Twinkle Twinkle little Krampus

di Flofly
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Love your (s)Elf Ted Tonks/Andromeda Black ***
Capitolo 2: *** L'odore della neve- Narcissa ***
Capitolo 3: *** La tempesta perfetta- Charlie/Oliver ***
Capitolo 4: *** Rêve de Noel- Pansy ***
Capitolo 5: *** Superare le paure- Theodore Nott ***
Capitolo 6: *** Uno scherzo finito male. O forse no.- Ted Tonks/Andromeda Black ***
Capitolo 7: *** Ruby Who?- Pansy (/Lucius) ***
Capitolo 8: *** Frammenti di Cristallo Blu (Narcissa/Lucius) ***



Capitolo 1
*** Love your (s)Elf Ted Tonks/Andromeda Black ***


 

Love your (s)Elf

 

Quando Ted aveva detto di avere programmi per quella sera visto che i suoi genitori non c’erano, Andromeda aveva pensato a tutt’altro.

Per questo si era messa il suo vestito nero preferito, quello che le aderiva come una seconda pelle e che faceva venire l’emicrania a sua madre, ed era sgattaiolata fuori da Villa Black.

Due passaggi di Passaporta, giusto per evitare che qualcuno potesse seguirla, e si era ritrovata in tacchi alti e capelli perfetti davanti alla porta Babbana di Ted.

Quando lui le aveva aperto la porta, con un gran sorriso e un maglione rosso con sopra la scritta Love your (s)Elf, però, tutte le sue previsioni erano andate in frantumi. Fortuna che lui la baciò con foga prima che potesse chiedergli che erbe fumassero a Tassorosso, se quella era la sua idea di “serata speciale”.

«Non pensavo saresti venuta sul serio! Già immaginavo mi avresti mandato un gufo per dirmi che eri stata trascinata a qualche pomposo ricevimento» le disse, esageratamente allegro, tenendole la porta e invitandola a entrare.

«Era più una partita di poker magico con scommesse a partire dai cinquecento Galeoni, ma fa niente. Spennerò Malfoy un’altra volta, crede di saper giocare, ma perde miseramente da quando siamo bambini» rispose, guardandosi con circospezione attorno: se la maggior parte dell’arredo le era famigliare, seppur ricoperto di lucine e strani pupazzi vestiti di rosso, quello strano aggeggio dal quale uscivano voci era piuttosto inquietante. Che fosse maledetto?

«Sei bellissima» Ted l’aveva aiutata a togliersi il mantello e ora la guardava rapito. Poi, ovviamente, dovette rovinare tutto: «Però credo che non starai molto comoda per vedere il film. Vuoi che ti vada a prendere un maglione? Ne ho uno con un tasso con un cappellino di Natale, me l’ha fatto Molly lo scorso anno, è stupendo».

«Ted, a parte me, tu hai davvero un gusto orribile» sbottò. «Non ho idea di cosa sia un film, ma pensavo fosse una scusa per stare insieme senza doverci nascondere sulla Torre di Astronomia.  E per stare insieme intendevo in senso letterale. Vuoi che ti faccia un disegnino?»

Come al solito Ted non si scompose, limitandosi a darle un bacio sulla spalla scoperta, mentre l’abbracciava da dietro «Hai detto che odi il Natale, no? E io ho la cura perfetta: biscotti appena sfornati, vino speziato e un bel film di Natale. E me, ovviamente».

Nonostante le sembrasse che parlasse un’altra lingua, Andromeda non poté fare a meno di rilassarsi nel suo abbraccio. In fondo, non poteva essere così tragica... E poi non le dispiaceva l’idea di passare un’oretta con Ted e un bel bicchiere di whiskey incendiario invecchiato cento anni, direttamente versato dalla fiaschetta d’argento che si portava dietro da quando aveva capito che Rosmerta allungava troppo le bevande.

«Mettiti comoda, devi solo guardare il televisore» aggiunse Ted, trascinandola verso il divano e indicando il mostro rumoroso davanti a loro. «Vieni, appoggiati a me, vedrai ti piacerà. E poi guarda che bella copertina calda che ho tirato fuori».

«L’hai rubata alla Sala Comune? No, lascia stare, non voglio neanche sapere da dove viene. Per fortuna ha un buon odore». Andromeda si sedette sospirando. D’altronde se riusciva ad amarlo pur essendo un Babbano Tassorosso, poteva farlo anche quando pretendeva di passare uno dei pochi giorni di libertà durante le vacanze invernali a fare qualcosa di assolutamente inutile.  E poi non avesse il coraggio di dire che non era romantica!

 

 

Due ore dopo, capì di essersi profondamente sbagliata.

«Ted, ma che idiozia è mai questa? Quelli sono elfi per voi?» chiese inorridita.

«Sono elfi di Babbo Natale, non elfi domestici, c’è differenza» spiegò Ted, come se le stesse dicendo che la luparia e l’aconito erano la stessa cosa.

«E Babbo Natale sarebbe il grassone con la barba bianca e il naso da avvinazzato? Per Merlino, certo che siete strani».

«Non sei carina, Drom. Non si dà del grassone alle persone, specialmente a Babbo Natale» sghignazzò, ridendole contro la pelle morbida del collo.

«Se non sapete reggere la realtà, è un problema vostro, non mio. Ma poi cosa avete contro Yule? Perché dovete trasformarlo in una pagliacciata con le lucine pacchiane?» tentò di rimbrottare, cercando di ignorare la lingua di Ted che tracciava linee sottili e fantasiose sui suoi punti sensibili.

«E non hai ancora sentito le canzoni natalizie…» bofonchiò, mentre lei si girava a guardarlo inorridita.

«Avete anche le canzoncine? Per Salazar Serpeverde, Ted… tu mi vuoi morta» dichiarò teatralmente, immaginando per un attimo il salone di Villa Black riempirsi di elfi dalle facce simpatiche e con cappellini rossi che canticchiavano, spostando le preziose decorazioni scelte da Narcissa. Sarebbe stato divertente… probabilmente a sua madre sarebbe venuto un infarto. Il che, a pensarci bene, sarebbe stato un ottimo regalo di Natale.

«Twinkle, twinkle, little star…» canticchiò Ted con gli occhi brillanti, mentre le scostava un ricciolo ribelle dal viso. Poi si chinò a baciarle leggero le labbra. «Tu sei la mia stella più luminosa, Drom».

«Minimo una galassia, Tonks» rispose, ingoiando con un bacio che sapeva di pan di zenzero quell’assurda voglia che le era venuta di passare il resto delle vacanze su quel divano, a farsi coccolare da Ted e ad insultare i suoi film Babbani. « E togliti quel maglione, per Merlino».

«Pensavo con non me lo avresti più chiesto…» ghignò soddisfatto, baciandola ancora con sempre più foga, mentre lei l’aiutava a disfarsi di quello sciocco pezzo di lana. Per carità, Molly era tanto carina, ma ci mancava solo lei a fornirgli abbigliamento assurdo.

 

 

 

Ritornando a casa a notte ormai fonda, Andromeda non riusciva a smettere di ripensare a quella serata. Di certo non era stato niente di convenzionale, almeno per lei.

Se qualche anno fa le avessero detto che avrebbe passato una sera in una casa Babbana, a guardare degli strani elfi con problemi di abuso di saccarosio, probabilmente avrebbe Cruciato il povero malcapitato.

