Cinque Sensi

di BlackIceCrystal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Olfatto - Di sandalo e fiori di arancio ***
Capitolo 2: *** Udito - Di voci irritanti e odori sbagliati ***
Capitolo 3: *** Tatto - Di primi calori e cuori spezzati ***
Capitolo 4: *** Gusto - Di lacrime salate e foto incriminate ***
Capitolo 5: *** Vista - Di vittorie e anelli ***



Capitolo 1
*** Olfatto - Di sandalo e fiori di arancio ***


Ciao a tutti!

Quando ho iniziato a vedere Haikyuu, non avrei mai pensato di scrivere una IwaOi. La prima volta che ho visto l’anime non mi hanno detto niente né come coppia né come personaggi, ma tra un rewatch e l’altro alla fine ho ceduto e sono irrimediabilmente entrati a far parte delle mie coppie preferite.

Per quanto ne sia appassionata, non avrei mai pensato neanche di scrivere una omegaverse (anche se non è proprio la solita alpha/omega ma che ci posso fare? adoro troppo le dinamiche non tradizionali), né addirittura una bottom!Iwaizumi (da qualche parte, forse, credo di aver citato che sono reverse, comunque sappiatelo), eppure eccola qui.

Come potete intuire dal titolo, la storia è composta da cinque capitoli, uno per ogni senso. I capitoli sono già scritti e completi, ma li pubblicherò comunque uno alla volta.

Spero che la storia vi piaccia! Buona lettura :)

  

  

Capitolo 1 - Olfatto - Di sandalo e fiori di arancio

  

L’odore di Oikawa è intossicante.

Hajime ne è sempre stato attratto, fin dal loro primo incontro tanti anni prima, quando si sono conosciuti al parco vicino casa, entrambi con una palla da pallavolo in mano mentre tutti gli altri bambini intorno a loro giocavano a calcio in un campetto improvvisato.

A quel tempo, il suo olfatto non era ancora sviluppato, ma poteva sentire su Oikawa il flebile odore dei suoi genitori, l'aroma dolciastro di lavanda misto a quello più legnoso di ginepro. Sotto a quel connubio c'era però anche una nota più acre, una leggera sfumatura quasi impercettibile che stuzzicava le sue narici, che sentiva sulla punta della lingua e incuriosiva il suo palato.

Sua madre diceva che era impossibile, che né lui né Oikawa, come tutti gli altri bambini della loro età, non emanavano nessun odore se non quello dei propri genitori, che finché non si sarebbe manifestato il loro genere secondario non avrebbero potuto sentirlo.

Eppure Hajime era sicuro che quello che sentiva era l’odore proprio di Oikawa.

Non ci riusciva sempre, era un odore lieve e quasi impercettibile, bastava una folata di vento contrario per far sì che quel profumo svanisse nell’aria senza lasciar alcuna traccia di sé, ma quando era abbastanza fortunato — soprattutto quando Oikawa appoggiava la testa sopra la sua spalla dopo un pomeriggio passato a giocare a pallavolo insieme — quell’odore tornava a stimolare il suo naso e inebriare i suoi sensi e qualcosa di indefinito si smuoveva dentro Hajime, un istinto a cui neanche lui sapeva dare nome.

Una volta, dopo l’ennesimo pomeriggio passato a giocare insieme, Oikawa gli ha anche chiesto di descriverglielo, curioso di sapere che odore avesse. I suoi occhi brillavano di curiosità a cui Hajime però non è mai riuscito a dare risposta.

 

Almeno fino ad ora.

 

Per la prima volta dopo tanti anni, può finalmente sentire quell’odore diventare ogni secondo sempre più intenso, permeare l’aria e sovrastare ogni altro presente nella stanza.

A lezione gli hanno insegnato che l'odore di un alpha risulta fastidioso per un altro alpha, soprattutto durante la prima manifestazione o durante il calore di uno dei due, che un alpha può sentirsi minacciato dall’odore di un altro alpha, che è una reazione perfettamente normale e naturale — o almeno lo sarebbe, se fosse quella la sua reazione — e che la cosa migliore da fare in una situazione del genere è allontanarsi e chiamare un beta, o degli alpha che hanno già un legame.

Hajime ne è perfettamente consapevole, ma non fa nulla di tutto ciò.

Forse è perché conosce Oikawa da anni e sa che non c’è niente di minaccioso in lui — non che Oikawa non sappia essere minaccioso, ma sa che non ha nulla di cui aver paura, che non gli farebbe mai davvero del male, non a lui —, forse è perché è sempre stato incuriosito da quell’odore che ha sempre rincorso ma mai afferrato. Sta di fatto che entrambi stanno manifestando il proprio genere secondario nello stesso momento, che sono entrambi alpha — lo sanno da anni, da quando in quinta elementare hanno ricevuto la busta con all’interno il risultato del loro esame del sangue e tutti e due hanno esultato perché essere alpha è la cosa più figa che ti può capitare — , ma quell’odore non lo infastidisce per nulla. Anzi, sembra ancor più buono ed invitante della prima volta che è riuscito a individuarlo.

Non ricorda più cosa si stessero urlando contro fino a due minuti prima, mossi entrambi dal bisogno di sfogare su qualcuno la propria frustrazione dall’ennesima partita persa contro la Shiratorizawa. Sa solo che il pugno che Oikawa stava per sferrargli e che era pronto a bloccare non è mai arrivato. Sa solo che fuori è pieno inverno, la palestra puzza di cuoio, legno e sudore, eppure si ritrova incredibilmente circondato dalla primavera, dall’odore fresco e frizzante di fiori. Un odore che sembra placare, invece che infervorare, qualsiasi istinto si sia risvegliato improvvisamente dentro di lui.

« Fiori di arancio » le parole escono estranee dalla sua bocca, i canini che pungono a poco a poco sul labbro inferiore, la voce roca e profonda che gli suona irriconoscibile alle sue stesse orecchie.

Oikawa molla la presa sulla sua divisa, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Arriccia il naso e piega la bocca in una smorfia pensierosa — non disgustata, pensa una voce dentro di lui, ma pensierosa. « Sandalo » sussurra poco dopo.

Hajime non ha idea di quanto tempo rimangano immobili a scrutarsi, a osservare le differenze in atto nei loro rispettivi corpi, il nocciola degli occhi di Oikawa quasi completamente scomparso, le pupille diventate due sottilissime fessure nere; la sua pelle bollente, tanto che riesce a sentire il suo calore nonostante lo spazio che li separa; i loro odori sembrano fondersi alla perfezione invece che cercare di sovrastarsi l’uno con l’altro, il profumo di sandalo in sottofondo e quello di arancio in risalto ma nessuno dei due davvero dominante. È un odore ancor più buono di quello di Oikawa da solo, o di quello di qualsiasi altra persona Hajime abbia mai conosciuto.

Nessun omega potrebbe mai reggere il confronto, si ritrova a pensare.

« Senpai Oikawa » le porte della palestra si spalancano, Kageyama entra nella palestra con la tuta ancora addosso e la palla stretta fra le mani, lo sguardo colmo di quell’ammirazione che nutre per il loro capitano, completamente ignaro di quello che sta succedendo all’interno dell’edificio. Non importa che né Oikawa né Hajime fino ad ora non abbiano dato segni di aggressività, erano gli ultimi due in palestra e sono entrambi estremamente familiari uno con l’altro. Per Hajime, Oikawa non sarà mai un pericolo per lui, e sa che anche per l’altro è lo stesso ma… Kageyama? È tutta un’altra questione. Non importa che sappiano già che è un omega, Oikawa l’ha sempre visto come un proprio rivale e una minaccia, non è una questione di genere secondario.

Hajime non ha neanche il tempo di battere le ciglia. In un attimo, l’odore fresco di arancio si dilegua, fa largo a quello più acido e sgradevole che ricorda della frutta marcia. È l’istinto che lo spinge a muoversi, a rendersi conto di quello che sta per accadere e agire di conseguenza, ad afferrare Oikawa da sotto le ascelle e bloccarlo prima che faccia un passo in avanti, pronto ad attaccare la persona che li ha interrotti.

« Lasciami » gli comanda, come se potesse avere qualche effetto su di lui. I suoi occhi per un attimo vengono annebbiati da una furia cieca, i canini sembrano due zanne affilate pronte ad affondare nella sua carne, ma Hajime non si lascia intimorire.

« Lasciami ho detto! Lasciami! » continua a sbraitargli contro Oikawa, mentre si dimena inutilmente per tentare di liberarsi dalla sua stretta. Il suo sguardo è su Hajime, ma la sua attenzione è tutta rivolta a Kageyama.

Hajime non sa che nome dare al nodo che gli attorciglia lo stomaco, ma sa che l’unico modo per districarlo è quello di far allontanare Kageyama da lì.

« Vattene! » gli urla, ma Kageyama rimane lì, immobile alla soglia dell’entrata, terrorizzato ed incapace di muoversi.

Hajime non vuole neanche pensare a cosa sarebbe potuto succedere se Kindaichi e Kunimi non fossero arrivati poco dopo, probabilmente attirati dal chiasso che stanno facendo e che deve per forza sentirsi anche da fuori. Non crede che avrebbe potuto trattenere Oikawa per sempre e stare in quello stato non può fare per niente bene ad un omega.

« Prendete Kageyama e andatevene » ordina loro. Non ha il tempo di spiegargli che diavolo sta succedendo mentre Oikawa continua a dimenarsi tra le sue braccia, a strattonarlo con una forza che Hajime non sapeva neanche possedesse. Vede Kunimi comprendere al volo la situazione e aiutare Kageyama a rialzarsi e guidarlo fuori dalla palestra, mentre Kindaichi rimane dietro di loro ad annusare la palestra e rendersi conto — o credere di rendersi conto — di quello che sta succedendo.

« Iwaizumi » lo chiama, il tono di avvertimento, come se credesse che sia Hajime quello che ha bisogno di ragionare perché in procinto di attaccare qualcuno. Sta trattenendo Oikawa proprio perché non vuole che attacchi qualcuno. Lo conosce, sa che se ne pentirà subito dopo.

Kindaichi fa un passo avanti, una folata di vento arriva dalla porta socchiusa dietro di lui, propagando il suo odore verso di loro.

Alpha.

Kindaichi è un alpha.

Un ringhio cerca di farsi strada nella sua gola ma Hajime lo trattiene mordendosi con forza le labbra. Sente qualche rivolo di sangue scorrere dalla ferita appena aperta, ma è il suo campo visivo ad essere diventato tutto rosso e offuscato.

Kindaichi è un alpha. Kindaichi è una minaccia, sembra dirgli il suo istinto.

Hajime sa che non è così, conosce Kindaichi da quando lui e Kunimi si sono iscritti al club di pallavolo in seconda media e non gli ha mai dato motivo di non fidarsi di lui. Hanno giocato fianco a fianco diverse partite ormai, gioito insieme delle vittorie e pianto delle sconfitte, stretto i denti e allenati giorno per giorno per diventare più forti.

Quello che tutta la teoria non ti dice, però, è che all’istinto non importa niente di tutto questo. L’alpha che è in lui non sembra essere per niente d’accordo con il suo ragionamento. Vede la postura contratta e all’erta di Kindaichi, il dubbio nei suoi occhi, e non posso permetterglielo, pensa.

Oikawa lo strattona cercando di approfittare del momento di distrazione, ma Hajime lo stringe ancora più a sé, anche se non è sicuro che sia perché vuole bloccarlo o perché non vuole che l’altro alpha si avvicini a lui.

Scuote la testa cercando di focalizzare la sua attenzione, di non lasciarsi guidare dalla sua natura. Non può permettere a Kindaichi di avvicinarsi a loro, non quando Oikawa non è in sé e sembra essere sul punto di attaccare chiunque incroci il suo cammino. Se l’altro alpha si avvicinasse, è sicuro che non esiterebbe un attimo a fare una delle cazzate più grosse della sua vita e ad attaccarlo.

Hajime non può permetterlo perché è il suo compito proteggerlo, perciò affonda gli artigli — fino a due secondi prima non si era reso neanche conto che gli fossero cresciuti — sui palmi, nella speranza che il dolore lo aiuti a rimanere concentrato e a non cedere all’istinto di attaccare l’alpha davanti a lui.

Fa un respiro profondo, ma non aiuta. L’odore di Oikawa è sbagliato, quello di Kindaichi ostile. Cerca in tutti i modi di tenere a bada il proprio, di riportare alla memoria ricordi felici e tranquilli.

Di due bambini che giocano allegri a pallavolo, la primavera a circondarli.

