Curonian pride and bloody swords

di May Jeevas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Feliks ***
Capitolo 3: *** 2-Battaglia e incontro ***
Capitolo 4: *** Dubbio ***
Capitolo 5: *** Gilbert ***
Capitolo 6: *** Conoscersi ***
Capitolo 7: *** Ricordi ***
Capitolo 8: *** Possibilità ***
Capitolo 9: *** Comprendersi ***
Capitolo 10: *** Nord ***
Capitolo 11: *** Bottini di guerra ***
Capitolo 12: *** L'inizio ***
Capitolo 13: *** Duello ***
Capitolo 14: *** Promessa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.

Riga, 1210

Gilbert guardò dalla torre più alta delle mure le navi che si allontanavano sul fiume Daugava. Ghignò, snudando il canino destro, una soddisfazione selvaggia gli fece brillare gli occhi cremisi. Alzò la spada ancora sporca di sangue verso il cielo, lasciandosi andare a un urlo liberatorio. Quei miscredenti non erano durati nemmeno due giorni, la diocesi di Riga era salva e i pellegrini avrebbero potuto continuare a utilizzare quella tratta al sicuro.
“Non valete un singolo asse!” si sgolò il ragazzo, portando la spada verso la direzione delle navi in ritirata. “Non valete nemmeno…”
“Gilbert”
Il cavaliere si ricompose all’istante senza però perdere il ghigno feroce.
“Comandante.” salutò, mettendo le mani dietro la schiena e cercando una postura più eretta.
“L’ordine dei Cavalieri Portaspada non schernisce gli sconfitti. Mi aspetto una costante compostezza da te.”
Gilbert non perse l’espressione trionfante, ma fece un cenno di assenso con la testa per non indisporre il superiore.

 

Foce del fiume Daugava, Mar Baltico, 3 giorni dopo.

Toris avvistò le navi quando erano ancora all’orizzonte. Gli occhi brillarono e cominciò a correre giù per il pendio più veloce che poteva.
“Eduard!” urlò, cercando il suo migliore amico. “Eduard! Sono tornati!”
L’amico saltò giù da un albero e il volto si oscurò alle parole di Toris. Il più piccolo lo raggiunse, trafelato dalla corsa.
“Forza!” esclamò sorridente, prendendolo per il polso. “andiamo ad accoglierli!”
Eduard non ebbe cuore di guastare quella felicità. Forse si sbagliava lui. Forse era possibile che avessero preso la città in quattro giorni e che fossero tornati vincitori. Forse… Eppure quel peso che premeva sullo stomaco non lo abbandonò, così come quella sensazione negativa che sembrava strisciargli sotto pelle come un serpente.
Arrivarono alla foce del fiume che le navi stavano già attraccando. Toris si fermò, ansimante, gli occhi blu che saettavano da una nave all’altra, carichi di aspettativa. Eduard, a pochi passi da lui, si guardava intorno più cauto, quella sgradevole sensazione che affondava i denti nel petto sempre più. Troppo pochi stavano scendendo dalle navi. Alcuni senza armi, molti feriti. Il ragazzo individuò suo padre e lo raggiunse, abbracciandolo.
“Mi spiace, figliolo…” mormorò l’uomo stringendolo forte a sé “non abbiamo potuto fare nulla” la voce piena di amarezza diede conferma a quel maledetto presentimento. Eduard si gelò quando sentì dei passi leggeri dietro di lui. Suo padre sciolse l’abbraccio e si avvicinò a Toris, accucciandosi per guardare il bambino negli occhi.
“Toris, mi dispiace tanto” cominciò con delicatezza, prendendogli il viso tra le mani. “ma i tuoi genitori…”
Toris fissava le labbra dell’uomo che si muovevano senza riuscire a sentire le parole. Non riusciva a capire. Non voleva capire.

“Non abbiamo resistito nemmeno un giorno” la voce era piena di amarezza, un sussurro appena udibile. Toris continuò a far finta di dormire, stringendo tra le dita i lembi della coperta.
Eduard e suo padre stavano parlando dell’assedio. E lui voleva sapere tutto.
“Ci hanno sterminato in poche ore. Sono dei demoni scesi in terra. Abbiamo pianto i caduti per tre giorni.” concluse con un veleno nella voce che nascondeva il dolore della sconfitta.
“Adesso cosa faremo?” anche la voce di Eduard era fioca.
Il padre sbuffò.
“Torniamo a casa. Continueremo a opporci a questo invasore, certo, ma per adesso lo scontro aperto non lo possiamo vincere.”
Toris aggrottò le sopracciglia. Non gli piaceva l’idea di scappare. Nel petto sentiva una voragine aperta da quando aveva saputo della morte dei suoi genitori, e da quella voragine una voce gridava vendetta.
La voce di Eduard continuò, questa volta un po’ titubante. “Sono davvero così pericolosi?”
“Quando sono all’interno delle mura sì. Non siamo riusciti ad avvicinarsi. E chi ce l’ha fatta ha trovato un cavaliere che li ha sterminati. Uno con gli occhi rossi come braci infuocate.”
Toris sentì l’amico ingoiare a vuoto.
“E’ stato lui a…”
Toris non ebbe bisogno di aprire gli occhi per capire il significato di quella frase. Il respiro gli si fermò in gola, si nascose completamente sotto la coperta per non sentire più.
Non aveva più voglia di sapere.
 


Angolino di May
E che Writober sia, anche quest’anno! SuggeritramaJames ha avuto la meravigliosa idea di fare una long. Giusto per cambiare e per rendermi la scrittura più difficile!
Precisazione: ho dovuto un attimo studiare per mettere il prompt di oggi nella storia! Dopo acune ricerche ho scoperto che l’Asse (o Asso) era una moneta utilizzata in epoca romana e che non valeva praticamente niente. Da lì il termine “non valere un asso”.
Allora, gli avvenimenti del prologo hanno davvero avuto luogo nel 1210, quando i Curi tentarono di assediare la città di Riga. I Paesi Baltici erano ancora politeisti e qualche anno prima era nato l’Ordine dei Cavalieri Portaspada (o Fratelli della Spada) proprio con lo scopo di cristianizzare quelle terre. Anche se le basi di fondo sono storiche non ho la pretesa di raccontare in modo esatto e corretto i fatti avvenuti. Spero che gli storici più preparati di me nel fandom mi perdonino!
Spero anche di avervi incuriosito, almeno un minimo, e se vorrete farmi compagnia in questo mese e in questa storia, siate i benvenuti e… salpiamo insieme!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 2
*** Feliks ***


Capitolo 1: Feliks

 

Trelleborg, odierna Danimarca, 1217

Il vento gelido che batteva sulla banchina fece rabbrividire il ragazzino che cercava di nascondersi nella folla. Due occhi felini verdi come smeraldi scrutavano attenti attorno a lui. Era riuscito a rubare dei vestiti locali e passava abbastanza inosservato. Quell’incubo sarebbe finito presto, si disse cercando di farsi coraggio. Doveva solo trovare una nave diretta a sud, e con un po’ di fortuna nessuno si sarebbe accorto della sua fuga.
Studiò le navi attraccate senza fermarsi, cercando di capire quale poteva offrirgli un rifugio sicuro. Un tizio coi capelli biondi sparati in mille direzioni stava parlando concitato con un altro ragazzo. Il discorso bloccò Feliks, mettendolo sull’attenti.
“Certo che li batteremo! Non possiamo mica permettere a quei dannati Curi di avere la predominanza sul nostro mare, giusto? Chi siamo noi?” il ragazzo biondo lanciò il braccio destro verso il cielo, guardando il compagno con aspettativa.
L’interpellato lo guardò di traverso, le braccia ancora incrociate sul petto e un’espressione esasperata sul volto.
“Chi siamo noi?!”il più alto non si arrese, il braccio sempre verso l’alto. Non degnandolo di una risposta, il più giovane lo sorpassò e si diresse verso una nave. L’altro ragazzo lo inseguì indispettito. “Noi siamo i terribili Vichinghi, i dominatori del Baltico! Ohi! Mi hai sentito?!” urlò non dandogli tregua.
Feliks li guardò, un senso di gelida nostalgia gli aveva attanagliato il cuore. Ricordi d’infanzia gli affollarono la mente, distraendolo dall’obiettivo, mentre l’aria scandinava gli gelava il volto e le mani. Trattenne a fatica un urlo quando un uomo gigantesco lo urtò, passando davanti agli occhi con il moncherino sanguinante di quello che era stato un braccio. Cercò di ricomporsi, chiudendo i ricordi molesti nella sua mente. Prima o poi non gli avrebbero più fatto quell’effetto. Corse ancora verso il limitare della banchina. In qualche modo doveva nascondersi su una nave e fuggire da quella terra straniera.
Impallidì quando vide in lontananza il vichingo che aveva imbrogliato, e senza pensarci salì sulla nave più vicina e si accucciò dietro la balaustra per nascondersi. Sentiva la voce profonda dell’uomo vicina, evidentemente si era fermato a parlare vicino all’imbarcazione. Feliks si morse il labbro inferiore mentre frustrazione e impazienza crescevano dentro lui. Doveva andarsene al più presto, aspettava solo che quella voce si allontanasse. Dopo un tempo che gli parve infinito finalmente la voce si allontanò. Come se stesse sulle braci ardenti, Feliks saltò in piedi pronto a correre giù dalla barca. Stava per lanciarsi verso il molo quando una mano si posò sulla sua spalla, fermandolo.
“E tu che ci fai sulla mia nave?” il ragazzo sentì il cuore salirgli in gola mentre si voltava e osservava che era il ragazzo che prima stava discutendo con un altro vichingo più giovane. Gli occhi felini di Feliks si spalancarono dall’orrore di essere stato scoperto e dalla paura di quello che lo aspettava.


