Le Corde dell'Anima

di R_3_N
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Sinfonia Errante ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: Pròxenos ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: Catalessi ***



Capitolo 1
*** Prologo: Sinfonia Errante ***


Prima di iniziare a leggere


Questa storia prende spunto da una campagna che ho giocato. Sarà il background del personaggio di cui ho avuto l'onore di ruolare: Eco Ifandis (già dal titolo si capisce che classe gli abbia dato). Dopo questa prima parte, narrerò in un altro lavoro le cronache vere e proprie della campagna. Ringrazio infinitamente il mio master e il mio party per avermi donato (lo stanno facendo tutt'ora) avventure così emozionanti, oltre che al consenso di scriverci un racconto sopra.

 
Note

- 5e
- Homebrew


Avvertimenti

- Razzismo
- Omofobia
- Misoginia
- Violenza



IMPORTANTE

Nei dettagli della storia ho messo "nessuna/slash" al tipo di coppia per sottintendere che dapprima non ci sarà niente che tocchi la sfera sentimentale del protagonista. Si tratterà dunque di una slow burn (discretamente slow) e, attenzione, con un parecchio noto age gap. Se i pairing non tanto legali non fanno per voi, lasciate perdere. Siete avvertiti.


Messaggio ai lettori

Aggiorno irregolarmente, causa università e lavoro.



Detto questo, buona lettura! Che il soave suono di un violino vi accompagni in questa avventura!

 













 
Introduzione Campagna
 
 

Yrvat era il nome di quella terra tanto vasta quanto variegata. Ed in quella terra unita sotto un'unica divinità, gli esseri umani decisero di affermare la loro supremazia, dichiarando guerra a tutte le altre razze esistenti.

Ma l'avidità di potere porta solo rovina: più si ha, più si vuole. Fu proprio così che la guerra mondiale si trasformò in guerra civile. Un regno divenne Impero, e gli esseri umani si ritrovarono perseguitati dai loro stessi fratelli.

In tutto ciò, l'arroganza e l'ignoranza della razza umana andarono a trascurare una minaccia sempre più preoccupante, la quale si stava raggruppando e consolidando nelle lontane lande ghiacciate del Nord.

In questo clima d'odio, alcuni avvertirono il sentimento di mettere da parte le diversità e, unitisi in una coscienza comune, fondarono una società ribelle al regime imperialista degli umani e pronta ad affrontare il pericolo che presto avrebbe schiacciato Yrvat.


 










♪♫♩♭♬ Le Corde dell'Anima ♬♩♭♫♪
 




 
Prologo

Sinfonia Errante
 





Un caldo sospiro si levò nell'aria, e lo si vide quasi prendere forma in quella notte autunnale. Le ruote di un carro facevano scricchiolare il pietrisco del sentiero, mentre un tenue parlottare riempiva il silenzio, creando un’atmosfera dai toni quotidiani e sereni.

Eco si fermò ad osservare il cielo stellato. Poco ci capiva di astri, ma il bambino facilmente si perdeva in quell’infinità di stelle; egli si divertiva a collegare i vari punti luminosi, combinandoli in immagini che solo nella sua mente potevano avere senso. Vedeva quelle flebili luci prendere vita, emananti un’aura di conforto. “Non temere,” gli sussurravano. “Non sei da solo, ci siamo noi.” Tuttavia Eco non sarebbe riuscito a contemplare le stelle troppo a lungo: il loro bagliore era troppo fioco e lontano, mentre il buio era totalizzante e assai vicino, ed il bambino temeva l’oscurità.

“Qua. Fermiamoci qua per la notte.”

Il tono fermo di suo padre riportò Eco con i piedi per terra, ed il piccolo fece vagare i suoi occhi smeraldo in tutto lo spazio circostante. Notò la compagnia di suo padre adoperarsi per costruire una sorta di cortina: c’era chi già aveva raccolto legna, e chi stava iniziando a creare posti per dormire con coperte e cuscini.

“Eco, tesoro,” la voce melliflua di sua nonna richiamò l’attenzione del piccolo. “Ci pensi tu a cercare qualche bacca per di là?” Chiese con un sorriso Hilde mentre già tentava di accendere un fuoco, facendo un cenno ai pressi del bosco limitrofo.

Eco la fissò senza dire niente con un’aria quasi stoica, come se dovesse metabolizzare le parole di sua nonna. Ma poco dopo, i suoi occhi si spalancarono terrorizzati.

“V-vacci tu là!” Trillò Eco, rabbrividendo al pensiero di essere da solo al buio.

Hilde rimase quasi interdetta, ma ridacchiò divertita e indicò una delle loro compagne: “Sono sicura che Callisto ti accompagnerà volentieri.”

Eco dovette trattenersi dallo sbuffare in faccia a sua nonna, ma roteò comunque gli occhi mentre si dirigeva laddove stava la sua nutrice. Callisto era una donna paziente, dopo otto anni si era abituata ad avere a che fare con un bambino che sembrava essere nato con l’argento vivo addosso. E proprio perché ormai era una consuetudine, non appena ebbe udito un “Caaaalliiiiiii” dai toni abbastanza stridulanti, la donna si voltò con un ampio sorriso verso Eco.

“Luce dei miei occhi, eccoti qua!” Callisto gli rivolse uno sguardo amorevole, ed il bambino le si andò a stringere contro la gonna, tirandogliela appena come per richiamare la sua totale attenzione.

“Vieni con me a cercare delle bacche? Nonna ha detto che potevo chiedere a te? Ti preeeeeego!” Mugolò Eco, appiattendosi ancora di più contro la gamba di Callisto e fissandola con occhi lucidi e pupille dilatate. Il bambino aveva imparato che le donne della compagnia non riuscivano mai a dirgli di no qualora lui avesse sfoggiato quello sguardo da cucciolo bastonato. Non che ne avesse avuto bisogno con Callisto.

La donna inarcò un sopracciglio, divertita dai modi di fare del bambino. Lo prese poi per mano, e lasciò che fosse Eco a guidarla. Il bambino esultò felicemente e, a passo svelto e saltellante, quasi trascinò la sua nutrice, la quale si lasciò scappare un “Oplà!” per lo strattone improvviso.

Ma la marcia del bambino si arrestò del tutto non appena giunse insieme a Callisto esattamente all’entrata del bosco: davanti ai due un bivio, poi solo buio. Mera oscurità. Il bambino avvertì un brivido sinistro percorrergli la spina dorsale, e fece inconsapevolmente un passo indietro. Ma una mano leggera sulla sua spalla lo destò dai suoi pensieri, facendolo voltare di lato, verso Callisto. La donna emanava onde rassicuranti, ed il suo sorriso sincero era riuscito a rinvigorire il bambino. Eco le sorrise di ricambio, dopodiché i due si accinsero a cercare quanti più frutti di bosco avessero potuto trovare nella notte, aiutati dai fuochi accesi alle loro spalle e dal tenue bagliore degli astri sopra le loro teste.
 

 

- ♫♩♭♬♫♪♫♩♭♬♫♪ -
Carol of the Bells
 


"Una, e due- e tre... Ehm- due... Tre! Quattro! Cinque! E ora quattro..."

Il palmo sinistro del piccolo Ifandis si riempiva a poco a poco di bacche… tuttavia quello era un guadagno fallimentare: mentre raccoglieva i frutti, Eco li mangiava in contemporanea.

Callisto lo stava osservando in un misto tra interesse e divertimento; la mente di Eco funzionava in modo del tutto imprevedibile, non a caso la nutrice era affascinata da quella sua personalità. Ciò non si poteva però dire del padre del bambino. Argyròs non aveva pazienza, trovava i modi di fare di suo figlio interamente anormali e snervanti; proprio per questo aveva scelto una balia ferma e determinata come Callisto.

"Se continui così, tornerai da tua nonna a mani vuote," ridacchiò Callisto, chinandosi verso Eco per controllare il suo operato.

Ma appena la nutrice fu più vicina al bambino, ella poté constatare che Eco era immobile, con una mano ferma a mezz’aria e lo sguardo perso nel vuoto.
Sembrava quasi che il bambino si fosse pietrificato sul posto, come era solito fare quando una cavalletta saltava nelle vicinanze. Ma qua non c’erano cavallette né grilli. Callisto poggiò una mano sulla spalla del piccolo, giusto per assicurarsi che stesse bene.

"C-cosa?" Sussurrò Eco, facendo scattare la testa a destra. "Ma da dove...?" Continuò, parlando più a se stesso che alla nutrice.

Eco portò allora la testa a sinistra, facendo qualche passo in quella direzione. Vacillò appena.

Una sinfonia errante viaggiò sinuosamente tra i rami degli alberi, diffondendosi tutt'intorno e donando a quel bosco un’aura onirica. Un ritmo dolcemente ostinato, un susseguirsi veloce di note acute che potevano solo recare dipendenza all’ascoltatore. Sin dal primo motivo, quella melodia tanto delicata quanto penetrante aveva catturato il cuore di Eco, e adesso stava cullando il bambino con la stessa passione di una madre. Il piccolo sentì il proprio battito accelerare, ed i suoi occhi si spalancarono attoniti e ammaliati. Eco ascoltò quella melodia, in catalessi.

Mai le sue orecchie avevano udito un suono così soave e intenso allo stesso tempo, così semplice ma anche così complesso. Così poco umano… Così tanto sovrannaturale, così magico.

"Eco? Va tutto bene?" Callisto lo guardò preoccupata, scuotendolo appena. La donna avrebbe voluto aggiungere altro, ma fu battuta sul tempo da Eco, il quale si era d'un tratto voltato verso di lei, sfoggiando l’espressione più determinata che sapesse fare.

"Hai una moneta?"

Callisto corrucciò le sopracciglia, confusa. Eh? Una richiesta alquanto strana, in un luogo non del tutto pensato per attività commerciali, ad un’ora assai tarda. "Una moneta?” La nutrice lo fissò disorientata e, quando vide Eco annuire freneticamente, si riscosse dai suoi pensieri. “Sì- sì, certo..." Rispose, frugandosi nella scarsella appesa alla cintura.

Chissà quale sarebbe stata la perla di quel giorno, dopotutto Eco doveva ancora combinarne una delle sue.

"Ecco a te…" Disse Callisto, allungando più di una moneta nella mano libera di Eco. Dire che la donna era sbigottita era poco, tuttavia adesso era incuriosita.
Eco la ringraziò pimpante, intascandosi le monete in eccesso - da bravo e umile bambino - e lanciando la restante in aria.

