Shades, Tints & Tones

di Jason_Trth Hrtz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giorno 1 — Occhi ***
Capitolo 2: *** Giorno 2 — Montagna ***
Capitolo 3: *** Giorno 3 — Vecchio ***
Capitolo 4: *** Giorno 4 — Puntuale ***
Capitolo 5: *** Giorno 5 — Bianco ***
Capitolo 6: *** Giorno 6 — Corsa ***
Capitolo 7: *** Giorno 7 — Vergogna ***
Capitolo 8: *** Giorno 8 — Medaglia ***
Capitolo 9: *** Giorno 9 — Caccia ***
Capitolo 10: *** Giorno 10 — Libreria ***
Capitolo 11: *** Giorno 11 — Secondo ***
Capitolo 12: *** Giorno 12 — Clown ***
Capitolo 13: *** Giorno 13 — Quadro ***
Capitolo 14: *** Giorno 14 — Grembiule ***
Capitolo 15: *** Giorno 15 — Lento ***
Capitolo 16: *** Giorno 16 — Vetro ***
Capitolo 17: *** Giorno 17 — Tradimento ***
Capitolo 18: *** Giorno 18 — Grappolo ***
Capitolo 19: *** Giorno 19 — Incontro ***
Capitolo 20: *** Giorno 20 — Sigaretta ***
Capitolo 21: *** Giorno 21 — Pettegolezzo ***
Capitolo 22: *** Giorno 22 — Antidoto ***
Capitolo 23: *** Giorno 23 — Sabbia ***
Capitolo 24: *** Giorno 24 — Tremore ***
Capitolo 25: *** Giorno 25 — Manette ***
Capitolo 26: *** Giorno 26 — Mandorla ***
Capitolo 27: *** Giorno 27 — Compleanno ***
Capitolo 28: *** Giorno 28 — Nascondere ***
Capitolo 29: *** Giorno 29 — Argilla ***
Capitolo 30: *** Giorno 30 — Domino ***
Capitolo 31: *** Giorno 31 — Tomba ***



Capitolo 1
*** Giorno 1 — Occhi ***


Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.


𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 1: occhi

 

 

 

 

[Ballet!AU]

 

OCCHI

611 parole

 

 

Aveva tutti gli occhi puntati su di lei, ma l’unico sguardo che le interessava apparteneva al suo Maestro e partner, nella vita come nel ballo, Sebastian.

Bloom si alzava sulle punte, cercava di non tremare troppo, tratteneva il respiro talmente a lungo da entrare in apnea e posizionava di volta in volta, passo dopo passo, le braccia e le mani nella figura consona al balletto; le punte delle dita morbide ed eleganti verso il soffitto del teatro o rivolte alla scena.

Finita la serata e ringraziato il pubblico, si diressero mano nella mano nel backstage, con ancora l’adrenalina che li teneva caldi e vigili.

«Come sono andata?» chiese Bloom appena i due furono lontani dallo staff e gli altri ballerini della compagnia. Lo guardava con occhi speranzosi, allo stesso tempo timorosi di un esito negativo.

Bloom non era conosciuta per essere brava e formale nel ricevere critiche o rimproveri circa le sue doti o comportamento.

Bevve un’intera bottiglia d’acqua da un litro e mezzo in pochi minuti. Nonostante fosse a temperatura ambiente, si sforzò di bere a piccoli sorsi, ma dopo i primi tre tentativi, prosciugò il liquido agognato come fosse l’ultima riserva d’acqua in un raggio di chilometri.

La serata finale era stata più dura del previsto. Sembrava essere durata più a lungo delle altre. Dopo giorni di esibizioni e allenamenti costanti, era sorpresa di sapersi ancora reggere in piedi. Era stata la sua prima tappa importante, ed era l’unica allieva a cui era stato concesso di ballare in coppia con il suo Maestro; aveva un fuoco dentro che non accennava l’intenzione di spegnersi.

Sebastian la guardò dritta negli occhi e le accarezzò una guancia umida, seppur Bloom si fosse asciugata il sudore con l’asciugamano che aveva appeso intorno al collo.

«Sei stata brava, Bloom» le disse.

Lo abbracciò di slancio, non curandosi dello stato in cui entrambi erano, e lo ringraziò con un bacio sul pettorale sinistro esposto.

«Tuttavia…»

E lì Bloom si sentì sprofondare. “Tuttavia”, cosa?

«Nell’ultimo pezzo eri troppo tremolante, il tuo balance era scomposto». Le accarezzò la fronte, sistemandole i ciuffi di capelli ramati dietro le orecchie, per rimarcare il concetto. Accondiscendente. Le stava donando la cura e la ferita, ripartite tra quello che la sua bocca pronunciava e quello che le sue mani facevano.

«Mi dispiace» fu l’unica cosa che le venne in mente di dire, piena di vergogna. Le guance erano tornate a scottarle, perfino il trucco non riusciva a mascherare il rossore.

«Farò meglio»

«Non pensarci più ora. Ricordati: può succedere, ma non deve succedere».

Bloom annuì soltanto. Sebastian aveva ragione.

«Va’ a cambiarti, io ti raggiungo in doccia».

Ribolliva di insoddisfazione e rabbia verso se stessa, le tremavano le mani, ma si allontanò comunque dai tendaggi a testa alta, non premurandosi di ricambiare gli sguardi invidiosi e sprezzanti dei suoi colleghi ballerini. Rifiutò addirittura l’aiuto dello staff nei camerini, preferì struccarsi e svestirsi da sola, piuttosto che dover fare i conti con gli sguardi condannevoli riflessi nello specchio; a cominciare dal suo medesimo. Non importava come si sentisse dentro di sé, la vergogna e l’insoddisfazione che l’avvolgevano, non poteva permettersi di abbassare la guardia: una delle altre ballerine avrebbe potuto approfittare di quel suo momento di debolezza per depredarla di tutto ciò che le era più caro.

Il suo lavoro come prima ballerina e Sebastian erano tutto ciò che aveva, avrebbe dato fuoco al mondo intero prima di permettere ad altri, a qualsiasi altra persona, di portargli via la sua ragione di vita.

Seppur non godesse di ottima considerazione tra i suoi pari, essere la ballerina preferita del proprio Maestro, figlio del proprietario della compagnia di ballo, aveva certamente i suoi vantaggi.

 

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Capitolo 2
*** Giorno 2 — Montagna ***


Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.


𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 2: montagna

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

MONTAGNA

2015 parole

 

 

 

 

Bloom si era persa.

E no, non in senso spirituale, ma si era letteralmente persa.

La tempesta di neve l’aveva separata dal suo gruppo, dalle sue amiche, e l’aveva immersa nella vastità della coperta di neve che ricopriva il paesaggio montano intorno a lei.

Erano passate ore, il tramonto si avvicinava, e quella che era iniziata come una marcia per ritrovare il percorso che stava attraversando con il resto delle ragazze ormai era diventato un disperato tentativo di sopravvivenza. Si muoveva per con congelare a morte, senza sapere dove stesse andando.

Aveva gridato a pieni polmoni per interi minuti, ma l’unico risultato era stato quello di essersi ritrovata con le corde vocali strappate dal dolore e l’intangibile eco della sua voce a sottolineare la gravità della sua situazione.

Si massaggiava la gola con la mano guantata, per procurarsi una fantasia di sollievo, ma sapeva che non sarebbe riuscita a dare un altro segnale circa la sua posizione usando la voce. L’unica speranza era accendere un fuoco da qualche parte e sperare di essere raggiunta dai soccorsi. Aveva perso lo zaino e con esso la sua unica possibilità di mettersi in contatto con chiunque tramite l’uso della tecnologia.

“Sono fottuta. Morirò in mezzo alla neve e verrò riscoperta tra mille anni dagli archeologi”, pensò Bloom.

Un’ombra in mezzo alla distesa innevata attirò la sua attenzione. Poteva essere qualunque cosa: un orso, una persona o addirittura un albero sradicato dal maltempo e trascinato in quel punto dal vento impetuoso che ancora minacciava di sollevarla dal suolo. Doveva essere in qualche modo grata alla neve per aver inghiottito i suoi stivali da neve fino al ginocchio, solo così era potuta rimanere ancorata al suolo—seppur ciò contribuisse a rallentarla irrimediabilmente.

Più si avvicinava alla figura, più era sicura che non si trattasse né di un animale né di una parte della vegetazione.

Era una persona, un altro essere umano.

Voleva essere sollevata dalla scoperta, ma parte di lei era sicura che si trovasse di fronte a morte certa.

 

Solo poche settimane prima, Stella, una delle sue migliori amiche, insieme a Beatrix, fidanzata storica di Stella, l’avevano convinta una sera a guardare un documentario che ricostruiva quello che era accaduto a una donna che si era persa durante un’escursione. Il suo “soccorritore”, un uomo che a quanto pareva viveva da solo in cima alla montagna, le aveva offerto il suo aiuto per ripararsi dall’intemperia e contattare i soccorsi una volta giunti alla sua baita. La donna, affamata, stanca e infreddolita, si era fidata dell’estraneo.

Appena era calata la notte, l’aveva uccisa e si era cibato di lei.

I vestiti della donna e la collana che portava sempre al collo erano stati ritrovati nel ripostiglio, accanto ad altri oggetti di ogni forma e dimensione—appartenenti alle sue cinque altre vittime precedenti. Cappelli, sciarpe, figurine, portafogli con ancora i documenti di riconoscimento conservati all’interno… L’uomo aveva giurato a se stesso che dopo la settima vittima si sarebbe fermato. La donna era stata la sesta e, a voler credere alla versione dei fatti raccontati dall’uomo, ce ne sarebbe stata almeno una settima.



Bloom si immaginò al posto della donna e vittima della sua stessa fine. Qualcosa in lei scalpitò e un fuoco nuovo e vorace le attraversò le vene, pompando i muscoli intorpiditi dal freddo acuto. Si abbassò sul manto di neve e cercò a tentoni, con le mani coperte solo dai guanti ormai umidi, un pezzo di legno abbastanza spesso o una pietra delle dimensioni adatte per infliggere dei danni considerevoli. Le sue dita toccarono quello che sembrava essere un ramo spezzato e lo afferrò con entrambe le mani.

La figura ora era davanti a lei, una voce grave dall’accento irlandese le chiese se si fosse persa, se avesse bisogno di aiuto. Prima che potesse avanzare verso di lei ulteriormente, Bloom agitò dall'alto verso il basso il simil bastone, puntando a una delle ginocchia dell’estraneo. Nonostante si fosse impegnata per essere silenziosa e scaltra, l’uomo afferrò la sua arma di fortuna e la sollevò con le mani di Bloom ancora attaccata ad essa. La stoffa dei suoi guanti si era impigliata nella corteccia del pezzo di legno e per riuscire a non farsi afferrare, dovette abbandonare i guanti con un forte strattone all’indietro. Immediatamente il vento pungente e il freddo invernale le punsero le mani.

Cominciò a correre, ostacolata dalla neve e la stanchezza pregressa, ma l’adrenalina che le scorreva dentro bastò a metterla in movimento verso il bosco alle sue spalle.

L’uomo la inseguiva, sentiva i suoi passi rompere rametti e calpestare le foglie cadute per terra. La neve rallentava anche lui, ma grazie alla sua notevole altezza e massa sembrava riuscire a destreggiarsi meglio nella tempesta. Bloom doveva presupporre che l’uomo abitasse nei paraggi, quindi era quasi certa che lui conoscesse meglio di lei la zona in cui si trovavano.

Quando sembrò aver trovato il nascondiglio perfetto, al di sotto di due alberi di pini caduti, una mano l’agguantò da dietro, afferrandola dal cappuccio della sua giacca imbottita, e la trascinò indietro. Con la schiena toccò un petto ampio e ugualmente morbido, grazie all’unione delle imbottiture delle loro giacche invernali. Bloom scalciò e si agitò come colpita da una frusta, ma le braccia dell’uomo l’avvolsero tutt’intorno e spinse contro il tronco di un faggio—probabilmente secolare, data la maestosità del suo tronco.

«Calmati, non intendo farti del male. Voglio aiutarti» le disse direttamente vicino al suo orecchio, per sovrastare il fruscio intenso del vento che danzava tra le foglie degli alberi boschivi.

«Disse l’uomo che mi teneva schiacciata contro un albero» ebbe l’ardire di ribattere. Seppur fosse spaventata, era intenzionata a portare avanti la farsa di baldanza il più a lungo possibile, pur di non dargli la soddisfazione di una vittoria facile.

Il peso che l’aveva tenuta schiacciata all’albero improvvisamente la lasciò libera di riprendere a respirare e con le braccia ora libere, appoggiò le mani intorpidite sulla corteccia ruvida per darsi la spinta necessaria a caricare un calcio dritto nei genitali dell’uomo.

Riprese a correre, ma, prima di cadere in ginocchio per terra, l’uomo riuscì ad afferrarle un lembo della giacca. Lottarono per brevi istanti, fino a quando Bloom non perse l’equilibrio e l’uomo riuscì ad afferrarle una caviglia, facendosela cadere addosso. Emise un respiro esasperato, intriso di dolore e sussurrato attraverso parole in una lingua a lei sconosciuta.

 

 

Quello era stato il loro primo incontro.

L’uomo si era successivamente presentato con il nome di “Sebastian”, offrendole ancora una volta il suo aiuto. Si era sfilato da una tasca interna della giacca un walkie talkie dall’aspetto robusto e le aveva detto che le sue amiche la stavano cercando. Lui aveva una baita a poco più di 200 metri dalla loro posizione attuale, ed era abituato a dare una mano alle guide alpine che si perdevano qualcuno durante i percorsi. Aveva inoltre assicurato che a breve sarebbero arrivati i soccorsi e dovevano solo posizionarsi in un punto in cui sarebbero stati visibili dall’alto.

Sul momento, Bloom non aveva saputo se credergli, seppur la sua spiegazione sembrasse plausibile, ma non aveva molta altra scelta se non quella di fidarsi. Le aveva chiaramente dimostrato che non importava quante volte avesse provato a sfuggirgli, lui l’avrebbe raggiunta e presa ogni volta.

Quando il walkie talkie cominciò a scricchiolare anche dall’altra parte, Bloom sentì le voci delle sue amiche riempirla di domande. Volevano sapere se fosse ferita, se le fosse accaduto qualcosa di spiacevole. Bloom lanciò uno sguardo fugace a Sebastian e poi ritornò a osservare attentamente il walkie talkie, come se si potesse trasformare da un momento all’altro in un telefono moderno e permetterle di iniziare una videochiamata con le sue amiche. Le mancavano. Erano passate poche ore ma già le mancavano enormemente.

Sebastian la aiutò a rialzarsi e la scortò fino alla sua baita. Con quel tempo era difficile riuscire a scambiarsi delle comunicazioni stabili, quindi la invitò a tornare insieme a lui nella sua baita. Una volta che il tempo si fosse calmato, i soccorsi sarebbero giunti da lei.

Finì per passare la notte da lui. Sebastian le preparò la cena e, conscia del peccato che avrebbe commesso a sprecare del cibo difficilmente reperibile a quelle altitudini, si costrinse a mangiare qualcosa. Quando arrivò l’ora di mettersi a letto, Bloom fu felice di sapere che avrebbe potuto fare una doccia calda. Sebastian le lasciò la privacy di cui aveva bisogno, andando a raccogliere la legna per accendere il camino dall’aria ottocentesca. La lasciò addirittura dormire nel letto a due piazze, mentre lui si accontentò di dormire in un sacco a pelo per terra, vicino al camino rimasto acceso tutta la notte, fino a estinguersi verso le prime luci dell’alba.

Tuttavia, Bloom non era riuscita a chiudere occhio per le prime tre ore, solo verso le quattro del mattino le sue palpebre avevano ceduto e si era concessa a riposare un’oretta scarsa.

Al suo risveglio, aveva passato le ore a girarsi e rigirarsi nel letto, fino alle sei e mezza del mattino, un odore di pancake e sciroppo d’acero la invogliò ad alzarsi dal letto di buon umore. Si lavò la faccia e raggiunse Sebastian al tavolo imbandito dalla ricca colazione. Un tagliere con salami e formaggi di diversa misura, odore e colore facevano da accompagnamento ai pancake e i waffle posizionati di fronte a due sedute. Non avrebbe saputo descrivere l’origine della parte salata di quella colazione, ma non era intenzionata a mangiare nulla proveniente da quel tagliere, quindi non si pose un problema circa la sua ignoranza della cultura culinaria di quella zona di montagna.

«Voi Europei siete sempre così disponibili?» gli chiese ridendo affettuosamente, prima di prendere posto di fronte a lui. Con una forchetta che pareva pesare quanto il lingotto d’oro che una volta Stella aveva provato a regalarle dopo averglielo fatto tenere in mano con una scusa; a Stella piaceva fare regali costosi.

«Sì, tranne quelli del Nord-Europa. Quelli venderebbero i loro figli per una renna in più» le rispose, ricambiando il sorriso.

Quella mattina avevano mangiato e chiacchierato complici, come se si conoscessero da una vita.

«Mi dispiace che tu abbia dovuto dormire sul pavimento» disse a un certo punto, spezzando l’aria di leggerezza che si era creata.

«Nessun problema. Mi sono offerto io di aiutare».

Bloom annuì, poco convinta ma comunque grata della galanteria mostrata da Sebastian durante la sua temporanea permanenza come ospite improvvisa.

«Verranno a prenderti in elicottero tra qualche ora, fortunatamente il tempo sembra essersi placato rispetto a ieri».

Si guardarono negli occhi per quello che parve un minuto intero, poi ripresero a spostare il cibo nei loro corrispettivi piatti.

Avrebbe dovuto essere felice della notizia, presto avrebbe riabbracciato le sue amiche, ma, in qualche modo, sapere che probabilmente non avrebbe rivisto Sebastian per il resto della sua vita, la sconfortò.

«Posso--», «Stavo pensando--» dissero rispettivamente Sebastian e Bloom, interrompendosi a vicenda.

«Prima tu» le disse Sebastian, invitandola con un gesto cordiale della mano a concludere la sua frase.

Bloom tentennò un attimo, spronandosi l’attimo dopo a tentare la sorte. Se l’avesse rifiutata, poteva essere tranquilla del fatto che non si sarebbero rivisti mai più.

«Se… se non è un problema, e sei d’accordo, insomma… stavo pensando che, , sai, potremmo… rimanere in… contatto?» la sua proposta audace le aveva colorato le guance di un rosso intenso, quasi quanto il colore dei suoi capelli, e sapeva di non poter dare la colpa al camino scoppiettante alla sua sinistra.

«Volevo chiederti la stessa cosa» le disse soltanto. Per tranquillizzarla ulteriormente, le sorrise così come sorridono i bambini e, con una delle sue grandi e calde mani, le accarezzò la mano che Bloom teneva stretta intorno alla forchetta.

Lasciò la posata dalla morsa a cui l’aveva assoggettata e intrecciò le dita con quelle di Sebastian.

Si guardarono ancora una volta negli occhi e, prima di venir disturbati dal rumore delle eliche dell’elicottero in avvicinamento, conclusero il resto delle loro presentazioni nello stesso letto occupato da Bloom la sera precedente.

 

Eccetto, quella volta non era da sola e non si rotolava da un lato all’altro del materasso perché era irrequieta…

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Capitolo 3
*** Giorno 3 — Vecchio ***


Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 3: vecchio

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

PASSATO vs PRESENTE

1337 parole

 

 

Il vecchio album dei ricordi della sua infanzia era nascosto sotto strati di vestiti che non usava più ma che non aveva intenzione di buttare o regalare.

Bloom lo aveva ritrovato durante le pulizie di primavera, arrivata in ritardo persino nella verdeggiante Irlanda, insieme a cartoline e cianfrusaglie varie che in quei mesi si erano intrufolati in ogni cassetto disponibile della casa. La sua prima vera casa di proprietà, che condivideva con il suo ragazzo: Sebastian.

 

I due si erano incontrati per la prima volta quando Bloom ancora conviveva con Aisha in uno dei dormitori resi dispobili dall’Università.

Si era decisa a lasciarsi la California alle spalle e andare a studiare in Europa, dove l’istruzione costava meno che negli U.S.A.; nel frattempo, aveva anche lavorato come barista e babysitter. Non era stato facile, per niente, Aisha e il resto delle sue amiche avrebbero potuto confermarlo, ma non poteva permettere a se stessa di crogiolarsi nel pensiero della sconfitta. Non poteva tornare in America e dover affrontare lo sguardo supponente di sua madre che recitava il suo solito: “Lo sapevo”. Il suo orgoglio non avrebbe retto.

 

Non lo aveva cercato, non aveva tempo da dedicare ai ragazzi in quel periodo frenetico della sua vita già di per sé complicata, ma era stato Sebastian a trovarla…

 

—ooOoo—

 

Aveva appena staccato da lavoro e le sue amiche, , anche Stella, l’avevano trascinata in un pub della zona, promettendole di non forzarla a provarci con nessun ragazzo quella sera; come invece erano solite fare.

Aveva voluto fidarsi, eppure, quando Sebastian le si era avvicinato al bancone e l’aveva approcciata, chiedendole se potesse offrirle da bere, Bloom aveva rivolto uno sguardo di fuoco alle sue amiche, ancora sedute insieme al tavolo, a chiaccherare come nulla fosse.

«Quanto ti ha pagato Stella?» gli chiese, quasi sbattendogli i lunghi capelli ramati e ondulati sul mento.

In un primo momento, Sebastian la guardò confuso, ma non sembrò offendersi per quella che, solo tempo dopo, Bloom seppe essere una falsa accusa.

«Non ho idea chi sia questa “Stella”, ma tu, piuttosto, qual è il tuo nome?» le chiese, sollevando timido un angolo delle labbra. «Io mi chiamo Sebastian, piacere» si presentò, porgendole la mano con il palmo rivolto verso l’alto, le nocche sfioravano il bancone in faggio massello con i bordi lasciati vivi.

Bloom ci riflettè qualche secondo più del necessario prima di rispondergli. Non è che non le ispirasse fiducia, altrimenti gli avrebbe già versato una birra artigianale in faccia e sarebbe tornata a sedersi al tavolo con le sue amiche, ma Sebastian, allora semplicemente un affascinante estraneo, sembrava troppo pacato e gentile per interessarsi a una come lei, che era una bomba a orologeria costantemente pronta a implodere. Quel Sebastian sembrava anche di qualche anno più grande, possibile che non si rendesse conto che Bloom era a malapena considerata maggiorenne lì nel Regno Unito? Aveva da poco compiuto diciannove anni, mentre lui sembrava averne almeno venticinque.

«Bloom» disse infine schietta, senza dilungare oltre le sue paranoie, e gli afferrò di rimando la mano. Era calda e grande, e sembrava abbastanza sicuro della sua mascolinità senza sentire il bisogno di stritolarle la mano per darle l’impressione di essere “un vero maschio”, come erano invece soliti fare altri ragazzi o uomini che aveva, purtroppo, incontrato spesso in passato.

«Sei irlandese?» gli aveva chiesto, incuriosita dal suo accento. Non si preoccupò di poter risultare una feticista degli accenti—perché in realtà lo era e non se ne vergognava minimamente.

«Nato e cresciuto, in effetti» le rispose sorridendo espansivo e scuotendo la testa su e giù, in assenso, concentrandosi poi a guardare il boccale di birra intrappolato tra le sue mani. Bloom era sicura che quella birra era diventata calda: un irlandese doc non l’avrebbe finita di bere.

«Ho sempre voluto visitarla…» disse Bloom, un po’ sognante. Si sistemò una ciocca di capelli dietro un orecchio.

«Sei sempre in tempo per farlo» le disse. Piegò leggermente il capo di lato, come intenerito dalla sua rivelazione.

«Voglio ancora offrirti quella birra, o me la lanceresti in faccia?»

Bloom si lasciò andare in una risata di pancia. L’aveva inquadrata bene, allora. Non si era fatto illusioni.

«Ora che lo hai detto, non posso più farlo» lo sbeffeggiò, guardandolo con gli occhi socchiusi dalle lacrime di riso che le offuscavano la vista. «Mi hai fatto perdere l’effetto sorpresa» lo accusò scherzosamente.

«Ah, accidenti. Ti ho tolto la soddisfazione, immagino» ricambiò la battuta lui, ridendo insieme a lei. Distolse per un attimo lo sguardo da lei, rivolgendolo al ragazzo dietro al bancone, per ordinare altre due birre con un gesto della mano.

«Esatto! Sebastian, mi hai proprio rovinato i piani».

Quando pronunciò il suo nome, lo vide ricomporsi in un frangente e puntare lo sguardo su di lei, come colpito da un fulmine. La guardava dall’alto, vista la loro notevole differenza di altezza, ma mai Bloom aveva avuto l’impressione che la stesse squadrando in modo inopportuno o con un senso di potere.

Quella sera, sul tardi, mentre Aisha le aveva lasciato l’appartamento libero, Bloom si rese conto di aver trovato qualcosa, qualcuno, di cui non era mai davvero stata alla ricerca ma che voleva e allo stesso tempo aveva bisogno.

E, semplicemente, senza indugiare oltre, l’aveva fatto suo, abbracciato a sé, fino a sentirlo attraversare la barriera della carne e immergersi nella sua anima corazzata.

 

—ooOoo—

 

«Bloom, ti ho cercata ovunque», Sebastian entrò nella stanza che usavano come ripostiglio, «mi stavo preoccupando» le disse baciandole i capelli e prendendo posto accanto a lei, sul parquet consunto.

«Ho trovato… questo, mentre pulivo» disse soltanto, tenendo la copertina dell’album con una mano e voltandola verso di lui, per fargli leggere il titolo dell’ultima foto. Ogni immagine era ingiallita dal tempo alcuni dei bordi erano sfrangiati.

Sebastian osservò il raccoglitore dalla fantasia a fiori vintage con attenzione, come nel volersi concentrare per ripescare una delle tante conversazioni che avevano avuto circa quell’argomento: il passato burrascoso di Bloom con la sua famiglia adottiva.

Quando il collegamento sembrò arrivare, gli occhi di Sebastian si adombrarono visibilmente. Si voltò verso Bloom e le depositò un altro bacio casto, questa volta su una tempia. Era tutto ciò che poteva farla per lei, in quel momento. Non aveva certo il potere di cambiare quello che era accaduto prima che i due si conoscessero, cancellare il dolore della crescita precoce che aveva dovuto affrontare Bloom. Avrebbe voluto averceli lei poteri simili. Invece, l’unico “potere” che sembrava avere, era quello di non saper gestire la sua rabbia incontrollata. Come Sebastian riuscisse ancora ad amarla e starle accanto, giorno dopo giorno, era un mistero per lei. Era abituata all’abbandono, si aspettava sempre che, prima o poi, le persone l’abbandonassero, che rinunciassero a tentare di capirla. Stesso discorso valeva per le sue amiche.

Sebastian attirò la sua attenzione, distogliendola dall’entrare in un tunnel vuoto e all’apparenza infinito, toccandole lieve una spalla minuta con la sua più gonfia, in un tacito invito. Bloom lo accolse e posizionò una guangia sul petto ampio del suo ragazzo, godendosi la sensazione di temporanea pace dei sensi. Chiuse gli occhi, aveva disperatamente bisogno di quella coccola in quel momento. Sebastian la circondò con un braccio, trasmettendole tutto il suo appoggio emotivo: «Ne vuoi parlare?» le chiese, cauto.

«No» disse lapidaria Bloom. «Il passato dovrebbe rimanere tale. Non voglio permettere a vecchie ferite di infettare il mio presente, né tantomeno il mio futuro» concluse con voce atona. «Ma grazie per aver chiesto» aggiunse dopo mezzo secondo. Gli baciò un pettorale e si alzò di scatto. Conservò l’album dove lo aveva trovato e uscì a passo spedito dalla stanza.

Sebastian la guardò precipitarsi fuori dalla porta, senza seguirla, sapeva che ogni tanto Bloom aveva bisogno dei suoi spazi.

Più cercava di allontarsi da quei ricordi vecchi più di un decennio, più la loro polvere le attraversava il naso e si posava sulla lingua, bloccandole le vie respiratorie.

 

Sarebbe mai stata capace di abbandonare i rimasugli della sua vecchia vita e godersi quello che stava costruendo a fatica per se stessa?

 

 

 

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Capitolo 4
*** Giorno 4 — Puntuale ***


Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 4: puntuale

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

TEMPISMO

643 parole

 

 

Si trovava nel bosco, come concordato giorni addietro, appena fuori il perimetro scolastico, ma di Sebastian neanche l’ombra…

Che fosse successo qualcosa? Aveva scoperto il raggiro a cui Bloom lo stava sottoponendo?

Si guardò un’ultima volta intorno, per controllare la presenza di eventuali studenti fuggiaschi—come lei d’altronde; a quell’ora sarebbe dovuta essere ancora a scuola.

Presa dall’impulsività, decise di rischiare e lo chiamò sul cellulare. A ogni squillo a vuoto, il suo cuore si avvicinava all’interno delle pareti della sua gola. Aveva le sopracciglia corruciate e si mordeva compulsiva il labbro inferiore, fino al momento in cui si accorse di un solitario rivolo di sangue passeggiarle lungo il mento. Si era torturata talmente tanto, da procurarsi un piccolo taglietto profondo al centro del labbro, dove la pelle era stata strappata con insistenza.

Il sangue le pompava nelle orecchie. Bloom girava tutt’intorno come una trottola impazzita, controllando ogni cespuglio e ogni sentiero, fino a quando il suono sordo e ripetitivo della chiama non smise di turbare la sua impazienza.

Sebastian aveva finalmente risposto, seppur ignorando le regole del galateo, dopo il terzo squillo.

«Dove sei?» gli chiese immediatamente, senza avere il tempo di sentire la voce profonda di Sebastian dall’altra parte della cornetta.

«Ah, sfortunatamente, oggi non possiamo incontrarci» le disse con voce atona, come se le stesse facendo un favore a dedicarle minuti preziosi del suo tempo.

«Non posso continuare a trovare scuse con Rosalind, mi sta col fiato sul collo. Dobbiamo vederci al più presto» replicò stizzita. Lo aveva inquadrato come un tipo puntuale e di parola, ma, chiaramente, doveva essersi sbagliata anche su quell’aspetto di lui.

«Non temere, ci vedremo presto» le promise, sollevando una coltre di misterioso non necessaria. Fu appena udibile, alterato dalla linea gracchiante e altalenante, ma Bloom era sicura di averlo sentito sospirare nel suo orecchio.

«Ti troverò io, aspettami, Bloom» concluse, prima di chiuderle il telefono in faccia e terminare bruscamente la chiamata.

Non sapeva se interpretare quelle parole come una minaccia o una semplice promessa. Nonostante l’indecisione, dei brividi le avevano scosso la schiena. Si sentiva bruciare, e quel calore intenso dallo stomaco viaggiò prima verso il basso, costringendola a stringere le cosce fra loro, fino a inginocchiarsi sul terreno per l’assurdità della sua reazione fisica. In seguito, furono le sue guance a riscaldarsi, se per la vergogna o eccitata da quel continuo gioco di preda e predatore, non voleva saperlo. La risposta probabilmente non le sarebbe piaciuta, e al momento aveva troppo in gioco per lasciarsi distrarre da simili pensieri. Si rese conto troppo tardi che il senso di colpa verso Sky la investì troppo tardi. Sky era il suo ragazzo, ed era convinta di amarlo, ma mentre pensava a ciò che Sebastian, con i suoi modi e la sua voce e i suoi occhi e… il suo tutto, le faceva provare, neanche per un istante il suo pensiero si era rivolto a Sky. A come pensare, in quel modo, a un altro ragazzo, qualcuno diametralmente opposto al suo fidanzato, significasse che, in un certo senso, lo aveva… tradito

Pessimo tempismo, Bloom, pessimo.

Dopo aver alzato lo sguardo verso il cielo, bagnandosi nelle luci del tramonto, fu grata a se stessa per aver insistito a essersi opposta alle sue amiche, e aver rifiutato che la seguissero fin lì a quell’incontro. Altrimenti, sarebbero state testimoni del suo turbamento. Avrebbero fatto domande, posto interrogativi a cui Bloom non si sentiva pronta a rispondere o ragionare ad alta voce. Cazzo, non sapeva nemmeno se stesse ragionando lucidamente in quel momento. Provava solo un enorme senso di inettitudine.

Quando tornò all’interno dell’edificio scolastico, ignorò chiunque avesse provato a iniziare una conversazione con lei e si diresse dritta dritta nella sua camera in comune. Lanciò le scarpe in un angolo della stanza  e si tuffò sotto le coperte, ancora vestita.

 

Cosa le stava accadendo? Ma, soprattutto: perché proprio Sebastian?

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Capitolo 5
*** Giorno 5 — Bianco ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 5: bianco

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

BIANCO

1143 parole

 

 

Non poteva dire che non se lo aspettasse, ma quando accadde non riuscì a non emozionarsi.

 

—ooOoo—

 

Bloom e Sebastian si erano conosciuti a una conferenza internazionale di sensibilizzazione contro la tratta umana di bambini. Non esattamente il loro interesse di studio, ma entrambi avevano a cuore il benessere dei bambini; merito dell’infanzia che avevano avuto.

Si era tenuta nella città di Napoli, all’interno del Palazzo Reale. L’argomento truce di quell’incontro cozzava con le elaborate lavorazioni artistiche e scultoree del marmo bianco che aveva potuto osservare caratterizzare lo Scalone d’Onore. Non la sorprendeva che fosse stato definito lo “scalone più bello d’Europa”. Le anime Settecentesce e Ottocentesche intarsiate nei dettagli degli arredi e decorazioni parietali dell’intero Palazzo Reale, così come i suoi fini arredi, contribuivano a renderlo un posto realmente magico, manifestazione di sfarzo e maestria originaria di tempi ormai scomparsi e lontani.

Bloom aveva odiato dover lasciare quella città partenopea, così intrisa e intrinseca della sua caratteristica realtà multiculturale, eterogenea nei luoghi e nelle persone. Le comunicava nostalgia, seppur lei non fosse certo di stirpe reale; era stata adottata da piccola, quindi chissà, magari tra i suoi antenati c’era qualcuno di titolo nobile. È qualcosa che non saprà mai, e dovrebbe farsene una ragione circa le sue misteriose origini. Sì, dovrebbe.

 

Incontrare Sebastian in quelle circostanze, stargli seduta accanto, vederlo commuoversi o irrigidire la mascella durante i dibattiti sugli argomenti più sensibili, le fece capire che per lui trovarsi lì era come mettere a nudo un suo nervo scoperto e permettere agli altri di sviscerarlo a mani nude. A un certo punto, non pensando nemmeno se fosse opportuno o meno farlo, Bloom gli tese la mano, poggiano la sua mano su quella di lui stretta a pugno su di un ginocchio. Quel gesto sembrò ridestarlo, ma non postò la mano né scansò la sua. La guardò con occhi di onice che sembravano perdere e riacquistare focus pochi secondi per volta. Bloom gli aveva chiesto se volesse accomodarsi fuori qualche minuto, che lei gli avrebbe fatto compagnia se glielo avesse permesso, ma Sebastian aveva scosso la testa. Si era limitato a ringraziarla con poche parole sussurrate, tese. Un sorrido timido, un chiaro sforzo dettato dalla gratitudine, ad accompagnare. Si rese conto così che Sebastian sembrava avere un accento irlandese. Per distralo, gli chiese conferma e, ricevuta una risposta affermativa, gli disse che l’Irlanda era il suo Paese Europeo preferito. Lo aveva visitato molte volte.

«L’Irlanda è mozzafiato, sono gli irlandesi e la loro mentalità che lasciano a desiderare e ne deturpano la bellezza secolare» le disse, come a starsi riferendo ad altro.

Provò a non farci caso, non le sembrava opportuno indagare i traumi infantili di un estraneo nel bel mezzo di una conferenza; c’erano telecamere e microfoni ovunque all’interno dell’enorme tendone allestito per l’evento.

Dopo circa trenta minuti, aveva sentito gli occhi di Sebastian posarsi su di lei. Sebbene fosse solo una sensazione, decise di voltarsi lo stesso: in effetti, la stava guardando. Non era uno sguardo sprezzante, né inquisitorio, anzi, quegli occhi perduti cercavano aiuto. Quando gli sorrise complice, in segno di supporto, lui strinse la presa sulla sua mano, come a ringraziarla. Con un gesto indiscutibile della testa, le chiese implicitamente se la via di uscita proposta prima fosse ancora valida. Bloom annuì e si chinò per afferrare i manici del suo zaino da viaggio; era abituata a viaggiare leggera, tutto quello che le occorreva e le apparteneva era in quello zaino.

Una volta abbandonata la seduta, si rese conto dell’enorme differenza di altezza che occorreva tra loro due, ma questo, stranamente, non la fece sentire minacciata, sulla difensiva—come invece era suo solito sentirsi di fronte a persone, specialmente uomini, che esibivano una corporatura più spaziale della sua.

Giunti finalmente fuori, respirarono l’aria di quel mattino primaverile. Bloom provò a cercare con una mano l’elastico che aveva indossato ore prima intorno al polso, ma solo allora si rese conto che la sua mano sinistra era stata tutto il tempo intrecciata a quella di Sebastian, che in quel frangente era ancora un semi-sconosciuto per lei.

Poi arrivarono le presentazioni, insieme a un racconto molto intimo della vita di ognuno.

Non era mai stata solita rivelare con tanta facilità e naturalezza il suo passato turbolento a qualcuno, men che meno una persona appena conosciuta, ma c’era qualcosa di diverso in Sebastian. Era come se fossero stati tagliati a metà e distribuito a due angoli diversi del mondo, e fossero stati destinati a incontrarsi proprio lì, proprio in quelle circostanze.

 

—ooOoo—

 

Vedere ora Sebastian lì, inginocchiato davanti a lei, sullo stesso scalone immenso che entrambi avevano percorso innumerevoli volte a ogni loro anniversario di fidanzamento, non aveva precedenti.

Erano in vacanza a Napoli, come ogni anno nella stessa data, e mentre visitavano per l’ennesima volta il Palazzo Reale e commentavano con aneddoti risalenti al loro primo incontro o le loro successive visite alla struttura gli anni a seguire, Sebastian l’aveva fermata, proprio a meta dello Scalone d’Onore, e si era inginocchiato elegantemente a terra. Appena aveva tirato fuori la scotolina con l’anello, gli altri turisti si erano fatti presto da parte per non rovinare il momento toccante. Flash intermittenti provenivano da tutte le angolazioni, cori per loro incomprensibili facevano da sfondo al profondo discorso che Sebastian le fece; entrambi avevano gli occhi lucidi. Quando ebbe finito e le chiese la fatidica domanda di rito, Bloom ignorò la compostezza e gli si lanciò addosso per abbracciarlo e baciarlo. C’era mancato poco che l’anello rotolasse giù per lo scalone, ma fortunatamente entrambi lo avevano ripescato in tempo.

Non riuscivano a smettere di baciarsi, nonostante non fossero mai stati grandi esibizionisti, ma presi dal momento non riuscivano a pensare altro che a loro stessi. Almeno, Bloom era convinta che questa fosse la spiegazione. Ricordandosi dell’anello ancora racciuso nel suo scrigno bianco, seppur in bella mostra, si mossero all’unisolo per infilarlo con grazia. Gli occhi di Bloom erano sfocati per le lacrime, ma di quel giorno non avrebbe dimenticato mai lo sfondo bianco e marmorizzato alle spalle di Sebastian e come questa lo facesse apparire etereo.

All’ennesimo bacio, ora che l’anello era stato accettato, le persone raccolte al di sopra e al di sotto dello scalone esplosero in fischi e applausi di festa, fomentanto la gioia collettiva.

Bloom ne era sicura, il suo abito da sposa non si sarebbe limitato a essere bianco, no, doveva sembrare che indossasse un abito fatto di marmo. Voleva che al loro matrimonio un pezzo di quel luogo dalla bellezza senza tempo l’avvolgesse nel suo abbraccio.

 

L’unica cosa rimasta da fare, era convincere la sua migliore amica Stella a non pagare per intero né il suo abito da sposa nè il ricevimento che si sarebbe tenuto, con molta probabilità, proprio nel Palazzo Reale di Napoli.

 

O forse, per una volta, Bloom si sarebbe lasciata viziare e avrebbe dato all’amica totale carta bianca.

 




















Note: lo so che trattare il tema del matrimonio con il prompt "bianco" è molto basic, ma questo è il primo anno che partecipo al Writober e già mi sto annoiando (è un mio grande difetto: mi annoiano anche le cose che mi piacciono, quindi sento sempre il bisogno di fare tremila cose insieme, in modo da sentirmi costantemente stimolato. È un aspetto di me che mi porto dietro da tutta la vita, i social e robe varie non hanno nulla a che fare con questa mia problematica). Insomma, tutta questa spiegazione per informare chi sta leggendo questa raccolta che non so se riuscirò ad arrivare fino all'ultimo giorno, potrei "stufarmi" prima. Mi sembrava giusto farvelo sapere, nel caso vi interessasse, visto che ho notato esserci visualizzazioni abbastanza costanti capitolo dopo capitolo. Nonostante questo intoppo, ho cercato comunque di scrivere una OS che tenesse compagnia al lettore, spero di esserci riuscito.

Jason.

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Capitolo 6
*** Giorno 6 — Corsa ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 6: corsa

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

AIUTO

1217 parole

 

 

Non avrebbe dovuto lasciarsi convincere da quel video motivazionale che Aisha le aveva mandato. Non era tagliata per gli sport, al contrario della sua amica.

Era in completa campagna, a cinque chilometri lontani dal suo appartamento, e l’unico modo per tornare a casa era percorrere la stessa distanza a ritroso. I quadricipiti e i polpacci erano in fiamme. Correre dopo un solo giorno di camminata era stato un errore, un errore che ora stava pagando.

Aveva provato a chiamare un taxi, ma laggiù la linea non arrivava.

Si sorprendeva della sua stupidità. Talmente era stata assorta nei suoi pensieri, da non rendersi conto di starsi allontanando oltre la distanza di sicurezza che si era impostata sul navigatore.

Si domandava quanto fosse fattibile riuscire a dormire in cima a qualche ramo di un albero, attendere che la mattina successiva arrivasse, in modo da riposarsi. Ormai era buio, ad autunno inoltrato il tramonto si era palesato prima del solito. Le nuvole in cielo erano grigie e rabbiose, sperava non si mettesse anche a piovere; sarebbe stata l’umiliazione finale alla sua avventata corsetta pomeridiana di metà Ottobre.

 

Ovviamente, neanche a dirlo, dopo appena un’ora, venne giù il Diluvio Universale.

«Fantastico, Bloom, sei proprio un genio del male» si canzonò, a metà tra il divertito e l’apprensivo. Stava tentando di allentare la tensione.

Aveva i vestiti inzuppati di acqua sporca, un mal di testa incontenibile come conseguenza dell’umidità nell’aria e il vento che soffiava contro il suo minuto corpo, contribuendo nel rallentare il suo viaggio di ritorno a casa.

E pensare che quella doveva essere il mese dedicato allo svago e alla leggerezza… I biglietti aerei non erano costati neanche poco, doveva essere grata di aver trovato un buco di appartamento in centro. Era leggermente fuori stagione per visitare l’Irlanda nel suo “periodo migliore”, ma visto che avrebbe dovuto partecipare a un matrimonio e ci teneva ad aiutare Stella e Beatrix, le due sposine, con i preparativi, aveva ben pensato di prendere la palla al balzo e regalarsi una vacanza. Stella l’aveva in parte aiutata con le spese e la burocrazia, ma Bloom aveva insistito affinchè si pagasse il suo appartamento temporaneo di tasca sua. Stella aveva la tendenza a spendere i soldi come se non fossero suoi; era da sempre stato un modo per lei per tenersi vicino le persone, per non rimanere da sola, ma Bloom le aveva più volte ripetuto che i veri amici non chiedono soldi e favori costantemente. Bloom non era una sua responsabilità, aveva imparato presto a badare a se stessa, nonostante gli alti e i bassi della sua situazione famigliare e personale.

In lontananza, attraverso la nebbia che iniziava a calare lenta e apparentemente inesorabile, Bloom intravide i fendinebbia di una macchina. Sembrava venire verso di lei.

Doveva scappare o chiedere aiuto all’estraneo? Entrambe le opzioni presentavano punti a favore e punti a sfavore, ma proteggere la propria persona aveva la precedenza su tutto.

Seppur fosse sfinita, trovò in sé le ultime forze per eseguire uno sprint nella direzione opposta alla macchina. Sperava che la nebbia partecipasse come sua alleata e l’aiutasse a seminare la sua figura in mezzo alla coltre umida. I muscoli le tremavano e ogni passo sembrava essere l’ultimo, prima di cadere rovinosamente a terra, ma il suo istinto di sopravvivenza le stava urlando di non fermarsi, che quell’estraneo non era lì per aiutarla.

Decise di dargli retta e continuò a correre. Presto la sagoma di una piccola casa di campagna si fece largo in mezzo alla vegetazione e l’opacità dell’aria. A lato della stradicciola registrò persino la presenza di un furgone parcheggiato con cura con il muso rivolto verso la struttura dall’aspetto rustico. Bloom voleva quasi piangere. Quasi, in fondo non sapeva ancora se fosse abitata e se avrebbe ricevuto prontamente un aiuto. Non era scontato neanche il fatto che la persona, o le persone, che l’abitavano sarebbe state oneste nei suoi confronti.

Chiunque può essere capace di ogni male, è la volontà di ognuno a dettare quale morale seguire.

La macchina continuava ad avanzare verso di lei, era riuscita a seguirla per tutto il tempo grazie ai fendinebbia. Si spiaccicò con una guancia sulla superficie in legno della porta e la tempesto di pugni, gridando a chiunque fosse dall’altra parte richieste di aiuto.

La porta si aprì appena dopo il terzo colpo.

Un uomo alto e dall’espressione preoccupata ma in un certo qualmodo rassicurante, la afferrò per un braccio e la spinse dentro all’abitazione insieme a lui. Sentì scattare la serratura della porta l’istante successivo. Bloom non temette per la sua sicurezza, c’era qualcosa in lui che le suggeriva di potersi fidare. Non avrebbe corso pericoli in sua presenza, ne era certa.

Rimase attaccata al petto ampio dell’uomo, le braccia avvolte intorno alla sua vita e una guancia affondata nel suo caldo e morbido maglione. L’uomo le accarezzava con una mano i capelli dietro la nuca, sebbene fosse sudata dalla testa ai piedi, mentre con l’altra cercava di confortarla massaggiandole la schiena su e giù. Entrambi sbirciavano dalla finestra accanto all’entrata la macchina che l’aveva seguita. Quella aveva rallentato vicino all’abitazione, i fari puntati su di loro, erano passati alcuni minuti, che sembrarono ore, e solo dopo l’estraneo mal intenzionato sembrò arrendersi e proseguì per la sua strada. Bloom ritornò a respirare regolarmente, strinse poi l’uomo in un abbraccio spacca costole.

«Dire che ti sono grata non basterebbe a spiegare come mi sento in questo momento» disse tutto d’uno fiato. «Grazie. Grazie, grazie, grazie. Davvero…» insistette.

«Non devi ringraziarmi» le disse rauco, come se facesse fatica a parlare. Probabilmente una consequenza dell’adrenalina, anche Bloom avvertiva la gola secca dopo tutto quel gridare e correre a perdifiato. La voce dell’uomo, tuttavia, sembrava nascondere emozioni di rabbia. Era bravo a tenerla nascosta, ma Bloom aveva l’occhio allenato per queste cose; sintomo della sua infanzia e di quello che l’ha fatta diventare negli anni.

L’uomo continuava ad accarezzarle i capelli e a massaggiarle la schiena, in gesti atti forse a calmare più lui che lei, riflettè Bloom, ma non si lamentava. Seppur il pericolo fosse scampato, era stata troppo vicina a ritrovarsi immischiata in una brutta situazione per non essere sollevata di aver incrociato la strada di un Buon Samaritano nel bel mezzo delle campagne irlandesi.

«Come si chiama l’uomo che mi ha appena salvato la vita?» chiese a mo’ di complice scherzo, ma c’era chiaramente ben poco da ridere... Di nuovo: era il suo modo di allentare la tensione.

L’uomo le dedicò uno sguardo veloce verso il basso, come trascinato all’esterno di un vortice di pensieri che lo aveva tenuto intrappolato fino all'istante prima.

«Sebastian» si presentò semplicemente, come distratto da altro. La guardava a intermittenza, fissando di tanto in tanto la porta da cui l’aveva trascinata dentro, al sicuro tra le sue braccia.

«Bloom» lo imitò, presentandosi di rimando, la voce un sussurro soffocato nel petto dell’altro.

 

Avevano appena condiviso un’esperienza che lascia il segno, da entrambe le parti, non si sarebbero dimenticati presto di quel giorno—probabilmente mai.

E Bloom, sebbene ci fossero delle cose che avrebbe tanto desiderato dimenticare, sperava che altre costituissero solo l’inizio di un qualcosa di speciale; qualsiasi fosse la natura del rapporto che si sarebbe sviluppato tra di loro.

 

Rimasero abbracciati per lunghi e interminabili minuti, investiti nel confortarsi a vicenda.

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Capitolo 7
*** Giorno 7 — Vergogna ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 7: vergogna

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

VERGOGNA

890 parole

 

 

L’aveva baciata.

Sebastian l’aveva baciata, e Bloom non si era opposta in alcuna maniera. Anzi, gli si era spalmata addosso e aveva avvolto le braccia intorno al suo collo, tirato i corti ciuffi di capelli neri con le dita per non farlo sfuggire dal bacio—da lei, prima che la parte meno virtuosa di Bloom si fosse ritenuta soddisfatta del peccato che stava consumando a pieni polmoni.

Una volta separati, insieme ai loro respiri corti, le labbra ancora a un soffio le une delle altre, e i pozzi neri che erano gli occhi di Sebastian, Bloom si rese conto che è in quell’esatto momento che iniziò a farsi strada in lei la vergogna. Vergogna di essersi spinta oltre, vergogna di non avergli impedito di avvicinarsi a lei in quel modo, vergogna per aver tradito tutti: le sue amiche, Sky, la sua integrità e morale… Per l’ennesima volta, Bloom aveva sbagliato su tutti i fronti.

“Complimenti, non impari mai” si disse mentalmente, con sprezzo verso se stessa. La sua impulsività aveva da sempre contaminato tutti gli aspetti della sua vita, insozzando quei pochi legami che riusciva a costruire con le persone che provavano a stare al passo della sua spericolata vita. Ne aveva appena avuto l’ulteriore conferma.

«Non doveva succedere…» sussurrò Bloom a testa bassa.

Sebastian la teneva vicina a sé, non permettendole di fare un passo indietro, in tutti i sensi. Le sue grandi e calde mani poggiate sui fianchi di Bloom, in una morsa che portava alla mente immagini ben più ardite e peccaminose, aumentò il suo sentimento di confusione e smarrimento.

Si chiedeva se quello che era accaduto avrebbe cambiato le cose, se significasse che anche lei era perduta in una spirale di oscurità. Se le sue amiche, o chiunque altro, avesse scoperto quello che che aveva appena consumato nel negozio di Sebastian, con lo stesso uomo sinonimo di tutti gli attuali problemi che la Dimensione Magica presentava, nessuno—a parte, chiaramente, Sebastian—l’avrebbe mai voluta con sé… Aveva lottato una vita per appartenere a qualcosa, a uno scopo, ed era finita con il permettere alla parte più primordiale e oscura di sé di prendere il sopravvento.

«E invece era esattamente quello che doveva succedere, Bloom» le disse Sebastian. Con una mano le tenne una guancia, sfiorandone con il pollice lo zigomo. L’altra mano si spostò, fino a circondarle il retro della sua schiena bassa e ancorarsi al fianco opposto. L’attirò a sé e provò a baciarla di nuovo.

Quella volta, ripreso il controllo della sua persona, dopo che l’adrenalina del momento cominciava a scemare, evitò il bacio spostandosi all’ultimo; le sue labbra andaro a finire sull’angolo della bocca di Sebastian. Aveva calcolato male le distanze e non era riuscita a impedire il contatto intimo.

O forse, suggerì di nuovo quella zona della sua mente che la intralciava continuamente, non vuoi davvero sfuggire alle attenzioni di Sebastian.

Per allontarlo, e per allontanarsi, gli poggiò una mano sul petto e spinse forte, portando entrambi a distaccarsi definitivamente. Sapeva che la sua sola forza fisica non poteva essere stata abbastanza per riuscire a spostare il corpo di Sebastian lontano da lei, ma aveva apprezzato il fatto che lui non si fosse opposto fisicamente e che avesse assecondato il suo desiderio di spazio. Tuttavia, era confusa… Sebastian era davvero il gentiluomo che aveva conosciuto, quello simpatico e dallo spirito di protezione, o era davvero stata tutta una farsa e il vero Sebastian era quello che aveva fatto del male a tantissime fate solo per rubare loro i poteri e destinarli a una morte dolorosa? O si trattava di due metà appartenenti alla stessa persona?

Come poteva fidarsi nuovamente di lui, come poteva essere sicura che quello davanti a lei non fosse nuovamente una maschera di gentilezza e affabilità che le stava mostrando solo per convincerla a fidarsi nuovamente di lui?

Troppe domande, troppe possibili risposte e il tempo sembrava non bastare mai. La sua mente e la sua pancia le dicevano cose differenti, e lei voleva egoisticamente seguirle entrambe.

«Dimostrami che posso fidarmi di nuovo di te» lo sfidò, celandogli la parte più insicura di sé che bramava conforto e accettazione.

«Te l’ho già detto, sono una persona che ispira fiducia» le sorrise sfacciato, ma con una punta di quella che sembrava essere tenerezza che gli costellava i tratti del viso.

Poi Bloom ci pensò meglio, si fece due conti, e tradusse meglio quello che aveva davanti a lei; senza indulgiare in futili desideri di appartenenza. Ciò che vide a una seconda lettura, era un’espressione e aria di godimento che si sprigionava dalla figura immobile di Sebastian.

 

Sembrava un predatore pronto a lanciarsi sulla preda.

 

Bloom sapeva di non essere innocente, le sue azioni passate, circa la perdita di controllo dei suoi poteri, parlavano da sole, ma in quel momento capì di essere stata manipolata da Sebastian per tutto il tempo. Dal secondo in cui aveva messo piede nel suo negozio.

La vergogna si trasformò in rabbia e in una frazione di secondo l’intero negozio era in fiamme. Non si distinguevano più le pareti dal soffitto, tutto le crollava intorno come grandini di cemento. L’odore del fumo e della polvere le inebriava le narici. Respirò l’aroma della sua rivincita, seppur temporanea.

Sebastian scappò dal retro, probabilmente per andare a nascondere la sua di vergogna—sempre che fosse in grado di provarne.

 

 

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Capitolo 8
*** Giorno 8 — Medaglia ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 8: medaglia

 

 

 

[Figure Skating!AU]

 

 

 

MEDAGLIA D’ORO

968 parole

 

 

Bloom stringe nella morsa dei denti la medaglia d’oro che si è sudata negli ultimi anni da quando ha cominciato a gareggiare a livello olimpico.

Osserva la schiera di giornalisti che le inondano di flash e le urlano di girarsi ora da un lato ora dall’altro.

Ma Bloom non fa nulla di tutto ciò.

Guarda Sebastian, il suo allenatore, che ricambia il suo sguardo con uno di fiera contentezza. Lei rimane imbambolata nei suoi occhi, profondi come l’Universo ed espressivi come una poesia Romantica—così come lo era il suo approccio alla vita.

Bloom aveva imparato tanto da lui. Non solo come vincere, ma anche come vivere, come amare e, infine, forse la caratteristica più importante che li accomunava, come odiare.

Pattinava per amore, dell’arte, dell’espressione delle sue emozioni, per avere uno scopo nella vita, ma, soprattutto, pattinava per vincere.

Sebastian non avrebbe accettato di allenarla, prenderla come allieva, altrimenti. Aveva sempre portato alla vittoria pattinatori uomini, lei era la prima donna, per di più giovanissima, che aveva deciso di prendere in carico.

Si era presentata a lui con un sogno, e lui l’aveva messa in guardia fin da subito circa i suoi metodi… vincolanti.

Non si era fatta scoraggiare dalle premesse. Era pronta a tutto, qualsiasi fosse il prezzo da pagare.

 

I suoi precedenti allenatori le avevano rubano ore di sonno, tenuta a patate e acqua e più di una volta avevano provato a convincerla a usare scorciatoie rovinose per la sua salute, psichica e fisica.

“Quale altro male potrà mai farmi Sebastian, che non ho già provato?” aveva pensato al tempo.

Scoprì fin da subito che nel suo approccio all’arte del pattinaggio di figura, Sebastian non si limitava a essere il suo allenatore. Era diventato il suo confidente, la sua seconda mente, il suo tutto. Era arrivata a pensare che senza di lui non sarebbe stata in grado di mettere più un pattino sulla distesa di ghiaccio.

Ben presto, la loro sincronia mentale ebbe la sua naturale evoluzione nella sfera fisica e sentimentale.

Il suo allenatore, Sebastian, era diventato anche il suo amante e nulla le era sembrato più legittimo. Ricordava ancora il sapore del loro primo bacio: il sudore e le lacrime di sconforto di Bloom erano state asciugate dalle mani esperte e gentili di Sebastian, la carezza intima che era seguita una naturale conseguenza della loro vicinanza, fisica e affettiva. Era stata Bloom a iniziare quel contatto e, a posteriori, non se ne pentiva minimamente. Anzi, vorrebbe tornare indietro per baciarlo altre mille volte e cancellare la frase che gli aveva detto subito dopo aver attraversato il confine tra professionalità e devozione estrema.

Bloom non aveva mezze misure nella vita. Quando amava, amava intensamente, e quando stava male, era sul bordo del precipizio. Sebastian era il suo equilibrio e gestiva il suo umore così come il suo corpo. Tutto di lei era suo, lo aveva conquistato con la pazienza e la passione che lo contraddistingueva da ogni altra persona che Bloom avesse mai incontrato nei suoi sedici anni di vita.

«Mi dispiace» aveva detto lei tra le nuove lacrime, dopo essersi separata dal bacio. Timorosa che da quel momento non lo avrebbe più avuto come allenatore. Aveva ancora trentacinque anni, era in tempo a trovare un’altra pattinatrice da portare alle Olimpiadi, magari meno impegnativa e altalenante di lei.

Tuttavia, ciò che fece in seguito Sebastian l’aveva lasciata letteralmente senza fiato.

«No, devi scusarmi tu…» le aveva detto roco, prima di tuffarsi su di lei e divorarle le labbra.

Erano negli spogliatoi, il palazzetto dello sport apparteneva alla famiglia di Sebastian da generazioni, ma oltre a loro non c’era quasi nessuno. Una volta chiusa a chiave la porta della stanza, Bloom venne caricata in braccio come pesasse nulla, in effetti era minuta rispetto a Sebastian, e nel giro di pochi minuti si erano uniti indissolubilmente, come se il loro scopo nella vita fosse quello di appartenersi in quell’abbraccio e in quel modo soltanto. Bloom aveva avuto la sua prima volta con un altro ragazzo, Sky, e benché lo avesse amato quando stavano insieme, congiungersi a Sebastian era stato del tutto differente; a cominciare da come l’aveva fatta sentire. Sky l’aveva amata come si ama il primo amore importante, ma Sebastian, invece, l’aveva presa e tenuta a sè come se fosse un suo diritto farlo. Si era sentita desiderata, importante, capita anche.

Ciò che li legava andava oltre il desiderio, era la condivisione di una necessaria appartenenza reciproca. Senza l’uno, non poteva dirsi completo l’altro.

 

Fu per questo motivo che, dopo le prime accecanti foto, Bloom abbandonò il podio e si diresse verso il suo allenatore. Sebastian la strinse come fosse il suo bene più prezioso e le baciò la fronte fredda.

«Sapevo che quest’anno avresti vinto tu» le disse. L’orgoglio che chiaramente provava per lei intriso nelle sue dolci parole. Questa volta le lasciò un bacio pericolosamente vicino al suo collo, tra la mascella e la pelle lasciata scoperta dell’abito da gara. Bloom strinse la presa su di lui, aspettandosi quasi che, se avesse stretto un po’ di più, sarebbe stata in grado di far toccare le loro anime insieme, come quando si univano carnalmente dopo ogni allenamento.

«Questa medaglia d’oro è tua tanto quanto è mia, Sebastian» concluse, prima di alzarsi sulle punte della lama dei pattini e depositargli un bacio a schiocco sulla guancia.

Con un ultimo sguardo carico di promesse, Bloom si voltò nuovamente verso i fotografi e permise loro di immortalare entrambi con la medaglia in mano.

Sebastian si era irrigidito accanto a lei, la mano con cui le teneva il fianco era affondata nella sua carne fino a fare quasi male, ma ci era abituata.

