Frammenti di ottobre

di Placebogirl_Black Stones
(/viewuser.php?uid=103309)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Occhi ***
Capitolo 2: *** 2. Montagna ***
Capitolo 3: *** 3. Vecchio ***
Capitolo 4: *** 4. Puntuale ***
Capitolo 5: *** 5. Bianco ***
Capitolo 6: *** 6. Corsa ***
Capitolo 7: *** 7. Vergogna ***
Capitolo 8: *** 8. Medaglia ***
Capitolo 9: *** 9. Caccia ***
Capitolo 10: *** 10. Libreria ***
Capitolo 11: *** 11. Secondo ***
Capitolo 12: *** 12. Clown ***
Capitolo 13: *** 13. Quadro ***
Capitolo 14: *** 14. Grembiule ***
Capitolo 15: *** 15. Lento ***
Capitolo 16: *** 16. Vetro ***
Capitolo 17: *** 17. Tradimento ***
Capitolo 18: *** 18. Grappolo ***
Capitolo 19: *** 19. Incontro ***
Capitolo 20: *** 20. Sigaretta ***
Capitolo 21: *** 21. Pettegolezzo ***
Capitolo 22: *** 22. Antidoto ***
Capitolo 23: *** 23. Sabbia ***
Capitolo 24: *** 24. Tremore ***
Capitolo 25: *** 25. Manette ***
Capitolo 26: *** 26. Mandorla ***
Capitolo 27: *** 27. Compleanno ***
Capitolo 28: *** 28. Nascondere ***
Capitolo 29: *** 29. Argilla ***
Capitolo 30: *** 30. Domino ***
Capitolo 31: *** 31. Tomba ***



Capitolo 1
*** 1. Occhi ***


OCCHI
 
 
Mai avrebbero pensato, nemmeno nella loro più remota immaginazione, di ritrovarsi diciassette anni dopo nella stessa occasione in cui si erano conosciuti: un torneo di scacchi. Quella volta si erano scambiati un’occhiata fugace, sospettosi l’uno dell’altra, mentre camminavano in direzioni opposte del corridoio.
All’epoca era solo lei ad avere un occhio fuori uso, mentre stavolta entrambi riuscivano a vedersi da un occhio solo, sufficiente però a riconoscersi a vicenda.
L’antica diffidenza che si era assopita sotto la cenere riprese ad ardere come fuoco vivo.
Lui per lei rappresentava l’uomo che aveva potenzialmente ucciso Amanda, la donna che le aveva fatto da madre e Haneda, l’unico uomo per cui avesse mai provato dei sentimenti.
Lei per lui rappresentava la donna che aveva cercato di proteggere, l’unica che potesse avere informazioni su come erano andate davvero le cose, ma che alla fine gli era sfuggita facendo perdere le sue tracce.
 
- Ci siamo già incontrati tempo fa- disse lui, cercando conferma al suo sospetto.
- Ha ragione, quella volta al campeggio- rispose lei, cercando di depistarlo.
- Ad essere onesto mi sembra di averla già incontrata da qualche altra parte, prima del campeggio. Se non sbaglio anche quella volta era in occasione di un torneo di scacchi-
- Forse si confonde con qualcuno che mi somigliava- mentì, con un sorriso forzato stampato sul volto.
 
Si guardarono nei rispettivi occhi sani ancora una volta, intensamente. Magari un giorno avrebbero finalmente avuto quel faccia a faccia che non avevano mai avuto occasione di avere, ma quel giorno non era ancora arrivato.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Montagna ***


MONTAGNA
 
Si guardò ancora una volta allo specchio, cercando di capire se quello che vedeva le piacesse o meno. Non portava mai i capelli sciolti, era abituata a vedersi sempre con il suo fedele chignon, pertanto non sapeva definire come si sentisse. Era bella? Le stavano bene quei lunghi capelli neri che le scendevano sulle spalle fin giù lungo la schiena? Avrebbe tanto voluto ricevere il parere dell’uomo che da sempre abitava il suo cuore, ma sapeva che non era possibile. Lo aveva dimostrato persino poche ore prima, quando la figlia del Detective Mori le aveva detto che la luce della ring light la faceva sembrare ancora più bella; in tutta risposta lui aveva saputo dire soltanto “Ah, davvero?”.
Sospirò, raccogliendosi i capelli corvini e riportandoli alla consueta acconciatura che la contraddistingueva. Cosa si aspettava? Kansuke era sempre stato così, freddo e quasi distaccato, incapace di mostrare apertamente emozioni che non fossero rabbia o disprezzo. Non per niente portava lo stesso nome del brillante samurai stratega al servizio del daimyo Takeda Shingen.
Le tornò in mente proprio uno dei versi del Fūrinkazan: sii inamovibile come la montagna. Una descrizione perfetta della personalità di Kansuke.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. Vecchio ***


VECCHIO
 
Avvolto nel silenzio della stanza, bevve l’ultimo sorso di whiskey rimasto nel bicchiere e fece per alzarsi dal divano: un dolore acuto alla schiena lo costrinse a rimettersi seduto. Con la mano si massaggiò per un po’ la parte indolenzita, fino a quando non fu in grado di alzarsi nuovamente. Aveva decisamente bisogno di stendersi e riposare.
Camminò lentamente verso la camera da letto, quando il suo sguardo si posò su una vecchia foto dai colori sbaditi che lo ritraeva vent’anni prima in compagnia di alcuni colleghi, tutti sorridenti. I suoi capelli e i suoi baffi erano ancora del loro colore originale, un castano chiaro molto lontano dall’attuale candore. La prese fra le mani mentre un velo di malinconia gli annebbiava la mente, che ora stava viaggiando in ricordi lontani. Anche lui era diventato come quella foto: vecchio, consumato dal tempo, destinato a degradarsi sempre di più. Il dolore alla schiena era solo un avvertimento di ciò che sarebbe venuto dopo. Ormai non poteva più negarlo: non avrebbe potuto continuare a fare l’agente dell’FBI ancora per molto. Era una vita dura e servivano vigore ed energia per affrontarla, entrambe cose che a lui mancavano sempre di più. Tuttavia non aveva rimpianti: era giusto che fossero i giovani a continuare ciò che lui aveva iniziato anni prima. Presto Akai e Jodie avrebbero preso il suo posto e lui si sarebbe goduto la meritata pensione.
Ripose la foto sul mobile di legno e sorrise fra sé e sé.
Sei diventato proprio vecchio, caro James”.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Puntuale ***


