Il caso di un viaggio

di Yrina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Caldo torrido ***
Capitolo 2: *** Tempesta tropicale ***



Capitolo 1
*** Caldo torrido ***


Mentre la strada si srotolava deserta e infuocata davanti a loro, nella vecchia auto rumorosa la tensione cresceva. Sul lato del passeggero Amaranta si muoveva a disagio nella vana speranza di rimpicciolirsi fino a sparire. Alternava ora un’espressione distratta dal paesaggio, ora una manifestamente indifferente alla presenza di lui. Lo faceva perché il silenzio la imbarazzava, ma non voleva neanche essere lei a romperlo per prima, poiché era certa che la tensione l’avrebbe portata a dire qualche idiozia a cui lui avrebbe riso o, peggio, risposto educatamente stabilendo ufficialmente una certa distanza.
In realtà Amaranta era anche spaventata dall’uomo alla guida, Fernando. Aveva un grosso coltello, come quello dei contadini dell’isola, in un fodero di cuoio nero che gli pendeva dalla cintura e quando erano saliti in macchina l’aveva visto far scivolare sotto il sedile una pistola. Però non era questo a farle paura, erano i suoi occhi a inquietarla, vigili e rapidi, i movimenti, fluidi e misurati, il modo in cui spingeva il piede sull’acceleratore e tamburellava con le dita sulla coscia senza dire niente, con l’espressione di pacifica insolenza. Non si era girata un attimo verso di lui perché non era sicura di essere credibile nella sua indifferenza: se l’avesse guardato, era certa, sarebbe regredita a quella volta a diciassette anni in cui aveva improvvisato un litigio a senso unico per nascondere a un ragazzo che le piaceva. Che pena, pensò e tenne gli occhi fissi sul crinale della morbida collina bruciata dal sole impietoso. Lui lo sa cosa sto pensando, si disse assillandosi senza motivo, però se non mi rendo ridicola che potrà mai dire? Lo so che ti piaccio? E io negherò. Più o meno il corso dei suoi pensieri era questo, lui che la umiliava con frasi stupide e lei che arrossiva in silenzio con la lingua attaccata al palato, secca come una spugna asciutta e un senso di ridicolo che la gelava nonostante il caldo innaturale. Non si accorse che Fernando aveva rallentato e ora stava fermando la macchina rumorosa nel mezzo della strada completamente vuota, ma nonostante volesse chiedere spiegazioni non riusciva a parlare; parlò lui: “Dietro i banani c’è una fontanella e l’acqua è potabile, possiamo bere e rinfrescarci.” Era tranquillo, aveva parlato normalmente e Amaranta si sentì immotivatamente infastidita, perché in fondo era quello che voleva, ma non lo voleva davvero. Si figurò la scena: lei coi sandali che scendeva dalla macchina, iniziava a camminare e inciampava cadendo bocconi nella terra e nell’erba secca, lui davanti con le sue spalle larghe e il passo marziale si sarebbe girato e lei sarebbe morta di vergogna all’istante. Fu lui però a non accorgersi che aveva un anfibio slacciato, calpestò il suo stesso laccio e si sbilanciò in avanti, imprecando con malagrazia e lei rise forse più del necessario per causa della tensione e Fernando la sfidò “Ride bene chi ride ultimo.” Che originalità, si disse Amaranta. “Attento a quello” e gli indicò il machete alla cintura.
“Sai nuotare?” Domandò Fernando in modo casuale e senza una logica apparente. “Certo, abbastanza bene.”
Fernando prese un sorso dalla fontana e si scostò per farle spazio e proseguì asciugandosi la bocca e la barba con la maglia bianca sudata e sformata “Domani, più o meno a quest’ora, andiamo a vedere una spiaggetta.” Il tono era serio, ma non da guida turistica.
“Mi dicono che valga la pena di vedere l’oceano al tramonto, non a pranzo”
“Uhm uhm, però col sole alto si vedono meglio i dettagli.” Buttò lì noncurante e Amaranta capì che per superare l’impasse del silenzio le stava proponendo una visita guidata allo scopo di aiutarla a scrivere il suo libro e continuò a bere senza sete per sopprimere la tentazione di declinare bruscamente l’offerta.
“Se devi andare in bagno lì l’erba è alta abbastanza, io aspetto alla macchina. Veloce.” E iniziò a camminare verso la strada. Amaranta sentì l’aggressività diventare fisica, come un dente che per farsi strada squarcia la gengiva seminando bruciore, tensione e gonfiore. Fece qualche passo nell’erba alta perché in bagno doveva andarci davvero e si alzò il vestito, si abbassò le mutande di cotone e urinò sforzandosi di non perdere l’equilibrio. Ci mise molto e tremava per lo sforzo con le cosce doloranti e le ginocchia accroccate, oltretutto troppo tardi si accorse di essersi bagnata quasi completamente le mutande: le veniva da piangere per la frustrazione. Con il terrore di calpestare nell’urina calda, fu attraversata da un pensiero fulmineo che decise d’istinto di assecondare, anche perché non c’era altro da fare. Si sfilò le mutande e le usò per asciugarsi, uscì dall’erba alta a passo deciso e andò verso la macchina. Fernando la guardava arrivare e gettare qualcosa in un cespuglietto di malerba rigogliosa e gli parve diversa: era scesa dalla macchina imbarazzata e a disagio ed ora vi rientrava sicura, muovendosi fluida tra le erbacce quasi come se la sostenesse un segreto che la rendeva immune. Amaranta salì in macchina e Fernando inebetito colse solo una goccia d’acqua o di sudore rotolarle giù per il collo, poi lo sterno e tra i seni piccoli e sodi. Non portava reggiseno e si domandò se fosse quello ciò che aveva buttato via. Mise in moto: “Che hai buttato?” Lei rise allegra: “Un tovagliolo.” Mentiva, e lui fu certo che già quando si erano incontrati un’oretta prima lei non portasse il reggiseno.
