Creature Imperfette (South Park the Stick of Truth)

di AlsoSprachVelociraptor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1: Festa rovinata. ***
Capitolo 2: *** 2: Nella stanza del marchese. ***
Capitolo 3: *** 3: Solo un bacio. ***



Capitolo 1
*** 1: Festa rovinata. ***


L’orchestra suonava a festa mentre i servetti umani scorrazzavano di qua e di là per la grande sala del trono del Castello Reale di Larnion, voci in ogni dialetto elfico del regno che si sovrapponevano melodiose come un coro alla musica che stava suonando.

Era, quel giorno, il centoventicinquesimo compleanno del principe Roland di Larnion, figlio di re Kyle, che ora sedeva fiero al fianco del padre invece che sotto la pedana del trono, dove invece ancora la sorella minore sedeva sulla sua piccola sedia da bambina.

Roland era simile a suo padre Kyle. Capelli rossi e ricci e grandi occhi dorati, segno della più alta nobiltà elfica, ma i suoi boccoli erano più morbidi e lunghi, gli occhi più grandi, il viso cosparso da lentiggini. Ancora doveva maturare quella nobiltà d’animo che, invece, l’uomo al suo fianco sprigionava senza ormai più darvi peso.

Re Kyle era un elfo alto, longilineo ma dal fisico forte e le spalle larghe, i corti riccissimi capelli di un rosso fuoco brillante stretti nella sua solita, pesante corona di rami d’oro intrecciati, una corta barba elegante sul viso affilato e gli occhi brillanti e dorati come una gemma d’eliodoro. Maestoso e quasi divino, stretto nella sua lunga tunica rosso sangue, il principe Roland impallidiva al suo fianco, ma era normale così. Anche Kyle, da giovane, sembrava un bambino sperduto di fianco a suo padre.

Il biondo Donnely, un conte della provincia della capitale che spesso soggiornava al castello, si inchinò di fronte al trono, stringendo tra le mani una grossa gemma. La sua famiglia, i Donnely, erano proprietari di una miniera strappata agli orchi diversi secoli prima.

“Donnely ha donato al principe un minerale, ovviamente.” sgnignazzò Douglas Petuski, un cavaliere elfico dai capelli color cenere e gli occhi ambrati, di un arancione vivace tipico degli elfi selvatici, l’etnia a cui apparteneva. Pur essendo vestito elegantemente, il puzzo di selvaggio gli era rimasto incollato addosso, e mai sarebbe scivolato via dalla sua pelle color fango. 

I quattro elfi se ne stavano nell’angolo più remoto della sala, in una zona in cui avrebbero potuto parlare liberamente senza dar fastidio alla noiosa cerimonia di benvenuto nell’età adulta del giovane erede, schiacciati in un angolo, vicino a una fontana di marmo dalle venature nere come la pece a forma di cornucopia.

“E tu cosa hai portato invece? Una cacca di cane e un paio di bastoncini?” borbottò sottovoce l’elfo altissimo al suo fianco, vestito di viola come il colore dei suoi occhi dall’aspetto sempre un po’ triste, e dai lunghi capelli blu notte a incorniciare il suo viso pallido. La drow e l’elfo dai capelli ramati al suo fianco si lasciarono scappare una lieve risata, sotto lo sguardo contrariato di Petuski.

“Un libro e dei cavalli sono un migliore regalo, forse?” continuò Petuski, ora quasi offeso. “Puoi forse costruire una casa, o accendere un fuoco con quelli?”

La drow, bassa e tozza, lo fulminò con lo sguardo, rosso e malefico. “Questo non è un libro qualsiasi. Magia nera del regno oscuro, qualcosa che tu sicuramente non puoi capire, mezzo animale.”

Petuski fece per sfoderare la spada appesa al suo fianco, e la drow strisciò le dita colore dell’ossidiana sul medaglione magico appeso al suo collo, ma il verso strozzato della bestia al fianco dell’ultimo elfo, che ancora non aveva parlato e che di solito non parlava proprio, zittì entrambi.

La bestia, una coccatrice dagli occhi chiusi e una museruola al becco, raspò una specie di gloglottio e pestò un paio di volte a terra con le sue zampe artigliate e deformate, prima di ritornare dal suo proprietario, infilandosi tra il suo pesante bastone di metallo e le sue gambe. 

L’elfo, dai capelli ramati e corti sulla testa stranamente ampia e poco armoniosa per un elfo e le orecchie lunghissime che puntavano in basso rispetto che verso l’alto, si piegò ad accarezzare le piume rade della sua coccatrice.

“Solo un pazzo come Burch si porterebbe una coccatrice alla corte del re.” rispose Petuski, con un sorriso sulle labbra ora. 

Timothy Burch si rimise dritto in piedi, sovrastando il gruppo di elfi con cui stava aspettando il suo turno, sorridendo alla bestiola deformata tra le sue gambe. “Non lascio mai Gobbles da solo.” borbottò, biascicando le parole tra i denti grossi e appuntiti, qualcos’altro che non condivideva con nessun elfo, neppure con la drow carnivora al suo fianco. 

Un silenzio imbarazzato cadde sui quattro, e quando il re pronunciò il nome di lord Jason White, l’elfo alto e dalla tunica viola prese il fagotto di armi che teneva tra le mani e a lunghe falcate si diresse verso il trono, mostrando al re e all’erede, col suo charme da mercante, le splendide spade di forgia nanica che intendeva donare al principino, i suoi occhi dorati che brillavano con la voglia di impugnare quelle armi e sfidare qualche manichino nel giardino privato del re.

Poi, il turno di mostrare i regali al figlio viziato del re per lord Jason passò, toccava al prossimo nobile deliziare l’erede con regali che non avrebbe mai usato.

"Sir Timothy Burch, marchese del Lago Nero."

La voce di re Kyle era cristallina, e intransigente. Non avrebbe aspettato i capricci di Gobbles, o il suo zoppicare rallentato, e allora Tim si fece forza e si diresse a passo spedito verso il trono, il bastone che ticchettava rumorosamente al suo fianco sbattendo ripetutamente contro i bellissimi marmi che componevano i pavimenti della sala del trono. 

Fece cenno ai suoi servi, che stavano spiando la situazione dalla porta che dava sul giardino esterno del palazzo, di portare dentro il cavallo mentre strattonava Gobbles che zoppicava dietro di lui.

Arrivato di fronte al trono, abbassò la testa e si piegò quanto poté, premendo forte sul bastone e pregando gli Dèi perchè non scivolasse sul pavimento così tirato a lustro e liscissimo. La punta metallica del bastone si mosse, ma si incastrò quasi subito in una fessura tra due mattonelle, e Timothy sentì il proprio cuore saltare un battito.

“Sire. Principe Roland, vi porgo i miei più sentiti auguri.” 

Quando alzò lo sguardo, incrociò gli occhi dorati del principe Roland, spalancati in un’emozione simile alla paura. Il suo viso perfetto era contratto in una smorfia di paura, angoscia, disgusto. Non rispose agli auguri di Timothy, e l’elfo dai capelli ramati sapeva bene il perchè.

Non era la prima volta che veniva trattato in quel modo, e non sarebbe stata sicuramente l’ultima.

Gli elfi erano rinomati per la loro bellezza ed eleganza, esseri perfetti in un mondo così sporco, macchie di intonsa eccellenza- ma Tim non era così.

Un elfo deformato, malato e debole, che osava presentarsi di fronte al re degli esseri considerati superiori rispetto ad ogni altra razza del continente. Testa deformata e orecchie che puntano in giù, gambe lunghe e sformate a cui mancava la forza di tenerlo in piedi, e radi capelli ramati su una pelle malata d’alabastro, Timothy Burch, il marchese del Lago Nero, non era qualcuno visto di buon occhio. I giovani elfi, come Roland e come sua sorella e come gli altri bambini che erano presenti a quella festa scappavano e si nascondevano e volgevano lo sguardo quando lui passava.

Ma i suoi territori, una marca di confine su un lago pieno zeppo di creature indomabili, erano nei bisogni primari del regno di Larnion, e re Kyle lo sapeva bene.

