la maschera di ferro

di GilGalahad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** nell'oscurità la luce ***
Capitolo 2: *** ordalia ***
Capitolo 3: *** incontri e progetti di incontri ***
Capitolo 4: *** non il capitolo 4 ma il capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** nell'oscurità la luce ***


Era notte, una notte chiara, la luna splendeva , era la luna preferita dagli amanti e dai poeti, vista da tutti come una musa o un amica, in quella piccola parte della francia coperta dalle campagne e dai boschi la luna assumeva connotati spettrali e aff

 Era notte, una notte chiara, la luna splendeva, era la luna preferita dagli amanti e dai poeti, vista da tutti come una musa o un’amica, in quella piccola parte della Francia coperta dalle campagne e dai boschi, assumeva connotati spettrali e affascinanti, i muretti che costeggiavano le tortuose stradine erano illuminati da sottili fili d’argento che sovrastavano i sassi e i tetti delle case, in lontananza si sentiva solo il fruscio del ruscello, il vento portava un profumo fresco, di acqua, di bosco, di alberi, la bellezza pervadeva tutto come in un quadro a tinte nitide che sovrastava il paesaggio, si sentiva una civetta da uno di quegli alberi vicino al ruscello, il rapace si stava appostando per cogliere di sorpresa la preda, le sue piume candide vibravano nell’aria; un gatto miagolava innamorato per la sua gatta che dormiva in grembo ad un bambino grasso e boccoluto in una minuscola branda della sua casa.

Nel bosco lì accanto tutto era stranamente in silenzio, lo rompeva solo uno strano quanto leggero tic tic, impercettibile quasi di per se ma talmente inusuale che tutto, gli animali e perfino il vento, sembravano essersi fermati, per prestare ascolto a quella sinfonia; veniva da una grotta, abbastanza larga, ma tremendamente isolata, da lì il rumore continuava, costante, tranquillo, tanto che chiunque passando nelle vicinanze, avrebbe pensato ad un elfo intento a lavorare il metallo, ma la realtà, come sempre, è più dura della fantasia, specialmente quella, la realtà di un uomo condannato a morire di fame; era un uomo strano tuttavia, i suoi poveri vestiti erano lacerati in vari punti, macchiati di sangue qua e la, e la testa era chiusa in una maschera, troppo stretta intorno al suo collo per riuscire a sfilarla, ma abbastanza larga per non costringergli il respiro, era fermata da un lucchetto dorato alla sommità del capo; stava tentando di liberarsi con tutte le sue forze, le mani sanguinolente, lavoravano alacremente attorno ai cardini della gabbia in cui era costretto tentando di sfilarli, erano giorni che tentava, ne andava della sua stessa vita, voleva scappare di lì, scappare voleva dire essere libero e poter andare in un altro paese, rifarsi una vita, lavorare, sposarsi e avere dei bambini, voleva avere una grazia… tentava in ogni modo di togliere il passante e mentre le mani sempre più malridotte si muovevano, pregava, pregava per il perdono, perché ne era certo, anche se inconsapevolmente, aveva fatto qualcosa per meritarsi quello strazio, non intuiva, però le motivazioni dei suoi carcerieri, che invece di ucciderlo in uno dei modi consueti, avevano biascicato tra loro sul fatto che il suo sangue non dovesse essere versato in terra da mano umana. In quel momento l’ultima cerniera cedette, le sbarre con una spinta si aprirono, libero, uscì all’aria aperta e corse, riempiendosi i polmoni di quell’aria mattutina e frizzante, trovò un ruscello e ci si tuffò letteralmente dentro bevendo acqua a grandi sorsate, uscì e si mise a correre ancora, non seppe ne volle sapere mai quanta strada percorse, sta di fatto che si fermò solo nei pressi di una fattoria, voleva entrare, chiedere anche solo un pezzo di pane muffito, ma si fermò, con quella maschera sul viso, avrebbe fatto paura a chiunque, a ben vedere avrebbe potuto anche buscarsi qualche sassata, decise di attendere vicino al porcile che chiunque portasse da mangiare.

Poteva anche essere passata qualche ora, si svegliò al rumore di un canto, finalmente era arrivata una ragazza con il cibo dei maiali, seppe tener testa all’impulso della fame, e aspettò che se ne andasse, poi cercando sempre di non farsi vedere, si avvicinò, l’istinto a quel punto prese il sopravvento, s’inginocchiò in mezzo al fango e si accostò alla mangiatoia, il cibo era cattivo e maleodorante ma quasi non se ne avvide, poi di corsa ritornò nel bosco; era tarda mattinata e riprese a camminare, domandandosi a ogni crocevia da che parte fosse il confine, dopo quel primo quanto pessimo pasto, non ebbe più occasione di mangiare cibo umano e per quanto si sforzasse riuscì a catturare solo qualche piccolo mammifero per potersi nutrire alla meglio, passarono così i giorni, giorni d’incertezza e di sofferenza, ma ormai a quella si era abituato, d’un tratto le sue narici furono pervase da un profumo, funghi, si mise a cercarli seguendo l’odore, come un cane, e finalmente li trovò, ma inavvertitamente, mise un piede in fallo e scivolò lungo il pendio, rialzandosi dolorante si accorse che la spalla sanguinava abbastanza, avrebbe voluto urlare di rabbia e chiedere una morte veloce, sapendo ormai che per lui non c’era futuro, ma si disse di trovare un riparo per quella notte; a quel punto, però la sua attenzione fu attirata da un altro rumore, accompagnato da urla e spari.

All’inizio continuò a camminare per la sua strada pensando che chiunque fosse non avrebbe avuto certo bisogno dell’aiuto di un mostro, ferito per di più, ma le urla comunque si facevano più forti e portavano una sola parola “Aiuto”, fu quella parola pronunciata con disperazione che gli fece cambiare idea, si girò e corse in quella direzione, riuscì a raggiungere la fonte di quelle urla, dopo qualche istante, vide una donna su un carro che teneva fra le braccia un bimbo, un uomo nella paglia immobile in una posizione innaturale con una coperta che copriva a metà le ginocchia, il gruppo era circondato da due uomini armati che volevano le poche monete che presumibilmente la famiglia poteva avere, Filippo si slanciò in avanti lanciando una pietra che aveva trovato per strada, non voleva usare la spalla ferita, ma a fronte degli attacchi dei due ladri che si erano accorti di lui, se ne trovò costretto, tutto accadde molto in fretta, i due scapparono quasi subito, dopo una breve colluttazione e qualche sparo, ritornò la calma, rotta solo dai pianti del bimbo in braccio alla donna. Fu davvero un colpo per  quella giovane madre, vedere quello stranissimo individuo in mezzo alla radura vicino al suo carro, la aveva aiutata, ma forse voleva qualcosa anche lui:

“Ti prego, lasciaci in pace” disse senza troppa convinzione, ma l’uomo continuò a stare in piedi in mezzo allo spiazzo e vedendo i suoi vestiti laceri alla donna venne in mente che potesse avere fame, quindi posò il bambino vicino a suo marito che aveva sistemato precedentemente e tirò fuori dalla bisaccia una delle due pagnotte che aveva portato, scelse quella di pane nero, si avvicinò e allungò la mano. Una sensazione strana si impadronì del cuore di Filippo, una specie di sordo risentimento, non voleva niente per quel gesto e non voleva di certo farle del male:

“Grazie, no” si sentì dire, e voltando le spalle al pane, si girò convinto più che mai a continuare la sua strada. La donna era stupita, ma non ritirò la mano e anzi, quando quello strano individuo mostrò di volersene andare lei gli afferrò gentilmente il polso e gli mise il pane fra le mani dicendo:

“Lo accetti, non ho niente oltre a questo, se non la gratitudine di una moglie e di una madre.” Disse in un soffio, l’uomo si girò e in mezzo a quella maschera nera lei poté vedere lo stupore di due occhi segnati dal dolore, con un gesto inaspettato, l’uomo s’inchinò e portò la mano della donna all’altezza della bocca, in un goffo baciamano poi tornò a dirigersi per la sua strada.

Poche ore dopo, Filippo stava sbocconcellando il tozzo di pane che gli aveva regalato quella signora, per la prima volta da quando aveva lasciato la sua casa, ringraziò l’artefice di quel miracolo, ripromettendosi che se mai le cose si fossero messe meglio avrebbe aiutato quella famiglia che si era mostrata tanto gentile. Tornò a camminare, stringendo i denti per il dolore, in quella breve colluttazione aveva riportato qualche ferita, non se ne curò anche se il dolore era molto forte e quasi non gli faceva pensare ad altro, camminò ancora, il sangue gocciolava dalle ferite, se le copriva con le mani, ad un tratto sentì delle voci, alzò gli occhi e si accorse di essere finito ai confini di un centro abitato, o quello che poteva sembrare un centro abitato.

Riconobbe la voce che parlò per prima, a quella voce ne seguì un'altra questa volta maschile, poi altre concitate, sollevò il viso e sentì mani che lo prendevano, si lasciò andare contro quelle mani.

Per quella piccola comunità la comparsa di quello strano individuo aveva suscitato lo stupore di tutti, lo avevano visto, che camminava letteralmente piegato in due, con la mano destra premuta sul fianco sinistro, con quella maschera di ferro sulla testa, scalzo e vestito di stracci, si radunarono attorno a lui ma nessuno mostrava di voler fare un gesto per aiutarlo; cosa, tuttavia, facilmente capibile, nella realtà di quelle piccole comunità in cui le tradizioni erano molto forti ed in cui erano molto forti anche le superstizioni il vedere comparire un individuo di quel genere portò la povera gente di quel luogo a pensare che si trattasse del diavolo o di chissà cos’altro, quella situazione fu bruscamente interrotta da una donna da poco venuta in paese per far curare il marito, che si era gravemente infortunato mentre lavorava; stando ai suoi racconti, mentre stava percorrendo la strada per il paese era stata assalita da due ladri ed al suo rifiuto di consegnare i soldi che teneva da parte per il medico, la avevano minacciata con le pistole, raccontò di come quell’individuo la aveva aiutata,  pregò tutti di fidarsi, e di avere pietà di quell’infelice; il sindaco che si era precipitato fuori per via di quel trambusto, dopo aver ascoltato il racconto, esortò la donna a calmarsi: avrebbe dovuto fare rapporto al conte di quel luogo, ma lo avrebbero aiutato fin d’ora, incaricò degli uomini di prenderlo e portarlo nella sua abitazione e mentre quelli lo posavano nell’atrio, lui salì nella  piccionaia e vergò un messaggio urgente diretto al Conte Plessy con rigide istruzioni che ne garantivano l’urgenza e la segretezza poi annodò tutto alla zampa di un piccione e lo lasciò andare verso il palazzo del conte, tornò giù e vide ancora l’uomo, a cui avevano tolto la parte sopra dei vestiti: la vista era orribile, ma sarebbe bastato un buon medico e tanto riposo.