« Vattene, a lui ci penso io »

Non sa cosa convinca alla fine Kindaichi, se il suo tono finalmente calmo, il suo sguardo che non sente più offuscato ma limpido e chiaro, il suo atteggiamento che non è più avverso ma solo sicuro di sé. Lo vede annuire e « non fate cazzate, rimango qua fuori » lo avverte, prima di chiudersi la porta alle spalle.

 

« Lo hai difeso! Perché lo hai difeso? » sbotta Oikawa, liberandosi dalla sua presa ora che Hajime può finalmente lasciarlo andare e tirare un respiro di sollievo.

« Razza di idiota, calmati! Volevi finire nei guai? »

« Non deve avvicinarsi a me! »

« Vuoi darti una calmata? » se Oikawa non fosse Oikawa e se Hajime non lo conoscesse da quando praticamente ha smesso di fare la pipì a letto, ci avrebbe pensato sicuramente due volte a dare un colpo in testa ad un alpha fuori controllo. Ma Oikawa è Oikawa, e Hajime è Hajime, e si conoscono da così tanto tempo che niente potrebbe ormai incrinare il loro rapporto.

« Non deve provare ad avvicinarsi a me! Mai più! »

« Toru! » lo chiama, alla fine, nella speranza di farlo tornare in sé. Per quanto si conoscono da tanto tempo, usano raramente i loro nomi. È qualcosa che fanno solo quando è strettamente necessario o quando la conversazione è particolarmente seria; le volte che è successo si possono contare sulle dita di una mano, saranno state due volte, al massimo tre, e l’effetto è praticamente sempre immediato. Oikawa si ammutolisce all’istante, i suoi occhi tornano a poco a poco alla loro forma originale, l’odore acido inizia ad affievolirsi nonostante ormai abbia impregnato tutta la palestra.

« Come pensi di battere la Shiratorizawa se il coach dovesse decidere di metterti fuori dalla squadra perché non sai controllarti? » cerca di farlo ragionare.

« So controllarmi! Solo non con quello lì! » gli ribatte, il tono ancora brusco ma non più come prima. Incrocia le braccia al petto e volta la testa di lato, ma Hajime vede chiaramente il broncio che prende forma sul suo viso.

« Stavi per attaccare anche Kindaichi »

« Lo stava proteggendo! »

« Stiamo proteggendo te, idiota! E tutta la squadra. Ci serve il nostro capitano per combattere al prossimo torneo! Pensi che ti lascerebbero giocare se ti metti ad attaccare uno del primo anno di punto e in bianco? Non è neanche un alpha! »

« Anche tu stavi per attaccare Kindaichi » gli replica Oikawa, puntandogli addosso un dito. Hajime ha per un attimo l’idea di morderglielo, solo per ripicca — non per qualsiasi desiderio si sia smosso dentro di lui, assolutamente no.

« È vero » gli conferma, perché non c’è nulla da negare. Per qualche attimo ha seriamente pensato che Kindaichi fosse un pericolo e che avrebbe risposto con ogni mezzo se l’altro lo avesse attaccato, che avrebbe fatto di tutto per non farlo avvicinare a loro, per proteggere il suo— per proteggere Oikawa.

Il suo cosa? si chiede tra sé e sé. Non ha minimamente idea di che cosa volesse dire.

 

« È perché è un alpha? » gli chiede Oikawa poco dopo, accasciandosi a terra quasi fosse una dichiarazione di resa.

« Boh. Forse. » più per proteggere te, gli vorrebbe rispondere, ma si limita solo a scrollare le spalle « Anche tu sei un alpha però »

« E tu vuoi attaccarmi? » in questo momento gli occhi grandi e tondi di Oikawa sembrano tutto tranne quelli di un alpha. Chi lo vedesse adesso, probabilmente non crederebbe che poco prima stesse cercando di assalire un omega. Probabilmente penserebbe pure che è un omega, non un alpha.

Hajime invece sa che non è così eppure…

« Io voglio sempre attaccarti » gli ribatte, dandogli un buffetto sulla fronte. « Alzati e andiamo, muoviti »

Gli porge la mano, Oikawa l’afferra e Hajime lo aiuta a tirarsi su, anche se non ce ne sarebbe alcun bisogno. È più una rassicurazione che entrambi stanno bene e che tra di loro nulla è cambiato, neanche adesso che la palestra puzza di frutta marcia e devono assolutamente spalancare tutte le finestra per dissolvere l’odore.

Quando escono, Kindaichi è ancora lì fuori ad aspettarli, dà un’occhiata ad entrambi e poi un cenno d’assenso. Hajime gli spiega che devono andare in infermeria a chiedere uno spray neutralizzante, ma l’altro lo interrompe.

« In infermeria ci sono Kunimi e Kageyama, ci vado io. Voi tornate a casa prima che combiniate qualche altro casino »

 

Fa freddo, è inverno, ma Oikawa è al suo fianco. Hajime prende un bel respiro profondo e la primavera torna ad invadere i suoi polmoni.

 

Casa, gli dice il suo istinto.

 

 

 

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  Sappiate che, nella mia testa, in questa fanfic Kunimi è un beta e lui e Kindaichi stanno insieme (non li shippo particolarmente, ma credo non sarebbero male come coppia!).

Kageyama come è stato accennato è un omega e in futuro starà con (ovviamente) Hinata che è un alpha (ma non credo che comparirà mai nel resto della fanfic o che ci saranno accenni in proposito).

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Capitolo 2
*** Udito - Di voci irritanti e odori sbagliati ***


Ecco il secondo capitolo di questa fanfic!

Stavolta il senso coinvolto è: l'udito!

  

  

Capitolo 2 - Udito - Di voci irritanti e odori sbagliati

  

La voce di Oikawa è irritante.

O, meglio, non la sua voce in sé, ma il tono che assume quando sta palesemente fingendo, come quando si vuole mettere in mostra davanti a qualcuno – e adesso che è un alpha a tutti gli effetti lo fa ancora più e peggio di prima – e inizia a comportarsi come il figo che Hajime sa decisamente che non è.

Non ha idea di come gli altri non si accorgano di come sia tutta una falsa, quando è così palese, la sua postura rigida, la voce più profonda del normale, il pomo d'Adamo che fa su e giù sotto lo sforzo delle corde vocali.

La parte più assurda di tutto ciò è che Oikawa non avrebbe bisogno di tutta quella messa in scena per far cadere qualcuno ai suoi piedi, non ha bisogno di essere qualcosa di diverso da quello che è per piacere a qualcuno. La gente si innamorerebbe di lui anche solo al suo primo battito di ciglia.

 

La voce di Oikawa è irritante, perché Hajime sa qual è la sua vera voce, com’è il vero Oikawa: è altrettanto irritante, ma in modo completamente diverso.

 

Il vero Oikawa non è per niente figo, eppure Hajime si è sempre ritrovato attratto da lui fin da subito. Dal suo fregarsene completamente che gli altri bambini lo prendessero in giro perché la pallavolo era uno sport da sfigati, del suo volersi impegnare costantemente per essere sempre il migliore in tutto ciò a cui tiene.

È sempre stato così, fin da quando erano piccoli.

Agli occhi di altri, Oikawa può quasi sembrare il tipo di persona che non tiene a nulla, ma chi lo conosce sa che non è così.

 

Chi lo conosce sa che Oikawa tiene a poche cose e a poche persone ma che per loro farebbe di tutto.

Hajime lo sa e, attirato com’è dal centro di gravità che è Oikawa, finisce sempre per essere inghiottito dal suo entusiasmo e a ritrovarsi che farebbe di tutto per lui.

 

Ricorda ancora quando una volta Oikawa l’ha chiamato piangendo perché al minimarket del quartiere avevano finito l'edizione speciale di patatine uscita in occasione delle olimpiadi.

La sera prima c’era stata la finale tra l’Argentina e l’Italia e, conoscendolo, Hajime era sicuro che non se la sarebbe persa per nulla al mondo. Ciò voleva dire anche che sicuramente la mattina successiva, il giorno dell’uscita dell’edizione speciale che tanto aspettava, si sarebbe svegliato tardi. Perciò Hajime si era invece alzato presto — nonostante fosse rimasto anche lui sveglio fino a tardi a commentare la partita al telefono con l’altro —, era andato al minimarket e si era assicurato di accaparrarsi almeno un pacchetto delle famigerate patatine. Oikawa l’aveva chiamato qualche ora dopo, piangendo e lamentandosi di come si era, effettivamente, svegliato tardi quella mattina e che al minimarket avevano finito tutte le scorte disponibili. Hajime aveva chiuso la chiamata senza alcun avvertimento, si era infilato le scarpe ed era corso a casa sua.

Quando Oikawa gli ha aperto la porta di casa, aveva ancora le lacrime agli occhi e l’ha guardato con un’espressione confusa.

Quando Hajime ha sollevato il pacchetto che teneva stretto tra le mani, fino a poco prima nascoste dietro la schiena, invece, l’ha guardato come se fosse stato lui quello ad aver appena vinto le olimpiadi.

« Stupido Iwa-chan » ha bisbigliato con le labbra tremanti e gli occhi lucidi, prima di trascinarlo dentro fino al soggiorno.

Le patatine avevano lo stesso sapore di qualsiasi altro pacco avessero mai mangiato prima d’allora, erano di una marca che in realtà né a lui né ad Oikawa piaceva particolarmente, ma era l’unica che aveva fatto quell’edizione speciale e l’unica al cui interno si poteva trovare una figurina dei giocatori partecipanti alle olimpiadi di quell’anno. Poteva uscire qualsiasi cosa, un qualsiasi giocatore di una qualsiasi squadra di un qualsiasi sport. Poteva uscirgli un giocatore di calcio, o un nuotatore, un ciclista, una riserva.

A Oikawa però interessava solo una figurina e Hajime sperava con tutto se stesso che fosse quella all’interno del pacchetto che aveva scelto.

« Iwa-chan » l’ha chiamato ancora una volta Oikawa, gli occhi di nuovo lucidi e le labbra tremanti. Si era sbagliato, Hajime si era sbagliato, non c’era— « è Blanco! È Blanco! » Hajime non si era sbagliato. L’abbraccio che gli aveva rivolto quel giorno Oikawa confermava il contrario, confermava che Hajime aveva fatto la cosa giusta, nonostante avesse dormito poche ore quella notte e si fosse svegliato con il forte desiderio di tornare nel mondo dei sogni. Ma non l’aveva fatto e aveva fatto bene e l’odore di felicità di Oikawa — che ora sa essere di fiori di arancio — lo aveva avvolto con lo stesso calore di una coperta in pieno inverno.

 

« Iwa-chaaan! » lo chiama stavolta Oikawa, in modo completamente diverso da quello di tanti anni prima, l’intonazione acuta che ad Hajime dà i nervi perché è la stessa che usa quando vuole attirare la sua attenzione. È un idiota. È un idiota perché pensa di aver bisogno di un sotterfugio così stupido per attirare la sua attenzione, quando ha sempre l’attenzione di Hajime focalizzata su di lui. Sempre. Più di quanto gli piaccia ammetterlo a se stesso.

È sabato ed è in camera a studiare per i test che hanno la settimana successiva. Non avevano in programma di vedersi, Oikawa quel pomeriggio sarebbe dovuto uscire con la sua ragazza, accompagnarla a fare shopping, andare al cinema e poi a cena fuori. Hajime è al corrente dei suoi programmi solo perché hanno passato tutta la mattina in videochiamata, Oikawa che non sapeva cosa indossare perché voleva « essere figo ma non troppo perché altrimenti è palese che mi sono impegnato » e « passare da alpha ma senza esagerare » e Hajime non sapeva minimamente cosa volesse dire niente di tutto ciò. Non ci ha mai pensato troppo ad essere un figo o a passare da alpha, molti gli dicono spesso che lo è, ma non ha idea di che cosa faccia o dica per sembrarlo. Perciò ha semplicemente consigliato a Oikawa quello che pensava gli stesse meglio e Oikawa sembrava essersi convinto solo perché se Hajime pensava che quei vestiti gli stessero bene allora voleva dire davvero che gli stavano bene.

Come se Hajime ci capisse davvero qualcosa di moda, o di alpha, o di essere fighi.

« Cosa vuoi? » gli chiede, distogliendo l’attenzione dal problema di matematica che sta provando a risolvere da ormai mezz’ora e a cui proprio non riesce a trovare soluzione. La matematica non è mai stata così difficile, ma la sua testa oggi sembra essere altrove.

« Consolami! » mugola, avvolgendogli il collo con le braccia e addossandogli tutto il proprio peso sulla schiena « sono stato lasciato »

Hajime se lo scrolla malamente di dosso e lo guarda dalla testa ai piedi con un sopracciglio inarcato.

Consolarlo per cosa?