 
Le si era rotto il tasto n della macchina da scrivere, poi anche la barra spaziatrice e aveva deciso di cogliere l’occasione per passare una giornata diversa. Aveva preso il primo e unico bus per andare da Antonia, che abitava a tre ore di strada dalla città, nella campagna con le strade sterrate e la canna da zucchero alta due volte un uomo. Era arrivata stravolta e aveva scoperto, mentre Antonia le chiudeva la sua macchina da scrivere nella custodia a valigetta, che il bus che l’avrebbe riportata indietro non sarebbe passato che alle cinque del pomeriggio. Parlarono un poco e Antonia le promise di scendere in città a trovarla appena il tempo si fosse un po’ rinfrescato, bevvero caffè e ripresero l’argomento del caldo asfissiante; non era così che si era immaginata quella visita, ma non avevano amici in comune perché abitavano lontane e in più lei in città ancora non aveva una vita sociale; quindi, a parte il tempo e i prezzi al mercato gli argomenti scarseggiavano. Qualcuno bussò forte alla porta chiamando Antonia che aprì e si slanciò per abbracciare il tizio alto sulla porta. Li presentò e quando lui le strinse la mano, forte, ad Amaranta venne meno il dono della parola e dunque non precisò che il libro che Antonia sosteneva stesse scrivendo, in realtà lei si aspettava di trovarlo già pronto sotto una roccia o al mercato già impacchettato per essere spedito. Antonia prontamente aveva chiesto a Fernando se tornasse in città e se potesse dare un passaggio alla sua amica, con un’aria fintamente innocente che lui fu molto bravo a fingere di non cogliere. Si erano messi in macchina quasi subito e Fernando si era accorto che le piaceva molto, niente di nuovo sotto il sole, pensò, un’altra signorina annoiata che scopre gli uomini senza cravatta. Rifletté che però era un peccato perché anche se non era bella era attraente, ma quell’atteggiamento passivo-aggressivo da predatrice che era a malapena una preda gli faceva passare l’entusiasmo. Era scesa per bere con passo malfermo, gli aveva indicato il coltello con aria inequivocabile e poi si era allontanato per quanto? Tre minuti in tutto? E che era successo? Ora in macchina aveva una gatta più che la signorina impressionata di prima.
Amaranta allungò il braccio per prendere un foglio sul cruscotto davanti a lui e le guardo la mano sottile, le dita affusolate, le unghie lunghe e lucide e poi spostò lo sguardo sulla strada. Amaranta si soffiava col foglio piegato e lui la sentì sospirare piano, con la coda dell’occhio vide che si tirava su l’orlo del vestito bianco fino alle ginocchia e si sentì le orecchie prendere fuoco.
“Se fossimo più vicini al mare mi butterei vestita.” Disse piano e Fernando sentì le orecchie ancora più calde e si lisciò i capelli folti e neri, un po' confuso dalla sensazione improvvisa. Gli sembrava che Amaranta intendesse dire qualcosa che lui non poteva capire, forse il segreto che l’aveva trasformata in tre minuti. Si batté la mano sulla coscia “Che fai la sera?”, la vide indugiare un secondo di troppo con gli occhi sulla sua mano aperta sui pantaloni cachi e si rianimò: segreto o non segreto, gatta o non gatta, lo voleva esattamente come prima.
“Niente, esclusa Antonia non conosco ancora nessuno. So che la sera c’è in giro un sacco di gente, musica… Ma non ho visto niente ancora.” E scivolò sul sedile di qualche centimetro stendendo le gambe. Fernando ebbe l’impulso di allungare la mano destra e toccarle il ginocchio, scostarle il vestito e sentire quanto lo voleva, ma rimase immobile a guardare la strada, concentrato sul suo respiro che, gli era parso, si era fatto veloce.
“ Domani andiamo a vedere la spiaggia, poi se ci sarà qualcosa di interessante andremo a vedere anche la città di notte.” Si voltò e le sorrise più con quegli strani occhi che con la bocca. Amaranta gli rispose entusiasta “Mi piacerebbe davvero molto, ovviamente se non è troppo disturbo” e lo disse per due motivi: il primo era che ora quando la guardava l’aveva colto a fissarle le labbra e non più gli occhi come prima, si leccava impercettibilmente le sue e poi si toccava la barba scura e disordinata e questo le diceva che non era un disturbo; e poi lo disse perché l’aveva visto spesso in città, sempre circondato da gente che voleva parlare con lui, che gli portava qualcosa, qualche bambino lo seguiva sempre finché lui non si fermava a fare due tiri col pallone o se era piccolo a metterselo in spalla per qualche passo e questo le diceva che forse non aveva molto tempo per sé. “Nessun disturbo” e le sorrise guardandole le labbra rosse. Lo sapeva che lei se n’era accorta e poteva vedere che le piaceva. Era sicuro che nell’erba in quei tre minuti fosse successo qualcosa, chissà cosa, ma ne era grato agli dèi.
