Per il tuo bene

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'anello ***
Capitolo 2: *** Devi sapere che… ***
Capitolo 3: *** Per il tuo bene ***
Capitolo 4: *** Pezzo per pezzo ***
Capitolo 5: *** Primo appuntamento ***
Capitolo 6: *** Nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** L'anello ***


Salve gente! Sono tornata :D Sto giro vorrei proporvi una breve ff, con altrettanti brevi capitoli. La storia prende il via da... ma, aspettate un momento, mica ve lo posso dire subito? Leggete e vedrete.
Niente di nuovo, però, sotto il sole rovente di questa estate'23
Con affetto
Eleonora





Cap. 1 L’anello
 
Era quasi l’alba quando Ryo rientrò a casa.
E lo fece in maniera furtiva, come se temesse di essere beccato dalla sua socia, anche se…
Non era la prima volta che succedeva di fare le ore piccole, anzi, era la regola, quella, e raramente lei lo aveva aspettato alzata, facendogli una ramanzina per il suo rientro a notte inoltrata.
Kaori ci aveva provato, qualche volta, ma non potendo esternare la sua immensa gelosia – peraltro ingiustificata, e infondata, visto come lui si stava comportando ultimamente – si accaniva sul fatto che, se Ryo continuava ad andar per locali e a ridursi in quello stato, cioè ubriaco fradicio, voleva dire solo una cosa, e cioè che stava dilapidando il frutto del loro pericolosissimo lavoro, in bagordi.
Inoltre Kaori non poteva certo rimproverargli di andare a donne perché, come lui si era peritato spesso di ricordarle, almeno all’inizio, non erano fidanzati, non era la sua compagna né sua moglie, quindi lei non poteva pretendere niente.
E allora perché, proprio come in quel momento, quando lui rincasava così tardi, lo faceva sempre con un ingombrante senso di colpa?
Come se stesse facendo un torto a lei?
 
Stava quasi per sospirare, al termine delle sue elucubrazioni, quando, non appena entrato nell’appartamento, per un attimo restò senza fiato, stupito, bloccato sul posto con aria colpevole: dalla cucina giungeva il tenue chiarore della luce e, a meno che la sua socia non l’avesse dimenticato accesa ore prima, proprio lei in persona era lì!
Ad aspettarlo?
A fare cosa?
Era pur sempre presto per alzarsi, anche per lei!
 
Un brivido gli corse lungo la schiena.
 
Non aveva voglia di litigare con lei, non se la sentiva di ribattere alle sue accuse con le solite insulse scempiaggini, non aveva intenzione di difendere il suo status di stallone libero da legami e da impegni, che felice scorrazza da una giumenta all’altra.
Lui, che si sentiva profondamente legato alla sua socia, lui che non avrebbe voluto stare se non con lei, lui che continuava a tacere e mentire, condannando entrambi all’infelicità.
 
Quasi si aspettava la voce stridula di Kaori che, accortasi di lui, lo rimproverasse, e per una frazione di secondo pensò che, da buon vigliacco qual era, avrebbe potuto sgattaiolare al piano di sopra, eludendo la sua sorveglianza.
Ma, allo stesso tempo, era turbato da un potente bisogno di vederla, parlarle, anche se c’erano alte probabilità che sarebbero finiti per litigare.
 
Kaori, però, non lo chiamò, anche se, ne era certo, l’aveva sicuramente sentito rientrare; e non fece nemmeno il benché minimo rumore, lì nella stanza, cosicché lui cercò d’immaginarsi cosa stesse realmente facendo la sua socia, in cucina e a quell’ora.
 
Raddrizzate le spalle, e indossata la sua solita maschera da strafottente menefreghista, si diede un tono e si decise ad avanzare verso di lei.
Non aveva voglia di questionare con la storica partner, ma se fosse stato necessario, lui era pronto.
 
Si stupì non poco, però, quando ormai dentro la cucina - e non aveva fatto nulla per nascondere il suo arrivo, né lo aveva accentuato - Kaori nemmeno si voltò a guardarlo.
 
La socia sedeva in silenzio al tavolino, con entrambe le braccia abbandonate sul piano, una mano chiusa a pugno, l’altra appoggiata mollemente su quella che aveva tutta l’aria di essere un’istantanea.
La sua bella tazza con la K stampigliata bene sopra, era lì accanto.
La ragazza era completamente assorta nei suoi pensieri, anche se una parte di lei aveva registrato l’arrivo di Ryo, solo che, semplicemente, non gli aveva dato peso.
 
Il socio fece il giro del tavolo, e si sedette lentamente davanti a lei; l’uomo si sentiva stranamente a disagio, eppure quella era la sua cucina, era la sua casa, e quella magnifica donna che vegliava nel pieno della notte, era la sua socia, la sua migliore amica, la sua compagna di mille avventure.
Se possibile, quasi Ryo si sentì un intruso, e per scacciare quel senso di straniamento che stava provando, sporgendosi leggermente verso di lei, buttò lì la prima cosa che gli venne in mente e cioè:
 
“Ehi socia, perché non sei di sopra a dormire?”
 
Una domanda semplice, neutra, quasi un benevolo, ironico, rimprovero, ma lo sguardo che Kaori gli rivolse in risposta, lo raggelò: la ragazza lo guardò con occhi profondamente tristi, lucidi, in cui si poteva leggere una sofferenza antica, spiazzante, umiliante, e Ryo istintivamente si tirò indietro, come se avesse toccato il fuoco e si fosse scottato.
Eppure quella tristezza disarmante, su di lui ebbe lo stesso l’effetto di una doccia gelata, che s’insinuasse nel profondo del cuore, ed ebbe paura.
Il grande Ryo Saeba, ebbe paura.
E il suo innato sesto senso, lo mise in guardia, facendogli temere qualcosa di grave, di veramente serio, di pericoloso.
 
I suoi dubbi ebbero conferma quando Kaori aprì lentamente il pugno serrato, mostrandogli l’anello che le aveva regalato Hideyuki in punto di morte.
 
“Tu lo sapevi” esordì Kaori, senza giri di parole, inchiodandolo sulla sedia con quelle sole tre parole.
 
In quel preciso momento, Ryo pensò che sarebbe stato infinitamente meglio se fosse filato direttamente a letto, anziché deviare per la cucina, ma allo stesso tempo provò come un senso di sollievo.
Si prospettava una sorta di resa dei conti, e lui avrebbe finalmente potuto raccontarle tutto del segreto dell’anello, tutto ciò che le aveva tenuto nascosto per anni, ed era contento che proprio lei – come al solito – gliene desse la possibilità, che fosse stata lei a fare il primo passo.
Era però ben consapevole che non sarebbe stato facile, e lo sguardo addolorato dell’amata socia, gliene restituì la misura; ma ormai erano giunti al dunque e non si sarebbe tirato indietro, almeno non stavolta.
Nonostante ciò, non seppe cosa risponderle, e si limitò ad annuire.
Aspettò che lei proseguisse, e Kaori, come se recitasse un copione imparato molto bene a memoria, che prevedeva che dei due fosse lei quella a parlare e lui a tacere, si dispose a spiegare:
 
“Giorni fa Sayuri mi ha mandato questa foto” e la indicò brevemente con un gesto del mento, Ryo la prese e la osservò mentre la ragazza proseguiva dicendo “…e grande è stata la mia felicità. E’ una così cara ragazza… ed è anche molto bella; mi sono affezionata tantissimo a lei, fin da subito…” e detto ciò finalmente alzò gli occhi ad incontrare quelli del socio “…una sorta di sesto senso… di affinità elettive… Buffo no?” domandò in fine, abbozzando un sorriso che faceva tristezza.
 
Ryo deglutì a fatica e non disse nulla, ancora.
Aspettava di sapere dove la ragazza sarebbe andata a parare, cosa voleva dirgli.
Lo sweeper continuava a guardare la foto, però, e nonostante il suo acume, non riusciva a notare nulla di strano.
L’istantanea raffigurava Sayuri in posa davanti all’obiettivo, un sorriso radioso, raggiante; era vestita elegante, e con un braccio ripiegato sul petto, reggeva un libro, no, un fascicolo; Ryo aguzzò la vista e lesse il titolo: aveva tutta l’aria di essere una tesi di laurea, una specializzazione, quindi, un master ottenuto nel corso della sua fulgida carriera di giornalista.
Nulla di strano che la donna avesse voluto condividere con Kaori tale traguardo; sicuramente la foto era accompagnata anche da un qualche scritto, ma la lettera non era lì sul tavolo, quindi era la foto che faceva la differenza.
La esaminò nuovamente con più attenzione e nell’attimo esatto in cui realizzò quale era il dettaglio rivelatore, Kaori disse:
 
“L’anello… Sayuri indossa un anello simile, identico al mio…”
 
Ryo trasalì e forse Kaori se ne accorse.
La sua Sugar era ormai diventata una sweeper in gamba, e non ci aveva messo su molto a notare il seppur quasi insignificante particolare di quella foto, e cioè che la donna che amava come una sorella, indossava un anello uguale al suo, anche se la mano di Sayuri non era in primo piano, anche se l’attenzione di chi guardava la foto era assorbita dai suoi occhi ridenti, dal suo sorriso contagioso, dall’emozione che traspariva dal volto perfetto, dal suo personale elegante e femminile.
Notare un piccolissimo particolare come quello, non era affatto facile, eppure l’unica persona al mondo che, in teoria, non avrebbe dovuto notarlo, l’aveva visto.
Ma poi, si chiese Ryo, perché non avrebbe dovuto?
Kaori non poteva rimanere all’oscuro di questo segreto per sempre!
Prima o poi avrebbe dovuto saperlo, e il ritardo con cui Ryo si era trastullato, era una sorta di mancanza di  rispetto per l’anima di Makimura.
No, non era stato un caso che Kaori avesse individuato quel particolare infinitesimale, era la forza della verità che chiedeva di venire fuori.
 
“Kaori…” iniziò dicendo Ryo, ma poi si bloccò incapace di dire altro.
 
“Che strana coincidenza, non credi?” disse la ragazza con una punta di ironica mestizia; sembrava più che ragionasse fra sé e sé, piuttosto che con il suo taciturno socio.
 
Aveva nuovamente abbassato gli occhi, sul palmo aperto della sua mano e fissava l’anello, abbastanza anonimo, quasi dozzinale, con un’indefinita pietra rossa che, per quanto ne sapeva, poteva benissimo essere vetro colorato.
Eppure, per lei, nella sua interezza, era più prezioso del più grande tesoro dell’imperatore, e l’aveva tenuto sempre con amorevole cura.
 
Ryo non era capace di muovere un muscolo, né di dire una sola parola, e si stava macerando in quel pantano emotivo, in quell’atroce empasse in cui erano caduti.
 
Da sempre non abituato a spiegarsi a parole, soprattutto nei discorsi seri o che riguardassero i sentimenti in generale, e in particolare quelli verso la sua adorata partner, restava muto, e quel suo stesso silenzio pesava come un macigno su entrambi.
Vedeva la sofferenza di Kaori, e avrebbe tanto voluto sollevarla, consolarla, magari abbracciarla forte, avrebbe voluto vederla nuovamente felice, ma non sapeva come fare.
Se anche fosse stato un collega più espansivo ed affettuoso, non sarebbe stato affatto facile per lui, per loro affrontare e superare quell’evenienza.
L’anello di Makimura era la cosiddetta punta dell’iceberg.
 
Ryo era ancora immerso nei suoi dissidi interiori, quando d’un tratto Kaori si alzò in piedi e l’uomo sobbalzò.
 
“Dove vai?” Le chiese di getto, prima ancora di rendersi conto della domanda che le stava facendo.
 
