Sotto casa

di liberaurora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sotto casa ***
Capitolo 2: *** Il banchetto improvvisato ***
Capitolo 3: *** Il tempo della distanza ***
Capitolo 4: *** Confessioni in amicizia e cosa bella in amore ***



Capitolo 1
*** Sotto casa ***


Calogiuri era furioso. Quel figlio con Jessica gli era piovuto addosso all'improvviso, ma ormai stava decidendo al posto suo la direzione di tutta la sua vita. Ora, invece, il maresciallo originario di Grottaminarda aveva scoperto che quella creatura nemmeno esisteva e che si era fatto ingannare come uno stupido.
Ippazio era sempre stato un ragazzo mite, introverso, ma quando lo facevano arrabbiare per questioni importanti diventava quasi un'altra persona. Sapeva trasformare il suo fare così pacato in un uragano inaspettato. Proprio a questo aveva pensato Imma quando, un anno prima, nel suo ufficio, il maresciallo aveva perso la pazienza, arrivando ad alzare la voce proprio con lei. «Calogiuri, ma sei impazzito?!» gli aveva domandato, colpita com'era di quanto lui fosse irriconoscibile in quel contesto. Sebbene si fosse dimostrato pronto, come sempre d'altronde, ad assumersi ogni responsabilità a seguito della sua reazione, non aveva tutti i torti nemmeno lui però: credeva di non meritare la fiducia della sua dottoressa. Si era sentito messo da parte: era stato tenuto all'oscuro di qualcosa di davvero rilevante per il suo lavoro, manco fosse l'ultimo arrivato o peggio ancora un estraneo.
Per quanto fosse ormai un giovane uomo e avesse combattuto contro la sua bassa autostima specialmente dopo essere diventato maresciallo, Ippazio restava pieno di insicurezze. Quando i suoi punti fermi crollavano, crollava anche lui, schiacciato dalla scoperta che non sempre i valori in cui aveva creduto appartenevano anche alle persone di cui si era circondato.
Emblematica era stata la discussione avuta con Tataranni per la storia della sciarpa che Bartolini gli prestò per il mal di gola. Che poi, discussione... Era stata palesemente una scenata di gelosia che in fondo un po' gli aveva fatto piacere. Tuttavia, in quell'occasione si era sentito attaccato e giudicato come il peggiore dei doppiogiochisti proprio dalla persona a cui teneva di più al mondo. Quel «e io che mi pensavo che eri il ragazzo di provincia dai buoni sentimenti» lo aveva ferito: quella sfilettata di parole aveva rimesso in discussione tutta la sua persona, smascherandola come si fa con un colpevole dalla faccia pulita, innocente. Peccato che lui innocente lo era davvero e, arrivato al colmo, fu spinto a reagire con forza di fronte a queste calunnie insopportabili. Imma aveva proprio esagerato, e sicuramente se n'era resa conto; ma lui non poteva certo starsene zitto. Fortunatamente, ogni distacco dalla sostituta procuratrice aveva poi l'effetto di un boomerang: con delle basi di incondizionata stima e rispetto reciproci, il loro rapporto non poteva che uscire rafforzato dai rari conflitti da cui ogni tanto era scosso.

Erano ben altri i motivi per i quali il maresciallo si era visto costretto a interrompere legami affettivi. Poche cose detestava come le menzogne e Jessica lo sapeva bene. Nonostante ciò, per un suo tornaconto, lei lo aveva colpito proprio lì dove faceva più male.
Dopo essersene andato da casa di Matarazzo sbattendo la porta, Calogiuri avrebbe tanto voluto che quel gesto avesse rappresentato l'incantesimo necessario a rimuovere dalla sua mente quello sporco inganno. La realtà era ben diversa, purtroppo per lui che, in fondo, ogni tanto, credeva ancora nelle favole. Anzi, si era reso conto, a sue spese, che spesso la realtà è capace di superare la fantasia. Nel bene, ma soprattutto nel male.
Lo stesso accadde quella maledetta sera. Il maresciallo stava correndo via per le strade della città, il più lontano possibile dalla causa della sua infelicità. Non sapeva dove sbattere la testa. Tornare in caserma? Sì, il suo posto era ancora libero, ma non aveva alcuna voglia di dare spiegazioni al comandante. Prendere una stanza in una pensione? Probabilmente sarebbe stato il colpo di grazia definitivo per piombare in una solitudine più vasta del Vallone della Femmina. Da quando aveva saputo della gravidanza di Jessica, infatti, Calogiuri aveva deciso di trasferirsi a casa di lei, lasciando il piccolo appartamento che aveva preso in affitto a Matera in seguito alla soddisfazione di essere diventato maresciallo. Adesso, invece, non aveva un posto in cui tornare, dove potersi rifugiare.
Dopo aver percorso le salite e le discese della città dei sassi, cercando di sfogare tutta la rabbia che aveva in corpo e senza una meta ipotetica né tantomeno precisa, Ippazio si ritrovò nei pressi di una piccola chiesa abbandonata, di fronte alla quale è presente una panchina che spesso, di giorno, ospita gente anziana per una partitella a carte o scambiare quattro chiacchere in compagnia. Intorno a lui c'era un silenzio strano, che non era affatto sinonimo di tranquillità, ma anzi faceva presagire rumorosi cambiamenti.
Proprio quando scelse di dare ristoro almeno al suo corpo sedendosi per qualche minuto sulla panchina, un breve suono acuto uscì dal suo cellulare. Estrasse subito il telefono dalla tasca dei jeans: era un messaggio di Jessica. "Con che coraggio ancora osa cercare un contatto con me?! È proprio vero che non c’è limite al peggio!", reagì Calogiuri, parlando fra sé e sé. Cercò di trattenersi, ma se avesse potuto avrebbe urlato così forte che lo avrebbero sentito fino a Potenza. Per fortuna, gli era rimasto un barlume di saggezza, pure ora che "chiù scur da mezzanott nun pot ess"[1]. Non era certo tipo da disturbare chi stava dormendo nelle vicinanze per via di un suo problema personale, per quanto gigantesco fosse. «Non sono mica irrispettoso, io!» aggiunse poi, questa volta dando voce a quel che pensava. Fu inevitabile per lui paragonare la sua scelta di conservare la quiete nel quartiere con la mancanza di rispetto con cui, invece, era stato trattato da quella che, di lì a poco, sarebbe stata la donna che avrebbe presentato ai suoi genitori e con la quale stava mettendo su famiglia.
Calogiuri fece un respiro profondo, premette il tasto laterale del cellulare per illuminare lo schermo e trovò la forza di aprire la chat: "Ippazio, spero potrai perdonarmi. Ho sbagliato, ma non avevo altra scelta. Prima sei andato via come una furia, senza lasciarmi il tempo di dirti che anch'io ho sofferto e soffro per questa situazione"
Calogiuri si sfogò con se stesso, cedendo al napoletano, che alla fine viene sempre fuori quando raggiunge il culmine delle emozioni: "E certo, soffre anche lei! Ma p' favor, va'!"[2]. Con un livello di masochismo che pochi potrebbero eguagliare, anziché spegnere il telefono una volta per tutte, il maresciallo rilesse freneticamente quelle parole così assurde: "Ma poi ‘non avev[a] altra scelta’?! Ma chest' over fa?!". Stava uscendo pazzo a furia di rimuginare su tutto quanto. Doveva pur sfogarsi, ma, arrivato al limite, Ippazio si rese conto che non avrebbe potuto continuare a farsi del male così.