Testa o croce?” Pensò Callisto, senza mai togliere lo sguardo da Eco. Osservò il bambino afferrare la moneta al volo e guardare il responso. “Eco?”
Il piccolo portò gli occhi verso la nutrice, sfoderando il tattico sorrisetto di chi sta per fare fieramente una bravata.

Oh no…

Ciò che Callisto riuscì a vedere fu un Eco riacquistare tutta la sua iperattività e sfrecciare nel sentiero alla loro sinistra. “Eco!” Urlò a gran voce Callisto, imboccando velocemente la via presa dal bambino. Tuttavia la povera donna non ebbe nemmeno il tempo di mettersi a correre che udì un “Ho sbagliato strada!? Ma da dove viene!” e si rivide sfrecciare davanti il piccolo, stavolta diretto verso la strada a destra.

Phoebe impediscimi di sculacciare tuo figlio appena lo acchiappo!” Pregò Callisto guardando il cielo, per poi rimettersi nuovamente all’inseguimento di quel combinaguai.


 
- ♫♩♭♬♫♪♫♩♭♬♫♪ -

 

“La sento! La sento sempre di più!”

Eco si muoveva velocemente, guidato da quella profonda sinfonia. Correva sul sentiero a perdifiato, l’adrenalina ad intossicargli l’intero corpo; poco importava che fosse buio, la mente di Eco stava mirando ad una sola cosa in quel momento: trovare la fonte di quella melodia sovrumana.

Quando la vegetazione iniziò a diradarsi, la corsa del bambino rallentò fino a fermarsi non appena una collinetta fu visibile, sotto il candore della luna. E sopra quel colle, una figura.

Una persona, più precisamente, o almeno questo fu ciò che il bambino riuscì a constatare malgrado l’oscurità. Tuttavia Eco era assai certo di una cosa: quell’individuo stava suonando un violino, e quelle note tanto dirompenti erano la melodia che Eco stava vigorosamente inseguendo.

Il piccolo riprese ad avanzare, camminando lentamente e senza mai staccare gli occhi da quella figura. Ipnotizzato dal suono, Eco allungò una mano verso la collina, come per richiamare l’attenzione di quell’individuo che sembrava essere un violinista eccezionale. Ma appena staccò piede da terra e lo portò avanti di un passo, Eco si ritrovò a farne tre all’indietro, improvvisamente strattonato da una presa alle sue spalle. Inutile dire che il bambino cacciò un urlo per lo spavento improvviso, ma si riprese non appena capì che ad averlo afferrato non era nessun altro se non Callisto. Un’infuriata Callisto.

“Ma che ti salta in mente! Eh Eco?!”

La corsa aveva reso alla donna il respiro affannoso, tuttavia Callisto non sembrava stanca. Anzi, probabilmente la donna adesso era molto più attiva di prima, l’ansia di perdere il piccolo nel bosco le aveva dato un’ingente carica.

Eco osservò allora la sua nutrice e, nel vederla così frastornata, iniziò ad avvertire una strana sensazione al petto. Le guance del bambino si tinsero di un rosa più intenso mentre costui portava lo sguardo al suolo, colpito improvvisamente da un senso di vergogna e colpa.

“Volevo- volevo solo… Sentirla meglio…” Mormorò Eco, continuando a fissare il terreno. “La musica. Non ho mai sentito niente di così… emozionante.” Continuò, facendosi sempre più piccolo di fronte a Callisto. “Non ti è piaciuta?” Chiese infine con un tono più vivace, forse sperando di evitare una bella ramanzina.

Ma quando non ottenne risposta, Eco alzò lo sguardo verso Callisto, e la trovò a fissarlo come se lui fosse diventato un pazzo delirante.

“Calli?” La voce di Eco tremò appena, quest’ultimo leggermente in soggezione.

Callisto sbatté le palpebre più volte, poi si chinò verso il bambino, rafforzando la presa che teneva sulle sue spalle. Prese un profondo respiro.
 

“Di quale musica stai parlando?”
 

Gelo. Dopo quella domanda Eco rimase paralizzato. Aprì e chiuse più volte la bocca, ma nessuna parola venne pronunciata.

“In- in che senso?” Riuscì a chiedere, nella confusione più totale. “Non la senti? È molto alta- e c’è qualcuno là sopra che sta suonando-” continuò Eco, voltandosi mentre finiva di parlare.

Tuttavia quando indicò la collinetta, il bambino strabuzzò gli occhi, ammutolendo per una seconda volta: il musicista era sparito, volatilizzato nel nulla, portandosi con sé pure quella melodia totalizzante.

“EH!? Ma che succede!” Trillò Eco, fissando quel colle ormai solitario. Il piccolo fece scattare il volto verso la sua nutrice, la quale lo stava osservando con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.

Sotto quello sguardo inquisitorio e preoccupato, Eco si sentì con le spalle al muro.

“Lo giuro! Ho sentito qualcuno suonare, era lì!” La voce del bambino si fece più acuta mentre quest’ultimo puntava con ostinazione verso la collina. “Non ho mai sentito niente di così… così come-” Eco quasi si mangiò le parole, non riuscendo a trovare un aggettivo giusto per descrivere quella musica dirompente. “BOOM! Così- esplosiva! Una botta di vita!”

E mentre dava il via alle più improbabili onomatopee, Eco condiva il tutto mimando esplosioni, saltellando esaltato al solo ricordo di quella melodia.

Ma dall’altra parte, Callisto lo stava guardando diffidente e incredula, quasi turbata.

“Eco…” Lo richiamò la donna. “Non c’è nessuno che sta suonando e non c’è nessuna musica. Forza, andiamo.” La voce di Callisto era seria, così come adesso era anche la sua espressione. “Informerò tuo padre e tua nonna che senti le voci, torniamo al campo.”

Quando Eco si sentì tirare per una mano, lui fece resistenza cercando di muoversi nella direzione opposta.

“Non- non sono pazzo! So cosa ho sentito, non me lo sono immaginato!” Urlò allora il bambino, divincolandosi nella presa di Callisto. “E non dire niente a papà!”

Callisto continuava a fissarlo scetticamente, ed Eco capì che la donna non gli avrebbe creduto. Il bambino sbuffò drammaticamente, optando per un’opzione veramente poco galante per liberarsi da quella stretta: alzò la gonna alla malcapitata nutrice, la quale si sorprese di tale atto maleducato.

Ad Eco bastò quell’attimo di distrazione da parte della donna per sfuggire dalla sua presa.

Scusa Calli! Mi farò perdonare!” Pensò Eco mentre correva verso la collinetta.

“EHI! So che sei qua! Ti ho visto!” Chiamò a gran voce il piccolo, cercando di scorgere ancora una volta quella misteriosa figura. “Esci fuori! Per favor-”

“Adesso basta Eco! Smettila di fare il difficile e torniamo dagli altri!” Callisto era indignata, ed ora che aveva acchiappato di nuovo il bambino non se lo sarebbe lasciato sfuggire per un’ulteriore volta.

Eco si divincolò ancora, strepitando, ma alla fine la sua misera forza venne interamente oppressa da quella della donna, ed il bambino si lasciò trascinare verso la loro cortina, sconfitto.
 



Già sapeva che avrebbe dovuto passare dei brutti quarti d’ora.









N/A:

Molto probabilmente aggiungerò immagini dei personaggi nei capitoli successivi, a mano a mano che compaiono.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: Pròxenos ***


 
Eccomi di ritorno!


Inserisco qua il link di alcune immagini: personaggi comparsi nel prologo.
Da sinistra: Eco, Argyròs, Hilde e Callisto.
 
Vi porterà su Pinterest nella speranza che funzioni (io e la tecnologia siamo su due strade diverse). Premetto che per cercare un’immagine di Eco ci ho impiegato un’eternità, solo perché lo avevo già disegnato io ma beh… su Ibis Paint non vengono fuori capolavori (almeno a me), dunque ho cercato qualcosa di molto simile.


Per dare un migliore inquadramento dei personaggi, ecco le loro età attuali:

- Eco: 8 anni;
- Argyròs: 26 anni;
- Hilde: 42 anni;
- Callisto: 30 anni.
 






Capitolo 1


Pròxenos





 
 
“Noia… che! Noia- CHE NOIA! Mi sto annoiando!”
 

Argyròs avrebbe voluto portarsi le mani alle orecchie e sbattere la testa contro un albero pur di non sentire le continue lamentele di suo figlio.

La compagnia Ifandis si era rimessa in marcia all’alba e adesso si stava preparando per il pedaggio. Il sole non era ancora allo zenit quando il gruppo aveva raggiunto le mura della nuova città, le cui imponenti arcate in legno recitavano un nome: Ollortnoc. Sicuramente aveva l’aria di essere una cittadina assai più grande e all’avanguardia rispetto alla precedente, la quale era basata esclusivamente sulla falegnameria.

Davanti alla maestosa porta principale si era creata una fila di persone, anche se c’era chi entrava e usciva liberamente, senza doversi mettere in coda. Eco era rimasto in silenzio per un buono quarto d’ora, ma la noia aveva poi preso il sopravvento. E Argyròs, da persona relativamente calma qual era, stava per perdere il senno.

Già la scorsa notte il giovane uomo aveva dovuto impartire una bella lezione a suo figlio, ma la paternale a malapena aveva fatto effetto su Eco, sembrava piuttosto che gli fosse passata da un orecchio all’altro.

“È la quinta volta che lo urli in meno di un minuto…” Stavolta Argyròs si passò una mano sulla fronte, mentre una vena si gonfiava sopra le sue tempie. “Ti avevamo detto sarebbe stata lunga, no?”

“Ma non così lunga! Siamo qui fermi sotto il sole da un’eternità!” Piagnucolò esasperatamente il bambino. “Perché non possiamo già entrare?”

“Tesoro, prima bisogna fare il pedaggio per essere in regola e registrarsi, e poi possiamo rilassarci nella nostra nuova casa, e vivere come ogni giorno.” La dolce voce di Hilde rispose al posto di Argyròs, quest’ultimo che si voltava verso sua madre. “Oh guarda, tra poco sta a noi! Coraggio Eco, sai che la pazienza ripaga bene.” Disse Hilde mentre si avvicinava al banco per i vari accertamenti. Argyròs le annuì in un muto ringraziamento: Hilde aveva il potere di far star buono Eco, almeno per qualche minuto.

