Caro Amore,
sono dell'opinione che per capire dove si ha sbagliato bisogna analizzare il problema dal principio e quindi ora ti racconterò il principio del tuo errore.
Era il mio primo anno alla Shiratorizawa e l'unica cosa che volevo era passare i tre anni di scuola, avere una buona media, degli amici normali e infine entrare in una buona università. Insomma tre anni scolastici completamente normali e che ogni adolescente sogna. Tre anni da passare con gli amici, vecchi e nuovi, andare a feste organizzate dal classico figlio di papà che abita in una mega villa, passare le serate a bisbigliarsi segreti e ridere con complicità ogni volta che si rinvanga un ricordo allegro. Ma no, tu hai deciso che dopo nemmeno due mesi dovevi entrare in azione e rovinare i miei piani da classico film adolescenziale americano. Dopo due mesi di scuola hai deciso che la strada di Ushijima doveva incrociarsi con la mia. O viceversa, non ho idea di che cosa ti passasse per la testa ma di sicuro non avevi valide ragioni per farlo. Quindi ora eccomi qui a raccontarti quel maledetto giorno in cui hai deciso che io e Ushijima Wakatoshi ci saremmo dovuti parlare.
Come dicevo erano passati due mesi dall'inizio della scuola ed eravamo entrambi al primo anno...
Era un pomeriggio qualsiasi alla Shiratorizawa. Alcuni studenti erano nelle stanze dei loro dormitori immersi nello studio mentre altri erano impegnati nelle attività pomeridiane dei rispettivi club. Il sole stava andando a nascondersi dietro le montagne della prefettura di Miyagi segnalando che le attività dei club erano prossime al termine.
"Di nuovo."
Beh, forse non tutte le attività stavano giungendo al termine. Nel palazzetto adibito al club di pattinaggio, sulla pista ghiacciata, una ragazza indossava ancora i pattini, nelle orecchi teneva le cuffiette da cui usciva della musica dal ritmo lento e cadenzato. Il petto le si sollevava ad un ritmo abbastanza veloce, segno delle ore di allenamento a cui si era sottoposta.
"Di nuovo"
Erano le uniche parole che attraversavano la mente della ragazza in quel momento, nonostante il corpo stanco e affaticato le chiedesse di riposarsi.
"Yoshida-san muoviti a uscire dalla pista! Dobbiamo chiudere."
Mei Yoshida, dalla pista, alzò lo sguardo fino ad incontrare quello azzurro di Kimiko Hana, responsabile del terzo anno del club di pattinaggio della Shiratorizawa. Di fianco alla ragazza c'era Sayuri Kobayashi, membro del club del primo anno e amica della prima, che guardava Mei con uno sguardo seccato.
"Voi andate, ci penso io a chiudere."
Rispose la castana togliendosi le cuffiette per far capire di aver sentito nonostante la musica. In risposta Sayuri sbuffò in maniera esagerata e roteò gli occhi in modo teatrale. Gli occhi color caramello della ragazza più piccola guardarono prima il capitano della squadra di pattinaggio e poi la ragazza in pista scuotendo la testa seccata.
"Ah, ma quante arie. Puoi anche smettere di fare la finta perfezionista. Hai davvero intenzione di lasciarle la pista, Kimiko?"
Non era un mistero che Sayuri non sopportasse Mei. I motivi erano ignoti sia alla ragazza in questione che al resto della squadra, in fondo le due si conoscevano solo da un mese circa e Mei non aveva mai fatto nulla che potesse infastidire la ragazza. Ma d'altro canto non aveva nemmeno mai fatto tanti sforzi per farsi apprezzare da Sayuri quindi la castana ad ogni lezione continuava a manifestare il suo disprezzo nei confronti della ragazza e l'altra, con una scrollata di spalle, faceva finta di nulla e continuava il suo allenamento.
"Sayuri, non credo che la decisione di Yoshida possa rovinare la tua vita o quella di altri, quindi non vedo motivo per non lasciargliela."
La ragazza dai corti capelli neri si rigirò verso la pista dove Mei, con qualche spinta, si era portata vicino al bordo.
"Yoshida-san non sforzarti troppo e fai attenzione. Se vengo a sapere che sei finita in infermeria per qualsiasi tipo di infortunio scordati di avere la pista per allenamenti extra."