La ragazza si voltò a guardarlo, e per un attimo parve indecisa sulla risposta, come se non ci avesse pensato minimamente, come se non fosse affatto necessario informarlo dei suoi movimenti, come se non fossero affari del socio.
In fondo era stata da sola fino a pochi istanti prima, sola nel cuore della notte, ad interrogarsi sulla sua vita così piena di menzogne, di parole e fatti taciuti.
Ryo era arrivato quasi per caso, non era previsto che avrebbe dovuto discuterne con lui, era un fatto privato.
 
Si sforzò di sorridergli e in risposta gli fece un’alzatina di spalle.
Ma a Ryo passò un lungo brivido attraverso la spina dorsale, e un sentore di pericolo lo mise in allerta: non aveva mai avvertito Kaori così distante, sentiva che la stava perdendo, e non solo perché di lì a poco sarebbe uscita da quella stanza, per andare altrove.
No, temeva che Kaori, invece, sarebbe uscita dalla sua vita, e per sempre.
Doveva impedirglielo, doveva agire, doveva fare qualcosa.
 
Scattò in piedi a sua volta, e allungando un braccio nella sua direzione, le disse impulsivamente:
 
“Aspetta!” e poi più dolcemente “Ti prego non andare…”
 
Era così appassionato nel tono della voce, così implorante, che Kaori lo guardò più attentamente.
 
Eppure era così sconvolta, turbata, confusa, che non riusciva più ad interpretare il comportamento di Ryo.
Abituata a leggere fra le righe, a soprassedere sulle sue mancanze, sulle assenze, a sforzarsi di non dare peso agli insulti e alle feroci prese in giro, dicendosi che lui non faceva sul serio, e che quello che le diceva non lo pensava veramente, perché sotto sotto era affezionato a lei, che per una volta si arrese.
Era così stanca di cercare di capire Ryo, che stavolta nemmeno ci provò.
D'altronde  aveva scoperto l’ennesima menzogna, e non sapeva più a cose credere.
 
“Ho bisogno di stare da sola… devo andare…”.
 
Aveva dato voce al suo tormento, doveva allontanarsi da lui, dal mondo che la circondava, così come lei lo conosceva.
Aveva bisogno di richiudersi in sé stessa e ritrovarsi, doveva fare chiarezza dentro di sé, e in quel momento non c’era posto per l’ingombrante e totalizzante presenza di Ryo.
 
“Ho… ho capito, ma prima… devi sapere.”
 
Ryo aveva preso coraggio ed era deciso a raccontarle tutto, fin dall’inizio: non sapeva se al termine del suo racconto lei avrebbe ancora voluto restare accanto a lui, ma era giunta l’ora della verità e questo lo doveva non solo a lei, ma anche al suo defunto amico.
Kaori non era più una bambina, forse non lo era stata mai, piuttosto era una splendida adulta sensata e intelligente.
Il passato non poteva certo essere cancellato, ma Ryo voleva che il suo futuro fosse limpido e senza ombre.
Troppi segreti l’uomo custodiva dentro il suo cuore, che lo tormentavano ogni qualvolta ci pensava, ma con Kaori aveva trovato un po’ di pace, una speranza, e voleva che almeno lei vivesse serena e consapevole.
Kaori aveva avuto dei genitori, e almeno uno, sua madre, l’aveva amata fino alla fine: Ryo voleva che lei lo sapesse.
Kaori era sempre stata amata, era stata circondata dall’amore di una vera famiglia, seppur non biologica o sui generis, ma questo lei lo doveva sapere.
Anche adesso era amata tantissimo, da lui, ma se anche non si sentiva ancora pronto a dichiararglielo, tutto il resto doveva conoscerlo.
 
“Prima… prima che tu vada devi conoscere tutta la verità… fin dall’inizio. Ti prego resta…” le chiese con tono accorato infine.
 
Kaori si lasciò cadere sulla sua sedia, e si dispose ad ascoltare, augurandosi che stavolta Ryo le raccontasse solo ed esclusivamente la verità, quale lei aveva il diritto di sapere.
Si sarebbe accorta se stava nuovamente mentendo?
Ma che importanza aveva, orami, arrivati a questo punto?
E poi, avrebbe sempre potuto interrogare Sayuri.
Sì, adesso era il momento di far parlare Ryo.
 

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Capitolo 2
*** Devi sapere che… ***


Ariciao gente! Che bello il vostro entusiasmo per il mio ritorno!!! ^___^ mi avete commosso!
GRAZIE GRAZIE GRAZIE
Come promesso, ho cercato di aggiornare presto, del resto anche questo è un capitoletto etto e quindi, perché indugiare?
Buona lettura, buona domenica e buona estate a tutti
Eleonora

 
 
 
Cap. 2 Devi sapere che…
 
Lo sweeper iniziò così:
 
“Il giorno che Hide è morto…”
 
“…che è stato ucciso!” l’interruppe Kaori.
 
Ryo, affatto infastidito per l’interruzione, annuì e proseguì dicendo:
 
“Hai ragione, scusami… Il giorno che Hide è stato assassinato, nel pomeriggio c’eravamo incontrati nel solito posto, al parco, e avevamo discusso del caso. Io ero contrario a che lui andasse all’incontro da solo, ma riuscì a convincermi dicendo che era il tuo compleanno, che così avremmo fatto entrambi tardi, e che non ti meritavi uno sgarbo simile da parte di tutti e due; che tu che ci tenevi tanto e che avresti cucinato per un reggimento.” Suo malgrado gli sfuggì un sorriso amaro.
 
Kaori non reagì minimamente.
 
Ryo riprese:
 
“Non parlammo solo della pericolosità dell’associazione con cui eravamo entrati in contatto, della Union Teope … Parlammo anche… di altro.” E nel dirlo allungò una mano verso di lei, e aprendole il palmo, le prese l’anello.
Lei lo lasciò fare.
 
Nonostante tutto Kaori accettò con piacere quel piccolo, intimo, contatto fisico.
Ancora una volta era come se, aprendo la sua mano, gli aprisse anche il suo cuore; per una frazione di secondo si augurò che lui non la ferisse nel profondo.
 
Anche Ryo apprezzò quel contatto: continuò a lungo a sentire il calore fuggevole della piccola mano di Kaori, e pensò che, in un altro momento, avrebbe tanto voluto stringergliela fra le sue, tenerla stretta e non lasciarla più.
Ma ora doveva parlare, e mentalmente rimandò la carezza: forse un giorno sarebbe diventata una cosa così normale e semplice, che non avrebbe nemmeno provato imbarazzo nel farla, si augurò solo che non ne avrebbe perso in intensità.
 
“Hide mi mostrò questo stesso anello” continuò Ryo, senza bisogno di guardalo.
 
I suoi occhi erano fissi su Kaori, di cui cercava di interpretare anche la più piccola espressione facciale, ma la ragazza era pervasa da un pallore innaturale per lei, e la tensione traspariva da ogni poro della pelle.
I troppi sentimenti che di sicuro stava provando in quel momento, si annullavano a vicenda, ed era praticamente impossibile capire cosa stesse sentendo.
L’uomo si rammaricò.
Quella non era la sua Kaori, e sperò che il disagio che stava sperimentando, lasciasse presto il posto all’innata voglia di vita della ragazza, alla sua solarità, al suo contagioso ottimismo.
Ancora una volta l’umore della donna che amava sarebbe dipeso da lui, e ancora una volta si sentì in colpa.
Scacciò quei pensieri molesti, e proseguì la spiegazione: da che si conoscevano non aveva mai intrapreso con lei un discorso così diretto e spinoso come quello che stavano facendo, o meglio che lui stava facendo, perché stavolta era lui che doveva parlare e chiarire.
 
“Hide mi mostrò l’anello” ripeté “e mi spiegò che vostro padre avrebbe voluto dartelo il giorno del tuo ventesimo compleanno, perché in quella data saresti divenuta un’adulta a tutti gli effetti e saresti diventata grande. Ma poi l’onere e l’onore sono passati a Makimura, e sarebbe toccato a lui non appena fosse giunto il momento giusto. Quell’anello, però, non era un semplice regalo da parte sua, anzi. Era… era… l’unico ricordo, l’unico legame che ti univa alla tua madre biologica.” Ryo tacque, affinché la socia assimilasse meglio l’informazione.
 
Kaori non ignorava di essere stata adottata, solo che pensava di essere stata presa dall’orfanatrofio, e che i suoi genitori adottivi, i signori Makimura, non conoscessero l’identità dei suoi familiari d’origine, malgrado ciò, non si stupì più di tanto.
Si limitò a deglutire vistosamente, ed istintivamente andò a cercare la tazza di tè, ormai vuota: aveva la gola riarsa, ma non si sarebbe alzata di lì per nulla al mondo.
Delusa ritrasse la mano, e in un certo senso fu come un segnale per Ryo, per poter riprendere il racconto, non prima di chiederle:
 
“Sapevi di essere stata adottata?”
 
“Certo che sì” rispose pronta “ed è anche una delle primissime cose che ti dissi quando ci conoscemmo…o hai dimenticato anche quello?” E le sue parole, pronunciate con tono tagliente, ferirono lo sweeper.
 
Quella domanda implicava tante altre domande, e altrettante risposte; gli ingombranti detti e non detti che si erano stratificati nella loro relazione, si sommavano alle bugie e alle mezze verità.
Per Ryo fu una rivelazione il provare così tanto dolore, ad essere additato da lei come un bugiardo, perché nella sua vita non si era mai preoccupato di doversi giustificare per ciò che diceva o non diceva.
Lui era un cinico sweeper, che lottava quotidianamente per salvarsi la pelle, e a nessuno doveva interessare la veridicità dei suoi discorsi, salvo solo quando minacciava qualcuno di morte o prometteva vendetta, perché di quello si poteva essere certi.
Ma da quando Makimura prima, e Kaori poi, erano entrati nella sua vita, aveva cambiato prospettiva: la stima e l’affetto necessitavano di sincerità e coerenza, e lui aveva imparato a fidarsi di loro, e ad aprirsi un po’ di più, ma non troppo, poiché nel momento in cui si era scoperto innamorato di Kaori, in un certo senso, aveva fatto un passo indietro, adoperandosi in tutti i modi per nascondere i suoi veri sentimenti, e purtroppo gli era riuscito anche bene.
E adesso si rammaricava di essere visto solo come un bugiardo, e si chiedeva se anche le omissioni avessero la valenza di menzogne, e soprattutto se Kaori avrebbe mai più avuto fiducia in lui.
Suo malgrado le rispose:
 
“Sì, mi ricordo, ricordo tutto di quel primo incontro, anche se non te ne ho mai parlato. E’ stato lì che ti ho chiamato Sugar Boy… e la notte prima dello scontro di Kaibara te l’ho fatto capire…”
 
Stavolta fu il turno di Kaori di trasalire.
Ryo aveva ragione, in quella bella e terribile notte passata insieme, uniti dalla disperazione e dalla speranza, lui l’aveva chiamata proprio con quell’inconfondibile nomignolo, anzi, attirandola a sé e riferendosi ai suoi cortissimi capelli, le aveva detto “Sugar… sei tornata da me”.
La ragazza aveva provato una felicità immensa, e nel dramma aveva sperato che la loro storia prendesse finalmente il via, ma poi, come sempre accadeva fra loro due, tutto si era guastato ed erano tornati dolorosamente ai blocchi di partenza.
Lei aveva temporaneamente perso la memoria, e lui ne aveva approfittato, anzi, apparentemente era lui che aveva dimenticato!
Fra i due chi era che soffriva spesso di amnesie?
Decise di lasciar correre, per il momento; non era di quello che stavano parlando, il problema era un altro.
 
“Vai avanti…” gli disse piuttosto, cercando di tornare al nocciolo della questione.
 
“Makimura mi confidò che tua madre aveva fatto fare due anelli identici, per te e tua sorella, e che rappresentavano l’amore che lei nutriva nei vostri confronti; dovevano essere di buon auspicio per il vostro futuro. Quando tuo padre ti rapì, prese con sé anche il tuo anello…” di nuovo Ryo fece una pausa.
 