Il bambino allora scrollò le spalle, roteando gli occhi. Mentre i grandi erano occupati con le faccende burocratiche, Eco fece vagare gli occhi oltre le porte della città, scorgendo al suo interno una sorta di tumulto. Non era troppo caotico, forse chiassoso, ma di certo non si trattava di una rissa. Vi era comunque quel vai e vieni di persone alle porte della città, trasportando carretti o altro, dunque la visione era abbastanza ridotta per un bambino della statura di Eco.

“Papà?” Eco richiamò Argyròs, tirandolo appena per la manica. “Cosa sta succedendo là dentro?” Chiese indicando il luogo, sinceramente incuriosito. Forse fu proprio quel suo tono genuinamente confuso a far inarcare un sopracciglio a suo padre.

Argyròs portò allora gli occhi nel posto in questione, notando una moltitudine di persone accerchiate attorno a chi sa cosa. Erano discretamente distanti, non si poteva udire bene, ma tra gli schiamazzi sembrava levarsi in aria una percussione quasi uniforme, come se quelle persone stessero battendo le mani insieme in un certo ritmo. E sempre più persone si univano a quel gruppo, applaudendo o fischiando.

“Mi scusi,” Argyròs si rivolse ad uno dei soldati al banco, proprio di fronte a lui. “C’è qualche evento in particolare oggi?”

Il soldato lo guardò perplesso, come se volesse dire ‘Vi trasferite qua e non vi siete nemmeno informati un po’ sul posto, complimenti’, ma poi sfoggiò un sorriso abbagliante. Tuttavia quella prima espressione dalle tinte beffarde della guardia non era affatto passata inosservata ad Argyròs, il quale aveva serrato la mascella e affilato lo sguardo, offeso.

“Beh, è forse l’evento più atteso dell’anno! La ‘Festa delle Arti’ è un’esibizione annuale senza frontiere di musica, pittura, scultura e quant’altro!” Spiegò energicamente il soldato, prima di venire catturato dallo strepitare affascinato di Eco.

“Chiunque può esibirsi, l’arte non ha età dopotutto. Ti piacerebbe ragazzino?” La recluta si era chinata all’altezza del piccolo, incatenando i loro sguardi.

Eco fu sorpreso da quella domanda diretta: un soldato che si metteva alla pari con un bambino, questa era nuova. Tuttavia, gli occhi del piccolo brillarono di meraviglia in tutte le loro sfumature verdi, solo per diventare scure attimi dopo.

“Non- posso- e non so fare… niente…” Ammise Eco, guardando al suolo, sconsolato. Fosse stato più attento si sarebbe accorto che non solo suo padre aveva chiuso le mani in due pugni stretti, ma anche che stava fissando trucemente la guardia.

“Imparerai allora! Ed i prossimi anni potrai mostrare ciò che sai fare.” Cercò di rincuorarlo il soldato, rialzandosi. “Sapete, stanno giusto finendo di allestire il palco nella piazza centrale. Siete fortunati a venire ad Ollortnoc in questa stagione, potrete conoscere alcuni dei migliori bardi e artisti di tutta Yrvat.” Nel dire il nome della nazione si portò una mano al cuore, facendo ricadere lo sguardo di nuovo su Eco. “E tu, piccolo, anche se non potrai esibirti, potrai sempre spettare!”

“Oh, ma che incredibile perdita di tempo.” Sibilò freddamente Argyròs, sorprendendo la guardia. “Non metta strane idee in testa a mio figlio, ha già dei doveri da svolgere. Non ha bisogno di queste inutili distrazioni.”

Il soldato rimase interdetto, non capendo dove avesse sbagliato. Nemmeno cercò di ribattere, talmente era stato preso alla sprovvista dalle gelide parole di Argyròs.

“Hai capito, Eco?” Iniziò a dire Argyròs, volgendo appena la testa verso il basso alla ricerca di suo figlio. “Nessuna distrazione.”

Se il giovane padre avesse voluto aggiungere altro si sarebbe ritrovato incapace di farlo, poiché un groppo alla gola gli aveva improvvisamente sigillato le corde vocali. Sentì il sangue congelarsi nelle vene: di fianco a lui, solo uno spazio vuoto. 

Argyròs fece solo in tempo a scorgere una minuta sagoma sgattaiolare incurante dentro le mura della città, prima che la folla gli occupasse la visuale.
 

 
- ♫♩♭♬♫♪♫♩♭♬♫♪ -
 
 

“LE! O! TO! RIO! LEO! TORIO! LEOTORIO!”
 

Nel grosso cerchio di persone si levò un clamore di applausi e incitamenti, mentre al centro un giovane esteticamente molto attraente accordava il suo violino. Le file del pubblico erano disordinate, ma era un caos piuttosto armonioso e innocuo.

E proprio quell’atmosfera dai toni entusiasti e spensierati aveva fatto sì che un bambino di otto anni fosse riuscito a sgattaiolare tra la gente, senza dare troppo nell’occhio.

“Oh cielo… Impazienti siamo, eh?” Tale il fascino di quel musicista, tale la sua voce seducente.

Bastò quella semplice frase per far levare dal pubblico un ulteriore schiamazzare, per lo più femminile, acuto e sognante. Eco ammiccò un sorrisetto divertito a quella situazione: anche nella sua compagnia succedeva così, quando le giovani donne avvistavano un bell’uomo.

Intanto il bambino aveva trovato un ottimo posto, essendo riuscito a fare zigzag tra le gambe della gente; adesso vedeva benissimo quel giovane musicista, il quale aveva iniziato a volteggiare intorno.

Il violinista stava sicuramente facendo un po’ di scena, suonando motivetti di riscaldamento e indirizzando sorrisi ammalianti e sguardi accattivanti verso chiunque avesse incontrato i suoi occhi.

Eco lo guardò interessato, ascoltando quelle note allegre e battendo le mani a tempo della melodia. Ma poi, qualcosa estranea alla musica catturò la sua attenzione, ed Eco si ritrovò a fissare con estrema insistenza quel violinista.

 
Quasi… abbagliante. Come se un involucro traslucido stesse avvolgendo quel giovane uomo, riflettendone se non accentuandone la lucentezza.

 
Eco piegò di lato la testa, mentre le sue sopracciglia si inarcavano all’insù. Sembrava quasi che fosse stata proprio la musica a creare quella sorta d’illusione ottica. Eppure le persone non parevano farci caso.

Talmente era perso nei suoi pensieri, il bambino si estraniò dalla realtà. Avrebbe continuato con quei viaggi mentali se soltanto qualcuno non l’avesse costretto a fare più passi indietro, facendolo sbilanciare e sbattere contro le persone. Ed Eco sarebbe sicuramente caduto se non ci fosse stata una mano a tenerlo saldamente per un braccio. Quella stessa mano, tuttavia, lo aveva afferrato e strattonato via da quell’affollamento, trascinandolo con poca grazia alle mura della città.
 

“MA CHE TI DICE IL CERVELLO!”

 
Aiuto-’ fu l’unica cosa che pensò Eco, avvertendo un sottile velo di rimorso e timore mentre osservava un Argyròs assai infiammato.

“Ti pare il modo! Scomparire in una città nuova e affollata! Mi vuoi far morire d’infarto a ventisei anni, figliolo?!” Lo rimproverò suo padre, tenendogli le mani sulle spalle. “Una cosa ti ho chiesto. UNA! Sai avere pazienza e stare buono per almeno mezz’ora!?”

Eco sussultò e abbassò lo sguardo velocemente, mortificato. Sentì gli occhi pungere per la vergogna.

“S-scusami papà…”

Argyròs lo guardò senza dire niente, poi sospirò gravemente, portandosi due dita a massaggiare sopra l’attaccatura delle sopracciglia. Non voleva far piangere Eco, ma doveva comunque fargli capire che certe cose erano sbagliate.

“Forza, vieni.” Ordinò, portandogli una mano sulla schiena per invitarlo a camminare. “La nostra compagnia ha fatto il pedaggio, adesso andiamo a sistemarci nella nostra nuova casa.”

Eco annuì in silenzio, sempre guardando basso. Tenne suo padre per mano quando iniziarono a camminare, titubante.

Quando i due imboccarono una via opposta a quella dove c’era la folla, un forte applauso risuonò tra quest’ultima, ed Eco si voltò senza però smettere di camminare.

 
Un violinista sicuramente fuori dalla norma.
 

 
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La nuova dimora sembrava molto accogliente: era grande e ben allestita, sebbene non fosse alla pari di quelle abitazioni nobiliari che potevano essere viste ad Ollortnoc. Tuttavia, era sicuramente più vasta dell’alloggio precedente, e bastava quello. D’altra parte, quella era la ‘Casa dei Piaceri’ della città e la compagnia Ifandis era cresciuta in numero negli ultimi anni, dunque serviva un’abitazione con molteplici stanze. Soprattutto per i futuri clienti.

Eco era rimasto al centro del grande salone, peritandosi anche a fare un passo.

“Callisto.” Sentì suo padre chiamare la nutrice. “Accompagna Eco di sopra, la sua stanza è la prima a destra.”

Argyròs già sapeva la struttura della casa, dopotutto aveva scelto lui quell’abitazione, ed era lui a tenerne la mappatura.

Eco vide Callisto annuire e raggiungerlo, mostrandosi sorridente al bambino. Probabilmente la donna aveva capito le emozioni del piccolo.

“Uhm…” Tentò Eco, prima che Callisto potesse scortarlo nella sua nuova camera. “Papà?”

L’uomo teneva lo sguardo su delle carte, mentre dava indicazioni ai membri della loro grande famiglia. Quando Argyròs udì Eco richiamarlo, gli lanciò un’occhiata scettica. Ancora doveva digerire la bravata che suo figlio aveva fatto alle mura della città.

Quando suo padre non rispose, Eco trovò il coraggio di continuare: “Posso- andare fuori?”

Argyròs allora abbassò le carte che teneva in mano, regalando a suo figlio uno sguardo disarmante.

“Audace, figliolo. Molto audace.” Disse, il suo tono assai serio. “Davvero credi che io ti lasci scorrazzare per la nuova città? Dopo il tuo comportamento immaturo?”

Eco sospirò afflitto, i suoi occhi verso il pavimento. Per quella volta, il bambino stranamente non se la sentì di ribattere. Accettò così la mano di Callisto, stringendogliela appena. La donna diresse il volto verso Argyròs, inarcando un sopracciglio, e il giovane uomo dovette trattenersi dal roteare gli occhi.