La castana annuì e con un sorriso riconoscente fece un breve inchino per ringraziare il capitano.
"D'accordo Kimiko Senpai. Grazie ancora."
Kimiko scrollò le spalle e appoggiò le chiavi del palazzetto sul tavolo di fianco alla pista e uscì accompagnata da Sayuri. Mei scivolò fino al centro della pista, indossò nuovamente le cuffie e fece partire nuovamente la traccia che aveva ascoltato fin troppe volte quel giorno. Si mise in posizione di partenza, un braccio allargato verso l'esterno e l'altro sollevato verso l'alto.
"Dal principio."
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Alla fine era riuscita a memorizzare la prima parte della sequenza su cui si stava allenando e non ne era soddisfatta a sufficienza. Sola, nello spogliatoio femminile, Mei si stava cambiando per potersi recare in mensa. A dirla tutta la ragazza avrebbe già potuto essere lì, ma da quando aveva messo piede fuori dalla pista si era presentato un enorme problema: le sue scarpe erano sparite.
"Dove diamine le ho lasciate?"
La ragazza aprì l'anta del suo armadietto più volte nella speranza che si materializzassero improvvisamente. Controllò sotto tutte le panchine, che erano addossate alla parete, e in ogni angolo della stanza. Ma delle scarpe della divisa scolastica non c'era traccia.
"Eppure erano qui!"
Pensò la ragazza cercando di aprire tutti gli armadietti che riusciva, nell'eventualità che qualche sua compagna di squadra le avesse erroneamente messe a posto. Ma niente. Le scarpe sembravano essersi volatilizzate. Si sedette su una panchina affianco al borsone e si passò una mano tra le ciocche di capelli castani rassegnata all'idea che avrebbe dovuto farsi il tragitto pista-dormitorio a piedi nudi. L'idea non la entusiasmava, ma vista la situazione attuale quella poteva essere la sua unica opzione. Afferrò il borsone e se lo mise in spalla dirigendosi verso l'uscita. Dopo essersi assicurata che le porte della pista fossero chiuse Mei prese un profondo respiro e si incamminò verso il dormitorio.
Non sarebbe stato impossibile arrivarci. Il fatto che fosse ormai sera era sicuramente positivo, altrimenti avrebbe dovuto camminare sul cemento reso incandescente dai raggi del sole estivo. O almeno, credeva sarebbe stato facile finché non arrivò in un punto in cui la strada asfaltata si interrompeva lasciando spazio ad un sentiero acciottolato.
"Oh, andiamo! Chi diamine ha progettato queste strade?"
La Shiratorizawa era decisamente uno degli istituti più maestosi della prefettura. In pochi potevano vantare edifici tanto imponenti come quelli della sua scuola e ci avrebbe scommesso qualsiasi cosa che fosse la scuola con più metratura calpestabile. Ma in quel momento Mei della maestosità, della vastità e dell'imponenza della sua scuola ne avrebbe fatto volentieri a meno. Purtroppo però, restare a lamentarsi non l'avrebbe magicamente teletrasportata nella sua stanza di dormitorio e quindi, dopo aver preso un respiro profondo, iniziò a camminare su quel sentiero acciottolato, mordendosi le labbra per non farsi sfuggire in alcun modo versetti di dolore.
"Perché fa così male?"
Borbottò tra sè e sè la ragazza saltellando tra la ghiaia e imprecando a bassa voce ogni volta che atterrava su qualche sassolino troppo appuntito. In qualsiasi altro momento avrebbe trovato lo scricchiolio del pietrisco rilassante, ma in quel momento le ricordava perennemente che, dopo quel passo, ne sarebbe seguito un altro e con quello avrebbe sentito nuovo dolore.
"Forse perché non hai le scarpe."
La voce che proveniva alle sue spalle la costrinse a girare il volto sorpresa. Avrebbe girato anche il corpo se ciò non avesse comportato muovere i piedi. Davanti a lei trovò un ragazzo che, a giudicare dalla sua costituzione, doveva essere non più grande di uno studente del secondo anno. Come lei indossava la classica divisa sportiva bianca-viola dell'Istituto, e il borsone che li pendeva sul fianco destro indicavano la sua appartenenza ad un qualche club sportivo. I capelli marroni oliva, sotto la luce dei lampioni, apparivano di una tonalità più chiara rispetto a quella in ombra e gli occhi di un profondo marrone erano fissi sui suoi piedi e Mei si sentì sprofondare per l'imbarazzo. Dal momento che il ragazzo aveva risposto alla sua domanda doveva probabilmente averla anche vista mentre cercava di avanzare nella ghiaia eseguendo falcate spropositamene ampie.