« Non mi sembri starci così male » non sembra starci male per niente. Quando Oikawa sta male per qualcosa non ha di certo quel tono di voce né quell’aspetto, tantomeno non va da lui a chiedergli di consolarlo.

Quando l’anno prima hanno perso in finale contro la Shiratorizawa — di nuovo — è rimasto in silenzio per tutto il tempo: nel tragitto dal campo agli spogliatoi, mentre si cambiavano, sul pulmino per tornare a scuola. Solo quando sono arrivati a metà strada di ritorno a casa e Hajime stava per parlare perché non sopportava più quel silenzio, Oikawa ha finalmente alzato lo sguardo da terra e ha detto Domani farò almeno dieci ace, con il tono deciso di chi non ammetteva un’altra sconfitta.

Se Hajime deve essere sincero, quella era una di quelle poche volte dove Oikawa gli era sembrato davvero figo. Ed era sicuro che il giorno dopo non si sarebbe fermato solo a dieci ace, ne avrebbe fatti molti di più. Non essere egoista, lascia qualche punto anche a me, gli ha risposto.

Oikawa l’ha guardato ridendo, tanto tutti i tuoi punti sono miei, Iwa-chan.

 

« Ma sono stato lasciato, di nuovo » gli ripete Oikawa, buttandosi a peso morto sul letto con le braccia e le gambe spalancate come se quella fosse camera sua.

« Fatti qualche domanda allora »

« Non è colpa mia stavolta! »

In realtà, neanche le volte precedenti lo è stata, almeno secondo Hajime, ed è convinto che le domande dovrebbe farsele sulle persone con cui è stato, non il modo o il perché è stato lasciato.

La sua ex — ex ex? — ragazza l’ha lasciato perché secondo lei non le dedicava abbastanza attenzioni, perché era sempre impegnato con il club di pallavolo, o con la pallavolo in generale. Hajime è convinto che l’unica ad aver avuto colpe fosse esclusivamente lei: nessuno può chiedere ad Oikawa di stare insieme pensando che possa diventare per lui più importante della pallavolo.

Non esiste niente al mondo più importante della pallavolo per lui. Punto.

« Perché sei stato lasciato, stavolta? »

« Ha detto che non le piaceva il mio nuovo odore » inizia a spiegargli, la voce che si fa a poco a poco più bassa, come se si vergognasse di ripetere quelle parole. È lo stesso tono che usa quando è realmente ferito, ma più che dall’essere lasciato… be’, come alpha Hajime sa che non è bello sentirsi dire che il proprio odore non è buono, almeno questo può capirlo. Non che a lui importi cosa pensano gli altri del suo odore, usa soppressanti praticamente sempre tranne quando è a casa, ma può capire che non è piacevole sentirsi rifiutare in questo modo. Non è che esista un modo per cambiare il proprio odore.

« Ha detto che le piaceva più quello che avevo prima » l’odore che Oikawa aveva prima era praticamente quello di lavanda di sua madre dato che era quello preponderante a casa sua « ha detto che questo è troppo forte e… aspro? Qualcosa del genere »

Effettivamente l’odore di Oikawa può essere forte e leggermente aspro. Quando è eccitato, o nervoso, o deciso, assume un leggero retrogusto frizzantino che ad Hajime ricorda un po’ le bevande isotoniche che bevono ogni tanto durante gli allenamenti. Non è di certo un caso che da una settimana — da quando lui e Oikawa sono diventati alpha a tutti gli effetti — Hajime abbia iniziato a preferire le bevande al gusto d’arancia ai gusti più classici che sceglieva prima. Anche se non ha fatto nessun commento in proposito, è sicuro che anche Oikawa se ne sia accorto perché, be’, è Oikawa, non sarebbe il miglior alzatore della prefettura se non fosse così perspicace.

Il suo odore sa di familiarità e casa, ad Hajime piace, anche quando è forte e leggermente aspro. È per questo che annusa l’aria con l’intento di inspirare un po’ di quel profumo che a causa dei soppressori di cui entrambi fanno uso (è necessario, quando vanno a scuola o giocano a pallavolo) può inalare troppo poco spesso.

L’odore che arriva alle sue narici però non è quello che si aspettava.

« Puzzi » storce il naso, disgustato.

« Eh?! » ribatte Oikawa, sconvolto « Ma mi avevi detto che profumavo! »

No, non l’ha mai detto. L’ha pensato, è vero. Ma non l’ha mai detto.

« Puzzi di… » Che razza di odore è questo? Ricorda che qualcuno una volta qualcuno gli ha offerto una tisana con lo stesso sapore. Cos’era? Mirtilli? Frutti rossi? Rosa canina. « Rosa canina. Andata a male. » non ha idea che odore abbia la rosa canina andata a male — o se la rosa canina possa andare in qualche modo a male —, ma il concetto rende comunque l’idea.

Da quanto Oikawa ha quell’odore addosso? Ora che Hajime ci fa caso ha praticamente riempito tutta la stanza. Oikawa è steso sul suo letto, perciò anche le lenzuola ne saranno impregnate. Dovrà cambiarle e aprire la finestra, cacciar via quell’odore nauseante dalla sua camera. Quell’odore nauseante che appartiene probabilmente all’omega che ha lasciato Oikawa perché non le piaceva il suo odore. Stupida. Come se il suo fosse meglio.

« Ah sì… scusa! Credo di aver ancora addosso l’odore di— »

« Non m’importa! Vattene e fatti una doccia, prima che ti caccio via a calci! » non vuole sentire quell’odore un secondo di più. Non in camera sua, non in casa sua. Non addosso ad Oikawa. E probabilmente proprio mai più.

« Va bene! Va bene! Ora vado! Ci vediamo dopo però? »

« Solo se ti sarai levato di dosso questa roba »

« Oook! Però non sentire troppo la mia mancanza nel frattempo, Iwauccio! » cinguetta Oikawa, la voce tornata un’ottava più alta del normale. Irritante, come sempre.

 

Ha giusto il tempo di alzarsi per spalancare la finestra prima che Oikawa torni indietro, solo la testa che sbuca dal ciglio della porta « Però io profumo, vero? » gli chiede, speranzoso. Che razza di domanda è? Le loro stanze sono praticamente il miscuglio dei loro odori mescolati insieme e ad Hajime non sembra di essersene mai lamentato. Mai.

Ora però la sua stanza puzza di rosa canina e il tanfo torna prepotentemente alle sue narici dato che Oikawa è ancora lì ed ha ancora quell’odore nauseante addosso. Se quell’idiota non si muove ad andarsene via gli impuzzolirà tutta la casa e Hajime dovrà spruzzare un neutralizzante ovunque.

« Muoviti ad andartene » gli ringhia, lanciandogli contro la prima cosa che gli capita a tiro — un pacchetto di fazzoletti, gli è andata bene.

« Non c’è bisogno di essere così aggressivi Iwa-chan! » gli risponde dalle scale, dileguandosi.

 

Finalmente.

 

Il telefono squilla, Hajime dà un’occhiata veloce ed è… Oikawa. Da quanto è andato via? Tre minuti? Giura che se è per chiedergli ancora se profuma—

« Sai che ho ancora i biglietti del cinema? E avevo anche già prenotato il ristorante! Sono un ragazzo così premuroso e sono stato lasciato! Ci puoi credere? » drammatico, ecco cos’è, non premuroso, drammatico. « Non credo che ti interessi vedere Suzume, ma— »

« Offri tu »

« Eh? Perché? »

« Perché casa mia puzza a causa tua e devi farti perdonare »

« Ti ho già chiesto scusa! E poi non ti lamenti mai quando vengo da te, perciò il mio odore deve piacerti davvero, giusto? » gli chiede, con un tono di scherno. Hajime non ha nessun intenzione di rispondergli, dato che Oikawa si sente così intelligente trovasse da solo le sue risposte.

« Offri tu. Punto. E ora devo andare a spruzzare un quintale di neutralizzate e finire di risolvere un problema di matematica, se non ti dispiace »

Dall’altra parte del telefono arriva l’assoluto silenzio e Hajime considera la chiamata finita. Sta per premere il pulsante di chiusura quando Oikawa lo interrompe di nuovo « Ok, ma… Iwa-chan? »

« Che c’è adesso? » gli sbraita, perché sta seriamente perdendo la pazienza. Se non fosse che il tono di voce di Oikawa… cazzo! perché conosce il significato di ogni tono di voce di Oikawa? Immagina che è quello che succede quando due persone si conoscono da anni, ma è comunque seccante.

« Ecco… devo usare un soppressore la prossima volta che vengo da te? » gli chiede, serio stavolta. Hajime quasi non ci crede che deve seriamente rispondergli. È assurdo che abbia davvero un dubbio così stupido per la testa, tutto per colpa di un’altrettanto stupida omega. Se non gli avesse mai detto una cosa del genere, Oikawa non dubiterebbe neanche di Hajime.

« No »

« Davvero? Ma me lo diresti se ce ne fosse bisogno, vero? »

« Sì, davvero. E, sì, te lo direi se ce ne fosse bisogno. Mi sembra di averlo fatto oggi »

« Sì, ma era l’odore di un’altra! »

« Appunto. »

È un attimo. Un attimo in cui Oikawa rimane senza parole. Un attimo di assoluto silenzio non perché la telefonata è terminata ma perché Oikawa, tra tutti, è rimasto davvero senza parole. Lo sente boccheggiare dall’altro capo del telefono un paio di volte, prima che torni nuovamente alla carica.

« Ohh! Iwa-chan » inizia, ma è la conferma che serve ad Hajime per sapere che ogni dubbio si è dissipato definitivamente. Perciò chiude la telefonata, perché non vuole sentire un secondo di più di quella conversazione. Ha il volto che gli sta andando a fuoco, l’Iwa-chan che gli rimbomba nelle orecchie in una stanza che ancora puzza di rosa canina e non si arancia e sandalo fusi insieme.

 

 

 

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Prossimo capitolo: sabato! Riguarderà il senso del tatto e si intitolerà "Di primi calori e cuori spezzati" (arriverà un po' di angst, ma giusto un po'!)
Una piccola preview:

« Insomma... siamo arrivati… »
Hajime rimane fermo, immobile. La gola è un nodo che non riesce a districare. La voce non esce, come se il suo corpo non volesse più rispondere ai suoi comandi.
Rimani.
Oikawa riesce sempre a capirlo senza bisogno di parlare, Hajime spera con tutto se stesso che lo capisca anche questa volta.
Rimani.
« Cosa si dice in questi momenti? Rimettiti? »

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Capitolo 3
*** Tatto - Di primi calori e cuori spezzati ***


Eccoci arrivati alla parte "hurt" della fanfic...

  

  

Capitolo 3 - Tatto - Di primi calori e cuori spezzati

  

Hajime non riesce a sentire assolutamente niente.

Sa che intorno a lui ci sono altre persone, sa che stanno dicendo qualcosa, ne è consapevole perché fino a due secondi prima — prima che la sua vista si annebbiasse e che le sue orecchie iniziassero a fischiare — era tutto chiaro, limpido e cristallino. Ora, l'unica cosa che riesce a sentire sono solo le sue tempie che pulsano dolorosamente, il respiro corto ed il petto che gli fa male lì dove il cuore pompa il sangue come se volesse esplodere da un momento all'altro.

La sua testa è un insieme di pensieri confusi, incoerenti, che quasi non riconosce. Vorticano in una spirale da cui non riesce a risalire, lo portano a fondo e Hajime affoga, nelle stesse acque scure in cui si ritrova da tre giorni.

 

Tre giorni.

 

Esattamente tre giorni fa hanno perso la partita contro il Karasuno, e con essa la possibilità di andare ai nazionali e di sconfiggere Ushijima.

Tre giorni fa hanno perso tutto quello che desideravano ottenere ed ora…

Ora Hajime sta perdendo anche Oikawa.

 

Oikawa che ha appena annunciato alla squadra che alla fine dell'anno, dopo il diploma, se ne andrà in Argentina, dall'altra parte del mondo. Oikawa che non gli ha mai accennato a volersene andare, non almeno a dodici ore di volo di distanza da lì, come se Hajime non contasse nulla, come se fosse un compagno di squadra qualsiasi e tutti gli anni trascorsi insieme non valessero niente per lui.

 

Cos'è Hajime per lui? Un compagno di squadra come ogni altro? Uno tra i tanti schiacciatori a cui alza la palla?

Non è la persona che è stata al suo fianco per gran parte della loro vita? La persona sulla cui spalla Oikawa ha pianto e ha riso? La persona a cui ha sussurrato tutti i suoi segreti le notti in cui dormivano uno a casa dell’altro, e gli ha rivelato sempre tutto – tutto tranne questo –, dalle più stupide paure di quando erano bambini alle più profonde incertezze che ha avuto questi ultimi anni.