“Ringrazia, Roland. Non osare mancare di rispetto al marchese.” ringhiò Kyle con un tono di voce tagliente come le lame che il principino teneva tra le mani, e forse che faceva ancora più male. Roland annuì, distolse lo sguardo e lo tenne basso. "Mi scusi. La ringrazio, marchese Burch."

Con un filo di rabbia nel suo animo, Timothy pensò che il ragazzino non era davvero così maturo per comportarsi in quella maniera. Si tenne il pensiero per sé tuttavia, perché se c'era una cosa in cui Tim era davvero straordinario era proprio stare zitto.

Con uno schiocco di dita verso i propri servi, Timothy disse invece altro, quella manfrina che si era studiato per l'occasione.

"Per il principe Roland, che sarà sicuramente un re magnifico quanto lo è suo padre, ho pensato al miglior destriero."

Accompagnato da due servi, un fiero e poderoso unicorno marciò dietro Timothy, la sua coccatrice spaventata tra le gambe mentre l'unicorno trottava, così leggero che gli zoccoli non sembravano appoggiare a terra.

Roland si alzò in piedi con una tale furia da quasi far cadere spade e gioielli che teneva in grembo. "Un unicorno, padre!!!" gridò con la voce piena zeppa di emozione come mai prima quella sera, mentre Timothy sentiva gli sguardi carichi d'odio degli altri nobili elfici sulla propria schiena.

.

La tavola era imbandita e le pietanze abbondanti, ma non eccessivamente. Re Kyle non era famoso per eccedere, in nulla, ed era rinomato anzi per la sua abilità nell'economia e nel risparmio, aiutato dal suo geniale cugino omonimo, lord Kyle dalle Colline Ventose, che in quel momento gli sedeva vicino. Lord Kyle aveva un taccuino tra le mani, e i boccoli scuri ricadevano sul viso dalle tinte bluastre per quanto era pallido. Timothy non era abbastanza vicino per origliare la conversazione tra i due reali, ma qualche parola raggiungeva comunque le sue lunghe orecchie, tra cui bardo.

Non c'era mai stato nessun bardo a nessuna festa indetta da re Kyle, per quanto ricordasse. Le orecchie di Timothy si mossero da sole, cercando di captare quelle parole a tavoli di distanza, come solo lui poteva fare- la sua condizione non era solo fisica, ma anche magica, e questo era poco risaputo nella comunità elfica. Usare le sue anormali abilità in mezzo alla gente non era una buona idea, ma Timothy lo faceva lo stesso. Di solito era abbastanza abile da saper nascondere cosa stava facendo.

“...e allora io ho risposto che no, non- ehi, ma quello cosa sarebbe?”

Il silenzio calò sulla sala come una cortina di fumo, e Timothy sentì il proprio sangue gelargli nelle vene. 

Stavano guardando lui? Si erano accorti delle sue malformazioni, di Gobbles, di quella coccatrice nata storta, come avevano rimarcato tante volte tutti gli elfi che aveva conosciuto?

Guardandosi attorno no, si accorse che le attenzioni non erano rivolte a lui, ma a qualcun altro.

Trascinandosi dietro le gambe, tozze e pesanti, arrivò claudicante un elfo dai colori peculiari.

“È un drow?” sibilò Jason all’elfa seduta vicino a lui, dai boccoli colore dell’oro che ricadevano sul suo corpo ricoperto da una lunga veste di broccato rosso. L’elfa guerriera, Bebe, rimase a guardare con orrore la figura che si stava lentamente incamminando per la sala, lo stesso sguardo che, del resto, avevano tutti gli elfi.

“No!” si sbrigò a bisbigliare Henrietta, una drow. “Non esistono drow malformati, la perfezione è nella nostra natura! Quella roba non è uno di noi! E se fosse un elfo argentato come voi, invece?” 

Jason nascose una smorfia di disgusto solo perchè si sentì addosso lo sguardo neutrale- ma nemmeno così tanto- di Timothy. 

La pelle grigia dell’elfo che stava ciondolando di fronte al tavolo dei reali non era quella perlacea degli elfi d’argento, né quella baciata del sole degli elfi dorata, né d’ossidiana dei drow. Era grigia, come nuvole in tempesta, e i suoi capelli erano color piombo screziati di bianco- un’onta per gli elfi-, e il suo corpo tarchiato era piegato in un modo difficile da sopportare alla vista, per una creatura che sarebbe dovuta essere sinonimo d’eleganza. La spina dorsale ricurva su sé stessa, la testa incassata tra le larghe spalle e il viso sgraziato, le sue orecchie lunghe e ricurve a loro volta, la punta che si piegava in basso, costellata di diversi tipi di orecchini.

“P-porgo i miei saluti al re di qu-questa splendida terra.” balbettò con una voce troppo sicura di sé quello, mimando un inchino, per quanto le stampelle che lo tenevano sollevato gli permettessero. Nella mano destra, che non reggeva momentaneamente la stampella, teneva un grosso liuto. “Sono il miglior b-b-bardo di Larnion, il mio n-n il mio nome è Jimmy. Oggi è un giorno lieto p-per il regno, non è così? Mi è gi-giunta voce che l’erede ha raggiunto la maturità!”

Re Kyle porse un sorriso di circostanza al bardo suo ospite. “Si, messere James. Vi ho chiamato perchè mio figlio Roland ama le canzoni. Non è così, Roland?” lo spronò il padre, ma il ragazzo invece gli riservò lo stesso sguardo di terrore che, poco prima, aveva rivolto a Timothy.

Disgusto.

Timothy sentì il viso bollirgli dalla rabbia, ma si trattenne. Vivere in mezzo agli altri nobili, così fissati con la genetica perfetta della loro razza, era così snervante. Lui non usciva quasi mai dalle sue marche per quel motivo esatto, e i suoi genitori avevano vissuto una vita di reclusione per quell’esatto motivo.

“C’è qualche c-canzone che vuoi sentire, mio principe?” chiese il bardo. Roland stette zitto. Al suo fianco, la principessina Ethel affondò il viso tra le braccia e scoppiò in un pianto rumoroso, che fece aumentare il borbottio tra i nobili. Gli occhi dorati di re Kyle si sgranarono, mentre passava lo sguardo sui suoi figli, poi sul suo cugino, e infine sul suo fidato elfo di guardia alle sue spalle, ser Stanley delle Terre Paludose, che rimase a bocca aperta per una frazione di secondo prima di agire. “Ehm.. ehm che ne dici di.. di partire con il repertorio classico? Eh, Roland, la vuoi sentire qualche battuta?” lo spronò l’elfo guerriero, forte di corpo e veloce d’intelletto, che spesso e volentieri aiutava il suo amato re nelle occasioni difficili come quelle. 

Roland annuì, abbassando la testa, mentre la principessa veniva scortata fuori dalla sua balia.

“Wow, che gran pubblico!” ridacchiò tra sé e sé il bardo, prima di appoggiarsi con i larghi avambracci alle stampelle e inforcare il liuto come un’arma. “Nessuna vergogna, mio re, succede spesso. I bambini scappano al mio arrivo, e gli adulti ridono. Di s-solito preferisco la seconda, ed è quello che v-vorrei oggi da tutti voi! Un sorriso sulle labbra del mio pubblico è più dolce del vino s-sulla mia lingua. Beh, sicuramente p-più dolce di questo vino che offrite voi. Q-qualcuno ha speso un po’ poco su queste scorte, eh?”

Re Kyle si voltò verso lord Kyle, che era arrossito fino alla punta delle orecchie, mentre il re si mise a ridere di gusto. Anche gli altri lord lo seguirono in una risatina generale. Timothy rimase dritto e teso sulla sedia, senza nessun segno di ilarità sul viso.

L’elfo storpio iniziò a suonare leggere note di accompagnamento sul suo liuto, mentre continuava a scherzare. 

“Wow, che gran pubblico. I n-nobili mi fanno impazzire, li adoro. N-non solo perchè le loro regge sono uno spasso in cui g-gironzolare e farsi ospitare! Tutti i loro segreti e losche relazioni… n-ne sai qualcosa, ser, tu dietro al Re, che gli s-sta scodinzolando come un fedele cagnolino?” si rivolse a Stan delle Paludi, che fece un passo indietro mentre la folla scoppiava a ridere. Alla fine il sorriso arrivò anche sulle sue labbra scurite dalla luce del forte sole di Larnion, mentre re Kyle stringeva le mani tra il viso rosso.