PUNTUALE
 
Controllò nuovamente l’orologio che indossava al polso, spazientita: le quattro e mezza. Shinichi era in ritardo di mezz’ora rispetto all’orario che avevano fissato per l’appuntamento. Non era mai stato un tipo puntuale, ma il fatto che non l’avesse avvertita nemmeno con un messaggio stava iniziando a preoccuparla.
Un quarto d’ora prima gli aveva scritto un messaggio, un semplice “Dove sei? È successo qualcosa?”, ma non aveva ricevuto nessuna risposta. Provò a chiamarlo, ma la chiamata si interrompeva quasi subito.
Era sempre così con lui, c’era sempre qualcosa che non andava o qualcosa che veniva prima di lei.
Attese ancora qualche minuto e poi ricontrollò l’orologio: le cinque meno un quarto. Strinse forte il cellulare fra le mani, arrabbiata e delusa. Come se i suoi sentimenti avessero in qualche modo attraversato il telefono, lo sentì vibrare e squillare per una manciata di secondi: era finalmente arrivato un messaggio.
Lo visualizzò: era una risposta da Shinichi.
Scusami, non posso venire all’appuntamento, c’è stato un omicidio e devo trattenermi qui. Mi dispiace, andremo al cinema la prossima volta.
Abbassò lo sguardo e una lacrima le rigò la guancia.
Shinichi non era mai stato un tipo puntuale, tranne che in una sola occasione: quella in cui le dava buca per indagare su qualche caso.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. Bianco ***


BIANCO
 
I tiepidi raggi del sole al tramonto che filtravano dalla finestra di quel capanno accarezzavano il suo corpo ormai in fin di vita, riscaldandolo dalla gelida morte che stava venendo a prenderla. E dunque è così che avrebbe esalato il suo ultimo respiro, sola e immersa nel suo stesso sangue.
La voce di quel ragazzino giunse alle sue orecchie.
No, forse non sarebbe morta sola.
 
- Apra gli occhi, la prego!- gridava, nel tentativo di tenerla aggrappata ancora per un po’ al mondo dei vivi.
 
Con l’ultimo rimasuglio di fiato che le restava nei polmoni, riuscì ad avere una conversazione con lui, che le rivelò persino la sua vera identità. Visto che era stato così onesto, anche lei doveva esserlo. Doveva dire tutta la verità prima di morire.
Gli raccontò tutto ciò che sapeva su quella maledetta organizzazione, inclusa la loro predilezione per il colore nero.
Nero, il colore dell’oscurità che inghiotte tutto.
Nero, il colore che le aveva portato via la sua famiglia.
Nero, il colore che presto avrebbe visto per sempre.
Dopo aver consegnato le chiavi e le sue ultime parole a quel ragazzino, sentì gli occhi farsi sempre più pesanti, mentre la vita lasciava il suo corpo per l’eternità.
Si dice che una volta chiusi gli occhi vediamo solo il nero, ma quello che lei vide fu un altro colore, la sua esatta nemesi: bianco.
Una candida luce, quasi accecante ma al tempo stesso accogliente, come un lungo tunnel luminoso che doveva percorrere per arrivare in quello che forse era il paradiso.
Non sapeva se esistesse davvero un posto così, ma ovunque stesse andando sentiva di trovarsi in pace. Era felice di non trovarsi più in mezzo a tutto quel nero.
Il bianco le dava gioia.
Bianco, il colore della luce che rischiara le tenebre.
Bianco, il colore della purezza.
Bianco, il colore della fine.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Corsa ***


CORSA
 
Ancora una volta arrivò fino in cima alla lunga scalinata e si fermò con le ginocchia leggermente flesse e le mani posate su di esse per riprendere fiato. Era già la quinta corsa che faceva su e giù, la sua tuta era ormai madida di sudore, così come l’asciugamano che portava intorno al collo.
Nel poco tempo libero che la sua professione gli concedeva amava fare esercizio fisico per tenersi in forma e quella scalinata che aveva scoperto mesi fa per puro caso era diventato il suo luogo di allenamento prediletto, più che altro perché in cima ad essa vi era un piccolo chioschetto che faceva dei frullati di frutta spettacolari.
Una volta che il respiro si fu regolarizzato, decise di scendere e risalire i gradini un’ultima volta, prima di concedersi il meritato e succoso premio.
Scese abbastanza velocemente, alla fine quello che chiedeva uno sforzo maggiore era la salita. Si preparò a compiere quell’ultimo sforzo, quando una voce alle sue spalle lo costrinse a voltarsi.
 
- E tu che ci fai qui?-
 
Il tono era brusco, quasi infastidito. Non faticò a riconoscere a chi appartenesse: Bourbon. Che seccatura, persino nei suoi momenti di relax se lo doveva trovare fra i piedi!
 
- Mi sto allenando, non lo vedi?- gli rispose in modo altrettanto burbero.
- Certo che ne avete del tempo da perdere voi cani dell’FBI-
 
Strinse i pugni, reprimendo il desiderio di fargliene assaggiare uno in pieno volto. Quando si fu calmato, decise di lasciar perdere le provocazioni del biondo: forse, se lo avesse ignorato avrebbe smesso.
Gli diede nuovamente le spalle e cominciò a salire le scale correndo. Tuttavia, pochi secondi dopo si ritrovò il nemico proprio di fianco, con un sorriso di sfida stampato sulla faccia.
Voleva davvero fare una gara di corsa con lui? Bene, gli avrebbe dato ciò che si meritava. Aumentò la velocità, certo che i suoi costanti allenamenti avrebbero giocato a suo favore nel seminarlo, ma con sua grande sorpresa Bourbon riusciva a tenergli testa perfettamente e si compiaceva di ciò. Continuarono così, come due ragazzini in competizione, fino a quando non raggiunsero la cima senza nemmeno accorgersene. Ansimavano, guardandosi negli occhi come se la sfida non fosse ancora finita.
 
- Dobbiamo reidratarci- gli disse infine il biondo.
- Laggiù vendono degli ottimi frullati- gli rispose.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Vergogna ***


VERGOGNA
 
- Ehm…scusate…se fosse un gioco coi dadi?- suggerì, con un filo di voce.
 
Temeva di aver detto una cosa sciocca, forse adesso i suoi compagni di classe pensavano che fosse stupida. Era difficile farsi degli amici con un carattere come il suo, dove anche solo dire “ciao” le costava uno sforzo enorme. Si vergognava terribilmente di questo suo carattere, si vergognava di tutto.
I compagni la fissarono per qualche istante, poi avvenne ciò che non avrebbe mai creduto potesse accadere.
 
- Sì, potrebbe!- esclamò improvvisamente Ayumi, la bambina a cui poco prima avrebbe tanto voluto prestare la gomma da cancellare.
- Ma certo, un gioco coi dadi!- ripeté entusiasta Mitsuhiko.
- Bravissima Maria, sei stata grande a capirlo!-
 
Si sentiva al settimo cielo, avrebbe voluto esprimere tutta la sua gioia come avevano fatto gli altri, ma purtroppo si vergognava a fare anche quello. La sua timidezza andava oltre la soglia immaginabile.
 
- Avrei…pensato…al gioco dell’oca, è uno dei…- si interruppe.
 