“Vuoi una sigaretta?” Gli domandò. “Si.”
Amaranta prese una sigaretta, se la mise tra le labbra, l’accese e tirò e gliela passò; lui se la mise a sua volta tra le labbra e sentì il sapore biscottato del rossetto di lei. La osservò con la coda dell’occhio accendersene una per sé, aspirare incavando le guance, le labbra rosse che baciavano il filtro e si sentì chiedere “Ti raggiungerà qualcuno? Un fidanzato, un marito, famiglia?” Almeno, pensò, non sembravo troppo interessato.
“Sono sola. I miei sono in Italia e difficilmente attraverseranno l’Atlantico per venire qua” Lui tacque incerto. “E tu?” riprese Amaranta. “Neanche io sono proprio di qui, però ho molti amici. Ma sono solo.”
Amaranta aveva la schiena sudata per il violento effetto serra causato dal sedile in pelle, e le cosce le si attaccavano prudendole selvaggiamente, più il tempo passava e più il caldo aumentava, più comprendeva il significato profondo di un indumento insignificante come le mutande. Fu però abbastanza lucida da prendere nota del fatto che due persone adulte, straniere in terra straniera, che si dicevano senza giri di parole di essere sole avevano già qualcosa di più forte dell’attrazione a legarle. Fu mentre giungeva a questa conclusione che l’asfalto deformato fece sobbalzare la vecchia auto, anche lei sobbalzò e l’orlo del vestito si alzo su metà della coscia sinistra, Amaranta sovrappensiero si sistemò allargando istintivamente le gambe senza malizia, ma Fernando colse il movimento delle ginocchia che si divaricavano mentre lei guardava fuori dal finestrino assorta. Lui si sentì la febbre nell’intestino. La pelle delle mani gli prudeva e sentiva l’esigenza di toccarla, però avrebbe preferito morire che uscire bruscamente da quella che gli sembrava un’esperienza mistica.
“Ci siamo quasi” e indicò l’oceano a strapiombo sotto una scarpata di palme maestose e la fortezza francese che dominava la baia e la vecchia città coloniale. Amaranta sentì che la voce gli si era arrochita e gli chiese compiaciuta “Te ne accendo un’altra?”
Fernando la guardò in tralice con un sorriso sornione “Non sarò io a dirti di no”. Gli accese la sigaretta e gliela mise tra le labbra avvicinandosi trattenendo il respiro per la tensione che sentiva in ogni muscolo del suo corpo. Lui respirò l’odore di fumo e di agrumi che arrivava dal polso di lei. Tenne le mani sul volante e chiuse un occhio perché non vi entrasse fumo. Lei si risistemò sul sedile, volgendosi però verso di lui, con la gamba sinistra piegata sotto di sé e il braccio sinistro steso sul bordo dello schienale basso. Guardando il profilo di Fernando domandò curiosa “Che fai a parte portare carte e dare passaggi?” Lasciò perdere la pistola sotto il sedile e il machete alla cintura, perché in fondo lei non ne sapeva niente della gente di quel posto e della situazione precaria di quelle terre e istintivamente non sentiva che quelle armi fossero indice di pericolo per lei. “Uhm, sono venuto qui a scrivere poesie e poi mi è presa la fissazione di fare fotografie. E poi altre cose.”
Le parve che non volesse scendere troppo nel dettaglio e commentò “Siamo colleghi allora” Certo, lui magari le aveva scritte le poesie, lei il suo romanzo più che altro se lo augurava.
Lui sbuffò il fumo e sorrise di nuovo sornione “Per ora sì”.
Lei ormai lo fissava senza ritegno e lui la lasciava fare. Amaranta studiava i capelli corti e neri, folti, pettinati e lucidi, le mani delicate, da dottore o da poeta, che però erano anche forti, l’orologio col cinturino in pelle nera che gli ornava il polso deciso. Si figurò che fosse uno di quegli uomini che stanno meglio nudi che vestiti, però non riuscì proprio ad immaginarselo. Fernando buttò la cicca dal finestrino e Amaranta vide che erano già in città “Gira alla seconda, abito nella casa di donna Teresa”.
Fernando aveva fatto in tempo a conoscere donna Teresa e conosceva la casa: un gradino conduceva dalla strada all’interno della cucina-salotto e questa terminava con una porta stretta che portava alla camera da letto dove stavano il letto, il comò e un armadio e una tenda- separé dietro la quale se ne stava un minuscolo bagno. La casa era piacevolmente ombrosa perché oltre alla porta c’era una sola finestrella in cucina, sopra il lavandino a una settantina di centimetri dall’ingresso e in camera da letto un’altra finestrella faceva entrare poca luce in direzione dei cuscini.
