La leggenda della volpe dagli occhi di fuoco

di 0421_Lacie_Baskerville
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una leggenda ***
Capitolo 2: *** La volpe ai margini del giardino ***
Capitolo 3: *** Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. I ***
Capitolo 4: *** Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II ***
Capitolo 5: *** Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine III ***
Capitolo 6: *** Sotto il candore della neve, un sogno che si confonde con la realtà. ***



Capitolo 1
*** Una leggenda ***


Ripubblico questa storia dopo averla erroneamente cancellata tempo fa.


Una Leggenda

Non so perché ho iniziati a scrivere questa storia e perché stia seriamente pensando di pubblicarla a frammenti nonostante sia un'unica lunga storia che devo ancora terminare.
Potrei aggiornare altre storie... Dovrei farlo... Voglio farlo... ma qualcosa mi frena.
Non so nemmeno dove voglio arrivare con questa (anche se ho in mente praticamente tutta la trama e diverse scene). So solo che scriverla e rileggerla è come perdermi in una parte stranamente luminosa del mio inconscio, dove il tempo non ha consistenza e una volpe si muove ai margini del mondo in attesa di essere catturata.

In effetti, in questo periodo ho ben poca voglia di scrivere e poche idee.
Mi pare quasi di essermi persa e aver smarrito anche una parte preziosa di me, la capacità di sentire con i miei sensi quello che provano i personaggi e riuscire così a fissarlo su carta.
La capacità di immaginare e perdermi in mondi immaginari... molto di più. Mi pare di aver perso la consistenza delle cose, il piacere di percepirle e non avere alcun posto in cui andare per ritrovarla.

E poi, un pomeriggio del 16 aprile 2022, quasi per gioco, ho condiviso sul mio account Instagram una fanart bellissima con Bakugou e Midoriya in versione Oni che mangiavano insieme del ramen, domandando quanto sarebbe stato bello leggere una storia su loro in questa versione.
Avevo voglia di nuove letture, ma un utente mi ha espresso la sua speranza che fossi io a scriverla.

Io, che non avevo nemmeno un'idea di cosa abbozzare e non riuscivo a scrivere nemmeno i capitoli delle long o la one shots che avevo avviato in semi segreto?
FOLLIA.
Eppure, ho iniziato a pensarci davvero.
Così.
Per gioco. Con leggerezza.
A immaginare che genere di storia avrei voluto leggere. A cercare quel filo invisibile che mi ha fatto innamorare di storie come Beren e Lúthien o i figli di Hurin. (Togliendo che io posso solo protrarmi ai piedi di Tolkien) e che ho buttato giù senza troppe paranoie o pretese.

Una storia di un ragazzo, Izuku, che vede per puro caso una volpe aggirarsi ai margini del suo giardino e ne rimane come stregato.

Una volpe molto strana, con due morbide code che si agitano pigre nell'aria e a cui non riesce a smettere di pensare.

Così, se quello che cercate è un mondo in cui potervi perdere e cercare riposo, questa storia potrebbe fare proprio al caso vostro. Perciò, girate pagina e addentriamoci insieme nelle atmosfere senza tempo del Giappone antico e forse, potremo vedere insieme una volpe dagli occhi rossi riposare all'ombra odorosa del glicine insieme al ragazzo che rinunciò a tutto per perdersi con lui in sogno...

 

⚠️ Boy x boy ⚠️
💜 BAKUDEKU SHIP
💚 AU con ambientazione storica-leggenda giapponese.
🦊 Kitsune legend
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IT: Questa storia appartiene a @_Lacie_inlove e i personaggi all'autore originale Kohei Horikoshi. Copiare, scaricare o rubare questa storia nel mio paese è un reato punibile.

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- La volpe ai margini del giardino (27/04/2022)

- Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. (20/07/2022 - 03/09/2022 - 22/12/2022)

- Sotto il candore della neve, un sogno che si confonde con la realtà (16 Giugno 2023)

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Capitolo 2
*** La volpe ai margini del giardino ***


La volpe ai margini del giardino


La prima volta che l'aveva incontrato era stato all'ombra del glicine che fioriva ai margini del giardino.

L'aria tiepida che gli sfiorava la pelle profumava dei primi fiori in boccio e mitigava il calore del sole primaverile che filtrando dai contorti rami carichi di fiori pendenti, disegnava pagliuzze di luce sulla coperta stesa sotto di lui e sulla pelliccia dorata della volpe.

Izuku era poco più di un bambino piccolo quando aveva scorto per la prima volta nella sua vita, la figura minuta seminascosta nella vegetazione e quel muso affilato che sbucava fra le contorte radici per fissarlo con occhi di fuoco, incastrati nella ispida pelliccia dorata.

Conservava uno strano ricordo del momento in cui il flebile fruscio dell'erba alta gli aveva fatto sollevare lo sguardo dai blocchi in legno con cui stava giocando, per incrociare quegli occhi penetranti che lo fissavano. Il silenzio immobile denso dell'odore dei fiori in cui erano rimasti a guardarsi, avvolti dall'ombra odorosa del glicine, con la voce cristallina di sua madre intenta a stendere il bucato poco lontano che faceva fremere le sottili orecchie pelose della volpe con il suo dolce canto.

Una sorta di meraviglia gli era fiorita nel petto nello scorgere come quel pelo morbido sembrasse corto e ispido sul muso affilato e una sottile linea bianca gli schiariva la peluria bionda per sfumare in un dorato più scuro sulla fronte. Aveva uno sguardo penetrante e leggermente infastidito nell'essersi vista scoperta e le narici gli fremerono come a cogliere una fragranza particolare nell'aria.

Perfino dopo anni, a Izuku quel loro primo incontro pareva senza tempo. Era nitido nella sua mente come se fosse stato impresso con il pennello su carta e fugace come un sogno infantile o una fantasia, il guizzo di una coda che fendeva l'aria e frustava le foglie con tanta rapidità da sembrare duplice.

L'aveva guardata scivolare via e scomparire senza lasciare traccia e solo in seguito, aveva realizzato che ad attrarre la volpe era stato il canto di sua madre e che era stato il suo sguardo di bambino a farla fuggire.

Non aveva pensato che di genere le volpi non avevano iridi rosso scuro né la pelliccia di un tenue color oro e tanto meno, due morbide e folte code che si agitavano al seguito, svanendo nel folto della foresta. Non aveva la capacità di linguaggio né la consapevolezza di sé stesso necessaria a capire quanto fosse sorprendente la forza silenziosa della sua presenza. Il semplice fatto che un animale selvatico si fosse avvicinato tanto da superare il confine che divideva l'ampio giardino dal bosco montano vicino, solo perché una donna stava cantando una canzone sotto i raggi tiepidi della primavera alle porte.

Ora, nel ripensarci gli veniva quasi da ridere. Non sapeva ancora niente, allora, di cosa quell'incontro avrebbe significato per entrambi e di come avesse deviato il corso della sua esistenza, plasmandola e direzionandola verso sentieri che i comuni mortali non intraprendevano mai.

L'unica cosa che sapeva era che quella visione fugace l'aveva stregato.
 

🦊🦊🦊


Era ai margini della foresta che l'aveva intravista, in seguito.

Un lampo di pelo dorato così soffice e chiaro da sembrare tarassaco che scivolava fra i cespugli e le felci, nascondendosi alla sua vista e costeggiando i confini della sua proprietà per avvicinarsi abbastanza da ascoltare il canto di sua madre.

La sua casa sorgeva ai piedi di una zona montuosa, un poco distante dalla cittadina e vantava un ampio giardino giapponese che confinava con i boschi variopinti. C'erano sontuose piante di glicine ai margini di un laghetto naturale che prendeva le sue acque dalle alte montagne. Robusti rami di aceri secolari sconfinavano a sfiorare i tetti dell'antica dimora di famiglia, ombreggiandone le finestre con le loro chiome.

Ovunque Izuku venisse lasciato a giocare, quella primavera e nell'estate che seguì, i suoi occhi verdi cercarono e scovarono la volpe dorata che si muoveva furtiva ai margini del giardino. Veniva al suono del canto di sua madre che si innalzava nell'aria mentre svolgeva qualche mansione domestica la mattina o la sera, quando cantava per farlo addormentare, e se ne andava ogni volta che si vedeva scoperto da Izuku.

All'inizio, si accorgeva del suo arrivo solo perché quei suoi occhi di fuoco bruciavano attraverso il tessuto leggero dello yukata con tanta forza da percepirne l'intensità sulla pelle come un leggero formicolio. Il cuore gli sussultava in petto nel vedere quelle orecchie triangolari rizzarsi attente e il naso affilato spuntare tra le foglie di un basso cespuglio per arricciarsi in un'espressione buffa, quasi seccata, prima di scomparire nel folto della vegetazione.

Izuku rideva alla sua vista, agitando le mani paffute in segno di apprezzamento e gattonandogli incontro. Gorgoglii gioiosi gli sfuggivano dalle labbra, ma anche quelle poche volte in cui sua madre o la bambinaia non arrivavano in tempo per fermarlo, raggiungeva il posto in cui l'aveva vista solo quando la volpe era già svanita senza lasciare tracce.

A volte, gli sembrava quasi di capire dove la volpe si fosse nascosta a spiarli per pura intuizione infantile. Lo cercava con lo sguardo e ogni volta i suoi occhi verdi coglievano il guizzo sinuoso delle sue code o il baluginare del rosso delle sue iridi nella luce del sole, fra gli ispidi cespugli e le contorte radici, una risatina gorgogliante gli risaliva la gola e risuonava allegra nell'aria.

La maggior parte delle volte, però, le sue aspettative crescenti venivano deluse e Izuku gattonava sul tappetto di ghiaia ed erba senza riuscire a cogliere il guizzo fulmineo dell'oro della sua pelliccia per molti giorni. Niente lo contrariava quanto quella piccola delusione e dato che non possedeva la proprietà di linguaggio o la consapevolezza di sé stesso necessaria a spiegare agli adulti della casa cosa l'avesse contrariato tanto da trasformare le sue risate in guance arrossate e bronci scontenti, sua madre passava intere ore cercando di fargli tornare il sorriso.

Gli avevano raccontato che era sempre stato un bambino allegro, incline al pianto ma anche pronto alla risata. Il suo malumore non durava più di qualche minuto e non faceva mai i caprici, se non quando sua madre cercava di portarlo in città con sé.

Izuku detestava il modo in cui gli adulti in città lo guardavano, con un sorriso condiscendente stampato in volto che lo spingeva a cercare di nascondersi dietro la gonna di sua madre nella vana speranza di poter sfuggire alla loro attenzione.

Chiedevano ai loro figli di giocare con lui solo perché era l'erede di una famiglia facoltosa, ma a nessuno importava come lo facesse sentire vederli ridere di lui, prendendolo in giro per la facilità con cui incespicava sulle parole o arrossiva; per l'insolito verde lucente dei suoi occhi e per le onde ribelli dei suoi capelli che lo distinguevano da chiunque altro in quella città.

Le stagioni cambiavano, l'estate arrivava e passava, riportando l'inverno gelido e costringendoli a passare più tempo chiusi in casa, dove il canto di sua madre era un sussurro che accompagnava il movimento della mano intenta a ricamare, e Izuku cresceva acquisendo la consapevolezza dell'esistenza di una volpe dorata dagli occhi di fuoco che costeggiava i confini della sua vita, cercando di sfuggirgli.

A volte, gli sembrava di scorgerla attraverso una finestra aperte mentre correva sulla neve e spariva nel folto del bosco vicino. Altre, ne avvertiva solo la presenza silenziosa, indugiare poco oltre le porte chiuse e aggirarsi per il cortile innevato come un'ombra celata alla vista, pronta a svanire al primo accenno di presenza umana.

Izuku amava quella casa e amava più di tutto la sottilissima linea di confine che esisteva fra l'ordinata semplicità con cui era disposta ogni cosa nel suo giardino tradizionale e la selvaggia esplosione di vita vegetale del bosco che l'invadeva senza ritegno, cancellando ogni linea di confine.

Amava l'odore di cera d'api di cui sapeva il legno della sua casa e il profumo dei fiori che sua madre faceva seccare per profumare i cassetti e gli armadi. Amava il fatto che le montagne e il bosco gli mostrassero un aspetto diverso ogni volta che si affacciava da una delle finestre per ammirarli. Il modo in cui sembravano mutare di colore e forma mentre le ombre si ispessivano o assottigliavano con lo scorrere delle ore e delle stagioni, così da sembrare sempre nuove e incantevoli al suo sguardo.

Era nato fra quelle mura sottili, fra pesanti porte rivestite di carta di riso e legno pregiato, in un pomeriggio estivo in cui soffiava un vento impetuoso che faceva tremare e scricchiolare tutti gli infissi con una ferocia tale da lasciar pensare volesse sfondarli.

Sembrava quasi che gli dèi delle montagne fossero adirati con noi ≫ gli aveva raccontato sua madre, pettinandoli i riccioli scuri con le dita, nel vano tentativo di appiattirne le onde ribelli. ≪ Gridavano e gridavano, riversando la forza del vento contro le nostre porte e facendo scricchiolare tutti gli infissi. Ho temuto che la montagna venisse giù per travolgerci.

Izuku aveva sentito un brivido inquieto scorrere lungo la spina dorsale al pensiero di quelle immense montagne che si rivoltavano per inghiottire la sua casa e tutti i suoi abitanti. La voce di sua madre era un sussurro suadente mentre aggiungeva. ≪ Era pieno pomeriggio, ma il cielo era così nero da sembrare notte e udivo chiaramente il rombo del tuono mentre gridavo per le contrazioni. Incombeva una tempesta quell'estate, me lo ricordo bene.

Forse gli dèi l'odiavano per quei riccioli ribelli che gli sfioravano la fronte e che non si riusciva a domare, per la tinta scura che sua madre usava per nascondere gli strani riflessi che li distinguevano. Socchiudendo gli occhi verdi aveva tirato uno spesso ricciolo scuro con le dita da bambino e l'aveva osservato con attenzione.

Gli altri bambini storcevano il naso nel vederli e perfino suo padre ne sembrava impensierito e chiedeva spesso alla moglie se non si potesse porvi rimedio. Non era normale che un erede di buona famiglia avesse capelli così ricci e di un colore tanto insolito, soprattutto perché i suoi genitori avevano entrambi pesanti chiome lisce del nero vellutato dell'inchiostro.

Erano arrabbiati perché stavo venendo al mondo? ≫ aveva domandato a sua madre, con un filo di voce che tradiva l'inquietudine annidata nel suo petto. Nel rivoltare la testa indietro per guardarla in volto, gli occhi verdi avevano incrociato quelli di sua madre che lo guardava con affetto. ≪ L'ho pensato anche io. ≫ aveva ammesso lei, accarezzandogli i riccioli scuri con le piccole mani delicate. ≪ Mentre gridavo per i dolori del parto ho pensato che fossero adirati con me, ma sai una cosa?

Izuku aveva scosso appena la testa, mordendosi il labbro mentre sua madre sorrideva con tenerezza. ≪ Alla fine, quando sei venuto alla luce e hai dato il tuo primo vagito, il vento ha stracciato la carta di riso che rivestiva la finestra e il sole ha fatto irruzione. In quel momento ho capito che gli dèi non erano adirati, ma volevano solo vederti.

Izuku aveva guardato sua madre con gli occhi verdi sbarrati per lo stupore. Avevano gli stessi occhi, dello stesso colore del folto di una foresta e molto diversi dalle tonalità scure del resto degli abitanti della casa e della città vicina, eppure sua madre non aveva traccia di verde nei suoi folti capelli scuri. Era solo lui ad essere diverso, così come era solo lui ad attendere l'arrivo della volpe. A chiedere a sua madre di cantare davanti alla finestra anche in pieno inverno, nella speranza che il suo canto l'attirasse allo scoperto.

Nessun'altro sembrava essere consapevole della presenza silenziosa che compariva e svaniva con un guizzo sinuoso delle due code quanto lo era Izuku.

Non sua madre che cantava ogni volta che uscivano in giardino e gli pettinava i riccioli ribelli, nel vano tentativo di cancellarne le onde. Non suo padre che nel tornare a casa la sera guardava sempre con fare critico alla massa disordinata dei suoi capelli e la spruzzata di lentiggini sulle sue guance, prima di sospirare rassegnato e concentrarsi su altro, e nemmeno la servitù.

La volpe veniva e se ne andava all'insaputa di tutti, alimentando la scintilla che aveva acceso nel piccolo Izuku sin dal loro primo incontro: il desiderio feroce e radicato di afferrare quelle due morbide code fra le manine paffute e scoprire che sensazione dava stringerle.

Izuku ne era assolutamente certo. Era per testardaggine a inseguire questo progetto che aveva imparato a sollevarsi sulle corte gambette paffute e a muovere i primi passi incerti sull'erba. Solo per questo, aveva affilato la capacità di fingere di giocare con i suoi giochi mentre in realtà tendeva l'orecchio e aguzzava la vista per indovinare il punto in cui si nascondeva la sua volpe dorata e poter correre a scovarla.

Ma non era mai riuscito ad afferrare quelle due code ondeggianti e anzi, gli sembrava quasi che la volpe si prendesse gioco di lui e ridesse dei suoi tentativi fallimentari di afferrarla. Lo attirava in un punto preciso del giardino, fra cespugli ornati di spine e aghi odorosi con l'ondeggiare pigro delle sue code e il baluginare del suo manto dorato per poi, sbucare con la testa affilata in un punto totalmente diverso, dove meno si sarebbe aspettato di vederla.

La sua comparsa improvvisa gli faceva balzare il cuore in gola per lo spavento e gli strappava di bocca esclamazioni sorprese che mutavano rapide in risate estasiate. Era bellissima. Più cresceva e più Izuku ne aveva preso consapevolezza, la sua volpe era sfuggente e bellissima con il manto dorato quasi bianco nella luce violenta del sole che creava un forte contrasto con il verde scuro delle foglie o la delicata sfumatura violacea del glicine.

Rideva di lui con le orecchie tese sulla nuca dorata e gli occhi rossi intensi che lo scrutavano sprezzanti, le spesse labbra sormontate da sottili peli ispidi arricciate in una sorta di ghigno derisorio che svaniva solo quando scompariva nella vegetazione, preparandogli un altro scherzo.

Era anche dispettosa.

Izuku non sapeva come facesse, ma aveva iniziato a notare come i suoi giocatoli svanissero e ricomparissero a distanza di ore, dove era sicuro non fossero mai stati lasciati. Gli indumenti sparivano dal filo in cui erano stati stesi ad asciugare e venivano ritrovati a galleggiare nel laghetto, fra i petali caduti del glicine e le foglie degli aceri. Le ampie maniche dei suoi yukata aperte ad accogliere le acque cristalline e mettere in mostra il taglio maschile, ricordando un corpo morto sulla superficie.

La prima volta, una serva aveva scambiato la figura scura per lui e aveva lanciato grida agghiaccianti che erano risuonate per tutta la casa e l'ampio giardino. Erano accorsi tutti. La servitù a gran completo, sua madre, lui stesso e perfino suo padre, aveva lasciato lo studio in cui gestiva tutte le sue incombenze e si era precipitato a vedere.

Un brusio inquieto aveva risuonato per l'intero cortile, sormontato dal singhiozzare rotto di alcune serve e le grida furiose di suo padre. Izuku aveva osservato la scena trattenendo il fiato e tormentandosi le pellicine sulle mani, gli occhi verdi sbarrati fissi sul tessuto galleggiante del suo kimono nero ricamato in filo d'argento. Una volta che il panico era scemato e si erano accertati che lui stesse bene, sua madre aveva riportato l'ordine ed era stata costretta a sgridare sia lui che le povere serve della casa, totalmente ignare ed estranee al fenomeno, per quello che era stato definito uno scherzo di cattivo gusto.

Ma Izuku sapeva che era stata la volpe.

Aveva percepito quel suo sguardo rovente sulla schiena che lo fissava e si sarebbe giocato un braccio che stava ridendo di tutti loro dal suo nascondiglio.

Non riuscì a spaventarlo.

Lo scherzo lo rese ancora più determinato a catturarla, alimentando la sua naturale testardaggine e il desiderio di riuscire finalmente ad afferrare quelle folte code danzanti. Si muoveva per il giardino, studiando il suo rivale e la beffarda fluidità dei suoi movimenti nella vegetazione con gli occhi verdi socchiusi per la concentrazione e un sorriso emozionato a curvare le labbra.

La volpe era abbastanza furba da evitare di avvicinarsi troppo in presenza di adulti e non si spingeva mai allo scoperto. Camminava sul tappetto di glicine con la leggerezza del vento e si muoveva silenziosa come uno spettro fra i bassi cespugli e le radici, usando le fitte ombre degli alberi per celarsi alla vista. L'unica cosa che la tradiva era l'intensità del suo sguardo, il silenzio concentrato della sua presenza che Izuku avvertiva come un formicolio sulla pelle anche attraverso il tessuto dello yukata.

Il fruscio della carta fra le sue dita risuonò nella tenue frescura della sera, dipingendo le placide acque del laghetto dei colori del cielo. Un caleidoscopio di argento e oro, del rosso aranciato del sole che si tuffava oltre gli alti rami degli alberi e il profilo sinuoso delle montagne. La volpe l'osservava dalle radici contorte del glicine, le spesse code che ondeggiavano divertite nell'aria e gli occhi rossi che fissavano il viso concentrato del bambino che tentava di articolare il suono delle parole dipinte su carta.

Aveva imparato a camminare sulle goffe gambette paffute per poterla afferrare, ora stava imparando a leggere solo per poter scoprire quale cibo piacesse alle volpi e poterla così attirare fuori dal limitare del bosco.

Izuku non riusciva a vederla da dove si trovava, ma ne percepiva la presenza e quando sua madre si affacciò a chiamarlo per la cena, si voltò verso il limitare del bosco a sorriderle. ≪ Ci vediamo domani. ≫ sussurrò ed era una promessa che avrebbe mantenuto perché nulla a quei tempi gli sembrava più importante di riuscire ad affondare le mani nella morbida pelliccia di lui.

 

 

to be continued...  Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine.

 

 

 

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Capitolo 3
*** Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. I ***


Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. I

 

Il profumo del glicine impregnava gran parte dei suoi ricordi di bambino e di ragazzo, così come l'ombra odorosa che stendeva sul sottile tappetto di petali violacei, allungandosi fino alle acque scintillanti del lago.

Al di sotto di quel cielo fiorito poteva sedere a leggere le sue pergamene in tranquillità o riposare nei caldi pomeriggi d'estate, con il gorgoglio delle acque e il frusciare della brezza fra i rami fioriti del glicine, a cullarlo.

Era là che aveva visto per la prima volta la sua volpe dorata e ne aveva scoperto l'esistenza. Sotto quel groviglio di petali violacei e rami contorti aveva imparato a stare in piedi, a muovere i primi passi incerti e a correre su un prato morbido, nel vano tentativo di catturare una volpe sfuggente quanto una foglia al vento.

Negli anni, quel posto era diventato il suo preferito di tutta la casa e spesso mentre sonnecchiava fra rotoli di pergamena che sapevano di inchiostro e petali della morbida sfumatura blu violacea, gli pareva di intravedere la figura sinuosa della volpe, celata fra le radici contorte e gli aghi dei bassi cespugli, intenta a riposare a sua volta nella pace odorosa di quell'angolo del giardino.

Era più che altro un'impressione che lo coglieva nell'aprire gli occhi e mettere a fuoco le pagliuzze di luce solare che danzavano sul tessuto ruvido della coperta e le linee sinuose d'inchiostro sulla carta. La fugace sensazione di aver avuto accanto qualcosa di caldo e morbido che gli sfiorasse la guancia per poi dissolversi come i margini di un sogno al suo risveglio.

Non c'era mai nessuno con lui quando apriva gli occhi, se non la brezza calda e il cinguettare degli uccelli e nel mettersi a sedere sulla coperta ingombra di vecchie pergamene e petali odorosi, si stropicciò gli occhi appannati di sonno guardandosi attorno alla ricerca di qualcosa che nemmeno lui sapeva cosa fosse.

La servitù doveva essersi ritirata per sfuggire all'afa che chiudeva l'aria come una cappa e il giardino, nella luce del sole pomeridiano, sembrava privo di ogni forma di vita. Un luogo destinato a esistere al di fuori del tempo e che apparteneva agli dèi delle montagne che incombevano sulla sua casa da sempre.

La pietra da cui sgorgava un getto di acqua scintillante increspava il laghetto che si stendeva sotto le pesanti fronde del glicine, riflettendo un cielo azzurro privo di nuvole e i nodosi rami degli aceri che si stendevano fino a ombreggiare le finestre lasciate aperte della sua casa.

In quella pace sospesa e semplice, Izuku poteva quasi assaporare come sarebbe potuta essere la sua vita senza la volpe. Poteva immagine un'infanzia ritirata trascorsa a giocare da solo, le ore quieti di studio sotto lo sguardo severo del suo istitutore e le cene solenni seduto accanto alla figura altera di suo padre, circondati da ospiti importanti e corteggiato da giovani di buona famiglia che nei loro sguardi timidi gli lasciavano intendere la loro disponibilità ad essere ammirate e bramate.

Le cose che avrebbe potuto avere e desiderare, i traguardi che avrebbe potuto raggiungere con tutt'altra motivazione, sbiadivano e sfumavano man mano che il velo del sonno l'abbandonava e i suoi ricordi si velavano della luce dorata del sole estivo, della dolce fragranza del glicine in fiore e del frusciare ovattato di due morbide code dorate che facevano capolino dalla vegetazione selvaggia, ai margini del giardino.

Aveva trascorso la sua infanzia a sdegnare la compagnia dei suoi coetanei per correre dietro l'ondeggiare pigro di quelle due morbide code pellose. A sentire un filo sottile di disaggio tendere i muscoli di tutto il corpo a ogni cena importante, trascorsa alla destra di suo padre fin da bambino con la schiena dritta e le sue vesti più pregiate addosso, pregando in silenzio perché le ore passassero presto e gli fosse concesso di fuggire lontano dal grande salone delle feste.

Il cibo sulle varie tavole era delizioso. La compagnia dei vari dignitari con le loro famiglie a tratti perfino piacevole e la musica, le danze, i colori sgargianti delle vesti delle bellissime fanciulle incaricate di intrattenerli, sublime. Una girandola di suoni e colori, sapori e odori, che rapivano lo sguardo e disegnavano sorrisi soddisfatti sui volti dei loro ospiti, ma Izuku non riusciva mai a sentirsi davvero coinvolto in tutto ciò.

Per quanto ci provasse, i suoi occhi verdi vagavano per la sala senza mai trovare riposo nei ricchi tessuti colorati dei kimono signorili, nella luce soffusa delle lanterne lasciate a bruciare in cima alle tavole imbandite e con il trascorrere delle ore, il pizzicore del tessuto del kimono sulla sua pelle e la sensazione di vuoto alla bocca dello stomaco, mutavano in impazienza e mancanza.

Non riusciva mai a liberarsi del pensiero della volpe che l'attendeva al di là delle porte chiuse e ne sentiva la mancanza come un vuoto nel petto. Un incantesimo che l'aveva catturato e che si trasformava in una maledizione che lo estraniava dal mondo a cui avrebbe dovuto appartenere ogni giorno un po' di più, ancorandolo a qualcosa di distante quanto un sogno.