Così come entrambi erano consci di quello che sarebbe accaduto tra di loro una volta rimasti da soli e con una vittoria di portata olimpionica da festeggiare…

 

 

 

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Capitolo 9
*** Giorno 9 — Caccia ***


 

 

La maggior parte dei typo ed errori di distrazione in questo capitolo sono stati corretti. Probabilmente a fine Writober rivedrò bene i capitoli. Grazie a chi saprà sorvolare su questi dettagli e spero che la lettura non sia troppo ostacolata da questi elementi di disturbo. <3 Grazie ancora. <3


Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 9: caccia

 

 

 

[omegaverse]

 

 

 

LA CACCIA

10603 parole

 

 

Era la prima notte di Luna Piena di Primavera e “La Caccia” era iniziata ufficialmente da un paio di ore. Tutti gli Alpha e gli omega non ancora accoppiati si erano radunati nel centro di smistamento ai margini del villaggio, vicino alla foresta, e gli omega avevano ritirato il proprio “oggetto”, che avrebbero dovuto nascondere in un posto sicuro durante La Caccia. Un Alpha non avrebbe potuto reclamare ufficialmente l’omega cacciato per sé senza aver prima trovato l’oggetto. Agli omega che si erano registrati al processo di smistamento, erano stato impedito l’uso di incantesimi che permettessero di amplificare il loro odore e gli umori prodotti, così come non era concesso il portarsi dietro amuleti che incrementassero la fertilità dell’omega o della futura coppia. Prima di partecipare all’evento annuale, gli Alpha e gli omega in questione erano stati separati dalle famiglie e dal resto della popolazione per ventotto giorni. L’operazione doveva servire a purificarli da eventuali potenziamenti o diete illecite che potevano aver attuato fino ad allora. Più di venti Alpha e trentacinque omega erano stati esclusi dal partecipare alla Caccia in questo lasso di tempo, dato che era stato facile scoprire dopo pochi giorni, grazie ai controlli giornalieri a sorpresa, che alcuni soggetti avevano introdotto illegalmente sostanze e amuleti atti ad aiutare la propria fortuna. Questi stessi individui non sarebbero più stati in grado di scegliere il proprio compagno e la Casa degli Anziani, un gruppo di sei capifamiglia di stirpe centenaria—per alcuni secolare, avrebbe scelto per loro in via del tutto impositiva. Non tenendo conto né della compatibilità di carattere e interessi, né delle età dei due o affinità di tipo sessuale: la famiglia che pagava di più otteneva gli omega o gli Alpha più appetibili, tutti gli altri dovevano appellarsi alle preghiere e al chiedere perdono, sperando di non capitare nelle mani di un partner senza arte né parte.

 

Bloom aveva rischiato di far parte di uno di quegli omega costretti a concedere stupidamente il proprio Fato in mano alla Casa degli Anziani. Fortunatamente, Aisha aveva scoperto in tempo l’amuleto che Bloom portava nascosto nell’acconciatura insolitamente raccolta dei capelli e lo aveva bruciato nelle fiamme del camino presente nella stanza condivisa, prima che l’amica venisse scoperta.

«Vuoi davvero rischiare di perdere la tua libertà di scelta per il primo Alpha che ti ha dato un po’ di attenzioni?» le chiese esterrefatta Aisha, gli occhi quasi spalancati dallo sconcerto. Bloom aveva un particolare talento nel mettersi nei guai, colpa della sua impulsività, e toccava sempre ad Aisha il cercare di risolverli e tamponare i danni già causati. Ma questa situazione era più grande di loro, non potevano sottrarsi al loro dovere.

 

Aisha era nata in una ricca famiglia di origini Nigeriane, la cui ricchezza e buon nome erano stati costruiti sul loro talento nello scovare corsi d’acqua sotterranei attraverso l’arte della rabdomanzia; veniva tramandata da almeno trecento anni.

Bloom invece era stata adottata da una famiglia borghese. Il padre adottivo era un importante notaio. Si poteva quindi dire che Bloom era cresciuta con la consapevolezza che l’unico modo per salvarsi e sfuggire da Unioni combinate dai suoi genitori, era quello di prendere parte alla Cerimonia della Caccia di sua “spontanea volontà”. Nessuno, neanche la sua famiglia, avrebbe potuto opporsi a tale scelta. Gli omega che decidevano di prendere parte alla Cerimonia della Caccia venivano posti immediatamente sotto la tutela della Famiglia Reale stessa; trovare un compagno era una questione di interesse per chiunque, addirittura sacra in alcune regioni limitrofe. Nuove coppie di Alpha e omega erano beneficiari per tutta la popolazione: più forza lavoro, più possibili dotti e soldati che avrebbero portato onore al proprio villaggio, e soprattutto la possibilità di vedere i propri figli felici e sistemati a corte—la coppia di Alpha e omega ritenuta più affiatata durante la Cerimonia della Caccia e riuscivano a concepire più in fretta una vita sana, venivano remunerati con ricchezze e un anno come ospiti a Palazzo. Era una vittoria per tutti. Per questo motivo la punizione per cercare di imbrogliare il sistema della Caccia era punito così severamente, per far comprendere sia agli omega sia agli Alpha che l’Unione era una faccenda seria e come tale doveva essere trattata; da tutti.

 

«Sky mi piace. E voglio essere io a decidere con chi condividere il resto dei miei giorni» replicò piccata Bloom, pur tentando di mantenere un tono di voce basso, che non attirasse troppo l’attenzione di eventuali curiosi. La servitù era composta da beta, quindi almeno erano sicure che non avrebbero captato le loro parole a distanza.

«È figlio del capo dell’esercito, lo puntano tutte da una vita, sicura di volerlo perché “ti piace”? O è il tuo desiderio di sentirti al centro dell’attenzione e ribellarti ai tuoi genitori a star facendo tutto il lavoro?» Aisha incrociò le braccia al petto, guardandola senza giudizio ma con apprensione crescente.

«Scusami?» esclamò offesa Bloom. Non riusciva a credere che la sua “amica” le avesse appena detto una cosa del genere.

Solo dopo capì che era stato per il suo bene, le aveva aperto gli occhi.

«Non vi siete neanche Corteggiati né niente. Lui ti ha semplicemente puntato, scambiato quattro chiacchiere con te e tu ti sei persa nel suo sorriso da ragazzo per bene», prese una pausa per permettere alle sue parole di aderire meglio nell’aria, «voglio solo che tu sia sicura di quello che stai facendo, che non ti stia accontentando del primo che ti si dichiara interessato, per paura di rimanere da sola e dover sottostare al volere dei tuoi genitori» concluse. Le massaggiò un braccio, come a scusarsi dei modi all’apparenza duri e bruschi.

«Non mi sto… Non mi sto accontentando!» esclamò poco convinta Bloom, giusto per rispondere qualcosa e non dare ragione ad Aisha, perché in effetti ce l’aveva.

«Potresti davvero incontrare l’Alpha adatto a te alla Cerimonia. Datti una possibilità di trovare l’incastro perfetto, non accontentarti…» disse Aisha, ignorando la debole replica avanzata dall’amica.

Bloom rimase in silenzio, per una volta, senza controbattere ulteriormente.

 

—ooOoo—

 

Più tardi, quella fatidica sera, gli omega e gli Alpha partecipanti alla Cerimonia che li avrebbe probabilmente condotti a trovare la loro compagna o il loro compagno, sederono intorno a un enorme banchetto—diviso ovviamente in due tavolate: gli omega da un lato e gli Alpha dall’altro.

Bloom aveva provato a cercare Sky con lo sguardo, non ricordava bene il suo odore, ma non ne era stata in grado. C’erano molti odori forti in quella sala, si chiedeva se ci fossero degli Alpha e degli omega che erano riusciti a trovare il modo di barare senza essere colti in flagrante. Ma d'altronde, era la prima volta che Bloom partecipava alla Cerimonia. Ci si poteva prendere parte dai sedici anni di età fino ai venticinque, poi bisognava arrendersi all’idea che non si era adatti alla Cerimonia e alla sue richieste. Per Bloom era il suo primo anno di partecipazione.

Sentiva gli sguardi di molti addosso, ma solo uno attirò la sua attenzione.

Un Alpha dai capelli neri e corti, la mascella squadrata e il naso importante la guardava dritta negli occhi, cercando di farle mantenere il suo sguardo su di lui. L’intensità del suo sguardo su di lei la fece arrossire, cosa per niente tipica di lei. Dovevano essere semplicemente gli ormoni. Da quella distanza non ne poteva essere certa, ma anche i suoi occhi sembravano essere scuri, oppure aveva le pupille molto dilatate. Il che sarebbe comprensibile, visto gli stimoli e privazioni a cui tutti loro stavano venendo sottoposti, per di più durante la loro fase più acuta di richiamo di accoppiamento. Era già tanto che qualche omega non stesse venendo stuprato seduta stante su uno di quei tavoli.

Ma, come tutte le cose, gli avvenimenti negativi non fanno mai sentire la loro mancanza troppo a lungo.

Un’omega, addirittura più minuta di lei, il che era tutto dire, dai capelli biondi e ricci e la pelle color della sabbia, venne agguantata da un Alpha dai capelli biondo cenere e la carnagione di perla. La trascinò per i capelli verso l’uscita e mostrava le zanne cresciute e gli artigli a chiunque provasse a mettersi sulla sua strada. Era quasi a metà della sua trasformazione, era di stazza notevole, e sembrava che nessuno volesse correre il rischio di ferirsi gravemente o rimetterci la vita proprio poche ore prima l’inizio della Caccia.

Il fatto che quell’Alpha non fosse riuscito a trattenersi un altro paio di ore prima di reclamare l’omega su cui aveva puntato gli occhi, la diceva lunga sulla sua capacità di cacciare e corteggiare una possibile compagna o compagno. Probabilmente era scarso in entrambi, e aveva preferito scegliere la strada meno onorevole ma sbrigativa.

Bloom si alzò d’istinto, sapeva che fisicamente non avrebbe potuto fare un granchè, ma non poteva rimanere seduta mentre una sua simile veniva letteralmente trascinata via per essere stuprata brutalmente.

Quegli occhi che aveva sentito con maggiore attenzione per tutta la sera si fecero di nuovo presenti. Tra i tanti ringhi e rumori di gente che urlava all’Alpha di lasciar andare la ragazza e gli si ponevano davanti per non permettergli di lasciare la stanza, una voce a lei sconosciuta le arrivò fino alle orecchie. Era stato un ordine, chiaro e conciso. La sua schiena si era rizzata e le sue gambe quasi avevano ceduto. Non pensava che ci fossero degli Alpha capaci di usare la Voce anche a distanza e senza guardare l’omega direttamente negli occhi.

«Torna seduta, omega». Bloom si odiò, andava contro tutto di se stessa, provò a opporsi, ma il suo corpo la tradiva.

Si risedette al suo posto, come se niente di spiacevole stesse accadendo di fronte a lei. Gli occhi le si riempirono di lacrime davanti allo spettacolo barbaro a cui era ancora costretta ad assistere, impotente. Dire che fumava di rabbia, sarebbe stato un eufemismo.

“Che qualcuno faccia qualcosa, cazzo” pensò adirata.

Ben presto la sua preghiera venne ascoltata.

Lo stesso Alpha che prima la osservava attento, aveva abbandonato il suo tavolo e, senza neanche trasformarsi a sua volta, con una velocità estrema aveva sgozzato l’Alpha fuori controllo con un semplice movimento fluido della mano. Non aveva mai visto nessuno tirare fuori gli artigli con una tale destrezza e naturalezza.

Sia lui sia la ragazza erano sporchi del sangue dell’attentatore, il ragazzo stesso era accasciato a terra e immobile. Aveva perso una quantità di sangue impressionante dalla gola e dalla testa quando era atterrato rovinosamente a terra, affogando letteralmente nel suo stesso sangue. Il pavimento era un’enorme pozza di sangue, che minacciava di espandersi in piccoli rivoli scarlatti per qualche metro dal luogo del, breve, scontro.

L’Alpha che aveva avuto la meglio non toccò nemmeno la ragazza, ancora tremante in un angolo che si abbracciava le braccia intorno a sé, ma gesticolò verso un paio di beta donne di mezza età affinché si prendessero cura della ragazza e la portassero a cambiarsi gli abiti e a prepararsi per la Cerimonia. Non importava cosa accadesse: salvo la morte o una malattia improvvisa disabilitante, l’Alpha e l’omega che avevano firmato la loro partecipazione alla Cerimonia, dovevano prenderne parte.

Bloom era sollevata che tutto si fosse risolto in fretta e con la salvezza della ragazza, ma non riuscì a non chiedersi perché non ci fossero figure abilitate a gestire e risolvere situazioni del genere—ben prevedibili. Si chiese se quello che era appena accaduto fosse un ulteriore mezzo di smistamento. Se così fosse, era un metodo più barbaro delle intenzioni che aveva l’Alpha ormai steso morto a terra.

L’Alpha che aveva salvato la situazione era invece ritornato al suo posto, accanto ai suoi simili, e aveva ripreso a mangiare, come se non fosse ricoperto di sangue non suo.

Bloom colse molti sguardi e sospiri adoranti e grati dalla sua tavolata e ciò le procurò la chiusura dello stomaco. Allo stesso tempo, si sentiva ridicola per starsi focalizzando su un dettaglio del genere, dopo quello che era appena successo. Avrebbe dovuto alzarsi e andare a consolare la vittima, sicuramente avere qualcuno di simile a lei, che potesse capire i suoi sentimenti, sarebbe stato un conforto maggiore. I beta, per quanto utili e abituati a lavorare a contatto con omega e Alpha, sembravano ormai desensibilizzate a tutto quello che accadeva agli altri due Generi Primordiali.

Per una seconda volta, quando provò ad alzarsi, la stessa Voce di prima bloccò sul nascere le sue intenzioni.

«Mangia, omega, ti servirà essere in forze questa notte».

Bloom era quasi sicura che si trattasse di quell’Alpha, quindi impiegò tutte le sue forze per posare forchetta e coltello sulla tovaglia elegante. Le era servita tutta la sua forza di volontà per riuscirci—era madida di sudore come se avesse corso sotto la pioggia e i vestiti le si erano attaccati addosso. Si sentiva improvvisamente molto stanca, debole, come svuotata. Era la prima volta che si opponeva a una Voce di quella portata e potenza, per tutta la sua vita era riuscita a ignorare i comandi delle Voci degli altri Alpha, persino quella di suo padre, ma quella con cui stava avendo a che fare in quel momento era fuori gara. Si chiedeva a chi appartenesse, da dove derivasse tanto Potere di Persuasione, ma in cuor suo sapeva bene dove volgere il suo sguardo: al medesimo Alpha che non aveva fatto altro che fissarla tutta la sera e attirare la sua attenzione. Lo osservò mangiare tranquillo, innocentemente, come se non stesse giocando con la mente e volontà di Bloom a suo piacimento.

Gli riservò uno sguardo di piccato fastidio, che venne ricambiato con una visione della labbra dell’Alpha che avvolgevano il pezzo di carne nella sua interezza con fattuale e naturale voluttuosità.

Bloom arrossì una seconda volta quella sera e si sentì più giovane dei suoi sedici anni. La sua intimità pulsava e bruciava di anticipazione—tutto il suo corpo ardeva di una passione smisurata e mai provata prima, con nessuno.

Provò a spostare lo sguardo per darsi un contegno, ma quell’Alpha la teneva inchiodata su di lui, senza darle via di fuga da quello scambio erotico di sguardi che promettevano una Caccia impegnativa.

Nella sua mente non c’era più spazio per null’altro. Aveva dimenticato il nome di tutto, tranne delle cose che voleva quell’Alpha facesse al suo corpo bruciante di desiderio.

Aisha, rimasta accanto a lei tutto il tempo, e a sua volta probabilmente impressionata da quello che era accaduto tanto quanto lei, continuava a farle domande a raffica. Le chiedeva perché sudasse in quel modo, se le fosse successo qualcosa, se avesse preso qualcosa di nascosto, ma Bloom non la stava davvero ascoltando interessata; la voce dell’amica arrivava come ovattata, lontana.

Poi, le fece un appunto che attirò improvvisamente la sua attenzione: «Perché fissi quell’Alpha? Ti ha puntato? Ma sai chi è?» le chiese ancora a raffica.

«No», disse lapidaria, ma curiosa aggiunse: «chi è?»

Aisha sospirò esasperata, incredula di fronte al totale disinteresse di Bloom verso i titoli e la conoscenza basica delle figure più importanti della loro società. Più volte le aveva chiesto come faceva a essere figlia di gente nota nel villaggio e rimanere comunque così volutamente ignorante verso tutto ciò che non la riguardava direttamente e non servisse uno scopo a lei congeniale.

«Oh, è solo l’Alpha Puro del villaggio!» disse Aisha nel suo caratteristico tono da maestrina. «Sai, suo padre è il consigliere del Re, roba da poco insomma… Al momento è l’unico Alpha Puro disponibile all’Accoppiamento in tutta la regione» concluse con un’aria di incredula sorpresa. «Dimmi che sai cos’è un Alpha Puro, ti prego».

Bloom si limitò a risponderle affermativamente, sebbene con un filo di voce. Si portò un ciuffo di capelli ramati dietro un orecchio, il gesto le costò più fatica del necessario, ma era diventata una questione di orgoglio. Tutto per lei diventava presto una questione di orgoglio. Con un cenno eloquente del capo, lo sfidò a venire da lei e imboccarla personalmente. Voleva vedere se il suo titolo di Alpha Puro, coloro che discendono da un’importante dinastia di Alpha accoppiati con altri Alpha, lo avrebbe portato fino in fondo dell’etichetta del Corteggiamento.

L’Alpha non si fece ripetere l’Invito due volte.

Si alzò con eleganza dalla sua seduta, seppur qualcosa di lui suggeriva sempre una trattenuta famelicità. Mentre si dirigeva da lei, dall’altra parte della sala, si sfilò la maglietta e, dopo essersi pulito alla bell’e meglio il sangue rappreso sul viso, la lasciò scivolare a terra come fosse uno straccio.

Bloom comprendeva il motivo del suo gesto: la maglietta era sporca di sangue, i pantaloni si erano salvati fortunatamente, e per non sporcarla con il sangue di un altro, aveva preferito sbarazzarsi dell’indumento. Nonostante questo, un ennesimo moto di fastidio la trafisse al pensiero che chiunque al banchetto stesse vedendo il suo Alpha in quelle vesti, anzi, senza vesti.

Non ricordava in quale preciso momento avesse cominciato a riconoscere quell’Alpha come il suo Alpha, ma non ebbe nessun intento di correggersi mentalmente. Stavano chiaramente andando oltre nel corteggiamento, quindi supponeva che ormai fosse implicitamente stabilito tra di loro che quella notte, durante La Caccia, si sarebbero cercati a vicenda.

Bloom sarebbe dovuta andare a nascondere l’oggetto affidatole nella foresta, non prima di averlo intriso in qualche modo del suo odore, e solo dopo che fosse stata in grado di tornare alla struttura l’Alpha avrebbe potuto cominciare la sua Caccia. Il suo compito era quello di riportarle indietro l’oggetto nascosto dall’omega di suo interesse che conservava l’odore dell’omega stesso, e allo stesso tempo la preda più grande che fosse riuscito a cacciare per lei durante quei giorni.

Così le regole le erano state spiegate dai beta a capo della struttura che si occupavano di tutte le fasi della Caccia, compreso l’approvazione della prova. Alla fine di tutto quanto, se si erano comportati bene e avevano eseguito correttamente le prove, ricevevano un attestato che confermava la loro Unione e consentiva loro di procedere con il Rito di Accoppiamento vero e proprio. Consisteva nel recarsi nella foresta, nel Nido d’amore preparato per tempo dall’omega durante la fase iniziale della Caccia, e cospargerlo di un incantesimo che ne avrebbe celato il luogo in cui si sarebbe svolto con molta probabilità il concepimento della prole della nuova coppia nata. L’Alpha aveva il compito di occuparsi prima del ritrovamento dell’oggetto nascosto dall’omega, poi della preda che intendeva catturare come parte del Corteggiamento e Presentazione. Dopo aver completato correttamente ogni fase, la coppia poteva ritornare alla ricerca del Nido preparato dall’omega e una volta trovato ci si aspettava che lì avvenisse l’accoppiamento, al fine di produrre una gravidanza.

La totalità delle le fasi della Caccia duravano quattordici giorni: sette dedicati alle fasi dell’omega e sette alle fasi dell’Alpha. Oltre quel limite di tempo, la coppia che si era scelta non poteva tornare insieme nella foresta per accoppiarsi e doveva tentare l’anno successivo; o almeno, chi poteva tentare nuovamente.

 

Quando l’Alpha le fu di fronte, lei era seduta a gambe conserte, per cercare di nascondere parte della sua eccitazione, ma era un mossa inutile: probabilmente ogni omega e Alpha nella sala conosceva il livello di predisposizione all’Unione in cui si trovavano entrambi. Pensava che sarebbe stato più imbarazzante, ma una volta provata quella sensazione, si rese conto che nulla le sembrava più naturale. La loro Natura Primordiale aveva fatto sì che si scegliessero a vicenda, e aveva la sensazione che entrambi sarebbero stati in grado di completare la loro parte in quella Cerimonia.

«Sebastian» le disse soltanto, senza usare la Voce per risultare più autorevole. Le porse la mano con il palmo rivolto verso l’alto. Bloom posò le dita nelle sue e si lasciò baciare le nocche. Le sue labbra così come le sue grandi mani, erano calde e invitanti. Non vedeva l’ora di poterci poggiare sopra le sue e sperimentare come si sarebbero comportate su altre parti del suo corpo… Quel pensiero la destabilizzò più del previsto, perché si ritrovò a scuotere la testa mentre cercava di allontanare quelle immagini. Sentì Sebastian, questo era il nome del suo Alpha, ringhiare, ma non sembrava rivolto a lei, quanto più alla situazione in cui si stavano trovando. Dedusse che lo infastidisse sapere che altri potevano avvertire la sua eccitazione crescente, questa rivelazione poteva aiutare potenziali altri Alpha interessati a lei, ma al momento non abbastanza coraggiosi da farsi avanti, a scovare il suo oggetto durante la Caccia e l’Unione.

«Mi chiamo Bloom, piacere di--»

Senza che avesse il tempo di rendersene conto, Sebastian la prese di peso per la vita e, sostituendosi a lei sulla panca, se l’adagiò in grembo. Una guancia di Bloom sfiorava il petto nudo e peloso del suo Alpha. Si accoccolò meglio a lui, confortata e tranquillizzata da quella vicinanza.

Nessuno degli altri Alpha lo aveva imitato e nessuno degli omega seduti accanto a Bloom e Sebastian si erano spostati timorosi o avevano cambiato posto. Si erano limitati semplicemente a non guardarli, per non indispettire la coppia nel pieno del corteggiamento.

Il fatto che Bloom potesse letteralmente avvertire che nessuno degli omega avesse paura di Sebastian, lo fece apparire ancora più attraente ai suoi occhi. I suoi simili avevano capito che non rappresentava un pericolo alla loro sicurezza. Anzi, probabilmente, dopo quello che era accaduto e il suo atteggiamento generale, la sua aura, lo stavano dipingendo come il Protettore Ideale. Sembrava avere tutte le qualità auspicabili in un Alpha degno di questo nome.

Dopo aver tagliato con cura e in pezzi il più uniformemente uguali la carne nel piatto di Bloom, Sebastian cominciò a imboccarla con le sue stesse mani—assicurandosi di sfiorarle le labbra con studiata curiosità.

Non avevano abbandonato l’uno lo sguardo dell’altra, neanche per un secondo. Bloom si sentiva scoppiare, voleva mordergli le dita, sentire il sapore della sua pelle, ma persino lei non era così sfacciata. Eccitata o meno che fosse.

Da vicino, potette confermare che gli occhi di Sebastian erano in effetti scuri, praticamente altrettanto neri come i suoi capelli.

I loro colori si contrapponevano notevolmente: lui dai tratti scuri e i lineamenti marcati, la carnagione leggermente abbronzata, mentre Bloom aveva la pelle chiara come un lenzuolo, seppur fosse piena di lentiggini e questo contribuisse a darle un po’ di colore e volume al volto, e aveva i capelli di un rosso acceso. Gli occhi invece erano azzurri, ma era probabile che in quel momento le sue pupille fosse completamente dilatate e che il colore dell’iride fosse quasi indistinguibile. Le sue guance erano ancora paffute, chiaro segno della sua giovane età, mentre Sebastian sembrava più grande di lei di almeno qualche anno. Si chiese se fosse vicino a raggiungere il limite di età concesso per partecipare alla Cerimonia. Decise di chiederglielo, senza remore.

«Ho venticinque anni» le rispose, come se si fosse aspettato quella domanda.

«Io sedici…» gli disse, non certa se lo sapesse o lo avesse intuito già.

La mascella di Sebastian, invece, si indurì a quella rivelazione, i suoi occhi parvero scurirsi e per una frazione di secondo la mano che teneva il cibo da imboccarle sembrò tentennare.

Bloom era seduta sulle sue gambe, e la mano dell’Alpha, che la manteneva ferma al suo posto, si era stretta con intenzione a una delle sue cosce; era scivolata in seguito fino al suo interno coscia.

Indossava un vestito dalla gonna corta e svolazzante, quindi non fu difficile per Sebastian raggiungere la sua intimità e sfiorarle con il pollice la stoffa della sua biancheria intima. Possessivo nei gesti e affamato nell’espressione, sapeva quello che le stava facendo e sembrava interessato a farlo intuire a tutti gli altri nella sala. Che non gli interessasse più sapere o meno che anche gli altri Alpha stavano memorizzando l’odore amplificato dell’omega di Bloom? O forse quello scambio di informazioni lo aveva motivato a essere lui il primo e ultimo Alpha con cui avrebbe avuto a che fare a quella Cerimonia della Caccia.

«È anche il tuo primo anno di Caccia?» gli chiese, curiosa di sapere quanti altri omega avevano colpito l’interesse di Sebastian.

«No» le chiarì fin da subito. «Ogni anno cercavo te, ma non eri ancora pronta evidentemente» le rivelò.

Quindi lei era la prima omega che colpiva la sua attenzione durante la Cerimonia? Bloom ne fu suo malgrado lusingata. Sapere che nessun altro aveva sperimentato con lui le cose che adesso loro due stavano condividendo per la prima volta insieme, tranquillizzò la gelosia crescente che per tutta la serata era rimasta letargica sul retro della sua testa.

E fu in quell’istante che Bloom capì il perché di quel marcamento del territorio tanto palese da parte di Sebastian. La consapevolezza che lui era al suo ultimo anno per trovare un omega da fare sua tramite quel canale, mentre lei era ancora al suo primo anno e tecnicamente avrebbe potuto incontrarne altri, lo aveva portato a puntare tutto su di lei.

Era evidente che Sebastian non l’avrebbe lasciata andare e concessa a nessun altro, ma allo stesso modo neanche Bloom aveva alcuna intenzione di darsi e darlo ad altre persone.

Dovevano appartenersi in tutti i sensi in cui fosse possibile per due come loro di appartenersi. Quella era la sua unica certezza e niente l’avrebbe smossa dalla sua missione.

La prima notte di Caccia stava per iniziare e Bloom aveva tutte le intenzioni di farsi trovare da Sebastian.

 

Quando arrivò il momento di andare a preparare l’oggetto da nascondere, Bloom ritornò alle sue origini da imbrogliona e decise di utilizzare un oggetto diverso da quello che le avevano fornito ma che fosse comunque simile.

Le avevano dato un fazzoletto di cotone su cui lasciare il proprio odore.

Bloom pensò bene di utilizzare un’altra strada, poteva certo usare quel fazzoletto per magari asciugare il sudore che le si era raccolto sulla fronte e dietro al collo, ma sapeva che quello non sarebbe stato abbastanza per tranquillizzare se stessa. Per Sebastian sicuramente era diverso, aveva il presentimento che il suo Alpha sarebbe stato in grado di trovare il suo odore anche grazie a una molletta per capelli, ma Bloom decise lo stesso di spingersi oltre. Un fazzoletto di cotone e degli slip in cotone sono oggetti estremamente simili, in fondo. Sarebbe stata in grado di ingannare la scatola incantata che avrebbe contenuto l'oggetto, ne era sicura.

Aveva quindici minuti per fare quello che doveva fare, quindi andò a chiudersi in una stanza insonorizzata solo dall’esterno con un incantesimo e ci si chiuse dentro. Era una stanza singola, e Sebastian faceva da guardia alla porta, quindi non fu difficile per lei fare quello che aveva in mente. Riusciva a percepire tutti gli odori e i rumori fuori dalla porta. Si concentrò su quello che aveva imparato essere quello di Sebastian e chiuse gli occhi, figurandosi la sua intera figura a mente. La sua mano si infilò scaltra all’interno dei suoi slip in cotone bianco e immediatamente si ricordò di come Sebastian l’avesse toccata in quel punto prima, seppur solo al di sopra della stoffa, e non si sorprese di trovare la sua intimità completamente bagnata. Era da tutta la sera che Sebastian la portava al limite fisico della sopportazione, pur non facendo nulla di troppo esplicitamente sessuale, ed era arrivata per lei l’ora di ricambiare—con gli interessi.

Si stuzzicò il clitoride usando gli umore che fuoriuscivano da lei e si accarezzò con familiari carezze. Al pensiero che le sue mani potessero essere sostituite da quelle di Sebastian, subito le sue labbra si schiusero per boccheggiare il nome del suo Alpha. Ormai era persa nel piacere, e quando l’orgasmo arrivò, dopo una lenta tortura apposita per portarsi al limite ed esplodere con energia, un secondo orgasmo seguì, e poi il terzo. Non smetteva di tremare e di contorcersi, fino a che non decise di condividere la sua disperazione con il diretto responsabile della sua fame insaziabile. Quanto avrebbe voluto aprire quella porta e permettergli di prenderla e farla completamente sua seduta stante, ma sarebbero stati eliminati dal programma e non avrebbero più potuto parteciparvi, chi per un motivo e chi per un altro. Con questa consapevolezza di impotenza, il fastidio dell’insoddisfazione sessuale in Bloom crebbe e pompò tre dita dentro e fuori di sè, mentre allo stesso tempo continuava a massaggiare con partecipazione il suo clitoride gonfio e bollente, così come lo era tutto di lei. Venne copiosamente in fretta quella seconda volta e battè dei calci sulla porta della stanzetta. Ricevette immediatamente una risposta da parte di Sebastian, un ringhio disperato che minacciava di spogliarla di ogni ragione. Quando cominciò a sussurrarle frasi che descrivevano cosa le avrebbe fatto una volta che sarebbe stata nelle sue mani, Bloom credette di poter esplodere. Stava perdendo il controllo. Più Sebastian la incitava a masturbarsi, con più veemenza, come se fosse lui lì con lei, a toccarla come solo lei prima di allora si era toccata, più le guance di Bloom si inumidivano di lacrime. Non credeva che fosse possibile piangere in seguito al desiderio sessuale inespresso, ma eccola lì a piagnuculare come una bambina capricciosa. Era grata che Sebastian non potesse sentirla in quello stato, probabilmente si sarebbe preoccupato inutilmente, credendo che avesse fatto qualcosa di sbagliato.

E invece era tutto il contrario.

«Vieni per me, grida il mio nome, omega» le disse attraverso la porta, usando La Voce.

Pur consapevole della loro temporanea distanza e impossibilità di guardarsi negli occhi, cioè quella che sembrava essere la loro attività preferita quando erano insieme, Bloom si impegnò a gridare a squarciagola il nome del suo Alpha, Sebastian. In effetti, fu liberatorio. Un'anticipazione di quello che nel breve futuro avrebbe potuto testare con mano.

Doveva solo sperare che Sebastian non finisse ucciso durante La Caccia vera e propria nella foresta. Non era preoccupata per le prede, quanto più per gli altri Alpha che poteva essere segretamente in competizione con lui. I codardi sono i nemici peggiori, perché imprevedibili. Non si stava dando più valore di quello che aveva, ma era consapevole del fatto che era una degli omega più giovani e di buona famiglia quell’anno, quindi era solo logico che più Alpha puntassero a lei per assicurarsi una maggiore possibilità di una prole sana e circondata da beni materiali, oltre allo status sociale.

Nel giro di pochi secondi era riuscita a buttare a terra il suo umore. Da incredibilmente euforica a inquieta.

Posò la sua biancheria intima all’interno di un cofanetto in legno e ne chiuse il lucchetto. Lei ne aveva la chiave appesa al collo. Come aveva previsto, l'incantesimo di riconoscimento non aveva trovato falle e aveva accettato l'indumento come fosse il fazzoletto previsto. Uscì dalla stanzetta, i quindici minuti a disposizione erano quasi finiti, e, nonostante se l’aspettasse in parte, rimase senza fiato davanti a tale dimostrazione di virilità e autocontrollo.

Sebastian era immobile come il marmo, le braccia incrociate al petto, ma i suoi muscoli rimanevano vivi. La vena sul collo gli pompava a ritmo fisso e i suoi occhi di onice l’aveva inchiodata appena aveva oltrepassato la soglia della stanzetta precedentemente occupata. L’odore di quello che si era consumato all’interno di quella stanza chiaro come quella notte, illuminata dalla Grande Luna.

Bloom si passò la tracolla della scatola a mezzo busto, in obliquo e raggiunse con le mani il retro del collo di Sebastian, spingendolo ad abbassarsi alla sua altezza per abbracciarla. Era ancora rigido e stava chiaramente facendo uno sforzo immane per controllare il suo istinto di unirsi a una compagna ben disposta. Al solo pensiero, altri umori scivolarono lungo le cosce calde e arrossate di Bloom. Le strinse per pura abitudine, poi le distaccò, incurante di mantenere una parvenza di pudicizia.

Tutti loro quella sera erano lì per una cosa e una cosa soltanto. Mantenere un minimo di decoro era cosa gradita, ma autocastrarsi in partenza non avrebbe giovato né a lei, né a Sebastian, né tanto meno al loro piano di accoppiarsi entro la fine della Cerimonia.

Durante l’abbraccio, Bloom portò le mani di Sebastian al di sotto della sua gonna, nella zona dei glutei. L’Alpha inspirò visibilmente in difficoltà.

«Bloom» l’avvisò, ma senza usare La Voce—quindi in fondo non era convinto neanche lui del suo avvertimento.

«Noti la mancanza di qualcosa?» continuò Bloom, imperterrita nella sua strategia provocante.

Sebastian le palpeggiò il sedere con intenzione, portando una mano sempre più giù, verso il suo centro, finché non si bloccò nei movimenti.

Si alzò con il busto per separarsi leggermente da lei e guardarla negli occhi, come a chiedere conferma.

«Il tuo odore quindi proviene da dentro…» chiese rivolgendosi alla scatola di legno che Bloom portava a tracolla su di sé.

Lei annuì soltanto, complice della loro intesa e sentendosi la miglior stratega del mondo.

Accadde qualcosa che aveva messo in conto, trattandosi di un Alpha chiaramente molto territoriale, ma viverlo fu un’emozione del tutto diversa. Pur conoscendolo da poche ore, Bloom sapeva che se il gesto fatto da Sebastian fosse stato eseguito da chiunque altro, forse anche Sky, se ne sarebbe risentita. Mentre con Sebastian era sicura che i suoi modi fossero atti solo a proteggerla, mai a prevaricare la sua autonomia come omega. Voleva solo prendersi cura di lei e proteggerla.

Con una mano le circondò il collo e le tenne il mento sollevato verso di lui, la schiena ritta come un soldato e gli occhi bassi su di lei, liquidi come il sesso.

«Ci sono altri Alpha qui presenti in grado di cacciare il tuo odore? Sii sincera» le chiese impositivo, stringendo un po’ più del dovuto la sua già ferrea presa.

«N-No…» rispose con voce strozzata, quasi non respirando. Si assicurò di tenere lo sguardo fisso su di lui, per sincerarlo della sua onestà. «Tu sei il p-primo. Primo t-tutto».

Quando Sebastian si trattenne più del dovuto ad analizzare le sue reazioni, ancora impegnati nella stessa posizione, Bloom cominciò a spazientirsi della sua mancanza di fiducia e lo colpì con pugni sul petto e calci sugli stinchi. Non voleva fargli troppo male, aveva una Caccia da affrontare, ma allo stesso tempo non voleva trasmettergli la sicurezza di poterla trattare in quel modo solo perché governato dai suoi istinti più primordiali.

«Non hai idea di cosa vorrei farti in questo momento, Bloom» le disse a fior di labbra prima di mollare di colpo la presa sul suo collo.

Mentre tossiva, Sebastian la attirò a sé per collocarla in un altro abbraccio spaccaossa. Le baciò la fronte, come a scusarsi per i suoi modi bruschi di qualche secondo fa. Bloom chiuse gli occhi e si adagiò su di lui come fosse il suo personale cuscino. Era ancora senza maglia, quindi poteva bearsi di quel contatto pelle contro pelle.

Gli morse un pettorale, poi lo baciò nello stesso punto, per una dolce vendetta. Sebastian le strinse i capelli alla base della nuca, sebbene fossero pregni di sudore.

«Segui il mio odore per tornare indietro» le disse nell’abbraccio. «Ti voglio tutta intera al mio ritorno, e pronta come lo sei adesso». Per un secondo Bloom si convinse che Sebastian avesse usato La Voce per quell’ultima parte, ma poi si rese conto che, semplicemente, anche lei lo desiderava così tanto, che superava i limiti della misura del suo corpo.

«E tu segui il mio odore per tornare sano e salvo da me» gli disse di rimando, accettando e ricambiando la promessa di Unione che si stavano dando. «Altrimenti sarò costretta a trovare un altro Alpha che soddisfi i miei requisiti…» lo provocò, non consapevole della linea che aveva superato. Soprattutto considerata la fase delicata in cui si trovavano.

Si ritrovò nuovamente con una mano di Sebastian al collo, solo che questa volta l’aveva anche spinta contro la porta in legno massiccio della stanzetta da cui era uscita in precedenza. Nei suoi occhi lesse anche il desiderio di spingerla all’interno e farle tutto ciò che voleva, ma a quanto pareva era rimasto quel tanto lucido che bastava a non fargli buttare alle ortiche i loro piani per il futuro.

Bloom posò una mano aperta su quella di Sebastian intorno al collo, mentre l’altra mano andò ad accarezzare un pettorale esposto, sopra il cuore: gli batteva all’impazzata. Il suo non era da meno.

Le respirava sulle labbra schiuse, forse timoroso che se l’avesse baciata in quel momento non sarebbe riuscito a trattenersi dall’andare oltre.

Tuttavia, furono fortunati, perché due donne beta li raggiunsero, i quindici minuti dovevano essere passati, e pur vedendoli impegnati in una situazione ad alta tensione, non cambiarono espressione di una virgola. Dovevano esserne abituate.

Le donne si inchinarono a loro: quello era il segnale che li esortava a raggiungere i due gruppi all’inizio della foresta.

Sebastian le lasciò per la seconda volta, afferrandole la mano nella sua più grande. Seguirono le donne fino al punto di incontro comune e, una volta arrivati, strinse Bloom a sé, respirandola a pieni polmoni; come aveva fatto durante tutto il tragitto per arrivare lì.

Per ultimo, le gesticolò di alzare la scatola verso di lui e si assicurò di annusare per bene ogni millimetro della scatola contenente l’oggetto. Si allontanò da lei solo quando i tamburi cominciarono a suonare ritmicamente, stipulando l’inizio della Cerimonia.

 

La Caccia era ufficialmente cominciata.

 

Bloom non ci mise molto a trovare il nascondiglio adatto, fu quasi come se la chiamasse a sé. Non voleva rendergliela troppo facile, così come voleva assicurarsi che nessun altro Alpha riuscisse a percepire con chiarezza il suo odore. Doveva trovare un luogo che lo celasse abbastanza da non essere immediatamente riconoscibile. Solo chi aveva assimilato e registrato a dovere il suo odore poteva essere in grado di trovare l’oggetto che le apparteneva; e quel qualcuno doveva essere Sebastian. Se un altro Alpha si fosse Presentato a lei, era sicura che lo avrebbe rifiutato. Ormai il suo occhio era caduto su Sebastian, e questa volta era sicura di voler andare fino in fondo con lui. Non poteva essere nessun altro che lui, il suo Alpha.

Dopo quasi mezz’ora di sfacchinata, non era facile destreggiarsi in una foresta fitta con solo un vestito addosso, scovò il nascondiglio perfetto.

Per riuscire a raggiungere la sommità della cascata ci era voluta tanta forza fisica e di volontà: l’acqua non era esattamente il suo elemento—non era una grande nuotatrice, al contrario della sua amica Aisha.

Le pareti delle rocce sormontate dalla violenta corrente delle rapide erano intrise di umidità e questo le rendeva fin troppo lisce e smussate, non aveva grandi appigli con cui arrampicarsi. Ma alla fine, dopo un tempo che parve infinito, era quasi l’alba, trovò quello che sperava: una cavità nascosta all’interno della roccia. Era lì che avrebbe nascosto il suo oggetto. Si sfilò con attenzione la tracolla, mentre si teneva alla roccia con una sola mano, i piedi nudi puntati sulle misere rientranze delle pareti della rupe consunta. Aveva sperato che nel suo tentativo di lanciare la scatola in legno all’interno dell’apertura, questa non le cadesse di mano, ma ebbe sfortuna al primo tentativo. Non riuscendo a cogliere in tempo la tracolla, l’oggetto cadde in acqua. La corrente la trascinò via in fretta e Bloom, senza pensarci due volte, si tuffò di testa, sebbene l’altezza fosse considerevole. La fortuna ritornò a sé quando la scatola venne bloccata in mezzo a due enormi massi. Ripescò la scatola e se la portò al petto, come fosse una creatura vivente da proteggere. Ogni oggetto era stato protetto da un incantesimo, quindi la scatola che gli faceva da contenitore non poteva essere distrutta in alcun modo: nè bruciandolo, né provando a ridurlo in mille pezzi. Fu grata di questo, perché la sua inettitudine aveva appena rischiato di cancellare le tracce del suo odore dall’oggetto. Se la scatola in legno si fosse inzuppata d’acqua, il suo contenuto poteva essere compromesso allo stesso modo.

Bloom era stanca, ma solo fisicamente. Il suo spirito era più forte che mai, probabilmente era la forza di volontà della sua omega a starla mantenendo vigile e focalizzata sull’obiettivo.

Doveva fare in modo che il suo Alpha la trovasse e la reclamasse come sua Compagna.

Ci volle il doppio dell’impegno per tornare in cima alla cascata, essere zuppa d’acqua non aiutava di certo, ma quando alla fine ce la fece, sapeva di non potersi permettere di sbagliare una seconda volta.

Sebastian l’attendeva. Se lei non tornava o non completava la sua parte, lui non avrebbe potuto continuare le fasi della Cerimonia della Caccia. E quello era il suo ultimo anno, poi non avrebbe avuto altre possibilità di scegliere il proprio omega.

Quando il rumore grave della scatola che colpiva l’interno dell’apertura le arrivò alle orecchie, sebbene attutita in grande misura dallo scrosciare violento della cascata alle sue spalle, Bloom si rituffò in acqua; questa volta per festeggiare.

Ritornò presto sulla sponda verdeggiante e si rotolò sull’erba, felice che quella prima fase si fosse conclusa, o quasi: doveva creare il Nido usando la vegetazione a sua disposizione e successivamente tornare all’inizio della foresta, dal proprio Alpha.

 

Era piena di graffi e tremante quando raggiunse il punto di partenza, ma l’odore già familiare del suo Alpha l’aveva motivata a non perdere la direzione e le speranze. Tuttavia, più si avvicinava, più il suo naso captava un copioso odore di sangue.

Quello che le si presentò davanti agli occhi arrestò la sua avanzata, seppur fosse a pochi metri dall’ora piccolo gruppo di Alpha radunato all’entrata della foresta.

Sembrava essersi svolta una carneficina, ed era quasi sicura che Sebastian c’entrasse qualcosa…

Corpi mutilati e dai tratti irriconoscibili giacevano a terra tutt’intorno al ritrovo. Era sicura, dal loro odore ancora distinguibile, che si trattasse di Alpha. Sebastian era ricoperto ancora una volta di sangue, questa volta era la sua pelle a esserne ricoperta. Gli scontri che aveva dovuto affrontare, tuttavia, non sembravano averlo stancato o deturpato. A meno che sotto tutto quel sangue non si nascondessero delle ferite, Sebastian sembrava essere uscito pressoché incolume da ogni combattimento.

Si chiese cosa fosse successo con esattezza, ma la sua mente poteva quantomeno farsi un’idea.

Dovevano aver pensato che fare fuori lui avrebbe assicurato l’ottenimento del rispetto di Bloom, ma non potevano avere meno ragione. Erano stati ingenui, e ne avevano pagato le conseguenze.

Sebastian, vedendo com’era zuppa d’acqua, batteva anche i denti, si apprestò a strappare una coperta dalle mani di una delle beta e la raggiunse in una frazione di secondo. L’avvolse con cura con la coperta, frizionandole le braccia, come a scaldarla. Sembrava desideroso di abbracciarla, ma la consapevolezza di essere sporco del sangue altrui, che conservava il loro odore, sembrava infastidirlo. Bloom si tolse la coperta di dosso, inumidita dai suoi capelli grondanti di acqua, con l’umidità della foresta non erano riusciti ad asciugarsi—aveva infatti guadagnato un gran mal di testa—e dai suoi vestiti pregni d’acqua. Usò quindi l’asciugamano di fortuna per pulirlo il più possibile dal sangue. Sebastian non si oppose, anzi, la lasciò fare con lieta soddisfazione dipintagli in faccia. Bloom stava accuratamente cancellando le tracce degli altri Alpha, perché lei voleva solo un Alpha: Sebastian.

Una volta terminata l’operazione, Sebastian agguantò un’altra coperta, nonostante avesse incontrato lo sguardo accusatorio della stessa beta di prima, e finalmente lui e Bloom si guardarono negli occhi. L’abbracciò stretta a sé, com’era ormai abituato a fare, e non la lasciò andare per diversi minuti. Bloom chiuse gli occhi e fu come se tutta la stanchezza e lo stress che aveva accumulato in quelle ore le stesse letteralmente cascando addosso in quel preciso istante.

Le baciò la fronte, la guancia scoperta e la prese in braccio, attento a non scoprirla—solo loro due sapevano che Bloom non indossava biancheria intima al di sotto del suo vestito. La sua omega scalpitava per inalare l’odore dell’Alpha di Sebastian. Gli si Presentò allungando il collo e lasciandogli spazio di manovra per affondare i denti. Lo stava provocando, mettendo alla prova l’autocontrollo del suo Alpha. Sebastian si esibì in un ringhio finora mai sentito da lei, le fece rizzare tutti i peli del corpo. Si immobilizzò, ancora nella sua presa salda, convinta che fosse andata di nuovo oltre e che si sarebbe Unito a lei davanti a tutti, pur di marcare la sua appartenenza. Ma, ancora una volta, il suo Alpha seppe controllarsi senza superare quella linea da cui non avrebbero più potuto fare ritorno. Era grata di aver trovato un Alpha tanto capace e padrone dei suoi istinti, per di più in piena stagione di accoppiamento, perché Bloom era sicura che, se Sebastian l’avesse presa lì seduta stante, sul terreno fertile della radura, lei non si sarebbe opposta all’Accoppiamento.

In verità, non aspettava altro.

 

Dopo aver superato la prima fase della Cerimonia della Caccia, Bloom venne fatta accomodare all’interno del dormitorio omega. Era protetto da un incantesimo, ora potente più che mai, che impediva a qualsiasi Alpha di varcarne i confini.

Non si poteva sapere quante ore, o giorni, gli Alpha avrebbero impiegato per trovare l’oggetto appartenente all’omega di loro interesse e a cacciare una preda che dimostrasse la loro capacità di cacciare e prendersi cura dei bisogni del loro futuro omega. Il tempo limite era sette giorni, ma Bloom aveva il presentimento che Sebastian non si sarebbe ridotto all’ultimo per tornare da lei. Nonostante una preoccupazione di fondo si celasse in lei, quello che aveva visto accadere nelle ore in sua compagnia, e non, l’avevano convinta che Sebastian fosse uno degli Alpha più dotati dell’intero villaggio. Difendeva sicuramente bene il suo titolo di Alpha Puro. Aveva un chiaro vantaggio sugli altri, tanto da sembrare quasi un lotta ad armi non pari, ma a Bloom non poteva importare di meno in quel momento. Quando voleva qualcosa, la doveva ottenere. Solitamente si sforzava di avere una morale più solida, pensare al benestare degli altri, soprattutto innocenti, ma quando le sue emozioni raggiungevano picchi elevati, la ragione, quello che era giusto e quello che era sbagliato, scomparivano e si concentrava solo su quello che era nel suo raggio di visione. Quella volta era toccato all’Alpha Sebastian. Doveva essere suo. Non avrebbe accettato un finale diverso per loro due, se non quello di accamparsi nella foresta alla fine della Caccia per dedicarsi al rito di Accoppiamento. La sua omega voleva sfoggiare il marchio di Sebastian sul collo, affinché tutti vedessero a chi apparteneva, e allo stesso tempo voleva che le persone sapessero chi fosse l’omega che era riuscita a conquistare l’interesse dell’Alpha Puro Sebastian.

Sentiva un fuoco ribollirle dentro e scaldarle la carne, quello che aveva appena elencato erano bisogni primari per lei. Ne era certa.

 

Non aveva dovuto attendere molto per il ritorno del suo Alpha.

Dopo mezza giornata, era stato il primo Alpha a tornare, completando entrambe le sue missioni: trovare l’oggetto dell’omega che gli interessava e portarle una preda da cui ricavare sostentamento alimentare e vestiario. Sebbene la loro società fosse andata oltre nella vita di tutti i giorni, quelle erano considerate qualità da avere a prescindere: era Tradizione, e andava rispettata. Chi non si dimostrava all’altezza del suo ruolo all’interno della coppia, veniva denigrato e condannato alla solitudine per il resto dei suoi giorni. Per questa ragione, molti diventavano dei Solitari e, dopo pochi mesi, se non avevano trovato un branco che li accogliesse, morivano di solitudine.

Tutti loro erano creature che bramavano la compagnia, non erano fatte per stare da soli, per sempre.

 

Le beta responsabili di lei per la durata della Caccia, la vennero a  chiamare dalla sua stanza per raggiungere il suo Alpha. Gli era mancato terribilmente, seppur fosse stato via poche ore, era molto fortunata rispetto alle altre omega che ancora aspettavano il ritorno degli altri Alpha—con la consapevolezza che alcuni di loro potevano non tornare affatto. Ritrovarsi invece davanti il suo di Alpha, sano e salvo, e con quella preda enorme al seguito, le aveva riempito gli occhi di lacrime.

Il petto nudo e villoso presentava solo un piccolo graffio all’altezza di un’aureola, per il resto, a parte lo sporco e il sudore, non sembrava presentare altri particolari preoccupanti.

 

Sebastian, il suo cazzo di Alpha, gli aveva portato indietro non solo l’esatta scatola in cui aveva nascosto la sua biancheria intima intrisa del suo odore e dei suoi umori, la aveva trascinato fino all’entrata della foresta, due orsi bruni—dall’aspetto sembravano due maschi.

Mai nella vita Bloom si sarebbe potuta immaginare di imbattersi in un Alpha del genere.

Loro due erano la prima coppia ad aver concluso La Caccia. Ora potevano ottenere il loro attestato e dedicarsi al concepimento. Bloom non se l’era aspettato, ma non vedeva l’ora di passare a quella fase. Voleva scoprire com’era avere dentro di sé il membro di un Alpha, soprattutto voleva sapere se tutta la loro tensione sessuale si sarebbe esaurita presto o se si sarebbero Uniti per ore e ore.

 

Per un attimo, il suo pensiero ritornò all’amica, ad Aisha, lei era tornata poche ore dopo Bloom, ma, a differenza sua, l’Alpha su cui aveva puntato gli occhi, un Alpha di bell’aspetto che a quanto pareva si chiamava “Grey”, ancora non era tornato. Sperava che tornasse, non voleva vedere la sua amica soffrire quella perdita; sembrava veramente presa da lui, il che era tutto dire dalla sempre “in controllo della situazione, Aisha”.

 

«Voglio baciarlo» disse Bloom, non chiedendo davvero il permesso a nessuno. Stava solo accertandosi che la loro Caccia fosse già riconosciuta come conclusa a livello fattuale.

Bloom non rimosse il suo sguardo da Sebastian neanche per un secondo. Era in cima alle scale, lo sovrastava in altezza grazie alla prospettiva, ma in confronto a lui si sentiva perfettamente una sua pari. Il loro era stato un lavoro di squadra, aveva rispettato i ruoli. Chi l’avrebbe mai detto che una volta tanto Bloom avrebbe rispettato le aspettative che sia avevano di lei.

Una delle due beta si era emozionata, sebbena non la guardasse in faccia, la sentiva piangere. Tuttavia, mentre le parlava, sembrava stesse sorridendo nel pianto: «la vostra Caccia si è conclusa, potete fare quello che volete ora, ma ricordatevi passare dall’Ufficio di Unione prima dell’avvenire di un nuovo giorno» spiegò in modo conciso, poi i loro passi si dileguarono.

Erano rimasti da soli. Si osservavano, si studiavano, nessuno dei due riuscì a trattenere il sorriso che colorò loro la faccia.

All’improvviso, come in preda all’euforia, sebbene fosse certa che Sebastian doveva aver predetto ogni sua mossa—si percepiva dalla sua aura e dal suo aspetto che era ancora in “modalità cacciatore”—gli si lanciò addosso di peso, non curandosi dell’aspetto diroccato dell’altro e della terra che avrebbe sporcato il suo vestito immacolato.

Gli afferrò i corti capelli corvini tra le dita e si tuffò sulle sue labbra. Sebastian sembrava volerla mangiare seduta stante, le teneva la chioma rossa dai capelli della nuca e le girava la testa a seconda dell’angolazione di cui aveva bisogno per baciarla. Scese ben presto sul suo collo, depositandole baci bagnati e piccoli morsi anticipatori. Bloom lo pregò di morderla, ma sapevano entrambi che non era ancora il momento: doveva recarsi nella foresta, nel Nido. E prima di poterlo fare, dovevano ricomporsi e dirigersi all’Ufficio di Unione.

Si separarono controvoglia.

 

Il processo burocratico fu sadisticamente lungo e complesso, tanto che aveva rubato loro il resto della giornata. Questa spiegava la fretta che aveva messo loro addosso la beta con cui avevano parlato precedentemente. Nessuno di loro, di coloro che erano stati smistati per la Caccia, erano stati informati dei tempi burocratici per ottenere l’Attestato di Unione; probabilmente serviva a non scoraggiare i partecipanti dal prendere parte alla Cerimonia.

Terminata anche quella fase, l’attestato fresco di stampa protetto da uno scrigno in velluto, i due potettero cominciare a vedere il momento in cui sarebbero rimasti da soli nella foresta.

Usciti dalla porta dell’ufficio, si presero per mano e, prima ancora di avere tempo per lanciare un urlo sorpreso, Bloom si ritrovò in braccio a Sebastian. Strinse le gambe intorno al suo bacino e tornò a baciarlo. Essere vicini ma non potersi toccare, era una tortura peggiore dell’essere lontani e impossibilitati a vedersi.

Sapeva che Sebastian doveva essere più veloce, e più forte, degli altri Alpha, non si sarebbe distinto per essere un Alpha Puro altrimenti, ma la velocità con cui si ritrovarono ora davanti all’Ufficio di Unione, ora nel cuore della foresta, le scompigliò lo stomaco. Lei neanche da trasformata riusciva a essere così veloce.

Era raro per loro usare la trasformazione completa oggigiorno, era più un’arma usata durante i periodi di Guerra o per difendersi, o attaccare, in determinate circostanze. Quello che era accaduto nella sala giorni fa ne era stata una prova. La velocità con cui si erano spostati da un luogo all’altro era stata un’altra dimostrazione di quel potere. Non sapeva se prima o poi la loro specie non sarebbe più stata in grado di trasformarsi… Per essere del tutto onesta: da quando aveva avuto la sua prima trasformazione, a dodici anni, non aveva mai sentito il bisogno di usare le sue caratteristiche animaliche, se non per difendersi da Alpha insistenti oppure omega che si sentivano minacciate da lei.

«Dimmi dov’è il Nido che hai preparato per noi, omega» le ordinò con La Voce.

Bloom fece per scendere e guidarlo verso il sentiero che aveva scelto tempo addietro, ma Sebastian non glielo permise. Affondò gli artigli nella carne della sua schiena e Bloom boccheggiò per il dolore. Sebastian le morse il collo, respirandole addosso l’umidità del suo respiro famelico. Persino i suoi occhi sembravano irriconoscibili: era diventati due pozzi neri senza più nulla di umano. Capendo l’antifona, si strinse di più a lui, per tranquillizzarlo. L’Alpha di Sebastian doveva star minacciando di uscire da un momento all’altro, per questo era così scattoso in quel momento, ormai erano vicinissimi all’ottenere entrambi quello che tanto avevano atteso durante la Cerimonia della Caccia.

Bloom faceva strada indicandogli a voce quali sentieri seguire, quali alberi usare come riferimento e da quali cespugli e piante aveva raccolto il cibo che sarebbe servito loro per la durata del Rito di Accoppiamento. Poteva durare ore, come poteva durare giorni. Avrebbero avuto bisogno di cibarsi prima o poi, per rimanere in forze e assicurarsi un concepimento sano.

 

A scuola aveva studiato la biologia degli umani, quella alla base della sua specie, ma quando aveva scoperto che le gravidanze degli omega e degli Alpha duravano solo tre mesi e che la pancia cominciava a dilatarsi già dopo l’avvenuta fecondazione, Bloom ne era rimasta tanto affascinata quanto grata. Sapeva che le gravidanze umane duravano circa nove mesi e che il post-parto spesso era duro per molte donne. Non doveva essere per niente facile… Si sentiva fortunata a essere nata omega, non riusciva a immaginarsi come nulla altro.

 

Arrivati di fronte al Nido preparato da Bloom, recitarono l’incantesimo che avrebbe permesso loro, e a loro soltanto, di passarci attraverso. Entrati dentro il nucleo del Nido, Sebastian si prese alcuni minuti per studiarlo nei minimi dettagli; nel frattempo, teneva ancora Bloom avviluppata intorno al suo busto massiccio—non che lei se ne lamentasse.

Vedere come il suo Alpha si interessasse a quello che la sua omega aveva preparato per loro, riempiva Bloom di orgoglio. Aveva scelto appositamente un Nido vicino alla corrente di un fiume, in modo da potersi lavare prima dell’accoppiamento. Ed è quello che fecero, non prima di aver apportato un ulteriore incantesimo al fiume: ne estrassero una porzione e la trasportarono all’interno del Nido. Era sospesa in aria, senza nulla che la contenesse, ma aveva in tutto e per tutto un aspetto circolare, come a imitare una vasca da bagno diffusa dagli umani. Entrarono così nuovamente nel nucleo del Nido e si tuffarono nella vasca di acqua fredda con tutti i vestiti—il cambio di abiti era rimasto al sicuro e all’asciutto in un angolo del nucleo.

Si lavarono a vicenda per diverso tempo, prestando attenzione a ogni muscolo e insenatura del proprio corpo. Si vestirono nuovamente, per assaporare la soddisfazione di spogliarsi a vicenda prima dell’Accoppiamento.

Prima di iniziare il Rito, Bloom ricevette un bacio sulla testa e un: «Sei stata brava, omega» sussurrato con voce roca vicino al suo orecchio, e fremette di desiderio. La sua intimità pulsava in attesa, pronta più di lei a essere penetrata dall’Alpha Puro. Il fatto che Sebastian avesse usato La Voce per imprimerle ancora di più nella mente la soddisfazione che provava per il compito che la sua omega aveva svolto, la mandava in uno stato di passiva adorazione. Dopo tutto quello che aveva fatto per lei, dopo tutte le emozioni che le aveva e stava facendo provare, gli avrebbe concesso di fare di lei quello che più desiderava. Voleva solo Unirsi a lui per il resto dei suoi giorni, finché ne avesse avute le forze.

«Alpha, ti prego…» lo supplicò, mordendogli il collo, imitando il gesto che sanciva l’appartenenza l’uno all’altra.

La adagiò sulle coperte che si erano portati dietro, una apparteneva a Bloom e una a Sebastian. Avevano i loro odori, che presto si sarebbe uniti e mescolati come i loro corpi e la loro Natura Primordiale. Di seguito, la baciò lentamente su uno centimetro di pelle scoperta. Si sentiva in fiamme, probabilmente era già entrata nella fase finale della Presentazione: mostrarsi placida all’Accoppiamento. E lo era, eccome se lo era. Non aveva aspettato altro da quando aveva capito che Sebastian era l’Alpha che faceva per lei.

La spogliò con altrettanta calma, gustandosi le reazioni del suo corpo quando la sfiorava con delicata intenzione. In quel momento, Sebastian si stava comportando l’opposto di come appariva: i muscoli gonfi e le vene in rilievo, il respiro pesante, gli occhi fissi nella loro oscurità, gli artigli che lottavano per uscire—probabilmente per strapparle il vestito in un unico gesto e andare dritti al dunque—ma Sebastian, ancora una volta, mostrava grande controllo di sé. Era una caratteristica che non apparteneva a molti Alpha, purtroppo Bloom aveva esperienza in quel campo in prima persona, ma che si diceva in passato fosse alla base di ciò che distingueva un Alpha da un umano.

Negli anni la sua specie si era mescolata nuovamente agli umani, questo aveva comportato un degrado dei tratti distintivi che li aveva da sempre separati dagli Esseri Umani Non Svegliati. Sebastian, invece, era un Alpha Puro: nato da due Alpha discendenti da una lunga stirpe di Alpha e omega che si erano sempre e solo Accoppiati fra di loro e mai con gli Umani Non Svegliati. Questa sua particolarità genetica doveva renderlo quanto di più vicino c’era agli Alpha delle Origini. Non la sorprendeva quindi che fosse così in contatto con la sua Natura Primordiale.

