This ship is cracked, Sir!

di Sia_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Questioni di sangue ***
Capitolo 2: *** Il colore delle tende ***
Capitolo 3: *** Il tempo di un tic e di un tac ***



Capitolo 1
*** Questioni di sangue ***


Questioni di sangue
Coppia estratta: Irma Black/Nobby Leach

 

Prompt 1: Defenestrare

Nobby sposta la tenda con l’indice della mano sinistra e guarda la strada poco sotto il suo ufficio. Un gruppo di maghi purosangue è riunito per protesta davanti al Ministero, pronto a chiedere risposte e fatti concreti: un Ministro con una madre babbana non si è mai sentito! Leach lascia andare la stoffa, mette a posto la penna storta sulla scrivania e sorride. Non s’è mai sentito, ma è bene che si senta: il mondo magico deve cominciare a cambiare. 

Due tocchi sulla porta lo richiamano, lascia anche la penna ormai dritta e sistemata. “Sì?” 

Una donna austera mette piede nella stanza: nonostante l’espressione seria, è graziosa nel suo abito scuro e ricamato. Leach si perde un secondo a pensare che di donne al Ministero ce ne sono poche, bisognerebbe cambiare anche quello. “Posso esserle d’aiuto?” 

“Lei è Nobby Leach? Primo Ministro?” 

Lui annuisce. “E lei è… ?” 

“Irma Black.” Non sorride, tiene stretto il manico del suo obrellino nero di pizzo. “Sono qui per chiederle di andarsene, lasci la carica e la smetta di infangare il nome di tutti noi maghi!” 

Nobby non distoglie lo sguardo da lei, si chiede come sia riuscita a entrare. Probabilmente la chiave è stata la sua bellezza: è una giovane donna, due lucenti occhi azzurri le illuminano il viso e la carnagione è molto chiara. “Come prego?” 

Lei scuote il capo. “Ha capito benissimo! Lo faccia, lo faccia… oppure la defenestro!” Impreca, alzando la bacchetta nascosta nell’ombrello contro di lui. Nobby boccheggia per la sorpresa, ma poi si fa calmo: è diventato Ministro grazie al suo sangue freddo e alla sua intelligenza e di sicuro sarà in grado di fermare anche una seducente strega in preda alla follia omicida. 

“Signora Black, su, non faccia pazzie adesso…”

“La defenestro le ho detto! Non faccia un altro passo!” 

 

Nobby Leach è diventato ministro per tante cose, ma non per la sua bravura a leggere la situazione.

 

Gazzetta del profeta 

maggio 1962 

Il nuovo Ministro Inglese defenestrato da Irma Black, erede di una delle più famose famiglie purosangue del mondo magico!

“La donna è riuscita a entrare nell’ufficio del Signor Leach alle 16:24 di lunedì pomeriggio. Le guardie si erano sentite rasserenate dal sorriso smagliante e dalla promessa della Signora Black di chiedere un semplice autografo. Invece, una volta fatto irruzione nell’ufficio, ha defenestrato il Ministro, chiedendogli di dimettersi. Questa è solo una delle prime rivolte che i maghi puro…”

 

Prompt 2. It's not funny

I thought it was

You don't count, you started laughing in the middle of a funeral because you started thinking of a meme you saw on gazzetta del profeta 

Nobby Leach si mette a posto la cravatta nera e cerca di calarsi alla meglio il cappello a bombetta che tiene in testa. Non gli piace quel genere di eventi, ma da Ministro che è se li deve far andare bene in qualche modo. Fa un cenno alla sua guardia del corpo: è pronto a raggiungere gli altri. 

Ieri è morto Cygnus Black II e la sua segretaria gli ha caldamente consigliato di presentarsi al funerale. “Farà bella figura Signore, lei che si presenta al funerale di uno che si è sempre opposto alla sua nomina. Sa, lo deve fare per mostrare rispetto e fare le condoglianze alla famiglia e…” Nobby ha fatto finta di ascoltarla per dieci minuti, ma nel suo cuore pensava solo alla bacchetta di Irma Black puntata contro di lui. 