Nessuna pietanza, per quanto ricca di sapori, o dolce melodia che alleggiava nella stanza invasa dai profumi dell'incenso e nemmeno le aggraziate movenze delle danzatrici, avvolte di vesti di seta dai vivaci colori, riuscivano a fargli dimenticare quella sensazione.

Gli sembrava di tornare a respirare solo quando percorreva il lungo corridoio esterno per scendere i gradini di pietra che portavano in giardino, le mani abbandonate lungo i fianchi, semi coperte dalle ampie maniche della veste, e la luce della luna a dipingere d'argento i riccioli neri che gli sfioravano la fronte.

Nella notte, il giardino era un luogo rischiarato solo dalla luce delle lampade ad olio che filtrava dalle finestre aperte per riversarsi all'esterno e nell'attraversarlo, Izuku doveva affidarsi solo alla sua conoscenza del luogo e all'udito.

La musica di un liuto alleggiava leggera nell'aria densa di umidità e nel folto della foresta, gli animali notturni scivolavano sul tappetto di radici e foglie in cerca di prede con cui sfamarsi. Il laghetto stagnava silenzioso e l'odore del bosco e dei fiori in sboccio era ovunque, riempiendogli il petto a ogni respiro.

≪ Mi sei mancato. ≫ sussurrava Izuku con un lieve sorriso, alle ombre della notte che avvolgevano le maestose querce secolari. ≪ Mi sei mancato tanto che vorrei fossi stato lì con me. ≫

La luce argentea della luna delineava i margini dei tralci carichi di fiori del glicine che pendevano sulla sua testa come tante ghirlande odorose e là, celato fra i rami più grossi e le frasche più fitte, due occhi rossi di fuoco lo fissavano ostili e risentiti dal manto della notte.

La sua voce era rauca e aspra nelle ombre che lo nascondevano alla sua vista e un lieve graffiare felino traspariva da essa. ≪ Certo, come no. ≫

Le guance lentigginose di Izuku si coprivano di un tenue rossore e il sorriso sulle sue labbra si allargò nel sentire quel borbottare sprezzante e derisorio che accompagnava il frusciare dei fiori e il socchiudersi dei suoi occhi di fuoco. ≪ Il signorino era troppo preso ad ammirare le grazie di quella ballerina per accorgersi di qualsiasi altra cosa. ≫

≪ Una ragazza davvero graziosa, non c'è che dire. ≫ aveva ammesso, soffocando a stento una risata, gli occhi verdi scintillanti di divertimento intenti a osservare l'affilarsi e lo scurirsi di quelle iridi rubino che lo fissavano con ostilità crescente.

≪ In tal caso, ≫ aveva soffiato lui e la luce della luna era stata catturata dal baluginare della sua dentatura, scoperta in una smorfia irritata e carica di orgoglio. Izuku l'aveva interrotto prima che potesse continuare, la voce ridotta a una bassa vibrazione soddisfatta e divertita. ≪ Peccato che non sarebbe proprio appropriato per un uomo nella mia posizione congiungersi a una ragazza di così semplici origini. Mio padre ne resterebbe molto deluso. ≫

Nulla gli piaceva più che l'espressione che la volpe faceva quando si indispettiva e che riusciva a indovinare perfino nel buio della notte, ma era anche consapevole di quanto fosse fastidiosa e vendicativa quando voleva. Nel sentirla borbottare fra i denti ≪ Come se ti importasse, di quello che è appropriato. ≫ aveva sorriso, sussurrando con dolcezza. ≪ Non m'importa solo quando si tratta di te, Kacchan. ≫

Ma nella luce pomeridiana, sotto l'ombra fresca e odorosa del glicine che mitigava la cappa di afa che avvolgeva ogni cosa, perfino quei ricordi parevano sogni lontani. Una storia letta su carta e amata al punto da farla filtrare nelle pieghe della sua mente, all'interno dei suoi sogni e pensieri. Nulla di più che un bisogno indistinto e irrazionale che gli desse tregua dalla monotonia dell'esistenza quotidiana e dipingesse i margini di un'avventura in cui perdersi, in cui sentirsi vivo e libero, tanto che la sua mancanza provocava dolore.

Seduto su una coperta ruvida stesa a terra, fra petali caduti e pergamene sparse, Izuku avvertì un brivido scaturire dalla nuca e scendere lungo la schiena madida di sudore, al tocco di dita affilate che si insinuavano fra i riccioli disordinati dei suoi capelli per scompigliarli con un gesto pigro della grossa mano.

≪ Ben svegliato, dormiglione. ≫

Gli occhi verdi si chiusero con un tremito delle ciglia e l'ultimo velo di sonno cadde al suono della sua voce bassa e del suo respiro caldo che gli sfiorava la nuca, prima di affondare il viso fra i suoi riccioli scarmigliati in un bacio leggero quanto la carezza di un alito d'aria sulla pelle accaldata.

Nel voltarsi lentamente per guardarsi alle spalle, Izuku avvertì una stretta famigliare alla bocca dello stomaco e il sorriso che sorse sulle sue labbra tremolò appena. ≪ Sai, Kacchan, ti ho sognato. ≫ sussurrò con la voce soffocata da un'emozione violenta che saliva a chiudergli la gola e gli occhi luccicanti sotto l'ombra dei riccioli scuri, sfiorati dalle pagliuzze di luce che filtravano dalle alte fronde. ≪ Ti sogno spesso, ma perfino nei sogni tu mi manchi sempre. ≫

L'aria calda aveva la dolce fragranza del glicine in fiore e del bosco vicino. Quel misto di terra e corteccia, di muschio e felce che Izuku aveva imparato ad amare negli anni e che a volte, rimaneva impigliato nella pelliccia dorata della volpe, nella parte più interna del suo collo dove l'odore muschiato del bosco si mescolava a quello della corteccia e della terra. Ma c'era solo quello a ricordargli la sua presenza e il suono del frusciare dei cespugli fra le radici contorte che sembrava quasi mormorare.

Stupido Deku. Io sono sempre con te.

 

🦊🦊🦊
 

Fu nelle pagine sbiadite di un vecchio tomo che scoprì la semplice quanto sconvolgente verità che le volpi non possedevano più di una coda.

Nelle decorazioni dipinte sulla carta sottile, la sua amata volpe risaltava come una chimera sinuosa che danzava nel vuoto con le sue sottili zampe. Le numerose code che formavano onde sinuose d'inchiostro color seppia e il muso affilato rivolto verso l'alto, sfiorato dalle sinuose linee delle parole che la descrivevano.

Fu sconvolgente, per Izuku, realizzare quanto poco avesse compreso della sua volpe e fu elettrizzante rendersi conto di quanto avrebbero potuto condividere, se solo fosse riuscito ad afferrarla. Al punto che un sorriso sciocco gli si allargò sul viso e fece scintillare gli occhi verdi nella luce dorata che illuminava il piccolo studio in cui tenevano le carte e i libri.

La luce calda del sole si rifletté sulla ciottola di porcellana fine che teneva in mano quando uscì di corsa per correre lungo il giardino, sotto lo sguardo incerto della servitù, con la pregiata veste che gli ondeggiava intorno e un sorriso euforico a curvare le labbra. Il tomo diceva che le kitsune avevano un debole per il tofu fritto e Izuku aveva pensato di richiederne un piatto alla cuoca della dimora per usarla come esca nel tentativo di catturarla.

Nel piazzare la sua trappola ai piedi di un cespuglio di more selvatiche, Izuku borbottava fra sé le mille cose che avrebbero potuto fare quando la sua volpe sarebbe finita intrappolata. Avrebbe accarezzato le sue code sinuose e affondato le mani nella sua pelliccia fino a scoprire quanto morbido fosse il suo pelo e gli avrebbe posto mille domande a cui la kitsune sarebbe stata costretta a rispondere.

Si sarebbe fatto raccontare dei secoli in cui aveva vissuto, della magia che nascondeva e avrebbe scrutato in quegli occhi particolari che luccicavano nelle ombre. Nel sistemare la ciotola sotto la trappola non si accorse della presenza che scivolò alle sue spalle, silenziosa come un alito di vento che gli sfiorò il retro della nuca.

Un'ombra umana si stese su di lui, catturando il suo sguardo. Un brivido gli corse sulla pelle e prima che potesse voltarsi a guardarsi indietro, qualcosa urtò con forza la sua schiena, mandandolo a terra con un grido acuto.

L'ombra afferrò la ciottola e scappò via nel bosco mentre Izuku cadeva dentro il cespuglio di more, gridando. Gli occhi gli si riempirono di lacrime quando gli aghi sottili si impigliarono nel tessuto del suo yukata, graffiandogli la pelle tenera e aprendo piccoli tagli sulle guance lentigginose e sulle mani. Il pianto gli scoppiò dal fondo della gola come una bolla di sapone e risuonò nell'aria calda, in singhiozzi rotti e grida acute.

Si dimenò, stracciando la veste nei rami sottili e acuminati del cespuglio e schiacciando i piccoli frutti, fino a crollare sull'erba con un tonfo sordo. Strofinò le guance bagnate di lacrime con le manine e fu allora che lo vide: una figura umana che indugiava nell'ombra delle fronde del bosco, gli occhi come fiamme danzanti nella penombra che lo fissavano e un ghigno sprezzante a curvargli le labbra.

Il respiro gli si bloccò in gola, soffocando i singhiozzi sulle labbra umide di lacrime. Gli occhi verdi si sgranarono nel fissare il bambino alto più o meno come lui, con le lunghe code dorate che ondeggiavano alle sue spalle nell'aria afosa del pomeriggio e un'ombra a celare i tratti del suo viso.

La misteriosa forza che trasudava da quegli occhi di brace fece scorrere un brivido lungo la schiena di Izuku. La testa bionda si chinò leggermente di lato, come a cogliere un suono lontano. Pagliuzze di luce solare che filtravano dalle fitte fronde degli alberi colpirono il leggero yukata granato dalle maniche arrotolate fino alle spalle minute che indossava e fecero scintillare la porcellana fine della ciottola di tofu fra le sue mani.

Le lacrime caddero a rigare le guance arrossate di Izuku, scivolando fin sotto la linea della mascella. La figura in ombra gli voltò le spalle con un ultimo guizzo delle vaporose code e un sorriso sprezzante sulle labbra, correndo via a piedi nudi sul tappetto di foglie senza produrre nulla di più che un fruscio leggero come l'alito del vento.

≪ Padroncino? ≫ lo chiamò la bambinaia, facendolo trasalire. Gli occhi verdi fissi sull'ombra del bosco e le mani che affondavano nel terriccio asciutto, grattando con le corte unghie come a voler afferrare qualcosa.

≪ Padroncino, cosa è successo? ≫ strillò la donna, correndogli incontro e chinandosi a poggiargli le mani sui fianchi. Sul viso delicato la preoccupazione le scuriva gli occhi e disegnava rughe intorno alla sua bocca contratta. ≪ Siete tutto pieno di aghi, che cosa vi è successo? ≫

Izuku non trovò la voce per risponde. Gli occhi verdi che fissavano la fresca penombra all'interno del bosco e gli alti tronchi degli alberi, dove poco prima aveva scorto quella misteriosa figura ridere di lui e dei suoi tentativi di catturarla, con il suo tofu fritto fra le mani di bambino e un sorriso derisorio a curvare le labbra.

La sua volpe.

La sua kitsune.

Che rideva di lui con gli occhi rossi come tizzoni adenti di divertimento nell'ombra del bosco. Non l'aveva mai visto così. Non aveva mai immaginato che potesse apparire in quel modo. Una figura misteriosa dai contorni umani che emanava una forza silenziosa capace di paralizzarlo. Non l'aveva nemmeno sentito avvicinarsi né si era accorto della sua presenza fino a quando non l'aveva gettato a terra con una spinta.

Il cuore gli batteva così forte in petto da coprire lo scalpiccio dei passi dei due uomini che corsero loro incontro. Due servi che si erano affrettati alla vista della bambinaia che si agitava, parlandogli con una nota stridula nella voce alterata.

≪ Cosa è successo? ≫ domandò uno dei servi, un uomo stempiato con le pieghe della veste aperte sul petto madido di sudore che lasciò scorrere lo sguardo da Izuku alla donna che lo guardava impotente, senza sapere cosa rispondere. ≪ Padroncino? ≫ lo chiamò inquieta lei, spazzolandogli via dai capelli alcuni aghi rimasti impigliati nelle ciocche ricciolute. ≪ Che cosa è successo, padroncino? ≫

Izuku si voltò lentamente a guardarla, gli occhi verdi sbarrati invasi di ombre e una nuova lacrima a rigare la guancia lentigginosa. Un'espressione scontenta calò sul suo volto arrossato, facendo sporgere il labbro inferiore in un broncio tremante. ≪ Sono stato beffato. ≫ brontolò con voce soffocata e una nota di incredulità. ≪ Mi ha... lui mi ha... ≫

La voce gli si spezzò in gola in un singhiozzo. I servi si scambiarono uno sguardo confuso, il viso segnato dalla stanchezza del duro lavoro e un velo di sudore sulla pelle abbronzata. Izuku scosse piano la testa, lasciando che l'aiutassero ad alzarsi. ≪ Sono caduto. ≫ disse piano, più per tranquillizzarli che per altro, tirando su con il naso e lanciando uno sguardo al bosco quieto, la voce spezzata dal pianto. ≪ Sono caduto mentre giocavo. ≫

≪ State più attento, padroncino. La padrona non sopporterebbe se vi faceste male. ≫ lo rimproverò la bambinaia, spazzolandogli la veste con cura. Izuku annuì, senza guardarla, gli occhi fissi nel folto del bosco e il cuore che batteva rapido per la nuova scoperta appena fatta. Non sentì nemmeno la voce del servo che nello scortarli dentro, borbottava chino sulla spalla del compagno. ≪ Altro ché soffrirne, il Padrone ci farebbe la pelle se lasciassimo che il suo unico erede si ammazzasse. Dopo tutta la fatica fatta per averlo... ≫

Anni dopo, Izuku avrebbe dato un senso a quelle parole, bisbigliate con un filo d'ansia, ma sul momento non significarono nulla per lui. Suo padre gli voleva bene. Sua madre non aveva desiderio di avere altri figli e per un bambino di appena otto anni, le complicate faccende degli adulti erano prive d'interesse e noiose, intricati enigmi che non potevano essere risolti e che celavano cose spaventose.

Non erano eccitanti quanto l'impresa della cattura della volpe o i segreti celati nei tomi disposti con ordine nei cantucci dello studio. Non lo soddisfacevano quanto il piccolo sorriso di approvazione che il suo precettore gli riservava quando riusciva a risolvere una complicata sequenza algebrica o intonava una poesia senza incepparsi sulle parole.

Nel sedere sul tatami e lasciare che la bambinaia gli pulisse le sottili ferite sulla pelle con l'acqua fresca della sorgente di montagna, Izuku fissò le macchie violacee che la polpa delle more gli aveva lasciato fra le dita, un broncio scontento ad arricciare la piccola bocca. Sono stato beffato, si ripeté e quelle parole portavano il dolore acuto del tradimento.

Aveva sempre pensato di poter indovinare dove la sua volpe si trovasse, percepirla mentre scivolava lungo i margini del bosco e si insinuava nel suo bel giardino, invece i suoi sensi l'avevano tradito. Avevano permesso alla volpe di scivolargli alle spalle e gettarlo a terra, senza che se ne accorgesse.

Le lunghe ciglia nere calarono a ombreggiare gli zigomi percorsi da un sentiero di lentiggini e il broncio sulle sue labbra si accentuò. Durò per diversi giorni dopo quell'evento. I sorrisi e le risate diventarono una rarità che riservava solo a sua madre e che scoppiavano con l'improvvisa forza di un temporale estivo per esaurirsi con la stessa rapidità.

Rotolava sul tatami, ridendo e scalciando, mentre le mani di lei correvano a pizzicargli i fianchi e solleticargli il petto, un caldo sorriso a illuminarle il viso e gli occhi verdi scintillanti come foglie bagnate di rugiada al sole del primo mattino. Sorrideva al tocco fresco delle sue dita sulle guance accaldate, alle carezze che gli scompigliavano i riccioli neri e alla sua voce dolce che intonava vecchie melodie.

Ma erano solo momenti.

Il fugace calore dei suoi abbracci che gli si imprimeva sulla pelle e la sensazione rassicurante del suo respiro fra i riccioli, quando affondava il viso fra i suoi capelli e gli sussurrava con la voce morbida. ≪ Il mio Izuku. Il mio bellissimo e dolcissimo ragazzo. Neanche immagini quanto ti ami e quanto tu sia prezioso per me. Gli dèi solo lo sanno quanto preghi perché tu possa essere sempre felice e in salute.

Anche se i mei capelli hanno un colore strano? gli chiedeva Izuku, gettando indietro la testa e guardandola con i grandi occhi velati d'inquietudine. ≪ Anche se non sono come i tuoi e papà si lamenta sempre che non rimangono lisci?

Il cuore gli batteva rapido contro il petto morbido di sua madre, accelerava appena al tocco della sua mano che scorreva fra i riccioli ribelli, lisciandone le ciocche con dolcezza. ≪ Io amo le onde sinuose che formavano. sussurrava con affetto e un sorriso sincero sulle labbra sottili che gli facevano scintillare gli occhi socchiusi. ≪ Sono come l'incresparsi delle acque di un fiume alla brezza dei venti. Mi ricordano le onde del mare che guardavo incresparsi di notte, dalla finestra della mia stanza, quando ero bambina.

Izuku tratteneva per un attimo il respiro. Sua madre era nata in un paese oltre le alte montagne, in una casa che affacciava sulla costa rocciosa ed era venuta ad abitare in quella casa quando si era sposata. Aveva pianto il giorno in cui aveva sposato l'uomo che i suoi genitori le avevano designato e aveva pronunciato i voti nuziali con le lacrime che le rigavano le guance percorse da una sottile scia di lentiggini.

A volte Izuku si chiedeva come potesse amarlo se era nato da un uomo che aveva visto per la prima volta il giorno in cui l'aveva sposato. Se non riusciva nemmeno ad andare d'accordo con gli altri bambini in città e finiva sempre per essere lasciato indietro nei loro giochi. Se non poteva rinunciare all'idea di inseguire la volpe e concentrarsi sulle sue lezioni, sul futuro che suo padre stava già delineando per lui e che avrebbe dovuto sforzarsi di realizzare.

Mi ameresti anche se finissi per assomigliare a papà? mormorava con un filo di voce e una ruga inquieta a segnare lo spazio fra le sopracciglia aggrottate. ≪ Anche se gli altri bambini mi prendono sempre in giro e giocano con me solo perché gli obbligano i loro genitori?

Negli occhi verdi di sua madre, Izuku poteva leggere tutto quell'amore che lei provava per lui e che ogni sua tenera carezza, ogni sorriso gentile, esprimeva con naturale freschezza. ≪ Izuku, come potrei non amare l'uomo che mi ha dato te? Tu sei il mio bambino e io ti amerei anche se fuggissi in un bosco per vivere come un eremita.

Le sue parole lo confortavano, dipingevano nel verde dei suoi occhi la speranza di avere accanto qualcuno che non l'avrebbe abbandonato nemmeno se non si fosse dimostrato all'altezza delle crescenti aspettative di suo padre. Mettevano a tacere quella parte di lui che tremava all'idea di dover rinunciare al sogno di afferrare la sua volpe, perché anche lei era al di là delle sue capacità.

Se gli altri bambini non riescono ad amare la tua gentilezza e il tuo sorriso è perché sono degli sciocchi gli diceva, prendendogli il viso fra le mani e poggiando la fronte contro la sua, così che tutto quello che Izuku riusciva a scorgere era il verde scuro e profondo delle sue iridi. ≪ Solo degli sciocchi potrebbero scambiare la gentilezza per debolezza e non vedere quanta forza ci sia dentro di te. Quanto coraggio ci voglia per superare la paura, più di quello che concede l'incoscienza.

Era per lei che Izuku sorrideva, per sua madre che sapeva esorcizzare le sue paure e le sue inquietudini, facendo divampare in lui un calore confortante ed entusiasta. Quando stava con lei il suono delle risate indugiava nell'aria e gli affiorava alle labbra, ma nemmeno questo bastava a cancellare il ricordo dell'amara delusione provata nel venir tradito dai suoi stessi sensi.

Il malumore gli montava dentro con la stessa rapidità con cui cambiava il vento, portando con sé l'ombra che gli scuriva gli occhi e increspava le labbra in un broncio scontento, rendendo i suoi silenzi lunghi e pensierosi. Il fruscio delle pagine fra le sue dita non gli dava lo stesso piacere di sempre, le parole scivolavano davanti ai suoi occhi senza che attecchissero nella sua memoria.

A volte, si faceva sorprendere a fissare fuori dalla finestra aperta, lo sguardo perso nel vuoto e la mente che vagava per il giardino invaso dal sole dell'estate, e solo il dolore scaturito dal colpo di una bacchetta di bambù sulle dita lo richiamava alla lezione.

Concertazione, padroncino. ≫ sbraitava il suo precettore e la sua voce aspra faceva guizzare la schiena di Izuku in una posa attenta, le gambe raccolte sotto i fianchi e le mani stette a pugno sulle cosce tese. Concentrazione, ripeteva il suo maestro di spada, colpendolo sul fianco e facendolo incespicare nei propri piedi, la pesante spada di bambù che si inclinava verso il basso prima che la raddrizzasse con un sospiro.

Mi stai ascoltando? ≫ gli chiedeva suo padre, scrutandolo con gli occhi neri socchiusi e un'ombra sul viso severo, quando gli parlava con voce profonda delle loro proprietà, istruendolo nelle faccende di famiglia, così che un giorno potesse succedergli.

Izuku stringeva le labbra, sbuffava fra sé e per qualche minuto, sul suo viso divampava la determinazione che lo teneva concentrato sui suoi compiti. Almeno finché il fruscio di un cespuglio o un alito di aria calda che faceva tintinnare le campanelle al vento, non catturavano la sua attenzione, riportando la sua mente all'ombra riposante del bosco e a quegli occhi di brace che lo scrutavano, derisori.

A quei tempi, la volpe aveva iniziato un nuovo tipo di gioco con lui e non si limitava più a ridere dei suoi tentativi di afferrarla, attirandolo ai confini del giardino per poi scivolargli via da sotto il naso. Audace e dispettosa, si spingeva fino al corridoio esterno per sottrargli i giochi e i geta, sistemati con cura in attesa di essere calzati e abbandonarli dove non sarebbero dovuti essere: sulle rive di pietra del lago, su un cespuglio di spine, allacciati ai bassi rami di una quercia antica o incastrati nel tetto spiovente della casa, appena visibili dal basso.

I servi si affannavano a cercare di recuperarli, gridavano infuriati quando le sue pregiate vesti venivano rinvenute nelle acque fresche del laghetto, fra i petali di glicine e le foglie di acero, o sul tappetto di muschio che filtrava dal ghiaietto.

Altre volte, era Izuku ad accorgersene prima della servitù e a tentare il recupero.

Si spogliava dalle vesti e rabbrividiva al tocco dell'acqua fresca sulla pelle accaldata, spingendosi con goffe bracciate fra i petali violacei fino al tessuto pesante. Annaspava sulla superficie placida per riportarlo a riva, prima che qualcuno se ne accorgesse e rideva del getto dell'acqua che gli spruzzava i riccioli scuri, incollandoglieli alla pelle.

La volpe lo guardava dalla riva, appiattita contro il tappeto di petali violacei con gli occhi rossi che ardevano come tizzoni ardenti e la pelliccia dorata che luccicava nella luce del sole che filtrava dalle frasche del glicine. Il suo muso affilato fremeva nel saggiare l'aria prima di voltargli le spalle, le code che ondeggiavano sinuose, e balzare all'interno della vegetazione, sparendo alla sua vista.

Una visione sfuggente. Un miraggio generato dalla luce del sole che non faceva in tempo a imprimere nelle iridi verdi o nella memoria. Una presenza silente che iniziava a suscitare l'inquietudine degli abitanti della casa.

Ci sono gli spiriti. ≫ bisbigliava la servitù, con un filo d'ansia e il loro agitarsi e mormorare faceva sbraitare suo padre e dipendeva un'espressione furente sul suo viso severo. Sua madre sorrideva, accarezzando i riccioli scuri di Izuku e cercando di appiattire le onde sinuose sulla sua testa. ≪ Sono gli dèi delle montagne che ci parlano. ≫ gli diceva con dolcezza, gli occhi verdi che scintillavano nella luce delle lanterne che disegnavano ombre vellutate sul suo bel viso. ≪ A volte, giocano con gli umani e ridono delle loro angosce. Essi vegliano su di noi.

È la volpe, diceva Izuku a sé stesso, raccogliendo i giocatoli che disseminava per il giardino e arrampicandosi dovunque gli avesse trascinati. La kitsune che lo sfidava a dimostrargli il suo coraggio, così come lo sfidava a trovarla e ad afferrarla fra i cespugli, senza mai mostrarsi davvero dopo quell'unica volta.

Izuku si riteneva abbastanza agile e atletico da riuscire a raggiungere qualsiasi nascondiglio che scegliesse, ma le grida di terrore delle serve e le voci ansiose degli uomini gli facevano battere più forte il cuore, minando la sua concentrazione e la sua sicurezza.

I piedi nudi grattavano i muri in cerca di piccoli affossamenti o sporgenze che fungessero da appigli, le mani umide di sudore rischiavano sempre di perdere la presa, ma arrampicarsi sugli alti rami o sul tetto gli dava la sensazione inebriante di essere vivo.

Avvertiva il pulsare feroce del sangue nelle orecchie risuonare al ritmo del suo cuore impazzito, il velo di sudore che gli inumidiva la nuca e il collo, il lieve tremore che scuoteva le spalle quando allungava il braccio per raggiungere l'appiglio successivo e spingersi in alto.

Non osava mai guardare in basso.

La paura si annidava nel suo ventre e si nutriva di ogni respiro rapido, strappato dai suoi polmoni con le mascelle serrate e le labbra arricciate in una smorfia. Quel tremito profondo non lo abbandonava nemmeno dopo aver afferrato l'oggetto di turno che era stato sottratto e lasciato lì, in attesa che lui lo recuperasse. Non lo abbandonava nemmeno quando i suoi piedi toccavano di nuovo terra, eppure, accendeva in lui un'euforia inspiegabile. L'assurda convinzione che non era mai stato più consapevole del pulsare della vita nel suo corpo di quei pochi momenti in cui avrebbe potuto perderla.

Il mondo visto dalle altezze vertiginose del tetto e dai rami carichi di fronde degli alberi era diverso. Sembrava non avere fine. Si spingeva sulle alte fronde verdeggianti del bosco e curvava verso l'alto, erpicandosi sulle montagne che dominavano l'orizzonte fino a bucare il cielo.

Oltre, c'erano altri boschi e montagne, il letto azzurro di un lago che scintillava nella luce del sole e le luci aranciate della città. C'era la sfumatura violacea delle valli di glicine e di quelle più calde dei cedri, dei pioppi e degli aceri. C'erano le persone, piccole e insignificanti con tutte le loro preoccupazioni e incombenze che sbiadivano al confronto della bellezza selvaggia della natura.

Gli dèi della montagna, gli chiamava sua madre e nel guardare quel mondo di colori e meraviglie, Izuku pensava di scorgere la forma dei suoi dèi e sentirne la voce nel vento, la presenza nel calore della luce del sole che gli sfiorava la pelle. L'essenza stessa della loro vita che traspariva con forza da ogni montagna e valle, dagli alberi che gli mostravano la loro altera solennità, dal vociare degli uccelli e da ogni altro animale che risiedeva all'ombra delle montagne.