Fermò la macchina davanti alla porta e fece per andare ad aprirle la portiera ma Amaranta era già fuori che si trascinava la valigetta della macchina da scrivere; lui gliela prese dalla mano, indugiando un poco più del necessario nel contatto con le dita di lei e Amaranta non si sottrasse, lo ringraziò e lo sorpassò cosciente di essere sotto l’esame del suo sguardo. Aveva la schiena rossa e sudata, ma non le importava perché anche lui era fradicio sul petto e sulle spalle, l’afa era innaturale e se non fosse cessata all’indomani tutti si sarebbero svegliati con le branchie e già semi-arrostiti.
Camminando verso la porta Amaranta fu presa da un prurito all’inguine che era decisamente poco sensuale ed era certa di avere qualche sfogo perché la pelle irritata le bruciava nei punti più umidi. Aprì la porta con urgenza e indicando il frigo disse “Fai come fossi a casa tua, io ho bisogno del bagno” e mentre ancheggiava verso il comò Fernando le rispose insolente “Non è la temperatura ideale per lo stile naturale”. Almeno ha il senso dell’umorismo, pensò Amaranta scostando la tenda del bagno, con gli zigomi in fiamme e il basso ventre in subbuglio.
 
Fuori dalla porta di casa, dietro di lei, con la valigetta della macchina da scrivere in mano, Fernando la guardava attentamente: collo lungo, esile, vita sottile, un seno da ventenne anche se aveva almeno quei dieci o dodici anni di più, attraente senza essere appariscente, anche se non ne era certo doveva avere più o meno la sua età, forse un paio d’anni di meno. Gli piaceva quello che vedeva e poi, in un attimo, la luce del sole fece il miracolo mentre lei saliva l’unico gradino davanti alla porta. Il lungo vestito bianco divenne trasparente come una zanzariera e lui seppe che ciò che aveva buttato nell’erba non era un tovagliolo. Forse non se ne rese conto coscientemente, preso com’era da una smania che mai aveva sperimentato, ma entrando nella casa in cui donna Teresa aveva vissuto ed era morta sola, Fernando aveva capito che avrebbe sposato Amaranta e che forse non sarebbe vissuto abbastanza da invecchiare con lei, ma di certo avrebbe lasciato solo lei a piangerlo.
 
Quando lei rientrò in cucina lo trovò di spalle, intento a sciacquare il bicchiere che aveva usato, Amaranta si scoprì incerta su come procedere: era abbastanza imbarazzata da poter ritornare al cieco disagio dell’inizio del viaggio, ma ormai che la parte più sconcia era venuta fuori poteva anche giocare a carte scoperte. “Come va?” le chiese.
Stava in piedi contro il lavandino adesso, con le braccia incrociate sul petto e negli occhi scuri un’espressione tutta sua, difficile da rendere con le parole, ma ad Amaranta parve che ci fosse approvazione. Si accese una sigaretta e si lasciò cadere su una delle due sedie del tavolo in cucina: “Di tutte le cose che avrei potuto fare al naturale di sicuro ho scelta la meno pratica” Ma sì, si disse, ormai tanto vale essere franchi in fin dei conti non siamo mica ragazzini.
Lui le indicò la valigetta della macchina da scrivere per terra, vicino al frigo, e le disse sorridendole di nuovo più con gli occhi che con la bocca “La prossima volta mi piacerebbe trovare tutti gli indumenti al loro posto e pensarci io”. Amaranta sorrise inebetita perché aveva colto che, mentre parlava, si era sistemato il machete in un modo che l’aveva sconvolta più del senso delle parole in sé. Non rispose perché Fernando era già fuori e aveva messo in moto.
Rimasta sola, nell’ombra, seduta al tavolo di donna Teresa, controllò l’orologio. Erano quasi le tre del pomeriggio e tutta la via stava dormendo, il caldo era asfissiante e non le rimaneva che farsi una doccia e provare a scrivere qualcosa senza pensare troppo a quell’uomo anche se era l’unica cosa che voleva fare.