L’acqua scorreva veloce sotto la nave, Trelleborg era ormai all’orizzonte. Feliks si concentrava sul movimento delle onde, lo distraeva e gli impediva di andare nel panico.
Mathias, il ragazzo che governava la nave, aveva subito capito che non era un vichingo come loro, ma era salpato lo stesso, ghignando e affermando che due braccia in più sarebbero state comunque utili contro i Curi. Feliks non aveva avuto il coraggio di dire che lui, con la spada, era negato.
E anche se fossi un bravo spadaccino non combatterei mai contro…
No, quel pensiero era meglio non formularlo nemmeno. Irritato, si dedicò a stirarsi la giubba che aveva addosso. La odiava, era ruvida e gli faceva male alla pelle. Sbuffò, cercando di tenere i pensieri impegnati. Non stava andando a combattere contro i Curi e non era mezzo prigioniero su una nave vichinga. Rimpianse di non aver avuto il coraggio di buttarsi in acqua quando era ancora vicino al porto, maledendo il suo istinto di sopravvivenza e la sua reticenza nell’imparare a nuotare.
A quel pensiero si allontanò dalla balaustra. Si guardò in giro, cercando un conforto che non arrivò.
Si morse il labbro cercando di non cedere alle lacrime, non quando c’era gente intorno.
Decise di disfarsi di quei vestiti ruvidi e di cercare se su quella nave maledetta ci fossero abiti più comodi.
 


Angolino di May
JamesSuggeritrama fa già i capricci e oggi è andato in sciopero. Vabbè, spero che questo capitolo non faccia troppo schifo.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti!
Mata ne!

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Capitolo 3
*** 2-Battaglia e incontro ***


Capitolo 2: Battaglia e incontro.

Coste della Curlonia, attuale Lettonia, 1217
Toris digrignò i denti, rabbia e paura montavano dentro di lui mentre correva sui sentieri del villaggio, andando a recuperare la sua spada e il suo arco.
“Come hanno fatto ad avvicinarsi così tanto quei maledetti?!” urlò rabbioso arrivando vicino a Eduard, anche lui con una ruga preoccupata e già pronto a combattere. La nave nemica si avvicinava correndo sul mare, si sentivano già le urla dei vichinghi pronti all’attacco.
“Non abbiamo navi sul Baltico al momenti, Toris. Molti dei nostri sono ancora nell’entroterra”
Il ragazzo incurvò la bocca mordendosi il labbro inferiore alle parole dell’amico.
Entroterra. Perchè non dici direttamente Riga? Pensò, la ferita ancora aperta dopo tutti quegli anni. Con movimenti nervosi raccolse i capelli lunghi fino alla spalla in una coda affinché non gli dessero fastidio durante l’attacco. Non era la prima volta che lui ed Eduard erano responsabili del loro villaggio. Lasciò da parte i pensieri legati a Riga e si concentrò sulla difesa che doveva essere organizzata.
Tese l’arco, testando l’elasticità della corda. Automaticamente mirò verso le navi che si scorgevano al largo, senza freccia. Il braccio si tese il più possibile, e Toris annuì soddisfatto. Voltò lo sguardo verso sud-est, dopo la collina che provvedeva il villaggio di cacciagione.
“Eduard.” annunciò, senza distogliere lo sguardo. “raccogli i migliori arcieri disponibili e falli venire con me. Tu tieni gli spadaccini più capaci e difendete il villaggio. Noi vi raggiungeremo il prima possibile.”
Eduard seguì lo sguardo di Toris e annuì. Mise una mano sulla spalla del più giovane e strinse la presa con affetto e determinazione prima di correre a eseguire come gli era stato detto.

Eduard finì un nemico che era rimasto mortalmente ferito dalle ustioni. Il piano di Toris aveva funzionato e aveva di sicuro fatto risparmiare tempo e vite umane. Mentre lui e gli spadaccini facevano da esca dietro la spiaggia, Toris era andato e recuperare due navi con i migliori arcieri, che arrivando alle spalle dei nemici avevano dato fuoco alle loro imbarcazioni, imprigionandoli in una gabbia fatta di fuoco e spade, impedendo loro qualsiasi ritirata
“Raccogliamo i corpi nemici, prendo una barca e li getto in mare.” Toris lo disse monotono, il volto macchiato di sangue e il braccio che sanguinava.
“Possiamo aspettare domani, adesso riposiamo e occupiamoci dei nostri.” lo disse con gentilezza, ma il tono non ammetteva repliche. Toris gonfiò un poco le guance prima di sbuffare, un tic che gli era rimasto da che era bambino.
“Va bene. Ma la ferita me la curo io.” borbottò, allontanandosi.

Quella notte, il ragazzo non riusciva a dormire. Si rigirava nel giaciglio, l’adrenalina della battaglia che ancora non calava. Mosse il braccio bendato (alla fine Eduard lo aveva dovuto aiutare nella medicazione), si alzò in piedi e accese una torcia, uscendo al freddo della notte.
Adorava l’aria pungente e salmastra che graffiava gelida la pelle. Sapeva di casa, e gli ricordava le notti passate con suo padre sotto il cielo stellato, quando il genitore lo istruiva sulle stelle e come orientarsi di notte in barca. Sorrise a quel ricordo, malinconico. Volse lo sguardo verso la luna piena che illuminava il cielo specchiandosi sul mare. Toris continuò a camminare fino alla spiaggia, sdraiandosi sulla sabbia e incastrando bene la torcia in modo che non si spegnesse. Il cuore gli batteva ancora forte. Alla fine avevano vinto e i pochi nemici sopravvissuti erano scappati su una barchetta di fortuna che lui non era riuscito a raggiungere con le frecce infuocate. Poco male, avrebbero raccontato che i Curi non si sarebbero lasciati sconfiggere facilmente, e che dalle loro terre era meglio stare alla larga.
Un gemito lo fece sedere di scatto. Si guardò intorno, cercando la fonte del rumore recuperando la torcia Poteva essere un lupo o un’animale selvaggio nei dintorni. Fece un paio di passi facendosi luce per vedere meglio. Identificò una sagoma priva di sensi sul bagnasciuga poco distante da lui. Svelto prese il pugnale che portava sempre con sé: magari era un animale ferito che poteva sfamare il villaggio, o parte di esso, per qualche giorno.
Man mano che si avvicinava, però, si rese conto che sia i gemiti che la sagoma appartenevano a un essere umano. Le fiamme della torcia illuminarono un volto delicato sporco di sabbia e coperto di graffi. Le labbra erano blu e i denti battevano per il freddo. I capelli biondi erano poco più corti dei suoi con un tagli irregolare ed erano zuppi, esattamente come gli abiti…
Gli abiti.
Toris scattò sull’attenti e strinse di più le dita sul pugnale.
Il ragazzo indossava vestiti vichinghi.
D’istinto portò l’arma al collo bianco del ragazzo, pronto a finirlo. In quel posto non c’era pietà per i nemici.
All’improvviso il volto del ragazzo si mosse, causandosi un taglio superficiale dove lama di Toris premeva, le palpebre si strinsero e le labbra si mossero in un sussurro: “Mokosh”.
Il ragazzo sussultò dalla sorpresa. Tolse la lama dal collo del ragazzino e lo guardò, gli occhi azzurri che squadravano quel corpicino con curiosità e diffidenza.
Toris non capì mai bene la motivazione che lo portò a caricarsi quel ragazzo sulle spalle e a dirigersi verso casa sua. Sentiva il fiato spezzato e i denti che battevano a un respiro dalla sua guancia mentre tornava verso il villaggio, e non capiva perché stesse facendo una cosa del genere per uno sconosciuto, anzi, probabilmente un nemico.
Non lo capì mai, ma negli anni seguenti ringraziò gli Dei per averlo guidato quella notte.
 


Angolino di May
Come dite? Sono in ritardo? guarda malissimo James eh, lo so, chiedo venia. Corro a scrivere il prompt di oggi così magari prima di mezzanotte lo finisco e forse riesco a pubblicarlo. Aiuto.
Mokosh vuol dire “madre” in slavo antico. In realtà mi sarebbe servito in curese, o in polacco antico al massimo, ma chissà perché non sono riuscita a trovare nessuna delle due traduzioni. E allora la lingua che più si avvicinava geograficamente era lo slavo antico. Se non è chiaro dalla scena, Feliks parla la lingua di Toris, facendo capire al nostro protagonista che non è un nemico come aveva pensato in un primo momento.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 4
*** Dubbio ***