In quei momenti, non era difficile credere che sua madre avesse ragione e che gli dèi vegliassero su di loro dalle alte montagne che incombevano sulla loro casa. Diventavano presenze reali e tangibili quanto la tacita esistenza della sua volpe, qualcosa che esisteva e che poteva solo scorgere senza riuscire ad afferrarla con le mani, un incantesimo che perdurava nell'aria e non poteva essere spezzato.

≪ Mi chiedo se la penserei allo stesso modo se non ti avessi mai incontrato. ≫ sussurrò Izuku alla brezza calda che gli sfiorava il viso accaldato, gli occhi verdi che scrutavano la luce aranciata del sole scomparire oltre la figura frastagliata dei monti. ≪ Il mondo che mi circonda sembra sempre diverso quando ci sei tu. ≫

Occhi rosso fuoco lo fissarono silenziosi dall'ombra di un cespuglio, con la piccola testa affilata sfiorata da foglie verdi e da fiori di un pallido azzurro. Pagliuzze di luce rossastra gli scurivano l'ispido pelo e disegnava ombre scure sul suo muso. Perfino a quell'altezza, Izuku riusciva a percepire lo strano fremito che il suo sguardo gli lasciava sulla pelle, l'intensità disarmante di quegli occhi che lo soppesavano mentre lasciava dondolare i piedi nel vuoto e ammirava il mondo che si stendeva dall'alto davanti ai suoi occhi di bambino.

Le voci concitate dei servi radunati sotto il tetto della casa gli sembravano suoni lontani, i visi pallidi di angoscia e gli occhi sollevati a guardarlo mentre sorrideva alla vista di quelle orecchie appuntite che fremevano come a cogliere la sua voce nell'aria.

≪ Dovrai fare meglio di così per convincermi che non vale la pena acchiapparti. ≫

La volpe arricciò le labbra e soffiò, la sottile peluria sul muso chiazzata di oro pallido e bianco che catturava la luce morente del sole prima di ritirare la testa all'interno del cespuglio e scomparire alla vista.

Restò nascosta a guardare, attraverso i rami contorti e le foglie che si intrecciavano fra loro, il bambino che scendeva goffamente dal tetto sotto gli occhi angosciati della servitù che fremeva a ogni suo movimento. Mani forti e braccia robuste si tesero ad afferrarlo e a trarlo al sicuro appena fu a portata, molto prima che potesse toccare il suolo con i piedini nudi impolverati e graffiati.

≪ Izuku! ≫

L'urlo di una voce maschile risuonò nell'aria dolce e aprì un sentiero nel mezzo della folla radunata, spingendo i servi a farsi da parte e guardare allarmati l'uomo che corse fuori dalla casa, incespicando nella fretta sul ghiaietto con i geta semi sfilati dai piedi nudi. ≪ Vuoi far morire di paura tua madre?! Che cosa ti è saltato in mente stavolta per fare una cosa così pericolosa?! ≫

Riccioli scuri e ribelli scivolarono sul viso arrossato del bambino, gettando un'ombra sui suoi occhi quando chinò il capo. Le mani salirono al petto con le dita lacerate e impolverate che si tormentavano a vicenda mentre un lieve pigolio gli sfuggiva dalle labbra. Un debole mormorio di scuse che riuscì solo a far fremere di collera il viso severo dell'uomo, davanti a lui.

In confronto a quella figura alta e imponente, vestita di seta scura ricamata e adornata con filo d'argento, Izuku sembrava ancora più piccolo e fragile. Un fuscello pronto a spezzarsi al primo cenno impetuoso di tempesta, tremante al suono tonante della voce di suo padre che lo rimproverava con severità. Eppure, quel bambino l'aveva guardato così tante volte da perderne il conto, con gli occhi luccicanti e il sorriso sereno di chi non teme nulla, parlandogli come se fosse stato un suo pari.

Piccolo piantagrane, borbottò fra sé e un basso verso gli vibrò nel fondo del petto quando strusciò la zampa candida contro il muso affilato. La lingua carezzò il pelo sottile, indugiando fra i cuscinetti rosei e gli artigli ricurvi, mentre osservava la scena.

Il bambino teneva la testa china, ma i suoi occhi verdi erano sollevati a fissare con timidezza l'uomo che si ergeva davanti a lui, un lieve broncio a curvare le labbra e un sentore di lacrime a inumidire le lunghe ciglia scure.

Katsuki. ≫

La voce di sua madre era come un sussurro aspro al di sotto del soffio del vento, il ricordo di un tempo lontano che portava con sé l'odore acre del fuoco e il sapore amaro delle lacrime. La zampa rimase sospesa davanti al muso affilato e un brivido gelido risalì lungo le spesse corde che tagliarono l'aria in un gesto nervoso.

Gli occhi rossi si sollevarono a scrutare fra i rami contorti e le foglie, il bambino che ora aveva alzato il viso rigato di lacrime e tremando mugugnava qualcosa con voce rotta.

Non vale la pena avvicinarsi agli umani. Portano solo guai e sofferenze.

Si alzò con movimenti lenti, stiracchiandosi languido la schiena e le lunghe code ondeggiarono alle sue spalle, saggiando l'aria calda mentre voltava le spalle al nugolo di umani e zampettava verso il folto del bosco. Ma prima, qualcosa lo spinse a guardarsi indietro, all'uomo che aveva sollevato la voce a teso la mano, afferrando per il polso sottile il bambino che contorceva la bocca in una smorfia, piagnucolando con voce acuta mentre incespicava alle spalle del genitore.

Nulla di buono, si ripeté con le orecchie appuntite che calavano ad aderire alla nuca. Chissà cosa si inventerà domani per seccarmi, quel piccolo rompiscatole sfrontato. Chissà... se sarà un'altra giornata divertente, dopotutto.

 

 

to be continued... Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II

 

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Capitolo 4
*** Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II ***


Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II

Fu in un pomeriggio d'inizio estate di quell'anno che l'incantesimo sembrò destinato a spezzarsi e tutto finì sotto l'ombra odorosa del glicine sotto cui si incontrarono.

Là dove tutto aveva avuto inizio.

Una leggera brezza calda soffiava fra le corone di fiori e sollevava i petali violacei, spingendoli sulle acque cristalline del laghetto alle sue spalle. Le iridi scarlatte che lo fissavano beffarde dalle alte frasche catturavano la luce del sole, rilucendo di riflessi aranciati.

≪ Ce ne hai messo di tempo ad arrivarci. ≫

Un sorriso pigro gli aveva curvato le labbra. L'ondeggiare lento delle voluminose code dorate scandiva il tempo in cui restò a guardarlo con gli occhi verdi sgranati e il cuore che batteva rapido in petto, mozzandogli il respiro. ≪ È più di un'ora che sta lì. ≫

La palla che stringeva fra le mani cadde ai suoi piedi con un tonfo e rotolò via. Per un attimo, il tempo sembrò fermarsi all'istante in cui sollevò il viso e lo trovò là a fissarlo fra le alte fronde. Una figura surreale e perfettamente visibile che non era mai stata tanto vicina da lasciarsi guardare. Un'immagine che si sarebbe impressa nella sua memoria per accompagnarlo per il resto della sua vita, anche una volta cresciuto.

Se lo ricordava ancora così, con i biondi capelli sfiorati da pagliuzze dorate di luce solare e il viso di bambino in ombra. Il granato scuro del suo yukata di cotone che disegnava una sfumatura di colore sulla pelle chiara del collo e quel sorriso storto a curvare le labbra sottili e scavare una piccola fossetta all'angolo della bocca.

Perfino quando la sua voce si era fatta più profonda e le rotondità del viso avevano lasciato il posto ai tratti più marcati del giovane uomo che sarebbe diventato, gli capitava di guardarlo e scorgere ancora quel bambino dalle voluminose code dorate e le orecchie volpine tese a far capolino dalle bionde ciocche di capelli.

Ne cercava il ricordo nel cullarne il sonno sotto l'ombra odorosa del glicine, con la schiena appoggiata al tronco ruvido di un albero e la sua testa in grembo. Nel lasciar scorrere le dita fra i biondi capelli di lui, solleticandogli la nuca con i polpastrelli caldi e gli occhi verdi socchiusi sotto le lunghe ciglia nere, mentre petali dalla sfumatura violacea cadevano dall'alto per posarsi sul suo ampio petto e sul viso marcato.

Smettila. ≫ La sua voce rauca tradiva il soffiare soffocato di un animale irritato e il labbro superiore si arricciò in una smorfia quando aprì gli occhi per guardarlo dal basso con le iridi scarlatte che catturavano la luce del sole, assumendo una sfumatura ramata. ≪ Mi dai i brividi quando mi guardi così. Come se fossi uno dei tuoi cazzo di dipinti.

Una risata leggera sfuggì dalle labbra di Izuku, disperdendosi nell'aria calda. Un sorriso sornione fece scintillare il verde dei suoi occhi sotto l'ombra dei riccioli scuri che gli sfioravano la fronte candida. ≪ Pensavo che ti piacesse essere ammirato. ≫ Le dita sfiorarono lo zigomo marcato di lui in una carezza delicata, scendendo a disegnare la curva della guancia e la linea mascolina della mandibola. ≪ E sei così bello quando sei tranquillo che se non temessi di disturbare il tuo sonno, prenderei carta e pennello e ti dipingerei in questo momento. ≫

Un lieve rossore affluì sulle guance di lui, leggero come un gioco di luce e altrettanto sfuggente e ingannevole. Uno sbuffo seccato fu tutto ciò che scaturì dal fondo della sua gola mentre distoglieva lo sguardo e nascondeva il viso fra le pieghe della sua veste. ≪ È troppo presto per le tue stronzate, Deku. Lasciami riposare in santa pace. ≫

≪ Veramente è già pomeriggio inoltrato. replicò lui con un leggero sorriso a curvare le labbra, scostando un petalo violaceo dalle bionde ciocche ispide dei suoi capelli. ≪ Sei tu che dormi sempre nelle ore sbagliate. ≫

Riccioli scuri caddero a sfiorargli la fronte candida e ombreggiare il verde dei suoi occhi che si sgranarono sorpresi quando le dita di lui colpirono svelte il fianco, pizzicandogli la carne attraverso il cotone dell'abito e strappandogli di bocca un urlo strozzato.

Non controbattere, piccolo insolente che non sei altro. soffiò la volpe, balzando a sedere con un unico movimento fluido, gli occhi rossi baluginanti di riflessi aranciati e un'espressione cupa sul bel viso. Le dita agili colpirono i fianchi di Izuku, pizzicandogli la pelle attraverso gli strati di stoffa dello yukata e facendo sorgere sulle sue labbra un nuovo urlo soffocato. ≪ È tutta colpa tua se sono così stanco. ≫

Izuku ricadde sul tappetto di erba e petali, ridendo e contorcendosi sotto la pressione dei polpastrelli caldi di lui che gli solleticavano i fianchi e risalivano lungo il petto. ≪ Kacchan. Ti prego! ≫ Gli occhi verdi socchiusi, annebbiati di lacrime non versate, fissarono il viso in ombra di lui che si apriva in un sorriso impertinente che fece divampare il rosso delle sue iridi. ≪ Adesso non fai più tanto lo spiritoso, eh piccolo insolente?

Izuku scosse la testa e rise più forte, gettando la testa indietro. La schiena che grattava contro il terreno irregolare e il corpo scosso da un tremito convulso e incontrollato che gli mozzava il respiro in gola.

A volte, gli sembrava che quello fosse stato il momento che aveva fatto deviare il suo destino dal suo sentiero prefissato, quando alzando il viso alle alte fronde e seguendo il suono beffardo della sua voce, l'aveva trovato intento a guardarlo con gli occhi rossi brucianti come fiamme gemelle e un sorriso sfrontato a illuminarne il viso di bambino. Le orecchie volpine ben tese sulla nuca e intente a cogliere il suono del respiro di Izuku che moriva sulle sue labbra schiuse per la meraviglia.

Ora, le orecchie pelose non c'erano più, così come le code, e la kitsune aveva imparato a nascondere la sua natura di yokai dietro sembianze umane. Sorrideva sfrontato davanti al suono della risata ansimante di Izuku e al suo contorcersi a terra, fra le sue cosce tese che gli chiudevano ogni via di fuga, con gli occhi baluginanti di compiacimento. ≪ Chiedi pietà, coraggio. Supplicami di smettere.

Kacchan? ≫

Il suo nome sulle labbra aveva un suono dolce, perfino se pronunciato con voce acuta e fiato corto per il troppo ridere. ≪ Hai vinto. Mi arrendo. ≫ Le dita che lo tormentavano arrestarono la loro corsa e lui lo guardò, seduto a cavalcioni sul suo corpo con gli occhi che divampavano di compiacimento nelle ombre e un sorriso sulle labbra. ≪ Così va meglio, Deku. Molto meglio.

Lo sfondo del glicine alle sue spalle conferiva una sfumatura rosata alla punta argentea dei suoi capelli, gettando un'ombra sui bei tratti del volto. Izuku si rilassò sotto di lui, ansimando per il troppo ridere e tese le mani per toccargli le guance con i palmi caldi, gli occhi verdi scintillanti fissi nei suoi. ≪ Sei terribile, Kacchan. Terribile per davvero. Non c'è nulla da fare con te.

Era diventato un giovane uomo così bello che a volte gli sembrava impossibile credere che lui fosse reale e si trovasse al suo fianco. ≪ Ma sei anche la cosa più bella che abbia mai visto. ≫

A volte, gli veniva più facile credere che non fosse altro che un sogno, il frutto della sua fervida immaginazione o il divampare di un lampo di follia che piegava la realtà al suo volere. Nulla di più dell'immagine sfuggente di una volpe che scivolava ai margini del suo giardino con il pelo soffice come tarassaco fra le foglie e le radici.

Ma poi, lui gli sorrideva in quel modo, con l'angolo della bocca che formava una fossetta adorabile e gli occhi scintillanti di malizia e Izuku si diceva che non avrebbe mai potuto avere così tanta immaginazione da creare qualcosa di così bello e sfrontato. Non avrebbe mai potuto concepire il graffiare basso della sua voce nell'aria calda che sussurrava ≪ Certo che sì. Ti pare che qualcuno potrebbe reggere il confronto con il sottoscritto? ≫ o il suo profumo muschiato che gli si impigliava dentro, facendogli battere più forte il cuore.

Il sorriso sulle labbra di Izuku si inclinò. Disegnò con la punta delle dita le rotondità delle sue orecchie e scese a sfiorare la pelle calda sotto il lobo prima di affondare le mani nella morbida massa di capelli e trarlo a sé. ≪ Bellissimo. ≫ sussurrò e le sue labbra si tesero in un sorriso che accese il verde dei suoi occhi di riflessi più caldi mentre guidava il viso di lui sul proprio fino a sentire la carezza delicata del suo respiro sulla pelle. ≪ E mio. Il mio Kacchan dagli occhi di fuoco.

Il rossore sulle sue guance non poteva essere frutto della sua immaginazione o di un gioco di luci, così come il suo sapore che gli solleticò la pelle, insinuandosi nella bocca socchiusa e pungendogli la lingua con un alito soffocato da un verso strozzato. Il rosso delle iridi di lui divampò come fuoco, orlandosi di ombre scure e profonde prima che le palpebre calassero con un battito delle corte ciglia bionde e la sua bocca premesse su quella di Izuku con prepotente sicurezza, quasi volesse imprimerli sulla pelle il significato recondito di quelle parole.

Izuku ne catturò il sapore e inghiottì la sostanza, lasciandosi guidare dalla morsa calda che gli serrava il ventre e faceva inarcare con dolcezza la sua spina dorsale contro il corpo caldo e solido di lui. Le mani affondarono fra le morbide ciocche bionde dei suoi capelli e le lingue si spinsero a cercarsi e intrecciarsi nel calore delle bocche congiunte.

Mio, sussurrarono le sue labbra muovendosi su quelle di lui. Mio, recitavano le mani che correvano sul tessuto dello yukata e ne aprivano i lembi, esponendo la pelle nuda del torace al tocco caldo delle sue dita e al suo respiro rapido che gli sfiorava il collo, facendo battere più forte il suo cuore nel petto.

Izuku sapeva che non aveva bisogno di parole, la sua volpe, per parlargli. Non ne aveva mai avuto bisogno nemmeno quando erano due bambini che giocavano a rincorrersi e sfidarsi fra le fronde di bassi cespugli spinosi e radici contorte che emergevano dalla morbida terra.

Da ché ne avesse memoria, aveva sempre colto interi discorsi dal modo in cui faceva ondeggiare le sue code voluminose e arricciava il muso affilato; dal modo in cui le sue orecchie triangolari fremevano nell'aria e gli occhi rossi lo guardavano correre per il giardino, fendere le acque cristalline del laghetto o arrampicarsi fra gli alti rami e il tetto spiovente della sua dimora per poi fermarsi ad ammirare il mondo che si distendeva davanti ai suoi occhi da quei punti di osservazione privilegiati.

Resta sempre con me, Kacchan. ≫ sussurrò sulla bocca di lui con un filo di voce rauca e il rosso delle iridi della kitsune divampò come lingue di fuoco all'ombra odorosa del glicine. ≪ Sempre. ≫ mormorò con un mezzo sorriso a curvare la bocca umida di baci. ≪ È una promessa.

Izuku ispirò, sollevato. ≪ Una promessa. ≫

Il tocco delle sue mani sul corpo e il sapore delle sue labbra erano un incantesimo che si rinnova e rafforzava, intrecciandosi ai ricordi. ≪ Un giuramento.

La sensazione di seta dei suoi capelli fra le dita e l'odore di glicine nell'aria calda, una malia che era stata gettata sulla sua stessa anima molto tempo prima. La forza misteriosa che aveva fatto deviare il cammino della sua sorte per una diramazione che non sarebbe dovuta esistere e che aveva preso consistenza quel pomeriggio lontano in cui si erano guardati attraverso le fronde del glicine, pensando che quella fosse la fine della loro storia.

Là dove tutto aveva avuto inizio e dove tutto lo riportava sempre, all'ombra degli alti rami del glicide che ondeggiavano sulle rive scintillanti del lago.

 

🦊🦊🦊

 

Quel pomeriggio, il dolce profumo dei fiori in sboccio era reso più inebriante dai raggi caldi del sole che picchiava inclemente. La primavera giungeva al termine e la canicola dell'estate alle porte asciugava la rugiada raccolta nei boccioli azzurrognoli della nemophila in fiore.

Izuku aveva passato più di un'ora a ispezionare il giardino sotto i raggi caldi con il sudore che gli inumidiva il colletto dello yukata e gli scivolava lungo la pelle, appesantendo i riccioli scuri che cadevano a sfiorargli il volto. Aveva frugato in ogni cespuglio e dietro ogni masso, con una ruga contrariata a segnare lo spazio fra le sopracciglia e un'ombra di malumore crescente sul viso, alla ricerca della palla di stoffa che era scomparsa.

Era sicuro di averla lasciata sul prato quando era corso dentro, accaldato e madido di sudore, a bere una limonata fresca che gli desse sollievo dalla calura soffocante che gli appiccicava il tessuto leggero dello yukata alla pelle e gli arrossava le guance.

Si era attardato a scambiare qualche parola con la cuoca, intenta a pelare le patate per il pranzo mentre Miruku sorrideva, strizzandogli l'occhio con fare complice. L'aveva guardata divertito far cadere a terra un coltello con un colpetto del gomito e chinarsi a raccoglierlo, fra le invettive della vecchia Saori, per infilare una mano dentro la tasca del grembiule senza farsi vedere e trarne fuori un biscotto di pasta frolla ancora fumante, avvolto in un fazzoletto protettivo.

Izuku l'aveva prontamente nascosto nelle pieghe della veste senza farsi scoprire, un lieve sorriso sulle labbra e un brivido di emozione a corrergli lungo la schiena per quel piccolo gesto segreto fra loro. Era tornato in giardino godendosi ogni morso, la pasta frolla che gli si scioglieva in bocca e il passo saltellante che seguiva il ritmo di una filastrocca che gli vorticava nella mente, solo per fermarsi davanti al prato vuoto e scoprire che la sua palla era svanita nel nulla.

Gli occhi verdi avevano fissato increduli i fili d'erba fra la ghiaia ed erano corsi dubbiosi a guardare tutt'intorno, certi di aver mancato di poco il posto in cui l'aveva lasciata. Ma la palla era sparita. Non ce n'era alcuna traccia e nessuno dei servi che si trovavano nei paraggi sembrava saperne nulla.

≪ Dove accidenti è finita? ≫ borbottò fra sé, pestando i piedi sul soffice tappeto di foglie e scrutando in un cespuglio di more. La manica della veste si era rovinata per tutte le volte che l'aveva agganciata a qualche ramo spinoso e fili argentei pendevano dal grigio scuro della seta leggera.

Izuku sbuffò, liberandola con le piccole dita dall'appiglio dei ramoscelli sottili e arricciando le labbra in una smorfia seccata quando il tessuto si strappò. Riusciva già a sentire il risuono dei rimproveri che gli sarebbero piovuti addosso da tutte le parti per aver rovinato la pregiata stoffa, ma la cosa che avrebbe allarmato di più sua madre sarebbero stati i piccoli graffi rosati che gli segnavano la pelle chiara delle mani e delle braccia. Bruciavano d'infiammazione là dove la resina aveva lasciato una traccia, asciugandosi all'aria calda.

La suola in legno dei geta strusciò contro il ghiaietto mentre continuava a gironzolare per il giardino, andando a smuovere il manto di foglie e petali che rivestivano il terreno man mano che si avvicinava al limitare del bosco.

Sotto le alte fronde degli alberi, la luce filtrava in pagliuzze dorate che sfioravano i bassi rami dei cespugli e le contorte radici, distendendo ombre contorte che celavano gemme colorate di fiori in sboccio. Il blu delle nemophila e il rosa pallido della camelia, la sfumatura violacea del glicine i cui petali si impigliavano agli ispidi aghi dei cespugli e si infilavano sotto le contorte radici che sbucavano dal terriccio.

Il bagliore giocoso del sole gli colpì gli occhi verdi, accecandolo con il riflesso azzurrino delle acque del lago e lo costrinse a portarsi una mano al volto. All'ombra di una grossa radice, fra le frasche di una felce che protendeva le sue ampie foglie sulla corteccia candida, Izuku intravide la sfumatura rossiccia della sua palla giacere contro il tronco contorto della maestosa pianta di glicine che dominava lo spiazzo accanto al lago.

≪ Eccoti! ≫ strillò esultante, correndo in avanti. Si sedette sui talloni per sfilarla dal cantuccio di radici con le mani coperte di graffi, la veste che scivolava a sfiorare il tappetto di petali e foglie che rivestiva il terreno e l'odore penetrante della foresta a riempire l'aria calda con la sua fragranza pungente. Da qualche parte, fra i contorti rami delle piante, gli uccelli cantavano e frullavano le loro ali in una melodia gioiosa che si confondeva con il gorgoglio pacifico delle acque placide del lago alle sue spalle.

≪ Ce ne hai messo di tempo ad arrivarci. È più di un'ora che sta lì. ≫

Una voce estranea risuonò nell'aria calda come il frusciare del vento fra le foglie, insinuandosi al di sopra degli altri suoni e facendo guizzare i muscoli della schiena di Izuku. Tutto il suo corpo si tese e immobilizzò. La corteccia del glicine rivelava macchie verdognole e marroncine di muschio acerbo che le iridi scure fissarono mentre i suoi occhi si sgranavano lentamente.

Il respiro gli morì in fondo alla gola e un brivido scaturì dal fondo del ventre, afferrandogli il petto al suono di quella nota disattenta che traspariva dalla voce graffiante del vento. ≪ Pensavo l'avresti trovata prima. In fondo, stavolta ho scelto un posto facile dove lasciarla. ≫

Izuku si voltò a scrutare il bosco oltre il tronco degli alberi, la fitta penombra che avvolgevano ogni cosa come una coperta e la luce del sole che la tagliava con lame dorate dentro cui scintillava e danzava il pulviscolo.

≪ O è stato questo a darti problemi? ≫ gli domandò la voce, abbassandosi di tono. Una bassa risata derisoria vibrò fra le fronde degli alberi, piovendo su di lui con un brivido inquieto che scaturì dalla base del collo per esplodergli in una scossa di energia elettrica che si riversò sulla spina dorsale.

≪ Troppo abituato al tetto ripido della casa? ≫

Izuku si voltò di scatto e fissò con occhi sbarrati i margini del giardino al suo fianco, voltando la testa prima da un lato e poi dall'altro, senza trovare null'altro che la distesa di erba secca e ghiaia che si stendeva fino ai margini del bosco e la lunga distesa del giardino bruciato dal sole.

Uno sbuffo seccato si insinuò fra le spire del vento. ≪ Dove stai guardando, esattamente? ≫

La voce risuonava alle sue orecchie come se provenisse da ogni parte e da nessuna. Non riusciva a capire da dove venisse. Il cuore di Izuku batteva con forza contro lo sterno. Alle sue spalle, il lago gorgogliava, sfiorando con le sue acque le pietre grigie che ne segnavano il confine e inumidendo la terra intorno.

Izuku si alzò sulle gambe tremanti e deglutì, trattenendo quasi il fiato nel rovesciare la testa riccioluta indietro e guardare in alto. Là fra le fronde intrecciate del glicine e i petali violacei che formavano mille ghirlande come un cielo rosato appartenente a un mondo fantastico, un bambino sedeva con la schiena poggiata al tronco principale. Una gamba lasciata penzolare pigramente nel vuoto e un sorriso sornioso al di sotto degli occhi di brace.

≪ Ciao, piccolo piantagrane. ≫ sussurrò con una nota bassa nella voce graffiante e il sorriso sulle labbra si tese, le voluminose code sotto di lui ondeggiarono gioiose nell'aria mentre le orecchie volpine fremevano.

Izuku avvertì il respiro morire sulle labbra con un battito violento del cuore. La palla che teneva fra le mani gli scivolò via e cadde con un tonfo sul tappeto di petali. Lo stupore che si dipinse sul suo viso fece ondeggiare divertite le lunghe e folte code della volpe nell'aria calda, densa dell'odore dolciastro dei fiori in sboccio.

Nel rosso delle sue iridi divampò il compiacimento, il guizzo di un fuoco silenzioso che gli illuminò il viso in ombra, sfiorato dalle pagliuzze di luce solare che accendeva il biondo dei suoi capelli di riflessi argentei. ≪ Ti sei per caso morso la lingua? ≫ rise, gettando la testa indietro e lasciandogli intravedere il lampo candido di un canino appuntito. ≪ Dopo tutto il tempo che hai trascorso a corrermi dietro, non hai nulla da dirmi? ≫

Le labbra di Izuku si schiusero senza una parola. Gli occhi verdi fissarono il bambino seduto sull'intreccio di due rami, le sue orecchie triangolari che spuntavano dalla massa di biondi capelli e si tendevano a cogliere il suono sibilante del suo respiro che tornava a riempirgli i polmoni. L'ondeggiare pigro delle sue voluminose code che pendevano fra le ghirlande di glicine e cadevano al di sotto del piedino nudo di lui, penzolante nel vuoto.