“Come sta?” chiese avvicinandosi

“Sembra esausto, non ho mai visto in vita mia una persona che ne ha viste così tante prima d’ora.” Gli rispose il frate che faceva da medico in quella piccola cittadina, era un ecclesiastico smilzo, apparteneva ad uno degli ordini minori ed era benvoluto in città, tanto che il suo convento, a poche miglia da lì, aveva rinunciato a domandare la questua in quel paese, la povera gente di quel posto ricambiava i servigi del frate come poteva, facendosi mancare il cibo se necessario, ma non era solo quello, anche quando il convento aveva avuto bisogno di lavori, qualche artigiano del posto si era offerto chiedendo in cambio solo una benedizione; se il discorso valeva per quel buon frate lo stesso non si poteva dire per il prete del borgo, che ormai si era ritirato a vivere nel lusso del palazzo di Plessy e non si faceva vedere mai, non era stata una gran perdita a dire la verità.

Il frate stava pulendo le ferite dello sconosciuto mentre il sindaco continuava a passeggiare avanti e in dietro:

“Ho fatto” disse ad un tratto

“Tutto a posto?”

“Non del tutto, va portato da un medico, un medico vero, se no morirà”.

“Come può pensare che possiamo permettercelo? Non abbiamo i soldi per pagare…”

Una ragazza con un grembiule scese di corsa le scale della casa:

“Signore, è arrivato un messaggio” disse

“Vado subito, lei mi può scusare vero dottore?”

“Certo” disse il frate intento a medicare le ferite.

Senza dire altro il sindaco salì, trovo il piccione che era arrivato, staccò delicatamente il messaggio, riscese nell’atrio leggendolo:

“Pere Guillame, ha un momento?” disse ancora rivolto al frate.

“Ma, certo” disse l’interpellato, quanto mai stupito del fatto che il sindaco si rivolgesse a lui chiamandolo Pere

“Dia a quest’uomo l’estrema unzione, e preghi per lui, verranno gli uomini del conte Plessy a prenderlo”.

Il frate annuì, si fece portare da un bambino tutto l’occorrente per officiare il rito e con calma preparò quel pover’uomo alla sorte che lo attendeva, non si prospettava niente di buono, gli uomini del conte non erano esattamente delle brave persone, conoscevano solo due leggi, quelle dell’interesse e della paura. Non ebbe il tempo di pensare ad altro che già un carro guidato da due di loro si era fermato davanti alla porta; i due varcarono l’uscio con passo sicuro, portavano la spada al fianco, stranamente quei due non avevano un’aria minacciosa ma ciò non impedì loro di prendere il ferito per le braccia con forza e sbatterlo senza tanti complimenti sul carro, uno di loro salì con lui e gli legò le mani ad un anello mentre l’altro saliva a cassetta e frustando il cavallo partì a tutta velocità. Il frate si segnò, tornò in dietro e raccolse i vestiti ancora intrisi di sangue dello sconosciuto e li nascose nella tonaca, non sapeva che cosa aveva fatto di male quel povero diavolo per meritarsi quello, ma il crimine, per orrendo che fosse, non valeva tutta quella sofferenza, avrebbe pregato a lungo per lui, chiedendo il perdono.

Nel frattempo il carro andava avanti per la sua strada spedito:

“Non puoi slegarlo? È ovvio che non può andare da nessuna parte” disse uno all’altro

“Così hanno detto, dici che siamo stati credibili?”

“Ora al paese pensano che lo abbiamo ucciso sicuramente, tranquillo”

“Cosa vorrà farne il conte?”

“Vorrà divertirsi un po’ con lui quel vecchio porco.”

“Così sporco, ferito e con quella maschera addosso per di più”

“Ovviamente stavo scherzando, non saprei come vuole impiegare quel mostro.”

Il carro attraversava le campagne, si fermò solo in prossimità dell’ingresso del palazzo di Plessy, lì il conte in persona, ispezionò il carico poi con uno stranissimo ghigno sulla faccia, disse loro:

“Portatelo all’intendenza dei moschettieri, ma mi raccomando deve arrivare là vivo, fate attenzione, o salterà la vostra testa insieme alla mia”

“Certo” risposero in coro quei due

“Mettetegli dei ceppi ai piedi è già scappato una volta”

“Va bene”disse uno di loro mentre frustava il cavallo

L’altro entrò ed eseguì l’ordine del conte ma vista la situazione in generale, gridò all’altro:

“Frusta i cavalli se hai cara la testa” poi rivolto al prigioniero “ su mostriciattolo non ci vorrai lasciare proprio ora” ma costui non dava davvero segni di vita se non il ritmico alzarsi e abbassarsi del torace e all’uomo non rimase altro da fare che togliergli  i ceppi, era più che ovvio che non sarebbe fuggito in quelle condizioni, ma quella maledetta maschera costringeva il respiro, per quella non esisteva rimedio, solo chi avesse avuto la chiave avrebbe potuto migliorare la situazione.

“Siamo arrivati! Fallo scendere al volo” disse quello a cassetta, l’altro si avvicinò alla porta ma la vide spalancarsi, salirono sul carro due moschettieri che presero l’uomo, mentre due lo portavano all’interno della caserma un altro fece cenno ai due di seguirlo all’interno, i due scesero e seguirono l’uomo con la mantella blu, arrivati in una stanza miseramente arredata, questi si girò e quasi con disgusto gettò sul tavolo due sacchetti che atterrando fecero un sonoro rumore metallico: “Per il vostro silenzio, potete andare” e uscì lasciando i due esterrefatti.

Per il capitano dei moschettieri, la vista di quei due scagnozzi era nauseante, quel prigioniero doveva essere scortato dal conte Plessy in persona, in una carrozza e non certo in un carro in cui si solevano trasportare i detenuti comuni; uscito dalla stanza, si diresse verso la scuderia, dove il suo intendente, un ragazzetto biondino e smilzo, aveva già preparato il cocchio che lo avrebbe trasportato velocemente a destinazione con il suo carico, aveva anche ricevuto in consegna una chiave con cui una volta nel veicolo avrebbe dovuto liberare il prigioniero definitivamente ed alla fine del viaggio lo avrebbe lasciato in mano a persone che si sarebbero prese cura di lui, se era vera la metà di ciò che gli avevano detto, ogni moschettiere si sarebbe detto orgoglioso di servire accanto a quell’uomo e lui personalmente considerava un onore scortarlo;  salì sul veicolo, mentre alcuni uomini caricavano l’altro e lo appoggiavano delicatamente contro lo schienale imbottito, terminata questa operazione si chiusero le porte e si dette ordine al cocchiere di partire.

La carrozza scivolava quasi in mezzo alle campagne, silenziosa nella placida aria serale;  il capitano restò a lungo a guardare la figura davanti a lui, sporca, ferita, quasi completamente nuda ad eccezione della maschera, di un mantello che una mano pietosa aveva avvolto attorno a quel corpo e ai brandelli di pantaloni che coprivano le nudità più imbarazzanti, si accostò all’uomo afferrò il lucchetto sulla sommità del capo e con un po’ di sforzo lo aprì, lo tolse dai passanti, aprì la parte dietro della maschera, l’individuo aveva i capelli castano dorati, quasi biondi, era quindi giovane, tentò di rimuovere tutta la maschera ma si accorse che questa era costruita facendo combaciare due pezzi distinti, quella che aveva appena tolto era l’intelaiatura mentre la maschera vera e propria rimaneva sul viso, si tolse i guanti e con delicatezza staccò anche il secondo pezzo, potè vedere la faccia finalmente, coperta da una fitta peluria nella parte inferiore, la pelle non aveva rughe era pallida e una sottilissima trama di vene blu copriva  le tempie e la parte vicina alle orecchie, quel viso si sarebbe detto assai bello una volta ripulito.

“Signore, siamo arrivati” disse l’attendente a cassetta, la porta si aprì per l’ennesima volta, al posto di soldati però questa volta fu una donna, grassa e con un ampio petto; con uno sguardo corrucciato circondò con le braccia le caviglie dell’uomo mentre l’altro lo prendeva per le ascelle e lo tirava giù:

“Coraggio, mi aiuti a portarlo dentro” disse la donna guidando il moschettiere all’interno dell’abitazione, o almeno del retro, da quella prospettiva non si vedeva ma doveva essere grande, molto grande; entrarono in una stanza, con le pareti dipinte a calce viva,  c’era solo un tavolo all’interno, la donna fece appoggiare il loro carico lì sopra, entrarono altre donne, tutte anziane, con in mano varie cose.

“Grazie per il suo aiuto, la aspettano di sopra.”

Il capitano salì, questa era la prima volta che veniva invitato salire le scale di quelle lussuosissime abitazioni per andare a fare rapporto, bussò alla porta, ora come si sarebbe comportato? Avrebbe dovuto inginocchiarsi o fare semplicemente un inchino?

“Avanti…” disse una voce dall’interno, la porta si aprì e il moschettiere si fece avanti, era una stanza non amplissima ma decorata con stucchi e fregi dorati, arrivato ad un paio di metri da chi lo aveva invitato ad entrare; fece per inginocchiarsi per mostrare la sua devozione e la sua deferenza alla persona rivolta verso la vetrata di fronte a lui ma il diretto interessato se ne accorse e lo fermò:

“In piedi, soldato, non sono ne un vescovo ne un cardinale.”

si rimise subito sull’attenti mentre l’altro si girava e si avvicinava:

“Ditemi tutto”

“Sire, ho portato l’uomo sotto la vostra custodia come avevate chiesto” mentre diceva questo, porse al suo sovrano la chiave con il lucchetto dorato e la maschera

“Molto bene, so che è ferito e che ne ha viste tante, ho visto il rapporto di Plessy, avete da riferirmi altro?”