Non aveva ancora rivelato l’identità della sorella, ma sapeva già che Kaori aveva capito di chi si trattasse; era più concentrato su come avrebbe preso il rapimento da parte del padre che tutto il resto: la sua famiglia non era il prototipo della famiglia felice, e lui doveva ancora finire di raccontarle tutto.
 
“Rapimento…” sospirò la ragazza “direi che è nel mio dna!” aggiunse con sarcasmo.
 
Ryo sorrise; l’autoironia di cui era provvista la sua socia l’aveva sempre divertito, ed era una dote che apprezzava tantissimo; era piacevole stare con lei, anche e soprattutto per questo.
Non l’avrebbe cambiata con nessun’altra donna al mondo.
Con cuore più leggero continuò:
 
“Sì, tuo padre, per ragioni che non conosco, e credimi è la verità” si affrettò a specificare “fuggì di casa quando tu eri piccolissima, e ti portò con sé. Era ricercato dalla polizia, e durante un inseguimento ebbe un terribile incidente. Si schiantò contro un muro, e non appena Makimura Senior giunse sul posto, ti trovò miracolosamente illesa all’interno della macchina. Per tuo padre non ci fu più nulla da fare. I Makimura decisero allora ti prenderti con sé, adottandoti, e soprattutto crescendoti con tanto amore come la propria figlia.”
 
Ryo con quell’ultima frase voleva sottolineare il lieto fine che aveva avuto la sua vicenda, piuttosto che il fatto che suo padre fosse un criminale, ma non riuscì a stornare l’attenzione della socia che amaramente commentò:
 
“E così mio padre era un malvivente?”
 
Ryo si strinse nelle spalle.
Era vero che non sapeva null’altro di più di quello che le aveva appena riferito; avrebbe voluto indorarle la pillola, ma cosa poteva inventarsi?
Non sapeva di quali crimini si fosse macchiato il padre di Kaori; forse l’unico era stato proprio il rapimento, e l’inseguimento con il suo tragico epilogo, era stata la conseguenza del mancato stop ad un posto di blocco, magari allestito apposta per lui.
Hideyuki non era vissuto abbastanza per dirglielo, e anzi, se fosse rimasto in vita, l’onere di rivelarle tali scomode verità, sarebbe toccato a lui.
 
In ogni caso Kaori si rattristò, se possibile, ancora di più.
Un conto era scoprire, anzi avere la conferma, di essere stati adottati e che l’anello che credeva fosse un semplice regalo dell’amato fratello, fosse invece un dono della sua vera madre, un conto era scoprire di essere figlia di un criminale, proprio lei che aveva votato la sua vita alla giustizia, alla lealtà, alla bontà.
Ryo colse al volo lo scoramento della sua partner e si affrettò a rassicurarla, come poté:
 
“So cosa stai pensando” le disse “Ma tu non sei tuo padre, siete due persone diverse, e tu e tua sorella avete sicuramente preso da vostra madre. E in ogni caso… proprio tu mi hai insegnato che anche se il passato non si può cambiare, si può sempre migliorare, e in certi casi rimediare agli errori commessi. Che c’è sempre un riscatto, c’è sempre una seconda possibilità, che si può sempre riprendere la retta via e non sbagliare più. Tu me lo hai insegnato ed io ci sto provando.” Concluse spiazzandola.
 
Kaori non si aspettava che Ryo le parlasse in quel modo, che ammettesse di voler cambiare, per lei, ma soprattutto grazie a lei.
Non ci aveva mai riflettuto, però era vero che Ryo era cambiato, che non era più il vecchio cinico assassino giustiziere che aveva conosciuto in un’altra vita.
Lo guardò intensamente.
Non si era mai resa conto di quanta presa avesse avuto su quel debosciato, su quell’uomo di mondo che sembrava averne viste e vissute di ogni, che aveva solo da insegnare e nulla più da imparare.
E invece le stava dicendo che aveva deciso di cambiare vita grazie a lei, al suo esempio, alla sua vicinanza.
Si commosse.
 
Ryo si addolcì ulteriormente:
 
“Sugar… non angustiarti per tuo padre… forse non sapremo mai perché era ricercato dalla polizia, e perché quel giorno decise di rapirti. Forse la separazione da tua madre era stata così dolorosa che oltretutto non voleva perdere anche le sue figlie, e per questo ti ha portato via con sé. Forse… forse al suo posto avrei fatto lo stesso chissà? E comunque, so che se tu lo avessi conosciuto, saresti finita per perdonarlo, per accettarlo come fai con tutti, come da sempre fai con me. Hai accolto come amici ex mercenari, sweeper e personaggi ambigui senza mai giudicarli, quindi, non essere troppo dura con lui, di certo ha sbagliato, ma sono sicuro che l’ha fatto per amore.”
 
Era così strano per Kaori sentire Ryo parlare di amore, che per un attimo rimase senza parole.
Non era facile assimilare tutte quelle informazioni, digerirle e accettarle.
E poi, si chiese, cosa le stava dicendo effettivamente Ryo fra le righe?
 
Presa nel turbine dei pensieri, nemmeno si accorse quando le scappò detto:
 
“E Sayuri allora?”
 
Ma Ryo non si scompose, perché si aspettava questa domanda, e senza indugio spiegò:
 
“Quando Sayuri è venuta a Tokyo, era alla disperata ricerca di sua sorella, di te. Si era rivolta anche alla polizia e Saeko…”
 
“Saeko sapeva? Anche lei sapeva la verità?” l’interruppe incredula.
 
“Sì, anche Saeko sapeva tutta la storia, perché gliel’aveva raccontata Makimura all’epoca, e poi Sayuri, quando è venuta a Shinjuku, gliel’ha confermata.”
 
“Bene, anche lei conosceva la mia storia… tutti conoscevano la mia storia, tutti tranne me!” ammise amaramente.
 
“No, non tutti. Solo Hide, Saeko, Sayuri e…me”
 
“E cosa aspettavate a dirmelo?” scoppiò con veemenza. “Perché mi avete tenuto all’oscuro di queste informazioni importanti? In fin dei conti non erano nemmeno affari vostri, no? Se lo avessi saputo prima, se lo avessi saputo prima io…” ma non terminò la frase, e dopo l’enfasi iniziale, si afflosciò sulla sedia e su sé stessa.
Ma poi si riscosse, e subito chiese di colpo:
 
“Cosa ti ha detto Sayuri, e perché se n’è andata senza dirmi niente?”
 
“Sayuri… tua sorella Sayuri” ed era la prima volta che Ryo ammetteva apertamente questa ovvietà “Tua sorella Sayuri era giunta qui perché ti stava cercando da una vita, voleva ritrovarti e portarti via con sé. Quando io e Saeko ci siamo incontrati con lei, ci ha raccontato la stessa storia che già conoscevamo, e ci ha spiegato il significato dell’anello identico che possedete. Avrebbe voluto rivelarti subito la sua identità, ma noi… noi l’abbiamo dissuasa, perché temevamo che sarebbe stato uno shock troppo grande per te. Si è anche infuriata con me, non appena ha saputo che tipo di lavoro svolgiamo, e che razza di vita conduciamo; se l’è presa con me perché ti metto costantemente in pericolo e perché io… sono quello che sono.
Aveva ragione, naturalmente, non potevo darle torto, ma facemmo un patto. Le chiesi di prendersi del tempo per stare con te, per conoscerti, e rendere tutto molto più graduale. Io me ne sarei tenuto fuori perché, hai ragione, non erano affari miei anche se… temevo che alla fine te ne saresti andata via con lei, anche prima di conoscere la verità sul tuo passato.”
 
Ecco, Ryo si era inaspettatamente sbottonato, aveva ammesso di tenere così tanto a lei, fino al punto di temere un abbandono da parte della sua storica socia.
Ma Kaori era troppo frastornata per carpire fino in fondo le implicazioni di quell’affermazione; era ancora troppo indignata per il fatto di essere stata scavalcata nei suoi affari, per essere stata manovrata ingenuamente, per essere stata trattata come una bambina, una minorata mentale che non è in grado di gestire la sua vita.
Ricordava molto bene quel periodo in cui era comparsa la dolce e bella Sayuri: si era sentita subito istintivamente attratta dalla ragazza, e, in poco tempo, avevano stabilito un rapporto, un legame, e veramente era come se si conoscessero da sempre; l’affetto era nato spontaneo.
Con giri di parole, con battute e allusioni, la giovane donna aveva cercato di farle capire che erano sorelle, ma all’atto pratico non si era dichiarata, e Kaori era stata al gioco; aveva compreso che non era la solita cliente e che c’era qualcosa sotto, ma ammettere di averla scoperta, di aver capito chi fosse, avrebbe comportato un cambiamento radicale nella sua vita.
Avrebbe dovuto lasciare Ryo, che amava più di sé stessa, per seguire una sorella, ritrovata, la quale era poco più di una sconosciuta.
Non si sentiva pronta.
All’epoca aveva scelto Ryo, aveva scelto di restare, ma per un attimo si chiese se avesse fatto bene.
Tutti le avevano mentito, tutti le avevano taciuto informazioni importanti.
E se poteva scusare Saeko che non era così tanto intima con lei, o Sayuri che era letteralmente sbucata dal nulla, cosa pensare di Hideyuki e di Ryo?
 
“Gli uomini più importanti della mia vita, gli unici che ho veramente amato… mi hanno mentito!” sentenziò a mezza voce.
 
Ryo trasalì.
Sapeva che Kaori era innamorata di lui, ma non si aspettava che lo confessasse così apertamente, inoltre ciò che lei aveva appena detto, non era propriamente vero, Ryo non le aveva mentito, e se lo aveva fatto, non era stato per danneggiarla, anzi.
Ma Kaori, nemmeno avesse potuto sentire i suoi ragionamenti, gli chiese a bruciapelo:
 
“Perché lo hai fatto, perché lo avete fatto!” e poi alzando la voce “Dimmelo, e sii sincero una buona volta!”
 
Quella richiesta perentoria meritava una risposta onesta e franca.
 
“Lo abbiamo fatto per il tuo bene!”
 

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Capitolo 3
*** Per il tuo bene ***


… e a tempo di record, arrivò anche il capitolo n.3 :D
E’ che ce l’avevo bello che pronto, è decisamente corto, e allora mi sono detta “perché aspettare?”
Flash per voi!
Intanto GRAZIE per esserci sempre
vi Lovvo
Eleonora

 
 
 
 
Cap. 3 Per il tuo bene
 
“Lo abbiamo fatto per il tuo bene!”
 
“Pfuuuu” sbottò esasperata “Per il mio bene, dici?” e gli piantò gli occhi addosso “E quale sarebbe il mio bene? Di essere cresciuta, e vissuta nella beata ignoranza? Di essermi risparmiata un trauma infantile dovuto all’abbandono, al rapimento, al fatto che mio padre fosse un criminale e che nelle mie stesse vene scorre il gene del male?”
 
“Kaori…” l’ammonì Ryo.
 
Gli sembrava che stesse esagerando, però ripensandoci non aveva tutti i torti; perché le avevano taciuto quelle cose, perché lui non gliele aveva mai dette?
 
“Però almeno di Sayuri potevate, potevi dirmelo!!” sbottò Kaori con una nota di rabbia ad incrinarle la voce.
 
Ryo era stato preso in contropiede; se aver ritardato nel rivelarle la confessione fattagli da Hideyuki, e cioè cosa rappresentasse veramente quell’anello per Kaori, era dovuto al fatto che subito dopo l’uccisione del suo migliore amico, non gli era sembrato quello il momento, perché la ragazza aveva già dovuto affrontare un trauma notevole – e col passare del tempo aveva perso l’occasione – per quanto riguardava Sayuri era tutto diverso.
E Ryo aveva taciuto di proposito.
Poteva ancora continuare a mentirle, ad ostinarsi nel non dirle la verità?
A cosa valeva nascondersi dietro un dito?
 