Argyròs era solitamente duro con suo figlio, ma in quel preciso istante decise di allentare la pressione sul piccolo. Forse grazie a Callisto, la cui presenza da sola alleggeriva la tensione, o forse proprio per lo stato d’animo di Eco, che sembrava veramente essere dispiaciuto per il precedente accaduto.

“Facciamo così,” aggiunse l’uomo, prima che Callisto ed Eco scomparissero su per le scale. “Tu ora studi finché non ti chiamiamo per pranzare. Dopo Callisto ti accompagnerà a fare una girata in città, due orette. E quando torni ti metterai di nuovo sulle pergamene.”

Bastò quella singola promessa per rinvigorire il più piccolo, il quale fece scattare stupiti occhi verso suo padre. Eco non credeva alle sue orecchie. Suo padre che gli permetteva di fare qualcosa senza pesanti e difficili compromessi. Non che Eco ci avesse sperato quando aveva posto quella richiesta, ma questo superava di gran lunga le sue aspettative.

“Ma devi promettermi che studierai.” Finì Argyròs, incrociando le braccia. “Controllerò i tuoi compiti.”

Il bambino annuì freneticamente, riacquistando il sorriso, e sfrecciò al primo piano senza nemmeno aspettare Callisto. Le labbra della donna si piegarono appena all’insù, rivolgendo un’espressione fiera ad Argyròs.

“Le pergamene sono raccolte in quel baule.” Informò il giovane uomo, puntando verso la cassa che aveva momentaneamente fatto posizionare all’entrata della struttura. Dopodiché, Argyròs se ne andò ad aiutare Hilde, già intenta a disfare i bagagli.

 
 
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Il ticchettare di un calamo contro la superfice di una pergamena era l’unico suono udibile nella stanza di Eco. Il bambino aveva ricevuto il materiale di studio da Callisto, ed ora se ne stava da solo nella sua nuova camera.

Se in un primo momento era stato preso da una nota carica e determinazione nell’affrontare le sacre scritture, adesso Eco stava pensando ad altro, la sua mente già fuori da quella casa. La sua concentrazione era spirata in meno di dieci minuti.

Il bambino fissò le carte, rileggendo più e più volte un paragrafo. L’unica cosa che aveva capito era che la lingua celestiale era difficilissima, complicata a livelli inimmaginabili. Forse la sola declinazione che sapeva a tutti gli effetti era quella del termine ‘meretrix’, appositamente imparata da tempo per infastidire suo padre.

“Aaaaaaah…” Un mugolio frustrato uscì dalle labbra del bambino, quest’ultimo che lasciava ricadere il pennino sulla pergamena, lasciandoci un bello sfrego d’inchiostro. “Aaaah! Non ci capisco niente!”

Eco si portò le mani a scombussolarsi i capelli, balzando giù dal letto. Non aveva la testa per studiare, voleva solo prendere una boccata d’aria. Si avvicinò dunque alla finestra che dava sulla strada opposta all’entrata del bordello, affacciandosi e sospirando drammaticamente.

Fuori c’era atmosfera di festa ed il chiacchierare felice delle persone ingelosiva il bambino, costretto a stare chiuso in camera a studiare. Il sole era quasi al suo punto più alto, ma alla loro consueta ora di pranzo manca ancora un bel po’. Eco guardò giù, notando una tenda aperta e un pagliaio proprio sotto la sua finestra. Gli occhi di Eco furono percorsi da un bagliore. E se…

Un’idea tanto stupida quanto geniale si fece avanti nella mente del bambino, che scosse subito la testa allontanandosi dalla finestra.

Voleva andare fuori, non ce la faceva più ad aspettare. Magari sarebbe potuto sgattaiolare dalla porta principale.

Ma quel pensiero venne obliterato non appena Eco ebbe aperto la porta di camera sua per affacciarsi alle scale: le donne della compagnia erano al piano terra, tra cui Callisto e sua nonna. Raggiungere la porta d'ingresso senza essere visto era molto improbabile.

 
Beh… a mali estremi, estremi rimedi.

 
Quello fu tutto ciò che pensò tornando in camera sua e chiudendosi la porta alle spalle. Eco fissò la finestra aperta. La tenda sotto aveva l’aria di essere resistente, per di più il salto non sembrava troppo alto.

Eco prese un profondo respiro, avvicinandosi alla finestra con una ritrovata forza di volontà. A suo padre ci avrebbe pensato dopo, magari nemmeno avrebbe dovuto spiegare qualcosa se fosse stato veloce in ciò che voleva fare.

“Dai, solo mezz’ora. Posso farcela. Posso farcela!” Si autoconvinse il piccolo, sporgendosi dalla finestra.

Nessun ripensamento. Eco aveva nella mente solo quel festival dell’arte, unito a quell’appariscente violinista ed a quella melodia magica che aveva udito la scorsa notte. E proprio al ripensare a quelle note erranti, il bambino fu preso dalla più assoluta tranquillità. Una pace da sogno che gli permise di scavalcare il cornicione, e di gettarsi sulla tenda sottostante.

Fu solo un attimo. Eco ruzzolò dal tendone al pagliaio in un movimento liscio come l’olio, schizzando immediatamente in piedi per l’adrenalina e lo stupore. Ce l’aveva fatta, stava bene. Era fuori.  Il bambino si guardò attorno con occhi ammaliati ed un sorriso scintillante.

Eco notò che alcune delle persone lì presenti lo stavano fissando allarmate, una donna si era pure avvicinata a lui per controllare che stesse bene.

Il bambino sorrise impacciato, in un vano tentativo di rassicurare quei passanti, ma poi non perse altro tempo. Eco corse per le vie, svoltando vicolo dopo vicolo, seguendo molte di quelle persone che sembravano dirigersi verso la sua stessa meta: la piazza centrale.

 
 
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Sottofondo generico
 
 

Eco non aveva mai avuto un brillante senso dell’orientamento. Andava prevalentemente a caso, per inerzia, per questo era solito dimenticarsi quale strada avesse percorso.

Le persone camminavano e parlavano indisturbate ed Eco seguiva chi più gli destava unicità. Al momento, il bambino era poco distante da una coppia di adulti dai vestiti sfarzosamente pregiati. Non aveva mai visto abiti tali, specialmente con quelle tonalità sgargianti. Sua nonna li avrebbe adorati senza ombra di dubbio.

“Mocciosi! Guardate dove mettete i piedi!”

Eco si fermò all’istante, osservando la coppietta dai colori pastello. I due adulti avevano momentaneamente abbandonato la loro compostezza: il maschio si stava sistemando gli abiti e la donna stava mandando occhiatacce ad un gruppetto di ragazzini ad un passo da loro.

“C-ci scusi! Serse è nato storpio, cammina storto!” Pigolò uno dei ragazzini, mortificato.

Quando la coppia di adulti liquidò quei bambini con sguardi altezzosi, Eco poté osservare meglio quel gruppetto. Erano tre ragazzini, probabilmente della sua età. Vide uno fare un gesto non tanto carino a quella coppia ormai alle loro spalle, mentre il bambino nel mezzo spintonò il terzo della loro combriccola.

“Ti faccio vedere io chi è lo storpio!”

In tutta risposta, gli altri due gli risero in faccia, pizzicandogli pure le guance.

Nel momento seguente, Eco sentì i propri occhi sgranarsi dallo stupore: il ragazzino in mezzo aveva passato di soppiatto un piccolo sacchetto in velluto nero ad uno dei suoi compagni. I tre sogghignarono.

Eco continuò a seguirli con lo sguardo anche quando quelli sfrecciarono in una via ai lati della strada, e trattenne il fiato quando uno dei tre, voltandosi, incontrò casualmente i suoi occhi.

Un ladro colto con le mani nel sacco sarebbe andato in panico. Quel bambino, tuttavia, aveva solamente ammiccato un sorrisetto e lanciato un occhiolino ad Eco prima di sparire dalla sua visuale.

Ed Eco era rimasto immobile, meravigliato. Certo, rubare era sbagliato, ma quei tre erano stati discretamente bravi a mettere in atto il misfatto.

“Niente male,” sbuffò divertito Eco, iniziando nuovamente a camminare. Li avrebbe senz’altro inseguiti se qualcos’altro non lo avesse fatto rinsavire da quell’incontro.

Musica.

Un motivetto allegro si era fatto strada per quella via e la sua fonte sembrava essere non troppo lontana da Eco. Il bambino seguì la musica e, muovendosi tra le persone, giunse finalmente in quella vasta piazza.

La vivacità di quel luogo fece accelerare i battiti ad Eco, ed il bambino osservò ammaliato lo spazio circostante. Arte, tantissima arte. Pittori in quasi tutti i lati della piazza, prestigiatori variegati, musicisti di ogni genere. Ma ciò che gli tolse il respiro fu quel distinto palco proprio al centro della piazza: le assi, di un legno lucidissimo, erano ornate da ghirlande di fiori dai colori più disparati. Sembrava uno spettacolo della natura.

 
Ollortnoc aveva proprio l’aria di essere una città magica.
 

 
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“Ciaaao!”
 

Quello fu il saluto, così casualmente informale, col quale Eco si presentò ad un giovane musicista, uno dei tanti in quella zona. Un chioschetto di violinisti ad un lato della piazza aveva appunto fatto colpo sul bambino, di conseguenza quest’ultimo ci si era intrufolato senza nemmeno rendersene conto.

Eco vide il musicista squadrarlo da capo a piedi, il suo sguardo incuriosito. Il ragazzo se ne stava seduto sopra una cassa, tra le sue mani un violino alquanto bizzarro e unico nel suo genere, con dorate rifiniture evocanti natura.

“Ehm… ciao?” Rispose quel violinista, un velo di disagio nella sua voce. “Ti sei perso?” Continuò quello, guardando nei dintorni nella speranza di scorgere dei genitori, ma nessuno sembrava star cercando un bambino.

Eco sorrise sgargiante, portandosi le mani ai fianchi.

“Probabilmente! Ma mi basterà chiedere in giro la strada per il bordello, facile! Chi non ama le meretrici?” Ad Eco non sfuggì il veloce spasmo che percosse le sopracciglia del musicista, esattamente al citare la Casa dei Piaceri di Ollortnoc.

Eco ridacchiò: era sempre uno spettacolo vedere le espressioni sorprese sui volti delle persone, raramente qualcuno si sarebbe aspettato che un bambino della sua età si fosse messo a parlare liberamente di prostitute.

Il violinista rimase allora ammutolito, aspettando che il bambino parlasse di nuovo o che, meglio ancora, si levasse di torno. Ma quando si accorse che quel ragazzino lo stava fissando più intensamente di prima, il musicista sospirò.