La baciò un’ultima volta sulle labbra, prima di dedicarsi alla sua intimità sofferente d’attesa. Le massaggiò le cosce ruvide dalla leggera peluria chiara e percorse con baci casti l’interno delle sue cosce morbide e voluttuose, fino ad arrivare a un palmo dal naso dal clitoride già gonfio e trepidante di ricevere attenzioni. Sebastian ci soffiò sopra. La osservò mentre le sue gambe ebbero uno spasmo e la sua intimità si contrasse alla lieve stimolazione deticatele. Non avevano ancora iniziato nulla di fatto, eppure Bloom era già stanca. Voleva fare i capricci, tirargli i capelli e costringerlo e saziare tutte le sue voglie, ma non ne ebbe bisogno. Sebastian si tuffò di faccia tra le labbra che contornavano la sua entrata e le divorò gli umori già presenti come se fosse in mezzo al deserto e quella fosse la sua unica fonte di sostentamento. Bloom provò ad agitare le gambe, andargli incontro con il bacino, ma il suo Alpha la teneva ben salda per entrambi gli avambracci e le mani avvolti intorno alle sue cosce e non le permetteva di spostarmi mai troppo dalla sua bocca affamata.

Era sicura che il primo culmine lo avesse avuto in quel modo. Il desiderio si era costruito come un muro tra di lei e Sebastian e appena questi lo aveva sfondato, l’orgasmo era arrivato prepotente.

A un certo punto accompagnò due dita al movimento della lingua sul clitoride e si sentì scoppiare. Lei riusciva a malapena ad arrivare a tre dita, mentre due dita di Sebastian sembravano essere già troppo. Sapeva di essere rilassata, il suo corpo era quasi in forma liquida, la vera differenza era da ricondurre semplicemente alla differenza fisica di tutto ciò che li riguardava.

Suoni bagnati e di risucchio arrivarono alle sue orecchie e non riuscì a provare imbarazzo. Non si sarebbe mai aspettata che le sue prime esperienze sessuali condivise con qualcun altro l’avrebbero resa talmente partecipe e desiderosa di qualcosa di sempre più estremo.

«Alpha, Alpha, ti voglio dentro di meti prego» lo pregò con gli occhi lucidi dall’eccitazione. Se non l’avesse presa immediatamente, sentiva che avrebbe perso la vista dalla pazzia.

Prima di assecondare il suo desiderio, che era evidentemente anche il suo, Sebastian uscì finalmente fuori gli artigli e strappò i vestiti di entrambi a brandelli. Posizionò il suo membro, enorme, in mezzo alle sue gambe e le strofinò le labbra rosse e morbide, insieme al clitoride turgido, con i primi segni del suo seme. Le zanne ben sviluppate gli sfiorarono prima i seni scoperti, dedicandogli delle dovute attenzioni, poi affondò i denti nella carne tenera del suo collo nello stesso istante in cui la penetrò con il suo membro. Bloom urlò di dolore, ma ben presto i feromoni rilasciati dal suo Alpha la rilassarono e si concedette di ansimare senza vergogna. Non era stato facile abituarsi alle dimensioni considerevoli del suo Alpha, ma le sue pareti erano rilassate e ben più che disposte a lasciargli lo spazio necessario per scoparla come si deve. Nel frattempo, le mani di Sebastian erano ovunque, affamate e curiose tanto quanto lo era stata la sua bocca. Quando si separò da lei, osservò con un’espressione di orgoglio il suo Marchio sul collo di Bloom. Sicuramente rosso e sanguinante, se i rivoli di liquido caldo che le colavano dietro la nuca dovevano suggerire qualcosa. Si premurò così di ricambiare il gesto, Marchiando il collo di Sebastian a sua volta. Aveva ringhiato e si era spinto in lei con sempre più foga, strappandole i denti dal morso che gli aveva appena procurato. In quel modo, sarebbe guarito più vistosamente rispetto al suo, che invece era stato eseguito in modo pulito. Le doleva il collo, era come intorpidito, e immaginava che lo stesso valesse per Sebastian, ma le era stato detto che sarebbe passato presto, rimarginandosi dopo pochi minuti quel tanto che bastava per non sanguinare più. Sarebbe però rimasto il segno dei loro denti, che poi era esattamente lo scopo del Marchiare la propria compagna e il proprio compagno. I loro odori avevano cominciato già a mischiarsi, così come lo avevano fatto i loro corpi.

Mostrare l’appartenenza reciproca, a se stessi come a chiunque altro avesse incrociato la loro strada, era considerata una virtù. Era protetta dalla loro Legge e  la pena per chi avesse osato intromettersi tra una coppia provvista di Marchio, era la morte.

Da quel momento in poi, Bloom e Sebastian erano legati indissolubilmente a vita. Alla morte di uno, avrebbe seguito poco dopo l’altro.

Durante il loro Rito di Accoppiamento si unirono l’uno all’altra innumerevoli altre volte, cambiando spesso posizione, ma finendo sempre con molteplici orgasmi condivisi. Dopo alcuni giorni di entusiasmante sesso, venne il momento di ritornare al centro di smistamento, per comunicare la conclusione della Cerimonia. Infatti, Bloom presentava già un inequivocabile gonfiore addominale. L’omega della Congrega responsabile di tutti gli incantesimi messi a disposizione, comunicò loro che avrebbero avuto due figli Alpha e una figlia omega.

La notizia sorprese Bloom a tal punto dal mettersi a piangere durante il loro viaggio di ritorno al villaggio. Bloom aveva timore che qualcuno dei loro figli non sopravvivesse il parto. Tra gli umani succedeva di continuo.

Sebastian l’aveva saputa tranquillizzare, assicurandole che le gravidanze della loro specie era ben diversa da quelle degli umani. Ne era consapevole anche Bloom, ma la paura rimaneva in ugual modo. Sapeva che lei non sarebbe morta, non capitava mai che una donna omega o Alpha morisse durante il parto, ma alla prole, invece, purtroppo sì…

 

«Se il peggio dovesse capitare, ti darò altrettanti altri figli» le disse tenendole le guance in entrambe le mani. «Ti renderò madre tutte le volte che tu vorrai» disse guardandola negli occhi, tornati a colorare di nero persino la sclera.

Bloom annuì, credendogli sulla parola. Suggellarono quella promessa con un bacio che sapeva di lacrime e possesso.

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Giorno 10 — Libreria ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 10: libreria

 

 

 

[Bookshop!AU]

 

 

 

COTTA

1540 parole

 

 

Il cellulare di Bloom emanò l’ennesimo suono distintivo di un nuovo messaggio arrivato nella chat di gruppo che condivideva con le sue amiche. Si conoscevano da pochi mesi, si era trasferita dalla California a Dublino da meno di un anno, ma era stata fortunata ed era stata accolta e raccolta dal gruppo di ragazze con cui condivideva il dormitorio della scuola Cattolica a cui i suoi genitori adottivi l’avevano iscritta.

Era lì come vincitrice di un concorso di fotografia indetto dalla sua scuola, negli U.S.A., e non aveva saputo dire di no: un intero anno scolastico lontano dai suoi assillanti e iper-protettivi genitori, con la possibilità di vivere temporaneamente nella magica e suggestiva IrlandA? Una vittoria su tutti i fronti. Sarebbe stata pazza a non buttarcisi a capofitto. Era stata anche fortunata, aveva visto le foto degli altri partecipanti e alcune di queste, doveva ammetterlo, erano migliori di quelle che aveva proposto lei. Ma si sentiva troppo egoista in quel momento per essere anche onesta. Quanti altri, al suo posto, avrebbero rinunciato al premio in palio?

Esattamente.

 

Un giorno, mentre tentava di seminare un tipo che la stava seguendo da più di mezz’ora, si era imbattuta nell’insegna di una libreria, letteralmente: ci era finita con il muso contro, rischiando di trascinare a terra, insieme a lei, la targa e persino la catenella appesi al braccio in metallo posto fuori dalla libreria.

Il tipo, approfittato della sua caduta, aveva colto la palla al balzo per avere una scusa per avvicinarsi a lei e fingere di starla aiutando ad alzarsi.

Bloom, trattenendo il panico, lo aveva allontanato con un forte spintone e urlato di lasciarla stare. Era riuscita a farlo cadere a terra, sbattendo per primo il coccige. Le imprecazioni che le rivolse erano in un accento irlandese così stretto, che faticò a comprendere tutte le parole e gli slang usati. Sicura che almeno non gli aveva fatto battere la testa, e che si stesse già rialzando dal marciapiede, si era intrufolata di tutta fretta nella libreria.

Fu in quel momento che vide per la prima volta quello che sarebbe diventato il suo chiodo fisso per il resto della su permanenza, agli sgoccioli, in Irlanda.

L’uomo di spalle si era voltato all’improvviso, sentendo il campanello trillare dall’apertura violenta della porta, e l’aveva osservata con attenzione.

Bloom doveva avere un aspetto trafelato, ma l’uomo, anzi, giovane uomo—non poteva avere più di qualche anno più di lei, non fece commenti al riguardo e si limitò a rimanere professionale.

«Buongiorno, sono Sebastian. Non ti ho mai vista qui, devi essere nuova del posto» aveva analizzato con cura, colpendo nel segno. «Se posso esserti utile in qualcosa, non esitare a chiamarmi» le assicurò cordiale.

Era alto e aveva i capelli corti e neri, indossava degli occhiali dalle lenti rotonde che ammorbidivano i suoi tratti squadrati. Aveva un naso importante, e improvvisamente si ricordò della battuta di Stella circa i ragazzi con un naso grande. Non aveva esperienza diretta, ma decise di fidarsi dell’esperienza dell’amica.

«Sto… sto solo facendo un giro, se per lei va bene» disse a corto di fiato Bloom. Aveva il cuore a mille, per metà per essere appena sfuggita a una possibile molestia sessuale, e per l’altra metà era colpevole la sua giovane età e inesperienza in fatto di relazioni con l’altro sesso.

Quel Sebastian era una gioia per gli occhi e lei avrebbe avuto a disposizione solo pochi altri mesi, poi avrebbe dovuto lasciare l’Irlanda e tornare in California.

Fanculo, cazzo” si era detta.

 

—ooOoo—

 

La targa apposta vicino all’entrata raccontava che quella libreria fosse a conduzione famigliare e che fosse stata fondata nel settecento, ma, a parte qualche soprammobile dall’aspetto antico e il tetto incredibilmente alto, non molto di quello che la circondava sembrava suggerire l’anzianità della struttura. Le pareti erano immacolate, doveva essere stata ristrutturata da pochi anni, probabilmente per renderla a norma di legge.

Da un lato le dispiaceva, avrebbe tanto voluto sapere com’era stata negli anni passati quella libreria.

 

Lesse il messaggio, mandato da Stella nella chat di gruppo, e scosse la testa alla solita schiettezza dell’amica.

 

Stella :

Tra poche settimane tornerai in America, a proposito: 😭, cosa hai da perdere

Stella :

Portatelo nel retro e saltagli addosso come fosse un trampolinoooo

 

Aisha 🏊:

Sembri dimenticare un piccolo dettaglio, Stella: Bloom ha 16 anni e questo Sebastian sappiamo che ne ha 25…

Aisha 🏊:

Questa sua infatuazione dovrebbe rimanere esattamente questo: un’infatuazione.

Aisha 🏊:

Rischiate di mettere quel ragazzo nei guai…

 

Stella ✨:

Solo se qualcuno oltre a noi lo viene a sapere

Stella ✨:

E non accadrà, quindi 🤪

Stella ✨:

E comunque ho fatto di peggio

Stella :

Prima di conoscere Bea, sia chiaro EH

 

Bloom sorrise di quello scambio ilare tra le sue due amiche e rispose in fretta ai loro messaggi. Aveva detto loro che dopo la scuola sarebbe passata “alla libreria di Sebastian”. Avvisarle dei suoi spostamenti era diventata ormai un’abitudine per garantire la sua sicurezza in caso le fosse accaduto qualcosa…

Quando avevano saputo della loro cotta giovanile per Sebastian, subito si erano messe in moto per scoprire quanti più dettagli possibili su di lui. Non aveva canali social, quindi era stato difficile scoprire se fosse almeno fidanzato.

 

Stanca di non aver scoperto ancora niente su di lui, Stella aveva avuto la brillante idea di chiedere aiuto alla sua ragazza, Beatrix, e, fingendosi due giornaliste del giornalino scolastico della loro scuola, lo avevano intervistato, facendogli domande circa la sua vita e il suo lavoro, come facesse a conciliare le due, se avesse una famiglia, dei figli… Si era stranito di quelle domande così personali, ma loro avevano spiegato che stavano facendo una ricerca che esplorava il mondo del lavoro di oggi, se fosse ancora possibile avere l’opportunità di avere una vita privata separata dagli obblighi del lavoro. In qualche modo, erano state credibili e Sebastian aveva raccontato molto di sé: non era fidanzato né sposato né aveva figli e, in effetti, viveva da solo da qualche anno ormai. Abitata all’appartamento che si trovava al di sopra della liberia, quindi le sue tratte erano letteralmente lavoro–casa, qualche volta usciva con i vecchi compagni del liceo per prendere una birra o andare a guardare una partita dal vivo, ma si fermava lì il suo tempo per lo svago.

Approfittando del gancio fornitole da Sebastian stesso, Stella gli chiese se quindi fosse fresco fresco di studi e come avesse fatto a ottenere in pochi anni la gestione della libreria.

Sebastian aveva confermato di essere giovane, aveva venticinque anni, e che aveva ereditato la gestione della libreria appena qualche mese dopo aver finito gli studi universitari. Suo padre, precedente proprietario dell’immobile, era venuto a mancare improvvisamente.

Finite le domande, Sebastian aveva chiesto alle due giovani ragazze dove avrebbe potuto visionare l’intervista che gli avevano appena fatto. Beatrix chiuse lo sportello della videocamera presa in prestito da Bloom e lo assicurò che avrebbe trovato la video-intervista sul sito della loro scuola. Sia il nome della scuola sia i loro nomi propri erano stati forniti falsi, avevano indossato persino una divisa scolastica di invenzione fatta cucire di tutta fretta alla cugina di Terra: Flora. Tuttavia, Stella e Beatrix erano bravissime a fingersi quello che non erano, lo facevano tutti i giorni con chiunque non fosse a conoscenza della loro omosessualità, quindi Sebastian si era fidato delle loro parole, non credendo che potesse essere tutta una montatura per ricavare informazioni da lui.

Era fortunato a non essere una donna, perché voleva dire che poteva permettersi certe ingenuità.

 

Bloom si avvicinò al bancone e gli chiese informazioni su libro che sapeva benissimo dovesse ancora uscire.

«Purtroppo questo titolo non è ancora disponibile, ma lo sarà tra due giorni» le spiegò. «Se ritorni venerdì pomeriggio dovresti trovarlo già sugli scaffali».

«Capisco» disse Bloom, fingendosi dispiaciuta del viaggio a vuoto.

«Posso lasciarle il mio numero, così mi potrà avvisare tramite messaggio quando arriverà? Abito lontano e questa è l’unica libreria che… mi piace»

Sebastian ebbe un attimo di esitazione a quelle parole.

Bloom aveva coperto la sua divisa scolastica con una giacca prestatagli da Terra, sperava che Sebastian non l’avesse riconosciuta comunque tramite i colori del colletto della camicia che spuntava intorno al suo collo o la gonna a pieghe lunga fin sotto le ginocchia. Avrebbe collegato i punti e capito che Bloom frequentava un Istituto Cattolico, quindi era ancora minorenne, a pochi metri da lì e che tutto quel discorso era atto solo a lasciargli il suo numero.

«Mi dispiace, non forniamo questo servizio» disse con un’espressione fattasi improvvisamente seria.

Non è così ingenuo, allora…” pensò Bloom.

«Capisco» ripetette nuovamente lei, andata in panne per l’imbarazzo. La sua faccia doveva essere diventata rossa quanto i suoi capelli, perché si sentiva andare a fuoco.

«Ritornerò, allora» gli promise, sforzandosi di sorridergli fingendo innocenza.

Sebastian annuì soltanto, lentamente, poi ritornò alla lista che aveva sotto gli occhi e che aveva precedentemente tralasciato per servire lei.

Bloom dovette trattenersi dal fuggire con la coda tra le gambe.

 

Per sfogare la sua frustrazione, si limitò a chiedere conforto alle sue amiche. Aprì la chat di gruppo rinominata “It’s always rainy in Dublin” e scrisse in fretta i suoi pensieri.

 

Io:

fanculooooooo

Io:

sono un’idiotaaaaaa 😭 😭 😭

 

 

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Capitolo 11
*** Giorno 11 — Secondo ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 11: secondo

 

 

 

[School!AU]

 

 

 

1 SECONDO

2263 parole

 

 

Era bastato un secondo.

In un secondo, aveva rovinato la vita a una persona. In un secondo si era fatta amare e odiare. In un secondo aveva bruciato ogni speranza di futuro per loro due.

E Sebastian sarebbe stato l’unico a pagarne le conseguenze…

 

—ooOoo—

 

Era un altro giorno grigio e uggioso nella sempre caotica cittadina londinese e Bloom si dirigeva in classe, quel giorno come la maggior parte degli altri giorni, pronta a sorbirsi l’ennesima noiosa lezione di storia.

Aveva pregato affinché alla loro professoressa si slogasse una caviglia cadendo giù dalle scale e fosse impossibilitata a fare lezione per almeno qualche settimana.

Crudele da parte sua architettare e augurare certe disgrazie? Può darsi, ma le lezioni della Caesarson erano quanto di più palloso Bloom avesse mai preso parte, come vittima innocente, in vita sua. Persino il loro professore ultra-sessantenne di scienze riusciva a rendere più entusiasmante una lezione sui legami chimici.

La stoffa per insegnare o ce l’hai o non ce l’hai, non basta la passione per la materia. È saper trasmettere ad altri quella passione a fare la differenza tra un insegnante e uno studioso della materia in questione.

 

Mentre controllava la foto delle prime foglie d’autunno che le avevano inviato i suoi genitori, ritornati in America per occuparsi di alcune carte lasciate in sospeso durante il trasferimento da Gardenia, in California, ad Alfea, una provincia minore di Londra, si scontrò con la spalla di qualcuno negli stretti corridoi scolastici. Neanche a dirlo, i libri che aveva in mano le caddero rovinosamente a terra.

Sbuffò stizzita. A differenza dei film per adolescenti, nessun bellimbusto sarebbe arrivato ad aiutarla a raccoglierli. Niente sguardi d’amore e niente storia romantica che si sarebbe conclusa con un matrimonio e due gemelli.

«Buongiorno anche a te, testa di cazzo» aveva urlato dietro al tipo, che riconobbe dopo essere Riven. Era un amico di Sky, suo ex, e il ragazzo tira e molla di Musa, una delle sue migliori amiche; l’appellativo con cui lo aveva descritto non poteva essere più calzante.

«Scusa fiammetta, la tua chioma di fuoco mi ha distratto» le rispose tra una risata e l’altra, confabulando con il suo altro ragazzo del momento, Dane, abbracciato al suo fianco. Aveva dovuto urlare anche lui per risponderle, attirando le risate dei pochi studenti rimasti ancora fuori dalle aule, considerata la distanza che ormai li divideva.

Non sapeva proprio cosa Musa e Dane ci trovassero in Riven. Che fosse quell’atteggiamento da duro e cattivo ragazzo ad attirarli? Non portavano mai a nulla di buono quelli come lui. Non che ne fosse esperta. Aveva già fin troppi problemi nella sua vita per andarseli a cercare anche in una relazione. Preferiva i ragazzi pacati, gentili, in grado di calmare la rabbia costante e il senso di impotenza che sentiva ribollirle dentro a ogni minimo avvenimento scomodo.

Prese respiri profondi e, risistemati i libri tra le sue braccia, entrò in classe. La voce cantinelante della Caesarson avrebbe sicuramente annacquato il fumo del suo principio di nervosismo volatile.

Se non fosse che si rese conto di aver probabilmente sbagliato classe, scuola, Pianeta…

Per forza, quando mai era capitato di avere professori così giovani? In quella scuola sembrava che se non eri al terzo bypass non eri degno di essere assunto per principio, men che meno per insegnare a degli adolescenti scalmanati.

C’era un che di sadico in tutto ciò, per i poveri diversamente giovani costretti a lavorare fino alla morte, e per i giovani di oggi costretti a cercare di trarre il meglio da metodi di insegnamento che erano forse all’avanguardia ai tempi di Matusalemme.

L’unica eccezione era il loro professore di scienze, appunto, ma solo perché godeva di ottima salute ed era felicemente sposato con una donna di vent’anni più giovane di lui.

Doveva essere solo al primo bypass.

 

Invece della sua professoressa di storia, la lagna a cui era abituata, un uomo alto e dal fisico prestante sedeva dietro alla cattedra e la stava fissando sull’uscio della porta. Indossava una camicia bianca e un maglione beige con lo scollo a “V” sopra di essa. Uno stereotipo ambulante, a quanto pareva.

«Lei è la signorina…?» le chiese con aria di rimprovero.

Era in ritardo di un paio di minuti, non c’era bisogno di farne una questione di Stato.

«Peters. Bloom Peters, signore» rispose pacata. Per riuscire a non sbottargli in faccia, appiattì le labbra insieme. Ci volle un secondo, ma servì lo scopo di calmarla.

«Ah, lei è la studentessa trasferitasi da poco. Non so come funzionino le cose negli Stati Uniti, ma qui nel Regno Unito di solito è bene arrivare a lezione in orario» le disse a mo’ di presa in giro, guadagnandosi qualche risatina sommessa dagli studenti degli ultimi banchi. Battè una mano sulla cattedra per imporre nuovamente il silenzio, poi il suo sguardo ritornò su di lei: «Dopo la lezione avrà modo di spiegarmi il motivo del suo ritardo» le anticipò. Un’espressione distesa a rendere illegibile il suo stato d’animo. «Ora vada a sedersi, così posso riprendere la mia lezione da dove lei l’ha interrotta» la esortò.

«Una tisanina la mattina aiuterebbe il suo umore, sa?» sbottò sottovoce mentre si dirigeva al suo solito posto, l’ultimo banco, vicino alla finestra.

«Come ha detto, prego?» Aveva usato una tono autoritario, ma Bloom avvertì un pizzico di divertimento nel colore della sua voce.

«Ho detto che dovrebbe prendere la vita con più filosofia» disse mentre si sedeva e prendeva un quaderno a caso, imitando quello che avevano fatto i suoi compagni. Le sue parole provocarono una reazione immediata dall’intera classe, scoppiata in risate che ben presto capì essere rivolte più alla sua incoerenza che alla battuta in sé.

«La predica che viene direttamente dalla peccatrice, questa sì che fa ridere!» disse qualcuno, tra il trambusto generale che si era creato non riuscì a distinguere a chi appartenesse la voce.

Non avevano tutti i torti per starla deridendo. Era la prima a essere sempre con la luna storta e rispondeva sempre male a tutti appena si sentiva minacciata o prevaricata, quindi non era la persona più indicata per fare la morale a nessuno in quanto al mantenere la calma. Ma almeno ne era consapevole, doveva pur contare qualcosa.

 

L’uomo le spiegò quello che aveva già detto ai suoi compagni, cioè che era lì in via temporanea: la loro professoressa di storia si era infortunata a seguito di uno scippo andato male e lui l’avrebbe sostituita per quattro settimane scolastiche.

 

Bloom aveva ottenuto, su più fronti, quello che agognava da tanto tempo, togliersi la Caesarson di torno per un po’ era stato uno dei lati positivi, ma non poteva immaginare che il prezzo da pagare per i suoi desideri immorali sarebbe stato così alto…

 

—ooOoo—

 

Dopo quella prima lezione di storia con il loro nuovo, temporaneo, professore: Sebastian Valtoriano, Bloom aveva scoperto che l’uomo era fresco fresco di Università, e che era mezzo irlandese—intuibile dal suo distintivo accento—e per l’altra metà italiano.

Su sua richiesta, Beatrix, la ragazza di Stella, altra migliore amica di Bloom, riuscì a scoprire tramite una ricerca incrociata tra social e documenti riservati nell’ufficio del preside—Bloom non aveva, egoisticamente, voluto sapere cosa avesse fatto per ottenerli—alcuni dettagli su Sebastian. Per esempio, che non era sposato né aveva figli, il che non era scontato. Saranno pure luoghi comuni, ma, generalmente, il fatto di essere Italo-Irlandesi poteva trasmettere l’idea di una persona dagli ideali di vita abbastanza tradizionalisti. Con un po’ di fortuna, c’era la possibilità che non fosse neanche gay. Beatrix e Stella erano entrambe bisessuali e, confrontandosi anche con Riven e Dane, fingendo che fosse una domanda fatta per spettegolare durante la ricreazione, davanti al bar scolastico, da nulla, tutti e quattro avevano concordato sul fatto che il loro “gaydar” non si fosse attivato nei confronti del professore sostituto di storia. Quella era stata una buona notizia. A Bloom non piaceva la competizione, si trasformava in una versione di sé implacabile quando avvertiva che qualcuno stesse provando a sfidarla sullo stesso terreno di gioco.

Se voleva qualcosa, doveva averla. Di solito, si rendeva conto dei suoi sbagli solo quando era ormai troppo tardi e il danno era fatto.

Aveva notato che Sebastian, non riusciva a chiamarlo in altro modo nella sua testa, le aveva dedicato fin dalla prima lezione sguardi eloquenti. Poteva trattarsi semplicemente di una maniera per tenerla d’occhio, ma perché privarsi di un’illusione di essere desiderata da qualcuno come Sebastian?

Era più grande di lei, e questo già di per sé era il linea con la sua particolare abilità di mettersi sempre e comunque nei guai, era alto e sul suo petto potevano dormirci tre persone. Aveva corti capelli neri e due occhi profondi dello stesso colore. Aveva un accenno di barba intorno alla mascella e il labbro superiore e questo dettaglio le aveva permesso di immaginare quanto sarebbe stato bello ritrovarsi con piccoli graffi sul collo e sulle cosce in seguito al passaggio delle sue labbra in quei punti. Tremava di anticipazione al solo pensiero.

Quando decise di farsi avanti ed essere più esplicita nei suoi atteggiamenti verso di lui, non incontrò resistenza, ma solo una tacita raccomandazione di mantenere discrezione.

La mancanza di professionalità ed etica di colui che in quel momento era sia un suo professore sia un adulto rispetto a lei, avrebbe dovuto farle scattare qualche campanello d’allarme, eppure, la consapevolezza che tra poche settimane probabilmente non lo avrebbe mai più rivisto in vita sua, la invogliava a rischiare.

Era cominciato tutto con dei bigliettini lasciati da Bloom nella valigetta lasciata aperta dal suo professore, che si erano trasformati in cinque minuti dopo la lezione in cui parlavano del più e del meno, con la scusa di star esplorando un concetto poco chiaro a Bloom circa l’argomento affrontato a lezione.

Si guardavano, più che altro, soprattutto di sfuggita. In classe, nei corridoi, durante le assemblee di Istituto e le attività extra-curriculari in cui lui si proponeva sempre come Tutor.

Era bello poter guardare Sebastian, si sentiva reale e tangibile in quei momenti, ma fu ancora più bello conoscere il sapore della sua pelle e delle sue labbra durante il loro primo bacio, iniziato da Bloom.

Si stavano dirigendo all’assemblea d’Istituto che era solita tenersi in palestra, tenevano una distanza di sicurezza l’uno dall’altro, ma all’improvviso Bloom ebbe la pericolosa quanto eccitante idea di rischiare il tutto per tutto. Lo aveva spinto con le mani sul petto nel primo ripostiglio che avevano incrociato mentre passeggiavano nei corridoi insolitamente vuoti—pur essendone certamente in grado, Sebastian non l’aveva fermata nel suo intento—e gli era saltato addosso, incollando le sue labbra a quelle altrettanto morbide di Sebastian. Lui la teneva per i glutei e le schiacciava il bacino sul suo membro eccitato. Bloom ebbe un fremito al solo pensiero di quello che stava per accadere, si sentiva pronta a diventare una donna.

Un ripostiglio scolastico non era il posto più romantico del mondo, ma era la compagnia che contava.

Presi com’erano dalle loro effusioni, i loro cuori impazziti che battevano uno contro l’altro, i respiri affannati, si resero conto che qualcosa aveva scricchiolato quando ormai era troppo tardi.

La sempre puntuale Aisha stava presiedendo all’incontro sbagliato.

Avrebbe dovuto trovarsi già in palestra, a illustrare l’ordine del giorno agli studenti di tutte le classi, invece si trovava di fronte a loro con un’espressione che definire corrucciata sarebbe stato riduttivo. Le labbra all’ingiù e il naso arricciato, così come le sopracciglia che quasi si sfioravano, dipingevano il quadro perfetto del disgusto.

Si separarono l’uno dall’altra, fortunatamente erano ancora vestiti, ma il loro aspetto e l’erezione ancora insoddisfatta di Sebastian, così come il loro respiro provato, non lasciavano dubbi all’immaginazione. Era perfettamente chiaro cosa stesse accedendo tra di loro, in quel ripostiglio.

Se solo avessero sentito il rumore dei passi di Aisha un singolo secondo prima, avrebbero potuto rimanere immobili e in silenzio fino a quando non si fossero accertati che non c’era più nessuno nei paraggi.

 

Avevano pregato Aisha di non dire niente a nessuno, che non era quello che sembrava, ma la sua ormai ex-amica li aveva squadrati da capo a piedi e con il tono più rude che le avesse mai sentito usare, mise a nudo la natura del loro rapporto malato:

«Oh, è esattamente quello che sembra: un professore e la sua alunna sedicenne stavano amoreggiando indisturbati in un ripostiglio scolastico. Molto furbi, davvero». Prima che potessero afferrarla per scongiurarla di non mettere a rischio il futuro di entrambi, Aisha era corsa via come una sirena in procinto di mettersi in salvo dopo la caduta di Atlantide.

 

 

Quando aveva sentito le sirene delle macchine delle forze dell’ordine e le aveva intraviste arrivare di fronte all’entrata principale della scuola, Bloom era scoppiata in lacrime e si era aggrappata a Sebastian come se la sua vita dipendesse da lui. Fu letteralmente strappata da lui dalle sue amiche, quelle rimaste, ed era occorsa la forza di tutte per riuscire a tenerla ferma e impedirgli di complicare una situazione già di per sé complicata.

Si erano dette sorprese di quello che era accaduto, nessuna di loro si era immaginata che Bloom avesse intenzione di concludere qualcosa di fatto con il loro professore. Quella di raccogliere informazioni su di lui, rimanere da sola il più possibile con lui, era sembrata una semplice bravata.

Molte studentesse e studenti si infatuavano dei loro professori, specialmente quando nella loro vita mancavano certezze e affetti stabili, ma passare da un’innocua cottarella al voler fare sesso con un proprio professore, era tutta un’altra storia, le avevano detto.

 

Una storia che avrebbe macchiato la vita di Sebastian e contaminato quella di Bloom per sempre…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** Giorno 12 — Clown ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 12: clown

 

 

 

[Trick or Treat!AU]

 

 

 

DOLCETTO O…

2878 parole

 

 

«Siamo terribilmente dispiaciuti, cara» le disse la signora Smith. «Siamo imbottigliati nel traffico e temo che non faremo in tempo a tornare a casa».

«Capisco, non è colpa vostra. Non potevate saperlo» disse Bloom cercando di non apparire tanto scocciata quanto lo era in realtà. Sapeva già quali sarebbero state le parole che avrebbero seguito dall’altra parte della cornetta del telefono fisso, così come sapeva di non potersi tirare indietro. Aveva bisogno di soldi e i la coppia degli Smith erano di maniche larghe, i suoi clienti migliori. I loro figli erano tendenzialmente anche i più gestibili a cui fare da babysitter.

«Sarebbe per un problema occuparti di loro fino a dopo la mezzanotte?» le chiese cauta, per poi aggiungere coraggiosa: «E magari portarli un po’ in giro per fare “dolcetto o scherzetto”?» Ed ecco lì che sentiva le esatte parole che Bloom si era figurata in mente nello stesso istante in cui aveva sentito il respiro tirato della signora Smith quando l’aveva chiamata.

Erano già le otto e trentasei, se si metteva di impegno e lo trasformava in un gioco, forse sarebbe riuscita a convincere i due bambini, di sei e nove anni, rispettivamente un maschio e una femmina, a collaborare e indossare i loro costumi senza fare storie circa l’assenza dei genitori. Prima di allora non li aveva mai dovuti vestire. Fortunatamente, non erano mai avvenuti “incidenti” mentre era lei a badare ai due ragazzini.

«Per me non c’è problema» mentì Bloom: avrebbe dovuto rinunciare alla serata tra ragazze organizzata a casa di Stella. Beatrix, la ragazza di Stella, aveva noleggiato i primi tre “Scream” e li avrebbero visti per la prima volta tutte insieme, c’erano anche Aisha, Musa, Terra e la cugina di Terra, arrivata da poco in città, Flora. Così come Bloom, Flora non era originaria delle terre Inglesi. Entrambe erano americane, ma Flora aveva origini latine.

 

Bloom aveva deciso di concludere gli studi all’estero, sebbene avesse solo sedici anni. Dopo essere scappata di casa, dai suoi genitori adottivi, aveva percorso il lungo tunnel dell’emancipazione minorile. Era stata una battaglia legale impegnativa, ma la sua avvocata non l’aveva mai abbandonata. Viveva da sola già qualche anno quando si era rivolta al tribunale, e tutti coloro che la conoscevano avevano assistito in prima persona alla situazione disastrosa presente in casa dei suoi genitori. Non era quindi stato difficile ottenere lo stato di minore emancipato. Continuare a essere assoggettata agli abusi verbali e fisici dei suoi genitori, specialmente da parte di sua madre, fino ai suoi diciotto anni, era lontano dalla volontà di Bloom. Non erano ancora mai sfociati in violenza di tipo corporea, ma non aveva avuto intenzione di rimanere lì per scoprirlo. Appena le era stato possibile, aveva riempito due zaini: uno per se stessa e uno per la scuola, e aveva lasciato alle spalle la porta della casa degli orrori.

Migliore decisione della sua vita.

Oltre a fare da babysitter, e allo studiare alla scuola cattolica della cittadina londinese in cui si era trasferita, lavorava dietro il bancone di un pub appartenente alla famiglia di Musa—in cui l’amica si destreggiava come DJ in erba il sabato sera e la domenica.

 

«Ovviamente ti aumenteremo la paga per questa sera. So che sei americana, sarai abituata al concetto di mance…» continuò la signora Smith.

«Penso che sarebbe meglio se anche i ragazzi sapessero del cambio di programma, posso passarveli un secondo al telefono?» rispose Bloom, cambiando totalmente discorso e ignorando quell’uscita, per lei, fuoriluogo e non necessaria. Non era necessario sbatterle in faccia il suo aver bisogno di soldi per mantenersi. C’era già la sua mente che non le permetteva di abbassare mai la guardia.

«Ma certo, cara».

Avendo ottenuto la sua approvazione, Bloom radunò i due fratelli, precedentemente impegnati a colorare fuori dai bordi di una stampa di un cartone animato per bambini molto famoso, e la raggiunsero ai piedi del divano, accanto al mobile in mogano su cui il telefono fisso cordless era appoggiato. Bloom mise il vivavoce.

Neanche a dirlo, appena i bambini vennero a conoscenza della mancanza dei loro genitori, per l’ennesima sera, per di più durante una festività a loro cara, scoppiarono a piangere e a sbattere i piedi a terra. Il più piccolo, quello di sei anni, abbracciò Bloom per una gamba e nascose le sue lacrime tra il tessuto spesso dei suoi jeans blu. Nonostante non avesse in sé tutta questa forza, Bloom si sforzò per riuscire a prenderlo in braccio. Gli baciò la fronte e gli passò una mano su e giù lungo la schiena, cercando di calmare i suoi pianti. La più grande, invece, dopo l’iniziale sfogo, si era calmata e singhiozzava solitaria nella sua bolla. Bloom rivide se stessa in lei: una bambina cresciuta in fretta da cui tutti si aspettavano maggiore maturità rispetto ai suoi coetanei, perché: “Si sa, le ragazze maturano più in fretta dai ragazzi” e stronzate varie. Aveva sentito quella frase in tutte le sue varianti, non si sarebbe sorpresa se anche la povera Sophie fosse abituata a sentirselo dire, nonostante la sua giovane età. Bloom le circondò le spalle, attirandola al suo fianco. Solo allora la bambina si sentì autorizzata a emettere qualche suono più udibile e si nascose imbarazzata sulla sua pancia, inzuppandole e sporcandole la maglietta. Bloom era stata previdente a portarsi un cambio di vestiti; lo faceva sempre, ma per una volta sarebbe stata giustificata a utilizzarli.

Dopo le solite raccomandazioni dei genitori, esasperati dalla situazione quasi quanto i due bambini, ma per motivi diversi, ci furono i saluti e la fine della chiamata fu caratterizzata da qualche secondo di silenzio.

Per riportare l’umore su, dando uno sguardo veloce all’orologio appeso alla parete del salotto, si rese conto che erano già le nove in punto.

«Che ne dite, andiamo a mettere i nostri costumi? Mh?» disse utilizzando un tono di voce simile a quello degli animatori dei villaggi turistici.

 

—ooOoo—

 

I due bambini, Sophie e Robert—quest'ultimo abbreviato in Robbie, sì: nomi pomposi per dei bambini, ma considerata la classe sociale dei loro genitori, non si era sorpresa quando lo aveva scoperto—erano vestiti da Mercoledì Addams e Spiderman.

Bloom, invece, era vestita da lavoratrice stanca e sfruttata. Non aveva neanche bisogno di un costume per interpretare il ruolo, bastava mostrare la sua faccia al pubblico.

Dover ritirare la sua partecipazione alla serata tra ragazze si era rivelato un dispiacere per tutte, ma avevano compreso la situazione e si erano ripromesse di non saltare la prossima uscita insieme per nulla al mondo. Il prossimo “Pigiama party” sarebbe stato il prossimo sabato. Stella aveva minacciato di toglierla dalla lista dei contatti se non si fosse presentata neanche a quella serata.

“SALVO LA MORTE” compariva scritto, tutto in stampatello, sul motorola a conchiglia di Bloom.

 

Erano ormai quasi le undici di sera, i bambini cominciavano a essere stanchi, avevano raccolto una zucca finta di medie dimensioni ciascuno di dolciumi vari: barrette di cioccolato, biscotti confezionati, leccalecca dagli incarti particolari, caramelle dure e caramelle gommose. C’erano state delle persone che avevano provato a dare dei dolci anche a Bloom, ma lei aveva insistito per dire di conservarle per gli altri bambini che sarebbero passati. Alcuni di loro non avevano voluto sentire ragioni e le avevano letteralmente infilato i dolci in mano. Non voleva fare scenate in un clima di festa e rovinare il divertimento dei bambini, quindi aveva sorvolato sulla confidenza che si erano presi alcuni di afferrarle una mano e chiuderle le caramelle in esse. Semplicemente, si era limitare ad aspettare che tutti e tre si allontanassero dalla casa di turno e aveva ceduto quello che le era stato dato forzatamente a Sophie e Robbie.

Si poteva quindi dire che i due bambini avevano raccolto un ottimo bottino. Lei non aveva mai fatto “dolcetto o scherzetto” da piccola, era stato divertente assistere alla gioia che procurava ai bambini ricevere dei doni da perfetti sconosciuti, ma in totale sicurezza.

«L’ultima porta e poi torniamo a casa, va bene?» li aveva avvisati, sempre con quel tono più entusiastico del normale. Ricordava che a lei dava fastidio quando le persone più grandi di lei le parlavano in quel modo, si sentiva più piccola dei suoi anni, ma i figli degli Smith tendevano ad apporsi maggiormente a lei quando parlava loro in tono normale. Forse, essendo così abituati a essere riferiti usando quei toni allegri, quella mancanza l’avvertivano come un tentativo di autorità e di voler impartire ordini. Aveva quindi optato per adeguarsi al metodo di insegnamento che gli Smith usavano e si era convinta a usare quella voce, per lei, fastidiosa.

Alla notizia dell’imminente fine della serata di divertimenti, i bambini si erano lamentati per qualche minuto, ma era bastato ricordargli che prima arrivavano a casa, prima avrebbero potuto scartare alcuni dei dolcetti ricevuti per dissuaderli dal fare i capricci nel bel mezzo del marciapiede.

La casa che stavano approcciando era decorata a regola d’arte per la festività di Halloween: scheletri appesi al soffitto del portico, bare e sarcofaghi in piedi con vampiri e mummie all’interno, cervelli galleggianti racchiusi in bararroli i vetro, zucche dalle espressioni demoniache ad avvisare i visitatori della loro presenza, e, per finire, una scritta luminosa “Happy Halloween” affissa sul tetto a spiovente della casa in stile cottage inglese.

Nonostante il clima tetro delle decorazioni, si intuiva che fossero l’opera di un appassionato che voleva regalare un momento di immedesimazione ai bambini e non un qualcuno di inquietante che gioiva nello spaventarli.

Per questo, Bloom si fidò del suo istinto e citofonò al campanello posto vicino alla porta.

Appena la testa impastata di bianco e i ciuffi di capelli rossi a punta spuntarono dalla porta, sia Bloom sia i bambini ebbero un sussulto e fecero mezzo salto indietro dallo spavento.

L’uomo che si era presentato a loro era chiaramente travestito da Pennywise, il clown di “IT”, il trucco assomigliava a quello del film. La somiglianza era stata tale, e la sorpresa inaspettata, che persino il cuore di Bloom aveva aumentato i battiti per qualche secondo. L’espressione assunta dall’uomo era stata a dir poco terrorizzante.

Subito dopo, notando che i bambini si erano spaventati più del previsto: si nascondevano dietro Bloom, l’immedesimazione nel clown spaventoso scomparve e davanti a loro scoprirono esserci un uomo in realtà molto cordiale; che, semplicemente, si era travestito da clown. Distribuì ai due bambini dei palloncini rossi e due barrette di cioccolato con incastonati dei pop corn.

«E per Bloom? Niente?» chiese il più piccolo, Robbie, all’uomo alto quasi quanto l’entrata della sua porta di casa. Il bambino la guardava con un’espressione di puro dispiacere in volto, le sopracciglia raccolte con le estremità frontali verso l’alto.

«Ah, mi dispiace bambini, temo di aver finito sia i palloncini sia i dolcetti. Voi siete gli ultimi fortunati della serata» spiegò loro, abbassandosi il più possibile alla loro altezza. «Sono sicuro che Bloom saprà perdonarmi, vero?» le chiese, rivolgendole uno dei più bei sorrisi sinceri che Bloom avesse mai visto.

«Certo, non fa niente» lo sostenne. «Non sono dispiaciuta» spiegò ai bambini, tenendo ancora loro la mano. Vista la situazione, preferì usare un tono di voce inflessibile, per trasmettere più sicurezza e far capire loro che era opportuno finirla lì quella volta. Ci mancava solo che le facessero fare qualche brutta figura con uno dei vicini della coppia che la pagava meglio.

«Allora devi darle un’altra cosa!» impose ancora Robbie.

«Sì, è vero, non è giusto! “Dolcetto o scherzetto”!» si aggiunse anche la più grande. Bloom le dedicò uno sguardo di rimprovero. Rischiava di fomentare il fratellino così.

«Facciamo così», disse l’uomo, «se le offro qualcos’altro, voi promettete di fare i bravi non recarmi qualche danno?»

«Che vuol dire “recare danno”?» chiese il più piccolo, guardando l’uomo con un’espressione confusa in volto, come certo che l’uomo stesse usando “termini da grandi”, come li definiva solitamente Robbie, per prenderlo in giro.

«Vuol dire che, se lui regala qualcosa anche a Bloom, noi non dobbiamo fargli i dispetti, Robbie» spiegò la più grande al fratellino.

«Esattamente, brava» si complimentò l’uomo, scambiando un batti-cinque con Sophie.

L’uomo sembrava particolarmente giovane, e dall’accento si capiva essere di origine irlandese, quindi non potette fare a meno di riferirsi ai luoghi comuni e chiedersi se la sua bravura con i bambini dipendesse dal fatto che avesse molti fratelli.

Bloom provò a insistere sul fatto che non fosse necessario che lui le desse nulla, ma l’uomo la liquidò bonariamente con un gesto della mano, piegando le labbra quasi in un broncio e scuotendo convinto la testa.

Prese un foglio di carta che sembrava tenere sul mobile all’entrata e una penna. Scribacchiò qualcosa sopra di esso, appoggiandosi allo stipite in legno della porta, e in seguito le porse il fogliettino.

C’era scritto un indirizzo, una data, un numero di telefono e un nome tra parentesi accanto ad esso: Sebastian. La scrittura di Sebastian era molto elegante, Bloom invece scriveva ancora come alle medie: disordinata e frettolosa.

«Quello è il mio numero di telefono, l’indirizzo del teatro in cui lavoro e la data del nostro prossimo spettacolo» le chiarì, probabilmente leggendo la confusione sul suo volto.

«Sei un attore?» gli chiese Sophie emozionata, saltellando sul posto. Era una delle poche volte che Bloom la vedeva comportarsi come una bambina dovrebbe.

Sebastian annuì soltanto, distogliendo per un attimo lo sguardo da Bloom per dedicarlo alla bambina, e accennò un suono di assenso rimasto in gola.

«Non devi sentirti costretto--» cominciò Bloom, volendo toglierlo dall’impiccio.

«Non mi sento costretto» le disse subito. «Ti avrei chiesto di uscire comunque, i bambini mi hanno solo dato il giusto gancio per farlo» spiegò, scompigliando i capelli a entrambi i bambini. Sophie sembrò non apprezzare il gesto, perché si risistemò in fretta le trecce che Bloom le aveva fatto con cura prima di uscire. Sebastian fece un'esagerata smorfia di dispiacere davanti al gesto indispettito della bambina. Le accarezzò una guancia con il retro delle dita per scusarsi, offrendole nuovamente il cinque in aria. Sophie accettò le scuse, perché ricambiò il cinque con enfasi e un sorriso stampato in volto.

Bloom arrossì di fronte a quella rivelazione di Sebastian, ma ringraziava le luci stravaganti appese intorno alle colonne che sorreggevano il tetto del portico per starla aiutando a nascondere il suo imbarazzo adolescenziale. Era in quei momenti che si ricordava di essere ancora giovane e che ogni tanto poteva permettersi anche lei delle reazioni da ragazza sedicenne, inesperta in fatto di ragazzi e tutto quel mondo fatto di carezze, dichiarazioni e primi baci.

Sebastian sembrava qualche anno più grande di lei, ma per sicurezza preferì chiederglielo.

«Ne ho fatti venticinque da poco» le rispose. Piegò la testa di lato, come a non capire se lo stesse rifiutando o se dovesse solo pensarci un attimo.

«Io ne ho sedici» gli rivelò, aspettandosi che ritirasse l’invito a uscire, ma Sebastian accettò passivamente quella notizia, come fosse un semplice scambio di informazioni di cortesia.

Bloom quasi si mise a ridere. In America, mai un uomo di venticinque anni, conscio di quello che le persone avrebbero potuto dire di lui, avrebbe accettato con tranquillità la loro differenza di età.

“Evidentemente in Europa hanno un modo di pensare diverso, soprattutto in determinate culture” si ritrovò a riflettere Bloom, visto che quella poteva essere l’unica spiegazione. Sebastian non le dava per niente l’impressione di essere un pervertito con il fetish per le minorenni. Le aveva chiesto di uscire ben prima che sapesse la sua età. C’era solo da chiedersi se Bloom portasse bene i suoi anni oppure no. Ma questa non era una risposta che poteva darsi da sola. Decise di dare a Sebastian il beneficio del dubbio, magari lui, essendo anche irlandese, non ci vedeva nulla di male e frequentare qualcuno di più giovane di lui. Era un pensiero discriminatorio, quello che stava avendo Bloom? O solo la realtà dei fatti?

«Digli di sì! Digli di sì!» cantarono all’unisono Sophie e Robbie, aggrappandosi alla gonna del vestito blu in cui si era cambiata prima di uscire con loro.

Entrambi, Bloom e Sebastian, sorrisero inteneriti guardando i bambini saltellargli intorno. Con un gesto eloquente del capo, Sebastian le aveva palesato che aveva tre voti a favore e che mancava solo il suo per approvare l’appuntamento.

«Va bene, sì» confermò ridacchiando, annuendo nella sua direzione. Era impossibile staccare gli occhi dai suoi, e non per le lenti a contatto gialle che indossava.

I bambini esultarono contenti, mentre Sebastian le riservò un altro sorriso. Le rughe d’espressione intorno agli occhi contribuivano ad ammorbidire il suo aspetto. Bloom quasi si dimenticò di aver appena accettato l’invito a uscire di un tizio vestito da clown spaventoso.

 

Sebastian si offrì di riaccompagnarli a casa, e sebbene l’essere cresciuta come una ragazza in America l’avesse educata a tenere cara la propria privacy, concesse comunque a se stessa di fidarsi ancora del suo istinto e di permettergli di fare loro compagnia fino al ritorno a casa. Chiacchierarono del più e del meno, per conoscersi meglio. Più gli parlava, più Bloom era contenta di aver accettato il suo invito.

 

Più tardi, dopo aver messo a letto i bambini e aver aspettato il ritorno degli Smith—come promesso, le avevano dato quasi il doppio della paga per quell’estensione del suo tempo—Bloom aveva digitato in fretta e furia un messaggio alla sua amica Stella. Se la conosceva bene, era certa che avrebbe ottenuto la sua grazia e l’avrebbe perdonata per l’ennesima assenza.

 

Io:

Oltre alla morte, è possibile mancare al pigiama party per emergenza appuntamento?

 

Stella:

CHIAMAMI SUBITO OMG

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Giorno 13 — Quadro ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 13: quadro

 

 

 

[Artist!AU]

 

 

 

SEBASTIAN

3806 parole

 

 

Non si era aspettata tutta quell’affluenza.

Era la sua prima vera mostra importante, dopo anni di estemporanee in cortili e giardinetti comunali di Gardenia, cittadina semi-disabitata della California.

Assistere al proprio successo, dopo sforzi durati una vita, dopo essere stata ostacolata dalla sua stessa famiglia—coloro che avrebbero dovuto invece incoraggiarla e aiutarla a realizzare i suoi sogni, era quanto di più magico a cui avesse mai preso parte.

E il merito non era solo suo, non poteva esserlo, si rifiutava di crogiolarsi in quel tipo di narcisismo. No, si trattava di raccogliere metà del merito, perché tutto il resto, la vera magia, proveniva dal soggetto in comune a tutti i quadri esposti in quell’enorme galleria d’arte.

Sebastian.

Conosceva solo il suo nome, non sapeva nemmeno se quello fosse il suo vero nome, ma quello che Bloom sapeva era che, Sebastian, l’aveva aiutata a non ignorare più i suoi desideri, qualsiasi fosse stata la loro natura, e a incanalare l’Arte in tutte le sue forme.

Per questo motivo, aveva lottato con gli sponsor per riuscire a dedicare a Sebastian, la sua musa, il nome stesso della Mostra.

Guardava i quadri appesi sulle pareti bianche, illuminati dalla luce artificiale bianca nella sala e ripensava a quello che era accaduto prima di portare a termine ognuno dei quadri esposti…

Quello davanti a lei era il primo quadro che aveva dipinto di Sebastian. Le pennellate svelte e approssimative contornavano solo gli accenti della sua figura. Era stato il suo primo approccio al modello e per via della modalità con cui era venuto alla luce, subito dopo averci fatto sesso, risultava un ritratto onirico, assente e presente allo stesso tempo. Tangibile perché conoscibile e intangibile perché non presente davvero davanti a lei.

La loro conoscenza era durata solo due ore, poi le loro strade si erano implicitamente divise, ma grazie a quel viaggio nella passione e nei sentimenti, nella scoperta di possedere un corpo ed essere posseduti da un’altra persona, Bloom aveva tirato fuori dalla somma di quei centoventi minuti ventisei opere, tante quante l’età che Sebastian aveva detto di avere.

 

 

—ooOoo—

 

Lasciarsi un’intera vita alle spalle, dalle poche amicizie che era riuscita a costruirsi, nonostante fosse un’amica impegnativa da gestire, delle sue abitudini da anima solitaria che segretamente brama calore umano, persino la sua famiglia adottiva tossica, era stata una decisione di cui Bloom si era quasi pentita fino all’ultimo secondo, mentre saliva in aereo con solo uno zaino contenente i suoi effetti personali e una valigia enorme a contenere tutti gli strumenti di disegno che fosse riuscita a portarsi; il resto avrebbe dovuto comprarlo sul posto, una volta arrivata all’Accademia.

Era stata una delle fortunate vincitrici della borsa di studio della durata di tre anni all’Accademia di Belle Arti di una città del Nord Italia famosa per essere la capitale dell’arte in tutte le sue declinazioni.

Senza neanche pensarci un secondo più del necessario, si era imbaracata in quell’avventura, ma più il fatico giorno della partenza si avvicinava, più i dubbi affioravano. Metterli a tacere non era stato facile, eppure…

Era finalmente in Italia!

 

Le ci erano voluti almeno un paio di mesi per ambientarsi, si sentiva terribilmente indietro rispetto agli altri allievi, ma ciò che la disturbava di più era lo scoglio linguistico. Sebbene facesse parte di una classe di studenti internazionali, c’era gente proveniente da Singapore così come da Parigi e Il Cairo, Bloom sentiva di essere una studentessa di serie B. Il resto degli studenti, quelli italiani, difficilmente riuscivano a mantenere una conversazione con lei. Dopo un paio di minuti, sembravano aver finito gli argomenti di conversazione di cui conoscevano le parole in Inglese e così, di punto in bianco, la salutavano, affermando di doversi preparare per un’altra lezione o una sessione di studio; se non fosse che, poco dopo, li vedeva seduti sulle panchine fuori dell’Accademia, a parlare con altre persone, probabilmente italiane.

Stava provando a imparare l’Italiano a sua volta, ma non aveva i soldi necessari da spendere in corsi di lingua e l’Accademia non offriva aiuti in tal senso. Nessuno era disposta ad assumerla proprio perché non parlava Italiano e non era disposto ad aiutarla nei primi tempi. Era in quei momenti che più invidiava i suoi coetanei: ricevevano aiuti da casa, oltre alla borsa di studio, così come il supporto dei propri genitori; l’argomento usciva fuori ogni volta che si raccoglievano a parlare della propria vita.

Bloom si sentiva un’estranea nel Mondo.

 

Per riempire le sue ore, aveva preso a fare da traduttrice a tempo perso e ogni tanto aiutava la polizia locale come interprete, su chiamata.

Ma non era abbastanza, non sembrava mai essere abbastanza e stava cominciando a sentirsi un’ingrata.

I suoi amici americani non si erano tenuti in contatto, il suo telefono aveva smesso di notificarle qualsiasi messaggio o chiamata appena dopo la prima settimana dal suo trasferimento, e Bloom, dopo un primo tentativo di riallacciare i rapporti, non aveva voluto smembrare le sua dignità ulteriormente. L’orgoglio era uno dei suoi più grandi peccati, ma spesso l’aveva salvata in calcio d’angolo.

 

Passaggiava spesso lungo il tratto di fiume di quella città galleggiante e si sedeva sulla prima panchina libera che trovava, destreggiandosi nel Disegno dal Vero delle facciate degli edifici. Qualche volta ritraeva i passanti che sfrecciavano davanti a lei, e li fotografava mentalmente riportandone in fretta i primi tratti distintivi. Continuava così finchè non riempiva almeno due o tre fogli dell’album in formato A4, leggermente più piccoli in larghezza e lunghezza rispetto al formato Lettera a cui era abituata negli U.S.A.

Conclusa la sua ennesima giornata di sfrenata solitudine, si alzò per tornare all’appartamento che condivideva con altre due ragazze sue coetanee: Aisha e Flora. La prima era di origini nigeriane ma era nata e cresciuta nel Regno Unito, mentre Flora era americana come lei ma nata e cresciuta in Texas, faceva parte della comunità latina della città—lei stessa si definiva più latina che americana.

Erano le uniche due persone a cui sembrava non stare sul cazzo, malgrado spesso litigasse con Aisha per via del loro differente approccio alla vita e i suoi problemi.

 

Indossò l’unico paio di occhiali da sole che possedeva, era una giornata stranamente soleggiata in quella città umida e grigia, e, distratta da una solitaria notifica arrivatele sul cellulare, si scontrò sul petto ampio di qualcuno; dedusse fosse un uomo dalla muscolatura stereotipicamente considerata maschile. Il suo album da disegno le cadde a terra e, grazie al vento che soffiava impudente proprio in quel momento, alcuni fogli che aveva strappato dal loro alloggio volaro via nel corso d’acqua sotto di loro. Bloom provò a recuperarli, invano, e rischiò di cadere lei stessa di sotto, in quelle acque putride e maleodoranti. Una mano dalla forte presa la salvò prima che si sbilanciasse troppo con il busto in avanti e la riportò con i piedi per terra.

Stava per inveirgli caparbiamente contro, nonostante fosse colpa di entrambi per non aver fatto attenzione l’uno alla presenza e allo spazio personale dell’altra, ma quando vide chi aveva di fronte, Bloom rimase rapita. Si alzò la montatura degli occhiali sopra la testa, per guardarlo meglio in faccia, ma anche perché Aisha le aveva spiegato che era buona educazione togliersi gli occhiali da sole, se possibile, quando si parlava con qualcuno.

«Colpa mia», «Scusa per--» dissero all’unisono, entrambi in Inglese.

Bloom si stupì dietro quella rivelazione. Finalmente un’altra persona la cui lingua nativa sembrava essere l’Inglese. Lui aveva un accento diverso dal suo, poteva provenire dall’Irlanda, ma non ne era sicura: l’aveva sentito solo in tv e al cinema, mai di persona.

«Prima tu» gli disse Bloom.

L’uomo sembrò volerle ricambiare la proposta, ma poi riprese la parola lo stesso: «Mi dispiace per i tuoi disegni, spero non fossero irriproducibili…» le disse con voce roca, scaldandole lo stomaco. La fissava con due occhi neri come il carbone e aveva la peluria della barba scura ben distribuita su tutta la mascella e il labbro superiore, così come la linea verticale che dal labbro inferiore si allargava per congiungersi al disegno del mento. Non era lunga, non gli creava eccessivo spessore in volto, anzi, era ben curata e gli incorniciava il viso ad opera d’arte. Le sopracciglia erano spesse, ma non eccessivamente, sebbene si notasse che non erano tanto curate quanto lo era la barba. I capelli erano tenuti corti, in un taglio militare, e il naso importante non smorzava l’austera eleganza grezza di quel volto dai canoni maschili.

Tutto di lui urlava “uomo”, nella sfaccettatura più socialmente accettata, e Bloom se ne trovò immediatamente catturata, intrigata, e, si permise di ammettere, attratta. Si chiese se si trattasse di una curiosità artistica, un desiderio di trattare il bello, ma Bloom non riuscì a togliersi dalla testa l’idea di ritrarre quell’uomo. Non conosceva neanche il suo nome, non conosceva nulla di lui, ma sapeva di sentirsi ispirata da lui.

«Potresti farti perdonare facendomi da modello, che dici?» gli propose sfacciata, con una punta di goliardia nella voce. Non voleva risultare fuoriluogo o viscida, ma non aveva trovato altro modo di chiederglielo, forse presa dall’emozione del momento, dal non voler farsi sfuggire quell’occasione.

L’uomo alzò le sopracciglia, guardandola con impossibile sorpresa.

«Sicura? Non sai neanche come mi chiamo» tentò di dissuaderla, seppur sorridesse complice anche lui di quel gioco che si stava creando tra di loro.

«Conoscere il tuo nome non migliorerà il tratto del mio disegno» gli rispose sincera. «Allora, che dici?» gli chiese conferma una seconda volta, porgendogli la mano.

L’uomo l’accettò.

 

—ooOoo—

 

Bloom aveva già chiesto in precedenza all’Accademia di poter affittare per due ore una delle stanze adibite allo scopo di ospitare una modella o un modello dal vivo. Ottenuto il loro lasciapassare, e comunicando loro che la modella con cui avrebbe dovuto lavorare quel pomeriggio le aveva dato buca, Bloom aveva portato l’uomo nella stanza e gli aveva detto di potersi andare a cambiare nel camerino posto in un angolo. Lui aveva chiesto se lo volesse senza vestiti o con i vestiti ancora addosso, e Bloom, sincerandosi di metterlo a proprio agio, nonostante le modalità del loro accordo, gli disse di togliersi solo gli strati di vestiti che desiderava togliersi. Voleva che fosse nella sua zona di comfort per le prossime ore che avrebbero dovuto passare insieme.

L’uomo uscì dal camerino con solo la biancheria addosso, fortunatamente nera.

Il petto ampio era ricoperto di peluria bruna, una fila incolta di peli viaggiavano al centro dell’addome, estendendosi intorno e sotto l’ombellico, finchè la visuale non spariva nell’elastico dei boxer aderenti che stava indossando. Le gambe e le braccia si assomigliavano in quanto a quantità di peli che ricoprivano la pelle dai toni caldi. Aveva un fisico sano e atletico, seppur non eccessivamente—il suo punto forte erano le spalle ampie—ed era alto almeno venti centimetri più di lei.

Bloom sentì le ginocchia cederle, si appoggiò sulla seduta dello sgabello da pittura. Finse di sistemare un’ultima volta i carboncini, la gomma pane, la sanguigna, il taglierino con cui appuntire le matite, ma nulla la distrasse dal senso di colpa che provava.

Decise di chiedergli conferma ancora una volta, volendo assicurarsi che se la sentisse di fare da modello e che la sua era stata solo una provocazione, non voleva che si sentisse in debito con lei, ottenne una risata sommessa da parte dell’uomo. Chinò la testa e quando la rialzò le sorrideva intenerito dalla sua correttezza morale.