"Oh, grazie Capitan Ovvio. Non ne avevo idea!"
Si limitò a rispondere la ragazza in maniera sarcastica tornando poi a concentrarsi sul mare di sassolini infidi che si estendeva di fronte a lei e che le stava impedendo di tornare nella sua adorata stanza. Il ragazzo non si diede però per vinto e, seguendola, continuò a parlare
"Perché stai camminando così?"
Mei non si degnò nemmeno di guardarlo, la situazione era già abbastanza imbarazzante di per sè e le domande del ragazzo non l'aiutavano affatto, quindi l'ironia le era sembrato l'unico modo per alleggerire l'atmosfera.
"Mi esercito."
"Per cosa?"
"Per vincere la maratona dei carboni ardenti."
La castana non ebbe bisogno di vedere il volto dello sconosciuto per sapere che in quel momento la stesse guardando stralunato, come se avesse detto la cosa più ridicola che si potesse dire. Anche se ad essere onesti, la cosa non si allontanava molto dalla realtà. Ma quella volta Mei si stava sbagliando di grosso. Infatti se avesse anche solo guardato il volto squadrato del ragazzo con la coda dell'occhio vi avrebbe trovato la più seria delle espressioni.
"Non ne ho mai sentito parlare."
La pattinatrice, udendo il tono per nulla ironico, si fermò di colpo e alzò lo sguardo sul castano non certa di aver sentito correttamente, o cercando un qualche indizio che le facesse capire se si trattava di uno scherzo. L'espressione stoica del ragazzo non lasciava trapelare nessun emozione che non fosse curiosità per la suddetta corsa sui carboni ardenti e lei dovette trattenersi dal sospirare esasperata. Se prima la situazione non era imbarazzante ora sicuramente lo era diventata.
"Ovvio che no, non esiste."
"E allora perché cammini senza scarpe?"
Doveva ammetterlo, la perseveranza del ragazzo era ammirevole, ma parecchio scomoda considerata la sua situazione. Mentre atterrava con la punta di un piede su un sasso piatto Mei, forse stanca per l'allenamento o forse perchè provata dalla camminata a piedi nudi, si lasciò scappare la verità.
"Non le trovavo in spogliatoio."
l'altro alzò un sopracciglio leggermente accigliato e confuso, come la ragazza non fosse stata in grado di trovare le sue scarpe era qualcosa che trascendeva le sue abilità immaginative.
Tra i due calò il silenzio e la castana pensò che finalmente quella strana quanto imbarazzane conversazione poteva ritenersi conclusa. Contro ogni sua predizione però, la cosa non era lontanamente finita. Il ragazzo, con un paio di ampie falcate si posizionò davanti a lei per poi accovacciarsi a terra, rivolgendole le spalle.
Questa volta fu il turno di Mei di accigliarsi.
"Cosa stai facendo?"
Chiese la ragazza titubante e guardandosi intorno, nella speranza che nessuno stesse assistendo a quella bizzarra scena.
"Sali."
"Cosa?"
Chiese non tanto perchè non avesse capito le sue parole ma più perchè sperava di non aver capito le sue parole.
"Sulla schiena. Sali."
"Perché dovrei?"
"Così posso portarti al dormitorio e tu non dovresti farti male."
Fece un passo in avanti per dimostrare che in fondo non aveva bisogno del suo aiuto ma, proprio mentre stava per aprire bocca per parlare, dovette richiuderla subito per evitare di emettere un urletto di dolore dovuto all'aver calpestato un sassolino parecchio appuntito.
Quindi, dopo aver controllato per l'ennesima volta che non ci fosse nessuno nei paraggi, si rassegnò e in silenzio eseguì l'ordine del ragazzo. I primi momenti per Mei furono lunghissimi. Li passarono in silenzio, circondati dalla luce aranciata dei lampioni, lui con le mani a sorreggere le cosce della ragazza e lei con le braccia avvolte intorno al suo collo per non cadere. Decisamente non la situazione in cui aveva immaginato di ritrovarsi quando aveva lasciato il palazzetto poco prima.