“Hai ragione” rispose sorprendentemente Ryo, e quasi si stupì lui stesso della facilità con cui aveva capitolato, e della sicurezza che stava provando in quel momento.
Era deciso a parlare, una volta per tutte, e poi finalmente Kaori avrebbe deciso come la donna adulta che era.
“Kaori… hai perfettamente ragione, avrei dovuto parlarti di Sayuri, e di quello che sapevo del tuo passato, ho deciso per te, una volta di troppo, e ti chiedo di perdonarmi… sono stato un egoista.”
 
“Un egoista?” l’interruppe “E cosa c’entri tu?” gli chiese incredula, e al colmo dello stupore “Di quel periodo ricordo solo che, al solito, avevi le fregole per lei, e che avresti voluto portartela a letto, come tutte le belle donne che invariabilmente conosci! Avrebbe forse fatto differenza, per te, se io avessi saputo la vera identità di quella finta cliente? Tu ci hai provato lo stesso, nonostante sapessi benissimo chi fosse! Non ti sei astenuto dal farlo, nemmeno per rispetto nei miei confronti.”
 
L’atmosfera era cambiata di colpo, e dalla leggera tensione che aleggiava fra i due, dovuta all’argomento spinoso che stavano affrontando, si era passati alla strisciante ostilità, da parte di Kaori, per Ryo.
A riprova di ciò, la donna aveva preso a scaldarsi ed agitarsi sulla sedia; sembrava pronta a schizzare via in da un momento all’altro.
Le cose stavano prendendo una brutta piega, e a Ryo parve che la situazione gli stesse rapidamente sfuggendo di mano; s’innervosì ma non lo diede a vedere.
 
Ma, ad un tratto, Kaori balzò in piedi, sbattendo i palmi delle mani sul tavolo; era furiosa, addolorata, sembrava essere giunta improvvisamente ad una conclusione, come se avesse avuto un’illuminazione improvvisa che, a quanto pareva, non prometteva nulla di buono.
Puntandogli il dito contro iniziò dicendo:
 
“Tu… tu… lurido bastardo, porco, maniaco. Tu, tu sei andato a letto con Sayuri! Te la sei scopata, non è vero?”
 
Ryo sobbalzò sulla sedia.
Tutto si sarebbe aspettato dalla dolce Kaori, ma non questo.
 
“Ma che… che stai dicendo?”
 
“Cosa sto dicendo? Non fare il finto tonto con come, tu hai capito benissimo cosa ti ho appena detto.”
 
E nel dirlo si era già spostata di lato al tavolo, con l’intenzione di andarsene da lì, ma prima fece il giro del mobile, e gli si parò davanti: la rabbia e la disperazione la rendevano bellissima, malgrado la notte insonne.
Le prime luci dell’alba, che rosseggiavano fuori dalle finestre, stavano illuminando la stanza e annullavano la fredda luce del neon.
Ora Kaori era in controluce, e lo fronteggiava, e i suoi capelli sembravano in fiamme.
Era l’immagine di una divinità, la dea della vendetta.
 
“Kaori… è assurdo!”
 
“Ah, è assurdo? Perché pensi che sia un’idea così strampalata, quella che tu e lei siete andati a letto insieme? Del resto non hai mai fatto mistero che Sayuri ti piacesse, e magari hai finito per sedurla, ricorrendo a tutte le tue doti segreti di gran amatore.” E gli rivolse un sorriso sprezzante e derisorio.
 
Ma Ryo si alzò in piedi a sua volta, e la sovrastò con la sua mole; era serissimo, e per una piccolissima frazione di secondo, Kaori ebbe paura, tuttavia si fece forza, convinta ad andare fino in fondo.
Non aveva più nulla da perdere, e nel caos dei suoi sentimenti, non riusciva neanche più a distinguere la verità dalla menzogna.
 
“Non è come credi…” sibilò duro l’uomo.
 
“Eppure… in fondo… perché dovrei stupirmi?” mormorò rassegnata e affranta la ragazza, più a sé stessa che a lui “tu corri dietro a tutte, tranne a me, che ti ripugno, lei era libera, disponibile; era venuta per cercare una sorella e ha trovato un amante. Un’avventura che è durata poco, però, giusto?” e tornò a sfidarlo con lo sguardo “Perché tu non ami i legami… tu, lo stallone di Shinjuku. Immagino che avete voluto tacere entrambi nei miei confronti, per il mio bene! Anche se… delusione più, delusione meno… Spero almeno lei non abbia sofferto, che tu non le abbai spezzato il cuore…”
 
“Ripeto, non è come credi!” rincarò Ryo “Stai fraintendendo tutto…”
 
“Comunque non ha più importanza…”
Kaori sembrava essere giunta ormai al dunque, e Ryo, nuovamente, si agitò: il pensiero che lei potesse andarsene e lasciarlo per sempre gli stritolò il cuore, e gli mancò il respiro.
 
La sweeper riprese:
 
“E’ vero, non eravate tenuti a rivelarmi i dettagli della vostra tresca, ma tu… tu avresti dovuto dirmi che era mia sorella!”
 
“Fra me e tua sorella non c’è stato niente, lo vuoi capire oppure no?” sbottò esasperato Ryo “Lei mi odia, sì mi odia, perché ti ho costretto a questa vita, mettendoti continuamente a repentaglio, te l’ho detto. E mi odia perché… perché ti faccio soffrire, perché non corrispondo i tuoi sentimenti, ecco qual è la verità!”
 
Kaori fece un passo indietro di scatto, come colpita da uno schiaffo.
Ryo non perse tempo e proseguì:
 
“Quando è arrivata a Tokyo era decisa a portati via con sé, per poter vivere insieme e recuperare tutto il tempo perduto, ma io mi sono sentito morire! Se tu te ne fossi andata… se tu l’avessi seguita… io ti avrei perso!”
 
Ecco, Ryo gliel’aveva detto, incredibilmente si era aperto a Kaori, e la sicurezza che stava provando in quel momento, lo spingeva a confessarle tutto, a dirle finalmente la verità.
 
“Ho sempre temuto che prima o poi te ne saresti andata, nonostante ti ripetessi che ti meritavi una vita diversa, migliore, normale. Finché non hai conosciuto il mio passato, finché non è arrivata Mary, stavo abbastanza tranquillo, perché non sapevi fino in fondo che tipaccio fossi, che razza di assassino fossi, e ti andavo bene così. Caparbiamente hai scelto di restare con me, e anche se non lo davo a vedere, ero l’uomo più felice di questo mondo. Eravamo una famiglia, tu ed io, eravamo perfetti insieme, anche se… Ma poi è sbucata dal nulla questa Sayuri, dicendo che era tua sorella, e ne aveva tutte le prove! E mi sono sentito sconfitto, annientato: tu e lei avevate un legame di sangue, era il tuo parente più prossimo, vero, non come i Makimura… Lei poteva offrirti veramente quella vita normale che sognavo per te, ma io… io sarei rimasto indietro, da solo. Non sapevo come fare! Se ti avessi detto subito chi era, ti avrei consegnato direttamente nelle sue braccia, e mi avresti piantato in asso, ecco perché dico che sono stato egoista. Non ho fatto nulla per favorirvi, ma nemmeno vi ho ostacolato. Al solito, ho lasciato che fosse qualcun altro a decidere per me, non volevo prendere una decisione.”
 
A quel punto Ryo le prese entrambe le mani e guardandola intensamente proseguì:
 
“Lo so, ho sbagliato, ma finché eravamo insieme tu ed io, eravamo due orfani che formavano una famiglia, poi però è spuntata tua sorella, e mi sono sentito escluso. Di più, ho avuto paura di perderti! Poi non so bene cosa sia successo fra di voi, Sayuri mi ha detto che non si è rivelata a te, perché ti ha visto felice, e non voleva rovinarti la vita insistendo per portarti in America con lei. Voi avete comunque stabilito un legame e alla fine tu hai deciso di restare… Anche se lei continua ad odiarmi” e quasi ridacchiò, amaramente.
 
Kaori, che sentiva il calore delle mani del socio irradiarsi per tutta la sua persona, per un attimo si crogiolò in quel contatto, in quel gesto intimo e potente, tuttavia, in un moto di ribellione, ritrasse velocemente le sue mani dalla presa dell’altro, e duramente gli disse:
 
“Sei il solito idiota! Io avevo già capito che Sayuri era mia sorella, ma non sarei mai potuta andare via con lei, lasciando il Giappone, il mio lavoro e … te! Sì tu! Sono restata perché speravo ancora che, prima o poi, ti saresti deciso, che avresti finito per amarmi come io amo te, che saremmo potuti essere felici insieme. Ho soprasseduto anche a questa ennesima omissione, ma ora… ora penso che avresti dovuto dirmi tutto. Me lo meritavo. Se io non avessi notato il particolare dell’anello, sulla foto che Sayuri mi ha mandato, non staremmo qui a parlarne. Quando avevi intenzione di dirmelo?”
 
Il ragionamento di Kaori non faceva una piega e Ryo si sentì spiazzato.
Tutte le bugie e le mezze verità che avevano puntellato la loro relazione, stavano miseramente crollando, e tutto sembrava perduto.
La ragazza si allontanò da lui, e Ryo fu percorso da un brivido gelido; ecco, stava succedendo davvero, Kaori lo stava lasciando.
 
“Ka-Kaori aspetta…” si ritrovò ad implorarla, non sapendo però cosa inventarsi per tenerla lì ancora con sé: l’aveva delusa, profondamente, e nemmeno la più potente delle martellate avrebbe potuto punirlo, ristabilendo lo status quo.
 
“Se avevi paura di perdermi, avresti dovuto dirmelo, così come che Sayuri era mia sorella. Io sarei rimasta ugualmente con te, anzi! Mi avresti fatto felice, perché mi avresti fatto capire che tieni a me, che mi vuoi bene. Avresti dovuto dirmi anche dell’anello, avresti dovuto dirmi tante cose… ma ora è tardi.”
 
“Che-che stai dicendo?” balbettò.
 
“Sto dicendo che ho bisogno di restare sola, che devo andarmene da qui, da te.. Devo farlo, per me stessa.” e già lo stava sorpassando per dirigersi verso le scale.
 
“Non dirai sul serio, dai? Sugar, stai scherzando vero?”
 
“Per il mio bene… lasciami andare.”
 

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Capitolo 4
*** Pezzo per pezzo ***


Proseguo con i capitolini ini e al solito mi scuso per questo. Però visto quanto presto aggiorno? :D
Detto questo, vorrei dedicare questo capitolo ad una mia lettrice ‘innamorata’ di Umibozu – lei sa, almeno spero ^_^’
Per il resto vi lovvo tutti
Con affetto
Eleonora

 
 
Cap. 4 Pezzo per pezzo
 
I giorni passarono lenti, con una lentezza esasperante, e a Ryo parvero mesi.
Kaori se ne era andata, alla fine, e lui non l’aveva trattenuta, ma stavolta non era stata codardia la sua, bensì rispetto.
Anche se avrebbe tanto voluto tenerla lì per sempre con lui, ed era pronto anche a dichiararsi se fosse stato necessario – in realtà necessario lo era da moltissimi anni ormai – riconobbe che non era quello il momento.
La sua amata socia aveva bisogno di quiete e serenità, doveva raccogliere i cocci della sua vita, doveva fare chiarezza e pace con il suo passato.
Doveva persuadersi che era stato a causa del troppo amore e senso di protezione, di chi l’aveva circondata, se non conosceva una parte della sua vita passata.
 