Capitolo 3: Dubbio

Feliks si sentiva la testa esplodere e le orecchie fischiavano.
Si sentiva vuoto, come se stesse galleggiando all’interno di una bolla.
Non voleva aprire gli occhi. Quello stato di mezza incoscienza gli stava benissimo. Non aveva freddo, anzi, stava bene, era appoggiato su qualcosa di morbido e lui avrebbe voluto stare così ancora per un po’.
Strizzò gli occhi, cercando di allontare il fiume di pensieri che, sapeva, sarebbe arrivato incontrollabile. Tentò almeno di prendere un’informazione per volta
Era stato costretto a salpare su una nave vichinga per andare in battaglia contro i Curi.
In qualche modo era riuscito a evitare il bagno di sangue nascondendosi sulla nave, non partecipando all’attacco.
La nave aveva preso fuoco.
Lui si era trovato in mezzo tra il fuoco e l’acqua gelida del mare, maledicendosi per l’ennesima volta per non aver imparato a nuotare. Si era buttato tra le onde quando l’albero della nave era caduto e una lingua di fuoco aveva mancato i vestiti di un soffio.
Aveva provato a muoversi sott’acqua, e quello era il suo ultimo ricordo concreto. Quello, e il pensiero che sarebbe morto come sua madre.
Aprì gli occhi a fatica. Bruciavano. Inspirò profondamente. Bene, non era morto. Fissò il soffitto della piccola stanza dove si trovava. Gli intrecci di foglie, paglia e legno fecero correre le pupille fino al punto più alto del sottotetto. Provò a muovere le dita e le braccia, portandole alla fronte. Se le ritrovò sporche di sabbia e fango. Le labbra si piegarono in una smorfietta, mentre voltava il viso per guardare l’abitazione in cui era.
Fosse stato in migliori condizioni sarebbe sussultato nel vedere di fianco al letto dove giaceva un giovane per terra. Feliks sbattè le palpebre più volte per metterlo a fuoco. I capelli marrone scuro gli cadevano sulle spalle e gli occhi azzurri erano concentrati sui movimenti delle mani. Seguì lo sguardo di quel ragazzo e vide dita agili e esperte fabbricare quelle che sembravano frecce. L’arco abbandonato vicino al letto gli diede la conferma. Gli occhi tornarono sul giovane. Aveva un volto dai lineamenti gentili ma segnato da rughe di preoccupazione e quasi da un alone di saggezza. Feliks si morse la lingua a quel pensiero, dandosi dello stupido. Il ragazzo doveva essersi sentito osservato perché si girò verso di lui. Subito gli occhi si indurirono, la calma di poco prima sostituita dal sospetto. Feliks ingoiò a vuoto, sentendosi atterrare da quello sguardo. Il ragazzo gli chiese qualcosa in una lingua che non capì. Continuò a fissarlo con quello sguardo duro, aspettando una risposta. Quando non arrivò, ripetè la domanda, avvinandosi al letto. Feliks lo guardò dritto negli occhi, aprì la bocca ma non uscì nessun suono. Scosse piano la testa, cercando di comunicare con gli occhi.
Il ragazzo esclamò quella che Feliks immaginò fosse un’imprecazione e si passò una mano sui capelli. Con gesti capì che il ragazzo voleva che rimanesse all’interno dell’abitazione. Da come si sentiva, il più piccolo non si sarebbe nemmeno alzato dal letto per i prossimi mesi. Vide il suo ospite prendere un mantello con capuccio verde e dirigersi fuori. Prima di uscire si voltò un ultima volta, il volto aveva perso un po’ della durezza. Si indicò il pesso con l’indice. “Toris” disse. L’altro lo guardò un secondo prima di imitarlo e abozzare un sorriso. “Feliks.”

“Tu hai fatto cosa?!” Eduard non provò neanche a mascherare il suo sgomento. Toris ignorò lo sguardo attonito e indagatore dell’amico, non degnandolo di una risposta.
“Noi non facciamo mai prigionieri!” rincarò la dose, e Toris sbuffò, continuando a sostituire l’ancora della nave dopo che si era danneggiata durante l’attacco.
“Lo so. Ma non è un prigioniero… l’ho sentito parlare la nostra lingua.” era una scusa patetica a cui nemmeno lui credeva. Poteva essere che avesse scambiato una parola per un’altra, che non avesse sentito bene…
Ma perché non lo aveva ucciso subito, mannaggia a lui?!
“Toris, mi hai appena detto che non ti ha capito quando si è svegliato!” sottolineò Eduard, il volto carico di rimprovero.
Non seppe come rispondere a quell’accusa, perché era vera. Non seppe nemmeno perché quella parola sussurrata lo avesse fatto agire così d’impulso. I Curi erano una tribù che basava tutto sulla fratellanza e unione fra loro, ma contro i nemici erano spietati, sempre e comunque.
“Ho pensato che potesse essere uno di noi, Eduard.” dichiarò, cercando di convincere più che altro sé stesso. “Se lo fosse stato? Non mi sarei mai perdonato di averlo ucciso o abbandonato al proprio destino.” i pensieri lo riportarono a sette anni prima e alla sconfitta che avevano subito a Riga, il ricordo del padre di Eduard che raccontava al figlio che avevano pianto i caduti gettandoli nel fiume per tre giorni. Il cervello gli fece vedere i suoi genitori sulle sponde del fiume, ancora vivi, che venivano abbandonati a loro stessi. Ebbe un conato di nausea a quel pensiero e lo cacciò via in fretta. Cercò di riprendersi. “Comunque. È un mio problema e lo risolverò io. Va bene?” guardò l’amico negli occhi. “Non lo dirai a nessuno, vero?”
Eduard ricambiò lo sguardo, prima di abbandonare il cipiglio severo.
“Certo che no, Toris. Ma sappi che non hai molto tempo per sistemare la situazione, il villaggio è piccolo e non potrai tenerlo nascosto per molto.”
Il ragazzo si alzò, l’ancora finalmente a posto. Lo sapeva bene. Si chiese se avesse avuto la forza, se fosse stato necessario, di uccidere quel ragazzino che lo aspettava. Sentì come un pugno allo stomaco nel ripensare allo sguardo che gli aveva rivolto quando gli aveva detto il suo nome. Lo sguardo di uno che si affidava e si fidava a lui. Aggrottò le sopracciglia, negando a sé stesso di sapere già la risposta a quel dubbio.
 


Angolino di May
James o non fa nulla o fa il doppio. Va beh, penso che me lo devo prendere così sto suggeritrama da strapazzo.
Riguardo al capitolo, niente da dire, mi sembra di andare a rilento e per questo mi scuso. Vedremo domani come si comporteranno questi personaggi.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

 

 

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Capitolo 5
*** Gilbert ***


Capitolo 4: Gilbert

Diocesi di Riga, 1217
Gilbert affondò l’attacco contro il manichino fatto di paglia, andando a centrare il punto preciso che voleva colpire. Ritrasse l’arma, ansimante, passandosi il braccio sulla fronte per impedire al sudore di cadere sugli occhi. Alzò lo sguardo, fissando i riflessi dell’alba sul fiume. Un attimo id pace prima che cominciasse un’altra giornata.
C’era così calma piatta nell’ultimo periodo che quasi sperava in un altro tentato assedio giusto per combattere la noia. Si sentiva sprecato lì, dove il suo talento non veniva sfruttato appieno e dove gli sembrava di stare marcendo e buttando gli anni migliori della sua vita.
Con passo deciso andò a cercare la persona con cui lamentarsi. La trovò nelle sue stanze, intento a scrivere di sicuro qualche pergamena di poco conto. Entrò senza bussare. L’altro lo degnò di un solo sguardo prima di tornare a scrivere.
“Ohi, Roderich!” esclamò il cavaliere, avvicinandosi di gran passo allo scrittoio.
“Gilbert. La risposta è no.” rispose calmo l’interpellato, con una compostezza e un distacco che fecero andare sulle tutte le furie il templare.
“Cosa vuol dire, no?! Non sai nemmeno perché sono qui! E guardami quando ti parlo!”
Roderich non alzò lo sguardo, continuando le sue mansioni.
“Immagino sia qui perché vorresti che io scrivessi a Sua Santità riguardo al fatto che qui non si combatte abbastanza e che vorresti andartene in un posto dove potresti tranciare pezzi di essere umani più frequentemente.” rispose, sempre con una compostezza degna di un nobile d’alto rango. “E ti dico già che non lo farò, Gilbert. Ne ho parlato con il tuo capitano, e come ti ho già spiegato, voi Cavalieri Portaspada siete stati creati per convertire questa zona dagli infedeli, ergo, a nessuno di voi è concesso muovervi.”
Gilbert digrignò i denti, deluso e arrabbiato.
“Ma io mi annoio, Roderich! Voglio combattere seriamente, voglio sentire l’ebrezza della battaglia, voglio vedere il sangue del nemico sulla mia spada e su i miei vestiti!” si lamentò quasi come un bambino il Fratello della Spada, urtando un oggetto con il braccio. Roderich, fulmineo, si alzò e prese lo strumento prima che toccasse terra, il volto preoccupato.
“Ti chiederei la cortesia di stare attento con le proprietà altrui!” sibilò, mettendo l’oggetto a posto con cura e prendendo le pergamene a cui stava lavorando. “Devo andare a parlare con l’Arcivescovo. Ti pregherei di chiudere la porta quando esci. Buona giornata, Gilbert.” annunciò il ragazzo, uscendo dalla stanza.
Gilbert rimase solo con la sua frustrazione. Maledetto damerino! Manco un favore a un amico riesce a fare! Buono a nulla! Fu tentato dal tirare un calcio a qualcosa per romperla, ma il suo sguardo ricadde sullo strumento che Roderich aveva salvato con tanta passione. Ghignò, prendendolo prima di uscire, ricordandosi naturalmente di chiudere la porta.

Gilbert fu quasi contento nel sentire il bussare coincitato contro la porta della sua stanza, quella sera. Evidentemente Roderich ci aveva messo un po’ ad accorgersi del furto. Aprì la porta ghignante, pregustandosi la faccia incavolata dell’amico. “Bene, bene, immagino che sia qui per… e tu cosa ci fai qui?!”urlò le ultime parole con una tonalità ben al di sopra di quella che avrebbe voluto.
Capelli marroni lunghi scarmigliati, occhi verdi che lanciavano lampi che promettevano morte, una pentola arrugginita stretta in una mano tenuta come un’arma e un’espressione che avrebbe voluto avere lui in battaglia per spaventare i nemici.
“Elizaveta.” sibilò a denti stretti.
La ragazza continuò a incenerirlo con lo sguardo e senza dargli il tempo di reagire entrò a grandi passi nella stanza. “Dov’è?” urlò, guardandosi intorno.
Gilbert cercò di rimporsi. “Tipico del damerino mandare te invece di affrontarmi. Scusa, Liz, ma questa è una questione tra me e lui.”
Elizaveta scosse la testa convinta, e si avvicinò a lui fino a fissarlo dritto negli occhi. “Restituisci subito la viella al signorino Roderich!”
Gilbert non potè trattenersi dal riderle in faccia a quelle parole.
Dio Santo, quella ragazza era la persona meno elegante e raffinata che conosceva, e il modo in cui dirigeva la cucina lo dimostrava, eppure poi cadeva in certe formalità come venerare ancora quello che alla fine era un damerino che conosceva fin da quando era bambina.
Il cavaliere si pentì di quel momento di distrazione quando sentì un oggetto di ferro cozzare in maniera molto forte e dolorosa con la sua testa, facendolo piegare. Si portò le mani al punto colpito, volgendo gli occhi rossi e rabbiosi verso la ragazza, che aveva ancora la pentola in mano dopo averlo colpito.
“Il signorino Roderich mi ha detto di darti questo.” Elizaveta gli porse una piccola pergamena “ma se non ti convincerà non mi farò remore a colpirti di nuovo e a riprendermi la viella a modo mio!” concluse, guardandolo ancora arrabbiata. Gilbert lesse controvoglia. Dimenticò il dolore e la rabbia. Saltò sull’attenti e corse verso il posto dove aveva nascosto lo strumento, porgendolo alla ragazza.
Lei lo prese, annuendo.
“Quando mi insegni a combattere con la spada?” chiese a bruciapelo dirigendosi verso la porta.
Gilbert la guardò torvo. “Quando mi passa il bernoccolo che mi hai appena fatto.”
Elizaveta lo salutò con una linguaccia prima di uscire.
Il ragazzo prese la spada e tirò due fendenti contro l’aria, un nuovo vigore ad animarlo. Guardò ancora sul biglietto sul tavolo.
Gilbert. L’arcivescovo mi ha informato che ci sono stati scontri tra Vichinghi e Curi non lontano da qui. Settimana prossima parte una pattuglia di ricognizione. Ho fatto il tuo nome per guidarla e per farti avere campo libero in caso di incontro con i nemici.
Roderich.
Ps ti sarei profondamente grato se avessi la cortesia di restituirmi la mia cara viella di cui ti sei appropriato senza il mio permesso.

