Sogni agitati

di Cladzky
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il grillo parlante ***
Capitolo 2: *** I caprioli e il dinosauro ***
Capitolo 3: *** Il robot e mio fratello ***
Capitolo 4: *** In ritardo per scuola ***
Capitolo 5: *** Il re della Finlandia ***
Capitolo 6: *** Picchio due fascisti ***
Capitolo 7: *** Il matrimonio ***
Capitolo 8: *** Il romano ***
Capitolo 9: *** La fuga e la fogna ***
Capitolo 10: *** Il dinosauro del risveglio ***
Capitolo 11: *** La Melevisione ***



Capitolo 1
*** Il grillo parlante ***


Ho sognato qualcosa di strano oggi.

Ho sognato che eravamo in un autogrill, le pompe di benzina appena fuori il locale. Dentro gli scaffali erano quasi vuoti, la gente faceva a botte per entrare, molta gente a dire il vero, che non si capisce perché fosse lì, e andava dall’unico povero commesso per comprare cose; altri rubavano, facendo squillare gli allarmi agli ingressi. Sono uscito perché soffocavo in quel posto così affollato, illuminato da luce al neon azzurrina. Fuori la fila all’ingresso era pazzesca e il terreno in cemento verteva verso il basso, come le scalinate di un teatro greco. In fondo, a bordo strada, accanto la recinzione metallica, trovai un piccolo insetto verde dal ventre bianco, dalle lunghe antenne e un corpo sconosciuto, costruito come una mezzaluna le cui punte davano verso l’alto, una l’addome e l’altro il capo, come un grillo ma senza poderose zampe posteriori, piuttosto quelle di una cimice. E questo insetto strideva, o meglio vociava qualcosa, lo afferrai e lo portai al mio orecchio e lo sentivo parlare. Chiedeva, con la voce di un bambino “Cosa accade quando moriamo? Il nostro spirito va da un’altra parte o muore insieme al cervello?”

E io trovai la cosa sorprendente, ma non troppo e con un sorriso amaro richiamai l’attenzione di bambino vero e gli dissi “Ascolta, questo grillo parla.” Gli porsi l’insetto che mi camminava sulla mano e la sua voce suonava molto acuta, ma anche distante si capiva che non erano versi ma una frase nella nostra lingua. Il bambino mi sorrise e io non sapevo se era perché mi credeva pazzo o perché avesse davvero sentito l’insetto.

Mi sentii in colpa, perché non avevo ancora risposto alla domanda posta dall’insetto. Allora mi portai la mano al viso, la aprii ma non lo trovai e mi venne il cuore in gola perché temevo di schiacciarlo non vedendolo e dissi pure al bambino di fare attenzione e di guardare i suoi passi.

Il sogno finii prima di poter ritrovare l’insetto.

 

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Capitolo 2
*** I caprioli e il dinosauro ***


Ho sognato qualcosa molto tempo fa.

Eravamo in montagna, un piccolo paese degli Appennini chiamato Pratopiano, frazione di Palanzano. Conosco il posto perché ci ho trascorso molte estati quando i miei affittavano la canonica come luogo di villeggiatura. Fu proprio in quel periodo infantile, circa il 2008, che feci quel sogno.

Eravamo in un luogo preciso, il campo dietro la chiesa, che d’estate viene fatto crescere per poterci fare poi i balloni. Qui, spontaneamente, crescono viole e ginestre e la temperatura, all’epoca, scendeva abbastanza di notte che la mattina dopo si formava la rugiada.