“Ah, nulla è come tornare tra gli elfi.” esultò il bardo, Jimmy, lanciandosi in un assolo di liuto mentre continuava a parlare. “Non immaginate che chaos, Kupa Keep. C-ci sono appena stato. Mi sono dovuto lavare tre volte di fila per tirarmi v-via il puzzo di umano di dosso, e la v-vocetta schifosa del loro Gran Stregone dalle orecchie!”

Un altro forte boato di risate tutto attorno, tanto forte che Gobbles si agitò tra le gambe di Timothy, la sua testa che a malapena riusciva a stare sollevata a cercare la mano di Timothy sotto il tavolo. Tim accarezzò il lungo collo storto, aspettando con trepidazione il momento in cui sarebbe potuto tornare nella camera che gli era stata assegnata all’enorme palazzo del Re.

Il bardo fece finta di annusare l’aria, per poi volgere lo sguardo nella direzione del tavolo di Timothy, i suoi occhi- le iridi quasi bianche, le pupille nere che puntavano in due direzioni opposte- che cercavano altre vittime. “Ah, ecco d-da dove veniva la puzza. L’elfo selvatico che non si lava, che b-brutto stereotipo che stavolta però t-tanto stereotipo n-non è, eh?”

Petuski sputò il vino che stava bevendo, mentre al suo fianco Henrietta scoppiava in una risata isterica.

“Ah, la p-puzza è anche di vino scadente. Gran brutto mix per le narici di un nobile. Solo un drow avrebbe il coraggio di st-starti vicino.” continuò il bardo, avvicinandosi claudicante al tavolo. Anche Petuski alla fine scoppiò a ridere.

Purtroppo, Timothy alzò lo sguardo da Gobbles e sul bardo, solo per ritrovarsi i suoi occhi puntati addosso.

Oh no. Oh no, no no no.

“Non s-sapevo anche gli elfi malformati potessero s-sedersi al tavolo dei nobili.” disse a voce alta, e tutti volsero lo sguardo verso Timothy, il viso sempre più rosso e bollente e i pugni stretti sotto alla tovaglia. Lo ignorò, volgendo lo sguardo altrove.

Sentì il peso dell’elfo grigio sul tavolo, esattamente di fronte a lui. “Oh, ti sei offeso? M-ma no, peldicarota, non v-volevo offenderti. Possiamo essere due storpi amici? Ci p-possiamo scambiare i bastoni e t-tutte quelle robe lì!”

Jason si premette entrambe le mani sulle labbra per non scoppiare a ridere al fianco di Tim, che invece si sentiva la nuca gelida e la fronte bollente dalla rabbia.

Si alzò di scatto e, stringendo il manico d’oro del suo bastone con la mano e il guinzaglio di Gobbles nell’altra, si mosse lontano dal tavolo. “Le mie sentite scuse mio Re, devo andare.” ringhiò a denti stretti Timothy, senza voltarsi.

Il rumore di metallo sul pavimento di marmo, e veloce come non riteneva possibile- o forse erano semplicemente i movimenti di Tim troppo lenti- il bardo si porse davanti a lui, un sorriso storto e malevolo sulle labbra sottili e grigiastre. 

“Permalosetto? Dai, n-non intendevo farti arrabbiare, sei carino, mi p-piaci. Perchè non facciamo un’esibizione insieme, io e te?”

Il bardo, Jimmy, sorrise sinceramente, mentre non lasciava passare Timothy, che voleva disperatamente uscire da quella sala. Si sentiva gli occhi di ogni elfo sulla schiena, a studiarlo- a osservare quelle due bestie solo dall’aspetto vagamente elfico bisticciare, due fenomeni da baraccone, meno di esseri senzienti alla loro mercé.

“Prometto che ti piacerà. Magari un giorno alla g-gente piacerai tanto quanto gli piaccio io. Forse. Magari con un cappellino buffo su quel testone…”

Timothy sentì qualcosa spezzarsi in lui, al suono delle risate dei nobili dietro di lui, e alla vista del sorriso soddisfatto di quel maledetto scherzo della natura di fronte a lui.

Lasciò andare il guinzaglio della coccatrice.

Veloce come mai, forte e pieno d’ira e d’odio, scagliò un pugno in pieno viso al bardo, sentendo il labbro dell’uomo sotto le nocche, i denti rompere la carne e il sangue scoppiare. 

Tutto quello che fece il bardo fu serrare gli occhi, e quasi cadere all’indietro. Timothy lo colpì ancora in viso, su un occhio, sulla tempia, finchè quello non cadde a terra, e a Tim non bastò, e lo prese a calci una, forse due volte.

Quando sentì le risate dissiparsi, e il silenzio tornare sulla sala, la mente di Timothy tornò lucida quanto gli bastava per riafferrare la corda che fungeva da guinzaglio a Gobbles, di fianco all’elfo a terra, e strattonarlo fuori dalla sala, a lunghi passi, e verso la sua stanza. 

L’unico rumore nell’intero castello era il suo respiro affannato e rabbioso.

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Capitolo 2
*** 2: Nella stanza del marchese. ***


La stanza di Timothy era, fortunatamente, ubicata in uno dei luoghi più isolati del castello reale, dove nessuno l’avrebbe importunato.

Seduto sull'ampio letto, inteso come matrimoniale ma in cui lui solo sedeva, Tim rimase ad osservare le nocche escoriate e sanguinolente della sua mano destra.

Non era mai stato un uomo violento. La violenza non si addiceva né alla sua natura mite e schiva, né alla razza a cui apparteneva, eppure aveva appena pestato a sangue quell'elfo malformato senza pensarci due volte.

Il sangue sulla sua mano era sia suo, sia di quel bardo, e poteva vederlo chiaramente. Il sangue di Timothy era di un rosso vivo e brillante, mentre quello del bardo era scuro e più denso, appiccicoso sulla sua pelle bianca. Il proprio sangue scorreva giù per le sue nocche abrase, tagliate dai denti del bardo, e si mischiava al suo sangue in maniere quasi psichedeliche. Era rimasto ad osservare quella scena invece che medicarsi, incurante che qualche goccia finisse sul tappeto polveroso.

Strinse il pugno. 

Nessuno aveva mai osato rivolgersi a lui con quel tono, usando quelle parole. Gli altri elfi sicuramente le pensavano, ma nessuno si azzardava a esplicare quei pensieri con parole, e men che meno gliele rivolgevano in faccia.

Ma no, quel maledetto bardo, tutto storto e claudicante, lui aveva trovato il coraggio di esprimerle, e riderci su, e guardarlo con sfida.

Timothy non era un uomo violento, ma non era nemmeno qualcuno che si sarebbe fatto mettere i piedi in testa così facilmente.

Ben gli stava, pensò allora Timothy, risvegliandosi da quel torpore in cui era crollato dopo aver raggiunto la propria camera temporanea e scattando in piedi, causando uno scatto di Gobbles all'angolo della stanza in cui si era messo a dormire, in una pila di vecchie coperte. Non sapeva bene come Gobbles percepisse il mondo, con i suoi occhi completamente bianchi e innocui, che Tim supponeva fossero ciechi. Forse non lo erano davvero, e a Tim non importava- Gobbles era il suo compagno di una vita, cieco o vedente.

Avanzando senza bastone, le gambe pesanti e poco mobili che si muovevano goffamente e i piedi che strisciavano sul pavimento, accarezzò le piume rade ma morbide della coccatrice, tra le ali storte e inutili.

"Va tutto bene, Gobbles." gli sussurrò dolcemente. 

L'unico suo rimorso per quell'exploit di rabbia era averlo fatto in fronte a Gobbles, mite e docile creatura che non aveva mai visto il padrone in quell'atteggiamento. Sperò non l'avesse davvero visto.

"Mi perdoni?"

La coda serpentina della coccatrice gli si avvolse attorno a una gamba mentre il suo becco da uccello picchiettava e mordicchiava gentilmente le sue dita. Sì, Gobbles era una creatura gentile e docile, incapace di provare rabbia o odio o imbarazzo, al contrario di Timothy.

Le piume sul collo di Gobbles si rizzarono tutto ad un tratto, e pochi istanti dopo qualcuno bussò alla porta della camera.