Bloom sapeva che molto spesso quegli accordi tra artista e modello, specialmente quando si trattava di modelle donne, nascondevano altri scopi e motivazioni, e lei stava cominciando a sentirsi come una di loro. Improvvisamente si senti sporca, in colpa per l’attrazione sessuale che l’aveva spinta a chiedergli di farle da modello. Le si riempirono gli occhi di lacrime e si voltò dall’altro lato, non volendo mettere ulteriormente a disagio l’uomo; e anche perché si vergognava a piangere in pubblico.

Una figura alta e che emanava un calore simile al suo, le si avvicinò di lato, lentamente ma con sicurezza. Bloom gli riservò uno sguardo tremolante e quello sembrò convincerlo ad avvolgerle le braccia muscolose intorno al corpo e far appoggiare una sua guancia arrossata dal pianto sul petto nudo dell’uomo. Bloom chiuse gli occhi, sfogando la sua frustrazione legata alla sua vita, ai suoi studi, alla carriera che non sapeva se avrebbe mai avuto, ma soprattutto la sua frustrazione legata alla sua opinione di se stessa—mai stata troppo gentile.

«Qual è il problema?» le chiese schietto, seppur mantenendo un tono di voce affabile. Le parlava direttamente nell’orecchio, per sopperire l’eco dello sfogo di Bloom.

«Sento di starti usando» gli rivelò tra le lacrime. Si coprì l’altra guancia con una mano, vergognandosi della sua stessa ammissione. «Non voglio, non voglio c-che traspaia il, il messa-aggio che l’arte, che l’arte sia sfruttamento e-e mercificazione, mercificazione del corpo» continuò, tra un singhiozzo e l’altro. «Non è come voglio raccontare l’Arte io» provò a concludere in un singolo fiato.

Lo sfogo, dire ciò che pensava ad alta voce, la fece sentire immediatamente meglio. L’affetto e la tenerezza riservatagli dall’uomo stava facendo il resto.

«Non stai sfruttando nessuno, sono io ad aver accettato la tua proposta», le accarezzo la sommità della testa, pettinandole i capelli ramati fino alle punte.

«Sì, ma--»

«E l’ho fatto consapevole di quello che sarebbe potuto accadere… tra di noi» la interruppe, prima di permetterle di bastonarsi ancora una volta.

«Sono un attore, sono abituato a servire l’Arte con il mio corpo» le spiegò. Una mano grande e calda asciugò le lacrime colate sulle lentiggini che costellavano il volto arrossato di lei, per il pianto e l’imbarazzo.

Bloom lo sguardò negli occhi di onice, chiedendogli di trasmettergli metà della sua sicurezza.

«Posso sapere come ti chiami?» gli chiese, contraddicendo in parte la sua precedente affermazione. Conoscere il suo nome, identificare un corpo con un nome proprio, avrebbe certamente contribuito a umanizzare lo scopo del ritratto che si apprestava a fare di lui.

«Hai cambiato idea?» le chiese lui, ricordando sicuramente le stesse parole con cui Bloom lo aveva lasciato sorpreso.

Lei annuì soltanto, agitando vigorosamente la sua guancia sul petto dell’altro. Il cuore gli batteva calmo e cadenzato, nonostante la situazione. Lo invidiava. Il cuore di Bloom sembrava sempre sul punto di uscirle dal petto e trasferirsi in gola, finchè non sarebbe morta soffocata dalla sua stessa emotività.

«Mi chiamo Sebastian» si presentò finalmente. «Vuoi dirmi il tuo?» le chiese. La carezza sulla sua schiena aveva accompagnato quella tra i suoi capelli, Bloom sentiva di star per addormentarsi; non sapeva se per la stanchezza delle sue emozioni, che l’avevano prosciugata, o per la presenza confortante di Sebastian.

«Bloom» disse frettolosa, timorosa di cominciare a singhiozzare nuovamente.

«Bloom…» ripetette Sebastian, contemplativo. Le alzò il mento per guardarla negli occhi. «Perché stai ancora piangendo?» le chiese, sorridendole sottile.

«Non lo so!» esplose lei, stringendo le braccia intorno alla sua vita. Sebastian ricambiò il gesto, inglobandola nel suo caldo e avvolgente abbraccio.

Quasi non respirava, ma poco importava: l’alternativa era separarsi da Sebastian, e non voleva assolutamente farlo.

Prima che proferisse parola, affossandosi più di quello che era già, Sebastian le accarezzò una guancia e si abbassò su di lei. Bloom accolse quel bacio con disperazione, aggrappandosi di scatto al suo collo e divorandogli le labbra, assetata di conforto e vicinanza. Sebastian la prese in braccio e la fece sedere su di un banco a un paio di passi da loro. Continuò a baciarla, scendendo poi sul collo e strappando il colletto della sua t-shirt quel tanto che bastava per permettergli di avere accesso ai suoi seni, racchiusi nel reggiseno blu. Le morse la carne della pelle esposta dal balconcino e la guardò di sfuggita, assicurandosi di poter procedere. Quando Bloom annuì frettolosa e lo tirò per i polsi su di lei, Sebastian capì l’antifona e finì di strapparle la maglietta. Si appoggiò su di lei, distesa sul banco dalla struttura in metallo e il piano in legno massello, e le spinse il sedere più in alto, afferrandola dalle cosce, in modo da poterle sfilare i pantaloncini in jeans. Le baciò l’addome e lentamente infilò una mano dietro la sua schiena, arrivando a sganciarle il reggiseno. Bloom ansimava incontrollata, impaziente di vederlo in tutto il suo splendore e dentro di lei. Quando i suoi seni furono liberati dalla costrizione della stoffa, Sebastian non perse tempo e li massaggiò a palmo aperto. La caloria delle sue mani fece inturgidire i capezzoli di Bloom, rendendoli più sensibili. Come affamato di lei, la sollevò dal tavolo per poter afferrare quelle protuberanze tra i denti, succhiando con le labbra la porzione di pelle vicina.

Bloom credette di  perdere la voce in quel momento, perché non ebbe la forza di emettere un singolo suono dalle sue labbra schiuse. Si limitò a circondargli la vita con le gambe  e passare freneticamente le mani nei suoi capelli neri, graffiandogli il collo con le unghie corte e squadrate.

Sebastian ritornò sul suo collo, succhiando anche lì, lasciando sicuramente dei lividi che il giorno dopo si sarebbero palesati insieme a quelli sui suoi seni.

Bloom dovette afferrargli la faccia con entrambe la mani per riuscire a distrarlo dalle attenzioni fameliche che stava dedicando alla sua pelle e strappargli un altro bacio passionale. Nel mentre, avvertì il fantasma dei suoi pollici infilarsi nel bordo dei suoi slip bianchi e dare uno strattone di prova, come a chiederle se potevano procedere o fermarsi a quello che avevano già condiviso. Bloom non aveva preservativi con sé, ma Sebastian sembrava essere meglio preparato, perché la prese di nuovo in braccio e la portò con sé nel camerino. Cerco in fretta nelle tasche dei pantaloni che aveva indossato in precedenza, tenendo Bloom con solo un braccio, essendo minuta e leggera, e ne uscì fuori un incarto lucido. Glielo passò, ma Bloom aspettò ad aprirlo, nel caso le cadesse per errore di mano.

C’era una sedia in legno nel camerino semi-illuminato e Sebastian le diede una pacca sul culo e le fece gesto con la testa per farle capire di appoggiare le mani lì, incurvando la schiena verso l’alto. Lui la teneva per i glutei, le cosce di Bloom strette introno al bacino di Sebastian, ed era sicura che la sua eccitazione stesse bagnando la parte frontale dei boxer di Sebastian, da cui la sua erezione si mostrava—per niente timida. Cominciava a girarle la testa, considerata la posizione verticale verso il basso in cui si trovava, ma il desiderio di fare sesso con Sebastian era più forte della consapevolezza di impraticità della loro posizione. Metteva in mostra i suoi seni, garantendo a Sebastian la possibilità di afferrarli e giocarci ogni qual volta desiderasse farlo. Mentre la manteneva sollevata da terra con una mano dietro la schiena bassa sudata, Sebastian le sfilò gli slip e li fece arrivare fino a metà cosce, sollevandole poi le gambe verso l’alto e facendogliele appoggiare tutte e due da un lato, sul suo petto, per riuscire a terminare la corsa della stoffa sottile e liberarla da esse. Bloom si preparava a passargli il preservativo, a costo di aprirlo con i denti, ma Sebastian sembrava di diverso avviso. La portò in una verticale quasi completa, che la fece emettere un sussulto acuto, e si tuffò in mezzo alle sue labbra gonfie e formicolanti. La teneva con entrambe le mani, una dietro la schiena e una a premerle sul monte di Venere, mentre lui era piegato in avanti, non dandosi neanche il tempo di respirare. La punta del suo naso le toccava insistentemente il clitoride sofferente di attenzioni e Bloom cominciò a tremare e stringere le cosce intorno alla testa di Sebastian, consapevole che quella sua improvvisata elasticità avrebbe conosciuto la sua rovinosa fine al primo orgasmo raggiunto.

«Sebastian…» lo avvisò, già esausta.

Raccolse la sua supplica e le fece fare una mezza giravolta, rubandole un altro bacio prima di sedersi sulla sedia e sistemando lei su di lui; i loro bacini a contatto, che si sfregavano impazienti a vicenda.

Continuando a baciarsi, Sebastian le tolse il presarvativo di mano e aprendolo agilmente se lo infilò con destrezza. Le afferrò con prepotenza il sedere e allineò la punta del suo pene eretto all’entrata fradicia di Bloom. La penetrò con un’unica spinta, riempiendola fino in fondo e facendola boccheggiare nel bacio, sopraffatta dal senso di pienezza improvviso. Sebastian le accarezzo la schiena, facendola rilassare. Le baciò il collo e dietro le orecchie per qualche minuto, permettendole di abituarsi a lui. Iniziò a muoversi solo quando Bloom cominciò a danzare sul suo bacino, chiedendo di più. L’aiutò ad alzarsi e abbassarsi su di lui, mentre Bloom si aiutava spingendo le piante dei piedi sul parquet.

«Sto per--» lo avvisò, già al suo secondo orgasmo. Sebastian, invece, era stato troppo attento a lei per riuscire a venire; Bloom poteva notare che le avesse dato solo l’impressione di essere al comando, sopra di lui, mentre tutto il vero lavoro fisico lo stava facendo lui.

«Voglio che veniamo insieme» gli disse ansimando e tenendo la fronte sudata incollata alla sua.

Lui la baciò, dedicandole un sorriso di intesa.

Successivamente, quando le pareti interne di Bloom cominciarono a stringersi nuovamente intorno a lui, Sebastian l’afferrò per la vita e la sollevò dal pavimento, pompando in lei come preso da una febbre adrenalitica. Bloom si sentì nutrire ancora una volta dall’orgasmo e si sentì soddisfatta solo quando il seme di Sebastian esplose in lei, seppur contenuto dal preservativo.

Sfinita, poggiò la fronte nell’incavo del suo collo, respirando a pieni polmoni l’odore di sesso che permeava i loro corpi e la piccola stanzetta. Ringraziò il Cielo di essersi ricordata di chiudere a chiave sia la porta dell’aula in cui si trovavano, sia quella del camerino.

Sebastian la baciava ovunque, dal collo alle guance calde, fino alle spalle tremanti e ricurve. Se l’adagio su di lui, Bloom premette la guancia sul suo petto e appoggiò una mano su un suo pettorale, mentre l’altra era in mezzo a entrambi, vicino a dove erano ancora uniti. Per riuscire a sfilarsi da lei, Sebastian dovette prenderla con le buone, perché ogni volta che provava a sollevarle il bacino per rimuovere il preservativo dal suo pene, Bloom gli si stringeva mortale intorno, impedendogli la riuscita del compito.

«Bloom» la reguardì, il tono fattosi serio. «Fammelo togliere».

«No…» gli rispose, capricciosa, sfregando la guancia sul suo petto sudato. Manteneva gli occhi chiusi, timida nella sua sfacciataggine.

«Potrebbe rompersi».

«Non mi interessa» continuò cantilenante lei, ridacchiando beata e dondolando le gambe.

«A me sì» le disse, pacato.

Come risvegliata, Bloom si scusò in fretta e si alzò di sua spontanea volontà da lui, permettendogli di sfilare il preservativo. Prima di lanciarlo nel piccolo cestino vuoto, lontano da loro, Sebastian ebbe anche l’accortezza di legarlo.

Provò a lasciargli spazio, pronta a rialzarsi e tornare alla vita di tutti i giorni, come niente fosse accaduto, ma Sebastian le afferrò un polso e la fece risedere su di lui. Bloom non oppose resistenza, ben disposta a passare il resto dell’eternità abbracciata a Sebastian.

 

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Capitolo 14
*** Giorno 14 — Grembiule ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 14: grembiule

 

 

 

[Cooking Classes!AU]

 

 

 

LEZIONI DI CUCINA

2367 parole

 

 

Aisha le aveva dato un ultimatum.

O Bloom imparava a cucinare qualcosa di commestibile e salutare, una volta per tutte, o poteva dire addio ad avere Aisha come compagna di stanza nell’appartamento che l’Università aveva messo loro a disposizione.

Non era stata una scelta difficile, Aisha era la migliore compagna di stanza che le potesse mai capitare: ordinata, educata, cucinava e puliva da Dio. L’unico… difetto, era il suo carattere autoritario. Alcune volte si erano trovate in disaccordo, ma altre volte, come quella, Bloom aveva dovuto tirare fuori il suo lato più maturo e ammettere che a cucinare era proprio una frana. Aveva rovinato infiniti fondi di padelle nel tentativo di grattare via con un coltello i residui di cibo bruciato che si era solidificato in piccole croste temerarie.

Aisha non ci aveva visto più e l’aveva costretta a iscriversi a quel corso di cucina. Lo aveva trovato online e le aveva comunicato che si trattava di un corso di base 1 a 1, della durata di sole sessanta ore, quindi non avrebbe potuto avere la scusa di non trovarsi d’accordo con i suoi compagni di corso o della durata eccessiva degli appuntamenti settimanali.

La mattina della sua prima lezione, aveva trovato un grembiule appeso dietro la porta della sua stanza. La scritta cucita addosso all’indumento bianco recitava: Best Cook Around Here. Accanto, in un cuore, erano state cucite insieme la bandiera Americana e quella del Regno Unito, come a simboleggiare l’amicizia che legava Aisha e lei, ospite in un Paese a lei sconosciuto fino ad allora.

Bloom rise dell’ironia, e non potette fare altro che incassare il colpo. Lo infilò nello zaino che si era preparata, dopo la prima lezione avrebbe dovuto raggiungere l’università per alcune lezioni.

La sede del corso si trovava a poco più di duecento metri dalla sua università, grazie Aisha, quindi organizzarsi in tal senso non si sarebbe rivelato un problema.

 

—ooOoo—

 

Le prime lezioni di base le avevano insegnato già tante cose, ad esempio come non bruciare la cipolla nell’olio e come non scuocere la pasta.

Vivere è imparare, era proprio vero…

Lo Chef che la seguiva ridacchiò sommensamente quando lesse la scritta sul suo grembiule, divertito dall’ossimoro.

«Bel grembiule» le disse, sorridendole sincero.

«È-È un regalo di una mia amica» si affrettò a chiarire Bloom, imbarazzata ma divertita anche lei allo stesso tempo. «Ho rovinato troppi fondi di padella e la mia coinquilina ha perso la pazienza» spiegò più calma, ma con una punta di ilarità ancora presente. «Mi ha iscritta lei» concluse.

«Ah, allora ringraziamo…»

«Aisha» lo aiutò.

«Ringraziamo Aisha per aver salvato tante altre padelle innocenti che sotto la tua mano avrebbero conosciuto la loro precoce disfatta» la prese in giro, ma Bloom non si offese; non ci aveva visto cattiveria nelle sue parole, anzi, era abbastanza convinta che… stesse flirtando con lei? O si stava autoconvincendo di quella possibilità perché era lei la prima a essere attratta da lui?

Non sapeva niente di quell’uomo, solo che si chiamava Sebastian Valtoriano, che era Italo-Irlandese e che era uno Chef Stellato con comunque troppo tempo libero—detto dalla sua stessa bocca. A quanto pareva, aveva molti collaboratori capaci e poteva permettersi di mancare un paio di ore una volta alla settimana.

Bloom ringraziava dal profondo del cuore questi lavoratori e la loro professionalità. Era grazie a loro che lei poteva passare del tempo con lui, seppur sempre troppo breve.

Si era lasciata con Sky da mesi, e pensava che non sarebbe mai riuscita a farsi piacere nessun altro, ma Sebastian… Sebastian era qualcosa di impossibile da ignorare.

A cominciare dal suo accento irlandese sexy. Non ci aveva mai fatto caso prima, ma lui riusciva a rendere attraente qualsiasi parola venisse pronunciata dalla sua bocca. Lo sguardo costantemente intenerito con cui la guardava, quando sbagliava qualcosa o stava per automutilarsi per mancanza di tecnica, le faceva sciogliere le viscere. Era anche sicura di essere rossa in viso, e non solo per via della sua carnagione chiara che si imporporava con facilità alla minima sollecitazione corporea. Ma, finora, Sebastian non aveva fatto commenti al riguardo; seppur l’avesse certamente notato, Bloom non aveva dubbi su questo.

 

Avevano un bel po’ di lezioni alle spalle ormai, con un maestro del genere Bloom non ne aveva saltata neanche una, e quel giorno, visto che si trovavano in autunno inoltrato, le avrebbe insegnato a preparare una vellutata di zucca e patate. L’aveva rassicurata circa la facilità della ricetta, ma pulire una zucca dalla sua buccia era l’attività meno preferita di Bloom, perché ogni volta rischiava di lasciarci un dito.

E come tutte le cose nella sua vita: se qualcosa può andare male, andrà peggio.

Fece troppa forza nel cercare di infilare il coltello nella buccia verde scuro, con striature giallo-bianco, della zucca ovale—i cui estremi verticali erano schiacciati—e rischiò di tagliarsi un pollice. Per evitare che ciò accadesse, Bloom diede una botta con il palmo al retro del coltello, nel tentativo di trafiggerlo in un colpo solo, e la zucca volò via dalla sua postazione, rompendosi in più pezzi sul pavimento e sporcando ovunque.

Bloom volle diventare invisibile in quell’istante.

Si aspettava che Sebastian perdesse finalmente la pazienza, considerato lo scempio che aveva combinato, nonostante le avesse insegnato quale fosse il metodo migliore per trattare le zucche intere, ma ci fu solo silenzio per qualche secondo. Poi, Sebastian rise. Rise di gusto, tenendosi persino lo stomaco e la sua risata roca e calda la tranquillizzò. Non era abituata a quel tipo di reazione, dopo un suo sbaglio. Di solito, urla e insulti seguivano la rivelazione della sua incapacità nel riuscire in qualcosa. Da poco, grazie ad Aisha, aveva scoperto che gli errori potevano essere trattati anche affrontando una discussione aperta e matura. E ora, grazie a Sebastian, stava imparando anche che alcuni tipi di errori, quelli che non ferisco i sentimenti di qualcuno o li danneggiano, posso essere risolti con una semplice risata di divertimento.

«Pulisco subito» si affrettò a proporsi, consapevole che il brodo vegetale era ancora caldo sul fornello e, abbassando di poco la fiamma, avrebbe avuto il tempo di pulire il pavimento, lavarsi bene le mani e tornare alla ricetta come niente fosse accaduto.

«Ti do una mano» le disse, tornando serio e formale ma mai accigliato.

 

Una volta pulito il disastro, e lavato nuovamente le mani e indossato dei guanti, Bloom ritornò al suo banco da lavoro. Era decisa a finire quella diamine di ricetta, le patate erano già pronte da un pezzo, così come il brodo. Fortunatamente non aveva ancora fatto soffriggere la cipolla e le spezie nell’olio, altrimenti la puzza che si sarebbe diramata in tutta la stanza si sarebbe attaccata anche ai vestiti e Aisha avrebbe commentato la sua sfortunata giornata di apprendimento circa le tecniche culinarie.

Non poteva certo farsi sopraffare da una dannata zucca.

«Se permetti, ti aiuto io questa volta» le propose Sebastian, più avanti di lei nella ricetta: aveva già tagliato in cubotti simili sia le patate sia la zucca.

Bloom annuì disperata, le sopracciglia corrucciate e gli occhi leggermente lucidi. Avrebbe dato la colpa alla cipolle se le avesse chiesto qualcosa al riguardo, ma dentro di lei sapeva che, nonostante le rassicurazioni ricevute, era infastidita con se stessa per lo sbaglio stupido e pericoloso.

Sebastian si posizionò alle sue spalle, la sovrastava di venti centimetri buoni, quindi doveva piegarsi leggermente in avanti per riuscire ad afferrare gli utensili nelle mani di Bloom. Le chiese se la loro vicinanza la mettesse in imbarazzo, e, benchè la risposta fosse affermativa, Bloom scosse vigorosamente la testa e gli assicurò che per lei andava bene. Sentiva le guance andare a fuoco e le ginocchia ballare, ma cercò di ricomporsi e ritornare concentrata sulla ricetta della vellutata.

«Metti una mano qui, tienila ferma, brava, e con l’altra afferra questo e, , così. Posiziona la punta e, dopo un’iniziale pressione, inseriscilo all’interno. Mantieni una posizione costante e precisa, in modo da non farlo sgusciare via, esatto…»

Le sue istruzioni dettagliate le stavano creando strane idee nella mente,  portandola a pensare a tutt’altro che alla tecnica per tagliare correttamente una zucca.

«Visto come si fa?» le chiese con ancora le labbra a un millimetro da suo orecchio. Il suo fiato caldo le massaggiava la pelle, infuocandola sempre di più.

«Mhmh» biascicò soltanto, incapacitata a dire altro. Temeva che se avesse parlato, sarebbe fuoriuscito un gemito a voce strozzata. Si tolse i guanti e notò l’altro imitarla.

Sebastian fece per separarsi da lei e ritornare alla sua di postazione, di fronte a lei, in modo che—tecnicamente—copiasse i suoi movimenti, ma Bloom, in uno dei suoi soliti scatti di impulsività, gli afferrò un polso per impedirgli di allontanarsi da lei.

Era la prima volta che lo guardava in faccia da vicino, potette constatare che i suoi occhi erano davvero tanto scuri quanto lo sembravano. Ogni volta la sua mascella era pulita, sebbene Bloom avesse visto sul suo sito personale che Sebastian era in grado di crescere un barba folta, e i capelli neri erano portati sempre rasati; saranno stati meno di un centimetro, sei o sette millimetri al massimo. Il naso importante non sfigurava sul suo viso, anzi, elevava la sua bellezza canonicamente ritenuta espressione massima di ciò che rappresenta il maschile.

Lo fissava senza dire una parola, ma non si era creato un silenzio imbarazzante tra di loro. Non si creavano mai. Tutto quello che avevano condiviso era sempre confortevole, aveva un’aria di familiarità e confidenza reciproca.

Sapeva che non avevano molti anni di differenza, il che non guastava, quindi non si sentì vittima della mancanza di “professionalità” mostrata da Sebastian. Era abbastanza matura e vaccinata da sapere quello che stava facendo e quello che voleva da lui. Era inoltre consapevole di non essere stata mai troppo discreta nel guardarlo durante i loro incontri di cucina, e lui non sembrava aver disdegnato le sue attenzioni.

Bloom fece un piccolo passo verso di lui, abbassando il suo sguardo dagli occhi dell’altro alle sue labbra, e quella mossa sembrò tutto ciò di cui Sebastian sentiva il bisogno per procedere.

Si abbassò su di lei, tenendole le guance accaldate tra le sue grandi mani, altrettanto calde, oltre che forse più belle di quelle del David di Michelangelo, e la baciò con trasporto. Bloom slaccio in fretta i grembiuli a entrambi, tenendo gli occhi ancora chiusi, concentrata nel bacio, e cominciò a infilare le sue mani sotto il maglione di Sebastian. Era perfetto anche lì, toccò di sfuggita la peluria sul suo addome e improvvisamente era desiderosa di sapere fin dove e come si estendesse sul resto del suo corpo dall’aspetto sobrio e salutare.

Sebastian fu più esplicito, perché passò le mani sul suo sedere e le schiaccio il bacino sul suo, facendole sentire lo stato della sua eccitazione.

I vestiti dovevano scomparire.

«Prendimi qui, su questo tavolo» gli disse tra un bacio e l’altro, ansimando.

Gli slacciò il bottone dei pantaloni neri e tirò giù la zip. Infilò una mano nell’elastico della biancheria nera e toccò finalmente con mano la grandezza di Sebastian.

Bloom era così bagnata, che probabilmente sarebbe riuscita a far entrare dentro di sé persino quel pene enorme.

Sebastian non se lo fece ripetere due volte.

L’afferrò dalla vita con una presa ferrea e l’adagiò sul banco da lavoro pulito dietro alla postazione di Bloom. Il marmo freddo le fece venire la pelle d’oca.

Continuando a baciarsi senza sosta, le alzò l’estremità del vestito blu con la fantasia a fiori bianchi e si posizionò in mezzo alle sue ginocchia. Bloom gli avvolse il bacino con le cosce, volendolo sentire più vicino possibile. Si strusciava come poteva su di lui, per fargli capire lo stato della sua impazienza.

Sebastian le accarezzava la pelle scoperta delle cosce, poi si tirò leggermente indietro dal bacio. Poggiò la fronte su quella di Bloom.

«Mi spiace, amore, non ho un preservativo con me»

«Prendo la pillola» disse Bloom svelta, riprendendo subito a baciarlo. Venne allontanata una seconda volta.

«Sei sicura di voler rischiare?» le chiese serio, tenendole una guancia con la mano libera. Le massaggiava le lentiggini sparse sul volto con un pollice, guardandola negli occhi.

«Io sono sicura» gli disse, ricambiando la sua serietà e appoggiando la sua mano minuta su quella dell’altro sulla sua faccia. «Tu?» ricambiò la domanda.

Le sorrise. Tornò a baciarla, se possibile più famelico di prima.

Si abbassò con le ginocchia a terra, liberandola dagli slip nel tragitto e conservandoli nella tasca posteriore dei suoi pantaloni. Quel gesto procurò uno spasmo visibile all’intimità di Bloom. Sebastian le depositò un bacio sulla parte laterale interna di un ginocchio. Le mani le accarezzavano le cosce, nel mentre che saliva con i suoi baci bagnati, fino a lasciare segni di morsi eloquenti, che sarebbero diventati lividi.

Bloom piegò la testa di lato, gli occhi socchiusi, e si teneva eretta con un palmo sudato appoggiato al piano del tavolo. Afferrò una mano di Sebastian per incitarlo nell’andare oltre.

Sebastian la prese in parola e le alzò le cosce dalla superficie infilando i suoi avambracci sotto di esse. Bloom fu portata a stendersi sulla schiena, sebbene si tenesse leggermente elevata appoggiandosi ai gomiti. Con le mani si slacciò il reggiseno con la chiusura anteriore e si abbassò il tessuto morbido del vestito per liberare i suoi seni. Se li massaggiò, disperata per una stimolazione sempre maggiore e vide lo sguardo di Sebastian trasformarsi da in mezzo alle sue cosce.

Immerse la faccia nei suoi umori e la divorò con lussuria, le mani viaggiarono da sotto di lei fino al suo busto, arrivando a inglobare il suo sottoseno e giocarci come se quello fosse un passatempo a lui familiare.

Bloom cacciò la testa indietro, ansimando ogni qualvolta Sebastian le risucchiava il clitoride gonfio e con una mano gli agguantò il maglione, in un chiaro segnale. Sebastian si separò da lei quei secondi necessari che gli permettessero di liberarsi dell’indumento, e Bloom piagnucolò l’assenza della sua presenza su di lei. Presto se lo ritrovò addosso, il petto ricoperto di peli, come Bloom aveva sospettato, e il modo in cui la guardava dall’alto, mentre lei era stesa, completamente a sua disposizione, sul tavolo, lo faceva apparire come un predatore primordiale e affamato.

Affamato di lei

 

 



















Note: voi siate più saggi di Bloom e Sebastian, mi raccomando. Mi riferisco soprattutto alle lettrici e ai lettori più giovani.

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Capitolo 15
*** Giorno 15 — Lento ***


Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 15: lento

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

AUTORE IN CERCA DI ISPIRAZIONE

1241 parole

 


«Amore, indossa questi per favore» le disse improvvisamente Sebastian, lanciandole in grembo un paio di guanti bianchi lunghissimi. Bloom li afferrò prima che scivolassero al suolo e se li infilò senza fare storie, seppur si fosse già fatta un’idea dello scopo per cui suo marito la stava coinvolgendo. I guanti le arrivavano a metà braccio, superando l’angolo del gomito, ma per il resto erano comodi ed eleganti; per un istante, ebbero il potere di trascinarla in una realtà diversa.

«Miss Bloom Peters, posso avere l’onore di questo ballo?» le chiese Sebastian, imitando in maniera esagerata i modi eleganti che si avrebbero a un ballo ottocentesco inglese.

«Sebastian--» il suono di una forte tosse artefatta interruppe la sua frase. Bloom ruotò gli occhi al cielo, divertita.

«Mr. Valtoriano, siamo già sposati. Perché mi definisce una “miss”?»

«Fingiamo di essere nella Londra del 1890 e che questo sia il nostro primo incontro formale, dopo mesi di occhiate rubate con riserbo» le disse, porgendole una mano per invitarla ad alzarsi e seguirlo al centro della sala da ballo: cioè il loro salotto risicato dalla pianta dell’open-space che avevano in affitto.

«È per uno dei tuoi libri?» gli chiese sorridendo, mai davvero sorpresa delle uscite di suo marito.

Sebastian si limitò ad annuire, con il palmo aperto rivolto verso di lei, anch’esso ricoperto dalla stoffa dei guanti, e attendeva la sua risposta. Nel momento in cui Bloom l’avesse accettata, sarebbero entrati nella parte di una dama e un cavaliere al loro primo ballo insieme.

Suo marito, Sebastian, era principalmente un attore di teatro, ma si destreggiava nello scrivere romanzi storici. Ogni qual volta che era bloccato nella scrittura, metteva in scena, tra le pareti del loro appartamento, le fantasie che gli frullavano nella testa, al fine di trovare l’ispirazione per tornare a scrivere.

Bloom accettò finalmente la sua mano, in realtà per la seconda volta, contando anche il loro matrimonio, e ben presto si trovarono a volteggiare soavi sulle note di un walzer lento che conosceva a memoria: un componimento di Verdi nella versione per pianoforte.

Si erano persi la parte iniziale, presi dai loro giochi di coppia, ma la grazia e l’agio con cui ballavano uno nelle braccia dell’altro, li avrebbero sicuramente, al tempo della Regina Vittoria, resi il centro dei pettegolezzi dell’intera nobiltà presente al ballo. I loro corpi erano troppo vicini, i loro bacini non temevano il contatto con l’intimità coperta dai vestiti, e il loro sguardi raccontavano mille storie iniziate e finite sotto delle coperte.

Non c’era nulla di consono nel loro atteggiamento. Presi dalla loro complicità, avevano presto dimenticato i ruoli che avrebbero dovuto interpretare e si stavano dedicando a costruire il climax perfetto per spostare quei passi di danza nel loro letto matrimoniale.

La canzone terminò con una figura che vedeva Bloom appesa con una mano al collo di Sebastian e con una mano di lui dietro la schiena di lei, mentre l’altra le teneva il retro di un ginocchio.

Si guardarono negli occhi così intensamente, che ben presto la musica in un ciclo continuo si attenuò alle loro orecchie e Sebastian calò lentamente il corpo di Bloom a terra, sul parquet. La intrappolò tra le sue braccia, distendendosi su di lei, come a sua moglie piaceva tanto, e cominciò a baciarla lungo il collo. Si guadagnò le mani ancora guantate di Bloom nei suoi capelli neri e corti. Gli tirava i piccoli ciuffi, implicitamente chiedendo di più. Sebastian fece per trascinarla di nuovo in piedi, per portare quell’attività sul morbido materasso che era costato loro un occhio della testa, ma Bloom lo attirò di nuovo a sé, facendolo quasi cadere su di lei.

«Qui, ora» gli sussurrò a fior di labbra. Sorridendogli melliflua, continuò quella farsa chiaramente mal riuscita da parte di entrambi: «Sebastian, posso chiamarla così? I miei sensi sono sconvolti in sua presenza. Solo lei può aiutarmi a trovare una cura». Così dicendo, si tolse entrambi i guanti infiniti e li buttò a una distanza non meglio precisata sopra la sua testa ramata.

Gli occhi di Sebastian luccicarono di lussuria a quel gesto.

«Miss Bloom, conosce il significato del gesto che ha appena compiuto?» le chiese, aspettandosi ingenua ignoranza da parte di sua moglie.

«Sì, Sebastian, conosco bene l’etichetta del corteggiamento. L’ho letta in uno dei libri di un autore forse a lei familiare» rispose lei con voce calda e accarezzandogli la barba folta. In epoca Vittoriana, l’aspetto di Sebastian sarebbe stato considerato conservatore.

«Ah, capisco. E le piace questo autore, Miss Bloom?»

«Molto, vorrei conoscerlo, un giorno» ridacchiò sul finale Bloom. Provò a baciarlo, ma Sebastian si tirò indietro con un sorriso tirato. Lei assunse un’espressione confusa, un po’ capricciosa anche. Non le piaceva essere rifiutata, suo marito lo sapeva bene.

Sebastian la baciò quindi con studiata lentezza, impedendo alla lingua di Bloom di prendere il controllo e invogliarlo a rendere quel bacio simile a quelli pregni di passione che erano soliti dedicarsi.

Probabilmente stanca di quel gioco, Bloom gli pizzicò un capezzolo, facendolo sussultare.

«Non è educato far attendere una signora, Sebastian» gli disse guardandolo fisso negli occhi. La pupilla era completamente dilatata, lasciando poco spazio all’iride azzurro cielo di Bloom.

«Me ne dispiaccio, Miss Bloom. È mio dovere rimediare» disse Sebastian. E con quella frase concluse la loro scena, resa irrealistica dalle moderne tecniche di corteggiamento.

La baciò come a lei piaceva, e anche a lui, e si tolse i guanti a sua volta. Sospirò di piacere quando finalmente potette toccare con mano la pelle liscia di sua moglie, al di sotto della maglietta estiva troppo grande per lei. L’aveva “presa in prestito” da lui quella stessa mattina.

Senza perdere tempo, erano entrambi troppo eccitati per i preliminari, si sfilò i pantaloni quel tanto che bastava per tirare fuori la sua svettante erezione e penetrarla lentamente, facendole sentire ogni singolo centimetro con cui la penetrava. Era la sua parte preferita: vederla boccheggiare intorno alla sua grandezza; si immaginava già il finale di quella scena, in cui le infilava il cazzo bagnato degli umori di entrambi in bocca e le ordinava di pulirlo a dovere con la lingua. Erano le uniche volte in cui Bloom accettava degli ordini, e solo da lui. Chiunque altro ci provasse finiva vittima della furia esplosiva di Bloom, Sebastian l’aveva visto con occhio nudo.

Ansimavano entrambi, vicini al culmine, si trattava solo di venire insieme oppure di battere l’altro sul tempo. Sebastian pompava in lei sempre alla stessa velocità, ormai consapevole dell’andatura da adottare per far venire Bloom. Al contrario dei baci, che dovevano essere violenti e sporchi, quando giungeva verso il culmine del suo orgasmo, a Bloom piaceva che la penetrazione si svolgesse sempre più lentamente, ma arrivando fino in fondo, in modo da prolungare il più possibile il piacere. Una volta raggiunto il suo piacere, Sebastian poteva posizionarle le caviglie sul suo petto e, tenendole le gambe chiuse, entrava e usciva in lei come posseduto, finché non la riempiva del suo seme.

«Sto venendo…» bisbigliò Bloom, quasi che Sebastian rischiò di non sentirla.

Si massaggiava i capezzoli turgidi e si mordeva il labbro inferiore, pronta alla serie di orgasmi che sapeva sarebbero arrivati a breve. Era come in uno stato di pacata estasi. Ansimava tra un respiro e l’altro, non distogliendo mai lo sguardo dagli occhi neri di suo marito.

«Anche io, amore» le disse, prima di esplodere in lei, accompagnandola nell’orgasmo.





Sebastian avrebbe dovuto inventarsi un altro modo per finire di scrivere il suo prossimo romanzo vittoriano…

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Capitolo 16
*** Giorno 16 — Vetro ***


 

Note Importanti: sconsiglio la lettura alle lettrici e ai lettori troppo giovani e/o sensibili. La lettura di questo testo potrebbe triggerare chi ha vissuto situazioni simili in real life. Ho cercato di non andarci giù troppo pesante, ma, allo stesso tempo, non mi sentivo neanche di edulcorare la tematica né mi permetterei mai di romanticizzarla (al massimo, troverei una maniera catartica per affrontare il tema nella scrittura, ad esempio usando il CNC e affini). Quindi il risultato è una OS un po’ pesante, da scrivere e da leggere; soprattutto per chi ha vissuto dinamiche del genere sulla propria pelle.

Fino all’ultimo sono stato tentato di cancellare quello che avevo scritto e sviluppare questo prompt (vetro) nella maniera più letterale. Ad esempio, scrivendo di Bloom che impara l’arte della soffiatura del vetro dal Maestro Vetraio Sebastian, a Venezia, ma alla fine ho voluto optare per l’usare questo Writober 2023 anche per raccontare le anime di coloro che hanno vissuto momenti traumatici come quello che state per leggere. Spero di aver fatto un buon lavoro, almeno nelle intenzioni. Mi ha abbastanza svuotato scrivere questa breve OS.

Oltre a darvi il mio conforto virtuale, non saprei cos’altro aggiungere—che non sia banale.

Sappiate solo che il problema non siete voi, non lo siete mai state/stati. La responsabilità di quello che vi è accaduto non è vostra, ma di chi si è approfittata/approfittato del vostro tempo e della vostra vulnerabilità.

Vi auguro ogni bene.

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 16: vetro

 

 

 

[Stalker!AU]

 

 

 

STALKER

3005 parole


 

Era tornato a disturbarla anche durante le ore del giorno. Non bastava aver contaminato i suoi sogni? O per meglio dire, incubi.

 

Puttana” recitava la scritta in stampatello sul vetro tirato a lucido dello specchio dalla cornice barocca. Aveva usato un rossetto rosso, probabilmente quello che da giorni Bloom non trovava più nella sua trousse e pensava di aver perso.

Erano passati tre anni dal suo ultimo messaggio. Sembrava essersi stufato di lei, perché non le aveva più mandato né messaggi sessualmente espliciti né fotografie che la ritraevano mentre dormiva nel suo letto o passeggiava con le sue amiche o, ancora, mentre faceva la fila da qualche parte. Pensava si fosse arreso, che magari fosse morto, o, egoisticamente, Bloom aveva sperato che chiunque fosse il suo stalker—dai messaggi sembrava riferirsi a sé come un uomo—si fosse spostato su un’altra vittima.

Bloom ci aveva messo un po’ di tempo a definirsi una vittima. La parola suggeriva impotenza, e a Bloom non era mai piaciuto sentirsi impotente. Ora più che in passato, dopo quello che era accaduto quei fatidici tre anni fa.

All’inizio si dava ogni colpa: di averlo in qualche modo giustificato, di essere stata troppo dura con lui e questo lo aveva spinto a vendicarsi su di lei, di aver fatto a sua volta del male a qualcuno vicino a lui e che quello che le stava accadendo fosse un modo per pareggiare i conti e farle capire come ci si sente. Ma, pensandoci bene, era giunta alla conclusione che niente di quello che poteva aver fatto nei suoi miseri sedici anni di vita, potesse giustificare un simile trauma.

 

Era iniziato tutto il primo giorno di iscrizione in palestra…

 

—ooOoo—

 

Aveva appena finito le sue due ore e, cambiatasi in fretta solo le scarpe, si rifiutava di condividere lo spogliatoio con donne adulte che non si facevano problemi a camminare nude di fronte a delle adolescenti—era bastata l’esperienza avuta quando li aveva usati due ore prima, per cambiarsi appunto le scarpe e indossare quelle adatte alla palestra. Avevano la suola immacolata e le usava solo all’interno, per non sporcare gli attrezzi.

Era arrivata da poco in Irlanda, aveva iniziato a frequentare la scuola cattolica da alcune settimane. Non aveva ancora fatto chissà quali conoscenze, figuriamoci amicizie, quindi aveva chiesto ai suoi genitori adottivi di potersi iscrivere in palestra. Non era mai stata in una professionale, neanche in America, dove era nata, ma aveva creduto che l’avrebbe distratta dai pensieri e dato una valvola di sfogo per la frustrazione e rabbia costante che la caratterizzava fin dall’infanzia.

 

Salutò lo staff della palestra, il personal trainer che la seguiva, si diresse alla fermata dell’autobus a cinquanta metri dalla struttura e salì di tutta fretta sull’autobus per tornare a casa. Scese a qualche fermata prima di quella più vicina a casa sua, era una misura di sicurezza che era solita prendere, ma evidentemente non aveva funzionato granché. Si fermò cinque minuti in un piccolo negozio di alimentari per acquistare un’altra bottiglietta d’acqua e una barretta proteica.

In resto del tragitto verso casa se lo fece a piedi. Entrò dalla porta d’ingresso e, dopo aver salutato tutti con un “sono a casa” ad alta voce, si diresse in camera sua per spogliarsi e infilarsi sotto il getto dell’acqua calda.

Uscendo dalla doccia, notò che la finestra della sua camera era aperta e che i vestiti sudati che aveva lasciato sul parquet erano spariti. Al tempo, non ci prestò troppa attenzione. Quella sera, litigò con sua madre adottiva perché Bloom l’accusò di essere entrata, per l’ennesima volta, in camera sua e aver messo mano alle sue cose, quando invece Bloom aveva ribadito più volte che preferiva farsi la lavatrice dei suoi vestiti da sola.

«Ero appena uscita dalla doccia, hai lasciato la finestra aperta e con il vento che tirava rischiavo di prendermi un accidente!» le disse, visibilmente agitata.

«Ti sto dicendo che io in camera tua non ci metto piede da anni»

Bloom le aveva dato le spalle e aveva alzato gli occhi al cielo, non credendole neanche per un secondo. Perché, crederle, significata ammettere a se stessa la possibilità che qualcosa di strano le fosse accaduto.

Poi erano iniziati i messaggi.

Messaggi che davano un voto a come era vestita quel giorno, che la sgridavano se era vestita “troppo provocante” per la sua età o le dicevano, neanche suggerivano, come avrebbe dovuto vestirsi la prossima volta che avesse messo piede fuori di casa. Messaggi che descrivevano nel dettaglio cosa l’anonimo avrebbe voluto farle quando la vedeva.

Bloom lo aveva creduto uno stupido scherzo, all’inizio. Uno scherzo inquietante, certo, ma sempre una trovata infantile da parte di qualcuno che era riuscito in qualche modo a ottenere il suo numero di telefono.

Poi si era passati alle foto.

Foto esplicite, personali, sue o del suo stalker. Foto che la ritraevano sotto la doccia o mentre dormiva.

Fu lì che Bloom cominciò ad aver davvero paura e a capire che non poteva essere solo uno scherzo. Nessuno che voleva fare solo uno scherzo si sarebbe spinto fino a quel punto, giusto?

Non aveva mai risposto a nessuno dei suoi messaggi. Sapeva che sarebbe stato inutile, o che comunque avrebbe mentito.

Per via della natura dei messaggi e delle foto, Bloom non se l’era sentita di rivolgersi alla polizia. Avrebbero aggiunto fuoco all’umiliazione, e Bloom non voleva che chiunque altro venisse a conoscenza di quel suo segreto.

“Con un po’ di fortuna—aveva pensato, sperando che quella situazione si sarebbe risolta da sola—e vedendo che non gli do corda, potrebbe stufarsi e smetterla. Capire che questi non sono i tipi di scherzi che fanno ridere, che mi sta molestando e creando dei traumi...”

 

—ooOoo—

 

In effetti, dopo un paio di mesi il suo stalker aveva smesso le sue giornaliere molestie.

Bloom era stata sollevata. La sua vita era ritornata quella di prima, seppur con una costante aura di essere in pericolo a farle venire i brividi ogni qual volta si sentiva osservata o si svegliava da un incubo in cui il suo stalker si intrufolava di notte nel suo letto, la drogava e abusava del suo corpo.

Quei pensieri erano rimasti con lei per tutti quegli anni, ma lentamente stavano venendo sostituiti da altri più felici.

Aveva avuto un ragazzo per circa un mese, Sky. Si trovava bene con lui, ma c’era sempre quella sensazione di potersi trovare in pericolo quando da sola con un uomo.

Si erano lasciati da qualche giorno.

 

Quella mattina si era svegliata e nel suo trilocale, ricevuto in eredità dai suoi genitori adottivi, regnava il silenzio. Tutto sembrava al suo posto, nulla fuori dall’ordinario aveva attirato la sua attenzione mentre si dirigeva in cucina. Aveva fatto colazione come al solito, leggendo le notizie del giorno e sfogliando il carosello di nuove foto dal profilo social di un ragazzo che aveva attirato la sua attenzione all’Università. Lo aveva visto per la prima volta solo qualche giorno fa, il suo primo giorno di lezioni, ma era incredibilmente tentata di presentarsi a lui e chiedergli di fare colazione insieme. Non voleva “spiarlo” per mesi, nella speranza che fosse lui ad accorgersi di lei. Le sembrava sbagliato, si sarebbe sentita in qualche modo simile allo stalker che aveva avuto lei in passato. Non era una bella impressione da lasciare a qualcuno per cui si ha un innocuo interesse.

Il ragazzo si chiamava Sebastian e frequentavano alcuni corsi insieme, sapeva solo questo. Non aveva idea di che età avesse, ma non poteva avere qualche anno più di lei, forse venticinque o ventisei anni.

 

Aveva fatto la doccia, si era vestita, truccata, sistemato i capelli e indossato le scarpe per uscire. Dopo quello che le era accaduto, aveva cominciato a indossare le scarpe anche quando era in casa, nel caso dovesse scappare a seguito di un intruso in casa sua. Se veniva invitata in casa di persone nuove, chiedeva sempre se avrebbe dovuto rimuovere le scarpe. Se la risposta era sì, Bloom si inventava una scusa e declinava l’invito. Dopo un paio di rifiuti, quelle stesse persone avevano smesso di invitarla, probabilmente convinte che la loro compagnia non fosse gradita a Bloom. Si sentiva in colpa di come faceva sentire le persone, ma allo stesso era un istinto più forte di lei. Se non si fosse protetta lei, chi lo avrebbe fatto al posto suo?

Esatto.

Bloom indossò la giacca che aveva lasciato la sera prima agganciata all’attaccapanni all’entrata e aveva recuperato le chiavi della sua macchina dal piccolo e sottile mobile all’entrata.

Fu in quel momento che la scritta sul vetro dello specchio le fu visibile.

Si pietrificò sul posto.

Che fosse la stessa persona di tre anni fa? La calligrafia sullo specchio sembrava simile a quella dei bigliettini che aveva trovato ogni mattina sotto il suo cuscino o dentro lo zaino scolastico.

Afferrò la statuetta decorativa sul ripiano del mobile e colpì ripetutamente lo specchio davanti a lei. Si frantumò in mille pezzi, intricandosi in una ragnatela di spaccature incongruenti, fino a crollare lungo la superficie della parete e raccogliendosi in parte sul tavolino e in parte sul pavimento. Bloom si era procurata qualche graffio, ma niente di grave. Gli occhi le si inumidirono e cominciò a mancarle il respiro.

La stanza ruotava e si stringeva contemporaneamente intorno a lei. Le orecchie le fischiavano e del sudore freddo le scorreva lungo la schiena. Si abbassò sui talloni, fino a toccare con il sedere il pavimento freddo in marmo.

Quella mattina non uscì di casa.

Non uscì di casa neanche i giorni successivi.

Si era chiusa in se stessa, aveva abbandonato l’Università e aveva preso a lavorare come babysitter a tempo pieno. Ogni giorno era in una casa diversa. Meno tempo passava in casa propria, meglio era per la sua salute mentale.

Non usciva più con le sue amiche, Stella e Aisha. Non usciva più in generale, non oltre le necessarie commissioni atte a sopravvivere. Si incappucciava fino alla cima dei capelli, nascondendo la sua chioma ramata in un cappello di lana. Era inverno, quindi vestirsi a strati ingombranti non straniva nessuno. Il vento su quella costa Irlandese non era da sottovalutare.

C’erano delle notti, quando non lavorava, in cui si recava agli strapiombi. Osservava gli scogli e le onde create dal mare impetuoso e pensava.

Pensava a cosa sarebbe successo se si fosse buttata di sotto.

Si chiedeva se sarebbe morta sul colpo o se avrebbe sofferto a lungo prima che la vita in lei l’abbandonasse definitivamente.

 

La voce roca e calda di un uomo alle sue spalle la distrasse dalla sua disperazione.

Le sembrava di riconoscerla, ma probabilmente era solo la sua mente che le faceva brutti scherzi. Non era possibile una coincidenza tale.

Si voltò di scatto, sorpresa di non essere più da sola con i suoi tormenti.

«Ti conosco?» gli aveva detto, sull’attenti.

«Ah, mi chiamo Sebastian».

Quindi era davvero chi Bloom aveva sospettato che fosse. Quell’isola era relativamente piccola, in fondo.

«Io sono Bloom, frequentavamo la stessa Università» gli rivelò subito. Sarebbe stato imbarazzante fare le presentazioni ora, senza menzionare che di sfuggita si conoscevano già.

«Ah, non ti avevo riconosciuta» le disse, avvicinandosi di un passo. La luce della luna gli illuminò il volto.

Bloom aveva una cotta per lui, ma sul momento si rese conto che risultava ridicolo focalizzarsi su quell'aspetto, dopo ciò che le stava accadendo. Fece un passo indietro. Sentiva il vento sferzare sulla sua schiena. Era pericolosamente vicina al bordo, lo sapeva anche senza voltarsi. Sembrava averlo notato anche Sebastian, perché cercò di farla ragionare.

«Potremmo andare a prenderci una cioccolata calda, che dici?» le propose. «Conosco un posticino tranquillo e confortevole. Fa freddo qui, no?» disse, tentando di riportarla in una zona sicura.

Bloom apprezzò il gesto. A quanto pareva, ricevere aiuto era tutto quello di cui aveva bisogno in quel momento.

 

Presero quella cioccolata calda e parlarono del più e del meno, impegnandosi a evitare di parlare del perché Bloom si trovasse così vicina a quello strapiombo, di notte, da sola.

«Tu cosa ci facevi lì?» volle sapere comunque Bloom.

«Facevo visita a un amico» le rispose sorridente.

«Amico o… amica? Se non sono indiscreta» chiese ridacchiando, fingendo di essere semplicemente una persona pettegola. Quella cotta che provava per lui non si era assopita del tutto, a quanto pareva.

«In realtà», disse lui, «è a malapena una conoscente»

«Ma a te piace, deduco, da come ne parli» rifletté Bloom, tornando seria. Come aveva potuto pensare di piacere a qualcuno come lui? Non importava da quanti anni Bloom vivesse lì in Irlanda, per tutti rimaneva una straniera: l’americana. Neanche i suoi capelli rossi riuscivano a “ingannare” le persone, appena la sentivano parlare, il suo accento sporco la portava allo scoperto.

«Mi hai scoperto». Un sorriso colpevole gli decorò il volto rassicurante, e rivolse il suo sguardo prima alla tazza di cioccolata calda che aveva in mano e in seguito a lei, mentre ne consumava il suo contenuto. «Lei non mi vede in quel modo» rivelò.

«Te lo ha detto lei?» gli chiese, curiosa della sua insicurezza.

«Non c’è stato bisogno. Sono invisibile per lei...»

«Questo non puoi saperlo se non glielo chiedi» lo confortò. Nonostante anche a lei piacesse Sebastian, sarebbe stato crudele allontanarlo dalla ragazza che, invece, sembrava piacere a lui.

«Dici che anche lei è interessata a me?» le chiese, gli occhi neri le penetrarono l’anima. Le mani erano avvolte intorno alla tazza in ceramica, a parte qualche sorso di tanto in tanto, Sebastian non aveva bevuto granché della bevanda.

Bloom, al contrario, frettolosa di scaldarsi, l’aveva finita in meno di tre-quattro sorsi sostanziosi.

«Non lo so, non la conosco, ma chiedere non costa nulla. Al massimo ti dirà di “no” e amici come prima, giusto?» gli fece presente.

«Giusto…» le rispose, ma non sembrava troppo convinto.

 

Sebastian si offrì di accompagnarla a casa, e Bloom, presa com’era da lui e dalla sua presenza, si era decisa a fidarsi. Era dovuta andare contro a tutto quello che le stava urlando la sua mente, c’era anche il rischio che, tornando a casa, il suo stalker le avesse lasciato qualche altro messaggio o segnale, ma forse era arrivato il momento giusto di chiedere aiuto. Sebastian sembrava una persona carina e premurosa, si chiedeva se, conoscendo il passato di Bloom, l’avrebbe aiutata oppure giudicata, evitata per paura che lo stalker se la prendesse anche con lui.

Bloom aveva una gran confusione in testa. Si sentiva improvvisamente stanca, dedusse che fosse l’effetto dell’adrenalina che piano piano stava scemando.

Arrivarono alla porta di casa di Bloom e lo invitò a entrare. Sebastian, chiedendole conferma, le disse che non voleva disturbarla, vista l’ora. La guardava dall’alto, con le palpebre semi-calate e il mento all’insù.

«Solo per vedere un film» gli aveva risposto, con una scusa, Bloom, ma in realtà sperava nella compagnia di un uomo dalla stazza di Sebastian, in modo da sentirsi protetta. In passato, mai avrebbe permesso a una persona di sesso maschile di rimanere sola con lei, ma quella sembrava essere la serata dei contrari per lei. Si stava comportando come mai si sarebbe comportata in presenza di altri. Sebastian aveva un che di magnetico dalla sua parte, desiderava la sua presenza. Parlare con lui era stimolante e sembrava quel tipo di persona che non avrebbe fatto del male a una mosca.

Chiuse la porta alle sue spalle con uno scatto e sollecitò Sebastian a lasciare il suo cappotto sull’attaccapanni.



«Puttana» sentì dire alle sue spalle. La voce apparteneva alla stessa persona con cui aveva parlato fino a quel momento, era solo più roca e consumata, come se stesse trattenendo una selvaggia offesa.

Il corpo di Bloom si immobilizzò, collegando finalmente tutti i puntini.

«Sei rimasta la stessa di anni fa. Anzi, sei peggiorata. Far entrare un estraneo in casa tua… Puttana» continuò a ripetere con cattiveria Sebastian.

Bloom provò a riaprire la porta, per scappare, ma un bracciò spuntò da sopra la sua testa e trattenne la porta chiusa. Il corridoio era troppo piccolo per riuscire a sgusciare via, ma doveva tentare lo stesso, non poteva dargliela vinta così facilmente.

Pensò di essere stata abbastanza veloce, ma Sebastian l’agguantò come fosse una bambina che sta facendo i capricci in mezzo al parco perché non vuole tornare a casa.

Provò a prenderlo a calci, pugni, urlava di lasciarla andare, ma Sebastian si limitò a portarla in camera da letto. Era come se conoscesse già la pianta di casa sua; quel pensiero la inorridì, riportandole alla mente tutto quello che il suo stalker, che ora aveva un nome, le aveva fatto passare in tutti quegli anni.

Si attaccò con le mani e poi con le unghie allo stipite della porta, ma venne strappata da esso con facilità e lanciata come una bambola sul letto matrimoniale.

Sebastian chiuse a chiave la porta della stanza.

Bloom provò contemporaneamente a uscire dalla finestra, ma un braccio di ferro l’afferrò prima che riuscisse a infilare una gamba nella finestra appena aperta. La strattonò per i capelli e la condusse di nuovo al letto.

Quella sua improvvisa mutezza la turbava più delle molestie in sé. Lo faceva apparire come un’entità giudicante, che la sovrastava dall’alto. I capelli neri, la pelle arrossata, se dal freddo o dall’eccitazione Bloom non voleva saperlo, il maglione e i pantaloni neri contribuivano a dargli l’aspetto di una creatura ultra-terrena; venuta a tormentarla.

«Lasciami! Lasciami, malato del cazzo!» gli urlava contro, mentre tentava di legarle i polsi con delle fascette già pronte che teneva conservate in tasca. Bloom aveva pensato che fosse un portachiavi, mai avrebbe sospettato che Sebastian si fosse portato quelle manette di fortuna in bella vista—sotto il tessuto pesante dei pantaloni.

Nulla di quello che gli diceva o faceva sembrava turbarlo, aveva un’espressione seria e concentrata nell’incapacitarla nei movimenti.

«Perché io? Che cosa ti ho fatto?» gli chiese, disperata di rabbia e impotenza. «Rispondimi!»

 

Neanche quella supplica lo convinse a rivolgerle la parola, fornirle una spiegazione circa quello che le sarebbe capitato di lì a poco.

Bloom era vittima di un crimine di cui non conosceva l’origine.

 

Cosa c’è di più crudele dell’indifferenza di fronte al dolore impartito ad altri?

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Capitolo 17
*** Giorno 17 — Tradimento ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 17: tradimento

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

PROMESSA

676 parole

 

 

«Se ti unissi a me… avresti tutte le risposte che hai sempre cercato, Bloom».

 

Era bastata quell’unica frase di Sebastian per convincere Bloom a passare dalla sua parte, tradire tutto quello per cui si era battuta fino a quel momento: la sicurezza delle sue amiche, della scuola, dell’intera dimensione magica e delle fate che l’abitavano, vendicare quelle che erano state brutalmente private dei loro poteri. La morale di ferro che Bloom aveva brevemente creduto di aver rafforzato negli ultimi tempi, si rivelò essere una mera costruzione atta ad adempiere alle norme sociali preimpostate persino nell’Oltremondo.

 

—ooOoo—

 

Combattere contro i suoi simili non era l’azione più facile che avesse mai compiuto.

Servì tutta la sua determinazione per spegnere i sentimenti e guardare Alfea bruciare al suolo senza pietà. Nessuna unione delle fate dell’acqua poteva spegnere il fuoco feroce e indomabile che era la Fiamma del Drago. Non le interessava neanche se all’interno fosse rimasto qualcuno.

Tutto ciò che non la riguardava direttamente, che non le avrebbe permesso di scoprire più informazioni circa le sue origini, il suo passato, i suoi veri genitori, non le interessava. Si rese conto di essere troppo egoista per curarsene davvero e farsene un problema di spirito.

Aveva finto troppo a lungo di essere qualcuno che semplicemente non poteva più permettersi di essere.

 

Le parole di Sebastian l’avevano aiutata a riflette molto. Riguardo se stessa e anche riguardo quella Guerra in corso tra fate, sue ex compagne, e le streghe del sangue, la gente di Sebastian che si stava ribellando a secoli di ghettizzazione e umiliazioni.

Bloom poteva capirli, quelli come Sebastian. Per sedici anni aveva vissuto quella stessa vita.

Allontanati e tenuti sottocchio allo stesso tempo, decimati per timore che all’improvviso potessero perdere il controllo e pretendere che il comando passasse nelle loro mani. Ed era esattamente quello che stava accadendo.

Se emargini qualcuno solo perché diverso da te, alla fine quello stesso emarginato finirà con sentirsi diverso anche da tutto il resto; al di sopra di ogni legge morale.

 

«Non farti venire sensi di colpa» le sussurrò Sebastian all’orecchio, abbracciandola da dietro, prima di posarle un delicato bacio sul collo.

Sentire la sua voce, ed essere toccata da lui, fece smuovere qualcosa in lei; ma non sapeva bene cosa. Stavano accadendo troppe cose insieme per riuscire ad assimilarle e razionalizzarle tutte quante.

«Manterrai la tua promessa? Se ammettono la resa, non li attaccheremo più, giusto?» gli chiese Bloom, giusto per cambiare discorso—ma non si districò da lui e dal calore che forniva. Non importava quanto Bloom ribollisse costantemente del suo stesso fuoco, era sempre in cerca di ulteriore caloria, di affetto. Era come se non fosse mai abbastanza per lei, come se non lo sarebbe mai stato; non se rimaneva da sola. Bloom odiava la solitudine, ma svariate volte l’aveva dovuta adottare per proteggersi e proteggere gli altri da se stessa e il suo fuoco distruttore. Tuttavia, Sebastian sembrava starle offrendo un’eternità di fuoco, contenuto dalla sua guida. Bloom non avrebbe dovuto rinunciare più alla sua Fiamma del Drago—Sebastian le aveva dato la sua parola—finché lei l’avesse usata per gli scopi indicati da quello che era ormai il suo compagno d’arme. Bloom deduceva che, se entrambi avessero mantenuto la loro parte dell’accordo, lei non avrebbe mai più sentito quel freddo glaciale penetrarle le ossa, non sarebbe rimasta sola neanche per un istante, sarebbe finalmente stata la priorità di qualcuno che aveva reale e incommensurabile interesse e desiderio nei suoi confronti. E solo Sebastian poteva garantirle ciò, perché solo lui aveva il potere per fare simili promesse.

 

«Finché sarai al mio fianco, Bloom, non c’è promessa che non potrò mantenere» le assicurò con voce calda, le labbra a sfiorarle il lobo dell’orecchio.

Le baciò una spalla scoperta e la strinse con più forza sul suo petto, fino a quando la schiena di Bloom non fu completamente spalmata sul corpo di Sebastian; diventando un tutt’uno con l’altro.