L'unica era correre dalla sua dottoressa e raccontarle tutto; anche perché era la sola persona con cui Calogiuri poteva davvero confidarsi. I continui spostamenti da una procura all'altra, che avevano caratterizzato soprattutto i suoi primi anni da appuntato, non gli avevano permesso di mettere radici né tantomeno di instaurare legami forti con qualcuno. Certo, poneva contare sui suoi amici d'infanzia di Grottaminarda, ma non era la stessa cosa. Essendo lontani da Matera, il filtro di uno schermo o di una telefonata pesava, soprattutto nei periodi di lunga lontananza dal paese. Sebbene ormai avessero tutti le loro vite, erano sempre riusciti a mantenere i rapporti, ma aveva la possibilità di vederli solo pochissime volte l'anno e questo rappresentava un ostacolo non da poco specialmente quando avevano bisogno l'uno dell'altro a chilometri di distanza.
Il maresciallo, deciso a bussare alla porta della sua unica alleata, si alzò dalla panchina. Riposto il telefono in tasca e ripreso in mano il borsone che si era portato dietro dopo la fuga dall'appartamento di Matarazzo, si avviò. Giunto all'abitazione della pm, gettò uno sguardo verso le finestre per capire se ci fosse ancora qualche luce accesa. Stava per suonare il citofono, ma poi si bloccò, pensando: "E se dovesse rispondere suo marito o sua figlia? Certo, di scuse per chiedere alla dottoressa di scendere ne avrei dato che lavoriamo insieme, ma dopo la faccenda delle foto è meglio evitare di peggiorare ancora di più le cose. E poi stasera ci manca solo che devo dare spiegazioni al signor De Ruggeri". Dato che, quindi, citofonare non era affatto una buona idea, Ippazio decise di chiamare Imma al cellulare: «Pronto, dottoressa? Sono Calogiuri. Scusi per il disturbo... a quest'ora... ma avrei bisogno di lei»
Imma, che aveva risposto dopo nemmeno un paio di squilli, si rese subito disponibile: «Ciao Calogiuri. Non preoccuparti, dimmi tutto»
Ippazio: «Grazie. Veramente preferirei che ci vedessimo... Si affacci: sono sotto casa. Le dispiace scendere? Le giuro che se non fosse importante non mi sarei permesso di presentarmi qui»
Imma, non poco sorpresa, verificò quanto detto da Calogiuri sporgendosi dalla finestra della camera da letto dove si era rifugiata per avere un po' di privacy durante la telefonata. Accettò infine di raggiungerlo e, avvertendo che la voce del maresciallo era parecchio sottotono, cercò di sdrammatizzare: «Figurati! E va bene allora, sto scendendo. Così prendo anche un po' d'aria ché qui a casa spesso mi sento soffocare: troppa famiglia!»
Calogiuri: «Grazie davvero. Non ha idea di quanto mi stia aiutando»
Conclusa la breve conversazione telefonica, Tataranni passò dal soggiorno per avvertire Pietro: «Piè, vedi che sto uscendo. Ho una cosa di lavoro da fare che non può essere rimandata a domani mattina». Suo marito, intento a leggere i fumetti come al suo solito, non ebbe nemmeno tempo di controbattere né di mugugnare un "va bene": quando realizzò che sua moglie gli aveva detto qualcosa, lei era già fuori casa. D'altronde, Imma mica poteva aspettare che quello si destasse dal suo mondo fatto di cowboy e banditi per uscire!
La sostituta procuratrice scese le scale col suo solito passo rapido e deciso. Non sapeva davvero cosa aspettarsi da questo incontro improvviso con Calogiuri, ma si augurò fra sé e sé che davvero avrebbe potuto aiutarlo come lui sperava. Aperto il portone, trovò subito di fronte a sé il suo maresciallo preferito. Ancora non immaginava che quello non era che l'inizio di un incontro a cui avrebbe ripensato per lungo tempo.
 
[1] modo di dire lucano che significa "più scuro di mezzanotte non può essere", proprio a indicare che “peggio di così non può andare”. Conosco la versione siciliana e, immaginando che ne esistesse una simile in Basilicata, ho cercato e riportato quella che ho trovato, sperando sia corretta.
[2] Per questa e per la successiva battuta in napoletano, ringrazio Fiore per la consulenza dialettale.

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Capitolo 2
*** Il banchetto improvvisato ***


Il viso di Calogiuri, dopo tante ore di tensione, alla vista di Imma si distese almeno un po': «Dottoressa... Scusate se vi ho disturbato, ma avevo bisogno di sfogarmi con qualcuno. Sapete, voi siete l'unica persona amica qui a Matera»
Imma, sorridendo alle sue parole e ansiosa di capire il motivo di questa urgenza, senza tergiversare andò dritta al punto: «Ma che ti è successo?! Non ti ho mai visto così affranto»
Calogiuri: «Si vede tanto eh?!»
Imma: «Scusa la schiettezza, ma sembra che ti sia passato addosso un tir»
Calogiuri: «Beh in effetti mi sento così...»
Imma: «O mamma mia, e io che pensavo di aver usato un'iperbole... insomma di esagerare»
Calogiuri, con uno sguardo mesto, la smentì: «Vi assicuro che non è così»
Imma, guardandolo dritto negli occhi, cercò di ottenere una volta per tutte una tanto agognata risposta, implorandolo di spiegarle finalmente il motivo di questa inquietudine: «Sì, però Calogiuri parlami! Non mi fare preoccupare!»
Calogiuri: «Il fatto è che, nell'ultimo periodo, ho vissuto nella menzogna»
Imma: «Ma come... in che senso?»
Calogiuri: «Prima Jessica mi ha confessato che non è incinta. Mi ha mentito per tutto questo tempo e io mi sono fatto prendere in giro come un cretino»
All'udire queste parole, Tataranni sbiancò, pensando fra sé e sé: "Allora finalmente si è decisa a dirglielo, la siciliana! Mo' però con che faccia voglio provare a consolarlo se anch'io sapevo tutto?! Mannaggia a me, mannaggia!"
Sospirò e provò ad affrontare una cosa alla volta. La priorità era offrire supporto a chi non meritava di soffrire così: «Non so che dire... sono senza parole guarda. Arrivare a fare una cosa del genere è veramente crudele. A te poi, che sei la persona più limpida e genuina che conosca».
 