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Capitolo 2
*** Tempesta tropicale ***


La città trascorreva addormentata le ore più calde del pomeriggio, ma Amaranta era sveglia sul letto, con gli occhi fissi sul soffitto. La vergogna la investiva con ondate calde: si vergognava a morte della sua condotta irresponsabile con un uomo che poteva anche essere pericoloso, di cui aveva poche informazioni e anche contrastanti; doveva essergli parsa un’oca, una poco di buono che avrebbe cercato di nuovo quando fosse stato dell’umore di divertirsi e lei che avrebbe fatto contro uno che girava con una pistola e un machete? Umiliata da sé stessa si copriva istintivamente gli occhi con la mano e sospirava sopraffatta; all’improvviso però lo rivedeva in cucina contro il lavandino, occhi come i suoi non ne aveva mai visti e non poteva dubitare che non corresse alcun pericolo perché la sua impressione era di essere al sicuro. Ripassava mentalmente le linee del suo corpo nella penombra della cucina e nella piena luce della macchina, e allora si sentiva annaspare, si sentiva il sangue come acqua bollente e non riusciva a stare ferma, se si soffermava un po' di più sulle mani e sulla voce sentiva che il ventre vuoto le si contraeva con spasmi avari. Si alzò all’improvviso e si infilò un vestito nero e leggero, se ne andò in cucina e provò a scrivere qualcosa. In quello stesso frangente Fernando stava su una poltrona di cuoio, sudato e nervoso e ascoltava un tizio in piedi che parlava di variabili e spese necessarie. Fissava dritto davanti a sé e vedeva l’orlo del vestito bianco che si ritirava sempre di più, come le onde del mare prima che un muro d’acqua travolga la marina. E travolto Fernando lo era stato. Anche se l’istinto lo spingeva a precipizio verso la casa della buonanima di donna Teresa, Fernando si teneva stoicamente fermo sulla poltrona che lo stava facendo cuocere a fuoco lentissimo. Non è che non fosse certo che, se fosse andato da Amaranta, lei non lo avrebbe avuto nel suo letto, anzi; e lui più ci pensava più faceva fatica a trattenersi, però voleva anche che fosse altrettanto chiaro che non era per questo che la voleva. Non era il sesso, benché fosse convintissimo che, se quella donna aveva un talento più alto degli altri, doveva essere nel letto. Lui la voleva letteralmente, voleva essere certo di averla sempre con sé, dentro di sé, accanto al suo sé più intimo. Era quasi un bisogno cannibale e non aveva nessuna familiarità con la sensazione. Un uomo più giovane di lui gli sedeva di fronte e lo guardava sorridendo sotto i baffi perché vedeva che Fernando stava scegliendo la sua battaglia in silenzio. Manuel, l’uomo più giovane, credeva di sapere cosa stava capitando perché poco prima della riunione era passato dal barbiere a farsi regolare velocemente barba e capelli e questi gli aveva chiesto se sapesse chi fosse la donna che abitava in casa della vecchia donna Teresa, Manuel ovviamente aveva risposto che no, non lo sapeva e chiese perché solo per non addormentarsi mentre l’uomo lo pettinava con mani leggere e il suo barbiere, soddisfatto, gli comunicò che dopo pranzo avevano visto Fernando uscire istupidito da quella casa, mettere in moto e per poco non prendere la curva dritta per uscire dalla via. Manuel si strinse nelle spalle non credendo alla scena che il barbiere gli aveva descritto, ma adesso con Fernando davanti, assorto come una statua di un pensatore greco, il pettegolezzo era più che plausibile. Quando alle sei in punto la riunione finì Manuel si alzò con tutte le intenzioni di tormentare Fernando, la cui fronte aggrottata presagiva un grosso nervoso. “Nando, che muso triste. Dicci che succede.” Lo stuzzicò, ma Fernando fece finta di niente. Si alzò e aveva le spalle zuppe e la maglietta appiccicata addosso, l’afa era insostenibile e l’aria sembrava più satura d’acqua che non d’ossigeno, se possibile il caldo peggiorava. “Va bene, visto che siamo un po' taciturni ti propongo di accompagnarmi stasera all’Arco, mi hanno detto che ci sarà musica.” Fernando seppe che Manuel sapeva di Amaranta in qualche modo che non poteva spiegarsi perché il vecchio arco di trionfo francese, ricordo di quando la città era una colonia, era esattamente dietro la camera da letto di Amaranta. Si sentì costretto a far finta di niente: “Se mi offri da bere ci vengo” disse lapidario. “Ci vediamo alle nove al malecòn.” Concluse Manuel facendogli un occhiolino, poi raccolse il cappello da una sedia e se ne andò. “Manuel” abbaiò all’improvviso e quello si girò di scatto “non mi aspettare, non ci vengo” decise che i programmi se li faceva da solo e da solo avrebbe perso la faccia se era il caso. Manuel rise “Ay Nando che tipo!” e si girò per andarsene, camminando aggiunse “Nando l’amore stanca e noi domani lavoriamo”. Fernando si beccò l’affondo con grazia e si ricordò che Manuel l’archetipo del figlio di puttana. Amaranta alle sei stava seduta fuori con le vecchie della via. Si era alzata dal letto e si era messa a scrivere, però non riusciva a completare neanche una frase e allora si prese le chiavi e i soldi e uscì per comprarsi