“Posso fare qualcosa per te?” Disse, cercando di mascherare la disillusione nel suo tono.

Prima che Eco avesse potuto rispondere, il giovane musicista aveva impugnato meglio archetto e violino, e aveva iniziato a suonare un motivetto di riscaldamento.

Ma quando il ragazzo notò l’espressione contorta del bambino, smise subito di far vibrare le corde.

Una smorfia infastidita e quasi addolorata si era formata sul volto di Eco.

“Hai bisogno di un secchio per vomitare, ragazzino?” Chiese il musicista, leggermente allarmato. Il ragazzo fece per poggiare il suo violino sulla cassa e scendere, ma si ritrovò di stucco non appena ebbe udito un’oltraggiosa affermazione. Suddetta affermazione veniva proprio da quel bambino di fronte a lui.

 
“Il violino è scordato, stringi l’ultima corda.”

 
Il violinista lo guardò in cagnesco, ed Eco si sentì ghiacciare. Il bambino puntò lo sguardo a terra, portandosi una mano a grattarsi la nuca. L’aria era diventata improvvisamente tesa, ma Eco non ne capiva il motivo. Che avesse offeso le capacità del giovane violinista? Eppure non aveva detto niente di sbagliato.

“Curioso, ragazzino. Sei per caso uno dei concorrenti? Vuoi mettermi i bastoni fra le ruote?”

Il musicista sapeva perfettamente che il violino era scordato, d’altra parte aveva allentato l’ultima corda di proposito, forse per sperimentare una nuova tonalità. Tuttavia, il violinista non aveva una risposta certa su come quel bambino avesse capito che si trattasse proprio dell’ultima. Al momento almeno.

Quando vide gli occhi del ragazzo assottigliarsi, Eco si affrettò a mettere le mani avanti.

“No- no! Sono nuovo qui…” Spiegò cercando di non farsi prendere dal panico. “Mi piace il suono del violino, e non ne ho mai visto uno da così vicino.” Finì indicando quell’inusuale violino.

Quel blu limpido si sposava benissimo con gli ornamenti dorati della tavola armonica: due tonalità che insieme donavano un’aura mistica a quello strumento musicale. Eco lo avrebbe definito più uno specchio che un violino, talmente era lucido.

La meraviglia con cui Eco stava studiando il violino non passò inosservata al giovane musicista, il quale avvertì la tensione dissiparsi lentamente. Soltanto un bambino curioso e affascinato, niente di che. Al musicista parve di rivedere un piccolo se stesso nell’attimo esatto in cui scopriva la sua vocazione.

Inspirando ed espirando ad occhi chiusi, il violinista poggiò il suo strumento a fianco a sé, risistemandosi sulla cassa. “Avvicinati, ragazzino.” Disse, estendendo un braccio verso il piccolo.

Gli occhi di Eco scattarono verso il musicista, sorpresi. Il piccolo osservò la mano che il più grande gli stava porgendo e, con una timidezza non esattamente familiare, fece come gli era stato suggerito.

Il musicista alzò da terra il bambino, facendolo sedere sulle sue gambe.

Eco sgranò appena gli occhi quando il ragazzo gli posizionò il violino esattamente sopra la clavicola sinistra, guidandogli poi le mani verso l’archetto e il manico dello strumento.

Sto sognando?” Pensò Eco, lasciandosi muovere come una marionetta da quel ragazzo.

Quel violino era estremamente leggero; la tastiera così liscia, le corde così sottili… Eco temeva quasi di romperle, sembravano estremamente delicate. E quando il ragazzo gli fece prendere tra le dita la chiave dell’ultima corda, Eco non ebbe il coraggio di stringerla.

“Non gli fai male, ragazzino. Accorda lo strumento, coraggio. Visto dici che è scordato.” Il musicista abbassò lo sguardo sul bambino, e quest’ultimo rabbrividì appena.

Ma quei brividi erano carichi di auspicio, ed Eco ancora faticava a credere di avere tra le mani quello strumento musicale. Impugnato l’archetto come gli aveva mostrato quel musicista, Eco fece vibrare l’ultima corda del violino, stringendo con una ritrovata risoluzione il pirolo. Passò nuovamente i crini vicino al ponticello con un movimento lento e gentile, tendendo non solo l’ultima corda, ma anche le orecchie. La nota stava suonando sempre più giusta, distinta.

Il violinista osservò attentamente i movimenti del bambino, lasciando allora che fosse il piccolo ad avere il controllo delle azioni. Lo tenne semplicemente per i fianchi, giusto per non farlo sbilanciare.

Quando il musicista fu sul punto di riprendere il violino, qualcosa di inaspettato accadde, ed il ragazzo si ritrovò non solo incapace di muoversi, ma anche di pensare.

 
Il bambino stava... Suonando. O meglio, stava cercando di suonare. Non un qualsiasi pezzo improvvisato, non una serie di note strambe messe lì a caso. Il musicista spalancò le palpebre, affilando l'udito. Le note non erano affatto pulite, erano disastrose e facevano venire la voglia di farsi implodere i timpani, per non parlare della posizione delle dita sulla tastiera. Ma il violinista aveva ben capito se non riconosciuto quella melodia.

 
L'espressione del musicista fu attraversata da una moltitudine di emozioni, ma infine scosse la testa, riprendendosi da quella che sembrava essere una situazione alquanto irreale.

"Non so dove tu abbia sentito questa canzone. Ma non stai facendo un bel lavoro nel riprodurla."

Eco smise di muovere l'archetto sulle corde, e si voltò di lato, cercando con lo sguardo gli occhi del musicista. Un leggero rossore a tingergli le guance.

"Sai com’è! Non ho mai toccato un violino- no... Uno strumento musicale in tutta la mia vita!"

Il musicista inarcò un sopracciglio. Un tenue sorriso, appena percettibile, gli piegò le labbra.

"Adesso fai schifo. Chi sa, però. Un giorno potresti diventare eccezionale." Concesse il più grande, riprendendo il violino e facendo scendere a terra il bambino. "Ora posso dirlo con certezza, ragazzino. Tu hai l'orecchio assoluto."

Tuttavia, il piccolo si era impuntato su una sola affermazione: faceva schifo a suonare. Ma quando il suo cervello ebbe registrato il resto delle parole del musicista, Eco fece scattare gli occhi verso il più grande.

“Perché così sorpreso?”

Il più grande si rimise comodo sulla cassa, incavallando le gambe. Quel ragazzino aveva catturato la sua attenzione. Il musicista quasi si sentì in colpa per essere stato inizialmente un po’ ostile nei suoi confronti.

“Uh…” Eco tentennò, unendo le mani dietro la schiena. “Penso sia il primo complimento che ricevo in anni! Cioè- quelli di nonna e Callisto non contano.” Affermò, conscio del fatto che il musicista non avesse la minima idea di chi fossero le due donne citate. “Aspetta, era un complimento, vero?!”

Il violinista semplicemente lo guardò, poi roteò gli occhi, sorridendo.

 
“Isaac. Isaac Moontrack.”

 
Eco inarcò le sopracciglia, confuso. Poi realizzò: i due nemmeno si erano presentati.

“Eco!” Trillò, mostrando un sorriso scintillante. “Eco Ifandis!” Ripeté mimando il musicista, il quale finalmente aveva un nome da associare alla faccia.

Isaac sembrava divertito dall’entusiasmo del bambino, ed il fatto che avesse rinunciato così in fretta all’idea di toglierselo dai piedi, sorprendeva pure lui stesso.

“E dunque sei un aspirante musicista?”

Eco ci pensò su, tremando in fibrillazione a quella sola idea. Imparare a suonare? Non aveva mai ponderato quella possibilità, anche perché qualcuno non glielo avrebbe permesso. Il suo sguardo si spostò al suolo, realizzando solo in quel momento che non avrebbe mai potuto. Un sorriso amaro si formò sul suo volto.

Ma Isaac capì; il silenzio era, d’altra parte, assai significativo. Non servivano parole per esprimere quella situazione d’impossibilità. Certo, il musicista non conosceva affatto il bambino, ma quello sguardo spento, l’espressione rammaricata… Erano segni evidenti di chi era impotentemente limitato.

“Passa stasera al concerto. Ti piacerà.” Suggerì allora Isaac. “E se resterai fino alla fine, magari potrai nuovamente prendere in mano Pròxenos.”

Eco si voltò di nuovo verso Isaac, stavolta con aria interrogativa.

 
Pròxenos?
 

“Il violino,” spiegò meglio il più grande. “Chi sente la musica dentro, deve trattare il suo strumento musicale come suo figlio. E dunque, da genitore, è dovere e onore dare un nome al proprio piccolo.”

Eco lo ascoltò, meravigliato. Quella cosa era a lui nuova, dare un nome agli strumenti musicali. Un’usanza strana ma sensata, quasi idillica.

Il bambino annuì felicemente. Avrebbe preso la palla al balzo, a costo di andare contro le parole di suo padre. Ed ora che ci pensava… Suo padre.

Quel pensiero intrusivo lo fece pietrificare sul posto all’istante. Da quanto tempo era fuori casa? Sicuramente da molto più di una singola mezz’ora.

Isaac vide il bambino sbiancare. Il musicista aprì la bocca per parlare, ma Eco lo interruppe in seduta stante.

“CI VEDIAMO STASERA!” Dichiarò a gran voce Eco, avvertendo un velo di panico avvolgerglisi attorno. Alzò una mano a mo’ di saluto, ridendo istericamente.

Il musicista seguì Eco con lo sguardo quando il bambino si dileguò con un’incredibile velocità da quel chioschetto, sfrecciando fuori dalla piazza. Isaac rimase allora imbambolato a fissare il vuoto, in un misto tra confusione e divertimento.

 
 
 
“Ci vediamo stasera, sì-” pensò Eco, correndo per la via principale a perdifiato. “A patto che mio padre non mi riduca in poltiglia!












N/A:


- Il nome della città non mi appartiene (probabilmente lo cambierò, sperando nella grazia divina del master).

- Callisto e Leotorio non sono miei.

- Prevedo un distacco di un mese dal prossimo aggiornamento (manca il tempo e le cose da fare sono troppe), piango.

- Anticipazioni inutili per il prossimo capitolo: Isaac è un manzo. Leotorio il classico Don Giovanni. Ah e Hilde milfona (non c'era bisogno di dirlo).

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: Catalessi ***


Chi non muore si rivede!
 