Una parte di lui sa che questi pensieri non gli appartengono davvero, sa che Oikawa lo considera davvero una persona importante, sa che c'è una ragione dietro a questa sua decisione… lo sa, dannazione! Lo conosce, lo sa che tipo di persona è. Sa essere ottusamente frivolo la maggior parte delle volte, un po’ egocentrico e arrogante quando si tratta della pallavolo, ma c’è sempre stato quando Hajime ha avuto bisogno di lui.

Eppure…

Eppure adesso non può fare a meno di sentirsi così: Tradito. Abbandonato. Lasciato indietro. Come se Oikawa non avesse più bisogno di lui.

 

E forse davvero non ha più bisogno di lui.

Hanno perso per colpa sua. Non è riuscito a fare il punto che come asso avrebbe dovuto fare.

Come asso avrebbe dovuto portare la squadra alla vittoria, ma non l’ha fatto, non ci è riuscito.

È un alpha completamente inutile. E Oikawa lo sta abbandonando perché non ha bisogno di un alpha debole che non è capace di fare punto quando serve. Perciò andrà in Argentina, a trovare schiacciatori degni del suo livello, a cercare qualcuno che non è Hajime.

Perché Oikawa non ha bisogno di un alpha che affoga, affoga sempre più a fondo.

« Iwaizumi— » qualcuno lo sta chiamando, gli sta dicendo qualcosa, ma Hajime non riesce a capirlo. La voce si confonde insieme a tutte le altre voci in sottofondo, in un ammasso di suoni che si accavallano uno con l’altro. Sembrano urla ma sono soffuse, soffocate. Un ringhio si fa strada tra il vociferare ma non ha idea a chi appartenga. Si trasforma in un latrato, lungo e acuto, come il verso di un animale ferito che sta soffrendo.

Iwaizumi, lo chiamano ancora e ancora, ma Hajime non riesce a raggiungerli.

 

« Hajime! » la voce di Oikawa tuona tra tutte le altre. Hajime potrebbe riconoscerla tra milioni di altri suoni, anche se la sente lontano, come se fosse già a migliaia di chilometri da lì.

Se ne è già andato.

Se ne è già andato e l'ha lasciato indietro.

« Hajime! »

L’odore di fiori di arancio arriva alle sue narici. È leggero, quasi inesistente. Per un attimo si ritrova ad avere sette anni e a rincorrere al parco un Oikawa bambino, un Oikawa che gli dà le spalle, che va troppo veloce per essere raggiunto.

Hajime vuole chiamarlo, ma le parole non escono dalla sua bocca.

Un altro latrato si fa strada tra le voci, Oikawa lo chiama ancora e Hajime vorrebbe rispondergli, ma lo sente sempre più lontano e lui non ha idea di come raggiungerlo.

 

Delle dita si avvolgono attorno al suo polso, le sente tirarlo verso qualcosa. Hajime si lascia guidare, docilmente, senza fare resistenza. Conosce bene quelle dita, talmente tanto che saprebbe riconoscerle ad occhi chiusi: il loro contorno, i calli sui polpastrelli, il modo in cui si muovono, il calore che emanano — sono sempre incredibilmente calde. Le ha viste crescere davanti ai propri occhi, diventare sempre più abili, prendere in mano una palla e maneggiarla come fosse un'estensione del proprio corpo, alzarla, alzargliela, fare un punto dietro l’altro.

Perciò si lascia guidare, fino a quando sente un cuore battere sotto il suo palmo, il petto che si alza e si abbassa alla cadenza regolare dei suoi respiri e Hajime si ritrova a seguire il ritmo quasi inconsciamente — Inspira. Trattieni. Espira. –.

È sempre stato così tra loro.

Oikawa si è sempre vantato di essere un alzatore che sa adeguarsi perfettamente a qualsiasi schiacciatore, ma Hajime è sempre stato in grado di adattarsi a lui come persona, alle sue richieste assurde e alle sue pretese a volte fin troppo presuntuose. Si è adattato a lui quando ha iniziato ad allenarsi ogni giorno alle cinque del mattino e ogni giorno alle cinque del mattino Hajime era con lui. Si è adattato a lui quando ha iniziato a prendere posto nella sua vita e crearsi uno spazio con la sua forma, dove nessun altro potrebbe mai incastrarsi tanto bene. Perciò non gli risulta difficile adattarsi anche a lui questa volta, i suoi respiri che si fanno più lenti e profondi, il cuore che torna a battere lentamente ed in modo naturale.

Apre gli occhi che non si era accorto aver tenuto chiusi per tutto questo tempo, solo per ritrovarsi davanti ad un paio spalancati dalla sorpresa e un'espressione preoccupata a deformarne il viso.

La luce della palestra gli trafigge le iridi. Chiude le palpebre. Le riapre. Oikawa è sempre davanti a lui. Lo vede tirare un respiro di sollievo ed il resto del suo campo visivo diventa a poco a poco più chiaro.

Attorno a loro ci sono anche il coach, il professore, il resto della squadra.

Che è successo?  vorrebbe chiedere, ma la gola gli brucia come se avesse urlato per ore. Oikawa, ovviamente, sembra accorgersene immediatamente « Bevi questa » lo incita, mentre gli porge la sua borraccia.

« Che è successo? » chiede davvero stavolta, dopo aver tracannato l'acqua come se avesse trascorso giorni nel deserto, ogni parola sembra comunque raschiare le sue corde vocali come se le avesse sforzate fino a perdere la voce.

« Sei in calore » gli risponde l'infermiere della scuola alle sue spalle, Hajime non si era minimamente accorto di lui. Da quando è lì? Perché è lì? Che vuol dire che è in calore? Non può essere andato in calore! Non sente alcun irrefrenabile impulso sessuale, nessuno strano desiderio di ingravidare qualcuno – fortunatamente, aggiungerebbe, Ha solo diciassette anni! Perché a diciassette anni un alpha dovrebbe voler ingravidare qualcuno?  –, niente di diverso dal solito. A parte un mal di testa atroce, la gola che gli brucia e un dolore diffuso in tutti i muscoli del corpo come se avesse giocato tre partite consecutive da cinque set. O anche quattro, o cinque.

Insomma, troppe anche per lui.

« Non sempre i cambiamenti ormonali durante un calore determinano una pulsione sessuale » inizia a spiegargli l’infermiere che sembra comprendere la sua confusione « per ora ti ho somministrato un soppressante che dovrebbe aver mitigato momentaneamente tutti i sintomi, ma fra un paio di ore gli effetti svaniranno. Il primo calore varia molto da persona a persona, ma potrebbe essere molto intenso considerata la tua reazione di poco fa… Sarebbe meglio che torni subito a casa e ti prepari. Abbiamo provato a chiamare i tuoi genitori ma non ha risposta nessuno. Hai un altro modo per contattarli? O c'è qualcuno che possiamo chiamare per venirti a prendere? »

Quale reazione? Vorrebbe chiedergli. E no, non c'è nessuno a casa in questo momento, rispondergli, non c'è nessuno che può chiamare.

« I suoi genitori lavorano fino a stasera ma posso accompagnarlo io » lo anticipa Oikawa, e Hajime gliene è infinitamente grato, perché in questo momento non ha idea di come far funzionare la sua bocca, ha un nodo alla gola che gli impedisce di articolare qualsiasi parola. Non ha idea del perché. È a causa del suo calore?

L'infermiere sembra esaminarli dall'alto verso il basso, come se stesse cercando di far loro una radiografia solo con gli occhi, aggrotta la fronte, storce le labbra come se quell’idea lo disgustasse « Non è raccomandabile… siete due– »

« Non è un problema » lo interrompe nuovamente Oikawa, con il tono che ci si aspetterebbe da un capitano affidabile, da un alpha affidabile. Saranno i suoi ormoni in subbuglio ma Hajime non può far altro che pensare che Oikawa è dannatamente eccitante in questo momento. Se fosse stato un Omega, è sicuro che avrebbe avuto i pantaloni bagnati. E, ok, forse in quel caso l’istinto di essere ingravidato potrebbe passargli per la testa ma… no. Assolutamente no. Hanno diciassette anni.

L'infermiere continua a scrutarli come a volerli far cedere — Hajime non ha idea di quale sia il suo genere secondario, ma dal suo atteggiamento sembra essere decisamente un alpha anche lui, un alpha che sta cercando di affermare la sua superiorità —, si gira verso il coach e il professore in cerca di un sostegno, ma li vede solo annuire. Fa un grosso sospiro rassegnato « Va bene, allora. Riaccompagnalo immediatamente a casa, non fate deviazioni. E… non state troppo insieme. Anche se adesso pensate di poterlo gestire, non è raccomandato che un alpha stia accanto ad un altro durante il suo calore, soprattutto il primo »

Hajime non ha neanche il tempo di annuire o comprendere a pieno qualsiasi cosa gli sia stata detta negli ultimi minuti, vede solo Oikawa annuire appena, rivolgere un saluto ai presenti e trascinarlo via per il polso con più forza del normale. Se Hajime fosse nel pieno delle sue facoltà mentali, lo strattonerebbe via e gli urlerebbe contro che è un idiota e che gli sta facendo male, ma non è per niente nel pieno delle sue facoltà mentali, perciò rimane in silenzio e si fa trascinare via.

 

Solitamente riesce a capire bene i pensieri che passano per la mente di Oikawa, non è difficile: la maggior parte delle volte è qualcosa di inerente alla pallavolo, ad un servizio che non gli riesce come vorrebbe, ad un’alzata che vorrebbe migliorare, ad una nuova tattica da provare. In questo momento però il suo corpo non lascia trapelare nulla, nulla, e Hajime non riesce a leggerlo, come se per la prima volta Oikawa parlasse una lingua che non riesce a comprendere.

Da una parte l’alpha che è in lui vorrebbe fargli presente che non è così debole da non riuscire a camminare, vorrebbe mostrarsi forte e affidabile, come un alpha dovrebbe essere. Dall’altra, anela a quei pochi centimetri di contatto tra loro come fosse un’ancora di salvezza a cui aggrapparsi per non essere lasciato ad affogare, il calore del corpo di Oikawa premuto contro il proprio l’unica fonte di conforto in questa giornata che non avrebbe mai immaginato diventare così strana e complicata.

 

Arrivano a destinazione troppo presto per i suoi gusti.

 

Oikawa si allontana da lui e Hajime sente già la sua mancanza addosso, trattiene a denti serrati qualsiasi verso voglia farsi largo nella sua gola. Trema, non per la temperatura ma per il freddo che sente dentro di sé, e Oikawa — stupido Oikawa che capisce sempre tutto ma mai abbastanza — si sfila la propria felpa e gliela mette attorno alle spalle « non che sia molto utile adesso… ma… » inizia, incerto.

Non sono mai stati così loro due. Non sono mai stati così goffi nell'approcciarsi uno con l'altro, come se stessero camminando sopra un pavimento ricoperto di gioielli di cristallo e dovessero stare attenti a non calpestarli. Sono sempre stati chiari e diretti tra di loro, Oikawa ha sempre detto cosa gli passasse per la mente e Hajime gli ha sempre risposto di conseguenza, non c’è mai stato spazio per fraintendimenti.

« Insomma... siamo arrivati… » gli fa cenno con la testa verso casa, come se non si fosse accorto di dove sono.

Hajime rimane fermo, immobile. La gola è un nodo che non riesce a districare. La voce non esce, come se il suo corpo non volesse più rispondere ai suoi comandi.

Rimani.

Oikawa riesce sempre a capirlo senza bisogno di parlare, Hajime spera con tutto se stesso che lo capisca anche questa volta.

Rimani.

« Ti conviene entrare… » per un attimo il suo sguardo sembra attraversato dal dubbio, apre la bocca e Hajime spera che abbia capito anche questa volta, un Rimani rimane bloccato sulla punta della lingua che non vuole accennare ad emettere alcun suono. Lo vede scuotere la testa, « Hai sentito cosa ha detto l’infermiere a scuola, no? È meglio che due alpha non stiano insieme in questi momenti… »

Non ha capito? O non vuole capire? O… è un modo gentile di rifiutarlo?

 « Immagino che ci vedremo fra qualche giorno? » Non voglio vederti tra qualche giorno. Ti voglio adesso.

Adesso.

Non sa quanto durerà il suo calore, ma sa che durerà almeno un paio di giorni, se non una settimana. Meno tempo a disposizione per giocare insieme, come se ne avessero già abbastanza. Oikawa partirà per l’altra parte del mondo, non possono perdere il loro prezioso tempo insieme così.

