Perfino le allodole

di ariblake_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gennaio 2018 ***
Capitolo 2: *** Fata Morgana ***
Capitolo 3: *** Fratelli ***
Capitolo 4: *** Gunnvar ***
Capitolo 5: *** Venerdì ***
Capitolo 6: *** Il momento in cui ***
Capitolo 7: *** Rotacismo ***



Capitolo 1
*** Gennaio 2018 ***




“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni.”
( Shirley Jackson -  L’incubo di Hill House. )
 
 
 
Gennaio 2018
 
Nell’universo di cose che appartengono a Laurits e a Laurits soltanto ci sono un’infinità di pantaloni neri e camicie bianche, le scarpe creepers con la fantasia leopardata, una vecchia edizione de Il Maestro e Margherita che cade letteralmente a pezzi – la costa rigida si è staccata dalla rilegatura -, una chitarra elettrica, i film di animazione dello studio ghibli, il k-pop, tutti i manga de l’Attacco dei Giganti allineati in modo disciplinato sulla mensola sopra il letto.
È il mondo che si è costruito. E, come ogni adolescente, il suo mondo è solo una stanza: pareti ottanio e decorazioni scarne, un cuscino rotondo con la faccia ghignante di Jack Skeletron abbandonato sul materasso. Il computer portatile che suo padre gli ha regalato per i diciotto anni appoggiato sulla scrivania, aperto su un programma di grafica e su un forum di giochi di ruolo online.
Laurits si siede spesso lì e fa le ricerche più disparate. Non quelle barbose imposte dalla scuola; ricerche sul mondo, su cosa c’è fuori dall’Islanda. Vivere in un’isola è bellissimo, ma qualche volta è soffocante – invece il resto d’Europa sembra così promettente con i suoi colori, le sue attrazioni, i suoi concerti, i suoi spettacoli a teatro, la gente scoperta già in primavera, le giornate modulate in modo diverso, le foreste.
In Islanda non ci sono foreste. Gli stranieri ci rimangono sempre male quando arrivano e lo scoprono. No, non era una diceria né una leggenda: c’è solo uno scarso due per cento del territorio dedicato alla ripopolazione boschiva. Il resto se lo sono presi i vichinghi durante la colonizzazione.
Da chi discende, il resto del mondo? Laurits si chiede anche questo. Da dove arrivano gli altri europei, gli asiatici, gli africani? La differenza tra loro è un fattore di pelle o qualcosa di più diverso – di più profondo?
Vorrebbe conoscere altra gente. Altri luoghi altri posti altri guai altri balli altre discoteche altre scelte altre paure altre emozioni altro tutto. Gli è capitato di vedere una foto, da poco, di due ragazzi americani che si baciano sotto una bandiera arcobaleno.
Nel segreto della sua stanza c’è anche quello, eccola, l’altra cosa che gli appartiene. Se Laurits si guarda allo specchio vede tante cose che non gli piacciono: i capelli chiari, il viso spigoloso, gli occhi grandi e sporgenti, la bocca da carpa – troppo carnosa per un ragazzo. Eppure riconosce che di quel corpo maschile è fiero, è vivo. Sente che potrebbe essere attratto da qualcosa di speculare, di simile a sé.
Lo è anche stato innamorato. Di Hans. Ma Hans è praticamente identico a Fjor e Fjor è suo fratello anche se loro due non si somigliano ed è strano, troppo. Hans non guarda nessuno ed è timido, abbassa lo sguardo, si morde le labbra, è bellissimo ma di una bellezza che non vuole saperne di avere, non vuole possedere, non la controlla e non la comanda anzi semmai è il contrario – è quell’assolutismo estetico che lo domina ed entra in una stanza ancora prima che lo faccia lui.
Laurits ci ha rinunciato ancora prima di provare. Hans non è la sua storia, lo sa.

Ma questa sì. Ecco, un’altra cosa che gli appartiene: la sua vita, la sua tenacia, il suo essere testardo. L’irrequieta e potente voglia di esistere.