Fino a quel momento, i due erano rimasti a parlare in piedi, nei pressi dell'ingresso di casa De Ruggeri-Tataranni. Una volta compresa la natura della visita di Calogiuri, Imma ritenne più saggio spostarsi. Ci mancava solo che Pietro si sporgesse e facesse storie. Toccandogli leggermente il braccio, Imma invitò Ippazio ad accomodarsi poco distante, così da appartarsi in un punto cieco della via, fuori dal campo visivo di chi si affaccia dall'abitazione: «Senti, ti va se ci mettiamo più in là? Staremo più tranquilli»
Calogiuri: «Va bene, grazie»
Una volta seduti sui gradini della scalinata presente nelle vicinanze dall'albero maestoso che accoglie chiunque arrivi in piazzetta san Giovanni, ci fu qualche attimo di silenzio fra i due. Imma non sapeva cosa dirgli per farlo stare meglio e Calogiuri non voleva rovesciarle addosso tutti i dettagli di quella serata per non apparire troppo melodrammatico. Fu lei a riprendere da dove erano rimasti: «Comunque è stato bello vedere il tuo entusiasmo all'idea di diventare padre. Ora cosa pensi di fare?»
Calogiuri: «Non lo so proprio. Sicuramente non voglio più vedere quella bugiarda. Appena me l'ha detto sono scappato via da casa sua e ho vagato senza meta per tutti i Sassi. Poi mi siete venuta in mente voi, che avete sempre un occhio di riguardo per me»
Imma: «Non meritavi proprio di soffrire così. E riguardo la Matarazzo, sono certa che chiederà il trasferimento immediato, così non dovrai più incontrarla»
Calogiuri: «Lo spero. Pensate che poi Jessica ha avuto pure il coraggio di scrivermi un messaggio per dirmi che anche lei sta soffrendo. Ma vi sembra?! Io al suo posto andrei a nascondermi, altroché»
Imma: «Eh ma sai, non tutti sono come te. Purtroppo c'è gente che non si rende conto del male che fa agli altri». Dopo una breve pausa, la sostituta procuratrice aggiunse: «Ma hai mangiato qualcosa almeno? Scommetto di no»
Calogiuri: «Scommettete bene»
Imma: «Dai, vado su un attimo a prenderti qualcosa»
Calogiuri: «Ma no, non vi preoccupate»
Imma: «Insisto: ho una parmigiana che ti rimetterà al mondo, vedrai!» Notando un lieve sorriso sul volto del maresciallo, commentò: «Oh finalmente sono riuscita a strapparti un sorriso! Ci voleva la parmigiana, ci voleva»
Calogiuri: «Già... Allora grazie della vostra premura».
 
Imma rientrò a casa, non senza prima aver dato un'occhiata alle finestre. Sembrava tutto buio: "Pietro ormai sarà andato a coricarsi, meglio così", pensò. Aprendo la porta attenta a fare meno rumore possibile, Tataranni sgattaiolò in cucina come una ladra e prese tutto ciò che di più buono poté trovare: oltre al piatto promesso al maresciallo, aggiunse al vassoio in legno una bottiglia di vino rosso, del pane col sesamo tagliato a fette e un po' di frutta a scelta. Fortunatamente, riuscì a evitare di rovinare la sua incursione silenziosa: nel trasportare il vassoio con tanto di calici e posate non inciampò né urtò qualcosa facendosi strada nel corridoio. Per tutto il tempo aveva trattenuto il respiro, ed evidentemente aveva funzionato. Questo, tuttavia, non le aveva impedito di usare la testa come una locomotiva: soprattutto mentre ridiscese le scale per raggiungere nuovamente il maresciallo, Imma si domandò quando e come avrebbe dovuto svelargli che lei era già a conoscenza della bugia che lo aveva distrutto. Nonostante ciò, di una cosa era certa: non avrebbe potuto omettergli la verità. Non voleva e non poteva fargli questo. Già sentiva di aver sbagliato per non essersi immischiata dopo che Diana le aveva rivelato quel segreto. In quel frangente, invece, doveva a Calogiuri e a se stessa quell'onestà che tanto li accomunava da sempre. Le rampe di scale, per quanto percorse con maggiore lentezza del solito dato il peso di ciò che trasportava, furono comunque troppo brevi per consentirle di trovare una risposta.
Alla vista di Imma con in mano il vassoio colmo di cibo, Calogiuri esclamò: «Dottoressa, ma quante cose avete portato?! Con questo ben di Dio sembra che stiamo partendo per un picnic!»
Imma, lasciandosi andare a una breve ma non meno fragorosa risata delle sue: «Beh vedo che hai ripreso a scherzare! Questo è un buon segno»
Calogiuri: «Solo merito vostro. Anzi, grazie ancora. Spero di non avervi creato problemi con vostro marito»
Imma: «Dai, smettila di ringraziarmi! E poi guarda, puoi stare tranquillo: quando sono salita Pietro si era già messo a letto e sono riuscita a procurarmi tutto senza problemi»
Calogiuri: «Ah menomale allora»
Dopo aver assaggiato la parmigiana e versato il vino in entrambi i calici, offrendone poi uno alla sostituta procuratrice, Calogiuri commentò: «Buonissima, complimenti! Già l'altra volta avevo capito che con la vostra cucina non si può rimanere delusi, ma oggi vi siete superata»
Imma: «Eh troppo buono. E poi sai, mia suocera non è esattamente dello stesso avviso»
Calogiuri, sorridendo, replicò: «Posso immaginare... Beh io sono di parte, lo sapete. Però è davvero squisita»
Di fronte a quella risposta Imma si trovò quasi ad arrossire, abbassando lo sguardo: "Sapessi quanto sono di parte io, Calogiuri", rispose fra sé e sé. Illudendosi di aver recuperato il suo equilibrio emotivo, proseguì poi: «Mi dispiace che tu debba mangiare così, seduto su un gradino e col piatto sulle gambe. Fosse per me ti avrei fatto salire a casa».
Calogiuri, imbarazzato e lusingato al tempo stesso, le rispose: «No, ma figuratevi. Io lo capisco perfettamente, non sarebbe stato il caso... Sappiate però che mi avrebbe fatto piacere»
Imma gli sorrise e, versando a entrambi dell'altro vino, concluse: «Anche a me Calogiuri... Ma sarà per un'altra volta, dai!»
Ippazio, allungando la mano per prendere una fetta di pane dal vassoio, continuò: «Come potrete immaginare, non avevo proprio fame e mangiare era l'ultimo dei miei pensieri. Con la vostra parmigiana, invece, mi sono dovuto ricredere: mi è perfino tornato l'appetito, sarà che ho percorso come un matto tutta Matera prima di venire da voi».
Imma, indicando la cesta di frutta sul vassoio: «Mi fa piacere. Ah, comunque, come puoi vedere, ci sono un po' tutti i tipi di frutta. Non conoscendo i tuoi gusti, ho preferito abbondare!»
Calogiuri: «Grazie dottoressa, non c'era bisogno. Devo dire che mi piace tutto, ma se dovessi scegliere, per me niente è più dolce delle pesche, soprattutto quelle bianche. Una volta vi devo far assaggiare la marmellata che fa mia madre con le tabacchiere: è la fine del mondo».
Imma lo ringraziò e una parte della sua mente la teletrasportò a quando con quella confettura avrebbe preparato una crostata per il maresciallo: un modo per ricambiare il favore, ma soprattutto per condividere ancora dei momenti con lui davanti a del buon cibo. Man mano che erano entrati in confidenza, ai due era capitato spesso di trascorrere le pause pranzo assieme, anche solo con un panino e una birretta mentre si spostavano da un posto all'altro per le indagini. Imma – e sicuramente lo stesso valeva per Calogiuri – si era resa conto sempre di più che quelli non erano solo dei momenti fra colleghi, bensì rappresentavano piccoli ritagli di leggerezza, lezioni di conoscenza reciproca, tessere di quel mosaico che stavano assemblando giorno dopo giorno senza mai annoiarsi. Pure quella sera, seduti sui gradini come due ragazzini, sebbene le circostanze fossero cupe, Tataranni stava assaporando un'idea di felicità.
 