Quello fu il momento che si impresse a fuoco nella sua mente, l'avvenimento che fece deragliare il suo destino verso una strada imprevista. Fino a quel momento, avrebbe ancora potuto essere qualcun altro. La persona che suo padre desiderava che fosse, l'uomo che i suoi genitori volevano che diventasse.

Avrebbe ancora potuto lasciarsi alle spalle la volpe, come un sogno infantile che sfumava alla luce della maturità giovanile e trovare il suo posto accanto alla piccola borghesia, innamorarsi di qualche bella ragazza, mettere su famiglia e portare avanti i sogni e le speranze dei suoi genitori.

Il futuro che avrebbe dovuto appartenergli.

Tutto quello che sarebbe potuto essere, il giovane uomo che si sarebbe sentito a suo agio seduto fra i suoi simili, svanì nel momento in cui aprì la bocca con un sospiro soffocato e mormorò incredulo. ≪ Sono tre. ≫

Il sorriso sul viso della kitsune si inclinò, le voluminose code rallentarono il loro ondeggiare nell'aria, sotto gli occhi verdi di Izuku che non riusciva a smettere di seguirne il movimento ipnotico. ≪ Credevo fossero due. ≫ sussurrò incredulo, le mani che si chiudevano e aprivano in un gesto involontario come a inseguire la sensazione immaginaria di affondare le dita nella morbida pelliccia dorata di cui erano ricoperte. ≪ Ma sono tre. ≫

Come aveva fatto a non accorgersene?

Gli occhi rossi si socchiusero e un'ombra calò sul viso del bambino biondo, inasprendone l'espressione. ≪ Oi, ≫ l'apostrofò con una nota dura nella voce graffiante, quasi animale. ≪ Te lo dirò una sola volta perciò ficcatelo bene in testa, ragazzino, le mie code... ≫

≪ Izuku? ≫

La voce dolce di sua madre risuonò nell'aria calda e fece sussultare entrambi, spezzando le parole sulle labbra della kitsune che alzò di scattò il volto per scrutare con occhi socchiusi il giardino.

Izuku si voltò di scatto con il cuore che batteva forte nel petto. Sua madre incedeva sul prato con le vesti dipinte di splendidi fiori di ciliegio che gli fasciavano le forme e i lunghi capelli neri lasciati sciolti sulle spalle, tenuti lontani dal viso sorridente da un fermaglio d'argento. ≪ Che cosa stai facendo, tesoro mio? ≫

La voce dolce di sua madre e il suo sorriso pieno di calore facevano luccicare il verde dei suoi occhi come pietre preziose che catturavano le pagliuzze di luce solare filtranti dagli alti rami. ≪ Hai trovato la tua palla o devo mandare Mitsuku a comprartene una nuova? ≫

Sulla cima degli alberi un fruscio di stoffa si confuse al morbido ondeggiare delle foglie nella brezza calda. Izuku fremette e un sorriso euforico gli curvò le labbra. ≪ Mamma. Mamma. ≫ strillò, stendendo il braccio per indicare in alto, alle frasche folte del glicine sulla sua testa, con gli occhi verdi scintillanti sotto l'ombra dei riccioli. ≪ C'è una kitsune su quel ramo. Una vera kitsune e ha tre bellissime code bionde! ≫

Sua madre si bloccò a metà di un passo. Il viso paralizzato da un'emozione violenta che lui non comprese e gli occhi verdi fissi sul viso arrossato di emozione di Izuku. Un fremito lo scosse nel congiungere le mani davanti alle labbra e lasciarsi sfuggire una risata estasiata. ≪ Pensavo che fosse una volpe, ma non è così. E parla. Mi ha parlato, mamma. La kitsune ha parlato con me. ≫

Nell'aria risuonò un sibilò feroce e gli occhi di sua madre si sgranarono, ombre scure inghiottirono il verde lucente delle sue iridi mentre sollevava lo sguardo sugli alti rami del glicide e scorgeva la figura che si muoveva a gattoni sul ramo, smuovendo le ghirlande di fiori con le tre lunghe e folte code che si rizzavano in tutto il loro splendore e le orecchie volpine tese in cima alla testa.

Il sorriso sul viso di Izuku si inclinò quando la bocca rosea di sua madre si schiuse con un tremito e il colore defluì dal suo viso per lasciare il posto a un pallore cereo. La kitsune sibilò, scoprendo i denti in una smorfia felina, gli occhi rossi socchiusi e baluginanti di luce solare e ombre.

L'urlo di puro terrore che scaturì dal fondo del petto di sua madre e risuonò nell'aria calda con tanta forza da far trasalire Izuku, lasciandolo paralizzato per lo shock, raggiunse le finestre aperte della casa e attirò la servitù. Non riuscì a cogliere a pieno l'imprecazione che sfuggì dalle labbra della kitsune sopra la sua testa né tanto meno il frusciare delle foglie quando balzò via, saltando da un ramo all'altro e mutando forma un'istante prima di toccare terra con le sottili zampe.

Inko si gettò su Izuku in un turbinio di maniche di seta nera e fiori di ciliegio, agguantandolo con mani forti che lo schiacciarono contro il suo petto morbido, sollevandolo da terra e trascinandolo via.

≪ Aspetta! ≫ gridò Izuku, tendendo la mano oltre il corpo tremante che lo tratteneva, verso la volpe dorata che sgusciò fra i cespugli e i tronchi degli alberi, agile e silenziosa come era sempre stata. Non la vide voltarsi a lanciare un'occhiata alle proprie spalle mentre la servitù accorreva, prima di svanire nel folto della foresta con le code che danzavano alle sue spalle.

Intrappolato nell'abbraccio disperato di sua madre, sollevato da terra e trascinato lungo il giardino fra le urla e la confusione, Izuku non poté fare altro che dibattersi con il viso premuto contro la fresca seta dell'abito e urlare preghiere che restarono inascoltate. ≪ Aspetta. Ti prego. Aspetta. ≫

Si ritrovò circondato dalla servitù, con sua madre che gridava parole senza senso nelle sue orecchie e la sua mano fra i riccioli scuri che premeva per tenergli la testa contro la spalla sottile mentre arrancare sui gradini di pietra, incespicando nello sfilarsi i geta.

≪ Non è come pensi. ≫ gridò Izuku con voce sottile, soffocata contro la spalla della donna e gli occhi brucianti di lacrime non versate. Un singhiozzo rotto gli sfuggì dalle labbra e risuonò sotto le urla concitate di sua madre e della servitù, perdendosi nell'aria. ≪ È sempre stata qui. L'hai spaventata, ma lei è sempre stata qui. ≫

Ma forse avrebbe dovuto dire che lui era sempre stato lì. Negli inverni inclementi degli anni passati e nelle estati piene di risa che aveva trascorso nell'inseguirla, nelle notti in cui giaceva nel suo futon tendendo le orecchie per cogliere la sua presenza nelle urla del vento e nel ticchettio della pioggia fuori dalla sua finestra.

Inko crollò sul parquet lucido del corridoio con un tonfo sordo, stringendo Izuku e chiudendosi su di lui come a volerlo proteggere da un pericolo indefinito e sconosciuto. Il corpo scosso da singhiozzi violenti che la facevano tremare, riversandosi fin dentro le ossa di Izuku. ≪ Ti prego, non fargli del male. Lui non ci ha mai fatto male. ≫

Una voce aspra risuonò al di sopra delle voci concitate della servitù, la voce di suo padre che tuonava, chiedendo spiegazioni. Ma nemmeno questo Izuku comprese. Scioccato e confuso, stretto da quelle braccia protettive che non volevano allentare la presa di pietra con cui lo proteggeva, sentì il panico montargli dentro come una tempesta e scendere lungo le guance in lacrime salate.

Che cosa aveva fatto?

Avrebbe dovuto continuare a tacere, lasciare che gli altri continuassero a non saper dare una forma allo spirito dei boschi che interferiva nelle loro vite e si muoveva ai margini del suo giardino. Avrebbe dovuto preparare sua madre alla vista della volpe con più prudenza, dipingerle le sue sembianze con i suoi racconti, ma nemmeno lui era stato preparato a vederla. Anche lui era stato colto di sorpresa da quell'incontro improvviso e insperato.

≪ Si può sapere che diavolo sta succedendo qui? ≫ tuonò suo padre, incombendo sulla figura rannicchiata della moglie come un'ombra nera dall'espressione severa e dagli occhi brucianti di furia crescente. ≪ Donna, si può sapere quale demoniaco pensiero ti ha spinto a questa sceneggiata?! ≫

Decine di voci si sollevarono all'unisono per spiegare, gridare e lamentare terrorizzate della follia che aveva afferrato la Signora della casa. Pochi avevano compreso cosa era davvero successo e poterono spiegare al Padrone come stessero le cose. Izuku non osava parlare, la gola serrata da un groppo di terrore crescente che esplose in un gemito soffocato quando sua madre sussurrò al di sotto della confusione. ≪ Gli dèi ci hanno maledetto. Una kitsune. Mio Signore, una kitsune si aggira per il tuo giardino e nostro figlio ha osato importunarla. ≫

Le sue parole erano deboli e tremanti, eppure raggiunsero le orecchie del padre di Izuku e fecero cadere il silenzio lungo il corridoio. I servi la guardarono con visi pallidi e occhi sbarrati, Izuku stesso trattenne il fiato e reclinò la testa per guardare sua madre con gli occhi verdi spalancati.

Il viso di Inko era una maschera di terrore e determinazione, le lunghe ciglia rilucenti di lacrime non versate e le labbra tremanti. ≪ Ho visto con i miei occhi lo spirito divino soffiare la sua rabbia contro nostro figlio. Se non l'avessi protetto... ≫ La sua voce si inclinò in un sospiro tremante e Izuku avvertì il brivido di gelido terrore scivolargli lungo la schiena e scuoterlo.

Non è così. Mamma, non è così. Ma nessuna parole sfuggì dalle sue labbra schiuse per lo stupore di vedere sua madre – la stessa donna che credeva negli dèi e che gli aveva trasmesso quella fede, insegnandogli a trovarli nel vento che gli sfiorava il volto e nell'ombra della montagna che incombeva su di loro – parlare con voce tremante di angoscia della sua volpe. Dipingerla come uno spirito maligno che avrebbe potuto fare loro del male.

≪ Se non l'avessi portato via... ≫ sussurrò, dipingendo il terrore sul viso severo di suo marito. Le braccia che avvolgeva Izuku serrarono la loro presa sulle sue spalle, spingendolo contro il suo petto morbido. ≪ Non oso immaginare ciò che gli avrebbe fatto. ≫

Fu in quel momento che Izuku capì cosa aveva fatto. Nel fissare il viso cereo di sua madre e venir afferrato con forza dalla mano ruvida di suo padre che lo strattonò indietro, gridando. ≪ Che cosa hai fatto, Izuku?! Cosa hai fatto? ≫

Izuku incespicò sui suoi geta, perdendone uno. Le grida di suo padre si mescolarono al singhiozzare rotto di sua madre e alla confusione di voci della servitù. Riccioli scuri caddero sul suo viso bagnato di lacrime mentre veniva trascinato da suo padre lungo il corridoio. ≪ Come hai potuto gettare una simile sventura su di noi? ≫

La rabbia che vibrava nella voce di suo padre si mescolava al panico che traboccava dai suoi occhi scuri. Sua madre tremava, inginocchiata sul parquet. Una figura vestita di nero e fiori di ciliegio che gli guardava allontanarsi tremando come una foglia. La bocca di Izuku si mosse senza pronunciare parole.

Guardò la ferita che aveva aperto nelle persone che amava e comprese cosa aveva fatto. Aveva distrutto con le sue stesse mani qualsiasi cosa fosse esistita fra lui e la volpe, il sottile legame che si era steso fra loro negli anni e l'aveva spinto a cercarla con la stessa perseveranza con cui la kitsune era tornata, anno dopo anno, da lui.

≪ Tu non ti rendi conto. ≫ tuonò suo padre, sventolando le mani in alto. Le maniche scure del suo abito ricaddero lungo le braccia asciutte a quel gesto furioso, mettendo in evidenza il candore della pelle. ≪ Hai idea di quanto siano infide quelle creature? Potrebbe dare fuoco alla nostra casa per puro divertimento e restare lì a guardarci bruciare, ridendo di noi. ≫

Lo studio di suo padre profumava di inchiostro e olio bruciato, ma Izuku non riusciva a concentrarsi su nient'altro che non fosse il tremito che lo scuoteva. ≪ Non ci ha mai fatto del male. ≫ sussurrò con voce tremante, sbirciando l'alta figura di suo padre da sotto la punta dei riccioli scuri che gli coprivano la fronte. ≪ Fin ora, non ha mai... ≫

≪ È uno yokai, Izuku! Non gliene importa nulla degli uomini. ≫ urlò suo padre, facendogli balzare il cuore in gola per lo spavento. Izuku si rannicchiò su sé stesso, le gambe tremanti e le mani strette a pugno lungo i fianchi. Avrebbe voluto gridare, piangere e lottare. Dire a suo padre che si sbagliava e che la volpe non era come i mostri di cui parlavano le leggende.

Non avrebbe mai preso possesso del corpo di un essere umano senza il suo consenso o dato fuoco alla loro casa. Non avrebbe mai fatto loro del male. Ma davanti ai suoi occhi c'era solo la paura e la rabbia che sconvolgeva gli abitanti della casa che amava e il tremito che si era impadronito del suo corpo di bambino.

≪ Non possiamo permetterci di attrarre l'odio di una kitsune. ≫ stava dicendo suo padre, misurando la stanza a grandi falcate, il viso severo pervaso di una tensione nervosa che Izuku non gli aveva mai visto dipinta in volto. ≪ No, non possiamo. Gli dèi sanno quanto potrebbe essere imprevedibile la sua vendetta. Ma forse... forse si può ancora rimediare. ≫

Il cuore gli batteva rapido nel petto, un pulsare sordo che gli procurava dolore e angoscia. Suo padre non era mai stato tanto furioso con lui come in quel momento. Misurava la stanza a grandi falcate alternando rimproveri e ragionamenti a bassa voce, chiedendogli come gli fosse saltato in mente di importunare uno yokai e attrarne lo sfavore. ≪ Potremo perdere tutto quello che abbiamo solo perché tu hai osato mancargli in rispetto. No, non possiamo lasciare che accada. Dobbiamo rimediare all'affronto e sperare per il meglio. ≫

Non c'era bisogno che gli dicesse a parole quanto l'avesse deluso, Izuku lo capì dal modo in cui lo guardò. Dalla linea dura della sua bocca sottile che si muoveva appena nel parlare e che scavava un vuoto nel suo petto.

≪ Porgerai le tue scuse alla Kitsune. Pregherai perché ti perdoni e ci risparmi. ≫ Gli occhi neri di suo padre avvamparono come inchiostro versato su una pagina, procurandogli una stretta al cuore. ≪ E poi, lascerai questa casa. Andrai a stare dai tuoi nonni finché non saremo certi che le acque si siano calmate. ≫

Izuku emise un verso strozzato, la bocca arricciata in una smorfia d'orrore. ≪ No. ≫ gemette, indietreggiando di un passo come se potesse sfuggire a quelle parole e alla loro sentenza. ≪ Questa è la mia casa. È l'unica casa che conosco. Non mandarmi via, padre. ≫

≪ Non ho altra scelta. ≫ replicò lui, serrando la bocca in una linea dura. Gli occhi neri fissarono il volto pallido di Izuku per un'istante prima di chiudersi. Un sospiro sfuggì dalle sue labbra esangui. ≪ È l'unico modo in cui posso proteggerti. In cui posso sperare di proteggerci tutti dal potere di quella creatura. ≫

Le grandi mani di suo padre tremarono nello stringersi a pugno lungo i fianchi, alimentando l'angoscia che covava nel petto di Izuku che lo fissava con occhi lucidi e arrossati. ≪ Lo comprendi questo? Tu mi hai costretto a questo. ≫

Izuku aveva letto delle kitsune sui libri, delle storie che giravano intorno a loro e che le dipingevano come mostri capricciosi e demoniaci che avevano cercato di dominare sugli uomini, riuscendo con le loro azioni a cambiare il corso della storia.

Tamamo – no - Mae era famosa per la sua crudeltà e per aver fatto crollare interi regni. Ma non aveva mai pensato di associare quelle malvagità alla sua kitsune né visto cosa fosse la superstizione e quale potere esercitasse sulle menti degli uomini, finché suo padre non riaprì gli occhi e lo guardò. ≪ Sarebbe bastato che tu stessi lontano da quello yokai per evitarlo. Ora capisco perché accadevano tante cose strane in questa casa, ti stava avvertendo di aver superato il limite. ≫

Izuku sussultò come se l'avesse colpito e gli occhi pieni di lacrime si sgranarono mentre guardava suo padre stagliarsi contro la luce del sole che filtrava dalla finestra chiusa alle sue spalle. In quelle poche ore di panico e furia che intercorsero fra il suo incontro con la Kitsune e il momento in cui venne trascinato da suo padre nello studio, Izuku si sentì travolgere da un'angoscia paralizzante che gli levava il fiato.

I suoi deboli tentativi di protestare e ribellarsi si infransero contro un muro. I giudizi di suo padre erano assoluti, un bambino che sapeva così poco del mondo non poteva pensare di lottare contro di essi e fecero nascere in lui un pensiero angosciante. E se si fosse sempre sbagliato? Se la kitsune fosse sempre stata infastidita da lui e si fosse mostrata solo per attaccarlo o ammonirlo?

Sua madre lo guardava angosciata venir vestito della sua veste più pregiata, riservata alle funzioni religiose, e se nemmeno la sua fede lasciava spazio a un dubbio nei riguardi della volpe che per tanti anni aveva abitato ai margini della sua vita, Izuku non vedeva via di fuga.

Camminò accanto a suo padre, trattenendo le lacrime. La sua enorme mano che stringeva quella piccola e graffiata di Izuku con tanta forza da fargli male e dargli la sensazione che volesse trattenerlo dallo scappare piuttosto che accompagnarono. Izuku non protestò né tentò la fuga, seguito com'era da una fila di servi in cerimonioso silenzio e affiancato ai due lati da entrambi i genitori.

Le lanterne nelle loro mani ondeggiavano nella luce del pomeriggio inoltrato, la loro debole luce inghiottita da quella del sole morente. Portarono le loro offerte ai margini del bosco e le disposero in silenzio, con gesti lenti e cerimoniosi, le teste chine e gli occhi bassi. Izuku osservò con amarezza crescente le mani di suo padre accendere l'incenso rituale e lasciarlo bruciare nella ciottola di terra cotta, le ampie maniche che frusciavano sull'erba secca e l'espressione grave sul suo viso.

Se ti ho recato disturbo, mi dispiace. Io... volevo solo continuare a giocare con te. La bocca gli si contrasse in una smorfia scontenta quando dovette farsi avanti per posare il rotolo su un piccolo altare di legno nero e protrarsi davanti ad esso fino a toccare con la fronte il tappetto di foglie. L'odore della terra gli riempì il petto. Ci si sente così soli in questa casa, a volte.

Le unghie grattarono sul suolo morbido e Izuku sentì le lacrime pungergli gli occhi serrati. Suo padre incombeva su di lui, inginocchiato al suo fianco con la schiena dritta e il viso severo. ≪ Leggi la lettera ad alta voce per lui. ≫ ordinò e Izuku percepì il respiro dei presenti mutare.

Il sole tramontava oltre le vette delle montagne, dipingendo di mille sfumature di rosso le acque del lago. ≪ Spirito Antico che abiti questi boschi, perdona... ≫ La sua voce risuonò nell'aria, sottile e incerta come quella di un bambino spaesato solo per spezzarsi al tocco della mano di suo padre che si posava sulla sua schiena.

Il suo peso e calore avrebbe dovuto confortarlo e dargli coraggio, ma riuscì solo a rendere la stretta nel suo petto più intensa e dolorosa. Nessun bambino vuole mai giocare davvero con me o essere mio amico, ma tu hai corso con me. Mi hai mostrato quanto era limitata la mia visione del mondo e dove trovare il coraggio di superare le mie paure.

≪ Perdona questi sciocchi mortali per averti recato disturbo e aver osato offendere la tua persona. ≫ Pronunciò le parole come suo padre gli aveva insegnato qualche ora prima nel suo studio, la voce bassa e chiara e il sapore amaro dell'infelicità sulla lingua.

Erano parole formali e vuote, lontane da quello che avrebbe voluto dirgli quanto lo era la luce delle stelle dagli occhi che si sollevavano a cercarle. Eppure, le pronunciò tutte come suo padre l'aveva istruito a fare in quelle ore, inghiottendo le lacrime e l'amarezza. ≪ Accetta questi doni che ti porgiamo come riparazione per la nostra stupidità. ≫

Mi hai reso così tanto felice che avrei voluto continuare a giocare con te per sempre.

≪ D'ora in avanti avremo cura di non disturbare più la tua quiete. ≫

Si sentì ridicolo nel pronunciare ogni parola, ma era troppo amareggiato per riderne o arrossire. Non sapeva se la volpe poteva sentirlo, se poteva immaginare cosa avrebbe voluto dirgli o se era semplicemente andata via.

Nel risollevare il viso e fissare la fitta penombra del bosco sussurrò il suo addio senza dargli suono, consapevole che le parole che avrebbe voluto dirgli davvero non sarebbero mai state pronunciate se non nella sua mente. Grazie di avermi mostrato il tuo volto. Mi dispiace se per tutti questi anni sono stato un fastidio per te. Volevo solo che fossimo amici.

Lasciò che suo padre lo prendesse per mano e si lasciò trascinare lontano dal bosco. Si voltò solo una volta, giusto in tempo per vedere la sua volpe, indugiare davanti alle offerte con il pelo ispido che catturava gli ultimi bagliori del sole crepuscolare e gli occhi rossi che baluginavano di ombre come braci morenti.

Il muso affilato fremette, odorando l'aria e le orecchie di un biondo scuro e vellutato si appiattirono sulla nuca prima che Izuku scomparisse all'interno della casa, inghiottito dalla folla di persone.

Fu condotto al viale d'accesso dove una carrozza carica dei suoi bagagli l'attendeva, senza che gli fosse permesso nemmeno di cambiarsi. Due splendidi cavalli sauri fremevano, scalpitando e sbuffando. Le lucidi criniere che catturavano gli ultimi bagliori di luce.

Un servo stava accendendo la seconda lampada ad olio e si voltò a guardare il bambino, l'uomo e la donna che si avvicinavano per poi, affrettarsi ad aprirgli la porta e sistemare lo scalino davanti all'apertura.

Izuku piangeva quando salì sulla carrozza che l'avrebbe portato lontano, le spalle scosse dai singhiozzi e gli occhi verdi stanchi e appannati. Non riuscì a distinguere il volto di sua madre e di suo padre attraverso il velo delle lacrime che traboccava a rigargli le guance arrossate.

≪ Vorrei poter venire con te, piccolo mio. ≫ sussurrò sua madre, stringendoli la mano fra le sue, fresche e lisce, e portandosela alle labbra per baciarla. Alle sue spalle, suo padre teneva le mani intrecciate dietro la schiena e scosse piano la testa. ≪ Il tuo posto è qui, Inko. ≫ le disse, con una nota soffocata nella voce.

Se c'erano lacrime nei suoi occhi, Izuku non fu in grado di vederle. Avvertì la stretta nel suo petto sciogliersi in amarezza quando suo padre avvolse un braccio intorno alle spalle tremanti della moglie e chinò il viso sul suo. ≪ Un po' di lontananza gli farà bene. Lo aiuterà a diventare un uomo. ≫

Izuku non disse nulla, pianse soltanto per la tristezza di quell'addio e perché non riuscì a trovare la forza di ribellarsi ad esso. Si sentì debole e tremante, un fuscello mosso dal vento che veniva sballottato dalla carrozza in movimento, dal destino che aveva voluto prendersi gioco di lui. E continuò a piangere per gran parte del viaggio, sapendo che era tutto finito e che non avrebbe mai più rivisto la sua volpe.

Alla fine, era rimasto solo.

 

to be continued... Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine. II

 

 

 

_________________ Angolino Lacie _____________

Dopotutto questa storia sta sfuggendo al mio controllo, dilungandosi per sentieri che non avevo previsto. ( Strano, non mi succede MAI – se chiedono. ). Mi rendo conto di aver appena spezzato in un'ulteriore terza parte un capitolo, ma quattordici pagine mi sembravano sufficienti e anche una pausa per eventuali fazzoletti sembrava indispensabile.

Spero che la storia vi stia piacendo.

Vorrei ringraziarvi di tutto cuore per continuare a leggerla, per i voti e i commenti su wattpad e le visualizzazioni e l'aggiunta nei vostri elenchi su Efp. Grazie di avere tanta pazienza e rispettare i miei tempi, a volte così lunghi da farmi sentire in colpa nei vostri confronti. Spero anche le informazioni date fin ora sulle kitsune siano chiare (nel caso, vi prego di farmelo sapere e provvederò a ritoccare il testo per spiegarmi meglio o se lo reputate più utile, aggiungere un piccolo glossario nella parte introduttiva. ).

Vorrei farle trasparire piano piano dal testo ma se non sono già abbastanza chiare fin qui è evidente che ho commesso un errore e preferisco rimediare che lasciarvi nella confusione più totale.

Grazie ancora per essere qui e al prossimo capitolo!

Baci

Lacie

 

 

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Capitolo 5
*** Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine III ***


Come nasce un'amicizia all'ombra del glicine III

 

La casa dei suoi nonni, la casa in cui era nata e cresciuta sua madre, sorgeva su un'alta scogliera che dominava l'immane distesa ribollente dell'oceano e posava le sue fondamenta su una roccia candida e frastagliata, un poco discosta dal resto del villaggio e dalla spiaggia di sassi che si stendeva a lato degli scogli.

Un vento salmastro soffiava dalle acque ribollenti a qualunque ora del giorno e della notte, facendo scricchiolare gli infissi come se una mano invisibile battesse con forza chiedendo di entrare. I vetri tremavano. Strani rumori provenivano dal piano di sotto, come se le stesse fondamenta piangessero per la fatica di dover tenere in piedi quella dimora fatiscente, dimenticata dal tempo.

Onde spumeggianti si scagliavano furiose contro la parete di roccia, disperdendo nell'aria spruzzi di salsedine che appesantivano i suoi riccioli, rendendoli ancora più ribelli del solito. Sdraiato nel futon che era stato di sua madre, nel buio della camera, Izuku sentiva le onde battere ed erodere le rocce sotto la casa con la costante furia di una divinità che aveva l'eternità per portare avanti una lotta estenuante. Le lacrime che gli inumidivano le ciglia cadevano a bagnare la fodera del cuscino, su cui non era rimasta traccia del dolce profumo di sua madre.

Ogni notte, la nostalgia per la casa che aveva lasciato cresceva e Izuku si ritrovava a rannicchiarsi su sé stesso, sotto una spessa coperta rosa che puzzava di umidità, soffocando i singhiozzi che lo scuotevano nel cuscino. Non aveva mai avuto grandi affetti. A parte sua madre e la volpe, era sempre stato da solo. Ma in quella casa sconosciuta, circondata dal mare e da un villaggio movimentato e ricco di attività, si rese conto di cosa fosse realmente la solitudine.

Lì non c'erano braccia calde pronte ad accoglierlo. La mano delicata di sua madre che gli spazzolava i riccioli ribelli e la sua voce dolce che gli cantava le sue canzoni preferite. Non c'era la sua volpe a intrattenerlo e sfidarlo, costringendolo ad affrontare le sue paure e superare i suoi limiti.