Eppure, adesso che aveva lasciato il calore dolce di quella casa per tornare ai marmi brillanti e alle decorazioni di Yule in cristallo purissimo, era come se le mancasse qualcosa.

«Dove sei stata? Irma mi ha scritto che non sei andata da loro stasera».

La figura esile di Narcissa era immobile sulle scale, con lo stesso vestito candido con cui l’aveva vista salire in camera nel pomeriggio.

«Non dirmi che sei rimasta qui ad aspettarmi. Te l’avevo detto che avevo da fare» rispose di getto. Poi si ammorbidì, notando il lampo di tristezza negli occhi azzurri di Narcissa. Le si avvicinò, sedendosi accanto a lei e passandole un braccio attorno alle spalle «Oh, andiamo, non fare così. Sai che mi annoio, non sanno neanche giocare decentemente a poker. Non come una certa sorella di mia conoscenza, anche se si rifiuta di farlo in pubblico».

Narcissa sospirò «So quando giocare le mie carte, Meda. E di certo non lo farò per qualche centinaio di Galeoni. Mi avevi promesso che avremmo passato queste vacanze insieme. E, invece, Bellatrix è sempre via e anche tu sparisci nel cuore della notte. Vorrei proprio sapere chi è che è degno di tutte queste tue attenzioni…».

Un nato Babbano Tassorosso pensò, senza però dirlo. Si limitò, invece, a fare una carezza sulla testa bionda della sorella, ignorando la domanda. «Domani sarò tutta per te, va bene? Basta che non mi costringi a guardare gli elfi che sistemano le candele per la centesima volta perché a te non stanno bene»

«Se quegli stupidi esseri capissero le istruzioni, non sarebbe necessario!» sbottò la minore, alzandosi di scatto. Poi la fissò a lungo. «Se mi abbandonerai anche questa volta non ti perdonerò mai, Meda».

Domani? No, domani sarebbe stata ancora in quella casa. Domani avrebbe ancora fatto parte della famiglia Black, avrebbe scherzato con le sue sorelle, litigato con Bellatrix, ignorato i gufi di Lucius che la pregava di convincere Narcissa ad accettare i suoi inviti ad uscire.

Si, domani sarebbe stato ancora tutto normale.

Ma un giorno…

«Stai tranquilla, Cissy. Te l’ho promesso, no?» rise leggera, ignorando lo sguardo penetrante della sorella.

Narcissa non rispose, limitandosi ad accettare il suo bacio della buonanotte, senza ulteriori recriminazioni.

Stava salendo le scale, quando la stupida canzoncina di Ted le iniziò a risuonare nella mente.

«Twinkle, twinkle…» canticchiò a mezza voce sovrappensiero. Narcissa si girò di scatto, guardandola come se fosse impazzita.

 «… little Krampus» si affrettò ad aggiungere.  Poi concluse, secca« Beh, che Yule sarebbe senza Krampus?».

«Qualcosa di Babbano, direi. E noi odiamo i Sanguemarcio, Meda. Ricordi? Toujours pur» sibilò Narcissa, prima di sparire nelle sue stanze.

Dannazione, doveva stare più attenta. E maledetto Ted e il suo Natale Babbano.

Anzi, a proposito la prossima volta avrebbe dovuto decisamente ammetterlo.

La sua canzoncina era decisamente migliore di quella Babbana.

E poi, sul serio, voleva davvero mettere gli elfi canterini con  i Krampus assetati di sangue?

 
 

Buon primo Dicembre!
Inizio con una delle mie coppie preferite, soprattutto quando Andromeda è nella sua fase selvaggia da Serpeverde.

Questa storia, così come le altre che spero arriveranno partecipano “al Calendario dell'avvento 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna". Se ami il Natale ( o sei team Yule) facci un salto, sono certa che troverai delle storie interessanti.

 

Il prompt di oggi : Guardare insieme un film natalizio.
 

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Capitolo 2
*** L'odore della neve- Narcissa ***


Attenzione: accenni a gravidanze non portate a termine
 
 
Ancora prima di aprire gli occhi, Narcissa può sentire l’odore. É qualcosa di indefinibile, un sentore soffice e pungente che sa di freddo e di vento che passava attraverso gli abeti delle foreste attorno a Hogwarts, che si insinuava attraverso le grandi finestre della camera padronale.
Era la prima neve, quella che aveva tardato così tanto ad arrivare. Era stata ad Andromeda a insegnarle a riconoscere quell’odore, svegliandola anche nel cuore della notte, con gli occhi brillanti, per trascinarla fuori.
Scosta piano il braccio di Lucius che durante la notte l’aveva cercata stringendola a sé, sollevando piano la coperta di seta ricamata a mano. Avanza silenziosa verso la finestra, scostando appena le grandi tende di velluto scuro, quel tanto che bastava per sbirciare fuori.
Aveva ragione, come sempre. I giardini all’italiana del Maniero erano ricoperti da un soffice manto di neve candida, ancora fresca. Nulla era stato toccato, non c’é un’ombra a sporcare quella perfezione.
Sospira, posando senza pensare la mano sul ventre ancora piatto.  Venti settimane, e può sentirla quella piccola vita che cresce dentro di lei, che costringe i suoi organi a spostarsi, il suo cuore a pompare più sangue, il suo cervello a ragionare in modo diverso.
Venti settimane non sono niente ed , allo stesso tempo, significano tutto. Sono paura e gioia, terrore e unghie nell’anima per quella creatura che significa già tutto per lei.
Spinge più forte la mano, quasi potesse accarezzare quella creatura che è fatta di lei e di Lucius, e che per ora è solo un nome dolce che non ha il coraggio di dire ad alta voce, per paura di farlo sparire.
Il Medimago ha raccomandato riposo assoluto, eppure c’è una cosa che deve fare assolutamente, qualcosa che non fa da anni, da quando ancora la sua famiglia era fatta di due sorelle così diverse eppure così simili.
Adesso Andromeda l’ha abbandonata e Bellatrix è rinchiusa in una cella ad Azkaban. Fa male pensare a loro, cerca di non farlo, di rifugiarsi tra i marmi lucenti di casa sua e l’abbraccio caldo di Lucius. Ma ora non è più sola, non ora che quel bambino si fa strada dentro di lei.
Non sa quando ha deciso che è un maschio, questo esserino che risucchia tutti i suoi pensieri e assorbe ogni sua energia, né come faccia a sapere che questa sarà la volta giusta, che non si troverà a sperare di scivolare via come quel grumo di sangue che si stacca da lei.
Eppure lo sa. C’è qualcosa dentro di lei che le urla che alla prossima prima neve ci sarà il suo bambino con lei. Un bambino cui insegnare a riconoscere il profumo più magico del mondo, con cui guardare estasiato quella coperta candida che avvolge tutto della magia che scorre antica nelle loro vene.
E a cui insegnare a fare i pupazzi di neve, così come Andromeda e Bellatrix l’hanno insegnato a lei nei giardini immacolati di Villa Black.
Si veste velocemente, facendo meno rumore possibile, prima di sgattaiolare fuori, così come faceva da bambina.
Resiste alla tentazione di buttarsi in terra, ora che nessuno può vederla, riempirsi le mani e gli occhi di quella neve soffice che non la giudica, che non le richiede di essere sempre perfetta.
Muove la bacchetta, lasciando che quella massa candida si muova docile sotto il suo tocco. Prima il tronco, poi gli arti, infine la testa. Una sagoma tondeggiante, morbida e rassicurante. Una forma infantile, che la riporta a dei pomeriggi lontani. Alliscia, snellisce, definisce. Tutto deve essere perfetto.
Quello non è solo un pupazzo di neve. Quello è il primo pupazzo di neve per il suo bambino, e non c’è niente che possa essere meno che perfetto.
Sta lavorando sull’espressione, cercando quella più adatta, il quadro perfetto da distruggere prima che qualcuno possa vederlo.
Ed è allora che sente dei passi dietro di lei, passi che conosce fin tropo bene.
Lucius non dice niente, si avvicina al pupazzo di neve con uno strano sorriso sul volto. Stringe tra le mani qualcosa, ma è solo quando la avvolge attorno al collo del pupazzo che Narcissa scoppia a ridere.
É una sciarpa dai colori verde e argento, che Lucius avvolge stretta attorno al collo farinoso, quasi stesse mettendola su un essere umano e non su un fantoccio di neve. Poi si allontana, a osservare il risultato.
“Meglio abituarli sia da piccoli. Non vorrai mica che nostro figlio o nostra figlia possano finire a Tassorosso?” -chiede, con un tono che non sa definire se ironico o veramente preoccupato. Poi si avvicina e la stringe forte, mentre lei non riesce a smettere di sorride.
E anche se sente la paura del dolore sotto la pelle di suo marito, lo stringe più forte, cercando di trasmettergli quella certezza che sente dentro di sé come una verità indissolubile.
“Il prossimo anno lo faremo con Draco, Lucius. Te lo prometto> mormora sorridendo contro il suo petto.
Si, quello è il primo pupazzo di neve, ma non sarà l’ultimo.
Ben presto ci saranno ditine paffute e gambe instabili a giocare tra la neve. E grandi occhi grigi che guarderanno un ammasso di neve e ci vedranno tutto l’amore del mondo.
 