Dicevo che eravamo in questo campo, non solo io ma tutta la mia famiglia e cavalcavamo caprioli, gli stessi bellissimi animali che in realtà potevo ammirare solo col binocolo al limitare dei boschi. E nessuno di noi trovava meravigliosa la cosa fuorchè io, che rimiravo lo spettacolo da sopra il mio capriolo personale. Li domavamo senza selle o redini, montandolii in groppa a pelo e questi, come se non sentissero il nostro peso, saltavano in giro senza disarcionarci. Quand’ecco che, allontanatomi vicino agli alberi, fa capolino nella radura un grosso bestione, un rettile coperto di pelle verdognola, dinosauresco, di dimensioni non dissimili da quelle di un rinoceronte. Aveva zampe colonnari, un dorso a punta che saliva dietro il collo e scendeva nella coda e la testa era equina a vedersi, con un tubo dietro la nuca, come quello di un parasaurolofo. Lo pseudodinosauro non mi era nuovo. Smontai dal mio capriolo che lasciai lì incustodito e salì sulla nuova bestia e questa non fece obiezioni. Non era tanto comodo star seduti su una cavalcatura dalla schiena a punta, ma la spronai e questa partì. Attraversai il campo al galoppo sentendo i fiori graffiarmi le caviglie e la rugiada bagnarmele. Giunsi appena dietro la chiesa, dove termina il campo in una collinetta e vidi mio padre e suo padre che guardavano il campo dove cavalcavamo tutti. Gli sfilai davanti mostrando il mio nuovo destriero e i due furono sorpresi. Mio padre lo riconobbe e disse precisamente “Quello è un pirlaten: un incrocio fra un dinosauro e un pirla.”

Il sogno virò in una visione a volo d’uccello e vidi la canonica dove nel parcheggio era costruito un recinto per i nostri bei caprioli. Sentii la mia voce e mi dissi da solo “Questo è un sogno, i pirlaten non esistono” e mi rattristai molto. Quando mi svegliai fui ancora più triste al rendermi conto che non possedevamo neppure dei caprioli da cavalcare.

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Capitolo 3
*** Il robot e mio fratello ***


Sognai qualcosa quando ancora andavo alle medie. Credo fosse l'ultimo anno prima che cominciassi le superiori. Era estate e andai a dormire presto. Di conseguenza sognai a lungo.

Vidi una città scurita sotto un cielo rosso da incendio. Un mostro, credo una macchina umanoide, gigantesca, camminava per le strade e dagli occhi emetteva una fascio di luce che trasformava ciò che toccava in nero carbone sbriciolabile e così faceva con tutti i vari palazzi.

Un manipolo di soldati, stranamente disarmati e vestendo un’uniforme da guerra in Vietnam, gli camminò incontro cercando di non farsi notare. Pensai “Non finirà bene” e così fu. Mi passarono davanti immagini statiche di loro, uno per uno, morti, colti in un momento in cui cadevano all’indietro o si accasciavano e un piccolo fiotto di sangue fuggiva dai loro corpi.

Il mio cervello dovette essere piuttosto turbato perché cambiò lo scenario apocalittico. Mi trovai di fronte mio fratello che rideva a crepapelle, facendo fatica a respirare. Nelle mani stringeva una globo grosso come un pallone da calcio, per metà fatto di vetro e dentro si vedeva una locandina di un vecchio film dipinta. Recava scritto “SPACE STATION” e io, senza motivo, seppi immediatamente che si trattava di un film del 1957. Mio fratello mi spiegò che rideva tanto poiché il film si intitolava “stazione spaziale” e sulla locandina c’era disegnata una stazione spaziale e lui trovava la cosa ridondante. 

Mi svegliai non trovandoci nulla da ridere. No, non esiste un film con quel titolo, ma a quanto pare esiste un film sovietico di quell’anno che parla di una stazione spaziale. Дорога к звёздам o Rotta per le stelle.

 

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Capitolo 4
*** In ritardo per scuola ***


Uno dei miei incubi peggiori lo sognai appena finii le superiori. Queste mi lasciarono con l’incubo dei ritardi, eventualità non rara quando abiti a venti chilometri dal liceo e circondato dal nulla, senza stazioni o fermate dell’autobus e devi affrontare il traffico sull’auto dei tuoi genitori.

Ero in mezzo una montagna priva di vita, senza piante che non fosse erba e priva di animali. Il cielo era terso e poco acceso, come la mattina presto e il terreno appariva lunare da quanto era impraticabile. Sentivo di essere in ritardo per l’inizio delle lezioni e compivo grandi balzi che aumentavano la mia sensazione di essere sulla luna per davvero. Scendevo giù come una valanga, lasciandomi alle spalle degli sconosciuti compagni di escursione e finalmente vedo l’edificio scolastico, costruito alla base della montagna. Aveva quella tipica facciata allegra da agglomerato di parallelepipedi in cemento che così tante scuole condividono nella realtà. La campanella era già suonata e benché ci fosse altra gente in giro a bighellonare mi sembrava di essere l’unico in ritardo. Salì rampe di scale, controllai il numero delle classi e non mi ci raccapezzavo. Era un labirinto, proprio come il mio vero liceo artistico. Correvo a destra e manca mentre l'orologio andava avanti. La gente che bighellonava mi prendeva in giro, sentivo i loro bisbigli di chi aveva capito che mi fossi perso. Controllai il mio orario, mi infilavo in un corridoio, controllavo tutte le porte ma la mia aula non la trovavo e feci così per molti piani.