“No, da quando gli uomini del conte l’hanno portato da noi non è stato più perso di vista e non ci sono stati cambiamenti”

“Gli uomini del conte? Non è stato dunque lui a portarlo fino da voi? Sarà sistemato anche questo”

“Si Maestà”

“Tornando a noi, da ora siete assegnato al servizio in questo palazzo, consideratevi sin da ora sollevato da qualsiasi precedente incarico, e con questo intendetevi promosso” gli porse un ordine e continuò “In cucina vi aspetta la cena ed in una parte del palazzo che vi indicheranno c’è una camera, avete l’ordine di mantenervi a mia disposizione ma volevo chiedervi un altro favore, sempre che siate d’accordo, mi hanno detto che avete una sorella, molto versata nell’arte di preparare infusi e rimedi con le erbe, è vero?”

“Sì sire”

“Mandatela a chiamare, avrà di che vivere. Potete andare”

“Certo sire”

Il moschettiere uscì e si diresse verso le stalle, il suo giovane inserviente stava strigliando il cavallo:

“Vai a casa mia, accompagna mia sorella subito qui”

Il ragazzino si limitò ad annuire e salito a fatica su uno dei cavalli, tirò le redini:

“Aspetta”

“Si, signore?”

“La notte è fredda, mettiti questo” il capitano si tolse il mantello e glielo porse.

“Grazie”

“Puoi andare non fermarti per la notte, vai.”

Il moschettiere, stanchissimo se ne andò in cucina, mangiò ciò che c’era e si ritirò in pace dove gli avevano indicato.

Nel frattempo l’uomo che lo aveva ricevuto era sceso in quella piccola stanza dove avevano momentaneamente accolto il ferito, si avvicinò al tavolo e con aria stanca chiese:

“Come sta?”

“Non le negherò che sta molto male, ha perso troppo sangue, ed era troppo debole, ho paura non riesca a passare la notte.” Gli rispose la stessa signora che aveva aiutato il capitano.

“Se riuscisse a passarla invece?”

“Allora ci sarebbe qualche speranza in più, ma non ne confidi troppo, è messo davvero molto male. L’unica cosa che possiamo fare è pregare.”

“Nostra madre lo sta già facendo da quando è arrivato.”

 “Per calmarvi potei dirvi che se assomiglia a suo fratello, ci sono buone speranze, perché la sottoscritta sa benissimo di che pasta è fatto. Ma so che vi causerei altro dolore se le cose dovessero mettersi male”

“Fate quel che volete, ma fate il possibile per salvarlo”

“Tutto sarebbe più facile se avessi a mia disposizione qualcuno che conosca le erbe e le loro proprietà, potrei dargli qualcosa per sostenere il cuore e per fare aumentare la pressione e allora sarebbe tutto più facile”

“Ricordo che me ne avevate parlato, ho provveduto, sapevo che il moschettiere che ha portato qui lui aveva una sorella, voi stessa me lo avevate accennato,  dovrebbe arrivare sta notte.”

“speriamo, la sua salvezza dipende unicamente da quella donna, ammesso che possa fare qualcosa ma ne dubito.”

“Non capisco, prima alimentate le speranze poi le abbattete di colpo” ruggì l’uomo

“Non posso farci niente, mi spiace sire”

“Mi dica di preciso le sue condizioni.” Disse rassegnandosi il re, perché si trattava di un re.

“Una pallottola lo ha ferito ad un fianco,  ha una spalla ferita e slogata, un paio di colpi di striscio lo hanno preso alle gambe e all’avambraccio, deve aver avuto qualche scontro.”

“Domattina spero di far avviare delle indagini,  vado a stendermi ora, per qualsiasi cosa chiamatemi”

“Passate una buona notte sire.” Disse la signora inchinandosi

 Quella notte, nessuno riuscì  dormire tranquillamente, tutti verso le due del mattino furono svegliati bruscamente dalle voci di una concitata conversazione:

“No, non lo posso permettere, lo uccideresti”

“Non lo ucciderei io con le mie erbe ma tu con i tuoi salassi, va lavato”

“L’acqua calda fa male, lo sai?”

“Fandonie, so cosa faccio, va lavato con acqua calda e le ferite vanno pulite con il vino! Poi penserò io a dargli qualcosa per combattere la febbre.”

“Le ferite si disinfettano con l’olio bollente, non con il vino”

“Ma si può sapere che cos’è questo baccano?” la voce, conosciutissima, fece fermare il litigio ed inchinare le due litiganti, il re squadrò la sua vecchia nutrice con cui aveva parlato non più di due o tre ore prima e la nuova arrivata, che era una ragazza di circa 25 anni mora e robusta per la sua età, portava i capelli  raccolti in una crocchia, il vino fine e abbastanza bello sebbene segnato dalla stanchezza.

“So chi sei, sei la sorella di François, l’ultimo moschettiere che ho promosso.”

“Cosa di cui vi sono immensamente grata, sire”

“Sciocchezze, allora su cosa verteva il litigio?”

La vecchia signora lo spiegò brevemente, non era necessario dipingere i fatti diversamente da come si erano svolti visto che tutto il palazzo era stato testimone di quella conversazione:

“Sono pronta a giocarmi la testa sire, se la mia impresa non riesce, ma vi prego non adiratevi con mio fratello.”

“Sta bene, se qualcosa dovesse andare male incolperò te e solo te hai la mia parola, niente verrà fatto a François ne a nessuno dei tuoi. E ora fate quel che potete, perché se al contrario riuscirete nell’impresa saprò essere molto generoso.”

“Grazie sire”                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  E mentre tutti  uscivano lasciando le due donne sole, nella stanza la tensione si poteva tagliare con il coltello.

“Mi aiuti a levargli quei quattro cenci”

Subito la ragazza iniziò ad affaccendarsi attorno all’uomo, la signora anziana guardava il tutto con aria indispettita, la mentalità di quel tempo esigeva che una donna potesse trovarsi davanti ad un uomo nudo soltanto da sposata, avrebbe voluto dire qualcosa per opporsi ma la giovane sembrò intuire i suoi pensieri:

“Signora, presto servizio da anni ormai nei ricoveri per gli ammalati, secondo lei mi fa paura un uomo nudo?”

“Signorina…”attaccò a blaterare la nutrice

“Il mio nome è Marie” la interruppe la ragazza senza distogliere lo sguardo dal suo lavoro

“Marie, secondo te, è conveniente che una donna non sposata senza figli stia davanti ad un uomo nudo? È sconve…”

“Basta così se non ha niente di utile da dire se ne vada, anche se avrei piacere che restasse qui ad aiutarmi” la donna con le braccia conserte si avvicinò e la ragazza per stemperare la tensione pensò bene di dire “Non potrebbe per favore togliergli quella specie di stracci che si ritrova per calzoni e potrebbe lavarlo da sotto la ferita al fianco fino alle ginocchia mentre sono girata a raderlo? Poi lo copra con uno di quei panni di canapa che ho portato nella borsa, mi dispiace, ma ho sempre alcuni problemi a lavare quelle parti e se posso delego agli altri” dicendo quelle ultime parole  la ragazza arrossì, era vero, anche se in quel momento la cosa più importante era di fare in fretta e servivano più mani possibili, e la cosa più intelligente da fare era appunto quella di mostrarsi accondiscendente e pudica almeno in alcuni casi.

Negli occhi della donna si accese una luce di comprensione, sorrise e iniziò a svolgere i vestiti, la ragazza era riuscita nel suo intento.

“Mi spiace se lo zittita prima, ma sono nervosa, è messo molto male. Ma se gli disinfetto le ferite con l’olio morirà dal dolore, già con il vino brucerà parecchio. Ma guardi cosa può aver fatto un così bel viso da meritare tante sofferenze.” La ragazza aveva appena finito di lavare e radere il viso lo guardava ammirata, girandosi, la vecchia signora guardò anch’essa:

“Il viso inganna …” disse semplicemente.

Finirono di strofinare quelle membra martoriate e scarne con un unguento specifico ottenuto dal succo di certe bacche poi bagnarono di vino le ferite più superficiali e le cucirono con ago e filo, lavoro a quei tempi molto approssimativo, ma in quel caso abbastanza ben riuscito; il problema era il foro di pallottola, era necessario riuscire ad estrarre la pallottola senza fare altri danni e senza  provocare eccessivo dolore, si decise di risolvere la situazione, avvolgendo i fianchi dell’uomo in un panno freddo e procedere, era il doloroso ma purtroppo unico modo, sollevarono quella specie di lettiga e la misero esposta alla luce del primo sole mattutino:

“Gli tenga la testa, se si sveglierà dal dolore vorrà dire che ci sono speranze, sia pronta a tranquillizzarlo ma si copra il viso, stia attenta e non lo stringa troppo”

“La ragazza si sedette e con una pinza resa rovente in un braciere si insinuò nella ferita, la carne sfrigolò e la puzza di carne bruciata si sparse l’anziana signora sentì la mascella dell’uomo aprirsi e tentare di emettere un grido

“Lo lasci fare ma non perda la presa”

Emise un suono stridulo, di pura agonia

“Stai tranquillo, ci sono quasi” la pinza toccò la pallottola la afferrò e tirò di colpo, uscì un violento fiotto di sangue, prontamente tamponato, l’urlo continuava trasformandosi in brevi suoni dal timbro più basso ma comunque forti abbastanza da farsi sentire da tutto il castello, la ragazza riprese ago e filo cucì, quando tutto fu finito ci versò sopra ancora del vino e poi si voltò verso il viso deformato dell’uomo e sorrise, in quegli annebbiatissimi occhi si accese una luce di coscienza e sorrise anche lui:

“E’ tutto finito ora...” gli disse

La ragazza era stanca, guardò fuori dalla finestra, la natura faceva il suo corso e si preannunciava una bellissima giornata, ore prima aveva dato disposizioni che bollissero delle bende o che comunque le disinfettassero con del vapore, si alzò e andò a prenderle, poi passandole all’anziana donna fasciò il corpo. Quello che si poteva fare era stato fatto, ora doveva solo dormire:

“Va messo a letto”

La donna prese un cuscino lì vicino e lo sistemò sotto la testa del ferito, mentre Marie lo copriva con due coperte.