 


Angolino di May
Il prompt di oggi era Violino. Ho chiesto a Sissi se esistessero già i violini nel 1200, e la risposta è stata negativa, ma è stata così gentile da dirmi che la viella è un suo antenato. Quindi non potevo non usare Roderich, e mi sono anche divertita a inserire Ungheria per farle maltrattare un po’ Gilbert (ammettiamolo, se lo merita).
Bene, la scacchiera è pronta, i pezzi si stanno per muovere.
James, non sono più ammessi scioperi!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 6
*** Conoscersi ***


Capitolo 5: Conoscersi.

A Toris non sfuggì l’occhiata di Eduard quando si allontanò dal fuoco prima di tutti e prese un pezzo di carne e delle patate cotte in più. Uno sguardo eloquente a cui il ragazzo sfuggì. Non aveva voglia di pensarci, non in quel momento. Si allontanò velocemente, cercando di npn dare nell’occhio.
Aprì la porta di casa, posò il il recipiente con il cibo sul mobiletto e accese una candela.
Gli occhi smeraldini di Feliks lo accolsero.
“Ciao, Tolys!” lo salutò allegro.
Toris cercò di ricambiare il sorriso. Nei due giorni precedenti Feliks si era dimostrato un ragazzino sveglio e soprattutto una curiosità verso le loro usanze che aveva stupito il ragazzo più grande. Aveva già memorizzato delle parole e comunicare con lui a gesti ed espressione riusciva particolarmente facile. A parte quella strana pronuncia che aveva quando pronunciava il suo nome. Era riuscito a comunicare che non era un vichingo e che era stato preso prigioniero, non aveva nemmeno partecipato all’attacco, il che aveva un po’ sollevato il morale a Toris, facendolo sentire meno in colpa verso la sua gente: non aveva portato un potenziale nemico tra loro. Però non era riuscito ancora a spiegare da dove venisse. Toris cercò di trattenere il sospiro, mentre osservava lo straniero umettarsi le labbra alla vista del cibo. Ancora non aveva trovato una soluzione da raccontare al resto del villaggio, quindi non aveva ancora potuto fare uscire Feliks da casa sua, e questo non poteva non farlo sentire in colpa. Sembrava di avere un prigioniero più che un ospite, e quella sensazione gli dava prurito sotto la pelle. Odiava chi prendeva prigionieri, non era un’usanza che i Curi condividevano. Il nemico meritava una morte immediata. Si sedette vicino a Feliks, che aveva cominciato a piluccare il cibo.
Mi spiace che tu non possa uscire. Toris lo gesticolò guardandolo triste. La reazione fu una reazione rassegnata accompagnata da un sorriso mite.
Non preoccuparti. Non voglio ancora morire. Feliks lo gesticolò quasi scherzando, ma questo non fece sentire l’altro ragazzo meno in colpa.

Il senso di colpa fu spazzato via in un secondo quella notte, quando si svegliò senza un motivo preciso e si girò assonato sul giaciglio improvvisato e vide il suo letto vuoto. Imprecò, scattando in piedi a prendere faretra e arco prima di correre fuori nel gelo della notte.
Lo ammazzo! Questa volta lo ammazzo davvero! Pensò, furioso, mentre correva tra le vie del villaggio cercando quel caschetto di capelli biondi. Ma non ebbe successo. Toris ebbe appena il tempo di rincuorarsi che almeno Feliks non era stato così idiota da rischiare di essere visto da altre persone, abbassò l’arco e se lo caricò sulla schiena. Pensò a dove poteva cercarlo. Magari era scappato e stava cercando di tornare nella sua terra. Forse sarebbe stata la soluzione migliore per tutti. Colto da un presentimento improvviso, Toris si diresse verso l’insenatura dove tenevano le barche.

Fu sollevato nel vedere che le barche c’erano tutte e che il suo ospite non era diventato un ladro. Lo fu ancora di più quando, sugli scogli all’estremità della spiaggetta, vide una figura minuta cui i capelli chiari riflettevano la luce della luna.
Toris si avvicinò. Feliks aveva preso dei suoi vestiti pesanti, indossati velocemente. Gli cadevano larghi e sia maniche che le gambe delle brache erano lunghe. I calzari che aveva indossato erano pieni di salsedine bianca e secca, segno che non era uscito da poco. Almeno non sembrava avesse intenzione di scappare. Il ragazzino si accorse di lui quando era ormai a pochi passi, e subito assunse l’espressione tipica di un bambino colto con le mani nel sacco. Cercò di sorridere, come per scusarsi, ma Toris non perse il cipiglio corrucciato. Lo raggiunse e si fermò di fianco a lui.
Perché? L’espressione era a metà tra il sollievo e la rabbia, oltre alla preoccupazione.
Feliks si voltò verso di lui, mostrandogli il foglio che teneva in mano. Toris lo riconobbe subito, era una mappa disegnata malissimo da lui e da Eduard quando erano ancora dei bambini, dopo essere tornati dalla loro prima uscita per mare con i loro genitori. Avevano poi chiesto a tutti nel villaggio fin dove si erano spinti con i loro viaggi, e in base alle testimonianze avevano disegnato una mappa del Mar Baltico e poco dell’entroterra. Feliks doveva averla trovata nelle ore passate solo a casa. Toris lo guardò, incrociando gli occhi verdi che stava imparando piano piano a decifrare. Erano pieni di malinconia. Sospirò, la rabbia scemò via come uno stormo di insetti passeggero.
Continuò a guardare Feliks, fece fare all’indice in giro sulla mappa e poi lo indicò, sperando che il significato fosse chiaro.
Da dove vieni?
Il ragazzino capì, perché gli occhi schizzarono sulla mappa veloci, percorrendo le coste disegnate, il dito si allungò, si fermò esattamente a metà strada tra la Curlandia e la Danimarca, per poi segnare un punto sotto al margine della mappa, facendo capire che veniva da un posto non vicino al mare.
Toris sentì ghiacciarsi il sangue nelle vene, il sollievo provato nello scoprire che non fosse un vichingo cancellato in un secondo.
Perché Feliks aveva indicato la terra da dove venivano i Cavalieri Portaspada.
Un odio mai sopito travolse il ragazzo, il volto si trasformò in una maschera di rabbia e prima di realizzare cosa stesse facendo, si ritrovò in piedi, armato del suo arco, la corda tirata e la freccia pronta a colpire.
 


Angolino di May
Giuro che questa storia ha un capo e una coda, anche se sto facendo verso nord, sud, est e ovest. Un po’ ci sono i prompt, un po’ questi due personaggi si devono far dirigere, ma sembra non ne abbiano voglia.
Il finale di questo capitolo non era previsto. Però bene così, spero, perché mi dà l’occasione di introdurre (anche se di poco) il capitolo di domani (no, non l’ho ancora pronto, pregate per me e per James, per favore.
Il prompt di oggi era Salsedine.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 7
*** Ricordi ***