Bloom chiuse gli occhi di fronte alla sicurezza che gli stava offrendo, rilasciando un respiro che sembrava aver trattenuto, intrappolato, nei suoi polmoni provati da un intero millennio.

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Giorno 18 — Grappolo ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 18: grappolo

 

 

 

[Greek Mythology!AU]

 

 

 

LA PIETÀ DI ARES

3118 parole

 

 

Bloom lasciò le mura domestiche con una pesante cesta in vimini di abiti che necessitavano di essere lavati. Il fiume più vicino distava almeno dieci case.

Sotto il sole cocente della mezza giornata, il sudore le imperlava la fronte e le guance arrosate. La pelle lasciata scoperta dalla tunica bianca era ricoperta di chiazze rosse, oltre che di lentiggini. La stoffa del suo vestiario era così consunta, da non assorbire più bene il sudore dietro la schiena. Era in un bagno del suo stesso male, si sentiva affaticata, probabilmente aveva un principio di febbre. Camminare sul terreno impervio non era altrettanto facile, men che meno con i piedi scalzi. I suoi genitori adottivi insistevano sull’idea che dei piedi forti e giovani non dovevano sentire alcun dolore, mentre loro, ormai avanti con l’età, potevano permettersi di indossare calzature. Bloom non era molto d’accordo con il tipo di educazione, insegnamenti, che i suoi genitori adottivi le impartivano, ma quale altra alternativa aveva? Non la facevano uscire quasi mai di casa, solo per sbrigare faccende domestiche, ed era sempre accompagnata da due suoi cugini grossi e minacciosi, quindi quasi nessun ragazzo o uomo le si avvicinava per dirsi interessato a lei. Bloom non capiva del tutto quel comportamento. La sua famiglia non aveva mai mostrato plateali segni di interessamento e affetto nei suoi confronti, non sarebbe quindi stato più logico e naturale “darla via” il prima possibile e ricavarne benefici? Non avevano avuto altri figli oltre a lei, e i soldi avrebbero solo che migliorato le loro condizioni di vita; impoverite dai vizi di gioco e ubriacatura di entrambi i suoi tutori.

Mentre si avvicinava alla corrente del fiume, oltre al suo lento scrosciare, udì le voci delle altre donne—già intente a lavare e strizzare i loro panni. Chiacchieravano tra di loro, ma quando Bloom si avvicinò al nutrito gruppo, calò il silenzio. Solo la natura non aveva smesso di emettere i suoi suoni caratteristici. Le donne la osservarono con pena, come la sua vita fosse una disgrazia iniziata e finita. Solo i suoi distinguibili capelli rossi e le lentiggini le avevano assicurato un’infanzia e un’adolescenza costellata di volatili complimenti al suo passaggio. Per il resto, Bloom era abituata all’indifferenza e quindi alla cattiveria delle persone verso la sua situazione famigliare, ma quella realtà non rendeva meno amara la sofferenza racchiusa nel suo cuore. Ringraziò il cinguettare degli uccelli posati sui rami degli alberi per alleviare il suo imbarazzo in quelle circostanze forzate.

Salutò con un gesto del capo le donne e si mise in un angolino, vicino a un grande masso, pronta a lavare i suoi vestiti e tornarsene il prima possibile a casa—seppur non fosse luogo a lei gradito; nessun luogo le sembrava gradito, né tanto meno gradita da esso stesso e chi lo occupava prima di lei.

 

—ooOoo—

 

All’ennesimo maltrattamento fisico da parte di coloro che avrebbero dovuto garantire la sua incolumità fisica e della mente, Bloom scappò lontana. Più lontano i suoi piedi pieni di piaghe potessero portarla, senza guardarsi mai indietro. Venne seguita per una breve distanza da oggetti lanciati nella sua direzione e imprecazioni veraci, ma Bloom non permise alla vergogna e all’orgoglio di fermare la sua fuga disperata.

 

Arrivata in quello che credeva il cuore del bosco, cercò un riparo per la notte—giunta prima del previsto sulla costa. Nonostante l’oscurità che la circondava, si sentiva in qualche modo osservata. Se quello fosse un principio di pazzia o la febbre, Bloom non avrebbe saputo esprimere un giudizio.

Lungo il tragitto aveva raccolto alcune bacche, ma non sarebbero bastate a lungo, e non poteva cibarsi solo di quelle, lo sapeva bene. Non poteva neanche accendere un fuoco, per non rivelare la sua potenziale posizione a chi poteva starla cercando; anche se sperava che, dopo le prime ore, i suoi genitori adottivi avessero rinunciato a ritrovarla. Pur di non tornare indietro, alla vita, o meglio: la non vita che aveva prima, avrebbe accettato persino la morte in solitudine—purchè finalmente libera dalle grinfie della malvagità umana. Agli Dei gliela si poteva perdonare, conseguenza delle azioni degli uomini, ma a coloro che abitavano la Terra come comuni mortali no… non potevano elevarsi a paragone delle Divinità che li governavano e proteggevano.

Quella stessa sera, tremante di una febbre che non sembrava passare, fece sogni contaminate da visione eteree e allo stesso tempo pregne di liquide e sensuali figure intrecciate.

Bloom si svegliò d’improvviso. Era ancora notte e ogni particolare del suo corpo sudava ed emanava una caloria oltre il sopportabile; si sentiva entrare in uno stato di coscienza e incoscienza allo stesso tempo.

Lo stesso corpo che conteneva la sua anima in pena tremava e sudava contemporaneamente. Luoghi inesplorati di lei avevano preso a far avvertire la loro impazienza di ricevere attenzioni.

L’alternarni delle sensazioni la mandava in confusione. Mai prima di allora Bloom aveva avuto simili necessità e pensieri. Che gli Dei la stessero punendo per la sua condotta? Ma cosa aveva mai potuto fare per recare una simile offesa a coloro che onorava fin da quando era stata in grado di formulare il pensiero staccato dai bisogni primari?

Non con poca fatica, ma con decisa intenzione, si alzò dal terreno umido e e si diresse lentamente nella direzione del corso del fiumiciattolo vicino al suo riparo di fortuna.

Raccolse una bacinella di acqua tra i suoi palmi e si ravvivò la pelle, cercando conforto nella breve fonte di freschezza.

Sollevò il volto dal corso d’acqua in seguito a un brivido, più violento dei precedenti, che la convinse della presenza di qualcun altro accanto a lei. Alzò lo sguardo e un uomo imponente la osservava dall’alto. La luna alle sue spalle oscurava i tratti distintivi del viso, ma ben presto Bloom si rese conto che l’uomo stava indossando un armatura e persino il suo elmo. Sembrava un guerriero, ma la sua presenza solitaria in quell’angolo di bosco insospettì Bloom. La sua febbre avanzata la rendeva più debole e lenta del solito, ne era consapevole, ma il suo primo istinto fu quello di provare ad alzarsi e scappare via.

Inciampò sui suoi stessi piedi nudi al primo tentativo.

Delle braccia forti fecero atterrare la sua schiena su una sezione di metallo ingombrante. Bloom dedusse che l’estraneo l’avesse appena raccolta nelle sue braccia. Non la toccò in altro modo né provò a portarla lontana da dove si trovavano. Le tenne solo vicina a sé, immobili in quel loro abbraccio al contrario. Sentiva il suo fiato caldo oltrepassare la barriera dell’elmo e infuocarle il collo scoperto. I suoi capelli, madidi di sudore, le si attaccarono alla nuca. Stava sudando così tanto, l’umidità nell’aria non aiutava la sua causa, che la tunica sottile le si aderì al corpo, mettendo in mostra la sua condizione di malnutrimento.

Sentì ringhiare alle sue spalle, fu un suono che non aveva nulla di umano. Il corpo di Bloom si immobilizzò, come se avesse implicitamente appena ricevuto un comando. Le mancava la parte di sé ribelle, quella che non si era mai fatta problemi a mostrare fino a pochi giorni fa. Ma ormai aveva sedici anni—era scappata di casa proprio la notte del suo sedicesimo compleanno, dopo che si era sentita negare addirittura un grappolo d’uva per festeggiare la sua nascita—ed era malata, probabilmente sarebbe morta comunque. Forse era stata proprio la sua rabbia a renderla sfavorevole agli Dei. La convinzione di essere nel giusto durante i suoi momenti di infuocata collera l’aveva resa cieca di fronte alla realtà dei fatti. Era stata irrispettosa verso i suoi simili, in più occasioni. Non importava la ragione, a quanto pareva… Cominciava a pensare che avessero ragione, o forse era la febbre, ma si rese conto che quello che le avrebbe potuto fare quell’uomo non avrebbe fatto altro che confermare quanto sbagliata fosse stata la nascita di Bloom; inutile, avrebbe aggiunto la sua famiglia.

«Non sei inutile» disse una voce grave alle sue orecchie, con un altro ringhio. «Non pensarlo mai, Bloom». La voce sembrava risuonarle fin dentro le ossa, faceva tremare la terra sotto i suoi piedi.

Bloom deglutì, non sapeva cosa aspettarsi da lui. Non sapeva nemmeno come facesse a conoscere il suo nome, né ovviamente quale fosse quello dell’uomo.

«Voi creature mortali mi chiamate Ares» le disse, come le avesse appena letto nel pensiero. «Farai lo stesso anche tu» le impose, come se lei si sarebbe mai permessa di chiamarlo in qualsiasi altro modo…

L’espressione di Bloom si fece disperata a quella rivelazione. Parte di lei, quella razionale, le diceva che non poteva essere la verità, che quell’uomo si stava approfittando del suo stato di confusione e vulnerabilità, ma un’altra parte di lei, quella devota agli Dei, si sentì onorata di essere in presenza di uno di loro. Conoscere il motivo della sua presenza, tuttavia, la metteva in soggezione, seppur fosse una domanda che le sorgeva legittima. Non aveva le forze per parlare, confidava che il Dio, come in precedenza, le avrebbe letto la mente e conosciuto ogni suo male, ogni suo dubbio e ogni sua lode—se il Dio Ares riteneva che Bloom ne avesse alcuna.

Invece di rivolgerle la parola, come si era aspettata che accadesse, Ares la prese tra le sue braccia e la portò su uno spazioso letto rialzato comparso dal nulla. Bloom era certa non fosse lì quando era arrivata, quindi doveva trattarsi di un’opera del Dio.

«Riposa, e ogni male passerà» le aveva detto, e Bloom, contro la sua volontà, chiuse gli occhi e si adagiò nel conforto del sonno.

 

Una volta svegliatasi, era ormai sorto il sole, tutto intorno a lei cominciava a prendere vita. Potevano essere passate ore o giorni, Bloom non aveva più modo di tracciare il tempo che scorreva.

La presenza di un corpo massiccio e duro, non mancò al suo occhio. Le riposava accanto e Bloom si era accoccolata sul suo petto, reso impenetrabile dall’armatura che Ares aveva ancora addosso. La sua tunica sembrava nuova, di buona qualità. Stranamente, il pensiero che il Dio l’avesse vista nuda e si fosse preso cura di lei: una semplice mortale di poca importanza, non l’aveva agitata di rabbia e fastidio, anzi, la portò ad arrossire per la premura finora dimostratale; per la prima volta nella sua vita.

Il Dio della Guerra, invece, aveva rimosso solo il suo elmo, lasciando alla vista i suoi capelli neri e la sua pelle abbronzata dal sole di mille battaglie. Il suo corpo immenso occupava la maggior parte del letto—Bloom non aveva mai visto nessun uomo umano compararsi alla stazza del Dio accanto a lei, quindi dedusse che fosse naturale il sentirsi infinitivamente piccola in sua presenza. Presto si rese anche conto che il calore che sentiva intornò a sé non proveniva dal suo corpo, ma da quello di Ares. Il fisico di Bloom sembrava non soffrire più di alcun malanno e mancanza di nutrimento. Si sentiva rinvigorita, ringiovanita persino; nonostante la sua mente fosse rimasta ferma alla maturità raggiunta in sedici anni.

Accanto al letto, un vassoio enorme contenente frutti di tutti i tipi, alcuni a lei sconosciuti, levitava come provvisto di vita propria. Appena Bloom si alzò con un gomito sul letto morbido, i suoi occhi curiosi intravidero la distintiva forma di un frutto in particolare e, conscia di esserne stata privata persino il giorno del suo compleanno, con un gesto svelto del braccio agguanto il grappolo d’uva e ne ingerì le prime sfere succose, ingoiandone addirittura i semi amari.

Una risata alle sue spalle interruppe la prima colazione che stava avendo dopo giorni di privazioni. Il suo corpo sembrava in salute ora, dopo la visita del Dio, ma era solo all’apparenza: Bloom non aveva cessato di sentire lo stimolo della fame.

I suoi capelli rossi, dalla chioma ora lucente e viva, vennero discostati dal suo viso prima che alcune ciocche ribelli potessero finirle in bocca. La mano che li accarezzava era a lei stranamente familiare, come se ne conoscesse il tocco da sempre. I movimenti ripetitivi di quella mano quasi ebbero il potere di condurla nuovamente al sonno.

Finito l’intero grappolo d’uva, Bloom ritenne la sua colazione conclusa. Si adagiò così nuovamente sul letto, accanto a un Ares sorridente.

La sua bellezza era incomparabile a quella di qualsiasi mortale. I suoi occhi neri non riflettevano la luce, ma, in qualche modo, il suo sguardo le trasmetteva una tenerezza che Bloom faticava ad associare a un guerriero—soprattutto uno tanto feroce e affamato di sangue e distruzione quanto si diceva che lo fosse il Dio della Guerra, Ares.

Le afferrò le braccia e la distese con facilità su di sé. Le sue lunghe e massicce braccia le circondarono il corpo, inglobandola alla sua figura. Le baciò una guancia e riprese ad accarezzarle i capelli, arrivando fino alle punte lunghe e non più crespe. Respirava come un essere umano, ma Bloom sapeva che non poteva esserlo; altrimenti la sua rinomata immortalità sarebbe stata smentita. Tuttavia, Bloom non aveva modo di confermare le parole del Dio circa la sua identità. Si riferiva a lui come ad Ares solo perché una forza più forte della sua volontà le impediva di pensare a lui in qualsiasi altra veste. Le aveva davvero letto nel pensiero nel loro precedente incontro, o si era trattata di suggestione e coincidenze?

Prima che si accorgesse di quello che stava accadendo, Ares prese uno dei corti coltelli che teneva legati in vita e si passò con violenza la lama su un avambraccio, tenendolo lontano da lei.

Bloom sussultò alla vista della sostanza color dell’oro che usciva dalla ferita che Ares si era appena procurato.

Non ebbe così più dubbi: se quello era davvero l’icore, allora era alla presenza di un Dio e, per qualche motivo, aveva avuto pietà di lei e l’aveva soccorsa quando la vita sembrava averle riservato l’onore di una singola ultima notte.

Ben presto la ferita si rimarginò e Ares la guardò con lo sguardo di chi non accetta repliche. Doveva averlo stufato con i suoi continui dubbi sulla sua identità e quello che stava accadendo, ma Bloom non era riuscita ad evitarlo. Non era certo aspettativa di tutti i giorni che il Dio della Guerra mostrasse il suo lato più compassionevole.

Un’ultima, importante, domanda le balenò nella mente e non riuscì a fermare la sua lingua in tempo.

«Siamo stati… abbiamo fatto…» chiese al Dio, ancora distesa su di lui, agitando un indice ciascuno fra lei e lui. La domanda, seppur incompleta, rimaneva implicita.

Il Dio la osservò. La guardava con occhi assottigliati dal basso e Bloom arrossì ancora una volta di fronte a tanta grandezza e mascolina bellezza.

Non sapeva se Ares si fosse mai unito con la forza a una mortale, ma non aveva potuto non pensarci appena aveva riaperto gli occhi e lo aveva visto lì accanto a lei—adornata da vestiti e gioielli che non le appartenevano. Per quello che ne sapeva, poteva trattarsi tutto di un sogno. Poteva essere morta davvero e questo era ciò che veniva dopo la morte.

«È quello che desideri, Bloom?» le chiese invece la sua voce roca e calda, l’avviluppava come il miele ed era impossibile distaccarsi da essa e il suo effetto su di lei.

Bloom tremò di anticipazione. Giacere con un Dio? Mai lo avrebbe creduto parte del suo Fato.

«La nostra unione genererà una nascita» le disse. «Non potrai rinunciare in alcun modo a partorire un mio discendente» le spiegò con tono serio. Si era alzato dal letto, rimanendo seduto e tenendo Bloom per la vita con una mano, mentre l’altra era irrimediabilmente tra i suoi capelli. Glieli pettinava e sistemava dietro l’orecchio in un lento ciclo continuo.

A Bloom non dispiaceva, né dei capelli né della promessa di Ares, per questo motivo: annuì con vigore il capo. Lo abbracciò dietro al collo quando il Dio trascinò l’intimità di Bloom, scoperta dalla tunica arrotolata sulle cosce, e le grandi mani le accarezzarono in ogni dove. Ritornata impavida, caratteristica che le apparteneva più della sua improvvisa timidezza, si permise di posare le sue labbra su quelle del Dio della Guerra. Ci fu un istante in cui Bloom credette di aver fatto qualcosa che non le era concesso, ma subito venne smentita di tale preoccupazione.

Ares fece rotolare entrambi sul letto, sovrastando Bloom con la sua figura, tanto da oscurare persino il sole alto nel cielo del mattino.

La baciò intensamente e appassionatamente. Nonostante questo, il respiro sembrava non mancarle mai. Gli abiti di entrambi si smaterializzarono e in un battito di ciglia Bloom seppe per la prima volta com’era unirsi a qualcuno, anzi, com’era unirsi a un Dio. Non c’era dolore, non c’era sangue, e non c’era limite alla grandezza che l’intimità di Bloom sembrava poter ospitare in lei. Ansimava di gioia e appagamento, ricevendo in cambio baci e carezze su tutto il corpo.

Stava venendo amata, amata profondamente e irrimediabilmente, consapevole per la prima volta di come ci si sentiva a ricevere tale onore.

«Ares, mi avete dato e mi state donando più amore di quello che il mio cuore può reggere» gli disse, tra le lacrime che le scuotevano e le offuscavano la vista. «Sembra un sogno, spero di non svegliarmi mai» pregò, nessuno in particolare.

A quelle parole, il Dio ancorò i suoi occhi neri nei suoi azzurri e affondò in lei con zelo, colpendo ogni volta, dentro di lei, un punto che le faceva rizzare tutti i peli del corpo e tremare le gambe. Un qualcosa si liberò in lei e, stringendo le sue pareti intorno al  pene oltre-misura del Dio, qualcosa di caldo si riversò nella sua intimità.

Doveva trattarsi del frutto della loro unione.

Ares la baciò, prima sulla bocca e poi sulla fronte, scostando dalle sue guance sudate dei fili ramati, appartenenti ai capelli di Bloom, sparsi sul letto. Invece di uscire da lei, come Bloom si era aspettata—da quel poco che sapeva sulle unioni tra uomo e donna—il Dio continuò a pompare il suo seme dentro di lei. Che fosse diverso per le divinità? Ma Bloom non lo era, avrebbe retto il ritmo in un Dio tanto tenace come sembrava esserlo Ares?

 

Bloom ebbe la sua risposta in seguito, dopo essersi unita ripetutamente al Dio della Guerra per tutta la durata delle ore diurne e notturne. La stanchezza sembrava non arrivare mai, così come la voglia di separarsi l’uno dall’altra. Bloom avrebbe potuto vivere l’eternità tra le braccia di Ares, circondata dal suo affetto e fecondata dal suo seme, e non avrebbe avuto una singola remora al riguardo.

 

Bloom era piena di gioia, perché finalmente aveva conosciuto la tenerezza dell’amore.


Chi avrebbe mai potuto pensare che il più sensibile tra gli Dei fosse proprio Ares, il Dio della Guerra dalla sete di sangue più insaziabile?

 

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Capitolo 19
*** Giorno 19 — Incontro ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 19: incontro

 

 

 

[MMA!AU]

 

 

 

CONCENTRAZIONE

1809 parole

 

 

«Diretto, diretto, gancio, gancio, ginocchio, calcio, gancio… così, brava, continua. Diretto, calcio--»

Limitarsi a seguire le direttive di Sebastian, il suo allenatore, era facile per Bloom—sul momento. Quello che non era facile era il post-allenamento, quando rimaneva da sola con i suoi pensieri e immaginava scenari che non avrebbe dovuto immaginare.

 

Avrebbe avuto un incontro a breve, tra qualche settimana, il suo primo vero incontro da professionista. Il Destino aveva voluto che la sua sfidante fosse proprio Beatrix, la ragazza di Stella—una delle sue migliori amiche dai tempi della scuola. La chiamavano “Piccola Tempesta”, i suoi ganci erano molto veloci, e il suo punto di forza generale era l’essere piccola e una scheggia durante il combattimento. Il suo allenatore era Andreas, il padre adottivo di Beatrix. Ai suoi tempi veniva chiamato “Lo Spartano”, sul ring e fuori dal ring. La sua peculiarità, che lo aveva reso una leggenda tra le generazioni passate e odierne, era che gli ultimi secondi dell’incontro, quando sapeva di aver ormai vinto, leccava sempre del sangue dalla faccia del suo avversario.

Beatrix e suo padre erano un’accoppiata vincente in tutto e per tutto, condividevano anche un tatuaggio in comune: i loro soprannomi intrecciati fra loro a formare il simbolo dell’infinito. Si trovavano appena sotto la clavicola sinistra. Bloom presumeva che la motivazione si celasse dietro al fatto che, in quel modo, il tatuaggio sarebbe stato vicino al cuore, sì, ma comunque visibile nella maggior parte delle occasioni. Beatrix sembrava impegnarsi per fare sì che fosse visibile in ogni foto che pubblicava sui social, così come quando era sul ring. Per Andreas era più facile e immediato: era costantemente senza maglietta, era perciò impossibile mancare la posizione del tatuaggio.

L’allenatore di Bloom, invece, Sebastian, era ancora in attività sul ring—sebbene probabilmente ancora per pochi anni—e, come suo padre prima di lui, combatteva sotto il nome di “Il Burattinaio”. Si era guadagnato quella nomina perché i suoi avversari non riuscivano mai a prevedere le sue mosse. Non riuscendo a colpirlo, non gravemente almeno, allo spettatore medio poteva sembrare che in realtà fosse Sebastian a giostrare le mosse del suo avversario, come un burattinaio, appunto, e a prevedere l’andamento dell’intero incontro.

Ma, più semplicemente, Sebastian era un acuto osservatore. Dentro e fuori dal ring. Questa certezza, benchè avesse anche dei lati positivi per la loro relazione Maestro-Allieva, era in grado, delle volte, di mettere in seria difficoltà Bloom. Loro non condividevano un tatuaggio, ma il loro rapporto era così stretto, quasi una simbiosi, che Bloom non riusciva a nascondergli davvero nulla; non troppo a lungo, almeno. Beatrix le aveva raccontato che lei provava e aveva lo stesso rapporto con suo padre, Andreas.

Sia Bloom sia Beatrix avevano quindi ottimi allenatori a seguirle. Un altro dei motivi per cui la critica non riusciva a fare delle vere previsioni sul loro confronto. I loro amici si erano rifiutati di prendere ufficialmente le parti di una o dell’altra, anche fosse stato “per gioco”.

Perfino Stella si era detta divisa tra le due donne, anche se implicitamente era chiaro a tutti che avrebbe sostenuto la sua ragazza, Beatrix. Stavano insieme già da prima che Bloom si trasferisse nella loro stessa scuola, dove aveva conosciuto le altre ragazze: Aisha, Terra, Musa e Flora. Tutte e quattro avevano espresso la loro preferenza per Bloom, o meglio: “La Dinamitarda”. A quanto pareva, la chiamavano così per via della potenza esplosiva dei suoi colpi.

Non era sicura di cosa pensare riguardo alla questione Stella, se comprendere la prospettiva della sua amica o sentirsi offesa proprio perché si rifiutava di scegliere chi sostenere pubblicamente. E quel senso di dubbio nel retro della sua testa non la rendeva lucida, le annebbiava la concentrazione.

 

«Bloom, Bloom…» uno schiaffo le arrivò dritto in faccia, a risvegliarla dai suoi viaggi mentali.

«Ci sono» si riprese d’improvviso, scuotendo la testa. Alcune ciocche ramate, sfuggite alla coda, le si attaccarono alla faccia madida di sudore.

«No, non ci sei» la rimbeccò infastidito, la sua voce già roca un’ottava più bassa del solito. Lanciò da parte il paracolpi, che scivolò fino a un angolo della palestra vuota, prenotata solo per loro, e si allontanò da lei. Sparì negli spogliatoi e Bloom, rimasta sola, si sentì mancare il respiro.

L’espressione che Sebastian assumeva quando Bloom lo deludeva in qualcosa la faceva sentire piccola e indifesa; come fosse una bambina che sta venendo sgridata dopo l’ennesima marachella.

Era umiliante essere trattata in quel modo dal suo stesso allenatore, il suo Maestro, ma sapeva che Sebastian lo faceva per lei. Faceva parte del suo metodo per impartirle disciplina.

Bloom si lasciò andare all’indietro, cadendo di schiena sul tappeto della palestra e puntando le braccia aperte a lato del suo corpo. Alzò contemporaneamente le gambe al soffitto per mitigare l’impatto prima di atterrare.

Prese un enorme respiro e contò fino a dieci, lo rilasciò lentamente—come le aveva insegnato Sebastian.

Il suo allenatore tornò da lei, ma questa volta aveva con sé una vecchia scatola in metallo e un tablet enorme. La agitò in aria, nella sua direzione, prima di assumere una posizione seduta di fronte a lei, a gambe incrociate e il busto dritto come una spada. I polsi si appoggiarono su ognuna delle sue ginocchia, la scatola di latta posizionata in mezzo a loro. La fissava dall’alto con i suoi occhi neri penetranti abbassati su di lei, mentre Bloom era ancora distesa sul tappeto blu. Capendo l’antifona, si tirò su.

Dondolando con la schiena incurvata all’esterno, arrivò a mettersi seduta anche lei, imitando la posizione assunta dal suo Maestro.

Sebastian aprì la scatola e ne tirò fuori alcuni ritagli di giornale e delle fotografie sviluppate professionalmente.

I ritagli parlavano tutti del percorso di Bloom, da quando aveva iniziato la sua carriera negli incontri di M.M.A., fino alla sua ultima vittoria da dilettante, che l’aveva fatta conoscere al grande pubblico. La descrivevano, alcuni evidenziando maggiormente i suoi punti deboli, altri evidenziando quelli positivi. Erano articoli relativamente vecchi, ma Bloom li lesse tutti uno a uno, sotto lo sguardo scrutinatorio di Sebastian.

Quando ebbe finito con i ritagli di giornale, indicò con l’indice puntato il piccolo plico di foto, come a chiedergli il permesso di visionarle—nonostante raffigurassero chiaramente lei. Erano delle foto scattate durante i suoi incontri passati, la più vecchia risaliva a quando aveva sedici anni, dopo che la sua precedente Maestra, Farah, era morta e Bloom aveva dovuto trovarne un altro: Sebastian, allora nel fiore della sua carriera come lottatore di Arti Marziali Miste.

Arrivò il momento di dedicarsi a una tecnologia più moderna. Sebastian le girò lo schermo del tablet nella sua direzione, sotto il suo naso, e le disse di premere play sull’anteprima del video postato su un canale online di appassionati di incontri da combattimento.

La prima parte del video era una lunga spiegazione e illustrazione della sua scheda come lottatrice M.M.A., una sorta di pagella visiva. Nella seconda parte del video, invece, i due commentatori facevano delle previsioni sul suo prossimo incontro con Beatrix, quello chiaramente più importante. Vincere le avrebbe dato accesso al mondo della lotta professionale, consacrandola come la pupilla prediletta di Sebastian, “Il Burattinaio”, oppure, in caso di sconfitta, l’avrebbe buttata nel limbo dell’insicurezza. L’avrebbe rinchiusa fra le pareti della sua mente, fondamentale nemica o alleata—specialemente per chi voleva proseguire quel tipo di carriera, fatta di continui sbalzi adrenalinici.

I colpi di Beatrix arrivavano quando meno te lo aspettavi e facevano male come un fulmine che ti colpisce dritto sul fegato. Bloom sospettava che, proprio per questa sua caratteristica, Beatrix fosse molto più precisa di lei nei colpi. Bloom sprecava troppe energie e non era mai troppo precisa, ma lei e Sebastian ci stavano lavorando da mesi.

 

«Ora che sai quali sono le aspettative che tutti hanno su di te, devi decidere se vuoi continuare a lottare. Non per me, non per loro, ma per te e il tuo nome» le disse serio.

Le luci a neon della palestra illuminavano perfettamente il volto squadrato di Sebastian, sebbene i suoi capelli neri e i suoi occhi, dello stesso colore, sembrano risucchiare e neutralizzare qualsiasi fonte di luce nelle loro vicinanze. Entrambi avevano una carnagione chiara, rimarcata dal loro rifiutarsi di esporsi sotto la luce del sole. A differenza di Sebastian, però, che aveva un sottotono di pelle più freddo, Bloom aveva colori più caldi; risaltati dalle lentiggini sul volto e dai capelli rossi naturali. I suoi occhi erano azzurri, ma invece di rimanere accecata dalla luce del sole o da quella artificiale, Bloom rimaneva ogni volta abbagliata dalla presenza stessa di Sebastian in qualsiasi stanza—non importante quanto estesa nella sua espansione. Se Sebastian era nella stanza, allora era la prima cosa su cui gli occhi di Bloom si focalizzavano, oscurando tutto il resto intorno a lei.

«Dimmi se hai capito» le chiese con una voce che sapeva in realtà di autoritario, ma in qualche modo anche apprensivo. Bloom riusciva a notarli quei dettagli di lui.

«Ho capito» rispose in automatico, più per confortarlo che perché convinta davvero delle sue stesse parole.

«Bloom…» l’avvisò di nuovo il suo tono.

Si slanciò dalla sua posizione seduta per circondargli il collo con le braccia e schiacciare il petto sul suo, finendogli praticamente in braccio nel giro di qualche secondo. Sebastian era ancora nella stessa posizione, era Bloom a stargli circondando la vita con le sue cosce scoperte dai pantaloncini da palestra.

Chiuse gli occhi e poggiò la fronte nell’incavo del suo collo. Il sudore pulito di entrambi gli si era ormai asciugato addosso, e Bloom poteva avvertire chiaramente il reale odore della pelle di Sebastian. Inalò come avesse sotto il naso una candela profumata ai fiori. Lui mise una mano dietro la sua nuca, stringendole la vita con l’altro braccio libero, e la spinse impossibilmente più vicina a sé. Erano entrambi senza guantoni, quindi non fu difficile dedicarsi quelle attenzioni.

«Sebastian, ho paura di fallire» gli rivelò finalmente, vicino al suo orecchio. C’erano solo loro due in quell’immensa palestra, ma perfino sentire l’eco delle sue parole l’avrebbe infastidita. Era una persona molto competitiva, non accettava mai di perdere, specialmente con se stessa.

«Lo so, Bloom» le disse, massaggiandole con la punta delle dita i capelli raccolti sulla nuca. Glieli slegò, nonostante questo comportasse il far assumere al chioma ramata una forma rialzata verso la radice dei capelli. Glieli scompigliò, probabilmente un po’ per infierire e un po’ per cercare di riabbassarli e riuscire a pettinarglieli con le dita. Era abituato a farlo, soprattutto quando erano da soli e si parlavano a cuore aperto; abbracciati così come lo erano in quel momento.

«Sono qui per questo. Sono qui per te» la confortò, baciandole la spalla lasciata scoperta dal reggiseno sportivo.

Bloom aumentò la presa delle sue braccia e delle sue cosce intorno a lui, venendo ricambiata dalle sue muscolose braccia che l’appiattirono sul petto ampio di lui.

Un tacito scambio di intenzioni aleggiò tra di loro.

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Capitolo 20
*** Giorno 20 — Sigaretta ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 20: sigaretta

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

LEZIONE DI VITA

1848 parole

 

 

«Tu ora vai lì e gli parli» gli intimò Stella, in un sussurro più alto della norma per essere definito in vero e proprio sussurro. Le aveva anche puntato un dito contro e stretto le labbra dipinte da un rossetto nude. Era la specialità della sua amica risultare impositiva mentre cercava in realtà di aiutarti. In un modo strano da spiegare, il più delle volte sembrava funzionare.

«Non so cosa dirgli, Stella» disse a denti stretti Bloom, fingendo di star solo sorridendo.

«Non devi parlare all’intera Nazione, è solo un ragazzo più grande di te di qualche anno, Bloom» sbuffò l’amica.

Beatrix, abbracciata lateralmente alla vita di Stella, sorrise divertita davanti ai modi della sua fidanzata. Spostò poi lo sguardo su Bloom e alzò le sopracciglia, come a dar ragione a Stella.

«Se non provi a parlargli, non saprai mai se potresti interessargli o meno» aggiunse Beatrix.

«Non è da te essere così insicura…» disse Aisha, sua compagna di stanza ad Alfea, il collegio femminile frequentato da tutte loro. «Questo sarebbe uno di quei casi in cui la tua irrimediabile impulsività potrebbe tornarti utile» disse annuendo con il capo, sottolineando la veridicità della sua stessa osservazione.

Bloom esalò un respiro esasperato. Diede le spalle alle amiche e quasi marciò nella direzione opposta, dirigendosi verso lo spilungone vestito in total black, compreso il cappello di lana, circondanto da altri ragazzi.

Lei indossava ancora la divisa scolastica, ma per fortuna aveva indossato sopra di essa una giacca invernale pesante. Solo la gonna a pieghe era visibile con chiarezza. A parte il colore verde bosco e la fantasia tartan che cozzava con la sua carnagione chiara, nonostante mettesse in risalto i suoi capelli rossi, poteva riuscire a sembrare più grande di almeno qualche anno.

Stella diceva sempre che stava tutto nella sicurezza dimostrata.

Mentre si avvicinava a lui e il suo gruppetto, notò questi salutarsi fra di loro con pacche sulle spalle e abbracci a metà. In quel momento, Bloom si sentì la ragazza più fortunata del mondo e, sicura della privacy che avrebbero avuto, aumentò l’andamento del suo passo.

Gli arrivò alle spalle, ma cercò di attirare la sua attenzione mezzo metro prima, in modo da non prenderlo alla sprovvista.

«Scusami…» disse con un fil di voce, resa roca dal freddo; aveva dimenticato di portarsi dietro una sciarpa. La conversazione non era ancora iniziata e già l’aveva affondata.

Il ragazzo si voltò verso di lei solo con il mento, guardandola con la coda dell’occhio. Il sopracciglio alzato che riusciva a vedere da quella posizione le suggeriva che il ragazzo avesse assunto un’espressione sorpresa anche sul resto el volto. Poi, notando che Bloom si stava riferendo proprio a lui, ruotò il resto del corpo verso di lei. Dopo averla squadrata, le sopracciglia si unirono leggermente, ma non era sdegno quello sul suo volto. Forse stava solo cercando di capire se l’avesse già vista da qualche parte, se fosse magari la sorella minore di qualche suo amico o conoscente. Ora che si era avvicinata a lui, si era resa conto che la differenza di età fra di loro era palese; non poteva essere neanche un diciottenne dai tratti particolarmente maturi. Nonostante alcune persone, specialmente uomini, amavano affermare il contrario, in realtà sì: si capisce benissimo quando una persona sembra semplicemente giovane e quando lo è davvero, giovane. In quel caso, Bloom era certa che il ragazzo, o giovane uomo, davanti a lei avesse quantomeno superato i vent’anni. Si capiva anche solo dal modo in cui stava in piedi, si muoveva nello spazio, ma, soprattutto, dal modo in cui la stava guardando. Bloom non avrebbe potuto ingannare nessuno circa la sua età, la sua faccia il più certo degli indizi, e quel ragazzo sapeva perfettamente che non avevano a che fare l’uno con il mondo dell’altra.

Teneva le mani in tasca, ma quando le fu di fronte, faccia a faccia e con le gambe ben piazzate sul marciapiede consunto, le uscì e le tenne ben in vista. L’occhio di Bloom cadde su quel particolare, annotando mentalmente che perfino le sue mani erano belle da vedere.

«Dimmi pure» le disse con un sorriso talmente ampio da evidenziare le rughe di espressione intorno agli occhi. Aveva un bel sorriso, sincero.

Vederlo abbassarsi verso di lei con il busto, per essere più in pari con l’altezza dei suoi occhi, fece riempire di gratitudine il cuore di Bloom fino all’orlo. La sua educazione e disponibilità verso una completa estranea, che si era avvicinata a lui dal nulla,  una perfetta green flag iniziale.

«Per, per caso…» cominciò, insicura su come continuare la frase—sebbene, a grandi linee, sapesse quali erano le sue intenzioni quando si era rivolta a lui.

Il ragazzo continuava a guardarla, paziente, la testa ora inclinata di poco e un sorriso timido e tirato sulle labbra. Che avesse intuito?

Bloom si guardò intorno, come se all’improvviso un segno Divino avrebbe potuto suggerirle cosa dire. Vide un cartellone pubblicitario affisso sul muro alle spalle del ragazzo davanti a lei. Dal logo sembrava riferirsi a qualcosa che doveva disincentivare il consumo di sigarette. A caratteri cubitali, veniva definita una dipendenza vera e propria da nicotina. In quel momento, qualcosa cliccò nella sua mente.

«Hai una sigaretta?» gli chiese di botto, così… senza senso.

Bloom neanche fumava, mai neanche provato in vita sua. A malapena aveva bevuto qualche birra, durante le feste organizzate in riva al mare d’estate.

«No» le disse conciso. Poi sembrò ripensarci e aggiunse: «Lungi da me farti la morale, ma mi sembri ancora giovane… Sii più saggia dei tuoi coetanei, persino di alcuni adulti, e non prendere il vizio del fumo, o qualsiasi altra strada che crei dipendenza». Probabilmente rendendosi conto troppo tardi del tono serioso che aveva usato, e la sua scelta di parole, gli scappò un risolino.

«Ah, wow… mi sento davvero vecchio ora» le disse, guardandola con occhi socchiusi per via della risata ancora in corso. Si poggiò una mano sul petto ampio, come per ricomporsi.

Bloom cambiò totalmente discorso per togliersi, e toglierlo, dall’imbarazzo.

«Quanti anni hai? Se posso chiedere».

«Venticinque» le disse pacato, essendosi calmato. La osservava più curioso di prima, ma ora, oltre a scrutarla con la testa piegata di lato, aveva alzato di poco il mento. Rilasciò un respiro breve, schiacciando gli angoli delle labbra verso il basso.

Bloom non capiva a cosa fosse dovuva quell’improvviso cambio di atteggiamento. Che lo stesse infastidendo? In fondo, era abbastanza tardi per stare fermi in mezzo alla strada, si congelava. Il vento che le agitava i capelli in aria non aiutava. Non aveva un cappello a tenerglieli a bada, come invece era il caso di Sebastian; i suoi corti capelli neri erano ben inglobati al di sotto della stoffa pesante e spessa.

«Io sono Bloom comunque» se ne uscì dal nulla, pur di presentarsi finalmente a lui e non considerarsi più degli estranei.

«Sebastian» disse soltanto. Gli stava bene quel nome, ed era bello anche immaginarsi pronunciarlo—non solo nelle situazioni di quotidiana chiacchera.

«Mi chiedevo se--» venne interrotta da Sebastian sul nascere.

«Mi sembri un po’ giovane, Bloom, per starmi per chiedere quello che penso tu stia per chiedermi» le disse senza mezzi termini, avendo quindi capito già tutto delle sue intenzioni nei suoi confronti. Spostò il peso da una gamba all’altra, guardandosi intorno come in cerca di qualcosa, o forse a disagio per la situazione.

Bloom non aveva voluto metterlo a disagio. Sapeva come ci si sentiva, e vedere come Sebastian non vedesse chiaramente l’ora di terminare quella conversazione con lei, le fece raffreddare di colpo il corpo. Quel fuoco di anticipazione che aveva sentito prima si volatilizzò nell’aria, insieme al suo coraggio. Aveva sedici anni, ma si riteneva abbastanza matura dal saper distinguere una provocazione da un rifiuto educato. Non c’era modo che Sebastian uscisse con lei, era lampante—da come l’aveva trattata tutto il testo della loro breve conversazione e scambio di sguardi scrupolosi.

«Capisco… Beh, dovevo provarci almeno. Non è da me riuscire a trattenermi dal provare a ottenere qualcosa che voglio» gli rispose con un sorriso di circostanza, forzato. Non voleva fargli capire quanto in realtà ci era rimasta male, ma allo stesso tempo non poteva nemmeno fargli una scenata per il rifiuto chiaro. Sebastian non le doveva neanche giustificazioni di alcun tipo, dire di “no” alla sua proposta sarebbe stato sufficiente, Bloom avrebbe capito—anche lei si era ritrovata in situazioni simili e sapeva come ci si sentiva in imbarazzo e a disagio nel ricevere attenzioni non gradite.

Sebastian sembrò riflettere su quelle sue ultime parole, se colpito o divertito dalla sua sfacciataggine, Bloom non poteva dedurlo solo guardandolo.

«È stato un piacere, comunque» gli disse, per salutarlo e lasciarlo finalmente in pace. Ora che l’adrenalina non la teneva più calda, aveva cominciato a tremare dal freddo; incrociò le braccia al petto per impedire alla giacca senza bottoni di aprirsi.

Per la prima volta, da quando avevano cominciato a parlare, Sebastian fece un passo verso di lei—un passo letterale. Prima uno e poi un altro, e infine un altro ancora. Si tolse la sciarpa che stava indossando intorno al collo e, tenendola aperta con le mani distese sopra la sua chioma ramata, le chiese implicitamente, con lo sguardo e il suo iniziale gesto, se potesse procedere.

«Sicuro?» chiese dubbiosa. Non sapeva se avrebbe avuto modo di restituirgliela, visto che le aveva impedito di chiedergli di scambiarsi i numeri di telefono.

Lui annuì soltando, ripetendo la rischiesta con la sciarpa ancora in mano. Bloom non fece quindi complimenti e chinò la testa, sporgendosi con il busto in avanti, come segno di invito. Chiuse gli occhi quando le mani nude di Sebastian le sfiorarono il collo mentre le sistemava la sciarpa intorno al collo.

«Puoi tenerla, serve più a te che a me in questo momento» le disse, prima di accarezzarle la testa e stringerle per gioco una guancia.

Nessuno altro gesto avrebbe reso più chiaro il concetto: la vedeva realmente come una bambina, magari più alta della media.

La sua correttezza morale lo rendeva solo più attraente, ma ormai era fatta. Un “no” è un “no”.

«Grazie» gli sussurrò vicino. Fece per alzarsi sulle punte dei piedi per salutarlo, ma si fermò in tempo. Non voleva approfittare del suo senso di colpa. «È stato un riflesso, scusa, l’abitudine» spiegò, sperando di essere creduta.

Sebastian le mise una mano, ancora perfettamente calda, su di una guancia e si piegò verso di lei per baciarle la guancia sinistra. La mano scese verso il collo e passò a baciarle anche l’altra guancia. Trattenne le labbra mezzo secondo più del solito al secondo bacio di saluto, ma Bloom non se ne sarebbe certo lamentata—anzi

«Ciao, Bloom», «Ciao, Sebastian» dissero entrambi all’unisono, guardandosi negli occhi—due pozzi neri in quelli azzurri di Bloom, ancora a un respiro di distanza l’uno dall’altra.

 

Tornata dalle sue amiche, vollero sapere tutti i dettagli.

Bloom si guardò indietro, dove la figura statuaria di Sebastian continuava a guardarla da lontano, mentre si allontanava circondata dal gruppo di ragazze curiose di tutti i dettagli riguardanti quella conversazione, e si sentì grata di essere stata rifiutata.

Si sentì grata che al mondo ci fossero ancora ragazzi, uomini, come Sebastian. Persone oneste che non si approfittavano della fascinazione che molti giovani provano per chi è più grande di loro, al fine di sentirsi desiderati e gonfiarsi il petto di una malata autostima fallace.

 

 

 

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Capitolo 21
*** Giorno 21 — Pettegolezzo ***


Note: ci sono molti headcanon e manipolazioni del lore di Fate: The Winx Saga in questa OS. Non siete voi che ricordate male quello che accade nel canon. Infatti, il “canon divergence” in questo caso è particolarmente indicativo dell’operazione che sono andato a fare. Spero sia di vostro gradimento comunque, mi sono impegnato per rispettare l'IC generale dei personaggi. Grazie. <3

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 21: pettegolezzo

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

È SOLO UN PETTEGOLEZZO

1827 parole

 

 

Sebastian l’aveva salvata.

O per essere più precisi: la preside Farah lo aveva incaricato di salvarla, ma per Bloom la differenza era infinitesimale. Era il volto premuroso di Sebastian che aveva visto quella notte nel magazzino, al freddo e in compagnia di una sola coperta ad avvolgerla. Il suo sorriso comprensivo l’aveva portata a fidarsi ciecamente di lui e porgergli la mano, lasciando a un, allora, completo estraneo il compito di salvarla. Stranamente, sapendosi diffidente, si era resa presto conto di non sentirsi minacciata dalla presenza di Sebastian, un uomo, con lei nell’oscurità del deposito abbandonato.

Era stata la prima volta che qualcuno si premurava di salvarla, e la prima volta in assoluto in cui Bloom non si sentiva in difetto per aver bisogno di essere salvata.

 

—ooOoo—

 

«Guardami negli occhi, Bloom, guardami negli occhi e giurami che quello che ho sentito non è la verità» le disse Sky a un palmo dal suo viso, mentre le teneva un polso per non permetterle di sfuggirgli; come era solita fare quando la situazione si scaldava e lei rischiava di fare qualche danno dando fuoco a qualcosa, o a qualcuno…

«Non è la verità, Sky, non lo è. È solo uno stupido pettegolezzo!» gli mentì con l’espressione più convincente che potesse assumere.

Sky si prese una pausa di riflessione, non staccandole gli occhi di dosso.

«Lo giuri? Non sei innamorata di Sebastian?» insistette, la sua espressione la stessa di un bambino che ha appena smesso di piangere. Aveva gli occhi rossi e i capelli biondi spettinati, come se si fosse passato più volte le mani tra i fili chiari.

«Lo giuro!» continuò, prendendosi gioco ancora una volta della fiducia che Sky stava riponendo in lei. «È solo gente invidiosa, o annoiata, o forse entrambi!» portò avanti la sua storia, teorizzando complotti campati in aria pur di cercare di salvare la faccia. «Sky, non dare a queste persone il potere di dividerci…» Sperava che le sue ultime parole sarebbero bastate a convincerlo a lasciar perdere le voci di corridoio che gli erano giunte alle orecchie, perché Bloom non sapeva più cos’altro inventarsi per tirarsi fuori da quella matassa ingarbugliata di menzogne.

Prendeva in giro se stessa, e Sky, da mesi ormai; da quando era arrivata ad Alfea…

 

—ooOoo—

 

In poche ore aveva scoperto che era una fata del fuoco, che dentro di lei risiedeva una fantomatica “Fiamma del Drago” e che quelli che credeva i suoi genitori in realtà non erano i suoi veri genitori.

Alla sua nascita, più di mille anni fa, era stata messa in stasi dalla sua vera madre, per proteggerla da chi voleva appropriarsi della Fiamma del Drago custodita in lei. L’intero borgo in cui la sua famiglia e, a quanto pareva, persino la famiglia di Sebastian stesso, venne raso al suolo da una certa Rosalind, una potente fata della mente—con annesse abilità della terra, dell’acqua e dell’aria—dalle idee estremiste. Aveva ingaggiato in segreto, per anni, il suo personale esercito di mercenari, nel tentativo di sterminare tutte le Streghe del Sangue; da sempre considerate pericolose e da tenere sotto controllo.

Durante il loro viaggio verso la dimensione magica, mentre lasciavano Gardenia, in California, Bloom venne a conoscenza di tutti quei dettagli; su di lei, sulla Dimensione Magica e le sue Guerre, e anche su Sebastian. Sembrava una lezione di Storia, ma, raccontata dalla voce calda e roca di Sebastian, complice anche gli argomenti che più la riguardavano, non era riuscita ad annoiarsi e aveva ascoltato ogni singola parola con molta attenzione. Le aveva inoltre rivelato che anche lui era una Strega del Sangue e che suo padre, Valtor, aveva voluto mettere le mani sulla leggendaria Fiamma del Drago. Il potere di Bloom, unito alla sua conoscenza illimitata di tutto ciò che era un’arte oscura, gli avrebbe permesso di conquistare interi Mondi. La conquista era sempre stata ciò che anelava di più, ed era stato un suo tentativo quello di inculcare in suo figlio le sue stesse idee, ma, fortunatamente, Sebastian era riuscito a sfuggire a quel Destino.

 

Sebastian, Bloom e Beatrix, una fata dell’aria che, come lei, frequentava Alfea, erano stati gli unici sopravvissuti a quel genocidio.

Era una fortuna che questa Rosalind fosse rinchiusa nelle prigioni di Solaria, perché semmai Bloom ce l’avesse avuta davanti agli occhi, l’avrebbe sicuramente carbonizzata viva.

L’autocontrollo delle sue emozioni e impulsi non era il suo forte, per usare un eufemismo.

Nonostante quell’evento drammatico in comune, Bloom e Beatrix non erano esattamente la definizione di “compagne”. Tuttavia, Beatrix era la ragazza di Stella, una delle poche amiche che Bloom era riuscita a farsi appena arrivata nella scuola di Alfea, quindi dovevano andare d’accordo per quieto vivere.

Beatrix era stata salvata da Andreas di Eraklyon. L’aveva trovata, ancora viva e illesa, nella sua culla. I suoi genitori dovevano averla abbandonata per riuscire a scappare e non essere scoperti dai mercenari… Andreas l’aveva cresciuta con sé, al sicuro da chiunque, mentre era latitante da un Mondo all’altro, in modo da non essere scoperto e arrestato per i suoi crimini di Guerra: era stato un ex soldato che si era venduto ai piani di conquista di Rosalind in una folle caccia alle streghe in chiave realmente magica. Una sorta di pulizia etnica. Anche lui, come Rosalind, stava scontando la sua pena nelle prigioni di Solaria. Ma Beatrix, così come Sebastian, erano stati solo dei bambini innocenti e spaventati quando Farah li aveva trovati, seppur con tempistiche leggermente diverse. Non avevano colpa alcuna, quindi. Non potevano farci niente se erano nati e stati cresciuti da gente che aveva preso decisioni sbagliate nella vita, procurando perdite ingenti e dolore a persone “colpevoli” solo di essere diverse da ciò che veniva visto come “normale” lì nella Dimensione Magica.

Il clima di intolleranza della vecchia Reggenza aveva fornito terreno fertile per la quasi totalità di quelle Guerre intestine, ma in quel Mondo Re e Regine non venivano né decapitate, in stile francese del Vecchio Secolo Umano, né obbligate all’esilio in seguito allo scontento del popolo davanti alle loro azioni. Bloom si era dovuta abituare all’idea, e non era sicura di esserci del tutto riuscita.

 

Sebastian non era una fata, però sembrava capire Bloom più di chiunque altro provasse a interagire con lei e la sua storia personale. Forse proprio per via del loro legame involontario. Probabilmente Sebastian si sentiva in qualche modo in difetto nei suoi confronti, aveva pensato Bloom, e per questo aveva una sorta di riguardo nei suoi confronti. Era carino e disponibile con lei solo per un senso di dover rimediare a errori non commessi da lui.

Aveva avuto solo sette anni quando era riuscito a uccidere suo padre; aveva usato le tecniche di manipolazione del sangue che gli erano state insegnate da suo padre stesso. Era fuggito da Aster Dell la notte prima che venisse rasa al suolo dai mercenari, e poi Farah, al tempo una Fata Soldato, l’aveva trovato a vagare senza una direzione. Scoperto quello che era accaduto a Mondi di distanza da Solaria, si era dedicata alla causa personalmente, unendosi alle file della Resistenza Fatata. A seguito di un infortunio, proprio durante la Guerra dei Mondi, Farah perse l’uso delle sue ali. Dovette ritirarsi, ma decise di aprire una scuola per Fate, Streghe e i cosidetti “Specialisti”: guerrieri non dotati di poteri magici, tranne rare eccezioni, ma addestrati a combattere e superare i limiti del proprio corpo. Il suo intento era stato quello di stimolare un ritrovato clima di pace e convivialità tra specie fatate. Fu solo naturale per Sebastian, cresciuto sotto la guida di Farah, di diventare colui che si occupava di assicurare la corretta integrazione dei nuovi studenti giunti da loro e di andare a cercare personalmente coloro che erano stati sparsi per i vari Mondi, persino quello degli umani—privo di magia.

Era il caso di Bloom, scambiata con una bambina umana per proteggerla da futuri rapimenti, atti a rubare la fonte del suo immenso potere. A malapena riusciva a gestirlo lei, ma era in quella scuola anche per quello, in fondo. Doveva solo avere più fiducia in sé, come le aveva detto più volte proprio Sebastian.

 

—ooOoo—

 

Non riusciva a far passare un giorno senza pensare ai suoi sentimenti per lui, per Sebastian. E ne aveva parlato solo con le sue amiche, tranne Beatrix ovviamente, quindi supponeva che Stella dovesse averlo raccontato comunque alla sua fidanzata, chiaramente senza il consenso di Bloom…

Si sentiva tradita.

Beatrix sembrava già aver fatto circolare la voce della sua cotta adolescenziale, persino la preside Farah l’aveva convocata nel suo ufficio per farle presente che, se quello che aveva sentito era vero, era incredibilmente inappropriato. Bloom aveva solo sedici anni, mentre Sebastian, oltre a essere un dipendente scolastico, aveva venticinque anni.

Del tutto inappropriato” erano state le esatte parole della donna dall’aspetto distinto seduta sul bordo della cattedra alle sue spalle. Aveva incrociato anche le braccia e abbassato il mento fino al collo, il che doveva servire a far capire a Bloom che, benchè non gliene facesse una colpa, quella infatuazione doveva rimanere tale.

“Puoi essergli grata per averti portata via da Gardenia e fatto scoprire le tue vere origini, ma nulla di più, Bloom. Nulla di più, intesi?” le aveva detto. Quando Bloom, pur insistendo che fosse solo un pettegolezzo di cattivo gusto, aveva comunque annuito sconfitta, Farah si avvicinò a lei a braccia aperte. Bloom colse l’occasione e, non facendoselo ripetere due volte, raccolse volentieri quell’abbraccio dal sentimento materno. Ne aveva avuto bisogno, specialmente in quel periodo di grandi cambiamenti emotivi e fisici.

 

“È solo un pettegolezzo!” continuava a ripetere a chiunque le lanciasse battute al riguardo in classe o nei corridoi scolastici.

“È solo un pettegolezzo!” continuava a ripetere a Sky ogni qualvolta che si presentava a lei con un’espressione sconfitta in volto, come se al suo orecchio fossero giunte ulteriori congetture meschine. O forse se le stava creando da solo.

La mente sa essere più malvagia della realtà che si sta vivendo.

Eppure, mentre si univa a Sky sotto le coperte e gli permetteva di marchiarla con succhiotti, penetrarla con spinte possessive e stringerle i fianchi magri fino a lasciare le impronte delle sue dita, il solo nome che veniva in mente a Bloom in quei momenti non era quello di Sky.

 

Mentre giungeva al culmine del suo piacere, l’immagine di qualcuno diametralmente opposto a Sky, sia nell’aspetto sia nel carattere, le si figurava chiara e inequivocabile dietro le palpebre calate. Dei penetranti occhi neri e i capelli dello stesso colore, l'accenno di barba che le graffiava il viso quando si salutavano di sfuggita nei corridoi... nulla di tutto ciò apparteneva alla persona di Sky, il suo ragazzo.

 

«Sebastian…» pronunciò con un fil di voce, credendo per un attimo di averlo solo pensato. Poi spalancò gli occhi nel momento in cui Sky fermò di colpo il ritmo incalzante delle sue spinte. In quell’istante, Bloom capì che non avrebbe più potuto continuare a fingere e prendere in giro Sky.

La disonesta condotta era venuta allo scoperto, e, per giunta, nel peggiore dei modi. Bloom non era migliore di chiunque altro; neanche di Stella o Beatrix.

Tutte condividevano la stessa colpa: aver tradito intenzionalmente la fiducia di qualcuno, che lo meritasse o meno.

 

 

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Capitolo 22
*** Giorno 22 — Antidoto ***


 

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 22: antidoto

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

IL MALE MINORE

2690 parole

 

 

Il corpo di Bloom si muoveva sul letto dell’infermieria di Alfea come colpita da continue scosse elettriche. Le vene messe in evidenza da tracciati neri che sembravano scorrerle al di sotto la cute. Gli occhi piangevano lacrime di sangue e sentiva le voci intorno a lei come fosse sott’acqua. Sudava e si contorceva, piangeva dal dolore contro la sua volontà e spilli di ghiaccio sembravano starsi conficcando nei pori della pelle arrossata dall’instancabile errato grattarsi. La nuca era madida di sudore, i capelli le si erano incollati addosso, così come i vestiti. Dalle voci che aveva riconosciuto, doveva essere circondata dalle sue amiche, Sky, il suo ex-ragazzo ormai, e le infermiere scolastiche di Alfea.

 

Non avrebbe mai dovuto dare ascolto alla voce che l’aveva guidata fin nello scantinato. Quello che aveva trovato in mezzo agli scaffali impolverati era la ragione del suo male, e nessuno sembrava avere idea di cosa si trattasse nello specifico, né tantomeno se era possibile curarla.

 

«Dobbiamo pur fare qualcosa, sono giorni che è in queste condizioni. E se morisse per il troppo dolore?» disse Terra con voce agitata, incredula davanti all’espressione di resa del resto del gruppo riunito intorno a Bloom.

«Non conosciamo l’origine certa del male, né che tipo di creatura l’abbia morsa…» rispose la preside Farah.

 

Bloom aveva incoscientemente preso in mano il libro dalla copertina in legno nero intarsiato, con uno stemma in bassorilievo sul fronte, che sembrava chiamarla a sé. Degli occhi rossi si erano piantati nei suoi azzurri e non era stata in grado di trattenersi dal proseguire la conoscenza della natura e scopo di quel misterioso manufatto. Una creatura simile a una vipera aveva preso vita dalla copertina ora interamente luminescente e l’aveva morsa sul collo. Aveva provato a staccarsela di dosso con la forza, incendiandola, mozzandogli metà del corpo, ma la testa della creatura rimaneva intatta e i suoi denti affilati restarono piantati nella sua carne; la sentiva cibarsi di lei, probabilmente del suo sangue, e in pochi secondi si sentì svenire. Fu ritrovata da Beatrix, che aveva avvisato subito Stella, che si era a sua volta diretta a Sky. Quest’ultimo, interrompendo la catena di passaparola, si era diretto subito dalla preside Farah, e così era stata portata in infermeria.

Quando Bloom aveva sentito, perdendosi qualche parola, il racconto dalla bocca di Aisha, rimastale accanto mentre lei era come in un sonno profondo—la sua mente in qualche modo cosciente—aveva riso mentalmente; pur essendo la situazione drammatica per lei.

Qualcuno le teneva la mano. Non era Sky, avrebbe riconosciuto la sua mano—forse… Doveva trattarsi sicuramente di Musa, probabilmente stava assorbendo il suo dolore. Si sentiva in colpa per l’amica, sapeva che quell’applicazione dei suoi poteri non era la parte preferita di Musa. Bloom avrebbe voluto dirle di non darsi pena, di lasciare che il dolore la inghiottisse—era colpa sua, in fondo, se si era cacciata in quel guaio; l’amica non avrebbe dovuto pagare insieme a lei. Ma le corde vocali sembrano più secche dei mazzi di fiori appesi nella stanza di Flora. Erano nella stagione del raccolto, e ogni mattina l’odore di quei fiori permeava l’intero dormitorio in comune. Era un bel modo di svegliarsi.

Bloom avrebbe voluto svegliarsi in quel momento, smettere di causare sempre problemi a tutti quanti. Forse sarebbe stato meglio se fosse morta davvero, questa volta. Sembravano concordare più o meno tutti sulla realtà dei fatti. Nonostante alcuni si fossero rifiutati di dirlo ad alta voce, sembrava davvero che non ci fosse null’altro da fare, questa volta, per salvare la situazione.

Poi, Beatrix, la ragazza di Stella, prese parola. Doveva essere arrivata da poco, oppure era rimasta in silenzio per tutto il tempo.

«Sebastian potrebbe aiutarla…» disse in un unico fiato.

Calò il silenzio nella stanza. Bloom avrebbe voluto riacquistare l’uso della parola in quel momento per dire—anzi: urlare un gigantesco “NO”. Non voleva quel traditore doppiogiochista neanche a un metro da lei, lo avrebbe incenerito con il solo sguardo se avesse potuto.

Li aveva traditi, aveva tradito soprattutto Bloom e la fiducia che aveva riposto in lui. Si era fidata dal primo istante in cui aveva capito che Sebastian poteva rappresentare la figura di riferimento nella sua vita travagliata, ma, come al solito, la realtà si era rivelata in tutta la sua cattiveria.

Sebastian era una Strega del Sangue. E secoli di persecuzione ai danni della sua gente non poteva giustificare la sua vendetta nei confronti di fate innocenti. Avrebbe dovuto prendersela solo con chi era responsabile del suo male, non con chi non aveva avuto nulla a che fare con la tragedia che lo aveva coinvolto.