Tim si gelò sul posto, pentendosi di non aver portato il bastone con sé. Era a pochi metri da lui, appoggiato al letto, ma era più vicino alla porta. 

Bussarono ancora. 

“Chi è?” chiese speranzoso di una risposta l’inquilino, ma non venne nessuna voce in suo soccorso fuori dall’uscio. Tipico tra i nobili.

E se fosse stato un ambasciatore del re, a richiamare il suo orribile comportamento di poche ore prima? Magari era Stan delle Paludi, pronto a strattonarlo per un braccio e farlo inchinare di fronte al re, per scusarsi della sua condotta amorale di fronte alla corte intera.

Deglutendo un macigno, Timothy si alzò sulle gambe inferme, e a brevi passi si appoggiò alla porta, tolse il perno che la teneva chiusa, e girò la maniglia.

Dovette abbassare lo sguardo di almeno mezzo metro per guardare l’elfo negli occhi, pupille nere come la pece nel mezzo di iridi color ghiaccio, innaturalmente pallide, una di esse che sembrava galleggiare nella sclera rosso sangue e schiacciata tra le palpebre viola e gonfie.

“Possiamo parlare?” fece il bardo, un sorrisone sulle labbra sanguinolente e rotte.

Wow, Tim l’aveva proprio conciato per le feste. Oltre all’occhio disgustosamente gonfio e le labbra rotte, aveva anche uno zigomo livido, sangue seccato e segni di polvere a forma di stivale sulla calzamaglia attillata e gialla. Una delle stampelle, poco più che rami intarsiati rozzamente e tenuti insieme da pezzi metallici raffazzonati che si dividevano in due sotto le sue ascelle, sembrava doversi spezzare da un momento all’altro.

“No.” rispose Timothy cercando di richiudere la porta, solo per trovarsi una delle stampelle del bardo a bloccare la porta dal chiudersi. 

“Dai, me lo devi d-dopo quello che mi hai fatto. Guarda come mi hai conciato! P-per favore, ti p-prego ti p-preghino, Tim-Tim?”

“Non chiamarmi così. Sono un marchese.” sibilò Timothy, guardando con astio l’elfo grigio di fronte- e sotto- di sé. Sapeva cosa stava facendo, Tim non era uno stupido. Voleva giocare sui suoi sensi di colpa, voleva provare a manipolarlo. Oh, per gli dèi, quanto era stupido questo maledetto storpio.

Timothy avrebbe voluto sbattergli la porta in faccia, dritta su quel muso storto, ma forse prenderlo ancora a botte non era il massimo per la sua reputazione già carente alla corte del re Kyle.

Aprì la porta solo per assicurarsi che nessuno passasse di lì, spintonando il bardo dalla parte. No, nessuno passava per quei corridoi. Per quanto ne sapeva, le camere adiacenti alla sua erano vuote, perchè nessuno voleva soggiornare in quell’ala tetra del castello- nessuno voleva soggiornare vicino al marchese che si portava dietro una maledizione tanto pesante sul proprio corpo deformato.

“Ti ha visto qualcuno mentre venivi qui?” chiese Timothy, ma l’altro se n’era già andato, entrando claudicante dentro la stanza. “Perchè? Ti vergogni di me?”

“Sì.”

“Che c-cattivone che sei, Tim-Tim.” ridacchiò il bardo, Jimmy, abbandonando a terra un borsone che si portava sulle spalle, che sicuramente conteneva almeno il liuto e il mantello verde, dato che non portava addosso nessuno dei due. Timothy richiuse la porta, spinse il cardine di metallo nel legno perchè la porta non potesse essere aperta dall’esterno, e si appoggiò ad essa mentre studiava i movimenti lenti e tremolanti del bardo che si era infiltrato, molto lentamente, nella sua camera personale.

Se voleva le sue scuse, le avrebbe avute. Non sarebbero state sincere, ma Tim non era tipo da portarsi dietro queste inutili scaramucce. Gli si avvicinò e prese un respiro, pronto per esprimere le sue più insincere scuse.

Jimmy invece aveva altre idee, e una volta che Timothy gli fu abbastanza vicino, il suo grosso pugno si schiantò contro l'addome di Tim, che sentì tutta l'aria scappare dai suoi polmoni. Il bardo si appoggiò con l'altra mano al suo braccio, mentre tirava un altro pugno alla pancia di Tim, e poi un altro, finché l'elfo più alto non cadde a terra, e il bardo gli fu addosso.

Tim cercò di riprendere a respirare, lo shock di quei colpi che sembravano avergli chiuso i polmoni, ma il peso del bardo sul suo corpo sembrava impedirglielo. Jimmy premette un largo avambraccio sotto il mento di Tim, facendo pressione sulla sua gola.

C'era rabbia, primordiale e incontrollata, nei suoi occhi pallidi e inquietanti. "Mi hai fatto fare una figura di merda d-davanti al re, stronzo." ringhiò Jimmy, similmente a una fiera selvatica, sangue tra i suoi denti storti e sul viso grigio e livido, di rabbia e di botte.

Tim si fece prendere dal panico. Non aveva mai partecipato a nessuna rissa, nella sua vita. Nessuno si era mai azzardato ad alzare le mani sull'elfo pelle e ossa e deformato. Cosa avrebbe dovuto fare, ora? Sarebbe morto così?

Premette le mani sul viso del bardo, pressando le dita sui suoi occhi, labbra, naso, ovunque. Schiacciò sulle ferite aperte, sentì l'altro gridare mentre stringeva gli occhi.

Jimmy gli morse le dita, sentì i suoi denti affondare nelle ossa, ma Tim premette i polpastrelli sul suo occhio gonfio finché non sentì l’elfo più pesante rotolare giù da sé, l’aria sprigionarsi di nuovo nei suoi polmoni stanchi.

Tim non poteva permettere che il bardo tornasse all’attacco, così fu lui stesso ad avventarsi su Jim, prendendolo per i capelli e sbattendo ripetutamente la sua testa contro il pavimento, fortunatamente- per il bardo- coperto da un tappeto vecchio e polveroso. Jim gridava, le sue tozze gambe che si dimenavano nell’aria mentre Timothy gli si sedeva sul bacino, bloccandogli ogni movimento. Purtroppo aveva sottovalutato la forza del bardo, perchè con un violento colpo di reni fece perdere l’equilibrio a Tim, gettandolo a terra al suo fianco. 

Da quel momento in poi, il chaos dilagò. Sentì il bardo gridare insulti, e Tim sentì la propria stessa voce gridare oscenità a sua volta, senza davvero il controllo logico su sé stesso. In un tripudio di mani, pugni, schiaffi e graffi, i due rotolarono sul tappeto, andando a sbattere con spalle e schiene e ginocchia contro mobili, credenze e muri, gomiti nello stomaco e dita negli occhi, una dolorosa testata fronte contro fronte, sudore e sangue e saliva e rumore e grida e dolore.

Quando Tim si trovò con la schiena contro il muro di mattoni e una mano del bardo tra i capelli, rinvenne abbastanza da quella nebbia di rabbia e foga della lotta per accorgersi che quella zuffa non stava portando a nulla.

“Fermati! BASTA!” ringhiò Timothy con un tono più animalesco che da nobile elfo, sbattendo una mano in faccia all’altro elfo, che stavolta non lo morse. Il suo viso era bollente sotto i suoi polpastrelli, la pelle madida di sudore. “Basta, non sta portando a un cazzo di niente!”

Il grosso pugno del bardo si strinse attorno al polso esile di Tim, senza stringere. Staccò la mano dal suo viso, crollando mollemente sul pavimento. “D’accordo.” sospirò, senza voce nè respiro.

Nemmeno Tim era messo meglio, e riuscì a malapena a mettersi seduto, la schiena che tirava fitte lancinanti mentre si appoggiava senza più forze alla parete ruvida.

La camera era mezza distrutta. Beh, solo al livello più basso, a dire il vero. Avevano ribaltato un paio di sedie e tutti i sacchi che Tim aveva appoggiato sopra esse, il letto era vagamente spostato, e il comodino era piegato e in bilico contro esso, la lampada per la notte abbandonata sul materasso.

Vicino ad esso, Gobbles era rannicchiato sulle coperte, tremante e spaventato. Oh no.