 
Questa storia partecipa “al Calendario dell'avvento 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna". Prompt : Pupazzo di Neve. Ps l'idea dell'odore della prima neve è preso da Gilmore Girls

 

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Capitolo 3
*** La tempesta perfetta- Charlie/Oliver ***


Charlie guardò sconsolato fuori dalla piccola finestra del rifugio, dove non si riesce a scorgere nulla se non un turbine indistinto di fiocchi di neve ghiacciata. Almeno quel poco che si riesce a intravedere, visto che una spessa coltre di neve ricopre tre quarti del vetro. Anche la porta è bloccata, lo sa perché ha provato ad aprirla più volte, ma né la forza né la magia ha potuto niente. Anzi, a dire il vero ha dovuto accantonare la proposta di Oliver di lanciare una Bombarda Maxima…

Ha sempre avuto una mente analitica, Charlie, non per niente gli scacchi sono il suo gioco preferito. E’ stato Bill a insegnarli, quante sere passate a giocare davanti al camino della Tana, mentre la mamma e il papà si occupavano dei più piccoli.  Non si tratta solo di imparare le regole o studiare qualche mossa, per questo a Percy non sono mai piaciuti. Non sono un gioco in cui si ottiene subito il risultato, ecco perché George e Fred non sono mai riusciti a finire una partita senza lanciare tutto all’aria. L’unico che sembra apprezzarli è Ron, ma chissà se troverà qualcuno con cui giocare a Hogwarts. No, negli scacchi è tanto importante la mossa, quanto prevedere che effetti avrà.

Ed è per questo che sa che far esplodere una porta in mezzo ad una bufera di neve non è una mossa saggia. Specialmente se ci si trova in una casetta di legno in mezzo alla foresta di Dartmoor. Fortuna sua che era in Egitto, altrimenti avrebbe avuto un paio di cosette da dire a suo fratello che lo aveva spedito lì, alla ricerca di un libro che aveva dimenticato durante l’ultima visita e che gli serviva terribilmente.

Eppure c’era qualcosa di strano in quella tempesta, se lo sentiva dentro. Ma lo sapevano tutti che i maghi non potevano influenzare il tempo, no? Cos’era allora che non quadrava?

«Quindi questo posto lo avete scoperto tu e Bill?» Oliver sembrava aver accettato la situazione con la sua solita filosofia, quella che gli difettava solo quando si parlava di partite di Quidditch, e ora stava armeggiando con il camino.

«Io, Bill e Dora, qualche estate fa. Cercavamo un posto speciale non troppo distante da la Tana, dove stare un po’ in pace, e abbiamo trovato questa casetta abbandonata. Dovevano esserci stati dei maghi, un tempo, abbiamo trovato degli incantesimi dissimulanti. Abbiamo chiesto un po’ in giro, ma nessuno ne sa niente. Quindi abbiamo deciso di sistemarlo un po’… c’è voluta un’estate intera, ma alla fine non era affatto male».

«E’ molto carina. Certo potevate mettere un paio di scope o almeno due bodili…però sono contento che tu mi abbia chiesto di accompagnarti» aveva commentato Oliver, mentre guardava soddisfatto il fuoco che ora scoppiettava allegro nel camino. Poi chiese a bruciapelo«Non ti mancherà?».

«Questo posto?» aveva chiesto Bill, perplesso. No, un posto non gli sarebbe mancato, non era mai stato attaccato ai luoghi. Anche lasciare Hogwarts non era stato doloroso come aveva immaginato, dopo che era stata la sua casa per sette lunghi anni.

Gli sarebbe mancato ben altro.  L’aveva capito alla sua ultima partita prima delle vacanze estive, il gufo con il rifiuto dell’offerta dei Montrose Magpies già in volo. L’aveva capito quando, dopo la vittoria, la squadra gli si era stretta attorno. E tra quegli sguardi, le voci amiche, l’odore famigliare dell’erba e dell’aria così famigliare, si era reso conto che ce ne era solo uno che contava per lui.

Due occhi che fissavano il suo manico di scopa, che vagavano per gli spalti, che saettavano veloci come quando teneva lo sguardo fisso sulla Pluffa. Occhi che soppesavano chiunque e qualunque cosa su quel punto. Tranne che su di lui. Sapeva che non gli avrebbe mai perdonato di abbandonare il Quidditch.

Ma Charlie aveva un sogno, e vestire una casacca gli andava troppo stretto. C’era solo una cosa che gli faceva stringere lo stomaco, ogni volta che pensava al suo futuro. Se solo avesse avuto la forza di capirlo prima… Quante volte Bill e Dora avevano provato a farlo ragionare, a fargli ammettere che Oliver non era solo un compagno di squadra…

Ma lui aveva sempre altro a cui pensare: gli allenamenti per diventare Capitano, le lezioni Extra per poter essere ammesso al programma del Santuario dei Draghi, gli esercizi di duello…

Aveva sempre pensato che avrebbe avuto tempo, che ci sarebbe stata un’altra estate, un altro Natale…

Ma ora nella sua clessidra erano rimasti solo pochi granelli di sabbia. Anzi, pensò riconoscendo la malcelata ironia, non di sabbia…ma di neve.

Guardò di nuovo verso la finestra, dove il vento continuava a infrangersi con forza contro il vetro fin troppo sottile. E poi Oliver, il viso stranamente serio illuminato dal riverbero dorato delle fiamme, perso dietro qualche strategia immaginaria di gioco.

Si accovacciò accanto a lui, posandogli una mano sulla spalla, delicato.