In seguito, addentando una pesca noce e lasciando, invece, quella bianca a Ippazio, Imma proseguì questa bizzarra conversazione sulla frutta di stagione: «Eh, le pesche so' tutte assai gustose. Dai, anche se ho già cenato ti faccio compagnia con un po' di frutta. Devo però stare alla larga dalle ciliegie sennò finirei col lasciarti solo i noccioli. E invece ci tengo che tu le assaggi: sono di una vecchia amica di mia madre, gliene ha regalato un cestino proprio ieri quando si sono viste e sono spettacolari»
Calogiuri non se lo fece ripetere due volte: «Davvero buone! Sono una tira l’altra!»
Per alcuni minuti rimasero a consumare tutta la frutta presente sul vassoio. Così, senza proferire parola, ma avvolti nei loro pensieri. Entrambi attraversati da preoccupazioni diverse eppure complementari. Ogni tanto, mentre l'altro non se ne avvedeva, uno dei due volgeva gli occhi a osservare l'altra e viceversa. Quanti discorsi silenziosi si erano rivolti da quando si conoscevano! "Mai abbastanza", pensarono. Tuttavia, una relazione per funzionare deve fondarsi sulla comunicazione. Per quanto amassero le vicendevoli radiografie visive, sapevano tutti e due che senza parlare non sarebbero potuti andare lontano.
Intanto, nel portafrutta era rimasta un'unica superstite: un’albicocca. Una volta accortisi della cosa, i due si guardarono per un istante, finché non fu Calogiuri a parlare per primo: «Prego dottoressa, questa la lascio a voi»
Imma: «Ma non fare complimenti, prendila tu!»
Calogiuri, spartendola in due, sentenziò: «Dividiamocela, così siamo tutt'e due contenti»
Imma, allungando la sua mano verso quella di Ippazio per appropriarsi della metà del frutto che le spettava, gli sorrise e lo ringraziò con una dolcezza che solo lui sapeva far emergere: «Beh, grazie allora. Ce ne fossero di persone gentili come te».
 
La sostituta procuratrice, ora che aveva concluso il suo personale banchetto improvvisato con Calogiuri, pensò che era arrivato il momento di riprendere il discorso e di andare fino in fondo, qualsiasi cosa avrebbe comportato. Era consapevole che questo avrebbe significato spezzare l'incantesimo, rovinare quei momenti così intimi e conviviali, ma non poteva fare altrimenti. Rimpiangere di essere rimasta in silenzio anche in quell'occasione sarebbe stato un rimorso che non poteva permettersi. E poi si sa, la verità viene sempre a galla, prima o poi. "Meglio scoprirlo da me che venirlo a sapere da qualcun altro", concluse rassegnata.
Imma: «Allora, come ti senti adesso?»
Calogiuri: «Beh, vorrei dirvi che sono più tranquillo, più sereno, ma la verità è che mi sento ancora troppo arrabbiato e troppo deluso. E ce l'ho pure con me stesso».
Fece una pausa: non era stato facile aprirsi così tanto con qualcuno, lui che era abituato a tenere tutto dentro. Se ci era riuscito, però, era perché non si sbagliava: la dottoressa era l'unica persona che in quel momento avrebbe potuto ascoltarlo senza giudizio, ma anzi accogliendo pure quelle che a lui talvolta parevano lamentele sterili, addirittura infantili. Ippazio continuava a sentirsi comunque in difetto nei confronti della sostituta procuratrice, perciò volle nuovamente sottolineare quanto avesse apprezzato la cena che Imma gli aveva offerto: «Certo, la vostra parmigiana è stata 'na mano santa, però non riesco a perdonarmi per essere stato così ingenuo».
Imma provò a sdrammatizzare, conscia del fatto che difficilmente sarebbe riuscita nel suo intento: «Forse il vino non è stato sufficiente... vuoi farti un altro goccetto?»
Il maresciallo si sforzò di ridere alla domanda scherzosa della dottoressa, ma in cuor suo continuava a sentire un peso che in quel momento temeva non l'avrebbe più abbandonato. Si sa, quando succede qualcosa di spiacevole, si tende a ingigantire tutto quanto. Figuriamoci quando accade a persone profondamente sensibili come Ippazio Calogiuri. Razionalmente sapeva che il suo rapporto con Jessica era comunque finito, per non dire che non era mai iniziato; tuttavia, si incolpava di non aver avuto abbastanza coraggio per affrontare la situazione prima che precipitasse, per essersi fatto trascinare in una storia non corrisposta e per giunta facendosi ingannare fino alla fine. Sapeva di doversi assumere delle responsabilità per quel bambino, ma aveva agito come tutti si sarebbero aspettati da lui, seguendo un percorso già tracciato da un modello vecchio stampo di famiglia nucleare: padre, madre e figlio. Pazienza poi se l'insieme di questi tre elementi non corrispondeva alla felicità. Forse, se avesse rivelato a Jessica che il loro era sempre stato un rapporto a senso unico, le cose sarebbero andate diversamente. Bugia o non bugia, lui avrebbe potuto fare la cosa giusta – prendersi cura di suo figlio assumendosi tutti i doveri del caso e amandolo incondizionatamente –, ma anche la cosa bella – essere libero di amare senza riserve, aprendo il suo cuore fino in fondo alla donna per la quale realmente prova sentimenti profondi, e non rassegnarsi a rinunciare a Imma perché la "vampira siciliana" lo aveva preso per sfinimento e convinto di qualcosa che non esisteva. Tutti questi pensieri gli davano l'impressione di star procedendo in un labirinto senza pareti[1].
Calogiuri sentì il bisogno impellente di un conforto fisico e, cercando di superare l'imbarazzo, domandò alla donna: «Dottoressa, vi posso chiedere un abbraccio?»
Imma non se lo fece ripetere due volte. Non solo per ciò che provava per lui, ma anche perché le mancavano i loro abbracci e perché pure lei nutriva lo stesso bisogno. Allargando le braccia verso di lui, gli rispose: «Certo Calogiuri, vieni qui».
Non esiste un orologio in grado di calcolare la durata di quell'abbraccio. Le unità di misura che l'essere umano utilizza per registrare il tempo si mostrarono in tutti i loro limiti. Questo fu il pensiero di entrambi, perché un abbraccio così profondo non se l'erano mai scambiato, come dimostrarono i loro occhi chiusi dall'inizio alla fine. Sebbene a un certo punto le loro braccia si allontanarono, quell'abbraccio continuò a tenerli uniti come un filo invisibile che aveva cucito i loro due cuori inesorabilmente. Fu questo a salvarli in quel momento, ma soprattutto poco dopo, quando la conversazione avrebbe preso una piega che Imma temeva, ma che, ancor peggio, Ippazio non si aspettava minimamente.
 
[1] Espressione stupenda presente nella canzone Una chiave di Caparezza.