Capitolo 6: Ricordi

Da dove vieni?
Feliks osservò quella cartina ingiallita e gli sembrò che le linee e i confini si allargarono, circondando lui e Toris. Dal mar Baltico andò verso sud, verso una terra che profumava di fiori, di grano e di dolci. Indicò sol dito prima di chiudere un attimo gli occhi, abbandonandosi ai ricordi.
Era stato felice. Una terra da coltivare, una vita semplice, l’amore di due genitori che gli insegnavano ad amare la natura e come trarne profitto al meglio. L’aria a volte pungente e a volte tiepida gli sfiorava il viso mentre aiutava i suoi a lavorare. Sua madre a volte parlava una lingua diversa, poche parole che avevano un suono magico e che a lui piacevano, parlavano di una terra lontana che senza conoscere sentiva un po’ parte di sé. Una sera la donna mentre gli rimboccava le coperte gli raccontò del suo paese, e della sua tribù, i Curi. Gli parlò di una mare gelido ma che dava anche vita, di un popolo che considerava la famiglia come il tesoro più importante. Non gli spiegò perché aveva abbandonato la sua patria, ma a nove dieci Feliks aveva capito le origini delle cicatrici che segnavano i polsi e le caviglie di sua madre. Con un peso sul cuore aveva rimandato il discorso, non sapendo che non avrebbe più avuto occasione di chiederglielo.
Erano arrivati a all’alba, dei cavalieri con degli scudi adornati con una croce e una spada vermiglie. Avevano distrutto il loro villaggio, saccheggiandolo e dando fuoco ai campi e alle case. Suo padre era rimasto indietro per dare tempo a loro di scappare. Non lo aveva più visto. Sua madre lo aveva condotto tra sentieri che passavano tra campi e boschi, e avevano viaggiato per quello che a Feliks era parso un tempo infinito, dove i giorni e le notti si alternavano segnate dal dolore e dalla stanchezza. Ogni sera si accucciava di fianco al corpo della madre, accarezzandole i polsi e le piaghe che li segnavano. Voleva chiedere, voleva sapere, poi davanti agli occhi vedeva il suo villaggio distrutto e suo padre che scompariva, e gli mancava il coraggio.
Il ragazzo ritornò al presente, evitando volutamente i ricordi dell’ultimo periodo. Sua madre che spariva tra le onde del mare la vedeva ogni volta che chiudeva gli occhi, non aveva bisogno di ripensarci in quel momento. Alzò lo sguardo verso Toris, e vide che il ragazzo lo stava puntando con l’arco, la freccia tesa e pronta a colpire, uno sguardo pieno di rancore gli bruciava gli occhi azzurri, rendendoli spietati.
Feliks lo guardò, senza riuscire a capire. Non voleva capire. Lo sguardo tornò a fissare la punta della freccia che mirava al suo cuore. Le mani si chiusero in due pugni sul terreno, sporcando di terra la mappa posata ancora lì vicino. Il cervello sembrava rifiutasse di collaborare, tutti i sensi urlavano del pericolo eppure non riusciva a reagire.
Poi lo vide.
Un bagliore metallico dietro a Toris, un’ombra scura incombere alle sue spalle. Agì senza rendersene conto e accadde in un attimo. Si lanciò verso il ragazzo, togliendolo dalla traettoria. La freccia scoccò, per sorpresa o per ferire, a Feliks non importava, si aggrappò al corpo di Toris, circondandolo con le braccia. Caddero di lato, uno di fianco all’altro sulla terra. Su di loro torreggiava il vichingo che aveva guidato l’assalto al villaggio pochi giorni prima.
 


Angolino di May
Eeee, bentornato blocco dello scrittore! -.-’ Giuro, il mio intento è quello di recuperare al più presto e di finire entro il 31, ma James è entrato in sciopero quindi le cose si sono fatte un po’ complicate… anche perché sembra aver trovato un affinità con i cliffhanger, suggeritrama da strapazzo. Intanto ringraziamo Mathias/Danimarca che mi ha permesso di bloccare Toris da quello che stava per fare. Amen. Adesso però, io questi due come imprecazione in slavo antico li salvo?? -.-’
Cercherò di mettermi in pari al più presto, giuro. *alza pugno non troppo convinta guardando James che sorseggia un mojito.”
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 8
*** Possibilità ***


Capitolo 7:Possibilità

Toris sentì la schiena cozzare dolorosamente contro gli scogli e dovette stringere le labbra trattenere un gemito. Il suo corpo rispose d’istinto al pericolo, rialzandosi su un ginocchio e l’altro piede già pronto a dare la spinta, le braccia già pronte sull’arco e la freccia per difendersi.
Riconobbe subito il vichingo che aveva attaccato il villaggio. Ringhiò, alzandosi in piedi e mirando al bulbo oculare dell’avversario. I denti digrignati, gli occhi ridotti a fessure nonostante la vicinanza dell’obiettivo, la rabbia che ancora sentiva sgorgare nelle vene. Non perdeva di vista l’avversario, cercando di ignorare il respiro affannato di Feliks al suo fianco, evitando di guardarlo.
Lo stava per uccidere. Anzi, la freccia era scattata appena lo aveva visto muoversi, lo aveva mancato per la direzione improvvisa che il ragazzo aveva seguito, si era ficcata con un sibilo nel terreno e Feliks gli aveva salvato la vita, salvandolo da una decapitazione certa.
Non permise ai pensieri di vagare, doveva restare concentrato sull’obiettivo e su come battere l’invasore. Tirò ancora di più la corda dell’arco, in un gesto che voleva essere un avvertimento.
Il bagliore della spada del vichingo brillò alla luce della luna pronta a colpire, e Toris si lanciò alla sinistra per evitare l’arma. Rotolò sulla schiena sempre con arco e freccia in posizione, e scoccò.
Con un sibilo la freccia mancò l’avversario, che ghignò apertamente e gli fu di nuovo addosso. Il curo indietreggiò, sentendo il pugnale che aveva legato alla cinta premere contro il fianco. Non era una spada, ma forse in un combattimento ravvicinato era meglio un’arma bianca piuttosto che un arco. Evitando i colpi serrati del nemico Toris cercava un modo per cambiare l’arma senza riuscire a trovare il tempo per farlo.
Feliks aveva recuperato le due frecce dal terreno e le teneva tra le mani, protezioni improvvisate che sapeva non sarebbero servite: non aveva mai avuto occasione di fare allenamento con nessun tipo di armi. Guardava Toris affrontare il vichingo ed essere in difficoltà, la fronte imperlata di sudore e i movimenti sebbene esperti, erano segnati dalla stanchezza.
Ricordi di un altro combattimento gli tornarono non richiesti alla mente. Quando in un altra occasione era rimasto inerme a terra e a pagarne il prezzo era stata…
L’urlo di Toris, colpito al fianco dalla spada del vichingo, lo svegliò dal torpore in cui era caduto. Lo vide cadere in ginocchio, dolorante, il sangue inzuppò subito i suoi vestiti formando una macchia scura.
Le mani di Feliks si strinsero forte intorno alle frecce che aveva in mano. Agì senza pensare, si scaraventò urlando contro l’avversario che aveva ferito il ragazzo più grande, che forse colpito dalla sorpresa o dalla sua stupidità non reagì per tempo. Feliks piantò una freccia nella coscia del nemico con una furia e una forza che non sapeva di possedere. Aiutato dalla spinta che si era dato correndo verso l’avversario, sentì la freccia entrare e uscire da una parte all’altra. Il vichingo urlò di dolore prima di reagire troppo presto per dare il tempo a Feliks di riprendersi dal quella piccola vittoria. Gli arrivò un calcio forte sulla guancia e sentì il suo corpo alzarsi da terra, fare una penosa piroetta a mezz’aria e cadere miseramente sul terreno, battendo forte la nuca. Dalla bocca gli uscì un grido di dolore e strinse gli occhi, la mano destra ancora stretta sulla freccia rimastogli, mentre sentiva la vista ofuscarsi.
Blóta kurir!” sibilò il vichingo, che nonostante la gambe ferita fu sopra di lui e alzò la spada per colpirlo. Con le ultime forze che aveva, feliks usò la freccia per cercare di colpirgli la mano, in modo da disarmarlo, almeno. Il suo attacco fu vano, mancò il bersaglio e la freccia cadde vicino ai loro corpi. Il ragazzo urlò dimenandosi, non volendo soccombere alla morte in una maniera così passiva. Urlò bloccando le mani del vichingo, fermandole dal darli il colpo di grazia, cercando di non svenire, nonostante tutte le forze lo stessero abbandonando. All’improvviso sentì un urlò e il sibilo di una freccia che colpiva la mano dell’avversario. Ebbe appena il tempo di vedere che era una delle frecce simili a quelle costruite da Toris e spostare lo sguardo verso il salvatore che sentì l’oscurità avvolgerlo e questa volta non ebbe la forza per rimanere cosciente.

Eduard guardava Toris massaggiarsi dolorosamente il petto da sopra la fasciatura.
“Lasciala stare. Devi riposare e guarire, Toris. Quel capo vichingo è riuscito a scappare, tornerà e ci servi in forma.”
A quelle parole il ragazzo non nascose il suo disappunto. “Scusami. Avrei dovuto finirlo, ma non…”
“Taci, Toris.” il tono di Eduars non ammetteva repliche. “Sei fortunato ad essere vivo. E avrei potuto ucciderlo anche io, se non fosse comparso il suo compagno e lo avesse aiutato. Avevo due corpi da portare al sicuro, mi scoccia dirlo ma meno male che hanno scelto la ritirata.”
Toris voltò lo sguardo verso il corpicino disteso di fianco a lui. Feliks non aveva ancora ripreso conoscenza.
“Sappiamo benissimo che i vichinghi sono dei lupi di mare, e non ci metteranno molto a sferrare un altro attacco. Magari con più barche e più uomini della volta scorsa.” continuò il ragazzo passandogli una tazza con dell’acqua fresca dentro. Toris annuì, cercando di capire come poter evitare un altro attacco al villaggio.
“Dovremmo partire con le nostre navi e attenderli fuori da golfo, Eduard.” disse dopo averci pensato un attimo. “Siamo anche noi lupi di mare. Dimostriamolo e rivendichiamo la supremazia dei Curi sul mar Baltico.” ringhiò il ragazzo, convinto.
Eduard annuì, rassicurato dal fatto che almeno il morale dell’amico era sempre combattivo. Lo sguardo andò su Feliks. “Era lui il ragazzino di cui mi avevi parlato, quindi.”
Gli occhi dell’amico si fecero distanti. “Sì. Ma gli ho chiesto da dove venisse e mi ha indicato un punto che era la terra dei Cavalieri Portaspada.” rispose in un tono abbastanza neutro, ma a Eduard non sfuggì la rabbia e il dolore che celavano. “Avevi ragione, Eduard.” concluse, e l’amico capì a cosa si stava riferendo.
Noi non facciamo prigionieri.
“Toris, non so davvero cosa pensare. Ma sappi che ti ha salvato la vita. Ho visto come si è battuto per difenderti mettendo a rischio anche sé stesso. Tutto mi pare, tranne che un nemico, e con queste premesse il villaggio non dovrebbe fare troppi problemi. Forse una possibilità se la merita. Ma” lo sguardo cercò gli occhi di Toris. “la decisione spetta a te.”
Il ragazzo seduto sul letto guardò l’amico uscire dall’uscio e lasciarlo solo con i suoi pensieri. Si scostò, ingrandendo la distanza tra lui e Feliks nel letto.
Una possibilità, aveva detto Eduard.
Toris sospirò e guardò quel ragazzino minuto che gli aveva salvato la vita due volte dopo che lui aveva cercato di ucciderlo.
No, un nemico non sembrava proprio. E Toris doveva ammettere che aveva un grande debito da colmare nei suoi confronti.
Senza rendersene conto appoggiò la mano sulla fronte di Feliks, controllando che non gli salisse la febbre. A quel tocco il ragazzo sembrò protendersi verso la mano, muovendosi impercettibilmente. Quel gesto gli ricordò quella parole che aveva mormorato quando lo aveva trovato sulla spiaggia. Una parola che lo identificava, almeno in parte, come uno di loro.
Toris aveva mal di testa. Troppi pensieri, troppi dubbi e troppe domande. Cercò di ignorare il senso di colpa che sentiva ogni volta che rivedeva sé stesso pronto a colpirlo con l’arco e gli occhi verdi che lo fissavano.
 