Non c'erano nemmeno i suoi dèi. Anche se Izuku li cercava nel vento che soffiava aspro fuori dalla sua finestra, non riusciva a riconoscerne la voce e scorgerne la forza vitale nelle cose che lo circondavano. Come il bambino che era, tremava stringendosi su sé stesso, sentendosi sempre più perso e infelice in un mondo che non riconosceva come proprio.

Non aveva mai visto l'oceano e il suo primo sguardo su di esso, gli aveva rivelato una distesa di ombre fruscianti nell'oscurità, come un canto incessante che mutava in un rombo feroce con l'alzarsi del vento o in un mormorio ribollente con il suo calare.

Era arrivato alla porta di quella vecchia casa che il sole era già calato oltre l'orizzonte e una scia di stelle perforava il manto della notte. Il viaggio l'aveva lasciato stordito, stanco e abbattuto. I sussulti della carrozza gli avevano pestato le ossa e intorpidito le membra. Attraverso la tenda scostata dal finestrino aveva visto le montagne allontanarsi e appianarsi in morbidi colli, finché il sussultare sconnesso del mezzo l'aveva cullato in un sonno inquieto.

Nel scendere dalla carrozza le gambe avevano vacillato. Una mano sconosciuta, forte e rugosa, l'aveva afferrato per il braccio prima che potesse cadere e Izuku nel sollevare lo sguardo appannato dalla stanchezza, si era stupito della ruvida forza che quella mano nodosa e rovinata, così diversa da quella di sua padre, lasciava trasparire. Al suo fianco, c'era un vecchio dalla schiena curva che si reggeva a un bastone nodoso e lo scrutava con attenzione. Gli occhi verdi erano pieni di ombre che gli facevano sembrare neri come pece, gli angoli della bocca sottile inclinati verso il basso fremettero quando serrò le labbra.

C'era qualcosa nel viso rugoso di quell'uomo che aveva fatto battere più forte il cuore di Izuku.

≪ Assomigli a tua madre. ≫ aveva detto e quelle erano state le prime parole aspre che gli aveva rivolto. Izuku l'aveva fissato spiazzato, lo sguardo che scivolava dal suo viso rugoso a quello contratto del servo che in piedi accanto alla carrozza reggeva la lampada da viaggio e si sforzava di non tradire alcuna emozione.

≪ M-mia madre? ≫ balbettò Izuku. La voce suonò incerta alle sue stesse orecchie e inasprì le rughe sul viso del vecchio che emise un grugnito irritato. ≪ Pare di vedere il suo ritratto sputato. ≫ borbottò, mollando la presa sul suo braccio e lasciando scivolare via le dita nodose per posarle sulla mano che stringeva il bastone. ≪ Non hai mai visto il tuo dannato volto, ragazzino? Pure un cieco capirebbe da quale ventre sei stato tirato fuori. ≫

Izuku avvampò fino alla punta delle orecchie. Gli occhi verdi si sbarrarono fissando in quel mare di ombre che scurivano le iridi del vecchio, trovandoci dentro il suo riflesso pallido e sbiadito. Lui non assomigliava affatto a sua madre. Aveva ereditato i suoi occhi, certo, ma sua madre aveva una lunga e folta massa di capelli neri come la pece e un viso dolce e gentile privo di imperfezioni. Izuku sapeva di non avere gli stessi tratti delicati di lei o la sua grazia nei movimenti.

Non aveva la sua stessa bellezza. Non più di quanto la possedesse quel vecchio che lo scrutava torvo.

≪ Santo cielo, sarà mica ottuso come suo padre? ≫ Gli occhi verdi scattarono sul servo che strinse le labbra con aria contrariata, la lampada nella sua mano ondeggiava al vento salmastro che risaliva dal dirupo facendo scricchiolare gli infissi della vecchia casa che incombeva su di loro. ≪ Ha fatto un lungo viaggio e lei deve assumersene la responsabilità. Il padrone ha detto... ≫

≪ Sai quanto me ne importa di cosa dice il tuo dannato padrone. ≫ sbottò il vecchio, facendo sussultare Izuku per lo stupore di sentire quella voce aspra alzarsi irritata. Il servo parve offeso da una simile mancanza di rispetto. ≪ È il figlio del padrone e ha fatto arrabbiare una kitsune. Non può restare nella Casa principale. ≫

Un lieve sorriso comparve sul viso del vecchio, facendo scintillare divertiti i suoi occhi scuri. ≪ Tale e quale a sua madre. ≫ borbottò a mezza voce e Izuku si chiese cosa intendesse. Sua madre aveva avuto terrore della kitsune appollaiata sui rami del glicine. Aveva tradito tutto ciò che gli aveva sempre insegnato sugli dèi della foresta e sugli spiriti che l'abitavano e aveva lasciato che venisse spedito lontano dall'unica casa che avesse mai conosciuto.

≪ Dì al tuo padrone che il ragazzo può restare, dato che ha il mio sangue e questa è casa sua. ≫ commentò il vecchio, voltando le spalle ad entrambi e incamminandosi verso l'ingresso a passo claudicante. ≪ Ma non intendo accettare altre imposizioni. Il tuo padrone ha sposato mia figlia, non ha però potere su questa casa e i suoi abitanti. ≫ Gli occhi scuri baluginarono di ombre nella notte, sfiorati dalla luce della lanterna che delineava i margini frastagliati della roccia ai loro piedi. ≪ Non finché vivrò. ≫

Izuku aveva lanciato uno sguardo al servo, confuso e disorientato, ma tutto quello che aveva ricevuto era una scrollata di spalle e l'augurio di preservare la sua buona salute. Era stato lasciato lì, da solo con quello strano e arcigno vecchio che lo guardava con sguardo penetrante come se scorgesse oltre i tratti del suo viso quello di qualcun altro.

Gli aveva fatto strada lungo stretti corridoi e ampie stanze disabitate, rivestite da uno spesso velo di polvere che il tempo aveva steso su ogni cosa, fino a una camera ad angolo che affacciava sulla spiaggia di ciottoli e sull'oceano oltre il margine del dirupo.

Non c'erano servi nella casa che potessero aiutarlo con i bagagli e suo nonno era decisamente troppo vecchio per potersi sobbarcare la fatica di trascinare dentro le sue cose, così Izuku dovette farlo da solo. Sudò e si sforzò, stringendo i denti mentre la frustrazione e la rabbia gli montavano dentro come una tempesta. In tutta la sua giovane vita, non aveva mai dovuto faticare una sola ora per qualcosa di così poco piacevole. C'era sempre stato qualcun altro pronto a sobbarcarsi i lavori più pesanti o le incombenze e le uniche fatiche che gli erano spettate erano quelle dell'esercizio fisico e dello studio che gli lasciavano una certa gratificazione in cambio.

Senza servi da chiamare, il vecchio lo guardava arcigno trascinare il pesante baule su per la scala fino alla stanza che gli aveva assegnato. ≪ Lo ha rammollito come lui, quel gran signore. Questo ragazzo è un incapace che non sa mettere insieme nemmeno due passi senza cadere. ≫ lo sentì borbottare quando scivolò sulle scale per l'ennesima volta e il baule precipitò giù con un tale fracasso da far tremare i quadri alle pareti.

Izuku trasalì, il viso madido di sudore contratto in un'espressione mortificata. Il gancio che chiudeva il baule si era spaccato a metà nella caduta e le vesti pregiate si erano aggrovigliate sul pavimento insieme ai suoi libri e ai giocatoli che ne erano rotolati fuori.

Un sospiro rassegnato sfuggì dalle labbra dell'uomo, ma quando Izuku si voltò ansimante a guardarlo con gli occhi brucianti di lacrime. Suo nonno si limitò a indicargli un armadio in cui trovare coperte e lenzuola. ≪ Là. Dati una mossa prima che faccia l'alba, ragazzo. Qui ci si alza presto. ≫

Ingoiò il pianto che gli stringeva la gola e ricacciò indietro le lacrime che gli inumidivano gli occhi, con un gesto stizzito delle mani arrossate. ≪ I-Izuku. Mi chiamo Izuku, non ragazzo. ≫ si lamentò, pestando i piedi sul parquet usurato e tormentando le maniche pregiate della sua veste. ≪ E la mamma non mi ha mai parlato così. Nessuno mi ha mai parlato così. ≫

≪ C'è una prima volta per tutto, ragazzino. ≫ commentò aspro, socchiudendo gli occhi pieni di ombre. Le spesse rughe che gli segnavano il viso scavavano la pelle con solchi profondi che tremavano a ogni contrazione della bocca, lasciandogli intendere che una volta doveva aver avuto un viso espressivo quanto il suo e quello di sua madre. Un viso capace di lasciar trasparire ogni sfumatura di emozione e sentimento.

Restò a guardarlo, sbraitandogli contro perché non sapeva nemmeno distendere un futon e sprimacciare un cuscino. Fu la prima cosa che Izuku imparò nel tempo che passò con quello strano uomo irascibile: a badare a sé stesso e fare le cose da sé.

Se voleva mangiare doveva scendere con suo nonno al villaggio ad acquistare le verdure e contrattare con i pescatori lungo la costa per il pesce fresco. Se spendeva troppo o si lasciava ingannare dai venditori, suo nonno lo spediva a letto con nulla più di una scodella di latte e miele per cena e una bella ramanzina a risuonargli nella testa. Non c'era alcun fuoco caldo ad attenderlo la mattina presto, quando veniva buttato giù dal letto al sorgere del sole per accompagnarlo alla spiaggia a far visita al tempio che sorgeva dai flutti del mare.

L'aria era gelida e lo faceva rabbrividire nelle vesti pesanti. Un sentiero di roccia sembrava comparire come per magia quando la marea si ritirava, illuminata dai raggi pallidi del sole nascente. Non c'era alcun altare alla sua fine o statue di idoli dalle sembianze umane ad attenderli, solo un alto arco dipinto di rosso, unito da travi lavorate e consumate dalla salsedine che affondavano la loro base nel fondale marino. Solo un altro Torii come ce n'erano a milioni per il Giappone, situato nel mezzo di un mare che non stava mai immobile ad attendere.

Eppure, nulla di tutto ciò impediva a suo nonno di pregare in ginocchio davanti a quel mare ne scoraggiava in alcun modo la fila di persone che si recava lì ogni mattina e ogni sera per inginocchiarsi nell'acqua salmastra a pregare in silenzio mentre i pescatori caricavano le reti da pesca sulle loro imbarcazioni e gli artigiani accendevano i fuochi nelle loro fucine.

≪ I nostri dèi non hanno bisogno di incenso e doni. ≫ gli spiegò una volta, suo nonno, in ginocchio davanti ai primi raggi di sole che si riversavano sulle acque ribollenti del mare mentre Izuku rabbrividiva al suo fianco. ≪ Non hanno un volto e non possono essere chiusi in templi fatti di pietra e sale buie. ≫

Schiuma salmastra e spruzzi freschi salivano dalle onde che si infrangevano sugli scogli e spruzzavano i loro visi. ≪ Gli dèi che noi veneriamo vivono nelle reti dei pescarecci che portano il pesce con cui sfamare le nostre famiglie, ogni giorno. Nelle onde che riportano a casa i nostri marinai, ogni sera. Sani e salvi dalle loro famiglia che li attendono. ≫

Suo nonno non lo guardò, le mani giunte davanti alle labbra sottili e le rughe che scavavano solchi profondi in un viso che una volta doveva aver posseduto tratti forti e gentili. ≪ Nel ferro con cui forgiamo le spade con cui difendiamo le cose e le persone che amiamo. Nell'aria che respiriamo, nel fuoco che ci scalda, nell'acqua che ci bagna e nella terra che ci dona i suoi dolci frutti. ≫

Izuku avvertì qualcosa fremergli dentro, una nostalgia così profonda per la sua casa e il bosco che lambiva il suo giardino da procurargli dolore. A quell'ora, il lago sotto i rami del glicine scintillava argenteo e i petali violacei galleggiavano sulle acque placide insieme alle prime foglie verdi degli aceri. Sulle sue rive solitarie, la sua volpe dorata si bagnava le zampe e si sfregava il muso appuntito. Le folte code che ondeggiavano pigramente sull'erba bagnata di rugiada mentre gli abitanti della casa ancora dormivano o si apprestava a svegliarsi e Izuku l'osservava da dietro i vetri della sua finestra, intontito di sonno, prima di tornarsene al calore del suo letto.

≪ Sono come gli dèi della montagna. ≫ mormorò con un filo di voce, chiudendo per un attimo gli occhi e tenendo stretto a sé il ricordo dell'ombra che rivestiva la foresta dissiparsi man mano che il sole risaliva l'orizzonte e dipingeva d'oro i margini dei monti, accendendo di mille colori le foglie che fremevano all'aria umida della mattina. ≪ Sono in ogni cosa. Sempre sotto il nostro sguardo eppure sempre nascosti alla nostra vista, come il fremito dei nostri cuori che non cessa mai di battere ma che notiamo solo quando pensiamo di starlo per perdere. Solo quando abbiamo paura. ≫

Un angolo della bocca dell'uomo si contrasse sotto il suo sguardo e per un terribile attimo, Izuku temete che suo nonno si fosse arrabbiato e l'avrebbe sgridato. Forse avrebbe riso di lui, di quelle idee sciocche che aveva concepito inseguendo la sua volpe sui rami degli alberi e sul tetto spiovente. Invece, lui sorrise con tristezza senza distogliere lo sguardo dal Torii che pregava. ≪ È stata tua madre a parlartene? ≫

Il fruscio delle onde nella luce del mattino era una melodia dolce e sconosciuta. Un mistero che Izuku non sapeva penetrare e che ascoltò in silenzio, inginocchiato nell'acqua salmastra a rabbrividire di freddo. Non rispose a quella domanda, non era più sicuro di quanto di ciò che gli avesse detto sua madre fosse ancora vero per lui. In fondo, era stata lei ad aver avuto paura della kitsune e a innescare la reazione degli abitanti della casa e di suo padre. A distruggere tutto ciò che Izuku aveva protetto e custodito nella sua breve vita.

≪ Io... pensavo che avrebbe capito. ≫ sussurrò con un filo di voce e il frusciare delle onde del mare che gli lambivano la veste, imprimendo il pesante tessuto di acqua salmastra, quasi disperse le sue parole. ≪ È stata lei a insegnarmi a non temere il bosco e gli dèi che l'abitavano. Ascoltavamo insieme il vento che soffiava fuori dalla finestra e lei diceva che era la voce degli dèi e che non c'era nulla da temere... ma quando ha visto la kitsune ha avuto paura e mi ha mandato via. ≫

Un brivido gelido gli percorse la schiena e Izuku chiuse gli occhi per trattenere le lacrime che pungevano per uscire. Le sentì rotolare comunque sulle guance paffute, sferzate dal vento gelido dell'alba. ≪ Ho conservato quel segreto per così tanto tempo... per tutta la mia vita. È sempre stato con me e ora, n-non lo rivedrò più. La mia volpe dagli occhi di fuoco... ≫

La sua voce si spense in un mormorio amaro, al di sotto del fruscio del vento che li investiva gelido. La veste di seta che indossava si gonfiava intorno al suo corpo tremante, ormai rovinata dalla salsedine. Tutti i vestiti che possedeva erano inadatti al clima aspro della costa e lo facevano sentire a disaggio con i suoi abitanti.

Li sentiva ridacchiare alle sue spalle e prendersi gioco di lui, chiamandolo "signorino" quando passava loro davanti. Ma non era lo stesso atteggiamento che avevano gli abitanti della sua città di origine, non c'era in loro la volontà di accaparrarsi il favore della sua famiglia e tenerlo buono. Per quella gente di mare, lui non era nessuno.

Izuku si sentiva afferrare dalla tristezza ogni volta che lo notava, non esisteva un posto in cui si sentisse davvero libero di essere sé stesso al di fuori del suo giardino e della compagnia della sua volpe.

≪ Lei aveva un dono. ≫ mormorò suo nonno, spezzando il silenzio e voltandosi per guardarlo negli occhi con qualcosa nello sguardo che diede una sfumatura amara alla sua voce. ≪ Aveva ereditato il sangue che scorreva nelle vene di mio padre e come lui, poteva sentire la voce del mondo degli spiriti. Ma poi iniziò a tingersi i capelli per sembrare come tutte le altre e a cercare di soffocare il suo dono... finché quello non sparì, cancellato dal suo rifiuto. ≫

Izuku lo guardò senza capire, gli occhi verdi sbarrati nella luce dell'alba, ma suo nonno si limitò a scuotere piano la testa e a tendere la mano per afferrare il bastone con cui rialzarsi. Nell'afferrargli il braccio ossuto avvertì i muscoli duri tendersi sotto la manica, ancora forti e tenaci nonostante l'età. ≪ Com'era lei da ragazza? ≫ domandò con una nota incerta nella voce sottile, alzando lo sguardo per incrociare quello scuro dell'uomo.

C'era del castano a screziare il verde delle sue iridi, piccole scintille scure che si perdevano in quel mare impenetrabile che l'osservavano con attenzione mentre liberava un respiro rapido. ≪ Mia madre. Com'era quando viveva con te? ≫

≪ Coraggiosa. ≫ sussurrò con amarezza, il fiato che si condensava sulle sue labbra tagliate dal vento. Ciuffi candidi di capelli caddero sulla fronte, spinti dal vento, formando riccioli ribelli che Izuku fissò come sorpreso. ≪ Tremava come una foglia il giorno in cui tuo padre venne a prenderla, ma andò con lui anche se la pregai di non farlo. Mi disse che era l'unica cosa che poteva fare per me e sua madre. L'unico modo che aveva di dimostrarci il suo amore e proteggerci. Lo fece con il sorriso sulle labbra giurando di non rimpiangerlo mai. ≫

Un tremito scosse le sue labbra e Izuku si chiese se il velo di lacrime che intravide per un'istante riflesso nei suoi occhi mentre gli voltava le spalle, fosse frutto della sua immaginazione o qualcosa di reale. ≪ Era una sciocca. Sarebbe dovuta restare a cantare le sue canzoni alle onde e a rideva dei rimproveri di sua madre quando la pregava di stare attenta e non saltare a piedi nudi sulle rocce. ≫

Izuku restò indietro, muovendosi con cautela sulle rocce bagnate e osservando la schiena curva di suo nonno precederlo con passo claudicante. Non aveva la grazia di sua madre nel muoversi, né la sua dolcezza, eppure c'era qualcosa nelle morbide onde dei suoi capelli candidi che gli ricordavano i suoi riccioli ribelli. Qualcosa che lo spinse a chiedersi quanto conoscesse davvero la donna che lo aveva tenuto fra le braccia e aveva riso con lui.

Sotto quelle vesti eleganti e i gioielli che le adornavano i capelli, Izuku riusciva a immaginare con facilità la bambina che doveva essere stata. La creatura delicata e selvaggia che correva sulla costa e saltava fra gli scogli, cercando nel vento e nel brivido del pericolo la voce di quegli dèi che aveva amato.

 

🦊🦊🦊

 

Fu un'estate solitaria in cui ebbe tempo di riflettere e di porre domande a cui non aveva mai avuto risposta o su cui non aveva riflettuto abbastanza. Imparò a girare per la cittadina e a parlare con gli abitanti, nascondendo ai loro occhi la timidezza e quel filo di disaggio che gli si annidava dentro. A spaccare legna sotto lo sguardo attento di suo nonno finché le braccia e le spalle gli dolevano tanto da fargli cadere le lacrime lungo le guance lentigginose e le mani gli si arrossavano fino ad aprire vesciche piene di liquido che bruciavano come fuoco sulla carne viva.

Ogni notte, si addormentava in un letto freddo che non sentiva suo. In una stanza che possedeva ancora qualcosa della persona che l'aveva occupata in precedenza e soffocava i singhiozzi e le lacrime di nostalgia nel suo cuscino.

Non voleva che suo nonno lo sentisse. Eppure, ogni mattina, aveva l'impressione che per quanto facesse piano o si sforzasse di sembrare tranquillo, quello strano vecchio riuscisse a sentire come si sentisse davvero. Sapeva che gli mancava la sua volpe dorata e la sua casa, ma non gli chiese mai nulla al riguardo e non lo guardò mai con il biasimo e l'orrore dei suoi genitori e della servitù.

Insieme a lui, Izuku imparò a muoversi per le strade frementi di attività senza più sussultare spaventato a ogni rumore o movimento improvviso e a saltare sui pescherecci per contrattare sul prezzo del pesce. Con il passare delle settimane e dei mesi, una luce d'orgoglio andò ad accendersi nel fondo degli occhi di suo nonno che l'osservava sempre con un certo interesse e anche Izuku iniziò a sentirsi soddisfatto di sé stesso. Il sorriso tornò a fiorirgli sulle labbra, sincero e vitale e la sua risata animò gli ambienti polverosi della sua nuova casa.

Più si trovava impegnato, meno aveva tempo per rimpiangere ciò che si era lasciato alle spalle e alla fine dell'estate, imparò a disegnare e a mettere a frutto quel poco che sapeva sul carboncino e sulla china, ad usare la trementina e le pitture colorate. Sperimentò stili e tecniche diverse, fermandosi ad osservare le cose che voleva imprimere su carta con uno sguardo diverso. Innamorandosi della forma delle cose, dell'espressione sui volti delle persone e delle emozioni che lasciavano trasparire. Della forma che assumevano i suoi ricordi, messi su carta con il colore e la china.

Dalle finestre della casa poteva ammirare i tetti ricurvi delle case, le stradine acciottolate che si diramavano in ogni direzione e i vari mercati ricchi di bancarelle, tendaggi sbiaditi dalla luce del sole e dalla fiumana di gente in visita. Era un luogo di pescatori e commercianti, affollato di visitatori durante la bella stagione e fremente di vita commerciale, ma totalmente diverso dalla calma solenne della sua casa natale. Lì non c'era nessuna volpe con cui poter giocare o dèi da cogliere nel vento, solo la nota salmastra di alghe nell'aria che veniva dalla spiaggia al di sotto o l'aroma del pesce arrosto che soffiava dal villaggio.

≪ A volerli cercare gli dèi sono in ogni cosa. ≫ gli fece notare un giorno, suo nonno, mentre percorrevano la spiaggia sassosa per far visita al Torii e rivolgere le preghiere del mattino agli dèi di quella regione. Izuku gli camminava accanto, trattenendo a stento la voglia di correre e sfidare le onde, per aiutarlo nei punti più difficoltosi. Dove le rocce erano ricoperte da un sottile strato di alghe scivolose e l'acqua salmastra formava pozze spumeggianti.

≪ Ma non sono i miei dèi. ≫ mormorò, osservando lo spumeggiare delle onde sulla battigia e strappando un sorriso all'uomo al suo fianco. ≪ È giusto. Le persone hanno bisogno di qualcosa in cui credere nei momenti bui. Non commettere lo stesso errore di tua madre, non dimenticare chi sei e in cosa credi. ≫

Izuku annuì e si morse il labbro inferiore, osservando il mare gonfiarsi alla spinta del vento e abbattersi furente sulla spiaggia di sassi. In quella spiaggia sua madre aveva amato giocare e sedere a guardare le onde. Era quella la casa in cui era cresciuta, dove era stata una bambina e poi una ragazza. Aveva riempito i cassetti di tovaglie e centrini ricamati a mano con motivi di onde e pesci d'argento. Aveva pitturato fiori dai petali gialli e rossi sui pannelli di legno del corridoio e appeso tende colorate alle finestre scrostate che ora il tempo e l'incuria avevano ingrigito.

Un intero giardino di girasoli si celava sotto uno spesso strato di polvere lungo la scala e uno stormo di uccellini azzurri, sbiaditi dal tempo, adornava la calce sulla porta del giardino e saltellava sui rami di ciliegio che incorniciavano le finestre della sala da pranzo. Segni sbiaditi di una presenza che aveva abbandonato quelle stanze da anni, per non farci più ritorno.

Izuku riconosceva la mano di sua madre nel motivo della porcellana con cui consumavano i pasti e bevevano il tè la sera. La sua impronta nel gusto con cui erano stati disposti i mobili della stanza in cui dormiva - tutti di un pallido verde giada - e nei fiori che crescevano nel giardinetto dietro la casa, sfidando le intemperie.

A volte, suo nonno si fermava vicino a una parete e ammirava quel che restava delle pitture. Le sfiorava con la punta delle dita nodose, levando una manciata di polvere che le aveva offuscate e tendeva le orecchie al silenzio della casa, come se si aspettasse di cogliere una voce famigliare nel rombo delle onde e del vento.

C'era qualcosa di struggente nel suo sguardo in quei momenti. Una malinconia impalpabile che scavava le rughe nel suo viso e colpiva Izuku dritto allo stomaco. Qualche volta, nel guardarlo, si scopriva a tendere l'orecchio al ruggire del vento e al frusciare delle onde, quasi sperasse di cogliere un rumore famigliare o di scoprire la sparizione di un giocatolo o dei geta che rivelassero come perfino lì, la sua volpe non aveva smesso di esistere.

Ma nessuno dei due era mai tanto fortunato.

Trascorrevano le loro giornate a faticare e ad ammirare il mare in tutte le sue sfumature. Le pregiate vesti sostituite da pratici abiti da lavoro o di cotone leggero, i piedi nudi che affondavano nella terra sabbiosa del giardino e le mani graffiate che si riempivano di calli. Il suono della risata di Izuku si insinuò lentamente in quelle stanze buie e polverose, ripulite di fresco e vi riportarono vasi di fiori e i raggi del sole che facevano irruzione dalle finestre lasciate aperte.

Senza più la tinta nera che sua madre spalmava con cura sui suoi capelli dopo ogni lavaggio, Izuku si trovò a non poter più celare la sfumatura verde dei suoi capelli che attirava lo sguardo della gente e i loro mormorii turbati. Riccioli ribelli si alzavano al vento intorno al suo viso abbronzato, cosparso di lentiggini, e facevano scintillare il verde smeraldo delle sue iridi come gemme al sole, ma a lui non importava.

Le onde del mare che si infrangevano contro la scogliera creavano un canto misterioso che non aveva nulla di famigliare. Un frusciare costante che a volte, mutava in rombo e altre, in un placido silenzio ingannevole rotto dal grido acuto dei gabbiani e dalle grida dei pescatori sulle loro imbarcazioni.

Izuku li osservava spesso, seduto sui gradini della casa di suo nonno o sulle alte rocce ammassate contro la scogliera, con una tavoletta poggiata sul ginocchio e un carboncino in mano. I fogli nelle sue mani frusciavano al vento salmastro. Linee scure correvano sulla carta, delineando un muso affilato e orecchie appuntite che fremevano fra i petali del glicine che gli piovevano intorno, come un incantesimo che aveva il sapore di una favola.

≪ Posso chiederti una cosa, nonno? ≫ domandò un pomeriggio, intento a disegnare sul vano della porta che portava al giardino mentre suo nonno era chino sul piccolo orto che germogliava a fatica nella terra sabbiosa, sferzato dal vento salmastro e bruciato dal sole.