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Capitolo 3
*** Il tempo della distanza ***


Sciolto l'abbraccio, Imma si allontanò leggermente dal maresciallo. Un gesto quasi impercettibile, ma che significava l'inizio di un rituale che precedeva l'imminente tempesta. Non se la sentiva più di stargli così vicino, non dopo il gesto che si erano scambiati e non adesso che era sul punto di far precipitare tutto. Creata, dunque, una piccola distanza fra i loro corpi, approfittando del silenzio intorno, si decise a parlare. Alzò lo sguardo al cielo, come a voler trovare una forza che non aveva o a sperare che le cose si sarebbero poi aggiustate, nonostante tutto. Fece un respiro profondo e poi annunciò: «Senti Calogiuri, è giunto il momento che ti riveli una cosa».
Ippazio non sapeva proprio cosa aspettarsi, ma il suo lato da sognatore lo portò a sperare che forse quell'abbraccio aveva finalmente dato il La a Imma per confessargli che anche lei lo amava. Quello che scoprì nel giro di pochi istanti fu tremendo da ascoltare e da accettare, anche perché era lontano anni luce dall'idea che lui si era fatto.
Imma: «Senti, io lo so che quello che sto per dirti non ti piacerà. So anche che in questo momento meriteresti di dimenticare, non di aumentare la tua delusione verso chi ti circonda, però...»
Calogiuri sbiancò e balbettando le chiese: «Scusate dottoressa, cosa state cercando di dirmi?»
Imma, arresa all'idea che ormai i preamboli erano finiti e che non poteva più tornare indietro, pronunciò tutto d'un fiato: «Il fatto è che io, in realtà, sapevo già che quella di Matarazzo era tutta una bugia. Scusami se non te l'ho detto prima, ma era una questione troppo personale e non spettava a me farlo».
All'udire quelle parole, Calogiuri indietreggiò, aumentando la distanza che già Tataranni aveva creato fra di loro. Il suo viso si fece scuro e si tinse di stupore misto a profonda delusione. Poi, alzando il tono di voce, espresse tutta la sua incredulità che già si stava trasformando in rabbia e soprattutto in disillusione: «Ditemi che è uno scherzo. Di pessimo gusto, ma solo uno scherzo!»
Imma, dato che la frittata era fatta, sapeva che in quel frangente ogni tentativo di scusarsi sarebbe stato vano. Tuttavia, volle comunque provarci: «È tutto tristemente vero. Come vedi non sono perfetta come pensi, anzi. Avrei dovuto dirtelo appena l'ho scoperto, e invece come una stupida mi sono fatta gli affari miei e così ti ho ferito, ti ho deluso».
 
Mentre affrontava quella discussione, la sostituta procuratrice si sentiva come in apnea. Dal canto suo, Calogiuri rimase impietrito. Dopo l'iniziale reazione, la sua mente non riuscì a formulare alcuna parola, affollata com'era dalle frasi che aveva appena sentito pronunciare dalla persona di cui più si fidava.
Imma, vedendolo così atterrito, non poté fare a meno di maledirsi ancor di più per quello che aveva, o meglio non aveva, fatto. Una lacrima le scese dall'occhio sinistro. Specularmente, il volto di Calogiuri fu presto attraversato da due corsie d'acqua salata, sgorgate dopo una breve sosta nel bacino dei suoi occhi azzurri. I suoi respiri si fecero più profondi, affannati. Il linguaggio del corpo sa essere lapalissiano, specie quando le parole sembrano bloccate in gola e non riescono a venire fuori. Strofinandosi le mani sul viso, il maresciallo non provò nemmeno ad asciugarsi le lacrime: il suo era più un tentativo di cancellare quanto successo quell'intera sera, così che, quando avrebbe liberato il volto dalla presenza delle sue mani, tutto sarebbe stato diverso.
La dottoressa Tataranni non sapeva proprio come comportarsi: non era certo nata ieri e spesso era riuscita ad affrontare come una leonessa criminali e malavitosi; eppure, quando si trattava di far fronte a situazioni delicate e personali, si sentiva indifesa, sguarnita, impotente. Le succedeva in occasione delle litigate con Pietro, degli scontri con sua figlia Valentina, delle discussioni con Diana e ora con Calogiuri. "Sono capace solo a fare disastri, a trattare male le persone a cui voglio più bene", pensò rimproverandosi per tutti i fallimenti da lei collezionati in campo relazionale.

Nel frattempo, Ippazio si era reso conto che quello che aveva appena vissuto non era solo un brutto sogno. Dopo tanto rimuginare, volle capire meglio l'origine di questa bugia, perciò domandò a Imma con fare stizzito: «Levatemi una curiosità: voi come l'avete scoperto? Non credo ve l'abbia detto Jessica personalmente, o sbaglio?!»
Imma: «In effetti no. Diana si è fatta sfuggire qualcosa riguardo una sua conversazione con Matarazzo e allora io a quel punto ho insistito per sapere tutto»
Calogiuri: «Ah perfetto, quindi pure la signora De Santis ne era a conoscenza e io invece ero l'unico cretino a non sapere niente!»
Imma fu capace solo di sussurrare «Mi dispiace», per poi ripiombare a fissare il vuoto, in silenzio.
La mente del maresciallo gli concesse una pausa dal replay infinito di quanto successo in quelle ore, infliggendogli però un'ulteriore coltellata: quanto era stato stupido a sperare che lei gli avrebbe confessato i propri sentimenti per lui! Quasi senza accorgersene, si ritrovò a verbalizzare, seppur in maniera vaga, questa illusione: «E io che pensavo...»
Imma si destò dalla sua disperazione, tentando di cogliere nella voce di Ippazio un segnale di apertura nei suoi confronti: «Cosa?!»
Calogiuri si mostrò però reticente: «Niente, lasciate perdere».
Seguirono altri minuti di silenzio, ma più rumorosi del vociare di Ballarò a mezzogiorno.

Fu nuovamente Calogiuri a infrangere quel tacito caos. Ciò che disse fu tremendo per lui da pronunciare, ma per la dottoressa risultò altrettanto straziante da ascoltare: «Ora sì che sono davvero solo».
Imma istintivamente afferrò il braccio del maresciallo e lo guardò fisso negli occhi, venendo meno ai suoi propositi di mantenere qualche distanza in più: «Ti prego di perdonarmi. Non ora, perché sarebbe impossibile per chiunque, ma spero che questo mio errore non rovini tutto per sempre. Sai quanto tengo a te».
Calogiuri si scostò, ma non prima di cadere nella trappola delle pupille della donna che aveva di fronte. Fu più forte di lui, ma non fu sorpreso dal fatto che la rabbia non avesse oscurato totalmente i suoi sentimenti per Imma né la tentazione di ricambiare intensamente l'incontro dei loro occhi. Non stava mica recitando, magari! Così almeno avrebbe semplicemente potuto seguire una sceneggiatura sapendo di avere già una strada tracciata verso l'epilogo. Invece gli toccava affrontare due bugie in un colpo solo, una delusione inaspettata che aveva gettato un'ombra sul suo amore per la dottoressa e per giunta non sapeva nemmeno dove trovare una sistemazione decente in fretta e furia.
D'un tratto, però, gli venne in mente l'unica strada da lui percorribile per il momento: partire.
Nonostante tutto, non volle lasciare la sostituta procuratrice senza una parola e volle anticiparle quello che poi avrebbe comunque saputo una volta rientrata in procura l'indomani. «Vi saluto, domani stesso parto col primo volo», disse Ippazio senza indugi e senza specificare altro.
Imma rimase spiazzata e l'unico pensiero che riuscì a formulare fu: «Ma come?! Tornerai?»

Il maresciallo non fece l'errore di Orfeo, o forse non fu capace di imitarne il coraggio: non si voltò a dare un ultimo sguardo alla sua amata. Proseguì dritto, col cuore in frantumi, ma deciso a lasciarsi alle spalle quella serata così singolare e tempestosa, certamente inaspettata.
Giunto a una distanza sufficiente affinché Imma non lo potesse vedere né sentire, estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e cercò un numero preciso sulla rubrica: «Pronto Domenico? Ciao, come stai? Senti, la tua proposta è ancora valida?»