Basta, mi dissi, e corsi fuori alla stessa velocità con la quale ero entrato lasciandomi la scuola e i suoi crudeli alunni alle spalle. Corsi nuovamente su per la montagna dai miei colleghi escursionisti e riprendemmo la scalata. Mi svegliai ricordandomi perché non sentivo nostalgia per il Toschi.

 

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Capitolo 5
*** Il re della Finlandia ***


Che strano sogno feci un giorno. Fu l’ultimo che mi ricordo dormendo a Pratopiano.

Sognai prima una strega. Ricordava un po’ Nocciola, casomai aveste mai letto Topolino, ed era accompagnata da un corvo d’argilla rossastro col gilè, un formichiere e altri demoni. Questa mirava dall’alto della sua scopa un esercito umano e volendo mettere alla prova la sua disciplina evocò un grosso alligatore fra i ranghi di un plotone per vincere una scommessa fatta con i suoi amici mostri. Ci fu un fuggi fuggi generale e io ero nel mezzo. Non credo neppure che fossi arruolato, ho solo avuto la sfortuna di trovarmi in quella base nel momento sbagliato. L’alligatore mi puntò e io m’infilai in un condotto d’aria per fuggire ma il rettile mi morse le gambe e le troncò di netto dal mio corpo. Non sentì dolore e ogni volta che mi guardavo la ferita era diversa. Alle volte mi mancavano i piedi, alle volte le gambe erano solo dipinte di rosso, alle volte c’era solo un morso e poi mancavano del tutto dal ginocchio in giù. Un grosso amico che mi accompagnava che ora non ricordo chi fosse, picchiò il rettile e mi trascinò in salvo, mentre io temevo di morire dissanguato.

Lo scenario del sogno cambiò. Una regista stava cercando operatori di macchina per fare un adattamento del romanzo “Twilight” e io ero stato scelto. Trovai la cosa curiosa e ci pensai su: Il film era uscito nel 2008, quando io andavo ancora in prima elementare. Allora mi guardai meglio e mi resi conto non solo che mi fossero ricresciute le gambe, ma per giunta ero un bambino, alla stessa età di sette anni che avevo nel 2008. Ero talmente felice da fare i salti mortali sul set che avevano allestito in esterno. Non tanto per la risanata medicazione, ma perché pensavo a quanti bei disastri avrei potuto evitare nella mia vita ora che potevo ricominciare daccapo. Era una meravigliosa occasione. Il mio grosso amico era lì pure, immutato, ma non fece niente di particolare.

Purtroppo lo scenario cambiò ancora e mi ritrovai a lavorare in uno stadio, proprio come faccio nella realtà. Ma in questo caso avevo un ruolo da mascotte, tipo diavoletto del Milan, ma con un costume che ricordava il Grinch da quanto fosse verde e peloso. Il corpo era grasso alla base, le gambe tozze, le spalle strette, le braccia magre e il collo lungo diramava in una testa allungata ai lati da sembrare un fresbee con grosse sopracciglia e una bocca arrabbiata. Il mio lavoro era intrattenere i bambini che erano venuti per assistere a un concerto che si teneva nella struttura. Evidentemente impazzii, perché mi comportai proprio come il vero Grinch, rovinando la festa a tutti. Facevo inciampare le persone, ribaltavo i piatti in faccia alla gente, facevo “buh” ai mocciosi e arrivò al punto che dovettero chiamare la sicurezza. Mi circondano non solo loro ma pure i baristi, gli uscieri e un tizio vestito da Pippo. Mi intimano di lasciare il costume. Non mi feci intimorire e li picchiai tutti quanti, sentendomi estremamente liberato mentre la gente mi evitava come una seria minaccia. Risi come il dr Zero e mi diedi nuovamente alla macchia.