Un grugnito sfuggì dal fondo del petto dell'uomo. ≪ Hai deciso di chiedere il permesso, adesso, prima di fare la tua solita raffica di domande? ≫ La schiena curva sussultava appena a ogni colpo di vanga sul terreno. Un lieve sorriso curvò le labbra di Izuku. Non si piacevano sempre l'uno con l'altro e suo nonno non era di certo un uomo flessibile, eppure negli ultimi mesi aveva imparato ad apprezzarlo. ≪ No, è solo che... ormai sono mesi che vivo qui e mi chiedevo se potrò mai tornare a casa. ≫

Suo nonno non sollevò nemmeno il viso, limitandosi a un grugnito soffocato e la piccola vanga che stringeva nella mano ossuta affondò nel terreno con troppa forza, tranciando alcuni germogli verdi. ≪ Perché? Pensi che quella kitsune abbia smesso di volere la tua testa? ≫

≪ Non credo che l'abbia mai voluta. ≫ Le parole gli sfuggirono dalle labbra con una punta d'irritazione e gli accesero le guance lentigginose di un caldo rossore. Gli occhi verdi screziati di castano di suo nonno si fissarono sul suo viso di bambino con un'ombra a scurirli nella luce pomeridiana.

Izuku tacque, distogliendo lo sguardo imbarazzato. Oltre il precipizio il cielo cosparso di nuvole temporalesche si specchiava nella massa ribollente del mare. Un mondo di sfumature azzurrine e biancastre, di verde sbiadito e raggi dorati, di cui non aveva conosciuto l'esistenza prima di arrivare in quella casa.

≪ Forse è vero che sono stato impudente. ≫ mormorò nel vento che gli soffiava indietro i riccioli ribelli. I geta ai suoi piedi strusciarono nel terreno sabbioso alzando un lieve sentore di salvia. ≪ Ho continuato a inseguire la kitsune senza preoccuparmi che potesse o meno dispiacerle. Anche quando ho scoperto cos'era... non ho mai pensato fosse un problema o che avrei dovuto smettere. ≫

L'aria profumava di verdure fresche appena tagliate e di salsedine, delle alghe abbandonate sugli scogli e nella spiaggia sottostante. Sapeva di sale e sole, del vento che soffiava da ponente, portando l'odore della legna arsa nei focolari. ≪ Ma c'era qualcosa in lui... nella mia volpe... ogni volta che la sentivo muoversi o la vedevo non riuscivo a trattenermi. ≫

Percepiva lo sguardo penetrante di suo nonno premere sulla pelle. Aveva la schiena curva inondata di sole, il collo madido di sudore e i bianchi capelli che formavano riccioli ribelli sulle tempie e dietro la nuca. Un'ombra scuriva i suoi occhi screziati di castano sotto le spesse sopracciglia. ≪ Le persone hanno paura degli yokai. ≫ commentò a bassa voce, con qualcosa di aspro nella curva della bocca sottile. ≪ Avvertono il loro potere e capiscono che non fanno parte del loro stesso mondo, ma tu no. Non hai avuto paura di lui, non è vero? ≫

Izuku si strinse nelle spalle, corrugando la fronte pensieroso. I fogli sul suo grembo frusciarono al vento. Gli mancava la sua vita, il suo giardino lussureggiante e la sua amata volpe. Per quanto non si sentisse più infelice come i primi tempi, non riusciva a sentire quel posto come suo. E c'era un'altra cosa che lo tormentava... Quanto ci sarebbe voluto perché la sua volpe si dimenticasse di lui e lasciasse i luoghi in cui era solita bazzicare?

Forse era già successo. Temeva che se mai fosse tornato a casa non ci sarebbe stata alcuna volpe dal pelo dorato ad attenderlo e tutto quello che gli sarebbe rimasto sarebbe stato un ricordo dolceamaro che il tempo avrebbe scolorito. Un giorno, avrebbe ripensato a quel bambino dagli occhi di brace che gli sorrideva dagli alti rami del glicine come a un sogno infantile privo di margini reali.

≪ Izuku? ≫ lo chiamò suo nonno, una nota aspra nella voce rauca e qualcosa di scuro nello sguardo. Izuku sollevò il viso e riccioli scuri caddero a sfiorargli la fronte. Un grugnito sfuggì dalle labbra sottili del vecchio nel raddrizzare la schiena curva e premere una mano ossuta sui lombi. ≪ Perché tu non hai avuto paura di lui? ≫

Perché lo conosco da sempre.

Era sempre stato lì, ai margini della sua consapevolezza ancora prima che imparasse a parlare o a stare in piedi. A volte, aveva la sensazione che fossero stati gli dèi a decidere di farli incontrare. Avevano attratto la volpe con il dolce canto di sua madre e avevano fatto frusciare le foglie perché lui si voltasse e lo vedesse. Ma non era solo quello. Izuku ci aveva pensato così spesso in quei mesi che una nuova consapevolezza era sorta in lui, semplice quanto sconvolgente.

≪ Ogni volta che lo guardavo avevo la sensazione che fosse come me. ≫ La punta delle dita sfiorò la curva morbida delle code volpine tratteggiate con il carboncino e ne sfumò la linea. ≪ Era solo e diverso da chiunque altro. Giocare con lui era come una magia: c'eravamo solo noi al mondo e se non eravamo come gli altri o se anche avevamo un aspetto diverso dall'ordinario... Beh, andava bene. A lui andava bene e... anche a me. ≫

Un lieve sorriso curvò le labbra sottili dell'anziano, rimarcando le rughe sul suo viso. Izuku non osò guardarlo mentre gli si avvicinava senza il bastone ad aiutarlo, trascinando la gamba malata sul terreno sabbioso. Lo sguardo fisso sul suo piede sollevato e sul geta che ondeggiava nell'aria salmastra.

≪ Una volta anche tua madre era così. ≫ sospirò suo nonno, sedendosi al suo fianco nel vano della porta. Izuku sollevò di scatto lo sguardo, le labbra schiuse per lo stupore. ≪ M-mia madre? ≫

Suo nonno annuì, lo sguardo perso nel vuoto e un'ombra di malinconia a segnare i tratti del suo viso. ≪ A volte, le persone perdevano delle cose. Oggetti di uso comune o che avevano un significato sentimentale per loro e lei riusciva a sentirli... a riportarli ai loro rispettivi padroni. ≫

Il vento che soffiava dalla cittadina si scontrava con quello proveniente dal mare, scompigliando i riccioli candidi dell'uomo e spingendoli sulla sua fronte abbronzata. Solleticò la nuca di Izuku, facendo scaturire un brivido freddo che corse sulla pelle, sotto il cotone dell'abito e scese lungo la spina dorsale.

≪ Giurava che il vento parlasse una lingua familiare solo a lei. Le raccontava storie, le portava brandelli di canzoni e le sussurrava di cose che dovevano ancora accadere. Sapeva sempre quando qualcosa di brutto sarebbe successo. ≫ Un sospiro sfuggì dalle labbra sottili di suo nonno e i suoi occhi verdi, screziati di castano, si posarono su di Izuku con un'ombra di melanconia ad offuscali. ≪ Qualche volta, quando scendeva la notte e misteriosi fuochi fatui illuminavano il litorale, sedevamo qui insieme a guardarli. Il vento ci portava il suono della musica degli yokai in festa e le loro risate. Tua madre amava gli spiriti. ≫

≪ Mia madre... ≫ ripeté Izuku con un filo di voce. Rivide l'ombra del glicine sotto cui aveva ritrovato la sua palla di stoffa e sua madre che gli era venuta incontro come se avesse sempre saputo dove si trovasse suo figlio. Il modo in cui aveva guardato la kitsune sui rami del glicine e non avesse avuto un solo dubbio su cosa fosse. ≪ Ma allora perché...?! ≫ urlò, balzando in piedi e le piccole mani si serrarono a pugno lungo i fianchi, tremando.

Suo nonno lo guardò arrossire di sgomento e rabbia, gli occhi verdi spalancati e luccicanti nella luce del sole. Il vento gli soffiava i riccioli scuri sulle guance arrossate e sferzava il calore dal suo viso. L'uomo davanti a lui aveva qualcosa di rassegnato nello sguardo, un'ombra di melanconia che appesantiva le rughe sul suo viso fino a farlo sembrare ancora più vecchio di quel che era.

Vecchio come la roccia di quella scogliera e la casa in cui viveva, dimenticato dal tempo e ancorato a un passato sbiadito.

≪ Devi capire, Izuku, che il sangue che scorre nelle nostre vene può diventare una vera maledizione. ≫ La sua voce rauca si insinuò al di sotto del fischio del vento, mescolandosi al grido dei gabbiani in volo e alle grida provenienti dai pescherecci. ≪ Specie quando incontra la superstizione della gente comune. ≫

Izuku aveva la sensazione che nel guardarlo, quell'uomo non vedesse solo lui, ma un passato perduto. Lo spettro di quello che era stata sua madre prima che lo mettesse al mondo. Quando aveva deciso di nascondere i riflessi verdi dei suoi capelli sotto il nero della tintura e chiuso al mondo degli spiriti il suo cuore.

≪ Arriva un momento in cui devi scegliere a quale mondo vuoi appartenere... ≫ gli disse e il vento che soffiava da ponente sollevò i riccioli di entrambi, scuri e accesi di riflessi verdi per Izuku e bianco candido come la neve per suo nonno. ≪ Tua madre ha scelto la sua strada. Ha scelto di dimenticare il suo sangue e di sopprimere i suoi doni. ≫ Un lieve sorriso curvò le sue labbra sottili e accese il verde dei suoi occhi di scintille d'ambra scura. ≪ Anche tu, un giorno, dovrai compiere una scelta. Ma cosa farai... beh, quello spetta solo a te deciderlo. ≫

Allora pensava ancora che quella scelta era già stata presa nel momento stesso in cui aveva incontrato Kacchan, la prima volta. Nel guardare l'uomo che gli sedeva di fronte, non aveva idea che quel momento doveva ancora venire.

Aveva nove anni l'autunno in cui sentì quelle parole e come tutti i bambini, credeva di sapere già tutto. In realtà, non sapeva ancora nulla.

 

🦊🦊🦊

 

Nel mentre, la volpe sedeva all'ombra del glicine che si specchiava nel laghetto naturale del giardino in attesa che qualcosa accadesse.

Le orecchie appuntite tese a cogliere ogni rumore interessante e gli occhi rossi fissi davanti a sé. Il giardino soleggiato non offriva più alcun divertimento e il bosco alle sue spalle risuonava di vita animale come sempre, ma nessun canto veniva dalla dimora signorile. La Signora non cantava più. La sentiva spesso singhiozzare dietro le finestre chiuse e a volte, intravedeva la sua alta figura ondeggiare come uno spirito tormentato lungo il corridoio esterno.

Le vesti colorate avevano lasciato il posto a semplici abiti di seta bianca o nera, i lunghi capelli ricadevano sciolti sulle spalle e facevano sembrare l'ovale del suo viso ancora più pallido. Qualche volta si fermava a guardare i fiori del suo giardino e Katsuki rizzava la schiena per osservarla con maggior attenzione, ma non c'era nessun piccolo piantagrane con lei e nessun sorriso addolciva quel viso meditabondo.

Katsuki.

La voce di sua madre risuonava nella sua mente come un fruscio, un monito sussurrato con amara durezza dal vento che gli sfiorava la pelliccia dorata. Gli chiedeva di voltare le spalle al mondo degli umani e di tornare alla sicurezza dei boschi, alla ricerca di suoi simili.

Non vale la pena avvicinarsi agli umani. Portano solo guai e sofferenze.

Le folte code alle sue spalle ondeggiavano al vento, scandendo il tempo che passava. Gli sembravano trascorsi pochi giorni da quando gli abitanti della casa erano venuti a cercarlo in processione e il piccolo piantagrane si era inginocchiato a recitare una ridicola e ampollosa lettera di scuse. Ma dovevano essere molti di più, perché il clima era cambiato e si era fatto più caldo.

Il tempo per chi vive per secoli scorre in modo diverso e il mite sole della primavera aveva lasciato posto all'afa dell'estate e al frinire delle cicale. Le finestre della dimora padronale erano state aperte e le pesanti vesti invernali stese ad arieggiare prima di essere ritirate dai servi e sostituite dai panni giornalieri.

Vuoi che ti uccidano come hanno fatto con tuo padre? Che ti diano la caccia come un'animale?

Sotto il dolce profumo del glicine in fiore e della terra calda, poteva sentire il sentore acre del fumo e delle fiamme. Le grida soffocate di rabbia e dolore di sua madre mentre correva verso l'incendio che aveva devastato la loro casa. Quando chiudeva gli occhi riusciva ancora a vedere la figura di suo padre che si dibatteva mentre bruciava e il corteo di esseri umani che l'attanagliava con le lance scintillanti nelle fiamme e le spade snudate.

Era stato solo un cucciolo quel giorno, afferrato nelle fauci grondanti saliva di sua madre e trascinato al sicuro prima che le ferite e il dolore uccidessero anche lei. Qualche volta, anche se la luce nei suoi occhi rossi si era spenta e la sua morbida pelliccia era diventata fredda, ricordava ancora l'affetto del suo ultimo bacio e la sua voce calda che gli parlava. Gli umani portano solo distruzione. Non lasciare che ti vedano e se mai riuscissero a farlo, uccidili prima che loro uccidano te e scappa lontano. Non fare l'errore di tuo padre e di tua madre.

Doveva essere grato che fossero venuti a cercarlo con l'incenso e delle ridicole scuse. Una folla di esseri umani che avrebbero potuto braccarlo e tentare di ucciderlo e che invece, avevano scelto di porgli rispetto e temerlo piuttosto che odiarlo e combatterlo, ma Katsuki non si sentiva affatto riconoscente.

Da quando il bambino se n'era andato, trascinato via singhiozzante e frignante, le giornate erano tutte uguali. Il bosco non era cambiato, ma non aveva più la sua solita bellezza e le giornate si erano fuse fra loro fino a perdere significato. Non c'era più alcun canto fatato a fargli battere più forte il cuore né il sorriso stupidamente allegro di quel piccolo piantagrane che lo inseguiva.

Izuku.

Era così che si chiamava il bambino. Era il nome che la Signora della dimora chiamava quando la notte calava e gli incubi l'assalivano. Era il nome che gridava quando supplicava il suo signore di riportare indietro il suo bambino.

Era successo giorni prima o forse erano mesi. Non ne era sicuro. Il tempo per chi vive per secoli scorreva in modo diverso e Katsuki aveva perso la sua cognizione mentre un'altra stagione sfuggiva via.

La neve cadeva lenta sulla sua testa, le orecchie appuntite si drizzarono di scatto e il muso appuntito si sollevò a sondare l'aria gelida. A Katsuki parve di destarsi da un lungo sonno mentre si sollevava a sedere e la neve che gli si era accumulata addosso pioveva al suolo.

La Signora stava ridendo.

La casa che era stata silenziosa per così tanto che quel suono gli sembrò strano e nuovo. Dietro le finestre chiuse e le porte serrate risuonavano passi frenetici e risate, voci che si mescolavano e sovrastavano. Ombre si muovevano nella luce delle lanterne e proiettavano sulla carta di riso due figure che si stringevano l'una all'altra in un abbraccio.

Una era quella della Signora. I lunghi capelli che cadevano come un manto intorno alla sua figura. L'altra era minuta e portava l'odore del sale e di qualcosa di famigliare. Katsuki si ritrovò in piedi prima ancora di capire lucidamente cosa stesse guardando. Le code ondeggianti nell'aria gelida e il cuore che gli batteva rapido in petto.

Il bambino era tornato.

Aspettò fremente che le porte si aprissero e che lui venisse a cercarlo come aveva sempre fatto. Zampettò sulla neve, girando intorno al lago, gli occhi rossi fissi sulle finestre e le porte chiuse. L'avrebbe graffiato quando sarebbe venuto. Una punizione per averlo lasciato attendere così allungo e averli rivolto quelle ridicole scuse. Avrebbe fatto a pezzi le sue vesti pregiate per settimane e morso le sue mani quando avrebbe cercato di afferrargli le code.

La pelliccia dorata sul suo corpo si drizzò di eccitazione mentre attendeva che venisse da lui. Le risate nella casa si assestarono, i servi tornarono a muoversi silenti, la Signora a cantare e a ridere insieme a suo figlio. La sua voce squillante filtrava attraverso le finestre chiuse e gli faceva tremare le orecchie.

A Katsuki pareva di non riuscire a respirare bene per l'impazienza. Ma la porta non si aprì. La luce mutò sotto i suoi occhi e Katsuki tornò a sedersi in attesa, le code che ondeggiavano impazienti e gli occhi fissi su una porta che non si aprì mai.

E quando finalmente lo fece, non fu il bambino a comparire ma un servo. Accese le lanterne per la notte e scomparve senza dare segno di averlo notato, là in mezzo alle ombre, come se fosse tornato ad essere uno spirito invisibile agli occhi umani.

Come se non esistesse.

Come se fosse di nuovo solo in un mondo a cui non apparteneva del tutto.

 

Continua in "Sotto il candore della neve" ...

 

 

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Capitolo 6
*** Sotto il candore della neve, un sogno che si confonde con la realtà. ***


Sotto il candore della neve, un sogno che si confonde con la realtà.

Sotto il candore della neve, unsogno che si confonde con la realtà.

Il bambino che aveva lasciato quella casa, a Izuku sembrava un ricordo fumoso. Faticava a riconoscersi in lui, in quella creatura serena e ingenua come la primavera, distante come i suoi primi fiori in sboccio nel mezzo della neve. Già nel tornare a casa quell'inverno, era cambiato tanto che sua madre a stento l'aveva riconosciuto nel bambino smilzo e abbronzato che gli si era presentato davanti.

Era mutato qualcosa in lui. Nel profondo della sua anima, aveva smesso di nascondersi e si era aperto al mondo circostante. Non gli importava se le persone lo fissavano per i suoi riccioli ribelli, per la loro sfumatura verde così insolita. Anche quando suo padre lo guardò dall'alto della sua statura con un'espressione irritata sul viso severo, Izuku pensò che non avrebbe tinto quei capelli mai più.

La determinazione dei bambini, in fondo, era una cosa terribile, ora se ne rendeva conto. Vivevano di assolutismi. "Mai più" "Per sempre" sembrano tempi infiniti. Parole scolpite nella roccia che non sarebbero mai mutate. Dogmi al cui il mondo intero doveva piegarsi. Non aveva ancora compreso quanto mutevole fosse il tempo né che la forza delle parole risiedeva nelle azioni e nella determinazione con cui le si trasformavano in realtà. Non aveva ancora accettato che tutto in questo mondo scorre e muta senza sosta.

Izuku fermò il pennino sulla carta e rilesse pensieroso i kaji tracciati con cura. Mancava qualcosa. Mancava sempre qualcosa. Per quanto si sforzasse di trovare le parole giuste, di tracciare le linee che compensassero con il disegno ciò che non poteva esprimere in altro modo, gli sembrava sempre di rincorrere un fantasma che non poteva afferrare con le mani e fissare su carta.

Nel mordersi il labbro inferiore, avvertì il movimento alle sue spalle e un lieve sorriso gli curvò la bocca. Mancava lui. I sentimenti di Kacchan sulla carta o forse, il suo tocco. Mancava quel qualcosa che li rendeva entrambi tangibili e reali, come il fruscio delle sue vesti sulla pelle o il battito calmo del suo cuore contro le scapole.

Ma era un vuoto che nessuna parola al mondo poteva colmare.

≪ Ti ricordi quella volta che pensavi ti avessi dimenticato? ≫ mormorò, lasciando ricadere la testa indietro, sulla spalla muscolosa del ragazzo che l'abbracciava. Kacchan si voltò a guardarlo nella luce del sole mattutino che filtrava dai rami di un'alta quercia. Gli occhi rossi, ombreggiati dalle corte ciglia bionde, sembravano quasi ambrati in quella luce, un fuoco caldo quanto i raggi del sole che gli sfioravano il volto. ≪ Io? Non credo che mi sia mai importato qualcosa di cosa pensassi tu. ≫

Le sue labbra rosee si arricciarono in una smorfia, lasciando intravedere un canino appuntito. C'era una nota di orgoglio ferito in quella voce graffiante che strappò un sorriso a Izuku. ≪ Io credo di sì. Eri così arrabbiato... ≫

≪ Devi averlo sognato. ≫ replicò lui, soffiandogli in faccia e strappando dal fondo del suo petto una risata leggera. Il petto di Kacchan contro la sua schiena era caldo, le sue braccia muscolose gli avvolgevano il busto e dita leggere tormentavano i risvolti della sua veste mentre le dita di Izuku correvano sulla carta, tracciando linee fumose e ombre, impregnandosi di parole tracciate con cura.

Avvolto in quell'abbraccio si sentiva al sicuro. Amato e protetto. I raggi del sole gli scaldavano la pelle attraverso la seta del kimono e l'aria profumava di muschio e terra umida. Intorno a loro, gli uccelli cinguettavano e le lepri si muovevano fra felci fruscianti e cespugli di more selvatiche.

≪ Non posso credere che mi hai aspettato per mesi, quella volta. ≫ sussurrò, chiudendo gli occhi e respirando l'odore selvatico della pelle di lui. Quel misto di terra umida e vegetazione che gli si impigliava fra i capelli biondi e che riusciva quasi a vedere dietro le palpebre serrate. ≪ Mi sembra un sogno. ≫

Kacchan era silenzioso, la sua presenza percepibile solo dal corpo caldo e forte che l'avvolgeva in un pigro abbraccio. Quando parlò lo fece in un sussurro rauco che gli sfiorò la guancia con labbra fresche. ≪ Il tempo, piccolo piantagrane, scorre in modo diverso per me che vivrò per secoli. ≫ gli disse, avvolgendo le morbide code voluminose intorno alle sue gambe piegate. ≪ Quello che per te è un anno intero per me è poco più di un'istante... ≫

Ciocche bionde di capelli gli solleticarono la pelle, mescolandosi ai suoi riccioli scuri. ≪ Eppure, giurerei di averti aspettato per tutta la mia vita senza saperlo. ≫

Izuku quasi percepì il peso delle sue parole bisbigliate come una lama conficcata nel suo cuore. Le sue parole facevano male delle volte. Erano impregnate di quella sincerità dolorosa che sapeva di amarezza, della consapevolezza che mentre lui sarebbe invecchiato e appassito come un fiore, Kacchan avrebbe continuato a vivere ancora per molto tempo. Un giorno, Izuku sarebbe stato nulla più di un ricordo nella mente della kitsune. Ma non era la sua morte a spaventarlo e ferirlo, quanto la consapevolezza della solitudine in cui Katsuki avrebbe vissuto dopo.

Senza di lui, cosa ne sarebbe stato della sua volpe dagli occhi di fuoco che rideva dei suoi tentativi di inseguirla e l'aspettava ai margini di una foresta, perché lo raggiungesse. Cosa ne sarebbe stato del giovane uomo che gli sorrideva con strafottenza e che dava vita a mondi di luci e colori solo per lui.

Nell'aprire gli occhi, Izuku lo vide con la testa china e lo sguardo perso sulla carta. Le dita ruvide sfiorarono le linee scure dei griffi e delle parole, ricalcandole con cura e leggerezza. ≪ Che cosa stai facendo? ≫ gli domandò con una nota di stupore nella voce rauca. ≪ Cos'è questo? ≫

Le labbra di Izuku si tesero in un sorriso triste, gli occhi che indugiavano sui tratti mascolini del viso di lui, ornati da una lieve peluria dorata. ≪ Scrivo. ≫ sussurrò, sfiorandogli la mascella con la punta delle dita macchiate di china. ≪ La nostra storia. Tutta la nostra storia. ≫

Lo sguardo che gli rivolse Kacchan era indecifrabile. Le bionde ciglia gli ombreggiavano le iridi scalate, gettando un'ombra sui suoi zigomi. Izuku si chiese come si potesse essere così belli e allo stesso tempo dare l'impressione di essere totalmente fuori dal mondo. Un sogno destinato a perdersi nel tempo fino a sbiadire.

≪ È il mio dono per te. ≫ sussurrò con dolcezza, accarezzandogli il volto. Percepì la lieve tensione che gli montava dentro a ogni sua parola, lo sgranarsi dei suoi occhi brucianti fissi nei suoi e si sporse per cercare di contenerla, poggiando la fronte contro la sua nuca.

≪ Così anche quando non potrò più starti accanto con il corpo e dirti quanto tu sia speciale per me, continuerò ad esistere in una parte della tua mente. ≫

Il corpo della kitsune si tese contro il suo, i muscoli gonfi di preoccupazione e i tratti del suo volto tirati in un'espressione indecifrabile. Izuku lo guardò con un lieve sorriso a curvare le labbra e il cuore che batteva rapido nel petto. ≪ Vivrò per sempre nel tuo cuore e nei tuoi ricordi. Sarò al tuo fianco a ricordarti chi sei ogni volta che lo dimenticherai. ≫

Le dita gli accarezzarono il volto per scendere a sfiorargli la gola, dove il suo sangue pulsava al ritmo del suo stesso cuore e raggiunsero il petto ampio, la struttura dei muscoli celata fra le pieghe del suo chimono rosso ruggine. ≪ Anche quando sarò diventato polvere... la mia anima resterà al tuo fianco fino al giorno in cui ci rincontreremmo. ≫

Katsuki trattenne il fiato in silenzio, lo sguardo fisso sulla pagina decorata di miniature e dense di parole. Le studiò allungo, cogliendo la curva sinuosa delle sue code che le sfioravano con la bionda peluria e il tratto leggero della mano di Izuku stesso.

Ogni disegno, ogni parola, era stato tracciato con cura e portava in sé qualcosa del suo autore. Izuku avrebbe voluto poter legare all'inchiostro ogni tratto della propria personalità, trasportarvi la sua stessa voce così che un giorno, nel rileggerla, Kacchan si sarebbe ricordato di lui così com'era in quel momento.

Avrebbe sentito che era esistito e che non era solo un ricordo lontano nel tempo o un sogno sbiadito nella memoria. E anche se Izuku fosse stato polvere dispersa nella terra, la sua voce e la sua essenza avrebbero continuato a parlargli e mitigare la sua solitudine.

Le dita ruvide di Kacchan si fermarono sulle ultime parole con un tremito, i suoi occhi in quella luce avevano dei riflessi ambrati. Si sollevarono a incrociare quelli di lui con una serietà vecchia di secoli. ≪ Allora scrivila bene, questa storia. Ogni cosa. Scrivila in modo che un giorno leggendola senta ancora la tua voce. ≫

Izuku si trovò a sorridere come un bambino. ≪ È quello che sto facendo. ≫ sussurrò, avvicinando il viso a quello di lui senza distoglierne lo sguardo. Le labbra umide sfiorarono quelle di Katsuki che si schiusero a catturarlo in un bacio duro, quasi volesse trattenerlo lì con sé per il resto della sua vita. E Izuku sorrise contro la sua bocca calda che sapeva di mirtilli e more, di una promessa che forse non sarebbero riusciti a mantenere, ma per cui erano disposti a lottare.
 

🦊🦊🦊


Era lui per primo a non riconoscersi riflesso negli occhi di sua madre. Non si sentiva più lo stesso bambino che aveva lasciato la sua casa in lacrime per abitare in un luogo sconosciuto. Eppure, si sforzò di sorriderle e di non lasciar trasparire quel nocciolo di rabbia che l'essere mandato via gli aveva lasciato.