Fin da quando si erano conosciuti, Ryo aveva provato subito un forte slancio verso Kaori, un potente bisogno di prendersi cura di lei, di proteggerla, ma, aveva dovuto ammettere ben presto, era stato solo per amore e non per fragilità, poiché Kaori sembrava non aver bisogno di niente e di nessuno, nemmeno di lui.
Sembrava bastante a sé stessa e questa cosa l’aveva immensamente impressionato.
Lui ammirava, inoltre, la sua dirittura morale, la sua sconfinata bontà, e non vedeva in lei la solita donnetta fragile e priva di carattere da proteggere a prescindere, appunto.
 
Kaori non aveva versato una lacrima quando lui le aveva detto che suo fratello era stato ucciso, almeno non in sua presenza; era convinta che il dolore fosse un fatto privato, e non si sarebbe lasciata andare davanti a lui per pudore, e anche per non apparire una mammoletta: voleva essere una dura.
Ryo non l’aveva mai sentita piagnucolare per qualcosa, disperarsi per problemi legati alla loro vita spericolata, eppure lui non le aveva mai risparmiato tiri mancini o insulti beceri e prese in giro; se strepitava come una donnicciola, donnicciola? Ma se era più una virago o un’erinni! Si disse. No, se strepitava era solo per il suo comportamento esasperante da cretino, e gli improperi che lei gli indirizzava, se li meritava tutti.
Per questo Ryo sopportava le sue scenate di gelosia, le sue punizioni corporali.
Inoltre, quello era anche il suo modo di dimostrargli affetto e considerazione, e a lui andava bene, le piaceva così com’era; non avrebbe cambiato nulla di lei.
Ogni tanto ci pensava a che razza di uomo fosse, così complesso e incasinato, uno che ama e non vuol dirlo, uno che vuol proteggere e prendersi cura di una donna, ma non che questa si leghi a lui.
 
Ma adesso non aveva più importanza.
 
La donna che amava, non era più lì con lui.
Sperava che tornasse prima o poi, doveva darle tempo; al suo ritorno, però, si era ripromesso, avrebbe cercato in tutti i modi di fare chiarezza con lei; pur non avvezzo a certe dinamiche, avrebbe fatto del suo meglio per farle capire i suoi sentimenti; magari le avrebbe chiesto aiuto… sì, aiuto su come poterla amarla nel miglior modo possibile.
Nel frattempo si sforzava di non cedere alla disperazione, voleva darsi una speranza e non gettare la spugna.
 
Ai loro amici, che gli chiedevano che fine avesse fatto la storica partner, lui rispondeva evasivo, che era andata a trovare la sua amica Sayuri in America, anche se non aveva la più pallida idea di dove fosse; eppure, se solo avesse saputo quanto vicino era andato alla verità, sarebbe stato certamente più tranquillo, forse.
 
Kaori effettivamente, dopo quella notte di confessioni e chiarimenti, era volata veramente negli Stati Uniti, ma non subito.
Era uscita nelle prime ore del giorno, con ciò che indossava, e si era messa a girare senza meta per la città: doveva schiarirsi le idee.
 
Era salita fin sul più alto grattacielo di Shinjuku come se, idealmente, prendendo le distanze dal frenetico via vai della città, potesse fare altrettanto con le sue angosce.
Non seppe mai come fece Falcon a trovarla, ma quando la raggiunse al limite estremo del tetto, Kaori si voltò di scatto ed esclamò:
 
“Fa-Falcon! Che ci fai qui?”
 
“Ummm potrei farti la stessa domanda” grugnì l’uomo piazzandosi di fianco a lei, perfettamente a suo agio; sguardo nascosto dai sempiterni occhiali neri, rivolto verso l’ignoto, verso l’inutile affannarsi della gente sotto di loro.
 
Dopo quel primo scambio di scarne battute, era calato il silenzio fra i due, del resto Umibozu non era famoso per la sua facondia, e Kaori in quel momento doveva raccogliere le idee, prima di poter iniziare un qualsivoglia discorso.
 
La brezza leggera le scompigliava i capelli corti, e dimentica della presenza di Falcon, restava assorta nei suoi pensieri.
Fu solo quando Umi disse: “Io vado” che la sweeper si riscosse, e volgendosi verso di lui, con tono esasperato gli chiese: “Perché?”
 
Ovviamente non si stava riferendo alla decisione presa, dal suo nerboruto amico, di andarsene dopo quegli interminabili minuti di silenzio, Falcon lo sapeva e non mosse un muscolo; era lì per lei, perché sapeva che ne aveva bisogno, e pazientemente si dispose ad ascoltare.
 
“Perché non mi hanno detto mai nulla del mio passato?” gli chiese Kaori, e prese a raccontargli, tutto d’un fiato, ciò che aveva saputo durante quella lunga notte, partendo dai suoi sospetti nei riguardi di Sayuri, al particolare dell’anello, alle confessioni di Ryo; non tralasciò nulla.
 
Alla fine di quella lunga tirata, Umibozu le disse semplicemente:
 
“Kaori, sei e sei sempre stata molto amata.”
 
“Sì, ma… questo cosa c’entra? Io avevo il diritto di sapere, era la mia vita!” ribatté.
 
“E’ vero, ma non sempre le cose vanno come vorremmo, o come dovrebbero andare… Pensi che saresti stata diversa, se avessi conosciuto tutto di te?” le chiese Umi.
 
“Io… io ci ho pensato, e non so darmi una risposta. Forse mi sarei vergognata di essere la figlia di un criminale, mi sarei sentita marchiata a fuoco dal disonore, per sempre. Forse…” la sua voce si affievolì.
Poi come rianimata, gli chiese “E tu? Tu lo sapevi?”
 
“No, ma per me non sarebbe stato un problema. Io vivo nel presente, e tengo conto solo di come le persone si comportano con me, il resto non m’importa. Io non giudico.” Tipica risposta da Falcon.
 
Kaori si rabbuiò, indecisa se offendersi, o apprezzare la sua mordace sincerità.
In qualche modo lui comprese il suo turbamento e aggiunse:
 
“Kaori non angustiarti, io penso che tu non saresti stata diversa, che saresti stata ugualmente una brava persona, buona e onesta come sei ora, e non solo perché sei stata educata in tal senso dai Makimura. La bontà fa parte di te come… come… come per Miki” finì per impappinarsi ed arrossire.
 
Suo malgrado, la ragazza sorrise della tenerezza di quel gigante buono.
 
Dovette ammettere che probabilmente Falcon aveva ragione; lei non era diventata una criminale a sua volta, e quel senso insopprimibile di giustizia le ribolliva dentro comunque.
Scientemente aveva scelto di seguire le orme di quello che considerava suo fratello a tutti gli effetti, e liberamente aveva scelto di vivere e lavorare con Ryo, per lo stesso motivo.
Era una sweeper, giusto?
Era una giustiziera, voleva salvare il mondo.
Sospirò.
Il pensiero le era tornato a Ryo, e alle sue omissioni, e ancora una volta si confidò con il suo amico:
 
“Hai detto che sono sempre stata amata… e che tutti hanno taciuto per il mio bene, l’ha detto anche Ryo. Questo significa che Ryo… Però, però… doveva essere onesto con me, doveva dirmi la verità. La verità è sempre preferibile alla menzogna.”
 
“Ryo non ti ha mentito” fu la risposta laconica di Umibozu “Quando Hideyuki ti ha affidato a lui, Saeba ha pensato che non fosse quello il momento di rivelarti i particolari della tua adozione. Avevi sofferto già abbastanza, e quando ti ha visto, giorno dopo giorno, recuperare un po’ di serenità, gli è mancato animo di farti soffrire ulteriormente. Io lo conosco. E’ andata sicuramente così.”
 
Ancora non del tutto convinta, ribatté:
 
“Sì, ma quando è arrivata Sayuri, perché non mi ha parlato di lei? Quello sarebbe stato il momento buono no?”
 
“Lui non voleva perderti.”
 
Anche Ryo glielo aveva confessato a modo suo, ma sentirselo dire da Falcon, di colpo acquisì tutto il vero significato che aveva.
Che strano, si disse, non ci aveva creduto quando lo stesso Ryo glielo aveva detto, e in altre circostanze avrebbe fatto i salti di gioia, e invece adesso… Ci voleva Falcon per capire che Ryo l’amava, che tolte le boiate che aveva combinato durante la loro convivenza, quando aveva scelto per lei, quando aveva taciuto o omesso quelle informazioni, lo aveva fatto solo per il tanto amore che provava per lei.
 
Di colpo fu invasa da una potente ondata di amore, e in quel momento provò un desiderio immenso di correre da Ryo, abbracciarlo, e dirgli che sì, anche lei lo amava, e voleva stare con lui.
Ma qualcosa la frenò, e non seppe dire cosa.
Si voltò verso il gigante buono, ma si accorse con sgomento che non c’era già più, se ne era andato.
Peccato, avrebbe tanto voluto abbracciare anche lui.
 

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Capitolo 5
*** Primo appuntamento ***


Altro breve capitolo… ma ormai avete capito come è questa storiella, che presto si concluderà: questo è il penultimo capitolo ^_^
Al solito vi ringrazio e vi lovvo
Eleonora

 
 
 
Cap. 5 Primo appuntamento
 
Era già passato un mese da quando Ryo e Kaori avevano affrontato il discorso dell’adozione, e di tutto quello che vi era legato, e tolta quell’unica telefonata che la sweeper aveva fatto al socio, in cui lo informava che stava bene, e non doveva preoccuparsi per lei, per il resto Kaori non si era più fatta sentire.
Le poche parole che si erano scambiati per telefono, Ryo se le era fatte bastare; d’altronde già trovava difficile parlarle seriamente a quattrocchi, figurarsi se le avesse detto che gli mancava tremendamente e che non vedeva l’ora che tornasse.
Aveva anche paura che Kaori decidesse di non tornare affatto, di darci finalmente un taglio con lui – lui così ostico nei suoi confronti, così freddo e distante - e di dedicarsi a tutt’altra vita, pertanto non aveva osato chiedere nulla, nemmeno dove si trovasse e con chi.
Temeva di metterle fretta, se mai la parola fretta potesse in qualche modo adattarsi alla loro relazione amorosa, o peggio spingerla verso l’allontanamento definitivo.
Si crogiolava in quel limbo in cui lei lo aveva relegato, e pensava che in fondo se lo meritasse.
 
Non le aveva mai parlato apertamente dei suoi sentimenti, e anche quella famosa notte, era solo andato vicino alla verità; non le aveva detto di essere innamorato di lei o che l’amava, ci aveva girato intorno anche se… Se avesse voluto, Kaori avrebbe capito ugualmente.
Riconosceva però che il suo turbamento, le avesse fatto perdere di vista quelle informazioni importanti, ma non stavano facendo un’indagine, in cui era richiesta tutta la loro proverbiale arguzia, e un freddo distacco; lì si ragionava di sentimenti e vita vissuta, e Kaori aveva tutto il diritto di sentirsi defraudata, scavalcata, nel constatare che, alcune persone accanto a lei, le avevano tenute nascoste delle verità importanti.
Quindi se Kaori non aveva capito, non poteva fargliene una colpa…
 
Ryo, però, era quasi arrivato al limite della sopportazione, e non resisteva più.
Voleva rivedere Kaori, la voleva lì, a casa con lui, sotto lo stesso tetto; voleva poterci parlare, scherzare, litigare, e voleva molto altro ancora, malgrado ciò, non osava indagare su dove fosse, e non si sarebbe abbassato a chiedere ai coniugi Ijuin, per esempio, notizie in tal senso.
Anche se all’inizio Miki gli aveva chiesto dove fosse finita Kaori, ora Ryo immaginava che loro due ne sapessero molto più di lui, ma per orgoglio non si sarebbe rivolto a quel polipone di Umibozu e gentile consorte, per nulla al mondo!
 