una bella scorta di sigarette. Passò davanti ad una donna tutta vestita di bianco che stava seduta su uno sgabellino con una cassetta di legno capovolta vicino ai piedi e che le offrì di leggerle il futuro nelle conchiglie, Amaranta le sorrise e le fece segno di no. Non è che non ci credesse, al contrario: era persuasa che chi avesse il dono potesse davvero rivelare il futuro della gente, ma lei il suo non voleva saperlo, soprattutto se non era come se lo immaginava. Sentì la musica delle prove sotto l’arco di trionfo e immaginò che ci sarebbe stata una festa. A casa sua non era mai andata a una festa in piazza da sola, in effetti non era mai andata nemmeno a pranzo da sola e qual era il punto di separare il futuro dal passato con un oceano se poi non si cambiavano certe cose? Così si decise a passare alla festa da sola se la serata lo avesse permesso. Amaranta però non si ingannava, alla festa ci sarebbe andata solo per vedere se ci fosse stato Fernando, e poi magari l’avrebbe visto con la mano sulla vita di una ragazza con dieci anni meno di lei e ci sarebbe rimasta troppo male per rimanere lì. Forse certe vecchie abitudini era meglio non cambiarle tutto sommato. Se ne tornò che le vecchie erano già in formazione semicircolare nella via, fumavano le loro pipe mentre il sole se ne scendeva sott’acqua e muovevano le mani ingioiellate nel fumo denso scambiandosi pettegolezzi e ricordi con le voci sguaiate. Una la chiamo e le indicò la sedia vicino a una porta. Amaranta non si fece pregare e accettò l’invito, a casa non sarebbe comunque riuscita a scrivere. “Che mi dice mio figlio mentre dormo dopo pranzo? Che Fernando esce da casa dell’italiana!” gridò una di loro, grassa e avvolta in un ampio vestito giallo-arancio con uno scampolo della stessa stoffa ad avvolgerle i capelli. Amaranta si imbarazzò da morire, però ne approfittò: “E’ vero sì, mi ha dato un passaggio e mi ha portato dentro la macchina da scrivere. Ho capito che è una persona importante, no?” Risero tutte insieme scintillando la paccottiglia appesa ai colli e alle dita come gazze ladre cariche di bottino e la donna di fronte a lei ciarlò: “Senti, senti, è l’uomo di ferro del governo Fernando. Lui passa e le brutte intenzioni tacciono. Se da qualche parte a qualcuno viene voglia di fare casino, lui gliela fa passare.” La donna non era stata rassicurante e dopotutto lei l’aveva visto armato, non a scrivere poesie. La donna giallo-aranciata commentò “Ay che vecchia vipera sei! Perché tormenti la ragazza? È italiana non stupida!” E si volse ad Amaranta che le sorrise con un viso pacificamente stupido “E’ un bravo ragazzo Fernando. Un monaco è quel Fernando, solo per il lavoro vive e lo Stato pure lo porta così” e fece un gesto con il palmo della mano destra rivolto in alto. La parentesi di Fernando si chiuse con sobrietà in quell’istante e fumarono insieme mentre le raccontavano episodi storici a cui avevano assistito e altri meno storici a cui giuravano che dei loro conoscenti avevano assistito, come il tizio che cercava il tesoro di du Plessis nelle grotte sulla spiaggia del nord e i serpenti dal nulla lo avevano aggredito ammonendolo di non toccare l’oro del capitano. Guai a dubitarne! Il buio stava calando lento sulla terra e sull’acqua intensificando il senso di oppressione di quella giornata infinita; le parve che l’aria stesse cambiando: spirava da mare un debole refolo fresco puntualmente strangolato dall’umidità sulla terra. Poco lontano dalle comari con cui stava seduta e che fumavano la pipa c’era un tavolino rotondo, sul marciapiede, con una zeppa sotto un piede e due uomini anziani che giocavano a certe. Si erano insultati per tutto il tempo, erano magri e nervosi ed avevano in testa gli stessi cappelli di paglia dei contadini, mezzi sfondati dall’uso senza requie. Amaranta e le altre donne non facevano caso a loro finché Amaranta non sentì uno di loro annunciare “Fernando caro, siediti! Beviti un bicchiere.” Col sangue gelato sentì una sedia strisciare i piedi sul marciapiede lastricato e poi la voce di Fernando “Chi vince?” Era allegro e disinvolto, lei invece si sentiva sull’orlo dello svenimento. Era terribilmente in imbarazzo e il pensiero che le vecchie sedute intorno a lei potessero accorgersi che sperava di essere il motivo di quella comparsata le faceva tremare il bacino. Iniziò a muoversi cercando di sistemarsi sulla sedia, si accese una sigaretta e si sforzò di fare finta di non essersi accorta di nulla perché fortunatamente lui era seduto alle sue spalle. “Ah, figlio mio non si vince più da un sacco di tempo. Perdiamo e basta” disse uno dei due vecchi e poi una sedia di nuovo trascinata sul lastricato: “Ragazzi dobbiamo organizzarci per una bella partita e l’alcol lo porto io” risero tutti e tre. Il semicerchio saturo di fumo era silenzioso e attento, ma Amaranta era così concentrata sulla voce di lui e sull’alternarsi di caldo e freddo che le procurava la tensione che si accorse tardi che la donna giallo-aranciata aveva avvisato impersonalmente che Fernando stava andando da loro. “Quanta bellezza in un posto solo, signore.” Rideva con gli