Angolino di May
Ci sto provando, piano piano vado avanti. Con il permesso di JamesBevitoreDiMojito, si intende.
“blóta kurir” dovrebbe voler dire “maledetto curo” in nordico antico. Dovrebbe perché ovviamente la declinazione degli aggettivi non era prevista dalla traduzione! XD
Cerco di continuare a scrivere. A presto, spero.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 9
*** Comprendersi ***


Capitolo 8: comprendersi.

Feliks ebbe una sensazione di un dejà-vu mentre si risvegliava.
La testa doleva forte, pulsando nel punto dove aveva battuto.
Con un gemito cercò di mettersi seduto, fallendo miseramente.
Sentendosi osservato girò il viso alla sua sinistra, incrociando lo sguardo di Toris. Il ragazzo era a petto nudo, fasciato sul punto dove lo aveva colpito la lama. Feliks ricordò il combattimento e il suo tentativo di salvare quello che ormai lui considerava un amico. Anche se i fatti avevano dimostrato che il sentimento non era reciproco. Ricordò anche il modo in cui Toris lo aveva guardato quando gli aveva puntato la freccia contro. All’improvviso si sentì a disagio e in pericolo, si allontanò dal ragazzo andando contro il muro, scrutandolo.
Toris sospirò, chiudendo gli occhi. Apparve stanco e provato, e Feliks dovette reprimere il pensiero di confortarlo che era nato spontaneo nella sua mente.
Grazie per avermi salvato la vita. Mimò il ragazzo incastrando gli occhi nei suoi. Due volte. Aggiunse, aspettando una risposta.
Feliks avrebbe voluto rispondere: Tu avresti fatto lo stesso per me. Davvero, avrebbe voluto, ma il ricordo dello sguardo pieno d’odio di Toris non lo fece capitolare così in fretta. Non era abbastanza, aveva il diritto a spiegazioni.
Perchè? Domandò. Non ci fu bisogno di specificare. Toris afflosciò le spalle e lo guardò. Con fatica, si alzò dal letto per dirigersi verso un plico di carte che c’era sul tavolo. Barcollò, appoggiandosi a un barile lì vicino per non cadere.
Stai attento, ti farai male!”Feliks lo urlò nella sua lingua senza riflettere. Si morse il labbro, maledicendo il fatto di non poter comunicare più facilmente e il anche questo sentimento di protezione che provava contro il ragazzo che aveva cercato di ucciderlo. Toris lo guardò interrogativo prima di continuare a cercare tra quelle carte. Ne prese una più grande delle altre e si trascinò di nuovo a letto. Aprì quella che si rivelò essere una cartina dell’Europa. Feliks lo guardò, sbattendo le palpebre. Non capiva. Toris mise la cartina dalla sua parte.
Da dove vieni?
Ancora quella domanda. Feliks fissò la mappa. Trovò il fiume Vistula con un colpo al cuore. Indicò la sua terra, accarezzandola affettuosamente sul foglio.
Toris sgranò gli occhi e lentamente si ritirò su sé stesso, ginocchia al petto e mani tra i capelli, tremando, lo sguardo che lo evitava. Il più piccolo piegò con cura la mappa e annullò le distanze tra loro. Ancora non aveva capito, ma il suo istinto diceva che non era più in pericolo.
“Scusa…” mormorò il ragazzo, e quella parola Feliks la capì senza bisogno che venisse mimata. “Mi dispiace… Io credevo… Mi dispiace…” Toris continuava a tremare, mormando frasi che il ragazzino non riusciva più a capire. Mise una mano sulla spalla dell’amico, aspettando che si calmasse. Dopo pochi secondi riuscì ad alzare lo sguardo e riprese la mappa, riaprendola. Indicò una regione situata sotto Mar Baltico ma sopra la sua terra. Feliks rabbrividì, riconoscendola, e lo sguardo di Toris gli fece capire prima che il ragazzo mimasse.
Pensavo venissi da qui. Gli occhi di Toris continuavano a chiedergli scusa. Poi si rabbuiarono. Loro hanno ucciso i miei genitori.
Feliks sussultò. Senza renderse conto, senza più barriere di timore o paura, prese la mano di Toris sulla mappa e la strinse nella sua.
Loro hanno ucciso anche mio padre. Fissò il ragazzo negli occhi, voleva che capisse quel dolore condiviso. E loro… Con la mano libera risalì, arrivando ad indicare la Scandinavia. Loro hanno ucciso mia madre. Confessò, non smettendo di guardarlo. “Mokosh” mormorò.
Fu il turno di Toris sussultare, posando la mano sopra quella di Feliks. Bastò uno sguardo per capirsi.
Lei era di queste terre. Cura.
Toris aveva gli occhi lucidi esattamente come lui. Nello stesso istante si abbracciarono, cercando conforto l’uno nell’altro da quei ricordi che ancora facevano male, cercando un appiglio per calmare il loro dolore…
Toris cercava un po’ di calore per il gelo che sentiva dentro da quel giorno lontano, Feliks cercava una sicurezza che non aveva più avuto da quando aveva visto sua madre sparire tra le onde.
Piansero, restando abbracciati e scivolando pian piano tra le lenzuola e tra le braccia di morfeo, le guance segnate dalle lacrime ma gli sguardi più sereni di quanto non lo fossero stati negli ultimi anni.
 


Angolino di May
E mettiamoci un po’ di fluff in questo ultimo aggiornamento della giornata, vi va? XD
Finalmente questi due cretinetti hanno parla… cioè, comunicato seriamente e si sono chiariti. Toris in realtà non è malvagio, il suo caratteraccio è colpa mia che gli ho dato un trauma subito nel prologo, tato.
Detto questo, io continuo a scrivere, sperando prima o poi di rimettermi in pari.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 10
*** Nord ***


Capitolo 9: Nord

Toris guardava il mare scuro all’orizzonte e le stelle luminose che lo sovrastavano. Era lui di turno a stare su una delle navi con altri dieci uomini ormeggiate al largo del golfo, a fare di guardia dagli attacchi vichinghi.
Era passato un mese da quando lui e Feliks erano stati attaccati e molte cose si erano evolute.
Eduard aveva ragione, una volta saputo che lo sconosciuto aveva salvato la vita a Toris non aveva avuto difficoltà a integrarsi, con la conseguenza che anche l’apprendimento della lingua ne avva giovato. Feliks ormai non aveva difficoltà a esprimere concetti base e non solo, aveva conosciuto e andava d’accordo con la maggior parte del villaggio. Toris sorrise pensando a come fosse stato accettato l’amico. Se ci pensava gli si scaldava il cuore. Sospirò, godendo quel calore. Era bello, era piacevole ed era una sensazione estranea, come se l’avesse dimenticata e quel ragazzino biondo con gli occhi felini fosse stato in grado di riaccenderla dentro lui.
Tolys!” la voce squillante lo raggiunse, facendolo girare. Feliks sorrideva mentre si avvicinava. Indossava degli abiti tipici cuciti da una delle anziane del villaggio, sul verde e marrone che gli facevano risaltare ancora di più il colore degli occhi. Era bello vederlo così, come uno di loro. Toris doveva ancora farci l’abitudine.
“Non riesci a dormire?” chiese, mentre l’altro lo raggiungeva e si appoggiava alla balaustra di fianco a lui.
Feliks scosse il capo.
“Volevo vedere le stelle. Sono proprio luminose. E non volevo lasciare te solo. Magari ti addormenti.” lo prese in giro. Toris gli fece una linguaccia in risposta, alzando lo sguardo verso il cielo.
“Se mia madre era nata qui… anche lei sapeva navigare davvero bene, come voi?” domandò Feliks, seguendo una traccia di stelle sopra la barca che sembrava un coniglio.
Toris esitò un attimo a rispondere. Non avevano più parlato dei loro genitori da quel giorno in cui aveva scoperto la verità. Non avevano evitato l’argomento di proposito, ma la vita del villaggio li aveva investiti con mille impegni, e Feliks ogni notte crollava, rubandogli il letto. Una cosa che aveva imparato su di lui era che al ragazzo piaceva dormire, e tanto. Però, il ritornare su quella tematica delicata non lo mise a disagio.
“Certo. Tutti noi fin da piccoli impariamo a navigare. Vedrai che anche tu imparerai presto.” sorrise in risposta.
“Mi insegnerai tu, Tolys?
Il ragazzo interpellato sorrise a quella strana pronuncia con cui diceva il suo nome.
“Se sarai un bravo allievo come con Eduard con piacere.”
Eduard aveva cominciato a insegnarli l’arte della spada: era impossibile vivere in quella terra e non sapere maneggiare un’arma. Toris se la cavava bene, ma Eduard era uno dei migliori e Feliks imparava in fretta.
Il ragazzo annuì convinto. “Totalmente! Imparerò tutto! Quella stella so che punta a Nord!” Annunciò puntando un dito verso il cielo. Toris seguì la direzione indicata.
“Bravissimo. Si chiama stella polare.”
“Stella… polare…” Feliks ripeté per ricordarsi quella parola nuova.
“Quindi, se quella è la stella polare, sai dirmi anche da che parte è l’ovest?”
L’interpellato indicò senza alcun dubbio l’orizzonte, facendo una smorfia.
“Troppo facile.” mormorò indignato. Toris rise davanti a quel visetto imbronciato.
“Domani ti mostrerò cose più difficili, promesso.”
A Feliks si illuminò lo sguardo. Saltellò sul posto, eccitato.
“Vai a letto, però adesso. Altrimenti domani dormi!”
Il ragazzino non smise di sorridere mentre lo salutò con un cenno e saltellò sul ponte, allontanandosi.
Toris rimase solo a osservare l’orizzonte. Di solito in quelle giornate e nottate passate sulla barca da vedetta sperava in qualsiasi cosa che rompesse la noia. Invece si ritrovò ad aspettare con trepidazione il giorno dopo.
 