Ryo aveva detto a tutti che Kaori era andata a trovare la sua amica – e si guardava bene dal dire sorella – Sayuri, e tutta la banda l’aveva presa per buona: nessuno gli aveva chiesto altro, e lui non faceva commenti sulla durata della presunta vacanza, sul dove, come, e quando.
Se gli altri sapevano qualcosa di più, evidentemente non volevano condividerlo con lui, e questo poteva anche accettarlo, tuttavia se immaginava che fosse stata la stessa Kaori, a chiedergli di tacere, gli si stringeva lo stomaco in un assaggio di panico, e a quel punto faceva di tutto per scacciare quei pensieri.
 
Dissimulando il suo stato di perdurante apprensione, si era sforzato di condurre la solita vita, con tanto di uscite… a vuoto, perché: non andava certamente a donne, non era sua intenzione rimorchiare nessuna, e nemmeno si lasciava andare a gozzoviglie varie, dal tasso alcolico elevato.
Girava per la città, controllava i locali e i soliti loschi individui che li frequentavano; teneva sottocontrollo quella massa informe di umanità semi deviata, e tirava avanti.
 
La verità era che si annoiava a morte senza Kaori, e la vita non aveva più lo stesso sapore.
 
Una mattina di mezza estate, Ryo si ritrovò casualmente alla stazione di Shinjuku; non vi era andato sovente nell’ultimo mese, da quando Kaori era partita, perché non voleva impegnarsi seriamente in nessun caso senza di lei.
Inoltre, sentiva di non avere la mente sgombra, e la lucidità necessaria per dedicarsi a qualsiasi altra cosa che non riguardasse loro due.
 
Distrattamente guardò la lavagna, fittamente ricoperta di messaggi scritti con il gesso bianco: ideogrammi, numeri di telefono e date, e si riscosse quando vide il ben noto XYZ.
Si avvicinò.
Sotto l’inconfondibile sigla, c’era un disegnino che gli fece venire il batticuore: era uno di quelli che gli faceva sempre Kaori, a corredo dei bigliettini che gli lasciava in giro per casa, e invariabilmente rappresentavano lei; una sorta di caricatura appena sbozzata, dal tratto quasi infantile, che però lo divertivano un sacco, anche quando la socia si rappresentava furibonda o irata.
Era il suo particolarissimo modo, per dare enfasi alle parole scritte, erano il suo marchio di fabbrica che sostituiva la firma.
Lo sweeper adorava questo suo modo scanzonato e fantasioso di comunicare con lui, e addirittura qualcuno di quei bigliettini se li era pure tenuti - gelosamente nascosti, manco a dirlo - nei meandri del suo portafoglio.
 
Emozionato, si mosse lentamente verso l’enorme tabellone di liscia ardesia, e il cuore gli si riempì di gioia quando vide che la Kaori disegnata era raggiante, con tanto di occhiolino: questo voleva dire che era felice e bendisposta con lui, che c’era speranza.
Si rincuorò.
Ma, più di tutto, si sentì finalmente sollevato quando lesse “Stasera al porto”.
 
Non c’era bisogno di aggiungere altro perché Ryo sapeva di quale porto si trattasse, quello che li aveva visti passeggiare come due fidanzati, durante quella magica serata quando si erano finti due innamorati, al primo appuntamento.
Lui, allora, l’aveva chiamata Cenerentola, e lei l’aveva considerato il suo ragazzo, per una sera soltanto.
Si erano quasi baciati.
Pur avendo dissimulato tutto anche nei giorni seguenti, entrambi sapevano però che era successo, che era successo qualcosa, o che era stato sul punto di accadere.
Che Kaori gli desse appuntamento lì era indicativo, aveva il suo significato: era ricco di sottintesi.
 
Ryo quasi saltò di gioia, pensando al prossimo incontro, ma poi s’incupì di colpo: quando era stato scritto quel messaggio?
Di quanti giorni era vecchio?
Lui non passava di lì da un bel po’ di tempo, e se Kaori lo avesse aspettato invano una delle sere precedenti?
E se lui fosse fuori tempo massimo?
Fu preso dal panico, e immediatamente corse al porto anche se era ancora mattina.
 
 
 
 
Nelle interminabili ore che seguirono, si tormentò con mille dubbi, e soprattutto si chiese perché Kaori non fosse tornata direttamente a casa, a casa sua, e fosse, invece, ricorsa a quell’escamotage per rivedersi.
Era un XYZ quello, ma non sembrava una richiesta d’aiuto, e poi sul disegnino Kaori era felice, quindi…
 
Ryo arrivò a sera moralmente distrutto, ma allo stesso tempo euforico ed emozionato.
Kaori era ritornata, e solo quello contava.
Se non si fosse presentata, se lui avesse mancato il giorno, allora avrebbe fatto di tutto per ritrovarla, e avrebbe smosso mari e monti per lei: era stanco di aspettare – anche se sicuramente la socia lo era molto più – voleva rivederla, voleva stabilire un contatto.
 
Quando finalmente il sole iniziò la sua lenta discesa ad ovest, e quando le ombre iniziarono ad allungarsi, mentre il cielo di tingeva di rosa, Ryo era quasi sull’orlo del baratro: era così nervoso e teso, che d’un tratto ebbe paura di fare il solito passo falso, di rovinare tutto, di dire o fare la cosa sbagliata.
Il suo cuore era in tumulto come non lo era stato mai, nemmeno quando era in procinto di scontrarsi con il nemico, durante un agguato, o una missione altamente pericolosa.
Non si era sentito così neanche la notte prima di Kaibara, anche se lì era diverso: c’era Kaori con lui, e dentro di sé sentiva una calma rassegnata.
Temeva che quella sarebbe stata la loro ultima notte insieme, eppure si sentiva forte e invincibile, perché aveva accanto l’unica donna che contasse veramente per lui.
 
Ma ora…
Ironia della sorte, proprio Kaori lo metteva in agitazione, del resto troppe cose erano cambiate da quella fatidica notte di veglia, e se anche non avesse rinnegato tutto ciò che si erano detti, e quello struggentissimo bacio attraverso il vetro, fingendo che non fosse mai successo nulla, poi c’era stata la mezza confessione nella radura, che li aveva finalmente avvicinati di più ancora, ma non abbastanza per essere una coppia vera e propria.
 
La storia dell’anello, di Sayuri, del passato di Kaori, erano giunte in un momento delicato per loro, in cui non erano più semplici colleghi di lavoro, ma nemmeno altro ancora.
Non per la prima volta, si disse che questo proprio non ci voleva, che in un certo senso aveva rovinato tutto complicando loro la vita, salvo poi invariabilmente redarguirsi, e ammettere che tutte le verità, prima o poi vengono a galla, e quelle erano rimaste sommerse per troppo tempo.
 
Ryo non sapeva come gestire una qualsiasi relazione amorosa, che non fosse destinata solo ad un po’ di ginnastica orizzontale, possibilmente da esperirsi nel più breve tempo possibile, tuttavia aveva una vaga idea che, meno segreti ci fossero fra gli amanti, e meglio era.
La storia dell’anello era uno di questi, e in fondo era ora che venisse fuori.
Sospirò.
 
Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando la sirena di una grossa nave cargo lo riscosse facendolo sobbalzare; era un fascio di nervi.
Si guardò intorno, e non gli fu difficile individuare Kaori, anche da decine di metri di distanza; se anche il suo portamento non fosse stato inconfondibile e così familiare per lui, a quell’ora del giorno non c’erano più tante persone a girovagare per il porto, quindi l’avrebbe notata ugualmente.
I portuali avevano da tempo terminato il loro orario di lavoro, i pescherecci erano già tornati in rada, e pochissime coppie ancora passeggiavano nel tramonto, mentre ancora qualcuno faceva jogging prima di cena.
E comunque lui era lì da ore ad aspettarla, e il suo sguardo non cercava che lei.
 

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Capitolo 6
*** Nuovo inizio ***


Nuovo inizio o solita fine? Lieto fine piuttosto, direi, perché non esistono mie ff senza l’happy ending, ormai lo sapete, è quasi scontata la cosa.
Ad ogni modo, eccovi il capitolo conclusivo, eccezionalmente e stranamente più lungo di tutti gli altri…
Spero che vi piaccia come ho deciso di far finire la storia.
La fic di per sé è molto breve, ve ne siete già accorti.
L’avete letta in tanti e anche dei commenti non posso lamentarmi, anzi.
Il vostro affetto giunge sempre intatto e gradito.
Quindi non mi resta che RINGRAZIARVI per tutto e stringervi in un abbraccio ideale.
Non ho altre ff in cantiere né idee, quindi… chissà che questa non sia l’ultima veramente?
Che poi sarebbe anche ora, no? ehehehehhe XD XD XD
Allora ciao gente
Eleonora

 
 
 
Cap. 6 Nuovo inizio
 
Quando Ryo e Kaori si erano ritrovati al porto, quella famosa sera, era molto più tardi di adesso, era quasi mezzanotte, e lo sweeper fu enormemente grato alla socia di essere arrivata in anticipo, perché non era più tanto sicuro che sarebbe riuscito a resistere ancora.
 
Anche Kaori l’aveva avvistato, e Ryo provò una sorta di scossa sotto pelle quando entrambi si riconobbero, nonostante fossero ancora lontani.
 
La ragazza avanzava senza fretta, e sembrava sciolta nei movimenti, sicura; Ryo, per un attimo, si sentì inadeguato, come quel giorno nella radura, quando lei gli era andata incontro, e lui aveva percepito tutta la potenza della sua aura, tutta la sua sicurezza.
 
Ryo avrebbe voluto continuare a fare il duro, limitandosi ad aspettarla lì, magari appoggiato distrattamente alla balaustra, in atteggiamento noncurante; che fosse lei a raggiungerlo!
Tuttavia il bisogno di vederla, prevalse su quella sorta di anacronistico machismo, e, infilando un passo dopo l’altro, le si avvicinò.
 
Kaori, vedendolo avanzare verso di lei, sentì il cuore accelerare il battito, e un enorme sorriso le si allargò sul volto; Ryo le era mancato tantissimo, eppure aveva dovuto fuggire da lui, per ritrovare sé stessa.
 
Da che era entrata nella vita dello sweeper, in maniera forse anche troppo invadente ed esasperante, si era legata a lui quasi morbosamente; non viveva che in funzione di lui, dei suoi umori, delle sue pigrizie nel lavoro o a casa, delle sue balordaggini da maniaco perverso, dei suoi facili innamoramenti, delle sue avventure più o meno consumate.
E lei sempre soffriva, o quasi; perché sapeva essere l’unica donna a non eccitarlo sessualmente, perché lui le preferiva sempre qualcun’altra, perché non la rispettava come donna, l’insultava, la denigrava, la feriva con la sua becera ironia, e, soprattutto, non la corrispondeva in quel suo amore totalizzante e irragionevole.
 
Si era dedicata a Ryo anima e cuore, si era affidata a lui perché suo fratello aveva voluto così.
Si era annullata per lui, e scegliendo di fare il suo stesso lavoro, non aveva avuto né il tempo né il modo di ritagliarsi una sua vita propria; un hobby qualsiasi, che non fosse l’aerobica e la palestra, da svolgere comunque a casa, o il frequentare una diversa compagnia, che non fosse costituita dal variegato mondo dei sottofondi di Shinjuku, e soprattutto che non comprendesse ex-mercenari, sweeper, ladri professionisti o persone abituati a maneggiare un’arma qualunque.
Kaori aveva accettato tutto questo, perché credeva che al mondo non ci fosse altro per lei, ed era contenta così.
Non aveva mai pensato di fare altrimenti, se non quello; era convinta che insieme a Ryo fossero una famiglia, che come amici andassero bene Miki & c., e che era così che doveva andare.
 