No, che disdetta! Stava andando così bene! Voleva far sapere a tutti quanto le piacessero i giochi coi dadi, magari qualcun altro le avrebbe detto “anche a me piacciono” e avrebbero potuto giocarci insieme un giorno…ma poi la timidezza aveva preso di nuovo il sopravvento, facendola vergognare di aver detto una cosa così sciocca.
 
- Quella bambina è timida- osservò Mitsuhiko.
- Le manca quasi il fiato- notò Genta.
- Non devi vergognarti se sei timida- intervenne Ai, che sembrava molto più matura di tutti loro nonostante fossero coetanei - Maria, inserirsi in una classe nuova non conoscendo nessuno è molto difficile, ma con il tempo diventerai una nostra amica. Potrai raccontarci tante cose di te e dei tuoi genitori e vedrai che alla fine la timidezza passerà-
 
Sorrise, finalmente sollevata da quel peso: la vergogna stava iniziando a lasciare spazio a nuove prospettive.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. Medaglia ***


MEDAGLIA
 
Rigirò quell’oggetto dorato e lucente fra le sue piccole manine, sorridendo felice: quel giorno era arrivata prima nella gara di disegno che la maestra Kobayashi aveva organizzato. Il tema era rappresentare la felicità e lei aveva scelto di disegnare i Detective Boys al completo, mentre festeggiavano la risoluzione di qualche caso.
 
- Che invidia, anche io volevo la medaglia!- piagnucolò Genta.
- Allora non dovevi disegnare di nuovo delle anguille fritte!- lo rimproverò Ai.
- Che cosa ci posso fare se mangiarle mi rende felice?-
- Ma insomma Genta, smettila di lamentarti e congratulati con Ayumi, è stata bravissima- intervenne Mitsuhiko.
- Già è vero, ha fatto proprio un bel lavoro- annuì Conan, mentre riguardava con attenzione il disegno.
- Grazie a tutti ragazzi!- sorrise lei, al settimo cielo - Senza di voi non avrei mai vinto, è merito dei Detective Boys se potrò regalare la medaglia alla mia mamma! -
- Vuoi davvero regalarla?- chiese Genta.
- Certo- annuì - In fondo quello che conta per me è la nostra amicizia. È la cosa più bella del mondo e vale molto di più di questa medaglia!-

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Caccia ***


CACCIA
 
- Come immaginavo…In questo periodo la corrente della Baia di Tokyo scorre in direzione dell’isola Umizaru. È capitato altre volte che dei corpi annegati venissero trasportati dalla corrente fino all’isola. C’è un’imbarcazione già pronta che vi aspetta, sbarcate sull’isola e date la caccia a quel membro dell’FBI-
 
Queste erano state le ultime parole di Rum che aveva udito tramite la ricetrasmittente che portava all’orecchio. Lo aveva sempre odiato, così come odiava quasi tutto l’intero genere umano, ma sapeva di non potersi sottrarre agli ordini del braccio destro del Boss.
Salì insieme a tutti gli altri su quella bianca imbarcazione che contrastava con i loro indumenti neri, facendoli sembrare corvi minacciosi che si muovevano in branco per attaccare la preda. E in fondo era proprio questo ciò che erano.
Appena sbarcati, come un infallibile segugio si mise a fiutare l’aria e osservò ogni centimetro quadrato intorno a lui alla ricerca di indizi del passaggio di quel cane dell’FBI. Non ci volle molto per trovare ciò che stava cercando: orme fresche sulla sabbia. Ghignò compiaciuto e scavò con una mano nella sabbia, certo che avrebbe trovato altro. Non si smentì, estraendo una pietra ancora calda che probabilmente quel tizio aveva usato per accendere un falò.
La caccia era appena cominciata, ma lui era già in netto vantaggio sul suo avversario. Come il perfido cacciatore quale era estrasse la pistola, pronto a sparare alla sua preda non appena se la fosse trovata davanti. Nella celebre favola il cacciatore uccideva il lupo cattivo per salvare Cappuccetto Rosso e la nonna, ma lui a quelle sciocchezze non aveva mai creduto. Preferiva pensare che il cacciatore provasse più soddisfazione nell’uccidere Cappuccetto Rosso piuttosto che il lupo.
 
 
NOTE
La battuta di Rum è presa dal file 1064 ed è stata tradotta dal DCFS

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. Libreria ***


LIBRERIA
 
L’odore della carta misto a quello della polvere gli solleticò le narici, senza però infastidirlo. Amava quell’odore che accomunava tutte le più grandi opere scolpite nella sua mente e nel suo cuore: Uno studio in rosso, Il segno dei quattro, Il mastino dei Baskerville e tutti gli altri romanzi che vedevano protagonista il suo adorato Sherlock Holmes. Ci era cresciuto in quella gigantesca libreria a cui suo padre aveva dedicato un’intera stanza della loro lussuosa villa, nascondendosi sotto il tavolo a divorare storie su storie di grandi detective, sognando un giorno di poterli eguagliare.
Prese un tomo dallo scaffale e ne lesse il titolo: Le memorie di Sherlock Holmes. In quella raccolta di racconti era presente anche quello dove Holmes perdeva la vita, non prima di aver trascinato con sé il perfido Professor Moriarty giù dalle cascate di Reichenbach. Gli tornò alla mente il passo di Raiha e il piano che aveva ideato insieme ad Akai per inscenare la morte di quest’ultimo. Gli venne da sorridere: alla fine ci era riuscito davvero a diventare come Holmes.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. Secondo ***


SECONDO
 
Si portò le mani sulla testa e strinse i pugni afferrando ciocche di capelli fra le dita. Maledisse il fato avverso, gli imprevisti e anche se stesso: per l’ennesima volta il suo piano di confessarsi a Kazuha era miseramente fallito. Sceglieva la location perfetta, pianificava il momento perfetto, il discorso perfetto e alla fine un caso di omicidio (puntuale come la morte) provvedeva a rovinare tutto.
Inoltre, come se non bastasse, non aveva nemmeno la soddisfazione di essere lui a trovare per primo la soluzione del caso, perché quell’impiccione di Kudo gli stava sempre in mezzo ai piedi. Lui si era dichiarato mesi prima alla figlia di Mori, aveva risolto molti casi arrivando per primo alla deduzione, mentre lui…lui era sempre il secondo, in tutto. Per quanto si sforzasse sembrava essere destinato a restare sempre un passo indietro rispetto all’amico/nemico, l’eterna lotta fra il Detective dell’Est e il Detective dell’Ovest.
Dannato Kudo!