La vede vicino a Pollux Black e alla vedova Violetta Black al cimitero. A differenza degli altri non sta piangendo: immobile, tenta di mantenere rigore anche quando l’emozione dovrebbe prendere il sopravvento. Si guardano per un breve secondo: è abbastanza affinché decidano di fare piccoli passi per farsi vicini durante la cerimonia. Nobby è attratto da quegli occhi azzurri e pensa seriamente che lei voglia chiedergli scusa. Invece, quando si trovano vicini, abbastanza da sentire il profumo di lavanda che impregna i vestiti di lei, la sente ridere. 

“Le sembra divertente?” 

“No, non questo. Mi fa ridere un’altra cosa…” gli sussurra, alzando un sopracciglio e mascherando un debole sorriso sotto il palmo della mano. 

L’articolo della Gazzetta?” le domanda sconvolto. Ancora una volta quella donna è in grado di farlo precipitare giù da otto piani. Irma non gli risponde, sguscia via e si rivedono solo al rinfresco qualche ora dopo. “Si è messa a ridere nel bel mezzo del funerale di suo suocero per un articolo della Gazzetta del Profeta?" prova a chiederle di nuovo, con le dita ormai congelate intorno al whisky con ghiaccio. 

Lei alza le spalle, sistema un ricciolo dietro l’orecchio. “Le guardie si erano sentite rasserenate dal sorriso smagliante e dalla promessa della Signora Black di chiedere un semplice autografo. Invece, una volta fatto irruzione nell’ufficio, ha defenestrato il Ministro, chiedendogli di dimettersi.” Ripete a memoria, tornando a ridere. 

Nobby si stupisce per la terza volta: ha cominciato a ridere anche lui.

 

Prompt 3. “Non nominare mia madre, mai più!” 

Irma Black non è più ammessa al Ministero da mesi. Il suo volto è così noto alle guardie del corpo che persino nelle vie vicino non le è permesso camminare. “È per proteggerla, Signore!” gli ricorda la segretaria, stretta in un maglione di lana di poco gusto. Nobby ha cominciato a notare una certa mancanza di stile da quando ha incontrato Irma da sola nel parco. 

Hanno camminato insieme per un tratto e il suo lungo vestito verde sembrava calzarle addosso con una delicatezza mai vista. Prima di lei, proprio mai aveva pensato che potesse esistere una creatura più bella. Così Irma al Ministero non ci entra più, ma il Ministro d’origine babbane e la sua assalitrice purosangue fanno spesso passeggiate e si perdono per i sentieri inglesi. 

Nobby a volte si chiede se mai Pollux si sia accorto del fango sulle scarpe della moglie. O se sappia di come gli occhi di Irma brillino quando parla del vento e dell’universo. 

“Quindi… quindi penso che insomma veniamo tutti al mondo per una ragione precisa.” Costata lei un pomeriggio tardi, sistemandosi il cappellino sui capelli chiari. “Il suo è quello di mandare a fuoco il mondo e anche le mie credenze.” 

Nobby sorride. “Il suo invece è quello di sporcare di terra tutti i vestiti d’alta moda.” 

Irma sembra arrossire, rimane in silenzio qualche secondo. “Lei è uno sfacciato,” sussurra, “è proprio un mezzosangue sfacciato.” 

“E lei è una purosangue testarda.” Fa eco il Ministro, specchiandosi nell’acqua di un fiumicino lì a fianco. 

Irma rimane a guardarlo, “Vorrei poter ringraziare suo padre per averle regalato il dono della magia: è solo grazie a lui che ci siamo incontrati.” Vorrebbe aggiungere anche che sa che è morto, ma non è in vena di parlare di cadaveri. 

“Dovrebbe ringraziare almeno mia madre, è lei che mi ha messo al mondo.” Nobby la cerca con lo sguardo: si fissano senza parlare. Irma si sente nuda davanti agli occhi nocciola di Leach e teme che il suo corpo faccia qualcosa di stupido. 

“Non potrei mai, è una lurida babbana!” S’infiamma e continua così il gioco che tengono su da mesi. Ricordare il muro che li divide è l’unico modo per evitare quel qualcosa di stupido. Eppure i suoi stivaletti e i suoi vestiti di alta moda sono sempre più spesso sporchi di fango. 

“Allora non nomini mia madre mai più, finché non troverà il modo di apprezzare anche il diverso.” La riprende, dandole le spalle. 

Irma stringe le mani, sente che quel muro adesso le fa male davvero. 