«Ti amo, Oliver» disse, semplicemente, il fiume di parole che aveva nella mente sciolto nella semplicità di quel sentimento che finalmente aveva imparato a riconoscere.

Gli occhi di Baston brillarono come dopo una parata particolarmente difficile, una luce speciale che sembrava modellare ogni singola cellula del suo essere. Una gioia selvaggia, qualcosa di così viscerale da farlo vibrare.

Sentì il tocco deciso delle labbra di Oliver contro le sue, le dita che gli stringevano la nuca. Si inebriò del suo odore fresco e balsamico allo stesso tempo, come quello del vento che soffiava attraverso gli abeti centenari della Foresta proibita.

«Ti amo anche io, Capitano» riuscì a dire a pochi centimetri dalla sua bocca, distante quel tanto che bastava per riprendere fiato. Poi, con il sorriso furbo che usava sempre quando voleva ottenere un’ora in più di pratica da Madame Broom, aggiunse:«E direi che abbiamo tutta la notte per dimostracelo… Non vorrai mica uscire con questa bufera, no?»

No, decisamente non era il caso. E non era più neanche così arrabbiato con Bill per averlo spedito laggiù…a fare cosa, poi, ora davvero non se lo ricordava.

 

 

 

 

Il giorno dopo, mentre faceva colazione nel sole ancora dolce del dicembre egiziano, Bill attendeva un gufo speciale. Quando Dora aveva proposto di rinchiudere Charlie e Baston in un’illusione di tempesta per convincerli finalmente a dichiararsi, aveva pensato che la follia della madre avesse trovato il modo di manifestarsi anche in lei. Poi, però, ci aveva riflettuto e aveva deciso che avrebbe fatto qualunque cosa per far si che suo fratello non avesse rimpianti. E’ questo quello che fanno i bravi fratelli maggiori, no?

E poi non se la sarebbe presa troppo per essere stato maledetto, ne era certo…

Sempre che le cose fossero andate come dovevano, il che con i membri della sua famiglia non era mai da dare per scontato.

E poi lo vide: un maestoso gufo delle consegne internazionali che volava elegante e sicuro nel cielo terso di nubi. Era un gufo di prima classe, suo fratello non aveva davvero badato a spese.

Aprì titubante la pergamena, pregando di non aver rovinato tutto.

C’era solo una riga, scritta di fretta. La lesse veloce, mentre il cuore gli si riempiva di soddisfazione:

«E’ questo allora l’amore? E’ meraviglioso, Bill».

Bill sospirò. Non lo sapeva, non poteva dire di essere mai stato davvero innamorato. Non ancora, almeno. Perché sapeva che un giorno sarebbe arrivata una persona speciale, che gli avrebbe riempito la mente e il cuore con la stessa gioia che traspariva dalle parole del fratello.

Sì, un giorno sarebbe arrivata, doveva solo aspettare.

Un giorno anche lui avrebbe avuto una tempesta di neve dentro la quale rifugiarsi.

 


 

Prompt di oggi: a Persona A e persona B rimangono incastrate in casa a causa di una bufera di neve

 

Dall’iniziativa "il Calendario dell'avvento 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna".

 

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Capitolo 4
*** Rêve de Noel- Pansy ***


Prompt:Fantasma che si vede solo a Natale.

Genere: Angst

Warning: morte di un personaggio secondario ( beh, stiamo parlando di fantasmi).

Storia partecipante al Calendario dell'avvento 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna".


 

 

Pansy non aveva mai amato le festività invernali, neanche quand’era bambina. Ricordava il grande salone buio, l’albero di Yule decorato dal loro elfo domestico, troppo vistoso e pacchiano per i suoi gusti. Non poteva fare a meno di compararlo nella sua mente con quello della madre di Draco, luminoso ed elegante.

Sin da bambina si era convinta che, un giorno, sarebbe stato il suo il salone nel quale tutta la società magica si riversava, sciamando nei loro abiti migliori e nei gioielli più preziosi, la vetrina perfetta nel quale essere visti.

Sarebbe stato suo l’invito brossurato in oro, suo il nome sussurrato con invidia.

C’era stato un unico anno in cui era stata felice di costringersi a salire sul treno, invece di rifugiarsi nella calma irreale della Sala Comune di Serpeverde insolitamente deserta. Era stato il suo quinto anno, l’ultimo in cui ancora aveva tenuto stretto il suo sogno. Aveva quindici anni ed aveva danzato sui lucidi marmi di Malfoy Manor in un abito color pervinca che ne faceva risaltare la pelle candida, in quel modo che aveva immaginato tante volte nella sua mente.

Occhi grigi e lineamenti affilati, si era fatta portare, lasciando che fosse il suo corpo a rispondere, con il timore che potesse sentire la pelle bollente contro la sua.

Un inchino elegante, la mano stretta contro la sua vita per guidarla.

Se avesse potuto, Pansy avrebbe cristallizzato quel momento per sempre.

Ma la vita aveva altri piani e le aveva sbattuto in faccia le sue illusioni da adolescente.

C’era stata Azkaban, il ritorno del Signore Oscuro, la guerra, la vittoria di quelli che non l’avrebbero mai accettata. E i diamanti che brillavano alla luce di centinaia di candele fluttuanti erano rimasti solo un pallido ricordo.

Ma lei si era rialzata, ciglia nere come il merletto e labbra rosse a sfidare il mondo. Aveva lottato, si era fatta strada con le unghie dalla manicure perfetta, sino a trovare finalmente un suo ruolo nel mondo che non fosse accanto ad un uomo che non sarebbe mai stato davvero suo, per di più. Anzi, che non fosse stato all’ombra di nessuno.

Da quel giorno, però Pansy non aveva più festeggiato Yule. E, allo stesso tempo, non l’aveva più passato da sola.

Era la vigilia di quello che ad Hogwarts veniva festeggiato come Natale del 1998 quando l’aveva vista per la prima volta, ancora rinchiusa in casa dopo il processo. Era seduta sul fondo del letto della camera padronale, quella in cui si era insediata dopo che suo padre era stato spedito ad Azkaban, intenta a pettinarsi i lunghi capelli biondi ancora incrostati di sangue.

Si era ripresentata l’anno dopo, quando era fuggita a Parigi, incapace di sopportare la vista dell’ombra sbiadita che era diventata l’uomo che amava. E lei, in quella fredda alba di dicembre, le era apparsa accanto, camminando muta insieme a lei lungo la Senna.

Da allora, ogni singola vigilia lei era apparsa, ogni anno più simile alla ragazzina petulante che aveva più volte pensato di buttare giù dalle scale tornando da Divinazione. E ogni anno le cicatrici sul suo volto si facevano più leggere, il segno disgustoso del morso sul suo collo devastato si richiudeva, la pelle diventava più rosea.

Ora era davanti a lei, nel suo appartamento boutique a Diagon Alley, con gli occhi azzurri brillanti e uno stupido cerchietto rosa a fermarle i lunghi boccoli.

«Se lo faccio mi lascerai in pace?» bofonchiò Pansy, senza guardarla, concentrandosi, invece, sui bozzetti sparsi sul tavolo davanti a lei.

«Sei tu che mi hai chiamata, Pansy. Ogni vigilia di Natale… hai gridato e gridato e non ho avuto il coraggio di abbandonarti…» aveva risposto il fantasma, irrompendo in quella risata cristallina che aveva sempre trovato irritante quand’era viva.