“Gobbles. No, Gobbles… vieni qui, va tutto bene.” lo confortò Tim, tentando di rimettersi in piedi, ma fallendo. La schiena gli faceva così male che ogni movimento gli causava forti fitte alla cassa toracica, e i colpi all’addome che aveva ricevuto erano così forte che anche solo spostarsi e mettersi a sedere meglio gli faceva venir voglia di mettersi a gridare dal dolore. "Gobbles, vieni qui, da bravo.” lo chiamò il suo padrone, e la coccatrice alzò la testa pesante, squadrandolo coi suoi occhi bianchi e vuoti.

Si alzò sulle zampette, saltò a fatica giù dal letto e zoppicò verso Tim, sedendosi pesantemente in grembo al marchese, che a malapena si trattenne dal gridare. Strinse i denti e respirò dal naso, mentre la creatura si accoccolava a lui. “Va tutto bene, va tutto bene.” gli sussurrò, accarezzando le piume ora tutte arruffate nel terrore che aveva dovuto provare.

Poverino, lui non c’entrava niente in quella faccenda.

Gobbles ebbe uno scatto quando il bardo, Jimmy, si mosse dalla posizione supina in cui era rimasto fino a quel momento. Alzò la testa, e guardò Tim e il suo animale con un sorrisetto, seppur non di beffa, comunque poco cordiale. “B-beh, ci siamo sfogati ora, no? P-possiamo parlare senza azzannarci a vicenda, ora?”

“L’unico che ha azzannato qui sei tu.” rispose Timothy, la mano ferita e sanguinolenta tenuta a terra, per non sporcare le piume della coccatrice. Non riusciva a piegare le dita, per quanto profondo il morso del bardo era stato.

Jimmy si resse sulle grosse braccia tremanti, e a fatica si trascinò come un verme verso il muro, lo stesso a cui Tim era appoggiato. Finì al fianco del marchese, troppo vicino per i suoi gusti, e quando si voltò e si sedette finì con la coscia contro quella di Timothy, e la sua spalla a spintonarlo dalla parte.

“D-dammi la mano.” gli intimò il bardo. Timothy non reagì, fissandolo con risentimento, e senza nessun tipo di fiducia verso di lui. L’elfo grigio prese il polso di Tim, che cercò di tirarsi indietro con uno scatto, spaventando ancora la coccatrice sulle sue cosce.

Entrambi si fermarono, ma le grosse e callose dita di Jimmy rimanevano salde attorno al suo polso. “Non vorrai sp-spaventare ancora il tuo tacchino, vero? D-dammi la mano.”

No che Timothy non si fidava, non dopo aver passato quella orribile serata in sua compagnia. Ma cosa poteva fare? Cacciarlo dalla sua camera, tutto pieno di lividi e sangue e con la calzamaglia strappata e quello sguardo da cuccioletto smarrito e abbandonato in quegli occhietti storti e pallidi?

Timothy volse lo sguardo dal viso del bardo, e gli allungò la mano ferita, guardando altrove, niente in particolare.

Le dita di Jimmy erano larghe, dure, calde e tremanti, forti e deboli allo stesso tempo. Sentì i polpastrelli callosi passare attorno ai morsi- fatti da lui stesso, tra l’altro!-, un calore avvolgere la sua mano che Tim conosceva bene. Quando si voltò a guardare cosa Jimmy stava facendo, vide una fioca luce tra le sue dita. 

Magia.

Il bardo alzò lo sguardo sull’elfo più alto, come un bambino colto in flagrante con le mani nel barattolo dei biscotti. 

“Sai usare la magia?” chiese Timothy, e Jimmy annuì, ancora un po’ confuso. “ Un pochino. Solo quella curativa, sai, a-avrai notato che ho qualche problema a contenere la ra-rabbia.”
Le dita di Tim, prima di un rosso intenso e carne viva aperta sull’osso, erano quasi del tutto intatte, una vaga ferita rossastra su medio e anulare. 

“Saresti capace di guarirti in fretta, prima di uscire di qui?” 

Jimmy rispose con un altro sorrisetto, non lasciando andare la sua mano pur essendo quasi completamente guarita. Sentì le larghe dita di Jimmy scivolare tra le proprie. “Mi vuoi mandare via, di già?”

“Hai già fatto abbastanza.”
“Suvvia, marchese, era solo una z-zuffa per risolvere i c- i conti. Abbiamo tanto di cui parlare ancora. Ora siamo amici, no?” 

Il bardo negò, appoggiando la spalla al fianco di Timothy, di molto più alto di lui anche da seduto. “Potremmo p-parlare delle nostre maledizioni, o..”

Timothy sospirò pesantemente, lasciando il bardo al suo fianco appoggiarsi al suo corpo e scorrere la mano lungo il suo braccio con fare fin troppo appiccicoso mentre Gobbles si era addormentato pesantemente sulle sue gambe. Quel Jimmy si credeva più intelligente di quanto non fosse in realtà.

Palesemente, non aveva nessuna camera in cui soggiornare. Il re non avrebbe sicuramente sprecato una camera per quel fenomeno da baraccone, che il figlio non aveva nemmeno apprezzato. Tim pensò che, forse, era anche colpa sua. Forse, se non avesse reagito in quel modo, qualcuno l’avrebbe sicuramente ospitato nella propria stanza.

Sospettò che il teatrino che il bardo aveva messo in piedi nella sala non fosse durato a lungo dopo essere stato pestato a sangue da Tim, dato che, invece di ubriacarsi al piano inferiore come di solito facevano tutti i bardi che Tim avesse mai conosciuto, lui era lì, nella sua camera, a quell’ora non così tarda.

Voltandosi verso Jimmy, che lo stava guardando dritto negli occhi con un’espressione piena di speranza, Tim sentì un vago odore di fumo, e alcol, non abbastanza per definirlo ubriaco. Un elfo non si ubriacava con la stessa intensità e facilità delle altre specie loro inferiori.

“Posso anche curarti! Quei p-pugni che ti ho dato hanno fatto maluccio, eh?” ridacchiò ancora Jimmy, la speranza mista alla disperazione ora nei suoi occhi che puntavano di qua e di là allo stesso tempo.

Strinse i pugni.

Avrebbe Timothy potuto lasciare quell’elfo, malformato e ferito, all'addiaccio nel rigido clima del nord del regno?

Era qualcosa che le morali rigide di Tim gli avrebbero permesso, era una crudeltà che avrebbe potuto compiere senza sentirsi in colpa per i secoli a venire?

La risposta era facile, purtroppo.

No.

Per quanto Jimmy fosse rumoroso, prepotente e assillante, una palla al piede e una spina nel fianco, era allo stesso tempo era un essere imperfetto come lui, un emarginato, un elfo che a malapena poteva essere considerato tale e, soprattutto, qualcuno che aveva bisogno di lui.

Poteva Timothy rifiutarsi di aiutarlo?

“...va bene, puoi dormire qui per stanotte. Poco dopo l’alba partirò per tornare al mio castello.”

Avvinghiandosi al suo braccio, Jimmy ridacchiò come una ragazzina che assiste alle nozze di una sua compagna, sognando il principe azzurro. “Oh mio l-mio lord, lei è così generoso a farmi dormire sul suo letto!”

“Non ho mai parlato di-!”

Jimmy si staccò da lui, iniziando a strisciare pateticamente sul tappeto, increspandolo e tirandosi dietro delle porzioni, fino al letto dove, avvinghiandosi allo scheletro di legno della struttura, si issò sopra esso, aiutato in parte anche dalle gambe, che non erano completamente inermi. “Non dormo su un letto da uhh… da anni? Una decina o una ventina! A Kupa Keep m-mi facevano dormire per terra, in una stalla. La paglia è m-meglio che il duro legno sporco di merda di cavallo, q-questo è vero, ma non ti immagini quanti schifosi insettini vi si ann- ann- nascondono dentro.”