 

Prompt 4. And that’s why, we really were on a break

Sente che qualcosa non è perfetto come prima quando le labbra di Pollux sulle sue non la rendono felice. Quando le certezze cominciano a farsi più rade. Quando lui si rinchiude per ore nella stanza con sua madre Violetta, per prendersi cura della sua malattia. 

Quando il fango non si toglie più dalle sue scarpe. Una stretta al cuore le dice che gli occhi nocciola di Nobby adesso sono l’unica cosa che tiene su l’universo ed è insensato e stupido che siano occhi di un mezzosangue. Un lurido… un… eppure le danno più di quanto le dia Pollux da mesi.

Lascia andare i capelli sulle spalle e si adagia alla seduta. Non s’accorge che il marito la sta guardando dalla soglia con le mani nelle tasche dei pantaloni marroni. Lo vede solo quando lui tossisce e i suoi stivaletti provocano un rumore sordo sul parquet della casa. “Irma, cara.” La chiama, accarezzandole la guancia. 

“Mh?” 

“Sarò in viaggio nei prossimi giorni per… per mia madre: sai com’è la sua salute ultimamente, preferisco starle vicino.” Irma fa la conta dei fratelli e dei nipoti e dei parenti che potrebbero andare al suo posto, ma alla fine annuisce. Pensa che se Pollux non fosse sempre via, magari anche lei rimarrebbe a casa il pomeriggio. 

Sei mesi dopo trova una lettera nel cassetto segreto della scrivania del marito. La scrittura è imprecisa, ma non ci mette tanto a leggere quello che deve leggere: suo marito la sta tradendo con Leonard Jewkes, il famoso artigiano di scope. L’aspetta a casa sveglia quella notte, la vestaglia che le cade sulla spalla. “E questa?” Gli domanda, arrabbiata. Dentro sente un certo sollievo che le prende il viso e la fa respirare. Non è stata l’unica ad aver pensato ad altro

“Io… è tutto vero. Ma devi capire, Irma, tu eri distante e…” 

“Io ero distante? T’inventavi continuamente di andare a curare Violetta e invece ti scopavi un… un…” le manca il respiro. Quanti paletti si sono tolti in una sola notte. E allora forse anche lei potrebbe amare un mezzosangue. 

“Ma Irma, non ci toccavamo più, pensavo ci stessimo prendendo una pausa!”

Una pausa?!

“Una pausa!” Conferma lui. “Non ci dicevamo più ‘ti amo’ ed è per questo che, sì, eravamo in pausa!” 

Irma stringe la lettera nella mano. Il cuore le dice tanto altro. “E adesso? Cosa siamo adesso?”

 

Prompt 5. "Sono uscit* a buttare la spazzatura (può essere qualsiasi cosa) in pigiama (o comunque non conciat* bene) perché credevo di non incontrare nessuno e ho incontrato proprio te"

Nobby non sa cosa l’ha fatto uscire di casa in piena notte. S’è sentito strano: ha pensato che il cielo fosse troppo scuro e di voler rivedere gli occhi di Irma ancora un minuto. Non la vede da una settimana, non la sente ridere da una settimana. E gli manca persino il fruscio del suo vestito contro le foglie. 

Irma non può passare davanti al Ministero, ma il Ministro può passare davanti alla casa dei Black. Solo di tanto in tanto. Ci passa anche ora e la scorge appena sotto la luce del lampione. “Signora Black?” Le domanda in un sussurro, lanciando un’occhiata all’imponente villa. 

“Nobby?” Abbatte i convenevoli in un secondo, le braccia che teneva strette al petto adesso cadono lungo il corpo. Leach la vede piangere per la prima volta e pensa che sia bella anche così. 

Le si fa vicino, passandole una mano sulla guancia.. “Che succede, Signora Black?” 

Lei sorride, una lacrima le solca le labbra. “Chiamami Irma, ti prego.” Le dita della giovane strega si incastrano con quelle del Ministro: insieme stanno andando contro le leggi dell’universo. Ma suo marito, quello che presto smetterà di essere suo marito, ha fatto molto peggio. 

“Ero uscita a buttare delle cose fuori da casa e sono impresentabile con questa vestaglia, credevo di non incontrare nessuno e invece… invece tra tutti ho incontrato proprio te.” Si appresta anche a dire, tirando su con il naso. Non dice che adesso nella spazzatura c’è la lettera dell’amante di suo marito e che il suo cuore su quel marciapiede è libero di amare ancora. 

