.

Spero che questa piccola raccolta vi sia piaciuta. Fatemi sapere - anche su instagram, se vi va: qui.

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