“E’ la seconda volta che mi svegliate, il re non può avere un po’ di tranquillità?” la voce come sempre era il segnale di un inchino

“Con tutto il rispetto, ma questa volta non siamo ne io ne la signora le colpevoli”

“Quell’urlo avrebbe svegliato un morto”

“Ma era anche il segno che le cose andranno presto meglio”

“Spiegati”

“Quando una persona ha energia sufficiente per svegliarsi ed emettere un urlo del genere vuol dire che la guarigione è possibile, gli occorre solo un posto tranquillo e del buon cibo per superare la febbre.”

Il re sorrise e Marie prese nota mentalmente di una cosa ma fu subito distolta dai suoi pensieri in quanto:

“Vai fuori e di che tutti si ritirino nelle proprie stanze e chiudano porte e finestre” la ragazza uscì e lo fece velocemente, quando ogni singola persona fu chiusa nella sua stanza la ragazza rientrò

“Può essere spostato?”

“Si, ma non ho vestiti della sua misura con me”

“Non fa niente”

“Ma signore ad eccezione delle fasce è completamente nudo”

Senza ascoltarla, e con suo immenso stupore, il re si avvicinò al tavolo e prese a viva forza l’uomo tra le braccia e con un seguitemi si avviò lentamente per i corridoi, faceva passi leggeri e misurati per non disturbare il suo carico che non dava più segni di coscienza; si fermò solo davanti ad una porta:

“Marie per favore apri!”

La ragazza obbedì, entrò e tenne aperta la porta, lasciando passare

Il re posò l’uomo sul letto, mentre le due donne sistemavano ciò che c’era ancora da sistemare, sua Maestà parlò di nuovo:

Ughette, sei congedata da questo compito, tornerai a fare la dama di compagnia di mia madre. Marie quali sono le sue condizioni?”

La ragazza iniziò a parlare, ma fece in tempo a dire solo il primo articolo della frase che fu subito interrotta

“Dove sono?”

Tutti e tre si voltarono con gli occhi fuori dalle orbite, la voce veniva dal letto, subito si precipitarono:

“Sei al sicuro, non aver paura e dormi.” Gli disse la ragazza posando leggera una mano sugli occhi del suo paziente”

Quando tutto tornò tranquillo il re chiese di nuovo:

“Le sue condizioni?”

“Se riesce a superare la febbre e l’infezione sarà fuori pericolo.”

“Ma si è svegliato ed ha parlato”

“Non vi nego, maestà, che ha stupito anche me, ha sopportato tutto nel migliore dei modi, ma non voglio darle false speranze, devo confessarvi che ho abbastanza paura della febbre che potrebbe sopraggiungere, cercherò di fare l’impossibile per lui, se sarà necessario”

“Voi donne siete tutte uguali”

“Spiegatevi, maestà”

“Non appena vedete un uomo che ha una briciola di potere o che ha la benevolenza di qualcuno vi fiondate.”

“Davvero? Non lo faccio per voi e di certo non lo faccio perché voi avete dimostrato di avere a cuore la salute di vostro fratello, perché so che è vostro fratello, oserei dire gemello per di più, ma prima di tutto lo faccio perché so che quest’uomo ha sofferto troppo e non credo che nessuno lo meriti, almeno non a questo livello e poi voi avete promosso mio fratello, non sapete quanta gratitudine ho per voi, ma se questa è una scusa per non essere costretto a pagare la mia prestazione sappiate che non chiedo mai danaro per quello che faccio e a maggior ragione non ne chiederò a voi, ditemi quando mi riterrete libera da questo impegno e me ne andrò.” Disse Marie con sdegno, nessuno poteva permettersi di parlarle così, tantomeno lui.

Il re rimase a bocca aperta, quella ragazza lo aveva stupito, le donne non erano tutte stupide e avvezze solo agli ornamenti come le cortigiane a cui era abituato, esisteva anche una buona parte dell’universo femminile intelligente e capace di simili slanci, la parte maggiore si trovò a pensare, capendo che per seguire un marito, amarlo, mettere al mondo dei figli, pur nelle avversità della vita richiedeva una buona dose di intelligenza e coraggio.

“Sai che è mio fratello, sai che ti sarò grato a vita se lo salverai!”

“Anche se mi voleste far uccidere per serbare il segreto della sua esistenza non potrei esimermi dal curarlo.”

“Sai pure questo”           

“Vostra maestà dovrei essere molto sciocca per non averlo dedotto.”

“Va bene, visto che ormai sai abbastanza, ti dirò tutto, si chiama Filippo, è mio fratello gemello, nato pochissimo dopo di me, appena nato lo hanno portato via, il re non voleva del potere condiviso tra due fratelli, lo fece alloggiare in una fattoria sul confine italiano, la sua vita stando ai racconti era molto semplice ma tranquilla, finchè un giorno di lui si sono perse le tracce, da quando ho saputo della sua esistenza da Mazzarino proprio in occasione della sua scomparsa l’ho cercato per mari e per terra ho mandato agenti fino in America ma la soluzione era più vicina; mi capitò sottomano un rapporto in cui si diceva che in un carcere era stato mandato un prigioniero con addosso una strana maschera di ferro, sapendo che un tale ordine non era consueto e di non aver mai dato un ordine simile, mi fu facile conoscere la storia del prigioniero che aveva stranissime coincidenze e l’artefice di quell’ordine, lo presi e lo feci torturare, scoprii una congiura ai miei danni per uccidermi e mettere al mio posto Filippo ma che al suo rifiuto lo avevano rinchiuso in una dura prigione, lo hanno torturato e portato fino all’orlo della morte  erano ormai passati parecchi anni da quando iniziai le ricerche, presi quell’uomo e lo torturai di più per sapere dove avesse dato ordine che lo spostassero e dove fosse la chiave di quella maschera, lui rise beffardo dicendo che ormai mio fratello era morto di fame e di stenti in un posto a circa 20 miglia da qui e che avevo sempre avuto in mano la chiave della sua liberazione, mandai subito i miei moschettieri a cercarlo ma trovai il luogo vuoto, lo feci cercare ancora per il bosco e detti ordine a tutti di segnalare un individuo con una maschera di ferro addosso di prenderlo in consegna e di trattarlo bene… la  storia poi la sai”

“Capisco, ma non era necessario dirmi tutto.”

“Invece si, so benissimo chi sei, so che oltre al tuo lavoro nei ricoveri aiuti anche delle donne a partorire e sei abbastanza famosa tra le nobildonne che vogliono mettere al mondo figli con discrezione, ho saputo che dai loro decotti per alleviare i dolori e drenare il sangue, oltre al fatto che tieni la bocca chiusa in tutto, qualsiasi donna uomo, ha la certezza di venire da te ed essere curato gratis e con la garanzia che niente verrà fatto trapelare.”

“Mi lusingate sire”

“Certe ostetriche a cui hai rubato il lavoro dicono che sei una strega”

“Soffro di vertigini, non riuscirei mai a volare su una scopa e posso ancora indossare il bianco in chiesa.”

“Capisco benissimo, tuttavia fai lavori più adatti ad una sposata che ad una nubile”

“Mi piace aiutare sire”disse semplicemente Marie che si affrettò ad aggiungere

“Posso chiedere una cosa sire?”

“Di pure”

“Non potreste far portare qualche abito per il principe?”

“Principe?” poi ricordandosi “Ma certo”

“Grazie”

Il re se ne andò e Marie venne lasciata sola con il paziente, per prima cosa si preoccupò di scoprire l’uomo, si sedette e tirò fuori di tasca una scatolina che conteneva un decotto, cominciò a spalmarlo sulle braccia sul collo e sul viso dell’uomo,  la cui pelle iniziava a farsi calda al tocco, poi vi stese sopra dei panni di lino ed estrasse una fiala dalla sua borsa, la posò sul mobile mentre  metteva dietro la schiena del ferito altri cuscini e lo forzò a bere da una fiala quello avrebbe sostenuto il cuore nelle ore a venire, lo ricoprì e si decise ad aspettare, le ore passarono quiete, senza grandi scosse, Marie non perdeva di vista il ferito, ora cambiandogli le medicazioni ora rinfrescandogli la fronte che era molto calda, la mattina si trasformò in pomeriggio ed un sommesso bussare alla porta distolse la ragazza dai suoi pensieri, una bambina con il vassoio per il pranzo e delle camicie pulite e profumate, questo piccolo episodio diede modo a Marie di notare una cosa: il letto del ferito era in piena vista, se fosse entrato qualcuno lo avrebbe notato subito, ma la sua presenza doveva essere mantenuta segreta, subito sistemò due dei tre paraventi attorno alla parte del letto visibile dalla porta. Mangiò in fretta e si risolse ancora ad aspettare che la febbre scemasse, passavano le ore, i rivoli di sudore scendevano dalla fronte, Marie instancabile lo rinfrescava, le ore non passavano mai, ma arrivò sera e la situazione iniziava a migliorare aldilà anche delle più rosee aspettative della ragazza, verso le nove di sera la situazione era risolta, ora occorreva solo moltissimo riposo, non meno di una quindicina di giorni e del buon cibo.

La porta si aprì piano, Marie più che mai sollevata si alzò oltrepassò i paraventi e con le mani elegantemente arricciate per sollevare di poco le vesti si inginocchiò.

“Perché questi paraventi?”

“Ho pensato che se la sua presenza va mantenuta segreta sarebbe”

“Basta così, hai ragione, e mi compiaccio che tu esegua i miei ordini prima ancora che io li pensi”

“Siete troppo gentile maestà”

“io non sono mai troppo, dico sempre il giusto”

“in tal caso, vi ringrazio e mi scuso se vi ho offeso, non era mia intenzione”

“Come sta?”

La ragazza sorrise: “Bene maestà, è del tutto fuori pericolo, gli occorre solo molto riposo.”

Il re sorrise e toccò la fronte del fratello, si lasciò scappare un sospiro di sollievo quando vide che non vi era più traccia di febbre.

“Posso provare a svegliarlo, sire”

“Si, sarebbe bello. Anzi fate portare anche qualche cosa da mangiare.”