Il sogno cambiò e l’unica cosa che restò uguale fu il mio costume. Ma non era più un costume, era il mio vero corpo, ma più addolcito: avevo un muso a trombetta e una piccola coda e ricordavo un animale fantastico di Rodolfo Cimino. Mi si presentò una tale simile a me ma colorato di blu e molto più alto. Sedeva placido su un trono a capo di una lunga tavola, mani incrociate a giocare coi pollici sopra la sua grossa pancia e sguardo sornione. Ricordava un personaggio del dr. Seuss da come era fatto, come il gatto col cappello. Era accompagnato da un suo simile più basso, grazioso e dai grandi occhioni. Seguiva l’evento una troupe televisiva, come fosse un momento importante. Mi disse solennemente di essere il re della Finlandia (mettendosi pure a specificare che essa si trovasse sul mar Baltico al confine con la Russia) e che mi aveva scelto per darmi sua figlia in sposa.

Mi presentai come imponeva cerimonia e tirai fuori un foglietto con il mio discorso scritto sopra e recitai alll’incirca “Io, Gobzenik, che posso saltare da Nantucket a Bruxelles con un solo balzo, prendo tua figlia come sposa.”

Ma prima di convolare a nozze il re, interdetto mi chiede di dimostrare questa qualità e così pago lo scotto della mia bugia. Ci spostiamo sulla banchina d’un porto mostrante l’oceano Atlantico e qui mi arrovello di fronte a una folla di animali di vario genere, fra cui la Banda Bassotti, in attesa ch’io salti. Mi giunge in soccorso l’amata figlia del sovrano, conscia dei miei limiti, che mi dice di legarmi una corda che essa isserà all’argano di un’imbarcazione che mi trarrà, una volta saltato, dal Belgio all’America. Fiducioso seguo le istruzioni della mia Arianna, ma questo Teseo verde non ha buona fine perché la nave parte prima ch’io salti e mi trascina in acqua, tirandomi dietro a gran velocità.

Qui termina il sogno, con me annegato nell’oceano Atlantico. Sicuramente mi sono perso altri dettagli, ma credo che quelli narrati bastino.

 

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Capitolo 6
*** Picchio due fascisti ***


Che sogno soddisfacente ho fatto.

Mi sono aggregato a un ritrovo di fascisti che somigliavano più a una banda di ultras vestiti di nero, quindi il mio inconscio ci è andato molto vicino. L’unico motivo per cui mi univo a loro era perché si erano organizzati per la proiezione di un film che mi interessava e, ovviamente, essendo tutti dei nostalgici del duce, anche il film era vecchiotto ed era l‘unica proiezione che avevo trovato. Ci siamo tutti ritrovati in un molo che dava sul mare e alle spalle avevamo la collinetta, la cui sommità era recintata, in cui intendevamo radunarci per la proiezione. La località sembrava un po’ i dintorni di Trieste. Eravamo due centinaia e molti erano venuti in pullman come una trasferta. Sui pullman avevano stampato i faccioni di robottoni come Mazinga, Grande Mazinga e pure Mazinkaiser, quindi oltre che fascisti erano pure girellari.

La polizia aveva circondato l’area per controllare la manifestazione. Dentro il recinto ci stava, accanto il telone per e proiezioni, una sorta di supermercato all’aperto, con scaffali e pavimento piastrellato ma senza muri. Non ho idea di come si aspettassero che quegli scalmanati pagassero ordinatamente senza depredare tutto essendo privo di controllo ma tant'è. Io sono andato a vedere nel reparto dolci se avevano della cioccolata al latte e purtroppo l’avevano solo fondente. Senza sapere perché ne ho preso un barattolo (non una barretta, proprio un barattolo) e me ne sono andato al reparto frigo e resomi conto del fatto che non lo volevo ho deciso di lasciarlo lì, piuttosto che fare la persona civile e riportarlo al reparto giusto ed ebbi molto paura che qualcuno mi richiamasse per farmelo pagare. Avevo in tasca una barretta di cioccolato al latte, quindi non ho idea del perché avessi necessità di comprarne un’altra.