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 12. Clown ***


CLOWN
 
Non sapeva spiegarsi il perché, ma da sempre aveva paura dei clown. Non erano tanto il nasone rosso o le scarpe grandi, oppure l’eccessivo trucco in faccia…era piuttosto l’aura che emanavano a farlo rabbrividire. Lo inquietava come sorridevano ma senza essere davvero felici, piuttosto sforzandosi di mostrare un’allegria che in realtà non faceva parte di loro. Gli ricordavano un po’ quelle persone che ti salutano sorridendo ma in realtà dentro di te stanno pensando “muori”. Ecco, per lui i clown corrispondevano a pazzi con istinti omicidi che si nascondevano dietro a risate finte. Forse aveva visto troppi film.
Quel giorno Sato aveva insistito per andare al circo, a lei piacevano i circensi e gli spettacoli con gli animali.
E le piacevano i clown.
La guardò mentre batteva le mani all’ennesima battuta stupida che quel ricciolone dal naso rosso a patata aveva appena fatto, mentre dava forma a non si capiva che cosa con un palloncino. Cosa ci trovasse di divertente per lui era un vero mistero. Avrebbe volentieri abbandonato la struttura, lasciando il pagliaccio lì da solo insieme alla sua pazzia, ma non voleva confessare a Sato una cosa tanto stupida. Di certo lo avrebbe preso in giro per l’eternità.
 
- Non ti piace?- lo colse alla sprovvista lei.
- Eh?-
- Sei distratto e non ridi…forse il circo non ti piace?-
- No no, non è questo! È che…- si fermò, timoroso di dire la verità.
- Che cosa?-
 
Sospirò, rassegnandosi al fatto che davanti a quella donna non riusciva proprio a mentire.
 
- Ho paura dei clown- ammise infine.
- Sul serio?- si stupì lei - Perché?-
- Non lo so, mi fanno paura e basta. Invece che istigarmi alle risate, mi danno un senso di inquietudine- spiegò.
 
Sato si prese qualche secondo per riflette su quelle parole, non lo giudicò e non rise di lui. Era già qualcosa.
 
È normale - rispose - In fondo i clown sono tristi-
- Tristi?-
- Si dice che una volta levato il trucco i clown non siano altro che persone infelici. Indossano una maschera e dei sorrisi per nascondere il loro reale stato d’animo. Più che paura, direi che fanno pena-
 
Si sorprese di non aver mai visto le cose da quella prospettiva, il lato della medaglia che non aveva mai avuto il coraggio di girare. Alla fine dello spettacolo i clown non erano altro che persone come lui, come tanti, con la differenza che avevano messo da parte la loro tristezza per cinque minuti, allo scopo di regalare un po’ di felicità a qualcun altro.
Ringraziò in silenzio la sua compagna per avergli aperto gli occhi: da quel giorno avrebbe avuto meno paura dei pagliacci. 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 13. Quadro ***


QUADRO
 
Lucidò per bene le sue scarpe bianche, che presto avrebbe indossato ancora una volta insieme al resto della sua “divisa”: quella notte il Giappone avrebbe visto ancora una volta Kaito Kid in azione. Non aveva esitato per un solo secondo quando aveva scoperto che il suo nemico storico, il ricco Suzuki, aveva appena acquistato per trecento milioni di dollari un famoso quadro realizzato dal pittore olandese Vincent van Gogh. Si pensava che quell’opera, intitolata “Natura morta: Vaso con cinque girasoli”, fosse andata distrutta nel 1945 a seguito dei bombardamenti aerei, fino a quando pochi giorni prima non era stata messa in vendita ad un’asta serale di Manhattan, dove avevano preso parte ricchi provenienti da tutto il mondo. Ovviamente il vecchio Suzuki non aveva badato a spese pur di aggiudicarselo e ora voleva addirittura raccogliere tutti e sette i dipinti a tema girasoli (attualmente sparsi per il mondo) per esporli ad una mostra in cui era stato installato un perfetto sistema di sicurezza. Peccato però che nessun sistema poteva dirsi sicuro e impenetrabile di fronte a Kaito Kid.
Inspirò profondamente e per un attimo gli parve di sentire per davvero il profumo dei girasoli nell’aria.

- Sto venendo a prendervi, fiorellini- ghignò.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 14. Grembiule ***


GREMBIULE
 
Mentre l’alba aveva ormai rischiarato una Tokyo ancora in parte dormiente, lui si trovava già al Poirot pronto a cominciare una nuova giornata. Sapeva bene che quello non era il suo lavoro e che non avrebbe continuato a farlo in eterno, ma doveva ammettere che stava iniziando a piacergli.
Indossò il suo solito grembiule allacciandolo dietro la schiena e iniziò a preparare tutti gli ingredienti che servivano per realizzare il suoi ormai famosissimi e apprezzatissimi sandwich al prosciutto: insalata fresca, prosciutto cotto e la salsa fatta con miso e maionese. Mentre divideva le foglie di insalata per renderle più piccole, mise le fette di pane nella pentola a vapore per renderle più soffici: in fondo poteva dirsi proprio quello il segreto che rendeva i suoi sandwiches così speciali rispetto agli altri. Una volta pronte vi spalmò sopra la salsa, vi adagiò il prosciutto e l’insalata e infine tagliò le fette quadrate in quattro triangoli uguali.
Restò ad osservare il suo operato, ma per la prima volta non riuscì a sentirsi soddisfatto. Era da un po’ che gli balenava in testa l’idea di ideare dei nuovi sandwiches, magari anche più buoni di quelli. Ogni tanto era giusto cambiare.
Provò a pensare a quali altri ingredienti poteva mischiare insieme per dare vita alla sua nuova creazione: la prima cosa che gli venne in mente fu la salsa al pomodoro. La cercò nella dispensa del Poirot e una volta trovato il vasetto fece per aprirlo, ma il coperchio faticava a girare per via del sottovuoto. Applicò maggiore pressione mentre girava, esercitando più forza, fino a quando il coperchio non si girò troppo velocemente e uno schizzo di salsa gli cadde sul grembiule pulito.
Una macchia rossa all’altezza del cuore…proprio come quella che aveva visto sul corpo di Hiro.
L’immagine del cadavere dell’amico riuscì fuori dal cassetto della memoria dentro il quale l’aveva chiusa, togliendogli qualsiasi briciolo di vitalità con cui aveva iniziato la giornata.
Riavvitò il coperchio del vasetto e lo ripose nuovamente nella dispensa, poi si procurò un canovaccio e cercò di togliere la macchia dal grembiule, ma l’alone rosso rimase.
Quella non era proprio la giornata giusta per sperimentare cose nuove.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15. Lento ***