Tim svegliò il più delicatamente possibile Gobbles, che alzò a fatica la testa issata sul lungo collo, voltandosi nella sua approssimativa direzione. Lo sollevò e appoggiò al suo fianco, mentre, a fatica e reggendosi ai mattoni che sporgevano appena dal muro, si sollevò in piedi. Le gambe gli tremavano, le ginocchia dolevano ad appoggiarvi il peso del suo lungo e magro corpo sopra, la schiena mandava fitte lancinanti e lo stomaco gli si era completamente rivoltato per colpa di quei pugni. Tim strattonò la camicia da dentro i pantaloni, sollevandosela quasi fino al petto ossuto. Sulla pelle bianca alabastro, grossi e pesanti lividi viola e porpora, a coprire quasi tutta la regione addominale, dalle costole fino all’ombelico. E faceva un male cane.

Timothy si appoggiò al muro dietro di sé, sospirando e cercando le forze per incamminarsi verso il letto. Ma perchè era venuto lì… non avrebbe potuto starsene a casa sua, mandare qualche servo a recapitare quell’unicorno per il principe?

Ai suoi piedi, tintinnare di metallo. Il suo bastone rotolò fino ai suoi piedi, dalla posizione vicino al letto a cui lo aveva appoggiato prima di… di tutto quello che era successo.

Lo afferrò a fatica e si appoggiò ad esso, tirando un sospiro di sollievo. Era stato Jimmy, ora coricato a pancia in giù di sghembo sul letto di Timothy, a tirarglielo. Gli stava sorridendo, le braccia larghe che ciondolavano pigramente giù dal materasso. 

“Hai detto ch-che hai deciso di partire all’alba. Meglio se vieni a dormire, ormai n-non mancano così tante ore al sorgere del s-s-sole.”

Non gli piaceva come quel bardo si stesse prendendo così tante libertà con il marchese del Lago Nero, ma allo stesso tempo, era qualcosa di confortante avere qualcuno che gli parlasse così liberamente, che volesse parlargli, a lui e a nessun’altro, in un contesto così intimo.

Un po’ Timothy si rammaricò che in qualche ora sarebbe finito tutto, ma allo stesso tempo se ne sentì sollevato. Quel Jimmy era davvero una rogna.

Tim ciondolò verso il letto, dove vi si appoggiò pesantemente, al fianco di Jimmy. Avrebbe voluto indossare la propria camicia da notte, ma spogliarsi sotto quello sguardo bianco ghiaccio che sicuramente l’avrebbe osservato e fissato per tutto il tempo non era davvero nelle prerogative di Tim, quella notte.

Voleva solo dormire.

Si stese il più lontano possibile da Jimmy- difficile da fare, dato che aveva deciso di stendersi proprio in mezzo al letto, e per quanto basso e ingobbito fosse, le sue spalle erano abbastanza larghe da occupare una buona porzione del letto- e, con un gesto delle dita, spense le torce che erano appese al soffitto. Una piccola magia che gli era stata utile, crescendo incapace di muoversi, nella sua infanzia confinato a una sedia nel suo solitario castello.

“Wow!” sentì la voce di Jimmy. Avrebbe preferito stesse zitto.

Rumore di coperte, e il peso familiare di Gobbles al suo fianco, la sua testa appoggiata sul suo petto e le sue piume tutte arruffate e morbide sotto la mano stanca di Timmy, che richiedeva attenzioni e coccole prima di dormire, come faceva ogni notte da più di un secolo. 

E poi, similmente, altro rumore di coperte, e un peso decisamente meno familiare dall’altro lato del letto, la pesante testa di Jimmy sulla spalla e la sua grossa mano che sbatteva poco delicatamente proprio sopra l’addome livido di Timothy, causandogli un sibilo di dolore. Non scacciò via il bardo solo perchè, nel buio della camera, sentì il torpore e vide la lieve luce della magia curativa che il bardo stava applicando sul suo corpo dolorante.

Nella penombra osservò la coccatrice dormire pacificamente contro il suo corpo, un corpo storto e martoriato di una bestia deforme che aveva trovato un rifugio sicuro, una persona che potesse apprezzarlo e amarlo. E poi passò lo sguardo sull’elfo deforme appoggiato mollemente alla sua spalla, la schiena ingobbita e le orecchie ricurve in una posizione innaturale, i capelli scompigliati che ricadevano morbidamente sul suo viso ferito, e sulla spalla di Timothy, il viso rilassato quasi in un sorriso.

Timothy si maledisse sottovoce.

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Capitolo 3
*** 3: Solo un bacio. ***


All’alba, puntuale come le campane della capitale, il gorgogliare acuto di Gobbles la coccatrice segnò che il nuovo giorno era sorto, ed era il momento di svegliarsi, come ogni alba per gli ultimi secoli del resto. Insolito, invece, era il peso scattoso che si abbatté sul suo corpo tutto ad un tratto.

“Merda! C-che cazzo!? Che paura! Cazzo!”

Tim aprì gli occhi, il sorriso svanito dal suo viso.

Già.

Jimmy.

Aprì gli occhi per ritrovarsi il bardo seduto al fianco, un’espressione spaventata sul viso grigio, e decisamente meno gonfio e viola della serata precedente. Gobbles stava continuando a cantare all’alba, e solo i soliti pigri e stanchi grattini dietro i suoi occhi sporgenti fermarono le sue grida rivolte al giorno nascente.

“Bu-bu-buongiorno, mio lord.” fece mieloso il bardo una volta ripresosi dallo spavento, appoggiato di peso a un braccio mentre il sole sorgeva dietro di lui, i capelli color piombo, non blu e non grigi, né neri né viola colorati di una morbida aureola dorata che si sprigionava dalla finestra alle sue spalle. In quella luce, nella penombra, con quel sorriso gentile e le spalle larghe e i capelli soffici e scompigliati, a Timothy quasi pareva qualcuno cui sarebbe piaciuto svegliarsi accanto ogni mattina.

Purtroppo, Jimmy aveva anche il dono della parola.

“Ho dormito daaavvero bene su ch-questo letto, mio lord, ma quella gallina russa. T-tu non russi. Ma sei un po’ immobile e freddino. N-non importa, ti ho tenuto caldo io, pelle e os-ossa come sei. Ah, sono cooosì stanco, ho spe-speso un sacco di energie per guarirti… magari po-potresti farmi dormire un altro po’ qui, eh?” blaterò lui, riappoggiandosi pigramente sul letto, sullo stesso cuscino su cui Timothy era ancora coricato. Non aveva capito metà delle parole che il bardo aveva sparato troppo velocemente. Non gli importava davvero.

Il bardo si spostò e appoggiò la testa proprio sulla lunga orecchia di Timmy, tirandogli la punta zeppa di orecchini. Timothy dovette ritrarsi perchè Jimmy non sembrava intenzionato a muoversi, il suo viso davvero troppo vicino a quello di Tim, il suo respiro caldo sul viso lentigginoso e arrossato del marchese.

Timothy si alzò a sedere, stanco di quella vicinanza, e stanco in generale. “È ora per me di prepararmi, devo partire per il mio castello. Il viaggio è lungo.”

Vide la lingua rosa pallida del bardo sporgere tra le sue labbra grigiastre. "Puoi sp-spogliarti davanti a me, se vuoi. Fai pure. A me v-va bene… più che bene!"

Piccolo arrogante bastardo grigio.

Jimmy si stiracchiò, tirando le grosse braccia dietro la testa e inarcando la schiena in una via di mezzo tra un morbido pigro gatto e una posa disgustosamente oscena. Tim rimase comunque ad osservarlo, controvoglia e ammaliato.

"V-vuoi che mi spogli io per primo, c-cosí magari ti senti meno in imbarazzo…?"

"No!"

Il bardo sospirò sul letto, mettendosi a fatica a sedere, rompendo quello strano incantesimo in cui Tim era caduto, che finalmente poté volgere lo sguardo, via da quel corpo deformato, eppure, eppure

"Ora me ne vado, t-tranquillo. Ma prima voglio qualcosa."

Timothy afferrò il bastone appoggiato al lato del letto e lo strinse tra le dita, pronto a cacciarlo via violentemente se avesse osato ricattarlo, o chiedergli dei soldi. Non avrebbe accettato nessun compromesso. Cosa voleva quel bardo da lui? Perchè sembrava così ossessionato, cosa mai la sua mente- non particolarmente brillante o capace di sotterfugi e piani complessi, pensò malignamente Timothy- aveva trovato di interessante nel marchese deformato di una regione lontana e non particolarmente ricca o famosa?

Eppure il bardo sorrise sornione, le gambe tozze e storte a penzoloni giù dal materasso troppo alto per lui. "Un bacio?"