La ragazza si avvicinò e presolo delicatamente per una spalla lo scosse leggermente:

“Svegliatevi, c’è qualcuno che vuole parlare con voi”

Gli occhi dell’uomo si aprirono piano, Marie vede il re trasalire alla loro vista, erano occhi stanchi e impauriti:

“Dove sono?” ad uno sguardo del re Marie uscì.

“Sei al sicuro, in un castello vicino a plessy in normandia

“Di chi sono prigioniero?”

Il suo interlocutore fece una faccia corrucciata “Di nessuno, sei un uomo libero”

“Dunque re luigi mi ha graziato?”

“Re luigi ti deve la vita, senza la tua strenua resistenza ora non avrei più un trono su cui sedermi”

A Filippo fu chiaro solo in quel momento che la persona che gli stava davanti era il re e quasi tentò di buttarsi dal letto per avere l’onore di inginocchiarsi ai suoi piedi

“Stai giù tranquillo, si parlerà poi

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Capitolo 2
*** ordalia ***


Ecco il secondo capitolo, ,grazie a chi ha recensito e chi ha letto, ho paura che ordalia sia impropria…

Ecco il secondo capitolo, ho paura che ordalia sia impropria…

L’ispirazione per la parte centrale del testo mi è venuta dal film Moll Flanders, anyway siate clementi!!!!!

 

 

Ma…” fece per chiedere Filippo alzandosi di poco dal letto.

 “Stai giù tranquillo, si parlerà poi”

Marie entrò in quel momento: “Lei è Marie, ti ha salvato la vita e si è presa cura di te.”

La ragazza fece una riverenza leggera ed elegante e sorridendo aggiunse: “Siete troppo gentile, voi siete fatto di un ottima pasta”

“Cerca di dormire un po’, domani parleremo ancora”

L’uomo annuì, e il re fece con gli occhi un tacito segnale alla ragazza che uscì seguendolo.

Appena chiusa la porta:

“Sua maestà non vuole che dica niente a suo fratello della sua attuale situazione.”non era una domanda ma una semplice affermazione

“Certo, Marie mi stupisci ogni volta…”

“E’ mio dovere compiacere il mio re e anticipare ove possibile i suoi desideri” per quanto ostentate potessero essere quelle parole, lo sguardo della ragazza non dava adito a dubbi, era un affermazione volta a sottolineare la differenza abissale di ceto che esisteva fra i due, tra chi comandava e chi obbediva niente di più 

“Torna al tuo assistito. Verrò domani mattina.”

Fece per andarsene ma si ricordò di una cosa: “Marie, tienti pronta per sta notte, qualunque cosa ti succeda sappi che non è in pericolo ne la tua vita ne il tuo onore, se come dici la tua virtù è intatta, altrimenti avrai di che temere, sarai comunque qui domattina e mi informerai delle condizioni di mio fratello, capirò dal tuo abito.” Detto questo uscì lasciando sgomenta Marie rientrando con le gambe tremanti in camera, aveva paura, non  per la sua virtù, sapeva di essere intatta, cosa le avrebbero fatto? Il tono e la faccia del re era poco rassicurante, con quel ghigno sembrava un gatto in procinto di agguantare un topo aveva una paura folle ma questo si disse non doveva impattare sulle cure che doveva al ferito.

Rientrò e vide gli occhi dell’uomo guardarla, se al re erano sembrati coraggiosi a lei sembravano solo incuriositi di vederla, ma erano occhi talmente belli, azzurri contornati da una sottile linea blu tra l’iride e il bianco, e il viso, incorniciato da quei folti capelli era pallidissimo, ma dai lineamenti talmente regolari e attraenti che nessuna donna sarebbe rimasta insensibile. Si avvicinò e cambiò la pezza che gli teneva sulla fronte con una più fresca, teneva gli occhi bassi intimorita da quello che poteva vedere, finì di tergergli la fronte e il collo e poi si risedette:

“Grazie” era la voce dell’uomo, debole, ma comunque chiaramente percepibile.

Quasi non rendendosi conto, Marie sollevò lo sguardo e sorrise mestamente: “Dovere. Ma non ho fatto niente.”

“Mi avete salvato la vita”

“Non sono stata io, ma è stato chi vi ha trovato e vi ha portato qui velocemente, ora dovete solo riposare e guarire

“Io ricordo voi comunque” poi aggiunse “Mi chiamo Filippo

“Solo Filippo?” chiese la ragazza

“Solo Filippo. Non è un bel nome ma è il mio”

“No, anzi trovo che sia bello, mi domandavo solo se non avete un cognome o un titolo”

“No, vi dispiace?” l’uomo la guardò di sottecchi, ma la vide rilassarsi contro lo schienale della poltrona e sorridere ancor di più ed era tanto tempo che non vedeva una donna sorridere.

“Al contrario, questo mi mette a mio agio.”

“Bene, da dove venite?”

“Sono nata e cresciuta in queste campagne, mi chiamo Marie

Non parlarono molto i pensieri di marie erano concentrati su quello che le sarebbe accaduto di lì a poco, filippo si era addormentato vinto dall’emozione. Per quanto si sforzasse, la ragazza non poteva staccare gli occhi da quell’uomo, il suo viso l’aveva colpita, come la vista del suo corpo, si domandò quante sofferenze avesse mai dovuto subire, aveva visto cicatrici sulla schiena, tagli, graffi e lividi, ma quanto le sarebbe piaciuto che fosse un uomo del popolo, un uomo verso cui indirizzare i suoi pensieri, con onore e senza paura di incorrere nell’ira, ma lui era di un'altra razza, dei vertici di un'altra razza, un fratello di re e i soli sentimenti a cui lei aveva diritto di aspirare erano di rispetto e di devozione nulla più, se fosse sopravvissuta alla notte che si preparava giurò che se mai avesse avuto bisogno lei sarebbe corsa in suo soccorso ne andasse della sua vita e non avrebbe mai chiesto nulla in cambio.

La porta si aprì silenziosamente, marie pensò che il cuore cessasse di batterle in petto, si alzò, comparve Ughette, che fermandosi al lato della porta, le disse tacitamente di camminare davanti a lei. Con qualche incertezza scese le scale, l’aria era fredda, o forse era la paura a farla sembrare tale, fuori un manto nero copriva tutto celando le campagne alla vista di chi quella sera era sveglio, la ragazza sentiva un ansia crescente percorrendo i corridoi, in attesa che il suo destino si compisse, scesero nei sotterranei, ed entrarono,  in quella stanza  vi erano altre quattro donne, tutte anziane e tutte con un aria di alterigia che non prometteva niente di buono:

“Spogliati e sdraiati lì” disse Ughette indicando un tavolo

“Come?” chiese Marie

“Hai sentito, fai alla svelta e non fare storie.”

“Ma madame.”

“Non voglio sentire storie, ho detto.” Urlò e la ragazza intimorita lo fece, rimase in sottoveste, pregando in cuor suo di non doversi esporre più di così.

Ora sdraiati, non fare scherzi.”

Marie già sull’orlo delle lacrime lo fece, erano tutte donne non avrebbe avuto niente da temere, ma c’era in gioco la sua vita, tutte le donne uscirono tranne ughette ed un'altra, l’altra signora si avvicinò e le allargò le gambe:

“Che sta facendo?” nessuna risposta, la signora guardò fra le sue gambe per un tempo che a marie sembrò interminabile, tremava di vergogna, quella parte era sempre rimasta privata, tentò di non pensare, aveva troppa paura, ed era impietrita, ora che cosa le avrebbero fatto?

Dopo un secolo, o così almeno sembrò a Marie la donna finalmente si tirò via da quella posizione e si volse verso ughette:

“Allora?”

La signora con un sorriso sommesso annuì e richiuse le gambe della ragazza, che quasi stava per svenire:

“Su Marie” disse Ughette con un tono di voce dolce “puoi alzarti ora

Stupita da un tale cambiamento di tono e di comportamento la ragazza si alzò e prese i suoi vestiti:

“No, mettiti questo e seguimi” le disse l’altra donna porgendole un mantello bianco che aveva preso da uno scaffale su cui ben piegato ce n’era anche uno nero, se lo mise sulle spalle mentre la signora glielo drappeggiava elegantemente anche sulla testa. Uscirono dalla porta, e ripresero a salire, camminarono ancora, finchè non entrarono in un'altra stanza, sta volta molto più elegante ed in cui era stato acceso un bel fuoco.

“Spogliati pure quel mantello. Non avere più paura, è finito tutto.” Disse ughette circondandole le spalle con un braccio tentando di farle passare lo spavento, e conducendola dietro un paravento, in cui c’era una vasca da bagno piena di acqua calda.

La fece entrare nell’acqua calda e le tolse anche la sottoveste, Marie si rese conto solo allora di quanto era stanca e l’acqua calda la cullò piacevolmente in un tranquillo dormiveglia, Ughette nel frattempo versava essenze nell’acqua, le sciolse la crocchia, che portava alla sommità del capo e prese a pettinarle i lunghi capelli poi la aiutò ad uscire dalla vasca.

“Marie indossa questi, per cortesia.” Le disse

Ma ci deve essere un errore, è troppo elegante.”

“Nessun errore è qui apposta per te”

“Non riesco a capirne il motivo”

“Non devi capirlo, devi solo metterle” la ragazza annuì e la signora la aiutò anche questa volta, le fece indossare le mutande, che Marie non aveva mai indossato, e il panno che a quei tempi si soleva mettere attorno al petto, il tessuto era morbido e caldo, di un tiepido color panna,  poi venne il turno del corsetto, stretto per mezzo di lacci dietro la schiena, la sottoveste inamidata.

“Che state facendo?” disse.

“Non fare domande e non portene, tra un ora sarai di nuovo nella stanza che hai lasciato, a prenderti cura del tuo paziente, chiunque sia, ma lascia che ti dica una cosa, non chiedermi di spiegarla, però, capirai quando ne avrai l’occasione: non cedere mai senza un anello al dito.”

Marie rise e riacquistò tutta la sua sicurezza:

“Signora, lo so, sono vergine, ma non stupida. Crede che non sappia le implicazioni, crede che non sappia del rischio a cui vado in contro, sono un anomalia nel mio campo come ben sa, ho visto molte ragazze più giovani di me rovinate da nobilotti di campagna, costrette a lasciare i propri figli alla ruota, il tutto solo perché i signori volevano essere sicuri di non ammalarsi, ho pregato tante volte di non fare quella fine, fin ora il signore mi ha ascoltato, ma cosa mi riserberà il futuro?”