« Cosa si dice in questi momenti? Rimettiti? » Non sa cosa rispondergli. In questo momento non pensa che potrà mai rimettersi da questo groviglio che sente al petto. Il suo cuore non sembra più essere al suo posto. È a terra, frantumato in tanti piccoli pezzi, e Oikawa lo sta calpestando con ogni sua parola.

È a causa del calore o è perché…

« Be’, in ogni caso… io vado »

Hajime rimane lì a guardarlo con gli occhi umidi. Girati. Girati e torna indietro, ma Oikawa non si volta indietro. Il suo profilo scompare dietro l'angolo di un muro.

Rifiutato.

Ecco come si sente mentre rientra dentro casa e sale le scale che portano alla camera.

Rifiutato come asso perché Oikawa ha deciso che cercherò un’altra squadra.

Rifiutato come alpha perché non ha saputo dargli ciò che volevano entrambi.

Rifiutato come compagno perché Oikawa non ha accettato il suo invito — e Hajime lo sa, lo sa, che l’ha letto nel suo sguardo che voleva che rimanesse, non è possibile che non abbia capito.

 

Rifiutato, in ogni modo possibile.

 

Un dolore si fa strada tra le sue gambe appena varca la soglia della sua stanza, la stessa stanza che odora di lui e Oikawa insieme, odora di sandalo e fiori di arancio fusi insieme in una perfetta armonia.

Peccato che lui non ci sia e che l’armonia anche se così perfetta si sia frantumata.

 

Si stringe addosso la felpa che gli circonda le spalle, cercando di farsi più piccolo possibile, come se così facendo potesse essere inglobato da essa e far finta che è Oikawa quello che lo sta abbracciando. Si butta sul letto e soffoca un gemito di frustrazione sul cuscino. Si gira la felpa tra le mani e inspira a fondo sul tessuto, lì dove c’è il numero uno stampato sul retro. Infila una mano tra i pantaloni guidato dal bisogno urgente, urgentissimo, di darsi un minimo di sollievo.

La frizione non è minimamente sufficiente, è tutto sbagliato, sbagliato. Non sono le sue mani quelle che desidera addosso a sé in questo momento.

Inala ancora di più il profumo rimasto sulla felpa, cercando di sentire ancora una volta sulla propria pelle il calore e la presenza del braccio di Oikawa che gli circondava la vita.

Hajime, l'ha chiamato oggi, Hajime e non Iwaizumi, né Iwa-chan, né nessun altro dei suoi assurdi soprannomi.

Toru, lo chiama Hajime mentre sprofonda il volto sul colletto della felpa.

Aumenta il ritmo delle proprie mani, Toru, continua a chiamarlo, come se potesse rispondergli. Magari, ovunque sia in questo momento, può sentirlo. Magari, deciderà di tornare sui propri passi, salire le scale ed entrare in camera sua.

Magari…

Toru, lo chiama ancora, le lacrime che gli scivolano sulle guance.

Viene poco dopo, urlando ancora una volta il suo nome, senza un minimo di soddisfazione ma solo un senso di vuoto ad opprimergli il petto.

È meglio che due alpha non stiano insieme in questi momenti, gli ha detto. Cosa c'è di sbagliato nel volere un alpha al proprio fianco durante il proprio calore? Hajime non vuole un omega, non ha conosciuto nessuno che lo faccia sentire anche solo minimamente così, e sicuramente non vuole neanche un qualcuno di indefinito che potrebbe o non potrebbe conoscere in futuro. Vuole lui, anche se Oikawa è un alpha, ma cosa c'è di sbagliato in questo?

Quando Oikawa andrà in calore, vorrà un omega al suo fianco? Cercherà la presenza di qualcuno che non è lui? Verrà chiamando il nome di qualcun altro?

Un altro brivido di piacere lo coglie alla sprovvista mentre lo immagina fare quello che sta facendo in questo momento lui. Lo immagina dare piacere a se stesso, lo immagina chiamare il suo nome. Immagina se stesso lì, a rispondere alla sua chiamata. Una mano si avvolge ancora una volta attorno al suo membro, il calore si fa sempre più intenso, accompagnato da immagini che Hajime è sicuro non potranno mai diventare realtà. La risposta di Oikawa oggi è stata chiara. Non importa che abbia capito o meno, non lo vuole, non almeno come lo desidera Hajime, questo è chiaro.

Quanto può far schifo essere in calore? Lui è lì a compiangersi addosso dopo aver appena scoperto che è attratto dal suo migliore amico ma il suo corpo ha altri desideri che vogliono essere soddisfatti, come se fossero due entità separate ed ognuna di loro avesse obiettivi distinti. La sua mano si muove, più per necessità che per altro, e lui viene poco dopo, digrignando i denti e con le guance rigate dalle lacrime, l’altra mano stretta attorno ad una felpa che non gli appartiene, circondato da un odore che a poco a poco svanirà dalla felpa così come dalla sua vita.

 

Il suo primo calore fa schifo. È straziante ed atroce, dura solo quattro giorni, ma sembrano comunque un’eternità.

Con il suo primo calore Hajime scopre cosa vuol dire essere innamorati — cazzo! È innamorato di Oikawa? Da quando? Perché non se ne è accorto prima? — ma non ricambiati.

Con il suo primo calore scopre per la prima volta nella sua vita cosa vuol dire avere il cuore spezzato.

 

 

 

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Il prossimo capitolo sarà dedicato al senso del gusto e sarà intitolato "Di lacrime salate e foto incriminate".
Dopo l'hurt... c'è il comfort!

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Capitolo 4
*** Gusto - Di lacrime salate e foto incriminate ***


Dopo l'hurt viene il comfort. È il momento di chiarimenti!

  

In breve: Iwaizumi e Oikawa sono due idioti (innamorati, ma pur sempre idioti).

  

  

Capitolo 4 - Gusto - Di lacrime salate e foto incriminate

  

Le lacrime di Oikawa sono salate.

Hajime non dovrebbe essere sorpreso, le lacrime sono salate, è un dato di fatto. Ma si sorprende comunque perché sono le lacrime di Oikawa ad essere salate e Hajime può sentirne il sapore perché Oikawa, tra tutti, lo sta baciando.

 

Oikawa. Lo. Sta. Baciando.

 

Oikawa che non gli parla da giorni.

Dopo che Hajime gli ha urlato contro perché Oikawa gli ha spezzato il cuore.

Per la seconda volta.

 

La prima volta Hajime ci ha messo un po’ — esattamente i quattro giorni del suo primo calore — ma è riuscito a superare la sua cotta-che-non-è-solo-una-cotta-ma-si-rifiuta-di-definire-in-un-altro-modo-perché-tanto-è-stato-rifiutato.

È riuscito a farsene una ragione, a continuare a comportarsi come si è sempre comportato. Ha guardato Oikawa flirtare con omega, uscire con una di loro per un breve periodo di tempo, accettare lettere il loro ultimo giorno di scuola e non prenderne in considerazione nessuna perché tanto da lì a pochi giorni sarebbe partito per l’Argentina.

Hajime lo ha guardato allontanarsi sempre di più, non solo fisicamente ma… in ogni aspetto della loro vita.

Da quel giorno — il giorno in cui tutto è cambiato, il giorno in cui Oikawa l’ha riaccompagnato a casa — hanno continuato a scriversi per telefono, a studiare insieme per verifiche ed esami, a fare qualche palleggio nel cortile di casa come pausa ogni tanto.

Hanno continuato a fare tutto quello che facevano prima, ma in modo completamente diverso: Oikawa non si è più presentato a casa sua senza invito, non si è più presentato in camera sua senza usare soppressori o inibitori. Non gli ha mai chiesto indietro la sua felpa e Hajime non gliel’ha mai restituita. Se ne vergogna un po’, ma la usa ancora quando va in calore, nonostante ormai sia solo un pezzo di stoffa senza più alcun odore. Il solo fatto che sia appartenuta ad Oikawa una volta, che ci sia il suo numero stampato sul retro, è una fonte di conforto e allo stesso tempo di dolore.

 

Prima dell'inizio degli esami di fine anno, Oikawa è anche stato assente per diversi giorni, Hajime ha provato a contattarlo per chiedergli che fosse successo ma non ha mai ricevuto risposta. Ha scoperto solo qualche giorno dopo che era in calore e solo perché è stato Kunimi – Kunimi! – a dirglielo. Oikawa l'aveva detto a Kunimi e non a lui, Hajime, il suo presunto migliore amico.

Ma quel Giorno — il Giorno con la G maiuscola — il loro rapporto si è incrinato e Hajime non è sicuro del come o del perché. Ha il dubbio che Oikawa sappia della sua cotta (che-non-è-una-cotta), vorrebbe chiederglielo ma allo stesso tempo ne è terrorizzato. Non riesce a dimenticare il dolore del rifiuto di quel giorno. Oikawa deve aver capito cosa Hajime volesse da lui e l’unica spiegazione al suo comportamento è che lui non volesse la stessa cosa. Hajime può capirlo, ma si aspettava comunque un qualche commento da lui, anche uno di quei stupidissimi commenti in proposito al fatto di sapere perfettamente di essere irresistibile e che ovviamente neanche Hajime non poteva che cadere ai suoi piedi.

Non è che Hajime non sapesse di non avere speranze. O, almeno, così pensava. Oikawa si è sempre dimostrato interessato unicamente alle omega. Dopo quella volta, poi, era palese che era assolutamente contrario ad un rapporto tra due alpha, e Hajime se n’era fatto una ragione.

Il rifiuto bruciava, ma poteva sopportarlo e andare avanti. In fondo non puoi costringere una persona ad amare un sesso o un genere che non può amare.

 

O almeno è quello che ha pensato fino a quando Oikawa non è andato in Argentina e pochi mesi dopo essere entrato nella lega ha iniziato a frequentare uno dei suoi compagni di squadra.

Un alfa.

 

Se c’è una cosa di cui sicuramente non va orgoglioso è di come ha reagito alla notizia e probabilmente di quello che ha detto ad Oikawa qualche giorno dopo, quando si sono sentiti al telefono. Da una parte, Hajime sa di aver reagito così perché il suo calore era vicino e lui era particolarmente suscettibile; dall’altra, non è sicuro che non avrebbe reagito in ogni caso allo stesso modo.

È per questo che dopo aver passato una settimana e mezza ad affogarsi in stupidi pensieri e farsi mille paranoie, guardare lo schermo del proprio cellulare sulla schermata del contatto di Oikawa senza mai premere il pulsante per avviare la chiamata, scrivere e cancellare più e più volte un messaggio che non ha mai inviato, ha deciso di prendere il primo volo dalla California all'Argentina e di affrontare il problema di petto.

Non è mai stato il tipo da scappare dai propri problemi. Può essere una persona adulta e responsabile, ricevere finalmente e chiaramente in faccia l’orribile rifiuto che lo aspetta se questo vuol dire provare a ricucire i rapporti con Oikawa. Prima di tutto, prima di ogni altra cosa al mondo, è il suo migliore amico e non vuole in alcun modo perderlo.

 

Si era preparato un discorso, un discorso che si è ripetuto più e più volte per tutta la durata del volo. Gli avrebbe chiesto scusa, perché non aveva nessun diritto di arrabbiarsi come aveva fatto e urlargli contro quello che gli aveva urlato solo perché Oikawa aveva deciso di uscire con un alpha che non era lui. Poi gli avrebbe raccontato della sua stupida cotta, ci avrebbero riso sopra, Oikawa avrebbe fatto i suoi commenti inopportunamente inopportuni e tutto sarebbe tornato come prima.

 

Questo, almeno, era ciò a cui Hajime si era preparato.

Peccato che, quando si tratta di Oikawa, niente vada mai secondo i suoi piani.

 

Nel momento in cui il suo migliore amico ha aperto la porta con addosso una felpa che era inconfondibilmente quella di Hajime — quella di quando giocavano all’Aoba Johsai, Hajime si era chiesto effettivamente che fine avesse fatto — qualcosa in lui è scattato.

Ha dimenticato completamente il motivo per cui fosse lì, o il fatto che non si parlassero da undici giorni e che non si vedessero almeno da sette mesi. Ha dimenticato completamente che voleva scusarsi, che aveva un discorso preparato durante il viaggio da fare.

L'unica cosa che riusciva a vedere era Oikawa, solo Oikawa, il volto assonnato di chi si è appena svegliato, i capelli arruffati, la felpa leggermente larga che gli ricadeva su una spalla.

Il profumo soffuso di fiori d’arancio è arrivato alle sue narici per la prima volta dopo quella che gli è sembrata un’eternità e la diga che conteneva tutti i sentimenti che aveva tenuto racchiusi dentro di essa si è aperta, spalancata sotto la loro intensità.