Davvero era stata lei? Era stato il suo senso di colpa che aveva sempre pensato di riuscire a nascondere nell’angolo più profondo e buio della sua coscienza, lo stesso che le ricordava che, in fondo, era stata anche colpa sua?

I ricordi che cercava così tanto di cancellare…

Era rimasta ferma, pietrificata nel nascondiglio che si era trovata durante la battaglia, quando Greyback era piombato famelico su di lei. Aveva visto la pelle lacerarsi, il sangue scendere copioso ad insozzare gli stupidi vestiti rosa, aveva sentito il suo urlo lacerare l’aria.

Non si era mossa neanche quando aveva visto la Granger scagliare l’incantesimo, il corpo della vittima del lupo mannaro che cadeva a terra come un fantoccio, muovendosi appena come  un pupazzo rotto.

Solo quando era stata certa che tutto fosse finito che si era avvicinata, terrorizzata. Ed era rimasta lì, tenendo impacciata la mano di quella Grifondoro troppo stupida per scappare, a guardare la sua sciocca vita spegnersi poco a poco.

E allora, ora lo ricordava anche se aveva tentato di rimuoverlo, le aveva parlato dell’unica cosa che le era venuta in mente: di un Ballo di Natale, della luce brillante attraverso i cristalli, di bollicine profumate che davano alla testa, del profumo di incenso e cuoio che le faceva battere il cuore fino a pensare che chiunque potesse sentirlo oltre la musica dell’orchestra.

E Lavanda Brown era morta così, tra le sue braccia, mentre raccontava della prima volta che si era sentita davvero felice.

 «Lo faccio per me, sia chiaro. Il nome della campagna è tutto casuale… è solo esteticamente gradevole» ribatté, fingendosi annoiata, mentre firmava il contratto magico che aveva preso in mano.

Lavanda sorrise, battendo le mani eccitata, un’eterna sedicenne dalle grandi ambizioni «La Cooman l’aveva previsto… mi ha detto che un giorno sarei diventata famosa».

 «Ecco qui, ora non si torna più indietro. La mia prima collezione privata da stilista…» sospirò la mora, inserendo i disegni in una spessa cartellina verde smeraldo in pelle di Graphorn, con lettere eleganti impresse in oro:

 

Rêve de Noel, by Pansy Parkinson

Una collezione per una donna che non si limita a sognare

 

«Fose è il caso di pensare ancora un po’ al nome, che dici?» si trovò a commentare, girandosi verso il fantasma accanto a lei, mentre la pendola art nouveaux della sala batteva dodici tocchi.

Ma Lavanda era già andata, dissolta nel tempo e nello spazio di un altro anno che scivolava via.

Di lei restava solo l’odore di zucchero e caramello e l’eco di una risata cristallina spenta per sempre.

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Capitolo 5
*** Superare le paure- Theodore Nott ***


 
 