Sarà pure un pensiero egoistico, ma a Bloom pesava maggiormente la consapevolezza che Sebastian avesse tradito proprio lei. Pur avendolo sconfitto nello scontro finale, grazie all’unione dei poteri di tutte, vederlo incatenato nelle prigioni di Solaria non era bastato a placare il suo orgoglio ferito. Dopo di ciò, anche il resto della vita di Bloom era andata a rotoli: lentamente, si era isolata più di prima, aveva lasciato all’improvviso il suo, ormai ex, ragazzo: Sky, e si comportava in modo più irresponsabile di prima. Quella “disavventura” con il libro succhia-sangue la prova schiacciante.

«Beatrix, cosa stai dicendo? È uno sporco traditore!» disse la voce di Aisha.

Pur nelle sue condizioni, riuscì a percepire l’elevarsi delle urla generali. Se fossero in un ospedale umano, sarebbero stati scortati fuori dalla stanza.

«Va bene, ragazzi… Ragazzi!» il tono autoritario usato da Farah ebbe il potere di placare gli animi, per qualche secondo. Nel momento stesso in cui ripresero a confrontarsi, gli animi si scaldarono nuovamente.

«Va bene, se volete essere trattati da bambini vi tratterò da bambini» continuò la preside. «Tutti fuori! Adesso!» ordinò.

Bloom se la immaginò a puntare un dito, gli occhi spalancati e le labbra serrate in una linea dritta. Aveva proprio l’immagine dipinta davanti ai suoi occhi chiusi. Avrebbe voluto sorridere colpevole di tutte le volte che era stata la ricevente di quell’espressione.

«Non tu, Beatrix, rimani con me. Sky, anche tu. No, Musa, tu no. Riposati, hai già fatto abbastanza». Dopo le lamentele concitate dei restanti personaggi, calò il silenzio e Bloom udì solo tre voci scambiarsi le proprie opinioni e organizzare un piano di recupero per Sebastian. “Temporaneo, ovviamente” aveva tenuto a sottolineare la preside. “Purtroppo, necessario…” aveva aggiunto.

Bloom avrebbe voluto sbuffare indignata. Non poteva accettare che Sebastian fosse davvero l’unico in grado di salvarla.

 

«Se hai nominato Sebastian è perché credi che il libro provenga da Aster Dell, mi sbaglio?» aveva chiesto Farah, probabilmente a Beatrix.

«Sì, Rosalind mi ha raccontato che lo aveva “trovato”, cioè rubato, prima dell’assedio», spiegò, «a quanto pare apparteneva a delle Streghe del Sangue che avevano fatto un patto di sangue proprio con un demone di un altro Mondo per ottenere il potere sulla Vita e sulla Morte. Quel morso di serpente doveva essere un qualche tipo di sistema di sicurezza, probabilmente solo il sangue di quelle streghe poteva aprire il libro» chiarì, raccontando quella storia raccapricciante. «Ma non so quanto di questa storia sia vera…» aggiunse in fine, come a non volersi assumere fino in fondo la responsabilità delle sue parole.

«Se chiediamo aiuto a Sebastian, sicuramente vorrà qualcosa in cambio…» riflettè ad alta voce Farah.

«E qual è l’alternativa? Lasciar morire Bloom?» aveva urlato Sky.

«Sky, mi aspetto più autocontrollo da uno Specialista» lo avvertì la preside. «Lo so che eravate… uniti, in passato, ma ho bisogno che tu sia lucido, altrimenti dovrò chiederti di seguire gli altri fuori. Capisci, vero?».

Dopo quel breve ma chiaro richiamo, Sky non fiatò per il resto della conversazione, se non interpellato direttamente. Si limitava a tenerle la mano.

«Non dite a Sebastian che sono stata io a dirlo, ma… sono quasi convinta che avesse un debole per Bloom» disse Beatrix.

Bloom ebbe un altro spasmo e quasi cadde dal letto dell’infermeria. Delle mani forti, che riconobbe dal tocco essere quelle di Sky, la risistemarono sul letto. Sentiva ancora gli occhi umidi di quello che pareva sangue, dalla consistenza e odore, ma in quel momento avrebbe voluto che i suoi timpani esplodessero, pur di non stare a sentire quelle parole. Che Beatrix stesse mentendo? A che pro? ormai non aveva più nessuno da servire per ottenere più potere. E non poteva essere così ingenua da pensare che potesse in qualche modo riuscire a far evadere Sebastian dai sistemi di sicurezza di Solaria—semmai lo avessero davvero fatto uscire per salvare la vita di Bloom.

«Cosa stai suggerendo, Bea?» disse Sky, un graffio deturpò la sua voce resa profonda dalla serietà della situazione.

«Sebastian è il figlio di Valtor, quel Valtor: signore oscuro assetato di conoscenza e poteri illimitati, va bene? Sebastian ha vissuto ad Aster Dell ed era destinato a continuare il lavoro del padre—parole sue, non mie— quindi sicuramente gli sarà stato insegnato qualcosa su questa magia oscura e cazzi vari. Potrebbe conoscere il modo di guarirla, o quantomeno istruirci su come creare un cazzo di antidoto» spiegò, con i suoi modi sempre bruschi. Se la natura non fosse diversa, si avrebbe potuto pensare che Andreas l’avesse partorita da sé; era figlia sua sotto ogni punto di vista.

Probabilmente per non cambiare l’oggetto della discussione, Farah sembrò far finta di non averla sentita esprimersi in modo del tutto inappropriato in sua presenza, e si concentrò sulle parti di informazioni davvero importanti.

Quell’assurda storia stava cominciando a suonare fattibile perfino a Bloom.

Sebastian, poteva essere davvero la sua unica salvezza. La vita è proprio imprevedibile, delle volte…

 

—ooOoo—

 

«Senza queste riuscirei a lavorare meglio, sapete?»

Bloom avrebbe riconosciuto quella voce anche a un miglio di distanza, nonostante le sue condizioni attuali.

Sebastian era lì, nella sua stessa stanza. Si chiedeva se l’avrebbe aiutata davvero o se avrebbe approfittato della situazione per attuare un altro dei suoi piani.

«Non tirare la corda», lo avvertì Farah, «limitati a fare quello per cui sei stato convocato: preparare l’antidoto per il male che ha colpito Bloom» concluse lapidaria, non ammettendo ulteriori cambi di direzione del discorso.

«Ah, amichevole come sempre, vedo… preside» rispose Sebastian, come a voler sottolineare che non riconosceva la sua autorità.

Farah si limitò a rilasciare un profondo respiro. Bloom si immaginava perfettamente l’espressione con cui lo stava guardando, mentre Sebastian preparava l’antidoto—si sentiva il rumore del mortaio all’opera—e non avrebbe voluto essere la ricevente di quello sguardo.

Non volò un fiato per il resto del tempo di preparazione. Se non avesse saputo che non era da sola nella stanza, si sarebbe sentita abbandonata.

«Il tocco finale ed è pronto» disse Sebastian.

«Aspetta!» disse la preside, con un insolito tono agitato. «Perché hai aggiunto il tuo sangue?» gli chiese. «Come faccio a sapere che non è qualcos altro e che tu stia usando la situazione a tuo vantaggio». Il sospetto nella sua voce era lampante, e Bloom non poteva biasimarla: Sebastian si era rivelato un manipolatore d’eccellenza.

«Ah, non può saperlo, preside. Le toccherà fidarsi di me. L’alternativa è la morte di Bloom, e sappiamo tutti lo spreco che sarebbe per l’intera Dimensione Magica» la canzonò. «Soprattutto, per il futuro di Solaria. Immagino che la Regina tenga particolarmente alla sopravvivenza di Bloom, mi sbaglio? Altrimenti non sarei qui» ragionò Sebastian, come se stesse parlando di un’arma di distruzione di massa.

Poi, con amarezza e dolore, si rese conto che, in effetti, Bloom era stata in grado di rovinare e distruggere tutto ciò con cui era venuta in contatto nella sua vita… Non doveva stupirsi se anche gli altri la vedevano come solo quello: una ragazza instabile, dall’enorme potere, altrettanto instabile, e sfruttabile a proprio vantaggio.

Bloom avrebbe voluto guardarlo negli occhi ed esprimere tutto il suo disappunto per averle ricordato il movito per cui l’aveva avvicinata in primo luogo. Per essere usata, anche da lui che sembrava il più innocuo degli adulti che avesse mai incontrato.

Come poteva esprimersi in quel modo persino in un momento delicato come quello? Che fosse davvero così perso e senza morale? Nessuno dei lati più umani che aveva conosciuto, o pensato di conoscere, di Sebastian si basavano su dei veri aspetti della sua personalità?

Troppe domande. Troppe domande e nessuna possibilità di venirne veramente a capo. Non quando uno come Sebastian era coinvolto nel caos del quadro.

Bloom ebbe l’ennesimo spasmo. A differenza delle altre volte, però, non fu Sky a tenerla ferma e impedirle di farsi del male. Delle mani che non conosceva per esperienza diretta, ma che era convinta appartenessero a Sebastian, le impedirono di scivolare giù dal letto. Riconobbe in qualche modo il suo odore, tante volte si era ritrovata in sua prossimità e aveva potuto memorizzare quel dettaglio di lui. Non si era interrogata a lungo sul perché memorizzare l’odore corporeo di Sebastian fosse stato necessario per lei. Era successo e basta. Non voleva approfondire il ragionamento, temeva che si sarebbe solo fatta del male. Le sarebbe ritornata in mente anche l’esatta posizione delle rughe di espressione intorno agli occhi quando le sorrideva, le profondità nere con cui scavava all’interno dei suoi occhi azzurri, e i capelli neri e corti che spesso si era ritrovata a voler pettinare tra le sue dita. L’accenno di barba che era solito portare si era trasformato in una barba incolta? O aveva la possibilità di radersi anche lì nelle prigioni di Solaria?

Che idiota”, pensò Bloom. “Perché solo un’ingenua idiota penserebbe a dettagli del genere mentre la sua vita è appesa al filo di un rasoio e la sua possibilità di salvezza dipende dalla buona volontà di un criminale di Guerra”.

La trama di alcuni rovi robusti, con annesse le sue spine, le sfiorò improvvisamente la guancia, facendole scendere un rivolo di sangue, e un dito di Sebastian la pulì di quel sangue. Supponeva che lo avesse fatto per aggiungerlo all’intruglio magico che stava preparando, altrimenti significava che aveva semplicemente fatto una buona azione.

I rovi con cui la pelle di Bloom era venuta a contatto dovevano essere quelli che avvolgevano i polsi di Sebastian. Li aveva visti quando Sebastian era stato scortato nelle prigioni di Solaria dai soldati dell’Armata Reale della Regina Luna.

La stessa mano di prima andò a posizionarsi dietro la sua nuca sudata e il bordo di una ciotola in legno le si posò sul labbro inferiore, cercando di farle bere con delicatezza il contenuto del piccolo recipiente. L’odore non era dei migliori, ma Bloom aveva sicuramente avuto a che fare con cose peggiori.

Il liquido scivolò lungo la sua gola e al suo passaggio sembrò già migliorare la situazione.

Le corde vocali furono le prime a smettere di dolore, poi seguirono i tremori, i muscoli intorpiditi e lo stillarsi del sangue sul suo viso. Qualcuno le asciugò i rimasugli di sangue dalla pelle con un fazzoletto morbido e umidò di acqua. Il tocco era leggero come una piuma, si immagino che fosse opera di Farah, ma quando finalmente Bloom fu in grado di riaprire gli occhi, sebbene la luce improvvisa le procurasse non pochi fastidi alla vista, la prima persona che vide accanto a sé fu proprio Sebastian. Le teneva ancora una guancia con una mano e con l’altra la puliva dallo sporco e dal sudore come meglio poteva.

«Bentornata, Bloom, ti sono mancato?» furono le prime parole che Sebastian le rivolse una volta che ebbe fissato lo sguardo nel suo. Le sorrideva. Il traditore le sorrideva come niente di spiacevole fosse mai accaduto tra di loro.

Le baciò la fronte madida e la sua barba morbida le procurò il solletico. L'aveva fatta crescere, quindi. Rivederlo, dopo tutti quei mesi, fece smuovere qualcosa nel suo stomaco. La parte peggiore era che non era del tutto sicura che si trattasse di odio viscerale nei suoi confronti.

Frustrata dall’intero contesto del loro ritrovamento, emise uno sbuffo e con gli occhi diventati arancioni mandò a fuoco una pianta alle spalle di Sebastian. Sperava solo non fosse una di cui si era occupata Terra o Flora.

Bloom si guadagnò così un abbraccio spacca-ossa da parte di Farah e dei risolini silenziosi da Beatrix e Sebastian—che le scompigliò anche i capelli, com’era stato solito fare in passato, quando erano da soli.

Le guardie della Regina lì presenti, a tutela della sicurezza della situazione, rimasero invece impassibili davanti a quella scena dal carattere quasi domestico.

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Capitolo 23
*** Giorno 23 — Sabbia ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 23: sabbia

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

OCCASIONI

1761 parole

 

 

Stella e Beatrix avevano scelto di sposarsi sulla spiaggia, nel bel mezzo dell’estate—la stagione preferita di Stella.

 

Appena finita l’Università, Stella aveva prenotato un viaggio per la Grecia e lì aveva scelto di fare la proposta di matrimonio a Beatrix, la sua ragazza fin dai tempi delle superiori.

Le era stato raccontato che c’era stato addirittura un flash-mob e dei fuochi d’artificio. Tipico di Stella non badare a spese. Per riuscire a tenersi il suo lavoro da barista, Beatrix aveva dovuto discutere molto con Stella—che invece avrebbe voluto vederla all’Università insieme a lei oppure in un’enorme villa vista mare. Ma Beatrix non era tagliata per quegli agi, le piaceva avere la sua indipendenza; avere “la ragazza ricca” non rappresentava, secondo lei, alcun vero vantaggio. Suo padre, Andreas, l’aveva viziata abbastanza fin da piccola, nonostante vivessero sperduti in un piccolissimo paesino montano, e non le aveva mai fatto mancare nulla—com’era giusto che fosse.

I granelli di sabbia si infiltrarono ovunque nei sandali che Bloom portava ai piedi. Era quasi certa che, con il lieve venticello che passava ogni tanto al di sotto del grande tendone bianco sotto cui stavano cuocendo, della sabbia le fosse finita in bocca; sentiva la lingua ruvida.

Il resto delle ragazze: Terra, Musa, Aisha e Flora erano sedute nello stesso ordine alla sua destra. Dietro di lei sentiva borbottare Riven, che si lamentava con Sky, seduto accanto a lui da un lato, e con Dane, il suo ragazzo—seduto anche lui a lato, di quanto la cerimonia stesse andando per le lunghe e di quanto facesse “stramaledettamente caldo”. Avevano frequentato tutti la stessa scuola, quindi si conoscevano bene l’un l’altro. A turno, ognuno di loro si rivolgeva a Riven e gli intimava di fare silenzio. Quest’ultimo si limitava ad alzare gli occhi al cielo e ad accarezzare esasperato una coscia del suo ragazzo, cacciando la testa indietro e sospirando. Fortunatamente, Stella, già in lacrime, e Beatrix, che si sforzava di trattenerle per orgoglio, erano troppo assorbite dal loro coinvolgimento emotivo per curarsi davvero di quello che stava accadendo agli invitati.

Bloom le invidiava.

Mai lei era riuscita a provare lo stesso amore che loro due sembravano provare l’una per l’altra. Lei e Sky si erano frequentati per circa un anno scolastico, ma poi le differenze di pensiero e approccio alla vita si erano rivelata invalicabili e avevano deciso unanimamente di lasciarsi. Erano rimasti amici, e tra loro non c’era imbarazzo.

 

Un bambino scalmanato stava rischiando di cadere con la faccia in mezzo alla sabbia. Non aveva fatto altro che correre per tutto il tempo in mezzo alle sedie degli invitati, sembrava non scaricarsi mai. Alla fine, prima che qualcuno si alzasse e facesse una scenata in piena regole, venne acciuffato al volo da un uomo che Bloom riconobbe immediatamente.

Si trattava di Sebastian Valtoriano.

Era stato un loro professore di storia durante gli anni delle superiori, Bloom aveva avuto una cotta pazzesca per lui, ma non si era mai permessa di provare a fare nulla nei suoi confronti, per non mettere nei guai sia lei sia lui, il loro futuro. Al tempo lei aveva avuto solo sedici anni, mentre Sebastian ne aveva circa venticinque o ventisei; da quel poco che sapeva di lui, che aveva imparato a conoscere tra una lezione e un’altra, non avrebbe mai intrattenuto rapporti di natura diversa da quella che doveva esistere tra insegnante e alunna.

Stella, ma soprattutto la spavalda Beatrix, avevano provato a convincerla a lanciarsi nell’impresa di “sedurre” il suo professore, ma Bloom aveva voluto essere più saggia di così; era forse stata una delle poche volte nella sua vita in cui non si era lasciata governare dalla sua impulsività, nonostante la tentazione di dichiararsi al “Signor Valtoriano” fosse stata non indifferente.

 

«Se—Signor Valtoriano? Anche lei qui?» gli domandò scioccamente, seppur sottovoce, non riuscendo a ignorarlo del tutto.

«Ah, Bloom, giusto?» ricambiò lui.

Finse che il suo quasi non ricordarsi il nome di Bloom non l’avesse leggermente ferita nell’orgoglio.

«Ti trovo bene, spero» le chiese lui, probabilmente ignaro dell’effetto che era sempre stato in grado di avere su Bloom. Era come se pendesse dalle sue labbra, e si odiava per questo, per la disperazione con cui cercava il suo sguardo e la sua approvazione.

 

Daddy Issues and Mummy Issues at their finest” le avrebbe detto Beatrix con un sorriso vittorioso, sapendo di aver ragione. Bloom era sempre stata alla ricerca di una figura di riferimento che potesse guidarla nella vita, da cui potesse sentirsi amata e considerata. Sebastian, a sua insaputa, era stato quella figura per anni, fino a quando le loro strade non si erano divise. Bloom si era trasferita a Londra, insieme ad Aisha, mentre Sebastian presumeva che fosse rimasto a insegnare in Irlanda. Bloom era originaria di Gardenia, in California, ma per via del lavoro dei suoi genitori in Europa si erano dovuti trasferire in Irlanda, in modo da essere più vicini al Paese europeo in cui si sarebbero dovuti dirigere ogni volta che venivano chiamati. Ne conseguiva che Bloom aveva passato molte giornate, anche settimane o mesi, da sola in un Paese a lei sconosciuto, e in cui si sentiva il fenomeno di cui tutti parlavano, anzi: sparlavano. Incontrare il suo futuro e leale gruppo di amiche era stata una gran fortuna—che delle volte aveva dato per scontata.

 

«Sì, non c’è male» rispose lei, per non annoiarlo con l’Odissea che era la sua vita da studentessa e lavoratrice. Arrivata alla maggiore età, aveva tagliato tutti i ponti con i suoi genitori, già assenti per deformazione professionale, e viveva ancora con Aisha nello stesso appartamento a Londra. Tornava in Irlanda solo quando dovevano vedersi tutte insieme.

Quel matrimonio ne era una dimostrazione.

Il caldo improvviso della giornata e il vento che via via si faceva più veemente era una fonte di distrazione e guai considerevole. Sperava solo che il capannone allestito non volasse via da sopra le loro teste e si scagliasse contro le scogliere in lontananza. Anche se, doveva ammettere, sarebbe stato sicuramente un ricordo da raccontare ai loro figli—per chi di loro ne avrebbe avuti, almeno.

Quel pensiero le riportò alla mente il fatto che il motivo per cui aveva rivisto Sebastian era perché lui si era prodigato a recuperare un bambino prima che cadesse e si mettesse a piangere per il resto della cerimonia.

«E lei, signore? Spero tutto bene» ricambiò la domanda di cortesia. «Ha salvato suo figlio in calcio d’angolo, vedo» si permise di dire con un risolino innocente, sperando di non risultare offensiva.

«Chi, lui?» Sebastian fece segno con un dito verso il bambino, come a chiedere conferma, nonostante fosse l’unico bambino presente tra loro.

«È il figlio di una donna seduta accanto a me, mi ha chiesto di recuperarlo per lei perché è all’ottavo mese e fa fatica a star dietro a questo fulmine di bambino» le spiegò conciso. Poi si rivolse al bambino che aveva ancora in braccio: «Vero che fai correre la mamma a destra e a sinistra? Mh?» gli chiese, pur con un sorriso stampato in faccia per fargli capire che non lo stava sgridando davvero. Il bambino si limitò a corpirsi la faccia in modo teatrale e a dondolarsi nelle braccia di Sebastian, fino a nascondere il volto sul petto ampio di Sebastian, racchiuso in un elegante completo nero, compreso di papillon nero—sembrava quasi che si dovesse sposare anche lui quel giorno. Entrambi si intenerirono di fronte a quell’infantile dimostrazione di colpevolezza.

Senza rendersene neanche conto, fu più un riflesso istintivo, entrambi si guardarono negli occhi in quell’esatto istante.

Vedendo l’espressione calma, famigliare, dipinta sul volto di Sebastian, il cuore di Bloom si calmò ulteriormente. Il suo professore era sempre stato in grado di farla sentire a suo agio, ma quella conversazione si era presto trasformata in qualcosa di ancora più confortevole.

Si chiedeva se gli occhi che sentiva puntati addosso appartenessero alle sue amiche o a Sky, dietro di lei. O forse da entrambe le direzioni.

Bloom riflettette sul fatto di aver parlato troppo, nonostante si fossero premurati di mantenere un tono di voce molto basso, quindi, a malincuore, dovette decidersi a fare il primo passo e salutare il suo ex-professore. Almeno per ora, sperava di rivederlo durante il ricevimento.

«È stato un piacere rivederla, professore» disse, calcando la mano sulla parola “professore”. Dovette alzare il mento per riuscire a guardarlo in faccia, nonostante i tacchi, rimaneva sempre più alto di lei di almeno una testa. In quegli anni lei non era cresciuta chissà quanto, anzi: fisicamente si sentiva ancora un’adolescente, ma la sua mente aveva corso un’estenuante maratona nel tentativo di maturare il più in fretta possibile. Era stato necessario, ma ogni giorno si pentiva di non essersi goduta a pieno gli anni dell’adolescenza, in cui poteva ancora per poco tempo permettersi di prendere la vita alla leggera. Ma così non era stato, purtroppo, e rimpiangere il passato non l’avrebbe fatta tornare indietro nel tempo.

«Anche per me è stato un piacere, Bloom» le rispose. La sua voce, se possibile, negli anni si era fatta ancora più calda e roca.

A parte qualche ruga di espressione in più intorno agli e alla bocca, il resto di lui era rimasto pressocchè identico, tranne per la barba portata più lunga—anni fa era solito mantenere solo un accenno di barba sul volto. Così come i capelli neri rimanevano portati corti. Quegli occhi neri la guardavano con la stessa affabilità del passato, forse addirittura accentuata dalla nostalgia del loro incontro fortuito. Forse non così casuale, però, avrebbe dovuto chiedere alle spose perché mai avessero invitato Sebastian al loro matrimonio; non le risultava che avessero chissà quale rapporto ai tempi della scuola. Allo stesso tempo, doveva ringraziarle per averle fatto rivivere ricordi di una sé più giovane e sognante, sicura che, raggiunta la maggiore età avrebbe trovato il coraggio di dichiararsi a lui e che, per qualche motivo, lui l’avrebbe ricambiata e sarebbero stati felici e contenti per il resto dei loro giorni.

La verità è che la vita ti scorre in fretta tra le dita, come sabbia al vento, e prima che tu abbia la possibilità di rendertene conto, sei cresciuta e le tue priorità cambiano.

Tuttavia, era contenta di sapere che alcune cose non fossero cambiate. Come la sua cotta per il suo professore, e la buona notizia era che lei non era più una ragazzina e Sebastian, se Bloom aveva interpretato bene i suoi sguardi durante quello breve scambio di battute amichevoli, sembrava più che disponibile ad approfondire la sua conoscenza; come anni fa non avrebbe mai potuto fare…

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Capitolo 24
*** Giorno 24 — Tremore ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 24: tremore

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

UNA NOTTE SENZA STELLE

1678 parole

 

 

Non c’era modo di tornare indietro, ormai era fatta. Non sarebbe più stata la benvenuta ad Alfea…

 

Bloom aveva aiutato Sebastian a distruggere la scuola, simbolo di una tolleranza tra specie fatate solo di facciata. L’aveva avvolta nella sua Fiamma e fatta crollare al suolo, in briciole di cemento e pietra dura. Gli specialisti erano stati manipolati da Sebastian e le altre Streghe del Sangue affinchè combattessero contro i loro stessi alleati. Persino i rinforzi inviati dalla Regina Luna si erano rivelati inutili. Soldati addestrati si erano trucidati a vicenda come in una rappresentazione di marionette raccapriccianti, eccetto che il finale non sembrava mai giungere. Ore erano sembrate giorni di lotta, di uccisioni e sangue che scorreva tra i vicoli della Dimensione Magica; innocenti colpiti nelle colluttazioni mortali.

Eppure, il senso di colpa non sembrava affiorare in Bloom. Nessuno oltre Sebastian si era degnato di rivelarle le sue vere origini, mentre lui sì… A un prezzo, certo, ma cos’altro aveva da perdere? Le sue amiche avevano fatto presto a giudicarla, già quando Bloom aveva avanzato la sola ipotesi di collaborare con Sebastian, al fine di ottenere da lui informazioni per lei preziose. Facile per loro giudicarla, non hanno vissuto una vita di menzogne per sedici anni. Sebastian, almeno, una volta venuto allo scoperto circa le sue vere intenzioni, vendicare i torti subiti dalla sua gente per secoli, era stato chiaro con lei: unirsi a lui nella lotta al potere o lui avrebbe comunque ucciso tutti i suoi amici, finchè lei non si sarebbe arresa e gli avrebbe consegnato la Fiamma del Drago. Non c’era stato molto da riflettere, nulla avrebbe fermato Sebastian. Tanto valeva essere egoista, non le risultava difficile esserlo, se doveva essere del tutto sincera con se stessa, e ottenere si le informazioni che anelava sia il tenersi la Fiamma del Drago, i suoi poteri—finchè li avesse usati secondo le indicazioni di Sebastian.

Poteva andare peggio” pensò Bloom. “Potrei essere morta, senza aver mai scoperto chi sono e chi ero prima di essere scambiata alla nascita con una bambina umana”. Mentre, grazie al suo nuovo compagno d’arme, Sebastian, aveva già scoperto chi erano stati i suoi veri genitori, che aveva una sorella, da qualche parte, e che era l’erede al trono di Domino—un regno da tempo creduto distrutto, ma che in realtà giace nascosto da un incantesimo di protezione. Il padre di Sebastian aveva per anni tentato di spezzare il sigillo che protegge il Regno natale di Bloom, ma la magia usata a sua guardia proveniva dalla fonte della Fiamma del Drago e Bloom, o chiunque fosse entrato in possesso di tale potere immenso, avrebbe potuto riaprire i cancelli incantati. Bloom era così passata dal credersi una comunissima ragazza, con strani poteri di fuoco, al venire a conoscenza di essere in realtà una fata e, men che meno, di essere la futura regnante di un intero popolo; in attesa che il suo ritorno li scongelasse dalla sorta di era glaciale in cui si trovavano. Per ottenere quel trono, quell’appartenenza, avrebbe solo dovuto assecondare Sebastian e renderlo suo consorte. Nulla di più. Non gli era sembrato il tipo da manie di grandezza, ma, più gli parlava e lo conosceva davvero per quel che era, più Bloom si rendeva conto che, in realtà, era molto più che delle “semplici” manie di grandezza. Era più che altro il suo modo di sentirsi in potere, almeno per una volta nella sua vita; dopo anni di assoggettamento: prima sotto suo padre e i suoi piani di conquista, la sua ossessione con Bloom e l’ottenimento della Fiamma del Drago, poi Andreas ci aveva messo il resto durante tutto il periodo in cui Sebastian era stato uno Specialista in erba ad Alfea. Gli aveva raccontato che era considerato scarso nel ruolo, al tempo, e quindi qualcuno su cui gli altri Specialisti, fomentati dal lasciapassare di Andreas, potevano sfogare le loro giornaliere frustrazioni.

Bloom aveva visto con i propri occhi Sebastian manipolare le articolazioni di Andreas affinchè si lanciasse alla carica contro Beatrix—adottata dallo Specialista quando era ancora in fasce. Pur di incapacitarsi a farle del male, Andreas si era trafitto in più punti del torace con un piccolo pugnale che teneva legato alla coscia sinistra.

 

Durante gli scontri Sebastian aveva riportato diverse ferite, credute inizialmente superficiali. Beatrix, furiosa per la morte di quello che considerava a tutti gli effetti suo padre, era riuscita a scagliargli contro un complesso agglomerato di fulmini e, sebbene Sebastian avesse usato a sua volta i poteri che aveva rubato a una fata dell’aria per deviare la traiettoria del colpo, una parte di quel fulmine doveva essersi trasferito dal suolo fino a lui. Prima di svenire, era riuscito a scaraventare Beatrix contro un enorme masso. La fata aveva battuto la testa ed era morta sul colpo, un copioso lago di sangue a circondarle la testa. Gli occhi rimasti aperti lanciarono un brivido di freddo lungo la schiena di Bloom, ma, senza perdere ulteriore tempo, gli abbracciò il busto da dietro e lo trascinò lontano dalla battaglia. Non con poca fatica, considerata la loro sostanziale differenza fisica, era riuscita ad allontanarsi abbastanza da non essere notata mentre trascinava da sola un corpo a peso morto, si era così poi circondata con un cerchio di fuoco dalle mura alte almeno tre metri. Nessuno sarebbe riuscito a superare quelle fiamme, non ancora vivi, almeno. Una delle prime cose che Sebastian le aveva spiegato sull’estensione dei suoi poteri, era che Bloom poteva rendere la sua fiamma più impetuosa di quello a cui era abituata e fare in modo che non si estinguesse mai, salvo sua scelta o la sua morte. Era così che aveva tirato giù le fondamenta di Alfea. Gli sforzi delle fate dell’acqua si erano rivelati inutili di fronte all’ingordigia della sua Fiamma.

 

Il corpo incosciente di Sebastian aveva preso a tremare. Aveva come degli spasmi e i suoi muscoli erano duri come il marmo. Bloom cominciò a pensare che Sebastian sarebbe morto tra le sue braccia, e, in quel momento, odiò Beatrix. Odiò che fosse morta in fretta e che fosse riuscita a causare un simile male a Sebastian prima di morire. Avvertì le sue ali di fuoco espandersi e i suoi occhi bruciare più che mai. Si strinse il volto di Sebastian al petto e ogni suo spasmo e tremore involontario era l’ennesima fitta al cuore di Bloom.

Non aveva avuto neanche il tempo di raccogliere i frutti di quella collaborazione, che già rischiava di perdere tutto. C’erano tante cose di cui lei e Sebastian dovevano parlare, tante cose che lui doveva raccontarle e rivelarle, ma, più di tutto, Bloom non aveva ancora avuto il coraggio di ammettere, neanche a se stessa, che qualcosa dentro di lei si stesse smuovendo verso Sebastian. Le aveva mentito fin dall’inizio, è vero, ma lo aveva fatto per proteggere se stesso e la sua gente, per riappropriarsi per tempo della propria identità natale derubata e deturpata da estranei ignoranti.

«Sebastian, Sebastian, ti prego… non puoi morire, non puoi» gli disse mentre cercava di tenerlo sveglio. Apriva e chiudeva gli occhi continuamente, aggrappandosi addirittura a un braccio di Bloom, scivolando fino a tenerle la mano in una morsa d’acciaio ogni qual volta un altro intenso tremore lo colpiva.

«Ho bisogno di te, tutti qui hanno bisogno di te. Ti prego, ti p-prego…» Una lacrima solitaria le percorse la guancia arrossata, ma era troppo disperata e arrabbiata per riuscire a piangere. Gli accarezzò una guancia con il pollice, era terribilmente freddo, come se nelle vene gli stesse scorrendo del ghiaccio. Cosa cazzo gli aveva fatto Beatrix? Doveva aver legato la sua magia con qualche altro potere imparato di recente; tipico di Beatrix avere un asso nella manica a portata di mano, era tutta suo padre. Essere morti insieme sembrava la cosa più logica per loro, ora che Bloom ci pensava.

La gola le graffiava ed era secca, come se avesse bevuto un intero bicchiero di solo succo di limone, parlare le risultava quasi difficoltoso.

Per Sebastian, invece, sembrava difficoltoso persino respirare.

In un breve momento di calma, appoggiò una sua mano su quella che Bloom teneva sulla guancia di Sebastian e la guardò negli occhi. Le sorrise sinceramente, una fossetta gli comparve a un angolo della bocca. I capelli neri spettinati gli davano un’aria più giovanile, e in per un attimo Bloom si immaginò un Sebastian suo coetaneo, invece dei suoi venticinque anni, che si portava sulle spalle un segreto in grado di mettere fine alla sua vita, se svelato alla persona sbagliata. Non doveva essere stato facile vivere nell’ombra di se stessi, sapere di essere più forti di quello che gli altri credevano ma non poterlo dimostrare con i fatti. A differenza di Bloom, che non aveva mai perso occasione di sfogare la sua rabbia quando provocata, Sebastian aveva dovuto tenere tutta quella negatività rinchiusa dentro di sé. Per anni e anni. E quando finalmente riusciva a venire allo scoperto, secondo le sue condizioni, ecco che un vero e proprio fulmine lo stroncava.

Quella notte le stelle nel cielo si erano nascoste, probabilmente prevedendo le atrocità che si sarebbe consumate sotto di loro nelle ore successive. L’unica fonte di luce proveniva dai combattimenti tra Fate e Specialisti—manipolati dalle Streghe del Sangue.

Sebastian morì tra le braccia di Bloom, sicuramente consapevole che, senza di lui, quella Guerra non sarebbe potuta durare a lungo.

Bloom gli toccò la fronte con la propria, gli abbassò le palpebre e si alzò in piedi—molto lentamente. Sembrava posseduta da una forza che mai l’aveva pervasa prima di allora. Il suo corpo si circondò di fuoco, come una fenice che sorge dalla cenere, a simboleggiare la morte metaforica di Bloom e di ogni paletto morale che poteva esserle rimasto. Si levò in alto nel cielo e i suoi occhi appiccarono fuoco a tutto ciò che era sotto di lei, con l’eccezione del corpo inerme di Sebastian.

 

Fate, Specialisti e persino Streghe del Sangue. In quella notte senza stelle, tutti coloro che aveva intralciato o fallito in qualche modo i piani di Sebastian, bruciarono avvolti dalla Fiamma del Drago.

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Capitolo 25
*** Giorno 25 — Manette ***


Note: per via delle tematiche delicate presenti in questa OS (pensieri, parole, modo di vedere le cose e i rapporti personali), sconsiglio alle lettrici e ai lettori più giovani di leggere questo capitolo. E in generale, quando si leggono storie di questo tipo, indipendentemente dalla loro lunghezza, è sempre bene utilizzare un proprio senso critico. Grazie dell’attenzione e buona lettura alle persone rimaste. <3

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 25: manette

 

 

 

[BDSM!AU]

 

 

 

FIDUCIA

2358 parole

 

 

Le calde luci soffuse nella stanza donavano alla pelle nuda di Bloom un colorito in tono con i suoi capelli rossi, sparsi sulle lenzuola in seta. I polsi ammanettati alla testiera del letto, sopra la sua testa, e la biancheria intima in pizzo in contrasto con i suoi colori naturali, la facevano apparire come un quadro vivente.

Sebastian non riusciva a smettere di guardarla.

Avere qualcuno dal temperamento irruento come Bloom, e saperla legata e impossibilitata a muoversi, costretta a subire e ricercare attenzioni che solo lui poteva e sapeva darle… neanche a specificarlo, Sebastian era già duro da quando era entrato e l’aveva trovata in quelle condizioni. Per un singolo secondo si era chiesto il motivo di quella organizzazione, il suo compleanno distava alcuni giorni, poi si era dato mentalmente dell’idiota per star cercando di trovare un motivo a un regalo tanto meraviglioso.

Bloom era meravigliosa, e perfetta per lui.

Stavano insieme da quando Bloom aveva sedici anni e lui venticinque. Praticamente l’aveva vista crescere. L’aveva tenuta accanto a sé e guidata nel resto dei passi più importanti dei suoi anni più formativi, ottenendo in cambio la totale fiducia di Bloom nei suoi confronti. Sebastian si era sempre impegnato a essere diretto con lei, farle capire che non intendeva perdere tempo né farglielo perdere. Prima di Sebastian c’era stato un altro ragazzo nella vita di Bloom, Sky; la sua prima volta era stata con lui. Quando Sebastian lo aveva saputo, una parte dentro di lui si era attorcigliata come una catena, ma aveva dovuto fare ricorso alla sua parte più razionale e analizzare la situazione per quello che era. Era un bene che Bloom avesse deciso di dedicarsi completamente a qualcuno, specie nei suoi primi approcci al mondo del sesso, con un suo coetaneo. L’aveva conosciuto anche, questo Sky… era un tipo a posto, bravo ragazzo, il fidanzato che ogni genitore vorrebbe avere per la propria “bambina”. Ma Sebastian non era il padre di Bloom, sebbene durante i loro giochi di ruolo ogni tanto lo chiamasse con quel nomignolo provocatorio—era raro però: Bloom doveva essere in un mood particolare per chiamarlo in quel modo, di solito verso la fine della loro sessione.

Con gli occhi ritornò a concentrarsi sul corpo esposto di Bloom. Osservava l’alzarsi lento del suo stomaco tirato e le labbra schiuse a cercare di inglobare quanta più aria possibile. Il solo pensiero che fosse tornata dall’Università con già in mente il pensiero di preparare la stanza e il suo corpo a essere usato e posseduto, arrivando a farsi trovare già con le manette dal riempimento morbido e peloso chiuse intorno ai polsi, era motivo di euforia per Sebastian. Non poteva essergli capitata fortuna migliore. Bloom era sua, era stata sua già dal primo momento in cui aveva messo piede nella sua biblioteca e gli aveva chiesto informazioni su un libro scolastico fuori catalogo.

Stava per sbottonarsi i primi bottoni della camicia bianca, ma la voce rauca di eccitazione di Bloom fermò sul nascere la sua azione.

«Tienila» gli disse, non era una richiesta. «E arrotola le maniche della camicia fino ai gomiti».

Tipico di Bloom imporre il suo volere anche mentre era letteralmente con le mani legate. Era uno dei lati di lei che Sebastian amava: il suo essere voluttuosamente testarda. La guardò negli occhi, e persino da quella distanza—le sue ginocchia toccavano la fine del materasso—e le luci abbassate, riusciva a scorgere negli occhi azzurri di Bloom la liquida vertigine del suo desiderio nei suoi confronti. Le accarezzò l’interno di una caviglia con la punta di un suo dito indice, scorrendo avanti e indietro, fino a che non si formò sulla pelle pallida di Bloom una traccia di pelle d’oca. Ma non si ritirnò dal tocco, anzi: cercò di allungare il più possibile la gambe per arrivare a toccarlo, ma era fatica inutile, considerato che Bloom era più bassa di Sebastian e, posizionata com’era, non sfiorava comunque la fine del letto.

«Sebastian…» ansimò Bloom, non distaccò gli occhi dai suoi neanche per un istante. Se mai si fosse permesso, sapeva che Bloom avrebbe potuto dare fuoco all’intera stanza, magari rovesciando le candele profumate accese sul parquet e lanciandole contro le tende tirate. Andare contro la volontà di Bloom era già una mossa pericolosa quando era più emotivamente gestibile, ma tentare di governare quelle sessioni non seguendo quelli che sapeva essere i punti fondamentali per lei, voleva dire rovinare il momento e ritrovarsi una insoddisfatta Bloom in giro per casa. Era un pericolo chiamato, e Sebastian ci teneva a conservare l’illusione di avere le redini di quella loro dinamica in mano. Lo aiutava a sentirsi in controllo di Bloom così come lo era stato quando quest’ultima era ancora una sedicenne alle prime cotte ed emozioni romantiche. Allora sì che era stato facile per lui attrarla a sé, gli era bastato mostrarle quello che—come aveva intuito Sebastian dalle confidenze della ragazza e chiedendo anche in giro—a Bloom non era mai davvero stato mostrato: amore, tenerezza soprattutto. Bloom era sempre scattosa e sulla scia di guerra, pronta a scattare alla minima provocazione, ma Sebastian le aveva fatto capire che con lui poteva trovare la pace, l’armonia che nella sua vita era mancata per troppo a lungo. Sebastian stesso sapeva com’era vivere con dei genitori che non tengono davvero a te, ma solo a quello che rappresenti per loro, essere guardati diversamente dagli altri, dalla società, solo perché le persone riescono a percepire, o sono venute a conoscenza di, dettagli della tua vita che ti condannano a essere etichettato come “diverso”. Diverso perché non uguale a loro.

«Bloom…» ricambiò lui, curioso di sapere cosa aveva in mente quella volta la sua giovane fidanzata. L’ultima volta l’aveva portata alle lacrime, e la sessione era stata seguita da una lunga, intera ora di after-care. Le aveva preparato un bagno caldo e si era posizionato dietro di lei dentro la grande vasca da bagno. Un modo come un altro di spendere parte dell’eredità lasciatagli da suo padre Valtor era stato quello di fare in modo che Bloom avesse la casa quanto più accogliente possibile. Si erano resi conto molto in fretta che fra di loro si era instaurata una sorta di dipendenza dall’altro. Dopo aver conosciuto Bloom, Sebastian non riusciva a pensare ad altro che a lei. Si chiedeva quando l’avrebbe rivista e quando finalmente la rivedeva entrare nella sua biblioteca, vicina ma allo stesso tempo ancora troppo lontana per i suoi gusti, un moto di insoddisfazione lo avvolgeva. Porsi con il busto oltre il bancone, sfiorarle “accidentalmente” la mano e guardarla mentre si sedeva a uno dei tavolini messi a disposizione per la lettura, non gli era sembrato bastare più. Aveva saputo che sarebbe dovuto andare oltre, perse addirittura il sonno per lei, convinto che averla accanto nel suo letto avrebbe messo a tacere i fantasmi e demoni del suo passato che gli tormentavano la mente quando cercava di mettersi a dormire. E così era stato. Quando finalmente aveva ottenuto il favore di Bloom e aveva cominciavo a passare le prime notti all’appartamento che lui aveva in affitto al piano sopra la biblioteca, Sebastian conobbe per la prima volta il silenzio assoluto. Essere in compagnia di Bloom, occuparsi e preoccuparsi del suo benessere psico-fisico lo rendeva un uomo performante anche su tutto il resto. Mai gli era capitato prima e mai avrebbe permesso a qualcosa o qualcuno di privarlo dell’unica fonte di gioia e sollievo nella sua vita, fino ad allora, miserabile e solitaria.

Perciò sì, se in cambio doveva permettere ogni tanto a Bloom di comandarlo a bacchetta e dare a lui il compito di impersonare il ruolo di Soft Dom, perché era quello di cui lei aveva e sentiva il bisogno, allora Sebastian non aveva nessun tipo di problema a plastificarsi sul viso l’espressione e assumere gli atteggiamenti di un protettore dall’animo servile, che conosceva i bisogni della sua sottomessa e intendeva fornirglieli. Era la stessa tecnica che aveva usato per portare la Bloom sedicenne a fidarsi di lui, trasferirla anche nella loro sfera sessuale non era stato uno sforzo titanico. Era bravo a fingere, era così che aveva ottenuto la sua rivincita dalla vita di rinunce ed educazione di ferro a cui l’aveva assoggettato suo padre Valtor fin dalla tenera età.

«So cosa vuoi, Bloom», le disse languido, «permettimi di dartelo».

«E cosa voglio, Seba--» la interruppe, facendole capire che la sessione era iniziata. Le strinse una caviglia con una mano, procurandole sicuramente un souvenir per il giorno successivo. Il clima permetteva ancora l’uso di gonne e pantaloncini, e Bloom sembrava aver fatto la ceretta proprio quella mattina, quindi supponeva che intendeva indossare abiti che avrebbero messo in mostra i segni di quello che sarebbe accaduto tra poco tra loro due. Sebastian sorrise al pensiero, la sua Bloom aveva pensato proprio a tutto. E chi era lui per deludere le aspettative che si era creata? Voleva marchiarla e lasciare il suo segno addosso tanto quanto lei desiderava essere, per una volta, posseduta seconda la sua volontà. Sebastian non sentiva neanche più la fatica della giornata gravargli sulle spalle quando era con lei.

«Usiamo il giusto linguaggio, Bloom, o potrei decidere di infilarti una ball gag e lasciarti ammanettata così per tutta la serata» le rimbeccò per il mancato uso dei giusti nomi di riferimento. «Potrei semplicemente sedermi accanto a te, sul letto, e leggere un libro in pace» la provocò.

Bloom lo guardò con quello che gli parve quasi vero e proprio odio negli occhi. La sua insoddisfazione la spingeva a ribellarsi, ma il suo desiderio di essere soddisfatta sessualmente dall’unico uomo a cui aveva dato il permesso di possedere e usare il suo corpo a piacimento, la bloccava dal dire o fare qualcosa che avrebbe ostacolato i suoi piani per la serata.

Sebastian adorava giocare con la sua mente in quel modo.

«Signore», si corresse allora Bloom, grattando quasi i denti fra loro, «cosa voglio?» gli chiese, in cerca di risposte. Gli diede quindi un’anticipazione del livello a cui Sebastian poteva spingersi quella sera. Doveva sentirsi particolarmente sopraffatta dagli eventi, se aveva sentito il bisogno di lasciare, almeno per una sera, il compito di prendere tutte le decisioni a lui. A parte la questione della camicia, Bloom non gli ordinò di fare nulla altro. Era tanto disperata quanto lo sembrava. Le ginocchia toccavano il materasso, talmente si stava mostrando e donando a lui, che a Sebastian quasi sembrò di essersi immaginato la chiazza bagnata formatasi sulla brasiliana in pizzo blu zaffiro che indossava.

Salì sul materasso a gattoni, avanzando lentamente sul corpo disteso di lei. Più si avvicinava al suo volto, più Bloom sembrava trattenere il fiato. Quando fu a un respiro di distanza dalla sue labbra, le braccia e le ginocchia a ingabbiarla sotto di lui, come se le manette non fossero abbastanza, e i suoi occhi neri fissi in quelli azzurri di Bloom, non permettendole di distrarsi neanche un secondo da lui, le baciò casto una guancia. Il semplice gesto sembrò lasciarla di stucco, si spinse poi con i seni sul suo petto, chiedendo implicitamente di più. Tornò a dedicarle quelle attenzioni atte a stimolare i suoi tempi di risposta a suo tocco, e arrivò a scendere fino il collo esposto. Aveva addirittura alzato il mento verso il lato opposto per lasciargli più spazio di manovra. Sebastian non potette trattenersi dal tirare gli angoli delle labbra in un sorriso vittorioso. Plasmarla al suo tocco si era rivelata la sua più grande conquista. La pelle di Bloom andava a fuoco, tutto il suo volto aveva assunto il colore dei suoi lucenti e lunghi capelli ramati. Sebastian strofinò le labbra sul collo di Bloom, portandola a ricordarsi di regolare il respiro e deglutire visibilmente nell’intento. Quando ebbe l’impressione che Bloom, ancora sotto di lui, si fosse calmata quanto bastava per renderla lucida e responsiva, si accostò con le labbra a un suo lobo.

«Questa sera vorrai tutto quello che io ti darò, Bloom» le disse con voce roca, trattenendo a stento la sua di eccitazione nella voce.

Due gambe gli circondarono la vita in una morsa e Bloom spinse i loro bacini insieme, gemendo sotto la sua promessa di piacere.

«Dimmi che è così» le ordinò, e la sua erezione minacciò di esplodergli già solo alla reazione di Bloom a quelle parole.

Di tutta risposta, lei gli morse il collo e lasciò un succhiotto in una posizione ben visibile al di sopra perfino del colletto della camicia. Le era sicuramente servito per sfogarsi, non potendo fare altro. Di solito, quando era lui a stare sopra, Bloom si premurava di afferrargli i corti ciuffi neri tra le mani, ma impossibilità a farlo com’era, aveva dovuto pensare a un altro modo per dimostrare il suo stato di disperazione. Sembrava aver perso l’uso della parola, ma Sebastian aveva davvero il bisogno di sentirglielo dire. Sentirla pronunciare parole da sottomessa, ruolo che nella vita di tutti i giorni non poteva essere più lontano da lei, aveva il potere di donargli una scarica di adrenalina indescrivibile.

«Sì, Signore. Prenderò tutto ciò che vorrete darmi» gli diede la conferma, ansimando accanto al suo orecchio e muovendosi, agitandosi, impaziente, cercando un maggiore contatto.

Sebastian l’accontentò e lasciò andare la maggior parte del suo peso sul corpo di Bloom, come a lei piaceva. Le mise una mano sul collo e le divorò le labbra come se fosse la prima volta che gli veniva concesso di farlo. Come se una bestia dentro di lui fosse stata liberata e fosse in cerca del suo premio.

Bloom era il suo premio, il suo personale riscatto per una vita che sembrava destinata a essere sprecata nell’anonimato del suo odio. Grazie a lei aveva capito che c’erano altri modi di incanalare le sue emozioni negativi, trasformandole in un’occasione per ottenere la felicità che sapeva doveva spettare anche a lui; forse a lui più di chiunque altro…

Mentire era stato tutto ciò che gli era stato insegnato fin dal dall’infanzia, era solo ovvio che prima o poi avrebbe effettivamente usato quella sua capacità per i suoi scopi personali, un giorno.

 

E non gliene fregava un cazzo di cosa aveva dovuto fare—le menzogne che era arrivato a dover inventare—per ottenere la fiducia di Bloom, ottenere quella vita che si era letteralmente costruito pezzo per pezzo.

 

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Capitolo 26
*** Giorno 26 — Mandorla ***


Note: la tua ship è davvero una ship fatta e finita se non ha la sua personale Coffe Shop!AU? XD Ed ecco da quale pensiero nasce questa OS. XD <3

Also, come potete vedere finalmente qui su EFP si ha la sezione dedicata al fandom di “Fate: The Winx Saga”, quindi ho voluto festeggiare in modo iconico, diciamo. Una sorta di battesimo vero e proprio, se vogliamo. XD <3

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 26: mandorla

 

 

 

[Coffe Shop!AU]

 

 

 

IL SOLITO?

1885 parole

 

 

Bloom spinse la pesante porta d’ingresso del bar a cui era solita andare tutte le mattine e il trillo del campanello appeso sopra all’uscio accompagnò la sua entrata.

Nonostante fossero appena le sei e mezzo del mattino, c’era già la fila.

Ma ne valeva la pena, soprattutto per bearsi della presenza di un barista in particolare. Sul suo cartellino verde foglia c’era scritto “SEBASTIAN”, tutto in maiuscolo.

Ogni mattina Bloom ordinava il suo frappuccino con latte di mandorla e poco ghiaccio, e, puntualmente, Sebastian era sempre colui che prenotava il suo ordine. Invece di poggiare il resto nel vassoio di fronte a lei sul largo e profondo bancone, sorrideva e le porgeva le monete direttamente sul palmo aperto della mano. Le loro dita si sfioravano, qualche volta accidentalmente, ma il resto delle volte era stata Bloom a far in modo che si sfiorassero; delle rare volte si era voluta illudere che fosse stato lui a iniziare il contatto “casuale”. Non aveva idea di quanti anni avesse, rispetto a lei, ma sapeva per certo che non poteva essere un suo coetaneo. Come minimo doveva avere l’età per frequentare l’università, mentre Bloom era ancora bloccata in casa con i suoi genitori adottivi. Aveva sedici anni, ma aver ricevuto metà della sua educazione scolastica in America e star ricevendo l’altra metà in Irlanda, la faceva sentire una studentessa a metà. I metodi di insegnamento erano così diversi e la mole di studio talmente trasversale tra le materie, che star dietro a tutte in modo uniforme sembrava impossibile. Rischiava di perdere l’anno. Lo sapeva lei e lo sapevano i suoi genitori, ma facevano finta che andasse tutto bene perché troppo impegnati con il loro lavoro lì in Irlanda. Non erano mai a casa, quindi Bloom aveva avuto tutto il tempo di fare il giro della città, e scoprire i luoghi di Dublino che sarebbero diventati presto i suoi preferiti.

Quel bar era uno di quelli. Non aveva detto nulla neanche alle sue amiche, le quattro che l’avevano praticamente adottata dal primo giorno di scuola. Era stata fortunata a incontrarle, a Gardenia, California, si era fatta i primi due anni di superiori in solitaria. Il suo “carattere esplosivo” sembrava spaventare gli altri studenti, le era stato detto durante una riunione tra genitori e insegnanti. Non a caso, alcuni rinominati “teppistelli” Italo-Americani avevano provato a farsela amica, tra una mensa e l’altra, ma al tempo era stata troppo snob per dare loro una possibilità. Non si era quindi comportata meglio degli altri suoi compagni, giudicando solo dall’apparenza e in base alla loro storia personale. Era adottata, avrebbe dovuto sapere come ci si sente a essere esclusi da un gruppo solo perché non si hanno le loro stesse radici. Eppure

Non c’era giorno che Bloom non pensasse a quella ragazza dal forte accento italiano e i capelli tinti di blu che le si era seduta accanto durante l’ora di geografia: Bloom si era alzata e aveva cambiato posto; dopo quella volta, la ragazza non aveva più provato ad avvicinarla.

 

Ricevere la notizia che si sarebbero trasferiti oltreoceano l’aveva motivata a migliorare se stessa e il suo approccio con le persone, specialmente estranee.

Per quanto lasciarsi tutta la sua infanzia alle spalle, insieme ai luoghi in cui era cresciuta, non fosse stato facile, era stata certa che cambiare aria poteva essere l’opportunità giusta per rinascere. Era esattamente quello che aveva provato a fare una volta arrivata a Dublino, in Irlanda, e aver varcato la soglia della sua nuova scuola cattolica femminile. Indossavano tutte la stessa divisa verde smeraldo con accenti mogano, quella particolarità, così nuova per lei, le aveva permesso di focalizzarsi meno sul suo aspetto e lavorare principalmente sul suo modo di porsi agli altri. Sembrava in parte aver funzionato, ed essere “quella nuova” le aveva in molti casi fornito la scusante perfetta per spiegare alcuni suoi momenti di rilascio di stress. Tuttavia, era già quasi passato un anno dal suo trasferimento, non avrebbe potuto usare la scusa del cambiamento improvviso per giustificare oltre alcuni angoli grezzi del suo carattere.

Più di una volta Aisha l’aveva rimessa al suo posto, e, benchè sul momento l’avesse mal sopportata, nei giorni a seguire si era dovuta rendere conto che l’amica aveva avuto ragione a farle presente alcuni suoi atteggiamenti a tratti vittimistici.

L’avere avuto una vita dura e il suo pessimo rapporto con se stessa e i suoi genitori non l’autorizzava a scontare le sue pene interiori sugli altri. Doveva cercare il dialogo, smussare quei lati di sé che la portava, delle volte, a comportarsi in modo egoistico. Era un cammino lento, come a voler raggiungere la cima di una montagna, ma con la giusta compagnia e supporto, sentiva che prima o poi ce l’avrebbe fatta anche lei a migliorarsi. Era grata di aver trovato delle persone come Aisha, che agiva da sorella maggiore; Stella, che al contrario la viziava troppo con regali dopo ogni litigio, anche quando la colpa era di Bloom; Musa, con cui spesso scambiarsi il titolo di una canzone significava aver fatto pace; Terra, che trasformava le sue insicurezze in lezioni di vita, attraverso le quali imparava lei stessa delle cose, come se dire agli altri cosa fare le servisse più che altro da promemoria; e infine Flora, la più affettuosa del gruppo: grazie a lei Bloom aveva capito che esplorare la tenerezza ed essere gentili con se stessi e gli altri non era simbolo di debolezza, ma di struttura morale e sociale.

 

Quando arrivò finalmente il suo turno di ordinare, Sebastian le sorrise cordiale e le chiese: «Ah, Bloom, giusto? Il solito?» Le rughe di espressione che si formavano ai lati degli occhi neri di Sebastian erano il buongiorno preferito di Bloom. La mettevano immediatamente di buon umore.

«Sì, grazie» rispose soltanto, ricambiando il sorriso. Sentì le gote arrossarsi e sperò che le punte delle sue orecchie non si confondessero con il colore dei suoi capelli raccolti nella coda bassa che doveva portare tutte le mattine durante l'orario scolastico. Si sistemò meglio le spalline dello zaino per distrarsi dall’imbarazzo.

Dopo aver ordinato, si scansò dalla fila e permise alla persona dietro di lei di ordinare a sua volta. Andò ad attendere dall’altra parte del bancone l’arrivo del suo frappuccino con latte di mandorle e provò a non dare troppo importanza al fatto che Sebastian si ricordasse il suo nome. Veniva in quel bar quasi tutte le mattine da circa nove mesi, eppure quella era stata la prima volta che gli aveva anticipato il suo nome e l’ordine. Provò a non costruirsi castelli mentali, ma era difficile mettere da parte la cotta che aveva per lui. E il non averne mai parlato con nessuno contribuiva a renderla vittima della sua fantasia. Aveva paura che, nel momento in cui ne avesse parlato ad anima viva, l’avrebbero scoraggiata dal continuare ad andare in quel bar, sapendo che mai nulla sarebbe potuto accadere e quindi di farsi del male inutilmente continuando a vederlo senza concludere mai nulla, oppure che qualcuna di loro si intromettesse e cercasse di avanzare inviti da parte di Bloom senza il suo permesso. Per quanto si stesse legando alle ragazze del suo gruppo, non se la sentiva di rischiare tanto, era troppo importante per lei. Preferiva continuare a illudersi, piuttosto che affrontare la situazione di petto, qualsiasi fosse stato l’eventuale esito. E la consapevolezza della sua codardia la metteva a disagio, non era affatto da lei precludersi qualcosa per paura di risultare sbagliata. La sua impulsività era stata sempre talmente preponderante, che il suo cervello non aveva il tempo di farla ragionare, perché il “danno” ormai era fatto e lei non poteva più tornare indietro. Sembrava essere in bilico tra il decidere quando seguire l’istinto e quando fermarsi un attimo a riflettere. Evidentemente aveva ancora da maturare sotto l’aspetto emotivo… Sperava solo che un giorno sarebbe stata in grado di non sentirsi costantemente inadeguata alla situazione, non sapere dove fosse il suo posto e come comportarsi.

Le sue amiche l’avevano aiutata sotto molti punti di vista, certo, ma non era compito loro insegnarle a vivere. C’erano dei passi e delle conclusioni a cui solo lei poteva giungere.

 

«Un ordine per Bloom!» venne richiamata al presente da una voce maschile che ormai conosceva bene.

Cercava di non farsi strane idee, ma come poteva trattenersi dal farlo quando aveva chiaramente notato che sebbene il posto di Sebastian fosse alla cassa, quel giorno si era premurato di servirla anche nel ritiro del suo frappuccino?

Bloom camminò a passo svelto verso di lui, nonostante non fosse minimamente in ritardo per la scuola, anzi, e gli tese una mano aperta, pronta a ricevere il suo solito ordine. Quel giorno, diversamente da come era abituata, il bicchiere di carta era stato inserito all’interno di un contenitore di plastica d’asporto. Non si fece troppe domande sul momento. Lo ringraziò una seconda volta, cercò di non arrossire di nuovo quando le sfiorò quasi l’interezza della sua mano con le sue dita dalle unghie curate e si girò di scatto verso la porta per uscire il più presto possibile da quel locale. L’aria si stava facendo soffocante e aveva l’urgente bisogno di sbottonarsi il primo bottone del colletto della camicia bianca e allentare la morsa della cravatta intorno al suo collo. Quasi non riusciva a deglutire.

L’aria fredda d’Irlanda ebbe il potere di abbassarle immediatamente la temperatura corporea. Si scelse una panchina vuota del piccolo parco pubblico accanto al bar da cui era uscita e si preparò a gustarsi la sua colazione liquida—sebbene avere davanti Sebastian a quell’ora del mattino era sempre in grado di svegliarla a dovere. Sembrava uscito da qualche libro di storia dell’arte. I capelli neri corti, con alcuni ciuffi che sfioravano la fronte, gli occhi di un nero altrettanto profondo, la mimica facciale di un attore di teatro e la sua altezza considerevole—rispetto al metro e settanta scarso di Bloom—e il suo petto ampio, per non parlare delle sue mani, che sembravano copiare quelle del David di Michelangelo, lo rendevano quanto di più simile ci fosse a un'opera d’arte vivente. Con queste premesse, come poteva Bloom avere la faccia tosta di chiedergli di uscire? Le avrebbe come minimo riso in faccia, ne era sicura.

Decise di mettere a tacere la sé ipercritica e preferì cominciare a bere il suo frappuccino, prima che il ghiaccio si sciogliesse troppo e annacquasse il sapore già smorzato del simil caffe freddo.

La parte divertente dell’aver scelto quel bar come luogo dove spendere la misera paghetta settimanale che le veniva data, era che a lei neanche piaceva il loro menù! Frequentava quel posto davvero solo ed esclusivamente per Sebastian… Più ritornava su quel pensiero, più si sentiva ridicola.

Prima di bere il suo primo sorso, notò che al tatto, sotto le sue dita, una pellicola scivolosa aveva inumidito la struttura in cartone del bicchiere. Abbassò lo sguardo sulla bevanda che aveva in mano e delle scritte nere, probabilmente realizzate con un pennarello nero indelebile, le si registrarono sulla cornea. Il cuore le salì in gola e quasi fece schizzare e rovesciare insieme il contenuto del suo bicchiere, talmente lo stava stringendo tra le mani sudate.