 « Ti amo » sono state le prime parole che sono uscite dalla sua bocca. Non lo so che questo è un orario improponibile ma ho affrontato un volo di quattordici ore solo per venire a chiederti scusa di persona, né nulla del discorso che aveva preparato, cancellato dalla sua mente in un istante.

Solo "Ti amo".

Gli occhi di Oikawa si sono allargati dalla sorpresa, il suo odore si è fatto più intenso, « Ti amo » gli ha ripetuto Hajime, « Ti amo e— »

 

Non è mai riuscito a finire la frase.

 

Non è sicuro di cosa abbia registrato prima.

Se le mani che si sono strette alla sua t-shirt e lo hanno attirato a sé. O le labbra che si sono scaraventate con irruenza contro le sue. O le lacrime di Oikawa che gli bagnavano le guance fino ad arrivare lì dove le loro bocche si univano.

Non è sicuro che ad un certo punto non ci fossero anche le sue, di lacrime, in tutto quel miscuglio. Ma non è più sicuro di molte cose ormai. Era sicuro, sicuro, che una cosa del genere potesse accadere solo nelle sue fantasie ed invece…

 

« Dillo ancora » è già la quarta volta nel giro di pochi minuti che Oikawa glielo chiede.

« Ti amo » ripete. È liberatorio, dopo tanti mesi passati a tentare di nasconderlo perfino a se stesso, ogni volta che pronuncia quelle due semplici parole gli sembra quasi di togliersi un macigno di dosso. È come tornare a respirare dopo tanto tempo che era rimasto in apnea.

Oikawa scoppia a piangere — di nuovo — e lo bacia — di nuovo.

« Di nuovo » gli chiede un'altra volta, subito dopo, staccandosi appena da lui, le labbra che si muovono praticamente sulle sue, il fiato caldo che s'infrange sulla sua pelle ad ogni respiro.

Hanno entrambi il volto rigato dalle lacrime, ma nessuno dei due sembra aver intenzione di farci qualcosa. Oikawa ha ancora le mani strette sulla sua maglietta, mentre quelle di Hajime lo stringono a sé, quasi avesse paura che potesse dissolversi se solo allentasse la presa, come se si potesse ritrovare improvvisamente di nuovo sull’aereo e scoprire che è stato tutto un meraviglioso, bellissimo sogno da cui avrebbe preferito non svegliarsi.

Questo, però, non è un sogno.

In nessun sogno il cuore gli è mai sembrato potergli esplodere nel petto. In nessun sogno l’odore di Oikawa è mai stato così vivo, quasi tangibile. Nei suoi sogni è sempre stato sfumato, come ormai lo era diventato nella sua memoria; Hajime sapeva che doveva essere lì, ma non riusciva mai ad afferrarlo. Ora invece è talmente denso e corposo che sembra quasi di avere un’arancia matura tra le proprie mani, come se potesse addentarla e mangiarla e diamine! quanto vorrebbe mangiarla.

« Ti amo » ripete.

« Quante volte pensi di ripeterlo ancora? » gli chiede stavolta Oikawa. I suoi occhi sono ancora umidi, ma dalle sue labbra fuoriesce una risata. Hajime lo bacia ed è come baciare l’arcobaleno.

«Tutte le volte che mi chiederai di farlo » altre dieci, cento, mille volte. All’infinito.

« Non pensi che ti stancherai prima o poi? »

« Forse » no. Se Oikawa lo baciasse per ogni volta che gli dice ti amo, Hajime è sicuro che non si stancherebbe mai di ripeterglielo.

 

Rimangono fermi nella stessa posizione per un po’, stretti sull’uscio di casa alle cinque del mattino, il sole che comincia a sorgere alle loro spalle, finché Oikawa non si allontana leggermente da lui e si asciuga gli occhi e la faccia alla meglio con la manica della felpa.

« Vieni dentro? »

Hajime non se lo fa ripetere due volte.

 

C’è qualcosa di stranamente familiare in un appartamento in cui non è mai entrato, nel sedersi davanti l’isola di una cucina in cui non è mai stato mentre Oikawa prepara una colazione che non ha mai assaggiato.

Tra queste quattro mura sconosciute, con l’odore di Oikawa che permea ogni anfratto della stanza e la sua voce in sottofondo che lo culla, è tutto così inconfondibilmente di Oikawa che Hajime non può che sentirsi a casa: c’è un giacchetto abbandonato su un bracciolo del divano in soggiorno, un pallone — rigorosamente Mikasa perché Oikawa preferisce allenarsi con lo stesso tipo che usano durante le partite ufficiali — vicino all’ingresso, una divisa appesa sulla porta di quella che immagina sia la sua camera da letto. Non può fare a meno di sorridere quando vede le foto che Oikawa tiene esposte nella libreria: ce n’è una di loro due quando erano piccoli, Hajime che ride a bocca aperta, i due incisivi centrali mancanti; un’altra è del giorno in cui Oikawa è stato premiato miglior palleggiatore alle scuole medie, un’altra ancora ritrae la loro squadra delle superiori arrivata seconda ai nazionali.

 

Il suo sorriso scompare quando si posa sull’ultima foto.

 

« Che succede? » non si stupisce quando Oikawa se ne accorge immediatamente, nonostante sia ai fornelli e gli stia dando le spalle — Hajime a volte si chiede se non abbia gli occhi anche dietro la testa, ma forse è solo il suo odore che è cambiato.

Si era dimenticato di quel piccolo — enorme — particolare. Il motivo per cui la loro discussione è iniziata. Il motivo per cui— « Non possiamo stare insieme »

Forse anche Hajime ha un paio di occhi dietro la testa, perché il suo sguardo è ancora concentrato su quella dannatissima foto ma sente chiaramente Oikawa irrigidirsi dietro di sé prima di voltarsi verso di lui. « Che vorresti dire? » l’irritazione è palpabile nella sua voce, esattamente come quando hanno discusso l’ultima volta. Quella volta Hajime però era furibondo e non ha reagito nel migliore dei modi, stavolta… non sa neanche lui esattamente come si sente al momento.

« Non possiamo stare insieme se stai già con qualcun altro, no? » diavolo! Ha appena baciato una persona impegnata… più volte. E lo farebbe ancora se non fosse per quello lì. Oikawa ha appena tradito il suo partner con lui? Quanto è caduto in basso Hajime?

« Di che cosa stai parlando?! »

« Di quello lì » gli indica la foto in questione, come se non ci fossero anche altre dieci persone con lui e l'altro. È una foto della sua attuale squadra, il braccio dell’altro alpha attorno alle sue spalle. Cosa c’è più palese di così? « Perché non me l’hai detto? Ho dovuto scoprirlo da Kunimi » per la seconda volta, vorrebbe aggiungere.

Vede gli occhi di Oikawa rimbalzare tra lui e la foto, come se non riuscisse a credere a quello che sta succedendo. « Intendi Miguel? » Sì? No? Forse? Che ne sa Hajime come si chiama? Perché, c’è qualcun altro?

Oikawa scoppia a ridere — ridere! — e Hajime è sicuro che se uno sguardo potesse uccidere, il suo in questo momento sarebbe capace di farlo. Non gl’importa che abbia appena ammesso di amarlo, cosa diavolo c’è da ridere?

« Non stiamo insieme! »

Cosa?

« Cosa? » Non è possibile. Hajime ha visto la foto in cui Miguel ha taggato Oikawa qualche settimana prima. Erano solo loro due, in un pub, di sera. Oikawa aveva il volto rosso. E la descrizione… Hajime non conosce una parola di spagnolo e il traduttore aveva fatto un pessimo lavoro ma l’unica parola chiara era pulcino. Pulcino. Chi diavolo usa un soprannome del genere?! « Ma la foto su Instagram… »

« Di quale foto stai parlando? »

Nel volto di Oikawa passano diverse emozioni una dietro l'altra nel giro di pochi istanti, il suo odore cambia così repentinamente che ad Hajime vengono quasi le vertigini: confusione, sorpresa… i suoi occhi si illuminano di consapevolezza quando finalmente sembra capire di cosa stia parlando. Arrossisce. Arrossisce.

Non crede di averlo mai visto arrossire in vita sua e si conoscono da anni. Che razza di reazione è se come dice lui non stanno insieme?

« Intendi… quella foto? » non è che sia molto d’aiuto una domanda del genere, ma stanno parlando della stessa foto, no? A meno che non ce ne siano altre ancora peggiori… Ce ne sono? Non ha controllato ma forse è meglio così. « Miguel è un alpha » inizia a spiegargli esitante, come se Hajime non l’avesse già capito. Il tizio in questione — Miguel — sprizza “alpha” da ogni muscolo che ha in corpo. Ha visto alcune delle loro partite, è dura ammetterlo ma è incredibilmente bravo. Un asso in tutto e per tutto. « E sta con un altro alpha »

« Eh? »

« Ho detto che è sposato con un altro alpha! »

« Ho capito! Ma… perché ti ha definito il suo pulcino se sta con un altro? »

« Che— Non— Lui non— Aspetta!» afferra il proprio telefono da sopra il tavolo e lo vede picchiettare furiosamente sullo schermo mentre lo sente imprecare qualcosa in spagnolo contro Miguel, fino a quando non gira il telefono verso di lui e… c’è la dannatissima foto in questione. « Intendi questa? » gli chiede, ma Hajime ha appena il tempo di annuire prima che Oikawa legga ad alta voce la descrizione, in spagnolo. Come se potesse capire una sola parola di cosa sta dicendo. « Intendevi questo? Perché quello che c’è scritto qui è “Il pulcino sta crescendo”! »

« Che diavolo vorrebbe dire?! » chi diavolo tagga un proprio compagno di squadra e scrive una cosa del genere?

Oikawa reagisce facendo di nuovo quell’espressione, la stessa che aveva nella foto che adesso è nuovamente davanti ai loro occhi. La stessa di quando poco prima ha capito di cosa Hajime stesse parlando. Ha il volto rosso come una fragola matura ed il suo odore è dolciastro, non ha mai avuto un odore simile.

« Ti ricordi cosa ci ha detto l’infermiere della scuola quando sei andato in calore? »

« Che diavolo c’entra questo adesso? »

« Te lo ricordi? »

« Sì! » vagamente, ma se lo ricorda.

« Ha detto che due alpha non possono stare insieme… e quando gli ho detto che ti avrei riaccompagnato a casa… ci ha guardati in quel modo »

Hajime non ci ha pensato molto lì per lì, ma ricorda chiaramente che l'infermiera li aveva guardati con un'espressione molto simile al disgusto. Tuttavia, in quel momento, i suoi pensieri erano tutti rivolti ad altre cose, agli ormoni impazziti e alla notizia della partenza di Oikawa per l'Argentina. Non gli importava dello sguardo che l'infermiera aveva rivolto loro, e non pensava che Oikawa potesse dargli importanza.

« E… non è solo quello. Ci hanno sempre detto che ci dovevamo trovare un omega, no? » anche quello è vero. Quando erano piccoli, i loro genitori, parenti e conoscenti gli hanno sempre detto che quando sarebbero stati grandi e diventati alpha sarebbero stati dei perfetti compagni per le loro omega. E si ricorda anche di quando erano all’asilo o alle elementari, bastava che un’omega facesse un gesto carino nei suoi confronti che tutti pensavano fosse diventata improvvisamente la sua fidanzatina. Ma le omega non l’hanno mai interessato, e a dir la verità neanche gli omega maschi. Gli unici per cui ha mai avuto una qualche cotta adolescenziale erano attori o atleti che ha visto in televisione. Ed erano tutti alpha. Ha sempre saputo di essere attratto da altri alpha – principalmente, se non esclusivamente, uomini – e non ci ha mai visto nulla di male.

« Anche quando sei andato in calore » continua a raccontargli Oikawa mentre si avvicina alla libreria e prende tra le mani la loro foto con il resto del Seijoh « i nostri compagni di classe si chiedevano se avresti chiamato un omega. Alcune nostre compagne di classe si sono anche chieste se era il caso di proporsi » di questo non ne sapeva niente, ma d’altronde ha passato quei giorni in assoluta agonia, invocando a vuoto il nome di Toru. Ricorda che gli sono arrivati dei messaggi e anche delle telefonate, ma non ne ha preso in considerazione neanche una. Non aveva idea che qualcuna delle loro compagne di classe voleva proporsi, non che comunque avrebbe mai accettato.