I’m back, non mi dilungo più di tanto in queste note, mettendo subito un link: personaggi & oggetti rilevanti del primo capitolo.
Da sinistra: Leotorio, Isaac, Pròxenos (aka il violino di Isaac).

Poi vabbé, liberissimi di immaginare a modo vostro i personaggi, metto poche descrizioni dell’aspetto fisico anche per lasciare più scelta ai lettori (anche se canonicamente sono pensati come indicano le immagini).
 
NOTE:
 
- Il primissimo plot twist della storia in questo capitolo. Sempre se “colpo di scena” si può chiamare…
- Titolo alternativo: "Eco che piange 24/7"
 
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
Capitolo 2

Catalessi
 
 

 
 
 


Parole.
 

Parole sbavate su una pergamena non erano ormai più leggibili.

Eco si asciugò le lacrime dagli occhi col dorso di una mano, tenendo uno sguardo deconcentrato su quelle carte. Fuori dalla sua stanza poteva ancora udire il vociare di suo padre e sua nonna.
 

Cosa devo fare con te!?” Gli aveva sbraitato Argyròs dieci minuti prima. “Ti devo rendere infermo? È questo che vuoi?! Rimanere su una dannata sedia per il resto della tua vita?!
 
E poi…
 
Cosa direbbe la tua povera madre?! A sapere che ha dato la vita per un bambino stupido!
 

Un singhiozzo lo fece tremare. Eppure Eco era abituato alle sfuriate di suo padre, non avrebbe dovuto sentirsi così inadeguato. Tuttavia questa volta doveva aver proprio superato il limite, suo padre non nominava mai sua madre.
 

Ma non potevo evitare di dormire con lei quella notte?! Così lei sarebbe rimasta in vita!
 

Ed a quella frase così carica di rancore, Eco non aveva retto più. Era corso in camera sua, gettandosi sul letto e nascondendo la faccia sotto il cuscino.

Eco non aveva avuto la grazia di conoscere sua madre, morta prematuramente di parto. Ciò però non significava che non ne sentisse la mancanza. Sua nonna era semplicemente sua nonna, e Callisto era la sua balia. Non era stato allattato da loro. Nessuna delle due riusciva ad eguagliare una figura materna.

Eco aveva poi preso le pergamene di studio, in una vana speranza di pensare ad altro. Ma era difficile concentrarsi, non con due persone che davano scena al piano di sotto.

 
“È questo il modo di trattare tuo figlio!?” Eco udì sua nonna rimproverare suo padre. La sua voce era acuta, Hilde doveva sentirsi tesa come una corda di violino.

“Tu gliele perdoneresti tutte, mamma!” Argyròs ribatté, altrettanto animatamente. “Mi sembra di vedere Krise! Uno più imbecille dell’altro!”

“C’è modo e modo di fare le cose, e non parlare così di Eco e tuo fratello!”

“Perché no?” Eco riconobbe l’amara risata di suo padre. “Sarebbe stato meglio se Eco fosse partito con lui, meno problemi per tutti noi. Si completano!”

 
Eco scaraventò via le pergamene, raccogliendosi in una posizione fetale sul letto. Se doveva essere così tanto non voluto da suo padre, bastava solo che gli indicasse la via per andarsene.

Le voci fuori dalla sua camera si quietarono poco dopo, seguite dallo sbattere di una porta al piano di sotto. Argyròs doveva essersi ritirato nel suo studio.

Eco sospirò gravemente, la voglia di non fare assolutamente niente se non dormire. Quando provò a chiudere gli occhi, un lieve bussare alla porta gli fece quasi accapponare la pelle.

“Eco?”

Era Hilde. Eco inspirò ancora, ponderando l’idea di non rispondere affatto. Udì poi la porta aprirsi e chiudersi, e il suo letto muoversi sotto il peso di sua nonna.

“Tesoro… So che sei sveglio.” Disse Hilde, portando una mano al volto di suo nipote.

“Lasciami stare!” Si rigirò il bambino, scappando dalle carezze di sua nonna. Ma quando la vide con un triste sorriso, Eco si sentì immediatamente in colpa. “Scusami…” Sussurrò, per poi darle le spalle.

“Sai che tuo padre non intende niente di ciò che ha detto, è arrabbiato e preoccupato, presto si calmerà.”

Uno sbuffo sarcastico scosse il bambino, che sentì nuovamente gli occhi inumidirsi. Hilde lo guardò senza dire niente, poi si alzò, avvicinandosi alla finestra.

“Credimi, Eco.” Disse Hilde, il suo sguardo oltre i vetri. “Quando ho avuto tuo padre e tuo zio, ero molto irragionevole.” Sorrise nel ricordare quei tempi. “A differenza di tuo padre, ero completamente da sola. E quei due gemelli erano addirittura più scalmanati di te, specialmente tuo zio.”

Eco allora si voltò verso di lei, mettendosi stancamente seduto.

“Quante litigate, quante strillate!” Sua nonna ridacchiò. “Ho detto loro cose che una madre non dovrebbe dire. Ma non le ho mai intese veramente.” Hilde sospirò, voltandosi nuovamente verso suo nipote. “La rabbia fa dire cose che non pensiamo.”

Eco rimase fermo. Nemmeno si preoccupò di asciugarsi ulteriori lacrime, le quali scivolarono fluidamente sulle sue guance. Aspettò che sua nonna si sedesse nuovamente accanto a lui, e che lo circondasse in un caldo abbraccio prima di dar voce al suo dolore.

“Tanto… tanto ha ragione lui-” un singhiozzo gli ostacolò le parole. “Non vi do m-mai ascolto. Faccio… sempre quello c-che mi pare-” Eco poggiò la testa sul petto di sua nonna, quest’ultima che disegnava dei cerchi immaginari sulla sua schiena. “E faccio casini…”

Hilde aprì la bocca, ma suo nipote la batté sul tempo, continuando quel cosciente soliloquio.

“U-un disas- sono un disastro!” Abbondanti gocce salate bagnarono il vestito di Hilde. “A cosa servo? Non sono buono nemmeno ad imparare tre parole in Celestiale! Niente…” Eco soffocò un mugolio, cercando di venire testa ai singhiozzi. “Buono a niente- se non a combinare guai…”

 Hilde lo strinse ancor più a sé, lasciando che il bambino tirasse fuori tutto.

“Essere vivace non significa essere inutile.” Sua nonna continuò ad accarezzargli la schiena. “Tu non immagini nemmeno quanto tu sia importante per noi, tesoro.”

Eco sinceramente non riusciva a comprendere cosa ci fosse di così rilevante in lui, non quando faceva sempre arrabbiare suo padre… e probabilmente pure sua nonna, anche se quest’ultima non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, empatica com’era.

“Se tu non ci fossi, le giornate a casa Ifandis sarebbero semplicemente buie,” affermò sua nonna. “Tuo padre ed io avremmo una vita così monotona, così grigia…”

Eco ebbe la forza di alzare il viso. Sebbene in preda a fremiti, riuscì a mantenere lo sguardo dritto negli occhi di sua nonna.

“Tu… la colori, la nostra vita.”

Un sorriso genuino e sincero si disegnò sul volto di Hilde, ed Eco sentì una calda fitta al cuore.

“Ti sembra poco?” Hilde inarcò un sopracciglio, senza mai smettere di sorridere. “Sei l’ancora della famiglia, tesoro. Se qualcosa ti accadesse, io e tuo padre perderemmo una parte vitale di noi. A quel punto non sarebbe più vivere, ma guardarsi vivere.”
 
Male, Eco iniziava a sentirsi male. Tuttavia quello era un dolore buono. Una sopraffazione di emozioni, tutte mirate alla ripresa del senno. Eco apparteneva alla famiglia Ifandis. Una famiglia complicata, certo, ma l’affetto familiare non mancava.

Il bambino non riuscì a contenere altri singhiozzi. Si nascose il volto tra le mani, mentre le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato. Si sarebbe scusato a dovere con suo padre il giorno dopo, al dissipare della tensione.

“Ti voglio bene, nonna…” Sussurrò il bambino, abbracciando di nuovo Hilde.

“Anche io te ne voglio, tesoro. Così come tuo padre,” ricambiò la donna, aspettando che suo nipote si riprendesse piano piano. “E proprio per questo motivo, è nostro dovere educarti e farti crescere bene.”

Eco annuì, lasciandosi cullare dal battito cardiaco di sua nonna. Eco si sarebbe pure addormentato tra le braccia di Hilde se questa non lo avesse distratto con una nuova affermazione.

“E sei in punizione. Per una settimana non uscirai di casa.” Disse Hilde, condendo il tutto con un sorrisetto spocchioso.

“COME?!”

Eco si era appena ripreso dalla litigata, questa non ci voleva proprio. Tuttavia, se lo sarebbe dovuto aspettare. Il bambino strabuzzò gli occhi, fissando sua nonna con uno sguardo esterrefatto.

“Beh, che ti aspettavi? La bravata l’hai fatta te. Ti abbiamo cercato per più di due ore. E tuo padre…” Hilde si portò il dorso di una mano alla bocca, ridacchiando divertita. “Stava già andando ad avvertire le guardie. Non l’ho mai visto così impanicato e spaventato.”

Eco allora lasciò andare un gemito disilluso, provocando altri risolini da parte di sua nonna. Non c’era niente da ribattere, se l’era cercata. Una settimana recluso era il minimo.

Stava quasi per accettare il suo triste destino quando un pensiero lampante lo fece scattare sull’attenti.

“ISAAC!” Urlò quel nome, facendo sobbalzare sua nonna.

Hilde lo guardò con aria interrogativa: “Isaac?”

“Stasera! Lui- il violino! Il concerto! Oh, ma dai!” Eco si scombussolò i capelli con le mani. “Me lo perdo- non ci credo!”

Hilde sbatté le palpebre più volte, poi prese un respiro e diede un colpetto di nocche sulla fronte di suo nipote, facendolo rinsavire.

“Ehi!” Trillò Eco, portandosi una mano sulla fronte. “Perché lo hai fatto?”

Hilde sbuffò divertita, poi incrociò le braccia, osservando suo nipote con un velo di interesse.

“Chi è Isaac?”

“Lui,” iniziò Eco. “È un musicista, l’ho conosciuto prima e siamo già amici! Mi ha fatto provare il suo violino, e mi ha invitato al concerto stasera-”

“Ti ha invitato? Eco, tutte queste libertà con gli sconosciuti?” Lo interruppe sua nonna. “Quanti anni ha?”