Camminando per una mezz’ora a nord dell’edificio principale, seguendo le tracce del sentiero ormai scomparso tra i frassini e le querce che abitavano quelle terre ben prima dei Malfoy, si arrivava alle sponde di un piccolo lago circolare. Da bambini molte estati avevano costretto un Elfo a trasfigurare uno dei tronchi caduti durante l’inverno in una piccola barca, per poi passare pomeriggi interi nel piccolo chiostro di marmo al centro del lago, immaginando di essere già ad Hogwarts.
Ma adesso non era estate, e la superficie ghiacciata del lago rifletteva le cime innevate tutto attorno.
“Onestamente non vedo perché vi siete fissati su questa cosa” - Theo era rimasto più indietro, guardandoli imbronciato.
“Perché lo scorso inverno hai passato tutto il tempo a guardare invidiosi la gente che pattinava ad Hogwarts. Ed è stato terribilmente noioso. Fai tutte queste storie per una stupidaggine” - aveva replicato Pansy, assicurandosi i pattini e iniziando a scivolare leggera sulla superficie ghiacciata. Si girò, in modo da guardarli in faccia con un sorrisetto molto poco incoraggiante, mentre continuava pigramente a muoversi su quella dannata superficie scivolosa come se stesse nella Sala Comune di Serpeverde, con un bel granito centenario sotto i piedi.
“Avete palesemente frainteso. Non siete molto perspicaci, sapete? In confronto a voi Longbottom è il nuovo Granger!” - sbuffò Theo, cercando di arretrare impercettibilmente, scontrandosi invece con Draco piantato dietro di lui.
“E perché i miei sono fuori fino a domani e possiamo utilizzare il lago. Si può sapere perché hai così paura di pattinare sul ghiaccio? Sono certo che anche Weasley ci riuscirebbe… e non sto parlando di Lenticchia, ma dello spilungone scoordinato” - aveva replicato il biondo implacabile, spingendolo verso l’argine.
“Forse perché ricordo distintamente quando ci sei caduto dentro?” - ribatté piccato, cercando di pungolare l’ego di Draco, che, ancora dopo tanti anni era certo non aver superato di dover essere tirato fuori semicongelato da un posto dove in teoria non avrebbe dovuto essere. E se di certo lui non se l’era passata bene, al povero Elfo domestico incaricato di sorvegliarli era andata decisamente peggio.
“Voglio sperare che almeno tu non sia così idiota da pensare di rincorrere un falso pavone albino su uno strato sottile di ghiaccio a inizio marzo. Per Salazar Serpeverde, Draco, a volte sei davvero stupido... tipo quando ti sei messo a prendere per il culo Potter e ti sei fatto fregare il Boccino. O quando hai seguito quei tre dementi in mezzo alla Foresta Proibita e ci hai fatto perdere punti… o quando…” - iniziò ad elencare Blaise, infagottato in una spessa sciarpa di cachemire. Blaise odiava il freddo, lo aveva sempre fatto. E di certo essere trascinato lì durante le vacanze di Natale non migliorava il suo già non facile carattere.
“Almeno io ci salgo su una scopa. Non come una certa persona che si rifiuta di persino di venire alle partite” - sibilò Draco offeso- “E poi chissà chi devo ringraziare per avermi illuso che se avessi catturato il pavone avrei ricevuto la mia lettera per Hogwarts?”.
“Sul serio Malfoy, come è possibile che tu abbia dei voti così alti? Posso capire Piton…avete la stessa ossessione per quelle dannate fialette. Ma gli altri?”
“Certo, troppa fatica pensare di seguire gli ingredienti, vero Zabini? Voglio vedere come farai quest’anno con i Gufo…”.
“La vita è troppo breve per seguire le regole, Draco. E io sono troppo interessante per perdere tempo a pesare la pelle di Grilacco. Senza contare che la Umbridge mi adora” - aveva risposto serafico Blaise, stringendosi nel cappotto.
Bene, se quei due continuavano a litigare, poteva filarsela. In fondo bastava svicolare con nonchalance… andarsi a rinchiudere nel salone in stile art nouveau con un bel libro e il camino acceso, distante miglia da quel dannato lago che lo terrorizzava.
Perché c’era un motivo se Theo odiava i laghi ghiacciati, lo stesso per cui quel giorno in cui Lupin aveva portato il Molliccio lui si era fatto piccolo piccolo, con il cuore che gli batteva rimbombandogli nelle orecchie sino a cancellare le chiacchiere eccitate attorno a lui. Aveva paura che assumesse le fattezze di quella ragazza Babbana, il volto coperto di sangue, gettata come un vestito vecchio in un vecchio lago nelle vicinanze di un villaggio sperduto. Theo aveva sei anni, e suo padre lo aveva costretto a guardare.
Questa è la fine dei Sanguesporco, Theodore. Ti ho portato qui apposta, non azzardarti a guardare altrove.
Avevano riso, guardandola annaspare, cercando di aggrapparsi al ghiaccio sottile, il volto che diventava sempre più pallido, le labbra blu come lo stemma di Corvonero che era tra i ricordi di sua madre.
Poche settimane dopo, c’era stato l’incidente di Draco.
Non c’entravano nulla l’uno con l’altro, eppure ricordava bene il terrore del padre di Draco, seguito dalla rabbia una volta che il figlio era stato messo in salvo. Così diverso, rispetto alle risate e ai ghigni mentre la ragazza scompariva nell’acqua scura.
E suo padre come avrebbe reagito se fosse toccato a lui? Theo non osava chiederselo, troppa la paura di sapere già la risposta.
“Guardate che se ne sta andando” - aveva commentato Pansy leggera, staccandosi dalla superficie ghiacciata con una doppia piroetta, prima di pattinare verso di lui.
Si era avvicinata, tendendogli la mano.
“Dai, andiamo. Arriviamo al centro e torniamo indietro, promesso”.
La voce di Pansy era insolitamente dolce, quella piccola nicchia di calore e affetto che riservava a pochissime occasioni. Lo guardava con gli occhi neri lucenti, sorridendo.
“Dai, Theo. Solo qualche passo. E poi tranquillo, sono certo che Blaise cadrà molto prima di te”. Il tono di Draco aveva perso ogni connotazione di scherno o della nota di noia che riservava al resto del mondo. “E poi torneremo a casa e ci faremo fare un tè speziato bollente e i biscotti al pan di zenzero”.
“Io direi piuttosto che prenderemo un po’ di quel bel whiskey incendiario centenario che tuo padre tiene nel suo studio” - puntualizzò il moro, sospirando.
“Sarà divertente, te lo prometto. Male che va trasfigurerò Draco in un pavone albino … tanto con i capelli ci siamo quasi. Così, tanto per ricordare i bei tempi” – commentò a mezza bocca Blaise, avanzando sul ghiaccio verso Draco e Pansy, che lo attendevano abbracciati a poca distanza.
Theo deglutì il grumo di paura che gli stava risalendo acido in gola.
Fece un passo, poi un altro, barcollando instabile sulla lama sottile, nonostante l’incantesimo stabilizzante.
Draco, Blaise e Pansy non si erano mossi, fermi in attesa.
Sapeva bene che qualcosa stava cambiando, aveva origliato i discorsi di suo padre e dei suoi amici. Si diceva che il Signore Oscuro era tornato. E con lui le urla di quella Babbana sconosciuta che tormentava di nuovo i suoi incubi.
Ma in quella fredda giornata di dicembre, con i suoi amici ad attenderlo e la promessa di un pomeriggio di risate e infuso di ribes rosso speziato, magari corretto, poteva fare finta che non fosse mai accaduto. Che erano solo studenti che si godevano le vacanze invernali.
Peccato che, perso com’era nelle sue riflessioni, non si era accorto che Pansy gli era scivolata dietro, piroettando leggera, mentre le lame dei suoi pattini incidevano arabeschi sottili ed eleganti.
Un salto, un otto, il rumore ritmico e sinuoso della sua danza ghiacciata. Draco e Blaise davanti a lui, il secondo imbacuccato e imbronciato e il primo che sembrava cercare di schiantare qualcosa con lo sguardo. E mentre era ancora lì, traballante sulle gambe ed incerto sul dove andare, capì che non era qualcosa, ma qualcuno.
Pansy Parkinson, per l’esattezza, la sua supposta migliore amica, che gli era finita contro spintonandolo e facendolo rovinare contro la superficie del lago, dura come il cemento.
“Bene, ora che sei caduto la prima volta puoi anche rialzarti ed imparare finalmente a pattinare”, si era limitata a commentare con un sorriso, fermandosi a poca distanza da lui, tendendogli la mano.
Theodore si rialzò sbuffando e recriminando ogni singolo Nott che fosse mai finito a Serpeverde. A Tassorosso doveva finire, dove di certo gli amici non pensavano di insegnarti a fare qualcosa di stupido e pericoloso facendoti rompere il naso contro una lastra di ghiaccio. O, meglio ancora, a Corvonero, dove le cose idiote proprio non venivano prese in considerazione.
O a Grifondor… no, fino a quel punto persino lui, con la faccia dolorante e la voglia di farli lievitare tutti e tre sino alla cima dell’albero più alto e di lasciarli lì fino a quando i Malfoy non fossero tornati, non riusciva ad arrivarci.
Mosse un passo esitante, spinto più dalla furia che dall’altro. E poi un altro, per riuscire a togliere quel ghigno soddisfatto dalla faccia di Draco. E poi un altro, per spiegare bene a Blaise dove doveva ficcarsela la sua sciarpa intessuta a mano. E poi un altro, e un altro ancora.
E alla fine, inaspettatamente, si trovo a pattinare in pieno dicembre su un lago ghiacciato e con un elfo che urlava disperato.
Anche se, di certo, non avrebbe mai capito cosa ci trovassero quei tre deficienti dei suo migliori amici di così divertente.
 

 
Questa storia è ispirata ad uno dei prompt del calendario dell’Avvento a 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna, ma non vi partecipa, essendo stata pubblicata ben dopo la data del prompt.
 Il prompt in questione e ra quello del 7 dicembre “a Persona A non ha mai pattinato sul ghiaccio e persona B le insegna come fare”.
Parlando con Ayumi_L , ultimamente ci siamo dette che entrambe avevamo voglia di vedere più Theodore Nott nelle storie. Ed ecco qui come è nata questa piccola storia di amicizia Serpeverde.

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Capitolo 6
*** Uno scherzo finito male. O forse no.- Ted Tonks/Andromeda Black ***


 

Quando alla festa natalizia dei Prefetti quell’idiota di Grifondoro aveva proposto simpatico diversivo, Andromeda già sapeva che si trattava di una colossale idiozia. D’altronde quando mai quelli della sua casa avevano avuto un’idea intelligente? Sempre pronti a mettersi nei guai, solo per il gusto di gonfiare le piume come i pavoni che scorrazzavano per i giardini all’Italiana di Villa Black.

«Ovviamente voi piccoli serpentelli avete troppa paura di provare»  li aveva stuzzicati il Prefetto di Tassorosso, quello stupido natobabbano che cercava sempre, e inutilmente, di dare la risposta giusta prima di lei.

«Tonks, per uno che ha un gusto dell’abbigliamento di un elfo domestico ti prendi troppe libertà»  aveva commentato con fare annoiato Lucius accanto a lei, passandole un bicchiere smerigliato ricolmo di whiskey incendiario invecchiato. «Tieni, non bere quella porcheria. Per Salazar Serpeverde, possibile che non siate riusciti a portare qualcosa di decente? Sembra succo di zucca andato a male» 

«E tu come al solito parli troppo, Malfoy. Voi due siete gli unici a non aver provato il rituale. Devo dedurre che, come al solito, siete solo dei codardi»  replicò Tonks serafico scrollando le spalle.