"In teoria non dovrei accettare passaggi dagli sconosciuti."
Ancora una volta l'ironia le era sembrato il modo migliore per rendere meno imbarazzante la situazione.
"Ushijima Wakatoshi."
Fu la sua risposta secca ma esaustiva. Da quel poco che aveva incontrato il castano, Mei poteva già affermare con certezza che la loquacità non era una caratteristica di Ushijima Wakatoshi.
"Deduco sia il tuo nome."
Lui annuì semplicemente senza aggiungere altro
"E tu non dovresti dare passaggi agli sconosciuti."
Aggiunse ancora una volta la ragazza. Lo sguardo confuso del ragazzo le fece capire che cogliere l'ironia non rientrava nei suoi talenti e si limitò a sorvolare e rispondere alla sua stessa battuta
"Yoshida Mei. Ti stringerei la mano ma credo tu sia impegnato."
Calò nuovamente il silenzio che lei provò nuovamente l'impulso di riempire. Si chiese brevemente se anche Ushijima sentisse il suo stesso bisogno di coprire l'imbarazzo con le parole.
"Come mai hai il borsone?"
"Gioco a pallavolo."
Questa volta roteò gli occhi, ormai le risposte brevi del ragazzo avevano smesso di destabilizzarla. Sembrava quasi un botta e risposta. Non sapeva se fosse dovuto al fatto che il ragazzo fosse poco incline alla conversazione oppure al fatto che non volesse proprio parlare, ma al momento non aveva bisogno di una risposta.
"Ah, non so molto di questo sport ma qui sembrano andarne tutti pazzi."
Fu il semplice commento della ragazza. Non era una grande amante degli sport all'infuori del pattinaggio, ma non era certo un ignorante in materia, dal momento che suo cugino, ogni volta che aveva modo di andarla a trovare, la riempiva di informazioni sullo sport.
"E sei in squadra?"
"Si."
"E in che posizione giochi?"
In quel momento a Mei sembrò di aver detto la più grande delle idiozie, ma se la memoria non la ingannava suo cugino parlava spesso di posizioni varie occupate dai giocatori in base alle loro abilità.
"Opposto."
Ancora una volta la risposta fu semplice, coincisa e priva di qualsiasi intento di portare avanti la comunicazione. Più che darle fastidio la cosa la divertiva, soprattutto se considerava il fatto che il castano non sembrava per nulla infastidito mentre rispondeva.
"Vedo che sei anche un gran chiacchierone."
"Anche tu a quanto pare."
La pattinatrice si lasciò scappare una risata divertita. Non aveva idea se l'avesse detto con sincerità oppure con ironia, anche se era più propensa a credere alla prima opzione, ma la risposta l'aveva fatta sorridere indipendentemente.
"Uno dei due deve impegnarsi a non far sembrare la situazione più imbarazzante di quanto già sia."
Nel mentre che parlavano, o meglio, Mei bombardava il ragazzo di domande e Ushijima rispondeva diligentemente, i due erano quasi arrivati a destinazione
"Ora puoi anche mettermi giù, siamo vicini alla Sala Comune del dormitorio."
"No, potresti pestare qualcosa."
E a confermare il fatto che Ushijima fosse serio la presa sulle sue cosce non accennò ad allentarsi. Lei iniziò leggermente ad allarmarsi, non ci teneva ad essere vista in quelle condizioni, era solo il suo primo anno, la scuola era iniziata da soli due mesi e non voleva essere ricordata per il resto dei suoi tre anni alle superiori come "la ragazza che va in giro sulle spalle di uno sconosciuto"
"Sarò super attenta! Non pesterò nemmeno il pavimento!"
"È impossibile."
Se fino a qualche istante prima aveva pensato che la mancanza di ironia del castano fosse divertente, beh ora ritirava tutto. In quel momento era snervante. Rassegnata all'idea che il ragazzo non avrebbe cambiato idea tanto facilmente si limitò ad accettare il suo destino e sbuffò
"Certo che sei testardo tu, te lo hanno mai detto?"
"No."
"No, non è decisamente più divertente"
Varcata la soglia del dormitorio Mei fu sollevata dal fatto che gli studenti dovevano ancora essere in mensa a mangiare. Non fece in tempo a rilassarsi che da uno dei corridoi sbucarono due figure che indossavano la divisa femminile della Shiratorizawa. Spalancò gli occhi riconoscendo Sayuri. Con sua enorme sorpresa però, invece di rivolgerle la classica occhiataccia piena di astio la ragazza sorrise mentre l'altra, oltre a sorridere, agitò una mano in segno di saluto cinguettando un allegro
"Ciao Ushijima-san."