Una delle due cose il Ministro sembra capirla. Sorride anche lui. “Hai degli occhi bellissimi” sussurra infatti. “È dalla prima volta che sei entrata nel mio ufficio che volevo dirtelo, Irma.”

 


Mi convinco finalmente ad aprire questa raccolta: ci sono altre storie che dovrei aggiungere, ma lo farò con la calma che mi distingue da mesi.
Ieri sera ho partecipato alla seconda serata di scrittura crack paring con altre quattro scrittrici di EFP [trovete il link alle loro storie non appena pubblicheranno tutte qui sotto]. Abbiamo estratto di comune accordo dieci personaggi dal Lexicon di Harry Potter: Violetta Bulstrode, Crosta, Zonko, Irma Black, Nobby Leach, Leonard Jewkes, Eleanor Branstone, Harlod Dingle, Georgi Zdrako e Hector Flawey. 

Per la serata ho scelto Irma Cribble, sposata in Black e il primo ministro di origine babbane Nobby Leach [che per chiare ragioni di trama qui ha la mamma babbana e il papà mago], fortemente osteggiato dalla comunità di purosangue. Comunque, Irma Cribble è la moglie di Pollux Black, figlio di Violetta Bulstrode e mi è piaciuto trovare un modo di inserire nella storia anche uno dei primi artigiani di scope, Leonard Jewkes. La linea temporale di questi personaggi è molto simile. Irma dovrebbe essere nata tra il 1920 e il 1938: ho pensato che fosse un'età plausibile per la nomina a Ministro di Nobby nel 1962. Sono cinque prompt, offerto da ognuna di noi: per ogni storia abbiamo avuto 12 minuti di scrittura.
Detto questa pippa, la smetto. Ringrazio chi è arrivato fino a qui e ha letto con interesse! Vi lascio le coppie delle altre partecipanti: 


Crosta/Violetta Bulstrode – LadyPalma 
Irma Black/Violetta Bulstrode – Maqry 
Crosta/Zonko – Mari Lace 
Eleanor Branstone/Harold Dingle – VigilanzaCostante
 

Sia 


 

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Capitolo 2
*** Il colore delle tende ***


 

Questa storia ha partecipato alla challenge "Due ore, quattro prompt" del Forum Ferisce più la penna.

Il colore delle tende
 

Prompt uno:
"E tu, ora che mi hai visto come sono veramente, riesci ancora a guardarmi?"
1984

 

Hermione sta guardando la porta chiusa di camera sua da almeno due minuti, non riesce a decidersi a uscire. Prima o poi lo farà, forse quando sentirà il passo di Fred che si allontana dal salotto e scende le scale. O forse sgattaiolerà via prima, magari adesso, senza farsi vedere. 

 

“Ti sto chiedendo un consiglio.” Che coraggio ha a chiederle una cosa simile? Che coraggio ha a guardarla negli occhi e a pretendere una risposta? “Le dico di sì?” 

 

Gli intagli della porta assomigliano alle cicatrici sulla schiena di Fred. Ha avuto modo di studiarle quando alla Tana fa troppo caldo per giocare a Quidditch con una maglietta addosso, oppure lì in quella casa, dove e che vivono insieme, mentre vengono e vanno da una stanza all’altra. Hermione l’ha visto in un caleidoscopio di colori, l’ha visto nel bianco che mette insieme lo spettro di tutte le tinte possibili.  

 

“Hermione?”

“Mh?” 

Non chiedermelo, non farmi questo.

“Ci esco o no?” 

 

Prende la maniglia della porta in mano e la tira verso di sé. Al diavolo Fred che le fa domande che lacerano il cuore, che le fanno immaginare una vita in cui oltre a Hermione c’è qualcun altro la sera nel loro salotto, o nella loro cucina. E al diavolo anche al suo cuore, ché pensa di avere dei privilegi. 

 

“Non credo di poterti dare una risposta.” 

“Mi devi aiutare a risolvere questo casino con la Medimaga."

“Fred, è il tuo casino con la Medimaga, non il mio. Risolvitelo da solo.”