«Prova ad insultarci di nuovo e ti rimando a pezzi dai tuoi genitori Babbani»  rispose Lucius, sputando l’ultima parola con rabbia. «Andiamo, Meda, questi pezzenti non meritano la nostra attenzione, Prefetti o non Prefetti» .

Andromeda sospirò, buttando giù un sorso di liquido ambrato e godendosi la sensazione del sapore rotondo che le avviluppava la gola. Una parte di lei voleva seguire Malfoy e lasciarsi dietro quel branco male assemblato di maghi da quattro soldi che si credevano migliori di lei, dall’altro aveva voglia di cancellare quel sorrisetto dalla faccia sin troppo cordiale di Tonks. Si, perché ormai lo aveva notato da mesi: ogni volta che la guardava, quello stupido Tassorosso aveva un sorriso stampato sulle labbra che le faceva prudere le mani attorno alla bacchetta. Doveva ripetersi come un mantra che neanche Dippet avrebbe potuto giustificare che cruciasse un altro studente nella Sala Grande.

Con fare annoiato, strappò lo spillone che Tonks teneva in mano e si punse il dito, lasciando che tre gocce di sangue cadessero sulla ciotola argentata colma di petali di gardenia. Poi passo lo spillone a Lucius, che era rimasto dietro di lei, alzando esasperato gli occhi al cielo.

« Attends, Meda, tu es sérieuse ?», iniziò a lagnarsi, guardandola offeso.

«Je ne veux pas rester avec ces idiots toute la nuit»  commentò tagliente,

«Guardate che non siete i soli a saper parlare francese, miei piccoli snob. Neanche noi vogliamo rimare qui tutta la notte, se è per questo. Quindi, andiamo Malfoy, chissà che non ti capiti una bella purosangue come anima gemella… tipo la Crabbe»  ridacchiò Tonks, facendo lievitare verso il Serpeverde il recipiente argentato. 

C’era stato una strana flessione nello sguardo di Lucius, una piccola scintilla che gli aveva illuminato lo sguardo metallico. E Andromeda sapeva benissimo che non era per Irma Crabbe.

«Non ci provare…»  lo minacciò a voce bassa, mentre osservava tre grosse e placide gocce color vermiglio cadere lente e morbide, sangue pure e sangue marcio, indistinguibili ormai nella carnosità ora rosata dei petali profumati.

«E ora i vostri desideri. Mi raccomando, non barate… la pergamena lo sente se non è il vostro vero desiderio»  ricordò ancora Tonks, sempre con quel sorrisetto.

 

 

 

 

 

Il giorno dopo, quando si era svegliata, tutto le era sembrato identico al solito, a riprova che la sceneggiata della sera prima era solo l’ennesima dimostrazione che gli altri Prefetti erano solo dei poveri maghi e streghe da strapazzo.

Si stava spazzolando i capelli davanti al grande specchio argentato che era arrivato direttamente da Parigi e che aveva sostituito quello banale dei dormitori di Hogwarts, quando notò una macchia rossa sul polso, nel piccolo spazio di pelle solitamente candida lasciata scoperta dal bordo della vestaglia di seta.

Tirò su il tessuto, guardando orripilata una faccia rubiconda e con una grossa e folta barba bianca che la guardava sorridendo. Sembrava la versione strafatta di Lumacorno.

E, sotto, una scritta

Caro Babbo Natale, il mio desiderio è un appuntamento con quell’insopportabile so tutto io di Andromeda Black.

Ted

D’istinto si coprì il polso con la mano, mentre la spazzola d’argento cadeva con un tonfo in terra.

Non poteva essere, probabilmente era colpa del pessimo alcol della sera prima. Malfoy aveva ragione, non avrebbe mai dovuto accettare da bere da gente che non sapeva neanche scegliere un maglione…

Forse era solo un’allucinazione. Si doveva esserlo per forza.

Aprì lentamente le dita, sbirciando tra gli spazi vuoti.

Niente, il faccione era ancora lì.

E, per Merlino, Salazar Serpeverde ed ogni mago vivente… chi diavolo era Babbo Natale?

 

 

 

Quando Peeves gli aveva consegnato il libro, Edward Tonks aveva pensato si trattasse solo di uno scherzo innocuo, un modo per prendere in giro gli altri Prefetti. Non aveva mai creduto, neanche per un attimo che davvero il desiderio che aveva scritto sarebbe apparso davvero sulla pelle di qualcuno, altrimenti non avrebbe convinto Swann a proporlo alla festa. E, soprattutto, non gli era passato in mente di leggere le note scritte in piccolo alla fine del libro. Al massimo era certo che sarebbe apparso sulla faccia grinzosa di Gazza, o sul deretano di qualche statua in cima alla torre.

Di certo non pensava davvero che un desiderio, il suo desiderio, scritto nella grafia elegante sulla pergamena incantata e bruciato con l’incenso e i petali insanguinati, sarebbe apparso sulla sua  pelle. Il che significava due cose, parimenti terrificanti.

Primo, Andromeda Black, Serpeverde, Purosangue e maledettamente sexy quanto insopportabile, era la sua anima gemella.

Secondo, il suo desiderio era esattamente quello che lui faceva sempre.

Lei aveva desiderato di essere vista davvero.

E lui non faceva altro dal primo giorno di Hogwarts, quando gli era passata vicino per sedersi per la Cerimonia di Smistamento e il suo mondo aveva cessato per un attimo di andare al ritmo normale. Se c’era una cosa che Ted Tonks, nato Babbano ricordava del primo giorno a Hogwarts non era la Sala Grande piena di candele fluttuanti, né i suoi primi fantasmi, nemmeno la Sala Comune di Tassorosso che li aveva accolti come una Tana accogliente.

No, la prima cosa che ricordava riguardo a quel giorno erano i grandi occhi scuri di Andromeda Black che vagavano sulla Sala, fingendo indifferenza. Ma lui l’aveva capito subito che lei era speciale. Una galassia racchiusa in un guscio di cinismo e perfezionismo.

Anche se, a essere onesti, cinque anni ed una maledizione imprevista dopo, quelli della ragazza che gli stava urlando contro più che una galassia, sembravano racchiudere una Supernova.

E non era mai stata così bella.

 


 


 

Questa storia partecipa “al Calendario dell'avvento 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna"

Il prompt di oggi :a Soulmate!AU ma scoprono di essere soulmate solo perché sull'avambraccio di uno compare la richiesta di Natale dell'altro!

E io non potevo che tornare dai miei amati Ted e Andromeda
 

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Capitolo 7
*** Ruby Who?- Pansy (/Lucius) ***


Guardo il mio albero, le decorazioni color rubino che brillano alle luci delle candele. Le ho scelte una per una, sai? Le ho scelte perché mi ricordano di te, di te che intrecciavi le tue mani con le mie, che baciavi le mie unghie laccate e dicevi che ti facevano impazzire.

Perché tua moglie, la tua perfetta ed elegante moglie, non aveva mai messo niente di così vistoso.

Guardo il mio albero, nel mio appartamento e penso a tutti i Natali che ho passato in quel delizioso appartamentino vicino a Diagon Alley che mi avevi regalato, bevendo lo champagne più costoso che mi avevi mandato, guardandomi allo specchio, pensando a quanto non sarebbe più stata la seta a coprire la mia pelle, ma le tue labbra. Baci rubati, una passione consumata in fretta, un gioco di sguardi che simulavano i nostri corpi avvinghiati, proprio quando non potevamo neanche sfiorarci.