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Capitolo 4
*** Confessioni in amicizia e cosa bella in amore ***


La mattina seguente, Imma si svegliò a fatica dopo una notte quasi completamente insonne. Fece colazione solo con un caffè forte, evitò più del solito ogni interazione con Pietro e Valentina e si trascinò in ufficio. Per fortuna quel giorno non si prospettava particolarmente impegnativo: nessuna udienza né indagine in vista. Chi incontrava incontrava, la dottoressa Tataranni ostentava la sua solita sicurezza: non voleva rischiare che qualcuno si accorgesse della sua faccia tutt'altro che riposata e del suo umor nero. Quando si imbatté in Moliterni, la pm si sforzò, con una forza ancora maggiore, di fingere che fosse tutto come al solito: "Ci manca solo che diffonda qualcuno dei suoi pettegolezzi" pensò, conoscendo la lingua lunga di Maria.
Giunta in ufficio, trovò ad attenderla la cancelliera. Spalancata la porta con la sua consueta delicatezza, Imma si precipitò verso la sua scrivania e urlò: «Dianaaaa!!! Novità?»
Diana, pur essendo ormai abituata ai modi di fare dell'amica, non mancò di farle notare che, pur avendo appena messo piede in ufficio, non era stata sua premura salutarla: «Buongiorno anche a te, Imma»
Dal canto suo, la dottoressa Tataranni si era resa subito conto di essere stata come sempre scortese, e così provò goffamente a rimediare: «Diana scusami, ma oggi ti conviene starmi alla larga perché non è giornata»
Diana: «Allora sarai felice di sapere che novità non ce ne sono»
Imma, borbottando: «Felice è un parolone...»
Diana, avviandosi verso la sua postazione: «Va bene, se hai bisogno di me sai dove trovarmi»
La prima ora passò celermente e senza che Tataranni davvero se ne accorse. La sua mente, affollata da mille interrogativi, continuò a ripensare alla sera precedente e alla partenza del maresciallo. Imma alternò la smania di andare avanti e indietro per la stanza agli sguardi nel vuoto, l'accasciarsi sulla scrivania poggiando la testa sulle braccia incrociate e il controllare costantemente il cellulare sperando in un segnale da parte di Ippazio.
Tutti in procura pensavano che Calogiuri se ne fosse andato per via di Jessica: ormai si era sparsa la voce della loro storia finita male con in mezzo una finta gravidanza. Solo Imma, tuttavia, sapeva che in realtà anche lei aveva contribuito alla decisione del maresciallo. Tutta la mattina non fece altro che crogiolarsi per il fatto di essere stata la causa del suo allontanamento, oltre a chiedersi se e quando sarebbe tornato.
Dato che tutto sembrava essere sospeso in una calma fin troppo piatta, la dottoressa Tataranni decise di farsi del male ancora di più infliggendosi il supplizio, in quel che rimaneva di quella giornata così vuota, di occuparsi delle scartoffie burocratiche solitamente lasciate indietro perché c'era sempre qualche altra priorità.
Saltò perfino il pranzo talmente non aveva fame. La cancelliera, però, rientrata dalla sua pausa, dopo tutta una mattinata trascorsa senza disturbarla come voleva lei, volle tentare di entrare nell'ufficio dell'amica per sapere se avesse mangiato o comunque se avesse bisogno di qualcosa. Provò a bussare, ma dall'altra parte sentì solo silenzio. Allora, quasi in punta di piedi, aprì la porta e di fronte a sé riuscì a intravedere qualche riccio rosso della dottoressa spuntare da dietro la pila di faldoni: «Imma! Allora ci sei! Scusami, vedo che sei molto impegnata... Volevo solo sapere se vuoi che ti porto qualcosa per il pranzo o se posso fare qualcosa per te. È tutta la mattina che te ne stai chiusa qui, tutta sola»
Imma: «E chi ha fame?? Guarda Diana, io ti ringrazio, ma non ho bisogno di niente»
Diana: «Imma, ma non è da te. È successo qualcosa? A me puoi dirlo, lo sai»
Imma: «È successo che vorrei essere lasciata in pace, chiedo troppo??»
Diana: «No no, figurati. Scusa se mi preoccupo per te eh!»
Tataranni si rese conto nel momento stesso in cui stava parlando di stare trattando male, per l'ennesima volta, l'unica persona che teneva a lei lì dentro e forse pure fuori. Ciò non le impedì di risultare scontrosa e di ottenere solo di rimanere nuovamente l'unico elemento umano nell'ufficio, che ormai era più abitato da pensieri che da faldoni. Diana, in effetti, sentita l'ultima risposta dell'amica, girò i tacchi e si ritirò alla sua scrivania, chiudendo la porta dietro di sé.
Verso le quattro del pomeriggio, Imma mise fuori il naso dall'ufficio approfittando di un momento di quiete nei corridoi, così da non imbattersi in nessun altro essere umano, per andare a prendersi un caffè. Rimessasi al lavoro con le scartoffie, si accorse che in un fascicolo mancava un documento: «Dianaaaa!!!»
La cancelliera si precipitò da lei spalancando di corsa la porta: «Dimmi Imma, che c'è?»
Imma: «Dove diavolo è finita la denuncia di scomparsa di Rita Manicone?»
Diana: «E mamma mia, c'era bisogno di urlare così?! Io mi pensavo che era successo chissà cosa di grave!»
Imma: «Perché, non ti sembra grave disperdere chissà dove elementi chiave di un'indagine?»
Diana: «Hai ragione, vado subito a controllare nel fascicolo delle fotocopie, forse è rimasto lì per sbaglio»
Imma: «Ecco brava, vai a controllare e vedi di non tornare a mani vuote!»
Dopo nemmeno cinque minuti, De Santis riapparve da Tataranni cantando vittoria: «Eccolo! Come pensavo, era rimasto conservato lì»
Imma: «Meglio così, però può essere mai che in questa procura ci sia sempre tutto questo disordine, questo pressappochismo??»
Diana: «Scusami, la prossima volta starò più attenta. Però non è che se la procura è disorganizzata è tutta colpa mia eh!»
Imma: «Non volevo dire questo»
Diana: «Non sembrava». Osservando il volto triste, quasi rassegnato di Imma, aggiunse: «Dai, anche questa volta ti perdono».
Tuttavia, ciò non bastò a risollevarle il morale. La cancelliera decise allora di prendere una sedia e di sedersi accanto all'amica: «Ma mi vuoi dire che hai oggi? Sei intrattabile, ma soprattutto pari triste triste, con lo sguardo spento...»
Imma a quel punto crollò, appoggiando la testa sulla spalla di Diana: «Hai ragione, scusami. Sono più insopportabile del solito»
Diana, pensando inizialmente al fatto che la causa fosse quel giorno così privo di indagini e ricco di noia, le rispose: «Forse saranno tutte questi documenti a irritarti, lo capisco bene»
Imma: «No, non c'entra. Anzi loro sono la punizione che mi merito»
Diana non riusciva a comprendere cosa volesse intendere e, con aria interrogativa, reagì domandando: «Ma in che senso?»
Dopo aver unito mentalmente i puntini, però, si staccò dall'amica, strinse con le mani le sue spalle come a scuoterla e la guardò in faccia sgranando un po' gli occhi, oltre che aumentando il tono di voce: «Non è che c'entra qualcosa la partenza di Calogiuri?»
Imma a quel punto si arrese: «È colpa mia se è partito e forse l'ho perso per sempre»
Diana allora cercò di capirci di più: «Ma scusa, non è andato via per via di Jessica?»
Imma: «Questo è quello che pensano tutti, ma non è così, fidati»
Diana: «Tu che c'entri allora?»
Imma: «Lascia perdere Diana, è complicato da spiegare»
Diana: «E che problema c'è? Abbiamo tutto il tempo»
Imma: «Ma non era meglio quando ti mettevi a fare yoga anziché consolare un'amica ingrata come me?!»
Dopo aver svelato alla cancelliera, non senza imbarazzi e titubanze, il segreto di Pulcinella sul sentimento fra lei e Ippazio, Imma si fece promettere di non parlarne con nessuno, «nemmeno col pesce rosso che tu e Manolo avete vinto al Luna Park, è chiaro?».
Diana, dal canto suo, non sapeva cosa consigliare all'amica e l'unica cosa sensata che le venne in mente fu: «Vedrai, Imma, che Calogiuri tornerà prima di quanto pensi e una volta qua vi chiarirete una volta per tutte».
A fine giornata, osservando i tre faldoni ancora intonsi sulla sua scrivania, la dottoressa Tataranni dovette rendersi conto che non era riuscita portare a termine nemmeno il tentativo di avvantaggiarsi in un'attività così noiosa. Chissà poi se e quando l'avrebbe ripresa...
Uscendo dalla procura dopo quella giornata campale, si imbatté in Porzia che, accorgendosi del tono spento e poco socievole del saluto della pm, le disse, mostrando di aver intuito il suo malumore: «Ma che avete oggi? Calogiuri non c'è e voi state così giù?». Imma ebbe giusto la forza di replicare con un «Porzia, per favore, non ti ci mettere pure tu».
Rientrata a casa, filò dritta in camera da letto, si spogliò e si preparò un bel bagno caldo. Tuttavia, il pensiero costante su Calogiuri (dov'è, che fa, mi perdonerà, tornerà) le impedì di godersi appieno la pace di avere la casa tutta per sé.
 