Vidi poi uno scalmanato, un tizio grassoccio, coi capelli rasati, che picchiava uno dei poliziotti. Decisi, consapevole che tutti gli altri tizi che lo incitavano mi avrebbero fatto la pelle, di intervenire: gli andai alle spalle, mentre era a terra sopra il poliziotto e gli misi un braccio di fronte al collo e l’altro a bloccarlo in una tecnica di strangolamento da manuale. Dopo poco sono riuscito a farlo svenire e finalmente altri due della folla han detto “Infame pezzo di merda” o qualcosa di simile e mi sono venuti addosso. Il primo che mi ha raggiunto mi ha placcato e siamo finiti a terra. Sono riuscito a mettergli il braccio sotto l’ascella e fargli leva per ribaltarlo di lato, finendogli sopra, dove gli ho immediatamente strizzato i coglioni.

Quest’ultima parte, che tecnicamente finisce il sogno, il mio cervello l’ha analizzata talmente tanto che l’ho rivista esternamente altre volte e ogni volta il tizio era vestito diverso. Prima era normale, in abbigliamento con jeans neri e maglietta uguale; poi cambiò e aveva indosso un’uniforme scolastica inglese femminile, con gonna a quadrettoni verde e mutandine rosa.

Il sogno finì lì, e ne partì un altro molto breve prima che mi svegliassi. Era ambientato sulla stessa collinetta, eccetto che l’area recintata ora era un parco giochi formato da una sola attrazione ovvero una montagna russa dedicata al Godzilla di Roland Emmerich. Questa era una montagna russa normalissima, eccetto che la prima carrozza era fatta a forma di faccione dell’iguana gigante e quando la giostra partiva la bocca si apriva e sparava fuori un raggio atomico verde che rischiava di annichilire tutto quello che aveva davanti. Il cielo era giallo.

 Mi sono teletrasportato in un posto più lontano, in un’altra collinetta in mezzo a un bosco di abeti e con un bel panorama su delle montagne. Ero ai piedi di una statua. Mia mamma mi ha chiesto se andava tutto bene.

Alla fine ho picchiato non uno ma ben due fascisti, quindi son soddisfatto.

 

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Capitolo 7
*** Il matrimonio ***


Che strano sogno ho fatto l’anno scorso.

Ero invitato a un matrimonio di qualche parente napoletano e siamo tutti in questa grande mensa che sembra quella di un convento a mangiare su questa lunga tavolata. A un certo punto vengo richiamato da un cerimoniere infastidito, credo un mio zio, che mi diceva “Questa non è la stanza dei paggetti, devi mangiare lì” E allora, prendendomi per un braccio, mi ha portato verso una gran porta a due ante e l’ha aperta e lì stavano dei ragazzini che mangiano, già vestiti per la cerimonia. Pretendono però che anch’io mi vesta, come se il matrimonio venisse celebrato subito dopo il pranzo e allora vado e torno subito, mi guardo e vedo che indosso un abito nero che m’arriva al ginocchio, due ballerine ai piedi e calze del medesimo colore. Oltre al fatto che ero vestito da ragazza mi confondeva un po’ questo tono da funerale. Fatto sta che mi presento nella stanza riservata ai paggetti ma questi hanno già finito di mangiare e stanno andando via. Io rimuginavo su quanto avessi fame e li seguii.

 

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Capitolo 8
*** Il romano ***


Un altro sogno strano di non troppo tempo fa.

Ero un cittadino dell’antica Roma trasportato nel futuro. Qui avevo incontrato un ragazzo, particolarmente alto e bello, che procedette a illustrarmi la città come per scherzo, non credendo alla mia storia. A dire il vero era come se recitassi un ruolo, perché quando entrammo in una chiesa (completamente vuota eccetto per gli affreschi e un impalcatura da concerto nell’abside) pensai “Certo, un cittadino romano dovrebbe essere stupito da questo nuovo culto che ha soppiantato la sua religione e dal fatto che ancora l’architettura continui a rifarsi agli antichi”.

Sono abbastanza sicuro di aver percorso una strada che sembrava particolarmente via Farini e di essere passati davanti al palazzo Carmi. Il cielo era un po’ strano, aveva tinte giallognole l’intera atmosfera intorno a me, come se stesse facendosi un temporale da qualche parte.

