Il destino di due regni

di AndyWin24
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il portale di Túatha ***
Capitolo 2: *** Un Nelwyn a Camelot ***
Capitolo 3: *** La verità degli sconosciuti ***
Capitolo 4: *** Prigionieri di Camelot ***
Capitolo 5: *** Il ponte ***
Capitolo 6: *** Il segno del Leviatano ***
Capitolo 7: *** Uniti nella salvezza ***
Capitolo 8: *** Il piano ***
Capitolo 9: *** L'ombra del drago ***
Capitolo 10: *** Il cuore di un guerriero ***
Capitolo 11: *** La maledizione del prescelto ***
Capitolo 12: *** La magia che unisce ***
Capitolo 13: *** La battaglia della foresta di Balor ***
Capitolo 14: *** Al di là del destino ***
Capitolo 15: *** Due regni ***
Capitolo 16: *** Un lungo inizio ***
Capitolo 17: *** Figli del cuore ***



Capitolo 1
*** Il portale di Túatha ***


Prefazione
 
   Salve a tutti! Prima di iniziare con il capitolo, volevo cogliere l’occasione per indicare in questa breve prefazione il punto esatto delle due serie in cui si svolgono gli eventi della vicenda.
   Questa storia è ambientata tra gli episodi 8 e 9 della 4a stagione di “Merlin” e dopo il finale della 1a stagione di “Willow” (contiene, quindi, spoiler precedenti a tali puntate). Per chi non avesse visto una delle due serie tv, ho aggiunto alcune note, sia nel testo che alla fine di ogni capitolo, sperando che possano essere di aiuto. Grazie e buona lettura! :)
 

 
Capitolo 1
Il portale di Túatha
 
   «Ecco fatto!»
   Merlino si asciugò con la manica destra la fronte imperlata di sudore. Era stanco, ma soddisfatto. Nonostante fosse solo all’inizio della mattinata, aveva già svolto tutti i doveri che gli erano stati assegnati. Nel frattempo, poco distante da lui, Artù mugugnava pensieroso, passandosi tra le mani alcuni fogli di pergamena. Erano ore che sedeva allo scrittoio e, malgrado lui avesse fatto un discreto rumore nel pulire le sue stanze, non aveva battuto ciglio. Non si era neanche lamentato come era solito fare in quelle occasioni.
   «Tutto bene, Artù?» chiese Merlino un po’ preoccupato.
   Il re, però, non rispose.
   «Artù?» insistette il servo, avvicinandosi.
   Finalmente, l’altro alzò la testa.
   «Sì? Cosa vuoi?»
   «Scusate, ma ho notato che eravate più silenzioso del solito e volevo sapere se andava tutto bene.»
   «Sono impegnato, Merlino. Tutto qui.» rispose Artù frettolosamente. «Continua con le tue faccende.»
   «Ehm… in realtà le ho appena terminate.»
   «Ah!» commentò Artù stupito. «Quindi hai già pulito i pavimenti, lavato i miei indumenti e riordinato la mia camera. E tutto questo solo stamattina?»
   Il servo annuì, compiaciuto.
   «Certamente. Sono stato veloce ed efficiente, vero?»
   «Mmh, poco più del solito. Non che ci voglia molto, comunque.» ribatté il re, osservando ancora i fogli che aveva in mano. «Allora, direi che adesso puoi lucidare la mia armatura.»
   «Fatto anche quello.» replicò Merlino sorridente.
   «Non importa. Vai e fallo di nuovo. Ho bisogno di concentrazione e con te tra i piedi non credo di riuscire a trovarla.»
   «Perché? Cosa state leggendo?»
   Così dicendo, Merlino si avvicinò allo scrittoio e tentò di sbirciare tra le varie pergamene poggiate lì sopra.
   «Niente che ti riguardi!» disse Artù in tono deciso, scansandole dalla sua vista.
   «Ma se vi fa stare così in agitazione, forse potrei darvi una mano. Non siete mai stato molto bravo con le questioni inerenti alla lettura o… a qualsiasi altra cosa in cui non occorresse una spada.»
   «Grazie per la fiducia incondizionata, Merlino, ma ce la faccio benissimo anche senza il tuo aiuto. Inoltre, questa è una faccenda della massima segretezza e non posso gridarla ai quattro venti come se niente fosse.»
   «Riguarda il regno di Annis, non è vero?» domandò Merlino all’improvviso.
   Artù sobbalzò.
   «E tu come fai a saperlo?!»
   «Ho letto il suo nome poco prima che toglieste i fogli. Allora? Cosa c’è che non va? Non mi vorrete dire che siete di nuovo in conflitto con lei?»
   Il re sospirò sconsolato, rimettendo a posto le pergamene e stiracchiando le braccia. Ormai, non c’era più alcun motivo per tacere.
   «No. Anzi, sto stilando un trattato di alleanza col suo regno.»
   «Ma non l’avevate già fatto? Poco dopo… sapete… aver ucciso re Caerlion e aver vinto il duello col suo campione?1»
   «Sì, ma stavolta intendo un vero trattato. Il primo implicava una semplice non belligeranza tra i due regni. Questo, invece, servirebbe a rinsaldare i nostri rapporti militari e commerciali. Inoltre, condivideremmo anche il divieto di praticare la magia.»
   «Capisco.» disse Merlino, un po’ dispiaciuto dall’ultima parte. «Ma perché volete tenerlo nascosto?»
   «Perché sappiamo che tra noi potrebbe esserci una spia di Morgana e non mi sembra saggio raccontarlo a chiunque. Men che meno a dei chiacchieroni che non sanno mantenere un segreto come te, Merlino!»
   «Oh, ma non dovete temere. Non lo dirò a nessuno. Potete fidarvi!»
   Artù lo fissò per un attimo di sottecchi, poi si rilassò.
   «Va bene. Ora però vai a lucidare di nuovo la mia armatura e, quando avrai finito, riordina le vesti nel mio armadio.»
   «E… poi ho finito?» chiese Merlino, azzardando un grosso sorriso.
   «Mmmh… Sì, poi hai finito.» accordò Artù, sbuffando. «Dato che dopo pranzo avrò da fare col consiglio, diciamo che puoi prenderti il pomeriggio libero. Basta che la smetti di piagnucolare.»
   «Oh, grazie, Artù!» esclamò Merlino eccitato. «Non temete, la vostra armatura brillerà come uno specchio!»
   A quel punto, girò i tacchi e corse fuori dalla stanza.
   «Scansafatiche!» brontolò Artù. Ma sul suo viso apparve comunque l’ombra di un sorriso.
 
***
 
   Nel frattempo, ai confini di Andowyne, un gruppo di sei avventurieri correva a più non posso, cercando di fuggire da qualcosa che li stava inseguendo. A guidarli c’era un uomo di bassa statura e dai lunghi capelli biondo scuro che gridava con veemenza, indicando con un bastone la strada da percorrere.
   «Muovetevi!» urlò Willow in preda all’agitazione e col fiato corto.
   Tre ragazze di giovane età, un uomo dalla barba folta e scura e un ragazzo dai capelli corti e biondi cercavano di stargli dietro come meglio potevano. Erano già diversi minuti che scappavano da quella “cosa”, ma sembrava che non riuscissero proprio a seminarla. Il terreno arenoso, poi, non aiutava di certo la loro fuga.
   La Citta Immemore, il luogo che avevano raggiunto dopo un lungo viaggio non privo di perirgli, era situata ai margini del mondo e contemplava un paesaggio desertico e sabbioso, contornato da rovine di antichi templi e costruzioni ormai in decadenza. La sua ubicazione, al di là del Mare Infranto, la rendeva una meta quasi impossibile da ambire, al punto tale che col tempo il posto stesso era divenuto più un mito della credenza popolare che una realtà vera e propria.
   Mentre correva senza tregua, Willow ripensò a quello che era successo, non riuscendo a capacitarsi di come fossero finiti in quella situazione così assurda. Lì, in mezzo al nulla, e da soli, per giunta!
 
   Tutto era iniziato diverso tempo prima, più precisamente quando la regina del regno di Tir Asleen, Sorsha Tanthalos, aveva annunciato al suo popolo l’unione in matrimonio tra sua figlia Kit ed il principe Graydon Ashtur di Galladoorn, un regno vicino ed alleato. Nonostante la reticenza di entrambi i giovani, quel sodalizio avrebbe rafforzato l’alleanza dei due popoli e permesso di fronteggiare una potente minaccia che sembrava stesse per giungere all’orizzonte. Tuttavia, la notte precedente alle nozze, il principe Airk, l’altro figlio della regina Sorsha e fratello gemello di Kit, venne rapito in seguito ad un attacco messo in atto da quattro immonde creature, note ai più come “Flagelli”, accoliti della “Megera”, una potente strega facente parte di un ordine antico e pericoloso.
   Questo triste quanto sventurato evento portò lo stregone del popolo Nelwyn, Willow Ufgood, a guidare una piccola combriccola di improbabili eroi al disperato salvataggio del principe, nel tentativo di fermare una volta per tutte le azioni deplorevoli della malvagia strega.
   Al suo seguito si unirono per la missione: la principessa Kit Tanthalos, abile guerriera ma dal temperamento poco affabile; Jade Claymore, neo cavaliere del regno e grande amica della principessa Kit, a cui è legata anche sentimentalmente; Thraxus Boorman, cacciatore di tesori dalla battuta sempre pronta ed ex-scudiero del padre di Kit e Airk, Madmartigan; il principe Graydon Ashtur, molto restio alla battaglia e dedito principalmente alla lettura e alla musica; ed infine, Elora Danan, maga potente ma inesperta, destinata da una profezia a salvare il mondo dalle forze del male.
   Dopo lunghi mesi e diverse peripezie, la spedizione ebbe successo nell’impresa. Elora, con l’aiuto fondamentale di Willow ed il commovente sacrificio di Graydon, sconfisse definitivamente la Megera mentre Kit riuscì a salvare il fratello dalle grinfie della strega. Sembrava fosse andato quasi tutto per il meglio. Però, nella strada di ritorno verso casa…
 
   «Gyaar!»
   «Via! Via!» gridò Willow agli altri, correndo a perdifiato, mentre con la coda dell’occhio osservava verso l’alto la mostruosa creatura che li inseguiva.
   «Ma si può sapere cos’è quello?!» chiese Kit, evitando per un pelo di inciampare su una roccia.
«Non ora!» ribatté Willow sbrigativo. «Prima dobbiamo seminarlo oppure…»
   A quel punto, invece di terminare la frase, stoppò la sua corsa e si voltò indietro.
   «Elora! Che hai intenzione di fare?»
   La ragazza dai capelli rossastri si era fermata di colpo a fissare la creatura. Di aspetto era molto simile ad un drago dalle scaglie grigie e le sue sei ali volteggiavano in aria come veli di seta, tanto da sembrare che librassero anziché volare; il suo muso, invece, appariva grosso e spaventoso, privo di occhi e con una mascella enorme e possente.
   «Forse la mia magia può fermarlo.» rispose Elora, scrutando con intensità il mostro in avvicinamento.
   «In questo caso la parola “forse” è quanto mai azzeccata!» commentò Boorman, sbrigativo.
   «Non lo fare.» continuò Willow preoccupato. «Se è ciò che penso, attaccarlo potrebbe solo peggiorare le cose.»
   Elora scosse il capo.
   «È da un po’ che fuggiamo. Io ci devo provare.»
   Così dicendo, allungò entrambe le braccia in avanti.
   «Avag gahdu!» recitò, scagliando dalle mani dei lampi verdi, che vorticarono impetuosamente verso il cielo fino ad impattarsi sulla creatura in volo. Quest’ultima subì il colpo inerme, immobilizzandosi sospesa a mezz’aria. Una specie di aura nera l’avvolse, per poi scomparire dopo pochi secondi. La sua pelle, nel frattempo, iniziò a scurirsi.
   «Che… succede?» chiese Elora stupita.
   «Che dovevi darmi retta!» la rimbeccò Willow. «Adesso, presto! Venite con me!»
   A quel punto, tutti e sei i membri del gruppo ripresero a correre, approfittando di quel momento di impasse.
   «Lì! Nascondiamoci lì!» esclamò ancora Willow, indicando un sottopasso creato da alcune macerie.
   «Dici che non ci vedrà?» domandò Jade scettica.
   «Non saprei, ma di meglio non possiamo fare al momento.»
   «Beh, almeno abbiamo guadagnato tempo, no?» azzardò Boorman fiducioso.
   Gli altri cinque lo guardarono storto e con la fronte aggrottata.
   «E come mai abbiamo avuto bisogno di “guadagnare tempo”?» chiese Kit sarcastica. «Ah, già! Perché sei un idiota!»
   «Aspettate! Non esageriamo!» ribatté Boorman, cercando di calmare tutti. «Io ho solo…»
   «Liberato quella cosa?» concluse Jade.
   «No, cioè sì, ma non volontariamente.»
   «Vorrei sapere come ti è venuto in mente di aprire la porta di quel tempio, quando vi avevo espressamente avvisato di non toccare niente!» chiese Willow, furibondo.
   «Ma non capite?! Siamo nella Città Immemore! Questo posto è deserto da non so quanto tempo! Non è segnato neanche nelle mappe! Chissà quali incredibili meraviglie possono nascondersi qui intorno!»
   «Per ora abbiamo solo un altro mostro che vuole ucciderci!» intervenne Kit ironica e arrabbiata. «Dopo la Megera e i Flagelli direi che ho perso il conto.»
   «Beh, ma non è colpa mia se quel coso stava dentro quello strano tempio! Avrebbero dovuto mettere dei cartelli lì davanti, tipo “Attenti al mostro!”.»
   «In effetti è singolare come fatto.» concordò Willow.
   «Che fai?! Gli dai ragione?!» protestò Jade.
   «Certo che no, ma è vero che è piuttosto strano che la porta del tempio si sia aperta così facilmente. Specie se teneva prigioniera quella creatura.»
   «Comunque, c’erano dei simboli impressi sul portone.» intervenne Boorman.
   «Simboli?»
   «Sì, ma non saprei dire altro. Non conosco quel linguaggio. Del resto era Graydon quello esperto in queste…»
   L’uomo si fermò prima di terminare la frase. Menzionare Graydon non era stata una buona idea. La sua morte per mano della Megera era avvenuta da poco e aveva sconvolto tutti i presenti.
   «Quello che non mi spiego è come ha potuto respingere la mia magia senza alcun problema.» disse Elora, cercando di cambiare discorso.
   «Non l’ha respinta. L’ha assorbita.» spiegò Willow, osservando il cielo.
   «Perché? Cos’è?»
   «Un Leviatano.» rispose il Nelwyn con lo sguardo preoccupato.
   «Come la creatura che ha menzionato quel vecchio prima che salpassimo per il Mare Infranto?» domandò Boorman.
   «Ma non può essere! Quella del Leviatano è solo una leggenda!» disse Jade con una smorfia.
   «Era quello che credevo anch’io, ma quell’essere è proprio come viene descritto nei testi antichi. Non posso dirlo per certo, ma comincio a nutrite ben pochi dubbi a riguardo.»
   «Se è stato in grado di assorbire la mia magia, forse l’ha fatto anche con quella che lo teneva rinchiuso.» azzardò Elora, sovrappensiero.
   «Può darsi.» concordò Willow. «Questo spiegherebbe diverse cose.»
   «Visto!» esclamò Boorman, allargando le braccia. «Non è stata colpa mia se quel coso è fuggito ed ora ci vuole uccidere.»
   «Sta’ zitto, Boorman!!» gli urlarono tutti all’unisono, guardandolo corrucciati.
   Lui, un po’ intimidito, annuì e chiuse la bocca.
   «Comunque, perché vuole ucciderci?» domandò Kit.
   «Forse perché Elora ha sconfitto la Megera.» ipotizzò Jade. «Oppure è stato mandato dal Wyrm2 stesso.»
   «Non credo sia per questo.» replicò Willow, guardando ancora in alto. «Il Leviatano è un’entità che vive nutrendosi dell’energia vitale degli altri essere viventi. Vista la desolazione che c’è qui intorno, è molto probabile che ci dia la caccia perché siamo il suo unico “pasto” decente.»
   «Ma come facciamo a sfuggirgli?» chiese Airk, rimasto in silenzio fino a quel momento. «Sono giorni che viaggiamo per queste rovine senza trovare la strada giusta. Anche prima che veniste a salvarmi ho tentato di andarmene, ma senza successo. Ritornavo sempre al punto di partenza.»
   «Sono certo che c’è un modo per andarsene da qui, solo che non so se abbiamo il tempo di trovarlo.» disse Willow, prendendo dal suo zaino il libro di magia che gli aveva affidato la strega Fin Raziel3. «Tuttavia, forse possiamo “aggirare” il problema.»
   «Che vuoi dire?» chiese Kit, osservandolo mentre sfogliava le pagine.
   «Esiste un incantesimo che potrebbe fare al caso nostro, ma è piuttosto… complesso ed imprevedibile. Inoltre, io non credo di essere in grado di lanciarlo, quindi dovrai farlo tu, Elora, al posto mio.»
   «Per me va bene, ma di che genere di incantesimo stiamo parlando?»
   «“Il portale di Túatha”.» spiegò Willow, picchiettando su una pagina del libro. «È una magia di evocazione in grado di far manifestare un varco che ci permetterà di andarcene da qui.»
   «Aspetta un momento!» disse Boorman di colpo, con voce alterata. «Esisteva un incantesimo del genere e non l’abbiamo mai usato in tutto questo tempo che siamo stati in viaggio?»
   «Sì, perché gli effetti di questa particolare magia sono, come ho già detto, del tutto imprevedibili.»
   «Spiegati meglio, allora.»
   «Secondo il libro, chiunque abbia lanciato in passato l’incantesimo non è riuscito a prevedere o predeterminare con anticipo il luogo in cui avrebbe condotto. Per ognuno è sempre stato diverso. Raziel stessa ne indica la sua pericolosità.»
   «Fantastico!» esclamò Boorman. «Quindi, potremmo finire in mezzo al nulla o di nuovo nella Caverna di Skellin, con i Troll e tutto il resto ad attenderci4, oppure, perché no, in qualche bordello di Galladoorn! Veramente una bella prospettiva!»
   «Io spero in nessuno di questi posti.» commentò Jade, storcendo il naso.
   «Comunque, sempre meglio che qui, con quel mostro che potrebbe sbucare fuori da un momento all’altro.» ribatté Airk sicuro.
   «Sono d’accordo.» asserì Willow. «Anche perché il Leviatano ci ha quasi trovati.»
   Gli altri cinque sussultarono.
   «Come “ci ha quasi trovati”?» chiese Kit.
   «È già da un po’ che sta sorvolando l’area sopra di noi, con ritmo costante, come se stesse pattugliando la zona.»
   «Ma… com’è possibile che non ce ne siamo accorti?»
   «Perché il Leviatano sta volando ad un’altezza notevole. Se però fissate il cielo in controluce, dovreste essere in grado di vederlo.» disse Willow, indicando in alto.
   «Già, è vero! Ora lo vedo!» esclamò Jade, parandosi gli occhi con una mano per non rimanere accecata. «Ma perché qui a terra non c’è la sua ombra?»
   «Perché non la emette. La sua entità corporea non riflette i raggi del sole, bensì li assorbe, così come assorbe l’energia vitale.»
   Elora si avvicinò di scatto a Willow e gli prese il libro dalle mani.
   «È questo l’incantesimo?»
   «Sì. Ma devo avvertirti di una cosa prima di lanciarlo. Data la sua natura complessa, l’incantesimo ti prosciugherà di quasi tutte le energie magiche.»
   «Quindi, cosa comporterà?»
   «Niente di grave, ovviamente. Ma non potrai usare i tuoi poteri per qualche giorno almeno, forse di più. Dipende dal tempo che la tua magia impiegherà a rinvigorirsi.»
   La ragazza annuì con convinzione.
   «Non importa. Facciamolo.»
   «Aspetta.» la fermò Willow. «Prima prendi questa.»
   Così dicendo, il Nelwyn tirò fuori dalla tasca una pietra ovale e verdognola, grande quanto il palmo di una mano, e gliela passò. Era la stessa che, fino a prima della battaglia contro la Megera, era incastonata al suo bastone.
   «Usa questa come conduttore per amplificare l’incantesimo. Purtroppo, con la bacchetta di Cherlindrea5 andata persa, non abbiamo altro su cui fare affidamento.»
   Elora annuì ancora, poi lesse mentalmente le parole da pronunciare e si concentrò in silenzio per alcuni secondi.
   «Fosgail, portal Túatha! Glan slighe chun na tha an dàn dhuinn!» recitò, portando contemporaneamente la pietra che aveva nella mano destra davanti a sé.
   A quel punto, un raggio di luce esplose violentemente e si andò ad infrangere più in là di una ventina di metri, verso una parete diroccata e semidistrutta. Lì, un bagliore biancastro si intensificò fino ad espandersi notevolmente.
   «Ha… ha funzionato.» disse Elora in un sussurro. Era esausta, ma anche soddisfatta della riuscita dell’incantesimo.
   «Sembra di sì.» confermò Willow. «Ora non ci resta che attraversarlo. Per sicurezza, andremo uno alla volta.»
   «Aspetta, perché?» chiese Jade accigliata.
   «Il Leviatano potrebbe accorgersi di noi se usciamo allo scoperto tutti insieme. È meglio non rischiare. Dato che si muove a ritmo regolare, basterà aspettare che sia sufficientemente lontano per poi dirigerci uno ad uno verso il portale. Su, non perdiamo altro tempo. Chi vuole andare per primo?»
Tutti e sei si guardarono l’un l’altro. Nessuno sembrava intento a farsi avanti così, su due piedi, specialmente col Leviatano che avrebbe potuto attaccarli una volta fuori dal nascondiglio.
   «Vado io.» propose Airk.
   «Aspetta.» lo fermò Kit. «Non so se è una buona idea.»
   Il ragazzo afferrò la sorella per le spalle e le diede un abbraccio.
   «Non temere. Andrà tutto bene. In fondo è colpa mia se siete venuti fin qui, senza contare che alla fine dobbiamo attraversarlo tutti. Ci vediamo dall’altra parte.»
   Kit annuì a malincuore, mentre l’altro allentò la stretta e si allontanò. Poi, con uno scatto si avviò verso il portale e svanì subito dopo averlo toccato. La creatura, nel frattempo, rimase impassibile, come ignara di quello che era appena successo.
   «Bene, sembra sicuro.» commentò Boorman sospirando. «Adesso, vado io. Qualcuno vuole dare un abbraccio anche a me?»
   Gli altri lo fulminarono con lo sguardo, senza rispondere.
   «Va bene. Lo capisco. Siete ancora arrabbiati.» disse l’uomo facendo spallucce. «Allora, vado.»
   Poi, spiccò una corsa e superò anche lui la luce bianca, scomparendo in essa. Willow alzò lo sguardo per verificare se il Leviatano avesse scoperto la loro posizione.
   «Per ora, non sembra che se ne sia accorto.» lo anticipò Jade. «Comunque, direi che la prossima ad andare deve essere Elora. A stento si regge in piedi.»
   «Mi dispiace, ma non può.» replicò Willow con una smorfia. «Se oltrepassa il portale, esso svanirà con lei che ha lanciato l’incantesimo. Purtroppo, dovrà andare per ultima.»
   «Non… c’è problema.» ribatté lei con voce debole. A guardarla bene, il pallore del suo viso era piuttosto evidente.
   «Allora, vai tu, Kit.»
   «No, Jade, anch’io andrò per ultima. Meglio se vai tu.»
   «Cosa? Assolutamente no! Il mio compito è proteggerti e non posso farlo se vado prima di te.»
   Kit le prese una mano e gliela strinse forte.
   «Anche io ho un compito ed è proteggere Elora. Non voglio deludere mio padre6.» le disse, guardandola negli occhi. «Perciò, non preoccuparti. Farò attenzione.»
   Jade ricambiò lo sguardo ma non fece altro, anche se avrebbe voluto.
   «Va bene. Ma ti avverto: se non sbuchi dall’altra parte del portale, ovunque esso conduca, ti verrò a riprendere io stessa. Intesi?»
   Kit sorrise ed annuì.
   «Sì. Ci vediamo tra poco.»
   A quel punto, Jade si voltò e preparò la rincorsa. Dopo un tentennamento iniziale, andò a tutta velocità verso il portale e lo oltrepassò.
   «Ora tocca a me.» disse Willow, fissando a turno Kit ed Elora. «Mi raccomando, fate attenzione.»
Entrambe le ragazze fecero un sì deciso con la testa. Allora, il Nelwyn imitò gli altri e si avviò verso la luce, fino a sparire.
   «Bene. Ora manchiamo solo noi.» disse Kit, avvicinandosi ad Elora. «Allora, pronta ad andare?»
   «S-sì.» rispose l’altra, camminando in avanti a fatica. Kit l’affiancò subito e l’aiutò a sorreggersi. Dopo un breve tratto, però, sentirono tutte e due sul viso un venticello leggero, che si andava ad intensificare via via ad ogni passo. Così, alzarono lo sguardo in cielo.
   «Oh, no!» esclamò Kit, estraendo la spada dal fodero.
   «Gyaaar!»
   Il Leviatano le aveva individuate e si stava dirigendo a gran velocità verso di loro.
   «Dobbiamo correre!»
   «Non… credo di… riuscirci…» replicò Elora.
   «Ma dobbiamo! Altrimenti…»
   Kit scosse la testa in preda al panico. Ormai era tardi. Il Leviatano si era avvicinato troppo e, anche volendo, non avrebbero fatto in tempo a raggiungere il portale. Così, si mise in posizione e provò a parare l’attacco dell’enorme creatura con la sua spada. Durante l’impatto, però, sia lei che Elora vennero colpite da una zampata vigorosa, finendo scaraventate una da una parte e una dall’altra.
   «Ah!» esclamò Kit, dolorante, mentre tentava di rialzarsi. Fortunatamente non aveva riportato ferite serie, tranne qualche graffio dovuto alla caduta. Guardandosi intorno, trovò Elora ancora a terra, incapace di rimettersi in piedi.
   «Elora!»
   La ragazza non rispose, ma si mosse quel tanto che bastava per far capire che stava bene. Il Leviatano, intanto, pareva pronto ad attaccare ancora. Stavolta, però, il suo obiettivo sembrava essere unicamente Elora. Kit, in preda alla più totale confusione, cercò di pensare ad un modo per salvarla nonostante la distanza notevole che le separava.
   «Che faccio?» si chiese, scrutando l’aria circostante. Poi, le venne in mente una cosa e si toccò il pettorale che aveva indosso. Sebbene apparisse come una semplice corazza, anche piuttosto malmessa, quella era in realtà “l’armatura Kymeriana”, un potente equipaggiamento trovato anni prima da suo padre, Madmartigan. Essa conferiva incredibili abilità, che potevano essere innescate da un particolare congegno, la “Lux Arkana”.
   «Dov’è?!» farfugliò Kit, frugando con frenesia nelle tasche senza trovare nulla.
   Cercò dappertutto, finché alla fine non rammentò dove l’aveva messa.
   “Oh, no! Me l’ero dimenticato! L’ho data a Jade!” pensò, sbattendo le braccia sui fianchi.
   Era stata una sua idea, per giunta. Aveva pensato che fosse poco saggio tenere sia l’armatura che la Lux Arkana, così l’aveva affidata nelle mani della persona di cui più si fidava. Purtroppo, questo vanificava completamente il suo piano. Non poteva contare sui poteri dell’armatura senza lo strumento essenziale per attivarla.
   “E adesso?!”
   Mentre ci pensava, i secondi passavano e il Leviatano era ormai in procinto di raggiungere Elora. Non c’era più tempo. Così, d’improvviso, decise di agire d’istinto. Si slacciò in fretta l’armatura di dosso e la lanciò con quanta più forza aveva in direzione della creatura, colpendola in testa e stordendola.
   «Gyaaaaaarr!»
   Dopodiché, scattò verso Elora e l’aiutò a rialzarsi. Per un momento fu tentata di raccogliere anche la corazza, ma dato che era finita troppo lontano e che il Leviatano stava per riprendersi dalla botta ricevuta, scrollò la testa e decise di lasciar stare, incamminandosi subito verso il portale di Túatha.
   «Grazie.» le disse Elora in un sussurro. «L’incantesimo mi ha sfinito più di quello che pensavo.»
   «Sta’ tranquilla, ci siamo quasi.»
   Alla fine, entrambe tirarono un sospiro di sollievo nel raggiungere la luce bianca, scomparendo al pari degli altri. Nello stesso istante, però, anche il Leviatano riprese i sensi e si fiondò senza esitare nella direzione presa dalle due ragazze, varcando il portale giusto un attimo prima che questo si chiudesse. A quel punto, il bagliore sparì definitivamente ed il silenzio scese nuovamente nella landa desolata.
 
***
 
   Intanto, a Camelot, Merlino entrò nell’alloggio di Gaius col fiatone.
   «Tutto bene?» gli chiese il medico di corte, mentre riordinava alcune ampolle e le poggiava su uno scaffale.
   «Sì!» rispose il ragazzo, sedendosi di getto su una sedia. «Ho appena finito di sistemare la stanza di Artù… e di lucidare la sua armatura… e di fare altre mille cose. Però, ce l’ho fatta!»
   «A fare cosa, se posso chiederti?»
   «A terminare tutti i miei incarichi di oggi. Così, avrò il resto della giornata libero.»
   Nel dire quelle parole, Merlino sorrise beatamente.
   «E ad Artù sta bene?» domandò Gaius scettico.
   «Sì, per fortuna. A quanto pare ha degli impegni con il consiglio nel pomeriggio e preferisce che non gli stia tra i piedi.»
   «Molto bene. Allora, possiamo approfittare del tuo tempo libero per…»
   «No, un attimo, Gaius!» lo interruppe Merlino contrariato. «Ve lo chiedo per favore! Tra i miei doveri di servo e il mio destino di salvare il regno e quel testone del re, sono secoli che non ho un pomeriggio libero. Se non vi dispiace, vorrei solo starmene qui e riposare, per una volta.»
   Sulle prime, Gaius sbuffò, ma poi lo guardò comprensivo.
   «Mmmh, va bene. In fondo, te lo sei guadagnato. Riposa pure quanto vuoi. Ma non farci l’abitudine.»
   Merlino annuì sorridente. E, mentre l’anziano medico si accingeva a riporre alcuni suoi attrezzi nel ripostiglio, si stiracchiò, mettendo i piedi sopra il tavolo. Finalmente poteva godersi un po’ di meritato riposo.
   D’un tratto, però, una strana luce abbagliante comparve di fianco a lui. Da essa fuoriuscì qualcosa che gli franò addosso, facendolo ribaltare dalla sedia e finire a gambe all’aria.
   «Ahhh!» urlò Merlino, lisciandosi il fondoschiena dolorante.
   Dopo alcuni istanti di confusione e disorientamento, si mise a sedere a fatica, cercando di capire cosa fosse successo. Accanto a lui vide un uomo, piuttosto basso e con dei vestiti larghi e decisamente singolari, svenuto e sdraiato a faccia in giù.
   «Cos’è stato?» chiese di colpo Gaius, resosi appena conto del trambusto che si era creato.
Merlino, anziché rispondere, buttò la testa all’indietro fino a toccare terra. Non sapeva cosa dire, ma di una cosa era certo: il suo pomeriggio di riposo poteva anche scordarselo!
 

Note
 
1 – Riferimento all’episodio 5 della 4a stagione di “Merlin”, “Figlio di suo padre”.
 
2 – Essere malvagio che si nutre di magia. Il Wyrm venne imprigionato molto tempo fa sotto la superficie del mondo e ora aspetta, addormentato, che i suoi accoliti, i membri dell’Ordine del Wyrm, lo liberino.
 
3 – Potente strega buona, alleata di Willow.
 
4 – Riferimento all’episodio 6 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Prigionieri di Skellin”. Nella puntata, Willow e Kit sono prigionieri dei Troll che dimorano nelle caverne di Skellin. Elora, Boorman, Jade e Graydon accorrono in loro aiuto per liberarli.
 
5 – Bacchetta magica progettata e realizzata dall'alta fata Cherlindrea, utilizzata per incanalare ed aumentare la magia di chi la impugna. Viene distrutta nello scontro con la Megera (episodio 8 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Figli del Wyrm”).
 
6 – Riferimento all’episodio 8 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Figli del Wyrm”. Durante lo scontro finale con la Megera, Kit ha una visione di suo padre, in cui gli promette di difendere Elora dai pericoli che avrebbero incontrato affinché la profezia possa compiersi.

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Capitolo 2
*** Un Nelwyn a Camelot ***


Capitolo 2
Un Nelwyn a Camelot
 
   Una volta ripresosi dalla botta, Merlino, con l’aiuto di Gaius, trascinò l’uomo comparso dal nulla fino a sistemarlo su una branda. Poi, attese di fianco al medico di corte che questo riprendesse i sensi. Più lo osservava, più gli sembrava che avesse un volto familiare. Il naso e il mento, così come i lineamenti del viso, assomigliavano incredibilmente a quelli di Grettino, il nano custode del ponte che il giovane mago aveva incontrato anni prima, nelle “Terre Perigliose”, durante la missione di Artù alla ricerca del tridente dorato del Re Pescatore1.
   «Cosa credete che sia successo?» chiese Merlino perplesso, rivolto a Gaius.
   «Non saprei, ma di certo, di qualsiasi cosa si tratti, non credo che sia nulla di buono.»
   «Lo penso anch’io. C’è una sola spiegazione possibile per quella strana luce che è apparsa insieme a lui.»
   «La magia.» concluse Gaius, serio in volto.
   Merlino annuì con una smorfia. Non c’era bisogno di aggiungere che la magia, a Camelot, poteva significare soltanto guai in vista.
   «Oh, guardate! Si sta svegliando!»
   L’uomo iniziò a muoversi leggermente, stiracchiando gambe e braccia. Poi, aprì gli occhi.
   «Oh?!» urlò, mettendosi a sedere di scatto.
   «Non agitatevi.» ribatté Gaius in tono rassicurante. «Avete battuto la testa e siete svenuto, ma non dovreste avere nulla di grave. Comunque, sarebbe prudente per voi evitare movimenti bruschi.»
   «Dove mi trovo?»
   «A Camelot. Io sono Gaius, il medico di corte, mentre questo è il mio aiutante Merlino.»
   «Accidenti…» disse l’uomo, massaggiandosi le tempie. «Mi sapreste dire cos’è successo…»
   «Questo, a dire il vero, speravamo poteste spiegarcelo voi.»
   «Già.» concordò Merlino. «Siete sbucato fuori da una luce accecante.»
   «Oh, ma certo! Il portale di Túatha!» sbottò l’uomo, voltandosi poi da una parte all’altra in cerca di qualcosa. «Ma… dove sono tutti?»
   «Tutti?» chiesero di rimando sia Merlino che Gaius.
   «Esatto. Dal portale dovrebbero essere uscite altre cinque persone.»
   «No, voi siete stato l’unico.» affermò Merlino con sicurezza.
   «Sarebbe più facile per noi aiutarvi se ci raccontaste dall’inizio cosa è accaduto.» intervenne Gaius, cercando di arrivare ad un punto della questione.
   «Oh, ma certo, avete ragione, scusate. Innanzitutto, io sono Willow Ufgood, Saggio Aldwyn del popolo Nelwyn. Piacere di fare la vostra conoscenza!» proferì l’uomo in tono serio, quasi solenne. «Insieme ai miei compagni di viaggio ho intrapreso una missione che ci ha portato ad attraversare i confini del mondo, al di là del Mare Infranto, fino ad arrivare alla Citta Immemore, dove abbiamo combattuto e vinto una difficile battaglia contro la Megera, una malvagia strega assoggettata alla dottrina dell’Ordine del Wyrm. Una volta lì, purtroppo, abbiamo incontrato ulteriori perigli, al punto tale da dover ricorrere all’incantesimo del portale di Túatha per riuscire a scamparla. Deve essere stato proprio il portale, alla fine, a condurmi qui da voi.»
   Gaius e Merlino si scambiarono uno sguardo confuso. Non avevano capito niente di quel racconto.
   «Dove avete detto che sono finito, comunque?» domandò Willow, lisciandosi la testa, ancora dolorante.
   «A Camelot.»
   «Camelot? E dove si trova?»
   «A sud di Mercia e ad ovest di Ealdor.» rispose Merlino, stupito da quella domanda.
   Willow scosse la testa, altrettanto stupito.
   «Dove?»
   A quel punto, Merlino prese frettolosamente una mappa dalla libreria e la spiegò, porgendogliela.
   «Ecco, proprio qui.» disse, indicando la zona.
   «Non conosco nessuno di questi luoghi.» commentò Willow, disorientato. «Qui sopra non sono segnati nemmeno i regni di Tir Asleen e Galladoorn. O quello di Cashmere… o di Nockmaar. Com’è possibile?»
   «Tir… cosa?»
   «Tir Asleen. Non capisco come non ne abbiate sentito parlare.»
   «Non saprei. Scusateci un momento.» disse Merlino, afferrando per una manica Gaius e trascinandolo in disparte. «Cosa ne pensate?» gli sussurrò preoccupato.
   «Non so cosa risponderti. La situazione è molto strana.»
   «Ma credete che stia dicendo la verità?»
   «Anche in questo caso, non saprei. Ma va detto che mi sembra improbabile che si sia inventato su due piedi una spiegazione così complicata con l’unico intento di mentirci.»
   «Spero solo che non sia l’ennesimo tentativo di Morgana di arrecare danno a Camelot.»
   «Ne dubito. Anche se la circostanza appare ambigua, non mi sembra molto nel suo stile.»
   «Mmmh… forse avete ragione.» concordò Merlino, pensieroso.
    «Comunque, credo che dovremmo informare Artù di quello che è appena successo.» propose Gaius.
   «Assolutamente no!» ribatté Merlino categorico, bisbigliando a bassa voce per non farsi sentire. «E poi, cosa potremmo dirgli? “Sapete, Artù, dentro il nostro alloggio si è aperto un portale magico che ha sputato fuori un uomo addosso a Merlino. Comunque, non temete! Quest’uomo dice solo di venire da un posto sconosciuto e di aver combattuto la “Vecchia Signora”, una strega molto perfida e malvagia, e di averla anche sconfitta. Niente di cui preoccuparsi.”»
   «Beh, in effetti, messa così suona piuttosto male.» concordò Gaius. «Anche se credo che la strega avesse il nome di “Megera”
   «Fa lo stesso. Inoltre, se Agravaine dovesse venire a saperlo, e sono certo che sarà così, potrebbe usare questa scusa per ritorcerla di nuovo contro di voi. O vi siete dimenticato di quando vi ha accusato di praticare ancora la magia e di essere un traditore del regno?2»
   «Direi proprio di no, Merlino. Tutt’ora ho gli incubi per quello che è successo.»
   «Allora, risolveremo questa cosa da soli. In fondo, a prima vista questo Willow mi sembra una brava persona. Sono certo che possiamo farcela a sistemare tutto senza dare nell’occhio. E poi, ne abbiamo passate di peggio. Giusto?»
   «Va bene.» accordò Gaius con un cenno del capo. «Facciamo come dici tu, per ora. Non diciamo niente ad Artù.»
   Merlino sospirò consolato.
   «Bene. Anche perché credo di avere un piano.»
   «E quale sarebbe?»
   Il giovane mago indicò Willow, mentre questi stava ancora osservando la mappa con la fronte corrucciata e la rigirava tra le mani con un’espressione perplessa, come se non ne capisse il contenuto.
   «Voi cercate di farvi spiegare ancora una volta quello che è successo, dall’inizio alla fine, in modo che però stavolta riusciamo a venirne a capo.»
   «E tu?»
   «Io esco un attimo e controllo in giro per il castello. Se è vero che altri cinque hanno varcato quel portale, è probabile che siano da qualche parte qui nei paraggi.»
   Gaius annuì, ma con una faccia dubbiosa.
   «Ma come farai a riconoscerli?»
   «Non dovrebbe essere troppo difficile, in realtà. Se vengono da un altro luogo, saranno frastornati e confusi proprio come Willow poco fa. Il problema è che devo trovarli prima che lo faccia qualcun altro. Altrimenti, non so cosa potrebbe accadere.»
 