 

I suoi genitori non l’hanno mai viziata, mai una volta – e dire che è anche figlia unica. Eppure è egoista, Hermione, nel rispondergli. Gli dice che non sono affari suoi e lo lascia da solo in un salotto che scricchiola di un rumore scomodo; sembra che si sia rotto qualcosa. Hermione si sente egoista, vendicativa persino, a prendere un impegno per la stessa sera: crede che così possa fare meno male. 

 

Quando esce in salotto, Fred si sta mettendo a posto i bottoni della camicia ed è bello. Bello da provocarle un dolore alle costole. La guarda e per la stanza aleggia un silenzio imbarazzante. 

“Senti, Hermione…” Vorrebbe trovare qualcosa per appianare la distanza che si è creata lì in mezzo negli ultimi giorni. Ha pensato di scriverle un biglietto e lasciarlo per la casa, ma poi si è ricordato che lui di lettere non ne scrive e non saprebbe che fare. Vorrebbe dirle che è bella e che gli dispiace e che… 

Suona il campanello, Hermione stringe il manico della sua borsetta. Dovrebbe perlomeno andare a rispondere, eppure non riesce a smettere di guardarlo. 

Aspetta almeno dieci secondi. “Devo andare, buona serata, Fred.”



 

Prompt due:
Maybe she wasn't perfect, but she would never be. But she was still worth something—she was worth a thousand possibilities.
Grimrose Girls

 

Ci sono svariati libri sparsi per la casa. E peli di gatto. E l’acqua della doccia ha sempre una temperatura insopportabile, che a starci sotto per sbaglio sembra di entrare all’inferno. E poi ci sono un sacco di piante che rimangono vive per miracolo solo perché una sera Neville ha detto a Fred come curarle – Hermione le compra e poi se le dimentica. 

Fred sa che Hermione non è perfetta: sono passati i tempi in cui la canzonava prefetto-perfetto. Hermione è caotica, anche se sulle prime sembrerebbe calma. Hermione non è razionale come a volte sembra essere. 

 

Ma è Hermione. 

 

Per questo, quando la vede uscire dalla stanza ed è bella, Fred pensa che vale tanto quanto tutte le Medimago del mondo. E poi pensa che tutto quello che hanno costruito lì dentro, in quei mesi di convivenza, deve valere qualcosa. C’è la possibilità che i libri entrino anche nella sua di camera, che si incastrino negli angoli e negli anfratti che nemmeno lui conosce. “Senti, Hermione…”

Senti, Hermione, penso che sarebbe meglio se facessimo finta di non aver sentito il campanello. Meglio se ora io non finissi di chiudermi i bottoni e tu rimanessi qui a guardarmi e smettessimo di nasconderci dietro le tende verdi che hai scelto per il salotto. Ti ho detto che quelle di lino erano un’idea più sensata, perché sono un po’ più trasparenti, così da vederci fuori e da vederci dentro. Senti, Hermione, io con questa Medimago non ci voglio fare niente, ma dietro le tende verdi io non so più se tu ci stai e… ci stai? 

“Devo andare, buona serata, Fred.”

Hermione non è perfetta, se è per questo nemmeno Fred ha tante qualità dalla sua parte – non c’è ordine, ma caos ogni volta che passa. Ma è Hermione e fa male pensare che tutte le possibilità del mondo siano appena uscite da quella stanza. 

 

Prompt tre: 

I had all and then most of you

Some and now none of you

Take me back to the night we met

I don't know what I'm supposed to do

Haunted by the ghost of you

Oh, take me back to the night we met
The night we met

 

“Sono Fred, piacere.” 

Fred ride – riempie la Sala Comune di un unico rumore – e le allunga una mano. Hermione la guarda, sa che presto la stringerà e che non si tirerà indietro; ha capito che quello è un gioco che non può vincere. Se alzasse un po’ lo sguardo, potrebbe mettersi a studiare le vene del collo del gemello, cercare cosa nasconde sotto la cravatta da Grifondoro. 

Hermione crede di conoscerlo da cinque anni. Non si è mai sbagliata tanto.

 

Hermione è un fantasma sul viso della Medimago. Non riesce proprio a concentrarsi. Si stringe nelle spalle, annuisce col capo e pensa che qualunque cosa la strega gli stia dicendo, non sia abbastanza interessante. L’aria gli sferza le guance già fredde e sorride: quando è diventato così sottotono? Alza gli occhi al cielo, anche la notte – specialmente la notte, quante ore di sonno si sono rubati? – gli fa pensare a Hermione.