“Isaac ha, uhm-” Eco fissò sua nonna in modo interrogativo, facendosi poco dopo una vaga idea di dove volesse andare a parare Hilde. “Sembra più giovane di papà di qualche anno. E no. Non è un rapitore, nonna. È un violinista.”

“Come puoi esserne certo.” Chiese scetticamente sua nonna.

Eco sospirò per l’ennesima volta, afflitto. Isaac gli era sembrato un ragazzo per bene.

“Mi sono avvicinato io a lui, l’ho pure fatto arrabbiare all’inizio. Credo.” Ammise Eco, le sue guance che si tingevano di un colore più vivace. “Mi ha solo suggerito di andare al concerto, tutto qua. Ha detto che ho l’orecchio assoluto, o qualcosa del genere, non so che sia.”

Hilde annuì, ponderando chissà quali opzioni.

“È belloccio?”

Il bambino guardò sua nonna, spiazzato da quella domanda.

“Ma che cavolo c’entra!?”

E sua nonna rise di gusto. Vedere suo nipote scandalizzato e imbarazzato allo stesso tempo era sempre divertente.

“Di musica ci capisco ben poco,” ammise la donna, appena ripresasi dalle risate. “Ma se tu starai ad ascoltare il concerto, almeno io potrò bearmi di qualcos’altro.” Finì, facendo un occhiolino al bambino.

Eco scosse la testa, abbastanza a disagio all’idea di vedere sua nonna sbavare su Isaac. Ma subito dopo sgranò gli occhi, un’espressione stupefatta sul volto. Hilde annuì decisa alla realizzazione di Eco, sorridendogli di nuovo amorevolmente.

“La punizione inizia da domani. Dunque stasera,” Hilde si avvicinò ad un orecchio di Eco. “Andremo al concerto insieme. Mano nella mano.”
 
 
 
 
 
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GOT  / Discordia
 
 
 
 
Eco ammirava molto sua nonna.

Una grande donna che, da sola, era riuscita a farsi strada nella vita. Hilde riusciva sempre ad avere tutto sotto controllo, a mediare. Sia Eco e sia Argyròs le dovevano la loro salute mentale; senza di lei, molto probabilmente quei due sarebbero stati sempre ad azzannarsi al collo.

“Che meraviglia!” Il bambino udì sua nonna, e le lanciò uno sguardo per scoprirla ammaliata ad osservare la piazza centrale.

I due erano usciti poco dopo cena. Un pasto assai silenzioso, all’apice dell’imbarazzo, sotto lo sguardo giudicante e seccato di Argyròs. Probabilmente Hilde aveva avuto un’altra discussione con suo padre, e con lui era giunta ad un accordo. Forse era proprio per quello che Argyròs non aveva aperto bocca quando Hilde ed Eco avevano lasciato la struttura.

“Te lo avevo detto!” Rispose Eco, i suoi occhi che brillavano. Come sua nonna, il bambino si prese un momento per bearsi della vitalità di quel luogo, pieno di luci, colori e musica.

Le persone erano entusiaste, ed il loro chiacchierare spensierato e felice immergeva il piccolo in una dimensione pacifica. Hilde lo teneva per mano, guidandolo tra il pubblico fino a raggiungere un ottimo posto. Sebbene circondati da altrettante persone, i due potevano vedere benissimo il palco ed i musicisti che si esibivano.

Le sopracciglia di Eco scattarono all’insù quando il bambino riconobbe un certo musicista. Così come riconobbe lo strepitare femminile levatosi dal pubblico appena quel violinista iniziò la sua performance. Leotorio, sì. Era quello il suo nome.

Eco lo osservò mandare baci alle fanciulle, addirittura gli parve di vederlo fare contatto visivo con sua nonna, quest’ultima che gli faceva gli occhi dolci. Eco scosse la testa in imbarazzo, ascoltando poi cosa Leotorio aveva da offrire.

Dopo quel musicista affascinante, fu il turno di un altro, e poi di un altro ancora.

E dopo, finalmente, Eco riconobbe una testa bionda salire sul palco. Gli occhi di Eco brillarono ancora quando Isaac si mostrò d’innanzi al pubblico.

“Eccolo nonna! Eccolo!” Trillò in fibrillazione.

Quando il bambino lo vide muovere l’archetto sulle corde del violino, una melodia penetrante si sprigionò intorno. Alle orecchie di altri sarebbe sembrata una comune ed elegante sinfonia, ma non a quelle di Eco. I rumori del pubblico sparirono, ed il bambino sentì solamente il suono di Pròxenos.

Note gravi e acute si susseguivano fluidamente, i giusti tempi di prolungamento, le pause significative; quella melodia s’impossessò del cuore di Eco, il quale mai aveva tolto lo sguardo da Isaac. Un sorriso spontaneo si formò sul volto del bambino, ed i suoi occhi furono percorsi da tanti luccichii di meraviglia.

Isaac volteggiava su quel palco, suonando la sua canzone. Sembrava quasi che quel giovane musicista avesse messo la sua anima in quel violino, che avesse fatto della musica la sua ancora di salvezza. Suonava come se fosse il suo ultimo giorno sulla terra, come s’egli stesso fosse diventato musica. Si muoveva con passione in quello spazio ridotto, lasciandosi guidare dalle note.

D’un tratto, in quella canzone iniziarono a farsi sempre più rari gli accordi maggiori. Angoscia fu ciò che provò Eco. Un’angoscia che però lasciava uno spiraglio di speranza, suggerita dai rarefatti picchi allegri. Il bambino ascoltò, in trance. Un pizzicore agli angoli degli occhi glieli fece sbattere, e fu solo allora che Eco si accorse di star piangendo.

Quella melodia gli era penetrata fin dentro le ossa, lasciandolo in preda a brividi elettrizzanti.

Poi, Eco sentì il proprio battito accelerare, preso dallo stupore: Isaac lo aveva scorto nelle fila del pubblico, e adesso i loro sguardi erano incatenati. Le labbra del musicista si piegarono lievemente all’insù, come segno di riconoscimento. In tutta risposta, Eco alzò una mano facendo il simbolo della vittoria, mentre con l’altra si asciugava le lacrime.

“È lui Isaac?” Eco sentì sua nonna domandare. “Un bel ragazzone, non c’è che dire. Ce l’ha l’amorosa secondo te?”

Eco sbuffò, guardando allora sua nonna con un sopracciglio alzato e un sorrisetto. Ah… Donne.

“Ma chi se ne frega! Concentrati sulla musica, nonna!”

In tutta risposta Hilde rise di gusto, portandosi una mano alla bocca. Tuttavia, Eco la vide poi concentrarsi sul concerto, e rise divertito quando sua nonna iniziò a muoversi a ritmo della melodia.

Il bambino lasciò allora che la musica lo riavvolgesse, tornando ad osservare Isaac.

Quel musicista era qualcosa di sensazionale, ed Eco fantasticò di essere al suo posto. Chissà se sarebbe mai riuscito a maneggiare uno strumento musicale in quel modo elegante e delicato.

Le lanterne illuminavano il palco e il suo protagonista, e gli ornamenti floreali donavano al tutto una tinta ultraterrena. Un’atmosfera da sogno di cui Eco poteva solo provarne invidia e meraviglia.

Il bambino lasciò che quello scenario lo catturasse, che lo catapultasse in un’altra realtà. Una realtà in cui dominasse la pace dei sensi.


E così fu. Ma solo in parte.


Eco sbatté le palpebre più volte, riducendo poi il campo visivo per mettere meglio a fuoco. Sembrava quasi che la luce si stesse affievolendo sempre di più. Così come i rumori.

Il bambino si voltò in confusione verso sua nonna, ma la donna non era più al suo fianco.

Spalancati gli occhi dallo stupore, Eco si voltò nuovamente verso Isaac.

Ciò che vide gli fece gelare il sangue: il musicista era scomparso, così come il palco. Un brivido di panico gli percorse la spina dorsale, ed il bambino si girò indietro con una certa fretta. Il pubblico si era volatilizzato nel nulla, insieme a qualsiasi tipo di suono.

 
 
Penombra.
 

 
Una fitta selva lo circondò in un istante, materializzandosi attorno a lui senza preavviso. I rami ben intrecciati tra loro sembravano formare una cupola infinita, bloccando la maggior parte dei lontani raggi di un sole ormai calante.

Eco si voltò più volte. Prima a destra, poi a sinistra, in una continua ostinazione: soltanto macabri alberi e ombre. Eco avvertì un agghiacciante panico iniziargli a reclamare anima e corpo. Un momento prima era alla Festa delle Arti, così piena di colori e vita, ad ascoltare Isaac suonare quell’emozionante melodia, e adesso… quello?

Colto da più tremiti, il bambino fece l'unica cosa che in quel momento avesse potuto fare: si mise a correre. Corse per quell'intricata foresta che poteva soltanto essere segno di presagio. Le tenebre sarebbero presto calate onnipotenti sul bambino, poiché i rari spiragli di luce facevano solo intravedere un cielo che piano piano si sfumava sempre di più dal violaceo al blu notte.

Eco sentì nuove lacrime scendere dai suoi occhi. Ma queste lacrime non erano come le precedenti. Queste erano cariche di terrore, infima paura e confusione.

"Nonna?!" Eco chiamò, senza mai smettere di sfrecciare in quella tetra foresta. "NONNA! ISAAC!"

Quel sentiero non sembrava facile da percorrere, pericolanti radici spuntavano dal terreno, aggrovigliate. Eppure il bambino stava correndo a perdifiato, implorando e cercando un aiuto piuttosto utopico.

Ma dopo tante e veloci falcate, la corsa disperata del bambino si trasformò in un potente schianto contro il terreno. Un gemito di dolore si sprigionò dalla sua gola quando Eco atterrò di faccia sul suolo. E, fatta leva sulle braccia, Eco riuscì appena a sollevarsi col busto, rivolgendo un’occhiata spaventata alle sue spalle: era inciampato su una massiccia radice.

“Nonna… Isaac…” Ripeté, la sua voce tremolante. “Papà…

Il piccolo si rannicchiò su se stesso, portando a fatica le gambe al petto.

“Dove sono…” Sussurrò, avvertendo nuove e umide scie rigargli le guance. “Ho paura…

Quando singhiozzi presero possesso delle sue corde vocali, Eco sigillò le palpebre, portando la testa a nascondersi tra le sue braccia e le sue ginocchia.

Era soltanto un brutto sogno, doveva semplicemente svegliarsi.