In quel momento la ragazza riordinò i pensieri e realizzò che quei sorrisi non erano rivolti a lei ma al ragazzo che si era offerto di darle un "passaggio".
Quando le due furono lontane dalla coppia Mei, divorata dalla curiosità, chiese
"Come mai ti conoscono?"
"L'hai detto tu. In questa scuola vanno tutti pazzi per la pallavolo."
La pattinatrice, ricordando le sue stesse parole, annuì comprensiva.
"E tu ne vai pazzo?"
"Ci gioco."
"Giusto, domanda stupida la mia."
Ormai l'imbarazzo era solo un lontano ricordo, le domande continuavano ad uscirle dalle labbra più per curiosità verso quello strano ragazzo privo di ironia. Mentre osservava le porte lucide laccate di vernice viola la ragazza pose l'ultima domanda di una lunga serie
"Ushijima-san, giusto?"
Interpretando il movimento della testa del ragazzo come un cenno d'assenso la ragazza proseguì
"Hai una vaga idea di quale sia la mia destinazione?"
"No, qual è ?"
Questa volta il ragazzo ruotò il collo per poterla guardare negli occhi e Mei, sorridendo, gli indicò con il pollice un punto imprecisato alle sue spalle
"Quattro porte fa. Non c'è problema, ora puoi mettermi giù comunque."
Ushijima parve esitare per qualche istante, come se stesse valutando quali danni avrebbe potuto subire la ragazza nel percorrere quei pochi metri di corridoio. Infine, dopo un lungo momento di riflessione, si accovacciò permettendo alla ragazza di posare finalmente i piedi sulla terra ferma. Mentre la ragazza faceva passare la testa nello spallaccio del borsone che il ragazzo le aveva ridato disse
"Beh, Ushijima-San ti ringrazio per avermi aiutata. Ci si vede in giro."
Prima di richiudersi la porta alle spalle la ragazza lo sentì dire
"Yoshida-san, buona fortuna per la corsa sui carboni ardenti."
Rimase per qualche istante a fissare la superfice lucida della porta della sua stanza immersa dai dubbi. Quel ragazzo aveva capito che era ironica in quel momento, vero?
Ed eccoci qui, caro Amore. Questa è stata la prima volta che io e Ushijima ci siamo rivolti la parola, l'inizio della fine. Lui avrebbe potuto tranquillamente tirare dritto per la sua strada, io avrei potuto trovare una strada alternativa. Lui avrebbe potuto evitare di rimanere ad allenarsi fino a tardi e io avrei potuto guardare nel borsone per scoprire che le mie scarpe erano lì. Ma no, tu quel giorno hai deciso che dovevo essere stanca abbastanza da non riuscire ad arrivare alle conclusioni più banali e che lui aveva abbastanza tempo da perdere per decidere di soccorrermi. Una brutta decisione la tua a mio parere, ma come si suol dire, quel che è fatto è fatto. Poteva rimanere un caso isolato, in quel caso ti avrei perdonato, ma no, come precedentemente detto, questo era solo l'inizio. Ma in fondo cosa te lo dico a fare? Tu sei il diretto responsabile quindi è ovvio che ti ricordi.
Permettimi solo di dirti che questa è anche stato il primo di una lunga serie di errori da parte tua.
A presto
Mei Yoshida
♥︎♡♥︎
Angolo di Un_eroina_alla_Yuei:
Eccomi qui con il primo capitolo!
Così di botto il primo incontro. Come detto da Mei, sempre meglio andare con ordine e partire dal principio.
Sperò che vi sia piaciuto. (^-^)
Ammetto che la scelta di Ushijima come personaggio è un'arma a doppio taglio: da una parte adoro troppo questo personaggio e credo si meriti più spazio, dall'altra ho una paura tremenda di stravolgere il personaggio e ricadere nell'OOC. Quindi se mai doveste notare delle incongruenze tra l'Ushijima Canon e quello della storia fatemelo sapere.
Anyway, per oggi è tutto quindi alla prossima e vi saluto. ʕ •́؈•̀ ₎
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