« E quando sono andato io in calore... ho provato a chiedere ad una delle ragazze che si erano proposte di passarlo con me ma... il suo odore era terribile e ho pensato “ad Hajime non piacerebbe se avessi questo odore addosso” »  lo sente ridacchiare e allo stesso tempo tirar su con il naso, come se stesse piangendo, il suo odore si inasprisce e, quando alza lo sguardo verso di lui, i suoi occhi sono nuovamente umidi. Non è come quando erano sul ciglio di casa. Mentre Hajime lo baciava, Oikawa piangeva di felicità; adesso, invece, ha il volto contratto in una smorfia di dolore.

« Poi ho capito che l’unica cosa che volevo eri tu...  tu. Tu, Hajime »

 

Si muovono nello stesso momento, e si incontrano a metà strada. Hajime lo avvolge tra le sue braccia mentre Oikawa scoppia a piangere e con lui anche Hajime stesso. Il suo compagno — non importa cosa possano dire altri, Oikawa è il suo compagno — sta soffrendo, ed è ovvio che anche Hajime soffra insieme a lui.

Non ha idea di quanto tempo passino così, prima che Oikawa torni a parlare. Ora che ha iniziato, sembra che non riesca più a trattenere tutto quello che gli ha nascosto in questi ultimi mesi.

« Quel giorno ho scoperto che Miguel era ufficialmente sposato con un altro alpha. Gli ho chiesto della loro storia, e lui mi ha invitato a bere perché non vedeva l’ora di raccontarmi di suo marito. Era felicissimo mentre mi spiegava come si erano conosciuti, messi insieme e alla fine aver deciso di sposarsi. Gli ho detto che anche io... che anche io ero innamorato di un altro alpha, ma che a casa... che... che in Giappone sembrava considerata una cosa sbagliata… che io mi sentivo sbagliato per provare quello che provavo. Abbiamo parlato un sacco e alla fine mi ha convinto a parlarne con te ma… » ma Hajime è stato un idiota. Perché quando si sono parlati al telefono, qualche giorno dopo, invece di ascoltarlo lo ha insultato « …ma tu quella sera stessa mi hai mandato quel selfie! » finisce invece Oikawa e stavolta è il turno di Hajime di rimanere sorpreso. Di quale selfie sta parlando?

« Quel selfie! » ripete Oikawa come se Hajime potesse capire, « Quello con Ushiwaka! »

 

Oh.

 

Oh!

 

Davvero?!

 

Quanto sono idioti tutti e due?

Due idiotissimi idioti.

Due idioti davvero idioti.

 

Stavolta è lui a scoppiare a ridere, non può trattenersi.

Oikawa gonfia le guance, mette su un’espressione oltraggiata, lo colpisce ad una spalla e Hajime ride ancora di più.

Non è una reazione che avrebbe immaginato alla fine di questa conversazione. Fino a due secondi prima, se qualcuno lo avesse pugnalato al petto avrebbe probabilmente sofferto meno di quanto stava soffrendo ascoltando la storia di Oikawa, ma dopo aver menzionato quel selfie... non si sono parlati per due settimane perché Oikawa se l’è presa per il suo selfie con Ushiwaka e Hajime se l’è presa per una foto che non voleva dire niente di quello che pensava? Per davvero?!

Sono davvero due idioti.

 

« Cazzo, Toru » si copre il volto con le mani, tira un sospiro di sollievo.

Alza lo sguardo e Oikawa — Toru — ha ancora la stessa espressione profondamente offesa, ma anche leggermente sorpresa per essere stato chiamato per nome. Ed il suo odore… il suo odore si fa ancora più dolce ed invitante, come se lo stesse chiamando. Hajime gli prende il volto tra le mani, gli asciuga le guance « Ti amo » la sua voce è riverente e piena d'amore.

« Ti amo anche io, Hajime » è la prima volta che Toru glielo dice. Ha chiesto ad Hajime di ripeterglielo almeno cinque volte, ma lui non gliel’aveva ancora detto neanche una volta fino ad ora. E Hajime… Hajime si sente pervadere da una felicità sconfinata. Ora capisce perché gli ha chiesto di ripeterglielo ancora ed ancora, lui vorrebbe ascoltare Toru ripeterglielo per il resto della loro vita.

« Ti amo » gli ripete, prima che Toru gli risponda con le stesse identiche parole.

Il cuore sembra potergli uscire dal petto dalla felicità, mettere le ali e svolazzare intorno a Toru — non via, perché non potrebbe mai allontanarsi da lui.

 

Si baciano ancora e Hajime scopre nuovi sapori sulle labbra di Toru.

Il sapore del Ti amo che gli sussurra nuovamente poco dopo, di un Hajime pronunciato con un bisogno così impellente che non può far altro che stringerlo ancora più a sé, più forte, per cancellare ogni distanza che li separa. Scopre il gusto di poter finalmente e liberamente dire sei mio e sono tuo, perché è questo che sono. Scopre il gusto di parole non dette, come compagni, famiglia e casa.

 

Più tardi, quando la fame inizia a farsi sentire e si ricordano della colazione lasciata sui fornelli, si mettono a tavola e mangiano insieme. Fanno un selfie e Toru lo pubblica sul proprio profilo con sotto la dicitura “Sapevo di essere irresistibile” e un emoticon ammiccante. Hajime lo chiama stupido, ma mette comunque un “mi piace”, salva la foto sul proprio telefono e la imposta come sfondo.

 

Toru lo bacia un’altra volta ed ecco, pensa Hajime, è questo il sapore della felicità.

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Capitolo 5
*** Vista - Di vittorie e anelli ***


  

Capitolo 5 - Vista - Di vittorie e anelli

  

« Iwa-chan, mi hai visto? »

« Certo che ti ho visto » come avrebbe potuto non farlo? era praticamente in prima fila, nello spazio dedicato alla nazionale giapponese, mentre la squadra argentina veniva premiata con la medaglia d'oro, la stessa che ora pende al collo di Toru e che è l'unica cosa che ha praticamente addosso (se non si considera Hajime completamente spalmato su di lui).

« Ho battuto Ushiwaka » continua Toru, come se ancora non ci credesse neanche lui. Gli occhi gli brillano come l’oro che porta al petto, la bocca è spalancata in un sorriso. « Ho battuto Tobio. Ed il piccoletto. E Miya. E il piccolo gigante. E– » e Hajime ferma quel fiume di nomi, intrappolando le sue labbra tra le proprie. È felice per Toru, sa quanto sia importante per lui questo traguardo, ma non ha intenzione di sentirlo nominare altre persone quando sono così, stretti e nudi sotto le coperte del letto della camera del villaggio olimpico.

Sente il suo sorriso allargarsi sulle proprie labbra, Toru gli circonda il collo con le braccia e lo preme ancora più verso di sé. La medaglia d'oro tintinna fredda contro la loro pelle accaldata, il rumore attira nuovamente l’attenzione di Toru, che sembra ricordarsi improvvisamente qualcos’altro. « E sono io il miglior palleggiatore. Io. Il miglior palleggiatore al mondo, hai visto Iwa-chan? » sembra un bambino che si è appena ritrovato davanti Babbo Natale con un sacco pieno di regali tutti per lui. È Natale, Capodanno, ed il suo compleanno, tutte le festività messe insieme. Hajime vorrebbe vederlo ogni giorno così.

« Ho visto » gli posa un bacio sulle labbra, « Sei stato meraviglioso » un altro sotto la mandibola « Sono incredibilmente orgoglioso di te » un altro al petto, dove la medaglia sfavilla in tutto il suo splendore.

« Hajime » il suo nome sembra un canto intonato per la dea Vittoria, anche se non è stato lui a vincere. Toru gli circonda il viso con le mani e lo alza verso di sé, Hajime non ha mai visto i suoi occhi umidi di felicità risplendere così tanto. « Ce l’ho fatta »

Hajime gli sorride, ed è lui stavolta quello a circondargli il volto, i palmi appoggiati alle sue guance e i polpastrelli ad accarezzargli la pelle « Non ho mai avuto dubbi sul fatto che ci saresti riuscito ». Ha sempre saputo che era destinato a compiere imprese grandiose, che non si sarebbe mai fatto fermare per realizzare i suoi sogni. Hajime ha potuto guardarlo da vicino, rimanere al suo fianco per tutto questo tempo e adesso gioire con lui.

È talmente bello da togliergli il fiato, talmente magnifico che potrebbe rimanere giorni ad ammirarlo. Un’opera d’arte modellata dal sudore e dall’impegno.

Un’opera d’arte che solo lui può contemplare in questo modo, il corpo senza alcun velo e il volto che sprizza felicità da ogni poro.

 

Toru azzera la distanza tra di loro, lo tira famelico verso di sé e gli stringe i capelli tra le mani quel tanto che basta a fargli soffocare un gemito di piacere tra le loro labbra. « Hajime » lo chiama ancora. Hajime potrebbe non stancarsi mai di essere chiamato così, la felicità palpabile ad ogni sillaba, l’affetto che straripa da ogni suono, il suo nome che riecheggia nel suo sorriso.

È un bacio lento e profondo.

Hanno tutto il tempo del mondo a loro disposizione, tutto il fiato all’interno dei loro polmoni.

 

Fuori i fuochi d’artificio esplodono e illuminano il cielo con i loro colori sgargianti, ma il vero spettacolo è negli occhi di Toru che lo guarda come se avesse di fronte a sé l’intero mondo. E forse è così, perché quando Hajime lo elogia dicendogli « Sei stato il migliore. Sei il migliore » sembra quasi che Toru non desiderasse altro che sentirselo dire da lui. La sua bocca si allarga ancora di più, il suo odore si fa più intenso e dolce; i loro corpi non sono mai stati tanto vicini tra di loro, come se volessero fondersi e diventare un’unica cosa sola.

 

Quando l’Argentina ha segnato il punto della vittoria contro il Giappone, Hajime ne è stato un po’ dispiaciuto: era la sua squadra, in fondo, quella che aveva perso. Ma quando, poco dopo, ogni giocatore dell’Argentina è stato chiamato per indossare la meritata medaglia d’oro e quando dopo ancora Toru è stato nominato il miglior palleggiatore dei giochi olimpici, il dispiacere si è tramutato ben presto in euforia.

Quello è il mio alpha, avrebbe voluto urlare al mondo. Al mondo che aveva gli occhi puntati su Toru anche se quelli di Toru erano puntati solo su di lui. Hajime era lì, pronto a ricambiare il suo sguardo, a condividere un segreto di cui solo loro due erano a conoscenza.

Hajime è così fiero di lui che le parole non bastano.

« Sei il migliore, e ora tutto il mondo lo sa » lui, più di ogni altro, sa quanti sforzi e sacrifici Toru ha fatto per realizzare questo sogno.

« Non ho vinto da solo. Abbiamo vinto insieme »

L’alpha dentro di lui ulula gioioso.

Non è stato facile vivere le loro vite con il loro compagno dall’altra parte del mondo, ma ce l’hanno fatta: Hajime l’ha sostenuto in ogni passo di questo cammino e Toru ha fatto lo stesso con lui. Hanno messo tutto loro stessi in questa relazione, bilanciando il tempo per inseguire i propri sogni con quello dedicato alla loro relazione. Hajime ha passato notti a pensare a come poteva migliorare il piano d'allenamento di Toru e Toru ha passato notti ad ascoltarlo ragionare su quello che aveva studiato a lezione e trovare insieme il modo migliore per metterlo in pratica. Quando possibile, uno dei due andava a trovare l'altro, che fosse in Giappone, in California o in Argentina non era importante. Quando non era possibile, si accontentavano di fare videochiamate. Durante le giornate più frenetiche, si scambiavano dei semplici messaggi: buongiorno, buonanotte, hai mangiato?, ti sei ricordato di fare stretching?, sei riuscito a finire il capitolo che volevi studiare? erano tutti modi per far capire all'altro che c'erano, che erano insieme.

 

Tecnicamente, sa che lui e Toru non si possono definire propriamente compagni: sono entrambi alpha e non possono instaurare un legame tra di loro, non quello biologico che si instaura tra un alpha e un omega per lo meno, ma Hajime non pensa che quello che c’è tra di loro valga di meno. Anzi, non riesce ad immaginare a niente che possa eguagliare quello che sta provando in questo momento. L’aria intorno a loro è densa dei loro odori mescolati insieme, ogni emozione che sente provenire da Toru gli penetra sotto pelle e accende ogni terminazione nervosa. Sente ogni suo respiro come se fosse il proprio, ogni battito del cuore che rintocca all’unisono. Sono un’unica entità che si è separata in due corpi solo per provare il piacere di potersi riunire più e più volte.

 

Mio. Mio. Mio, ripete l’alpha nella sua testa.

 

Sente i propri canini allungarsi smaniosi di marchiarlo.

 

Mio.