***
 
   Una luce incredibilmente accecante comparve d’improvviso in una delle stanze del castello di Camelot e, da essa, uscirono fuori due ragazze che vennero scaraventate prima contro la parete e poi sul pavimento.
   «Ah!» esclamò Elora, dolorante, tentando di rialzarsi. «Sono caduta su qualcosa di duro.»
   «Sì, su di me!» sbottò di rimando Kit.
   «Oh, scusa!» sussultò Elora, spostandosi.
   Kit sbuffò ancora. Erano riuscite a sfuggire per un soffio alle grinfie del Leviatano e a varcare il portale in tempo. Però, in quel momento, si aggiungeva un altro problema alla lista. Dove erano finite?
   «Sembra che siamo in un’armeria.» disse, alzandosi da terra ed osservando una miriade di spade e di altre armi riposte tutte intorno a loro.
   «Dove saranno gli altri? È strano che non ci abbiano aspettate.»
   «Non lo so. Forse sono in un’altra stanza…»
   «Beh, direi che non sono qui, comunque. Quindi, per prima cosa, usciamo da questo posto.»
   Così dicendo, entrambe si avviarono verso la porta, quando Elora, ancora indebolita dall’incantesimo, inciampò su un fodero poggiato a terra.
   «Ahhh!» urlò cadendo contro una specie di bacheca in cui erano sistemate diverse balestre. A seguito dell’urto, una di queste si azionò di scatto, scoccando una freccia che mancò di pochi centimetri il viso di Kit prima di andare a schiantarsi contro il muro.
   «Elora, fai attenzione!» protestò Kit, guardandola contrariata. «Per poco non mi colpivi!»
   «Scusa! Non l’ho fatto apposta!»
   In quell’istante, la porta della stanza si aprì rumorosamente.
   «E voi chi siete?» domandò uno dei tre uomini appena entrati. Tutti vestivano con un equipaggiamento militare, con tanto di cotta di maglia e spada sul fianco.
   «Ehm… ci siamo perse.» rispose Kit, in difficoltà. Non sapeva cos’altro dire, del resto, senza spiegare per intero tutta la storia che le aveva portate fin lì.
   «Non potete stare qui!» tuonò un altro uomo, il più basso dei tre, fissandole in cagnesco. «Questo non è un posto per ragazzine! E poi…»
   Questo smise di colpo di parlare. Il suo sguardo si posò su una pietra verde e luccicante, adagiata a terra. Era la stessa che Willow aveva affidato ad Elora. Probabilmente, doveva esserle caduta dopo che era inciampata.
   «Quella… cos’è?»
   «Oh, niente!» rispose Elora, afferrandola e mettendosela in tasca alla svelta. «È solo…»
   «È una stregoneria!» ringhiò uno dei tre con gli occhi spalancati, afferrando quello più basso per la manica.
   «Presto! Dai l’allarme!»
   Quest’ultimo annuì, preoccupato, e corse via.
   «Sentite…» intervenne Kit, stufa di quella strana situazione che si era creata. «Ci dispiace esserci introdotte qui senza alcun permesso. Non volevamo fare niente di male. Comunque, ora ce ne andiamo subito.»
   «Assolutamente no! Se praticate la magia, siete delle traditrici del regno! Ne risponderete al re in persona!»
   A quel punto, entrambi gli uomini sguainarono le spade e le puntarono contro le due ragazze. Anche Kit, di riflesso, estrasse la sua.
   «Elora, rimani dietro di me.»
   «Getta l’arma se non vuoi farti male, ragazzina!» la minacciò uno dei due.
   Kit scosse la testa. Allora, l’uomo si fece sotto e la attaccò con un fendente di spada, che la ragazza parò con prontezza. Poi, rispose assestandogli una gomitata sul volto ed un calcio al basso ventre che lo fece piegare a terra.
   «Chi è la “ragazzina”, adesso?» chiese lei in tono ironico.
   «Maledetta!»
   L’altro uomo urlò a squarciagola e si fiondò su Kit. Ma l’attacco venne schivato e con un solo colpo questo si ritrovò disarmato con la faccia a terra.
   «Forza! Andiamo via!» esclamò Kit, incalzando Elora a seguirla verso l’uscita.
   «Sì.»
   Una volta fuori, si ritrovarono in un lungo corridoio.
   «Che facciamo, adesso?»
   «Non lo so. Dato che degli altri non c’è nessuna traccia, direi di pensare a scappare, per ora. Dopo, vedremo il da farsi.»
   «Va bene.»
   «Andiamo, allora!»
   Le vie di quel castello erano spaziose e ben rifinite. Per certi aspetti, a Kit ricordarono le stesse che era solita attraversare ogni giorno a Tir Asleen. Percorrendo all’ingiù una scalinata in pietra, notò anche uno stendardo rosso con un’effige raffigurante un drago dorato. A memoria, non ne aveva mai visto uno simile prima.
   “Chissà a quale casato appartiene!” pensò di sfuggita per un attimo. I suoi pensieri, però, vennero interrotti da un urlo altisonante che riecheggiò tutt’intorno.
   «Ferme!»
   Mentre correvano, alle loro spalle apparvero all’improvviso altre figure. Probabilmente, erano le guardie di quel castello.
   «No! Ancora!»
   «Accidenti!»
   D’improvviso, Kit fermò la corsa e si girò verso i loro inseguitori.
   «Elora, tu vai. Qui ci penso io.» disse, impugnando l’arma che aveva nel fodero.
   «Cosa?! Neanche per idea! Io resto con te!»
   Kit fisso l’altra, con un’espressione scura in volto.
   «Willow ha detto che dopo l’incantesimo avresti perso temporaneamente l’uso della magia. Credi di essere in grado di farne qualcuna?»
   Elora sussultò un poco e distolse lo sguardo.
   «No.» rispose secca, senza giri di parole.
   «Allora, mi saresti solo d’intralcio. Non posso difenderti. Sono troppi. Quindi, vai avanti e cerca gli altri. Io ti raggiungo appena ho finito.»
   Elora tentennò, insicura sul da farsi. Non voleva andarsene, ma sapeva che in quella situazione il suo aiuto non sarebbe stato molto significativo. Così, annuì.
   «Va bene, ma fa’ attenzione.»
   «Non preoccuparti. Ci vediamo più tardi.»
   Quindi, Elora si lanciò di corsa, anche se a fatica, nella direzione opposta a quella delle guardie. Queste, nel frattempo, avevano quasi raggiunto Kit, rimasta immobile mentre stringeva in mano la spada che un tempo era appartenuta a suo padre.
   «Fatevi sotto!»
 

Note
 
1 – Riferimento all’episodio 8 della 3a stagione di “Merlin”, “L’occhio della fenice”.

2 – Riferimento all’episodio 7 della 4a stagione di “Merlin”, “Il compagno segreto”.

 

Nota dell’autore
 
Grazie mille a tutti per aver letto questi primi due capitoli e, in particolar modo, a OrnyWinchester e Himeko82 per avermi lasciato delle graditissime recensioni.
Spero che la storia vi stia piacendo! Intanto, informo che dal prossimo capitolo aggiornerò settimanalmente ogni giovedì.
Grazie ancora! :)

 

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Capitolo 3
*** La verità degli sconosciuti ***


Capitolo 3
La verità degli sconosciuti
 
   Dopo essersi separata da Kit, Elora corse con ogni briciolo di forze che le era rimasto. Nonostante fosse stanca, doveva trovare i suoi amici il prima possibile. Purtroppo per lei, nei corridoi non intravide nessuno, a parte alcuni servitori, immersi nelle loro mansioni o intenti a lanciarle degli sguardi evasivi. Stava per fermarsi a riprendere fiato, quando d’un tratto andò a sbattere bruscamente contro qualcuno e cadde a terra.
   «Ahi!» borbottò dolorante.
   La persona con cui si era appena scontrata, una ragazza, si rialzò in fretta e andò a soccorrerla.
   «Oh, no! Ti sei fatta male?»
   Nonostante la colpa per la caduta fosse stata di Elora, l’altra si era presa pena per lei. “Deve essere una persona molto gentile” pensò di sfuggita.
   «No, grazie. Solo un po’, ma niente di che.» rispose, rimettendosi in piedi.
   «Come mai correvi così tanto? Sei in ritardo per qualcosa?»
   «Ehm… sì, è proprio così.» mentì Elora, in imbarazzo, non sapendo cosa dire.
   La ragazza di fronte, però, sussultò all’improvviso e la fissò con più attenzione.
   «Aspetta un momento! Non è che per caso sei… Diana, la figlia di John e Mary1
   Elora, confusa, ricambiò il suo sguardo.
   «Come?»
   «Ma sì, devi essere tu! Assomigli molto a quando eri piccola! Non ti ricordi di me? Io sono Gwen, un’amica dei tuoi genitori.»
   «Ah, sì… adesso mi ricordo… Gwen…» continuò a mentire Elora, tentennante, mentre l’altra la abbracciava. Non voleva prenderla in giro, ma si accorse che quella bugia poteva essere un buon modo per chiudere in fretta la conversazione senza destare troppi sospetti.
   «Che bello che sei qui!» esclamò Gwen gioiosa. «Sai, non ti aspettavo prima di domani e invece… eccoti qua! Sono anni che non ti vedo! L’ultima volta che sono venuta a Longstead tu eri in viaggio e così non ho avuto modo di incontrarti. Anche se, dato quello che è accaduto, è stata una fortuna che fossi lontana2
   «Già…»
   «Ma lasciamo stare questi brutti discorsi. Piuttosto, dimmi: com’è andato il viaggio?»
   «Ehm… bene…»
   «Vieni con me.» le disse Gwen, afferrandole delicatamente la mano. «Ti faccio vedere le cucine.»
   «Le cucine?»
   «Sì, così, dopo che ti sarai sistemata, potrai iniziare subito. Sai, i tuoi genitori erano molto contenti che fossi riuscita a trovarti un lavoro qui, a Camelot. Non sarà molto, ma è una mansione migliore di tante altre. Inoltre, John e Mary saranno più tranquilli nel sapere che ci sarò io a vegliare su di te se avrai bisogno di qualcosa.»
   «Sì, grazie.» disse Elora, annuendo. Non ci stava capendo molto, ma preferì stare al gioco, almeno finché non avesse rincontrato Kit o qualcuno degli altri.
   «Gwen!»
   Un ragazzo con una cotta di maglia ed un mantello rosso svolazzante si avvicinò di corsa alle due.
   «Elyan? Cosa c’è?»
   «Hai visto qualcuno aggirarsi qui intorno con fare sospetto?»
   A quel punto, Elora iniziò a sudare freddo.
   «No, perché?» chiese Ginevra stupita.
   «Ci sono due ragazze ricercate per uso di magia. Non so molto altro perché non ero presente, ma sembra che abbiano creato un bel tafferuglio nell’armeria poco fa.»
   «No, mi dispiace. Io non ho visto nessuno.»
   Elyan annuì, poi si girò verso Elora.
   «E lei? Chi è?»
   «Oh, ma non la riconosci? È Diana, la figlia di John e Mary. Te ne avevo parlato nei giorni scorsi. È venuta qui a Camelot per lavorare nelle cucine reali.»
   «Ah, già! Ora ricordo.» ribatté il cavaliere, sovrappensiero. «Comunque, tenete gli occhi aperti. E se le avvistate, riferitelo all’istante. Intesi?»
   «Va bene. Non preoccuparti.»
   Poi, Elyan girò i tacchi e tornò sui suoi passi, continuando le ricerche.
   «Non temere. I cavalieri di Camelot sanno quello che fanno. Le prenderanno in men che non si dica.» disse Gwen, tentando di tranquillizzare Elora che nel frattempo aveva assunto un’espressione agitata, anche se non per il motivo che credeva l’altra.
   «C-certo.»
   «Bene. Ora vieni con me. Vedrai, ti piacerà stare qui a Camelot.»
   Così dicendo, le due ragazze si avviarono verso la scalinata che portava alle cucine, al piano inferiore. Passo dopo passo, Elora non poté che tirare un sospiro di sollievo. Per il momento l’aveva scampata, anche se per un soffio. Tuttavia, era in pena per Kit. Sperava vivamente che anche lei avesse trovato un modo per mettersi in salvo.
 
***
 
   Le porte della sala del consiglio si aprirono di scatto, attirando l’attenzione di tutti i presenti. Artù, di fianco ad un tavolo pieno zeppo di pergamene, spostò lo sguardo dagli altri membri del consiglio e lo posò su sir Leon che faceva il suo ingresso nella stanza. Il cavaliere era seguito da altri due uomini che trascinavano per le braccia una giovane esile dai capelli castani.
   «Lasciatemi!» esclamò quest’ultima, dimenandosi con braccia e gambe.
   «Che succede?»
   «Sire.» esordì sir Leon, chinando la testa. «Ci sono urgenti questioni che richiedono la vostra udienza.»
   Artù sbatté le braccia sui fianchi, un po’ infastidito.
   «Più urgenti di una riunione del consiglio? Tu, Leon, sei uno dei pochi a cui ho confidato il motivo di questa riunione. Sai più che bene cosa c’è in gioco.»
   «Mi scuso con voi, sire. Ma temo che la questione non possa aspettare.»
   Il re annuì scoraggiato, poi fece un cenno agli altri consiglieri, congedandoli. Infine, si avvicinò ad uno di loro e gli consegnò dei fogli arrotolati con impresso il sigillo reale.
   «Zio, li affido a te. Portali a destinazione. La sicurezza del regno dipende da questo.»
   Agravaine li prese in mano titubante.
   «Ma… Artù, non abbiamo ancora stabilito gli ultimi dettagli. Non ti sembra che stiamo affrettando le cose?»
   «No, niente affatto. Avevo soltanto bisogno della vostra approvazione e l’ho avuta. Il resto, compresi i dettagli, l’avevo già redatto settimane fa. Adesso, occorre che qualcuno li recapiti alla diretta interessata. E mi fido solo di te per un compito così importante.»
   Lord Agravaine annuì mesto.
   «Va bene, Artù. Non ti deluderò. Partirò immediatamente.» disse, lasciando la stanza a grandi falcate.
   A quel punto, il re rivolse di nuovo la sua attenzione al cavaliere.
   «Ora, puoi dirmi qual è il motivo per cui hai creduto fosse opportuno interrompere la seduta del consiglio?»
   Sir Leon indicò la giovane alla sua sinistra.
   «Questa ragazza è il motivo, sire.»
   Artù sorrise ironico.
   «Lei? Davvero?»
   Leon annuì impercettibilmente, poi fermò con un gesto il giovane re mentre questo si avvicinava alla prigioniera.
  «Aspettate, sire! Rimanete a distanza.»
  «Perché?» chiese Artù, ancora con ironia. «Non mi dirai che morde? Per l’amor del cielo! È solo una ragazzina!»
   «Sì, sire, ma è pericolosa.» rispose il cavaliere a mezza bocca. «Ha sconfitto da sola cinque guardie e si è arresa solo dopo il mio intervento.»
   Artù fece una smorfia di approvazione, mista ad un ghigno divertito.
   «Però! Niente male se ha messo in difficoltà anche te, Leon. È lei che ti ha fatto quel graffio sulla fronte?»
   Sir Leon non rispose. La cosa doveva avergli dato molto fastidio a giudicare dalla sua espressione.
   «E di cosa è accusata?»
   «Stregoneria.»
   «Stregoneria?!» domandò Artù, sussultando. «Spiegati meglio.»
   «Lei e un’altra ragazza sono state viste nei pressi dell’armeria mentre praticavano la magia con uno strano oggetto incantato. Così, almeno, hanno riferito le guardie che le hanno scoperte.»
   «Un oggetto? Di che tipo?»
   «Non saprei dirlo, sire. L’oggetto in questione è nelle mani dell’altra ragazza.»
   «E lei dove si trova?»
   «La stiamo ancora cercando, ma non tarderemo a trovarla. L’intero castello è in allerta. Non potrà andare molto lontano.»
   Artù annuì e si parò di fronte alla ragazza.
   «Tu cos’hai da dire in tua discolpa?»
   «Liberatemi subito! Non abbiamo fatto niente! È stato solo un malinteso.»
   Il re la fissò per un attimo. Poi, tornò a camminare avanti e indietro.
   «Qual è il tuo nome?»
   «Sono Kit Tanthalos, principessa di Tir Asleen e figlia della regina Sorsha.»
   Artù spalancò gli occhi per lo stupore.
   «Una principessa? E cosa ci faceva, allora, una “principessa” nell’armeria del mio castello? Spiegamelo, perché proprio non ci arrivo.»
   Kit abbassò la testa, tentennante. Poi, la rialzò.
   «Io e la mia amica ci siamo perse.»
   «E siete finite, così, per caso, nell’armeria di questo castello… di questa città… di questo regno?» chiese Artù, scettico. «Io non credo proprio. E, tra l’altro, dove si troverebbe il regno da cui provieni, Tir… Asleep…?»
   «Tir Asleen.» lo corresse lei. «È un regno del continente occidentale.»
   Artù scosse il capo.
   «Mai sentito.»
   Kit fece una smorfia, tentando di mantenere il proprio autocontrollo. Già le dava sui nervi essere finita in un luogo sconosciuto, figuriamoci essere catturata, senza sapere come fare per uscirne. Tutto per colpa di quello stupido portale! Aveva anche perso di vista gli altri. Peggio non poteva andare!
“Adesso basta, Kit, ce la puoi fare.” si ripeté tra sé e sé. “Racconta loro la verità e vedrai che andrà bene. In fondo, non hai fatto niente di male.”
   «Ascoltate.» disse, cercando di darsi un tono nella voce. «Mi sono messa in viaggio mesi fa per salvare mio fratello, che era stato rapito da una strega malvagia. Ho attraversato letteralmente i confini del mondo per trovarlo e, nel ritorno verso casa, io e i miei compagni ci siamo imbattuti in un terribile mostro che ci ha attaccato. Per riuscire a sfuggirgli, ci siamo rifugiati nel primo posto che abbiamo trovato lungo la strada. È in questo modo che siamo finiti qui.»
   «Un mostro? Che genere di mostro? Se qualcun altro avesse visto qualcosa, sono certo che si sarebbe saputo.»
   Kit ci pensò un attimo per trovare le parole giuste per descriverlo.
   «Non saprei… assomigliava ad un drago, ma era più piccolo. Inoltre, non aveva gli occhi e volava con sei ali.»
   Artù le si parò davanti, faccia a faccia, e la fissò torvo.
   «Quindi, una strega cattiva ti ha rapito il fratello e tu, senza pensarci due volte, hai viaggiato in lungo e in largo alla sua ricerca finché non l’hai liberato. Poi sei scappata da un mostro simile ad un drago e, per nasconderti, ti sei rifugiata in questo castello, senza sapere neanche come ci sei arrivata.» disse, facendo una smorfia. «Pensi davvero che io sia così idiota da credere ad una storia del genere?»
Anche Kit ricambiò lo sguardo, infastidita e molto innervosita.
   «Volete davvero che vi risponda?»
   Artù sorrise a quella provocazione, quasi divertito dalla tenacia dimostrata dalla ragazza.
   «Basta! Per ora portatela nelle segrete. Prima di emettere un giudizio, devo vederci chiaro con questa faccenda.»
   Le guardie trascinarono Kit fuori dalla stanza, mentre quest’ultima scalpitava ed imprecava senza ritegno al loro indirizzo. Nel frattempo, Leon attendeva ancora in piedi immobile, di fronte al re.
   «Trova l’altra ragazza, Leon. Dobbiamo capire che sta succedendo.»
 
***
 
   «Maledizione!» esclamò Boorman, divincolandosi tra le erbacce che l’avevano fatto inciampare.
   Dopo aver varcato il portale, si era ritrovato da solo in quella specie di foresta ombrosa, che per certi aspetti gli ricordava “Boscotetro”3. Erano ore che girovagava in quel posto, ma di Willow e degli altri non c’era traccia. La pioggia, per giunta, scendeva copiosamente, rendendo le sue ricerche alquanto difficoltose.
   Ad un certo punto, però, il suo sguardo si posò a pochi metri da lui, su uno strano incavo presente sotto alcune rocce e del muschio. Osservando meglio, notò anche una porta di legno limitare la cavità. Sembrava una sorta di riparo, forse anche una casa.
   “Beh, più che una casa, sembra una catapecchia!” pensò tra sé. Però, rimaneva comunque una buona notizia. Data la situazione, avrebbe potuto approfittarne per ripararsi dalla pioggia e per asciugarsi i vestiti completamente zuppi, per non parlare della barba e dei capelli coperti quasi interamente dal fango.
   «Finalmente la fortuna comincia a girare!» disse in uno slancio di ottimismo.
   Ma in quel momento udì un fruscio alquanto sospetto alle sue spalle. Prima ancora di voltarsi e controllare di cosa si trattasse, sentì un dolore acuto in testa e svenne a faccia in avanti.
 
 
Note
 
1 – John Howden e Mary Howden sono due amici di vecchia data di Gwen. Appaiono entrambi nell’episodio 8 della 4a stagione di “Merlin”, “Lamia”.
 
2 – Riferimento all’episodio 8 della 4a stagione di “Merlin”, “Lamia”. Alcuni uomini di Longstead iniziano ad ammalarsi di un male all’apparenza sconosciuto. In seguito, si scopre che la causa di tutto è una Lamia, un mostro che sottrae loro l’energia vitale.
 
3 – Riferimento all’episodio 5 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Boscotetro”. Bosco in cui si sono imbattuti Willow e il suo gruppo mentre erano in viaggio per salvare Airk.

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Capitolo 4
*** Prigionieri di Camelot ***


Capitolo 4
Prigionieri di Camelot
 
   Boorman si ridestò di soprassalto.
   «Ben svegliato.» lo accolse una voce fredda davanti a lui.
   Aveva ancora la vista annebbiata dalla botta subìta, ma riuscì pian piano a mettere a fuoco le ombre sfocate che lo circondavano. Si trovava in una stanza tetra. Una donna lo stava fissando con un’espressione indecifrabile in volto. Lei era alquanto giovane ed indossava un vestito lungo e scuro, decisamente in tinta col luogo.
   «Allora? Non dici niente?»
   Boorman fece per muoversi, ma in quel momento si accorse di essere legato da capo a piedi ad una sedia.
   «Uhh! È così che di solito ricevi gli ospiti? Botta in testa e corde ai polsi?» replicò lui in tono ironico.
   La donna sorrise maliziosa.
   «Solo quelli non graditi.» disse, avvicinandosi a lui. «E sappi che questo non è che l’inizio.»
   Boorman le mostrò un ghigno divertito.
   «Bene. Però, devo avvisarti che non è la prima volta che mi ritrovo in una situazione del genere1. Sai, faccio questo effetto alle donne.»
   A quel punto, lei allungò una mano verso di lui, senza però toccarlo. Di colpo, Boorman si sentì chiudere la gola e mancare completamente il fiato, come se qualcuno lo stesse strangolando.
   «Arrrghhh!!»
   Nonostante i suoi ripetuti e sofferenti annaspi, la donna non batté ciglio. Il suo viso rimase impassibile, finché non decise di abbassare il braccio. Fu così che Boorman riuscì di nuovo a respirare.
   «Annnffff!» boccheggiò senza tregua. «Ma… chi sei… tu?!»
   «Sono Morgana Pendragon, la più Grande Sacerdotessa dell’Antica Religione.» rispose lei con fierezza. «Ma tu questo già lo sai, non è vero? Il tuo padrone è stato così codardo da mandare uno dei suoi giullari a fare il lavoro sporco, non è così?»
   «Ma… di che cavolo stai parlando?!» domandò Boorman confuso. «Quale padrone? Mi devi aver scambiato per qualcun altro. Io cercavo solo un riparo dalla pioggia.»
   Morgana lo afferrò in modo brusco per il collo della camicia.
   «Tu non puoi neanche immaginare quello che ho intenzione di farti!»
   «No, però ora inizio a capire perché vivi in mezzo alla foresta, da sola e lontano da tutti.» commentò Boorman sarcastico.
   Lei lo fulminò con lo sguardo.
   «Parla, una buona volta! Chi è stato a mandarti?! Si tratta di Emrys, non è vero?! Oppure è stato quel vigliacco di mio fratello?! Dimmelo o ti farò pentire amaramente di esserti spinto fino a qui!»
   «Aspetta! Non mi ha mandato nessuno!» ribatté Boorman allarmato. «Sono solo finito qui per sbaglio! Non so neanche dove mi trovo!»
   «Mpf! Certo! E credi che io me la beva?! Te lo ripeto, dimmi chi ti ha mandato e, forse, ti concederò una morte rapida e dignitosa! Altrimenti, non hai la minima idea di quanto io possa essere spietata!»
   «Ti credo in parola!» disse Boorman velocemente. «Ma io non c’entro niente con questo Emrys o con tuo fratello, chiunque egli sia. Te lo assicuro!»
   Morgana lo fissò in cagnesco.
   «L’hai voluto tu!» disse, preparandosi a lanciare un incantesimo. In quell’istante, tuttavia, un uomo entrò dalla porta.
   «Morgana!» esclamò lui, stupito nel vedere quella scena. «Che sta succedendo? Chi è questo tipo?»
   «Thraxus Boorman, molto piacere!» rispose il diretto interessato, chinando la testa con teatralità.
   «Niente che ti riguardi, Agravaine! Solo un piccolo contrattempo!» spiegò lei, mettendo al suo prigioniero un panno sudicio in bocca per farlo rimanere in silenzio. «Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?»
Agravaine, scettico, fissò per un lungo attimo Boorman, poi si voltò verso Morgana.
   «Ti ho portato il trattato che Artù intende stipulare con Annis.» disse, passandole delle pergamene.
   «Cosa?!» sbottò lei, furente. «Non ti avevo detto di prendere tempo?!»
   Agravaine abbassò il capo, mortificato.
   «Lo so, ma Artù non ha voluto sentire ragioni. Non ho potuto insistere, altrimenti si sarebbe insospettito.»
   «Sei un essere inutile!» lo rimproverò Morgana, lanciandogli i fogli addosso. «Cosa me ne faccio io di questi, adesso?!»
   «P-pensavo che potresti leggerli per vedere…»
   «Ecco il tuo errore, Agravaine: “pensavi”! Tu non devi pensare! Tu devi fare solo quello che ti dico!»
   Morgana iniziò a camminare su e giù infervorata. Avrebbe voluto distruggere tutto intorno a lei, ma sapeva che doveva calmarsi. Non era con la collera che avrebbe vinto contro Artù, bensì con l’astuzia.
   «Se vuoi posso far sparire il trattato.» propose Agravaine intimorito. «Magari racconto che sono stato aggredito da qualche brigante lungo la strada e…»
   «No.» ribatté Morgana, seccata. «Se Artù dovesse capire che stai mentendo, finiresti per perdere la sua fiducia e a quel punto non mi serviresti più a niente. Non che adesso tu ti stia rivelando molto utile, comunque. Stai inanellando una disfatta dopo l’altra. Però, dopo il tradimento di Alator2, non posso permettermi altri inconvenienti.»
   «Morgana, farò tutto quello che vuoi.» disse Agravaine, quasi implorandola. «Lo sai che di me ti puoi fidare. Farei tutto per te.»
   La strega annuì, pensierosa.
   «Bene. Perché mi è appena venuta in mente una cosa. Conosci Thaverin, il cartografo di corte?»
   L’uomo annuì debolmente, perplesso.
   «Sì. Tutta Camelot lo conosce. Il suo lavoro è molto apprezzato, specialmente da Artù. Perché me lo chiedi?»
   «Saresti in grado di avvicinarlo?» domandò ancora Morgana, ignorando le parole dell’altro.
   «Temo… che sia difficile da fare.» ribatté Agravaine, leggermente impaurito dalla possibile reazione della sua padrona. «È un uomo estremamente meticoloso e solitario. Non ha famiglia, né amici, a quel che si dice. L’unico con cui ha rapporti regolari è il suo apprendista.»
   «Il suo apprendista?» ripeté Morgana, incuriosita.
   «Esatto. Eoghan3, un ragazzo giovane, un sempliciotto. Lavora per Thaverin da qualche anno.»
   «Cosa sai su di lui?»
   «Ben poco, in realtà. Vive a Camelot da quando è nato, con sua madre. Suo padre, Sir Daniel, era un cavaliere al servizio di Uther, prima di morire in battaglia anni fa. Per ripagare la lealtà del suo guerriero, è stato proprio il re a indirizzare Eoghan verso un apprendistato dal cartografo.»
   «Bene.» disse la strega, in parte soddisfatta. «Allora, avvicinati a lui e conquista la sua fiducia. Può tornarci utile. Se seguirai alla lettera le mie istruzioni, non dovresti avere problemi. Vedremo se, almeno stavolta, riuscirai a farmi ricredere sul tuo conto.»
   «Ma certo! Dimmi quello che devo fare e io eseguirò!»
   A quel punto, i due iniziarono a confabulare a bassa voce. Nel frattempo, Boorman, che aveva assistito all’intera scena, aveva approfittato di quel momento di confusione per cercare un modo per liberarsi.
   “Vediamo…” pensò, tastando il nodo della corda che gli bloccava i polsi. “È stretto, ma ho visto di peggio. La finestra è a pochi passi. Devo solo fare molta attenzione a non farmi scoprire e sarò fuori di qui in non più di cinque minuti. Forse quattro, se quella lì inizia di nuovo a lanciare tutto per aria.”
   Così, iniziò con accortezza a tirare pian piano i lacci che lo tenevano legato alla sedia. Stava andando tutto liscio. Poi, si voltò di scatto, impaurito da un rumore improvviso. Era Morgana che inveiva per l’ennesima volta contro Agravaine.
   Nonostante lo straccio in bocca, Boorman sorrise divertito.
   “Decisamente quattro minuti.”
 
***
 
   «Strofina più forte, ragazzina! Muovi meglio quelle braccia!»
   Elora annuì, ansimante. Dopo essersi separata da Gwen, aveva iniziato a lavorare fin da subito e senza sosta nelle cucine di Camelot. Fortunatamente, era pratica del mestiere, vista la sua esperienza passata in quelle di Tir Asleen4. Tuttavia, ciò che non poteva immaginare era che in quel regno esisteva un essere peggiore perfino della Megera; un essere talmente spaventoso da farle venire i brividi.
   «Allora?! Sei sorda?!» le urlò la capo cuoca Audrey, furiosa. «Sbrigati! Siamo in ritardo!»
   «Sì, subito.» ribatté la giovane, sfinita.
   Erano almeno tre ore che la cuoca le gridava contro. Era incredibile come così tante persone ai suoi ordini riuscissero a mantenere la lucidità necessaria per terminare ognuno i propri compiti. Senza contare che Elora era costretta a starsene lì, mentre i suoi amici erano chissà dove, forse anche in pericolo. Ma non aveva altra scelta. Alla prima occasione buona, però, si era ripromessa che li avrebbe cercati in lungo e in largo per il castello. Specialmente Kit, che molto probabilmente doveva essere rimasta nei paraggi, magari anche lei in attesa di fare lo stesso.
   «Muoviti! Tra poco dobbiamo iniziare a servire la cena!» esclamò Audrey, indicando un grosso pentolone di fianco a lei.
   Subito dopo, un garzone le si avvicinò, sussurrandole qualcosa all’orecchio. Poi, andò via di corsa, spaventato dallo sguardo ancora più arrabbiato della donna.
   «Stammi a sentire, ragazzina!» le disse, prendendola per un braccio. «Io devo assentarmi per poco. Dato che gli altri sono tutti impegnati, dovrai preparare tu i piatti per la cena.»
   «Io?»
   «Sì, tu. Non dovrai fare altro che togliere la pentola dal fuoco tra venti minuti e condirla con questa.» le spiegò la cuoca, poggiandole vicino un altro recipiente più piccolo. «Tutto chiaro?»
   Elora annuì.
   «Bene. Ma, se avrò delle lamentele per il tuo operato, giuro che non la passerai liscia!»
   Così dicendo, la fissò storta e si allontanò. A quel punto, Elora controllò il grosso pentolone sul fuoco, aprendone il coperchio.
   «Mmh, carne di maiale.» mormorò tra sé. «Ma? È praticamente cotta. Non servono altri venti minuti.» disse ancora, spostandola dalla fiamma.
   «No! Ferma!» esclamò d’un tratto una lavapiatti lì vicino. «Deve cuocere ancora.»
   «No, invece. La cuoca si è sbagliata. Tra un po’ la carne sarà carbonizzata.»
   «Non importa. Se disubbidisci alla cuoca, saranno guai, che tu abbia ragione o torto.»
   Elora fece spallucce mentre l’altra tornava sconcertata alle sue mansioni. Avvertimento o no, non avrebbe mai servito un pessimo piatto solo per paura di qualche rimprovero. Ne andava del suo orgoglio di cuoca, dopotutto. Così, continuò la preparazione, annusando la scodella in cui era stata lasciata a riposare la salsa.
   «Bleaah! Che schifo!» commentò, respirandone l’odore. Era tremendo.
   Dopo essersi guardata intorno, rifletté per un istante. Non le conveniva mettersi nei guai, a maggior ragione dato che in quel castello era di fatto una fuggitiva. D’altro canto, non doveva neanche preoccuparsi di dover mantenere il lavoro, visto che quello era il suo primo ed unico giorno in quelle cucine. Così, senza pensarci due volte, svuotò in una bacinella la salsa che aveva preparato la cuoca Audrey e iniziò a prepararne un’altra. Lei era Elora Danan, ultimo sangue di Kymeria, futura imperatrice, grande sacerdotessa, stregona Semprum dei nove regni… ma, non di meno, era anche una cuoca di rinomata abilità. E non avrebbe mai permesso a nessuno di sostenere il contrario.
 
***
 
   Merlino entrò nell’alloggio di corsa.
   «Hai scoperto qualcosa?» gli chiese Gaius, in apprensione.
   «Sì. E non sono buone notizie.»
   «Che vuoi dire?» domandò Willow agitato.
   «Due ragazze sono ricercate con l’accusa di stregoneria. Una di loro è riuscita a scappare mentre l’altra è stata catturata e rinchiusa nelle segrete.»
   Gaius fece una smorfia di disappunto.
   «Questo non ci voleva. Ora sarà impossibile risolvere la questione senza che nessuno lo sappia.»
   «Aspetta.» intervenne Willow. «Hai detto due ragazze, ma mi sai dire altro su di loro?»
   «Mmmh, mi sembra di aver capito che la ragazza che è fuggita abbia con sé una specie di pietra magica o qualcosa di simile.»
   «Si tratta di Elora, senza dubbio. Mentre l’altra che hanno catturato?»
   «Mi dispiace, ma non so niente su di lei. Solo che ha inveito per tutto il tragitto contro le guardie che la portavano in cella. Dicono che le sue urla siano state udite dall’intero castello.»
   Willow alzò un sopracciglio, un po’ in imbarazzo.
   «Temo allora che si tratti della principessa Kit. Purtroppo, le buone maniere non sono mai state il suo forte.»
   «Non vorrei essere avventato, ma a questo punto non so se sia il caso di parlarne seriamente con Artù.» propose Gaius, titubante.
   Willow scosse il capo.
   «Vi ringrazio, ma è meglio di no. Voi due siete stati molto gentili a darmi il vostro aiuto, ma da adesso in poi sarà meglio che me la sbrighi da solo.» disse, avviandosi verso la porta.
   «No, un momento.» lo fermò Merlino.
   «Mi dispiace, ragazzo, ma non resterò qui senza fare niente mentre i miei amici sono in pericolo.»
   «Non vi chiedo questo, infatti. Credo solo che uscire così allo scoperto non farebbe altro che peggiorare la situazione. Non potete rivelare tutta la verità ad Artù. Per quanto sia un buon uomo, non chiuderebbe un occhio se avete realmente usato la magia. Qui a Camelot è bandita.»
   «Allora, cosa proponi?» chiese Willow.
   «Fatemi parlare con lui. Vedrò se posso intuire quali sono le sue intenzioni e se c’è qualcosa che possiamo fare per risolvere la questione senza doverlo mettere al corrente di tutto quanto.»
   Willow lo guardò incerto.
   «E Kit? Lei è in prigione. Non posso lasciarla lì.»
   «Non temete.» intervenne Gaius. «Sono certo che Artù non voglia farle alcun male. L’avrà rinchiusa solo per precauzione in attesa di capirci qualcosa di più.»
   «Dunque, credete che sia al sicuro?»
   «Beh, direi di sì, a meno che non faccia qualcosa di veramente stupido, ovviamente.»
   L’espressione del Nelwyn si rabbuiò ancora più di prima, ripensando al carattere impulsivo della ragazza.
   «A questo punto, possiamo solo sperarlo.»
 
***
 
   Kit sospirò lentamente. Erano ormai ore che fissava il soffitto di quella fetida cella, seduta per terra con la schiena poggiata contro le sbarre di ferro. Non sapeva che fare. Non sapeva neanche dove era finita. Tra i vari regni di cui aveva sentito parlare, Camelot non era tra questi. Quanto era lontana da casa? Come stava Jade? E Airk? Tutte queste ed altre domande non avevano alcuna risposta. La sensazione di impotenza che sentiva era dura da mandare giù.
   D’improvviso, il rumore metallico di una porta che si apriva la ridestò dai suoi pensieri. Qualche istante dopo, un vassoio con del pane le venne passato da sotto le sbarre e se lo ritrovò di fianco.
   «Non lo voglio.» disse con voce stanca.
   «Devi mangiare, invece. Altrimenti sverrai, a giudicare dalla tua brutta cera.»
   A quel punto, Kit si voltò di scatto.
   «Elora?!»
   La ragazza dai capelli rossi le fece un mezzo sorriso.
   «Come hai fatto a venire qui?»
   «È una lunga storia, ma in breve sono riuscita a fingermi un’altra persona e mi hanno messo a lavorare nelle cucine. Quando ho sentito che avevano imprigionato una ragazza, ho capito che eri tu e mi sono offerta volontaria per portarti la cena.»
   «Grazie. Almeno tu non ti sei fatta catturare.» disse Kit, guardando di sottecchi se ci fosse qualche guardia nei paraggi.
   «Non preoccuparti.» la rassicurò Elora. «Ho portato loro del vino. Credo che ne avranno per un bel po’.»
   «Bene.» commentò Kit, mettendosi in piedi. «Adesso non ci resta che trovare un piano per farmi uscire da qui. Tu ne hai uno?»
   «No. In realtà, speravo ne avessi uno tu.»
   «Io?!» domandò Kit con sarcasmo. «Quella che ha la magia sei tu! Non puoi usarla per liberarmi?»
   Elora abbassò la testa, intristita. Poi, scosse il capo.
   «No, non posso. Non ancora, almeno. L’incantesimo del portale ha agito proprio come diceva Willow. Ho anche tentato di fare una magia quando ero da sola, ma non ci sono riuscita, purtroppo.»
   «Ah, già, scusa. L’avevo dimenticato.» si affrettò a dire Kit, dispiaciuta di essere stata indelicata. «Vorrà dire che ci inventeremo qualcosa.»
   «Sì…»
   «Ma, dimmi: hai saputo niente degli altri?»
   «No. Del resto, come avrei potuto, se ho passato quasi tutto il tempo nelle cucine da quando ci siamo divise?»
   In quel momento, Elora notò come Kit si fosse rattristata a sua volta.
   «Comunque, sono certa che stanno tutti bene.» aggiunse, cercando di tirarle su il morale.
   «Lo spero.»
   «Non preoccuparti, li ritroveremo tutti. Anche Boorman.»
   Kit sorrise leggermente.
   «Lui non sono certa di volerlo ritrovare.»
   Elora guardò per un attimo la porta.
   «Ora è meglio che vada, altrimenti potrebbero insospettirsi. Ma cercherò di tornare domani.»
   «Va bene, tanto io non mi muovo da qui.»
   Elora annuì e fece per andarsene, poi però tornò indietro e iniziò a frugare nelle tasche.
   «Che c’è?» le chiese Kit, sorpresa.
   «Aspetta un attimo… Ecco!» esclamò l’altra, passandole tra le sbarre un muffin. «Ne ho fatto uno senza farmi vedere. Mi è venuto un po’ secco perché non avevo tutti gli ingredienti giusti, ma è meglio di niente.»
   «Grazie tante, Elora.» le disse Kit, afferrando il dolcetto. «Anzi, grazie tante, “ragazza dei muffin”
   Elora sorrise nel sentire il nomignolo con cui l’altra soleva chiamarla prima che diventassero amiche. A quel punto, però, la salutò di nuovo ed andò via.
   Kit fissò per un momento il muffin. Poi, gli diede un morso.
   «Sì, è un po’ secco.» disse, sogghignando.

 

Note
 
1 – Riferimento all’episodio 5 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Boscotetro”. Nella puntata Boorman viene catturato e legato da Scorpia, leader della tribù “Predatori di Ossa” che vive nella foresta di Boscotetro e suo interesse amoroso.
 
2 – Riferimento all’episodio 7 della 4a stagione di “Merlin”, “Il compagno segreto”.
 
3 – Riferimento all’episodio 11 della 4a stagione di “Merlin”, “Il cuore del cacciatore/Una sposa per re Artù”. Il tempo della storia è precedente agli eventi dell’episodio in questione, dato che ci troviamo tra l’episodio 8 e 9. Infatti, la conversazione tra Morgana e Agravaine funge da preambolo per la puntata in cui Eoghan verrà avvicinato dallo zio di Artù, ma si rifiuterà di aiutarlo.
 
4 – Anche se Elora è destinata da una profezia a riunire tutti i regni contro le forze del male, ha vissuto fino all’età di diciassette anni come aiutante nelle cucine, senza sapere nulla su chi fosse in realtà. La regina Sorsha ha ritenuto fosse più sicuro per l’incolumità della giovane rimanere all’oscuro delle sue origini. Questo, almeno, finché il principe Airk non è stato rapito e Willow le ha raccontato tutto.