zigomi alti che gli rimpicciolivano gli occhi scuri e felini. “Fernando, la tua fortuna è che sono una vecchia con le ginocchia storte e di vetro, altrimenti non saresti così allegro” Risero tutti, anche Amaranta che aveva la gola annodata. Io sono seduta davanti alla porta di casa mia, e se lui è qua per me ho tutto il diritto di non farmi venire l’asma, si disse. “Se siete d’accordo ragazze vi dò il cambio e per stasera la turista me la prendo io” e fece un occhiolino alla vecchia giallo- aranciata che rise di gusto e commentò “Figlio mio, quando hai finito vieni a dare il cambio a mio marito” risero tutti di nuovo e Amaranta gli chiese molto impersonalmente “Mi devo cambiare?”, lui le fece una smorfia di diniego, lei si alzò e lui accosto la sua sedia al muro: “Ragazze, raccogliete i panni, arriva la tempesta” e si lasciò dietro i commenti delle vecchie. Camminava di mezzo passo dietro ad Amaranta e teneva le mani in tasca. “Dove andiamo?” chiese lei “Alla macchina” rispose serio e le appoggiò la mano sulla vita per guidarla fuori dal vicolo, andando verso il malecòn. Amaranta si sentì come se le avesse toccato direttamente un polmone e d’istinto inspirò sonoramente, lui anziché togliere la mano indugiò e la spinse delicatamente verso di sé con poca pressione: “Amaranta” disse, “Amaranta, che cosa hai fatto?” Se per un solo attimo aveva creduto con arroganza di non essere poi così attratta da quell’uomo, Amaranta aveva peccato di un’innocenza inspiegabile alla sua età. La voce bassa di lui, il suo odore un po' amaro misto al tabacco e la strada buia la tolsero dall’impiccio dell’inibizione. “Io niente, tu invece? Non mi aspettavo di vederti oggi stesso.” A malincuore si divincolò e sentì l’aria fredda che veniva dal mare alzarle i brividi dove Fernando aveva tenuto la sua mano per qualche secondo. “E che ti aspettavi?” “Non saprei dire, ma più che altro niente, forse.” E così, in modo naturale, si era stabilito che, pur giocando sul modello del metallo e della calamita, la costante tra Amaranta e Fernando era dire quello che pensavano. E dopotutto sono già vecchia per sedurre un uomo con i misteri delle mezze verità, si disse lei con un pizzico di superbia. Fernando la guardava perché si sentiva spinto a raccogliere ogni dettaglio e a tenerlo per sé. Non le rispose però perché, se fosse stata un’altra quella del passaggio in macchina quella stessa mattina, lui non si sarebbe davvero fatto vedere, lei non sbagliava a supporre che fosse quel tipo di uomo, ma non lo era con lei. Credeva di essere stato sempre sé stesso e sentiva che con lei poteva essere sé stesso nella versione che aspirava a diventare. Ma forse era solo l’effetto del caldo esagerato. Le aprì la portiera della macchina, lei salì e lui girò dal lato del volante, mise in moto e disse “Andiamo fuori città a vedere un bar simpatico.” “E la tempesta?” Chiese Amaranta un po’ preoccupata dal momento che tutti parlavano di queste tempeste disastrose e lei non ne aveva ancora vissuta una e non voleva fare l’esperienza nel mezzo di una strada sterrata in una scatoletta di lamiera. “Ci vorranno ore prima che arrivi” disse lui indifferente. “Amaranta.” Continuava a dire il suo nome perché sentiva che aveva una specie di ascendente su di lei e questo aveva di sicuro un ascendente su si lui. “Amaranta. Sei una donna istruita, attraente, che ha viaggiato per mezzo mondo e che sa come farsi ricordare da un uomo” Si girò a guardarla perché non voleva che la cosa la mettesse in imbarazzo o sulla difensiva, ma gli sembrò tranquilla e continuò “Posso chiedere dove hai imparato il trucco di oggi?” Amaranta rispose candida e divertita “Lo sapevo che saremmo arrivati lì. È stato un caso infelice, le mutande si sono sporcate, avevo paura che bagnassero anche il vestito e me ne sono liberata. Lo avresti fatto anche tu al mio posto.” Lui notò che aveva la tendenza a comportarsi con naturalezza, come fosse “uno dei ragazzi” e chiamava le cose col loro nome, senza sottigliezze da signorina: questo gli piaceva molto. Non parlarono più molto, ma la tensione di quella mattina cominciò a ricostruirsi nello stesso abitacolo dal momento in cui Fernando si accorse che alla caviglia destra di Amaranta era attaccato un filo d’oro che scintillava timidamente quando un raggio di luce solitario riusciva a raggiungerlo. Gli parve la cosa più sensuale che aveva visto. Amaranta dal canto suo era attirata dalla sua barba discretamente lunga, notò che non era molto folta se non sotto il mento, ma in Italia la tendenza era una rasatura perfetta tanto che alcuni uomini si radevano un paio di volte al giorno; perciò, la barba le rendeva il profilo di lui ancora più conturbante se possibile. “Perché sei venuta qua? Sull’isola dico.” Non l’aveva neanche sfiorato l’idea di porre la domanda più cortesemente o di supporre che forse non avesse voglia di parlarne con lui e Amaranta se ne compiacque molto perché era il sintomo evidente del suo interesse. “Mi ero innamorata di un uomo, eravamo molto amici, ma nulla di più. Un rapporto bellissimo, maturo e platonico. Un giorno arrivò e mi raccontò di come aveva