LENTO
 
Nascosta nella penombra di quel luogo, attendeva di ricevere ordini da Gin sul da farsi. Quella sorta di magazzino abbandonato era avvolto nel silenzio, poteva sentire persino il suo stesso respiro.
D’un tratto la sua attenzione fu catturata da una ragnatela i cui fili brillavano ai raggi di luna che filtravano dalle finestre. Una mosca vi era appena rimasta intrappolata e dall’angolo in alto a sinistra iniziò a scendere il creatore di quella tela. Era un ragno piuttosto grosso e si muoveva lentamente, quasi impercettibilmente, per avvicinarsi alla sua preda. Avanzava lento, per non far vibrare i fili e liberare così quella che sarebbe diventata la sua cena. C’era un qualcosa di ipnotico in quella lentezza, come se il tempo scorresse ma senza accorgersene e all’improvviso ci si ritrovasse vecchi. Era una sensazione che non poteva conoscere, perché lei vecchia non lo sarebbe mai diventata.
Per lei il tempo si era fermato.
Quando fu sufficientemente vicino, il ragno face un balzo sulla mosca e la uccise iniettandole il suo veleno nel corpo, per poi iniziare ad avvolgerla nella tela con movimenti altrettanto lenti e pazienti. Un lavoro meticoloso il suo, una fine triste quella della mosca.
Le venne da chiedersi se lei, che poteva paragonarsi al ragno killer, non fosse in realtà una mosca che un bel giorno sarebbe stata uccisa.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 16. Vetro ***


VETRO
 
Scostò le tende e osservò in direzione della casa del Professor Agasa: sembrava tutto tranquillo. Ormai quello era diventato il modo in cui trascorreva le sue giornate: osservando il mondo da dietro i grandi vetri di quella lussuosa villa e controllando che alla ragazzina dai capelli ramati non succedesse nulla di male. Per qualcuno quello avrebbe potuto sembrare il paradiso, non far nulla tutto il giorno e disporre di un’intera villa per fare qualunque cosa volesse, ma ai suoi occhi tutto ciò equivaleva a una prigione. Il mondo non è fatto per essere guardato da dietro una finestra.
Posò una mano sul vetro, nel tentativo di toccare quello che stava al di fuori. Quando la scostò rimase l’impronta della sua mano, come un alone evanescente che pian piano si ritirò fino a scomparire, quasi fosse un fantasma. In fondo era proprio questo ciò che era diventato: un fantasma. Il mondo lo credeva morto mentre lui si nascondeva in quella grande casa con un nuovo volto.
Un fantasma in prigione.
Si ricordò di una frase dello scrittore Tennessee Williams: “Viviamo tutti in una casa che brucia. Nessun vigile del fuoco da chiamare, nessuna via d’uscita. Solo la finestra del piano di sopra da cui guardare fuori mentre il fuoco divora la casa con noi intrappolati, chiusi dentro”.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 17. Tradimento ***


TRADIMENTO
 
Legata al muro da un paio di manette che le impedivano la fuga, chiusa in una stanzetta umida e oscura, attendeva di pagare per le sue colpe come un condannato a morte. Eppure, lei di colpe non ne aveva, se non quella di aver lavorato ad un farmaco che si era rivelato un veleno letale. Anni di studi per una pillola capace di uccidere senza lasciare tracce. Quel bastardo di Gin, invece, le tracce le aveva lasciate eccome. Gli aveva portato via l’unico membro della sua famiglia che le restava e ora pretendeva che continuasse a servire l’Organizzazione come se nulla fosse. Non avrebbe mosso un dito per quegli esseri spregevoli.
Consapevole del destino che l’attendeva, preferiva essere lei stessa a porre fine alla sua vita, per togliere a loro la soddisfazione di farlo. Non gli avrebbe permesso di fare a lei ciò che avevano fatto ad Akemi. Se doveva essere una traditrice allora meglio esserlo fino in fondo.
Con la mano che le avevano lasciata libera frugò nella tasca del camice ed estrasse una pillola bianca e rossa. Quale modo migliore di morire se non attraverso il farmaco che lei stessa aveva ideato?
Si portò la pillola alla bocca e la schiacciò con i molari. Un sapore intenso e amaro le avvolse la bocca.
Se il tradimento avesse avuto un sapore, probabilmente sarebbe stato molto simile a quello.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 18. Grappolo ***


GRAPPOLO
 
Bevve tutto d’un fiato quel bicchiere di vino che stringeva in mano, svuotandolo fino all’ultima goccia. Si leccò le labbra e ghignò compiaciuta: aveva un sapore favoloso. Non per niente era il vino di cui portava il nome, un Chianti color rubino intenso. Era ironico e al tempo stesso eccitante come quel colore fosse lo stesso del sangue. Il Chianti, come tutti i vini, nasceva dagli acini dei grappoli d’uva che venivano schiacciati l’uno con l’altro fino a trasformarsi in una polpa succosa. Anche il sangue nasceva dai corpi crivellati dai proiettili del suo fucile…vedere i cervelli saltare e diventare poltiglia…ah, nulla la eccitava di più! “Il vino è il sangue”, aveva detto qualcuno.
 
- Un morto per ogni grappolo- aggiunse lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 19. Incontro ***


INCONTRO
 
Il cielo tinto di arancione dalla luce del sole al tramonto che si rifletteva sull’asfalto e sulle rocce avrebbe reso l’atmosfera davvero suggestiva, persino romantica, se il motivo per cui si trovasse lì non fosse stato uccidere un uomo. Si era appena infiltrata nuovamente nell’Organizzazione dopo essere uscita dall’Ospedale dove l’FBI l’aveva portata e tenuta sotto stretta osservazione a seguito del suo incidente, ma Gin sembrava aver perso fiducia in lei e per testare la sua lealtà le aveva chiesto di eliminare Shuichi Akai. Sapeva che far parte di una banda di criminali comportava anche azioni spregevoli come quella, che andavano contro i suoi principi e il suo reale lavoro, ma era stata costretta ad accettare quell’incarico per salvarsi la pelle. Così aveva telefonato di nascosto ad Akai e gli aveva raccontato tutto, tenendo fede all’accordo di collaborare con l’FBI passando loro informazioni dall’interno. Gli aveva fornito anche l’orario e il luogo dell’incontro: il passo di Raiha.
Mentre attendeva in macchina l’arrivo della sua vittima, si chiese come avesse fatto quel ragazzino a prevedere nei dettagli tutto ciò che sarebbe accaduto. Le faceva quasi più paura di Gin.
Sentì il rumore di un altro veicolo avvicinarsi e dallo specchietto retrovisore vide la Chevrolet nera di Akai avvicinarsi. Il momento era arrivato.
Estrasse la pistola caricata a salve ed uscì dall’auto.
Il primo atto della commedia stava per iniziare.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 20. Sigaretta ***


SIGARETTA
 
Dopo aver fatto un lungo tiro espirò lentamente il fumo dalla bocca, che si dissolse nell’aria della sera. Aveva appena appreso la notizia della morte di Akemi e quella era la nona sigaretta che fumava nel giro di poche ore. Sperava che quel brutto vizio lo avrebbe aiutato a calmarsi, ma la nicotina non poteva cancellare il dolore e i sensi di colpa.
Lei non c’era più e la colpa era in parte sua. L’aveva usata per raggiungere il suo scopo e ora ne stava pagando il prezzo.
Fece un altro tiro e poi spense con un gesto nervoso la sigaretta nel posacenere, ormai pieno dei precedenti mozziconi.
Cenere…quello che sarebbe diventata Akemi fra poco.
Il vortice dei suoi pensieri che lo stava divorando vivo fu arrestato per un secondo dal telefono che suonava: aveva appena ricevuto un messaggio. Pensando che si trattasse di lavoro, prese il cellulare e lo lesse.