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Capitolo 5
*** Il ponte ***


Capitolo 5
Il ponte
 
   La porta delle stanze di re Artù si aprì di scatto.
   «Scusate il ritardo!» esclamò Merlino, entrando di fretta con un vassoio. «Ho dovuto aiutare Gaius con un problema nella città bassa.»
   Artù lo guardò sorpreso.
   «Che problema?»
   «Sembrerebbe che alcuni uomini abbiano avuto degli svenimenti. Niente di serio, comunque.»
   Il re annuì sovrappensiero. Poi, mentre faceva per sedersi, si girò di colpo verso Merlino.
   «Ma non ti avevo dato mezza giornata libera?» chiese sospettoso.
   «Sì, ma questo era prima.»
   «Prima di cosa?»
   «Prima di sapere che avevate bisogno di me.» rispose Merlino con ovvietà.
   «Ma di che stai parlando?»
   «Ho saputo della ragazza che avete arrestato.» spiegò il servo, poggiando il piatto col cibo sullo scrittoio. «È incredibile! Non posso assentarmi qualche ora che già siete in difficoltà!»
   «Non sono in difficoltà!» protestò Artù, scocciato. «E poi non vedo come tu possa essermi utile a riguardo.»
   «In molti modi, Artù. Ad esempio, potrei darvi qualche consiglio.»
   «No, ti ringrazio. Ma non sono ancora così disperato da arrivare a tanto.»
   Merlino fece spallucce.
   «Come volete. Quindi, sapete già come comportarvi?»
   «A dire il vero, non ne ho idea. La situazione è molto strana.»
   «Che intendete?»
   «Il racconto della ragazza è a dir poco assurdo e senza senso. Tuttavia, mentre le parlavo, mi ha dato l’impressione che dicesse la verità. Solo che non è possibile.» spiegò Artù, mettendosi una mano sotto il mento.
   «Magari, vi ha dato questa sensazione perché è così.» azzardò Merlino.
   «No, non può essere.» ribatté il re categorico. «Mi ha detto di essere una principessa in fuga da una specie di mostro. Me lo spieghi com’è possibile che una principessa, di un regno che non ho mai sentito nominare, tra l’altro, possa finire dentro l’armeria di Camelot per scappare da un mostro, che per giunta nessun altro, a parte lei, ha visto?!»
   «Non saprei… ma dovreste anche valutare che, se è realmente una principessa, potreste avere dei seri problemi col regno da cui proviene. Non credo che la sua famiglia prenderebbe bene la notizia della sua carcerazione.»
   «Lo so. Questo è uno dei motivi per cui sono così preoccupato. Però, lei e la sua amica sono state sorprese mentre praticavano la magia. Non posso ignorare la realtà dei fatti.»
   «Comprendo. Ma potrebbe esserci una qualche spiegazione che chiarisca il possibile malinteso che si è creato. Magari anche migliore di quella che hanno dato le guardie che l’hanno trovata.»
   «Mmmh… In effetti, per quanto non sia da escludere, lei non mi è sembrata qualcuno che fa uso di magia. E io ormai gli stregoni riesco praticamente a riconoscerli in un istante.»
   Merlino annuì, soffocando a stento una risata.
   «Certo. In effetti, avete molta esperienza in merito.»
   «Dell’altra ragazza, invece, non si è saputo niente, anche se fatico a credere che avesse cattive intenzioni. In fondo, è fuggita senza far del male a nessuno. Se avesse avuto dei poteri magici, li avrebbe usati sicuramente contro le guardie che volevano arrestarla. Invece, si è soltanto nascosta chissà dove.»
   «Avete ragione. Forse sono solo due ragazze che si sono trovate nel luogo sbagliato, nel momento sbagliato.»
   Artù fissò lo sguardo nel vuoto.
   «Può darsi. Oggi sono stato molto occupato con la faccenda del trattato, ma domani andrò a parlare di nuovo con la ragazza e vedrò di farmi un’idea più chiara sulla questione. Anche perché adesso sono così confuso che non so proprio cosa pensare.»
   «Da quel che è parso di capire a me, invece, ce l’avete già un’idea, ed anche piuttosto precisa: credete che ci sia qualcosa che non vada, ma non pensate che queste due ragazze siano pericolose per voi o per il regno. In sostanza, non avete paura delle due giovani, ma di quello che sta accadendo e che non comprendete.»
   Artù annuì convinto e stupito.
   «Sì, esatto, Merlino. Hai riassunto bene il mio pensiero.»
   «Già. Ve l’ho detto che senza di me sareste perso.» replicò il servo con un sorriso.
   Era contento di essergli stato d’aiuto, ma era anche soddisfatto di sapere che Artù non nutriva astio nei confronti di Kit ed Elora. In questo modo avrebbe potuto aiutarle più facilmente. Inoltre, Willow sarebbe stato più sollevato nel sentirlo. Non sapeva ancora come, ma era intenzionato a risolvere quella situazione al più presto.
   «Adesso, se non ti dispiace, vorrei mangiare in pace senza sorbirmi le tue chiacchiere.» disse Artù, anche lui più calmo di quanto non fosse pochi minuti prima.
   «Certo, sire. Tolgo il disturbo.» acconsentì Merlino, facendo per uscire.
   Quando fu sulla soglia, però, si voltò di scatto nel sentire un mugugno alquanto bizzarro emesso dal re.
   «Che succede?» domandò allarmato.
   «Questo cibo è squisito!» esclamò Artù, masticando con soddisfazione.
   «Davvero?» chiese Merlino scettico, osservando lo stufato di maiale. «L’ultima volta che l’avete mangiato, avevate detto che faceva pena. Se non ricordo male, l’avevate chiamato “Stufato di pietre condito con vomito di capra”, vostre testuali parole.»
   «Beh, adesso direi invece che è straordinario! Non ho mai mangiato niente di così buono e gustoso. Ricordati di fare i complimenti alla cuoca e di assicurarti che d’ora in poi lo cucini sempre in questo modo.»
   Merlino annuì. Poi, lasciò la stanza, ancora perplesso dalle rinnovate abilità della cuoca Audrey. Artù, intanto, si fiondò nuovamente sul piatto, addentando con voracità un grosso pezzo di carne.
 
***
 
   Nell’alloggio del medico di corte, Willow era impegnato nella lettura di un libro alquanto grande e complicato, quando Gaius rientrò affaticato.
   «Scusatemi, ma ho avuto un’urgenza nella città bassa. Tre uomini sono stati trovati completamente privi di forze nel bel mezzo del bosco. Fortunatamente, ora stanno bene.»
   Il Nelwyn poggiò il libro e rivolse gli occhi al medico.
   «Non dovete scusarvi. Ci mancherebbe che vi dobbiate giustificare per aver svolto con solerzia il vostro lavoro.»
   «Avete ragione.» disse Gaius, sedendosi stanco su una sedia. «Intanto, voi siete riuscito a trovare qualcosa?»
   Willow annuì.
   «Innanzitutto, grazie per avermi messo a disposizione la vostra vasta collezione di libri. E, sì, ho scoperto qualcosa di interessante. Azzarderei a dire anche di decisivo.»
   «Ah, bene! Ditemi, allora.»
   Willow gli stese il volume che aveva in mano.
   «Stavo leggendo questo passaggio riguardante lo stregone Taliesin.»
   Gaius prese gli occhiali da una tasca delle vesti e li inforcò.
   «Allora, vediamo.» disse, tenendo il segno col dito. «Ma certo, questa è la sua tesi sulla magia che concerne le Grandi Pietre di Nemeton. Secondo lui, sono un portale mistico verso il mondo degli spiriti.»
   «E non solo, a quanto si dice in questo paragrafo.» intervenne Willow, additando una sezione dello scritto. «Infatti, crede che questa magia possa connettere una o più realtà in un unico punto e congiungerle per un breve istante. In pratica, è come se fosse una sorta di collegamento, o “ponte” come lo chiama lui, tra un mondo ed un altro.»
   «Sì, almeno questa è la sua teoria. Tuttavia, temo non ci siano prove che testimonino la sua veridicità.»
   «Ah! Non ne sarei così sicuro. In un capitolo successivo, si parla anche di alcuni incantesimi utili per risvegliare questa magia. Guardate un po’ il secondo che propone.»
   Il medico di corte acuì la vista e lesse l’incantesimo in questione.
   «Sì, lo vedo. Anche se non saprei dirvi cosa esso possa significare. È scritto in una lingua che non conosco.»
   «È Pnakotic1.» spiegò Willow. «Una lingua molto antica in cui mi sono imbattuto spesso. Il significato dell’incantesimo è lo stesso che ha usato Elora per aprire il “portale di Túatha” che ci ha condotto qui, a Camelot.»
   Gaius soppesò le parole che aveva appena sentito, rimanendo a bocca aperta per qualche secondo mentre rileggeva la pagina del libro.
   «Quindi, mi state dicendo che l’incantesimo che voi avete usato è lo stesso menzionato qui, nel tomo, da Taliesin riguardo ai viaggi verso altri mondi?»
   «Esattamente. Sapete questo cosa significa, Gaius?»
   «Sì, anche se stento a crederlo. Se Taliesin aveva ragione, voi e i vostri amici avete attraversato il confine di un mondo per giungere in un altro. In pratica…»
   «Il mondo da cui provengo è diverso da quello in cui mi trovo ora.» concluse Willow.
   A quel punto, Gaius posò il libro e si alzò dalla sedia. Poi, un po’ spaesato, prese una bottiglia da uno scaffale e ne versò il contenuto in due bicchieri.
   «Prendete.» disse, porgendone uno a Willow. «Non sono solito bere, ma questa occasione credo che lo richieda.»
   Il Nelwyn accettò di buon grado, bevendone un lungo sorso.
   «Vi ringrazio. Non posso credere a quello che abbiamo appena scoperto! Nella mia vita ho visto di tutto: uomini che diventano maiali, troll mutare in giganteschi mostri, spiriti in cerca di vendetta… ma questa cosa non ha eguali.»
   «Un portale… tra due mondi.» sussurrò Gaius, tra un sorso e l’altro. «Un ponte tra il mondo in cui si trova Camelot e quello da cui provenite voi. Nessuno, neanche Taliesin, è riuscito a provare questa teoria, nonostante ci fosse andato molto vicino. Con questa scoperta, abbiamo appena scritto una nuova pagina nella storia della magia, anzi nella storia nel suo insieme! Ci pensate?!»
   Willow lo fissò ancora più stupito ed in preda alla sudorazione, iniziando a farsi aria con la mano.
   «Per favore, versatemene un altro.»
 
***
 
   La locanda “The Rising Sun” era da sempre solita accogliere paesani da tutto il regno e forestieri di ogni sorta. Quel giorno, la clientela era più numerosa del consueto a causa del maltempo. In un giorno piovoso, in molti cercavano ristoro e conforto in un buon pasto caldo, specialmente quelli che lavoravano all’aperto. Era tarda sera quando una giovane dai capelli rossi e crespi ne varcò la soglia e si accomodò ad un tavolo libero.
   «Ti porto qualcosa?» le chiese Evoric, il locandiere.
   «No, grazie. Sono a posto.» rispose Jade, con garbo. Aveva una gran sete, ma non aveva neanche una moneta per pagare, purtroppo. Era entrata lì solo per sedersi in un posto accogliente e asciutto.
   Evoric annuì mesto e ritornò dietro al bancone a servire altri clienti.
   A quel punto, Jade sospirò sconfortata. Dopo aver superato la luce bianca del portale, si era ritrovata in mezzo ad una foresta, da sola e senza anima viva intorno, a parte qualche animale selvatico. La pioggia aveva battuto forte fino a poche ore prima e, oltre ad essere zuppa dalla testa ai piedi, era anche affamata ed infreddolita. Ma, cosa più importante, era incredibilmente in pena. Dove erano tutti gli altri? Kit stava bene? Quelle domande le avevano tartassato la testa senza sosta. Si era sbrigata a raggiungere la zona abitata più vicina con l’intento di scoprire di più su dove era finita e se qualcuno aveva visto i suoi amici da qualche parte. Ma, ora che era lì, non sapeva da dove iniziare. Da quando lei e gli altri avevano intrapreso il viaggio verso la Città Immemore, i guai e i pericoli erano sopraggiunti uno dopo l’altro. Lo sconforto la stava assalendo, quando sentì tre uomini ridere e parlare a voce molto alta.
   «… e così gli ha dato un calcio nei gioielli di famiglia! Dovevi vedere come si piegava, questo idiota!»
   «Sta’ zitto! Non è che tu te la sia cavata meglio! Ti ha disarmato in un attimo!»
   «Questo cosa c’entra?! Quella ragazzina mi ha solo colto di sorpresa! Tutto qui!»
   «Per fortuna Leon l’ha conciata per le feste e l’ha sbattuta dietro le sbarre! Almeno, al castello ora si respira un’aria più tranquilla.»
   «E poi l’hai sentita? “Lasciatemi subito! Io sono la principessa di Tir non-so-cosa! Liberatemi o ve ne farò pentire amaramente!”»
   I tre uomini scoppiarono a ridere senza ritegno. Uno cadde anche per terra, tanto era sbronzo.
   Jade rimase di stucco nel sentire quelle parole. Stavano parlando di Kit. Non c’era alcun dubbio. Se in un primo momento voleva alzarsi e far rimangiare loro quelle offese, dall’altro si ricompose e fece per andarsene. Prima di uscire, però, afferrò un bicchiere mezzo pieno, lasciato lì da qualcuno e lo bevve in un sorso.
   Nel viaggio verso la locanda aveva avvistato un castello in lontananza. Sicuramente era quello il luogo dove Kit era tenuta prigioniera. Ed era anche il luogo dove lei si sarebbe diretta. Perché, finché avesse avuto fiato in corpo, non avrebbe permesso a nessuno di farle del male.
   «Non preoccuparti, Kit. Sto arrivando.» disse, sicura, incamminandosi.

 
 
Note
 
1 – Riferimento ad una lingua antica usata in passato ad Andowyne, in “Willow”.

 
 
Nota dell’autore
 
Ciao! Spero sia piaciuto a tutti questo capitolo. Il prossimo è previsto nuovamente per giovedì e anticipo che sarà un capitolo molto importante per lo snodo della trama. Per ora non aggiungo altro tranne…
Buon Natale a tutti!

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Capitolo 6
*** Il segno del Leviatano ***


Capitolo 6
Il segno del Leviatano
 
   «Ah, finalmente!» esclamò Boorman, esausto. Non sapeva come, ma ce l’aveva fatta. Era riuscito a liberarsi e a fuggire lontano da quella svitata che l’aveva imprigionato. Come aveva previsto, era stato un gioco da ragazzi, almeno per lui che in quelle situazioni ci finiva più spesso di quanto avrebbe voluto. Dopo essersi messo quel brutto posto alle spalle, aveva camminato per diverse ore nella foresta, finché non era giunto in una cittadina molto grande ed incredibilmente popolata e piena di vita. Lungo la strada si era imbattuto in una taverna dall’aria accogliente ed era entrato con l’intento di ritemprarsi. Ora, infatti, sedeva al bancone, stanco ma contento di essere arrivato fin lì sano e salvo.
   «Che ti porto?» gli chiese il taverniere, mentre puliva un bicchiere con uno strofinaccio.
   «Qualcosa di forte.» rispose Boorman passandosi una mano tra i lunghi capelli neri bagnati.
   «Accidenti!» esclamò un uomo di fianco a lui. «Cosa ti è successo? Sembra che tu sia appena uscito da una palude!»
   Boorman sorrise sarcastico.
   «Beh, diciamo che è stata una giornata difficile.» replicò, bevendo in un sorso tutto il liquido del boccale appena servito.
   L’uomo, a quel punto, fece un cenno al taverniere.
   «Servigliene un altro. Offre Parsifal.» disse, indicando un tavolo a qualche metro da lui. Lì, due tipi, di cui uno grande e grosso, stavano giocando al lancio dei dadi.
   «Grazie.» ribatté Boorman, annuendo soddisfatto. «Molto generoso il tuo amico.»
   «Ah, non preoccuparti. Hai l’aria di uno che ne ha proprio bisogno.» commentò l’altro, tendendogli la mano. «Io, comunque, sono Galvano.»
   «Boorman.»
   «Toglimi una curiosità: chi ti ha ridotto in questo stato?»
   Boorman sorseggiò ancora dal boccale, assetato.
   «Una donna.»
   Galvano sogghignò tra sé.
   «Certo, dovevo immaginarlo. Ti ha fatto penare, eh?»
   «Peggio! Mi ha picchiato e legato ad una sedia!»
   Il cavaliere sbottò a ridere, sputando per terra gran parte dell’idromele che stava bevendo.
   «Accidenti! Te ne è capitata una strana, allora!»
   Boorman annuì, mesto.
   «Già. Tra l’altro, ad un certo punto, voleva anche mettermi le mani al collo per…»
   «Aspetta, aspetta, aspetta!» lo interruppe Galvano. «Non voglio sapere tutti i dettagli! Basta e avanza quello che mi hai detto.»
   «Sì, forse è meglio così.» convenne Boorman, svuotando il boccale con un ultimo sorso. «Senti un po’, già che ci siamo, non è che il tuo amico me ne offrirebbe un altro?»
   Galvano si voltò di scatto, guardando alle sue spalle. Al tavolo da gioco, Parsifal stava ridendo a crepapelle, mentre veniva applaudito da una piccola folla; Elyan, invece, si disperava con le mani sui capelli, fissando storto una coppia di dadi che segnavano due “sei” sul piatto al centro del pianale.
   «Meglio ancora!» rispose il cavaliere, facendo cenno al taverniere di avvicinarsi. «Ce ne offre quanti ne vogliamo!»
   «Bene!» esultò Boorman, afferrando la caraffa e riempiendo il boccale ad entrambi. «Ci voleva proprio! Voglio dimenticare al più presto questa giornata schifosa!»
   «Ah, suvvia, non buttarti giù! Capita a tutti di avere qualche disavventura, di tanto in tanto. Fa parte della vita.»
   «Beh, il problema è che a me capita un po’ troppo spesso. Comincia ad essere piuttosto stancante.»
   Galvano annuì, pensieroso.
   «Sai, anche a me un tempo succedevano di frequente cose di questo genere. Ne avrei da raccontare a migliaia. Anzi, forse, tra una bevuta e l’altra, te ne accennerò qualcuna.»
   «Perché no?» disse Boorman, finendo l’ultimo sorso direttamente dalla caraffa sul bancone. «Ma, adesso, toglila tu a me una curiosità. Hai detto “un tempo”. Perché, ora cos’è cambiato?»
   «Ora ho uno scopo.» disse Galvano, d’un tratto serio. «E qualcuno con cui raggiungerlo. Prima, vivevo alla giornata e mi andava anche bene così. Ma, dopo aver conosciuto due tipi simpatici e strampalati, ho capito che volevo di più. È così che ho deciso di cambiare vita ed è così che sono diventato un cavaliere.»
   Boorman annuì con una smorfia. Capiva bene quello che l’altro voleva dire. Anche lui aveva avuto uno scopo nella vita. Purtroppo, però, aveva mandato tutto all’aria, perdendo un amico e fallendo la sua missione1. Aveva passato anni a tentare di dimenticare quanto accaduto. Tuttavia, da quando aveva intrapreso quel viaggio verso la Città Immemore, si sentiva diverso. Forse poteva rimediare ai suoi sbagli. Non ne era certo, ma quel barlume di speranza sembrava comunque molto meglio di niente.
   «Un brindisi.» disse Galvano, alzando il boccale ed interrompendo i suoi pensieri. «Alle disavventure!»
   «E a quello che viene dopo.» aggiunse Boorman, imitandolo.
   «Sai che una volta sono finito a lottare contro degli esseri scheletrici, rianimati dalla magia? Sembrava impossibile sconfiggerli, ma alla fine ce l’ho fatta.»
   «Dici davvero? Anch’io ho dovuto vedermela contro qualcosa di simile. Avanti, sputa il rospo! Racconta!»
 
***
 
   Nelle segrete, uno strano frastuono infastidì il sonno di Kit, svegliandola. Aveva impiegato ore a coricarsi, e non solo per via del giaciglio duro e maleodorante. I pensieri sembravano non volerla lasciare in pace, nemmeno di notte. L’idea di non sapere come stessero gli altri la faceva sentire male e la rendeva inquieta.
   Alla fine, con uno grosso sbuffo richiuse gli occhi e tentò di nuovo di addormentarsi.
   Sbang!
   Ancora un rumore. Stavolta, però, era stato più forte.
   Sbang! Crash!
   «Ma… che sta succedendo?» si chiese ad alta voce Kit, accostandosi alle sbarre della cella per cercare di vedere meglio. Il fracasso proveniva da oltre la porta che dava ai sotterranei, quindi non riuscì a scorgere nulla. Ad un certo punto, però, qualcuno varcò in fretta la soglia e si avvicinò alla prigione in cui si trovava.
   «Che vuoi?!» domandò la ragazza con voce agitata. La persona davanti a lei aveva il cappuccio alzato e una specie di sciarpa che le copriva il volto.
   «Sta’ tranquilla. Sono io.»
   «Jade?!» esclamò Kit stupita.
   L’altra annuì e si scoprì il viso, sorridendole. Poi, inserì nella fessura della cella una chiave, sbloccandola ed infine aprendola.
   «Esci, svelta!»
   Kit non se lo fece ripetere due volte e corse verso di lei, prima abbracciandola e poi baciandola.
   «Grazie.»
   «Te l’avevo detto che ti sarei venuta a prendere, no? Adesso, però, sbrighiamoci ad uscire.»
   Entrambe si scambiarono uno sguardo d’intesa, poi si avviarono verso l’uscita del sotterraneo. Ma proprio in quel momento una dozzina di guardie fece il loro ingresso con le armi sguainate.
   «Ferme!»
   Kit e Jade sobbalzarono per la sorpresa ed indietreggiarono.
   «No!» esclamò Jade, in posizione di difesa. «Ce l’avevamo quasi fatta!»
   Le guardie intanto le accerchiarono.
   «Che facciamo?» chiese Kit, voltandosi da una parte all’altra.
   Jade scosse la testa. Erano in netta inferiorità. Tuttavia, lei era un cavaliere addestrata sin da bambina a combattere, mentre Kit era un’abile spadaccina quasi al suo pari. Quindi, erano sicuramente in grado di affrontare quegli uomini e di avere più di qualche chance di vittoria. Purtroppo, però, Kit era disarmata. E, se avessero ingaggiato battaglia, sarebbe stata in serio pericolo. Se le fosse accaduto qualcosa di brutto, Jade non se lo sarebbe mai perdonato. Non poteva scontrarsi contro tutte quelle guardie e proteggere Kit allo stesso tempo. Così, anche se a malincuore, gettò a terra la spada ed alzò le mani.
   «Perché l’hai fatto?» le chiese Kit, scioccata, mentre un uomo l’afferrava per le braccia e la riportava in cella. Jade, invece, venne trascinata dentro a quella adiacente.
   «Dobbiamo avvisare il re.» disse una guardia, chiudendo a chiave la prigione con un clang metallico.
   «Sì, ma non adesso. È impegnato.»
   «Impegnato? A notte fonda?»
   «Sì, pare che ci siano stati dei problemi fuori dalla città. Non ci ho capito molto, a dire il vero. Però, sembrava qualcosa di grosso.»
 
***
 
   Nelle stanze del medico di corte, la notte scorreva piuttosto quieta e silenziosa. Merlino, Gaius e Willow avevano passato gran parte della sera a visionare dei libri e a discutere su come agire per scoprire dove fossero finiti gli altri ragazzi che avevano oltrepassato il portale di Túatha. Alla fine, però, si erano dovuti arrendere alla stanchezza, decidendo di riprendere il discorso l’indomani. Per buona cortesia, Merlino aveva scelto di cedere la sua camera a Willow, coricandosi alla meglio che poteva su una poltroncina in legno vicino alla libreria.
   TOC-TOC-TOC!!!
   Poche ore dopo aver spento l’ultima candela, dei violenti rumori svegliarono con irruenza sia Gaius che Merlino. Qualcuno stava bussando con fare forsennato fuori dalla porta. Così i due, stupiti e assonnati, si precipitarono ad aprire.
   «Artù?!» disse Merlino sussultando nel vedere la figura del re venir fuori dalle ombre.
   «Scusate se vi ho svegliato, ma dobbiamo parlare con urgenza.» esordì il giovane Pendragon, entrando nell’alloggio e rivolgendosi a Gaius. «Abbiamo un problema.»
   «Quale?» chiese il medico di corte un po’ confuso.
   «Sono appena stato informato che quindici uomini sono stati ritrovati incoscienti nella foresta subito fuori dalla città.»
   «Come incoscienti?» domandò Merlino di rimando.
   «Proprio così. Non saprei in che altro modo definirli.» ribatté Artù, visibilmente stanco. «Non hanno nulla che non vada a parte il fatto che sono svenuti. Erano usciti nel pomeriggio per andare a caccia e non sono rincasati. Così, i famigliari hanno iniziato a cercarli, finché non li hanno trovati a terra in quelle condizioni.»
   «Esattamente come è accaduto ai tre uomini alla città bassa ieri pomeriggio.» constatò Gaius, perplesso. «Erano tutti e tre privi di coscienza, anche se non mostravano alcun segno di malessere. Sul momento non ci ho badato troppo, credendo fosse un caso isolato, ma ora…»
   «Quanto tempo ci hanno messo a riprendersi?»
   «Poche ore. Alla fine stavano tutti bene e senza nessuna complicazione apparente. Avevo giusto in programma di andarli a visitare più tardi, in mattinata, per verificare che fosse tutto a posto.»
   «E non ti hanno detto niente riguardo a quello che gli è capitato?» chiese Artù in modo pressante. «Ti hanno saputo fornire qualche spiegazione che giustificasse il fatto che sia accaduta a tutti e tre la stessa cosa contemporaneamente?»
   Gaius scosse il capo.
   «No, in realtà non ricordavano granché dei fatti avvenuti prima dello svenimento. Solo che hanno perso improvvisamente le forze.»
   «Però adesso è successo a quindici persone!» intervenne Merlino preoccupato. «Non può essere una coincidenza!»
   Artù annuì, in accordo con le parole del servo. Poi, mise una mano sulla spalla del medico.
   «Dimmi la verità, Gaius: potrebbe dipendere da qualche malattia?»
   «È possibile, anche se non saprei quale. Non so per questi nuovi casi, ma i tre di ieri non avevano nessun sintomo. Inoltre, stento a credere che una malattia agisca allo stesso tempo su così tante persone.»
   «E allora cosa sta succedendo?!» sbottò Artù, contrariato.
   «Forse tutti gli uomini sono stati attaccati da qualche animale.» azzardò Merlino, poco convinto.
   «No, è da escludere.» decretò Gaius sicuro. «Nessuno ha riportato ferite o graffi, quindi è improbabile che dipenda da un attacco di qualche animale selvatico.»
   I tre annuirono, concordi. Poi, scese il silenzio nella stanza. Merlino a quel punto si accorse di un fatto che lo fece sobbalzare: il libro di magia di Gaius era rimasto aperto ed in bella vista sul tavolo. Probabilmente, era stato Willow a lasciarlo lì senza sapere di doverlo nascondere una volta visionato. In fondo, il Nelwyn non era pratico della vita di uno stregone a Camelot. Ciononostante, Artù avrebbe potuto notarlo da un momento all’altro, così il mago fece brillare gli occhi, richiudendolo di colpo. Il tonfo secco, però, attirò l’attenzione del re.
   «Cosa è stato?»
   «Niente!» replicò Merlino, sulle sue. «Perché? Cosa avete sentito?»
   «Una specie di…»
   «Sire?!» intervenne sir Leon, entrando nell’alloggio di corsa. «Meno male che vi ho trovato. Devo conferire immediatamente con voi.»
   «Che succede? Se è per i cacciatori trovati nella foresta, ne sono già al corrente.»
   Il cavaliere scosse la testa.
   «Se sono qui è perché ci sono stati degli sviluppi.»
   «Come?» chiese Artù stupito. «Cos’altro è successo?»
   «Sono andato a controllare il perimetro insieme ad altri cavalieri per accertarmi che l’area fosse sicura. Sapete, quella zona è solita ospitare branchi di lupi e non volevamo che i soccorritori fossero in pericolo.»
   «Avete fatto bene. Ma, allora? Quali sono le novità?»
   «Un uomo si è svegliato.» rispose Leon secco.
   Gaius e Merlino annuirono, rassicurati. Artù squadrò meglio lo sguardo tetro del suo cavaliere. Aveva intuito che qualcosa non andava.
   «Cos’ha detto?»
   Sir Leon sospirò, poi rispose.
   «Ci ha raccontato che lui e i suoi compagni sono stati aggrediti da un mostro.»
   «Un mostro?!» ripeté Artù, accigliato. «Che genere di mostro?»
   «Una creatura dall’apparenza simile ad un drago, ma priva degli occhi. E con più di due ali. Non ha saputo dirlo con esattezza, ma crede di averne viste sei.»
   Artù s’incupì e si mise le mani sui capelli. La descrizione combaciava perfettamente con quella datagli dalla ragazza che aveva imprigionato.
   «Allora, diceva la verità…» sussurrò tra sé. Poi indicò uno ad uno i presenti. «Leon, convoca subito tutti i cavalieri che sono al castello. Dobbiamo concordare un piano d’azione.» «Gaius, Merlino, voi invece recatevi sul posto e prestate soccorso ai cacciatori. Tenetemi aggiornato sulle loro condizioni.»
   I tre annuirono, dopodiché Artù e Leon corsero fuori dalla stanza.
   «Di che razza di mostro stavano parlando?!» chiese Merlino perplesso.
   «Del Leviatano.» rispose Willow, uscendo dalla camera del ragazzo.
   Il Nelwyn scese lentamente, ma con decisione, i cinque scalini e andò ad affiancare gli altri due.
   «Leviatano?»
   «È la creatura che ci ha attaccati alla Città Immemore e che ci ha costretti a scappare col portale di Túatha.»
   «Voi, Gaius, ne avete mai sentito parlare?»
   Il medico tentennò per un istante, come incredulo.
   «Ho letto qualcosa a riguardo, ma fatico a pensare che possa trattarsi veramente di un Leviatano.»
   «Perché?» domandò Merlino curioso. «Cosa c’è che vi rende scettico?»
   «Secondo la leggenda, il Leviatano è un essere nato all’alba dei tempi, in contrapposizione alla vita stessa. Difatti, è proprio questo di cui si nutre: di vita, o per meglio dire di energia vitale. Nel corso del tempo vennero narrate molte storie sul suo conto, di come addirittura si pensasse che l’uomo sia stato creato unicamente per sfamarlo; o del mito secondo cui la creatura condanni le anime impure alla dannazione eterna.»
   Merlino alzò un sopracciglio, titubante.
   «Credete che queste storie siano vere?»
   «No, ovviamente. Ho sempre pensato che fossero solo leggende, come anche la figura del Leviatano stesso. Non ci sono prove che ne documentino la sua reale esistenza.»
   «Lo credevo anch’io fino a qualche giorno fa.» intervenne Willow, che nel frattempo aveva ascoltato con attenzione il racconto. «Ma mi risulta difficile negare di aver visto una creatura che corrisponde in tutto e per tutto al mostro che avete descritto.»
   «Se è vero, allora, temo che siamo in guai piuttosto seri.» disse Gaius preoccupato. «Che io sappia, non esiste un modo per ucciderlo.»
   «Già.» convenne il Nelwyn. «Nemmeno io.»
   «Ora, comunque, sarà meglio andare.» continuò il medico di corte. «I cacciatori hanno bisogno del nostro aiuto. Voi, Willow, nel frattempo potete cercare qualcosa nei miei libri. Sono certo di averne uno che affronta l’argomento. Forse, potremmo scoprire qualcosa che ci tornerà utile.»
   Willow annuì.
   «Un attimo, Merlino.» disse, fermando il ragazzo prima che lasciasse la stanza.
   «Sì?»
   «Prima, quando c’erano il re e l’altro tipo, vi ho osservato da dietro la porta per capire cosa stesse succedendo.»
   «Non preoccupatevi. È comprensibile.»
   «Grazie, ma il punto è che… volevo sapere come hai fatto.»
   «Che intendete dire? Non capisco.» replicò Merlino accigliato. «“Come ho fatto”, cosa?»
   «Ti ho visto mentre chiudevi il libro facendo semplicemente brillare gli occhi. Volevo sapere come ci sei riuscito.»
   Merlino sussultò, agitato. Non aveva ripensato al fatto che Willow fosse nell’altra stanza mentre lui usava la magia. Era stato troppo imprudente.
   «Ma… io non ho fatto niente! Forse… sarà stato…»
   «Il vento!» concluse Gaius, anche lui agitato. «Sicuramente sarà stato il vento.»
   Willow si avvicinò al giovane mago con un’espressione seria in volto.
   «Non temete. Mi avete accolto in casa vostra e mi state aiutando ben più di quanto potrei chiedere. Non tradirei mai il tuo segreto, specialmente sapendo che in questo regno la magia è proibita. Inoltre, conosco da troppo tempo le arti magiche per non accorgermene quando le vedo. Quello che non capisco è: come hai fatto? Non hai usato nessun incantesimo, nessuna formula. Hai solo fatto una luce con gli occhi e… nient’altro. Non ho mai visto nulla del genere.»
   Merlino guardò prima Gaius, che gli fece una smorfia contrariata, poi di nuovo Willow. A quel punto, non poteva più continuare a nascondere l’evidenza.
   «Io… non so come spiegarlo. A volte, succede e… basta.»
   «Sentite…» intervenne Gaius. «Direi di rimandare le spiegazioni a più tardi. Ora dobbiamo proprio andare.»
   «Ma certo.» convenne Willow, comprensivo.
   Così, l’anziano medico fece strada a Merlino mentre si dirigevano fuori dall’alloggio. Il Nelwyn, intanto, quasi senza volerlo, posò lo sguardo sul libro su cui il giovane mago aveva usato i suoi poteri.
   «Incredibile!»
 
***
 
   Jade sospirò amareggiata, osservando lo spazio minuscolo attorno a lei. Poi, afferrò saldamente la branda su cui sedeva e la spostò fino a farla poggiare direttamente sulla parete adiacente alla cella di fianco alla sua, quella in cui era rinchiusa Kit. Dato che il muro in pratica consisteva soltanto in una serie di sbarre, le due ragazze potevano comunicare senza problemi.
   «Scusa, Kit. Mi dispiace tanto non essere riuscita a salvarti.»
   «Non ti preoccupare. Non potevi fare più di quello che hai già fatto. Semplicemente, siamo state sfortunate. Se avessimo avuto ancora qualche minuto, saremmo riuscite a fuggire.»
   Jade sbuffò contrariata.
   «Dato che, almeno per ora, siamo bloccate qui, raccontami cos’è successo dopo che io ho superato il portale.»
   Anche Kit sbuffò, portando gli occhi al cielo.
   «Io e Elora siamo state attaccate dal mostro.»
   «Cosa?!» urlò Jade, alzandosi. «Lo sapevo che non dovevo lasciarti andare per ultima!»
   «Calmati, alla fine ce l’abbiamo fatta a passare. Però, subito dopo, è stato tremendo. Siamo finite in questo castello e siamo dovute scappare perché ci hanno accusato di praticare la stregoneria. Qui sembra che sia bandita come a Tir Asleen, ma dal modo in cui viene osteggiata, pare che sia combattuta con molto più vigore.»
   «Sì, ho sentito anch’io qualcosa mentre ero in città. Da come ne parlano, praticare magia equivale ad uccidere una persona. Forse peggio. Comunque, hai detto che Elora era qui con te. Significa che anche lei è stata catturata?»
   «No, per fortuna lei si è messa in salvo. Qualche ora fa è riuscita addirittura a venire a trovarmi senza dare nell’occhio. Sembra che, per non farsi scoprire, abbia trovato lavoro nelle cucine o qualcosa del genere.»
   Jade sorrise, anche se debolmente.
   «Come ai vecchi tempi.»
   «Già.» concordò Kit. «Tu, invece, hai avuto notizie degli altri?»
   «No, purtroppo. Dopo essere uscita dal portale, mi sono ritrovata nel bel mezzo di una foresta, colma di vegetazione. Ho camminato per quasi un giorno, finché non sono arrivata in questa città ed ho sentito per caso che ti avevano imprigionata. Il resto, poi, lo sai.»
   Kit annuì con un’espressione cupa, a cui si aggiunse d’improvviso un sorriso.
   «Che c’è? Perché ridi?»
   La ragazza allungò una mano, facendola passare tra due sbarre di ferro, ed afferrò quella di Jade.
   «Perché, anche se non avrei voluto che fossi catturata insieme a me, sono contenta che tu sia qui. Almeno adesso siamo insieme.»
   Jade ricambiò il sorriso e le strinse la mano.
   «Hai ragione. In un modo o nell’altro, ce la faremo a fuggire. Ma, per ora, l’importante è che siamo insieme.»
   Le due ragazze rimasero a fissarsi in quel modo per diverso tempo. Poi, il sonno prevalse su entrambe. Un nuovo giorno stava per sorgere. Ma loro erano tranquille, perché, nonostante tutto, non lo avrebbero affrontato da sole.

 

Note
 
1 – In passato, Boorman è stato lo scudiero di Madmartigan, il padre di Kit e Airk. Anni prima, durante una missione, lo ha abbandonato in campo nemico per salvarsi la vita. Tuttora, non si hanno notizie circa il suo destino e i sensi di colpa hanno lasciato in Boorman una ferita aperta.

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Capitolo 7
*** Uniti nella salvezza ***


Capitolo 7
Uniti nella salvezza
 
   «Yawn!» sbadigliò Artù per l’ennesima volta. Non aveva dormito affatto quella notte ed ora la stanchezza iniziava a farsi sentire. La riunione con i cavalieri era durata più del previsto, ma almeno era riuscito nell’intento di assegnare una pattuglia a ciascuna zona della cittadella e della città bassa. Anche il castello era stato messo sotto protezione, con diverse guardie che perlustravano a turno ogni angolo della fortezza. Date le circostanze, non ce ne sarebbe stato bisogno, visto che il mostro sembrava attaccare le persone solo all’aperto; tuttavia, non aveva voluto correre rischi. Sapevano troppo poco di quella creatura per essere certi di come si sarebbe comportata.
   Quest’ultimo pensiero lo riportò alla realtà e a quello che stava per fare mentre scendeva la scalinata che lo avrebbe condotto nei sotterranei. Doveva assolutamente parlare con la ragazza che lo aveva avvisato della minaccia. Inoltre, voleva anche constatare di persona chi fosse l’altra giovane che era stata catturata quella stessa notte. Da una parte, era determinato a vederci più chiaro riguardo a quella situazione, ma dall’altra non voleva ignorare il suo istinto. Ci aveva riflettuto per ore ed era giunto ad una conclusione, giusta o sbagliata che fosse.
   Una volta arrivato di fronte alle due celle, però, si ritrovò di fronte ad una scena che lo fece tentennare: le due ragazze dormivano profondamente, ognuna sulla propria branda, stringendosi per mano attraverso le sbarre di ferro. Quella visione lo intenerì molto, ma lo fece anche sentire in imbarazzo. Era un momento talmente personale che per un attimo pensò perfino di andare via e tornare più tardi. Poi, però, si ricordò del motivo che lo aveva spinto fin lì e si decise a proseguire con le intenzioni iniziali.
   «Ehi, ragazze… sveglia.» disse, a voce forse un po’ troppo bassa. Infatti, nessuna delle due si accorse di nulla. Allora, Artù si schiarì per bene la gola e tentò di nuovo.
   «Ragazze! Su, in piedi!»
   Niente, ancora. L’unica reazione che ottenne fu che Kit iniziò a russare più forte. Se già prima Artù si sentiva a disagio, ora lo era oltremodo. Avrebbe potuto provare ad urlare più forte, ma non voleva allarmare le guardie che attendevano subito fuori l’anticamera. Così, rifletté per un attimo finché non gli venne in mente un modo a suo avviso “pratico” per attirare la loro attenzione.
   «L’avete voluto voi.» disse, sguainando la spada dal fodero e colpendo con una buona dose di potenza le sbarre della prigione.
   Un sonoro clang metallico riecheggiò tutto intorno, facendo scattare in piedi entrambe le ragazze. Jade, nel tentativo di alzarsi, scivolò anche a terra.
   «Buongiorno.» le accolse Artù, in tono un po’ ironico.
   «Eh?» chiese Kit, ancora mezza addormentata. Dopo un secondo di riflessione, però, si rese conto dove si trovava e si ricompose subito.
   «Allora, ho la vostra attenzione?»
   Entrambe le ragazze annuirono, anche Jade che si era appena rialzata e si stava massaggiando la testa con una smorfia di dolore.
   «Bene.» disse, rivolgendosi a Kit. «Innanzitutto, volevo dirti che avevi ragione riguardo al mostro. Ti chiedo scusa per non averti creduto quando me lo hai raccontato, ma adesso ho capito che dicevi la verità.»
   «Era ora! Ma, aspettate un momento: come mai avete cambiato idea?» domandò lei, confusa.
   Artù sospirò mesto.
   «Il mostro da cui stavate scappando ha attaccato diversi sudditi del regno. La descrizione di chi è riuscito a vederlo coincide perfettamente con quella che mi hai fornito tu.»
   «Oh, no!» esclamò Jade preoccupata. «Quindi, ci ha seguiti fin qui!»
   «Questo non ci voleva proprio!» commentò Kit, scambiando uno sguardo allarmato con l’altra.
   «Calme.» intervenne Artù, tentando di tranquillizzarle. «Io e i miei cavalieri ci stiamo già occupando della faccenda. Tuttavia, se sono qui, non è per questo motivo. Bensì per fare la cosa che ritengo più giusta.»
   Così dicendo, afferrò una chiave dal mazzo che aveva sulla cintura e la infilò a turno nelle fessure delle due celle, aprendole una ad una.
   «Uscite pure. Siete libere.»
   Kit e Jade lo fissarono stupite, poi fecero come aveva detto.
   «Perché l’avete fatto?» chiese Kit.
   «Non so di preciso cosa sia successo, ma non credo abbiate mai avuto cattive intenzioni.» spiegò semplicemente Artù. «Per quanto riguarda l’accusa di stregoneria, non ci sono prove che vi incolpano, a parte una guardia che si è lasciata suggestionare dalla situazione. Quindi, non ho motivi per tenervi in prigione. Potete ritenervi libere! E questo vale anche per la vostra amica che è fuggita.»
   Kit annuì sollevata e si voltò insieme a Jade per andarsene. Poi però tornò sui suoi passi.
   «Come stanno le persone che sono state attaccate?»
   «Si sono prese un bello spavento, ma adesso stanno bene.»
   «Questo finché il mostro non attaccherà di nuovo.» aggiunse Jade.
   «Già.» convenne Artù. «Ma, a quel punto, saremo pronti. Non mi darò pace finché non l’avremo eliminato e Camelot non sarà al sicuro.»
   Kit iniziò a fissare il vuoto, pensierosa.
   «Noi vi aiuteremo.» disse d’un tratto con convinzione.
   Artù la guardò stupito per un attimo, come se non si aspettasse quelle parole.
   «Ti ringrazio, ma non è necessario. Camelot riuscirà a far fronte alla minaccia senza problemi. Te lo garantisco.»
   «La gente di qui è in pericolo per colpa nostra, quindi è nostro dovere aiutarvi a combatterla.» protestò Kit con veemenza. «Lasciate che vi diamo una mano.»
   «La principessa ha ragione.» intervenne Jade. «Permetteteci di aiutarvi. Non vogliamo che altri soffrano per un nostro errore.»
   Artù alzò le mani per tentare di calmarle.
   «Vi onora quello che state dicendo. Davvero. Ma non ho bisogno del vostro aiuto e non credo sia saggio mettervi in pericolo, specialmente data la vostra giovane età. Lasciate fare a me e ai miei cavalieri.»
   «Ma noi possiamo esservi utili anche in un altro modo.» ribatté Kit senza darsi per vinta. «Tra i membri del nostro gruppo c’è n’è uno molto esperto riguardo a questo genere di cose che potrebbe fare al caso vostro.»
   «È vero.» disse Jade. «Lui potrebbe conoscere un modo per sconfiggere il mostro.»
   «E dove si trova costui?» domandò Artù, in parte incuriosito.
   «Non lo sappiamo.» rispose Kit. «Dopo essere scappati, ci siamo dispersi tutti quanti. Ma se ci aiutate a trovarlo, sono certa che lui potrà ricambiarvi il favore.»
   Per un istante Artù le fissò entrambe, notando l’incredibile ardore che traspariva dai loro occhi. Se in un primo momento non era affatto convinto di assecondarle, alla fine si decise nuovamente a seguire l’istinto, sperando che anche stavolta non si sbagliasse.
   «D’accordo, vi aiuterò a trovare questo vostro amico ed anche gli altri membri del vostro gruppo, già che ci siamo. Poi, vedremo il da farsi.»
   Kit e Jade sorrisero soddisfatte. Volevano andarsene da quel posto e ritornare da dove erano venute, ma non avevano intenzione di farlo a scapito di chi non c’entrava niente con quella storia. Una volta riunite con gli altri e sconfitto il mostro, avrebbero potuto rimettersi in viaggio verso Tir Asleen e tornare alle loro vite.
   «Un’ultima cosa.» aggiunse Kit. «Vorremmo riavere indietro le nostre spade. Hanno un grande valore affettivo per noi1
   «Certo. Ve le farò restituire quanto prima.» acconsentì Artù.
   «Siamo d’accordo, allora?» chiese Kit, allungando il braccio verso di lui.
   «Direi di sì.» disse il re, stringendole la mano. «Fermiamo insieme quel mostro, prima che sia troppo tardi.»
 