***
 
Ippazio intanto, atterrato a Berlino alle otto di mattina, prese un treno e poi un autobus fino ad arrivare all'indirizzo che si era appuntato quando il suo caro amico Domenico, qualche mese prima, si era trasferito lì per lavoro. Da tempo lo invitava ad andarlo a trovare, ma per un motivo o per un altro Calogiuri non ci era mai riuscito. Così, approfittando della situazione burrascosa appena vissuta, il maresciallo sfruttò le ferie maturate per stare lontano da Matera e da Imma. Giunto nel bilocale dell'amico di sempre, i due si abbracciarono e Domenico si avvalse del pomeriggio libero per mostrare a Calogiuri la città. Rientrati a casa, non poté più trattenersi dal domandargli il vero motivo della sua visita: «Ippà, sono contento che Berlino ti sia piaciuta e che mi sia venuto a trovare finalmente, ma ora mi vuoi dire perché sei partito proprio adesso?»
Calogiuri: «Hai ragione, non è stato un caso se sono... scappato qui proprio in questi giorni. Anzi, speravo di poterti parlare di questa situazione... particolare»
Domenico: «Qua sto!»
Ippazio non si risparmiò nel raccontare ogni cosa, svelando le recenti bugie che lo avevano ferito, ma anche il suo amore per la dottoressa e il fatto che pure lei ricambierebbe.
Domenico, ascoltata attentamente tutta la storia, non poté fare a meno di pensare al bene dell'amico: «Ma tu ancora qua stai?! Cosa aspetti a tornare a Matera e a dirle tutto? Da quanto tempo ci conosciamo io e te? Ecco, bravo, da sempre. Ebbene, è la prima volta in tutta la mia vita che ti sento parlare di una persona con così tanta luce negli occhi. Ippà, prendi un aereo e torna dalla tua fonte di felicità. Te lo meriti, hai sofferto tanto. E lascia stare l'orgoglio: in cuor tuo l'hai già perdonata. Ora è solo questione di ammetterlo a te stesso. Lasciatelo dire da chi aveva trovato l'amore, ma poi se l'è lasciato sfuggire per mancanza di coraggio. Te la ricordi Marianna? Quanto sono stato male quando ho saputo che si era fidanzata, dopo tanto tempo che io non riuscivo mai a confessarle i miei sentimenti! Vuoi fare la mia stessa fine? E fregatene dell'età, della gente. Se per te, per voi non è un problema, non lo dev'essere neanche per gli altri. Qua a Berlino è normale che le donne abbiano relazioni con uomini più giovani e anzi spesso finiscono con l'essere rapporti pure più duraturi. È vero, questa Imma è ancora sposata, ma non è detto che sarà così per sempre. Se c'è anche solo una piccola possibilità che anche lei voglia essere felice con te, coglila! Insieme affronterete tutto».
Di fronte a quel discorso così ricco di affetto e speranza di Domenico, Calogiuri quasi si commosse pensando a tutto quello che stava perdendo, perciò innanzitutto ringraziò chi gli stava ricordando cosa contava davvero: «Grazie amico mio!»
Domenico: «E di che?! Sennò che ci stanno a fare gli amici? Oh, e se proprio dovesse andare male, sappi che troverai sempre una spalla su cui piangere... anche se a 1800 chilometri di distanza!»
Calogiuri: «Grazie di cuore fratello. Statti bene nella fredda Berlino e promettimi di non pensare più a ciò che hai perso. Sei in una grande città, sono sicuro che, quando meno te lo aspetti, troverai di nuovo una persona per cui valga la pena sorridere»
Domenico: «Speriamo. Fai buon viaggio e in bocca al lupo! Poi chiamami, così mi racconti! E mi raccomando: alla prossima occasione vienimi a trovare con la tua dottoressa, ci conto! Questi pochi metri quadri sapranno accogliervi in qualsiasi momento»
Calogiuri: «Domè, tu sei una garanzia. Grazie per l'invito, intanto ci vediamo per Natale a Grottaminarda»
Domenico: «Fatti abbracciare! Ci sentiamo, a presto!»
Calogiuri, ricambiando affettuosamente l'abbraccio: «A presto e grazie ancora»
 