Poi pensai “A questo punto, nelle storie, arriva il momento della crisi del terzo atto quando i protagonisti litigano” e così avvenne, di punto in bianco il ragazzo si stancò di me e mi piantò in asso, stufo di farsi prendere in giro da uno che affermava di venire dal passato. Allora gli corro dietro e (chissà perché) indossavo un vestito da ragazza magica. Credo fossi vestito come Comet principessa stellare o giù di lì. Il mio cervello, sempre ragionando da sceneggiatore pensa “Come posso rientrare nelle grazie del mio interesse amoroso?” e si fa venire la bella idea di salvarlo da un incidente stradale a caso, spingendolo dentro un vicolo prima che lo tirino sotto di prepotenza, tanto che la macchina cerca pure di infilarsi dentro rimanendo bloccata nella strettoia. Lui, tutto contento, mi porta a vedere un supermercato dentro un grattacielo e mentre sono in una stanzetta a guardare da una finestra la larghissima città metropolitana sotto di me penso a come nell’antica Roma l’amore omosessuale non era poi così malvisto.

Credo che poi quel supermercato si sia trasformato in un’università, ma per il resto non ricordo altro.

 

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Capitolo 9
*** La fuga e la fogna ***


Che sogno angoscioso ho fatto ieri. Ero in un condominio, nell’appartamento di un’amica e credo la aiutassi con delle ripetizioni. Ci siamo salutati e uscendo ho incontrato nel corridoio altri due nostri conoscenti che mi chiesero perché fossi da quelle parti. Allora gli spiegai che avevo appena aiutato Ita con i suoi compiti e loro si dimostrarono confusi dicendo che si chiamasse Ilia. Io risposi imbarazzato che Ita era un diminutivo di Ilia, ma loro non se la bevvero e io me ne andai a passo spedito mentre quelli ridevano che mi fossi scordato il nome della mia amica, come se non mi importasse di lei. Appena girato l’angolo presi a correre per le scale, come se mi stessero seguendo e il condominio era diventato un labirinto assurdo di vicoli ciechi e geometrie impossibili fatte di mattoni cotti al sole come le ziggurat mesopotamiche. Presi ad infilarmi in spazi angusti sfruttando la mia peculiare magrezza ma finivo per incontrare di nuovo quei miei conoscenti o anche solo condomini casuali straniti dalla mia fuga. Temevo la presenza umana come se fosse una minaccia.

Ogni volta che mi incastravo o incontravo altre persone “ricaricavo” la partita come se fossi in un videogioco. Alla fine raggiunsi il piano terra trovai l’ingresso principale e mi infilai nella buca delle lettere per sgusciare via. Il paesaggio che mi trovai davanti era una piazza di paese, simile a quegli stretti scorci di VIllaricca, pieni di case ammassate fra loro, strade ondulate e in più senza lampioni. La luce era sul tramonto e al centro della piazza c’era un grosso tombino. Temendo la presenza umana più di ogni cosa mi infilai nel tombino, convinto di essere solo e invece trovai un mago che svolazzava a mezz’aria, vestito con un camice e un cappello buffo. QUesti aveva le sembianze di un mio amico e compagno di corso filippino e mi illustrò come avrei dovuto superare tre prove per uscire di lì. Io provai a “ricaricare” la partita ma non potevo, ero bloccato lì dentro.

Cominciò la prima prova e presero ad apparire insetti, ragni e serpenti sul pavimento della fogna in cui mi trovavo. Non era una fogna normale: Era costruita come un piccolo teatro greco, con i sedili a scaloni in semicerchio e un grosso spazio al centro, dove apparivano soprattutto le bestie. Io avevo il mio telefono in mano e lo tirai fuori per usare la torcia e illuminare lo spazio buio, ma uno strano insetto nero e arancio, con le zampe disposte come quelle dei ragni, la testa da grillo e due grosse mandibole vi si era arrampicato sopra. Io provai a scacciarlo senza fargli troppo male, ma quello mordeva come un dannato. Alla fine lo tolsi e presi a salire sui gradini sperando che i serpenti non sarebbero arrivati sin lì e infatti mi ignorarono. Dopo un po’ scadde il tempo e passammo alla seconda prova. Il teatro fognario si riempì di persone con un telefono in mano che guardavano contenuti idioti su Tik Tok. In particolare presi a parlare con un tizio in sovrappeso su un letto che mi diceva quanto fosse divertente, ma io cercai di non prestargli attenzione. Alla fine non caddi in tentazione e passai alla terza prova, ma non saprei ben dire cosa fosse. So solo che la trovai estremamente più facile delle altre e il mago si disperò nel rendersi conto che l’avrei battuto.