Timothy sgranò gli occhi, che tutto ad un tratto divennero bagnati e pieni di spilli. Un bacio?

Un bacio?

Il marchese scattò in piedi, svegliando Gobbles, che però pigramente arruffò le piume e, con una lentezza e calma non degna della situazione di tensione e imbarazzo che era calata sulla stanza, saltò giù dal materasso e zoppicò verso un angolo, sopra i vestiti caduti a terra la nottata precedente, a continuare il suo riposino mattutino.

Tim non vi diede troppo peso, perchè la sua attenzione era tutta sul bardo e sulla sua proposta.

"N-non lo dirò a nessuno, giurin giurello. Voglio solo rubarti un piccolo bacio, che ne dici? D-dopo mi dileguerò, promesso." continuò Jimmy, le cui parole erano sicuramente rassicuranti, ma il suo sorrisetto e il vago rossore sulle guance grigie dicevano altro.

Tim rimase fermo a ponderare la situazione. 

Il contatto fisico non era visto di buon occhio nella società elfica, l’intimità era qualcosa di superfluo per creature che vivevano quasi un millennio, e riservato al garantire un futuro alla propria genia. La fisicità era qualcosa riservato a creature inferiori, dalle menti e dalle anime confinate al piano esistenziale più infimo.

Però… Però Tim voleva baciare Jimmy, e schiacciarlo sul materasso, e sentire il suo calore addosso di nuovo, ma con più forza e più livore…

Ah, che senso aveva stare alle norme sociali, se Timothy non rispettava nemmeno i requisiti fisici di quella razza?

“Perchè?”

Jimmy, braccia tese dietro il suo corpo e iridi bianche a osservare il pavimento e il soffitto allo stesso tempo, alzò le spalle inarcate con disinteresse. “P-perchè no? Sei carino. M-mi piacciono i rossi. …e poi noi due siamo diversi da tutti gli altri elfi, no? S-solo io e te in questo intero castello. Forse persino nell’intero regno. N-non ho mai baciato nessuno come te... come me.

Timothy abbassò lo sguardo, fissando con la testa altrove il sacco che Jimmy aveva portato la sera precedente, all’interno l’intero carico della sua lunga vita di elfo di mezz’età, condensato in una sacca di medie dimensioni, lurida e consunta.

Sembrava sincero. Non aveva motivo di mentire, Se Jimmy avesse voluto trovare conforto in qualcuno, quello era probabilmente Tim. Avrebbe potuto Tim trovare conforto in Jimmy, a sua volta?
“Va bene.” rispose semplicemente, forse non completamente lucido, da poco sveglio dopo una nottata agitata, con ancora addosso il ricordo delle nocche e delle gomitate di quell’elfo che lo stava aspettando a braccia aperte sul suo stesso letto.

Il marchese si diresse al letto, e vi appoggiò un ginocchio sul materasso, al fianco di Jimmy, che lo stava guardando come un cane randagio che aspettava un pasto caldo, fervente ed emozionato, gli occhi strabici spalancati e la lingua rosa e bagnata ad inumidire le sue labbra ancora ferite.

“Dopo te ne andrai?”
“Farò tutto quello che vuoi, mio lord.” sussurrò Jimmy, in un tono totalmente diverso da qualsiasi altro avesse sentito la sera prima e quella mattina stessa.

La sua coscia sfiorò quella del bardo, e Tim si appoggiò con le mani sulle sue spalle larghe e solide- era la prima volta che lo toccava senza l’interesse di volerlo ferire, e sotto i polpastrelli di Timothy la calzamaglia gialla- che colore da pagliaccio senza dignità e senza serietà!- sembrava più sottile di quanto non credesse. Poteva sentire il calore della sua pelle sotto di essa, il muscolo teso di chi si stava tenendo sollevato solo con la forza delle sue braccia, tese dietro il suo corpo.

Va bene, era ora. Non era la prima volta che Timothy baciava qualcuno, ovviamente, ma… quanti secoli erano passati, da quando si era rifiutato di prendere moglie e di continuare la sua famiglia, tentando di spezzare quella maledizione che tormentava il suo albero genealogico da chissà quante generazioni, tante da averne perso il conto dei millenni di storia elfica?

Timothy si piegò sull’altro elfo, più basso di lui di parecchio, che non sembrava muoversi in attesa. Non sapeva dire se lo stesse guardando, per colpa dei suoi occhi che puntavano in ogni direzione tranne che verso Tim stesso, ma dal suo sorriso non sembrava davvero aspettare altro. Gli si avvicinò finchè sentì la vicinanza della punta del suo naso a quello di Jimmy, e ancora quello non si mosse. Il suo respiro caldo sulle labbra di Timothy, l’istinto di tirarsi indietro tanto forte quanto quello di saltargli addosso e ficcargli la lingua fino in gola.

“Fallo, c-che aspetti?” sussurrò Jimmy, sentendo le labbra muoversi così vicine alle proprie, e Timothy rimase a sentirlo, incapace di reagire ora. “Lo so che lo vuoi. Lo v-vuoi più di me. Ipocrita.”

Quanto avrebbe voluto colpirlo ancora-

Con uno scatto rabbioso impattò con le labbra alle sue, a bocca chiusa e senza pensarci più, spinse in avanti con così tanta furia da ribaltarlo sul materasso, Timmy sopra di lui.

Strinse gli occhi, sentì la lingua bollente di Jimmy contro le proprie labbra, e i suoi denti contro la lingua, e il suo respiro come vapore sul suo viso. 

Un grosso braccio del bardo attorno alle sue spalle, l'altro attorno alla vita e le sue cosce serrate attorno ai fianchi di Tim, avvinghiato a lui come se ne valesse della sua stessa vita in quell'istante. 

Quel bacio era poc'altro che tanta saliva e denti ovunque, sporco e frettoloso, più doloroso che piacevole, i denti di Jim spesso e volentieri a serrarsi involontariamente- o forse era tutto apposta?- sulla lingua e le labbra di Timothy, che non vi dava peso, e continuava a spingere, leccare, aggrapparsi a quel corpo sotto di lui, morbido e duro allo stesso tempo e caldo, caldissimo.

Timothy tornò alla realtà solo quando Jimmy sotto di lui si dimenò per staccarsi da quel bacio che stava durando decisamente troppo, ribaltando la testa all'indietro e prendendo un respiro rumoroso a pieni polmoni. Allora anche Tim si ricordò di respirare, il viso bollente e le labbra doloranti. 

Jimmy stava ridacchiando, ma sembrava sinceramente felice, un risolino di ilarità a mente leggera, il viso ora più rosa che grigio e i capelli scuri e argentati appiccicati alla fronte madida di sudore, le labbra rosse e gonfie.

Senza pensarci, dimenticandosi delle regole morali e dell'astio che provava per quel bastardo approfittatore, Tim allungò la mano e scostò i capelli bagnati dal suo viso, Jimmy che rispose con un sorrisone quasi innocente.

Ah, maledizione, era adorabile…

"S-se-secondo giro?" sussurrò, il suo viso ancora vicino a quello di Tim, troppo vicino per dire di no. E allora non disse niente, chiuse gli occhi e appoggiò di nuovo le labbra alle sue, stavolta lentamente e senza fretta, a godersi le sue labbra morbide e il suo respiro caldo.

La tensione sembrava essersi completamente dissipata, mentre le mani di Tim si spostavano dalle spalle ora decisamente meno contratte di Jimmy al suo corpo, giù per il suo petto ampio. Al tocco leggero di Timothy sui suoi grossi pettorali, il bardo rispose con un risolino contro le sue labbra, scuotendosi appena sotto di lui. 

Le mani grosse ma gentili di Jimmy accarezzavano la schiena del marchese, delicate sul corpo spigoloso e ossuto dell'elfo più alto. 

La punta dei loro nasi si scontrò un paio di volte cercando di trovare l’angolo giusto, e Jimmy rispose con un risolino sussurrato, e Tim con un sorriso.

Gobbles si mise a cantare.

E pochi istanti dopo, toc toc.

La maniglia della porta della camera venne scossa rumorosamente un paio di volte, i cardini allentati dall’usura e dalla vecchiaia della serratura, un fracasso metallico e fastidioso.