Come un mantra, Eco iniziò a contare nella sua mente, nella speranza di riprendersi da quell’incubo. Avrebbe continuato a contare all’infinito se soltanto un boato non lo avesse fatto sobbalzare.

Solo allora il bambino fece scattare la testa in su, sgranando gli occhi e guardandosi intorno freneticamente. Dopo quel suono assordante, Eco aguzzò le orecchie.

Sembravano rumori metallici quelli che potevano essere uditi, e non parevano molto lontani dal bambino.

Nella sempre più scura penombra Eco scorse in lontananza un bagliore rossastro.

Fuoco?

Una piccola carica di vigore riscosse il piccolo, che vide speranza in quella fioca luce. Combattendo la paura, il bambino riuscì ad alzarsi, camminando tremante verso quella fonte luminosa.

Cercò di non pensare a nient’altro mentre si dirigeva laddove sembrava esserci del fuoco, notando a poco a poco che si stava avvicinando ai pressi di un pendio. La vegetazione si stava aprendo, lasciando intravedere un cielo ormai scuro.

La luce rossastra era sempre più vicina, e questo scaldava abbastanza il bambino, tanto da permettergli di andare avanti e sopprimere quel sentimento di panico che lo stava divorando. I rumori metallici tuttavia si opponevano alla speranza che Eco credeva di raggiungere con quella luce. Tale speranza finì infranta quando il bambino arrivò finalmente all’inizio di quel pendio.

La scena che gli si presentò sotto agli occhi lo lasciò destabilizzato, facendogli fare qualche passo indietro.

 
C’era del fuoco, sì, ma quel fuoco non sembrava affatto benefattore.
 

Un’insidiosa danza di fiamme distruttrici si stava espandendo sotto a quel dislivello e molte, troppe, persone si stavano dimenando in due schieramenti, impugnando lame e archi. Dardi infuocati sfrecciavano tra le due schiere, ed una collisione di spade e alabarde risuonava prepotente in tutta l’area circostante, mescolandosi ad atroci grida di guerra.

Quel posto pullulava di caos, distruzione e morte.

Un forte odore di bruciato e sangue intossicava l’atmosfera, ed Eco sentì il bisogno di nascondersi dietro una grossa quercia poco distante da lui, giusto situata al limite del pendio.

Gli occhi del piccolo erano ridotti a due punti mentre fissavano quell’orrida scena sottostante. Sebbene la distanza non permettesse di delineare perfettamente i contorni di quelle persone, era facile capire chi fosse di una schiera e chi dell’altra: vi erano due armature ben diverse.

Tra quelle urla raccapriccianti, Eco distinse poi un suono assai più vicino, ed il bambino fece scattare lo sguardo proprio al punto più alto di quel pendio.

Una persona era inginocchiata su quel versante, e guardava verso il basso tenendosi avvolta tra le sue stesse braccia. Un grido strozzato si levò da quell’individuo, ed il bambino rimase pietrificato ad osservare quella figura afflitta dal dolore.

 
Ai’” Eco udì una voce maschile, e voltò la testa verso la sua fonte, nascondendosi meglio dietro l’albero.

 
Un ragazzo si era avvicinato a quell’individuo tormentato, ed era rimasto a pochi passi dalle sue spalle.

Eco vide la figura piegata su se stessa stringersi di più tra le braccia.

“Ai’, non puoi farti trovare qui.” Il nuovo arrivato parlò ancora, una palpabile urgenza e preoccupazione nel tono della sua voce. “Ti ammazzeranno.”

“Che lo facciano!” Rispose la figura straziata. “Me lo merito! Sono stato io…  È colpa- è colpa mia!”

Solo allora Eco identificò quella persona come maschio, e lo osservò destabilizzato quando quel ragazzo inginocchiato si prese la testa fra le mani, piangendo e urlando ancor di più.

L’altro ragazzo si avvicinò allora di più a quello frastornato, mettendogli una mano su una spalla.

“Non è stata colpa tua, non lo sapevi... Ti hanno ingannato.”

In tutta risposta, quello che corrispondeva al nome di Ai’ si lasciò scappare una risata amara e sarcastica.

Non lo sapevo non è una scusa! Sarei- sarei dovuto rimanere…” Abbondanti lacrime brillarono, riflettendo la luce rossa del fuoco sottostante. “Sono un traditore!

Eco continuò ad osservarli in silenzio, il cuore che gli batteva a mille. Lo scenario bellico colorava tutto di una tonalità cremisi, e con le varie ombre Eco a malapena riusciva a identificare al meglio quei due ragazzi sulla cima del pendio.

“Se tu sei un traditore, lo sono anche io,” affermò il ragazzo in piedi. “Ma a differenza tua, non ho intenzione di morire né di lasciarti indietro!” Detto ciò, Eco lo vide afferrare con forza quello ancora in ginocchio e trascinarlo via da quel dislivello.

“Thoris!” Ai’ fece resistenza, afferrando le mani dell’altro ragazzo e cercando di togliersele di dosso. “Smettila! Lasciami brutto stupido! Non voglio avere anche la tua morte sulla coscienza!”

“Non ce l’avrai,” Thoris era serio e determinato, non avrebbe lasciato che l’altro venisse catturato o giustiziato. “Ce ne andiamo. Insieme.

Ai’ scosse la testa, portandosi una mano alla bocca per soffocare sofferenti singhiozzi.

“Andare dove!? Il regno di Vördst sta venendo annientato!” Ai’ riuscì a liberarsi dalla stretta di Thoris, e lo fissò con occhi privi di speranza. “Tu non hai fatto niente, torna a casa! Avverti i nostri prima che sia troppo tardi!”

“Sono sicuro che si siano già messi in salvo.” Thoris fece un passo in avanti, verso l’altro. “E se pensi che io abbandoni il mio migliore amico, ti sbagli di grosso.” Continuò, serrando i pugni e lanciando uno sguardo oltre Ai’. “Non abbiamo tempo. L’Impero sta arrivando con più soldati.”

Ma l’altro ragazzo non sembrava demordere, troppo in preda alla devastazione.

“Dannazione, Ai’! Abbiamo fatto una promessa, te la ricordi?!”

“Una promessa infantile…” Sussurrò Ai’. “Sei un pazzo, un pazzo! Ragioni come un idiota!”

“Un idiota che però non vuole vederci crepare!” Fu allora che Thoris perse la sua compostezza, prendendo il suo amico per la collottola con entrambe le mani. “Tu sei tutto quello che ho. Per favore, non mi abbandonare!”

Il bambino non aveva intenzione di lasciare il suo nascondiglio, congelato da quella situazione irreale. Vide quello che doveva essere Thoris venire scosso da più tremiti e poggiare la fronte sull’incavo del collo di Ai’, quest’ultimo che lasciava cadere appena le barriere per circondarlo in un debole abbraccio.

Le grida al di sotto del pendio si fecero più gravi, la marcia di ulteriori soldati sembrava provenire dalla loro destra.

I due ragazzi si guardarono allora con preoccupazione e terrore: il tempo era scaduto, rimanere lì significava morte certa. La luce del fuoco non li illuminò più di quel rosso cremisi quando i due ragazzi corsero via, e nella penombra Eco riuscì a catturare un particolare dettaglio, quando quelli passarono a lato del suo nascondiglio.


 
Entrambi avevano orecchie allungate, sottili… appuntite.
 
 

“E… o…”
 

Di che cosa diamine avesse visto, Eco non aveva la minima idea.

 
“… co…”

 
Sapeva solo che doveva andarsene da lì, quella foresta in fiamme odorava di caos e morte.

 
“… E… co…”

 
Gli veniva da vomitare. Voleva scappare, rincorrere quei due singolari individui, ma le sue gambe erano piantate al suolo. Non riusciva a muoversi, nemmeno a respirare. Poteva solo sentire lacrime continuare a bagnargli le guance. Era spaventato, era confuso. Era stanco. Quando avvertì le sue gambe iniziare a cedere, il bambino chiuse gli occhi, lasciandosi in preda agli eventi.

 
 
“Eco!?”

Il piccolo spalancò gli occhi di colpo.

“Che Elyshar ci grazi! Ti ho chiamato quattro volte!” Sua nonna gli aveva preso il volto tra le mani, chinandosi alla sua altezza. “Che succede tesoro? Stai male?”

Eco fissò sua nonna come se non credesse nemmeno di averla di fronte. Si sentiva sudato, appiccicoso, il suo respiro irregolare. Voleva strapparsi i vestiti di dosso, lo stavano strangolando. Gli mancava l’aria.

Un forte applauso e schiamazzi estasiati risuonarono d’un tratto in tutta la piazza. Il bambino sussultò, coprendosi istintivamente le orecchie con mani tremolanti.

“Andiamo via da qui,” sussurrò, la sua voce incrinata. “Voglio- voglio andare a casa-”

Sua nonna lo teneva ancora al volto, i suoi pollici ad asciugargli le lacrime. Hilde non aveva mai visto quell’espressione destabilizzata su suo nipote, era così fuori dal suo personaggio. La donna annuì, in pensiero per Eco. Avvertì il bambino stringerla in un abbraccio tremante, e lei portò allora una mano su un suo fianco. Sebbene la donna avesse una miriade di domande, sapeva benissimo che non era né il luogo né il momento adatto per porle.

I due si fecero strada tra il pubblico, cercando di non spintonare troppo le persone. Eco tenne il fiato sospeso finché non giunsero finalmente fuori dalla piazza, in uno spazio meno affollato.
 
Eco sapeva che un paio di occhi lo stavano seguendo in lontananza, quando lui e sua nonna furono sulla strada per il bordello.

 
Isaac era rimasto immobile sul palco, il pubblico ancora ad adularlo.


 
Sul suo volto, una sordida preoccupazione.
 
 








N/A:

Che dire signori… la droga dà, la droga toglie. Ho dovuto tagliare un bel pezzo finale, veniva troppo lungo altrimenti.

Comunque!

Devo ammettere che ho trovato una discreta soddisfazione nello scrivere questo capitolo, forse un po’ troppa. Mi piace infliggere dolore ad Eco. Mi dispiace solo non aver mostrato interazioni con Isaac e Leotorio in modo più approfondito, ma saranno le prime a comparire nel terzo capitolo (CHE PREVEDO VERSO META' FEBBRAIO, ho troppi esami tutti insieme e poco temo ;n;).

Ah poi, info a caso: Hilde ha nominato Elyshar. Costui è l’unica divinità di Yrvat.

Hasta luego!

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