 

Fred si intrufola nel sermone che l’Auror le sta facendo: non sa nemmeno come riesca a stare tra le pieghe di un discorso che non fa ridere, eppure si aggira su quel tavolo come un fantasma e lei sente che è arrivata al limite. “Non mi piace piangere davanti agli estranei e mi viene da piangere e sono triste e non è nemmeno colpa tua.” 

Lui sta zitto, Hermione si stringe nelle spalle e guarda verso l’alto per ricacciare indietro le lacrime: che ci fa lì? Perché non può stare sul divano del suo – loro – salotto? Lei e Fred sono esperti di divani, di notti, di scuse, di nuovi inizi. 

 

La mano di Hermione è piccola, ma non fragile. Anche lei si mette a ridere e le loro voci insieme creano una nuova armonia nella Sala Comune addormentata. Sono al piano di sopra, seduti sul divano davanti al camino: è la prima volta che si guardano così, che si vedono davvero. Non smetteranno mai più.

“Sono Hermione, piacere.” 

 

Prompt quattro

"Quando si è di fronte alla morte, meglio ballare che sdraiarsi ad aspettarla".
Hell Bent – Bardugo

 

Hermione non è abituata ai tacchi, per questo cammina a passo lento verso la porta di casa. Avrebbe potuto smaterializzarsi, ma s’è concessa dieci minuti di passeggiata quella sera: spera di poter mettere a posto i pensieri. 

Ha lasciato l’Auror al bar, la parte del proprio conto pagata e si è portata dietro un cuore che pulsa fino a rompere le costole. Tira su col naso e sbatte gli occhi velocemente, mentre si concentra come può sul marciapiede. 

 

Fred la sta guardando arrivare, ha represso l’istinto di sorridere – hanno avuto la stessa idea. Si è reso conto che la stessa idea è quella di deprimersi in una casa piena di ragnatele e di cose che avrebbero potuto essere e di… è una sensazione che ha già vissuto, qualche anno prima, proprio dopo la guerra.

“Ciao” le sussurra, quando lei è abbastanza vicino per rendersi conto che Fred è reale. Nessun fantasma in nessuna conversazione. Solo Fred, che è ancora bello. 

“Ciao” gli dice di rimando. 

Fred le sorride, tiene le mani in tasca. “Sai che ho imparato?” 

“Quando?” Hermione pensa che non ha così tanta voglia di stare al gioco, ma lo lascia fare: Fred è lì davanti a lei e il cuore le fa ancora più male di quanto potesse fare cinque minuti prima. Non ha mai provato un dolore così bello. 

“Quando sono quasi morto…” 

Fred.” 

“Aspetta… quando, quando sei davanti alla morte, capisci che è meglio mettersi a ballare che rimanere fermi ad aspettarla.” Fred sta ancora sorridendo, “Credevo di aver appreso la lezione la prima volta, che mi fosse bastato cercarmi una nuova casa, farmi delle nuove abitudini, smetterla con il caffè e passare al tè. Credevo che fosse abbastanza per scombussolare le carte in tavola, ma poi questa sera ho fatto di tutto per finire ad aspettare.”

Lei deglutisce. “Cosa?” 

Te.” Il gemello ride, pensa che sia incredibile che sia riuscito ancora a far arrossire Hermione sulle guance. “E tu sei venuta qui ad aspettare me.” Continua a dirle. 

Ci mette dieci secondi a rispondergli. “Sono venuta qui ad aspettare te.” 

Fred fa un passo avanti, le sfiora la guancia con una mano. “Non pensi che sia stancante?” Dico, Hermione, è stancante vederti scegliere tende verdi quando quelle trasparenti avrebbero risolto il problema molto prima. 

Hermione si lascia andare contro il suo palmo, annuisce. “Ma non sono brava a ballare.” 

Lui le ride sulle le labbra. Che importa, Hermione? Nemmeno io so ballare. Eppure ho la sensazione – è più una convinzione –, che sarà bellissimo essere scoordinati insieme. 