***
 
   Subito fuori dalla porta delle cucine, Elora era piegata a terra, intenta ad inzuppare per bene uno straccio in una tinozza piena d’acqua. Poi, lo strofinò sul pavimento con vigore. Su e giù. Su e giù. Stava ripetendo quel procedimento da ore, anche se le erano sembrati secoli.
   «Mi dispiace che sia andata a finire così.» le disse Gwen, in piedi al suo fianco.
   «Non fa niente, me lo sono meritato. Ho disubbidito alla cuoca.»
   «Sì, ma è stata troppo severa nel punirti. E poi ho saputo che al re è piaciuto molto quello che hai cucinato. Avrebbe dovuto premiarti e invece…»
   «E invece pulisco per terra.» concluse Elora, con uno sbuffo. «Non preoccuparti comunque. Tu sei già stata fin troppo gentile con me. Non amareggiarti oltre.»
   «Dico solo che ti sei dimostrata molto in gamba e la cuoca non avrebbe dovuto reagire in questo modo. Tua madre mi aveva detto che sapevi cucinare, ma è chiaro che adesso l’hai ampiamente dimostrato a tutti e con le tue sole forze.»
   «Ti ringrazio, Gwen. Senza di te non ce l’avrei fatta ad ottenere questo lavoro. Ma, proprio per questo, non voglio lamentarmi. Lavare per terra è dura, certo, ma devo ammettere che in fondo ha anche i suoi… vantaggi.» replicò Elora, cercando di rimanere positiva nonostante tutto. «Vedere i pavimenti lucidi e splendenti fa sentire bene, non trovi?»
   Gwen alzò le sopracciglia, non sapendo cosa rispondere. Lei aveva lavorato come serva fin da quando era piccola e “vantaggi” non era proprio la parola che avrebbe usato in quelle circostanze. Tuttavia, non lo disse ad alta voce per non demoralizzare Elora, o per meglio dire Diana, il nome con cui lei la conosceva.
   «In effetti, hai svolto un bel lavoro. Complimenti. Non ho mai visto un pavimento pulito come questo.»
   Elora si asciugò con un braccio la fronte sudata e annuì contenta mentre osservava ciò che aveva fatto. Proprio in quel momento, però, una lavapiatti passò di lì e scivolò sul bagnato, facendo cadere alcune caraffe di vino che stava portando in cucina.
   «Ahi! Che male!»
   A quel punto, sia Gwen che Elora andarono a sincerarsi delle condizioni della ragazza. Nel frattempo, buttarono anche un occhio a come era ridotto il pavimento, tra vino e cocci sparsi dappertutto.
   «Tutto bene?» chiese Elora, aiutandola a rialzarsi.
   «Sì, tutto a posto. Ma chi ha lasciato questo pantano d’acqua?!»
   «Scusami, sono stata io. È che stavo pulendo…»
   «Allora avvisa la prossima volta!» sbottò la lavapiatti scocciata. «Comunque, ti conviene rimettere in ordine prima che se ne accorga Audrey o non vorrei essere nei tuoi panni!»
   «S-sì, c-certo.»
   Mentre la ragazza, stizzita, tornava ai suoi doveri, Elora si girò di scatto e andò a prendere altri stracci con cui asciugare per terra.
   «Ti do una mano anch’io.» le disse Gwen, affiancandola.
   «Grazie. Se la cuoca vede quello che è successo mi manderà via in un batter d’occhio. Meglio che risolva subito la cosa. Non voglio finire ancora nei guai.»
   Terminato di parlare, però, la giovane si scontrò distrattamente contro qualcuno che passava di lì. Alzando lo sguardo, notò che si trattava di una guardia che pattugliava quel corridoio ormai dall’inizio della giornata.
   «Sta’ attenta, ragazzina!»
   «Vi chiedo scusa.» replicò Elora, facendo per andarsene. Ma l’uomo le bloccò il polso e la fermò.
   «Ehi, ma io ti conosco!» le urlò in faccia. «Tu sei quella stramaledetta ragazzina che ieri è stata beccata a fare stregonerie nell’armeria!»
   «No, vi sbagliate! Mi avete confuso con qualcun altro!» ribatté Elora, cercando di divincolarsi.
   «No, invece sono sicuro! Sei proprio tu! Ora, vieni con me! Pagherai per le tue malefatte!»
   Poi, la strattonò forte per convincerla a seguirlo, ma Gwen gli si parò davanti.
   «Fermatevi! Vi state sbagliando! Io la conosco e non è chi dite voi! Non ha fatto niente di male!»
   «Spostati, serva!» le inveì contro l’uomo, spintonandola da parte. «So bene di non sbagliarmi! Ora questa mocciosa ne risponderà al re!»
 
***
 
   Nella sala consigliare, Artù sedeva davanti al tavolo mentre Kit e Jade attendevano in piedi di fronte a lui. Di fianco al re, invece, Merlino se ne stava in disparte, in attesa di eventuali ordini.
   Aveva trascorso l’intera nottata e parte della mattinata a soccorrere i cacciatori nella foresta. Fortunatamente, ognuno di loro si era ristabilito completamente dall’attacco subìto. Tuttavia, aveva avuto a malapena il tempo di discutere con Gaius dell’intera vicenda. Ascoltando le parole di Willow, il mostro che aveva causato tutti quei tumulti era un Leviatano, una creatura antica e molto pericolosa. Purtroppo, però, ne sapevano ancora poco. Così, mentre lui assisteva Artù, il Nelwyn e il medico di corte cercavano nei libri un modo per risolvere una volta per tutte quel problema. Sperando che ce ne fosse uno.
   «Allora, mi avete accennato di qualcuno che potrebbe aiutarci a capire cosa sta succedendo e a trovare anche una soluzione. Di chi si tratta?»
   «Di Willow.» rispose Kit.
   «E chi sarebbe questo Willow?»
   «È il capo del villaggio Nelwyn.»
   «Nelwyn?» chiese Artù con un sopracciglio alzato.
   «È un popolo che vive in una valle non lontano da Tir Asleen.» spiegò Jade. «Willow è la loro guida.»
   «Va bene, non importa. A questo punto, ditemi che aspetto ha e lo farò cercare immediatamente.»
   «Mmmh, vediamo… è un uomo di mezza età, alto circa così…» disse Kit, poggiando una mano all’altezza del mezzo busto. «… e con dei lunghi capelli chiari.»
   «Bene. Manderò subito qualcuno a cercarlo.» replicò Artù.
   «Aspettate!» intervenne Merlino. «Non serve che lo facciate. Ieri ho visto un uomo che corrispondeva a questa descrizione. Forse so dove trovarlo.»
   “Sì, nelle stanze di Gaius” pensò senza però dirlo ad alta voce.
   «Davvero?» chiese il re scettico. «Non dirmi che l’hai visto alla taverna, perché…»
   «Non era alla taverna, ma nei pressi del castello. Ve lo assicuro.»
   A quel punto, Artù ci rifletté un attimo e poi annuì abbastanza soddisfatto.
   «Va bene. Allora, cosa stai aspettando? Vai a cercarlo e portalo qui.»
   Merlino acconsentì ed uscì di corsa dalla stanza. Per sua fortuna, avrebbe potuto presentare Willow ad Artù senza rivelare il modo alquanto bizzarro in cui si erano incontrati, o per meglio dire scontrati.
   «Molto bene, sembra che forse faremo prima del previsto. Ditemi anche degli altri che erano con voi.»
   «Beh, c’è Elora. Sapete, la ragazza che era con me nell’armeria e che è scappata.»
   «Ah… e puoi descrivermi anche lei?»
   In quell’istante, la porta della sala del consiglio si spalancò rumorosamente. Sir Parsifal e sir Galvano la varcarono, seguiti da una guardia che trascinava per un braccio una giovane dai capelli rossi.
   «È lei.» disse Kit, indicandola. «Avete fatto decisamente in fretta a trovarla. Sono colpita.»
   Artù annuì confuso e si avvicinò ai suoi cavalieri.
   «Che succede, Parsifal?»
   «Chiediamo scusa per avervi interrotto, sire, ma quest’uomo dice di aver catturato la fuggitiva che stavate cercando.»
   La guardia sorrise soddisfatta, facendo un passo in avanti.
   «Eccola, vostra maestà!» disse, spintonando Elora. «Come avevate ordinato.»
   Artù lo ignorò e si voltò verso Kit e Jade.
   «Siete sicure che è lei?»
   In quel momento, Elora si accorse della loro presenza.
   «Ehi, ragazze! Che succede?»
   «È tutto a posto.» la tranquillizzò Kit, avvicinandosi insieme a Jade. Poi, si rivolse ad Artù e fece un cenno d’assenso col capo.
   «Bene. Allora, tu…» disse il re, indicando la guardia. «… lasciala andare. La ragazza è libera.»
   «Ma come?!» protestò l’uomo. «Siete sicuro, sire?»
   «Assolutamente. Liberala, ora!»
   La guardia, titubante, lasciò la presa su Elora e si congedò, visibilmente frustrata da come erano andati i fatti. L’altra, invece, andò subito ad abbracciare le sue due amiche.
   Artù stava per rivolgersi a loro, quando notò un particolare piuttosto singolare sul volto di Parsifal.
   «Ehi, Parsifal? Chi ti ha fatto quell’occhio nero?»
   Il cavaliere sbuffò platealmente e si voltò verso Galvano.
   «È stato un suo amico, ieri sera, alla taverna.»
   «No, ti sbagli, non è mio amico. Lo conosco a malapena.» ribatté l’altro, prontamente. «Comunque, bisogna dire che te la sei cercata. Gli hai dato del ladro e del bugiardo davanti a tutti.»
   «Perché lo è!» esclamò Parsifal indignato. «Non solo voi due vi siete scolati barili e barili di idromele col mio denaro, ci mancava anche che quel tipo si mettesse a raccontare delle scemenze tanto assurde! Mi dici tu come si fa a credere a tutte quelle fandonie?!»
   «Che fandonie?» domandò Artù.
   «Non saprei, … che aveva sconfitto una strega potentissima e quattro abomini con un’armatura leggendaria.» rispose il cavaliere. «Oh, sì, e che aveva anche distrutto una miniera gestita da dei troll! Che stupidaggini! Chi credeva di prendere in giro?!»
   «Aspetta, Parsifal, erano “Flagelli”, non “abomini”. Se devi raccontare una storia, dilla bene.» lo corresse Galvano con un ghigno divertito.
   Parsifal stava per ribattere a tono, quando Kit si avvicinò a loro. Aveva ascoltato involontariamente quei discorsi e le era sorto un dubbio.
   «Scusate, ma per caso l’uomo di cui state parlando aveva la barba e dei capelli lunghi e scuri? Nonché un modo di parlare ironico ed irritante?»
   «Aspetta, anche tu conosci Boorman?» chiese Galvano, stupito.
   Kit abbassò la testa, mesta, ed annuì.
   «Purtroppo, sì.»
   «Sapreste ritrovarlo?» chiese Artù ai suoi cavalieri.
   «Penso di sì.» rispose Galvano, fiducioso. «Se non mi sbaglio, dovrebbe trovarsi ancora alla taverna. Era molto ubriaco quando l’ho visto l’ultima volta, quindi non mi stupirebbe affatto se fosse ancora lì.»
   «Allora andatelo a prendere.»
   A quelle parole, a Parsifal si illuminarono gli occhi, anche se diversamente da come accadeva a Merlino. Finalmente gliel’avrebbe fatta pagare per quell’occhio nero.
   «Con piacere!»

 

Note
 
1 – La spada di Kit apparteneva a suo padre, Madmartigan, mentre quella di Jade è un regalo da parte del comandante Ballantine, suo tutore da quando era molto piccola.

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Capitolo 8
*** Il piano ***


Capitolo 8
Il piano
 
   «È incredibile!» esclamò Merlino amareggiato. «Non riesco a trovare niente riguardo a questo Leviatano se non qualche accenno qua e là.»
   «Il problema è che è da sempre considerato un essere mitologico. È normale che non ci siano molti scritti sul suo conto. Anzi, mi stupirei del contrario.» commentò Gaius, aprendo l’ennesimo volume ed iniziando ad esaminarlo.
   «Purtroppo, senza ulteriori informazioni, temo che sarà difficile fronteggiarlo.» disse Willow, sfogliando una pagina dopo l’altra senza sosta. «Noi ci abbiamo provato alla Citta Immemore, ma non lo abbiamo nemmeno ferito. Piuttosto, direi che si è potenziato quando Elora gli ha scagliato contro la sua magia.»
   Merlino poggiò il libro che aveva in mano e si mise a camminare su e giù, immerso nei suoi pensieri. In un primo momento si era illuso che tutto sarebbe andato per il meglio, vedendo come Artù si fosse ravveduto dal credere che Willow e gli altri rappresentassero una minaccia. Ma si sbagliava. Senza che se ne accorgesse, una creatura leggendaria era spuntata fuori dal nulla ed ora minacciava Camelot e i suoi abitanti. Da quel poco che avevano scoperto, sembrava addirittura non avere punti deboli. Infatti, in ogni testo che avevano visionato usciva fuori sempre la stessa parola: “immortale”. In sostanza, significava che non poteva morire. E questo era un grosso problema per loro che dovevano combatterla.
   «Oh, no!» sbottò Gaius d’improvviso.
   «Che succede?» chiese Merlino, ridestandosi dai suoi ragionamenti.
   «So come sconfiggere il Leviatano.»
   «Perché allora avete detto “Oh, no!”?» domandò Merlino agitato. «È una buona notizia. Avreste dovuto dire “Evviva!” o “Che bello!”
   «Se non ho gioito, Merlino, è perché il modo che ho trovato è decisamente… complicato.»
   A quel punto, Merlino gli si avvicinò per vedere con i suoi stessi occhi ciò che era scritto nel volume che aveva in mano. Anche Willow fece lo stesso, ma con un’espressione molto meno preoccupata.
   «Ah, io non lo darei così per scontato. Se c’è una cosa che mi ha insegnato l’esperienza è che “complicato” è un termine incredibilmente relativo. Sono certo che noi tre insieme riusciremo a venirne a capo, così da…»
   Il Nelwyn smise di parlare ed iniziò a leggere il contenuto dello scritto in questione.
   «Scaglie di viverna velenosa?! Sangue di Sidhe prelevato durante il plenilunio?! Cuore di un lupo alfa?! Ma che razza di persona ha scritto una cosa del genere? Siamo sicuri che sia affidabile?»
   «Sì.» rispose mestamente Gaius. «O, quantomeno, non ci sono motivi per credere il contrario. Questo libro si è rivelato molto utile in passato in più di un’occasione.»
   «M-ma… m-ma…» balbettò Willow con gli occhi spalancati. «… non è possibile. Metà ingredienti è a dir poco impossibile da trovare e per l’altra metà è completamente immorale anche solo pensare di provarci. Questa soluzione è troppo…»
   «Complicata.» concluse Gaius al suo posto. «Ve lo dicevo. Anche se funzionasse, non credo sia fattibile.»
   «In effetti, non mi aspettavo di certo che fosse facile uccidere un tale mostro.» disse Willow, sedendosi sconfortato. «Una creatura così antica deve avere un incredibile potere per sopravvivere così a lungo.»
   «Forse mi è venuto in mente qualcosa.» intervenne Merlino, tutto d’un tratto. «Credo di sapere a chi chiedere aiuto.»
   «A chi?» chiese Willow.
   «A qualcuno che è antico quanto il Leviatano stesso.»
   «Aspetta, Merlino.» lo fermò subito Gaius. «È troppo rischioso. Per parlare con lui dovrai andare nella foresta, ed è proprio lì che si nasconde il Leviatano. Rischieresti di ritrovarti completamente alla sua mercé. Non puoi farlo!»
   «Ma devo.» ribatté il ragazzo con decisione. «Non abbiamo scelta. Kilgharrah è la nostra unica speranza.»
 
***
 
   La riunione tra Artù, Elora, Jade e Kit era terminata già da oltre un’ora e le tre ragazze erano state invitate dal sovrano a ritirarsi nelle stanze degli ospiti per potersi riposare e riprendere adeguatamente dagli ultimi accadimenti. Tutte e tre avevano accettato con piacere la proposta ed ora si trovavano insieme in una camera per poter conversare tra loro e ragguagliarsi sui recenti sviluppi.
   «Sono contenta di vedere che state bene.» disse Elora, sorridendo. «Non avevo la minima idea di cosa inventarmi per tirarvi fuori di prigione.»
   «Già.» convenne Jade. «Per fortuna alla fine il re ci ha credute. Ma, tu, Elora, non hai ancora ripreso il controllo della tua magia? Perché ci farebbe comodo.»
   La ragazza fece una smorfia di disappunto.
   «Solo in parte. La sento, ma è ancora debole.»
   «Capisco.»
   A quel punto, Jade si voltò verso Kit, notando il broncio che aveva sul viso.
   «Sta’ tranquilla.» le disse, accarezzandole una spalla. «Ritroveremo Airk, non temere.»
   «È l’unico di cui non si hanno notizie.» ribatté Kit. «L’avevamo appena salvato ed ora dobbiamo ricominciare tutto daccapo.»
   «Anch’io sono in pena per lui.» intervenne Elora. «Ma sento che stavolta sarà diverso. Il re ha detto che lo farà cercare anche in tutto il regno se sarà necessario. Vedrai che andrà bene.»
   In quel momento, la porta della camera si spalancò di colpo e Boorman entrò facendo un grosso sospiro.
   «Oh! Meno male!» disse, buttandosi subito sul grosso letto. «Mi avevano dato delle indicazioni un po’ vaghe e non sapevo dove andare.»
   «Ciao, Boorman.» replicò Elora, sollevata che anche lui stesse bene. «Tutto a posto? Sembri sconvolto.»
   «Sì, a parte che, venendo qui, ho sbagliato stanza per tre ben volte prima di trovarvi. Non ti sto a dire quanto si sono infervorati quelli che ho disturbato.»
   «Se magari bussassi prima di entrare…» commentò Kit, facendo una smorfia.
   «No, avrei perso un sacco di tempo: “Toc-toc. Chi è? Boorman. Boorman, chi?” e così via. In ogni caso, non giustifica il loro comportamento. Mi hanno anche lanciato addosso degli oggetti, neanche fossi un ladro!» spiegò Boorman con un’espressione scandalizzata. Poi, gli spuntò sulla bocca un ghigno divertito. «Dovevate vedere cosa stavano facendo quelli che ho interrotto nella camera a fianco…»
   «Grazie, ma è meglio di no.» lo bloccò subito Jade. «Piuttosto, invece, spiegaci perché hai un occhio nero.»
   Boorman digrignò i denti, d’un tratto furioso.
   «Un vile energumeno mi ha sorpreso mentre ero mezzo addormentato…»
   «Ubriaco, vorrai dire.» lo corresse Kit, piccata.
   «Beh, diciamo entrambe le cose. Comunque, quel tipo è stato fortunato che oggi non ero in vena, altrimenti gliela avrei fatta vedere io! Stupido cavaliere dei miei stivali!»
   «È incredibile come tu riesca sempre a finire nei guai dovunque vada.» disse Kit, quasi con stupore.
   «Almeno io non sono finito in prigione.» ribatté l’uomo con ironia. «Dentro la taverna non si parlava d’altro che della ragazza che aveva aggredito le guardie del re. Ben fatto, principessa!»
   «Calmatevi!» intervenne Elora prima che Kit potesse replicare. «Invece di litigare, suggerisco di pensare ad un modo per fermare il Leviatano.»
   «Il Leviatano?» domandò Boorman confuso. «Cosa c’entra il Leviatano, adesso? È rimasto alla Città Immemore. Non è più un nostro problema.»
   «No, Boorman. Sembra che ci abbia seguito attraverso il portale. Ha già attaccato diverse persone, anche se per fortuna adesso sono in salvo.»
   «Accidenti! Non ce ne va mai bene una!» esclamò lui, scuotendo la testa. «Abbiamo fatto tanta fatica per niente!»
   «Per questo penso sia saggio elaborare un piano.»
   «Ma, aspettate un momento: dove sono Willow e Airk?»
   «Willow dovrebbe essere da qualche parte qui nel castello.» rispose Jade. «Mentre Airk lo stanno ancora cercando. Considerando che siamo finiti tutti più o meno nella stessa zona, non dovrebbe essere molto lontano.»
   «Se non gli è successo qualcosa…» aggiunse Kit, preoccupata.
   Per un momento calò il silenzio nella stanza. Poi, Elora riprese a parlare.
   «Allora? Qualche idea su come affrontare il Leviatano?»
   «Non saprei. È Willow l’esperto in queste cose. Forse è meglio se aspettiamo lui.» consigliò Jade.
   «Potremmo provare con l’armatura Kymeriana.» propose Boorman. «Ancora non sappiamo per bene cosa è in grado di fare, ma potrebbe essere abbastanza forte da resistere a quella creatura.»
   «Non credo sia possibile.» obiettò Kit secca.
   «Perché no?»
   «Perché non ce l’ho qui con me.»
   «E dove l’hai lasciata?» chiese Boorman stupito. «Non dirmi che l’hai persa!»
   «No, è rimasta alla Città Immemore.»
   Boorman spalancò gli occhi come se lo avessero appena pugnalato.
   «Spiegati meglio, perché credo di aver capito male. L’armatura Kymeriana, la stessa armatura che abbiamo recuperato con enorme fatica e tribolazione, dov’è che è si trova, adesso, in questo preciso momento?»
   «Proprio ora, non saprei. Ma l’ultima volta che l’ho vista l’avevo scagliata contro il Leviatano per dare il tempo a me ed Elora di scappare.»
   «Ma sei fuori di testa?!» gridò Boorman, alzandosi dal letto. «L’armatura va usata con la Lux Arkana, non scagliandola come una lancia!»
   «Lo so! Ma, in quel momento, mi è preso il panico e non sapevo cos’altro fare!» si giustificò Kit. «Non potevo attivarla perché la Lux Arkana ce l’aveva Jade, così ho fatto la prima cosa che mi è venuta in mente.»
   «Cavolo! Ma non potevi almeno recuperarla prima di varcare il portale?!»
   «Non c’era tempo! O riprendevo l’armatura o salvavo Elora! Non potevo fare entrambe le cose. Cosa avresti fatto tu al mio posto?»
  «Avrebbe ripreso l’armatura.» rispose Jade prontamente.
   «Ma certo!...» ribatté Boorman, fermandosi di colpo non appena si accorse di avere gli occhi tristi di Elora puntati addosso. «… che no! Mi offende che pensiate questo di me! Ovviamente, sarei stato tentato dal prendere l’armatura, ma alla fine sono sicuro che avrei fatto la cosa giusta, salvando Elora… probabilmente.»
   Kit sbuffò stizzita.
   «Chissà perché non ti credo. In fondo, non sarebbe stata di certo la prima volta che abbandonavi un tuo compagno al suo destino. Lo hai già fatto con mio padre e lo avresti di certo fatto anche con Elora!»
   «Ti ho già detto che mi dispiace per come è andata a finire con tuo padre, ma smettila di credere alle fandonie che ti ha raccontato Allagash1! Quel tipo era solo uno sporco bugiardo!»
   «Solo lui, vero?»
   Boorman sbatté le braccia sui fianchi.
   «Oh, bene, adesso mi tocca sentire una lezione di vita dalla nipote di Bavmorda2, la strega più malvagia che sia mai esistita!»
   A quel punto, Kit estrasse con veemenza la spada dal fodero.
   «Se vuoi ti faccio vedere cosa è in grado di fare la “nipote di Bavmorda”
   «Smettetela subito!»
   Dalla porta entrò Willow, lanciando uno sguardo di rimprovero sia a Kit che a Boorman.
   «Non posso assentarmi cinque minuti che qui già vi azzuffate come troll.»
   «Willow!» esclamò Elora, correndo ad abbracciarlo. «Che bello vederti!»
   «Lo è anche per me vedere tutti voi, ma calmiamoci per prima cosa. Ho delle importanti novità da comunicarvi.»
   «Quali novità?» chiese Kit, rinfoderando l’arma.
   «Innanzitutto, suppongo siate tutti a conoscenza del fatto che il Leviatano ci ha seguiti ed ora minaccia queste terre e chi le abita.»
   Tutti i presenti annuirono.
   «Bene. Allora, dovete sapere che fino ad un attimo fa, io e il medico di corte, insieme al suo fidato aiutante, abbiamo pensato ad un piano per liberarcene una volta per tutte.»
   «Davvero?» domandò Jade. «Quale piano?»
   «Diciamo che stiamo finendo di metterlo a punto. Tuttavia, siamo giunti alla conclusione che ci servirà qualcuno che svolga un importante compito.»
   «Quale?»
   «Per adesso, vi basti sapere che sarà di vitale importanza.»
   Kit, Jade, Elora e Boorman si guardarono perplessi, finché quest’ultimo non si fece avanti.
   «D’accordo, lo faccio io.»
   «Tu?» chiese Willow, completamente stupito. «Non mi aspettavo che ti saresti proposto, men che meno senza neanche sapere di cosa si tratta.»
   «È a causa vostra!» replicò Boorman, stizzito. «Mi avete fatto sentire in colpa, come se fossi stato io a liberare il mostro. Adesso devo fare qualcosa per sentirmi a posto con la coscienza.»
   «Ma è stata colpa tua.» sottolineò Jade, senza mezzi termini. «Sei stato proprio tu a liberare il Leviatano!»
   «Ecco! Visto?! Che vi dicevo?!»
   «Va bene, non importa il motivo per cui tu lo faccia, basta che ne sia convinto.» disse Willow.
   «Sì, sono… convinto. Cosa devo fare?»
   «Non ora. Te lo spiegherò più tardi.»
   «Ma, almeno, dimmi se è un piano sicuro!»
   Il Nelwyn annuì, senza però troppa convinzione.
   «Sì, direi abbastanza sicuro.»
   «“Abbastanza” sicuro?» ripeté Boorman. «Io mi sono offerto di “svolgere un compito di vitale importanza” contro un mostro mangia-anima e tu mi dici che sei “abbastanza” sicuro della riuscita del piano? Straordinario!»
   «Senti, non so se l’hai notato, ma la situazione non è delle migliori. Siamo finiti in un luogo sconosciuto, con Elora a corto di magia per avere evocato il portale di Túatha, senza la bacchetta di Cherlindrea che è andata perduta nello scontro con la Megera e, come dici tu, con un “mostro mangia-anima” che vuole distruggere il mondo intero. Direi che possiamo accontentarci di “abbastanza” sicuro, non ti pare?»
   Boorman annuì, a disagio.
   «Sì, forse hai ragione…»
   «Ottimo.»
   «Vorrei sapere solo una cosa.» intervenne Kit. «Dov’è che siamo finiti? Questa Camelot non l’ho mai sentita nominare prima.»
   «Già!» convenne Jade. «E, poi, quando attueremo questo piano di cui stai parlando?»
   «Un momento.» disse Willow, sedendosi anche lui sul letto. «Risponderò ad ogni vostra domanda, ma lasciatemi prima respirare un attimo. Gli ultimi giorni sono stati piuttosto faticosi e la questione è talmente complessa che è meglio se ve la spiego un po’ per volta.»
   Gli altri annuirono, anche se ancora perplessi.
   «Bene. Ora, cambiando discorso, ci tengo a comunicarvi che stasera siamo stati invitati a cena dal re in persona. Quindi, vorrei raccomandarvi di essere cauti e di comportarvi bene.»
   «Che c’è? Vuoi fare una buona impressione col re?» chiese Jade, con un ghigno divertito.
   «Assolutamente, no.» ribatté Willow con ovvietà. «Tu e Kit siete finite in prigione, Elora fino a poche ore fa era ricercata da tutto il castello e Boorman si è azzuffato animosamente con un cavaliere. Direi che è decisamente troppo tardi per fare una buona impressione. Però, cerchiamo almeno di sembrare delle persone meritevoli di fiducia. Non vi chiedo altro.»
   Kit, Jade ed Elora annuirono, anche se non molto convinte. Boorman, invece, fece per uscire.
   «Vado a riposare in camera mia. Sempre che riesca a trovarla…»
   «Aspetta, Boorman. Mi raccomando, non fare tardi stasera.»
   «Tranquillo, non preoccuparti.» rispose l’uomo senza nemmeno voltarsi. «Vedrò di essere “abbastanza” puntuale.»

 

Note
 
1 – Riferimento all’episodio 6 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Prigionieri di Skellin”. Nella puntata, Kit incontra Allagash, una vecchia conoscenza del padre. Egli le racconta di come Boorman abbia tradito Madmartigan e lo abbia abbandonato al suo destino nelle Caverne di Skellin. Secondo il cerca-tesori, invece, è stato Allagash a tradire il loro comune amico. Dopo la fine della prima stagione, ancora non si hanno certezze su chi dei due abbia ragione.
 
2 – Riferimento a “Willow – Il film”. Bavmorda, la madre di Sorsha, era la strega più potente e malvagia di Andowyne, finché Willow, con l’aiuto di Madmartigan e di altri alleati, non riuscì a sconfiggerla. Decisivo fu il tradimento della figlia Sorsha che, dopo essersi innamorata di Madmartigan, decise di rivoltarsi contro la madre.

 

Nota dell'autore
 
Ciao a tutti! Grazie per essere arrivati a leggere fin qui! Spero che la storia vi stia piacendo. Approfitto di questo spazio per comunicarvi che dalla prossima settimana la pubblicazione del capitolo avverrà il mercoledì anziché il giovedì.
E questo è tutto! Quindi, a mercoledì prossimo! Ciao! :)

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Capitolo 9
*** L'ombra del drago ***


Capitolo 9
L’ombra del drago
 
   La sera arrivò presto e con essa anche la cena che re Artù aveva indetto per i suoi ospiti. Il suo intento era quello di conoscere meglio i cinque visitatori e di scoprire qualcosa di più sul loro conto. Era convinto che in un contesto più disteso sarebbe riuscito a carpire loro maggiori informazioni.
   «Allora, Kit.» esordì Artù dopo aver ascoltato l’ennesimo aneddoto sconclusionato di Boorman. «Che ne dici di parlarmi un po’ di Tir Asleen? Non so praticamente nulla a riguardo.»
   «In realtà, Tir Asleen è molto simile a Camelot, per certi aspetti.» rispose la ragazza, dopo aver finito di masticare un boccone di carne. «Adesso è un regno florido, anche se non è stato sempre così. Quasi vent’anni fa, prima della mia nascita, ci fu una grande guerra che lo indebolì molto. Per fortuna, i miei genitori, con l’aiuto di Willow, riuscirono a placare le ostilità e a renderlo ciò che è oggi.»
   «Mi dispiace sentirlo. Purtroppo anche Camelot ha subìto le stesse vicissitudini. Tempo fa, la magia dilagava incontrastata in queste terre, così mio padre, re Uther Pendragon, si è visto costretto a porvi rimedio, bandendola e dichiarando fuorilegge coloro che la praticavano.»
   «Mia madre è arrivata alla stessa conclusione.» aggiunse Kit. «Infatti, anche a Tir Asleen la magia è proibita.»
   Artù fissò la ragazza con piacevole stupore.
   «Davvero? Allora, devo scusarmi di nuovo per avervi arrestate con l’accusa di stregoneria. È ovvio che la pensiamo allo stesso modo riguardo alla magia.»
   «Non… non fa niente.» ribatté Kit, scambiando con Elora uno sguardo colpevole.
   La magia a Tir Asleen era bandita, certo, ma solo per proteggere la discendente della famiglia di Kymeria, Elora appunto, dalle forze nemiche, non perché fosse ritenuta malvagia come invece accadeva a Camelot. Questo dettaglio, però, pensò che era meglio non precisarlo.
   «Devo dire che, nonostante capisca perfettamente il motivo dietro tale decisione, non penso che bandire la magia possa ritenersi una soluzione saggia ed equa.» puntualizzò Willow, contrariato. «Se ti tagli con un coltello, non li butti via tutti. Fai solo più attenzione la prossima volta che ne maneggi uno.»
   «Può sembrare una scelta un po’ avventata, ma è l’unico modo possibile per preservare la pace nel regno.» disse Artù, facendo cenno a Merlino di riempirgli il calice. «Non è sicuramente una decisione facile da prendere. Di certo non lo è stato per mio padre e non deve esserlo stato neanche per i genitori di Kit. Un giorno, tra l’altro, mi piacerebbe conoscerli. Da come ne parlate, sembrano degli ottimi sovrani, molto legati al loro popolo.»
   «Certo, anche se per mio padre non credo che sia possibile.» rispose Kit, rabbuiandosi. «Molti anni fa è partito per un’importante missione e da allora non ha più fatto ritorno.»
   «Non lo sapevo. Mi dispiace molto.» disse subito Artù, mortificato.
   «Madmartigan era la persona più folle e inaffidabile che io abbia mai incontrato.» intervenne Willow prontamente, cercando di mitigare quel momento di tristezza. «Tuttavia, il suo coraggio e la sua abilità con la spada non avevano eguali. Mi ha aiutato in più di un momento di difficoltà e questo non lo scorderò mai.»
   Kit lo ringraziò con lo sguardo per quelle belle parole, mentre Artù le ascoltò con piacere.
   «Anche tu, Willow, provieni da Tir Asleen?»
   «No, io sono nato e cresciuto nel villaggio Nelwyn. Però, ho avuto spesso a che fare col regno di Tir Asleen, anche per il rapporto che mi lega con alcuni suoi abitanti.»
   «Il villaggio Nelwyn?» ripeté Artù, inarcando un sopracciglio. «Mai sentito neanche questo. Puoi dirmi qualcosa sul suo conto?»
   «Il villaggio risiede nella valle dei Nelwyn e, come potete vedere voi stesso…» disse Willow, indicandosi da capo a piedi. «… siamo un popolo piuttosto minuto. Le nostre usanze, però, ci rendono anche un popolo molto unito. In queste occasioni mi piace sempre ricordare le parole di Junn, il Saggio Aldwyn che mi ha preceduto: “Saremo anche piccoli, ma la cosa più grande che ha un Nelwyn è il suo cuore”
   «È proprio un bel detto.» commentò Artù, colpito.
   «Mi domando in che genere di circostanze venga usato.» intervenne Boorman in tono ironico, mentre masticava avidamente un cosciotto di pollo. Willow gli lanciò un’occhiataccia e poi si rivolse nuovamente al re.
   «Sire, dato che stiamo conversando, vorrei approfittare del momento per chiedervi una cosa in merito alla faccenda del mostro.»
   «Dimmi pure, anche se Gaius mi ha già aggiornato sugli sviluppi. Sembra che abbia trovato un modo per far uscire allo scoperto questo Leviatano. Però, il tutto non sarà pronto prima di due giorni. Nel frattempo, ho dato incarico ai miei cavalieri di pattugliare il perimetro della foresta e ho indetto un coprifuoco per evitare ulteriori complicazioni. Spero solo che basti per tenere tutti al sicuro.»
   «Lo spero anch’io. Comunque, ciò che volevo chiedervi è di concedere a me e ai miei compagni il permesso di affrontare il Leviatano da soli.»
   Artù smise di colpo di mangiare.
   «Cosa? Mi dispiace, ma non posso. È troppo rischioso per voi cinque affrontare quel mostro completamente da soli. Una volta che sarà tutto pronto, se vorrete, potrete combatterlo insieme a me e ai miei uomini.»
   «Chiedo scusa, ma insisto.» replicò Willow, senza darsi per vinto. «In situazioni come questa non è il numero che determina il successo dell’impresa. Noi vi chiediamo solo una possibilità, poi, qualora fallissimo, a voi non cambierebbe niente. Potreste sempre chiamare a raccolta tutti i vostri cavalieri, o chiunque vogliate, e provare una vostra offensiva.»
   Artù aspettò a rispondere, soppesando le parole che aveva appena ascoltato.
   «Lasciateci tentare.» intervenne Kit. «Sappiamo quello che facciamo. Come ha detto Willow, voi non avete nulla da perdere, neanche nel peggiore dei casi.»
   «Va bene.» acconsentì il re. «Ma io verrò con voi. Su questo non transigo. Non resterò a guardare mentre altri rischiano la vita per un regno che io ho giurato di proteggere.»
   Willow scambiò uno sguardo fugace con Merlino, rimasto in disparte ad ascoltare la conversazione. Se Artù fosse andato con loro, non avrebbero potuto usare la magia per sconfiggere la creatura. Questo complicava non poco la situazione, però il Nelwyn annuì, non sapendo come controbattere.
   «Bene.» disse Artù. «Allora, è deciso. Tra due giorni, noi sei partiremo per la foresta e combatteremo insieme il mostro.»
   Mentre il re brindava a quella nuova alleanza, una specie di rantolo risuonò nella sala, attirando l’attenzione di tutti i presenti. Era stata Elora che, col viso rosso e gli occhi spalancati, si era alzata in piedi ed aveva iniziato a smaneggiare in maniera convulsa.
   «Aiutatela! Sta soffocando!» esclamò Willow preoccupato.
   Jade, che era seduta di fianco a lei, si alzò di soprassalto e iniziò a colpirla ripetutamente dietro la schiena, purtroppo senza sortire l’effetto sperato. Col passare dei secondi, il viso della giovane diventava man a mano sempre più paonazzo.
   «Forza, Jade! Colpisci più forte!» la redarguì Kit, unendosi alla mischia e battendo con decisione sulle spalle di Elora.
   «Beh, non mi sembra che tu stia facendo meglio!» replicò Jade, stizzita dal commento dell’altra.
   «Su, ragazze, datevi una mossa!» aggiunse Boorman, indicando entrambe con un’ala di pollo che stava mangiucchiando. «Colpitela più in alto!»
   «Invece di parlare, vieni a darci una mano!» ribatté Kit, polemica.
   «Ma insomma!» intervenne Willow agitato. «Volete smetterla di rimbeccarvi e fare qualcosa?!»
   A quel punto, non vedendo altre soluzioni, Jade smise di colpire Elora alla schiena e la afferrò da dietro per il bacino. Poi, la sollevò bruscamente verso l’alto e la riabbassò di colpo. Ripeté quell’azione per tre volte, finché Elora non sputò di getto un osso dalla bocca.
   «Annnff!» ansimò la ragazza, sfinita. «Grazie…»
   Sia Jade che Kit sospirarono rincuorate, così come Willow e Boorman. Nel frattempo, Artù, rimasto attonito in disparte, raccolse dai suoi capelli l’osso che aveva rigettato Elora e che lo aveva colpito in testa, osservando al contempo perplesso gli altri cinque. Quel gruppo di squinternati che aveva davanti, a distanza di meno di due giorni, avrebbe combattuto con lui l’antico e potente mostro che insidiava Camelot e la pace nel regno. Deglutì preoccupato al solo pensiero di quello che lo aspettava.
   Intanto, mentre il re rimuginava sulla decisione presa, Merlino approfittò dell’attimo di confusione che si era creato per allontanarsi di soppiatto dalla stanza. Il momento era giunto. Ora, toccava a lui fare la sua parte.
 