                                                                                                                    
*

 
 
Ciao a tutt*!
Questa è la mia seconda storia ambientata all’interno del “ciclo islandese”. La prima, Dietro ogni cosa bella, è a sua volta in corso. Le due storie sono collegate tra loro, ma possono essere lette singolarmente ed esistono in tempi diversi; la prima è ambientata a ridosso del duemila mentre questa, invece, è più recente ma non troppo. Non voglio svelarvi gli intrecci, qualora voleste leggere.
Posso solo dire che Laurits è un personaggio di cui ho voglia di scrivere da tanto, tantissimo tempo. Questa storia non eccederà mai per lunghezza dei capitoli (forse!) ma cercherà sempre di parlare in modo chiaro e limpido di questo ragazzo che amo e a cui spero di rendere giustizia.
I nomi dei personaggi sono stati rubati alla serie “Ragnarok”, ma oltre a questi non c’è nessun riferimento.
Enjoy it, alla prossima.

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Capitolo 2
*** Fata Morgana ***


Fata Morgana

Fjor accarezza la fronte di Ren che è sdraiata sulle sue ginocchia – le dita scivolano sotto la lana del cappello, cercano l’attaccatura dei capelli. Sono così belli e magri e fragili che il vento potrebbe portarseli via, farli diventare statue di sabbia nera come la pece.
Quello che c’è tra loro è evidente a tutti tranne che ai diretti interessati. Hans guarda l’orizzonte, le spalle curve e le braccia attorno alle ginocchia, chissà cosa sogna. Invece Laurits il suo sogno ce l’ha davanti, personificato dall’immagine speculare di suo fratello, dal muoversi lento della sua mano e dal suo sorriso dolce.
Qualcuno a cui accarezzare la fronte senza paura. Non riesce a immaginarselo.
Come sono i tuoi capelli, i tuoi occhi, la tua pelle e le tue dita? Come ti chiami, dove sei?
Domande e ancora domande. Sicuramente più interessanti di quelle dell’ora di algebra. Quella che ha deciso di saltare per seguire il suo gruppo di amici in spiaggia. Per loro è l’ultimo anno di scuola e ormai sono più i giorni in cui cercano il futuro che quelli in cui guardano al passato.
- Guardate – dice Hans, indicando l’orizzonte – C’è Morgana!
Fata Morgana. L’aria calda si scontra con quella fredda e nell’aria stranamente limpida di fine gennaio il cielo sembra capovolgersi. Come una foto scattata in movimento. Che strana cosa, la luce.
È ovunque, riflette Laurits. Su Fjor e Ren e Hans e me.
Si alza, inquieto e felice e corre sulla spiaggia fredda. Vuole andare incontro a quel cielo e vuole acchiappare la Fata. Lui, prima di ogni altro vichingo, di ogni suo predecessore. Prenderla, stringerla tra le mani, riempirsi di magia. Lasciami amare.
Fjor gli urla qualcosa – Attento!
- Ti gelerai così! – gli fa eco Ren, mettendosi a sedere. Hans invece ride e non lo ferma, lascia andare le gambe che stava trattenendo, scioglie le spalle.
Laurits ha già immerso le gambe fino alle ginocchia dentro l’acqua limpida. È gelida. La Fata rovescia il cielo.
Esprime un desiderio.
È felice.