“So che in questo momento è una domanda stupida, ma volevo sapere come stavi. Sicuramente preferirai startene da solo, ma se dovessi aver bisogno di qualcuno con cui parlare chiamami quando vuoi.
Jodie”

Eccola, l’altra donna, quella che aveva piantato in asso senza troppi giri di parole. Avrebbe dovuto odiarlo, invece si stava preoccupando per lui e gli stava offrendo una spalla su cui piangere la morte della donna per cui l’aveva lasciata. Si sentì ancora più sporco di quanto non si sentisse prima, non meritava l’affetto di Jodie.
Le aveva detto di non poter amare due donne contemporaneamente, ma alla fine era esattamente ciò che aveva fatto e che tutt’ora stava facendo. Le amava entrambe, ma una non c’era più e dall’altra non aveva la faccia tosta di tornare dopo ciò che aveva fatto.
Lasciò quel messaggio senza una risposta e si accese la decima sigaretta.

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 21. Pettegolezzo ***


PETTEGOLEZZO
 
Notiziari alla TV, siti internet di gossip, riviste per ragazze: in qualunque luogo sembrava non si parlasse altro che della loro presunta love story. Erano stati paparazzati davanti a una gioielleria e subito i giornalisti avevano colto la palla al balzo per inventarsi di sana pianta una relazione che di fatto non era mai esistita. Purtroppo per quelli come loro, le cui vite erano costantemente esposte alla luce dei riflettori, pettegolezzi come quello erano all’ordine del giorno. Tuttavia, era sempre uno shock quando arrivavano alle loro orecchie ed era un fastidio poi dover rispondere a mille domande e riportare l’attenzione su quello che era il loro lavoro piuttosto che sulle loro questioni personali.
Quando quel poliziotto aveva chiesto loro senza troppi di giri di parole se si stessero frequentando erano rimasti a bocca aperta. Avevano cercato di spiegare come stessero realmente le cose, ma venivano sempre interrotti.
Alla fine, per fortuna, erano riusciti a giustificare il loro “appuntamento”: un vecchio professore del liceo che entrambi avevano frequentato stava per andare in pensione e gli avevano preso come regalo un orologio (motivo per cui si trovavano alla gioielleria).
- Quindi non state insieme?- aveva chiesto nuovamente conferma il giovane agente di polizia.
- No, credo che resterò sposato con il calcio ancora per un po’- aveva replicato lui.
- E io alla mia carriera di cantante e attrice- aveva risposto lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 22. Antidoto ***


ANTIDOTO
 
Tentativo numero 107: fallito.
Accartocciò il foglio sul quale aveva preso appunti fino a quel momento e lo gettò nel cestino. Aveva di nuovo sbagliato qualcosa nel riprodurre la formula per l’antidoto decisivo all’APTX, quello che avrebbe fatto tornare lei e Conan alle loro reali sembianze una volta per tutte. Provava e riprovava, ma le riusciva solo di continuare a dare vita a delle pillole il cui effetto durava solo per qualche ora. Se solo avesse potuto mettere mano ai vecchi appunti del laboratorio in cui lavorava quando faceva ancora parte dell’Organizzazione…ma quegli appunti ormai non esistevano più, erano diventati cenere insieme a tutto il resto quando Gin aveva bruciato tutto. L’unica cosa su cui poteva fare affidamento adesso era la sua memoria.
Si chiese se per caso non fosse proprio quella ad ostacolarla anziché esserle d’aiuto: forse, nel profondo, lei non voleva trovarla quella formula, perché farlo avrebbe significato abbandonare la vita che stava vivendo. Non era mai stata davvero una semplice bambina, non era mai andata in una scuola normale, non aveva mai avuto degli amici veri. Ritornare ad essere Shiho significava riappropriarsi di una vita e di una identità che per diciotto anni non le avevano portato altro che dolore. Però…però non c’erano solo lei e i suoi desideri. C’era anche Shinichi, che di certo non voleva restare per sempre nei panni di Conan. Era per lui che doveva trovare l’antidoto.
Sospirò, prese un nuovo foglio per gli appunti e ricominciò da capo.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 23. Sabbia ***


SABBIA
 
C’erano davvero una miriade di oggetti carini in quel negozio, da portapenne a forma di coniglietto ad orologi a muro dallo stile etnico, passando per piccoli mappamondi da scrivania e cuscini colorati. Avevano aperto da poco e vendevano accessori per la casa di vario genere e stile, per tutti i gusti.
In quel pomeriggio di ottobre dal sapore quasi estivo, insieme a Ran e Sonoko avevano deciso di farci un salto per pura curiosità. Mentre le sue amiche erano rapite da oggetti rosa, carini e tipicamente femminili, lei si concentrava sulle cose più insolite e strane, che una ragazza della sua età probabilmente non avrebbe guardato. La clessidra che fissava da un minuto ne era l’esempio: i piccoli granelli di sabbia scendevano lentamente, scandendo il tempo, sotto i suoi attenti occhi verdi.
Sabbia…
D’un tratto le sembrò di sentire il rumore delicato delle onde del mare che si infrangevano a riva, i garriti dei gabbiani e la brezza che colpiva gli ombrelloni. Non era più in quel negozietto di Beika ma sulla spiaggia, non aveva più diciassette anni ma soltanto sette. Davanti a lei non c’era più la clessidra ma un bambino della sua stessa età che era appena riuscito nell’ardua impresa di far ridere quel suo fratello maggiore sempre così serio. La sua stessa voce riecheggiò nell’aria salmastra.

- Sei un mago!-

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 24. Tremore ***


TREMORE
 
I pompieri stavano facendo del loro meglio per domare l’incendio, la polizia era già accorsa sul luogo dell’incidente per investigare, alcuni agenti dell’FBI parlavano fra loro in disparte. Una folla di curiosi era scesa in strada, nonostante fosse notte fonda. E poi c’era lei, con la sua camicina da notte e il suo fedele orsacchiotto Berry, che non riusciva a capire tutto ciò. Un uomo di nome James, con dei grandi baffoni castani, le aveva detto di essere un amico del suo papà e le aveva fatto mille domande a cui lei non aveva saputo rispondere bene. L’unica cosa che sapeva con certezza era di essere uscita a comprare del succo d’arancia per papà e quando era tornata aveva trovato la casa avvolta dal fuoco.
Con gli occhi annebbiati dalle lacrime, tutto ciò che riusciva a fare era fissare le fiamme infernali che inghiottivano la sua casa, la sua mamma, il suo papà, la sua vita. Pregava in silenzio che smettessero, ma le sue preghiere non venivano accolte.
L’uomo di nome James l’aveva fatta salire sulla sua auto, avvolgendola in una coperta per ripararla dal freddo della notte, eppure lei continuava a tremare. Il fuoco stava bruciando tutto, riscaldando l’aria, ma lei tremava come una foglia.
Non avrebbe mai immaginato che, anche diversi anni dopo quell’avvenimento, la vista del fuoco l’avrebbe fatta rabbrividire.