 



Eccoci qui: cosa possono fare due ore? Magie, credo. Che bello tornare a scrivere e tornare da Fred e Hermione. 
Grazie mille per tutto il supporto e... buona lettura a tutti! (anche buona serata, in verità)
Sia 

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Capitolo 3
*** Il tempo di un tic e di un tac ***


Il tempo di un tic e di un tac


“Days ache and nights are long

Two years and still you're not gone

Guess I'm still holding on” – Forget me (Lewis Capaldi)

 

I. 

Le lancette dell’orologio da taschino fanno un rumore assordante. Dedalus prende un respiro, che scappa subito dalle labbra sotto forma di sbuffo. Appoggia il capo al vetro della finestra, specchia gli occhi nell’immensità del cielo scuro. 

Tic. Tac. 

Scandisce un tempo infinito. Fa passare avanti giorni strazianti e rende perpetue le notti. 

Tic. Tac. 

Lì fuori è pieno di stelle. Nemmeno una è cadente – è troppo tardi, o troppo presto. Comunque non è periodo. L’unica volta che le stelle sono venute giù quando non dovevano, era perchè il Signore Oscuro era stato sconfitto. 

Dedalus aveva scosso la notte per ritrovare un po’ di Caradog. 

Tic. Tac. 

Tira su con il naso. Sono passati due anni da quando Dog l’ha salutato, sulla soglia del Quartiere Generale. Due anni da quando ha sentito la sua voce, due anni da quando le lancette di quel maledetto e enorme orologio non la smettono di fare un rumore assordante. 

Tic. Tac.  

Non riesce a liberarsene. Dedalus sorride: se chiude gli occhi può vedere Caradog che lo tira fuori dalla tasca del panciotto, che ci lancia un occhio per non arrivare in ritardo a casa. 

Come potrebbe disfarsene? 

Tic. Tac.  

È solo che ogni minuto che passa è un minuto in più che Dedalus ha vissuto senza Caradog. Sono passati più di un milione di minuti. Milioni di tic e milioni di tac. 

Tic. Tac. 


Alcune storie finiscono,

È vero,

Ma ti accompagnano ancora

Per un tempo infinito

 

II.

Nel giro di un paio di settimane la vita di Remus si è spezzata – non è rimasto nessuno dei suoi più cari amici. James è morto, Sirius è diventato pazzo, Peter è esploso. 

A Remus restano cicatrici di notti passate nella Foresta Proibita. E poi le cicatrici di quella guerra disperata che tutti credono di aver vinto – guardiamoci intorno, siamo rimasti a malapena in sette. Che vittoria è, una vittoria così? 

 

“Pensavo si fosse perso con lui.” Remus tiene in mano l’orologio da taschino di Caradog, passa il pollice sull’incisione delle sue iniziali. 

Dedalus scrolla il capo. “Me l’ha lasciato la sera prima di andare in missione.” Così adesso ce l’ho per sempre. E fa tic tac per sempre. Fa tic tac senza di lui già da un milione di minuti. 

Remus sorride. “Sei fortunato, vorrei che gli altri mi avessero lasciato qualcosa.” 

 

Chissà chi dei due sta messo peggio. Chissà se sia meglio avere un orologio o non averlo. Forse Dedalus senza quel segnatempo impazzirebbe, forse Remus se avesse qualcosa di materiale finirebbe per chiuderlo da qualche parte per il dolore. 

 

“Ma te l’hanno lasciato.” 

Remus è lui e tutti gli altri. Remus è il ricordo di notti fuori dal dormitorio. Remus è una risata e altre tre risate. Remus è James, Sirius e Peter – hanno vissuto così tante storie, che non ha modo di essere solo. 

Lupin annuisce, sorride. Poi si inclina in avanti per restituire l’orologio. “Ti sei fatto saggio, Lux.” 

“Vero?”


“Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro e si chiamano ricordi. Altre ci portano in avanti e si chiamano sogni.”

 

III. 

Dedalus picchietta sull’orologio, le unghie provocano un rumore sordo contro il vetro. Chiude gli occhi, l’aria fresca di quella mattina londinese gli riempie i polmoni. 

Le case intorno a lui sono tutte uguali a quelle del Quartier Generale. 

 

“Sono stato a casa questo fine settimana, papà mi ha regalato un orologio da taschino che fa un rumore del cazzo. Non posso portarlo con me o salta tutta la copertura.”