*** 
 
Imma e Calogiuri ebbero finalmente modo di rivedersi due giorni dopo il loro momentaneo allontanamento. Fu Calogiuri a fare il primo passo, d'altronde era stato lui a partire e ora che era tornato non aveva più intenzione di perdere nemmeno un minuto senza parlare con la sua dottoressa. Erano circa le otto e venti, Imma era appena uscita di casa per andare in procura e Matera iniziava a popolarsi di persone in varie faccende affaccendate. Quando non passava Calogiuri a prenderla in macchina, Tataranni se la faceva a piedi: o con lui o niente, hai voglia che ogni tanto qualche agente le domandava se avesse bisogno di un passaggio.
Quella mattina sembrava iniziata col piede giusto, nonostante tutto: sebbene Imma fosse ancora tormentata all'idea di non avere notizie del maresciallo, era decisa a non lasciarsi abbattere e quasi fiduciosa che tutto quello che era successo avrebbe trovato un suo senso, presto o tardi. Probabilmente sfogarsi con la sua amica Diana le aveva fatto più bene di quanto immaginasse e volesse ammettere, quasi rimpiangeva per non averle rivelato prima la natura del suo rapporto con Ippazio.
Ebbene, mentre coi suoi tacchi leopardati solcava le vie della città, la pm fu improvvisamente fermata da un'auto familiare.
«Mi scusi, saprebbe indicarmi la strada per la procura? Avrei bisogno urgente di parlare con la dottoressa Imma Tataranni, la conosce?!»
Imma non poteva credere ai suoi occhi: era Calogiuri, in carne e ossa, che, avvicinatosi, abbassò il finestrino, si tolse gli occhiali da sole scuri e, scherzosamente, si rivolse a lei fingendo di chiedere informazioni. L'inevitabile reazione di Imma non si fece attendere. Con un sorriso grande grande, a metà fra il divertito e l'estasiato, esclamò: «Calogiuri!»
Ippazio allungò il braccio per aprirle la portiera, invitandola a salire: «Prego dottoressa, salga. Vengo direttamente dall'aeroporto...»
Nemmeno il tempo di fargli concludere la frase che Imma intuì le intenzioni del suo maresciallo. Prese il telefono dalla borsa, salì in auto, chiuse la portiera e compose il numero della cancelliera: «Pronto Diana? Senti, oggi non contare su di me. Ti affido il mio ufficio, mi raccomando... Non fare domande, poi a tempo debito ti dirò... A domani... forse»
Chiusa la telefonata, la dottoressa rivolse un sorriso complice a Ippazio, che ricambiò con uno sguardo finalmente di nuovo luminoso, tutt'altra cosa rispetto a quello che aveva velato il suo volto quella sera. Imma non fu sfiorata nemmeno per un istante dall'idea che si stesse illudendo: sapeva che molto presto si sarebbero confrontati e già sognava quando, ma soprattutto come, si sarebbero completamente riappacificati. Dal canto suo, Calogiuri fremeva all'idea di essere onesto nelle questioni di cuore con lei.
Giunti a destinazione, la donna fu meravigliata del luogo verso cui il maresciallo aveva guidato: «Ma dove mi hai portata?! Non ci credo che siamo di nuovo qua».
«Beh, andare in quel ristorante dove cenammo a Roma e in poco tempo mi sembrava un po' troppo complicato, così ho scelto di fare in modo di ritrovarci qui, dove abbiamo lasciato incompiuto qualcosa di molto importante».
Ippazio aveva condotto l'auto fino al passaggio a livello più famoso della storia dopo quello del film "Non ci resta che piangere".
Scesero dalla macchina, lasciando le portiere aperte. Dopo qualche istante di silenzio in cui si sentiva solo il brusio di qualche insetto e il tamburo dei loro cuori, Imma cercò di accelerare i tempi, ansiosa com'era di scoprire cosa si sarebbero detti: «Allora, questa volta non c'è bisogno che ti chieda "perché sei scappato di punto in bianco": so bene che è stata colpa mia e ci tengo a chiederti scusa»
Calogiuri sorrise: «Non vi preoccupate, anzi vi ringrazio per avermelo confessato. Avreste potuto tenervelo per voi. Alla fine sono scoppiato più per la bugia di Jessica che non per la vostra omissione»
Imma abbozzò una risposta consolatoria, non senza un velo di tristezza; scelse infatti di non includersi nemmeno verbalmente nella visione di futuro che prospettava per lui: «Posso capire come ti senti. Ma non disperare: sei giovane, vedrai che riuscirai a trovare una ragazza sincera»
Calogiuri, invece, la coinvolse eccome. Senza indugi, deciso come forse non era mai stato, replicò: «Ma io non voglio solo una ragazza sincera. Io voglio stare con la donna che amo. Io voglio stare con te, Imma»
Il cervello della dottoressa andò in tilt: aveva davvero sentito quella frase o era frutto della sua immaginazione?! La prima cosa che le venne in mente fu reagire con una battuta, come aveva fatto dopo aver ascoltato la dichiarazione del maresciallo alla festa della Bruna: «Vedo che ora sai bene come essere onesti nelle questioni di cuore».
Deglutì, cercando invano di calmare il suo respiro sempre più affannato. La salivazione azzerata si accompagnava in quel momento al tentativo di concedersi una breve pausa dallo sguardo magnetico di Calogiuri. Recuperate a malapena le forze, si appoggiò all'auto e si decise a rispondere più seriamente: «Allora sarò onesta anch'io. Non sono brava come te con le parole. Dichiarare a voce i miei sentimenti non è mai stato il mio forte. Preferisco agire, comunicare coi gesti. Ma una cosa voglio dirtela: io ci tengo a te. Tanto. Ed è per questo che non voglio essere la causa della tua infelicità»
Calogiuri riuscì a cogliere in quelle parole, che apparentemente sembravano segnare una distanza, lo stesso sentimento che lui provava da tempo. Contemporaneamente, però, non volle accettarle completamente: «La mia infelicità? Sapete che cos'è che mi rende infelice? Dovermi accontentare di fare la cosa giusta e non la cosa bella»
Imma: «Senti Calogiuri, ma onestamente, io e te che possibilità avremmo? Tu meriti di assecondare il desiderio di formare una famiglia con una persona che può condividerlo con te. Io che c'entro in tutto questo? Finirei con l'ostacolare la tua volontà, ed è l'ultima cosa che voglio»
Calogiuri: «Ma io questo lo capisco e vi... ti fa onore. Però tutti questi mesi in cui abbiamo cercato di stare distanti lo sai cosa abbiamo ottenuto?! Abbiamo ottenuto di essere infelici in due, accettando passivamente relazioni nel mio caso mai iniziate e nel tuo caso, invece, scusate se mi permetto, ormai al capolinea. Non pensi sarebbe ora di provare a essere felici insieme, anziché tristi e lontani? Se vorrai potresti essere tu la mia famiglia, anche perché in fondo lo sei da sempre»
Ippazio afferrò il braccio di Imma e, con un gesto della mano, fece come per consolarla. La dottoressa stava attraversando un vortice fortissimo di emozioni contrastanti, che da un lato la facevano sentire felice e amata finalmente, ma dall'altro però le ricordavano che quell'idea di felicità era troppo irrealizzabile e forse nemmeno degna di meritarsela.
Calogiuri riuscì a cogliere questo suo spaesamento e provò a dargli ascolto: «Imma, di cosa hai paura?»
La dottoressa si lasciò andare a un'esclamazione del pensiero, ma poi tornò cupa: «È così bello sentirmi dare del tu da te! Senti, proprio perché mi sono ripromessa di non negare più l'evidenza voglio dirti che... che ti amo, ma che ho paura che questo non possa bastare»
All'udire queste parole, il maresciallo si rispecchiò intensamente nelle pupille di Imma e avvicinò le labbra alle sue, che le accolsero con trasporto. Il loro bacio fu così appassionante che sembrava che le loro bocche fossero sempre state abituate a muoversi all'unisono, come se non avessero mai fatto altro. Allo stesso tempo, l'urgenza della loro mescolanza appariva come una promessa: "non lasciamo che passi così tanto tra un nostro bacio e il successivo. Non possiamo più permettercelo"
Creato nuovamente un seppur minimo spazio interpersonale, Calogiuri sospirò a pieni polmoni, sorridendo come non mai e prendendo le mani di Imma tra le sue: «Non sai quanto ti amo io. Lascia che te lo dimostri passo passo, lasciati coccolare da questo nostro legame. Te lo meriti, ce lo meritiamo» Accarezzandole la guancia, le donò il suo sorriso: «E non temere: qualsiasi cosa accadrà la affronteremo insieme»

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