“Dipende da te.” Sospirò Ughette, meravigliandosi di quanto quella misera ragazza avesse chiara in mente la cosa.

“Non del tutto, che potere ha una contadina? Posso pregare, ma il resistere ad un uomo che ha potere comporta sempre delle conseguenze.”  

“Hai ragione.” Convenne la donna mentre si avvicinava all’armadio lo aprì, ne tirò fuori una veste azzurra con delicati pizzi, la aiutò a metterla, era di una scomodità infinita, ma guardandosi allo specchio, non potè che essere soddisfatta di quell’immagine.

Uscì ed era mattina, presto Filippo si sarebbe svegliato e avrebbe dovuto mangiare, stando attenta a non farsi scorgere da nessuno percorse silenziosa i corridoi e rientrò in camera del suo protetto.

Un vassoio con del cibo era già stato preparato lì, lei lo portò nelle vicinanze del letto e si risolse ad aspettare per l’ennesima volta, la sua particolare professione lo esigeva e a lei non era mai pesato, ma i suoi pensieri e il suo lavoro erano inevitabilmente disturbate dal senso di profonda inesattezza della situazione, non si era, ne si era potuta dimenticare dello sguardo del re, era esattamente lo sguardo che ha di solito un predatore quando sa che la sua preda non ha più scampo. Si alzò e andò alla finestra, per riflettere e per godere del primo sole mattutino che elargiva con generosità il calore dei suoi raggi

“Chi siete?” domandò la voce del suo protetto.

“Sono solo io, Marie.”

“Marie, come siete bella,

“Vi prego ad un umile contadina non date del voi.”

“Sei bellissima Marie.”si corresse

“E voi siete un adulatore, ma vi ringrazio. Prego il vostro cibo, ce la fate a mangiare da solo?

“Certo, non ti preoccupare. Ma tu?”

“Ho già mangiato, non vi tormentate per me.” si sedette placidamente di nuovo, osservò Filippo bere un goccio di brodo dalla tazza e mordere un pezzo di pane, sebbene fosse un azione semplice e classica, la ragazza scorse quasi delle lacrime a fior di occhi, da parte di chi gli stava davanti, vide l’operazione ripetersi più volte, con calma; il sorriso le ornò il volto, la felicità la spinse a cantare sommessamente tra se e se, non muovendo la bocca, ma semplicemente emettendo un suono più o meno regolare. Filippo distolse gli occhi dal piatto e li spalancò:

“Perché, non canti ad alta voce? Mi farebbe tanto piacere, sempre se ti va

La ragazza sorrise e con la voce più bella che potesse sfoggiare cantò, la melodia si sparse nell’aria, la donna guardava fuori dalla finestra, ma in lei si rinnovava il voto di fedeltà che aveva fatto la sera prima, non avrebbe mai potuto andare oltre, anche se lo avrebbe davvero desiderato. Si voltò e vide che il sonno lo aveva preso, la stanchezza lo aveva sopraffatto e il suo corpo sebbene tanto forte da superare quelle settimane di stenti era ancora i

via di guarigione

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Capitolo 3
*** incontri e progetti di incontri ***


Eccomi ancora a stressare con un nuovo capitolo, spero vi piaccia, ringrazio le persone che hanno inserito la mia storia fra i seguiti e le preferiti, spero che questo capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative, spero d’ora in poi di riuscire ad a

Eccomi ancora a stressare con un nuovo capitolo, spero vi piaccia, ringrazio le persone che hanno inserito la mia storia fra i seguiti e le preferiti, spero che questo capitolo sia all’altezza delle vostre aspettative, spero d’ora in poi di riuscire ad aggiornare più frequentemente visto che ho finito gli esami J!!!

:-D eccovi il nuovo capitolo vi prego ditemi che ne pensate, sono curiosa anche di sentire critiche e suggerimenti, non si migliorerebbe mai senza quelli, buona lettura e fatemi sapere!!

 

La porta si aprì con un leggero click metallico, non era necessario sapere chi era, Marie si alzò dalla poltrona e dopo aver gettato uno sguardo  al suo assistito si inchinò, aveva notato che stranamente il re non arrivava mai con il ricco seguito, e fu così anche questa volta, le passò davanti senza guardarla per andare a fianco del letto di Filippo gli toccò la fronte e dopo aver constatato l’assenza di febbre, rivolse la sua attenzione alla ragazza:

“Ebbene Marie, mai avrei immaginato di trovarti abbigliata in tal modo.”

“Eppure sire dovevate pur aver previsto tale evenienza se avevate fatto preparare questi abiti.”

“Avevo chiesto ad Ughette di preparare qualcosa nel caso in cui avessi superato l’esame, ci speravo in realtà…” a quelle parole la ragazza alzò lo sguardo e lo fissò dritto negli occhi, il re sentì una stilettata trafiggerlo e si sentì in dovere di precisare: “Ordinando a quelle quattro arpie di non sottoporti all’esame, ti avrebbero tolto di mezzo in qualche modo, voi donne ne sapete una più del diavolo in queste cose, ti avrebbero fatto passare per una strega e sarebbe stata la tua fine. Con cinque minuti di paura ti sei guadagnata il diritto di assistere lui e delle alleate, la verginità è un bene prezioso più dell’oro in certi ambienti. Alzati, mi secca abbassare lo sguardo per parlare con te. La ragazza riabbassò lo sguardo e si alzò,

“Da come mi aveva descritto la situazione Ughette, sembrava dovesse morire da un momento all’altro, hai fatto davvero un buon lavoro

“Grazie per la vostra gentilezza” sussurrò Marie quasi arrossendo

“Non ti rendi conto di quale immenso servizio mi hai fatto, se fosse morto non me lo sarei perdonato per il resto della vita e la regina non lo avrebbe fatto mai

“Non è stata colpa vostra, non avete scelto voi di essere re, ne tantomeno di avere un fratello.”

Un leggero colpo di tosse fece interrompere la conversazione:

“Marie…” ad un lieve cenno del re la ragazza si avvicinò, “Ben svegliato, dormito bene?”

Filippo annuì con un sorriso: “C’è qui qualcuno per voi” a quelle parole, subito l’uomo tentò di mettersi seduto, ma le sue braccia, deboli e ferite, non erano di molto aiuto, la giovane gli circondò le spalle e lo tirò su sostenendolo con due cuscini, poi si riavvicinò al re che le disse: “Esci, voglio parlargli da solo.” Con una riverenza la ragazza uscì e scese in cucina, erano circa dodici ore che non consumava un pasto decente e la fame cominciava a farsi sentire, salì pochissimo tempo dopo con qualche boccone nello stomaco, dovette aspettare ancora tranquillamente, appoggiata al muro accanto alla porta della camera.

Dopo un tempo interminabile, la porta si aprì, ne uscì il re: “Vieni” le disse “Parliamo, un po’

“Certo sire” camminando un passo dietro al re la ragazza percorse gli eleganti corridoi con timore; passo dopo passo, osservando l’eleganza di quella bellissima dimora, gli stucchi, i fregi dorati con balze di nastri e fiori fantasiosi, Marie non potè astenersi dal pensare all’ingiustizia che si stava consumando, da una parte il re in questa specie di paradiso dorato, dall’altra la gente comune costretta a vivere in casupole con il tetto di paglia, quante volte aveva portato latte a madri che non ne avevano per i loro figli, come la avevano colpita quelle magre figure di donne, con una frotta di bambini al seguito che chiedevano cibo attaccati alla loro gonna, in quelle penose scene lei non vedeva dei bambini, ma solo vampiri aggrappati all’unica persona che si occupava di loro, ma come poteva dare torto anche a loro? Quando la fame si faceva sentire, ben poche cose contano, ed ora vedere tutta questa eleganza, i sorrisini delle dame fasciate in abiti damascati, le faceva ribollire il sangue nelle vene e i suoi occhi avrebbero incenerito se non li avesse tenuti rigorosamente incollati al pavimento.

Erano arrivati nel frattempo nei pressi di una sala il re entrò e si sedette su una delle poltrone facendo segno anche a Marie di farlo, la ragazza si accomodò e poggiò le mani con deferenza sui braccioli:

“Da quello che hai visto, che ne pensi della mia umile dimora?”

“Penso che definirla umile è un azzardo, in più  pensavo non fosse questo l’argomento della conversazione.”

“Hai ragione, era mia intenzione condurre la corte in una battuta di caccia al cervo, che ne pensi?”

“Penso che sebbene mi dispiaccia per quel povero cervo, ne ricaverei una certa utilità.”

“Questa volta la tua naturale perspicacia non ti aiuta…

“Al contrario, potrei approfittarne per far uscire vostro fratello, e ne ricaverebbe una certa utilità la regina vostra madre se riusciste a persuaderla a rimanere.”

“Centro, come al solito… la farò rimanere, potrà parlare con lui con calma.” L’uomo parve riflettere per poco poi:

“Voglio ricompensarti Marie.”

“Sua maestà sa che non chiedo compensi.”

“Questo non potrai rifiutarlo, voglio assegnarti un maestro, voglio che tu sappia leggere e scrivere

“Sua maestà arriva tardi, so già fare tutto questo.”

Il re si aggrappò ai braccioli della sedia e fu Marie che si sentì in dovere questa volta di fornire precisazioni: “Il mio mestiere come sa è molto delicato, se non sapessi scrivere e leggere non riuscirei ad identificare facilmente tutte le erbe, la maggior parte dei miei colleghi dice di riuscirci con l’olfatto o con segni sulle bottiglie, ma trovo la scrittura più comoda e molto più versatile.”

“Bene, allora dovrò pensare a qualcosa d’altro per te.”

“Oltre a questi vestiti?”

“Questi non sono un regalo, non mi piace avere straccioni attorno a me, ed anzi ti manderò Ughette per farti fare un bel bagno, poi lo farai fare anche a Filippo, capisco che le dame, ad eccezione della mia adorata, non vogliano lavarsi per paura dei malanni, ma mi aspetto che tu non dia credito a certe credenze.” Marie si chiese chi mai fosse la adorata del re, ma non erano affari suoi

“Naturalmente, sire, appunto volevo chiederle se verso sera potevo far portare una tinozza con dell’acqua calda in camera di vostro fratello.”