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Capitolo 3
*** Fratelli ***


Fratelli

Non respiro.
Alle volte succede anche questo. È un pensiero, una scintilla irrazionale, un peso al centro del petto che spinge Laurits fuori dalla sua stanza. Corre in bagno scalzo, apre l’acqua, infila i polsi sotto il lavandino. Chiude gli occhi e conta – uno, due, tre, dieci, cento, migliaia e migliaia e migliaia e migliaia di numeri per non avere più paura.
Quando Fjor lo trova è schiacciato in un angolo contro il pavimento del bagno e trema.
Suo fratello gli accarezza le ginocchia.
All’inizio, il suo volto gli sembra un quadro di Picasso. Ha un occhio più su e uno più giù e il naso sproporzionato e la mascella che non si attacca all’orecchio e i suoi capelli volano. Poi lo mette a fuoco, lentamente. Tutto torna nelle giuste dimensioni. Fjor è di nuovo un principe, versa acqua sulle schegge di ghiaccio che hanno colpito il cuore di Laurits, le scioglie una ad una.
- Scusa – gli dice Laurits senza sapere per cosa si sta scusando.
Fjor scuote la testa e si siede di fronte a lui.
- Un altro attacco di panico? – gli domanda.
Laurits annuisce. È più di un anno che va avanti così. Anche se va dalla psicologa una volta a settimana. Alle volte la paura è ancora più grande e forte di tutto il resto e lo sovrasta, non sa come fuggirle.
La dottoressa dice che non serve. Deve accoglierla, piuttosto. Accettarla.
- Non lo devi affrontare per forza da solo… se stai male, vieni a svegliarmi. Sono tuo fratello: sono qui per e con te.
Quando lo dice, in modo affettuoso, allunga una mano e gli stringe una caviglia.
Per un attimo, Laurits si sente un palloncino. Solo Fjor gli impedisce di volare via, lontano. È il suo caposaldo, la terra dove coltivare le proprie radici.
Suo fratello sorride incoraggiante. Laurits vorrebbe abbracciarlo, ma si vergogna e non lo fa.

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Capitolo 4
*** Gunnvar ***


Gunnvar
 
Le volte al giorno in cui Laurits pensa voglio andarmene non sono quantificabili. Ha provato una volta a mettere una crocetta su un quadernino per ogni volta in cui quel pensiero gli ha attraversato il cervello: alla fine ce n’erano troppe, una impilata dietro all’altra. Un vero e proprio cimitero costruito su una pagina bianca.
Lo pensa anche adesso, mentre la professoressa di chimica manda un suo compagno di classe a svolgere una reazione redox alla lavagna. A che mi serviranno nella vita. Cosa ci farò. Dove andrò io, che la vita non riesco neanche a immaginarmela, che l’unico posto in cui mi sento al sicuro è la mia stanza.
E ancora: vorrei essere in classe con Fjor e Ren e Hans. Sicuramente Fjor e Ren pomiciano al cambio dell’ora. Sicuramente Hans non ha il coraggio di prenderli in giro, si imbarazza, arrossisce, guarda altrove. Tra qualche mese se ne saranno andati e allora Laurits resterà solo.
Dovrebbe farsi nuovi amici. E proprio mentre lo pensa, come un segno del destino, Gunnvar plana sul suo banco.
Ha un bel sorriso e gli occhi grandi e i capelli rosa caramella e il naso cosparso di lentiggini. Lei e Freya sono le più carine della classe, sono sempre sedute vicine, ridono insieme, si guardano anche ora e Freya è al banco con un sopracciglio alzato e fa un gesto di incoraggiamento a Gunnvar che, se solo Laurits fosse più attento, più presente a se stesso di quanto non sia davvero, capirebbe subito.
- Ciao Laurits. – gli dice – Faccio un karaoke da me, venerdì. Ci sono mio fratello e alcuni suoi amici dell’università. Ti va di venire?
Gli va?
- Va bene. – dice lui – Ma devo portare qualcosa?
Magari mio fratello, pensa. O Hans. Di solito sono loro quelli che vanno alle feste, che tutte vogliono, che riscuotono consensi nei corridoio.
Ma Gunnvar scuote la testa e il sorriso e gli occhi grandi e i capelli rosa caramella e il naso cosparso di lentiggini e dice no, non serve, abbiamo tutto noi, ti mando un messaggio con l’indirizzo.

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Capitolo 5
*** Venerdì ***


Venerdì
Che ansia.
Ma perché ho accettato di andare e ora cosa faccio io non so cantare come faccio cosa mi metto sono ridicolo forse dovrei chiedere a Fjor forse dovrei andare al cinema darmi malato fingermi morto mi stanno bene questi jeans? No sono ridicolo gli altri sembrano tutti più grandi più belli più bravi più inseriti più stabili più sereni meno spaventati meno inadatti di me forse non vado ma si che vai, vai Laurits, datti un calcio in culo e vai, lo fanno tutti, ok, fanculo.