Quando era comparsa Sayuri, con tutti quei suoi discorsi strani, con i suoi consigli, alla fine aveva capito che ciò che la donna si augurava per loro, e cioè di essere come due sorelle, probabilmente era quella la verità.
Non sapeva spiegarsi come ciò potesse essere vero, ma era da ciechi e stupidi non notare la somiglianza fra lei e la giornalista, e soprattutto quei suoi slanci, così insoliti per una semplice cliente - che era veramente in pericolo? - non erano esagerati?
Kaori all’epoca non aveva voluto approfondire, e aveva preferito rimanere in una beata ignoranza, poiché sarebbe stato come scoperchiare il vaso di Pandora; ma, più di tutto, ciò avrebbe significato perdere Ryo perché a quel punto non c’era più motivo di restare con lui.
Se Makimura era, o si comportava come, un vero fratello, e morendo l’aveva affidata a Ryo, allora voleva dire che con lui doveva stare, ma se nella vita di Kaori fosse comparsa un’altra sorella, che di mestiere faceva tutt’altro lavoro che non fosse la sweeper, che viveva in un’altra nazione, e che fosse la sua unica parente più prossima, automaticamente Ryo veniva esonerato dalla sua custodia, dal compito di prendersi cura di lei.
E, nonostante Kaori avesse sempre sperato che lui non lo facesse solo per un obbligo verso il suo amico morente, se lei avesse accettato di avere una sorella, la loro vita insieme, la loro famiglia non avrebbe avuto più ragion d’essere, perché non c’erano altri legami a tenerli uniti.
Ryo avrebbe potuto mandarla via in ogni momento, tanto non l’amava e per lui era solo un peso, un fardello, una rompiscatole che lo puniva severamente per le sue intemperanze, che gelosa gli mandava a monte tutte le possibili avventure amorose.
Anche se…
Kaori si chiedeva se non fosse veramente così, che Ryo non le fosse affezionato neanche un po’, che il tutto gli pesasse sul serio e non vedesse l’ora di sbarazzarsi di lei.
 
Negli anni, ne avevano passate tante, ed innegabilmente si erano molto legati l’uno all’altra, e, in ogni caso, quando era comparsa Sayuri, lui non le aveva detto nulla, aveva lasciato il compito alla giornalista di svelare gli arcani a Kaori.
Se avesse voluto veramente mandarla via, quella sarebbe stata la volta buona, e invece non lo aveva fatto.
 
Nella sua permanenza negli Stati Uniti, a casa di Sayuri, Kaori aveva finalmente ricostruito il suo passato, poiché la sorella le aveva spiegato e raccontato tutto ciò che lei non avrebbe potuto ricordare.
Avevano rimesso insieme gli eventi che le avevano divise, e il tormentato rapporto dei loro genitori, fino alla sofferta decisione del rapimento da parte del padre.
 
Kaori aveva assorbito le informazioni come una spugna, e solo allora si era accorta di quanto grande fosse il vuoto che provava quando, vagamente, pensava alla sua vita prima dei Makimura.
Sentiva che le mancava qualcosa, e Sayuri glielo aveva dato.
Sua sorella, durante quel mese, si era presa una pausa dal lavoro, ed insieme avevano passato più tempo possibile; avevano parlato tanto, riso tanto, pianto tanto, ma soprattutto si erano conosciute, ed avevano imparato ad amarsi, dando concretezza a quel primo slancio d’affetto, che avevano avuto quando si erano viste la prima volta.
 
Kaori, nonostante la felicità di aver riscoperto sua sorella, e l’accettazione del suo passato, non aveva, però, mai rimpianto la scelta fatta, allorquando aveva deciso di rimanere comunque con Ryo, anzi, se possibile, l’aveva confermata.
E durante la sua permanenza in America, aveva continuato ad amarlo, come e più di prima, anche se aveva avuto bisogno di allontanarsi da lui, e non solo chilometricamente parlando.
 
Di sera, poco prima di addormentarsi, dopo le interminabili chiacchiere fra sorelle, che non erano più pesanti e rivelatrici, Kaori pensava a Ryo con tenerezza e struggimento; risentiva la sua voce, e passava al vaglio ogni parola che si ricordava di quella lunga confessione.
A quel punto si rammaricava di non essere stata così lucida e distaccata nell’ascoltarlo, e sospettava che lui, fra le righe, le avesse detto qualcosa d’importante, riguardo ai suoi sentimenti.
Rimandava tutto, però, al suo ritorno, quando avrebbero fatto chiarezza anche in quello.
Al telefono gli aveva detto solo di stare bene e di non preoccuparsi, ma in realtà era intenzionata tornare, a tornare da lui, sicuramente più consapevole, e meno opprimente di come era stata fino ad allora.
Avrebbe messo in tavola, semplicemente, i suoi sentimenti, e avrebbe parlato chiaro una volta per tutte, inchiodandolo alle sue responsabilità che, se non erano quelle di sposarla, come la decenza bigotta imponeva, dato che convivevano sotto lo stesso tetto, che almeno Ryo le confessasse le sue intenzioni inequivocabilmente.
Tanto, sapeva bene anche lui che non erano più semplici partner di lavoro, ma se volevano proseguire nella loro relazione, o peggio tornare indietro, che lo dicesse chiaro e tondo; lei avrebbe agito di conseguenza.
Non sarebbe tornata da Sayuri, quello no, ma nemmeno sarebbe rimasta con lui, costringendolo a vivere una vita che non aveva scelto.
 
Kaori aveva avuto tanto tempo per pensare e fare chiarezza, e aveva maturato le sue decisioni.
 
Quando si era sentita pronta per tornare, aveva preso il primo aereo per Tokyo, tuttavia non aveva avvertito nessuno.
Si era recata alla stazione di Shinjuku, facendo bene attenzione a non essere riconosciuta, e solo quando era stata sicura che Ryo non fosse nei paraggi, aveva lasciato il suo messaggio.
 
Aveva messo in conto che il socio non passasse tutti i giorni, ed aveva pure deciso di non fargliene una colpa; non aveva nemmeno stabilito la data, e Ryo avrebbe dovuto indovinare da solo il quando.
Tutte le sere lo avrebbe aspettato al porto, sperando che venisse; per fortuna non ce ne fu bisogno: Ryo lesse il messaggio lo stesso giorno che Kaori lo lasciò, e anzi, appostata poco distante, ebbe pure la fortuna di vederlo trasalire, e sgranare tanto di occhi.
Nascosta dietro una colonna, poté spiarlo con comodo, e le riuscì di scorgere il viso dell’uomo che amava, illuminarsi di felicità, nell’attimo stesso in cui leggeva il suo messaggio, con tanto di disegnino buffo.
Kaori si era commossa dalla contentezza, e aveva pensato di non essersi sbagliata sui sentimenti di Ryo: lui l’amava, ma ancora non era stato capace di dirglielo.
 
Ed ora erano lì, in quel luogo magico, dove tanto sarebbe potuto succedere, e dove, invece, tutto era stato lasciato andare; dove la finzione aveva combattuto con la realtà, dove l’inganno aveva quasi perso con la verità.
 
Ryo e Kaori si stavano lentamente avvicinando, l’uno all’altra, senza fretta, studiandosi.
 
Il sorriso, che era nato spontaneo sulle labbra di Kaori, continuava a splendere, e il suo volto era radioso di una nuova serenità.
L’espressione di Ryo era più indefinibile, eppure non così chiusa da non lasciare intendere che, anche lui, era felice di vederla; ancora una volta la più sicura fra i due era lei, e lui mascherava a stento il turbamento, l’insicurezza di chi si trova ad affrontare sentimenti forti e potenti, troppo a lungo repressi.
Kaori non sembrava darsene pena.
 
Erano giunti ormai a poca distanza, quando, da un molo vicino, spuntarono, correndo in souplesse, tre belle ragazze in tenuta ginnica.
Fasciate in lucide e sgargianti tutine, mostravano i glutei, perfetti e tonici, e le lunghe gambe affusolate.
I top aderenti, esaltavano i seni giovani e sodi, e lasciavano scoperte le pance lisce, e senza un filo di grasso.
I capelli, variamente legati a coda di cavallo, oscillavano ad ogni falcata, e il sudore che imperlava la fronte, unito al rossore della fatica, donava loro un’aria di sana bellezza e vitalità.
Le tre ragazze, che nonostante lo sforzo dell’attività fisica, parlavano e ridevano durante il loro footing serale, incrociarono la traiettoria dei due sweeper, e sorpassato Ryo, continuarono la corsa in direzione di Kaori, mostrando così all’uomo tre invitanti fondoschiena guizzanti.
 
Kaori, allora, trattenne il fiato perché, ecco, le giovani donne offrivano al socio una tentazione del tutto irrinunciabile.
La sweeper era giunta lì con le migliori intenzioni; voleva fargli capire che l’amava e che voleva stare con lui, voleva fare sul serio, ed era sicura che anche lui, a quel punto, avrebbe messo le carte in tavola, e avrebbero fatto chiarezza una volta per sempre.
Ma, in un certo, senso aveva dimenticato il deprecabile vizio del partner, quella sua smodata voglia di trasgressione, il lato animalesco e perverso dell’uomo che, prepotentemente, veniva fuori non appena incrociava una qualsiasi bella ragazza.
Ora, ne aveva addirittura tre davanti agli occhi, in tenuta ginnica, con quelle tutine striminzite, che sempre gli stuzzicavano gli ormoni, mandandolo fuori di testa.
E adesso?
Cosa avrebbe fatto?
 
Kaori rallentò il passo, fin quasi a fermarsi; il sorriso si spense gradatamente.
Era certa che Ryo sarebbe partito alla riscossa, che le avrebbe rincorse dimenticandosi totalmente di lei.
 
Lo stomaco si contrasse in un unico spasmo.
 
L’apparizione di quelle tre magnifiche silfidi, aveva rovinato tutto; in un qualsiasi altro momento, Kaori avrebbe anche potuto soprassedere ad una possibile defaillance del socio, ma adesso no.
Quello avrebbe dovuto essere il loro momento, il loro incontro, il loro ritrovarsi e invece.
 
Sapeva già come sarebbe andata a finire.
 
Il suo cuore era quasi sul punto di incrinarsi, e spezzarsi in mille pezzi, quando si accorse che Ryo, imperterrito, stava continuando ad avanzare verso di lei.
Apparentemente, non si era accorto di quelle jogger; non aveva cambiato andatura, né il suo viso aveva assunto un’espressione maialesca, o da maniaco.
Possibile?
Come era possibile che non avesse avuto nessuna reazione, davanti a quelle tre grazie sculettanti in lycra, che gli erano transitate bellamente davanti agli occhi, e che sembravano dirgli “Prendici, prendici, corrici dietro”?
Perché a Kaori non erano nemmeno sfuggite le occhiate interessate che le ragazze avevano lanciato a Ryo; sapeva riconoscerle molto bene, e aveva visto come, fra una risatina e l’altra, le giovani avevano squadrato Ryo trovandolo, ovviamente, attraente.
Per una frazione di secondo, aveva anche notato come, almeno una delle tre, si fosse pure voltata indietro a guardarlo, con l’evidente messaggio subliminale di chi spera di essere notata e abbordata.
Ma lo sweeper non ci aveva fatto caso minimamente, stranamente non si era accorto, o aveva fatto apposta a non notarlo?
 
L’atteggiamento di Ryo aveva spiazzato totalmente Kaori, e le ci volle un po’ per riprendere a camminare verso di lui, ma ormai il socio era quasi davanti a lei, e a quel punto poté vedere chiaramente come i suoi occhi luccicassero, e un vago sorriso gli inondasse il volto.
 
In un certo senso si erano invertiti i ruoli: lui aveva acquisito sicurezza, e lei l’aveva persa.
 
Ad ogni modo, Kaori si riprese in fretta; era troppo felice di essere al cospetto dell’uomo di cui era innamorata, gli era mancato così tanto, e si era preparata per giorni a quell’incontro.
Ritrovando la sicurezza di poco prima, raddrizzò le spalle e, sorridendogli apertamente, gli tese la mano dicendo:
 
“Piacere, mi chiamo Kaori Makimura, e sono una sweeper.”
 