"Marchese Burch?" fece la voce di uno dei servi di Timothy, un eco distante e dissonante che proveniva da fuori la porta. "La porta è chiusa a chiave- Marchese? Marchese!"

Tim si alzò sui gomiti con un rantolo rabbioso, ma Jimmy era di tutt'altra idea, continuando ad aggrapparsi a lui, le mani artigliate alla sua schiena mentre lo tirava in basso, verso di sé.

"Che cosa vuoi?" ringhiò Timothy verso il suo servo.

"Marchese, è quasi ora di andare, non l'ho vista tra gli altri nobili a colazione nel…”

Timothy lo stava a malapena ascoltando, a dire il vero. Jimmy stava continuando a baciarlo, lasciandogli bacetti all'angolo della bocca, lungo la linea della mandibola, fino all'orecchio, un giochetto pericoloso che però Tim non stava evitando in nessun modo. Anzi. Sapeva di adolescenziale, un gioco da ragazzini a cui però Timothy, nella sua gioventù solitaria, non aveva mai partecipato.

"Sì, arrivo. Dammi-"

Tim si morse il labbro inferiore per evitare di lasciarsi scappare un qualsiasi verso, l'istante in cui quel maledetto bardo decise di premere la lingua dietro l'orecchio di Tim, per poi sghignazzare a bassa voce, lasciando una macchia fredda di saliva tra l'attaccatura dei capelli e l'orecchio del marchese.

Piccolo bastardo arrogante.

"Marchese, sta bene? La sua voce è strana…"

"Sto benissimo!" Si affrettò Timothy, guardando in cagnesco il bardo sotto di lui, gongolante come un ragazzino.

Voleva giocare? Avrebbero giocato.

"Adesso mi preparo, mi sono solo svegliato tardi."  disse in tono sicuro Tim, una sua mano premuta sul petto del bardo, sotto il suo sguardo storto e pallido, e ora molto curioso.

Tastò la calzamaglia con i polpastrelli, accarezzando il suo petto e appena sfiorando i capezzoli del bardo, e sentì metallo sotto le dita. Il bastardo portava un anello al capezzolo, ma non era una sorpresa- se lo aspettava, da lui. Senza preavviso strinse l’anello tra indice e pollice e lo strattonò attraverso il tessuto, e Jimmy sibilò con un tono di voce fin troppo alto dal dolore- e probabilmente altro-, a denti stretti.

"C'è qualcuno con lei?!" la voce del servo era fin troppo sorpresa al pensiero di Timothy con qualcuno, e questo lo innervosì abbastanza.

Era forse così straordinario il pensiero di Timothy in intimità con qualcuno? Del resto chi avrebbe mai giaciuto con un essere storto e deforme, una creatura maledetta, se non obbligato da un vincolo matrimoniale che Timothy aveva volontariamente deciso di non contrarre? Questo pensava, questo pensavano tutti, anche i suoi stessi servi?

Aveva smesso di pensare al mondo tremendo in cui era costretto a vivere e le regole a cui era costretto a mantenersi solo per mezza mattinata, ma quella società sembrava assillarlo e seguirlo senza sosta, con ancora più ardore di quel bardo.

"No. È solo Gobbles." mentì il marchese, lasciando stare il bardo sotto di lui, una sua mano che andò subito a lenire il dolore al suo petto.

"E ora vattene, che ci fai ancora qui?" finì Tim, e i passi del servo indicarono che se n'era effettivamente andato.

E ora?

Quelle parole Timothy avrebbe dovuto gridarle al bardo che si era infilato in camera sua la sera precedente e aveva osato colpirlo, e invece quello era sul suo letto, le sue dita callose sul sul viso, e, poco dopo che i passi del servo furono così lontani da essere ormai indistinguibili, troppo poco, le labbra di nuovo sulle sue.

Ormai, dopo così tanti baci e morsi, il labbro inferiore di Tim doleva, la spiacevole sensazione di sentirlo gonfio e caldo e fin troppo delicato al tocco. 

Devi andare.” furono le parole di Tim, poco convinte ormai, rivolte davvero a nessuno. A Jimmy, a se stesso?

Jimmy annuì, gli occhi socchiusi e le palpebre pesanti e violacee, una più gonfia e scura dell’altra ma decisamente meno della notte precedente. Allungò una mano lungo il labbro inferiore martoriato di Tim, pulendo la pelle arrossata da una striscia di saliva, probabilmente appartenente ad entrambi, con delicatezza, quasi con dolcezza. “Lo so.” rispose, con una semplicità disarmante a cui Tim non riuscì a rispondere.

Stava provando troppi sentimenti, tutti in contemporanea, e Timothy ne era intimorito, e confuso.

Timothy scivolò di lato, sopra le coperte fresche di una mattina fredda nell’inverno del nord del regno, abbandonandosi mollemente al freddo del materasso, in contrasto al caldo corpo di Jimmy, che si stava faticosamente mettendo a sedere.

Le sue stampelle erano riverse a terra, poco lontano dal letto, abbastanza vicine perchè Jimmy riuscisse ad afferrarne una, e con l’ausilio di questa si potesse portare l’altra vicina.

Facendo pressione sui grossi avambracci, il bardo si mise in piedi, infilandosi le stampelle di legno e metallo sotto le ascelle, a tenere sollevato il suo pesante e massiccio- e caldo e  attraente e decisamente comodo- corpo. 

Il marchese era stanco, riverso sul letto ad osservare quel nemico, sconosciuto, amante, infilarsi il pesante e vecchio mantello verde che aveva nascosto nella sacca, coprendosi per bene il corpo, ferito ed accaldato. Sacca in spalla e intento a scassinare la porta, le sue grosse goffe dita che combattevano contro la serratura. E Timothy semplicemente non riusciva a muoversi, questa volta non per i dolori delle sue deboli articolazioni.

Jimmy si voltò un’ultima volta, un ampio, storto sorriso sul viso mezzo tumefatto, mezzo arrossato. “C-ci vediamo, mio signore.”

Senza eleganza, l’elfo ciondolò lentamente oltre l’uscio, fuori dalla porta, oltre il campo visivo di Timothy, che ancora non sapeva se provare sollievo o amarezza nel sapere quell’elfo fuori dalla sua vita, una volta per tutte.

Gobbles si risvegliò, dal giaciglio in un angolo della camera dove si era raggomitolato per tutto quel tempo, e tentò di salire sul letto, fallendo la prima volta. Le sue zampette storte si aggrapparono alle coperte inutilmente, e la coccatrice cadde di schiena sul tappeto con un tonfo quasi comico. Timothy sospirò, rotolando sul letto giusto per afferrare Gobbles tra il piumaggio e sollevarlo, aiutandolo in quello sforzo. La coccatrice saltò goffamente sul letto sbattendo le inutili e storte alette da basilisco, e si lasciò cadere proprio dove Jimmy era disteso poco prima, approfittando del calore lasciato dall’elfo sulle coperte.

Altri passi e ancora il suo servo, che questa volta trovò la porta socchiusa. La spalancò, trovando il suo signorotto disteso sul letto con lo sguardo perso nel vuoto, ancora vestito con gli abiti della sera prima tutti stropicciati.

“Marchese…” chiese di nuovo, e Timothy alzò la testa per fissarlo con odio e rabbia, le iridi ora verdi, ora azzurre, intrise di magia pura, cangianti e mai dello stesso colore. 

“Lo so, per gli Dèi! Va bene! Il mio bagno è pronto?!” sbraitò Timothy, più nervoso del solito, sollevandosi in piedi con movimenti scattosi. 

“Beh, era pronto quasi un’ora fa…” mugugnò il servetto, mentre il suo signore recuperava il proprio bastone da passeggio. La presa sul bastone era forte e rabbiosa, le nocche che spuntavano dalla pelle color avorio. 

“...ma ora l’acqua sarà fredda!” si lamentò il servo, mentre Timothy gli passava vicino, incurante. 

Meglio.” ringhiò Tim, aggiustandosi la dolorosa erezione nei suoi pantaloni fortunatamente larghi abbastanza da nasconderla, rimasta intoccata fino a quel momento, sperando che un bagno gelido gli avrebbe tolto di dosso quella sensazione di pesante senso di colpa nel suo petto, e di frustrazione dal suo inguine.

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