Angolino di May
E si va avanti. Piano, piano, piano. Questi capitoli saranno un po’ di transizione, vi avviso, però ne approfitterò per sviluppare il rapporto tra i due protagonisti!
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 11
*** Bottini di guerra ***


Capitolo 10: Bottini di Guerra

Alla fine, i vichinghi attaccarono il giorno dopo.
Toris quasi rise quando vide l’imbarcazione su cui navigavano. Non avevano speranza. Lo scontro era stato breve e il ragazzo aveva osservato con piacere che le lezioni di Eduard erano state d’aiuto a Feliks, il quale era anche riuscito a tenere testa a un nemico, finendo per disarmarlo.
Stavano osservando il bottino di guerra quando Feliks urlò sopreso.
“Oh miei dei, sono stupende!” esclamò tenendo in mano una collana di perle bianchissime. Se la mise veloce al collo, cercando poi Toris. “Come mi stanno, Tolys? Non mi stanno, tipo, super bene?” chiese, fissandolo con aspettativa.
Toris restituì lo sguardo, sorpreso.
“Ehm. Da queste parti non è una merce di scambio che prediligono i nostri alleati, Feliks. Sono meglio le armi che possiamo usare in battaglia.”
Feliks arricciò il naso, indispettito. “Non ti avevo domandato se valeva tipo come merce di scambio.” mugugnò, continuando a fissarlo.
Toris si sentì schiacciare da quello sguardo. Tanto per farlo contento e non deluderlo, fissò come la collana adornava il collo prima di rispondere. “Sì, è molto bella.” sospirò, uno strano fastidio allo stomaco mentre lo diceva. Si concentrò sulle armi.
“Erano, tipo, il gioiello preferito di mia madre!” Feliks pronunciò queste parole con semplicità, solo velate da una malinconia che Toris ormai aveva imparato a riconoscere. “Posso tenerla?” trillò il ragazzino, giungendo le mani e fissandolo. A Toris ricordò un cucciolo che pregava per giocare o per la pappa.
“Sì, tanto come ti ho detto per gli scambi che facciamo noi non hanno valore. Tienila pure.”
Feliks su così felice che gli gettò le braccia al collo, stringendolo forte. Toris arrossì e si staccò subito, sorridendo imbarazzato e continuando ad esaminare il bottino di guerra. Feliks non se la prese, anzi, trotterellò lontano, concentrato ad osservare bene il suo nuovo tesoro.
 


Angolino di May
Scusate se questi capitoli sono un po’ corti, mi sento un po’ costretta dai prompt. Giuro che la trama più seria tornerà già da prossimo capitolo, lo prometto!
Ah, chi è che ha trovato il modo strano di parlare di Feliks a mò di scusa visto che non parla la sua lingua madre? Solo che lo stesso rimane un po’ difficile… ma spero vada bene!
Allora, i capitoli che vorrei postare domani sono già pronti, con i prompt Sardina e Osso. Spero di riuscire a scrivere il 14 e il 15 tra stasera e domani in modo da tornare a essere in pari domenica.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 12
*** L'inizio ***


Capitolo 11: l’inizio.

Gilbert sollevò con disgusto una sardina dal piatto e si costrinse a mangiarla.
Non ne poteva più di quel cibo scadente.
Stavano spiando gli attacchi tra Curi e Vichinghi da circa un mese, e nonostante lui fremesse dall’entrare in azione per adesso avevano solo osservato e fatto rapporto regolarmente alla Diocesi. Il suo sesto senso che mai lo aveva tradito in battaglia gli diceva di aspettare che i due popoli entrassero in guerra aperta in modo che si indebolissero a vicenda, in modo poi da dare loro il colpo di grazia.
Peccato che in mese, nonostante gli attacchi, entrambe le fazione sembravano ancora più vitali che mai.
Il cavaliere sbuffò, guardando sconsolato l’ennesimo pesce striminzito, sognando la cucina di Elizaveta.
Un rumore frettoloso di zoccoli lo distrasse da quel pasto deludente. Il messaggero era tornato con la risposta della Diocesi.
Gibert si mise sull’attenti, ricevendolo in piedi.
“Novità?”
Il ragazzo saltò giù da cavallo con destrezza, prima di porgergli una pergamena sigillata.
Il Fratello della Spada lesse veloce, e sbuffò. Se la situazione non si fosse sbloccata presto, avrebbe dovuto tornare o attaccare. Guardò il pugno di soldati con cui era venuto. Non erano sufficienti: secondo quanto avevano visto i Curi erano molto feroci in combattimento. Gilbert pensava di poterne tenere a bada almeno tre, ma i suoi uomini…
Pensò a un piano. Da qualche tempo la tribù nemica mandava parte dei guerrieri del villaggio sulle barche ormeggiate al largo del golfo per fermare i Vichinghi in mare aperto. Il cavaliere sogghignò.
Vediamo come ve la cavate su uno scontro di terra…

Toris stava affilando le frecce quando vide la piccola imbarcazione avvicinarsi dalla direzione della spiaggia. Il ragazzo sopra remava con tutte le sue forze e appena fu a portata di udito urlò.
“Ci attaccano! I Cavalieri Portaspada attaccano il villaggio!”
Queste parole giunsero alle orecchie di Toris e per il ragazzo su come ricevere una scossa. Rabbia, paura e anche aspettativa si impadronirono di lui. Feliks, al sua fianco invece lo guardò impaurito. Toris li posò una mano sulla spalla e strinse, cercando di infondergli un po’ di coraggio e di spirito combattivo. Il più piccolo annuì, stringendo la spada al suo fianco per farsi forza.

Arrivarono al villaggio che lo scontro era già cominciato. Toris si lanciò nel combattimento con la furia di chi voleva proteggere e vendicare. Odiava quelle tuniche bianche con la croce e la spada rossa ricamate sopra, odiava quello che gli avevano sottratto e adesso, dopo anni di attesa, avrebbe potuto vendicare i suoi genitori.
Non risparmiava colpi per nessuno, chi incontrava la lama della sua spada non sopravviveva. Il dolore di sette anni era racchiuso nei suoi movimenti e nei suoi attacchi.
Questa è la mia terra. Non ve la prenderete come avete preso i miei genitori! Pensò mentre con un grido affondava la spada nel petto di un soldato, macchiando quella maledetta tunica di sangue.
Toris approfittò di un attimo di calma per cercare di capire la situazione. Molti cavalieri erano in fuga, e il ragazzo riprese un attimo di lucidità sufficiente per capire che non conveniva rincorrerli.
Si guardò intorno, cercando Eduard per capire cosa fare. Invece il suo sguardo trovò Feliks, poco distante da lui, impegnato in un duello evidentemente in difficoltà. Toris cambiò l’impugnatura della spada e corse in aiuto dell’amico. La sua arma cozzò contro quella del cavaliere, attirando la sua attenzione. Due occhi vermigli lo fissarono, e al ragazzo mancò il fiato. Il tempo si fermò, come a rallentatore, mentre parole mai dimenticate riaffiorarono in lui.
Un cavaliere con occhi rossi come braci infuocate.
Stava per affrontare l’assassino dei suoi genitori.
 


Angolino di May
Sì, un altro cliffhanger, giusto perché a James mancavano. Il prossimo capitolo è già pronto e lo posterò nel pomeriggio o stasera. Questa mattina cercherò di scrivere il prompt 15, in modo essere in pari per domani. Che maratona, ragazzi, mamma mia! -.-’ Torno a scrivere, scusate...
Al solito, critiche  e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 13
*** Duello ***


Capitolo 12: Duello

Gilbert avrebbe voluto urlare dalla frustrazione. Aveva fatto male i conti e quei maledetti erano riusciti a tornare al villaggio più in fretta di quanto si aspettasse e purtroppo non c’era altra scelta che ritirarsi. Ma prima, giusto per sfogare il suo malumore, avrebbe finito quel ragazzino che si era trovato davanti. Era scarso, stava indietreggiando e i suoi colpi erano acerbi. Peggio per lui, i marmocchi non avrebbero dovuto nemmeno combattere. Con colpi annoiati lo stava per finire, magari prima si sarebbe divertito rompendogli un osso o due. All’improvviso la sua spada cozzò contro una lama più grande. Gilbert seguì quell’arma, incrociando gli occhi verdi di un ragazzo non molto più grande di quello con cui stava già combattendo, ma il suo corpo era quello di un guerriero, al contrario dell’altro novellino. Ghignò, accettando la sfida. Il volto del nuovo arrivato si contorse dall’ira.
Tu!”il veleno nella voce era palese. Gilbert lo scrutò con attenzione.
Haben wir uns schon kennengelernt, Kuren?”
Era palese che non lo aveva capito. Continuava ad attaccare con una furia ceca e il soldato parava, seppur con difficoltà i colpi. Questo non era un principiante. Avrebbe dovuto impegnarsi per batterlo. Sorrise, snudando i canini che brillarono alla luce del sole.
Bene, finalmente un avversario valido.