 

Un numero di telefono e un nome tra parentesi—che conosceva già, adornavano il bianco del cartone riciclato. Un’unica frase a sottolineare lo scopo di quelle informazioni:

 

Aspetto un tuo messaggio, Bloom ♡ ”

 

 

 

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Capitolo 27
*** Giorno 27 — Compleanno ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 27: compleanno

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

SORPRESA

1390 parole

 

 

Il ventisettesimo compleanno di Sebastian stava arrivando, mancavano pochi giorni, e Bloom aveva tutte le intenzioni di rendere quella giornata la migliore di tutta la vita per il suo fidanzato.

 

Settimane addietro aveva scoperto con amarezza che Sebastian non aveva mai davvero festeggiato un singolo compleanno. Non ricordava che da piccolo ne avesse mai avuti, suo padre Valtor non era esattamente l’emblema della genitorialità—da quello che aveva capito Bloom—e il pensiero di un Sebastian bambino da solo, in camera sua, a passare il giorno del suo compleanno come se fosse un giorno come un altro, l’aveva turbata e fatta innervosire più del previsto.

Bloom, invece, aveva avuto il problema opposto da bambina: i suoi genitori la forzavano a festeggiare un compleanno che non sentiva e non sembrava suo, solo una scusa per ricevere soldi dai famigliari e organizzare una festa, sentirsi importanti. Bloom non aveva mai potuto invitare nessuno dei suoi compagni di classe perché è mal sopportata da chiunque per via del suo carattere, e abitare in periferia non aiutava certo a essere popolare. Dopo anni, ancora si sorprendeva di come fosse stato permesso ai suoi genitori adottivi di tenerla con loro, anche dopo che l’azienda del padre era andata in bancarotta e si erano dovuti trasferire dalla villa in centro, a Gardenia, California, alla periferia più desolata della città. Oltre alla loro casa c’erano solo campi e pale eoliche. Organizzare ogni anno quella festa significava per Bloom mesi di rinunce, in cui a malapena trovava qualcosa da mangiare in casa. Tutto ciò per permettere ai suoi genitori di avere da parte i soldi necessari per organizzare la serata, pagare la torta e le teglie di pizza al trancio. Ogni anno indossava lo stesso vestito, e quando era stata troppo grande per continuare a entrarci, le feste erano semplicemente terminate. E Bloom aveva cominciato a rifiutarsi di festeggiare, o anche solo sentire, il giorno del suo compleanno.

Sebastian proveniva da un famiglia borghese di origini Irlandesi centenaria, si era quindi chiesta il motivo per cui il padre di lui non lo avesse mai festeggiato, anche solo per “mantenere la faccia”, ma Bloom non aveva voluto insistere; se avesse voluto, Sebastian glielo avrebbe rivelato.

Tutto ciò che doveva sapere al riguardo, ormai era di sua conoscenza, ci teneva quindi a fare in modo di organizzare qualcosa di carino per Sebastian.

Aveva invitato le sue amiche: Stella, Musa, Flora, Terra e Aisha e i loro ragazzi—e ragazza: Beatrix, la fidanzata di Stella. Cercando tra i tag e i seguiti di Sebastian tra i social, aveva deciso di invitare anche qualche suo vecchio amico dei tempi dell’università. Delle volte li aveva visti uscire insieme, quindi era abbastanza sicura di non star facendo un buco nell’acqua.

Quando si erano conosciuti la prima volta, Bloom aveva avuto sedici anni, mentre Sebastian venticinque. Erano insieme da poco, ma le sue amiche ormai la prendevano in giro ogni volta che li vedevano insieme perché, secondo loro, si comportava da mogliettina già dopo pochi anni di relazione. Bloom non poteva farci niente, Sebastian le trasmetteva quel senso di focolare che non aveva mai trovato in nessuno dei suoi coetanei. Neanche Sky, il suo primo ragazzo in assoluto, l’aveva coinvolta mai tanto fisicamente e mentalmente.

Era sicura che Sebastian sarebbe stato il suo futuro, non riusciva a vedersi condividere la sua quotidianità con nessun altro. Tra meno di un anno Bloom teneva in conto di laurearsi, poi pianificavano di prendersi almeno un mese in cui girare per l’Europa con lo zaino in spalle. Se non a quest’età, quando non avevano responsabilità e problemi di salute, quando allora? Non voleva arrivare alla soglia della sua vecchiaia e avere il rimorso di non essersi potuta godere abbastanza la vita. Purtroppo non aveva avuto voce in capitolo circa la famiglia in cui era nata e poi quella in cui era cresciuta: la sua madre naturale l’aveva abbandonata da piccola perché non poteva occuparsi di lei, e i suoi genitori adottivi l’avevano abbandonata emotivamente perché non erano in grado di prendersi cura di una bambina dal passato particolare come il suo. Non aveva potuto scegliere le sue origini, ma avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per decidere come vivere il suo presente e, di conseguenza, il suo futuro.

Ogni secondo che passava rappresentava il suo futuro.

 

—ooOoo—

 

Le luci erano spente, solo delle candeline in cialde segnavano il percorso dell’entrata del loro appartamento fino alla cucina. Bloom e il resto degli invitati si trovavano nascosti sotto il tavolo estendibile, aperto al massimo per l’occasione.

Sebastian chiamò il suo nome un paio di volte, fortunatamente non disse nulla di imbarazzante—magari pensando che Bloom gli avesse preparato una sorpresa “sexy”.

Il quadro elettrico era stato spento, quindi sebbene Sebastian avesse tentato più volte di accendere la luce, si potevano sentire i vari click a vuoto anche a distanza, ogni stanza dell’appartamente rimaneva al buio. Quando finalmente Sebastian arrivò in cucina, dove terminava il percorso semi-illuminato delle candeline sparse per terra, Bloom uscì dal suo nascondiglio insieme agli altri, si erano presentati tutti coloro che aveva invitato; ovviamente aveva evitato di raccontare la storia personale di Sebastian e il perché, proprio quell’anno i festeggiamenti fossero iniziati per la prima volta.

Urlarono più o meno all’unisono: «Sorpresa!» e Bloom scoppiò il festone dei coriandoli in aria. Quello fu il segnale per Beatrix, rimasta vicino al contatore, per ripristinare la corrente.

Le luci si accesero e la prima cosa che vide Bloom fu l’espressione sinceramente sorpresa di Sebastian e i coriandoli che ancora gli scendevano tutt’intorno. Si diresse da lui a braccia aperte, trovando immediatamente posto nel suo abbraccio caloroso e il suo petto ampio.

«Auguri!» gli disse vivace, lasciandogli un bacio a stampo sul pettorale sinistro, coperto dalla t-shirt nera. Nonostante il tempo autunnale, Sebastian indossava ancora le maglie a maniche corte. Era abituato al vento impetuoso delle coste d’Irlanda, quindi non la sorprendeva più di tanto quella sua resistenza.

Sebastian si abbassò su di lei, ancora tenendola stretta nella sua morsa e le depositò un bacio sul collo. Guardandolo negli occhi, notò che aveva gli occhi lucidi e le rughette di espressione accompagnavano il sorriso stampato in faccia. Sapeva che non avrebbe mai pianto in pubblico, ma la consapevolezza di essere riuscita a renderlo felice anche il giorno del suo compleanno la faceva sentire meno in colpa per non essere potuta rimanere con lui l’anno scorso. Era convinta che Sebastian avrebbe passato la giornata con i suoi amici, ma a quanto pareva era una bugia a fin di bene che Sebastian le aveva raccontato per non farla sentire in colpa di non poter essere con lui quel giorno. Bloom aveva avuto problemi con il visto ed era dovuta tornare immediatamente in America. Quando la situazione si era risolta, ormai erano passati mesi. Quando aveva scoperto la verità di quel giorno, poche settimane prima, Bloom si era detta che, cascasse il mondo, quell’anno Sebastian avrebbe avuto la sua festa di compleanno. Doveva capire che gli era permesso festeggiare la sua nascita, che lui era una presenza speciale su quella Terra; non solo per Bloom, ma anche per tante altre persone che Sebastian aveva incontrato o incrociato nella sua vita.

«Grazie, Bloom. Hai resto questo giorno speciale» le sussurrò in un orecchio, depositandole poi un bacio sulla guancia. A nessuno dei due piaceva sbilanciarsi troppo in smancerie davanti ad altre persone.

«Tu sei speciale, e te lo meriti tutto…» ricambiò lei, prima di separarsi momentaneamente da lui e rimanergli accanto in un semi-abbraccio mentre Sebastian passava in rassegna ogni invitato per ricevere gli auguri, pacche sulle spalle e ringraziare gli invitati per la loro presenza.

 

A fine serata, quando gli ospiti lasciarono il loro appartamento verso le tre di notte, Bloom accompagnò Sebastian nella loro camera da letto, una cravatta a impedirgli di vedere le rose sparse per tutta la stanza, e lì Bloom gli diede il permesso di prendere da lei il suo regalo di compleanno come meglio preferiva. Sebastian non se lo fece ripetere due volte e, afferrandola da sotto i glutei la scaraventò sul letto e le salì addosso, cominciando fin da subito a baciarla ovunque.

 

, l’intera sorpresa sembrava aver ricevuto il giusto consenso dal diretto interessato. Bloom non vedeva già l’ora di festeggiare il prossimo compleanno, soprattutto se il finale sarebbe stato il medesimo di allora…

 

 

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Capitolo 28
*** Giorno 28 — Nascondere ***


Note: è dal momento in cui decisi quale sarebbe stato il nome della figlia!OC di Bloom x Sebastian che ho in mente questa storia, ma non mi ci ero mai messo a scriverla né tantomeno abbozzarla. Questa OS l’ho scritta a razzo, tutto “alla prima”, per riuscire a pubblicarla in tempo, quindi vi chiedo di perdonare i vari typo sicuramente presenti e/o errori grammaticali banali di distrazione/fretta. Come per le altre OS, a fine Writober farò del mio meglio per correggerle tutte il più possibile.

Also, mentre ero a metà di questa OS mi è venuta la tendinite al polso sinistro e un principio di infiammazione a quello destro. :D Sviluppare i prompt dei prossimi giorni sarà proprio un’avventura più avventurosa del solito. XD <3

Grazie dell’attenzione, e spero almeno di riuscire a tenervi compagnia. <3

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 28: nascondere

 

 

 

[Mafia!AU]

 

 

 

SEGRETI DI FAMIGLIA

11190 parole

 

 

Bloom fissava i filmati delle telecamere di sorveglianza andare in loop. Sebastian, accanto a lei, amanava un’aura oscura che gli aveva visto addosso solo una volta prima di allora. Il giorno in cui Sebastian aveva affrontato suo padre, e l’aveva ucciso. Dovette farlo, per proteggere lei, proteggere la loro relazione e il loro futuro insieme.

Si erano ripromessi di lasciare il passato alle spalle, non permettergli di occupare spazio nella loro vita futura, lontano dalle loro famiglie e il cancro intorno a loro che aveva minacciato di risucchiarli nella sua scia di distruzione. Era servito molto lavoro, denaro e richiesta di favori per separarsi da chi erano stati, o meglio, chi sarebbero stati, se non avessero interrotto quella spirale di violenza e malvagità. Ma ora le cose erano differenti.

La cupidigia altrui aveva continuato ad alimentare una Guerra tra Famiglie rivali, e né Bloom né Sebastian potevano sottrarsene. Non lo avrebbero fatto neanche se avessero avuto la possibilità di tirarsi effettivamente indietro, quello che c’era in ballo era troppo importante. Era sicura che entrambi, per amore, non avrebbero esitato a calarsi nuovamente in quel mondo sotterraneo, fatto di inganni, sangue, morte e mazzette per comprare il silenzio di chi vuol sentirsi parte di un piano più grande. Di chi vuole elevarsi a Dio. Bloom e Sebastian avrebbero ucciso Dio stesso, se necessario, a mani nude.

 

Grace, la loro Grace, era stata rapita.

 

Nel bel mezzo del giorno e mentre camminnava nel corridoio di un albergo di Roma. Sedici anni… la stessa età che Bloom aveva avuto quando aveva incontrato Sebastian per la prima volta, a quella fatidica riunione tra Famiglie nella villa del padre di Sebastian, Valtor, situata sulla costa a sud-est dell’Irlanda. La giornata si era conclusa con quattro morti e una pacca sulla spalla per entrambi. Bloom aveva fatto saltare in aria la macchina di un nemico di Valtor, sotto richiesta dello stesso alla madre adottiva di Bloom, uccidendo un padre e la figlia di sei anni. Sebastian, invece, aveva condotto il suo primo interrogatorio di successo. Alla fine aveva ottenuto le informazioni che gli erano state richieste, quindi mantenere in vita i due ingenui che avevano osato provare a mentire e fregare una partita di droga  a Valtor, si era rivelata l’unica via percorribile per liberarsi di corpi così malmessi, che neanche un miracolo di chirurgia avrebbe potuto fargli riacquistare delle sembianze umane.

 

Video di una Grace in lacrime si erano diffusi per tutto il Dark Web, chiedendo un riscatto alle Famiglie di Bloom e Valtor; i Peters di Gardenia, California, e i Valtoriano dell’Irlanda del sud. In poche ore, tutti gli sforzi di tenere nascosta, e quindi al sicuro, o almeno avevano sperato, sia Grace sia la loro nuova vita, erano andati a farsi fottere. Avevano cambiato Paese, avevano cambiato nome, avevano usato la loro conoscenza dell’Italiano per mescolarsi al quieto paesino in cui avevano trasferito le loro speranze per una vita più serena e il più normale possibile, eppure, nulla di tutto ciò era servito. Ovunque sarebbero andati, non si sarebbero potuti permettere il lusso di essere persone qualunque, i fantasmi del loro passato sarebbero tornati a trovarli. Sebastian aveva ucciso suo padre, e ora i restanti componenti della sua famiglia sapevano che non solo non era morto in quell’incidente aereo, ma che aveva anche un ulteriore punto debole: sua figlia Grace. Bloom non era messa meglio: sua madre non era mai stata una donna in grado di dimenticare, tanto meno perdonare. Aveva visto all’opera il suo testardo orgoglio ferito in prima persona. Purtroppo, Bloom condivideva quell’aspetto con sua madre, e questo la rendeva impulsiva. Non era stata una sorpresa per nessuno che, fin da piccola, si fosse appassionata di esplosivi e incendi dolosi. In generale, tutto ciò che era in grado di creare una gran distruzione, attirava il suo interesse e quindi la volontà di averci a che fare. Questo spiegava perché si fosse sentita da subito attratta da uno come Sebastian, dai metodi diametralmente opposti ai suoi. Era controllato e un calcolatore nato, era raro vederlo perdere il controllo. Finora, solo l’uccisione di suo padre per sua stessa mano gli aveva permesso di perdere la lucidità. In quell’occasione, era stato necessario che la Bloom sedicesse prendesse le redini della psiche provata di Sebastian, allora venticinquenne, e gli ricordasse che quello che si erano messi d’accordo per fare: l’omicidio del capo famiglia dei Valtoriano, l’unico a opporsi alla loro unione, la fuga e il teatrino della loro pseudo-morte, doveva valere più di un momento di brutale parricidio. Valtor, nonostante l’età, non era stato certo il tipo da lasciarsi uccidere senza lottare; pur trattandosi di suo figlio. Probabilmente si aspettava che qualcosa del genere sarebbe accaduto e si era tenuto pronto. Dopo la lotta estenuante, il corpo a corpo, i coltelli che sbucavano come mazzi di carte delle maniche di un prestigiatore esperto, Valtor era sì morto, ma una parte di Sebastian si era inevitabilmente distaccata dalla sua anima. Il rapporto che avevano prima non era dei migliori, ma erano parte della stessa famiglia, ed era quello che li aveva evidentemente sempre spronati a tollerarsi.

La madre di Bloom non si era mai opposta all’unione di lei e Sebastian, ma questo solo perché aveva avuto i suoi piani fin dall’inizio. Piani a cui Bloom non intendeva prendere parte. Sua madre era una donna assetata di potere, le sue manie di espansione non sembravano più potersi contenere in scambi commerciali, quindi aveva ben pensato di usare sua figlia, la sua unica figlia, per acquisire più potere e notorietà. Era stata adottata dopo che i veri genitori di Bloom non avevano potuto saldare un debito e quindi, pur di liberarsi di una bocca da sfamare, avevano offerto la figlia a Vanessa e George Peters, signori della droga in California. Avevano avuto dei figli naturali dopo di lei, ma erano tutti stati uccisi da piccoli. Bloom pensava di essere l’unica salva solo perché non ritenuta abbastanza importante da procurare un torto ai suoi genitori adottivi. Poi gli anni erano passati e i due coniugi non erano riusciti più ad avere figli loro. Avevano provato ad adottare, ma tutti i soldi del mondo non sembrarono fermare nessun bambino dallo scappare via di casa. Purtroppo per loro, finivano sempre morti ammazzati da qualche gang rivale che voleva mandare un messaggio chiaro.

Nelle questioni di Mafia, neanche i bambini vengono risparmiati. Non c’era onore alcuno—a differenza da quello che l’opinione pubblica e i fan ossessionati dai film relativi a quel mondo, romanzati con della bella fotografia e la performance degli attori—potessero pensare.

 

«Voglio coinvolgere le mie altre amiche» disse Bloom, senza neanche guardare suo marito negli occhi. Non erano sposati su carta, ma riferirsi all’altro in qualsiasi altro modo sembrava una descrizione riduttiva del loro legame.

Si erano ripromessi di non mantenere i contatti con nessuno appartenente alla loro vecchia vita, ma in quel momento Bloom fu grata di aver detto addio in modo opportuno alle sue amiche, prima di scappare dalla sua vita. Non avevano fatto scenate, anzi, avevano capito perfettamente la situazione e avevano augurato loro ogni bene. Ora più che mai aveva bisogno di tutto l’aiuto possibile, rimanere lucida in una situazione del genere sarebbe stata la sua più grande sfida, e le sue amiche, con cui aveva condiviso innumerevoli estati in Irlanda e Regno Unito, sapevano come prenderla. A quel giro, Sebastian da solo non sarebbe bastato a contenere la sua rabbia distruttrice; e anche lui sembrava aver bisogno di aiuto per tenere a bada la sua furia omicida. Se non avessero chiesto aiuto, avrebbero ammazzato mezza Europa per cercare di trovare Grace—o si sarebbero fatti ammazzare prima di esserci effettivamente riusciti, che non era da escludere; e non poteva in alcun modo accadere.

Come aveva immaginato, Sebastian non si oppose. Doveva sapere anche lui che un rapimento di quella portata non sarebbe stato possibile risolverlo da soli. Dovevano capire dove stesse venendo portata, da chi e nelle mani di chi. Senza contare i possibili altri criminali che, per entrare nelle grazie delle loro Famiglie o, al contrario, per riuscire ad acquisire un vantaggio sulle stesse, potevano a loro volta tentare di rapire Grace e portarla da tutt’altra parte del globo. Doveva essere un lavoro di pochi giorni, altrimenti le probabilità di non rivedere mai più la loro bambina si sarebbero fatte sempre più concrete. Essere una ragazza non l’aiutava di certo. Bloom non faceva altro che pensare a quello che le avrebbero potuto fare, o far fare, e ciò bastava a contorcerle lo stomaco. Sebastian non riusciva a stare fermo sul posto, sembrava un leone in gabbia, quindi immaginava che suo marito stesse avendo gli stessi identici pensieri riguardo il destino di Grace in mani sbagliate.

«Io chiederò una mano a Grey, per tradurre gli audio di questi video». Grey era un vecchio amico dei tempi in cui Sebastian si occupava degli interrogatori per le Famiglie mafiose più importanti d’Europa. Evidentemente suo marito confidava nel fatto che Grey, in nome dell’amicizia che li aveva legati un tempo, non si sarebbe rifiutato—sebbene fossero passati diversi anni.

Quando Bloom e Sebastian avevano deciso di abbandonare tutto e scappare insieme, verso una nuova vita, le loro famiglie non erano state per niente felici. Li avevano inseguiti per mesi, poi un simulato incidente aereo intercontinentale sembrava averli convinti a smettere le ricerche. Appena erano giunti nel paesino sperduto del sud d’Italia, circondati dal verde e da trulli dai tetti ovali grigio-nero, non ci avevano messo molto a farsi travolgere dalla primavera del loro amore. Bloom era rimasta incinta già al primo tentativo. E così era nata la loro Grace, dai capelli e gli occhi neri, come il padre, e le lentiggini sparse sul volto dal sottotono caldo, come Bloom. Erano sempre stati iper-protettivi con lei, convinti che, in qualche modo, prima o poi sarebbero stati scoperti e, alla prima occasione, le loro famiglie, o dei nemici delle loro famiglie, avrebbero fatto del male a Grace per ricattare o fare un torto a loro. Quella era la prima gita scolastica a cui le davano il permesso di partecipare ed ecco quello che era accaduto…

«Va bene, proveremo a rintracciare anche Aisha, poi passeremo alle altre» disse, cercando di tornare proattiva e funzionale. «Musa[1], pensi di riuscire a trovarle entro poche ore?» chiese all’amica seduta di fronte a lei. Le dava le spalle, concentrata a trovare la fonte che aveva postato il video online, ma vide la testa dai cappelli raccolti come al solito in due codini alti annuire avanti e indietro.

«So che nel tempo libero fa l’istruttrice di nuoto a Belfast, dovrei riuscire a mandarle un messaggio, così da poterla chiamare su una linea sicura» le spiegò brevemente l’amica. Sapeva che tenere le chiacchiere a zero e focalizzarsi sui dettagli utili era della massima priorità in quella situazione.

Negli anni, l’amica si era specializzata in traffici di esseri umani, o meglio: nel recupero delle vittime di tali tratte. In particolare quelli ai confini europei e mediterranei. I genitori di Aisha, di origine Nigeriana, e i suoi nonni prima ancora, si erano occupati da sempre dell’esatto opposto, poi era arrivata Aisha a interrompere il ciclo di maltrattamenti e vendite di innocenti bambini, adolescenti e giovani donne. Non c’era altra persona a cui Bloom poteva chiedere quel favore, sapeva che l’amica ci avrebbe messo tutto il suo impegno per riuscire a trovare il buco in cui avrebbero potuto portare Grace.

No, non è ancora finita. Finirà quando la mia bambina sarà di nuovo tra le mie braccia” si costrinse a pensare Bloom.

Non era stato difficile trovarla, faceva la DJ nei locali di Amsterdam e aveva un profilo social molto attivo. Di tutta la sua vecchia compagnia, era forse quella che conduceva la vita più normale. Di notte suonava nei locali pieni di adolescenti e adulti che si sentivano ancora “giovani dentro”, mentre di giorno si occupava di sorveglianza informatica. Bloom aveva perso il conto delle lauree che l’amica possedeva. Era originaria della contea di Hertfordshire, vicino Londra. I genitori erano di origine ebraica e, come nei migliori degli stereotipi, non avevano avuto problemi a sostenere gli studi della figlia. Erano al corrente della sua doppia vita e, a detta dell’amica, erano fieri di lei per quello che faceva. Avevano mandato a Bloom e Sebastian le loro preghiere, una volta venuti a sapere di Grace.

Bloom e Musa si erano conosciute durante la prima estate di Bloom in Irlanda. L’amica era lì con la famiglia in vacanza, mentre Bloom era lì per assistere agli affari di sua madre con alcune Famiglie, tra questa quella con a capo Andreas di Eracle, le cui origini erano tedesche ma che si era trapiantato in Irlanda da almeno tredici anni. Aveva anche una figlia, adottata, della loro stessa età: Beatrix. Non erano mai andate troppo d’accordo, neanche avendo in comune l’essere state adottate. A differenza sua, Beatrix sembrava felice di essere parte della famiglia di Andreas. Ricordava che la ragazza avesse una cotta abbastanza palese per suo padre, si chiedeva se l’argomento fosse mai stato trattato a tavolino.

 

—ooOoo—

 

Dopo neanche mezz’ora, Musa era riuscita a trovare sia Aisha sia Stella. La prima era stata celere nel rispondere e offrire il suo aiuto prima ancora che fossero loro a chiederglielo, mentre Stella aveva contattato Bloom personalmente. Era una ricca ereditiera, viveva in Norvegia e, di facciata era un’acclamata benefattrice, ma a tende chiuse era a capo di un team esperto nella falsificazione della qualunque. Era la sua famiglia che aveva procurato i documenti falsi che Bloom e Sebastian avrebbero dovuto usare per rifarsi una vita. Non avevano sospettato neanche per un istante che fossero stati loro a vendere la loro posizione e permettere a nemici di seguire sua figlia e rapirla. La reputazione in quel mondo, soprattutto quella della falsificazione di opere d’arte e documenti di tutti i tipi, era molto importante, nessuna cifra avrebbe comprato il nome dei Sorensen, distinta famiglia danese. Avevano le mani in pasta ovunque, sia nella politica sia nelle fogne delle città d’Europa.

Qualcun altro doveva aver scoperto la loro posizione, ma come? Come aveva scoperto a chi era figlia una ragazza in gita scolastica nella capitale Italiana? Appena avuta sua figlia indietro, le avrebbe fatto una serie di domande, per capire meglio cosa poteva essere accaduto. Ma, soprattutto, per far in modo che tutti coloro responsabili di quell’azione non rimanessero impuniti.

«Di qualsiasi cifra abbiate bisogno, io ci sono, Bloom. Voglio che tu lo sappia» le disse Stella appena accettata la chiamata in entrata. Aveva la voce rauca, come se avesse pianto. Bloom si sentì grata di avere amiche che, sebbene non contattasse da anni, si stavano rendendo disponibili ad aiutarla con ogni mezzo a loro disponibile. Si vergognava ad ammetterlo, ma non era sicura che lei, al loro posto, avrebbe fatto la stessa cosa. La vita l’aveva resa troppo egoista per curarsi dei problemi degli altri con la stessa intensità con cui si curava dei suoi. Non avrebbe mai compromesso la sicurezza di sua figlia per quindici minuti di popolarità e per sentire la stessa scarica di adrenalina che era solita sentire ogni qual volta che i suoi ingegni esplosivi avevano fatto saltare in aria interi edifici, cose, o persone…

Voleva piangere, distruggere qualcosa, ma sentiva che se si fosse lasciata andare, la sua mente non sarebbe riuscita a tornare in una modalità che fosse efficiente.

Le prossime furono le cugine Terra e Flora Harvey, la prima una farmacista e l’altra una chimica ambientale. Avevano una linea di skincare naturale come attività di facciata, ma la loro vera occupazione era creare veleni e antidoti non rintracciabili per la Mafia internazionale; anche per alcuni Capi di Stato dell’estremo Oriente, da quello che le era stato raccontato da Musa. Era un’attività di famiglia, il padre di Terra aveva insegnato a lei e alla nipote il mestiere. Vivevano ancora nel Regno Unito, sebbene Flora originaria degli U.S.A., come Bloom, e le sue origini latine mal si sposavano con la mentalità Londinese. Si erano offerte di aiutare, fornendo materiale per kit di pronto soccorso ad hoc e un rifornimento di droghe utili a Sebastian durante gli innumerevoli interrogatori che sicuramente si sarebbe ritrovato a condurre durante la ricerca di Grace.

Stella aveva avvisato anche l’ex ragazzo di Bloom della faccenda, Sky, e questi si era offerto, insieme al suo socio in affari e migliore amico, Riven, di procurare alla coppia tutte le armi di cui avevano bisogno. Pur essendo relativamente giovani, erano un paio di anni più grandi di Bloom, quindi dovevano avere circa trentaquattro-trentacinque anni, erano riusciti a prevalere sulla concorrenza di trafficanti di armi in Europa e, secondo la versione dei due, nessuno era in grado di offrire la qualità che offrivano loro in termini di attrezzature e sicurezza. Acquistavano sia dall’America sia dalla Russia e i loro maggiori clienti erano nel bacino del Mediterraneo.

C’era sempre qualcuno che beneficiava della Guerra in terra altrui. La vendita di dolore era sempre di mercato. Bloom non riusciva ad avercela troppo con il suo ex e Riven: se non ci fossero loro, qualcun altro avrebbe comunque preso il loro posto.

Non c’è modo di fermare una Guerra, non finchè esiste anche solo un gruppo di persone selezionate che ha tutto l’interesse di mandare avanti la carneficina.

La mattina successiva alla richiesta di armi, cassoni in legno contenenti AK-47, lanciagranate, mitra di stampo tedesco, glock 17, mitragliatrici pesanti e soppressori fino all’orlo—nascosti ovviamente da paglia fresca. Neanche la selezione di armi bianche era stata timida, perlopiù coltelli da poter nascondere sotto i vestiti.

«Grazie» si era limitata a dire Bloom ai due vecchi amici, in collegamento dal Marocco tramite la videochiamata aperta che compariva sull’enorme schermo di uno dei tre schermi sulla spaziosa scrivania di Musa. Erano nella sua villetta a due piani, situata in periferia, e la connessione dall’altra parte sembrava continuare ad andare e venire: Sky e Riven erano in movimento, quasi vicino al deserto, e non si sarebbero comunque potuti trattenere a lungo. Il loro generatore doveva servire ad altro, aveva sottolineato Riven. Bloom non aveva voluto indagare oltre, aveva i suoi problemi a cui pensare, per preoccuparsi della malasorte di qualcun altro.

Sky la salutò con un saluto militare, a mo’ di scherzo, nonostante la situazione fosse più che seria. Era cresciuto in casa con soldati di ogni dipartimento, non era una sorpresa che anche lui avesse scelto la carriera militare, da affiancare ad affari illeciti. Dopo aver visto suo padre Silva prendere delle mazzette da uomini di Al Qaida, Sky aveva perso ogni rispetto sia per suo padre sia per la carica che si ritrovava a ricoprire. Aveva avuto una sorta di risveglio al contrario e aveva deciso di infangarne la divisa. Non sarebbe mai stato in grado di denunciare suo padre, non importava quanto male gli avesse fatto scoprire la verità su di lui. Bloom aveva saputo la storia da Stella, ma vedere la disillusione dipinta sul volto di Sky, seppur solo trasmessa da dei pixel, aveva avuto il potere di destabilizzarla. Era una storia difficile a credersi, almeno in base allo Sky che Bloom aveva conosciuto, ma la sofferenza procura cicatrici delle volte infette, da cui è difficile guarire nei migliori dei modi. Perdere il rispetto per coloro che hai idolatrato per tutta la tua vita, fin da bambino, doveva essere stata una botta non indifferente. Non sapeva quale fosse la motivazione di Riven per essersi unito ai traffici illeciti dell’amico, ma, da quel poco che ricordava di lui, la sua lealtà per le persone andava oltre il giusto o sbagliato. Lo stesso motivo per cui si era arruolato si basava sul voler fare compagnia a Sky nella stessa divisione, null’altro. Si erano allenati insieme, affrontato l’esame insieme e, con la giusta parola del padre di Sky, un colonnello dell’esercito Britannico, erano finiti nello stesso battaglione. A Riven non sembrava importargli di stare dalla parte dei buoni, finchè era lì a condividere l’esperienza con chi riteneva importante per lui. Era il ragazzo tira e molla di Musa, era stato così fin dalla loro adolescenza, e Bloom faticava a capire cosa potesse mai attrarla di lui. Erano così diversi… Ma, d’altronde, anche Bloom e Sebastian erano come il giorno e la notte, e nessuno dei due era certo innocente. Giudicare la validità delle coppie altrui non era certo una prerogativa che poteva permettersi a cuor leggero.

Tutti loro avevano un passato, tutti loro si erano ritrovati a un certo punto della loro vita a dover prendere decisioni o compiere azioni ritenute malvagie pur di proteggere se stessi o le persone a loro care. Quando ci sei dentro, è difficile pensare a quale sia la cosa giusta da fare. Bloom era sicuramente l’ultima persona che avrebbe mai pensato di rivolgersi alle forze dell’ordine. Il rapimento di sua figlia era una questione che solo chi apparteneva o proveniva da determinati sottopassaggi sociali poteva capire, il resto sono solo discorsi dettati dal fanatismo.

La richiesta di riscatto era rimasta la stessa: due miliardi di euro.

Non aveva idea da dove avrebbe potuto prendere una cifra del genere, chiaramente i rapitori non avevano intenzione di restituire davvero sua figlia o credevano che le loro Famiglie avrebbero aiutato. In entrambi i casi, erano degli ingenui. Degli ingenui che avevano appena firmato la loro condanna a morte.

Grey aveva tradotto i file audio che musa gli aveva mandato e, quanto pareva, tre dei rapitori erano rumeni e gli altri due tedeschi. Si riferivano a Grace come “la figlia della Dinamitarda e il Burattinaio”, i soprannomi che Bloom e Sebastian avevano guadagnato ai tempi delle loro attività criminali. Lei veniva chiamata “La Dinamitarda” così per ovvi motivi, mentre Sebastian aveva quella nomina per via di come si diceva conducesse i suoi interrogatori: riusciva a giostrare la volontà dei malcapitati di turno come fosse appunto burattini tra le sue mani.

Appena Musa era riuscita a rintracciare la fonte del video, nonostante la VPN usata, aveva inoltrato i messaggi di testo e i vocali scambiati tra i rapitori e altri uomini e Grey aveva spiegato loro che intendevano portare Grace in Germania, per venderla a qualche nightclub della capitale in caso la cifra da loro richiesta non fosse stata pagata dalle Famiglie tirate in causa.

Bloom si era quindi trovata costretta a dover chiedere aiuto all’ultima persona con cui avrebbe voluto parlare: Beatrix. Era figlia di Andreas di Eracle, che comandava la regione come fosse il suo parco divertimenti, se c’era qualcuno che avrebbe potuto procurare loro un lasciapassare e la possibilità di recuperare Grace, era solo lui. Ma, in caso di rifiuto da parte sua, Bloom e Sebastian erano più che pronti ad entrare con la forza, usando vie traverse.

Prima che Bloom lasciasse l’Irlanda, in quell’estate di grandi cambiamenti, Stella e Beatrix si erano fidanzate da poco e si stavano frequentando di nascosto dalle loro famiglie.

«Potresti introdurre tu la mia richiesta, Stella?» chiese Bloom in vivavoce con Stella dall’altro lato del telefono.

Sebastian era alle sue spalle e le stringeva il fianco in una morsa di ferro. La barba che si era lasciato crescere dal giorno del rapimento di Grace le graffiava una tempia, nel punto in cui suo marito aveva appoggiato il mento. Lo sentiva cercare di regolare il respiro, pur di non intromettersi nella chiamata tra amiche. Bloom le conosceva meglio di lui, per quanto fosse frustrante non partecipare alla conversazione attivamente, sapeva benissimo che quella era una cosa di cui doveva occuparsi lei.

Non era insolito per lui rimanere in silenzio, soprattutto nelle situazioni tese, era sempre stato una persona di poche, ma pesate, parole.

«Non siamo durate molto, sai…» le rivelò Stella, una punta di amarezza nella sua voce tesa.

«Che vuoi dire?» le chiese, confusa. Sembravano molto prese l’una dall’altra. Beatrix non era la massima espressione della cordialità, ma quando era in presenza di Stella sembrava rilassarsi. Era più facile parlare con lei, coinvolgerla nelle attività, quando sapeva che Stella sarebbe stata lì o che era un’idea avanzata da Stella.

«Non so in che altro modo dirlo--»

«Cristo Santo, Stella, ti prego!» la supplicò esasperata Bloom, non esattamente dell’umore adatto per girare intorno alle questioni delicate.

«Ha una relazione con Andreas» disse lapidaria, in un singolo fiato.

Bloom, Sebastian e Musa rimasero in silenzio per qualche secondo, probabilmente pensando tutti e tre di aver magari sentito male.

«Con Andreas, intendi suo padre? Quello che l’ha adottata e da cui ci serve il lasciapassare?» chiese in maniera più specifica Bloom. Forse si trattava di un altro Andreas.

«, Bloom, proprio così. Me lo ha confessato lei stessa qualche anno fa, e dalle foto che pubblica sui social, è impossibile non notare il modo non del tutto paterno in cui l’abbraccia e la tiene a sé» concluse Stella, come se avesse appena detto la cosa più sensata del mondo.

«Cristo, sto per vomitare» sussurrò Musa, prima di alzarsi dalla sedia girevole e dirigersi alla porta del bagno collegato al suo studio. La sentirono tutti aprire il getto dell’acqua del lavandino e lavarsi violentemente la faccia. Buttando un occhi dalla porta lasciata aperta, Bloom notò che delle piccole pozze d’acqua erano finite sul marmo del pavimento.

«Ragioniamo», disse Bloom, cercando di riacquistare senso alla conversazione. Era fondamentale lasciare da parte qualsiasi dinamica non li riguardasse da vicino, e pensare solo a come recuperare Grace, sana e salva. Andreas era la loro migliore e più sicura scelta.

«Se riusciamo a convincere Beatrix ad aiutarci, allora lei non dovrebbe avere problemi a farci da garante con Andreas» intervenne per la prima volta Sebastian, chiaramente poco impressionato da tutta quella faccenda.

Bloom alzò lo sguardo verso di lui e annuì, ritornando verso lo schermo del telefono, anche se Stella non poteva vederla.

«Ricordo che suo padre era solito fargliele vincere tutte, la viziava in ogni modo fosse possibile viziare una quindicenne, non ci dovrebbe stupire poi tanto che il loro rapporto di completa dipendenza si sia trasformato in qualcosa di tanto malato» offrì Bloom come spiegazione, a mo’ di ovvietà.

«Ma il punto rimane: come convinciamo Beatrix?» interruppe Musa, ritornata dal bagno con la faccia ancora umida. Alcuni ciuffi della frangia le si erano attaccati ai lati delle tempie. Il colletto della maglietta era bagnato e una riga di acqua aveva attraversato il suo petto, accentuando la linea del balconcino al di sotto del tessuto sottile. Bloom ritornò a fissare il pavimento, non volendo mettere a disagio l’amica. Sebastian, invece, non aveva neanche mosso un muscolo, probabilmente intuendo lo stato in cui sarebbe stata Musa e non volendo apparire viscido.

«Stella…» cominciò Bloom, immaginando che l’amica avrebbe intuito subito la sua richiesta.

«Posso provarci Bloom, ma non posso promettere nulla» rispose Stella.

«Tu provaci, Stella, provaci intensamente, ti prego. È la mia bambina, voglio andare a riprendermela a tutti i costi; aiuto di Andreas o meno» concluse, prima di scambiare un ultimo saluto per prepararsi al viaggio.

 

—ooOoo—

 

Erano ormai le nove di sera e Stella non li aveva ancora richiamati. Musa aveva fornito a Bloom e Sebastian una mappa in tempo reale degli spostamenti e conversazioni di coloro che avevano postato il video di Grace in lacrime e con i capelli spettinati, il mascara le colava sulle guance e il rossetto rosso era sbavato su tutto il mento. Né Bloom né Sebastian avevano proferito parola, ma si auguravano davvero che fosse il risultato di un fazzoletto legato sulla bocca o una mano atta a coprirla, come avevano visto fare nei video delle telecamere di sorveglianza dell’hotel.  Il responsabile della struttura era stato pagato profumatamente da Stella per fargli tenere la bocca chiuse con le autorità e far finta che non fosse accaduto nulla. I compagni di classe e le insegnanti che erano con loro erano state chiamate da Bloom e Sebastian e avevano raccontato loro la frottola che a Grace fosse venuta una improvvisa nostalgia di casa e che fosse corsa a chiamarli per chiedere di tornare a casa immediamente. Musa aveva usato un programma di ricostruzione vocale per simulare la presenza di Grace insieme a Bloom e Sebastian, in chiamata aperta con le insegnanti e la preside della scuola. Ovviamente si erano presi una bella ramanzina, avevano rischiato di ricevere un richiamo formale, ma dopo che Sebastian aveva parlato con loro, era riuscito con i suoi modi convincenti e la sua voce calda e affidabile a convincerle che si fosse trattato solo in un concatenamento di eventi fuori dall’ordinario, che non fosse necessario ingigantire la situazione e far sentire in colpa un’adolescente che semplicemente aveva sentito la mancanza di casa e dei genitori che, certamente, farebbero di tutto per la loro bambina.

In meno di un’ora di chiamata era riuscito a convincere le donne a non prendere provvedimenti, e di convincere i ragazzi che fosse tutto a posto.

 

Un problema in meno.

 

—ooOoo—

 

Mezz’ora dopo l’inizio del loro viaggio, mentre controllavano i video della casa sicura in cui i rapitori avevano portato Grace, insieme ad almeno altre cinquanta ragazze minorenni, Stella finalmente lì chiamò. Erano in volo su un jet privato fornito dalla stessa e si dirigevano a Berlino, essendo partiti da Amsterdam.

«Ho inviato le immagini dei video in cui gli stronzi tengono le ragazze e Beatrix ha riconosciuto subito il magazzino. Ci è stata qualche volta con Andreas per scegliere delle ragazze» disse, cercando di mantenere un tono di voce neutro.

«Cosa stai cercando di dirmi, Stella?» disse Bloom, tenendo il telefono in mezzo a lei e Sebastian.

«Beatrix dice che non ne sapeva niente…» continuò Stella.

«Non sapeva niente di cosa? Cosa? Stella!» cominciò ad alterarsi Bloom. Stringeva così tanto il telefono tra le dita che era sicura prima o poi lo avrebbe rotto.

Era furiosa, Sebastian lo era altrettanto, eppure, le loro mani non tremavano. Il cellurare tra le sue mani era fermo a mezz’aria, le mani di Sebastian erano entrambe sul volante, era Bloom a cambiare le marce, e anche lui non tremava di una virgola.

La loro collera era talmente elevata, che aveva raggiunto un livello di quieto sdegno e furore.

Cercò di passarsi la mano momentaneamente libera tra le ciocche di capelli ramati, come di riflesso, ma si ricordò presto che li aveva legati in una treccia che aveva poi fissato ai capelli con delle forcine.

«Andreas le ha detto che Grace si è intrattenuta a parlare con delle compagne di classe con dei ragazzi stranieri, lì a Roma», iniziò a raccontare, «e quando ha mostrato loro una foto della sua famiglia, in cui ci siete voi, i ragazzi vi hanno riconosciuto e hanno contattato subito Andreas tramite messaggio, che ha detto loro come comportarsi e chi mandare a prenderla» concluse.

Un silenzio di riflessione seguì la rivelazione.

«Quella testa di cazzo credeva davvero che questa manovra avrebbe spinto noi due a chiedere aiuto alle nostre Famiglie?» disse Bloom in maniera retorica.

«A lui come a chiunque altro converrebbe che voi due tornaste in attività» disse la voce gracchiante di Musa, in collegamento insieme a loro attraverso le pulci nelle orecchie.

Per rompere il silenzio che si era nuovamente creato, Stella disse: «È una buona notizia, da un lato, no? Vorrà dire che non le hanno fatto del male» cercò di calmare gli animi e tenerli lucidi. «Aisha ci ha dato conferma che, dopo tre giorni, se avessero voluta venderla a qualcuno o a qualche struttura, l’avrebbero già fatto. Andreas sa che voi andrete a riprenderla, con o senza il suo lasciapassare, quindi tutti quei discorsi sul vendere Grace se voi non aveste pagato erano solo congetture tra i tizi che l’hanno rapita».

«Non esserne così sicura, Stella» disse Bloom, interrompendola.

«Dopo le cose che abbiamo saputo di lui, e su Beatrix, non mi sorprenderebbe di quello che sarebbe disposto a fare se contrariato» aggiunse Sebastian, la sua voce un’ottava più bassa del solito.

Bloom gli lanciò uno sguardo dal sedile del passeggero e notò la vena sul suo collo pompare come un cavallo al galoppo.

Chiusero la chiamata e si concentrarono sul da fare una volta arrivati a destinazioni. E se uccidere Beatrix insieme ad Andreas, nonostante le avesse rivelato quelle informazioni. Informazioni da prendere con le pinze, non sapevano quanto di quello che Beatrix aveva rivelato a Stella fosse vero e quanto inventato, magari per attirare sempre di più Bloom e Sebastian nella trappola.

Trappola o meno, dovevano andare a riprendersi Grace.

 

—ooOoo—

 

Arrivati a destinazione, scesero dall’aereo e praticamente volarono all’interno del furgone dato loro in prestito per l’occasione.

Lo riempirono con le armi, mandate da Sky e Riven, esplosivi pronti all’uso o semi-preparati da Bloom prima della partenza, kit di pronto soccorso, igiene personale, medicine e droghe farmaceutiche non rintracciabili in boccette di vetro sigillate, da parte di Terra e Flora; Sebastian teneva quest’ultime gelosamente conservate nel suo personale kit di bisturi e coltelli di varie forme e funzioni. Stella aveva fatto trovare loro all’interno del furgone un materasso singolo nuovo di zecca, su cui far riposare Grace una volta recuperata, e dei vestiti di ricambio per i tre—nel caso ci fosse bisogno. C’era anche un borsone pieno solo di snack e acqua. Non sapevano le condizioni in cui l’avrebbero trovata una volta giunti da lei.

 

Mentre guidavano verso la casa sicura in cui si trovava Grace, dai video delle telecamere interne alla struttura si vedeva chiaramente che Grace non si fosse mossa di un millimetro per tutte quelle ore. Se ne stava seduta per terra con le gambe vicino al petto. Ogni tanto qualcuno passava a infastidire le ragazze, pescandone qualcuna e tirandola per il braccio fuori dalla stanza, e Grace si copriva le orecchie con le mani nascoste dentro la felpa leggera che indossava. Non era sua, e le stava decisamente troppo grande per essere della sua taglia, quindi un uomo di Andreas doveva averle fornito l’indumento. Indossava inoltre i suoi jeans preferiti, quelli strappati sulle ginocchia, e il pensiero di Bloom andò subito sulle condizioni psico-fisiche della figlia. Considerate le temperature della capitale tedesca, sicuramente in contrato con Roma, Grace doveva comunque star sentendo freddo.

A Bloom tornarono in mente le notti d’inverno in cui tremava nel suo letto perché i suoi genitori biologici non potevano permettersi né di pagare per avere il riscaldamento né per comprarle vestiti di qualità che la riscaldassero. Quando era stata adotta, quei tipi di problemi svaniro, ma ne subentrarono altri, di carattere psicologico. Vanessa Peters non era certamente descrivibile come una madre affettuosa o tenera nei suoi confronti…

Un’altra chiamata di Stella arrivò sul cellurare fornito da Musa. Bloom rispose, sempre in vivavoce.

«Ragazzi, mi sentite?» disse con voce acuta.

«Parla» la rimbeccò Sebastian.

«Beatrix mi ha chiamato di nuovo…»

«Motivo?» Sebastian era così, quando non voleva perdere tempo te lo faceva capire parlandoti a monosillabi.

«Ha detto che le vostre famiglie hanno chiamato Andreas. Uno dei tuoi ragazzi ha riconosciuto il tatuaggio sul collo di uno dei rapitori e lo ha comunicato alle altre Famiglie. Capendo che l’artefice fosse davvero Andreas, la madre di Bloom si è unita alla trattativa e sembrerebbero tutti disposti a pagare la somma, pur di vedere restituita Grace» spiegò, non venendo mai interrotta da Bloom e Sebastian, troppo assorti nei loro pensieri circa tutta quella faccenda complicata.

Suo marito aveva ucciso suo padre, Valtor, e che gli piacesse o meno, il vero Boss della Famiglia Valtoriano era di diritto Sebastian. Il tizio che avevano messo come sostituto, un certo Bryan O’Neill, altro non era che una presenza di facciata. In seguito alla loro fuga, lo avevano cercato, certo, ma non per ucciderlo. Intendevano farlo ragionare, convincerlo a tornare da loro e comandare al posto di suo padre, che Sebastian aveva affrontato ed era stato in grado di uccidere, secondo loro, a sangue freddo. Per questo stesso motivo, Stella si era riferita agli uomini della Famiglia Valtoriano come ai “ragazzi” di Sebastian.

Bloom, d’altro canto, era solo la figlia adottiva dell’attuale Boss dei Peters, non aveva la stessa importanza di Sebastian in quel mondo. Se sua madre aveva provato a riacciuffarla, e si era unita alla trattativa per riavere Grace, era solo perché voleva indietro a tutti i costi Bloom; soprattutto ora che sapeva che Bloom era ancora viva e vegeta. La considerava un’arma, un’arma letale che intendeva conservare per sé. Non era sicura che sua madre si sarebbe fatta scrupoli a far del male o minacciare la sicurezza di Grace, pur di convincere Bloom a tornare a lavorare per lei.

«Non va bene, è esattamente quello che non doveva succedere», cominciò, «se le nostre Famiglie mettono le mani su Grace prima di noi--»

«Lo so» la interruppe Sebastian, un muscolo nella mascella ebbe uno spasmo.

«C’è, c’è un’altra cosa…» disse incerta Stella, schiarendosi la voce arrochita.

«Sarebbe?» la incalzò Sebastian.

«Ho convinto Beatrix ad aiutarci…»

«E perché mai lo farebbe?» disse diffidente Bloom, corrucciando le sopracciglia.

«Ha detto che lo farebbe in nome di-di quello che c’è stato tra di noi, in passato…» chiarì, come faticando a crederci totalmente persino lei.

Bloom non volette scoraggiarla. Stella non era una donna stupida, sapeva essere convincente, ed era pur vero che fra lei e Beatrix ci fosse stato del tenero in passato.

Doveva fidarsi.

Per una volta, avrebbe dovuto fidarsi della doppiogiochista Beatrix. E in caso le avesse mentito, quella sarebbe stata la giusta opportunità per ucciderla, a costo di buttare ulteriore benzina sul fuoco di quella Guerra tra Famiglie, iniziata da Bloom e Sebastian anni fa, con la loro fuga, e riaccesa da Andreas con quella trovata del rapimento della figlia del legittimo Boss della Famiglia Valtoriano e la Dinamitarda.

«Ti avviso, Stella, se sta mentendo, se è uno dei suoi soliti giochi, gli stessi che adoperava quando era una quindicenne fastidiosa, la ucciderò» sentenziò Bloom all’amica, certa tuttavia che non le stesse dicendo nulla a cui Stella non avesse già pensato da sé.

«Fai attenzione, Bloom», le raccomandò l’amica. «Negli anni è stata addestrata a uccidere da Andreas, si dice che sia diventata brava quasi quanto lui…»

«Anch’io sono brava» rispose decisa Bloom, guardando la strada dritta davanti a loro, contando a mente i minuti che ancora mancavano all’arrivo. Prima di chiudere la chiamata, disse a Stella di richiamare in caso di novità.

 

—ooOoo—

 

Pagato l’ufficiale in divisa dell’ultimo posto di blocco, Bloom e Sebastian si parcheggiarono a cinquanta metri dall’inizio del terreno su cui era stata costruita la casa sicura di fortuna. Altro non era che diversi prefabbricati in metallo accostati uno accanto all’altro.

Avevano due mitra e due fucili lunghi a testa, insieme a quattro coltelli, quattro con lama media e quattro con lama corta, legati alla coscia sinistra e a quella destra. Era un bel carico da portare, insieme alle munizioni, i giubotti e i caschi, ma per poter riuscire nel loro intento dovevano prima di tutto rimanere vivi. Per sicurezza, avevano indossato delle maschere antigas con visiera nottura, altro regalo di Sky e Riven. Non poteva portarsi appresso quella per Grace perché era scontato che durante lo scontro si sarebbe danneggiata e diventata un inutile, oltre che un pericoloso appiglio per il nemico. Uno dei due avrebbe dovuto rinunciare alla sua, se fosse stato necessario, oppure Sebastian si sarebbe caricato in spalla Grace e avrebbero lasciato la struttura il più in fretta possibile a piedi.

Bloom aveva sistemato in luoghi sicuri degli esplosivi con comando a distanza, in caso la situazione si fosse fatta più tesa del necessario. Per riuscire a piazzarli avevano dovuto neutralizzare silenziosamente alcuni degli uomini messi a guardia della struttura, ma non si preoccupavano di destare sospetti: si sarebbero comunque introdotti nella casa sicura tra pochi minuti.

A Bloom non importava neanche che altre ragazze fossero in pericolo, ancora chiuse nella strruttura, le importava solo di sua figlia. Grace era ancora giovane, avrebbe imparato a perdonarla, era diversa da lei: custodiva dentro di sé lo spirito vendicativo della madre, ma allo stesso tempo sapeva essere razionale e controllata come so padre. Non avrebbe saputo dire fino a che punto quei suoi lati caratteriali fossero un bene, non doveva essere facile convivere con due forze così opposte per metodo dentro di sé.

Quando arrivarono di fronte al primo gabbiotto, l’uomo alto e piazzato con indosso il passamontagna nero aprì immediatamente il fuoco, riconoscendoli come intrusi.

Il resto fu un conseguire di colpi e urla spaventate.

Le voci delle ragazze e delle donne rimaste rinchiuse nelle stanze si udivano fin dall’entrata, così come i comandi indistinguibili di uomini dalla voce grossa. Bloom non aveva idea di cosa stessero dicendo, probabilmente neanche Sebastian, ma poco importava. Chiunque non fosse Grace, poteva morire quell’oggi, per quanto le potesse interessare.

Si facevano spazio sparo dopo sparo, e quelli che provavano ad avvicinarsi troppo, cercare un corpo a corpo con loro, buttandosi sulla traiettoria di Bloom convinti che arrivare a lei sarebbe stato più facile, incontravano la chirurgica furia di Sebastian, cadendo sul pavimento irregolare in cemento come sacchi di patate. Bloom non aveva ancora dovuto usare nessuno dei suoi coltelli per difendersi.

Non stavano usando soppressori, non avevano interesse ad attutire i loro colpi; avrebbero solo perso potenza, per guadagnarci cosa, poi? C’erano telecamere ovunque, e sapevano che funzionavano perché loro stessi le avevano usate, grazie alla capacità di Musa di duplicare le schermate, per monitorare la situazione fino a un minuto prima del loro arrivo. C’erano talmente tanti spari, che era quasi difficile comprendere e distinguere da quale fazione provenissero.

«Io di qua, tu di là» gli urlò Sebastian in Irlandese, per avere una maggiore sicurezza di non essere capiti dagli uomini che ancora sparavano loro addosso.

«Dopo di te» rispose Bloom, sempre in Irlandese. Glielo aveva insegnato in quegli anni. Inizialmente si era trattato di un modo come un altro di flirtare, da cosa nasceva cosa, ma dopo le prime “lezioni” si era scoperta sinceramente affascinata e aveva voluto saperne ogni volta di più. E Sebastian non era certo il tipo di uomo che sapeva dire di “no” alle persone che amava, infatti era Bloom a dover essere il genitore duro in casa, a dire di “no” a Grace quando se ne usciva con richieste che la mettevano in ansia per la sua sicurezza al solo pensarci, mentre Sebastian, ovviamente, era il genitore che tutti vorrebbero: quello che non ti nega mai niente e che ti fa fare tutto quello che vuoi, purchè ti renda felice e non ti metta in serio pericolo. Nonostante fosse un padre molto protettivo, quando riguardava il benessere di Grace, vederla sorridere, era disposto a mettere a bada il suo bisogno di controllare costante—sintomo dell’educazione che aveva ricevuto e di una sorta di deformazione professionale. Bloom invece scaricava tutte le sue ansie e preoccupazioni su Grace, inculcandole inconsciamente l’idea che il mondo fosse un posto brutto e pericoloso ovunque, che solo insieme alla sua famiglia, Bloom e Sebastian, poteva dirsi al sicuro. Sapeva che non era il migliore dei modi per crescere dei figli, ma Bloom non riusciva a mettere da parte le sue opinioni personali, permettere a Grace di formarsi autonomamente e conoscere il mondo attraverso i suoi di occhi. Non era una sprovveduta, l’avevano educata bene, eppure, la prima volta che le concedono di allontanarsi da loro accade un evento drammatico di quella portata…

Bloom era tentata di chiuderla in una gabbia dorata e nascondere la chiave nel suo cuore di madre apprensiva.

 

Sebastian attraversò il corridoio di fuoco con Bloom che gli faceva da copertura, ed entrò nella stanza da cui provenivano le urla meno acute. Le bambine erano state sistemate tutte in una stanza, mentre le adolescenti in una seconda e le donne in un’altra ancora. Non era stato quindi difficile indovinare in quale delle innumerevoli stanze dovesse entrare.

Bloom lo vide uscire poco dopo con Grace in braccio. Aveva gli occhi chiusi ma l’espressione di Sebastian non sembrava suggerire che alcunchè di irreparabile fosse accaduto. Era molto probabile che fosse semplicemente svenuta, se per lo spavento, la sorpresa o il sollievo—forse tutte e tre—Bloom avrebbe dovuto chiederlo alla diretta interessata, una volta che si fosse svegliata.

«Ce l’ho! Andiamo!» urlò Sebastian, ancora una volta in Irlandese.

La parte più difficile veniva adesso. Recuperare un ostaggio era meno difficile del portarlo effettivamente al sicuro, soprattutto ancora vivo e illeso. Bloom e Sebastian dovevano far in modo di essere l’eccezione alla regola. Usarono un’enorme porta doppiata in metallo come nascondiglio, considerando che le armi a disposizione del nemico non permetteva certo loro di poter considerare un semplice prefabbricato un riparo vero e proprio dai colpi, e Bloom ebbe il tempo di ricaricare le armi appese al collo. Grace cominciò a svegliarsi, si strinse per un secondo con le braccia e le gambe al busto del padre, ma quando i colpi ripresero e vide che sua madre imbracciava un fucile lungo quando un suo braccio, svenne di nuovo. Sebastian le diede un bacio sulla tempia sudata, scansando dei capelli che le si erano attaccati in quel punto, e se la strinse più saldamente addosso, come avesse paura che all’improvviso l’avrebbe persa un’altra volta.

Impiegando più tempo del necessario, riuscirono a crearsi un’uscita di fortuna sparando addosso a un fianco del prefabbricato. Un calcio ben assestato di Sebastian servì lo scopo di buttare giù la carcasse forata peggio di uno scolapasta. Sarebbero stati degli ingenui a pensare di poter usare la stessa porta da cui erano entrati armati fino ai denti.

Una scheggia aveva sfiorato il braccio di Grace, per poi conficcarsi nel braccio destro di Sebastian. Suo marito trattenne a malapena un ringhio, incazzato probabilmente più con se stesso che con chi era riuscito a colpirlo. Il suo braccio ormai era inutilizzabile, teneva Grace con il sinistro—fortunatamente era di statura piccola. Quello che fece infuriare entrambi fu la consapevolezza di aver fallito nel proteggere Grace, non solo in passato, ma anche nella loro missione di recupero. Una parte di loro sapeva che non ne sarebbero usciti illesi, ma vedere il sangue colare dalla ferita superficiale di Grace oscurò di bianco la visione di Bloom, seppur per la durata di un battito di ciglia.

Non doveva succedere” pensò remissiva Bloom, incolpando se stessa per non aver coperto a dovere tutti i punti deboli del marito e della figlia.

«Non pensarci! Andiamo, andiamo!» urlò Sebastian alle sue spalle. Grace si mosse lievemente, probabilmente risvegliatasi per via della scarica di adrenalina data dal dolore al braccio. Tuttavia, non disse una parola. Si fece il più piccola possibile sul petto ampio del padre e si aggrappò con una mano a una spallina del suo giubotto. Non c’era tempo per togliersi il suo e darlo a sua figlia, ma se avessero avuto possibilità di ripararsi da qualche parte, Bloom lo avrebbe fatto. La consapevolezza di quella sua maggiore vulnerabilità la costrinse a ritornare lucida quel tanto che bastava per finire il lavoro.

Sebastian aveva ragione, ormai era usciti da quell’inferno di struttura e tutto quello di cui dovevano preoccuparsi era di raggiungere il furgone nascosto, sperando che, nonostante i loro tentativi di mimetizzarlo alla vegetazione rigogliosa, non fosse stato scoperto e sequestrato o smantellato dai nemici.

Appena si furono allontanati quel tanto che bastava per non essere colpiti dai detriti che sarebbero schizzati in aria come proiettili, Bloom azionò il comando a distanza e sentì l’esplosione divampare alle sue spalle come un palloncino gigante pieno di polvere da sparo.

Bloom sorrise per la prima volta da giorni. Sorrise perché almeno era sicura che quei bastardi sarebbero morti nel peggiore dei modi e che nessuno avrebbe potuto piangerli con sicurezza, dubbiosi che i loro cari si trovassero davvero in quel prefabbricato; speranzosi che magari, in qualche modo, si fossero salvati all’esplosione o che si fossero trovati da tutt’altra parte durante quelle ore di fuoco.

 

Musa era rimasta tutto il tempo con loro, tramite la pulce nell’orecchio, e li aveva guidati in quel labirinto di stanze e corridoi. Era anche grazie a lei se erano riusciti a uscirne quasi indenni. Strutture abusive del genere non avevano certo una pianta da poter studiare e consultare, d’altronde.

 

Quando furono tornati al furgone, si liberarono in fretta e furia della copertura simile a dei cespugli posti sulla vettura, non senza che Bloom notasse il dolore vivo negli occhi adombrati di Sebastian per star usando, a fatica, il gomito e le dita del braccio che era stato colpito. Non sapeva da dove stesse prendendo la forza per farlo, non sapeva se lei, al posto di suo marito, ne sarebbe stata in grado.

Sebastian era stato addestrato a sopportare torture fin da piccolo, quindi Bloom immaginava che, non importava quanti anni fossero passati dall’ultima volta che le aveva subite, certe sensazioni e insegnamenti rimangono con te per sempre.