Era pieno dicembre. La neve cadeva lenta da un cielo plumbeo e l'aria tagliava come una lama a ogni respiro. Suo nonno l'aveva salutato dall'uscio della porta, con una pesante veste di lana grigia addosso e qualcosa di strano nello sguardo. Non dimenticare chi sei quando te ne sarai andato. gli aveva detto, stringendogli la mano e Izuku aveva pensato che fosse uno strano modo di salutarlo. Anche quando ti sembrerà che sia l'unico modo per sopravvivere, non dimenticare quello in cui credi. La vita ti strappa via le illusioni e i sogni, se glielo permetti. Ovunque andrai d'ora in avanti sii sempre fedele a te stesso.

Suo nonno aveva il viso segnato dalla stanchezza come se non avesse chiuso occhio per tutta la notte. La mano ruvida e calda che stringeva quella piccola di Izuku che forse non era più morbida come una volta, ma rimaneva più delicata della sua. Ci proverò. promise, il volto sollevato per guardare negli occhi il vecchio.

Nemmeno lui aveva dormito bene quella notte, ma per una volta non era stata né la nostalgia né il rumore del mare a tenere lontano il sonno. Gli sarebbe mancata quella vecchia casa e quello strano vecchio. Forse, gli sarebbe perfino mancata la persona che era lontano dalla dimora principale e dai suoi genitori.

Tornerò a trovarti. gli aveva promesso Izuku e in quel momento, si era sorpreso di quanto desiderasse farlo. La prima volta che aveva varcato quella porta voleva solo tornare a casa, ora un po' di quel mare burrascoso gli era entrato dentro e lasciarlo era come abbandonare una parte di sé.

Porterò la mamma con me.

Un sorriso triste curvò le labbra di suo nonno, l'ombra dell'amara consapevolezza che non si sarebbero più incontranti. La figlia che aveva amato era destinata a vivere solo nei suoi ricordi e nei segni del tempo, Izuku forse sarebbe potuto tornare da lui, ma sua madre mai. Sarebbe tornata nella sua terra natia solo quando suo nonno sarebbe già andato via da tempo.

È tutto quello che posso darti: ≫ gli aveva detto con voce graffiante, lasciandogli la mano. ≪ qualche vecchia parola da una vecchia persona. Forse a te serviranno più di quanto son servite a tua madre.

Era partito con il cuore pesante d'angoscia, cullando dentro di sé il desiderio di rimanere e quello di andare. Gli mancava la sua casa, ma se la decisione fosse spettata a lui, forse sarebbe rimasto dov'era. A prendersi cura di quello strano vecchio che non aveva nessun'altro al mondo. L'unica persona che sembrasse disposto a capirlo e ascoltarlo, che l'aveva trattato come un adulto anche se era solo un bambino.

Arrivò a casa che era mezzogiorno, dopo un lungo e scomodo viaggio. Un cielo plumbeo incombeva su di lui e sulla grande dimora dai tetti spioventi. Un vento freddo tagliava le strade, sollevando cristalli di neve che formavano una nebbia luccicante nella luce del giorno.

La prima cosa che lo colpì, scendendo dalla carrozza, non fu né la servitù disposta in fila ad attenderlo né la neve che si era accumulata sulle grondaie e sporcava il tetto della sua casa. Fu la voce del vento che scendeva dalle montagne. La voce dei suoi dèi che gli dava il bentornato, accogliendolo a casa, con lo stormire delle foglie e l'ululato dei venti che si incanalavano nelle strette strade della città.

Izuku restò fermo ad ascoltarla per un tempo così lungo che la neve si accumulò sulle sue spalle e sulla nuca, scivolandogli sulla schiena in un brivido gelido. "Sono a casa". Il significato di quelle parole lo colpì nel profondo, causandogli un dolore sordo che era felicità e sofferenza allo stesso tempo.

Riconobbe il legno di quercia lucida che formava la porta d'ingresso, gli infissi coperti di brina delle finestre e i volti della servitù che chinavano il capo al suo passaggio. Li saluto uno a uno, chiamandoli per nome. Ne toccò le mani ruvide e fredde, le maniche di lana pesante e il legno levigato conficcato nella porta d'ingresso.

Si fermò a chiedere notizie della loro salute, dei parenti lontani, delle faccende di casa e loro gli rivolsero sorrisi incerti e sguardi pieni di affetto. Gli risposero con voci sommesse, quasi temessero di essere uditi da qualcuno e puniti per aver osato parlargli liberamente. A volte, suo padre si comportava come se quelle persone non esistessero. Erano fantasmi che si muovevano nei corridoi della loro casa pronti ad esaudire ogni loro richiesta senza ricevere mai nemmeno uno sguardo di ringraziamento.

Pochi di loro godevano di abbastanza considerazione da essere chiamati per nome, ma questa era l'unica concessione che gli veniva fatta. Non erano degni di sedere al tavolo con loro o di essere guardati. Nessuno si chiedeva cosa si fossero lasciati alle spalle il giorno che avevano preso servizio nella dimora padronale.

Pochi passi portarono Izuku dall'aria aperta e dallo sportello della carrozza al portone di casa, dove i suoi genitori attendevano per dargli il benvenuto, lontano dai venti gelidi dell'inverno e dalla neve che bagnava i calzini di lana nelle scarpe.

≪ Sono a casa. ≫ annunciò, varcando la soglia insieme a una follata di vento che gli spinse i riccioli ribelli sul volto. Sua madre era vestita a festa per l'occasione, i lunghi capelli neri ornati da fermagli a forma di fiori di ciliegio gli liberavano il volto roseo. I suoi occhi verdi luccicavano di lacrime e le labbra si schiusero sorprese nello scorgere le ciocche scure dei suoi riccioli ricadere lunghe e ribelli intorno al viso abbronzato. La tinta nera con cui le aveva sempre mascherate si era consumata fino a lasciargli una chioma riccia priva di filtri.

La gente del mare l'aveva trovato interessante per qualche tempo, prima di perdere interesse per la cosa e dedicarsi ad altri scandali e curiosità. Era stato strano per Izuku non doversi più nascondere e fu ancora più strano entrare nell'androne della sua casa e rendersi conto che qualcosa in lui era cambiato tanto da farlo sentire fuori posto fra quelle mura.

C'era ancora l'odore di fiori e cera d'api che amava sulle pareti. Lo stesso arredo di sempre e gli stessi volti che conosceva e amava, ma qualcosa era cambiato in modo tanto sottile da non poter essere afferrato appieno. Sua madre nel vederlo alto e magrolino, un giunco cresciuto di colpo, si portò le mani al volto e rise di gioia. ≪ Sei cresciuto così tanto che quasi non ti riconoscevo. L'aria di mare ti ha giovato, tesoro mio. ≫

Lo sguardo di suo padre, in piedi al fianco della moglie, era spaventoso. Lo spinse a incassare la testa fra le spalle e ritrarsi. Tutta la sicurezza che aveva acquisito nei mesi d'assenza, si sciolse come neve al sole e dovette lottare contro sé stesso per ritrovarla.

≪ Izuku. ≫ lo chiamò sua madre, avanzando piano nell'atrio sotto il mormorio confuso della servitù e i loro sguardi spauriti. Lo strinse con tanta forza da levargli il fiato, nascondendo il viso contro la sua spalla ossuta e soffocando i singhiozzi che le risalivano dal petto. ≪ Ti ho aspettato così tanto... mi sei mancato da morire, bambino mio. ≫

Izuku aveva sentito il calore di quell'abbraccio fin dentro l'anima, ma non si era aspettato lo sguardo che lei gli aveva rivolto. Gli occhi verdi sgranati e le labbra rosee umide di lacrime socchiuse per lo stupore. Aveva sorriso con dolcezza, cercando di rassicurarla. Aveva lasciato andare un bambino immaturo e piagnucolone e lui era tornato indurito e meno infante. ≪ Sono tornato da te... con i saluti del nonno. ≫

≪ C'è solo da sperare che quel vecchio non ti abbia riempito la testa con le sue fantasie. ≫

La voce di suo padre era severa, gli occhi scuri lo scrutavano pensierosi. Izuku avvertiva la forza del suo sguardo sulla pelle e non ebbe il coraggio di ricambiarlo. Quando si avvicinò a lui e tese la grande mano per toccargli la spalla, un brivido gli corse lungo la spina dorsale. ≪ Bentornato a casa, bambino mio. ≫ gli disse, la voce profonda che tradiva un tremito di emozione. ≪ Bentornato al posto che ti spetta. ≫

≪ Grazie, padre. ≫ sussurrò, sollevando un poco il viso. Nel guardarlo da sotto le lunghe ciglia scure, Izuku provò un fremito di speranza e timore. Suo padre sembrava una figura imponente, le spalle larghe e muscolose sotto la veste severa, il viso che non lasciava intravedere alcuna emozione. La sua mano era leggera sulla sua spalla e salì a sfiorargli i riccioli accanto l'orecchio. ≪ Bisognerà sistemare questi capelli. Non riesco a credere che hai trascurato tanto il tuo aspetto. ≫

≪ È solo un bambino, mio signore. Non ne ha colpa. ≫ mormorò sua madre, raccogliendo le gambe sotto i fianchi morbidi e raddrizzando la schiena. I lunghi capelli scuri formavano delle onde sulla veste pregiata. ≪ Lasciate che mi occupi io di tutto. ≫

≪ Era una critica a tuo padre più che a lui. ≫ replicò, lanciando un'occhiata oltre la testa del figlio alla donna che lo guardava da sotto le lunghe ciglia. ≪ Anche se non è più così infante da non poterci pensare da solo. ≫

Izuku non rispose e mentre loro discutevano di feste, bagagli e l'interrogavano sul suo viaggio, provò a svicolare verso il giardino. La mano di sua madre strinse la sua e lo trattenne con ferma gentilezza. ≪ Izuku, mio tesoro, non ti vedo da così tanto tempo... non vuoi stare un po' con la tua mamma e raccontarmi della mia prima casa? ≫ mormorò suadente, conducendolo per corridoi che profumavano di cera d'api e aprendo porte ben oliate. ≪ Mio padre è stato gentile con te, mio tesoro? Ti ha parlato con durezza? Non risentirtene, è un uomo che può sembrare duro come ferro, ma è gentile come le onde del mare quando lo desidera. ≫

≪ Mi ha raccontato di te, dei nostri avi... ≫ provò a dirgli e a quelle parole sua madre si irrigidì. Una strana risata le fiorì alle labbra lenta e forzata, risuonando nella stanza che profumava di cera d'api. ≪ Sciocchezze. Sono solo sciocchezze. Non ti ho insegnato a non credere alle favole? ≫

≪ Gli yokai non sono favole e nemmeno la kitsune. ≫ replicò lui, la voce soffocata che conteneva una nota di rimprovero. La fronte si corrugò pensierosa nell'osservare il viso di sua madre. C'era un'ombra nel suo sguardo che non aveva mai notato, la faceva sembrare distante e malinconica come il padre che aveva lasciato. ≪ Tu l'hai vista. Sapevi cosa stavi guardando e lo so anche io... perché non vuoi più guardarla? ≫

Nel vederla mordersi il labbro carnoso, Izuku non riuscì a far combaciare l'idea che si era fatto di lei da ragazza con la donna elegante che aveva davanti. Sembrava giovane, ancora spensierata come lo era sempre, ma ora quell'indole appariva più una maschera ben calcata che la verità.

La mano che stringeva la sua era calda. Avrebbe voluto porle mille domande, ma la porta alle loro spalle si riaprì con un fruscio. ≪ Izuku. ≫ lo chiamò suo padre, comparendo sull'uscio con un servo alle spalle che reggeva una veste nuova di seta. Izuku lo guardò incedere nella stanza con il solito passo sicuro e capì che non sarebbe più riuscito a stare solo un attimo finché fosse rimasto in quella casa.

≪ Un dono per te. Per festeggiare il tuo ritorno. ≫ gli disse, suo padre, con un sorriso. Un gesto della mano bastò al servo alle sue spalle per farsi avanti e dispiegare una veste grigio perla ornata di disegni di foreste e monti avvolti dalle ombre. Il tessuto leggero scivolò fra le dita di Izuku come acqua. Suo padre infilò una mano nella propria veste e sorrise compiaciuto, guardandolo dall'alto con gli occhi scuri. ≪ Vorrei che l'indossassi alla festa che terremmo domani. ≫

Una festa.

Izuku sentì un velo di tristezza scivolargli dentro alla prospettiva di trovarsi la casa invasa da uomini chiassosi con le loro mogli e i figli più grandi al seguito, intenti a ingozzarsi con il loro cibo e a fare strage dei loro liquori. Di genere, i bambini venivano rilegati in una stanza a poca distanza dove potevano mangiare e giocare sotto lo sguardo attento delle balie. Ma lui non piaceva a nessuno di loro e l'idea di dover sopportare le loro attenzioni concesse di malavoglia lo disgustava.

≪ Credo che sia arrivato il momento che tu sieda al mio fianco ≫ La voce pacata di suo padre gli fece alzare di scatto il volto, il cuore che batteva rapido in petto. ≪ Devi conoscere i tuoi futuri alleati negli affari e stringere con loro legami di fiducia. Mi aspetto che li osserverai con attenzione e presterai orecchio a quello che ti dirò. ≫

Izuku avvertì la nota d'ammonizione nel fondo delle parole di suo padre come una minaccia velata. Se non si fosse mostrato degno, l'avrebbe rispedito nella stanza dei bambini o in esilio? L'aveva già fatto una volta. Cosa gli impediva di farlo ancora e ancora, finché Izuku non avesse avuto vita?

Il resto della giornata gli sfuggì dalle mani come acqua fra le dita, consumata dai suoi genitori che reclamavano i suoi racconti e la sua presenza, dai servi che si affaccendavano per la casa e gli rivolgevano sorrisi cauti quando lui li ringraziava con calore. Erano lieti del suo ritorno, quasi sollevati di vederlo. Sua madre non smetteva più di parlare e ridere, di alternare chiacchiere allegre a pezzi di canzoni che gli canticchiava sottovoce mentre gli accarezzava le guance piene.

Solo quando riuscì a sgattaiolare in cucina per rubare delle tartine al miele alla cuoca e incrociò Miruku, capì il perché. La ragazza aveva i capelli raccolti con un laccio e gli occhi vispi scintillarono nel vederlo. Si infilò nella dispensa con lui senza farsi vedere dalla cuoca e si portò un dito alle labbra.

≪ Grazie agli dèi siete tornato, signorino. ≫ gli sussurrò, tirando fuori dall'ampia tasca del grembiule alcuna tartine imbevute di miele che gli porse senza esitare. Izuku le sorrise nel prenderle dalle sue mani e se le mise tutte in bocca senza pensare. ≪ Perché? ≫ domandò con la bocca piena. ≪ Ti snfo mafato? ≫

Un sorriso divertito curvò la bocca di Miruku per un'istante prima di sciogliersi. ≪ Avete perduto le buone maniere là dove siete stato? Parola mia, se non vi ho mai visto più in salute e selvatico di ora. ≫

Nella luce fioca che filtrava dalla finestrella in alto, Izuku riusciva a vedere solo in parte i contorni del suo volto pieno. Eppure, c'era una certa tensione agli angoli della sua bocca che lo spinse a sollevare la testa e ingoiare il cibo che aveva in bocca, prima di chiederle. ≪ Miruku che cos'hanno tutti? Perché mi guardano come se fosse un miracolo? ≫

L'odore delle verdure bollite strisciava fin sotto la porta e impregnava l'aria nello sgabuzzino. Si mescolava al tanfo del formaggio stagionato e alle alghe lasciate a marinare in casseruola. Miruku esitava a guardarlo, come se ci fosse qualcosa che la turbasse ma non volesse dargli voce.

≪ Dimmelo. ≫ insistette Izuku, la voce soffocata venne quasi coperta dal trambusto della cucina alle loro spalle. Miruku si strinse nelle spalle, alcune ciocche le sfuggivano dall'acconciatura e le sfioravano le guance rosee. ≪ La Signora aveva nostalgia di voi, ecco tutto. Non è stata molto felice da quando ve ne siete andato e abbiamo temuto che non si sarebbe più alzata dal letto. ≫

Izuku trattenne il fiato, il sapore di miele sulla lingua gli parve farsi acido. Solo verso sera, l'armonia lasciò il posto alla tensione. Lo sguardo di suo padre si fece pensieroso, una ruga di irritazione gli segnava le sopracciglia. ≪ Quei capelli... per quanto ancora glieli lascerai così, moglie? ≫

La mano di sua madre che gli stava accarezzando la guancia si fermò con un tremito. L'ombra di un'esitazione le sfiorò gli occhi verdi e svanì, sostituita da un sorriso mite. ≪ Provvederò subito, mio caro. ≫ Ma Izuku non si alzò con lei, ormai aveva deciso. ≪ Non li voglio più tingere. Non mi voglio più nascondere. Perché dovrei? Perché mi dovrebbe importare? ≫

Forse fu la nota lamentosa nella sua voce o forse, fu il solo accenno a una ribellione a far inasprire l'umore di suo padre, spingendolo a trattarlo con durezza. Izuku odiava quando alzava la voce. Aveva paura di lui, ma quella decisione gli risuonava nella mente con l'assolutismo dei bambini.

Mai più.

Una promessa che riuscì a mantenere per meno di un'ora. Alla fine, andò a letto con gli occhi gonfi di lacrime di frustrazione, mano nella mano con sua madre che cantò per calmare i suoi singhiozzi rotti.

≪ Non è più venuta. ≫ gli disse in un sussurro, accarezzandogli la fronte con la mano calda e morbida. Izuku la guardò con gli occhi verdi pieni di ombre, sdraiato nel suo caldo futon tirò sul mento il piumone. La luce della lanterna disegnava spesse ombre su una metà del volto di sua madre, rendendo impossibile capire la sua espressione. ≪ La kitsune. Se n'è andata. ≫ sussurrò piano, chinandosi a baciarlo. ≪ Ora sei al sicuro, mio tesoro. ≫

Izuku non disse nulla. Aveva una gran voglia di piangere e urlare, invece stette in silenzio e chiuse gli occhi, trattenendo le lacrime che gli mozzavano il respiro nel petto. Alla fine, era un bene che non fosse riuscito a liberarsi dei genitori e a correre fuori. Sarebbe stato un dolore terribile cercarla invano e non trovarla.

≪ Mi dispiace. ≫ sussurrò sua madre e di cosa si stesse dispiacendo, Izuku non riusciva a immaginarlo. Tenne gli occhi serrati finché il sonno non giunse e lo portò via. L'ultima cosa che sentì fu il fruscio delle vesti di sua madre che abbandonava la stanza e il mormorio triste della sua voce che risuonava lieve nella notte.
 

🦊🦊🦊


All'inizio, pensò che fosse un sogno.

Sdraiato sotto strati di coperte di lana calda, intontito dal sonno, avvertì un lieve grattare alla finestra come se i rami più sottili della quercia avessero preso a sbattere contro il vetro. Il silenzio nella casa era assordante. Una luce dorata filtrava nella stanza e si rifletteva sul soffitto, una fiamma luminescente che bruciava senza combustibile, proiettando la sua luce all'interno.

Izuku fissò la strana luminescenza che si riversava sul parquet e i mobili senza capire cosa fosse. Si sollevò sui gomiti con gli occhi socchiusi e velati di sogni. C'era qualcosa fuori dalla sua finestra che si agitava e cercava di attrarre la sua attenzione. Un grattare soffuso che spinse la sua mente intontita a creare l'immagine di artigli sottili che raschiavano il vetro per richiamarlo.

La volpe.

Il pensiero lo colpì con tanta violenza da cancellare il velo di sonno che l'attanagliava. Si alzò di scatto, incespicando nelle coperte fuori dal letto caldo e il pavimento gelido gli ferì le piante dei piedi. Un brivido gli corse sulla pelle, risalendo dalle gambe fino ad esplodere sulla nuca, scorrendo sotto la veste di lana leggera che indossava.

Dietro i vetri della finestra, una fiamma danzava nella notte. Il silenzio era assordante e avvolgeva ogni cosa con il suo manto. L'aria fredda gli premette sulla pelle nell'aprire la finestra e filtrò attraverso la veste da notte. Oltre il telaio, il manto della notte si stendeva ornato di fuochi danzanti che baluginavano sulla neve candida, dipingendola di calde sfumature dorate.

Le foglie degli alberi sussultavano nell'aria gelida, sfiorate da un caldo bagliore. La neve tegole emanava un vapore gelido che feriva a ogni respiro. Izuku avvertì le labbra schiudersi e la meraviglia fiorì nel suo petto come un bocciolo. Non aveva mai visto nulla del genere prima. Una fiamma d'oro e rubino danzava nelle ombre, spandendo un alone di luce sulle tegole spioventi del tetto, oltre la sua finestra.

Il silenzio nella dimora risuonava del respiro sommesso dei suoi abitanti, le fiamme bruciavano in silenzio senza alcun sostegno o combustibile ad alimentarle e quando allungò la mano per toccarla, quella sfavillò viva nella notte e si esaurì in mille scintille ramate che si persero nelle ombre.

Una risata estasiata sfuggì dalle labbra di Izuku, spezzando il silenzio. La sua mano tiepida non bruciava là dove aveva sfiorato le fiamme, come se la luce che emanava fosse di pura aria fredda e non avesse calore. Gli occhi verdi scintillarono nello scorgere lo sfarfallio di un'altra fiammella sul ciglio del tetto, ammiccante nella notte sotto un cielo punteggiato di stelle.

Era il sogno più strano che avesse mai fatto. E di un sogno doveva per forza trattarsi. La notte divampava di quelle luci calde che non bruciavano, come se qualcuno avesse gettato su di essa una magia. La neve gli ferì i piedi, intorpidendoli. L'aria fredda filtrava attraverso la veste, insinuandosi dentro il suo corpo. Eppure, Izuku non esitò nell'arrampicarsi fuori dalla finestra e camminare sulle tegole taglienti, ondeggiando sotto la luce delle stelle.

La fiamma sul bordo del tetto, bruciò più intensamente prima di esaurirsi in una pioggia di scintille ramate che gli morse la pelle, audace e crudele. Nell'avvertire il dolore del fuoco sui palmi, per la prima volta, pensò che potesse non essere un sogno. L'aria fredda che gli sferzava il corpo sembrava fin troppo reale e gli fece scorrere un brivido lungo la spina dorsale. I piedi affondati nella neve dolevano, le dite rese insensibili dal freddo pulsavano.

Un'altra luce si accese sotto di lui, bruciando sulla neve che copriva il giardino. Era una fiamma piccola e guizzante che sembrava chiamarlo silenziosa, riflettendosi nella neve. C'era qualcosa di beffardo nella sua danza che gli ricordava l'ondeggiare pigro delle code della sua volpe prima che lei balzasse via. Un richiamo giocoso a cui non sapeva resistere.

Izuku trattenne il fiato e rabbrividì nell'aria fredda. Si guardò indietro, incerto. La finestra della sua stanza era spalancata, ma le altre erano buie e un velo di condensa le copriva. Sarebbe dovuto tornare indietro, ora che ne aveva ancora la possibilità, ma qualcosa glielo impediva.

La fiamma attendeva placida che lui decidesse, continuò a bruciare mentre esitava sul ciglio del tetto, avvolto dalle ombre. Era ancora lì quando Izuku si spostò di lato e protese le mani intorpidite dal gelo per afferrare il ramo di una quercia secolare che si protendeva sul tetto. La maggior parte delle sue foglie era bruciata dal freddo, alcune si erano coperte di ghiaccio e stallatiti pendevano dai rami più sottili, scintillando alla luce soffusa della luna.

L'aria era immobile. Izuku si mosse goffo sui rami, chiudendo le dita dei piedi sulla corteccia ruvida e scheggiata per non cadere. Gli occhi verdi corsero di tanto in tanto al sentiero di fuoco danzante che si stendeva nel giardino, sulla neve candida, sparendo all'interno della foresta. Era troppo strano per essere un sogno. La sensazione del legno sotto le piante dei piedi e sulle mani troppo realistica per poter essere frutto della sua immaginazione.

"È la cosa più bella e folle che abbia mai visto" pensò scivolando giù dall'alto tronco e poggiando i piedi nudi sulla neve. Il gelo gli morse la pelle, facendolo rabbrividire. Il silenzio nel giardino era diverso da quello che si respirava all'interno della dimora, era leggero e vibrante, rotto dal verso degli uccelli notturni a caccia e dal fruscio degli animali in movimento sotto i cespugli e gli alberi. Le acque del laghetto gorgogliavano all'ombra dei rami spogli del glicine, riflettendo il bagliore delle stelle.

La fiamma che provò a toccare sfavillò come oro e rubino nelle ombre, davanti i suoi occhi spalancati e spanse un bagliore caldo sulla pelle chiara del polso, prima di svanire. Avrebbe dovuto avere paura. Tutto ciò non era normale. Ma anche se il suo cuore batteva rapido nel petto, a tempo con il respiro che gli sfuggiva dalle labbra fredde, c'era una sottile euforia nella vista di quel sentiero di fuoco che si dispiegava nella notte.

Era una magia segreta di cui lui sembrava l'unico beneficiario. Nel silenzio della notte, i suoi passi erano un fruscio leggero e il raspare del suo respiro risuonava come un grido nel giardino. Ogni volta che tendeva la mano per toccare i fuochi danzanti nell'aria fredda e le sue dita avvertivano il gelo che emanava dalle fiamme, quelle sfavillavano e si spegnevano solo per ricomparire a qualche passo di distanza, beffarde e irrisorie. L'invitarono ammiccanti a prenderle e Izuku saltellò loro incontro, ridendo, scattando rapido per cercare di afferrarle e riuscendo solo a sfiorarle con le dita arrossate dal gelo.

Rami scheletrici si protendevano sopra la sua testa, ornati di cristalli di ghiaccio che rilucevano dei riflessi delle fiamme. La neve era un manto soffice su cui muoversi, celava rocce acuminate e rami spinosi che gli tagliavano la carne, scorticandogli i piedi. Il dolore era ghermito e ammansito dal gelo che gli addormentava la carne, rendendolo insensibile.

Pensò di tornare indietro al caldo tepore del suo letto, ma gli bastò un'occhiata alla vecchia dimora avvolta dalle ombre per perdere interesse. Le fiammelle che danzavano nell'aria gelida erano molto più strane e affascinanti di qualsiasi altra cosa avesse mai visto. Una magia fatta di luce e tepore che l'invitava a seguirle, senza però pretendere nulla.

Nel momento in cui varcò il confine che separava la sua casa dalla foresta, Izuku fu certo di essere entrato in un territorio selvaggio che apparteneva agli dèi più che agli uomini. Non si guardò mai indietro. Né si fermò mai a pensare a ciò che stava lasciandosi alle spalle. A ogni passo la casa padronale e il giardino svanivano dietro i tronchi degli alberi e i cespugli senza che Izuku gli desse peso. Le fiammelle dorate rapirono tutta la sua attenzione e si dispiegarono sempre più affondo nel bosco, attirandolo più lontano di quanto non avesse mai osato spingersi da solo.

Una dolce melodia, cristallina come il tintinnio del ghiaccio fra le foglie, si fece largo nella foresta e Izuku si fermò ad ascoltarla stupito. Aveva la stessa leggerezza della nebbia sulla neve e si fondeva con il fruscio delle foglie fra gli alberi. Non era fatta delle note a cui era abituato e non somigliava a nulla che avesse mai conosciuto. Era un suono nuovo e sottile al cui ritmo danzavano decine di fuochi dorati che sfavillavano nella notte giocosi.