Feliks guardava terrorizzato Toris che fendeva colpi accecato dalla rabbia. Il suo sguardo si fermò sul fianco ferito dell’amico.
“Toris! Smettila, sei ancora ferito!” urlò avvicinandosi per aiutarlo nel combattimento, sebbene capiva che entrambi i contendenti erano su un altro livello rispetto a lui che aveva appena iniziato a brandire una spada.
Toris evitò al pelo un colpo della spada, guadagnandosi un graffio profondo sulla guancia.
“Stanne fuori, Feliks!” ringhiò, non smettendo di combattere. “E’ stato lui ad uccidere i miei genitori!”
Il ragazzino si bloccò sul posto, la spada ancora sguainata. Davanti ai suoi occhi, l’immagine cambiò. Toris era sempre più distante, più grande, più uomo, e combatteva non contro un solo cavaliere, ma contro molti, mentre lui e sua madre scappavano…
Si chiese se si fosse trovato davanti uno di quei cavalieri come avrebbe reagito.
Guardò l’amico combattere, il sangue sgorgava dal taglio sulla guancia, mascherando metà del viso di rosso.
Senza abbandonare la spada, corse verso le vie del villaggio. Si girò un ultima volta e vide la spada del cavaliere colpire la gamba di Toris. L’urlo del ragazzo gli arrivò come un pugno sul cuore, mentre veniva costretto in ginocchio dal dolore. Feliks corse più veloce, cominciando ad urlare.
“EDUARD!” gridò continuando a correre cercando disperatamente lo spadaccino più abile del villaggio. Gli parve un segno degli dei quando lo vide lì vicino, intendo ad aiutare un ferito insieme ad altri del villaggio. Sentendo le sue urla si girò preoccupato, ma non gli diede tempo di chiedergli spiegazioni.
“Toris! Nemico! Pericolo!” urlò, dimenticando come formulare una maledetta frase, prendendolo per il polso e trascinandolo via registrando appena il fatto che anche gli altri uomini vicino li stavano seguendo.
Eduard correva vicino a lui e sguainò la spada, pronto al combattimento. Feliks pregava tutte le divinità che conosceva che non fosse troppo tardi, che fossero ancora in tempo…
Il nemico torreggiava su Toris, sdraiato per terra che aveva parato l’affondo del cavaliere e cercava con le ultime forze di tenere la spada lontano. Feliks quasi urlò quando vide che oltre alla ferita alla gamba, pure il fianco del ragazzo sgorgava sangue. Proprio come temeva lo squarcio sul fianco si era riaperto. Il sangue inzuppava l’erba e la terra sotto il corpo di Toris.
Eduard e gli altri guerrieri si avvicinarono, spada sguainate, costringendo il nemico a indietreggiare. Feliks si inginocchiò di fianco all’amico per terra, e vide che cercava di mettersi in piedi.
“Stai buono!” sibilò, non ammettendo repliche e rendendosi conto che, nonostante il sollievo di vederlo ancora in vita, la preoccupazione per le ferite e la paura data dall’attacco nemico, anche una rabbia stava crescendo verso di lui, rabbia per come Toris si era ridotto per uno stupido duello invece di chiedere aiuto. Espirò, cercando si calmarsi.


Gilbert vide ben cinque spadaccini andare contro di lui, e il suo istinto di guerriero lo fece mettere in posizione, pur sapendo di non avere possibilità.
Poi accadde tutto in un attimo. Dal bosco arrivò un rumore di zoccoli al galoppo, e tutti si girarono un secondo verso quel rumore. Un altro cavaliere, disarmato, stava spronando il cavallo e aveva il braccio pronto ad afferrarlo. Gilbert guardò il ragazzo per terra che lo aveva affrontato con tanta furia. Combattendo contro il suo istinto e il suo onore, vinse il desiderio di affrontarlo ancora, di incrociare ancora le spade con lui, e di essere lui a togliere la vita a quegli occhi così carichi di disprezzo.
Allungò il braccio, prendendolo con forza e dandosi la spinta per facilitare il salto. Salì sul cavallo e vide alcuni corrergli dietro. Illusi. La resa dei conti era rimandata.
Vedi di non morire, nanerottolo. Al prossimo duello non sarai così fortunato.

 


Angolino di May
Che parto questo capitolo. Scritto in fretta e furia, ovviamente, ma non mi convince, spero solo di aver reso giustizia a questo primo incontro/scontro tra Toris e Gilbert…
Sì, Feliks è l’unico con un po’ di cervello in questo caso. Non preoccupatevi, non durerà a lungo. XD
Grazie a Sacchan per il consulto linguistico. <3 qui Gilbert chiede: “Ci siamo già incontrati, Curo?”
Torno a scrivere che è meglio.
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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Capitolo 14
*** Promessa ***


Capitolo 13: Promessa.

Toris non era ancora del tutto sveglio che il dolore alla gamba e al fianco esplose facendolo gemere e riportandolo in fretta nel mondo dei vivi.
Feliks era di fianco al letto dove lui giaceva, seduto su una sedia intento a intagliare un robusto ramo.
Toris lo guardò. Feliks sembrava arrabbiato. Gli rivolse uno sguardo preoccupato e… sì, abbastanza irato.
“Bevi. Sei stato incosciente per, tipo, due giorni. Piccoli sorsi.” borbottò versando dell’acqua in un bicchere e porgendoglielo.
Toris obbedì, aveva la gola riarsa e con l’acqua gli sembrò di rivivere. Cercò di bere con calma e appoggiò il bicchiere sul tavolino lì vicino.
“È scappato vero?” mormorò, pensando all’ultima immagine che aveva del cavaliere.
Feliks lo guardò con durezza e annuì. “Sì. E se non fossero arrivati Eduard e gli altri tu saresti totalmente morto.” Intagliava il legno con ferocia, come a sfogarsi di una rabbia repressa.
Toris si abbandonò alla morbidezza del letto.
“Avreste dovuto lasciarlo a me, era la mia battaglia…”
“Hai proprio così tanta voglia di morire?” sbottò Feliks, lanciando il ramo per terra.
Toris lo guardò, sorpreso. “Certo che non ho voglia di morire.” biascicò “Ma tu, tra tutti, dovresti capire. Volevo finirlo, volevo essere io ad ucciderlo…”
“E invece stavi per essere ucciso tu!” questa volta Feliks urlò, alzandosi in piedi. “Dici che io dovrei capire, ma io no, proprio non capisco!” negli occhi felini apparvero delle lacrime che, si vedeva, stava cercando di non farle scendere. “Posso capire, tipo, la rabbia, la tristezza, il rancore. Ma avere il desiderio di uccidere o essere ucciso per mano di una persona, quello proprio no!” si sedette di nuovo, rannicchiandosi sulla sedia ma continuando a fronteggiarlo con quello sguardo fiammeggiante. “Sei esattamente come la mamma! Anche lei prima che morisse aveva perso la testa per la vendetta.” La voce si ridusse a un sussurro. “Anche lei davanti a quello che credeva essere uno degli assassini di mio padre non ragionò più e cominciò ad affrontarlo. Sai qual è stato il risultato?! Che hanno ucciso anche lei, davanti ai miei occhi. E io quella volta non sono riuscito a fare nulla.” Feliks aveva rinunciato a combattere contro le lacrime, dando sfogo al suo dolore. “Credeva di essere morta vendicando mio padre e invece è morta per niente. Lasciandomi solo.” Lo fissò con lo sguardo pieno di rimprovero. “E adesso tu osi dirmi che non avremmo dovuto intervenire?! Che avrei dovuto stare un’altra volta a guardare mentre uccidevano una persona importante per me?!”
Feliks si fermò, riprendendo fiato. Non sapeva come lo aveva tradotto o se il suo discorso aveva un senso, eppure non rimpiangeva niente. Toris ormai era una parte della sua vita, esattamente come lo erano stati sua madre e suo padre. Una nuova famiglia che gli era stata donata dopo tanto dolore, e avere tastato il rischio di perderla lo aveva terrorizzato.
“Io non voglio più perdere persone a cui voglio bene…” singhiozzò, prendendosi il viso tra le mani.
Toris lo abbracciò e lo avvicinò a sé, portandolo sul letto in modo da annullare le distanze. Quel corpicino tremante lo faceva sentire in colpa e allo stesso tempo provava il desiderio di proteggerlo. Feliks non si meritava tutto questo dolore, e sapere che era stato lui questa volta a procurarglielo lo faceva sentire un verme.
Sì, aveva perso il controllo davanti a quegli occhi rossi. Se ci ripensava, ancora adesso in fondo all’anima sentiva gorgogliare il desiderio di vederlo morto. Ma, allo stesso tempo, sentiva i tremiti di Feliks avvolti nel suo abbraccio, così vivi e così disperati. Toris sapeva che se mai si fosse scontrato ancora con quel cavaliere, e avrebbe mentito che avesse detto che non ci sperava, oltre al desiderio di vendetta ci sarebbe stato questo tenero ricordo che forse non lo avrebbe fatto andare fuori di testa. Era come se Feliks avesse il potere di tenerlo saldo alla realtà. Quasi si spaventò nel realizzarlo, nel capire quando in realtà avesse bisogno di quel ragazzino capitato per caso nella sua vita.
Lo abbracciò più stretto, facendogli delle carezze sulla nuca per tranquillizzarlo. Feliks dopo poco si calmò, senza però ritrarsi dal contatto.
“Io capisco la tua rabbia nel suoi confronti.” Gli sussurrò sul collo. “Ma non voglio che questo diventi un’ossessione che ti potrebbe costare la vita.”
L’unica risposta che seppe trovare Toris fu quella sollevargli il viso e di guardarlo negli occhi. Verdi come le praterie, espressivi come solo Feliks sapeva essere.
Non lasciarmi solo anche tu.
Non ebbe il coraggio di formulare i suoi pensieri, ma in quel momento fece una promessa a sé stesso: non avrebbe mai rinunciato a Feliks, non lo avrebbe mai lasciato solo. Non lo avrebbe più fatto soffrire.
 


Angolino di May
volte ho paura che il mio antiromanticismo non mi aiuti a scrivere fluff o scene come questa in cui teoricamente i protagonisti dovrebbero saldare il loro rapporto ma non mi convincono mai.
si nasconde
Al solito, critiche e pomodori marci sono ben accetti.
Mata ne!

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