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 25. Manette ***


MANETTE
 
Era una grigia e umida mattinata di ottobre e lei avrebbe preferito di gran lunga restarsene sotto alle coperte piuttosto che andare al lavoro. Invece si era ritrovata lì, da sola, ad inseguire un ubriacone al volante. Naeko era a casa con l’influenza e pertanto non aveva nessuno a farle compagnia (o in quel caso a condividere le sfortune).
Finalmente l’auto con il conducente in stato di ebrezza si fermò, quasi schiantandosi contro un muro.

- Fermo, polizia!- gridò, scendendo dalla mini car - Scenda subito dalla macchina!-

L’uomo aprì la portiera e faticò a scendere, per poi muovere qualche passo verso di lei barcollando.

- Che diavolo vuole? Non ho fatto niente!- sbiascicò con la bocca impastata, mentre il fetore di alcol usciva dalla bocca e si espandeva nell’aria.

- Sono l’agente Miyamoto, polizia di Tokyo! La dichiaro in arresto per guida in stato di ebrezza!-

Si avvicinò velocemente a lui e afferrò le sue mani, pronta a mettergli le manette ai polsi. Fu allora che si accorse di non avere il solito paio di manette che teneva sempre nella tasca destra della divisa. Sgranò gli occhi inorridita e iniziò a sudare freddo…dove poteva averle messe? Ma soprattutto, come avrebbe fatto ad ammanettare quell’idiota?

- Yumi-taaaaaaaan- le sembrò di sentire la voce del suo fidanzato alle sue spalle.

“Andiamo Yumi, non è il momento di pensare a Chukichi!” si rimproverò nella sua testa.

- Yumi-taaaaaaan- sentì di nuovo quella voce, stavolta più vicina e reale.

Forse non la stava immaginando, forse Shukichi era davvero dietro di lei. Si girò e si trovò di fronte al suo fidanzato, che reggeva in mano niente di meno che le sue manette.

- Yumi-tan, avevi scordato queste sul tavolo- le disse, cercando di riprendere fiato dopo aver corso.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 26. Mandorla ***


MANDORLA
 
- Per favore smettetela!- li supplicò con le lacrime agli occhi, coprendoseli con le mani e abbassando il capo.
- Tu non sei una vera giapponese!- le puntò il dito contro un ragazzino alto e magro.
- È vero, non hai nemmeno gli occhi a mandorla!- continuò un altro bambino.
 
Era sempre così, da anni: ovunque andasse gli altri bambini la prendevano in giro per via del suo aspetto non completamente orientale, dovuto al suo essere una mezzosangue. A volte i bambini sanno essere davvero crudeli e lei subiva tutta la loro ignoranza e cattiveria. Non capiva cosa ci fosse di sbagliato nell’avere i capelli di un colore diverso dal nero o gli occhi di forma arrotondata: in occidente le persone erano così e non avevano nulla che non andasse.
Si era chiesta più volte come sarebbe stato vivere in Inghilterra, la terra natale di sua madre: forse lì l’avrebbero accettata o forse l’avrebbero presa in giro per i tratti orientali che aveva ereditato dal padre.
 
- Non penserai di giocare con noi, vero inglesina?- le chiese il ragazzino che poco prima l’aveva accusata di non essere giapponese.
- Ora basta, fatela finita!-
 
Alzò la testa di scatto quando riconobbe quella voce: Mary, sua sorella maggiore. Tutte le volte che si trovava in difficoltà Mary arrivava e la proteggeva, come fa un angelo custode. Si somigliavano molto e anche lei veniva derisa, ma a differenza sua quelle insinuazioni non sembravano toccarla minimamente. Mary aveva un carattere freddo e distaccato ma a modo suo sapeva amare con tutto il cuore e sacrificarsi per le persone a lei care.
 
- Guardate, è arrivata l’altra straniera!- iniziarono a prendere in giro anche lei.
- Vi conviene andarvene se non volete farvi male- li minacciò.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 27. Compleanno ***


COMPLEANNO
 
- Wow, certo che non hai badato a spese!- si lasciò sfuggire Masumi, mentre si guardava intorno estasiata.
- Hai organizzato davvero una festa magnifica, Sonoko!- si congratulò Ran.

Le ringraziò con un sorriso: era bello avere le sue due migliori amiche al suo fianco in quel giorno speciale. Aveva raggiunto la maturità, i diciotto anni che tutti gli adolescenti aspettano per sentirsi finalmente adulti. Inutile dirlo, la sua famiglia aveva voluto organizzare il compleanno perfetto: cibo di ottima qualità, decorazioni raffinate, vestiti costosi…tutto ciò che qualsiasi ragazza sognerebbe di avere.
Tutto tranne l’unica cosa che davvero voleva.
Si stava sforzando di sorridere, non voleva sembrare scortese o ingrata per ciò che aveva ricevuto, ma la sua testa era decisamente altrove. Il suo ragazzo non sarebbe potuto venire, era in giro per uno dei suoi soliti tornei e non avrebbe fatto in tempo a raggiungerla. Ci teneva così tanto a festeggiare il suo compleanno insieme a lui…

- Sonoko? Va tutto bene? Mi sembri un po’ triste- le fece notare Ran, che dopo tanti anni la conosceva come le sue tasche.
- Makoto non potrà venire questa sera- confessò.
- Che peccato, mi dispiace tanto-

La festa proseguì senza intoppi, fino a quando non venne il momento della torta. Gli invitati cantarono in coro “Happy Birthday” e infine applaudirono. Lei aveva messo su la sua faccia migliore, per non deluderli.

- Coraggio, ora soffia sulle candeline ed esprimi un desiderio, così si avvererà- le disse Masumi.

Chissà se lo aveva detto per proforma o se davvero credeva in sciocchezze come quella. I desideri non si avveravano di certo soffiando su delle candeline! Chiuse gli occhi e avvicinò la bocca alle fiammelle, espirando, mentre con la mente tornava sempre a quel ragazzo che le aveva rubato il cuore.
Quando li riaprì il suo sguardo andò oltre la folla, sulla porta d’ingresso della sala. Vestito in camicia, giacca e pantaloni c’era Makoto, che stringeva fra le mani un piccolo pacchettino con un fiocco sopra.