 

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Capitolo 10
*** Il dinosauro del risveglio ***


Che sogno strano ho fatto oggi.

Credo che stessi giocando al Nintendo DS e avessi inserito una cartuccia di qualche gioco su Super Mario. Ovviamente, come capita nei sogni, non c’era Super Mario, ma fra i personaggi giocabili ci stavano un goomba dotato di corpo umano sotto il testone da castagna. Provando a saltare con il tasto B, però, il goomba si scomponeva, lasciando che la testa cadesse al suolo mentre il resto del corpo saltava, riassumendo la forma originaria solo quando il corpo toccava terra. Per riuscire a fare un salto normale bisognava premere il tasto Y e non ho assolutamente idea a cosa potesse servire un’abilità del genere perché la testa veniva considerata parte dell’hitbox danneggiabile e infatti rischiavo di venire colpito lasciandola a terra.

Gli altri personaggi non me li ricordo bene, ma credo fossero Wario, Waluigi, una versione strana di Peach e infine, l’ultimo che ho provato davvero, Man Ray di Spongebob. Ovviamente, a parte l’aspetto, non aveva assolutamente niente a che fare col vero Man Ray, perché le sue abilità erano quelle di sparare fuoco dagli occhi e tirare fuori due coltelli da macellaio con cui correre come un pazzo fendendo a destra e manca, trasformando il gioco in una sorta di versione per pezzenti di Happy Wheels.

I miei familiari mi hanno poi interrotto, dicendomi che dovevamo andare a festeggiare qualcosa in città. Ci siamo recati dunque a Parma, in piazzale Santafiora, di fronte la mia vecchia scuola e lì era radunata una marea di gente, nel bel mezzo della notte, senza lampioni, a festeggiare non so cosa. Guardando verso il palazzo di fronte l’istituto vidi, in contrasto alla luna, un tizio vestito di nero che, sfruttando dei ponteggi da lavoro, si era infilato in una casa entrando da una finestra aperta. Io mi chiesi se era il caso di avvisare qualcuno, mentre intanto sentivo un grosso boato da qualche parte. Prima che prendessi una decisione, il tizio misterioso sgambettò come un’antilope fuori dalla finestra e via sui tetti, dandosi alla fuga e fui convinto di aver appena assistito a un topo d’appartamento.

Tornando a casa qualcuno dei miei fratelli (che in questo sogno non erano proprio i miei fratelli, ma una sorta di tutori legali, benché i miei genitori fossero normali invece) si lamentò che qualcuno aveva giocato alla cartuccia di Super Mario rovinandogli i progressi dei suoi salvataggi e io mi chiesi chi potesse essere stato, non realizzando (fino a quando non mi svegliai) che ero stato proprio io. Eravamo nel bagno del primo piano. Frattanto mio padre portò l’attenzione di tutti a un video che aveva trovato su Internet e ce lo mostrò sul suo telefono: a quanto pare, nel bel mezzo della festa in piazza (che credo fosse un capodanno) due carabinieri si erano lanciati col paracadute, calcolando di atterrare precisi per l’anno nuovo. Il paracadute, però, non si rilasciò in tempo e i due poveri cristi si erano sfracellati al suolo. Io feci del mio meglio per non guardare il video ripreso da terra che filmava l’accaduto, mentre mio fratello o mia sorella prese a ridere trovando la cosa comica, con grande rabbia di mio padre per aver perso un collega di divisa.

Il sogno mutò e ci recammo in libreria. Era la Feltrinelli che si trova in via Farini e io e mia sorella (che era tornata normale) eravamo saliti al primo piano. Lei vestiva un maglione bianco col collo alto. Al primo piano non era più come prima, ora vendevano solo fumetti e io mi misi alla ricerca di qualcosa di interessante. Tutta la roba popolare era esposta vicina alle scale, così che chi era appena salito potesse trovarla subito (mi ricordo di averci trovato Chainsaw Man, di cui invano cercai il primo numero). La roba meno richiesta era esposta in fondo al piano, dove la stanza era meno illuminata e gli scaffali gremiti di fumetti invenduti e DVD. Fra i film che ho trovato c’era una pellicola indipendente del 1994, realizzata da due fratelli appassionati di Ray Harryhausen che parlava di uno scheletro di tirannosauro radioattivo vivente e brillante di giallo che combatteva contro un’altra creatura che ora non saprei ben dire. Sul retro, a parte fotogrammi dell’opera che illustravano il pupazzo in stop motion per animare il mostro, ci stava una descrizione del film tipica da prodotto di serie B, che affermava quanto il film fosse fuori dagli schemi e avventuroso. Era talmente sconosciuto come film che l’unica recensione riportata sulla copertina del disco era del padre stesso che considerava il prodotto al pari dei film di Ray Harryhausen e Willis O’Brien, cosa che dubitai fortemente e giustifcai con la loro ignoranza in fatto di cinema.