***
 
   La notte era ormai scesa su Camelot. La luna risplendeva alta in cielo mentre Merlino si accingeva a percorrere i sentieri bui e insidiosi della foresta. Nell’esatto istante in cui ne aveva varcato il confine, avvertì come un capogiro. Inizialmente pensò che fosse dipeso dalla paura, ma poi non ne fu più così sicuro. La foresta era molto silenziosa. Troppo, in realtà. Neanche un rumore lo accompagnò in quel suo breve viaggio. Lui, d’altro canto, continuò ad avvertire come una specie di sensazione sgradevole attraversargli la schiena. Forse un presentimento, ma anche in questo caso non ne era certo.
   Una volta arrivato nel bel mezzo di un grosso spiazzo, situato più o meno al centro dell’area, Merlino parlò.
   «O drakon, e male so ftengometta tesd'hup'anankes!»
   Finalmente, dopo pochi attimi, sentì qualcosa smuoversi attorno a lui. Una lieve folata di vento si fece man a mano sempre più intensa, finché un grande ed imponente drago scuro non atterrò a pochi metri da dove lui lo attendeva.
   «Kilgharrah, ho bisogno del tuo aiuto.» esordì Merlino.
   «Lo so, giovane mago. Sono a conoscenza di quello che sta accadendo.»
   «Davvero? Quindi, sai del Leviatano?»
   Il grande drago annuì.
   «Sì, così come so dell’arrivo dei forestieri. Certe cose non potrei ignorarle neanche se lo volessi.»
   «Allora, dimmi cosa posso fare per sconfiggerlo.»
   «Tu non puoi fare niente, Merlino. Almeno, non con la tua magia. Il Leviatano si nutre di essa per rafforzarsi, come di qualsiasi altra forma di vita. Usargliela contro non farebbe altro che renderlo ancora più potente.»
   «Cosa dovrei fare, quindi? Girarmi dall’altra parte mentre quel mostro distrugge ogni cosa?!»
   «Non ho detto questo. Solo che, stavolta, la tua magia non basterà da sola a salvare Camelot.»
   «E cos’altro ci vuole?» chiese Merlino, in tono disperato. «Perché ho provato, anzi, abbiamo provato a cercare un modo, ma è stato tutto inutile.»
   «Per poter sconfiggere il tuo nemico, devi prima conoscerlo a fondo.» spiegò Kilgharrah.
   «Allora, dimmi ciò che devo sapere, ti prego! Non abbiamo molto tempo! Il Leviatano si trova qui, nella foresta, e potrebbe venire fuori da un momento all’altro.»
   «Lui è già a conoscenza della nostra presenza.» disse il drago con molta tranquillità. «Tuttavia, non ci interromperà.»
   «Cosa? Come fai ad esserne così certo?»
   «Devi sapere, Merlino, che il Leviatano in origine era un drago.»
   «Un drago?!» sussultò il mago stupito.
   «Sì.» confermò Kilgharrah. «Un drago che potremmo definire facente parte della prima generazione della specie.»
   «Ma, allora, posso controllarlo.» disse il ragazzo, con incertezza nella voce. «Voglio dire, io sono un Signore dei Draghi, quindi lui deve ubbidire ai miei ordini. Giusto?»
   «No. Lui rispetta il tuo ruolo, ecco perché sceglie di non attaccarci. Tuttavia, non puoi controllarlo.»
   «Ti prego, Kilgharrah, smettila con i giri di parole e spiegati meglio, perché non ci sto capendo nulla.»
   «Va bene.» acconsentì il drago, spostando le zampe per stare più comodo. «Tutto iniziò all’alba dei tempi, quando i miei antenati si schierarono contro i primi araldi dell’Antica Religione. Essi avevano come unico intento quello di convertire l’intero mondo con la loro magia. La guerra durò secoli, finché entrambe le fazioni non scelsero di smetterla di darsi battaglia e di tollerarsi reciprocamente. Tuttavia, Kratus, la somma guida dei miei antenati, decise di rompere quell’alleanza e di usare una primordiale magia oscura per sconfiggere definitivamente le forze rivali.»
   «Non per interromperti…» intervenne Merlino. «Ma, cosa c’entra questo con il Leviatano?»
   «Pazienta, giovane mago. Pazienta.» disse Kilgharrah, in tono serio. «Stavo dicendo… dopo aver rotto il patto, Kratus assorbì in sé una potente magia oscura con lo scopo di epurare gli allora esponenti dell’Antica Religione. Tuttavia, questa magia lo cambiò. Lo fece diventare qualcosa di diverso: non era più un drago, ma nemmeno un qualsiasi altro essere conosciuto. La sua natura venne distorta. E questo spaventò oltremodo gli altri draghi che, vedendolo come una minaccia, decisero di esiliarlo in un altro mondo e di rinchiuderlo in una prigione da cui non sarebbe più uscito. In questo modo l’essere abominevole che era diventato non avrebbe più fatto del male a nessuno. O, almeno, questo era quello che speravano, fino ad oggi.»
   «Quindi questo Kratus, in realtà, è il Leviatano?»
   «Kratus è ciò che era il Leviatano prima del suo tradimento. Tuttavia, adesso, non è rimasto più niente di lui. Rispondendo alla tua domanda, non è più un drago e quindi non è più soggetto alla tua magia di Signore dei Draghi. Ora, è più simile ad un’ombra del suo passato.»
   «Capisco.» disse Merlino, anche se in realtà era molto confuso. «Ma, allora, come possiamo ucciderlo?»
   «Non potete.» rispose Kilgharrah. «Perché lui non può morire. È diventato qualcosa che trascende la normale concezione di vita e morte. Si nutre di energia vitale perché è l’unica cosa di cui ha bisogno per rimanere in forze. Una volta che ne avrà assorbito a sufficienza, sarà inarrestabile. Nessuno potrà più fermarlo e nessuno riuscirà più a sopravvivergli.»
   Merlino si mise le mani nei capelli.
   «Quindi, siamo spacciati?! Non abbiamo più via di scampo?! No, mi rifiuto di pensarlo! Deve esserci un modo!»
   «Calmati, Merlino. Come ben sai, il mondo perdura grazie all’equilibrio di tutte le cose. Anche se il Leviatano è un essere immortale, tale potere l’ha ottenuto assorbendo una precisa magia. Se tale magia gli venisse sottratta…»
   «Lui tornerebbe ad essere di nuovo mortale.» concluse Merlino, schioccando le dita. «Cosa si deve fare perché questo accada?»
   «Il suo immenso potere deriva dalle sue ali. Tagliandogliele, ne verrebbe privato completamente.»
   «Tornerebbe come prima?» azzardò Merlino.
   Kilgharrah scosse la testa.
   «No, non tornerà mai più ad essere come prima. Non sarà mai più un drago. La sua natura è e rimarrà per sempre corrotta. Tuttavia, questo non varrà in egual misura per i suoi poteri. Se dovesse perdere le sue sei ali, allora…»
   «Allora, potrà morire.»
   «Sì. Non c’è altro modo per sconfiggerlo.»
   Merlino tirò un sospiro di sollievo. Adesso sapeva quello che doveva fare. Sarebbe stata dura, ma almeno avevano una speranza.
   «Grazie, Kilgharrah. Ti sono di nuovo debitore.»
   «Non c’è di che, giovane mago. Anche se ti esorto a fare attenzione. Il Leviatano, con o senza i suoi poteri, rimane un essere molto pericoloso. Non abbassare mai la guardia. Inoltre, non ignorare l’aiuto offerto dai forestieri. Non so il perché, ma non è un caso se il loro cammino si è incrociato con quello tuo e di Artù. Il destino, a volte, agisce in modi inspiegabili. Non dimenticarlo.»
   «Va bene. Lo terrò a mente. Grazie ancora.» disse Merlino, voltandosi per andarsene.
   «Merlino.» lo fermò il drago.
   «Sì?»
   «… Anch’io ho un favore da chiederti.»
   «Dimmi. Ti ascolto.»
   Kilgharrah sospirò, come in preda alla agitazione. Poi, controllò il suo respiro e riprese a parlare.
   «Sconfiggilo, te ne prego.» disse, abbassando la testa fino ad essere molto vicina a quella del mago. «Fa tutto ciò che è in tuo potere per far sì che questo accada. La sua stessa esistenza è un insulto alla mia nobile razza. Cancella il peccato dei miei avi una volta per tutte.»
   Merlino fissò il drago dritto nei suoi occhi dorati e capì quanto quella vicenda significasse per lui.
   «Va bene. Te lo prometto. In un modo o nell’altro, lo sconfiggeremo. Hai la mia parola.»

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Capitolo 10
*** Il cuore di un guerriero ***


Capitolo 10
Il cuore di un guerriero
 
   «Ahhh!» urlò Artù, colpendo con la spada un palo rinforzato.
   Era dall’alba che si trovava nel campo di addestramento, lo stesso in cui era solito allenare i cavalieri. Quel giorno, però, era da solo. Tutti gli altri erano di pattuglia a sorvegliare la città in caso di attacco del Leviatano oppure a riposare, dopo aver finito il proprio turno.
   «Ahhhh! Ahhhh!» gridò ancora, sferrando due colpi a ripetizione. Doveva sfogarsi. Ne aveva un gran bisogno. Perché aveva accettato di stare alle condizioni di quei forestieri? Lui era il re, e non avrebbe dovuto agire in quel modo così sconsiderato. Del resto, non conosceva affatto quelle persone. Poteva già sentire distintamente i rimproveri che gli avrebbe affibbiato suo padre se fosse stato lì a guardarlo.
   “Non ti ho cresciuto per essere così debole! Sei tu che devi imporre la tua volontà agli altri! Non il contrario! Come ti è saltato in mente di sottostare al volere di qualcuno che non fosse il tuo?!”
   “O il tuo, padre.” aggiunse Artù, con una smorfia di disappunto. Uther avrebbe reagito più o meno in quel modo, forse anche in tono più brusco, conoscendolo. In ogni caso, non riusciva a togliersi quelle parole dalla testa. Gli rimbombavano fastidiose come il suono di una campana.
   In aggiunta, di tanto in tanto si sommavano al coro anche le lamentele di Agravaine, che avrebbe sicuramente disapprovato quel comportamento.
   “Artù, non è saggio dare ascolto al primo malcapitato che ti passa davanti. Dammi retta, lasciali andare per la loro strada e agisci come un vero leader. Sii forte e decidi tu come affrontare la situazione.”
   Anche lo zio sarebbe stato deluso dalla sua scelta. Eppure, si sentiva nel giusto. Il mostro era una minaccia reale per il regno e credeva che allearsi con quegli sconosciuti fosse la cosa migliore da fare. Anche Merlino la pensava come lui e, benché non l’avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, teneva molto in conto il parere del ragazzo. Merlino sembrava riuscire spesso a prevedere i comportamenti delle persone. Ci aveva visto giusto quella volta che lui aveva deciso di giustiziare re Caerleon1. Aveva capito subito che era una pessima scelta. Ma lui non gli aveva dato retta e per poco non aveva sfiorato una guerra con Annis ed il suo popolo.
   Aveva anche dubitato della fedeltà di Gaius, quando era stato accusato di essere in combutta con lo stregone che aveva ucciso Uther2. In quel caso, sia Merlino che il suo istinto gli dicevano che si stava sbagliando e che il vecchio medico era sicuramente innocente. Ma lui non aveva voluto sentire ragioni. Aveva deciso in base alle prove. E aveva commesso l’ennesimo errore. Ancora non riusciva a perdonarselo.
   “Ma non accadrà di nuovo!” pensò, attaccando il palo con forza. “Stavolta, intendo scegliere seguendo quello che credo sia giusto!”
   «Volevate vedermi?»
   A quel punto, Artù si voltò di scatto e vide Kit che gli stava andando incontro.
   «Sì. Vieni pure.»
   «Riguarda mio fratello?» chiese la giovane, preoccupata. «L’avete trovato?»
   «No, ma abbiamo saputo che poco fuori Camelot è stato visto un ragazzo che corrisponde alla sua descrizione. Ho già mandato qualcuno a controllare. Se era lui, lo troveranno. Non temere.»
   «Bene. Vi ringrazio.»
   «Comunque, non ti ho fatta venire qui per questo.»
   «Ah, no? E per cosa, allora?»
   Artù le indicò il lato del campo dove erano tenute le attrezzature per gli allenamenti.
   «Prendi una spada.»
   «Perché?»
   «Perché sono curioso di vedere come te la cavi a maneggiarla. Se dobbiamo combattere insieme, voglio accertarmi delle tue abilità.»
   Kit annuì, facendo come gli aveva detto. Così, scelse una spada a caso tra le tante, la afferrò e si mise in posizione di guardia.
   «Va bene. Sono pronta. Ma vi avverto, sono piuttosto brava. Mi alleno a combattere fin da quando ero piccola. Non rimaneteci male se fate una brutta figura.»
   «Non preoccuparti.» affermò Artù sorridendo. «Correrò il rischio.»
   Così dicendo, si lanciò in avanti, facendo partire un fendente contro di lei.
   Klang!
   La ragazza parò il colpo e rispose prontamente.
   Klang!
   Di nuovo, Artù fece lo stesso, parando e contrattaccando. Lo scambio andò avanti in quel modo per qualche secondo, finché il re non la disarmò.
   «Accidenti!» imprecò la ragazza.
   «Mmm… niente male. Effettivamente sei “piuttosto brava”, ma mi aspettavo qualcosa di più da chi ha messo alle strette Leon.» commentò Artù, sgranchendosi le braccia. «Lui è tra i miei migliori cavalieri. Sono in pochi a riuscire a tenergli testa.»
   «Allora, non mi tratterrò, stavolta.» ribatté Kit, riprendendo l’arma da terra.
   A quel punto, i due incrociarono di nuovo le spade. La giovane principessa attaccò senza sosta, infilando ben dieci stoccate di seguito, che però Artù parò facilmente. Poi, al suo primo contrattacco, le fece cadere per la seconda volta la spada dalle mani.
   «No!» esclamò Kit, frustrata.
   «Non lamentarti. È colpa tua se ti è sfuggita.» le disse Artù. «Allenti troppo la presa dopo aver sferrato un attacco.»
   La ragazza lo guardò innervosita.
   «Riproviamo.»
   «Certo.» replicò Artù, rimettendosi in posizione. «Quando vuoi.»
   In quel momento, Kit scattò verso di lui, preparandosi a lanciare un fendente verticale. Artù però la anticipò sul tempo e la disarmò ancora.
   «Non è possibile!»
   «Lo è, invece. È troppo facile prevedere le tue mosse. Hai fissato il punto che volevi colpire prima ancora di muoverti. Se vuoi andare a segno, o devi essere più veloce del tuo avversario oppure devi imparare a nascondere le tue intenzioni.»
   Kit annuì di sfuggita. Aveva ascoltato le sue parole, ma non riusciva a reprimere la rabbia che sentiva. Non le piaceva per niente perdere. Però, doveva ammettere che non aveva mai affrontato nessuno di così forte. Nemmeno Jade, che era più brava di lei, sarebbe riuscita a tenergli testa. Probabilmente, l’unico in grado di fronteggiare il giovane re era suo padre, Madmartigan.
   «Di nuovo.» disse, andandogli contro.
 
   L’allenamento continuò per diverse ore. Per tutta la mattinata, in quel campo non si sentirono che grida e clangori metallici. L’esito di ogni singolo scontro, tuttavia, non cambiò. Kit non riuscì neanche una volta ad avere la meglio su Artù.
   «Rialzati.» la esortò lui, in tono un po’ severo.
   «Solo… un attimo.» rispose Kit, mentre si trovava per terra e allo stremo delle forze. Aveva il viso sporco di fango, così come le braccia e il resto del corpo, tante erano le volte che era caduta.
   «In battaglia non ce l’hai un attimo. Forza, in piedi!»
   «Non ci riesco…»
   «Allora, morirai.» le disse Artù, fissandola negli occhi. «E accadrà lo stesso ai tuoi amici, se non diventerai più forte.»
   «Cosa c’entrano i miei amici?»
   «C’entrano, eccome. Quando combatti, devi essere in grado di proteggere chi è al tuo fianco. Non sai quanti alleati e persone a cui tenevo ho perso a causa di questa mia mancanza.»
   «Anch’io ho perso qualcuno.»
   «Quindi sai che dico il vero.» ribatté Artù secco. «Tu sei decisamente abile con la spada, ma ti manca una cosa fondamentale per essere un vero guerriero.»
   «Che cosa?»
   «La determinazione. Senza, sei solo una spadaccina qualunque. Ricordati: in uno scontro all’ultimo sangue non vince il primo che colpisce, ma l’ultimo che si rialza. Perciò, rimettiti in piedi e fammi vedere quello di cui sei realmente capace.»
   Kit lo fissò attonita per un istante. Poi, puntando la spada a terra, si rialzò.
   «Bene. Attaccami, adesso.» la incitò il re. «Ma, nel farlo, pensa ai tuoi amici e a quello che potrebbe accadere loro se non vinci.»
   La ragazza annuì e partì subito alla carica, fiondandosi contro di lui. Artù schivò sia il primo che il secondo affondo, ma notò che qualcosa era cambiato. I colpi erano un po’ più scoordinati, probabilmente a causa della stanchezza, ma erano anche più netti e veloci. In un frangente dovette anche indietreggiare per evitare di venire sbalzato.
   «Cosa fate?» gli gridò contro Kit. «Non reagite?»
   In quel preciso momento, Artù colpì con un fendente orizzontale e fece cadere l’arma della ragazza.
   «Aspettavo solo l’attimo giusto.» le disse, con sicurezza. Stava anche per intimarle di raccogliere la spada, ma Kit lo fece già di propria iniziativa. Sembrava aver capito la lezione che doveva apprendere. Ma, per Artù, non era abbastanza.
   «La ragazza che ha tentato di liberarti quando eri imprigionata si chiama Jade, non è vero?»
   Kit sussultò a quella domanda così improvvisa.
   «Sì. Perché?»
   «Ho visto che tiene molto a te. È una cosa bella, ma sul campo di battaglia, lei sarà la prima a soccombere se tu commetterai un errore, perché sarà lei la prima a mettersi tra te e i tuoi nemici. Se non saprai reagire al momento giusto, Jade morirà.»
   «Io non lo permetterò!» esclamò Kit, spalancando gli occhi, furibonda.
   «Va bene. Allora, fammi vedere come la vorresti difendere.»
   A quel punto, Kit scattò in avanti di corsa e calò un fendente verticale, che Artù riuscì a parare, anche se solo all’ultimo. Poi, lui rispose con un affondo centrale, che venne schivato prontamente dalla ragazza. Dopo una serie di scambi molto accesi, Artù parò l’ennesimo attacco di Kit, soltanto che stavolta il colpo fu talmente più forte di quello che lui aveva previsto che gli scivolò via la spada dalle mani.
   «Ho… anfanf… vinto…» disse Kit ansimante, puntandogli l’arma sul petto.
   Artù sorrise, soddisfatto.
   «Molto bene. Era questa la reazione che volevo vedere.» disse, quasi con orgoglio. «Quando combatti devi sempre ricordarti il motivo per cui lo stai facendo. Altrimenti, non servirà a niente impegnarti, anche se è solo un allenamento. Comunque, sei stata brava. Hai il potenziale per essere un’ottima guerriera.»
   «G-grazie.»
   «Ora, vai a riposarti. Te lo sei guadagnato.»
   Kit, però, invece di andarsene, non si mosse dal suo posto.
   «In realtà, se per voi non è un problema, preferirei allenarmi ancora.» disse, stringendo l’elsa con ancora più decisione.
   «Come vuoi.» replicò Artù, sorridendo compiaciuto mentre riprendeva da terra la spada. «Allora, preparati. Ricominciamo.»
 
***
 
   Era pomeriggio inoltrato e Jade si trovava seduta sugli scalini subito fuori l’entrata del castello. Erano ore che osservava le persone andare e venire. Per molti aspetti quel via vai le ricordava Tir Asleen e questo la faceva sentire meglio, quasi come se fosse ancora a casa.
   «Disturbo?!» chiese d’un tratto Boorman, sedendosi di fianco a lei in modo talmente brusco da rischiare di farla cadere. Jade, comunque, non ci badò troppo.
   «No.» rispose, con lo sguardo assente.
   «Allora, cosa si dice di bello in giro?» domandò l’uomo, stendendosi per terra lungo un gradino.
   «Non saprei… Perché me lo chiedi?»
   «Oh, niente, è che ti vedevo così attenta a fissare i passanti che pensavo stessi ascoltando qualcosa.»
   «Guarda che non sto spiando nessuno! Ero solo sovrappensiero. Prova anche tu a starci ogni tanto!»
   Boorman scosse la testa con vigore.
   «Meglio di no! Io sono più un tipo che segue l’istinto. Sai, come quando c’è qualcuno in pericolo e ti fiondi a salvarlo senza pensarci due volte.»
   «Oppure, come se vedi il portone chiuso di un antico tempio e lo apri liberando un mostro spaventoso!» aggiunse Jade piccata.
   «Uffa!» sbuffò Boorman. «Credo proprio che mi rinfaccerete questa cosa a vita! Sono un cacciatore di tesori! Cosa vi aspettavate da me?!»
   Jade fece una smorfia infastidita, senza rispondere. Qualsiasi cosa avesse detto, non sarebbe servita a niente. Boorman era sempre Boorman.
   «Allora?» continuò l’uomo, pressante. «Mi vuoi dire che cosa ti preoccupa?»
   «Che ne sai che sono preoccupata?!» sbottò Jade, sulla difensiva.
   «Conosco quello sguardo: è lo stesso che ha Scorpia quando le passa qualche brutto pensiero per la testa. In questo, vi somigliate molto.»
   «Davvero?» chiese Jade, in parte curiosa di scoprire le abitudini della sorella3.
   «Certo che sì!» asserì Boorman con una mano sul cuore. «O non mi chiamo Thraxus Relaxus Boorman!»
   «Tu non ti chiami “Relaxus”…»
   «Fa lo stesso!» ribatté l’uomo, sbrigativo. «Comunque, non mi hai risposto: cosa c’è che ti preoccupa?»
   Jade sospirò intensamente.
   «Quando… sono arrivata al castello, la mia intenzione era quella di salvare Kit. Però… non ci sono riuscita. Capisci?! Ho fallito la mia missione! E, come se non bastasse, sono stata catturata anch’io con lei!»
   «E allora?! Si è risolto tutto. Fin dal principio Kit non correva alcun pericolo.»
   «Non ha importanza questo!» replicò Jade, alzando la voce. «Il punto è che non sono stata in grado di proteggerla! È quello il mio compito! Se non fossi stata accecata da quello che provo per lei, avrei agito diversamente.»
   Boorman aggrottò le sopracciglia, confuso.
   «Scusa, ma non ti seguo. Che vuoi dire?»
   «Nell’addestramento che ho intrapreso per diventare cavaliere, mi è stato insegnato che il cuore di un guerriero non deve essere offuscato dai sentimenti. La ragione deve prevalere sempre e su tutto. Solo così si può combattere al meglio delle proprie possibilità.»
   «Che mucchio di sciocchezze!» esclamò Boorman di colpo.
   «Non sono “sciocchezze”! Anche Ballantine me lo ripeteva in continuazione!»
   «Ballantine, dici?! Lo stesso Ballantine che ti ha preso e cresciuto come una figlia anche se eri la progenie del suo peggior nemico4? O era un terribile bugiardo o non ci credeva nemmeno lui a quello che ti diceva.»
   «Può darsi, ma…»
   «Niente “ma”! Ci ho messo un po’, ma anch’io sono arrivato a capirlo con l’armatura Kymeriana.»
   «Aspetta! Che c’entra l’armatura Kymeriana?»
   Boorman si mise a sedere ed assunse un’espressione molto seria in volto.
   «L’ho cercata per anni. Ho fatto molte cose di cui non vado fiero per averla. E poi? Una volta avuta finalmente tra le mie mani, non sono riuscito ad usarla. Non potevo. E sai perché?»
   «Perché?»
   «Perché, alla Città Immemore, io volevo il suo potere solo per essere l’eroe della situazione. Kit, invece, è riuscita ad attivarla perché voleva salvare suo fratello, perché voleva proteggere Elora e noi tutti5. I suoi sentimenti le hanno permesso di fare quello di cui io non sono stato capace. Ecco perché sono importanti. Ti fanno riuscire dove per altri non c’è che il fallimento.»
   Jade lo ascoltò quasi assorta dalle sue parole.
   «Non credevo che l’avrei mai detto, ma forse… hai ragione.»
   «Certo che ce l’ho!» ribatté lui, alzandosi in piedi e stiracchiandosi le braccia. «Non c’è di che, comunque.»
   «Ma io non ti ho mica ringraziato!»
   «Beh, avresti dovuto! Ho fatto uno splendido discorso. Il punto è se ora ti senti un po’ meglio.»
   Jade si alzò a sua volta.
   «Un po’, sì. Grazie, Boorman.»
   «Figurati! Quando vuoi!» replicò l’uomo, voltandosi e notando di colpo che la ragazza si stava allontanando. «Ehi! Dove stai andando?»
   «A cercare Kit. È da un po’ che è via e voglio accertarmi che sia tutto a posto.» rispose lei, accelerando il passo.
   «D’accordo. Io credo che mi andrò a fare un altro pisolino prima di cena.»
   Così dicendo, Boorman si avviò verso il portone d’entrata del castello. In quel momento, però, incrociò lo sguardo con un cavaliere che stava uscendo. Era lo stesso con cui si era azzuffato alla taverna la notte precedente.
   «Aspetta, Jade!» disse, allora, girando i tacchi velocemente. «Vengo anch’io a cercare Kit!»

 

Note
 
1 – Riferimento all’episodio 5 della 4a stagione di “Merlin”, “Figlio di suo padre”.
 
2 – Riferimento all’episodio 7 della 4a stagione di “Merlin”, “Il compagno segreto”.
 
3 – Jade ha scoperto solo poco tempo prima di avere una sorella, Scorpia per l’appunto. Lei è la leader dei “Predatori di ossa”, una tribù che vive a Boscotetro.
 
4 – Jade ha da poco scoperto di essere la figlia del generale Kael, ex-leader dell’esercito della malvagia strega Bavmorda. Egli muore nelle vicende di “Willow – Il film” per mano di Madmartigan, il padre di Kit e Airk.
 
5 – Riferimento all’episodio 8 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Figli del Wyrm”. Kit riesce ad attivare l’armatura Kymeriana dopo i precedenti fallimenti di Boorman e Allagash.

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Capitolo 11
*** La maledizione del prescelto ***


Capitolo 11
La maledizione del prescelto
 
   Toc-toc-toc!
   «Avanti.» disse Elora, nascondendo in fretta dietro la schiena il libro che stava leggendo.
   «Scusami se ti disturbo.» esordì un ragazzo entrando nella camera. «Willow mi ha mandato a chiederti se stesse andando tutto bene.»
   Voltandosi, il giovane notò con la coda dell’occhio un braccio di Elora teso dietro di sé.
   «Non preoccuparti. Willow mi ha detto tutto su di voi e sulla tua… magia.» disse, sussurrando a bassa voce l’ultima parola.
   «Ah, meno male!» esclamò lei, ripoggiando il libro sul letto. «Allora, tu devi essere Merlino, l’aiutante del medico.»
   «Esatto.»
   «Willow ci ha parlato di te. Dice che sei “un bravo giovane con la testa sulle spalle”. Non so come hai fatto, ma lo hai impressionato molto.»
   «Mi fa piacere.» replicò Merlino, in imbarazzo per quel complimento. «Comunque, che devo riferirgli?»
   «In merito a cosa?» chiese Elora, confusa.
   «Te l’ho già detto. Vuole sapere come sta andando lo studio dell’incantesimo.»
   «Ah, già! Giusto!» disse la ragazza, riaprendo il libro. «Purtroppo, non bene. Non ci sto capendo niente e non riesco a connettermi come vorrei con la mia magia.»
   Merlino si avvicinò per osservare la pagina in cui era spiegato l’incantesimo. Poggiato di fianco al testo, trovò anche qualcos’altro.
   «Suoni il flauto?» domandò, indicando lo strumento di color ocra.
   «Oh… no.» rispose Elora, d’un tratto rintristita. «Questo non è mio. Era… di un mio amico1
   Sentendo “era”, Merlino capì il motivo di tale dispiacere e cambiò subito argomento.
   «Non conosco bene tutta la vostra storia, anche se Willow me ne ha raccontata una parte per somme linee. Ma, in sostanza, se non ho capito male, hai perso temporaneamente l’uso della magia evocando il portale che vi ha condotto qui, a Camelot. È corretto?»
   «Sì, è proprio come hai detto. Sono giorni che tento di fare qualche incantesimo, anche semplice, ma è tutto inutile. La mia magia non risponde. Sembra come che sia sparita nel nulla…»
   «Mmmhh, non credo. Devi sapere che la magia, anche se sopita, rimane sempre dentro di te. Puoi non sentirla, ma questo non significa che non ci sia. Devi solo avere più fiducia in te stessa e vedrai che ce la farai.»
   Elora fece una smorfia, scuotendo la testa.
   «Non ne sono sicura. Già prima di tutto questo non riuscivo ad usarla come volevo e facevo ricorso all’utilizzo di una bacchetta per lanciare le magie più complesse; ma adesso mi sembra di non esserne più capace. Figuriamoci, poi, con quest’incantesimo così complicato! Ancora non ho capito perché ne abbiamo bisogno, se il Leviatano si nutre di magia. Non rischiamo di rafforzarlo?»
   «Non proprio. Il Leviatano si nutre di magia, questo è vero, ma secondo Willow e Gaius, il medico di corte, questo particolare incantesimo genera un potere nocivo che contamina chi ne entra in contatto. Quindi, se il Leviatano dovesse assorbirlo, si indebolirà sensibilmente, rendendo così il compito più facile agli altri che dovranno affrontarlo dopo.»
   Elora annuì e poi abbassò la testa, scoraggiata.
  «In ogni caso, non credo che ci riuscirò.»
   «Non abbatterti in questo modo. È normale avere dei dubbi, ma non pensare a quello che non puoi fare; piuttosto, concentrati su quello che riusciresti a fare se solo ti riconnettessi ai tuoi poteri. Da come parla di te Willow, si vede che crede molto nelle tue potenzialità.»
   «Ti ringrazio.» disse Elora, passandosi tra le mani il flauto. «Ma non è così semplice. Fidati, la magia è molto più intricata di quello che sembra.»
   «Lo capisco.» ribatté Merlino, comprensivo.
   «Grazie per le tue parole, ma è arduo riuscire a capire come mi sento. A stento lo comprendo io!» esclamò Elora molto sconfortata.
   Merlino la fissò per un attimo. Lui più di chiunque altro sapeva cosa stava provando la ragazza. Quello sguardo triste e incompreso era apparso spesso sul suo volto in passato. La magia era una parte di lui ed era grato di averla, ma essa portava con sé anche una parte oscura, difficile da sopportare. Era una benedizione, ma anche una maledizione.
   «Che c’è, Merlino?» chiese Elora, notando i suoi occhi perplessi. «Tutto bene?»
   Il mago non rispose. Quello che stava pensando era folle. Eppure gli sembrava giusto. Era stufo di vedere altri come lui soffrire senza fare niente per aiutarli. Lo aveva già fatto con Morgana, quando si erano manifestati i primi segni dei suoi poteri. Non passava giorno che non pensasse a cosa sarebbe successo se avesse agito diversamente con lei. Magari, non sarebbe diventata una spietata strega in cerca di vendetta. Ma ormai era troppo tardi per questo. Però, non lo era per Elora. Per una volta, una sola volta, voleva seguire quello che gli diceva il cuore, senza voltarsi indietro. Così, controllò con scrupolo che non ci fosse nessuno fuori dalla porta e poi la chiuse per bene.
   «Cosa fai?»
   «Non preoccuparti e sta’ a vedere.» replicò Merlino, sedendosi di fianco a lei. A quel punto, alzò una mano, aprendola verso l’alto. «Leoht!»
   Una luce apparve distintamente sopra il palmo, illuminando il volto assorto e senza parole di Elora.
   «Ora, io conosco il tuo segreto e tu il mio.» le disse il ragazzo a bassa voce.
   «Tu… tu… sei uno… stregone?!»
   «Sì. Ma non si deve venire a sapere, altrimenti… Hai visto come reagiscono qui a Camelot quando c’è di mezzo la magia. Ho la tua parola che non lo dirai a nessuno?»
   Elora annuì subito.
   «Sì, certo! Puoi contarci!»
   «Bene.» commentò Merlino, rincuorato. Non era nei suoi piani rivelare il suo segreto, nonostante Willow lo avesse già scoperto per sbaglio. Comunque, sentiva di aver fatto bene a dirlo ad Elora. Lei, come lui, possedeva la magia, ma a differenza di altri maghi e streghe che aveva incontrato in passato, sentiva di potersi fidare.
   «Ho un’idea!» esclamò d’improvviso la ragazza. «Perché non provi tu ad usare l’incantesimo? Magari sarai più bravo di me.»
   Merlino scosse la testa con decisione.
   «No. Innanzitutto, potrebbe non funzionare.» disse, indicando la pagina aperta del libro. «Ho letto le parole che devono essere pronunciate e sono in una lingua diversa da quella che conosco.»
   «Com’è possibile?»
   «Può darsi che i nostri poteri abbiano qualcosa in comune, ma è altrettanto possibile che siano diversi sotto alcuni punti di vista. Comunque, non occorre capirlo. Perché sono certo che riuscirai a lanciare l’incantesimo perfettamente.»
   «Ma se non dovessi farcela?!» protestò Elora. «In quel caso cosa faremo?»
   Merlino la prese per le spalle, cercando di calmarla, e la invitò a sedersi più vicino a lui.
   «Adesso, fa esattamente quello che ti dico io. Va bene?»
   Elora lo guardò un po’ spaesata, ma poi annuì.
   «Bene.» proseguì Merlino. «Allora, chiudi gli occhi e cerca di focalizzare la mente su un solo pensiero.»
   «Un pensiero? Quale?»
   «Non ha importanza quale scegli. Può essere un’immagine o un ricordo, purché ti tranquillizzi.»
   «V-va bene.» ribatté Elora, poco convinta, chiudendo le palpebre.
   «L’hai trovato?»
   «Sì. Credo di sì.»
   «D’accordo. Ora, cerca di concentrarti solo su quello e sul suono della mia voce. Tutto il resto, lascialo da parte.»
   Elora non rispose. La sua mente rimase assorta, mentre Merlino attendeva che fosse il momento giusto. Poi, riprese a parlare.
   «Cosa vedi?»
   «Un prato… e il cielo, limpido e soleggiato.»
   «Cosa senti?»
   «Il rumore del vento… e alcuni uccelli che cantano come di primo mattino.»
   «Cosa percepisci intorno a te?»
   «…L’aria fresca che mi accarezza il viso.»
   «Nient’altro?»
   «I miei capelli si muovono a ritmo del vento… e il calore… Il calore sulla mia pelle.»
   «Bene.» disse Merlino, soddisfatto. «Ora, guarda dentro di te. Con la stessa calma, cerca di capire cosa senti.»
   La ragazza annuì, ancora con gli occhi chiusi. Un istante più tardi, strinse i pugni e avvertì un brivido lungo la schiena.
   «Oh! La sento! Sento la magia!» disse, sussultando.
   «Che ti dicevo?» replicò Merlino con un sorriso.
   «Però, è debole. È come se si stesse spegnendo.»
   «Non è la tua magia ad essere debole, ma il collegamento che hai in questo momento con essa.» la corresse Merlino.
   «Aspetta. Pian piano riesco a percepirla meglio, come se mi stessi avvicinando.» continuò Elora.
   Merlino annuì.
   «Brava, continua così. Stai andando bene.»
   «Un momento. La sento ancora, ma non riesco ad afferrarla. Perché?»
   «Perché non devi afferrarla.» le rispose Merlino, paziente. «Quando ne avrai bisogno, sarà lei a venire in tuo aiuto. La magia non è una cosa che possiamo prendere o togliere, ma una parte di noi. Ecco perché è importante che tu riesca a sentirla. Significa che il legame che vi unisce è ancora forte. Ed è a questo legame che ti dovrai affidare per usarla, quando sarà il momento.»
   A quel punto, Elora aprì gli occhi.
   «E se dovessi fallire?»
   «È una possibilità. Ma sia io che Willow ci fidiamo molto delle tue capacità. Questo perché sappiamo che puoi farcela nonostante tutto.»
   Elora scosse il capo, in preda all’agitazione.
   «Willow mi ha sempre trattato con molta gentilezza. Ha avuto fiducia in me sin dall’inizio del mio addestramento, quando non riuscivo neanche a far crescere un seme di bartillo2
   «Quindi, qual è il problema? Perché non riesci a credere in te stessa e in quello che sei in grado di fare?»
   «Perché è difficile non deludere le aspettative che tutti ripongono in me.» rispose Elora, sbuffando. «Secondo una profezia, sono destinata a salvare il mondo dalle forze dell’oscurità e a guidarlo verso un’era più luminosa. Come possono aspettarsi tutti che ci riesca, se fino a poco tempo fa ero solo una sguattera?»
   Merlino sospirò, sconsolato. Quelle parole gli ricordavano qualcosa. Più di qualcosa, a dire il vero.
   «So di cosa stai parlando. Anche su di me c’è una profezia che narra che dovrò aiutare Artù a creare Albion, un mondo di pace e prosperità per gli anni a venire. Quindi capisco quanto è dura avere il peso di tali responsabilità sulle proprie spalle.»
   Elora aggrottò la fronte, molto stupita.
   «È incredibile! Quindi anche tu sei nella mia stessa situazione? Davvero?»
   «Sì. Ormai sono molti anni che sono venuto a conoscenza del mio destino. Dal mio primo giorno a Camelot, in effetti. Da allora, ho agito al mio meglio per il bene di questo regno.»
   «E come riesci a sopportarlo? O ad andare avanti senza deludere tutti quanti?»
   «All’inizio, ero in preda alla disperazione proprio come te. Ma poi ho capito una cosa importante.»
   «Che cosa?» chiese subito Elora, curiosa.
   «Anche senza la profezia, avrei fatto tutto quanto esattamente allo stesso modo.» rispose Merlino. «I miei poteri, anzi, i nostri poteri ci sono stati dati per un motivo. Mi piace pensare che sia per aiutare gli altri. Oppure, per rendere questo mondo un posto migliore. È così che ho accettato l’intera faccenda.»
   «Ah, non l’ho mai vista sotto questo punto di vista.» disse Elora, pensierosa. «In effetti, ha senso quello che hai detto. Inoltre, è un bel modo di vedere la cosa. È solo che a volte mi dà fastidio essere “Elora Danan”. Per tutti significa che li guiderò e li proteggerò dalle forze del male. Ma è difficile credere che riuscirò in quest’impresa.»
   «E per te, invece?» domandò Merlino.
   «Per me, cosa?»
   «Per te cosa significa essere “Elora Danan”?»
   «Non saprei… non me lo sono mai chiesta.» rispose la ragazza.
   «Magari trovando la giusta motivazione, potresti capire meglio quello che devi fare.» le disse Merlino, porgendole il libro. «Ora, però, è meglio se lasciamo stare questi discorsi e torni al lavoro. L’incantesimo è molto importante per il piano che abbiamo ideato.»
   Elora annuì.
   «Hai ragione.» disse, afferrandolo. «Farò del mio meglio. Te lo prometto.»
   Merlino le sorrise e fece per andarsene. Poi, però, vedendo il viso della ragazza rabbuiarsi mentre si apprestava a leggere, si fermò sul posto.
   «Se vuoi, posso darti una mano ad imparare l’incantesimo.»
   «Davvero? Grazie! Non so proprio da dove iniziare.» ribatté Elora, entusiasta.
   Il giovane mago le si avvicinò e prese il testo tra le mani.
   «Allora, vediamo un po’…»
 
***
 
   Nell’alloggio di Gaius, Willow camminava su e giù per la stanza, borbottando pensieroso.
   «Tutto bene?» gli chiese il medico, fissandolo con preoccupazione.
   «Direi di no!» sbottò il Nelwyn. «Domani affronteremo il Leviatano e Elora non ha ancora ripreso il pieno controllo della sua magia.»
   «Effettivamente, non è una bella prospettiva, ma agitarsi serve a poco o nulla. Vi consiglio di calmarvi e mettervi a sedere.»
   Willow annuì di riflesso, ma continuò a camminare.
   «E se il portale di Túatha avesse in qualche modo danneggiato i suoi poteri? Non potrei mai perdonarmelo! Del resto, non sappiamo di preciso come esso agisca. Forse…»
   «Forse dovete lasciar perdere, per adesso.» intervenne Gaius. «Pensare sempre al problema, non aiuta a risolverlo.»
   «Mmmhh… sì, avete ragione.» convenne Willow, sedendosi. «Vi chiedo scusa. Solitamente affronto queste insidie con nervi più saldi, ma stavolta non riesco ad evitare di preoccuparmi.»
   «Non temete. È normale. Tenete molto ad Elora, non è vero?»
   «Sì. La conosco da quando lei era appena nata ed io ero un giovane padre di famiglia.» disse Willow, sorridendo nel ripensare a quel ricordo. «Da quel giorno di oltre diciassette anni fa in cui i miei figli, Mims e Ranon, la trovarono sulla riva di un fiume, non ho mai smesso di preoccuparmi per lei. Ne sono successe di cose da allora…»
   «Vi capisco.» replicò Gaius, molto preso dal racconto. «Merlino è entrato nella mia vita solo da alcuni anni, ma, da quel momento, non passa giorno che non mi preoccupi per lui. Ormai, è diventato come un figlio per me.»
   Willow sorrise nel sentire quelle parole. Dopo poco, però, corrucciò la fronte.
   «Elora ha un grande fardello sulle sue spalle. Il mio compito è di aiutarla a far sì che questo fardello le pesi il meno possibile. Ma temo di non esserne in grado. Voi cosa ne pensate? Da quel che ho compreso, la situazione di Merlino è molto simile. Vi sentite all’altezza di essere il suo mentore?»
   «Assolutamente no!» rispose Gaius con ovvietà. «Il destino di Merlino è tanto grande quanto complesso. Secondo gli antichi profeti, è il mago più potente che sia mai esistito. Da quel che dite, Elora non è da meno. Quindi, come si può anche solo pensare di essere all’altezza di un simile compito, specialmente considerando che io e voi siamo due persone piuttosto “comuni” al loro confronto?»
   «Suppongo abbiate ragione.» concordò Willow mesto. «Ma allora cosa dobbiamo fare? Arrenderci e basta?»
   «Temo abbiate frainteso le mie parole. Il punto della questione non è che dobbiamo “sentirci all’altezza”, bensì che dobbiamo agire al meglio delle nostre possibilità e sperare che questo basti.» si corresse Gaius. «Merlino ed Elora sono due bravi ragazzi; sono certo che se indicheremo loro la strada giusta da percorrere, sapranno andare lontano con le proprie gambe. Dobbiamo solo avere fede nelle loro capacità.»
   «In effetti, è sensato il vostro ragionamento.» ribatté Willow, perplesso ma in parte rincuorato. «Vi ringrazio, mi avete dato molto a cui pensare. E, inoltre, mi avete distratto per qualche minuto dalla preoccupazione per ciò che avverrà domani.»
   «Non temete. Domani ce la farete, non ho il minimo dubbio al riguardo. Mi dispiace solo che, data la mia età, non potrò essere lì con voi.»
   «Invece, ci sarete, almeno spiritualmente. Senza il vostro aiuto e il vostro intelletto, non avremmo mai escogitato un piano in grado di far fronte alla minaccia.»
   «Può darsi, ma state pur certo che in ogni caso non me ne starò con le mani in mano.» disse Gaius deciso. «Forse ho trovato un modo per farvi tornare nel vostro mondo, una volta sconfitta la creatura.»
   «Davvero?» chiese Willow sobbalzando dallo stupore. «Quale?»
   «È meglio che lo verifichi prima di essere più specifico. Comunque, ho motivo di credere che possa funzionare. Lo sapremo domani, dopo che me ne sarò accertato.»
   Willow annuì, compiaciuto, mentre guardava fuori dalla finestra la luce della luna filtrare verso il pavimento. Ben presto l’indomani sarebbe arrivato e, con esso, anche la temibile battaglia che li attendeva contro il Leviatano.