La seguì quasi senza volerlo, ammagliato e attratto dalle luci e dalla musica che alleggiavano nell'aria gelida. Aveva la schiena madida di sudore e i riccioli ribelli scarmigliati quando l'ultimo fuoco si spense, un'istante prima che le sue mani riuscissero a racchiuderlo nei palmi arrossati. Una pioggia di scintille calò ai suoi piedi, colorando la neve doro e rubino prima di spegnersi.

Izuku si ritrovò avvolto dalle ombre, al chiarore della luna che dipingeva d'argento le rocce e rivestiva di ombre sinuose la neve sotto i suoi piedi pallidi. Senza più la musica e i fuochi a incantarlo, il gelo gli calò addosso di colpo e la stanchezza gli ghermì gli arti. A ogni respiro, un dolore acuto gli feriva il petto. Davanti a lui un fiume gorgogliava placido, trascinando rami e tronchi a valle e bagnando i cumuli di ghiaccio e neve sui margini.

≪ Ce ne hai messo di tempo... ≫ commentò una voce bassa, appena graffiante nell'aria gelida, attraendo la sua attenzione. Izuku si voltò e scorse un movimento nelle ombre della notte. Una nota cristallina risuonò nell'aria e un cerchio di fiamme sfarfallò improvvisa nella notte, circondandolo.

La luce improvvisa l'accecò, costringendolo a portarsi la mano al volto. Sbatté le palpebre diverse volte prima di riuscire a mettere a fuoco la figura minuta seduta su un masso con uno zufolo fra le piccole mani e una veste granata ad avvolgere il corpo.

Izuku si sorprese a trattenne il fiato. La luce delle fiamme si rifletteva sul viso infantile del bambino, dello stesso rosso scuro e mutevole delle sue iridi. I biondi capelli scarmigliati ondeggiarono alla brezza fredda e due lunghe e folte orecchie triangolari vibrarono, facendo capolino dalla cima della testa, cogliendo il verso strozzato che sfuggì dalle labbra schiuse di Izuku.

Un sorriso storto curvò le labbra della kitsune, mettendo in mostra i canini affilati. Gli occhi rossi scintillarono nelle ombre che gli lambivano il volto abbronzato. ≪ Tutti questi anni passati a inseguirmi ed ora che mi hai davanti non dici nulla? ≫

La sua voce era bassa e graffiante, appena un poco squillante, come se non fosse abituato ad articolare le parole a voce alta. Izuku abbassò la mano tremante e se la posò sul petto. Sotto la veste e i vari strati di pelle, carne ed ossa, il suo cuore batteva a un ritmo forsennato. Gli occhi verdi, spalancati nella notte, colsero il guizzare sinuoso di tre folte code nell'aria, gonfie come tarassaco dietro le spalle del bambino che lo guardava con gli occhi rossi socchiusi. ≪ Quindi? Il gatto ti ha mangiato la lingua? ≫

≪ Sei tu... ≫ mormorò Izuku con un filo di voce. Fu una sorta di shock realizzare che quel bambino seduto su una roccia piatta con le gambe incrociate e uno zufolo che ruotava fra le dita, era la stessa creatura che aveva intravisto nel bosco. La stessa che l'aveva guardato dell'alto dei rami del glicide, ridendo di lui.

≪ Sei tu ≫ ripeté con un filo di voce e le lacrime gli annebbiarono la vista, rotolando sulle guance fredde. La kitsune trasalì e sgranò gli occhi, il respiro bloccato in gola. ≪ C-cosa...? Ti proibisco di piangere! ≫ strillò con un soffio nella voce che lo fece sembrare un felino. I biondi capelli si rizzarono sulla nuca in sottili aghi del colore dell'oro bianco, ma Izuku non riuscì a trattenere i singhiozzi che lo scossero né le lacrime che caddero a bagnarli le guance.

≪ C-credevo te ne fossi andato. ≫ singhiozzò, tremando. La voce rotta dal pianto si inclinò fino a spezzarsi. ≪ Credevo che non ti avrei mai più visto. ≫ Le dita grattarono la stoffa della sua veste, scavando con le unghie dei solchi. La Kitsune lo guardò in silenzio con quei suoi occhi insoliti, il respiro sospeso sulle labbra. Sembrava spaventato o forse, solo sconvolto dalla forza con cui i singhiozzi si rompevano sulle labbra di Izuku e ne scuotevano il corpo.

≪ Sei tu che te ne sei andato lasciandomi da solo. ≫ lo sentì mormorare e Izuku si chiese se quell'espressione triste che intravide sul suo viso per un momento, fosse reale o se il velo instabile delle lacrime gliel'aveva lasciata immaginare. ≪ Però... ≫ gemette, la voce spezzata dai singhiozzi. ≪ però... ≫

Il petto gli faceva male, ma non sapeva se fosse per il freddo o il pianto. Se l'emozione che lo ghermiva come una marea scura fosse sollievo o tristezza. Se stesse piangendo perché stava male o se era solo così sollevato e felice di vedere la kitsune da non poterlo sopportare. Si sentiva come se qualcosa dentro di lui si stesse rompendo e i frammenti acuminati spingessero per disperdersi fuori dai confini del suo corpo.

Cadde a terra con un tonfo ovattato, in ginocchio nella neve che scricchiolò sotto le piante dei piedi nudi della Kitsune. Il pianto che gli risaliva dalla gola riempiva l'aria fredda fra di loro, smorzando ogni altro rumore, scuotendolo con tanta forza che Izuku pensò che si sarebbe rotto in mille pezzi.

≪ Sei proprio un buono a nulla. Un vero Deku. ≫ sussurrò la Kitsune, davanti a lui. La sua pelle aveva l'odore penetrante del bosco, sapeva di aghi di quercia e di terra scura, ma la sua mano era morbida e calda quando si posò sulla sua testa. Le piccole dita s'insinuarono fra i riccioli scarmigliati, scompigliandoli in un gesto pigro. ≪ Che bisogno c'è di piangere, piccolo piantagrane? ≫

Izuku trattenne un singhiozzo rotto, gli occhi verdi velati di lacrime calde che traboccavano sulle lunghe ciglia. ≪ I-io mi chiamo Izuku. ≫ gli disse in un soffio, la voce impastata e le guance gli bruciarono di uno strano calore quando sollevò lo sguardo e colse il sorriso storto della volpe. ≪ Lo so come ti chiami, Deku. ≫

C'era una nota divertita nel fondo di quella voce graffiante. Un bizzarro umorismo riflesso in quegli occhi rossi che fece contrarre la bocca dello stomaco di Izuku in una strana morsa. La mano sulla sua testa era calda nonostante il gelo dell'inverno e le sue dita si mossero rapide, colpendogli la fronte con tanta forza da farlo trasalire per il dolore.

≪ Non sai proprio niente, non è vero? ≫ gli disse la kitsune, guardandolo portarsi le mani alla fronte dolorante e sfregare con le dita fredde il punto che aveva colpito. ≪ Nemmeno che i kaji del tuo nome hanno un'altra lettura. ≫

Il sorriso sulle sue labbra aveva qualcosa di volpino che fece pensare a Izuku alla volpe dorata che scivolava fra i cespugli, ai margini del suo giardino. Anche se il suo aspetto fisico era diverso dalla fisionomia della volpe, non faticava a riconoscere nelle sue movenze la stessa grazia beffarda né quello sguardo sprezzante che era solita rivolgergli ogni volta che riusciva a ingannarlo.

≪ Un'altra lettura? ≫ ripeté incerto, corrugando la fronte. Il cerchio di fiamme dorate danzò nell'aria, riflettendo il guizzo irrisorio che accese lo sguardo del loro artefice. ≪ Si, piccolo buono a nulla. I kaji che tu leggi come Izu possono essere letti anche come De. Quindi il tuo nome potrebbe essere burattino. Fantoccio. Un nome che ti calza a pennello, oserei dire. ≫

Izuku tirò su con il naso, traendosi risentito. ≪ E tu che ne sai di quali kaji compongono il mio nome? ≫ Una punta di irritazione trasparì dalla sua voce tremante. La volpe gli era sempre sembrata dispettosa e capricciosa. Ogni volta che credeva di averla messa in trappola e scopriva che invece l'aveva ingannato, la vedeva scossa dalle risate con la bocca spalancata e gli occhi socchiusi, pieni di compiaciuto divertimento. Ma ora gli sembrava che esagerasse.

≪ Ti sei firmato. L'hai dimenticato? ≫ gli disse, storcendo la bocca in una smorfia derisoria. La piccola mano abbronzata scomparve nel risvolto della veste pesante, scivolando fuori con un rotolo di pergamena chiuso da un nastro rosso. ≪ Quelle scuse erano la cosa più pietosa che abbia mai sentito e io vivo da secoli! ≫

Izuku, seduto tremante nella neve, riconobbe subito il rotolo nella sua mano. I tratti d'inchiostro sulla carta erano famigliari, la sua calligrafia curata lo fece arrossire. Gli aveva riscritti dieci volte in dieci fogli diversi e quegli sgorbi erano il meglio che era riuscito a fare, eppure erano ancora stentorei e imbarazzanti. ≪ E-era... tu hai spaventato mia madre e... ≫ balbettò, incespicando nelle parole. Gli occhi verdi corsero sulla neve e sulle fiamme, evitando lo sguardo scintillante dell'altro. ≪ Era un modo per chiederti di non bruciare la nostra casa. ≫.

La kitsune rise. Un suono graffiante che si mescolò allo sfrigolare delle fiamme e al tremore che scuoteva il corpo di Izuku, facendogli battere i denti. La testa bionda ciondolò indietro e si piegò di lato, gli occhi rossi che scintillavano di riflessi ramati nella penombra della sera. ≪ Se avessi voluto bruciarla sarebbe bruciata già da tempo. Non aspetto il permesso di nessuno per fare quello che mi pare. Tanto meno quello degli umani. ≫

Il freddo pungente rendeva difficile per Izuku mantenere la concentrazione. I piedi dolevano, pulsando così forte da farlo tremare. La kitsune non sembrava sentire il freddo, avvolta dalla sua veste pesante di un granato più scuro di quello che gli cingeva il polso, al modo dei monaci. Ogni volta che la manica si spostava, Izuku intravedeva i grani catturare la luce delle fiammelle e scintillare sulla pelle.

≪ Quindi non sei arrabbiata perché ti disturbo sempre? ≫ gli chiese incerto. Suo padre sarebbe rimasto scioccato nello scoprire che aveva avuto tanta paura per nulla, sempre se gli avesse creduto e avesse voluto ascoltarlo. Izuku temeva che si sarebbe limitato a mandarlo via di nuovo. ≪ Non ci maledirai e non incendierai la nostra casa? Non corriamo il rischio di cadere in rovina? ≫

La volpe non rispose. Le folte code tagliavano l'aria alle sue spalle con movimenti languidi, gli occhi rossi si socchiusero e nella luce soffusa delle fiamme a Izuku parve di scorgere un velo di malinconia nel suo sguardo.

≪ Sei il piccolo piantagrane più irritante che abbia mai conosciuto... ≫ mormorò, arricciando le labbra in una smorfia. La voce ridotta a un soffio rauco che gli fece correre un brivido lungo la schiena incurvata. ≪ Ma se ti avessi voluto fermare l'avrei fatto tempo fa. ≫

Il respiro morì sulle labbra di Izuku senza fare rumore. Il suo cuore batteva a uno strano ritmo, componendo una melodia che gli risuonava fin dentro le vene. C'era qualcosa nel modo in cui la kitsune lo guardò che gli tolse le parole e allontanò il ricordo di quello che era successo.

Suo padre. Sua madre. La casa ai margini del bosco e perfino la scogliera su cui aveva vissuto con suo nonno gli parvero svanire dalla memoria. Esisteva solo la pace silenziosa del bosco a pochi passi da loro e il gorgoglio del fiume, solo il rosso vivo di quelle iride che lo studiavano da sotto l'ombra delle corte ciglia bionde.

≪ Solo... ≫ soffiò la kitsune e la sua voce si fece aspra e scocciata, rompendo l'incantesimo che era calato su Izuku come un velo. Le labbra si arricciarono a scoprire i canini aguzzi e le orecchie pelose ritte sulla testa, fremettero. ≪ lascia stare le mie code. Quello che è fastidioso. ≫

Izuku si sentì arrossire. Lanciò un'occhiata piena di rammarico alle voluminose code che ondeggiavano alle spalle della kitsune. Lo guardò alzarsi in piedi, i biondi capelli che gli sfioravano il viso. Sembravano così soffici viste da vicino, le punte pelose di un biondo tanto pallido da sembrare bianco. Voleva toccarle così tanto che le mani fredde gli formicolavano, ma si costrinse a rimandare. A lasciarsi il tempo di convincere la volpe a lasciarsi avvicinare tanto da avere il suo permesso.

≪ Cosa succede se le stringo? ≫ domandò incerto, la voce bassa che conteneva una nota cauta. Gli occhi verdi luccicarono di determinazione, spingendo la kitsune a balzare indietro di scatto. Fu un movimento fulmineo e Izuku si trovò da solo nella neve, la kitsune acquattata sul masso che lo fissava con gli occhi rossi socchiusi e i canini snudati in un sibilo di avvertimento. ≪ Stai attento a te, Deku. ≫ gli soffiò contro, la voce rauca ridota a un sibilò minaccioso. ≪ Se provi a toccare le mie code, te ne farò pentire. ≫

≪ Non lo farò se non vuoi, davvero. ≫ Il calore sul viso gli diede la spiacevole sensazione di essere arrossito, rivelando la sua colpa. Voleva così tanto toccarle... era certo di averlo desiderato fin dalla prima volta che l'aveva visto. Ma si costrinse a sorridere rassicurante, il corpo che tremava mentre si rialzava e i piedi doloranti affondarono nella neve mentre avanzava cauto.

≪ Non posso credere che tu sia qui. ≫ ammise, sopprimendo a stento il brivido di emozione che gli corse lungo il corpo teso e dolorante. ≪ Non farò nulla che possa spingerti ad andare via, ma tu... tu resta. Parla ancora un po' con me, ti va? Giochiamo insieme, ancora un po'. Nessuno sa dove sono e non ci verranno a cercare finché il sole non sorgerà. ≫

La Kitsune esitò. Una ruga comparve a segnare lo spazio fra le bionde sopracciglia, le sottili ciocche bionde che erano cadute a sfiorargli la fronte ondeggiarono nell'aria fredda. Le corte ciglia sfarfallarono nella luce mutevole del cerchio di fuochi fatui che danzava sospesi nell'aria.

Non disse una parola, limitandosi a guardarlo in silenzio con gli occhi rossi socchiusi e attenti che seguivano ogni suo movimento. Izuku trattenne il fiato, sforzandosi di ignorare il gelo che gli mordeva la pelle.

≪ Sei rimasta qui... per tutto questo tempo sei sempre stata qui ≫ sussurrò con un filo di voce e la volpe distolse lo sguardo, gli occhi rossi ombreggiati dalle corte ciglia bionde s'incupirono. ≪ Non ho altro posto dove andare e qui... è raro che qualcuno si spinga dentro la foresta. Posso fare quello che voglio senza che nessuno mi veda. ≫

C'era qualcosa in quelle parole che fece sentire Izuku triste. Lui aveva sempre amato la sua casa, il profumo di cera d'api che emanavano i pannelli di legno alle pareti, i mobili lucidi e il giardino fiorito. Amava la sensazione di sicurezza che provava a muoversi per i corridoi, sotto lo sguardo discreto della servitù. Le braccia calde di sua madre e le sue mani gentili che gli accarezzavano il volto. Ma in realtà, quello che aveva sempre amato era la sensazione di appartenere a tutto quello.

Era la sua casa, come ci si sentiva ad essere come la kitsune e non averne una?

Nel guardarla nella luce mutevole delle sue fiamme dorate, la veste pesante che le avvolgeva il corpo e le code voluminose che tagliavano l'aria nervose, si domandò per la prima volta, dove vivesse quando non era impegnata ad aggirarsi per il suo guardino. Da dove veniva e a chi era legato, chi era la persona che l'abbracciava quando era triste e gli mormorava parole dolci che sapevano di amore e conforto.

≪ Dove sono i tuoi genitori? ≫ La sua voce non fu più di un sussurro gentile, ma scosse il corpo della kitsune come se l'avesse sferzato con una verga. Si ritrasse, lanciandogli un'occhiata crudele con gli occhi rossi pieni di ombre e le labbra arricciate in un ringhio. ≪ Con chi credi di parlare? ≫ gli soffiò contro, la voce aspra che vibrava nell'aria fece guizzare le fiamme intorno a loro di una vampata iraconda. ≪ Io non sono un mortale come te. ≫

Le ombre intorno a loro si assottigliarono alla luce mutevole del fuoco, scaldando l'aria al punto che Izuku avvertì il pericolo di scottarsi nel toccare quelle scintille danzanti. La neve sotto i suoi piedi si ammorbidì, bagnandogli l'orlo della veste che gli sfiorava le caviglie doloranti. ≪ Ma ti sentirai solo... ≫

≪ Tu non mi lasci il tempo di sentirmi solo. ≫ La durezza di quella voce bassa lo sorprese, era mutevole come il guizzare delle fiamme nell'aria, come la forma con cui la kitsune poteva mostrarsi. Volpe o umana. Bloccata a metà fra le due, ma sempre sfuggente e rapida nei movimenti, tanto che se Izuku avesse detto la parola sbagliata, era sicuro che l'avrebbe vista sparire nel bosco.

≪ Ma tu... ce l'hai un nome? ≫

Era una domanda semplice, ma riuscì a mettere in crisi la kitsune. Lo capì dal modo in cui sgranò gli occhi e arricciò le labbra. Le orecchie volpine fremettero, curvandosi verso il basso come se stesse cercando di cogliere un suono lontano. ≪ Che domanda stupida. Certo che ho un nome. ≫ commentò sprezzante, ma c'era una nota incerta nella sua voce bassa che fece pensare a Izuku che stesse cercando di ingannarlo.

≪ E me lo dici come ti chiami? ≫ La veste leggera non era sufficiente a proteggerlo dal freddo, nemmeno stringendosi le braccia sul petto tremante. Il silenzio che gli avvolgeva era assordante. Un velo di tristezza ombreggiava le corte ciglia bionde della kitsune, come uno strato di brina leggera. ≪ Ka- ≫ sussurrò, corrugando la fronte. ≪ Ka-tsuki. ≫

Izuku lesse il sollievo sul suo viso, la certezza di aver ricordato il nome che cercava di sfuggirgli e si sentì triste come mai prima d'ora. Triste per quella creatura che non aveva nessuno al mondo che lo chiamasse per nome tanto da rischiare di dimenticarlo.

≪ Katsuki. Mi chiamo Katsuki. ≫ gli disse con un ghigno esultante, gli occhi rossi che scintillavano nel bagliore delle fiamme mutevoli. ≪ Katsuki, ≫ lo chiamò Izuku con dolcezza, la gola che già bruciava per il freddo che gli penetrava la pelle. ≪ giocheresti con me, Katsuki? ≫

Gli occhi rossi si sgranarono appena e un caldo rossore si rifletté sul viso abbronzato di lui. Il suono della sua risata era graffiante e selvaggia come quella dei venti fra i rami degli alberi, gli fece pensare agli dèi delle montagne e alle tempeste che scendevano a valle. ≪ Cominciavo a pensare che non me l'avresti mai chiesto. ≫ gli disse balzando giù dal masso con leggerezza e Izuku si trovò a ridere a sua volta, si scoprì a correre dietro di lui.

Gli occhi di Katsuki scintillavano nelle ombre come fuochi fatui, ramati e aranciati, scuri come il cuore puro di un rubino. Lo zufolo nella sua mano emetteva note graffianti che si perdevano sotto il fruscio delle foglie e il canto degli uccelli notturni. Ogni nota era una magia che prendeva forma intorno a loro, un gioco di luci e colori che piegava la realtà alla volontà della kitsune.

Izuku non riusciva a credere alla bellezza di quelle illusioni. Al potere che celavano. Nel guardarlo creare castelli di pietra bianca fra i tronchi degli alberi, città costiere in cui l'odore del mare si mescolava alle grida dei gabbiani, non faticò a credere che qualcuno potesse lasciarsi ingannare e dimenticare il mondo mortale per inseguire il sogno che la kitsune creava.

Sembrava così reale ciò a cui quelle note davano forma che si sorprese di non sbattere mai contro un albero. Il calore del fuoco gli scaldò la pelle, la neve si sciolse sotto i suoi piedi e il sole illuminò ogni cosa. La risata di Katsuki alleggiava nell'aria e un attimo dopo, era di nuovo notte.

≪ Puoi creare qualsiasi cosa? ≫ gli domandò Izuku, estasiato. Katsuki scrollò le spalle, un ghigno a curvare le labbra. ≪ Certo, se lo voglio posso farlo. In fondo, pochi yokai sono talentuosi quanto me. ≫

≪ E modesti. ≫ La risata di Izuku indugiò nell'aria, soffocando lo sbuffo canzonatorio del compagno. ≪ La modestia è per i falliti. ≫

Quella notte giocarono insieme sotto le luci cangianti dell'aurora che Izuku non aveva mai visto e delle stelle che si riflettevano sulla neve. Un susseguirsi di colori sgargianti che delineavano le forme di luoghi lontani e immaginari in cui loro erano gli unici abitanti. Vide castelli e città così magnifiche da mozzare il fiato, tracciate dal rosso e dal blu più raffinati, bordati di oro e argento. E ruscelli e foreste in cui le stelle formavano sentieri di luci fra le alte fronde e sulle acque cristalline.

Furono samurai che impugnavano spade argentee e danzavano nell'aria gelida. Avventurieri che scoprivano antiche dimore perse nel tempo, le esploravano tenendosi per mano e le conquistavano, diventandone gli unici re. Corsero fra gli alti alberi della foresta, inseguiti da eserciti immaginari che volevano catturarli e loro, coraggiosi eroi delle loro storie, sfuggirono e li batterono in astuzia.

Divennero re benevoli e poi, avidi pirati che solcavano mari immaginari delineati da mille sfumature di luci blu e dalle note cristalline dello zufolo che Kacchan faceva scivolare fra le dita con abile destrezza ogni volta che le sue illusioni sembravano sul punto di sfumare e svanire.

Izuku ridette così tanto quella notte da sentire male alle guance arrossate dal freddo, i piedi resi insensibili dal gelo dell'inverno e un velo di caldo sudore a imperlare la leggera veste da notte che indossava. Ma il freddo era solo un'illusione in confronto alla danza di colori e forme che Kacchan costruiva intorno a loro e che gli riempivano gli occhi. Il sorriso sghembo sul suo viso e il dardeggiare dei suoi occhi di fuoco erano l'unica cosa reale che gli faceva battere più forte il cuore.

Dimenticò il freddo e anche la sua casa, inseguendolo fra i tronchi che la luce delle stelle bordava d'argento. Le code bionde di Kacchan ondeggiavano davanti a lui, sempre troppo lontane per essere afferrate, ma visibili nella notte. Lo guidò su un tronco caduto che univa le due sponde del fiume e da lì a una valle segreta dove sorgeva una cascina dimenticata.

Là viveva Kacchan, senza nessuno che avesse cura di lui o gli facesse compagnia. Una piccola stanza dentro cui non bruciava nemmeno un fuoco caldo, era tutto ciò che la sua kitsune avesse mentre lui possedeva un'intera villa in cui tornare. Eppure, il tè caldo alle erbe che gli offrì era il più saporito che avesse mai saggiato. L'alba che ammirarono dalla finestrella della sua cascina, la più bella che Izuku avesse mai visto.

Il mattino dopo si svegliò nel suo letto con la febbre alta. La vista sfuocata e la sensazione di star bruciando. Dietro le palpebre tremanti, vedeva ancora le luci mutevoli dell'aurora e sentiva il tocco caldo della mano di Katsuki sulla sua. Ma accanto a sé, non c'era la kitsune. C'era invece sua madre, disperata e ansiosa per lo stato di semi coscienza in cui Izuku si muoveva.

Il mondo ondeggiava davanti ai suoi occhi senza che riuscisse a dargli un senso. Cosa accadde o quanto tempo vaneggiò, Izuku lo scoprì solo molto tempo dopo. Passò giorni relegato a letto, senza che potesse vedere nessuno che non fosse la guaritrice incaricata di sorvegliarlo. Sua madre sedette accanto a lui, ignorando le suppliche e gli ordini che le chiedevano di avere cura di sé stessa, ma lui non era abbastanza lucido da metterla a fuoco con la vista e non poté mai confortarla.

La gola gli bruciava tanto da non poter parlare. Ogni respiro era una sofferenza. La testa girava ogni volta che riusciva a raccogliere abbastanza energie da voltarsi. Eppure, nei suoi sogni correva insieme a Kacchan nel bosco e giocavano insieme fra le illusioni di città magnifiche e regni lontani. Gli sembrò un sogno quando la porta della sua stanza si aprì e una volpe dorata scivolò dentro, con le zampe sottili che ticchettavano sul legno massello.

Pensò che fosse un'allucinazione il suo muso freddo che gli sfiorava la fronte. ≪ Sei riuscito a beccarti una bella infreddatura. ≫ I baffi leggeri che gli fremevano sul muso affilato gli pizzicarono le guance. Le zampe leggere premettero sul suo petto quando saltò sul futon e le code sinuose si infilarono sotto le coperte, scavandosi uno spazio. ≪ Ma almeno si qui. Pensavo te ne fossi andato di nuovo. ≫ mormorò il suo muso di volpe, guardandolo con gli occhi rossi luccicanti nella luce del sole. ≪ che stupido, ti sei ammalato. Voi umani siete troppo delicati. ≫

≪ Non mi lasciare. ≫ tossì Izuku, la voce rauca ridotta a un lamento graffiante. Gli occhi verdi ondeggiavano incapaci di mantenere lo sguardo fermo, gli arti scossi da un tremito incontrollati. ≪ Non voglio restare da solo. ≫

Katsuki lo guardò, il muso affilato che fremeva nel cogliere ogni odore. Era scivolato dentro casa senza farsi vedere, spinto dalla curiosità feroce di capire e sapere se quel piccolo piantagrane insolente avesse avuto il coraggio di abbandonarlo di nuovo. La Signora non cantava più, ora piangeva e la sua voce si alzava in urla isteriche contro il suo Signore che in uno scatto d'ira aveva lanciato a terra un vassoio pieno di porcellane. Katsuki aveva sentito l'odore del cibo caldo e del saké sul tatami, ma si era guardato bene da avvicinarsi tanto da venire scoperto.

Nella luce del pomeriggio che filtrava dalla finestra chiusa, guardò il bambino delirante davanti a lui. Arrivare fin lì, senza farsi vedere dalla servitù, non era stato facile. Alla fine, scivolò sotto le coperte e si accoccolò contro il suo fianco, le pesanti coperte che rivestivano il suo corpo caldo e le folte code che si avvolgevano intorno alle gambe di lui, leggere come un sussurro.

Izuku ne avvertì il calore contro il corpo. La presenza silente che si aggrappava a lui e perfino nel delirio capì che non sarebbe più andato via. Accucciato contro il suo corpo, insieme in quel futon, ebbe la certezza che fossero diventati amici e che da quel momento non si sarebbero più separati.

Sarebbero cresciuti insieme negli anni, scavandosi uno spazio segreto che fosse solo loro. Un posto a metà fra illusione e realtà, in cui il mondo degli yokai incontrava quello degli uomini.

 

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