Questa frase, apparentemente banale o ironica, che sarebbe servita comunque per rompere il ghiaccio, era al contrario ricca di significato.
Era il segno che Kaori voleva ricominciare tutto da capo, dall’inizio, come a volersi conoscere nuovamente e ripartire da lì.
 
Non ci sarebbero più state promesse da mantenere, impegni presi in punto di morte, convivenze forzate, finzioni e gelosie.
Adesso che finalmente Kaori sapeva tutto sul suo passato, era libera di decidere per la sua vita, e semplicemente, si presentava a lui, così, com’era.
Dei loro trascorsi insieme, fra le altre cose, salvava la sua esperienza come sweeper, e infatti riconfermava il suo impegno a proseguire su quella linea.
Era sicura che Ryo avrebbe capito tutti i sottintesi di quella finta presentazione, di più!
Erano anche le parole che Kaori avrebbe tanto voluto dirgli quella notte in cui lui l’aveva chiamata Cenerentola metropolitana, quando avrebbe voluto semplicemente rivelargli la sua identità, un puro atto formale, dal momento che, ne era certa, lui l’aveva riconosciuta.
 
In ogni caso, la ragazza non si stupì quando lui le afferrò la mano che gli stava tendendo; in fondo, stavano parodiando un incontro con tanto di presentazione convenzionale, piuttosto rimase totalmente spiazzata dalla reazione di Ryo, che non se l’aspettava affatto.
Perché il socio, prendendole la mano, l’attirò a sé, e anziché depositarle il classico bacio sulla fronte, il massimo dell’espressione d’affetto che le avesse mai tributato, lui la prese fra le braccia e la baciò.
Sulla bocca.
 
Kaori, che si era preparata a tutto, fuorché a questo, spalancò gli occhi stupita, ma poi li socchiuse sopraffatta dal turbine di emozioni che stava vivendo; perché finalmente lei e Ryo si stavano baciando, e stavolta non c’era un freddo vetro a dividerli.
 
Se possibile, l’esperienza si stava rivelando ben più sublime dell’immaginazione.
 
Le labbra di Ryo erano calde e morbide, e nonostante Kaori le sentisse premere con ardore, era come se lui non volesse andare oltre; sembrava che volesse assaporarla fino in fondo, senza fretta.
Inoltre, Ryo pareva insolitamente titubante, e questo suo atteggiamento destabilizzò non poco la ragazza che, immaginando una possibile intimità con lui, aveva paura di non essere all’altezza del grande amatore, dell’uomo di mondo, e di risultare una povera sciocca sprovveduta, priva di esperienza.
E invece dovette ricredersi, perché pareva quasi che il più insicuro fra i due, piuttosto, fosse proprio il socio e non lei!
Ryo, infatti, temeva un suo rifiuto, che lei lo allontanasse di mala grazia, rifilandogli uno schiaffo o peggio, per l’impudenza che stava commettendo.
Allo stesso tempo, non avrebbe smesso per nulla al mondo, perché Ryo non riusciva a staccarsi da lei, e avrebbe continuato a baciarla, finché lei non lo avesse mandato via.
 
E Kaori, superato quel primo momento di piacevole smarrimento, gettandogli le braccia al collo, lo attirò di più a sé, imprimendo nel suo bacio tutto l’amore che provava per quell’uomo fantastico e complesso, che aveva avuto la fortuna di incontrare.
 
Affidarono alle bocche che si accarezzavano, tutte le speranze, i crucci, i dubbi, i desideri che entrambi conoscevano molto bene, e che nessuno dei due aveva mai osato dire ad alta voce.
 
Quando si staccarono, si guardarono negli occhi scintillanti, e si sorrisero mormorando il nome dell’altro, a fior di labbra.
 
“Sei tornata Sugar Boy!” le sussurrò Ryo, e poi aggiunse “Temevo che non saresti più ritornata…. da me.”
 
“Testone, come avrei potuto andarmene, e perdermi il meglio che può offrirmi la vita?” e sorridendogli gli diede un buffetto sulla punta del naso. “Dimmi che mi vuoi, e resterò per sempre…” finì per dire.
 
“Certo che ti voglio, ti ho sempre voluto!” e nuovamente la baciò, con più passione stavolta, ma Kaori rispose con altrettanto entusiasmo, e ben presto le labbra si schiusero, permettendo alle lingue di incontrarsi.
 
Soli, si baciarono per un tempo che parve loro eterno, dimentichi di tutto, anche di loro stessi.
 
Nel frattempo era ormai scesa la sera, e il porto si era fatto deserto; le luci della baia si specchiavano tremolanti sull’acqua calma del mare, e rare imbarcazioni raggiungevano la costa, trovando riparo per la notte.
Erano rimasti gli unici sulla passeggiata del lungomare, e i lampioni gettavano macchie di luce sulla massicciata.
 
Dopo un lungo bacio dolcissimo, Ryo chiese alla sua ragazza:
 
“Cosa vorresti fare adesso?” memore di quel lontano appuntamento, si metteva nuovamente e idealmente a sua disposizione, e anche se nessuno dei due indossava i vestiti eleganti che Eriko gli aveva prestato – e sarebbero stati anche scomodi visto che erano in estate e quel fatidico incontro si era svolto in inverno! – avrebbero potuto replicare l’uscita di quella volta, o inventarsi qualcos’altro di altrettanto interessante.
In realtà Ryo intendeva anche altro, ma lasciò alla ragazza di decidere cosa avrebbe voluto fare, se nell’immediato, o di loro due in generale.
 
“Vorrei… vorrei ricominciare da capo!” Rispose quella, e subito Ryo fece per rimettersi a baciarla dicendo:
 
“Basta dirlo, non c’è problema!”
 
Ma lei gli pose un dito sulle labbra, e sorridendogli grata e divertita specificò:
 
“Sì, anche quello, ma io … intendevo che… Vorrei che ricominciassimo da capo, che facessimo finta di conoscerci adesso, e decidessimo di frequentarci e….”
 
“Vorresti dire che non tornerai a casa con me?” si affrettò ad interromperla lui, con un vago senso di inquietudine.
 
“Ma sì, cioè no… Insomma, aspetta, fammi finire!” gli intimò sul filo dell’esasperazione.
 
Poi facendosi più dolce, e guardandolo dritto negli occhi riprese:
 
“Ryo, tanti anni fa ti sono capitata fra capo e collo, e tu sei stato costretto a prendermi con te… aspetta non fare quella faccia! So che eri molto affezionato a mio fratello…” e calcò sulla parola fratello “…ed è stato solo un fatto di onore e orgoglio, il doverti occupare di me, ma non ti biasimo se ti è pesato.”
 
“Kaori, io…” riuscì a dire lo sweeper.
 
Voleva smentire tutto ciò che stava dicendo la ragazza, ma era anche troppo confuso per farlo; all’inizio effettivamente era stato proprio così, ma poi, e non ricordava nemmeno più quando era successo, la sua presenza gli era diventata irrinunciabile, e non avrebbe potuto fare a meno di lei.
 
“Ma ora…” riprese Kaori “…se è vero che ci lega un sentimento, vorrei che cominciassimo da qui, come una coppia normale, come due che si piacciono, e vogliono provare a costruire qualcosa insieme.”
 
“Non posso dimenticare, però, quello che c’è stato prima” rispose Ryo “Ti ho fatto soffrire inutilmente e cercherò in tutti i modi di farmi perdonare. Possiamo ripartire da adesso, certo, ma tu eri già la mia famiglia anche prima.” concluse l’uomo.
 
“Oh Ryo…” esclamò la ragazza gettandogli nuovamente le braccia al collo, e tuffando il viso nel suo petto.
 
Era così felice, che sentiva il cuore sul punto di esploderle dentro; poi improvvisamente rialzò di colpo il viso, e cercando le labbra dell’altro, lo baciò con rinnovato desiderio.
 
“Ehi vuoi due! Trovatemi una stanza!” si sentì all’improvviso nel buio della sera.
 
I due sweeper si staccarono colpevoli, e si guardarono intorno frastornati, fino ad individuare un paio di balordi alticci che, dando calci ad una sdrucita e ammaccata lattina di coca cola, avanzavano verso di loro.
 
Effettivamente non era poi così usuale vedere una coppia scambiarsi effusioni in pubblico; per quelle cose c’erano i love hotel o altri locali dedicati; Ryo e Kaori erano partiti con un semplice bacio a fior di labbra, e si erano lasciati andare alla passione, convinti che fossero ormai soli.
In ogni caso non stavano facendo nulla di male, ed avevano aspettato così tanto per coronare il loro amore, che si sarebbero baciati anche nel bel mezzo della più affollata strada di Shinjuku, forse…
E comunque non sarebbero rimasti lì in piedi sul molo, tutta la notte; però ecco, quei due giungevano proprio a sproposito.
 
Calcio dopo calcio, la lattina era arrivata pericolosamente vicina ai piedi di Ryo, il quale, fingendo sgomento e vergogna per essere stato beccato dai due, non smetteva di grattarsi la testa e ridacchiare a disagio.
Quando li ebbe convinti per bene di essere un povero sciocco, alimentando le loro risate sguaiate, con uno scatto felino, diede un enorme zampata alla lattina che finì dritta dritta sulla fronte del primo balordo.
Il quale non si capacitò nemmeno di ciò che stava succedendo, fino a quando il dolore non lo costrinse a portarsi le mani alla testa, e tastarsi il bernoccolo che già stava spuntando come un fungo.
Il tempo che la lattina toccò terra, che ecco di nuovo veniva calciata da Ryo, in direzione della capa dell’altro balordo.
 
Stessa sorte, e stessa reazione.
 
E stavolta fu il turno di Ryo di ridere sguaiatamente, mentre Kaori si premeva una mano sulla bocca per non fare altrettanto.
Non appena i due si riscossero dalla botta, e dall’umiliazione subita, scrutarono meglio i due sweeper, forse li riconobbero perfino, quindi dopo essersi scambiati un’occhiata eloquente, scapparono a gambe levate, urlando in preda al terrore.
 
Rimasti nuovamente soli, Ryo e Kaori si lasciarono andare ad una risata divertita, e anche liberatoria.
 
Scemate le ultime risatine, Ryo guardò intensamente Kaori negli occhi, e con aria da seduttore le chiese:
 
“Pensi anche tu che dovremmo trovarci una stanza?”
 
Kaori fu percorsa da un piacevolissimo brivido caldo, che la fece tremare e arrossire; Ryo aveva fatto una battuta, ma diceva sul serio; la desiderava veramente, e sarebbe andato volentieri anche oltre un semplice bacio.
La prospettiva la elettrizzò, e spaventò insieme, ma, si disse, non si sarebbe tirata indietro per nulla al mondo.
Stette al gioco:
 
“Solo una stanza? Ma noi abbiamo una casa intera ad aspettarci!” e gli strizzò l’occhio.
 
Improvvisamente, infatti, le era venuta voglia di tornare a casa, alla sua casa, quella che le era mancata tantissimo, e di stare con Ryo, da soli circondati dalle quattro mura dello storico appartamento: per un’altra eventuale uscita ufficiale, ci sarebbe stato tempo.
 
“Perfetto socia!” esclamò lo sweeper, “Ma prima, vorrei che ci andassimo così, vuoi?” e prendendola per mano, le fece segno di seguirlo; insieme si incamminarono nella notte, mano nella mano, verso il parcheggio, verso la Mini, verso la strada che li avrebbe riportati finalmente… a casa.
 
Erano ormai scomparsi nel buio, e si udivano appena i loro passi scricchiolanti sulla ghiaia fine, quando si sentì Kaori dire chiaramente:
 
“Anche io, Ryo, anch’io l’ho sempre fatto… per il tuo bene!” e una risatina si perse nei tenui rumori della sera.    
 

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