 

Note
 
1 – Il flauto apparteneva a Graydon. È l’unica cosa che resta di lui dopo lo scontro avvenuto con la Megera.
 
2 – Frutto di bosco rosso, simile al mirtillo, esistente nel mondo di Andowyne.

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Capitolo 12
*** La magia che unisce ***


Capitolo 12
La magia che unisce
 
   «Ecco fatto. Siete pronto.» disse Merlino, sistemando l’ultimo pezzo dell’armatura sulla spalla di Artù.
   Il re non disse niente e si apprestò a controllare che fosse tutto in ordine.
   «Come vi sentite?» chiese il servitore. «Mi sembrate teso.»
   «Non sono teso.» ribatté Artù stizzito. «Non è di certo la prima volta che vado in missione.»
   «Ma stavolta dovrete affrontare una creatura magica molto pericolosa. Non avete paura?»
   «Certo che no! E poi non potrei permettermelo. Sono il re e devo pensare ai miei doveri prima di ogni altra cosa.»
   «Allora, cosa avete?» insisté Merlino.
   «Te l’ho già detto: niente!»
   «Oh, no! Non ditemi che dovete fare pipì! Perché, in tal caso, avreste dovuto pensarci prima che vi mettessi l’armatura.»
   «Non dire sciocchezze!» sbottò Artù, in imbarazzo. «Non è per questo.»
   «E per cosa, allora? Forza! Sputate il rospo!»
   Artù sbuffò contrariato. Però, vedendo l’insistenza del suo servitore, alla fine cedette.
   «E va bene!» disse, incrociando le braccia. «Mi stavo domandando semplicemente se avessi fatto bene.»
   «A fare cosa?»
   «A fidarmi di Willow e degli altri.»
   «Capisco. Quindi, avete dei ripensamenti?» chiese Merlino.
   «Può darsi.» rispose il re, scrutando la lama della sua spada e perdendosi nel suo riflesso. «Non ne sono sicuro. Mi sembra di fare la cosa giusta, ma non so se ho deciso in maniera un po’ troppo… affrettata.»
   Merlino annuì mentre osservava dalla finestra il gruppo di Willow già pronto subito fuori il castello.
   «Non posso fare molto per fugare i vostri dubbi. Ma, come spesso dite, una persona può essere giudicata in molti modi, compreso quello in cui combatte. Ho saputo che ieri mattina vi siete allenato con la principessa Kit. Perciò, vi chiedo che impressione vi ha fatto.»
   Artù ci pensò per un attimo.
   «Se la cava bene con la spada, soprattutto considerando la sua giovane età. È testarda, molto testarda, in effetti. Ma in fondo ha un buon cuore.»
   «Testarda e di buon cuore? Mmmh, mi ricorda qualcuno…» commentò Merlino, ironico.
   «Che vuoi dire?»
   «Che vi somiglia molto, sire.»
   «Ma che dici?! Io non sono testardo!» replicò Artù, seccato.
   «No, certo che no… Specialmente quando reagite così…» ribatté il servo, sogghignando. «Comunque, tornando alla questione: pensate che meriti la vostra fiducia?»
   «Sì. O almeno merita una possibilità per mettersi alla prova.»
   «Bene. Allora, mi sembra che vi siate risposto da solo, no?»
   Artù annuì, d’un tratto più sollevato.
   «D’accordo. Forza, allora. Andiamo.» disse Merlino, incamminandosi verso la porta.
   «Aspetta un attimo.» lo fermò Artù. «Andrò io. Tu, invece, rimarrai qui, al castello.»
   «Cosa vi salta in mente?! Perché non volete che venga con voi?»
   «È troppo pericoloso. Non sei un guerriero e non voglio che rischi la vita per niente. Non mi saresti utile in alcun modo sul campo di battaglia.»
   «Ma che dite? Certo che vi sarei utile!»
   «E a che cosa? Sentiamo.»
   «Beh…» disse il servo, tentennando. «Io vi guarderei le spalle, come al solito.»
   «Sì, certo.» ribatté Artù, sarcastico. «Allora, vorrà dire che stavolta me le “guarderò” da solo le spalle.»
   Merlino scosse il capo, categorico.
   «Non se ne parla. Io vengo con voi.»
   «Smettila, Merlino.» lo ammonì Artù. «Rimarrai qui. Fine della discussione. Quando tornerò, voglio poter avere ancora il mio servitore.»
   «Ed io il mio re.» replicò il ragazzo con decisione.
   Artù lo fissò per un momento e capì che alla fine non l’avrebbe mai spuntata.
   «Va bene, fa’ come ti pare!» disse, uscendo dalle sue stanze. «Tanto lo fai sempre!»
   Merlino lo seguì a ruota, sorridendo soddisfatto.
   «Vi ringrazio.»
   «E poi sarei io quello testardo!» borbottò il re, affrettando il passo.
 
***
 
   Dopo aver raggiunto gli altri, Merlino e Artù si incamminarono con loro a cavallo verso la foresta di Balor. Durante il tragitto la tensione era palpabile, al punto che nessuno aprì bocca. Solo quando furono al limitare della radura, Artù ruppe quel silenzio.
   «Da qui proseguiamo a piedi.» disse, scendendo dalla sella.
   «Quant’è grande questa foresta?» gli chiese Boorman.
   «Abbastanza.» rispose il re, guardandosi intorno. «In ogni caso, raccomando a tutti di tenere gli occhi aperti. Leviatano o meno, ci sono molte insidie in quest’area. Sarebbe poco saggio farsi trovare impreparati ad un qualsiasi genere di attacco.»
   Tutti annuirono, avanzando con maggiore cautela.
   «Come faremo a trovarlo?» domandò d’improvviso Jade.
   «Non c’è un modo preciso.» disse Willow, cupo in volto. «Ecco perché abbiamo bisogno di qualcuno che… lo attiri.»
   Così dicendo, lanciò verso Boorman il cristallo magico che fino a poco tempo prima era incastonato sulla punta del suo bastone.
   «Cosa dovrei farci?» chiese l’uomo, afferrandolo.
   «Niente. Dovrai solo tenerlo in mano. Se il Leviatano è a caccia di energia, sono certo che questo lo condurrà fino a noi.»
   «È questo l’oggetto che avevate quando siete state scoperte nell’armeria?» domandò Artù, rivolgendosi a Elora e Kit.
   «Sì.» confermò quest’ultima.
   «Allora era vero che avevate qualcosa di magico con voi.»
   «Sì, però non lo stavamo usando per compiere magie.» puntualizzò Elora.
   «E che cosa ci stavate facendo?» chiese ancora Artù, un po’ insospettito. Merlino intanto fece cenno di nascosto a Willow di intervenire e risolvere quell’inconveniente.
   «L’avevamo appena sottratto ad una potente strega.» disse il Nelwyn, sbrigativo. «Sarà capitato anche a voi di venire in possesso di oggetti magici, no?»
   «Sì, in effetti è capitato diverse volte.»
   «Noi abbiamo fatto lo stesso. Per il bene di tutti, ovviamente.»
   Artù annuì, abbastanza convinto da quella risposta. Prima che potesse dire altro, però, Kit intervenne per cambiare argomento.
   «Avete avuto altre notizie sull’avvistamento di Airk?»
   «No. Ma non mi preoccuperei, se fossi in te. Il luogo in cui sarebbe stato visto è a quasi un giorno da Camelot. Dato che ho inviato una squadra soltanto ieri, non avremo nuove informazioni prima di domani.»
   «Ah, ho capito.» replicò la principessa, intristita.
   «Sei molto legata a tuo fratello, non è vero?» domandò Artù, notando la sua reazione.
   «Non è questo il punto. Il problema è che lo avevamo appena salvato dalla strega che lo aveva rapito solo per perderlo di nuovo subito dopo. Non mi sembra giusto che sia andata a finire così, ecco!»
   «Comprendo. Ma, se posso chiedertelo, come mai era stato rapito? Non si sente spesso di maghi o streghe che rapiscono qualcuno. È… insolito.»
   Kit si sentì un attimo in difficoltà. Non poteva dirgli la verità, ovvero che Airk, come anche lei stessa del resto, possiede in sé il sangue di Bavmorda e che la Megera voleva sfruttarlo per i suoi loschi scopi.
   «Perché voleva metterlo contro la sua famiglia.» rispose prontamente Jade. «Per fortuna, noi siamo arrivati in tempo e non glielo abbiamo permesso.»
   Artù sbarrò gli occhi per un momento, poi fissò dritto davanti a sé.
   «C’è qualcosa che non va?» chiese Kit.
   «No, è solo che… mi è tornato alla mente un evento spiacevole riguardante mia sorella.» spiegò il re, un po’ turbato. «Anche lei venne rapita da una strega anni fa.»
   «E poi cosa successe? L’avete ritrovata?»
   «Sì, però non era più la stessa. Era tornata, ma non siamo mai riusciti veramente a salvarla. I piani di Morgause, la strega che l’aveva presa, si realizzarono e per lei non ci fu più nulla da fare.»
   «Quindi, non siete riuscito a farla tornare in sé?»
   Artù scosse la testa, mesto.
   «No, purtroppo. Il male che le era stato inculcato è tuttora dentro di lei. Ora, l’unica cosa che desidera è la mia morte e il trono del regno. Della persona buona che era non è rimasto più nulla.»
   Kit lo guardò con tristezza, ripensando agli avvenimenti accaduti alla Città Immemore. Per poco anche lei non era stata vicina a vivere quella stessa situazione. In quel momento si sentì ancora più grata per essere riuscita a salvare il fratello prima che fosse troppo tardi.
   «Scusate se interrompo le vostre chiacchere a cuore aperto…» intervenne Boorman. «… ma, guardate un po’ là.»
   Tutti si voltarono verso il punto che aveva indicato, osservando un grosso buco sul terreno a pochi metri da dove si trovavano.
   «È quello che penso?» chiese Jade, preoccupata.
   «Azzarderei a dire di sì.» commentò Boorman. «A meno che in questa foresta non ci sia un’enorme talpa, penso che si tratti della tana del Leviatano. Giusto, Willow?»
   Il Nelwyn si avvicinò di poco all’apertura nel terreno.
   «Non abbiamo nessuna certezza, ma non credo che possa trattarsi di qualcos’altro. Voi che dite, Artù?»
   «Che io sappia, la foresta di Balor non è un luogo molto frequentato. Tuttavia, una cosa del genere sarebbe stata notata ben prima, a meno che non sia stata fatta di recente.»
   «Ma perché la creatura ha una tana nel terreno?» domandò Jade, confusa. «È alata, quindi non ha molto senso.»
   «Ce l’ha, invece.» la contraddisse Willow. «Il Leviatano è un divoratore di energia. E quale miglior fonte di potere che la terra stessa? Nel sottosuolo ci sono le linfe vitali delle piante e della natura. La creatura evidentemente se ne serve per saziare la sua sete di vita. È poderoso e disgustoso al tempo stesso, ma è così, purtroppo.»
   «Sì, va bene, ma come lo facciamo uscire da lì?» chiese Boorman.
   «Dipende da te.» rispose Willow con semplicità. «Avvicinati alla voragine e vediamo se la magia del cristallo lo attrarrà in superficie.»
   Boorman assunse un’espressione agitata. Si era decisamente pentito di averlo domandato, ma fece come gli era stato detto e si mosse verso il buco nel terreno.
   «Come mi accorgo che il Leviatano sta arrivando? Emette una specie di suono o verso, oppure ci sono dei segnali più evidenti?»
   «Non temere, Boorman. Sono sicuro che non sarà difficile accorgersi del suo arrivo.»
   L’uomo annuì, preoccupato. L’agitazione lo stava sopraffacendo, ma rimase ugualmente vigile e in attesa. Una volta che fu sul bordo del dirupo, sentì una specie di rumore provenire al suo interno. Non uno qualsiasi, bensì lo stesso che emetteva il vento nei giorni di tempesta. Fu agghiacciante ascoltarlo, sia per lui che per gli altri. Dopo alcuni secondi, qualcosa, simile ad una luce, si manifestò dal fondo di quella voragine. La luce si fece man a mano sempre più grande e intensa, finché non sbucò fuori dalla tana e si alzò in volo, sopra alle teste dei presenti.
   «Gyyyaarr!»
   «Sì, è proprio lui!» confermò Boorman, allontanandosi a grandi falcate dall’apertura nel terreno.
   In quell’istante, Willow rimase paralizzato ad osservarlo. Non per la paura, bensì per lo stupore.
   «Cosa c’è Willow?» gli chiese Kit, agitata.
   «È più grande rispetto a quando lo abbiamo affrontato alla Citta Immemore.»
   «Hai ragione.» convenne Jade mentre sguainava la spada. «Anche il suo colore è diverso. È più scuro.»
   «L’energia che ha assorbito finora deve averlo potenziato a dismisura.» commentò il Nelwyn con angoscia.
   Nel frattempo, Artù si portò subito davanti a tutti e iniziò a gridare delle indicazioni.
   «Forza! Non rimanete lì! Mettetevi in posizione! Dobbiamo prepararci a respingerlo!»
   Fu a quel punto che Merlino gli si avvicinò di soppiatto alle spalle.
   «Swefe nu!» recitò, con la mano rivolta verso il re. Quest’ultimo chiuse gli occhi di colpo e cadde all’indietro addormentato tra le braccia del suo servitore.
   «Mi dispiace, Artù.» disse, mentre lo trascinava via verso un cespuglio.
   Il piano che aveva preparato con Gaius e Willow prevedeva che, prima di affrontare a viso aperto il Leviatano, avrebbero dovuto usare la magia per indebolirlo. Questo, ovviamente, non sarebbe stato possibile con Artù guardingo al loro fianco. Per tale motivo Merlino aveva escogitato quello stratagemma per metterlo fuori gioco quel tanto che bastava.
   «Avanti, Elora!» esclamò, in direzione della ragazza. «Adesso tocca a te!»
   «Sì, Elora, ti prego, sbrigati!» aggiunse Boorman, respingendo con la sua grande spada l’assalto della creatura, attratta inevitabilmente dal cristallo. Anche Kit e Jade si fecero avanti per dargli man forte a tenerla a bada. Ma il Leviatano era implacabile. Con un colpo di coda, scaraventò tutti e tre a gambe all’aria contemporaneamente. Elora intanto si preparò a lanciare l’incantesimo.
   «Bidh mi gad dhrèanadh de do lùth gu lèir!»
   Ma non accadde nulla. Così, la ragazza tentò di nuovo.
   «Bidh mi gad dhrèanadh de do lùth gu lèir!»
   Ancora una volta, non ci fu alcuna reazione. Nessun lampo di luce o qualsivoglia manifestazione magica. Non successe proprio niente.
   «No… Non ci riesco…» disse Elora, presa dallo sconforto.
   «Coraggio, non ti arrendere!» la incitò Willow, in piedi al suo fianco.
   Merlino, intanto, osservò tutta la scena attonito. Non c’era più tempo. Il Leviatano stava avendo la meglio, con Jade, Kit e Boorman ormai messi alle strette dalla sua furia. Quest’ultimo si trovava a terra, con le grosse fauci della creatura a pochi centimetri dal corpo. Con l’enorme spada che soleva utilizzare in battaglia, riusciva malapena a tenerla a distanza.
   «Che devo fare?» si chiese il giovane mago ad alta voce.
   D’un tratto, gli venne in mente un’idea. Era azzardata, ma, se i suoi ragionamenti erano corretti, avrebbe anche potuto funzionare. Così, chiuse gli occhi e si concentrò intensamente. Poi, con grande sforzo, cercò di ignorare i vari rumori della battaglia: i klang metallici delle spade, i soffi del vento causati dallo spostamento in volo del Leviatano, le urla di chi stava combattendo. Tentò con tutte le sue forze di lasciar perdere quei suoni e di focalizzarsi su quello che realmente stava cercando. Non fu facile, ma ad un certo punto lo sentì.
   Tu-tum.
   Quel suono lo fece ridestare dallo stato di trance in cui era finito. Era un battito. Un semplice e debole battito. Ma era anche la loro unica speranza. Quel battito, infatti, significava che Kilgharrah era in errore. Il Leviatano non aveva perso completamente la sua natura. Una parte del suo essere era ancora vincolata alle sue origini di drago. Fu a quella parte che Merlino si rivolse quando aprì gli occhi.
   «Dragorn. Non didlkai. Kari miss, epsipass imalla krat. Katostar abore ceriss. Katicur. Me ta sentende divoless. Kar… krisass!»
   In quel preciso istante, il Leviatano si fermò in volo a mezz’aria, rilasciando i suoi artigli dalla spada di Boorman. La sua testa iniziò a divincolarsi da una parte all’altra, agonizzante. Poi, si voltò verso Merlino. A quel punto, emise un ruggito sonoro che riecheggiò per tutta la foresta.
   «Gyyyyaaarrr!»
   «Ahhh!» urlò Merlino in risposta. Quel boato stridente gli perforò la mente e il cuore, più che i timpani.
   «Che succede?!» chiese Boorman, confuso. «Perché si è fermato?»
   Willow, che aveva osservato tutto in disparte, si avvicinò al ragazzo.
   «Merlino? Come hai fatto a fermarlo?»
   «Elora!» gridò lui, con voce sofferente, ignorando tutti. «Non lo tratterrò… ancora per… molto…»
   Il Leviatano, infatti, stava facendo resistenza alla magia di Merlino. La sua natura di drago lo rendeva vulnerabile al potere di un Signore dei Draghi, ma lui non era più solo un drago. Era corrotto, come aveva detto Kilgharrah. Prima o poi, si sarebbe liberato dall’influsso di Merlino e quindi non c’era un secondo da perdere.
   «Mi dispiace, ma non riesco ad usare l’incantesimo!» ribatté Elora, quasi in lacrime.
   «Accidenti!» imprecò Willow. «Sarebbe stato tutto più facile con la bacchetta di Cherlindrea! Ci vorrebbe un oggetto che funga da catalizzatore! Ma anche il mio bastone è fuori uso! Questo proprio non ci voleva!»
   «Usate… il flauto…» intervenne Merlino, quasi allo stremo delle forze.
   Willow sussultò come se si fosse appena risvegliato.
   «Il flauto?» ripeté, voltandosi verso Elora. «Ma certo! Il flauto di Graydon!»
   La ragazza, con un’espressione smarrita, lo tirò fuori da una tasca e lo osservò per un attimo. Lo portava sempre con sé da quando Graydon era morto. Ma non capiva come avrebbe potuto usarlo.
   «Non funzionerà.» disse, rivolta a Willow. «Me lo hai insegnato tu: un oggetto deve essere importante per chi lo usa per poter diventare un catalizzatore magico. Per Graydon questo flauto significava molto, ma per me non è lo stesso.»
   «Ti sbagli, Elora.» la contraddisse il Nelwyn. «Quel flauto è l’unica cosa che ti è, anzi che ci è rimasta di Graydon. Il legame che ci univa a lui è racchiuso nei nostri cuori ed emerge grazie a qualunque cosa ce lo ricordi, come questo oggetto. Secondo me può funzionare.»
   «Ne sei sicuro?»
   «Beh, tentare non guasta. Non mi sembra che abbiamo altra scelta.»
   Elora si fermò a fissare il flauto. Poi, annuì sicura e lo puntò verso il Leviatano, ancora immobile sopra le loro teste.
   «Bidh mi gad dhrèanadh de do lùth gu lèir!»
   Delle scintille verdi fuoriuscirono dallo strumento, disperdendosi però nell’aria.
   «Prova ancora.» la esortò Willow. «Ma, stavolta, pensa a Graydon quando pronunci le parole.»
   Anche Kit intervenne, avvicinandosi.
   «Ricorda quello che mi hai detto alla Città Immemore: “l’amore…»
   «…è la forza più potente di tutto l’universo.”1» concluse Elora, rimettendosi in posizione. «Bidh mi gad dhrèanadh de do lùth gu lèir!»
   In quell’istante, dal flauto scaturì una scia luminescente, mista dei colori viola e smeraldo, che si andò ad abbattere contro il Leviatano. L’impatto generò un fulgore abbagliante che inghiottì completamente la creatura.
   «Ben fatto, Elora!» esclamò Willow, coprendosi gli occhi per non rimanere accecato.
   Dopo l’esplosione di magia, la luce iniziò pian piano ad affievolirsi, fino a sparire del tutto. Il Leviatano la assorbì fino all’ultima scintilla di energia. Tuttavia, quella fu la sua condanna. L’incantesimo, infatti, carico di magia nociva, dissipò in pochi attimi tutte le forze accumulate dalla creatura fino a quel momento.
   Merlino osservò con stupore come le squame del Leviatano cambiarono colore, passando da un nero opaco a un grigio spento, e come la sua stazza si ridusse parzialmente, mutando dalla conformazione di un simil-drago a quella di una semplice e piccola viverna.
   «Ha funzionato.» notò Kit, rincuorata.
   «Già.» convenne Boorman, sogghignando.
   Merlino, intanto, camminò barcollante verso Elora.
   «Brava. Hai visto che ce l’hai fatta?!»
   «Sì.» rispose lei con un mezzo sorriso. «Ma il merito è stato anche tuo.»
   «Siete stati bravi entrambi.» decretò Willow, soddisfatto. «Ma adesso è meglio se ci spostiamo e lasciamo fare il resto agli altri. Purtroppo, non è ancora finita.»
   Tutti e due i ragazzi annuirono e si apprestarono ad allontanarsi dal campo di battaglia, zoppicando per la fatica. Il Nelwyn così li afferrò ciascuno per un braccio e li aiutò a non cadere.
   «Un attimo.» disse Merlino, fermandosi all’improvviso e voltandosi verso il cespuglio in cui aveva lasciato Artù, dormiente.
   «Ic acwoce the! Ic the bebeode thaet thu nu slaepest!»
   A quel punto, il giovane re si ridestò dal suo sonno e si alzò di scatto, mentre Merlino riprese a camminare.
   «Conto su di voi, Artù. Adesso, è tutto nelle vostre mani.»


 


 
Note
 
1 – Riferimento all’episodio 8 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Figli del Wyrm”. Elora ricorda quella frase a Kit per spronarla a salvare Airk, caduto vittima dell’influenza della Megera.

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Capitolo 13
*** La battaglia della foresta di Balor ***


Capitolo 13
La battaglia della foresta di Balor
 
   Artù si guardò intorno, disorientato. Cos’era successo? Perché si trovava accasciato dietro ad un cespuglio? Non se lo ricordava.
   “Magari sono inciampato.” pensò, credendo fosse l’unica spiegazione plausibile.
   Dopo quel breve momento di riflessione, osservò il campo di battaglia. Il Leviatano era sospeso in aria ad una decina di metri di distanza da lui. Così, estrasse la spada e gli andò incontro. A vederlo più da vicino, si accorse che era leggermente diverso da come gli era sembrato quando era sbucato dalla voragine. Probabilmente, però, era solo una sua impressione. Non l’aveva visto che di sfuggita, d’altronde. Senza contare che la situazione era critica e non c’era un secondo da perdere.
   «Circondiamolo!» ordinò a Kit, Jade e Boorman, che nel frattempo erano già pronti a respingere un’eventuale offensiva.
   «Perché rimane lì impalato, senza attaccarci?» chiese Jade preoccupata.
   «Ci sta studiando.» rispose Artù sicuro.
   Il Leviatano si stava comportando esattamente come un predatore. Ma il giovane Pendragon sapeva bene come agire in quei casi. “Attacca, prima di essere attaccato!” gli diceva sempre suo padre da piccolo. Un dubbio, però, lo fece esitare.
   «Siamo certi che tagliargli le ali lo priverà dei suoi poteri?» domandò d’un tratto, incerto.
   «Beh, secondo Willow sì.» disse Jade, senza distogliere lo sguardo dalla creatura. «Ed io mi fido di lui.»
   «Anche io.» aggiunse Kit, sicura.
   «Per me, sire, c’è solo un modo per scoprirlo.» intervenne Boorman, grattandosi la barba. «Provarci!»
   Così dicendo, iniziò a sventolare il cristallo che aveva in mano.
   «Ehi!» gridò all’indirizzo del Leviatano. «Che c’è?! Non hai più fame?! Non vuoi papparti un po’ di questa magia?! Coraggio! Vieni a prenderla!»
   «Ma sei impazzito?!» lo redarguì Kit. «Non è il caso di farlo innervosire!»
   «Troppo tardi.» ribatté l’uomo, sorridendo ed impugnando più saldamente lo spadone.
   Il Leviatano infatti aveva abboccato alle provocazioni di Boorman e si apprestava a volare in picchiata verso di lui.
   «Fa’ attenzione!» lo avvisò Artù, preoccupato.
   «“Attenzione” è il mio secondo nome!» replicò Boorman scherzoso. «Cioè, in realtà no. Però…»
   «Tappati quella bocca e pensa a combattere!» sbottò Kit, zittendolo.
   L’uomo annuì teso, quasi più agitato per averla fatta arrabbiare che per dover affrontare il Leviatano. Nel frattempo la creatura si era avvicinata pericolosamente. Ma prima che potesse colpirlo con i suoi artigli, Boorman schivò agevolmente l’attacco.
   «Sei più lento di prima, eh?!» notò, assestando senza indugio un fendente su una delle sei ali.
   «Gyaaarrr!» ruggì la bestia dal dolore.
   L’ala cadde al suolo, emettendo un tonfo sordo. Poi, si rinsecchì fino a dissolversi come polvere. Una era andata. Ora ne mancavano cinque.
   «Adesso vado io!» esclamò con impeto Jade, approfittando di quel momento di distrazione per colpire.
   «Vengo anch’io!» disse Kit, unendosi alla corsa.
   Entrambe scattarono in direzione del Leviatano, una verso destra e l’altra verso sinistra. Poi, quasi simultaneamente, si avvicinarono al loro bersaglio e calarono con fermezza le proprie spade, falciando di netto un’ala a testa.
   «Gyayararr!»
   Le due ali si staccarono dal corpo della bestia e si polverizzarono prima ancora di toccare il terreno.
   «Grande! Siamo già a metà!» commentò Boorman soddisfatto, mentre la creatura gemeva urlante.
   Artù, intanto, notò con piacere come i suoi tre alleati se la cavassero bene in uno scontro difficile come quello. I loro attacchi erano precisi e coordinati, e semplicemente non se lo aspettava. Tuttavia, anche lui voleva partecipare all’azione, così attirò l’attenzione di Boorman.
   «Ehi! Passami il cristallo!»
   L’uomo, senza neanche chiedergli il motivo, glielo lanciò. Artù lo afferrò prontamente. In quell’istante, il Leviatano, ripresosi, lo puntò con decisione e si avviò verso di lui.
   «Cosa volete fare, Artù?» gli chiese Kit, perplessa.
   «Lo vedrai. State pronti.»
   A quel punto, iniziò a correre. Si diresse in una parte più boschiva della foresta e si posizionò davanti ad un albero abbastanza grande. Poi, attese che la creatura lo raggiungesse.
   «Gyyyaarrr!»
   Non dovette aspettare molto. Il Leviatano, infatti, gli fu subito addosso e lo attaccò con una zampata, tentando di afferrarlo con gli artigli incredibilmente affilati. Artù, però, si scansò in tempo e lo fece finire contro il tronco, stordendolo.
   «Bene, ha funzionato.» disse, preparandosi a colpire.
   Prima di farlo, tuttavia, fu anticipato da Boorman che sbucò dal nulla e tagliò un’altra ala.
   «Gyrrrrroaaar!»
   «Sì! E sono due per me! Sto andando forte!»
   «Calmati, Boorman, non stiamo giocando. Non è una gara.» lo ammonì Artù, in parte allarmato dalla sua esuberanza, in parte indispettito per non aver potuto concludere l’offensiva lui stesso.
   «Può darsi. Ma, se lo fosse, io starei vincendo!» replicò lui, sorridendo. «Sapete, la situazione si sta rivelando più facile del previii…»
   Improvvisamente, il Leviatano si ridestò dal suo stato di sofferenza ed attaccò i due combattenti con un poderoso colpo di coda. Mentre Artù riuscì a schivarlo, Boorman fu preso in pieno e scaraventato via. Percorse in volo una ventina di metri, finché non cominciò a discendere verso il suolo, finendo direttamente dentro la voragine.
   «No!» esclamò Jade di soprassalto.
   Sia lei che Kit stavano per andare a soccorrerlo, ma, prima che potessero muoversi, Artù le riportò subito all’ordine.
   «Ferme! La battaglia non è conclusa! Adesso non possiamo fare niente per lui.»
   Entrambe si guardarono preoccupate, ma poi annuirono e si precipitarono ad affiancare il re, pronte a continuare a combattere.
   «Ne mancano solo due.» disse Kit, facendo ruotare la spada per cambiare posizione d’attacco.
   «Al mio tre, attacchiamo insieme. Intesi?» propose Artù, fissando la creatura che restava immobile sul posto.
   «Sì.» concordarono Jade e Kit all’unisono.
   «Bene. Allora, uno… due…»
   Prima che dicesse “tre”, il Leviatano iniziò a scuotere con forza le due ali rimaste verso il basso, alzandosi in cielo.
   «Che fa?!»
   «Sta... scappando?»
   In un attimo, si sollevò a decine di metri dal terreno e si mise a volare in cerchio sopra le loro teste.
   «Perché ha reagito in questo modo?» domandò Jade stupita. «Sarebbe stato più logico se ci avesse attaccato.»
   «Che importanza ha?!» replicò Kit, scocciata, sbattendo la punta della spada a terra. «Finché rimarrà su per aria non riusciremo di certo a colpirlo!»
   «Calmatevi.» le riprese Artù. «Non è ancora finita.»
   «E cosa pensate di fare?» chiese Kit. «Sapete volare, per caso? Perché io no!»
   «No, non so volare. Ma ho un’idea migliore.»
   «Quale?» chiese Jade.
   Artù si mise a fissare il Leviatano, quasi con aria di sfida. Poi, si rigirò tra le mani il cristallo verde che gli aveva passato Boorman poco prima.
   «È un’idea un po’ bizzarra, ma può funzionare. Adesso vi spiego.»
 
***
 
   «Ferma!» esclamò Willow, prendendo Elora per un braccio.
   «Ma dobbiamo andare ad aiutare Boorman! Non possiamo lasciarlo lì!»
   «Elora ha ragione.» intervenne Merlino. «Dobbiamo andare da lui. Sarà sicuramente ferito, sempre… che non sia accaduto il peggio…»
   Elora si portò le mani alla bocca, turbata da quell’eventualità.
   «Statemi bene a sentire. Non potete andare a salvarlo perché il Leviatano è ancora nei paraggi. Se vi attaccasse e vi rubasse altra magia, tutto il lavoro fatto fino ad ora sarebbe stato vano. Inoltre, Boorman è un osso duro. Tu lo sai, Elora. Lo abbiamo visto affrontare cose ben peggiori in passato. Non credo che ce ne libereremo con una semplice caduta.»
   «Allora, che facciamo? Rimaniamo nascosti qui finché non è finita la battaglia?» domandò la ragazza, contrariata.
   «Sì, esatto. Abbiamo fatto la nostra parte. Adesso dobbiamo solo confidare che gli altri facciano la loro. In fondo mi sembra che se la siano cavata bene fino a questo punto. Tu comunque continua a pronunciare l’incantesimo che ti ho ripetuto poco fa.»
   «Ma perché? In questo modo, come hai appena detto, non rischieremmo di attirare il Leviatano verso di noi?»
   «No, al contrario. L’incantesimo in questione funge da barriera magica e dovrebbe nasconderci dalla sua percezione. Un tempo me lo insegnò Raziel per evitare che venissi trasformato in un maiale1
   «Un maiale?» ripeté Merlino mentre lo fissava confuso.
   «Non chiedere. È una storia lunga.» gli disse Willow, chiudendo la faccenda.
   «Comunque, non mi sento tranquillo a rimanere qui senza poter fare niente. Come riusciranno a colpirlo e a tagliargli le ultime due ali ora che è salito in cielo?» chiese il giovane mago, dubbioso.
   «Non so, ma troveranno un modo. Kit e Jade sono delle tipe sveglie e Artù mi sembra un ragazzo molto preparato. Sono certo che sapranno come…»
   Il Nelwyn si ammutolì di colpo, osservando il piano che i tre stavano mettendo in atto.
   «Ma che diamine stanno combinando?!»
 
***
 
   «Mi sento stupida.» disse Jade, guardando Kit con un’espressione indecifrabile.
   «Questo perché stiamo facendo una cosa stupida!» replicò l’altra, sbuffando.
   «Niente affatto.» ribatté Artù. «È strategia.»
   «Strategia?» chiese Kit con ironia. «È mezz’ora che siamo stesi per terra a guardare il cielo! Che genere di strategia sarebbe questa?»
   Subito dopo che il Leviatano aveva ripreso il volo, Artù aveva spiegato alle due ragazze l’idea che gli era venuta in mente. Per attuarla, però, i tre avevano dovuto rinfoderare le armi e sdraiarsi supini sul terriccio, in attesa.
   «Sentite, dovete fidarvi di me. Del resto, io l’ho fatto con voi.»
   «Sì, ma questo piano non ha senso! Cosa dovrebbe succedere mentre aspettiamo qui schiena a terra? Il Leviatano vedrà quanto siamo ridicoli e ci farà la cortesia di scendere?! Perché non credo proprio!»
   Artù scosse la testa, contrariato.
   «Si vede che non siete esperte di caccia. Secondo voi, perché è scappato?»
   «Perché gli abbiamo tagliato quattro ali?» azzardò Jade.
   «Sì, ma soprattutto perché ha avuto paura di noi. Era in difficoltà ed ha agito d’istinto. Trovandosi in una situazione di svantaggio, è fuggito prima di soccombere.»
   «Non riesco a capire come questo spieghi quello che stiamo facendo.»
   «L’unico modo per farlo tornare a terra è fargli credere che sia lui ad essere in vantaggio. Sono sicuro che se ci vedrà indifesi e con il cristallo colmo di magia che tanto desidera, prevarrà il suo istinto da predatore e ci attaccherà alla prima occasione.»
   «Ma se non ha gli occhi, come farà a vederci?» osservò Jade, perplessa.
   «Va bene, allora ci “percepirà”, suppongo.» si corresse Artù. «Non so cosa usi quella creatura per muoversi o cacciare, ma qualsiasi cosa sia, la utilizzerà per venirci a prendere, ne sono sicuro. Se avremo pazienza, lo constateremo con i nostri occhi.»
   «Sì, ma potrebbero passare ore o giorni prima che accada. Non lo sappiamo per certo.» protestò Kit.
   «Invece, no!» intervenne Jade, indicando in alto. «Sembra che il piano stia funzionando!»
   Il Leviatano, infatti, aveva smesso di volare in cerchio e si stava dirigendo in picchiata verso di loro.
   «Accidenti!» esclamò Kit, allarmata. «Meglio se ce ne andiamo da qui.»
   «No, rimanete sdraiate!» disse subito Artù. «Se ci muoviamo adesso, lui punterà uno di noi e questo sarebbe spacciato. Dobbiamo aspettare.»
   «Ma esattamente quanto dobbiamo aspettare?» domandò Jade, guardando come il Leviatano si faceva sempre più vicino.
   «Ancora un po’. Ve lo dirò io quando sarà il momento e, a quel punto, voi dovrete spostarvi con quanta più rapidità potete. Tutto chiaro?»
   Sia Jade che Kit annuirono. Entrambe erano scettiche riguardo a quel piano, ma si fidavano di Artù quel tanto che bastava per dargli ascolto. Così attesero ancora qualche secondo immobili, sudando freddo, ma senza distogliere lo sguardo dalla creatura.
   «Ora!» gridò Artù, rotolando di lato e scansandosi appena in tempo.
   Allo stesso modo fecero anche le due ragazze, allontanandosi dalla presa del Leviatano un attimo prima che questo le graffiasse coi suoi artigli.
   «E adesso?» chiese Kit, sguainando la spada.
   «Accerchiamolo e tagliamo le ultime due ali.» istruì Artù, imitandola.
   Però, prima che potessero fare alcunché, la creatura emise un ruggito spaventoso e, con estremo vigore, girò in cerchio, colpendo tutti e tre con la propria coda. Mentre Artù e Kit vennero sbalzati a terra, Jade riuscì abilmente a rimanere in piedi. L’impatto, tuttavia, le fece volare via l’arma che aveva in mano. Questo, purtroppo, la rese il successivo bersaglio del Leviatano, che senza remore si apprestò ad attaccarla ancora.
   «Gyaaarraaar!» ruggì la bestia, dispiegando le sue ali. Da esse fuoriuscì una specie di raggio ombroso che investì Jade e la paralizzò sul posto. Poi, l’essere allungò una zampa verso di lei, tentando di afferrarla per rubarle l’energia vitale.
   In quel momento, però, Kit, spada alla mano, si rialzò di scatto e si frappose tra i due, parando per un pelo il colpo.
   «Non le farai del male!» urlò, digrignando i denti per lo sforzo. Dopodiché, con una spinta poderosa, si spostò di lato e calò un altro fendente sulla zampa tesa in avanti, mozzandola.
   «GRRRROOOAAAR!!»
   L’urlo altisonante del Leviatano riecheggiò in tutta la foresta come un tuono nella tempesta. Senza smettere di ruggire, la bestia si alzò di nuovo in volo, pronta ad allontanarsi.
   «Eh, no!» esclamò Artù. «Stavolta, non vai da nessuna parte!»
   Il giovane re, così dicendo, gli saltò in groppa, impedendogli di sollevarsi in cielo. Il Leviatano, accortosi troppo tardi delle sue intenzioni, non poté fare altro che dimenarsi, cercando di fargli perdere l’equilibrio.
   «Ragazze! Sbrigatevi! Tagliategli un’altra ala! Non potrà più volare se gliene rimarrà soltanto una!» gridò Artù, tentando come poteva di aggrapparsi alle scaglie della creatura.
   «Va bene. Ci pensiamo noi.» ribatté Jade sicura.
   Kit, intanto, osservò perplessa la distanza che il Leviatano aveva percorso da terra. Sembrava troppa per poterci arrivare.
   «Come pensi di fare?» le chiese la ragazza. «È salito troppo in alto.»
   Jade scrollò le spalle.
   «Forse ho un’idea. Tu dammi la mano.»
   «Perché? Che vuoi fare?» domandò Kit, allungando il braccio verso di lei.
   Jade glielo afferrò con entrambe le mani, sorridendo.
   «Faccio volare anche te.» disse, mentre iniziava a vorticare su se stessa, tenendo salda la stretta.
   «Uooohh! Aspetta!» esclamò Kit, trascinata dalla presa dell’altra.
   Quando ebbero fatto diversi giri in tondo, Jade fece forza su gambe e braccia e le diede una spinta verso l’alto.
   «Vai!»
   A quel punto, Kit venne sbalzata all’insù, in direzione del Leviatano, che ancora si divincolava con fare forsennato. Quando gli fu vicino, cercò di non badare al giramento di testa e caricò un fendente di spada a mezz’aria che tranciò di netto l’ala destra della bestia. Subito dopo, cadde a terra.
   «Bravissima!» le disse Jade, andando a soccorrerla.
   «Gr-ra-azie…» replicò Kit, vedendo tutto doppio dalle vertigini. «La prossima… v-volta… avvisami p-prima, però…»
   «Gyyayayayayar!»
   Intanto, Il Leviatano franò inevitabilmente al suolo, con Artù che saltò via appena in tempo dalla sua groppa per evitare di rimanere ferito. Dopo una capriola, si rimise subito in piedi e gli si fiondò nuovamente contro.
   Slash!
   Prima ancora che la creatura si ridestasse, con un colpo netto gli tagliò l’ultima ala.
   «GYYAARAR!»
   «Sì!» esultò il re, soddisfatto.
   Il Leviatano emise un boato immane, tanto era il dolore che provava per quella perdita. A differenza delle altre cinque volte in cui aveva perso un’ala, ora sembrava che la sua agonia fosse maggiore, più intensa, come se quel male dipendesse da qualcos’altro. A comprova di ciò, il suo colore iniziò a sbiadirsi, quasi a spegnersi completamente e gran parte delle scaglie del dorso caddero al suolo avvizzite; gli artigli si smussarono, così come le sue zanne, e la coda si restrinse di oltre la metà.
   Ciò che restava del Leviatano era una figura gracile e rinsecchita, quasi morente.
   Però, se da una parte tutto dava l’impressione che fosse finita, dall’altra il ringhio che ne seguì fece capire che la creatura non si era ancora data per vinta.
   «Grrrooarr!»
   Da quel ruggito uscì tutto il suo tormento, tutta la sua furia, tutta la sua disperazione. Con una forza disumana, si avventò con le fauci sul collo di Artù. Quest’ultimo, però, si era già preparato a colpire, indifferente alla situazione di pericolo. Con calma ed esperienza, ignorò i versi intimidatori che riecheggiavano nell’aria e mirò con attenzione alla parte sinistra del dorso della bestia, avendo in mente un unico pensiero: ora che i poteri del Leviatano erano svaniti, era finalmente vulnerabile. Adesso, poteva morire.
   Il giovane sovrano stava per sferrare l’attacco, quando sentì d’un tratto una voce rimbombargli in testa. Una voce, in effetti, molto familiare ed incredibilmente simile a quella di Merlino.
   “Il suo cuore è a destra, non a sinistra.”
   Quelle parole gli risuonarono come se il suo servitore, o chiunque le avesse pronunciate, fosse lì accanto a lui. Alla fine, non seppe per quale motivo, ma gli diede ascolto. Così, aggiustò di poco la mira ed affondò il colpo.
   Il Leviatano venne trapassato dalla spada di Artù e si accasciò a terra, con la bocca ancora spalancata ma senza emettere nemmeno un suono. La sua pelle si tramutò d’improvviso in pietra, così come i suoi artigli. Poi, un po’ per volta, si sbriciolò in migliaia di pezzi, dissolvendosi nell’aria e sparendo lentamente dalla vista del re.
   «Ben fatto, Artù!» esclamò Kit, sorridente, di fianco a Jade.
   «Anf…Grazie. Anf…» ribatté lui, asciugandosi il sudore dalla fronte. «Ma siete state brave anche voi, ragazze.»
   Ce l’avevano fatta. Il Leviatano era morto e Camelot era salva ancora una volta.
   «Oh!» sussultò Jade, mettendosi le mani nei capelli. «Boorman! Dobbiamo andare a vedere come sta!»
   «Ah, già. Me ne ero dimenticata.» replicò Kit, sarcastica.
   Jade le diede un colpetto sul braccio.
   «Non essere dura! In fondo, è anche merito suo se abbiamo vinto.»
   «Sì… può darsi.» convenne Kit.
   «Tranquille, sono qui.»
   Improvvisamente, dalla voragine spuntò fuori una testa. Poi, l’uomo si aggrappò con fatica al terreno e ne uscì fuori completamente, stanco e stremato, a giudicare dal fiatone che aveva. La cosa che spiccava inequivocabilmente più di ogni altra era la condizione pietosa in cui era ridotto. In un primo momento, gli altri neanche lo riconobbero per quanto era sporco da capo a piedi. Anche la barba e i capelli erano ricoperti da una strana sostanza scura e appiccicosa. Ma alla fine, guardandolo meglio, non poterono che tirare un sospiro di sollievo.
   «Boorman! Sei vivo!» esclamò Jade, rincuorata.
   «Così sembra…»
   «Come stai? Sei ferito?»
   «Ehm, no…» rispose Boorman, tentennante. «La caduta è stata tremenda, ma per fortuna sono finito sul… morbido.»
   Una volta che fu vicino ai tre, Kit trattenne a stento un conato di vomito.
   «Bleah! Ma cos’è quella roba che hai addosso?! Fango?»
   Boorman si diede una rapida occhiata, titubante.
   «Io… spero proprio di sì…»
 
   Nel frattempo, Willow, Elora e Merlino andarono incontro al gruppo. Mentre i primi due si sincerarono delle condizioni dei loro amici, il mago si avvicinò ad Artù.
   «Come state?»
   «Bene, tutto sommato.»
   «Avete visto?! Ce l’abbiamo fatta!» esclamò con gioia il servitore.
   «Abbiamo?» ripeté Artù con un sopracciglio alzato. «E sentiamo: tu cosa avresti fatto?»
   «Oh, beh, io…» borbottò Merlino, incerto su cosa rispondere. «Ho fatto ciò che vi avevo promesso: vi ho coperto le spalle.»
   «Da dietro un cespuglio?» chiese Artù, scettico.
   «Esatto!» confermò l’altro. «Mentre voi combattevate contro il Leviatano, io mi assicuravo che nulla vi avrebbe infastidito. È stato un bel lavoro di squadra!»
   Artù fece per controbattere, ma poi si fermò. Gli rivennero alla mente le parole udite prima di dare il colpo di grazia al Leviatano.
   «No. Non può essere…» mormorò tra sé, scuotendo la testa con decisione.
   «Cosa?»
   «No, niente. È stata una giornata difficile. È meglio se andiamo via, prima che debba ascoltare qualche altra tua assurdità.» sbottò, facendo però un mezzo sorriso non appena gli fu di spalle.
   Merlino sorrise a sua volta e si avviò insieme a lui e agli altri alla volta di Camelot. Ad un certo punto, però, sentì una voce.
   “Grazie, Merlino.”
   Era Kilgharrah.
   Il mago, quindi, annuì in risposta, voltandosi ad osservare l’orizzonte. Grazie alla sua magia, riuscì a scorgerlo in lontananza, mentre volava libero in cielo.
   Poi, carico di soddisfazione ed ottimismo, affiancò Artù, in cammino verso il castello.