Bloom aiutò Sebastian ad adagiare Grace sul materasso spesso almeno venticinque centimetri e, volendo dare a suo marito un attimo per riprendersi e quantomeno medicarsi, si mise alla guida per lasciare quel posto il più in fretta possibile.

Prevedendo la resistenza che avrebbero continuato a incontrare finchè non si fossero allontanati abbastanza dal terreno sperduto in mezzo al nulla, Sebastian prese posto nel sedile del passeggero e sparò dei colpi fin troppo precisi per quelle che dovevano essere le sue condizioni. Faceva quasi paura in quei momenti di assoluta e cieca efficienza.

 

Riuscirono così a depistare gli uomini che erano riusciti a inseguirli dai loro posti di guardia e poterono finalmente prendere un sospiro di sollievo.

Percorsero solo strade secondarie e Sebastian si dedicò a controllare lo stato di Grace, svenuta ancora una volta per lo shock. Vederla in quello stato non faceva piacere a nessuno dei due, volevano solo riportarla a casa. Al sicuro, da tutto e da tutti. Ma, volenti o meno, quella storia non era ancora finita.

Non del tutto, almeno.

 

—ooOoo—

 

«Come sta?» le chiese Musa attraverso l’auricolare.

«Come una ragazza di sedici anni che è stata rapita e tenuta lontana dalla sua famiglia» rispose Bloom severa, pur non avendocela direttamente con Musa.

L’amica sembrò capirla, perché non l’attaccò per quel breve sfogo.

Avrebbe voluto esserle lì accanto in quel momento, assisterla e farle mille domande e mille rassicurazioni, ma qualcuno doveva pur guidare. Dovevano uscire dal Paese prima che Andreas riuscisse a trovarli lui stesso.

Erano loro a dover andare da lui, non il contrario.

Non c’era luogo sulla Terra dove si sarebbe potuto nascondere, soprattutto ora che Bloom e Sebastian sapevano di poter contare su altre persone decisamente preparate e pronte ad aiutarli.

Si chiedeva se il tradimento di Beatrix fosse stato scoperto, o se avessero potuto contare ancora sul suo aiuto. Tuttavia, c’era una parte di lei, nascosta molto di fondo nelle sue viscere, che aveva piantato il seme del complotto. E se, fin dall’inizio, quello che era successo fosse stato il piano di Andreas? Convincerli di aver avuto successo nella missione di recupero, solo per poterli cogliere impreparati più tardi? Il fatto che Sebastian fosse stato ferito al braccio era uno svantaggio non da poco. E dovevano fare anche in modo di non essere trovati dalle loro Famiglie, non sapevano se potevano davvero tornare alla vita di tutti i giorni, come se nulla fosse accaduto, o se dovessero guadagnarsi la loro serenità e affrontare faccia a faccia le loro Famiglie, una volta per tutte. Non era detto che ne uscissero vivi, questa volta. Si può avere solo una limitata fortuna nella vita, e loro sembravano averne ormai esaurita una dose consistente.

Sentì Sebastian trafficare con oggetti l’apertura a scatto del kit di pronto soccorso e successivamente il trafficare di dita a contatto con oggetti metallici e cilindrici. Bloom non poteva voltarsi a controllare la situazione, non ancora, ma confidava nel fatto che suo marito si stesse creando uno spazio sterile per medicarsi la ferita.

«Hai bisogno di una mano?» gli chiese, a mo’ di cortesia. Sapevano entrambi che non avrebbe potuto aiutarlo. Oltre a non avere le sue capacità, non poteva certo lasciare il volante.

 

Una volta che il pericolo imminente degli spari si era concluso, Sebastian era passato nel retro del furgone e aveva cominciato a occuparsi di Grace e del suo stato. Facendola cambiare e mettere qualcosa sotto i denti. Bloom avrebbe voluto essere colei che si occupava di sua figlia in un momento del genere, ma fu grata di sapere, di avere la conferma, che sua figlia Grace era al sicuro, così come a suo completo agio, con suo padre come con sua madre. Era un rapporto decisamente raro quello fra loro tre, che non molte figlie e figli possono dire di avere. Bloom era allo stesso modo grata a Sebastian per averle permesso di creare una famiglia del genere, in cui l’amore non mancava di certo.

«Grace sta dormendo» le rispose in Irlandese, implicitamente dicendole di abbassare la voce e rifiutando il suo aiuto allo stesso tempo. Sebastian era chiaramente ancora in modalità operativa. In fondo, sotto certi aspetti, aveva più esperienza di lei.

Si erano tenuti in allenamento costante in quegli anni, certi che la favola che si stavano imponendo di vivere prima poi avrebbe richiesto un ritorno alle armi, alla violenza, dolore e distruzione di vite—anche innocenti, se necessario; ed era esattamente quello che era successo. Non aveva avuto idea di chi fossero state quelle persone rapite a loro volte e portate alla casa sicura, ma se Andreas aveva avuto l’ingenua idea che portandola lì non sarebbe ricorso in perdite e che loro si sarebbero limitati a contrattare, si era chiaramente sbagliato di grosso.

L’esser diventati genitori aveva reso Bloom e Sebastian più paranoici e amorali che mai. A loro interessava solo del benessere di Grace, null’altro.

«Fermati appena possibile» le disse Sebastian, deciso sul non usare l’Inglese.

Dallo speccietto retrovisore, gli occhi azzurri di Bloom captarono un Sebastian intendo a disinfettarsi la ferita al braccio. Il sangue sembrava essersi rappresso, ma sembrava messo decisamente peggio di Grace, la cui scheggia l’aveva solo passata di striscio sul braccio; Sebastian si era già premurato di pulire, disinfettare e fasciarla comunque con una garza sterile e cerotto, per evitare anche la minima infezione. Dovevano sperare che non rimanesse la cicatrice, per quanto piccola. Non volevano che Grace avesse sulla sua pelle un souvenir sconveniente di quell’esperienza traumatica.

«È rimasto qualcosa nel braccio?» gli chiese, imitando la sua premura nel non permettere a una Grace semicosciente di comprendere quello che si stavano dicendo.

«No, la scheggia è uscita. Sto disinfettando e mettendo una garza sterile. Ci penseranno in ospedale a farmi gli esami per capire cosa è rimasto» le disse.

«Non sarebbe meglio farsela chiudere subito? Sono certa che Terra e Flora conoscono qualcuno qui che può occuparsi della ferita» gli propose, preoccupata che la ferita si potesse infettare ulteriormente. Chissà lo schifo che ci era finito dentro…

«Chiuderla subito non è una buona idea, senza sapere i reali danni che ha causato la scheggia. Seppur mi sembri essere una ferita non complessa da arma da fuoco, bisogna che prima facciano un esame diagnostico[2]» le spiegò, rispondendo anche lui pacato, come se stessero parlando della lista della spesa.

Grace si mosse nel sonno, agitata da qualcosa. Sebastian le accarezzò la schiena con la mano del braccio sano, mormorando rassicurazioni che Bloom non poteva sentire. La sua espressione facciale, tenera come solo quella di un padre devoto poteva essere, fece intuire cosa suo marito le stesse dicendo; probabilmente le stesse parole di circostanza che avrebbe usato anche Bloom.

«Per sicurezza, facciamo controllare anche il suo braccio» disse lei, come scusa per iniziare quel discorso da qualche parte. «Ti ha detto qualcosa? Ti ha detto se…» fece fatica a trovare il coraggio di completare la frase ad alta voce. Il solo pensiero che qualcosa del genere le fosse potuto accadere le annebbiava la vista, il senso di colpa si era aggrappato al suo stomaco e non sembrava intenzionato a lasciarla andare.

«No», rispose lapidario Sebastian, «mi sarei accorto del contrario» giustificò con totale sicurezza. Accarezzava i capelli della figlia, attaccando con una sorta di ninna-nanna quando quest’ultima si muoveva in scatti nervosi nel sonno.

«Sei suo padre…» disse Bloom, stupita e allo stesso tempo dispiaciuta che Sebastian potesse mai davvero pensare che Grace sarebbe capace di aborrire il tocco di suo padre, anche in caso una violenza si fosse davvero consumata sulla sua carne. Era chiaro che non si rendesse del tutto conto del bene smisurato che Grace provava nei suoi confronti. Sapeva di essere una figlia fortunata, glielo aveva fatto intendere più volte, così come Bloom sapeva di essere una madre e moglie fortunata.

In un angolo remoto della coscienza di Sebastian, il germe di Valtor doveva ancora perseguitarlo. Non c’era altra spiegazione.

«E pur sempre un uomo, nella mente di una vittima di stupro» le disse Sebastian.

Bloom sapeva che suo marito aveva ragione, non sarebbe dovuto essere necessario per lui “spiegare” proprio a lei quel tipo di dinamiche, Bloom era una donna dopotutto: per via della società in cui vivevano, purtroppo, certe finezze le coglieva di certo meglio di un uomo qualunque; ma Sebastian non era un uomo qualunque. Era suo marito, e il padre di sua figlia. Non che questo escludesse a priori che un marito e un padre potesse far del male al sangue del suo sangue o alla donna che diceva di amare, anzi, la vita insegnava tutto il contrario, ma Bloom ci aveva visto lungo quando si era scelta Sebastian come uomo da avere accanto. Glielo dimostrava giorno dopo giorno, senza mai deluderla.

 

—ooOoo—

 

Era ormai mattina inoltrata e, sotto la luce del sole, si rendevano conto di passare meno inosservati agli altri guidatori. I poliziotti non erano meno corruttibili di giorno, ma non era da escludere che qualche eroe mancato, osservando la scena da lontano, potesse fare un video e mettere tutti quanti nei guai.

Dovevano raggiungere la villa di Musa ad Amsterdam, dove li stavano aspettando un equipe di medici e infermieri e Stella—aveva preso un jet privato e li aveva raggiunti il prima possibile.

Arrivati a destinazione, i medici gli vennero incontro, posizionando una Grace ormai sveglia su una barella, seppur fosse in grado di camminare, e, trasportata al sicuro in una tenda sterile adibita a pronto soccorso, delle infermiere e una dottoressa dall’aria austera si occuparono di lei.

Senza neanche pensarci due volte, Bloom seguì la figlia. Sebastian avrebbe certamente capito. Non era che non le interessasse della sua sicurezza e salute psico-fisica, ma Grace era pur sempre la sua bambina… Avrebbe letteralmente dato la vita per lei e sapeva che Sebastian, oltre a comprenderla, avrebbe fatto la stessa identica cosa al suo posto; anzi, forse avrebbe insistito per farle portare tutte e due nella stessa tenda, in modo da tenerle d’occhio entrambe. Come padre e marito aveva il doppio delle responsabilità, rispetto a Bloom. O almeno, così si erano da sempre implicitamente imposti, senza il reale bisogno di doverlo esplicitare a voce alta.

Quello che li guidava era puro istinto, come se quella non fosse la loro prima vita insieme.

 

 

«Novità?» chiese Bloom a suo marito, una volta che lei e Grace furono uscite sottobraccio dalla tenda.

Era passata qualche ora…

Tranne che per la parte psicologica di Grace, il corpo materiale di sua figlia sembrava essersela cavata con qualche graffio.

Grace li guardò confusa, probabilmente non capendo che lingua stessero parlando tra marito e moglie. Sembrò rinunciare subito a quella curiosità, perché si tuffò sul petto di suo padre, facendo attenzione a non toccargli il braccio maltrattato e tumefatto nella zona dell’impatto con la scheggia. Sebastian usò il braccio sano per stringerle la vita, depositandole un bacio trattenuto sui capelli ora puliti e profumati.

Entrambi strinsero la presa sull’altro, e a Bloom vennero gli occhi lucidi a quella visione—al pensiero che aveva rischiato di perdere tutto ciò nel giro di pochi giorni.

«Le nostre Famiglie si sono messe in contatto» le anticipò la notizia, prima che raggiungesse Musa e Stella.

«Come hanno fatto a…?» Bloom strabuzzò gli occhi, sorpresa di quella notizia. Se non erano stati in grado di trovarli in passato, cos’era cambiato?

«Beatrix ha fatto da tramite» le rivelò.

Bloom sbuffò un verso di divertimento, riconoscendo Beatrix per quella che era sempre stata: una doppiogiochista di prima categoria.

«Cosa vogliono?» tagliò corto Bloom.

Sebastian abbassò lo sguardo sulla sedicenne ancora stretta a lui, come fosse la sua personale ancora di salvezza.

Bloom percepì la sua gola chiudersi, prima di esplodere, seppur consapevole che Sebastian non c’entrasse niente con le richieste delle loro Famiglie fanatiche.

«Neanche se mi ammazzano» sentenziò Bloom, capendo a cosa suo marito si stesse riferendo.

«Andreas vuole saldare i conti, le nostre Famiglie si sono offerte di aiutare».

«Se quella testa di cazzo non avesse rapito nostra figlia, non ci sarebbe stato bisogno di nessuna resa dei conti» disse Bloom, visibilmente alterata.

Sebastian la guardava impassibile, la testa inclinata leggermente da un lato, come era solito fare quando studiava le sue micro-reazioni, capire la reale sincerità delle sue parole.

«Scusate se mi intrometto…» disse un uomo dai tratti coreani avvicinandosi, parlando anche lui in Irlandese. Sebastian non si voltò, doveva fidarsi di lui. Che fosse quel Grey? La voce sembrava simile a quella che aveva sentito al telefoso, nonostante fosse alterata dagli apparecchi elettronici resi non tracciabili.

«Non ho potuto fare a meno di ascoltare la parte finale della vostra conversazione» aggiunse, scusandosi in qualche modo di aver origliato.

«Grey», confermò la sua identità Sebastian, «parla». Era tornato a parlare Inglese, probabilmente sicuro che pur avendo capito più o meno l’argomento di cui Sebastian e Bloom stavano discutendo, Grey non sarebbe stato in grado di essere al passo con la loro versione di Irlandese.

«Grace, tesoro» attirò la sua attenzione Bloom, usando un tono di voce il più gentile possibile ma senza farla sentire una bambina di due anni—Grace non sopportava quando le parlavano in quel modo, sua madre lo sapeva bene. «Perché non entri in casa, insieme a Stella e le altre?» le propose.

Grace annuì soltando, non in vena di discutere. Era una ragazza sveglia, doveva aver capito più o meno quello che era accaduto e perché fosse accaduto, ma ancora non aveva fatto a nessuno dei due delle domande. Lo shock dell’intera situazione stava sicuramente giocando a loro favore. Grace baciò entrambi i suoi genitori sulle guance e si diresse con andatura lenta fino all’entrata della villa. Bloom e Sebastian la osservarono fino all’ultimo, prima di volgere finalmente la loro attenzione a Grey.

Sentendosi gli occhi addosso, l’uomo prese parola: «Andreas è stato un mercenario prezzolato dalla Mafia per molti anni prima di assumere il comando di Berlino. Bisogna pensare che abbia insegnato a sua figlia Beatrix tutto quello che sa del mestiere».

Bloom rise mentalmente quando Grey si riferì a Beatrix come solo la “figlia” di Andreas. Dopo quello che aveva saputo sul loro rapporto, tutt’altro che di natura genitore-figlia,  l’opinione che Bloom aveva di Andreas era peggiorata. Vero, anche Bloom e Sebastian si passavano alcuni anni, e quando si erano incontrati lei aveva avuto solo sedici anni, ma almeno non c’erano stati precedenti legami di parentela tra di loro, a differenza di Beatrix e Andreas, rispettivamente figlia adottiva e padre adottivo della stessa. Un brivido le scese lungo la schiena al solo pensiero di loro due insieme, e in quel modo. Non potette evitare di chiedersi se Beatrix fosse costretta da lui o se fosse genuinamente convinta che quella relazione incestuosa fosse una sua scelta consenziente.

Tecnicamente, Beatrix li aveva aiutati a recuperare Grace. La sua giustificazione sembrava essere stata legata al sentimento che in passato l’aveva legata a Stella. Possibile che fosse bastato quello a farle tradire suo padre, mentore di vita e che le aveva insegnato un mestiere, per quanto sporco? Era difficile da credere. Difficile, ma non impossibile.

Il senso di colpa è spesso un’arma a doppio taglio.

Non avevano molta altra scelta, non con le loro Famiglie che si erano volute intromettere nella faccenda. Poteva risolversi con il solo recupero di Grace, senza aver sborsato la cifra del riscatto né essersi fatti ricattare per lavorare sotto l’autorità di Andreas. Invece, l’uomo aveva scelto di complicare le cose e coinvolgere nel suo schema di gioco le Famiglie di Bloom e Sebastian. Ormai sapevano tutti che i due avevano finto la loro morte, che si erano voluti distaccare da quel mondo criminale; non era difficile immaginare che avrebbero preferito non averci più nulla a che fare.

Né Andreas, né tantomeno le loro Famiglie avevano rispettato il loro volere. Non era difficile immaginarne la motivazione: la Mafia non è un club sportivo, non puoi entrare e uscirne a tuo piacimento. Se ci nasci dentro o ti ci butti dentro, sei marchiato a vita—pur andando in capo al mondo. Tutta quella vicenda ne era l’ennesima dimostrazione storica.

 

«Non è ancora finita» disse Bloom, guardano in lontananza la porta della villa di Musa, da cui era entrata sua figlia poco prima. «Se è morire quello che vogliono, io sono pronta ad accontentarli» disse, rivolgendosi a suo marito.

Sebastian ricambiò il suo sguardo, complice di quello che avrebbero dovuto fare. Era arrivata l’ora di mettere un punto definitivo a quella storia, a costo di trucidare intere Famiglie. La spirale di violenza non si sarebbe certo fermata, morto un Papa se ne fa un altro, ma almeno avrebbero messo in chiaro la loro posizione in merito una volta per tutte.

Dovevano lasciare in pace la loro famiglia, o nessun posto al mondo sarebbe stato abbastanza sicuro da nasconderli dalla furia omicida che minacciava di pervadere Bloom e Sebastian, reminescente del loro passato di sangue.

I loro segreti di famiglia avevano rovinato l’armonia che tanto avevano faticato a costruirsi, era arrivato il momento di affrontare i demoni del passato.

Grey si allontanò per lasciare loro il tempo di confrontarsi sul da farsi. Rimasti da soli, i due si presero per mano. Bloom si alzò sulle punte e, tenendo le guance di Sebastian tra le sue piccole mani, lo baciò intensamente. Suo marito avvolse un braccio intorno alla sua vita e se la spalmò addosso. Stavano per fare un giuramento. Uno da cui non si sarebbero potuti tirare indietro.

Era la loro sopravvivenza o quella degli altri.



«Niente più nascondersi» propose Bloom, in Irlandese.

«Niente più nascondersi» le fece eco Sebastian allo stesso modo, suggellando le sue parole con un altro bacio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



[1] In assenza del personaggio di Tecna nella serie tv “Fate: The Winx Saga”, le sue particolarità sono state unite a quelle di Musa. Spero capirete la necessità di questa operazione. Non volevo creare troppi personaggi nuovi, sia perché sapevo che in circa diecimila parole non sarei stato in grado di trattarli tutti quanti in modo esaustivo, in un modo che mi avrebbe soddisfatto—considerando che creare un altro personaggio OC avrebbe necessitato togliere spazio ad altri e/o altri avvenimenti per illustrare un po’ della sua origin story, sia perché volevo che l’unico OC a cui dare importanza fosse Grace, la figlia dei protagonisti di questa OS.

 

[2] Ovviamente immaginiamo che i nostri due protagonisti stiano parlando un misto di Irlandese e Inglese tutto loro e personale della coppia. È un po’ come fanno i parlanti di lingue dell’Est e del Sud-Est Europa, aggiungendo termini Inglesi al loro parlato giornaliero, meno “moderno” di lingue ritenute tali (per ragioni pratiche e/o storiche). Ma, allo stesso tempo, non si tratta di una fusione così omogenea da definirsi Hiberno-English.

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Capitolo 29
*** Giorno 29 — Argilla ***


 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




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Prompt giorno 29: argilla

 

 

 

[Modern!AU]

 

 

 

GAYDAR

1597 parole

 

 

Bloom era annoiata, e sola. Annoiata e sola era una pessima combinazione per una persona come lei. La noia la portava a essere impulsiva, più impulsiva del solito, ed ecco che si era ritrovata alle tre del pomeriggio di un sabato qualunque nel retro bottega di un ceramista consigliatole dalle cugine Terra e Flora. Aveano frequentato la scuola cattolica insieme, in Irlanda, fino al diploma. Bloom si era trasferita dalla California da piccola, per via del lavoro dei suoi genitori, entrambi agenti immobiliari, e sin dal primo giorno era stata praticamente adottata da un gruppo di ragazze sue coetanee. Musa aveva cambiato scuola prima del diploma, Stella era un anno più grande di loro, quindi le aveva dovute lasciare per frequentare l’università, mentre Aisha aveva vinto una borsa di studio grazie al nuoto e dal loro ultimo pigiama party tutte insieme non si erano più viste granchè. Le uniche rimaste davvero in contatto erano appunto Bloom e le due cugine appassionate di tutto ciò che riguardava la materia naturale. Si erano laureate entrambe in chimica ambientale in un battito di ciglia, Bloom invece aveva preferito mettersi subito a lavorare, in un tentativo di tranciare definitivamente il cordone ombellicale che l’aveva forzatamente tenuta prigioniera della morsa e delle idee dei suoi genitori adottivi. Non erano mai andati troppo d’accordo, ma pur di lasciare l’orfanotrofio, Bloom se li era fatti andare bene. Negli anni il loro rapporto era peggiorato e più tempo passava fuori casa, e lontano da loro in generale, meglio era per tutti.

Una volta, per la rabbia, aveva mandato a fuoco l’intera casa e da allora avevano smesso di vederla come una persona sana di mente. La trattavano come un’appestata.

Bloom era felice di essersi separata da loro, ma, tuttavia, non faceva altro che pensare al fatto che non sarebbe dovuta andare così.

Avrebbe mai trovato, prima o poi, qualcuno che l’amasse e che si prendesse cura di lei così come lei era disposta a fare per gli altri?

Aveva lavorato molto sul suo modo di porsi alle persone e, benchè non fosse ancora in grado di fare miracoli, aveva sicuramente fatto dei passi avanti; quel traguardo doveva almeno riconoscerselo.

 

Mentre era indaffarata a sistemarsi l’enorme camice grigio—stava tentando di chiudere gli ultimi bottoni inferiori, ma l’indumento continuava ad aprirsi, rivelando i suoi jeans chiari e il crop top blu cobalto—una voce roca si schiarì la voce. Alzò il volto come colpita da un colpo di frusta sulla schiena e la figura di un affascinante uomo di circa trent'anni le comparve davanti.

Doveva essere il maestro ceramista che l’avrebbe seguita in quel mini-corso introduttivo di arti plastiche. Quel primo giorno avrebbero dovuto avere a che fare con l’argilla, o almeno così c’era scritto sul sito che le sue due amiche avevano portato alla sua attenzione.

«Salve…» disse Bloom non sapendo cos’altro dire. Si tirò dritta, seppur tenne le spalle leggermente ricurve. Era già in imbarazzo.

«Bloom Peters?» le chiese l’uomo con voce pacata, come a volerla mettere a suo agio.

“Accidenti, è così palese la mia agitazione?” pensò Bloom mortificata.

«Piacere, io sono Sebastian, il ceramista di questo corso» si presentò allungando una mano verso di lei. Gliela strinse.

Era incredibilmente morbida e grande, nonostante il lavoro manuale che si ritrovava a fare.

«Bloom» disse soltanto. Sicuramente conosceva già il suo nome, avendo accettato la sua domanda sul volantino digitale del corso 1 a 1.

Era una fortuna che non ci fosse nessun altro insieme a lei, almeno le sue gaffe potevano rimanere un segreto per loro due e quella stanzetta.

«È pronta per cominciare il corso?» le chiese, prendendo posto su uno sgabello.  

«Sì, certo!» rispose Bloom, cercando di sembrare entusiasta.

«Accenda il suo tornio» la istruì.

Bloom supponeva che il tornio fosse quell’affare in metallo davanti a lui, in mezzo alle sue gambe.

Invece che sedersi di fronte a lui, Bloom prese posto accanto a lui. “Per vedere meglio e farmi aiutare” si disse, ma sapeva che imparare l’arte del modellato era passato in secondo piano ormai.

Sebastian non sembrò colpito dalla sua iniziativa di vicinanza. Prelevò con l’aiuto di un fil di ferro una porzione moderata dal blocco di argilla posto in mezzo a loro sul pavimento, e lanciò la materia di colore grigio sul piatto rotante del suo tornio.

«Faccia lo stesso» le disse.

Bloom cercò di imitare i suoi gesti, ma ogni volta Sebastian scuoteva la testa e rimuoveva l’argilla dal suo piatto. Dopo il quinto tentativo andato a vuoto, si alzò e si posizionò alle sue spalle.

Le lunghe braccia di Sebastian comparirono dietro di lei e le misero in mano un pezzo più piccolo di argilla, in modo da aiutarla a lanciarlo meglio. Poggiò le sue grandi e calde mani sulle sue più piccole—e Bloom si sentì andare a fuoco, raggiungere una gradazione di rosso simile ai suoi capelli raccolti—e l’aiutò a lanciare centrare l’argilla sul piatto del tornio.

Come soddisfatto del risultato, Sebastian tornò al suo posto, accanto a lei e si inumidì leggermente le mani e una sottile spugnetta con dell’acqua. La spremette sulla sua palla di argilla e cominciò a far ruotare il piatto premendo un piede sul pedale posto ai piedi del tornio.

Bloom capì presto di doverlo imitare nuovamente.

Magicamente, riuscì a non fare danno e non far schizzare via l’argilla. Aveva regolato la velocità di rotazione a copiare quasi fedelmente quella di Sebastian.

«Ora cominceremo ad aprire l’argilla, per riuscire ad alzarla e darle una forma» le spiegò. «Si figuri già in mente quale forma vuole far assumere alla sua materia, il resto verrà naturale con la pratica».

Credendogli sulla parola, Bloom infilò due dita al centro della palla inumidità e davanti ai suoi occhi vide come la stesse cominciasse a formare dei bordi lì dove le sue dita la racchiudevano. Con l’aiuto della sua spugnetta faceva in modo di lisciare la superficie e assorbire l’acqua in eccesso. Sebastian le aveva detto di non esagerare con l’acqua, altrimenti l’argilla avrebbe perso struttura e avrebbe schizzato particelle di materia grigia ovunque, non concludendo nulla se non sporcare ovunque e il suo viso. Bloom non ci teneva per niente a ritrovarsi dell’argilla negli occhi. Erano già abbastanza sensibili di loro alla luce del sole, non aveva bisogno di creare scenari spiacevoli anche con la materia proveniente dalla terra.

 

«Sta andando bene» le disse Sebastian, osservandola lavorare.

«Grazie» gli rispose sinceramente, sentendosi le guance arrossire al complimento. Dire che non ci fosse abituata, sarebbe stato usare un eufemismo.

Era riuscita a tirare su un piatto dal fondo abbastanza spesso e i bordi alti, proprio la tipologia che piaceva a lei. Se fosse sopravvissuto alla cottura, avrebbe potuto esporre il suo piatto in ceramica in bella mostra su uno degli scaffali a vista del suo appartamento. L’aveva in affitto da qualche mese, da quando aveva finito la scuola e si era spostata da Dublino a un piccolo paesino quasi disabitato.

 

—ooOoo—

 

Finito il tempo della prima lezione, Bloom si alzò finalmente dallo sgabello per sgranchirsi le gambe.

Sebastian le aveva mostrato come staccare con del fil di ferro la sua creazione dal piatto fermo del tornio, senza lasciarsi materiale dietro. Aveva posto il vaso di lui e il piatto di lei su due pezzi di legno separati e li aveva coperti singolarmente con un telo di plastica. Il lavoro di Bloom risultava un po’ secco, quindi Sebastian le aveva fatto spruzzare un po’ di acqua sul manufatto grezzo prima di coprirlo in modo che l’umidità rimanesse il più costante possibile e che l’argilla, asciugandosi con il passare dei giorni—fino alla prossima lezione settimanale—non si crepasse.

«Per oggi abbiamo finito» le comunicò Sebastian.

Lo stomaco di Bloom si chiuse. Era felice dell’esperienza, ma allo stesso tempo dispiaciuta che il tempo a loro disposizione fosse già finito. Avrebbe voluto passare più tempo con lui, ma non si sarebbe mai permessa di chiedergli di uscire e frequentarsi al di fuori degli orari di quel corso. Non sapeva nemmeno se era già fidanzato, o magari era gay e lei non lo aveva intuito. Terra e Stella, la prima lesbica e la seconda bisessuale, le avevano chiaramente detto che il suo “gaydar” faceva pena.

«Settimana prossima, stessa ora?» le chiese conferma.

«, per me va bene» gli rispose Bloom.

Mentre si lavava le mani per togliersi le tracce di argilla semi-asciutta dalle dita, un’ombra comparve dietro di lei.

Era Sebastian.

Si era quasi dimenticata della loro differenza di altezza. Gli occhi e i capelli neri, insieme all’accenno di barba, lo facevano sembrare più maturo della sua età—seppur non la conoscesse con precisione, ma poteva supporre.

«Sei libera questa sera?» le chiese, senza darle il tempo di capire cosa stesse accadendo.

Era appoggiato con un braccio disteso allo stipite della porta e la guardava con lo stesso sguardo che lei era sicura di avergli dedicato quando si erano presentati: curiosità.

«Adesso lo sono» gli rispose d’impulso, non fregandosene minimamente di sembrare disperata. Non si trovava spesso in presenza di un “uomo che si comporta da uomo”, nel senso più socialmente riconosciuto dalle ragazze e donne, quindi non intendeva farselo scappare proprio adesso che aveva trovato l’eccezione alla regola.


Sebastian la guardò come se volesse mangiarsela seduta stante, ma, per qualche motivo, Bloom non si sentiva indifesa. Le faceva piacere sentirsi desiderata da un tipo più grande di lei, soprattutto uno così affascinante come lo era Sebastian.

 

Non si era immaginata che gli eventi di quella giornata potessero svoltare a suo favore, ma almeno, per una volta, poteva vantarsi con Terra e dirle che il suo “gaydar” in quell'occasione, con Sebastian, aveva funzionato benissimo.

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Capitolo 30
*** Giorno 30 — Domino ***


Note: presenza heavy di headcanon e manipolazione del canon di “Fate: The Winx Saga”. Un misto tra Canon Divergence e una Royal!AU a tema fantasy.

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 30: domino

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

EFFETTO DOMINO

3025 parole

 

 

Domino, la città natale di Bloom, era stata assediata da coloro che avevano portato distruzione in tutta la Dimensione Magica. Nessuno dei mezzi di difesa a disposizione era servita contro degli esseri in grado di manipolare e controllare la volontà delle persone.

Sebastian guidava le Streghe del Sangue che avevano deciso di seguirlo in quella marcia atta a conquistare ogni Mondo della Dimensione Magica. Non per sete di potere, non per sadismo, ma per puro spirito di rivendicazione.

Per secoli la sua gente era stata allontanata e rinchiusa all’interno di realtà circoscritte, intimiditi affinchè non si ribellassero e rimanessere nell’ombra. Tuttavia, neanche isolarsi e condurre la propria vita nella quiete più assoluto era servito a risparmiare la vita. Ogni volta che nella Dimensione Magina accadeva qualcosa, la minima cosa, le potenze in carica non perdevano occasione di prendersela con le Streghe del Sangue di Asterdell.

Evidentemente si erano stancati di subire e avevano deciso a loro volta di prendersela con chiunque non fosse espressamente dalla loro parte, nonostante i metodi sanguinari con cui intendevano riappropriarsi della dignità e orgoglio rubatogli.

Era stato in tutto e per tutto un effetto domino, che li aveva portato tutti quanti in quella esatta situazione.

Bloom teneva la mano a sua madre e suo padre, consci quanto lei che per Domino ormai era la fine.

 

All’alba dei suoi sedici anni aveva scoperto di essere una fata, essere stata scambiata alla nascita con una bambina mortale—divenendo la figlia adottiva di una coppia non magica della Terra, di essere la custode di una fantomatica Fiamma del Drago e che i suoi veri genitori, in realtà erano vivi; non erano stati uccisi dal padre di Sebastian, Valtor. Così come Domino era rimasta in piedi e prospera, nascosta da un potente incantesimo—che era tuttavia costata la vita di sua sorella Daphne.

Essere arrivata fin lì le era sembrato un traguardo che mai si sarebbe sognata di ottenere, e quando aveva cominciato ad abituarsi l’idea di avere finalmente dei genitori che le volevano bene, ecco che un altro ostacolo alla sua felicità si palesava di fronte a lei in tutto il suo terrore.

Non ricevere più lettere dalle sue amiche rimaste ad Alfea l’aveva insospettiva. Dopo aver deciso di trasferirsi nel castello dei suoi genitori, rimanere a Domino e accettare il titolo di Principessa, con i suoi relativi doveri, Bloom non si era aspettata di ricevere così tanto supporto da loro… nessuna di loro le aveva dato dell’egoista o l’aveva fatta sentire in colpa per starle “abbandonando” per andare a vivere con una famiglia che neanche conosceva così bene.

Persino Sebastian si era detto entusiasta per lei quando gli aveva raccontato del suo trasferimento a Domino. In quei suoi mesi di permanenza ad Alfea, aveva stretto con lui un bel rapporto—era arrivata a considerarlo una specie di fratello maggiore.

Un tradimento di quella portata da parte sua era l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata. Aveva sbagliato a fidarsi dei suoi modi gentili e la maniera di riguardo con cui era solito trattarla; avrebbe dovuto capire che era tutta una farsa, atta a conquistare la sua fiducia e convincerla a unirsi a lui una volta che avesse accumulato abbastanza poteri magici—rubati selvaggiamente alle fate di Alfea. Scoprire che lui era il nemico pubblico che tutti quanti stavano cercando, e che lei era rimasta da sola con lui infinite volte… un brivido di freddo le attraversò le ossa al pensiero di quello che le sarebbe potuto accadere in quei momenti se solo lui non l’avesse ritenuta più utile da viva e con i suoi poteri intatti.

Infatti, l’unica condizione per smettere di depredare le popolazioni della Dimensione Magica, far trucidare soldati e civili, persino bambini, l’uno contro l’altro tramite l’utilizzo della magia del sangue e il controllo mentale rubato a una fata della mente, era quella di rinunciare alla sua Fiamma del Drago e permettere a Sebastian di incanalarla.

Bloom non aveva idea di cosa ci avrebbe fatto con la Fiamma del Drago, e non si aspettava certo che glielo rivelasse—dopo averle mentito costantemente per mesi, non si sarebbe più fidata a prescindere delle sue parole.

Non aveva davvero una scelta. Se non faceva quello che aveva richiesto di lei, la sua famiglia e le sue amiche sarebbero morte—se non lo erano già. Bloom doveva ammettere che non era così di buon cuore da curarsi troppo di quello che sarebbe potuto capitare a completi estranei, ma sapere che le persone a cui teneva erano in reale pericolo e che lei era l’unica a poter placare la sete di sangue di Sebastian… era una responsabilità grande da avere sulle spalle, ma d’altronde era quello a cui si era dovuta preparare una volta accettato il ruolo di Principessa Ereditaria di Domino.

Un’idea le balenò in mente, era l’unico modo per non permettere a Sebastian di mancare alla parola data.

In passato era stato solo un sospetto, ma dopo aver notato come non avesse tentato di controllarle la mente con i poteri che aveva rubato alla fata della mente, Bloom si sentì abbastanza sicura della sua supposizione. Decise di avanzare la sua proposta.

Sebastian le stava davanti, fiero nella sua sicurezza di aver vinto.

I piccoli ciuffi di capelli neri gli sfioravano la fronte a intervalli regolari, ogni qual volta il lieve venticello avvolgeva le loro figure. Gli occhi solitamente neri erano mantenuti costantemente rossi, segno del controllo che aveva sui sudditi di Domino. Doveva essere stancante usare costantemente i suoi poteri, non poteva immaginare che livello di resistenza possedesse. Era un mostro in tutto e per tutto. Suo padre, Valtor, doveva essere stato una Strega del Sangue decisamente potente per riuscire a trasmettere tali poteri e conoscenza a suo figlio.

Bloom lasciò le mani tremolanti dei suoi genitori e guardò Sebastian dritto negli occhi, gli stessi occhi che altre volte avevano saputo guardarla con tenerezza. Si avvicinò a lui, fino ad arrivargli a un passo di distanza. Grey tentò di fermare la sua avanzata, ma Sebastian alzò un bracciò a mezz’aria per bloccare l’impeto di Grey.

La guardò guardarlo, studiarlo.

Bloom gli prese una mano calda nella sua, notando per la prima volta la reale differenza in grandezza delle loro mani. Sebastian la lasciò fare, una luce curiosa brillava in quei pozzi scarlatti.

«Come posso fidarmi di nuovo di te?» gli chiese con voce decisa, trattenendosi dalla voglia che aveva di urlargli in faccia.

«Hai la mia parola, Bloom. Dammi la Fiamma del Drago e la scia di morte terminerà» le rispose pacato. Le accarezzò le nocche della mano con il pollice, come a tranquillizzarla e convincerla delle sue intenzioni.

Bloom dovette trattenersi dal deglutire per il disgusto che provava in quel momento. Non solo per quello che rappresentava Sebastian, ma per il fatto che un uomo di venticinque anni si stesse beando delle attenzioni di una sedicenne, scambiando con lei carezze così intime.

Era sicura della strada che avrebbe dovuto percorrere, non c’era altra via.

«E quanto vale la tua parola, Sebastian?» gli ricordò, provocandolo.

«Non avrei mai voluto mentirti, Bloom. Non avevo altra scelta» ebbe la faccia tosta di dirle.

Bloom preferì non rispondergli ulteriormente. Lo sforzo che stava facendo per mantenere il suo controllo non era indifferente. Percepiva i suoi occhi accendersi e affievolirsi costantemente, da quando quella conversazione era iniziata. Doveva ringraziare gli insegnamenti dei suoi genitori biologici per i progressi che aveva fatto in quell’ambito, mesi fa sarebbe stato impossibile per lei pensare di riuscire a imbottigliare le sue emozioni ed evitare di dare fuoco a qualcosa o qualcuno alla prima provocazione di troppo ai danni della sua pazienza e orgoglio.

«C’è solo un modo per me di avere la sicurezza che non verrai meno alla parola data una volta ottenuta la Fiamma del Drago…» gli anticipò.

La sua testa si inclinò leggermente di lato, guardandola con le palpebre leggermente calate.

«Ti ascolto» la incalzò a continuare.

«Diventa il mio Consorte Reale» disse lei tutto d’un fiato. Sentì i suoi genitori, alle sue spalle, trattenere il respiro. Avevano chiaramente già capito quali erano le sue intenzioni.

La carezza sottile sulla sua mano si bloccò per qualche secondo, prima di usare quell’appiglio per tirarla verso il suo petto ampio coperto dal maglioncino nero.

Bloom non si oppose al gesto.

«Cosa stai dicendo?» le chiese improvvisamente minaccioso, la sua voce quasi un ringhio animalesco, tetro. Non doveva sembrargli vero che Bloom gli stesse offrendo quello che lei sospettava Sebastian avesse sempre desiderato ma che si era trattenuto dal prendere con la forza: Bloom stessa.

Guardò oltre le spalle ampie di Sebastian e notò la flotta di soldati e civili, fate innocenti e altre specie fatate, resi ostaggi dalle armi fornite dalle Streghe del Sangue stesse. Il controllo mentale che esercitavano su di loro li costringeva a tenersi dei coltelli dalla lama dall’aspetto affilato puntate dritti sul collo. Dei rivoli di sangue scendevano dai tagli superficiali provocati dal semplice contatto con la pelle esposta.

«È un rituale di unione nativo di Domino» cominciò a spiegare. Vedendo che Sebastian non la stava interrompendo oltre, continuò: «Una gemma verrebbe creata da una goccia del nostro sangue mischiato insieme. Questa gemma verrebbe separata in due parti uguali da una spada forgiata dalla Fiamma del Drago e, una volta indossata intorno al collo in una collana, sarebbe in grado di impedire alla coppia unita di mentirsi e procurarsi ferite a vicenda. Accetta di sposarmi a queste condizioni e la Fiamma del Drago sarà tua» concluse.

Sebastian la guardò con le sopracciglia quasi unite.

«Fu creata appositamente per i Reali di Domino, in modo da impedire l’uccidersi a vicenda, com’era in voga nei primi tempi della sua nascita» aggiunsè, a mo’ di giustificazione per quella particolare usanza.

Bloom non aveva esperienza diretta di tale unione, ma era una delle prime cose che i loro genitori le avevano spiegato e raccontato. Ormai aveva sedici anni, non sarebbe comunque passato molto tempo prima che proposte di matrimonio da città o Mondi adiacenti cominciassero a farsi sentire.

Non poteva credere a quello che le era venuto in mente, ma la disperazione porta a percorrere sentieri a loro volta disperati.

«Bambina mia… Non farlo…» sussurrò sua madre dietro di lei.

Bloom si limitò a deglutire, gli occhi fissi in quelli di Sebastian. Temeva che se si fosse distratta avrebbe cacciato l’urla che aveva intrappolato in gola.

«Sei disposta a tanto, Bloom?» la mise alla prova Sebastian, parlandole direttamente nella sua testa. Era la prima volta che faceva una cosa del genere e non era una sensazione piacevole, ci si sentiva invasi e le tempie sembravano volerle spremere il cervello. Si chiese se, navigando nella sua testa, poteva venire a conoscenza di cose di lei che Bloom preferiva tenere private.

«Esci dalla mia testa» pensò tra sé e sé, sperando che Sebastian captasse le sue parole.

Dal sorriso vittorioso che le rivolse, doveva averlo recepito a dovere.

 

—ooOoo—

 

Il matrimonio si svolse il giorno stesso.

Non c’erano ospiti esterni ai sudditi di Domino, ancora tenuti sotto controllo dalle Streghe del Sangue, come a volerle ricordare costantemente quello che aveva da perdere. Tuttavia, Bloom era più preoccupata per il benessere dei suoi cari. Quel pensiero egoistico probabilmente la rendeva una pessima futura regnante.

I suoi genitori avevano provato a opporsi alla sua decisione, ma era solo una facciata per non sentirsi in colpa, nonostante non ci fosse granchè che potessero fare per risolvere la situazione in altro modo.

Sebastian era troppo potente, non solo per la magia del sangue, ma anche e soprattutto grazie ai poteri che aveva sottratto alle altre fate. Ciò lo rendeva mortale per qualsiasi specie vivente, fatata o meno.

 

La sacerdotessa teneva uno spillo in una delle sue mani tremolanti.

Sebastian aveva un’espressione tirata in volto, come se la paura che era in grado di evocare con la sua sola presenza non lo scomponesse.

Entrambi i loro indici vennero punti e la stilla di sangue raccolta in una vasca di fuoco, la cui fiamma diventò blu una volta che venne a contatto con il loro sangue magico. Poco dopo la fiamma cambiò forma e cominciò a solidificarsi in un’unica gemma, nascosta nella cenere formatasi nella vasca. La sacerdotessa raccolse la spada d’oro e la sua lama fu in grado di tagliare a metà la gemma di colore blu, il cui nucleo rimaneva di un rosso vivo, come se al suo interno risiedesse un cuore pulsante. Le due metà vennero esposte alla folla, in modo che tutti potessero assistere alla validità e alla riuscita di quella prima fase dell’Unione di Fuoco.

Quando riabbassò le due metà, il fabbro di corte si fece avanti e posò due catenelle, anch’esse d’oro, nei rimasugli di cenere—da dove la gemma stessa era venuta fuori.

La sacerdotessa incastonò le pietre all’interno degli alloggi appositi su ogni collana e un piccolo, volatile e spontaneo fuoco blu inglobò la gemma alla sua sede predisposta. Le fece indossare a ognuno dei due. Una luce quasi accecante veniva emanata dai gioielli appesi intorno al loro collo, in modo che fosse visibile a tutti in ogni circostanza. Da quel momento in poi, erano inoltre impossibili da rimuove. Provare a farlo forzatamente avrebbe significato la morte immediata e irrimediabile del corpo di appartenenza.

Prima che la cerimonia potesse continuare, Bloom e Sebastian dovevano rendere esplicite le condizioni che l’incantesimo scaturito dall’Unione di Fuoco doveva preservare.

«Prometti di non fare del male a me, a te stesso, o a chiunque mi sia caro e di non cospirare la mia o tua dipartita dopo aver ricevuto in dono la mia Fiamma del Drago?» recitò Bloom, badando bene alle parole da usare.

«Prometto» rispose Sebastian, il suo tono ritornato impostato. Che provasse attrazione repressa nei confronti di Bloom o meno, quello che si stava svolgendo altro non era che un contratto formale, da entrambe le parti.

«La condizione della nostra futura Regina è stata accolta dal suo futuro Consorte Reale e nostro Re Consorte» annunciò la sacerdotessa, assicurandosi che tutti i presenti, fino all’ultima fila, avessero compreso.

«P-Prego» aggiunse, rivolgendosi a Sebastian ma badando bene a non guardarlo negli occhi. Si limitò a invitarlo a parlare con un gesto eloquente del palmo aperto e rivolto verso l’alto.

Gli occhi di Sebastian brillarono come rubini, accentuati dalla cornice scura dei suo capelli neri e la barba che si era lasciato crescere rispetto all’ultima volta in cui si erano visti, quando lo vedeva ancora come una figura di riferimento e non un manipolatore sanguinario.

«Prometti di non fare del male a me, a te stessa, o a chiunque mi sia caro e di non cospirare la mia o tua dipartita dopo aver elargito in dono la tua Fiamma del Drago?» le rigirò la domanda Sebastian.

Ogni parola di quella formula era importante. Era necessario specificare il non recare danno a se stessi o all’altro per il semplice motivo che, dopo il completamento dell’Unione di Fuoco, qualsiasi danno recato all’uno si sarebbe abbattuto sull’altro; persino la morte. Di solito le coppie di regnanti di Domino vivevano a lungo, salvo lo scendere in battaglia troppo di frequente.

Bloom prese un profondo respiro.

«Prometto» disse, infine.

«La condizione del nostro futuro Re Consorte è stata accolta dalla sua e nostra futura Regina» comunicò a gran voce la sacerdotessa.

Era quasi fatta, non c’era modo di tornare indietro.

L’enorme sala calò nel silenzio insieme all’arrestarsi del suo cuore. Bisbigli si fecero largo tra le file, finchè lo sguardo di Sebastian non si accese di rosso e, senza neanche rivolgersi a loro, ogni presenza che occupava un posto a sedere si ammutolì.

Bloom strinse le mani che tenevano le sue e gli occhi del suo futuro marito non tornarono del familiare colore nero. Nessuno osò comunque fiatare nuovamente. Per Sebastian, solo a loro due e alla sacerdotessa che si stava occupando di unirli era concessa parola, a quanto pareva.

La corona indossata precedentemente da suo padre venne posta sulla sua testa e tutti i presenti si alzarono per applaudire la sua coronazione a Regina di Domino. Il prossimo passò era concludere la cerimonia di unione, in modo che il titolo reale di Sebastian potesse materializzarsi—letteralmente.

Riacquistato l’ordine, la sacerdotessa prese di nuovo parola:

«Un, un bacio sancirà questa Unione di Fuoco, miei sovrani».

Bloom non volle chiudere gli occhi, né tantomeno lo fece Sebastian.

Sebastian inziò il bacio abbassandosi verso di lei e aspettando che anche Bloom si facesse avanti. Appena le loro labbra entrarono in contatto, le gemme appese alle loro collane si attrassero come delle calamite, ricordandosi che in precedenza le due metà erano state parte della stessa formazione magica. Un sfera di fuoco le circondò, fino a rimpicciolirsi e scagliarsi nei meandri della vasca di cenere. Una fiammata blu intenso e alta almeno tre metri prese vita, per poi morire lentamente.

Un corona più sobria, ma di altrettanta importanza, nacque per posarsi sul capo del destinato Re Consorte.

La sacerdotessa si impegnò affinchè il metallo d’oro venisse posato il più delicatamente possibile sulla testa di Sebastian—che aveva deciso di crearle disagio non abbassandosi alla sua altezza. La povera donna dovette alzarsi sulle punte per riuscire nell’impresa.

Doveva essere divertente? O dimostrarle che Sebastian era interessato a venire incontro a Bloom e a Bloom soltanto? Chi lo avrebbe immaginato che Sebastian ci tenesse a risultare romantico nei suoi confronti, per giunta durante un matrimonio di convenienza per entrambi.

 

«Il fuoco li ha uniti, il fuoco li ha benedetti, e il fuoco li avvolgerà dovessero mancare ai loro doveri!» concluse la sacerdotessa, fattasi improvvisamente più veemente nei movimenti del corpo.

Bloom e Sebastian presero posto su i due troni regali posti sull’altare e si tennero per mano per tutto il tempo. Le carezze sulle sue nocche ripresero e, prima di prendere posto, Sebastian le avvolse la stessa mano con entrambe le sue, e le depositò un bacio casto sul dorso—pur trattenendo le labbra sullo stesso punto per secondi che parvero interminabili.

«Questo è tutto ciò che ho sempre voluto per noi, Bloom» le disse Sebastian, trasmettendo quelle parole nella sua mente e procurandole un brivido che si sforzò di celare.

 

Bloom aveva appena ufficialmente e irrimediabilmente perduto uno dei diritti fondamentali di ogni essere vivente: la propria libertà...

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Capitolo 31
*** Giorno 31 — Tomba ***


Note: ringrazio le persone che hanno letto una, due, tre o tutte le OS di questa raccolta e spero di essere riuscito almeno a tenervi compagnia. Come anticipato in altri capitoli, cercherò di fare del mio meglio per correggere i typo ed errori banali dati dalla fretta di dover scrivere a razzo e pubblicare subito in giornata.

Questo è stato il mio primo anno di Writober, e sinceramente non so se sarò mai in grado di partecipare ad altre challenge personali di questo genere. XD Però sono felice di aver portato almeno a termine questo, ahahah.

Non vi trattengo oltre e vi lascio alla lettura di questa OS finale, spero sia di vostro gradimento.

 

Jason.

 

Lo so che il corretto ordine delle parole nel titolo dovrebbe essere: Tints, Tones & Shades (mancano anche altre diciture legate a questo mondo), ma ho arbitrariamente deciso di assegnare alle parole questo ordine per una pura questione di piacevolezza di pronuncia consequenziale delle parole. Spero capirete, grazie.




𝘘𝘶𝘦𝘴𝘵𝘢 𝘴𝘵𝘰𝘳𝘪𝘢 𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦𝘤𝘪𝘱𝘢 𝘢𝘭 𝘞𝘳𝘪𝘵𝘰𝘣𝘦𝘳 𝘥𝘪 𝘍𝘢𝘯𝘸𝘳𝘪𝘵𝘦𝘳.𝘪𝘵

Prompt giorno 31: tomba

 

 

 

[Canon Divergence]

 

 

 

TEMPI DI TERRORE

1695 parole

 

 

Quella Guerra lampo era giunta al termine.

La fate di Alfea avevano vinto, sconfitto Sebastian e la sua armata di Streghe del Sangue, ma a quale costo?

Alfea distrutta, fate, specialisti e civili innocenti avevano perso la vita in un battito di ciglia, senza che si rendessero davvero conto di quello che stava accadendo loro e intorno a loro.

Persino Beatrix si era sacrificata per la causa, tutto per porre rimedio alla testardaggine di Bloom e la sua volontà di arrendersi, smettere di lottare, e dare a Sebastian esattamente quello che voleva: la sua Fiamma del Drago. Non le era interessato sapere come l’avrebbe usata, in quel momento le interessava soltanto riavere il corpo di Sky—vivo o morto, ma quantomeno integro.

Poi le sue amiche erano intervenute… l’avevano riportata con i piedi per terra e, tutte insieme, erano riuscite a surclassare i poteri rubati da Sebastian alle altre fate.

Una vittoria di Pirro, in realtà, e parte della colpa era sua—se doveva essere totalmente onesta. Eppure, rispetto al resto dei traditori e criminali di Guerra venuti allo scoperto durante quei giorni di battaglia, Bloom ne era uscita pressocchè illesa e senza macchia; tutto per via dei suoi sedici anni e perché era la custode della Fiamma del Drago. Tutti quanti non facevano altro che ripeterle che anche lei era stata una vittima, e che essere sopravvissuta non la rendeva meno idonea a provare rabbia e dolore per quello che era accaduto, ma Bloom non riusciva a piangersi addosso. Avrebbe voluto darsi fuoco piuttosto, ma, com’era ovvio, quel metodo non poteva funzionare su di lei.

Raccogliere i cocci della lotta, i rimasugli di civiltà sparsi per quell’angolo della Dimensione Magica l’avevano aiutata in parte a lenire alcune ferite fresche. Sapere che Sky era sano e salvo, grazie a Grey, una Strega del Sangue, come Sebastian, sì, ma che si era pentito delle sue azioni e che aveva deciso arbitrariamente all’ultimo di aiutare lei e il resto delle fate, e di rianimare Sky.

Bloom si sentiva particolarmente in colpa con lui, per quello che gli era successo solo perché il suo fidanzato. Pur essendo uno Specialista addestrato, aveva passato più guai per via del suo legame con Bloom che per tutto il resto che era accaduto e continuava ad accadere nella Dimensione Magica ogni giorno. Tornare nel regno dei vivi, dopo che era stato appeso al filo della morte, doveva essere stata un’esperienza traumatizzante contro ogni dire; non la sorprendeva che Sky non fosse riuscito a parlarne, aprirsi sui suoi sentimenti al riguardo, nemmeno con Bloom—che tecnicamente era la sua ragazza. E, com’era ovvio che accadesse, dopo pochi giorni si erano lasciati… era inutile continuare a incollare pezzi di un puzzle appartenente a due immagini diverse. Se c’era una cosa che Bloom odiava mostrare, era la sua disperazione. C’era sempre qualcuno che se ne approfittava, e lei era stanca di sentirsi la pedina del prossimo individuo che provava a inserirsi nella sua vita per trarne vantaggi.

Quei giorni erano finiti. Doveva smetterla di cercare approvazione da chiunque, di pendere dalle labbra della prima persona che le sembrava poter svolgere la veci della figura genitoriale, della guida alla vita che non aveva mai davvero avuto.

 

Guardava la tomba in granito in cui riposava il corpo di Sebastian, o meglio: i brandelli che erano riusciti a recuperare, e si chiedeva se, in circostanze diverse, il loro rapporto sarebbe potuto fondarsi su una sincera ammirazione e affetto. I momenti passati con lui, nel suo negozio, o semplicemente a scambiarsi messaggi e meme, le erano sempre sembrati così autentici… mai si sarebbe aspettata che, di tutte le persone, proprio Sebastian l’avrebbe pugnalata alle spalle, tradito la sua fiducia, procurandole una ferita così profonda e sporca di detriti, tanto da farle dubitare di ogni interazione sociale presente e futura.

«Mi hai rovinata, Sebastian, te ne rendi conto?» sussurrò rivolta alla tomba incastonata nel terreno argilloso. Sapeva che non poteva risponderle, ma la rabbia rimaneva e non aveva altro modo di sfogarla se non dirigerla al diretto colpevole di tale ingiurioso inganno.

Nonostante il male che le aveva procurato, a lei come ad altre persone che si erano fidati di lui da ben più anni, Bloom ebbe il buon cuore di posare una rosa rossa sulla superficie grigia e ruvida, carezzandola con la sua mano—come era solita fare alla schiena di Sebastian quando si lamentava di quanto gli facesse male. Bloom attaccava con il definirlo “troppo vecchio”, nonostante i suoi venticinque anni, e, di rimando, Sebastian si limitava a sorriderle divertito—o almeno, a lei era sembrato divertito—e a scompigliarle i capelli ramati per ripicca. E Bloom poteva solo che ridere in quei momenti, non davvero infastidita dal gesto confidenziale. Dopo ciò che era accaduto, dopo che i veri piani di Sebastian erano venuti allo scoperto, Bloom si era chiesto se le avesse mentito anche in quei frangenti di quotidianità, se quei teneri scambi tra di loro altro non fossero stati parte di un piano per conquistare la sua fiducia e ingannarla a tempo debito. Era sembrato così sicuro che Bloom avrebbe abbandonato le sue amiche, la sua nuova vita, per seguire lui nei suoi piani di vendetta… Certo, Bloom aveva così perso la possibilità di scoprire il resto della sua storia, delle sue vere origini, ma quello che le aveva chiesto si era infine rivelato più irrealizzabile del previsto. E, come se non bastasse, ci aveva rimesso la sua stessa vita.

Il solo pensiero di andare in città e non poter più passare a salutarlo nel suo negozio, di non poter farsi offrire la colazione o il pranzo o la cena o qualsiasi altra cosa Sebastian fosse stato disposto a offrirle, chiudeva lo stomaco di Bloom in una morsa. Il suo cuore sembrava voler uscire dal petto e versare lacrime di sangue sulla tomba solitaria di Sebastian.

Non potendo strapparsi letteralmente il cuore dal petto, delle lacrime decisero di scendere lungo le guance arrossate di Bloom, finendo assorbite dalla porosità del granito.

Rimase seduta nella stessa posizione, accanto a Sebastian, per quelle che parvero intere ore; il tramonto era ormai giunto ed era tempo per lei di rientrare nel perimetro scolastico. Ne combinava già tante giornalmente, non aveva bisogno dell’ennesima ramanzina in merito a non aver rispettato il coprifuoco imposto dalla scuola di Alfa e il suo nuovo preside: un uomo sulla trentina incredibilmente somigliante, per certi versi, a Sebastian, ma probabilmente era solo la sua mente offuscata dal lutto a parlare.

Il loro aspetto fisico era agli opposti: Sebastian aveva occhi e capelli scuri, la pelle di un freddo biancore, era alto e il suo petto ampio era solito occupare il campo visivo di Bloom ogni qualvolta gli si avvicinava. La voce calda e roca aveva sempre avuto il potere di riscaldarla da dentro, cullarla in un abbraccio di conforto. Era un tipo alla mano, simpatico, che sapeva immediatamente metterti a tuo agio. Tuttavia, probabilmente anche quei lati di lui erano stati tutti una farsa atta a farsi considerare innocuo e insospettabile.

Il nuovo preside, al contrario, era un uomo dall’aria austera e il suo modo di vestire, elegante come pochi, si rifletteva effettivamente nella maniera che aveva di trattare gli altri: con sufficienza e sdegno, come se il solo rivolgergli la parola fosse uno spreco del suo tempo. Era inquitante, e persino Bloom non era mai riuscita a rimanere da sola in una stanza con lui. Se doveva parlargli, faceva sì che almeno un’altra delle sue amiche fosse lì accanto a lei. Anche lui era alto, ma i suoi capelli erano di un biondo chiarissimo e i suoi occhi azzurri sembravano penetrarti l’anima e scrutarti nel profondo, fino a trovare il tuo tallone di Achille. Non era né una fata da una strega, ma si diceva che a suo tempo fosse stato un grande Specialista, che avesse addirittura servito la precedente Regina di Solaria. Nessuno sembrava ricordare altro di lui, ma il suo nome e le sue geste erano ingranate nella memoria collettiva.

Bloom preferiva stargli alla larga e cercare, per quanto possibile, di rigare dritto, smetterla di comportarsi da irresponsabile. Sarebbe stato meglio per tutti quanti, prima di tutto per se stessa e il suo autocontrollo. Aveva ancora molto da processare e affrontare, emotivamente parlando.

 

Si alzò dalla tomba e si diresse verso la barriera di Alfea, pronta a esibire il suo incantesimo lasciapassare su carta che le avrebbe permesso di rientrare senza problemi.

Sentì il suono sordo di un qualcosa che si rompe alle sue spalle. Si girò di scatto, immaginando già il peggio: un altro attacco da una nuova e inquitante creatura che avrebbe provato ad ammazzarla. Ma niente, dietro di lei non c’era assolutamente nessuno. Non poteva essere stato il vento, quella giornata era insolitamente quieta, seppur uggiosa. Non sentiva neanche gli scoiattoli scorrazzare in giro tra gli alberi sopra la sua testa.

Provò a tornare indietro su i suoi passi, e quello che videro i suoi occhi ebbe il potere di trasformare le sue ginocchia in gelatina. Il cuore le pompava così forte che lo sentiva arrivare in gola, le orecchie presero a fischiare, captando ora qualsiasi suono intorno a lei, amplificato dallo stato di allerta.

Doveva calmarsi, non significava niente, era solo una coincidenza…

Continuare a ripetersi quel mantra in testa sembrava aver funzionato a calmarla, almeno momentaneamente. Ritornò nei pressi della barriera magica e l’attraverso correndo, frettolosa di tornare dalle sue amiche e confrontarsi con loro su quello che aveva visto. Di sicuro le avrebbero detto che era la sua suscettibilità a starle dando strani pensieri. Sì, era sicuramente ciò che le avrebbero detto e, in fondo, voleva convincersi a tutti i costi che si trattava proprio di quello: suscettibilità. Era ancora troppo presto perché lei riuscisse a supere quello che era accaduto. Il suo mondo, tutte le sicurezze che pensava di aver acquisito, le erano crollate addosso come una montagna, non avrebbe dovuto sorprenderla che, per compensare, aveva cominciato a vedere fantasmi e complotti ovunque.

 

Il fatto che quella crepa, prima non presente, fosse comparsa improvvisamente sulla tomba immacolata di Sebastian, non significava niente.

Non doveva significare niente, assolutamente niente.

 

I tempi di terrore di Sebastian erano finiti. Dovevano esserlo, giusto?

 

 

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