deciso di sposare una donna all’opposto di me e per cui non avevo alcuna stima. Mi disse che ero la prima a cui lo diceva e che non sapeva come fosse stato possibile non accorgersi prima che lei era quella giusta. Piansi davvero molto, non immaginavo si potesse piangere tanto, però è successo anni fa e quando si è giovani si hanno ancora molte lacrime da piangere. Lo cercai e gli dissi quello che provavo e che non l’avrei più visto. Lui disse che era una scelta mia. Decisi che me la sarei fatta passare lì e poi me ne sarei andata dall’altra parte del mondo lasciandomi tutto alle spalle. Intanto morì mia nonna che lasciò a mio nome una piccola fortuna, abbastanza da permettermi di arrivare fin qui e provare a scrivere un romanzo, e se va male, lavorerò qui e continuerò la mia vita qui, ma non tornerò dove non c’è più niente per me.” Lo guardò dritto negli occhi e disse asciutta “E’ il tuo turno.” Lui sospirò e fu tanto asciutto e onesto quanto lei. “Avevo un’amica molto cara che voleva lavorare, frequentare un corso di segretaria, imparare la stenografia, mantenersi. Il padre non glielo permetteva, diceva che sarebbe uscita da casa sua solo per andarsi a sposare e io le proposi di sposarci. Ero uno studente universitario, ci volevamo molto bene e credevamo entrambi che fosse una specie di amore. Tutto bene i primi tempi, poi iniziammo a mal tollerarci, io la tradii molto e lei mi chiese il divorzio. Non ci amavamo però io lo vissi comunque come un fallimento anche perché non studiavo più e mi ero chiuso in me stesso. Mi feci un borsone e mi imbarcai. Ho lavorato su qualche nave e anche in qualche porto e quando sono arrivato qui ho deciso di rimanere.” Amaranta ebbe l’impressione che non si sarebbero mai fermati al bar simpatico, lui guidava convinto ma era chiaro che fossero semplicemente a zonzo. Fernando stese il braccio destro sullo schienale, dietro le spalle di Amaranta e iniziò a giocare distrattamente con la spallina del suo vestito, lei si accomodò avvicinandosi a lui e seguendo l’istinto gli posò la mano sinistra sulla coscia, la tenne ferma un attimo e poi la fece scivolare sul ginocchio spostandosi verso l’interno. Fernando, che non se lo aspettava, si sentì avvampare e smaniare e constatò che c’era un solo modo di far finire quello sfinimento e non aveva senso prolungarlo oltre. Attrasse con forza verso di sé Amaranta e dalla sua spalla scese con la mano sul fianco. Era una specie di lotta silenziosa in cui ogni tocco era un morso, un atto di conoscenza, l’acquisizione di un gusto nuovo. Non parlavano e quando Fernando fermò la macchina al lato del malecòn, dall’altra parte della strada di fronte alla porta della casa di donna Teresa, avevano il viso sconvolto dalla fame, gli occhi lucidi ed eccitati e le mani rapaci. Si sforzavano di tenere un contegno ma mentre attraversavano la strada tenendosi distanti cercavano in ogni modo una scusa per sfiorarsi. A pochi passi dal gradino davanti alla porta Fernando si fermò prendendosi una sigaretta e offrendola anche a lei. Accese per entrambi e la guardò sotto la luce soffusa con i capelli un po' in disordine, le guance rosse e gli occhi scuri e allungati che brillavano. “Entri?” gli domandò lei sottovoce. Lui si fece più vicino e la portò a indietreggiare verso il muro: “Sei sicura Amaranta?” Amaranta poteva non sembrare molto lucida, poteva non avere chiare alcune implicazioni, ma non era mai stata più sicura di nient’altro. “Io vorrei che tu entrassi.” Lo disse piano, guardandolo dritto negli occhi neri montati tra le sopracciglia scure e folte e gli zigomi alti; gli appoggiò la mano sul petto mentre parlava e Fernando non volle più sapere altro. Lei gli porse la chiave e lui aprì la porta con urgenza. La fece entrare per prima, sbattendo la porta dietro di sé e sollevandola sul piano in pietra del lavandino. Le posò le mani calde sulle cosce e le fece scivolare indietro l’orlo del vestito nero, Amaranta aprì le gambe e lui si avvicinò, la baciò piano all’iniziò e man mano che la foga aumentava le loro mani cieche imparavano a conoscere spazi nuovi. “Potrei voler rimanere” le sussurrò rauco all’orecchio e Amaranta gli rispose tirandolo verso di sé dopo avergli slacciato la cintura “Me lo auguro davvero”. Mancavano undici minuti a mezzanotte quando la tempesta liberò il vento sulla città coloniale francese e la pioggia frustò gli edifici dai colori pastellati che sembravano grandi biscotti da tè glassati, i più temerari cercavano riparo all’ultimo minuto ridendo sguaiati e i musicisti ritardatari si trascinavano bonghi e chitarre sperando di non bagnarli. La donna giallo-aranciata che abitava alla casa di lato ad Amaranta credette di sentire delle grida concitate, però soffriva d’insonnia e il suo udito non era più quello di prima. Poi però fu sicura di aver sentito bene perché colse qualcuno che gridava “Fernando” e allora sorrise tra sé e sé e sgomitò suo marito che russava accanto a lei al buio: “Lo vedi a che servono i temporali di notte?” Lui non la sentì ovviamente e lei bofonchiò “Ay, ma che ne sai tu”.

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