 

Note
 
1 – Riferimento a “Willow – Il film”. Willow, per evitare di essere tramutato in maiale da un sortilegio di Bavmorda, pronuncia un incantesimo protettivo suggeritogli da Fin Raziel.

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Capitolo 14
*** Al di là del destino ***


Capitolo 14
Al di là del destino
 
   Il ritorno del re a Camelot, seguito dai suoi accompagnatori, fu festeggiato da tutto il castello. Il trionfo sul Leviatano dimostrò ancora una volta come Artù fosse un ottimo sovrano. Inoltre, segnò la fine delle riserve che alcuni membri della corte serbavano nei confronti di Willow e dei suoi amici. Il pericolo sembrava ormai acqua passata. Ciononostante, all’indomani della grande impresa compiuta nella cupa foresta di Balor, la giornata iniziò in modo convulso e frenetico, almeno per Kit, che si ritrovò a correre nei corridoi della fortezza già di prima mattina.
   «Vai piano!» esclamò Jade, mentre affrettava il passo per starle dietro.
   «Non posso!» ribatté Kit, agitata. «Artù mi ha mandato a chiamare. È probabile che abbia delle notizie su Airk!»
   «Potrebbe anche darsi che voglia solo congratularsi per il buon esito della missione di ieri.» azzardò Boorman, al fianco delle due ragazze.
   «No, non credo.» escluse Kit, sicura. «Ha convocato soltanto me, quindi deve riguardare per forza Airk. Comunque, si può sapere perché ci stai seguendo? Non hai proprio nient’altro di meglio da fare?»
   L’uomo sbuffò vistosamente.
   «Purtroppo no. Sembra che Elora e Willow abbiano delle questioni da risolvere, dato che sono spariti all’improvviso. Così, o rimanevo a dormire oppure venivo con voi a scoprire se il mio buon vecchio amico Airk stesse bene. Perciò, eccomi qui!»
   «Ma non conosci Airk da tipo… cinque minuti?» chiese Jade, perplessa.
   Boorman rimase un attimo attonito, ma poi rispose con una voce piuttosto seria.
   «Sì, ma sono stati cinque minuti molto significativi.»
   «E perché invece non ti fai un giro?» propose Kit, sbrigativa. Pur di toglierselo di torno, l’avrebbe anche pagato, se fosse stato necessario.
   «Ah, no… meglio di no…» replicò Boorman, a mezza bocca. «Non conosco bene questo posto e non mi sento molto a mio agio in mezzo a degli sconosciuti…»
   «Specialmente se hai litigato con metà di loro mentre eri ubriaco.» concluse Jade con un sorriso.
   «Beh, ma questo cosa…»
   «Zitto, Boorman!» lo ammonì Kit di colpo.
   Erano giunti di fronte all’ampia entrata, già spalancata, che dava alla sala del trono. Le due guardie poste all’ingresso videro i tre nuovi arrivati e si fecero da parte, permettendo loro di entrare. Prima di farlo, però, Kit afferrò Boorman per un braccio.
   «Se vuoi venire anche tu, non osare emettere neanche un fiato. Ci siamo capiti?»
   «Certamente!» convenne l’uomo, sorridendo. «Sembra quasi che non ti fidi di me.»
   Kit gli lanciò un’occhiata torva, poi entrò con Jade alla sua destra.
   All’interno, il re la attendeva insieme a una manciata di cavalieri e, un po’ più defilato, un giovane ragazzo dai capelli biondi.
   «Kit!» esclamò quest’ultimo, con un’espressione sorpresa.
   «Airk!» ribatté Kit, correndo ad abbracciare il fratello. «Per fortuna stai bene! Ma dove sei stato? E cosa ti è successo?»
   Airk le sorrise, evidentemente contento di vederla, ma non le rispose. Non subito, almeno. Fu Artù, infatti, il primo a parlare.
   «L’hanno trovato in una via secondaria a est, vicino al confine con Ealdor. A giudicare dal suo racconto, si stava già dirigendo verso il castello, quando è stato avvistato dai miei cavalieri, che lo hanno scortato fin qui.»
   «Sì.» confermò Airk, intento ad abbracciare anche Jade. «Sono contento di rivedervi. Gli ultimi giorni sono stati decisamente… intensi.»
   «A chi lo dici!» convenne Kit, sorridente nel constatare il fratello in buone condizioni. D’un tratto, però, le venne in mente una domanda piuttosto legittima arrivati a quel punto. «Ma, come facevi a sapere che eravamo qui, a Camelot?»
   Airk si grattò il mento, in evidente difficoltà.
   «Beh, non stavo proprio venendo qui per rincontrarvi. Sai… come ho detto… gli ultimi giorni sono stati molto…»
   «Intensi.» concluse Kit, lievemente agitata dal tergiversare dell’altro. «Sì, l’avevo capito. Quello che invece non ho compreso è tutto il resto. Mi vuoi spiegare, per favore?»
   Il ragazzo annuì, facendo una smorfia.
   «Vedi, quando sono finito fuori dal port…»
   «Ah, sì! Quando ci siamo divisi, intendi?!» intervenne Jade, cercando di non fargli rivelare l’uso della magia di cui si erano serviti per scappare dal Leviatano.
   «Sì.» disse Airk, un po’ confuso dai modi usati dall’amica. «Comunque, dicevo… sono finito in mezzo a una foresta. Lì ho vagato per diverse ore prima di imbattermi in una ragazza.»
   «Una ragazza?» ripeté Kit, accigliata.
   «Esatto.» replicò Airk, indicando a lato della stanza. Kit e Jade si voltarono, notando una fanciulla dai capelli ramati di cui fino a quel momento non si erano nemmeno accorte. «Lei è Diana. Quando l’ho incontrata, era da sola e in difficoltà. Dei manigoldi le avevano appena rubato il carro con cui stava trasportando i suoi averi. Così l’ho aiutata a recuperarli.»
   «Ah!» esclamò Kit, alzando un sopracciglio. «Che gesto nobile da parte tua.»
   «Sì, in effetti è stato molto carino a darmi una mano.» commentò Diana, un po’ in imbarazzo.
   Kit la fulminò con lo sguardo e la fece indietreggiare di diversi passi.
   «E sentiamo…» continuò. «Poi, cosa hai fatto?»
   «Beh, poi ho ritenuto opportuno accompagnare Diana a destinazione.» rispose Airk. «Lei si stava dirigendo qui a Camelot perché aveva appena trovato un lavoro. Io, non sapendo dove foste, ho pensato che fosse un buon punto di partenza raggiungere una grossa città come questa per iniziare le ricerche.»
   «Che bella storia!» disse Kit, guardando storto a turno prima Diana e poi il gemello. «Quindi, mentre io mi preoccupavo di quello che ti fosse capitato, tu giocavi a fare l’eroe con questa ragazza?!»
   «No! Che dici?!» balbettò Airk, farfugliando in modo agitato e spaventato. «Anch’io ero in pena per te e per gli altri! Proprio per questo ho chiesto a Diana di aiutarmi a trovarvi! Non puoi neanche immaginare quanto fossi preoccupato!»
   «Oh, lo immagino benissimo!» ribatté Kit, iniziando a scaldarsi. «Sono tua sorella e so come ti “intrattieni” di solito con le ragazze in difficoltà.»
   «No! Non hai capito! Io e lei ci siamo solo dati una mano reciprocamente! Nient’altro!»
   A quel punto, sir Galvano sogghignò, divertito.
   «Beh, a giudicare da quello che ho visto quando vi abbiamo trovati, io direi che vi stavate dando più “di una mano”!»
   A quelle parole, Parsifal sbottò a ridere senza controllo. Kit, invece, si avvicinò ad Airk come una furia e gli mollò uno scappellotto sulla testa, piegandogliela in avanti.
   «Ahi!» protestò lui, dolorante.
   «Noi abbiamo rischiato la vita in questi giorni! E tu, nel frattempo, ti rotolavi nell’erba con questa qui?!»
   «No, aspetta! Non è come pensi!» si giustificò il ragazzo, lanciando uno sguardo accusatorio a Galvano e Parsifal per averlo tradito.
   Kit, intanto, stava per dargli un altro schiaffo, quando le si avvicinò Jade.
   «Calmati, Kit. Approfondiremo la questione più in avanti.» disse, cercando di farla ragionare.
   «Già!» intervenne Boorman, fino a quel momento in completo silenzio. «In fondo, non ha fatto nulla di male! Si è solo divertito un po’. Beato lui!»
   Kit lo guardò male, tanto da zittirlo. Poi, smaneggiò con un braccio verso la grande entrata.
   «Andate fuori!» esclamò, quasi urlando. «Tutti e due! Ne riparliamo dopo!»
   Airk non se lo fece ripetere due volte e corse verso l’uscita, mentre Boorman rimase sul posto, confuso.
   «Aspetta un momento. Io che c’entro?»
   Un’ennesima occhiataccia di Kit, però, fu sufficiente a farlo smuovere da lì e a seguire i passi di Airk. Quando entrambi i ragazzi furono fuori dalla stanza, lei si ricompose e si rivolse con un po’ d’imbarazzo ad Artù.
   «Vi chiedo scusa per la scenata e vi ringrazio per aver ritrovato mio fratello… nonostante tutto.»
   «Non preoccuparti.» replicò il re, sopprimendo a stento una risata e congedando al contempo con un gesto i suoi cavalieri, con Diana al seguito. «È sempre bello vedere fratello e sorella riuniti. Però, non essere troppo dura con lui. Prima che tu arrivassi, era molto scosso e agitato. Non riusciva a credere che fossi qui al castello.»
   Kit annuì, in parte stupita, in parte ancora arrabbiata.
   «Va bene. Lo terrò a mente.»
   «Bene.» continuò Artù. «A questo punto, dato che si è tutto risolto nel migliore dei modi… più o meno… colgo l’occasione per invitare te e i tuoi amici al banchetto che si terrà stasera in onore della vittoria appena conseguita.»
   «Vi ringrazio, Artù, ma temo che dovremo rifiutare.» replicò Kit, dispiaciuta. «Visto che abbiamo ritrovato Airk, credo sia più saggio per noi incamminarci verso casa. È da molto che manchiamo.»
   Il re annuì, anche se a malincuore.
   «Comprendo perfettamente la tua posizione. Tuttavia, speravo che poteste festeggiare con noi la realizzazione di una grande impresa come questa. L’aiuto tuo, di Jade e di tutti gli altri è stato fondamentale e mi avrebbe fatto piacere dimostrarvi il mio apprezzamento in tal senso.»
   «Lo so, ma abbiamo delle questioni urgenti da sbrigare al più presto. Inoltre, dobbiamo informare mia madre del salvataggio di Airk.»
   «Capisco.» convenne Artù. «In fondo, è giusto così. Data la posizione che occupiamo, il destino di Camelot e di Tir Asleen è nelle nostre mani. A volte, ci sono degli obblighi a cui non possiamo sottrarci e che ci portano inevitabilmente a farci carico di numerose rinunce. Rinunce necessarie per svolgere al meglio i compiti che abbiamo nei confronti del popolo che serviamo.»
   «È vero. Anche se devo ammettere che senza l’aiuto delle persone a cui tengo, non credo che sarei mai riuscita a fare neanche un passo nella giusta direzione.» commentò Kit, sorridendo di sfuggita a Jade, che ricambiò il gesto, arrossendo.
   Artù fissò per un momento il vuoto, tentennante.
   «Hai… proprio ragione.» disse, assorto dai suoi pensieri.
   In quell’istante, Jade si avvicinò a Kit e le mise delicatamente una mano sulla spalla.
   «Senti, Kit, siamo via da Tir Asleen da molti mesi ormai. So che è importante tornare al più presto, ma non credo che un giorno in più possa fare molta differenza.»
   La giovane principessa rimase per un attimo perplessa, soppesando le parole dell’altra.
   «Va bene.» acconsentì dopo averci riflettuto. «Suppongo che possiamo rimandare la partenza di un giorno.»
   Artù si ridestò dal suo stato di trance, tanto stupito quanto soddisfatto.
   «Molto bene. Allora, sarà un onore avervi miei ospiti.» disse, con un tono più disteso.
   «L’onore sarà reciproco.» ribatté Kit, decisa. Poi, con un cenno del capo, salutò l’altro, avviandosi con Jade fuori dalla stanza. Nel frattempo, Artù le guardò uscire, ripensando ancora alla frase che la ragazza aveva pronunciato poco prima.
   «Le persone… a cui tengo…»
 
***
 
   Con molta discrezione, Elora varcò la porta delle cucine e si mise a osservare il grande via vai che c’era lì intorno. Dopo poco, riuscì a trovare in mezzo a quel caos la persona che stava cercando e le si avvicinò a testa bassa e con enorme disagio.
   «Ehm… Gwen…» esordì, titubante.
   La serva, impegnata a dare indicazioni a una giovane dai capelli ramati, si girò verso di lei e le rivolse uno sguardo di rimprovero.
   «Prima che tu dica qualcosa…» continuò Elora. «… voglio che tu sappia che mi dispiace e che…»
   La ragazza, però, smise di colpo di parlare, vedendo come l’altra si era precipitata ad abbracciarla affettuosamente.
   «Non ti preoccupare. Artù mi ha detto tutto.» disse Gwen, sciogliendo l’abbraccio.
   «Davvero?» chiese Elora stupita. «Allora non sei arrabbiata con me per averti ingannata?»
   «Beh, lo ero, all’inizio. Ma poi ho capito il motivo per cui lo hai fatto. Non deve essere stato facile per te ritrovarti da sola in un posto sconosciuto.»
   «Sì, ma sono mortificata per averti mentito. Ci tenevo tanto a dirtelo.»
   Gwen le accarezzò il viso, sorridendo.
   «Sei una brava ragazza. L’ho pensato sin dal primo momento che ti ho visto e lo penso ancora. Non importa quale sia il tuo nome.»
   Elora le sorrise di rimando, contenta di aver chiarito la situazione in così breve tempo. Pensò inoltre a quanto fosse ironico il fatto che nell’ultimo anno era stata chiamata con ben quattro nomi diversi1.
   «Grazie.» disse, guardandosi intorno d’un tratto confusa. «Ma, spiegami una cosa: perché c’è tutto questo trambusto?»
   «Oh, è a causa del banchetto che ha indetto il re per stasera. C’è un mucchio di cose da fare e, come se non bastasse, Audrey si è ammalata e non può svolgere le sue mansioni. Siamo veramente messi male.»
   «Capisco…» ribatté Elora, sfilando dalla tasca un fazzoletto e legandoselo in testa.
   «Che fai?» le chiese Gwen, vedendola armeggiare con alcune scodelle.
   «L’hai detto tu: c’è un mucchio di cose da fare. Quindi, incomincio subito.»
   «Ma… non sei costretta a farlo…»
   «Invece, sì. Se un’amica ha bisogno del mio aiuto, io non mi tiro di certo indietro!»
   Gwen la fissò incredula. Quando le fu chiaro che l’altra faceva sul serio, si rimboccò anche lei le maniche.
   «Va bene. Allora, tu occupati della gestione della cucina. Io vado a controllare che la servitù non abbia problemi con l’allestimento del salone.»
   «Certo!» esclamò Elora, completamente a proprio agio. «Vai tranquilla. Qui ci penso io.»
   Gwen stava per andarsene, quando tornò improvvisamente sui suoi passi.
   «Un’ultima cosa.»
   «Sì?»
   «Grazie di cuore… Elora
 
***
 
   Nel frattempo, lungo un corridoio del castello, Airk e Boorman rimuginavano sugli ultimi accadimenti.
   «Quindi, avete dovuto combattere contro… com’è che si chiamava?»
   «Leviatano.» rispose Boorman, camminando con le braccia incrociate dietro la testa.
   «Accidenti! Non ve la siete passata bene.» commentò Airk, stupito.
   «Già!» convenne l’uomo, leggermente infastidito. «Mentre tu ti “intrattenevi” con quella dolce fanciulla, noi facevamo a fette una bestia immonda. Dovresti…»
   «Vergognarmi, sì, lo so!» concluse Airk, dispiaciuto e con l’umore a terra.
   «No!» sbottò Boorman, d’un tratto. «Dovresti ringraziare la tua fortuna sfacciata! Il portale poteva spedirti da qualsiasi altra parte e, invece, ti ha gettato tra le braccia di una bella ragazza!»
   «Ah, quindi non sei arrabbiato con me?»
   «Beh, no… anzi, un po’ sì! Io sono finito nelle grinfie di una sadica fuori di testa! Quasi mi ha fatto rimpiangere le caverne dei Troll…»
   Airk annuì, parzialmente rincuorato. Tuttavia, la sua espressione mogia non passò indifferente agli occhi del caccia-tesori.
   «Perché quel broncio? Alla fine, si è risolto tutto per il meglio: tu sei salvo, il Leviatano è morto e possiamo tornarcene a casa.»
   «Sì, ma temo la reazione di Kit. L’ho vista molto arrabbiata.»
   «Oh, sì. Te la farà pagare cara.» confermò Boorman mesto. «Ma, almeno hai evitato lo scontro mortale contro il Leviatano. È già qualcosa, no?»
   «Non so… Adesso, preferirei vedermela con lui piuttosto che con Kit…»
   Boorman sbuffò, sovrappensiero.
   «Vediamo… Da una parte ti troveresti davanti un mostro senza scrupoli…» valutò, soppesando la faccenda. «… mentre dall’altra una creatura mitologica molto pericolosa. In effetti, sarei in dubbio anch’io.»
   Airk sbottò a ridere. Poi, si fermò a guardare alcuni membri della servitù mentre decoravano un grande salone a festa. Tra di loro, notò una giovane serva dai capelli scuri intenta a lanciargli degli sguardi evasivi e un sorrisetto piuttosto malizioso.
   «Lascia perdere.» intervenne Boorman, prima che il ragazzo potesse ricambiare l’interesse mostrato. «Abbiamo fatto talmente tanta fatica a salvarti dalla Megera che mi dispiacerebbe vederti ucciso da tua sorella.»
   Airk deglutì, improvvisamente impaurito.
   «Sì, hai… ragione.»
   «E poi non è questo l’approccio migliore per conquistare una donna.»
   «Ah, no?»
   «Certo che no! Devi essere un po’ meno diretto e molto più misterioso. Fidati, so quello che dico.»
   Airk aggrottò le sopracciglia, perplesso.
   «Non saprei… Sai, anche io ho una discreta esperienza in merito.»
   «Sì, le tue “prodezze” sono arrivate anche alle mie orecchie. Ma qui è diverso. Non puoi avvalerti del tuo titolo di principe del regno, quindi devi esser più cauto.»
   «D’accordo. E, sentiamo, quale sarebbe il metodo “giusto”?»
   Boorman sogghignò, guardandosi intorno. Poi, dopo aver scrutato per bene ogni ragazza nei paraggi, annuì convinto.
   «Bene. Ti faccio vedere. Un esempio pratico è sempre la soluzione migliore.»
   Così dicendo, si avvicinò a una serva che stava trasportando una cesta piena di tovaglie.
   «Posso aiutarti?» le chiese, sfoggiando un sorriso a trentadue denti. «Sembra molto pesante.»
   La ragazza lo guardò per un attimo con diffidenza.
   «Ci conosciamo?»
   «No, ma possiamo rimediare subito.» replicò l’uomo, facendo un rapido inchino. «Thraxus Boorman, umile avventuriero e grande cacciatore di creature leggendarie. Al tuo servizio!»
   La ragazza fece una smorfia di disapprovazione.
   «Il mio nome è Ginevra. Umile serva… e basta.» replicò stizzita, rimettendosi a camminare. «Comunque, no, grazie. Ce la faccio da sola.»
   Boorman accusò il rifiuto, ma non si diede per vinto e le corse dietro.
   «Sicura? Perché mi farebbe piacere aiutarti. Io…»
   «Grazie.» lo interruppe Ginevra. «Ma adesso ho da fare. Addio.»
   Poi, si allontanò accelerando il passo. A quel punto, Airk affiancò l’uomo.
   «Non mi sembra che sia andata bene.»
   «Ma che dici?! È andata molto bene, invece!» sbottò Boorman, sicuro. «Vieni a vedere se non mi credi!»
   Poi, prese Airk per un braccio e lo trascinò fino alla svolta di un corridoio che aveva imboccato la ragazza. Lì, si fermarono a osservare la scena.
   Ginevra si era fermata a riposare, posando la cesta sul pavimento, mentre fissava immobile fuori dalla finestra.
   «Vedi?» domandò Boorman, indicandola.
   «Cosa, esattamente?» chiese Airk, confuso.
   «Ma non è ovvio?!»
   «No…»
  «Non vedi come è colpita?! Sta guardando l’orizzonte, pensando al bellissimo e misterioso uomo che ha incontrato un attimo fa. È rimasta talmente ammaliata che non riesce a togliersi dalla testa la mia immagine!»
   A un certo punto, da una stanza di quel corridoio uscì Artù. Questo, senza indugio, si avvicinò con decisione alla serva e, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno nei paraggi, la baciò intensamente. Ginevra rimase sbigottita per un breve momento, ma poi ricambiò il bacio con altrettanta passione.
   «Che dici? Starà pensando a te anche adesso?» chiese Airk, scoppiando a ridere.
   Boorman sbuffò contrariato. Poi, girò i tacchi e si allontanò dal corridoio imprecando.
 
***
 
   Nell’alloggio del medico di corte, Willow sedeva assorto su uno sgabello. Stava leggendo con molta attenzione un libro piuttosto malmesso con la copertina rovinata e le pagine spiegazzate.
   «Siete sicuro che possa funzionare?» chiese il Nelwyn, alzando lo sguardo verso Gaius.
   Quest’ultimo era impegnato a selezionare alcune ampolle che aveva riposte in uno scaffale.
   «Assolutamente.» confermò con un cenno del capo, ma senza voltarsi. «Dalle mie ricerche risulta che ci sono ottime possibilità che l’incantesimo funzioni e che vi possa riportare a casa. Comunque, è tutto scritto nel volume che state leggendo.»
   «In effetti, è così.» asserì Willow, riprendendo la lettura. «Secondo questo alchimista di nome Malory, gli incantesimi di natura eterea agiscono seguendo il significato intriso nelle parole pronunciate. Basandosi su questa teoria, si può affermare che il loro potere ha anche una denotazione a specchio. Ovvero…»
   «Invertendo l’ordine delle parole dell’incantesimo, si inverte anche il suo utilizzo.» concluse l’anziano medico, infilando alcune fiale in una sacca posta sul tavolo.
   «Esatto.»
   «Quindi, se consideriamo vera la classificazione di Taliesin sul “portale di Túatha” come “incantesimo etereo”, dovremmo avere la soluzione al nostro dilemma.»
   Willow annuì, concorde.
   «Studio la magia da molti decenni ormai, ma rimango stupito ogni volta dalla sua immensa complessità. Da ragazzo sognavo di essere un potente stregone e di poter arrivare a scagliare incantesimi a destra e a manca, ma col tempo mi rendo sempre più conto che il termine stesso di “stregone” significa tutt’altro.»
   A quel punto, il Nelwyn si alzò in piedi.
   «La magia è solo una parte. Per essere un vero stregone bisogna guadagnare una conoscenza e una saggezza senza eguali.»
   «Sono d’accordo.» replicò Gaius, aggiungendo dentro alla sacca delle garze e alcune erbe medicinali. «Anch’io da giovane avevo una concezione più svagata sull’uso della magia. Inutile dire che ho dovuto ricredermi con gli anni.»
   Willow sorrise amaro, con la mente rivolta ai tempi andati. Dalla prima volta che aveva pronunciato un incantesimo era passato molto tempo, ma lo ricordava come se fosse stato soltanto il giorno prima. Grazie ai consigli di Fin Raziel era riuscito ad apprendere le basi della magia. Tuttavia, capiva che, nonostante la sua età, la strada per diventare un potente stregone era ancora lunga.
   «Bene.» annunciò Gaius, stringendo a dovere le fibbie della borsa. «Ho finito.»
   «Scusatemi se ve lo chiedo, ma siete in partenza?» chiese Willow, incuriosito.
   «Purtroppo sì. Il re mi ha raccomandato di visitare i cacciatori attaccati dal Leviatano l’altro giorno. Anche se ne sono usciti illesi, teme che possano esserci delle complicazioni in seguito.»
   «Capisco, ma perché avete preparato un bagaglio così grande? Non sono un medico o un guaritore, ma dubito vi servirà tutto quello che avete messo dentro.»
   Gaius si rabbuiò, mettendosi a sedere.
   «Il villaggio in cui abitano dista quasi mezza giornata da Camelot. Se dovessero esserci dei problemi, impiegherei troppo ad andare e tornare da lì. È bene essere previdenti.»
   «Avete ragione.» ribatté Willow, annuendo. «E, a proposito di essere previdenti, è meglio se comunico la vostra scoperta agli altri. Così, potremo organizzare il viaggio che ci aspetta domani.»
   «Buona idea.»
   «Bene, allora a dopo. Vi aspetto alla festa.»
   Il medico di corte scosse il capo, dispiaciuto.
   «Sfortunatamente, temo che non parteciperò alla festa indetta dal re. Come vi dicevo, domattina dovrò incamminarmi molto presto. Alla mia età non è saggio mettermi in viaggio senza aver riposato a sufficienza.»
   Willow annuì, anche lui dispiaciuto.
   «Quindi, se questa sera non sarete alla festa e domani dovremo partire entrambi… significa che questo è un addio.»
   «Temo di sì.»
   Il Nelwyn s’intristì all’improvviso. Non se lo aspettava, ma era oltremodo rammaricato dal dover salutare il vecchio medico. Nei pochi giorni che era stato a Camelot si era affezionato molto a lui.
   «Allora, vi saluto e vi auguro buona fortuna per tutto.» disse, con un groppo alla gola.
   «Anche a voi, Willow. Ho apprezzato il tempo passato insieme e sono contento di esservi stato di aiuto. Spero vivamente di rincontrarvi, un giorno.»
   Willow gli sorrise con un’espressione malinconica. Poi, prima di avviarsi verso la porta, si avvicinò a Gaius e lo abbracciò calorosamente.
   «Abbi cura di te, amico mio.»
   Gaius ricambiò l’abbraccio per un interminabile momento. Poi, lo sciolse e rivolse all’altro un sorriso triste ma affettuoso.
   «Arrivederci a presto, Willow.»

 
 
Note
 
1 – Prima di essere scambiata per Diana, nel corso della serie Elora viene chiamata con molti nomi: Brunhilde, il nome che credeva di avere sin dalla nascita; Dove, il soprannome datole da Airk quando erano soli; Elora, il suo vero nome.

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Capitolo 15
*** Due regni ***


Capitolo 15
Due regni
 
   La sera arrivò presto e con essa anche la magnifica festa indetta dal re in persona. La sala dei banchetti era stata adornata in grande stile per l’evento. Per tutta la giornata i servitori del castello avevano lavorato sodo, ma alla fine il risultato aveva lasciato gli invitati a bocca aperta.
   «Guarda quanta roba da mangiare!» esclamò Jade, entrando nel sontuoso salone al fianco di Kit. Entrambe indossavano degli abiti di seta scuri, molto eleganti e decisamente troppo appariscenti, almeno per i loro gusti. Tuttavia, erano un regalo del re, quindi li avevano accettati di buon grado per non fare uno sgarbo al loro anfitrione.
   «Ehi, Kit?» continuò Jade, fissando l’altra. «Che ne pensi?»
   «Sì… hai ragione…» rispose questa, senza prestare particolare attenzione. Sembrava avesse qualcos’altro per la testa, a giudicare da come spostava con frenesia lo sguardo da una parte all’altra dell’intero salone.
   «Che hai?» le chiese Jade, preoccupata. «Chi stai cercando?»
   «Airk.» rispose Kit, continuando a guardarsi intorno. «Non lo vedo da quando abbiamo parlato con Artù stamattina. Credo che mi stia evitando.»
   «Chissà perché?!» replicò la giovane cavaliere con ironia. «Forse, ma è solo un’ipotesi, c’entra la scenata che gli hai fatto davanti a tutti quanti.»
   «Se l’è meritata!» ribatté Kit, stizzita. «Si è comportato male! Cosa si aspettava che gli avrei detto?! “Bravo per esserti divertito con quella ragazza”?!»
   «Non sappiamo com’è andata. Magari non è successo niente.»
   Kit alzò un sopracciglio, poco convinta. Anche Jade annuì in risposta, pensando a quanto quell’eventualità fosse poco probabile.
   «Ehi, ragazze!» esclamò all’improvviso Boorman, sbucando alle loro spalle. In una mano teneva in equilibrio un grosso vassoio pieno zeppo di cibo mentre con l’altra afferrava saldamente una specie di panino gigantesco.
   «Ciao, Boorman.» lo saluto Jade, stranita. «Che stai mangiando?»
   L’uomo scrollò le spalle.
   «Non lo so…» disse, addentando un bel pezzo di pane. «Bwah è ffuonnoo…»
   «Cosa? Che hai detto?»
   Boorman finì in fretta di masticare e inghiottì.
   «È buono.» ripeté, porgendo il vassoio verso le due ragazze. «Volete?»
   Entrambe scossero la testa con vigore, schifate.
   «No, grazie. Preferisco prendere qualcosa dove non ci hai mangiato dentro.» asserì Kit, convinta.
   «Va bene. Peggio per voi.» ribatté l’uomo, continuando a ingurgitare con voracità.
   «Accidenti, Boorman! Sembra che non mangi da settimane!» commentò Jade, disgustata.
   «Domani dobbiamo ripartire e non so quando avremo l’occasione di fare di nuovo un pasto decente. Meglio approfittarne finché si può!»
   «Fa’ come ti pare.» aggiunse Kit, sbrigativa. «Ma, possibilmente, cerca almeno di non farci fare altre brutte f…»
   «Buuuurrp!»
   Prima che la ragazza terminasse la frase, Boorman ruttò rumorosamente.
   «… appunto.»
   Due donne a pochi passi da loro erano sobbalzate dallo stupore e ora gli stavano lanciando degli sguardi scandalizzati.
   «Salve!» le salutò lui, tranquillo. Poi, rivolse di nuovo la sua attenzione alle due amiche. «Che stavate dicendo?»
   «Niente…» rispose Kit, scoraggiata. Sapeva che ragionare con Boorman era quasi sempre fiato sprecato, così lasciò perdere la questione. «Piuttosto, hai visto Airk, per caso?»
   Boorman ci pensò su per qualche secondo, poi annuì.
   «Sì. Poco fa stava chiacchierando con alcuni cavalieri. Vediamo… Oh! Eccolo là!» rispose, indicando a lato della sala.
   Lì, il ragazzo stava ballando con una gamba sola sopra un tavolo, mentre una dozzina di cavalieri lo osservavano, ridendo, e gli battevano le mani a tempo, divertiti.
   Kit lo fissò, rossa in viso dalla rabbia.
   «Calmati, Kit.» le disse subito Jade, vedendo la sua reazione. «Non fare niente di avventato.»
   «Certo che no!» esclamò la ragazza, cominciando a camminare. «Vado solo a uccidere quell’imbecille del mio gemello!»
   «Aspettami!» urlò Jade, cercando di starle dietro.
   Ma fu tutto inutile. Kit partì spedita in direzione del fratello. Arrivò fino al tavolo dove stava dando spettacolo e lo afferrò per la maglia, trascinandolo giù.
   «Ehi!» protestò questo. «Che stai facendo?!»
   «Ah, “io” che sto facendo?! E tu?! Brutto idiota! Cosa ci facevi lì sopra?!»
   Airk sorrise, abbracciandola. Dall’alito, Kit capì che era completamente sbronzo.
   «Mi divertivo con… hic!... i miei amici!» disse, alzando un pugno verso i cavalieri seduti lì vicino.
   Questi ricambiarono il saluto e lo applaudirono con veemenza.
   «Sei il migliore, Airk!» gridò uno a squarciagola.
   «Grazie, Galvano!» replicò il ragazzo, facendo un inchino e scivolando per terra.
   La sorella lo aiutò a rialzarsi e lo sostenne come meglio poteva.
   «Ti ringrazio… hic!... sorellina… hic!...» disse singhiozzando. Poi, si voltò verso Jade, sorridendo. «Grazie anche a te, Jade! Hai visto? Ci stiamo divertendo come quando eravamo bambini!»
   «Sì, certo… come no…» rispose lei, nauseata dalla puzza d’alcol che emanava l’altro.
   «Andiamo!» intervenne Kit, spazientita. «Prima che debba picchiarti di nuovo davanti a tutti!»
   Airk, però, non si mosse e la guardò con entusiasmo.
   «Ehi, ma…? Vedo un’altra Kit!» gridò, mentre afferrava l’aria di fianco alla ragazza. «È una tua gemella? Oh, aspetta un momento! Se è così, è anche una mia gemella! Che bello!»
   Poi, stramazzò su una sedia, completamente addormentato. A quella scena diversi cavalieri risero di gusto. Kit non riuscì a trattenersi e gli urlò contro.
   «Che avete da ridere?! È colpa vostra se è ridotto così!»
   «Ma che dici?!» ribatté sir Galvano. «Non lo abbiamo mica costretto noi a bere!»
   «E cosa è successo, allora?»
   «Abbiamo fatto una gara di bevute e… ha perso miseramente. Capita.»
   Kit stava per controbattere, ma Jade la afferrò per una manica.
   «Aspetta! Non conviene provocare ulteriore confusione.»
   «… No… Credo tu abbia ragione.» ribatté l’altra, cambiando improvvisamente espressione. «Ma ho un’idea migliore.»
   Poi, si andò ad accomodare al tavolo dove era riuniti tutti i cavalieri.
   «Allora?» domandò Kit, fissandoli uno a uno.
   «Allora cosa?» chiese uno di questi, stupito da quel comportamento.
   «Avete detto che stavate facendo una gara di bevute. Partecipo anch’io.»
   Tutti i cavalieri rimasero di colpo in silenzio. Poi, scoppiarono a ridere senza ritegno.
   «Chiedo scusa, vostra maestà, ma non credo che questo genere di sfida sia adatto a una principessa.» disse Galvano con ironia.
   «Beh, allora sei tu quello che dovrebbe alzarsi.» replicò Kit, piccata.
   Tutti attorno a loro risero ancor più di prima, Jade compresa. Galvano, invece, sogghignò amaro tra sé.
   «Va bene. L’avete voluto voi. Se proprio avete intenzione di giocare con noi, allora giochiamo.»
   «Bene.» ribatté la ragazza. «Cosa stiamo aspettando? Iniziamo!»
   «Un attimo!» la fermò subito Galvano, mettendo le mani avanti. «Prima, dobbiamo decidere cosa scommettere. Altrimenti, non c’è gusto a giocare.»
   Kit fece spallucce, accondiscendente.
   «Come vuoi. Con Airk cosa avete messo in palio, oltre alla dignità?»
   «Con lui abbiamo scommesso il balletto che avete visto anche voi, principessa.»
   «Kit.» lo corresse lei.
   «D’accordo… Kit. Chi perdeva avrebbe dovuto… intrattenere tutti gli altri con…»
   «…una danza ridicola. Sì, ho capito. Va bene, ci sto anch’io.»
   Il cavaliere, però, scosse il capo.
   «No, stavolta dobbiamo giocarci altro. Non possiamo scommettere sempre la stessa cosa.»
   «Giocatevi le vostre spade!» suggerì un altro cavaliere.
   Kit scosse la testa, categorica, stringendo l’arma più vicina a sé. Nonostante non si abbinasse bene al vestito, l’aveva portata dietro comunque. Non se ne sarebbe privata per nulla al mondo.
   «Non posso. La mia spada è un cimelio di famiglia. Un tempo apparteneva a mio padre.»
   Per un istante, Galvano la fissò con uno sguardo triste, mentre con una mano si toccava il ciondolo appeso al collo.
   «Non importa. Tanto ho in mente qualcosa di meglio.»
   «E di cosa si tratta?»
   «Se vinco io, una volta tornata a Tir Asleen, dovrai raccontare a tutti delle grandi gesta compiute dal prode cavaliere Sir Galvano. Ogni angolo del regno dovrà essere a conoscenza della sua incredibile maestria con la spada. Inoltre, si dovrà parlare di lui, cioè di me, come del più forte guerriero che Camelot abbia mai conosciuto. Non dimenticando…»
   Kit ascoltò tutto lo sproloquio senza fiatare, pensando a come l’uomo di fronte a lei fosse molto simile sotto certi aspetti a quel testone di Boorman.
   «E se vinco io?»
   «In tal caso…» rispose Galvano, frugando nelle tasche. «Avrai l’onore di possedere questa!»
   Così dicendo, posò sul tavolo una moneta.
   «Una… moneta d’oro?» chiese Kit, perplessa.
   Il cavaliere la fissò offeso.
   «Questa non è una semplice “moneta d’oro”!» replicò stizzito. «È la “moneta della vittoria”!»
   «Che?!» domandò Jade, seduta di fianco a Kit.
   «La moneta della vittoria.» ripeté Galvano con ovvietà. «Questa moneta ha accompagnato alcuni di noi cavalieri per anni. La trovò tempo fa sir Elyan durante una missione, e da allora ha sempre portato fortuna a chiunque la recasse con sé. Vedete questa incisione?»
   A quel punto, Galvano avvicinò la moneta alle due ragazze, mostrando loro un graffio a forma di “V” impresso su un lato.
   «E… allora?!» intervenne di nuovo Jade, scuotendo la testa.
   «Come “e allora”?!» insistette Galvano, sicuro. «Questa moneta è speciale! Dovreste essere grate se la metto in palio. Non vorrei farlo, ma è tradizione per noi cavalieri giocarcela a sorte. È così che l’ha vinta sir Randall, poi sir Ganariel, poi sir Marcus, poi sir Calior e infine è arrivata a me.»
   Kit e Jade si guardarono perplesse. Non lo dissero ad alta voce, ma trovavano i modi di quei tipi molto strani.
   «Per caso, non è che è magica?» azzardò Kit, con tono incerto.
   «Assolutamente no!» ribatté Galvano, inorridito da quell’eventualità. «La magia non c’entra niente con la fortuna!»
   Kit annuì per chiudere in fretta la questione. Era convinta che in realtà quella fosse una comune moneta d’oro, ma preferì tenerselo per sé per non offendere l’uomo con cui stava parlando.
   «Allora, ci stai?»
   La principessa fissò prima la moneta e poi il cavaliere.
   «Sì, va bene.»
   «Ottimo! Cominciamo!»
 