“Ma certo… puoi andare ora, ho dovuto dirgli tutto, non so in che stato lo troverai

Marie uscì e attraversò i corridoi, quasi in modo affannoso, qualcosa le diceva di essere la nel più breve tempo possibile, inciampò nell’elegante gonna di alcune signore, ma non se ne avvide, sebbene il loro sguardo, di fronte ad una simile mancanza di rispetto volesse disintegrarla.

Arrivò alla porta ed entrò, qualcuno si era premunito di posare sul tavolino vicino alla porta un vassoio con po’ di cibo, la ragazza lo sollevò e lo portò dietro i paraventi.

“Ciao Marie” disse Filippo sorridendo “Salve, come state?”

“Molto bene” lo sguardo del giovane non la sorprese più di tanto, era scosso, meno di quello che si aspettava in realtà ma c’era qualcos’altro una sorta di forte sentimento, imbrigliato e incatenato, celato in fondo all’animo, il cui unico punto di sfogo erano gli occhi: “Che avete?” “Assolutamente niente, perchè?”

“Non siete bravo a mentire” disse la ragazza con un sorriso

“Cosa ti fa pensare che menta?”

“I vostri occhi, si vede che avete qualcosa che vi rode e morite dalla voglia di dirmelo  ma avete paura, mi sbaglio?”

“Ma che vai a pensare?” disse l’altro visibilmente alterato, facendo capire a Marie di avere fatto irrimediabilmente centro

“Aggiungerei anche che voi non volete darmi in mano armi da cui non sapreste come difendervi.”

“Qualcosa di simile, effettivamente.” Cedette, all’inevitabile verità

“Cosa potrei mai farvi? Sono solo una donna” disse lei con una punta di sarcarsmo

L’uomo capì al volo l’allusione e sorrise, distolgliendo lo sguardo:

“Comincia a far freddo, vi prendo un'altra coperta.”

“Non disturbarti, non sento freddo”

La voce di Ughette si fece sentire:

“Marie, è pronta l’acqua calda, si può entrare?”

“Certo, signora, grazie!”

Subito la donna entrò con dell’acqua e con dei panni bianchi, li posò vicino alla ragazza e attizzò il fuoco

“Il vino è qui.” disse la signora indicando un punto imprecisato della stanza e Filippo si chiese a che mai servisse del vino a una ragazza, così posata come sembrava essere Marie.

“Grazie. Non è che mi potrebbe fare un favore, già che mi viene in mente?

“Dimmi”

“Potrebbe far portare una brocca di latte? Sempre se per lei non è di disturbo.”

“Te la faccio portar su subito”

La donna uscì lasciandoli di nuovo soli, la ragazza non perse tempo, afferrò le coperte e le lenzuola che stavano sul letto e iniziò a ripiegarle su loro stesse, per scoprire il corpo del suo paziente.

“Se riuscite, tiratevi su, per favore”

Il giovane sebbene a fatica, riuscì a piegarsi di quel tanto da permettere alla ragazza di tirargli via la camicia che indossava, sapeva di avere addosso fasciature, ma non credeva così tante, a quanto pare era stato fortunato, molto fortunato; ma era alquanto imbarazzante pensare alle mani di quella giovane sul corpo, visto e considerato che l’unica donna della sua vita era stata una giunonica signora di circa una cinquantina d’anni che gli aveva fatto da nonna più che altro.

“Non sentitevi imbarazzato, vi prego, non è la prima volta che vi vedo nudo, ed ora dovrete stringere i denti, vi farò molto male.”

Dapprima l’uomo pensò che scherzasse, che fosse più che altro un’allusione maliziosa, ma si sbagliava di grosso, il vino sulle ferite bruciava e molto, sentiva fitte dolorose in corrispondenza delle lesioni e l’odore forte del vino nelle narici, dopo quello che sembrò un secolo, Filippo sentì la ragazza dirgli:

“Tutto finito ora passerò a lavarvi con dell’acqua calda, cercate di dormire, vi prego

Ma come fare a dormire con tutte le domande che gli ronzavano in testa, ma nel frattempo il panno caldo tra le mani della ragazza passava sulle ferite con delicatezza, rinfrescandole, chiuse gli occhi,  e per non indulgere in pensieri impuri immaginò fosse una vecchia piena di bozzi e bitorzoli, non l’angelo che continuava a vedere sotto le spoglie di quella mesta e umile ragazza che gli stava facendo tanto del bene.

La tortura finì presto, si sentì ricoprire con le coperte, aveva ancora gli occhi chiusi, sentì Marie che afferrava la sua mano, la sentì sedersi e spalmare sull’ estremità in questione, ferita per alcuni proiettili di striscio,  un qualcosa di fresco e di profumato che alleviava il dolore e rilassava, non si era mai sentito tanto bene in tutta la sua vita, tutti i problemi sembravano lontani, facevano parte di un altro mondo. Sentiva Marie cantare la stessa melodia di prima, mentre si affaccendava a sistemare le lenzuola

“Dormite, domani volevo portarvi fuori. Sempre se avete voglia”

Annuì semplicemente e scivolò definitivamente in un dolce torpore.

Il giorno dopo, il sole sembrava avere in serbo il più bello spettacolo mai visto fino ad allora da quelle parti, la luce che filtrava dalle finestre era variegata dall’ombra di bizzarre nubi bianche che si stagliavano verso l’orizzonte, l’alba tingeva tutto di rosa ed in quel castello, che di giorno era popolato da chiacchiere e da risate, regnava la calma, intervallata di tanto in tanto dal rumore di qualche uccello che cantava, i raggi del sole creavano strane figure sulle pareti di quella lussuosa dimora, dandole un che di artefatto,  come lo era tutto in quella casa, a cominciare dai comportamenti delle persone.

Marie uscì di prima mattina, sentendosi fresca e felice, come non lo era da tantissimo tempo, il giorno prima dopo aver curato il suo protetto ed averlo fatto addormentare era passata Ughette, che dopo quello che era successo la notte prima, sembrava intenzionata a diventare sua amica, nonostante tutto, l’aveva condotta di nuovo nella sala da bagno e l’aveva aiutata a lavarsi ed acconciarsi i capelli, raccontandole vari aneddoti della vita di corte, l’aveva poi assistita nel preparare tutto l’occorrente per l’uscita di Filippo. La regina diceva Ughette era particolarmente in ansia, all’idea dell’incontro con suo figlio la terrorizzava, si tormentava nel dubbio di essere una cattiva madre e che una volta faccia a faccia l’avrebbe incolpata di tutte le sofferenze patite, Marie le aveva risposto che da quello che aveva potuto intuire non ci sarebbe stata nessuna scena del genere, le due continuavano a discutere e si era fatta l’ora di cena e Marie si sedette con lui a parlare, non aveva mai avuto occasione di parlare con lui, ad eccezione delle poche battute che si erano scambiati la sera prima, scoprì con piacere che era un interlocutore arguto e sensibile, cosa che non si sarebbe detta di primo acchito, quando lo aveva trovato in quello stato pietoso quella notte in cui suo fratello l’aveva mandata a chiamare, quanto aveva voglia di rivederlo, il suo François, il primo uomo che l’aveva protetta e su cui aveva potuto fare affidamento anche quando da piccola si infilava nel suo letto perché aveva paura dei fulmini.

 

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Capitolo 4
*** non il capitolo 4 ma il capitolo 5 ***


OCIO CHE QUA VA PRIMA DEL BALLO…

Questo non è proprio il capitolo successivo, ma quello che viene dopo… ultimamente l’estro va a mancare, ma spero di poter completare la storia con il capitolo mancante e con la fine a breve… leggete e recensite!!!!

 

Marie andò ad aprire la porta, una bambina di circa nove o dieci anni le fece una goffa riverenza che la fece sorridere e le disse:

“La signora Ughette ha detto di farvi trovare pronta sta sera verso le sei.”

“Lo sarò, piccola, ora vieni qui” la bimba si fece avanti timorosa, quella signora assomigliava in tutto a quelle che più di una volta l’avevano fatta punire. Marie andò al tavolino vicino alla porta e dal cassetto estrasse un cartoccio bianco con dei dolci, e con un bel sorriso si inginocchiò davanti a quella piccina e glielo mise fra le mani, vide gli occhi della bambina allargarsi della taglia di due piattini e borbottare dei ringraziamenti, poi con un tono di finto rimprovero le disse:

“Ora vai, mi raccomando mangiali tutti tu e non farli vedere a nessuno”

A filippo la scena era piaciuta molto sebbene fosse ancora nell’altra stanza ed in teoria non sembrava essersi spostato ne dalla poltrona ne dal suo libro, si era accostato alla porta e si era stupito, non aveva mai visto sorridere marie in quel modo, il suo sorriso partiva dalla bocca ed arrivava agli occhi rendendoli stelle che ornavano il viso altrimenti sempre mesto. Voleva farla sorridere così, si trovò a desiderare di essere l’artefice del suo benessere, del benessere di quella ragazza, lo voleva con ogni fibra del suo animo.

La porta si schiuse con un sommesso click, subito l’oggetto dei suoi pensieri comparve:

“Vostro fratello sarà qui fra poco.”

“Conosci la storia di Inghilterra Marie?”

“No signore, perché dovrei?”

“Niente, un pensiero.” Filippo pensava che quella ragazza avesse molto in comune con Jane Seymour la terza e più amata moglie di Enrico VIII, colei il cui motto era “Paga di obbedire e di servire” le era davvero molto simile caratterialmente, quanto dissimile per quanto riguardava l’aspetto fisico, se la regina sembrava un giunco, pallido ed esile, il suo angelo somigliava più ad un giovane salice: il vento avrebbe potuto anche farne ondeggiare i rami, ma non si sarebbe mai spezzato.

“Vi aiuterò a fare il bagno, non appena se ne sarà andato sua maestà, la baronessa dovrà trovarvi bene sta sera. Vuole vedervi prima di cena o sbaglio?”

“Già” disse lui con tristezza, Simone era una donna colta e appassionata, ma ora non stava  pensando a lei, stava pensando a colei che si affaccendava attorno a lui, si trovò a pensare di poter portare con lui quella semplice creatura, ma ella sembrava non accorgersene ma ammettendo anche il contrario, di certo si sarebbe trovata di certo più a suo agio con François.