- Sei venuto…- sussurrò a se stessa, mentre gli correva incontro incurante degli sguardi di tutti.

Forse Masumi non aveva poi tutti i torti sulla questione dell’esprimere i desideri.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** 28. Nascondere ***


NASCONDERE
 
Ran, Goro.
Viveva ormai da quasi un anno sotto il loro stesso tetto, nascondendogli la sua vera identità. Si era chiesto spesso cosa avrebbero pensato se lo avessero scoperto e ogni volta si era sentito tremendamente in colpa. Non voleva, ma doveva per il loro bene.
Akai.
Nonostante avessero iniziato una stretta collaborazione per raggiungere l’obiettivo comune, non si sentiva ancora pronto a confessargli la verità. Il loro paradosso era quello di fidarsi l’uno dell’altro, ma al tempo stesso di non essere sinceri fino in fondo e continuare a nascondersi dettagli che non era semplici dettagli. Aveva l’impressione che Akai avesse capito da tempo che era Shinchi, ma lui aveva preferito non confermare questo sospetto.
Jodie, Camel, James.
Anche di loro si fidava, proprio come di Akai; d’altra parte erano agenti dell’FBI, di certo non potevano fargli del male o remargli contro, tuttavia la sua bugia si era estesa anche a loro.
Masumi, Mary.
Potevano essere alleate preziose in quella lotta, senza contare che Mary si trovava nella sua stessa situazione. Anche loro come Akai avevano probabilmente capito chi fosse, memori di quel giorno sulla spiaggia di dieci anni prima, ma al contrario del figlio Mary sembrava non fidarsi totalmente di lui e la sua sfiducia era reciproca.
Ayumi, Genta, Mitsuhiko.
In quei lunghi mesi trascorsi nei panni di Conan quei tre bambini si erano guadagnati un posto speciale nel suo cuore, li considerava in tutto e per tutto suoi amici e sarebbe stato così per sempre. Chissà però se loro avrebbero ancora voluto essere suoi amici una volta scoperta la verità…
In quella catena di verità nascoste, si rese conto che a volte si rivela di più restando in silenzio che aprendo la bocca. Come diceva Ralph Waldo Emerson “Non c’è nessuna intimità che non possa essere violata. Non c’è nessun segreto che può essere mantenuto nel mondo di oggi. La società è un ballo in maschera dove ognuno nasconde il suo vero essere e lo rivela nascondendolo”.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 29. Argilla ***


ARGILLA
 
Prese quel composto grigio-verdastro e cremoso con due dita e iniziò a distribuirselo sul viso, massaggiando delicatamente. Dopo lunghe giornate trascorse in tribunale o nel suo studio, finalmente riusciva a ritagliarsi un attimo per sé e ne aveva approfittato per farsi una maschera anti-age all’argilla. La sua pelle stava cambiando, non era più la stessa di quando aveva vent’anni e lei ci teneva ad essere sempre in forma, come tutte le donne. Inoltre c’era quello stupido marito di cui, nonostante tutto, era ancora innamorata: doveva andare a cena con lui e con Ran quella sera e voleva essere il più bella possibile. Continuava a ripetersi che lo stava facendo solo per sbattergli in faccia che bella moglie aveva e trascurava per correre dietro alle ragazzine, ma la verità era che voleva essere guardata da lui nello stesso modo in cui la guardava anni prima, quando erano fidanzati.
Mentre si asciugava le mani dopo averle sciacquate dall’argilla, sentì suonare il campanello. Si chiese chi potesse essere, mancava più di un’ora alla cena, quindi non potevano essere Ran, Goro e il piccolo Conan. Anche perché se fossero stati loro sarebbe stato un disastro: non poteva certo farsi vedere da suo marito con quella crema dall’aspetto fangoso in faccia! Di sicuro l’avrebbe derisa per molto, molto tempo. E addio al suo piano di sembrare bella ai suoi occhi.
 
- Chi è?- chiese al citofono.
- Siamo noi, mammina- sentì la voce di Ran dall’altro lato.

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 30. Domino ***


DOMINO
 
Anche quel giorno era un mercoledì di ottobre, quando diciassette anni prima aveva ricevuto quella telefonata che avrebbe cambiato per sempre la sua vita e quella della sua famiglia. Era partito per l’America per assistere al funerale della sua amica Amanda Hughes e per investigare sulla morte improvvisa del figlio di Haneda, lasciando indietro la sua famiglia e promettendo a sua moglie in dolce attesa che sarebbe tornato in tempo per veder nascere la loro bambina. 
In Inghilterra, però, non ci era più tornato.
Aveva mandato un ultimo messaggio a Mary prima di scomparire nel nulla, avvertendola che si era inimicato gente molto pericolosa e dicendole di fuggire dall’Inghilterra per andare in Giappone: lì sarebbero stati al sicuro. Almeno, era questo che sperava.
Alla fine, però, la sventura si era riversata anche su di loro. Shuichi, il maggiore dei suoi figli, dopo essersi trasferito in America ed essere entrato nell’FBI era deceduto sul campo, nel tentativo di sconfiggere quel male di cui lui per primo era rimasto vittima. Shukichi, l’altro figlio, aveva cambiato cognome, perdendo così ogni collegamento con la famiglia Akai. Masumi, quella figlia di cui non aveva potuto vedere il volto, era cresciuta senza un padre. E infine Mary, costretta a vivere in un corpo che non era il suo a causa di quel misterioso e letale farmaco che quella banda di criminali aveva ideato. Come tessere del domino, i membri della famiglia Akai erano caduti uno dopo l’altro, in una catena di eventi dettati dal fato.
Chiuse gli occhi e pregò che arrivasse presto il giorno in cui sarebbe potuto uscire allo scoperto, per rimettere in piedi quelle tessere cadute e ricominciare.

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 31. Tomba ***


TOMBA
 
Marmo di primissima qualità, scritte in ottone d’orato, decorazioni incise e infine fiori freschissimi. Ammirò compiaciuto il frutto del suo ultimo investimento: una meravigliosa lapide con cui tutti lo avrebbero ricordato. Aveva preparato tutto nei minimi dettagli, pronto ad inscenare la sua morte.
Già, perché lui, Renya Karasuma, di morire per davvero non ne aveva proprio voglia. In fondo, chi vorrebbe morire sapendo di aver ottenuto la giovinezza eterna? Ormai aveva superato i cento anni, sapeva bene che per natura un essere umano non può oltrepassare certi limiti, perciò aveva deciso di architettare la sua morte nei dettagli, così da destare meno sospetti possibili. Mentre il mondo lo avrebbe compianto, lui avrebbe continuato a vivere nell’ombra, a capo di quella stessa organizzazione criminale che aveva fondato. Era così che sarebbe uscito di scena il migliore, con una tomba al cui interno vi era sepolta solo una bugia.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4064128