***
 
   Intanto, nella sala dei banchetti, ogni invitato si stava godendo la serata, chiacchierando amabilmente oppure assaggiando con gusto le pietanze che le cucine reali avevano preparato apposta per l’evento. Tuttavia, nessuno sembrava essere in grado di godersi il buon cibo più di Boorman. Da quando aveva messo piede alla festa, non aveva smesso neanche per un istante di ingozzarsi senza freni, mangiucchiando stuzzichini e riempiendosi avidamente la pancia di vivande di ogni sorta.
   «Scusate! Scusate! Lasciate passare! Scusate!» esclamò, districandosi tra un ospite e un altro.
   Si stava dirigendo in un angolo della stanza in cui avrebbe potuto abbuffarsi in santa pace, senza disturbi o strani sconosciuti che lo additavano a disagio.
   «Ehi, tu!» lo chiamò d’improvviso un distinto signore con abiti molto eleganti. «Sbrigati! Riempimi il calice.»
   Boorman si guardò alle spalle, in cerca del malcapitato con cui l’altro avesse a che dire.
   «Forza! Muoviti! Cosa stai aspettando?!» aggiunse con veemenza l’uomo, fissandolo in cagnesco. «Accidenti! La servitù qui al castello lascia veramente a desiderare!»
   «Ma stai dicendo a me?»
   «E a chi, sennò, testa d’asino?! Non farmi perdere la pazienza e fa’ come ti ho detto!»
   «Ehi, guarda che io non sono un servitore!» ribatté il cerca-tesori, indispettito. «E, anche se lo fossi stato, non è questo il modo di comportarsi! Dovresti vergognarti!»
   Il nobiluomo aggrottò le sopracciglia, con aria scandalizzata.
   «Cosa mi tocca sentire?! Uno straccione che mi parla con una tale mancanza di rispetto! Questo è oltraggioso!»
   «Che sta succedendo?»
   Un cavaliere sbucò dalla folla e si avvicinò con passo deciso ai due litiganti per capire quale fosse il problema. A Boorman prese quasi un colpo nel vederlo: si trattava dell’energumeno con cui aveva litigato alla taverna.
   «Questo buono a nulla si rifiuta di servirmi!» urlò con indignazione il nobiluomo.
   Boorman stava per controbattere le sue ragioni, ma il cavaliere lo ignorò e si avvicinò con fermezza al signorotto. La sua stazza di quasi due metri sembrava rimarcare con forza la bassa statura dell’aristocratico.
   «I vostri modi, signore, stanno infastidendo gli altri invitati. Vi prego di calmarvi, altrimenti sarò costretto a scortarvi fuori dal castello personalmente.»
   Il nobiluomo lo fissò con timore, ma anche con una certa presunzione.
   «Ma insomma! Come osi rivolgerti a me in questo modo?! Io sono Lord Baltiriane di Caldariot!»
   «E io sono sir Parsifal, cavaliere di Camelot.» replicò il guerriero con voce minacciosa. «Rispondo solo al volere del mio re, Artù Pendragon, e a nessun altro. Quindi, se avete dei problemi, rivolgetevi direttamente a lui oppure vi suggerisco di calmarvi e di tornare al vostro intrattenimento.»
   Lord Baltiriane iniziò a sudare dalla fronte. Dall’espressione che aveva assunto, sembrava che nella sua testa ci fosse un conflitto interiore tra il suo orgoglio e la sua codardia. Alla fine, fu quest’ultima ad avere la meglio. Così, con un gesto stizzito del braccio, si voltò verso uno degli altri invitati e lo andò a salutare come se niente fosse accaduto.
   «Tu!» esclamò Parsifal, indicando Boorman col dito. «Vieni con me!»
   Il cerca-tesori tentennò un istante, incerto sulle intenzioni del cavaliere. Quando, però, questo si voltò nuovamente a fissarlo, allora lui obbedì subito. Lo seguì fino a un tavolo, poi lo vide fermarsi.
   «Tieni.» disse Parsifal, afferrando due calici di vino e passandogliene uno.
   Boorman fissò a intermittenza il boccale e il viso del cavaliere. Continuava a non capire dove l’altro volesse andare a parare.
   «Che c’è? Non hai sete?»
   «Perché mi hai aiutato?» chiese Boorman di rimando. «E perché adesso mi stai offrendo da bere? L’ultima volta che ci siamo visti mi hai dato un pugno in faccia!»
   Parsifal scrollò le spalle.
   «Il pugno te l’eri meritato, anche se non è stata proprio quella l’ultima volta che ci siamo visti. Se non sbaglio, è stato quando sei scappato dall’ingresso del castello un paio di giorni fa.»
   «Davvero?» domandò Boorman, fintamente smemorato. «Non ricordo. Comunque, non hai risposto alla domanda: perché mi hai aiutato poco fa?»
   «Perché, anche se sei un imbroglione, presuntuoso, arrogante, bugiardo, doppiogiochista…»
   «Calma!» lo bloccò il cerca-tesori. «Non farmi i complimenti tutti in una volta, altrimenti poi finisco per emozionarmi!»
   «…Comunque, resta il fatto che, nonostante quello che è successo, hai combattuto valorosamente al fianco del re. Ho saputo che gli hai dato man forte e che hai rischiato la tua vita per proteggere Camelot.» spiegò sir Parsifal, serio. «Quindi, tutto il resto non ha più importanza. Gli amici di Artù sono anche miei amici. Ecco perché volevo ringraziarti.»
   Boorman rimase piacevolmente colpito da quelle belle parole. Non pensava che le avrebbe mai ascoltate. In verità, non gli capitava spesso di essere elogiato per il suo operato. Così, accettò di buon grado il boccale appena offerto.
   «Beh, grazie!»
   «No, grazie a te.» ribatté il cavaliere, porgendogli la mano. L’altro la strinse in modo amichevole, sorridendo.
   «Allora, salute!»
   «Salute!»
 
***
 
   Quando la serata stava ormai per giungere al termine, Elora arrivò nella sala a controllare che fosse tutto in ordine. Aveva cucinato per l’intera giornata, tuttavia sembrava che il cibo fosse stato appena sufficiente per sfamare ogni invitato. Anche a Tir Asleen accadeva lo stesso durante i ricevimenti: i commensali mangiavano sempre più di quello che ci si aspettava e a lei toccava lavorare fino a notte fonda. Però, da quando era partita con Willow e gli altri, non era più abituata a sostenere quel ritmo. Un conto era affrontare creature mistiche o streghe malvagie, rischiando anche di morire, e un altro era dare da mangiare a decine, se non centinaia di nobili affamati. Per come la vedeva lei, era molto meglio la prima opzione.
   «Tutto bene?»
   La ragazza si era seduta su una sedia per riprendere fiato, quando alle sue spalle sbucò Merlino, intento a recuperare i piatti lasciati in giro dagli ospiti.
   «Sì, sono solo un po’ stanca.»
   «Lo credo! Ho saputo che hai dato una grossa mano nelle cucine.»
   «Te l’ha detto Gwen?»
   «Sì, era molto contenta che la volessi aiutare.»
   «Beh, glielo dovevo, dopo tutto quello che è successo.»
   Merlino annuì, comprensivo. Sapeva benissimo cosa si provava nel dover mentire costantemente ai propri amici solo per nascondere un segreto. Date le circostanze, non c’era scelta, ma questo non voleva dire che lo facesse di buon grado. Elora, tuttavia, non sembrava solo stanca o dispiaciuta, ma anche preoccupata, a giudicare dal suo sguardo perso nel vuoto.
   «C’è qualcosa che non va?» le chiese, avvicinandosi a lei con discrezione. «Hai ancora problemi con la tua… tu-sai-cosa
   La ragazza scosse il capo.
   «No, anzi. Sento la mia… tu-sai-cosa, molto bene. In realtà, non l’ho mai percepita con così tanta… energia. È una bella sensazione.»
   «Ma, allora, cos’hai?»
   Elora sbuffò, titubante. Sembrava che fosse incerta se dire o meno quello che aveva in mente. Dopo un attimo di riflessione, però, si decise a vuotare il sacco.
   «Riguarda un fatto che è accaduto nella foresta.»
   Merlino aggrottò le sopracciglia, perplesso. Non capiva a cosa l’altra potesse riferirsi.
   «Quale fatto? Mi sembra che, alla fine, sia andato tutto per il meglio, no?»
   «Sì, ma… quando ho usato l’inca… insomma, quando ho usato il flauto… io… l’ho sentito.»
   Di nuovo, Merlino non riusciva a capire.
   «Hai sentito, cosa?»
   «Graydon.» rispose Elora con la voce rotta. «Ho sentito Graydon. L’ho… percepito, come se fosse lì accanto a me.»
   «Capisco. Però, suppongo che sia normale. Per usare… il flauto hai dovuto pensare a lui, così lo hai anche sentito vicino a te in quel momento.»
   «No!» ribatté la ragazza, sicura. «Non l’ho solo immaginato. Lui era proprio lì! È accaduto tutto in un istante, ma era vero. Ne sono certa!»
   «Ma… Graydon… non è…»
   «Morto, sì. L’ho visto con i miei occhi mentre veniva ucciso dalla Megera, eppure…»
   Merlino le mise una mano sulla spalla, cercando di farla calmare.
   «Senti… Anch’io, una volta, ho rivisto una persona a cui tenevo molto e che in precedenza aveva perso la vita1
   «Davvero?»
   Il mago annuì.
   «Accadde qualche tempo dopo la sua morte. Il suo spirito mi aiutò in un momento di difficoltà. Devo ammettere che fu bello poterla rivedere.»
   «Quindi, credi che… anche Graydon fosse solo uno spirito?»
   «No. In realtà, non so a cosa credere. Volevo solo farti capire che non è saggio lasciarsi suggestionare da ciò che è accaduto. Non possiamo sapere cosa sia successo veramente. Però, so che ne verrai a capo, in un modo o nell’altro. Hai degli amici che ti vogliono bene e con loro sono certo che riuscirai a trovare una risposta a questa domanda.»
   Elora lo guardò per un attimo e poi gli accennò un sorriso.
   «Hai ragione. Grazie.»
   Dopodiché, entrambi si misero in silenzio a fissare la grande sala dei banchetti e tutti gli invitati. Il loro sguardo vagò da una parte all’altra, fino a soffermarsi su un punto in cui si era radunato un discreto numero di persone, intente a ballare a ritmo della musica suonata da un bardo. Lì in mezzo, Willow danzava con incredibile grinta e dinamicità, con al suo seguito alcune dame che lo accompagnavano, quasi ammaliate dai suoi movimenti.
   A quel punto, sia Merlino che Elora sogghignarono, divertiti. Prima che potessero commentare qualcosa, però, ecco che Artù si alzò dal centro della sua tavolata e, con un tintinnio, richiamò l’attenzione dei presenti.
   «Ringrazio ognuno di voi per avermi fatto l’onore di accettare il mio invito.» esordì, attendendo di avere tutti gli occhi puntati su di sé. «Se siamo qui quest’oggi è per celebrare con gioia l’ennesima vittoria ottenuta contro le forze nemiche del regno. Questo piccolo, ma importante traguardo ci porta un passo più vicino verso il mondo di pace che tutti noi auspichiamo.»
   Delle urla di gioia si alzarono improvvisamente dalla sala, ma Artù riportò subito all’ordine e continuò.
   «Tuttavia, ciò non sarebbe stato possibile senza il prezioso aiuto di alcuni alleati provenienti dalla lontana Tir Asleen.» disse il re, indicando a turno Willow, Kit, Jade, Boorman e Elora. «A tutti loro dobbiamo molto, ma state pur certi che questo gesto non sarà dimenticato. Semmai ce ne sarà bisogno, Camelot ricambierà il favore e accorrerà in loro aiuto. Da questo momento, infatti, dichiaro il regno di Tir Asleen nostro fidato alleato e prometto reciproco sostegno per qualsiasi evenienza. D’ora in poi, i due regni condivideranno la stessa forza e lo stesso destino.»
   In mezzo alla folla, Merlino ed Elora annuirono, sorridendo; Kit e Jade fecero lo stesso, con Airk ancora addormentato al loro fianco; sir Galvano e altri cavalieri si trovarono concordi con quella decisione; lo stesso avvenne per sir Parsifal e Boorman; infine Willow si avvicinò al tavolo del re e, con il solo sguardo, mostrò al sovrano la sua gratitudine e riconoscenza per quel discorso.
   Poi, Artù alzò in alto il calice. Gli altri commensali lo imitarono.
   «A Camelot e a Tir Asleen.»
   «A CAMELOT E A TIR ASLEEN!»


 


 
Note
 
1 – Riferimento all’episodio 13 della 3a stagione di “Merlin”, “L’ascesa di re Artù (2a parte)”. In questa puntata, Merlino vede per la prima volta lo spirito di Freya, dopo la di lei morte avvenuta nell’episodio 9 della 2a stagione, “La signora del lago”.

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Capitolo 16
*** Un lungo inizio ***


Capitolo 16
Un lungo inizio
 
   L’indomani della memorabile festa, per Willow e il suo gruppo giunse il tempo dei saluti. E, mentre questi si accomiatavano da Artù e s’incamminavano verso la loro meta, Merlino, con la scusa di dover accompagnare Gaius in un villaggio vicino, li raggiunse a metà strada.
   «Non è che avrai problemi con il re?» gli chiese Willow, preoccupato.
   «No, non temete. Sono abituato a questo genere di cose. Riuscirò a cavarmela.» ribatté il mago sicuro, mentre conduceva il Nelwyn e i suoi amici per delle vie boschive. Nonostante sarebbe stata Elora a pronunciare l’incantesimo, ci teneva ad assicurarsi che tutto filasse liscio e senza intoppi.
   «Io, però, avrei una domanda.» intervenne Boorman, accigliato. «Perché siamo dovuti tornare in questo posto inquietante?»
   Tutti e sette i viaggiatori, infatti, avevano ripercorso lo stesso tragitto battuto due giorni prima e ora si ritrovavano di nuovo nel cuore della foresta di Balor.
   «Perché per evocare il portale di Túatha occorre un luogo lontano da sguardi indiscreti.» spiegò Merlino con ovvietà. «Non possiamo correre rischi quando si tratta di magia.»
   «Sono d’accordo.» convenne Willow.
   «Qui, comunque, dovrebbe andare bene.» continuò il mago, indicando la radura di fronte a loro.
   «Accidenti!» esclamò Boorman d’improvviso. «Sapete?! Quasi quasi mi dispiace andarmene.»
   «Davvero?» chiese Jade, stupita. «Credevo che non vedessi l’ora.»
   «Naaaaah… Camelot non è così male come pensavo all’inizio. Ho anche fatto amicizia con alcuni cavalieri. Li ho impressionati con le mie grandi doti di guerriero! Ci è mancato poco che mi chiedessero di diventare uno di loro. Immaginate: “sir Boorman, cavaliere di Camelot”. Suona bene, no?»
   Nessuno gli rispose. Anzi, tutti distolsero lo sguardo con evidente scetticismo.
   «Che c’è?! Cos’ho detto di male?!» domandò a quel punto Boorman, stizzito.
   «Scusami, ma dubito fortemente che tu possa diventare un cavaliere.» ribatté Jade senza mezzi termini. «A prescindere dal regno in cui ti trovi, non è facile guadagnare questa onorificenza. È dura e oltremodo difficile. Io ne so qualcosa.»
   Il cerca-tesori sbuffò, contrariato.
   «No, la verità è che siete invidiosi!» disse, mettendo il broncio. «Tutti si sono accorti delle mie qualità, ma nessuno ha notato le vostre.»
   «Ma che stai dicendo?!» sbottò Kit. «Io ho ricevuto i complimenti da Artù in persona per le mie abilità di combattimento.»
   «Sul… serio?» chiese Boorman, sbigottito.
   «Sì.»
   «Anche con me si è complimentato.» disse Jade. «Ha detto che maneggio la spada al pari dei suoi cavalieri.»
   «Con me, invece, si è congratulato per le mie doti oratorie.» intervenne Willow con un sorriso compiaciuto.
   «A me ha detto che è rimasto estasiato dalla mia cucina.» disse Elora, lasciando Boorman sempre più senza parole. «Gli è piaciuto talmente tanto lo stufato di maiale che ho preparato, che mi ha fatto lasciare la ricetta a Gwen.»
   «Ah… Quindi… non sono l’unico ad aver ricevuto complimenti…» notò Boorman, mesto.
   «È successo anche a me.» aggiunse infine Airk, scrollando le spalle.
   «Anche a te?! Ma se sei appena arrivato a Camelot! E, poi, tu non hai combattuto contro il Leviatano!»
   «Ha detto che ho fatto bene a non lasciare da sola una ragazza in difficoltà. Secondo lui ho agito con lo spirito di un vero cavaliere.»
   «Va bene! Ho capito!» sbraitò Boorman, gesticolando verso Elora. «Adesso possiamo andarcene?! Forza, Elora! Apri quel maledetto portale di Tuta, o come si chiama, e facciamola finita!»
   Merlino osservò in silenzio gli altri sei battibeccare, sorridendo. Quando, però, venne il momento di usare l’incantesimo, si avvicinò a Elora.
   «Ti senti pronta?» le chiese, in apprensione.
   La ragazza annuì, molto decisa.
   «Mi raccomando, Elora, fa’ attenzione.» le disse Willow, teso in volto.
   Lei, però, sembrò stranamente rilassata. Con fare risoluto, allungò il braccio destro in avanti e chiuse gli occhi.
   «Dhuinn dàn an tha na chun slighe glan! Túatha portal, fosgail!»
   Dalla sua mano fuoriuscì un raggio bianco e splendente che scosse l’aria intorno a sé e si andò ad abbattere contro un albero secolare. Al pari della prima volta, si creò un varco di luce accecante.
   «Bravissima!» si complimentò il Nelwyn, impressionato dalla semplicità con cui la ragazza aveva usato l’incantesimo. «Ce l’hai fatta con le tue sole forze, senza neanche aver bisogno di utilizzare un conduttore magico! Incredibile!»
   «Grazie.» replicò Elora, risistemandosi i capelli scompigliati dal vento. «Ma sentivo che non mi serviva alcun aiuto, stavolta.»
   «Molto bene.» commentò Merlino, soddisfatto. «Si vede che stai migliorando.»
   Anche gli altri furono contenti della riuscita dell’incantesimo. Jade, però, rimase un attimo perplessa.
   «Ma, adesso, come ci dobbiamo comportare?» domandò, incerta. «Dobbiamo attraversarlo nello stesso ordine dell’altra volta o in quello inverso?»
   «In nessuno dei due.» rispose Willow con sicurezza. «Se la teoria di Gaius è giusta, il portale che si è aperto conduce nello stesso luogo da cui siamo partiti. Non serve un ordine preciso, purché Elora, che ha lanciato l’incantesimo, sia l’ultima a passare.»
   «Quindi, dovrebbe condurre alla Città Immemore.» asserì Kit, fissando la luce bianca e riluccicante del varco.
   Il Nelwyn annuì.
   «Sì. Purtroppo, non abbiamo alcuna certezza in merito. Ma confido molto nel sapere del medico di corte. Perciò, sono piuttosto speranzoso.»
   «Ottimo!» esclamò Boorman, facendosi avanti. «Allora, vado io per primo.»
    Così dicendo, il cerca-tesori si avviò verso il portale e lo oltrepassò borbottando qualcosa di incomprensibile. Evidentemente, era ancora risentito dalla discussione avuta poco prima.
   «Bene.» disse Airk, avvicinandosi anche lui al varco di luce. «Adesso, vado io.»
   «Fermati subito!» urlò Kit, afferrandolo con veemenza per un braccio. «Stavolta, lo attraverseremo insieme. Non possiamo correre a cercarti per una terza volta! Due sono più che sufficienti!»
   Il ragazzo la guardò spaventato, ma annuì.
   «Questo vale anche per te.» intervenne Jade, prendendo a sua volta Kit per mano. «Non commetterò più l’errore di farti fare di testa tua. Ora, si fa come dico io.»
   In questa occasione, fu Kit a rimanere spiazzata. Ma, alla fine, le sorrise in imbarazzo.
   «Va bene. Allora, al mio tre, lo attraversiamo insieme.» disse mettendosi in posizione.
   Sia Jade che Airk annuirono. Prima di muoversi, però, il trio al completo fece un cenno di saluto a Merlino, che lui ricambiò.
   «Uno… due… tre!»
   Poi, saltarono nel portale e sparirono oltre la luce.
   Willow li osservò, sospirando.
   «Manchiamo solo noi.» disse, guardando Elora. Tuttavia, prima di andare, si avvicinò a Merlino.
   «C’è qualcosa che non va?» gli chiese il mago.
   «No. È solo che… avrei una domanda da farti.»
   «E quale sarebbe?»
   «Quando stavamo combattendo contro il Leviatano, tu hai pronunciato delle parole in una strana lingua e, di colpo, la creatura si è fermata.» disse il Nelwyn con gli occhi increduli. «Sebbene io sappia che sei un mago molto talentuoso, è ovvio che non puoi aver usato la magia perché altrimenti l’essere se ne sarebbe servito per rafforzarsi. Quindi… cos’hai fatto, di preciso?»
   Merlino annuì con esitazione, in palese difficoltà su cosa rispondergli.
   «Oltre a essere un mago, sono anche l’ultimo Signore dei Draghi ancora in vita.»
   «Signore… dei Draghi?» ripeté Willow, in un primo momento tentennante e subito dopo sbalordito. «Non sarà quello che penso?!»
   Merlino annuì ancora una volta, mentre Elora li osservava confusa.
   «Perché? Cosa significa?» domandò agli altri due.
   «Significa che ho il potere di assoggettare ogni drago al mio volere.» rispose Merlino con naturalezza. «Siccome il Leviatano era un drago in origine, i miei ordini, pronunciati nell’antica lingua della sua specie, lo hanno bloccato quel tanto che bastava per permetterti di usare l’incantesimo che lo ha indebolito.»
   «Aspetta un momento!» gridò Elora, con gli occhi spalancati. «Quindi, puoi far fare ai draghi quello che vuoi?! Qualsiasi cosa?! E loro devono obbedirti?!»
   Il mago fece sì con la testa, parzialmente spaventato dall’esuberanza della giovane ragazza.
   «E puoi insegnarmelo?! Sarebbe…»
   «…una pessima idea.» concluse Willow, afferrando Elora per un braccio.
   «Perché?!» chiese lei, risentita.
   «Perché non sei ancora in grado di usare per bene le magie più… innocue, figuriamoci qualcosa di così portentoso.»
   «Ma, immagina, Willow! Con quella magia potrei comandare un esercito di draghi! Sconfiggeremmo il Wyrm in men che non si dica!»
   «Sì, però…»
   «Scusate.» intervenne Merlino, interrompendo la discussione. «Ma temo che non sia possibile.»
   «E perché?!»
   «La magia di un Signore dei Draghi si eredita alla nascita. Non è un potere che si può acquisire o imparare. Mi dispiace, ma non funzionerebbe con te, Elora.»
   «Ah…» commentò la ragazza, con un’espressione mogia. «Ho capito…»
   Willow, invece, si rilassò un po’. Poi, si rivolse nuovamente a Merlino, ma con uno sguardo incredibilmente serio.
   «I tuoi poteri, Merlino, sono qualcosa di straordinario. Anche se ti conosco da pochi giorni, non ho dubbi che sono stati affidati alla persona giusta. Usali con saggezza.»
   Il mago ricambiò per alcuni secondi l’occhiata cupa, finché non annuì.
   «Spero di rivedere voi, Elora e tutti gli altri un giorno.»
   «La speranza è reciproca.» ribatté il Nelwyn, avviandosi verso il portale. «E ho come la sensazione che sarà così.»
   Merlino aggrottò le sopracciglia, sorpreso.
   «Che volete dire?»
   «Non credo sia un caso che i nostri cammini si siano incrociati.» asserì Willow con una certa sicurezza. «Il destino, alle volte, ha modi bizzarri di manifestarsi. Come ora, per esempio. Questo ci sembra un addio, una fine. Ma magari è solo un lungo inizio di una storia che dobbiamo ancora scrivere, tutti insieme.»
   «Un lungo inizio…» ripeté Merlino, colpito. Quelle parole gli risuonavano nella mente molto simili a quelle dette da Kilgharrah l’ultima volta che lo aveva incontrato. Non sapeva se fossero vere, ma gli fecero spuntare lo stesso un tenero sorriso sulla bocca. «Forse avete ragione.»
   Willow sorrise a sua volta e si voltò di spalle. Poi, attraversò la luce bianca.
   «Adesso tocca a me.» disse Elora, con dispiacere. «Però, prima… posso farti anch’io una domanda?»
   «Sì, certo.»
   A quel punto, la ragazza portò la mano sinistra in avanti, piegando il pollice sul palmo e allungando all’insù le altre dita, come a mimare un quattro.
   «In quale dito si trova il potere di controllare il mondo?1»
   Merlino si accigliò, titubante.
   «Cosa?»
   «In quale dito si trova il potere di controllare il mondo?» disse ancora Elora, in imbarazzo. «Non fare caso alla domanda e rispondi… per favore.»
   «Mmmm…» mormorò Merlino, sovrappensiero.
   Non aveva idea di cosa significassero quelle parole, ma avevano l’aria di essere un vero e proprio indovinello. Così, stette al gioco.
   “Il potere di controllare il mondo” pensò tra sé.
   Guardò con scrupolo ogni dito, compreso il pollice piegato all’interno della mano. Ragionò per quasi un minuto su varie teorie, poi gli balenò in mente un’ovvia verità.
   «Il mio.» rispose, alzando il suo indice. «Se sono io a scegliere chi ha il potere, significa che il potere è nella scelta stessa.»
   Un sorriso spuntò dal volto felice di Elora.
   «Sapevo che ci saresti arrivato!» disse, euforica, dandogli un abbraccio affettuoso, che l’altro ricambiò. «Questo indovinello è un po’ sciocco, ma serve a far capire che bisogna sempre credere nelle proprie possibilità.»
   «Beh, ha un senso… suppongo.» replicò Merlino, sciogliendo l’abbraccio.
   «Già.» convenne lei. «Ora, però, è meglio che vada. Grazie ancora, Merlino, per il tuo aiuto.»
   «Di niente. È stato un piacere.»
    Con quel congedo, Elora iniziò ad allontanarsi e a dirigersi alla volta del portale di Túatha.
   «Elora!» la chiamò il mago, prima che questa sparisse oltre il velo luminescente.
   «Sì?» disse la giovane, voltandosi.
   «Il potere di controllare il mondo è anche nelle tue mani, se lo vuoi davvero. Non dimenticarlo.»
   La ragazza corrucciò la fronte, perplessa. Poi, si mise a fissare le proprie mani, pensando al significato di quella frase, finché, a un certo punto, non annuì con convinzione.
   «Grazie. Me ne ricorderò.»
   Dopodiché, emise un debole sospiro dispiaciuto. Che lo volesse o no, era tempo di seguire gli altri e lasciarsi alle spalle quel mondo, così bizzarro per certi aspetti, ma stranamente rassicurante per altri.
   Prima di andare, però, per un istante il suo sguardo incrociò quello di Merlino. Quasi come per magia, gli occhi di ciascuno dei due trasmise all’altro il proprio stato d’animo: paura, per ciò che li attendeva in futuro, ma anche gioia, per le esperienze vissute fino a quel momento, compresa quella breve, ma sentita avventura che avevano condiviso nel regno di Camelot.
   «Buona fortuna, Elora.»
   «Buona fortuna anche a te, Merlino.»


 


 
Note
 
1 – Riferimento a “Willow – Il film”. Junn, il Saggio Aldwyn del tempo, soleva scegliere i suoi apprendisti mediante questo indovinello. L’unico che riesce a risolverlo è Willow, anche se al secondo tentativo. Lo stesso accade nell’episodio 2 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Il Saggio Aldwyn”, dove Willow ripropone il medesimo indovinello a Elora.


 

Nota dell’autore
 
Ciao a tutti! Vi ringrazio moltissimo per essere arrivati a leggere fin qui! Volevo comunicarvi che il prossimo sarà l’ultimo capitolo della storia.
Quindi, vi aspetto mercoledì prossimo, con la conclusione de “Il destino di due regni”.
 

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Capitolo 17
*** Figli del cuore ***


Capitolo 17
Figli del cuore
 
   Toc-toc-toc!
   «Avanti.»
   Merlino entrò nelle stanze del re di tutta fretta con un vassoio di cibo tra le mani.
   «È pronta la cena!» annunciò, poggiando il portavivande sullo scrittoio, dove intanto Artù cercava invano di districarsi tra mille fogli di pergamena.
   «Grazie.» replicò questo di rimando, guardando poi il ragazzo con stupore. «Ma sei già tornato? Non ti aspettavo prima di domani.»
   «Sì. Gaius ha terminato in fretta di visitare i cacciatori attaccati dal Leviatano. Dato che nessuno di loro aveva niente che non andava, siamo ripartiti anzitempo. Così, eccomi qui!»
   «Bene. Mi fa piacere sapere che sia ritornato tutto alla normalità.» asserì il re, spostando le pergamene e afferrando il piatto di cibo ancora fumante.
   Quando andò ad annusarlo, tuttavia, emise una specie di conato e lo allontanò subito.
   «Ma cos’è?!» chiese, nauseato.
   «Stufato di maiale.» rispose Merlino prontamente.
   «E si può sapere chi lo ha preparato?»
   «La cuoca Audrey. È tornata oggi dopo il suo malanno.»
   «Ma… gli è stata data la ricetta che ci ha lasciato Elora prima di ripartire?»
   Merlino scrollò le spalle, titubante.
   «Sì, ma… non l’ha voluta. Ha fatto sapere che non ha bisogno dell’aiuto di nessuno per fare il suo lavoro e che preferirebbe essere impiccata piuttosto che utilizzare la ricetta di qualcun altro.»
   Artù sbarrò gli occhi, poi si accasciò contro lo schienale della sedia, demoralizzato.
   «Capisco.»
   «Mi dispiace.»
   «Non importa.» ribatté Artù, scansando il piatto di lato e indicando la sedia di fronte allo scrittoio. «Piuttosto, siediti, per favore. Ho bisogno un attimo della tua completa attenzione.»
   Merlino sussultò sbigottito. Che ricordasse, il re non aveva mai usato con lui le parole “per favore”. Doveva trattarsi di qualcosa di serio, quindi obbedì senza farselo ripetere due volte.
   «Cosa… dovete dirmi?»
   Artù sospirò in difficoltà. Squadrò con lo sguardo l’intera stanza, eccetto il suo servitore.
   «Volevo parlare del tuo operato.» disse a mezza bocca.
   «Del “mio operato”?» ripeté Merlino, sempre più preoccupato.
   «Sì, esatto. Ci tenevo a farti sapere che, oltre a considerarti un servo pigro, maldestro e incapace… apprezzo sinceramente i tuoi sforzi nello svolgere le tue mansioni.»
   Merlino soppesò per un istante quello che aveva appena ascoltato.
   «Un momento, sire. Non ho capito bene se mi state rimproverando o lodando.»
   Artù sospirò di nuovo.
   «Nessuna delle due.»
   «Allora spiegatevi meglio, perché siete strano. Molto strano, a dire il vero. Cosa sta succedendo?»
   «Assolutamente niente, Merlino.» ribatté il re, in imbarazzo. «Vedi… ho ripensato a una conversazione avuta ieri con la principessa Kit e… mi sono reso conto che il più delle volte non riesco a trattare come dovrei le persone che mi sono accanto.»
   «D’accordo. Ma cosa c’entro io? D’altronde, sono solo il vostro servitore.»
   «È questo il punto. Volevo dirti che, oltre a essere il mio servitore, io… ti considero anche… un amico degno di fiducia. A esseri onesti, la persona di cui io mi fido di più.»
   Merlino rimase senza parole. Poi, si avvicinò ad Artù e gli mise una mano sulla fronte.
   «Ma che stai facendo?!» protestò quest’ultimo, trasalendo e spostandosi.
   «Controllo che stiate bene. Mi avete appena fatto un complimento. Non capita quasi mai.»
   «Già, e mi sto pentendo di averlo fatto!» esclamò il sovrano, spazientito. A Merlino, però, non sfuggì un accenno di sorriso sulla bocca dell’altro. «Comunque, avevo un’altra questione da discutere con te.»
   «Va bene. Vi ascolto, sire.» disse il servo, rimettendosi a sedere.
   Artù tirò fuori un anello dalla tasca.
   «Ti ricordi di questo?»
   «Certo. È l’anello di vostra madre, Lady Ygraine.»
   Il re annuì.
   «Esatto. Dopo che mio padre lo perse, tu riuscisti incredibilmente a ritrovarlo qualche anno fa1. Fu un gesto nobile da parte tua.»
   «Vi ringrazio, sire. Sapete che l’ho fatto con piacere.» ribatté Merlino, sorridendo. «Ma questo cosa c’entra con quello che dovete dirmi?»
   «Vedi… Volevo informarti che ho preso un’importante decisione.»
   «E quale sarebbe?»
   Artù fece un lungo respiro prima di rispondere.
   «Chiederò a Ginevra di sposarmi2
   Merlino sobbalzò di colpo.
   «Davvero?! Ma è fantastico!» esclamò quasi urlando. «Ma… il consiglio ne è a conoscenza?»
   «No. Ne parlerò con mio zio quando sarà tornato dal suo viaggio. Anche se, in ogni caso, glielo dirò solo per informarlo. Questa è una scelta mia e mia soltanto. Non permetterò più a nessuno di decidere per me.»
   Merlino sorrise e annuì, soddisfatto e compiaciuto che Artù avesse finalmente compreso quell’assoluta verità.
   «Comunque, c’è una cosa che non capisco. Sebbene mi faccia piacere che vogliate sposare Gwen, perché lo state dicendo a me?»
   Il volto di Artù arrossì di punto in bianco.
   «Beh… speravo in un… tuo aiuto. Non ho molta pratica in quanto a matrimoni…»
   «Se è per questo, neanch’io.» replicò Merlino, schietto.
   «Sì, ma frequenti spesso la taverna.»
   «Nient’affatto! E, poi, anche se fosse, non è che lì si celebrino cerimonie… beh, tranne quella volta che Galvano era talmente ubriaco che si è sposato con un barile di birra, ma credo non conti come un vero matrimonio.»
   «Non mi riferivo a questo, ma al fatto che hai dimestichezza più di me con i modi di fare del popolo. Sono certo che puoi aiutarmi meglio di quanto non farebbero gli altri consiglieri. Inoltre, in quanto suo amico, conosci molto bene Ginevra.»
   «Mmm… non ci avevo pensato…» replicò Merlino, portando una mano sotto il mento. «In effetti, forse ho già in mente qualcosa…»
   «Bene!» esclamò Artù, sedendosi più vicino a lui. «Ti ascolto.»
   A quel punto, i due si misero a confabulare tra loro, continuando fino a tarda ora.
 
   L’avventura vissuta con Willow e i suoi amici era ormai acqua passata, ma un’altra li attendeva scura all’orizzonte. Non potevano saperlo, ma sarebbe iniziata proprio con quella richiesta di matrimonio che il sovrano aveva intenzione di fare a Ginevra.
   Ben presto, il regno sarebbe stato nuovamente in pericolo. Ma sia Merlino che Artù si sarebbero fatti trovare pronti per sconfiggere ancora una volta quella nuova minaccia.
 
***
 
   Dopo aver attraversato il varco di luce, Elora si ritrovò di colpo in un luogo totalmente diverso dalla foresta che si era lasciata alle spalle. All’orizzonte non si intravedevano che rovine e desolazione. Il rosso della sabbia dominava incontrastato nel paesaggio arenoso, mentre l’aria, pungente e salmastra, le prudeva le narici.
   Non c’era più alcun dubbio: erano tornati alla Città Immemore.
   I cinque compagni di viaggio che l’avevano preceduta nell’oltrepassare il portale erano a pochi passi da lei e si guardavano intorno spaesati.
   «L’incantesimo ha funzionato.» constatò Willow, mesto.
   «Già.» convenne Boorman. «Anche se non so se prenderla come una buona notizia. Adesso, siamo di nuovo bloccati qui. Non è proprio il massimo!»
   «Non è grave come sembra.» replicò il Nelwyn, cautamente ottimista. «Sono certo che troveremo un modo per andarcene.»
   «Da dove cominciamo, però?» chiese Airk, scettico.
   «Da lì.» rispose Willow, indicando in lontananza. «Data la situazione, propongo di tornare nel luogo da dove siamo giunti: la cascata3
   «E come faremo a risalirla?» domandò Jade, dubbiosa.
   «Non so. Ma suppongo che lo scopriremo strada facendo.»
   «Ehi! Guardate!» esclamò di colpo Kit, inginocchiandosi mentre afferrava qualcosa tra la sabbia. «L’armatura Kymeriana! È ancora qui!»
   «Beh, è ovvio!» commentò Boorman. «Chi avrebbe potuto prenderla in questo posto deserto?»
   «È vero.» concordò Willow, fissando l’uomo. «Senza contare che l’unico ladro nei paraggi l’abbiamo portato con noi.»
   «Ehi! Non sono un ladro! Ma un “cacciatore di tesori”!»
   «Sarà…» ribatté il Nelwyn, scrollando le spalle. «Anche se io non ho mai capito la differenza.»
   «Oh… è diverso, eccome!» asserì Boorman, infastidito. «Potrei elencarti almeno undici motivi che ci differenziano!»
   «Va bene. Ti ascolto.» disse Willow, iniziando a incamminarsi con gli altri al seguito.
   «Vediamo… Numero uno: noi cacciatori di tesori non derubiamo i vivi, ma ci impossessiamo solo di reliquie e cimeli di persone ormai defunte o, quantomeno, disperse da molto tempo.» «Numero due: …»
   Mentre i due continuavano a parlottare fittamente, Kit si avvicinò a Elora.
   «Allora? Come va? Ti senti affaticata ora che hai usato di nuovo l’incantesimo del portale?» chiese, finendo di allacciarsi l’armatura.
   «No, per fortuna. Anzi, stavolta, non ho perso neanche l’uso della magia.» rispose Elora, emettendo come dimostrazione delle scintille verdine dalla mano sinistra.
   «Grande! Ma allora perché sembri giù di corda?»
   «No, non è niente. Riflettevo solo sul fatto che sarà difficile andarsene da qui.»
   «Non pensarci troppo.» intervenne Jade, mentre affiancava le due insieme a Airk. «Willow troverà sicuramente un modo.»
   «Infatti!» convenne Kit, tirando fuori qualcosa dalla tasca. «E poi, con questa, abbiamo anche la fortuna dalla nostra parte!» disse, alzando in aria il braccio destro. Tra le dita della mano teneva ben stretta una moneta che riluccicava al sole.
   Elora non comprese cosa significassero quelle parole, ma sorrise ugualmente. Airk, intanto, si approssimò alla sorella con un’espressione cupa in volto.
   «Senti, Kit.» esordì, titubante. «Volevo dirti che mi dispiace per come mi sono comportato ieri alla festa.»
   Kit lo guardò fisso negli occhi, come a voler capire se stesse mentendo o meno.
   «Non importa.» disse poi, abbracciandolo. «Dispiace anche a me. Forse sono stata un po’ dura.»
   Airk rimase per un attimo spiazzato, ma dopodiché sorrise rincuorato per aver fatto finalmente pace con la sorella.
   «Hai visto, Airk?» intervenne Boorman d’un tratto. «Kit non è così cattiva come pensi!»
   A quelle parole, Kit digrignò i denti e sciolse bruscamente l’abbraccio.
   «Che significa quello che ha detto?!» urlò con rabbia.
   «Ehm… niente!» rispose Airk, correndo lontano dalla gemella.
   «Fermati!» gridò ancora Kit, inseguendolo. «Ho detto di fermarti!»
   Jade scoppiò a ridere e affrettò il passo, cercando di raggiungerli. Elora, invece, rimase a osservare la scena.
   “Ha ragione Merlino.” pensò, sentendosi il cuore un po’ più leggero.
   Numerose insidie li attendevano lungo il cammino. Prima o poi, il Wyrm e i suoi seguaci avrebbero fatto la loro mossa e scosso nuovamente le loro vite. Ma a Elora questo non importava. Era pronta ad affrontare qualsiasi cosa fintantoché avrebbe avuto i suoi amici al proprio fianco.


 

Note
 
1 – Riferimento a un’altra mia storia, “Il regalo più bello”.
 
2 – Riferimento all’episodio 9 della 4a stagione di “Merlin”, “Il ritorno di Lancillotto”. Gli eventi di questo capitolo si riallacciano all’episodio in questione.
 
3 – Riferimento all’episodio 7 della 1a stagione di “Willow – La serie”, “Al di là del Mare Infranto”. Nell’episodio, per giungere alla Città Immemore Kit, Elora, Jade, Graydon, Boorman e Willow devono saltare giù da una cascata.


 


 
Note finali
dell’autore
 
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno letto questa storia! In particolar modo, chiunque abbia recensito i vari capitoli!
In quest’ultimo capitolo ho scelto di terminare le due narrazioni in modo che si ricollegassero con la trama delle rispettive serie. Questo perché volevo che la storia fosse di natura autoconclusiva, per favorire una lettura scorrevole e completa. Tuttavia, è molto probabile che la vicenda nella sua interezza non sia affatto conclusa e che, in futuro, io possa scrivere un seguito. Era nei miei piani originari, infatti, creare una story-line divisa in due o più parti che vedesse i personaggi delle due serie avere prima un’avventura nel mondo di “Merlin” e poi un’altra nel mondo di “Willow”.
Quindi, nonostante la conclusione de “Il destino di due regni”, questa fine è più un “arrivederci” che un “addio”.
Comunque, spero vivamente che la storia vi sia piaciuta almeno la metà che è piaciuta a me nello scriverla!
Con queste note, vi ringrazio ancora e vi saluto!
Alla prossima avventura!

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