Nel frattempo marie stava riassettando le stanze, dandogli sempre le spalle, per non far vedere il dolore che le sgorgava dagli occhi fino alle guance, ogni pensiero ch’ella rivolgeva al suo protetto ed alla baronessa le provocava un doloroso fastidio e aveva paura di continuare a pensare in quel modo, ne avrebbe solo ricevuto guai.

La porta si aprì silenziosamente, e mai nella vita Marie fu più felice di sentire quelle  parole:

“Lasciaci soli, io e mio fratello dobbiamo parlare, ho degli ordini per te, non ti preoccupare di niente.”

Con una profonda riverenza marie uscì dalle stanze diventate a lei così familiari.

“Fratello, stai comodo...” disse luigi sorridendo, per raggiungere suo fratello in una delle due poltrone vicino al fuoco

“voi mi onorate sire”

“Ti ho detto anche di darmi del tu quando siamo in privato, ma veniamo alle questioni importanti, il ballo.”

“Volevo chiedere se potevate…potevi dispensarmi dal venire al ballo sta sera, non mi sento molto bene.”

“Non ti credo, tu verrai senza fare storie, come un bravo fratellino, ma non posso permetterti di venirci con la baronessa Simone.”

“Cosa?”

“Ragiona filippo, lei è promessa al cugino dell’imperatore Leopoldo, sarebbe uno scandalo.” Luigi era sulla difensiva, non conosceva tanto a fondo suo fratello, contava sul suo potere per fargli eseguire degli ordini.” Inaspettatamente suo fratello rise, di cuore: “Bene, ma ho una condizione, voglio portare Marie”

“E’ tua! Ottima scelta se posso dire, chi oltre a lei si merita di più una serata di divertimento.”

“Lo so…”

“Non penso tu conosca la reale entità dei suoi servigi.” Tacque un minuto riflettendo su ciò che dire poi riprese “Non hai idea della quantità di ore che ti ha vegliato.”

“Tranne quelle che passava con François” disse il fratello con una punta di amarezza nella voce

“Ma è chiaro, una sorella avrà sempre tempo per suo fratello”

“Fratello?”

“François è fratello maggiore di Marie, che avevi pensato?”

Filippo arrossì pensando a quanto poteva essere stato stupido, ma ora una luce di speranza lo stava sopraffacendo, strappando un velo che da tempo si era calato sugli occhi.

“Le chiederò di farsi trovare in camera tua per le otto”

“No, vi prego, vorrei andarla a prendere io” rispose velocemente, come se fosse qualcosa di estremamente importante.

Luigi sorrise, annuendo, nell’irruenza di quel momento si era dimenticato di dargli del tu, ma apprezzava quella sua spontaneità; in un viso così simile al suo questo appariva come un vago ricordo di ciò che avrebbe potuto essere, se le circostanze e gli eventi lo avessero fatto nascere povero.

“Come la vuoi vestita?” visto e considerato che era lui il pezzo forte della serata,

“Come vuole lei, purchè le piaccia e si trovi a suo agio” fu la semplice risposta

“Così sarà allora, ma non lamentarti se ti metterà in imbarazzo”

“Non sarò mai in imbarazzo con lei a fianco.”

Con un lieve cenno di assenso da parte di un fratello e con un profondo inchino da parte dell’altro si  terminò la conversazione.

Marie nel frattempo era stata avvicinata da ughette e ora si stava recando con lei nella camera assegnatale, entrò piano e chiuse la porta:

“Spogliati e fatti un bel bagno, te lo meriti”

 “Non merito niente signora, sto facendo solo il mio dovere.”

“Non fare storie, su entra nella tinozza e rilassati.”

Marie non se lo fece ripetere due volte, entrò e si lasciò piacevolmente andare tra il vapore di quell’acqua, da dietro il paravento Ughette stava rovistando in una cassa che la ragazza non aveva visto prima. “che colore preferisci?” le disse con una voce affaccendata…

“Il più scuro per piacere.”

“sei sicura? Quest’anno va di moda il rosa salmone a corte.”

“Non sono una nobildonna, non mi dovrò mai spostare dalla camera del principe, meglio un abito scuro, non si vedranno le macchie.”

“Penso che tu non abbia capito, tu sta sera andrai alla festa…”

“Vorrei proprio sapere chi me lo ordina, se non voglio andare non..”

“Il re te lo ordina, quindi tu andrai senza tante storie.”

“Magnifico” disse lei sarcastica

“comunque il vestito scuro te lo preparo, penso sarai una piacevole eccezione a quel branco di galline”

“Ughette!” disse Marie in tono di falso rimprovero “Parlare in quel modo delle loro grazie…”

“Alla regina non sono gradite, e nemmeno a me.”

“Ho l’onore di essere della stessa idea della regina.”

“Alla regina sei piaciuta, sai?”

“No, se devo dirla tutta non lo pensavo.”

“Mi diceva che le sarebbe piaciuto che tutte le dame usassero il tuo stesso contegno per parlare con lei.

“La mia stessa paura avrà voluto dire”

“Si in incerto qual modo. Su esci da quella vasca, asciugati e vieni qui”

La ragazza si alzò e sentì l’acqua scorrerle via dal corpo e un brivido freddo che le passava su per la schiena, s’appressò ad Ughette che la fece sedere, armeggiò per un tempo che sembrava eterno con i suoi capelli, intrecciandoli e bloccandoli con una poltiglia strana e anche se Marie si intendeva di poltiglie quella aveva un colore ed un profumo strano, la signora passò al viso, anche lì applicando delle sostanze che la ragazza si rifiutava di identificare, d’un tratto si sentì tirare la manica, la stessa bambina di poco prima veniva questa volta portando due scrigni di legno scuro, in uno vi era incisa una A mentre sull’altro era incisa una I, insieme a questi vi era anche un pezzo di carta scritto fittamente in corsivo, la ragazza ringraziò la piccola con una carezza ed un sorriso scusandosi di non avere dolci con lei in quel momento, ed ella con un sorriso se ne andò via.

Il biglietto era piuttosto piccolo, scritto da una sola parte mentre dall’altra aveva solo una grande I il testo era il seguente:

Marie,

questa è l’ultima prova che voglio fare per provare la tua sincerità,

se sai davvero leggere per te non sarà un problema,

sappi che la scatola che devi aprire è quella su cui è incisa l’iniziale

del nome di mia madre, oltre che l’iniziale del suo paese natale.

Se non sapessi leggere sicuramente sceglieresti quello con la I

Visto che è l’unico segno riconoscibile sul foglio.

Aperta la scatola troverai un altro coperchio questa volta con

Tre rotelle con dei numeri girale finchè non comparirà la data della mia

Nascita divisa per il numero di persone della mia famiglia nate in quell’

Anno, la scatola poi si aprirà automaticamente.

Brucia l’altra o avrai una brutta sorpresa.

                                                                                  Luigi

“Scusi signora, mi potrebbe dire il nome della regina e l’anno di nascita del re?”

“Certo, la regina si chiama Anna d’Austria, l’anno di nascita del re è il 1638”

“E’ nato qualcun altro oltre a lui?”

“Nessun’altro, perché lo vuoi sapere?”

“Per aprire la scatola”

“ce ne sono due Marie quale scegli?”

“Quella con la A è scritto sul foglio, ha finito con me?”

“Certo, e devo dire che mi sono superata questa volta, sei molto bella.”

“Bene” Marie prese la scatola con incisa la I, si alzò e ancora in biancheria, si avvicinò al camino, mise la scatola fra le fiamme, poi tornò indietro e si risedette.

Aprì il coperchio della scatola con la A e girò le rotelle componendo il numero 819 subito, un sonoro click fece aprire una fessura nella scatola, aprendola ancora un po’ la ragazza potè vedere cosa conteneva lo scrigno, ma per la prima volta, si trovò senza parole, guardò meravigliata il contenuto della scatola, all’interno fra bagliori blu vi erano i gioielli più belli che la ragazza avesse mai visto, rimase estasiata a guardarli per un momento prima di notare che sotto di essi vi era un altro biglietto:

Questa volta sapevo non mi avresti deluso

Indossali sta sera

Anche Ughette era rimasta incantata davanti allo spettacolo di quei gioielli:

“Sono della regina, devono essere un regalo del cardinale Mazzarino se non mi ricordo male, in occasione delle nozze”

“Sono bellissimi…” riuscì solo a dire Marie

“Vieni qua, ti aiuto” la ragazza s’appressò alla dama per permetterle di aiutarla con l’abito e i gioielli “Ho finito, guardati un po’ allo specchio…”

Marie si girò verso lo specchio e spalancò gli occhi, mentre la bianca signora riflessa nello  specchio la ricambiava, con quel vestito quasi esclusivamente di un colore blu notte, ad eccezione del ricamo a fiori bianchi che partiva dal fianco sinistro ed arrivava fino alla spalla destra. 

La porta si aprì piano:

“Marie, ci sei?” la voce era per lei inconfondibile, e il cuore le fece immediatamente un salto in gola.

“Signore, avete bisogno di qualcosa?”

“No… sono qui per accompagnarti, o almeno sono qui per chiederti se gradiresti accompagnarmi alla festa sta sera.”

“Ne sarei onorata, signore.” Disse con un filo di voce, non credeva si potesse arrivare a quel livello di felicità, quegli occhi e quel viso tanto belli, che avevano attraversato tanto, ma che ora erano lì da lei, ancora inviolati, ancora spalancati a vedere un mondo per lui precluso per tanto tempo.

“Bene, allora, vogliamo andare?” disse Filippo, porgendo il braccio a Marie, quella piccola msta ragazza, il primo angelo del suo risveglio, Filippo si sarebbe mai dimenticato del suo sorriso dopo quel mare di dolore, quel sorriso e le sue parole che gli sussurravano che era tutto finito, era nervoso, come poteva un mortale porgere un braccio ad un angelo? Ma una leggera pressione al braccio lo fece accorgere che ora era ora di andare e con un sorriso si avviarono fuori dalla porta, per i corridoi, ognuno felice oltre misura della presenza dell’altro, senza esprimerlo, sempre rimanendo perfettamente composti.

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