 

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Capitolo 6
*** Il momento in cui ***


Il momento in cui
 
In realtà, scopre Laurits, nessuno sa cantare. È un dato di fatto.
Tranne forse il tipo che si crede Bon Jovi, che ha monopolizzato il microfono e sta ripetendo tutta la discografia in un inglese discutibile.
Laurits è bravo, in inglese. È una delle poche cose che gli riesce bene. Gli piacciono, le altre lingue, sono meno melodiose dell’Islandese ma hanno un loro modo di vivere, di esistere.
Gunnvar è molto carina. Si è messa un vestito blu ed è stata con lui tutta la sera, per fare in modo che non si sentisse a disagio. Di nuovo: se Laurits avesse un attento spirito di osservazione e più consapevolezza di sé, si renderebbe conto che l’avvicinarsi di Gunnvar non è disinteressato. E che il fatto che lei gli sia così vicina da poter contare ogni singola lentiggine non è casuale.
Non deve davvero contare le lentiggini, ma è quello che fa a un certo punto perché lei sta parlando di qualcosa che non gli interessa e lui sa che bisogna sapersi fingere interessati, almeno per gentilezza. Si ricorda di annuire, ogni tanto, ma in modo talmente distratto che neanche se ne rende conto.
Poi il campanello suona e il fratello di Gunnvar apre la porta e accoglie gente nuova, che prima non c’era.
Forse lo senti, il momento in cui tutto cambia e niente sarà più come prima. Lo percepisci. È una vibrazione nell’anima, il muoversi di una corda nel cuore o qualcosa dentro allo stomaco. È un brivido che si infila sotto la pelle come un ago, inquieto e sfuggente. Per Laurits, sono un paio di occhi scuri e un viso bruno, dei capelli neri come la pece. È un corpo alto e asciutto, due spalle larghe e sicure, le mani in tasca nei jeans, una felpa scura, la tranquillità con cui lui, il nuovo arrivato, saluta tutti gli altri.
- Chi è quello? – chiede a Gunnvar, interrompendo qualsiasicosastiadicendo preso da un’urgenza improvvisa.
- Chi? – chiede lei, girandosi – Ah, sì, uno degli amici di mio fratello. Sta facendo un erasmus qui, ha un nome straniero, italiano. Si chiama Tancredi.

 
*
 
Per farmi perdonare l'assenza (dovuta a un periodo abbastanza intenso, emotivamente e non. ) ho deciso di pubblicare tre capitoli di Perfino le Allodole, visto che comunque sono corti e si leggono velocemente. Spero che mi scuserete così ^^' Questo è l'ultimo e sono:
4 - Gunnvar
5 - Venerdì
6 - Il momento in cui.
Spero di esser stata chiara e scusate ancora!

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Capitolo 7
*** Rotacismo ***


Rotacismo

Tancredi.
Tancredi Tancredi Tancredi. Che nome è, Tancredi? Passa veloce e poi via, un leggero rotacismo, la lingua che tocca il palato, il resto che si scioglie come una caramella. Laurits non riesce a smettere di pensarci. Lo scrive su un quaderno, per il gusto di provare un alfabero diverso, senza dieresi, senza segni sintattici. Chissà. Lo pronuncerò nel modo giusto? Si domanda.
- Va tutto bene? - è Fjor, col suo sorriso tranquillo, che si riempie un bicchiere con la tisana. Laurits alza la testa dai compiti (che non sta facendo) e lo guarda.
- Sì, si. Sono solo un po' distratto.
- Com'è andata con Gunnvar?
Oh. Gunnvar. 
Lei è carina, sorridente, ha un buon profumo. Lo guarda con una dolcezza che Laurits non conosce, che non sa contraccambiare e alle volte un po' l'imbarazza. Prima di andare via dalla festa gli ha dato un bacio sulla guancia, gli ha chiesto se potevano prendersi una cioccolata calda, solo loro due. Laurits ha detto va bene, ma lo sa, glielo deve spiegare che loro non possono essere di più.
E gli fa male, la prospettiva di spezzarle il cuore. Ma il suo - il suo! Puo essere solo di Tancredi. Tancredi Tancredi Tancredi. Che nome è, Tancredi? E così avanti fino a sera, fino al giorno dopo, con quel rotacismo che gli arrotola lo stomaco, lo stringe ma è un dolore bello, un dolore nuovo, un dolore felice.

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