 

I denti affondano sulle ghiandole del collo di Toru, un gemito gli sfugge dalla bocca, sente le sue mani stringere sulla sua nuca, la vena che pulsa sotto le sue labbra. Il sapore rugginoso del sangue caldo sulla propria lingua si mescola con quello di arancia, l’odore di Toru lo avvolge come una densa nebbia.

Lecca i rimasugli di sangue che scivolano via sulla spalla e si ritrae per ammirare il suo operato, l’impronta dei suoi denti come una firma sulla pelle bronzea di Toru. Sa bene che, come tutti gli altri segni che gli ha lasciato finora, sparirà nel giro di qualche giorno, giusto il tempo che la ferita si rimargini: sono due alpha, Hajime non può lasciare il suo marchio permanente su Toru e Toru non può lasciare il proprio su Hajime. Forse è stupido continuare a farlo quando sono entrambi consci che non rimarrà alcuna traccia, ma è comunque confortante in qualche modo avere, anche solo per qualche giorno, il proprio segno sul corpo dell’altro.

« Un anello, ecco cosa ti devo mettere addosso » le parole gli sfuggono senza che ne abbia alcun controllo. È da giorni che ci pensa, settimane, mesi. Ogni volta che il suo marchio svanisce, sente in sé crescere il desiderio di avere qualcosa di tangibile, che rimanga per sempre e che tutti possano vedere.

 

Tutti devono realizzare che questo alpha meraviglioso è unicamente suo, suo e di nessun altro.

 

Un suono gutturale si fa strada tra le corde vocali di Toru, « Hajime » lo chiama, la voce bisognosa e carica di desiderio. Hajime sente il suo membro eretto premere tra le proprie gambe. Se fosse un omega, a quest’ora sarebbe pronto ad accogliere Toru e a soddisfare ogni sua voglia senza alcuna resistenza.

Essere alpha rende tutto più complicato ma non impossibile.

Lo hanno fatto già due volte da quando sono tornati dalla cerimonia di premiazione, Hajime si è preparato nella doccia, ma Toru ha voluto comunque continuare l’opera. L’ha preparato con cura e minuziosità, l’ha fatto venire la prima volta praticamente soltanto leccandolo, la seconda con le sue dita, la terza dentro di lui. Normalmente, nonostante la sua resistenza, Hajime a questo punto avrebbe bisogno di una pausa (possibilmente di una giornata intera), ma questa notte è ebbro di eccitazione.

 

Vuole dare tutto a Toru e ricevere ogni cosa lui voglia donargli.

 

« Prendimi » è un comando da alpha, non ha davvero effetto su Toru, ma suscita comunque la reazione che Hajime sperava. 

Toru gli afferra nuovamente il volto, lo bacia disperato, come se la sua vita dipendesse unicamente da quello, lo penetra con un’unica spinta. I denti affondano nella carne e Hajime si ritrova a venire per la quarta volta nel giro di poche ore, un gemito roco gli esce dalla bocca, la testa cade all’indietro, sul cuscino sotto di lui.

 

Davanti a lui si apre un paradiso bianco che lo accoglie tra le sue porte e gli regala un frutto proibito.

Dentro di lui, può sentire il nodo alla base del membro di Toru gonfiarsi e riempirlo lentamente.

 

Non è la prima volta che lo fanno, ma non vuol dire che comunque ogni volta non faccia male: il suo corpo non è fatto per ricevere un nodo, ma né al suo cuore né alla sua testa sembra importare. Gl’importa soltanto della sensazione di sentirsi completo, l’odore intenso di Toru che lo circonda, la vista offuscata un po’ dal piacere e un po’ dal dolore.

Affonda le unghia tra le scapole di Toru, aggrappandosi a lui come se non esistesse altro appiglio al mondo. È certo che lascerà il segno anche lì, che la ferita sanguinerà per un po’ ma anche questa alla fine si rimarginerà come tutte le altre, senza lasciare alcuna traccia di sé.

 

« Alpha » esce in un respiro mozzato.

Vuole sentire Toru venire dentro di sé, vuole sprofondare nel suo odore e non affiorare mai più.

L’orgasmo di Toru colpisce entrambi di sorpresa, una spinta più profonda che li lascia senza respiro. Soffoca l’ennesimo gemito sulla pelle dell’altro, i denti che affondano ancora una volta sulle ghiandole del collo. È certo di essere venuto una quinta volta, inconsapevolmente e senza alcun controllo, ma la sua testa è un eden di alberi di arancio che fluttua leggera da qualche parte nel cielo.

 

L’unica cosa che riesce a risvegliarlo dallo stato di estasi in cui si ritrova è Toru che si accascia su di lui, il suo corpo caldo e maestoso che luccica di sudore, illuminato dai riverberi che arrivano da fuori.

In lontananza, ci sono ancora riti e festeggiamenti, ma nella loro stanza, nel loro mondo, esistono solo loro due.

 

Toru gli sposta dalla fronte un ciuffo di capelli umidi, la testa appoggiata sulla sua spalla e il peso tutto su un fianco. « Lo faresti sul serio? » gli chiede.

« Cosa? »

« L’anello. Lo faresti sul serio? »

« È l’unico modo per far capire a tutti che sei mio » ha visto come lo guardavano alcuni spettatori alla fine della partita, perfino alcuni giornalisti, e chissà quante altre persone presenti e non che hanno assistito alla partita di persona o in diretta.

Toru è suo, così come Hajime è di Toru. Non importa cosa dice la società, si appartengono, in ogni modo ed in ogni senso possibile.

 

« E da quando sono tuo? » lo provoca Toru, un luccichio di malizia negli occhi.

« Toru » lo intima. Hajime non ha bisogno di eccitarsi di nuovo mentre sono ancora bloccati uno con l'altro. Non crede che sopravvivrebbe se venisse una sesta volta, sarebbe troppo perfino se entrambi fossero in calore. Cos’è quella medaglia, un talismano del vigore?

In risposta, Toru ha la faccia tosta di ridere.

« Sta fermo idiota, fa male se ti muovi! » sono ancora intrappolati uno con l’altro, Hajime ama la sensazione di essere connesso così intimamente con lui, ma non sono esattamente nella posizione più piacevole per rimanere bloccati per un’altra quindicina di minuti e ogni movimento non necessari sembra poterlo squarciare a metà.

« Scusami, Iwa-chan, giuro che non volevo! » Toru gli posa un bacio sulla fronte e Hajime cerca di rilassarsi sotto di lui. Chiude gli occhi, inalando a fondo l’odore che permea la stanza — uno strano miscuglio di felicità, serenità, sesso e appagamento — e si concentra sul suono ritmico dei loro respiri.

 

« Quindi… un anello? Vuoi davvero mettermelo al collo, Iwa-chan? »

Quando apre gli occhi, ad incontrarlo è il volto luminoso di Toru.

Hajime distoglie lo sguardo solo per lanciare un’occhiata al suo petto ed immaginare che al posto della medaglia d’oro ci sia un anello. Immagina Toru rigirarselo tra le dita quando è nervoso o quando è pensieroso, immagina quel piccolo pezzo di metallo luccicare sotto la luce del sole, Toru che gli risponde “Lo voglio” mentre sono circondati dalla loro famiglia e amici.

« Sì » gli risponde e dentro a quel c’è tutto, tutto quello che Hajime ha sempre desiderato.

La faccia di Toru si illumina ancora di più.

« Ne indosserai uno anche tu? »

« Mi sembra ovvio, no? Non è che ho pensato a tutti i dettagli ma— »

« Li andiamo a comprare domani? »

« Domani? » Hajime lo sposerebbe anche oggi stesso se potesse, farebbe un anello di carta e glielo infilerebbe al dito, ma la medaglia d’oro che pende sul suo collo attira ancora una volta la sua attenzione e gli ricorda che un anello di carta non sarebbe ciò che si merita. L’oro gli dona, sembra essere stato forgiato appositamente per lui. Un anello di carta potrebbe anche essere significativo, ma non sarebbe mai alla sua altezza.

« Domani » le dita di Toru tracciano il suo petto, salgono su fino al marchio che ha lasciato sulle sue ghiandole, accarezzano la pelle sensibile e poi scendono fino a dove si incontrano le due clavicole « Anch’io voglio metterti un anello al collo, Hajime »

« Perciò mi sposerai? »

« Solo se tu mi sposerai! »

« E vuoi vivere insieme a me? »

« Vivere… » inizia Toru, le sue mani si bloccano sulle spalle di Hajime, tutto il suo corpo si irrigidisce ed il suo odore si inasprisce.

Hajime sa cosa sta pensando in questo momento: crede che gli stia proponendo di tornare in Giappone, ma lui lo sa che Toru non tornerebbe mai a giocare lì.

Il Giappone gli ha dato tanto, è vero, ma nessuno dei riconoscimenti che Toru davvero desiderava. Hajime non lo costringerebbe mai a tornare a vivere in un posto che non considera più casa sua.

Lui, al contrario, non ha problemi a trasferirsi in Argentina: ha studiato in California e può svolgere il suo lavoro ovunque. Non gli importa se deve occuparsi di atleti giapponesi o di atleti argentini, in ogni caso potrebbe continuare a fare il lavoro che ha scelto di fare. Hanno vissuto già quattro anni separati, non pensa di riuscire a resistere ancora una quantità indefinita di tempo lontano uno dall’altro, non quando il problema può essere risolto con così poco.

« In Argentina. Sto dicendo che voglio venire a vivere in Argentina »

« Lo faresti davvero? »

« Perché non dovrei? »

« Perché… non lo so! Vuoi davvero venire a vivere in Argentina con me? »

« Non mi sembra un posto così male »

« Voglio dire… non subito ovviamente perché devo ancora dare il preavviso di licenziamento, ma… »

« Sì! Sì, Hajime, sì! » Toru salta letteralmente dalla gioia, il nodo che li teneva uniti ormai sgonfio. Hajime per una volta non ne sente la mancanza, non quando ha davanti a sé un Toru così felice, le sue mani che lo stringono sulle spalle, sulla faccia, che non sanno dove fermarsi prima. « Ti prego, per favore, vieni a vivere con me! » lo implora, come se non fosse stato Hajime stesso a chiederglielo un minuto prima.

 

 

Il giorno dopo, escono entrambi dalla gioielleria più vicina con un anello d’oro appeso al collo, ognuno con il nome dell’altro inciso all’interno del proprio. Toru si rigira l’anello tra le mani proprio come Hajime l’ha immaginato fare, gli occhi due pozze d’oro fuso che non hanno mai smesso di brillare.

« Hajime Oikawa. Toru Iwaizumi. Hajime Oikawa. Toru Iwaizumi. » lo sente ripetere, come se fosse indeciso su quale delle due opzioni suona meglio e volesse tastarne il sapore sulle proprie papille « Toru Iwaizumi, miglior palleggiatore al mondo, come suona? Se prendessi il tuo cognome, le prossime olimpiadi le potrei vincere come Toru Iwaizumi, che ne pensi, Hajime? »

Hajime lo bacia, sotto la luce del sole, nella piazza gremita di gente.

« Penso che non vedo l’ora di vederti con indosso la maglia con il mio cognome »

 

 

Sei mesi dopo, Hajime si trasferisce finalmente in Argentina.

Si sposano poco dopo.

Mentre ballano, circondati dai loro amici — ci sono persino Ushijima, Kageyama e Miya, nonostante a Toru piaccia ripetere che sono i suoi peggiori rivali —, Hajime pensa a tutta la strada che hanno fatto per arrivare fino a qui, a quando ha passato il suo primo calore, il cuore infranto e testa e corpo che sembravano viaggiare su due mondi opposti; a quando si sono fraintesi e non hanno parlato per giorni, a quando si sono parlati e hanno chiarito ogni malinteso. Ripensa a quando Toru gli ha raccontato che il mondo l’aveva fatto sentire sbagliato solo per amare un alpha come lui e lo guarda adesso, adesso che ha lasciato dietro di sé ogni pregiudizio e paura, guarda quest’uomo meraviglioso tra le sue braccia che oggi è diventato ufficialmente suo marito.

« Ti senti ancora sbagliato? » gli chiede, anche se conosce perfettamente la risposta. Toru non gli è mai apparso meglio di così.

Toru gli sorride e Hajime potrebbe innamorarsi nuovamente di lui.

« Non mi sono mai sentito più giusto »

 

 

 

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Eccoci alla fine di questa fanfic! Forse un giorno scriverò qualche missing moments/spin off, tipo una fanfic dove Iwaizumi è top (in questa è bottom per purissimo caso, ma per me sono reversibili al 100%) ma al momento non lo so ancora.

Intanto spero che questa storia vi sia piaciuta! Non lo avrei mai creduto, ma a me è piaciuto davvero tanto scriverla!

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