 

Dedalus è fuori Privet Drive 4 da tutta la notte, spera sempre di poter intravedere Harry Potter e assicurarsi così che stia bene. Per i prossimi cinque minuti invece sarà nella cucina del Quartier Generale: lì si vede più piccolo, Caradog è ancora vivo. 

 

“Lascialo qui, lo riprendi quanto torni.” 

“Tienimelo tu, preferisco.” 

 

Caradog ha le mani piene di tagli. Lux prende un respiro pesante: ha avuto paura che Dog non tornasse. Hanno bisogno di proteggersi a vicenda.

“Ti restituisco l’orologio, come promesso.”

L’altro sorride, la stanchezza di quella prima missione in solitaria gli scivola via. “Grazie.”

Poi si abbracciano forte.

 

Una porta sbatte a qualche metro da Dedalus, così lui è costretto ad aprire gli occhi. Ha la gola secca. Si è accorto in fretta che era solo un sogno, per un secondo ha desiderato ardentemente di non svegliarsi mai più. 


"Ma se ho paura di tutto. Di tutto. Io ho paura di quello che sono, di quello che vedo, di quello che faccio, e... e... e soprattutto ho paura che se me ne andrò da questa stanza non riuscirò mai più a provare quello che provo adesso. Adesso che sono qui con te". (Dirty Dancing)

 

IV.

Le notti al Quartier Generale sono infinite – infinito il tempo che passa, infiniti gli sguardi che si lanciano uno con l’altro, infinito il fastidio di dover respirare il fumo della sigaretta di Sirius, che ha impregnato le pareti. 

Dedulus ha il capo appoggiato alla tovaglia di lino verde scuro, che rende il tavolo di legno molto meno scomodo di quanto non sia senza niente a coprirlo. Dog sbadiglia, mentre fa ruotare la bottiglia sul posto. 

Remus e James sono andati in salotto a chiudere gli occhi sulle poltrone, non c’è più nessuno con loro nella stanza – le ore piccole sono quelle più sole. 

Dedalus sta contando i suoi incantesimi, dal primo che ha imparato all’ultimo che gli è riuscito a scuola. Caradog continua a giocare con la sua bottiglia di vetro. 

“Io, sai, ho paura.” È la prima volta che Dog lo dice ad alta voce, da quando sono lì. Dev’essere che quella birra è molto più alcolica di quanto credesse. “Ho paura di quello che la guerra mi sta facendo diventare, ho paura di quello che vedo ogni volta che sono in mezzo agli scontri, ho paura che non torni più nessuno.” Non dice che ha paura di morire.  

Dedalus si gira a guardarlo, si lecca le labbra. “Anche io.” 

 

Figo. 

Vero? 

Caradog è grosso due volte Lux, quindi a rigor di logica deve avere due volte più paura dell’altro. “Davvero?” 

Dedalus inspira, si tira dritto contro la sedia di pino. “Le uniche volte in cui non ho paura, è perché stiamo insieme. Tipo adesso.” 

Dog annuisce, frena il movimento della sua birra. La pensa esattamente allo stesso modo: con gli anni, Dedalus gli si è aggiustato intorno a creare una barriera protettiva. Con gli anni, Dedalus è diventato casa. 

“Ho paura che quando mi alzerò di qui e uscirò da questa stanza, avrò di nuovo paura.” Ho paura di perderti, Dog. 

“Allora stiamo qui sempre.” Che per me vale uguale. “Non usciamo mai più.” 

 

“Questo è Edgar Bones… il fratello di Amelia Bones, hanno preso lui e la sua famiglia, era un gran mago… Sturgis Podmore, accidenti, com’era giovane… Caradoc Dearborn, scomparso sei mesi dopo, non abbiamo mai ritrovato il corpo.”

 


 

Questa storia ha partecipato alla challenge "Due ore, quattro prompt" del Forum Ferisce più la penna.

I protagonisti di questa storia sono Dedalus Lux e Caradoc Dearborn, già trattati in "Un labirinto di storie cadenti". Pensavo che loro avessero finito di stare con me, pensavo che io avessi finito di disturbarli, ma a distanza di più di un anno sentivo che mi mancavano troppo. 
Come sempre, vi ringrazio per la lettura. 

Sia 

 

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