Fui tentato di comprarlo per aggiungerlo alla mia collezioni di film marci, ma il mio interesse fu trascinato verso un volume di appena cinquanta pagine, molto sottile e con la copertina fatta di cartone. Era, a quanto pare, una versione economica di un manga disegnato da Osamu Tezuka, una delle sue opere minori. Lo sfogliai velocemente e la trama sembrava parlare di un futuro distopico dove l’uomo viveva una vita alienante comandata dalle macchine, che si occupavano della sua esistenza dall’infanzia fino alla morte in maniere credo da lui già illustrate per davvero. Ovviamente finiva male per i dissidenti e ricordo vignette del protagonista, il tipico bel giovane dei suoi manga, legato a una sedia pronto per essere seviziato dal sistema. Come spesso accade, la macchina impazziva e una delle vignette rappresentava una maestra di scuola molestata venendo spogliata da braccia meccaniche. Decisi di comprarlo, più che per i contenuti scabrosi, per la rarità dell’opera. Fu allora che mi resi conto che io e mia sorella ci stessimo mettendo molto e ci precipitammo a uscire.

Fuori le cose si fecero confuse. Prima apparve il Rhedosauro a distruggere un cavalcavia. Non era proprio identico a come appariva nel film, sembrava anzi un dragone. Credo addirittura che i rhedosauri fossero due ma in due posti separati. Frattanto, uno scienziato stava illustrando, al suo caporeparto donna, come poteva catturare King Kong con una dimostrazione in scala su dei gorilla normali. Aveva posto queste reti di metallo a terra e, attirandoci gli animali sopra, creava contatto toccando i primati con un un bastone di ferro e questi venivano attraversati dalla corrente e cadevano storditi. La piazza all’aperto dove stava conducendo gli esperimenti era disseminata di reti circolari con scimmie stordite sopra. L’ennesimo esperimento parve però fallire all’ultimo e un grosso gorilla prese a sbranare lo scienziato. Il sogno finì lì ma sono sicuro di essermi scordato molti dettagli.

 

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Capitolo 11
*** La Melevisione ***


Ho avuto un sogno stranissimo dove a un certo punto mi è entrata in casa una ballerina vestita da lago dei cigni, ma sembrava che la mia famiglia se ne sbattesse il belino e guardasse la tv in salotto. Sembrava che volesse chiedere un'offerta per la sua esibizione ma io non volevo dargli dei soldi così ho tirato fuori carta e matita e le ho fatto un ritratto. Lei ha apprezzato e si è rivelata a me come Fatalina e mi ha trasportato per magia sul set della Melevisione.

Lì ho incontrato, giuro su dio, Lupo Lucio, Strega Varana e Orco Manno.

Stavo in questa radura del fantabosco con dei barili disposti tutt'intorno che dovevano essere le bevande del chiosco di Milo. Lupo Lucio e Orco Manno si sono messi a litigare su come dividere del cibo mentre strega Varana passava di lì per caso e ci ha insultato dandoci dei coglioni e minacciando di incenerirci. Fatalina mi ha chiesto di cantare una canzone del programma per vedere se me lo ricordavo ancora ed essendo un sogno non mi ricordavo più il testo. Di conseguenza mi sono svegliato nel sogno e ho provato a riaddormentarmi per vedere di tornarci ma quando ho sognato nel sogno mi sono trovato in un podcast con Fatalina tipo Cerbero. Io le pregavo di tornare sul set della Melevisione ma lei insiteva prima di discutere di politica e la questione d'Israele. Lì mi sono svegliato per davvero.

 

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