Perché la tua vita, di nuovo sotto ai riflettori della società, non aveva bisogno di nulla di così vistoso.

Guardo il mio albero, nel mio  appartamento, nella mia nuova città e conto tutti i miei pacchetti lucenti, guardando quel vuoto che sembra assorbire tutto il mio passato.

Ho rimandato indietro il gufo che mi avevi mandato, così come le tue lettere piene di bugie. Non ho bisogno dei tuoi gioielli costosi, Lucius, non ho bisogno del tuo sguardo addosso più brillante di ogni pietra che tu possa permetterti. Ho mandato il tuo collier di rubini e diamanti indietro, che so ti piacerebbe tanto vedere con solo la mia pelle bianca a fare da cornice e che invece finirà in qualche cassetto nascosto della tua scrivania.

Sotto l’albero, il mio vistoso, sgargiante e bellissimo albero, manca solo il tuo regalo. Non riesco abituarmi all’idea di non sentire più il tuo sapore, di non lasciarmi più accarezzare dal tuo sguardo che mi segue lasciandomi il profumo di noi addosso. Guardo quel vuoto e mi chiedo come mi abituerò alla mia nuova vita, senza sentire la tua voce roca che mormora il mio nome.

Guardo il mio albero, nel mio  appartamento, nella mia nuova città e brindo per la prima volta al Natale in cui metto me stessa al primo posto, non un ragazzino che non mi ama o un uomo che non può farlo alla luce del sole.Non so come abituarmi, ma lo farò, devo farlo. Perché in quel vuoto  ci ho messo sotto qualcosa di molto più importante di quello che credevo amore. 

Me stessa.

 


 

Prima di leggere la bellissima storia di CiusCream   Autres Temps  non avevo mai pensato neanche lontanamente ad un intreccio Lucius/Pansy. E, onestamente, mai avevo pensato di scriverne.

Ma è Natale, gli aperitivi iniziano a farsi troppi, ed è uscita fuori questa storia.

A proposito… questa storia partecipa  “al Calendario dell'avvento 2023 indetto da Sia e Cora sul forum Ferisce la penna"

Il prompt di oggi è: a "Ho contato i regali di natale sotto l'albero e non c'è il tuo e lo so, lo so perché non c'è. Non riesco ad abituarmi, però."

 

 

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Capitolo 8
*** Frammenti di Cristallo Blu (Narcissa/Lucius) ***


frammenti

Per Giulia, con cui posso sempre il mio condividere il mio amore per i coniugi Malfoy.

Anche se siamo fuori tempo, una parte del mio regalo di Natale è arrivato, spero davvero ti piaccia.

 

Frammenti di Cristallo Blu

Narcissa/Lucius.

 

Villa Black, 21 Dicembre 1969

 

Narcissa aveva sempre amato Yule, sin da quando, piccolissima, si nascondeva con le sorelle al riparo del ballatoio di mogano scuro, mentre sbirciavano l’arrivo degli ospiti per il Gran Ballo che si teneva a Villa Black ogni 21 dicembre. E se Bellatrix si e Andromeda si sfidavano a vicenda a lanciare fatture con delle vecchie bacchette che avevano trovato in soffitta, lei era affascinata dalle sete fruscianti e dai gioielli che rilucevano alla luce dorata degli addobbi. Quando le sorelle la riportavano in camera addormentata, lei continuava a sognare il giorno in cui finalmente le sarebbe stato concesso di prendere parte a quel rito che per lei sapeva di pura magia.

Era rimasta sempre più sola su quel ballatoio, diventato ogni anno più incapace di nasconderle: prima Bellatrix, poi Andromeda, entrambe piuttosto contrariate, erano state costrette a prendere parte al Ballo. O, almeno a una parte di esso, visto che entrambe dopo l’apertura delle danze e qualche chiacchiera, risalivano di corsa a farle compagnia, spesso accompagnate da un elfo con le braccia traboccanti di amuse-bouche. Così come il giorno dopo, invariabilmente, fingevano di sentire le lamentele della loro madre che le accusava di comportarsi in maniera inadatta ai membri della famiglia Black.

Narcissa le guardava tutte e tre di sottecchi, intenta a fare finta di essere troppo concentrata sul suo acquerello per prendere parte alla discussione. A volte invidiava le sue sorelle, incapace di sottostare alle regole imposte dal loro status sociale, degli uragani cui neanche le urla della loro madre e le occhiate sdegnate di loro padre potevano mettere freno.

Finalmente, però, il giorno del suo quattordicesimo compleanno era arrivato e le era stato finalmente concesso di prendere parte al Ballo. Aveva trascorso mesi a pensare ad ogni dettaglio, disegnando personalmente il suo vestito e tenendosi costantemente in contatto (o, per dirla come Andromeda, stressando inutilmente non solo la stilista, ma anche quei poveri gufi che dovevano viaggiare ogni settimana fino alla Francia perché lei era una dannata maniaca del controllo), supervisionando gli addobbi della casa e ogni singolo dettaglio della scelta musicale. Tutto quella sera doveva essere perfetto. E no, non era affatto una maniaca del controllo: semplicemente era l’unica in quella casa che sapesse davvero come dovevano essere fatte le cose.

«Tua sorella è impazzita», disse Andromeda, appoggiandosi alla porta della camera della sorella minore, guardandola con un misto di irritazione e tenerezza, mentre lei si osservava critica nel grande specchio d’argento cesellato a mano. Narcissa era così diversa da lei e Bellatrix, non solo nell’aspetto, ma anche in quel tentativo spasmodico di compiacere i loro genitori, di guadagnarsi quel soprannome di Principessa di ghiaccio con la quale ormai la chiamavano quasi tutti ad Hogwarts, compresi a Serpeverde, quando aveva iniziato a rifiutare diversi inviti. Il che, considerando da chi provenivano, secondo Andromeda era del tutto ragionevole, molto più della cotta che si era presa anche se continuava a negarlo. «Sarà la terza volta che si cambia e ho visto un paio di elfi correre in giardino cercando di auto decapitarsi per la disperazione».

«L’ha detto anche l’altra mia sorella sai? Era riferito ad una certa strega che si mette a parlare con una pianta di basilico da quest’estate», rispose la più giovane, sistemandosi una ciocca di capelli dorati che erano sfuggiti allo chignon basso. «Lasciala stare, per una volta che sembra felice di partecipare ad un evento di società».

Andromeda scosse i lunghi riccioli scuri, ignorando il riferimento alla sua piantina. Se solo Narcissa avesse saputo chi gliel’aveva regalata…. E soprattutto che da allora lei e Ted Tonks continuavano a vedersi di nascosto. «E ti pare normale che sia più eccitata perché viene questo Lord Voldemort» chiese tenendo le labbra in una smorfia. «… che non del suo matrimonio?».

Come richiamata, Bellatrix fece la sua apparizione, dandole una spinta per entrare e buttandosi sul grande letto a baldacchino dalle tende color cobalto.

«Dici di essere tanto intelligente, sorella, ma a volte sei davvero sciocca! Capisci che è la prima volta che onora una famiglia della sua presenza? Siamo i primi ad averlo come ospite d’onore ad un evento ufficiale», sbuffò Bellatrix, squadrandola infastidita.  Poi però sembrò ritrovare il sorriso. «Avrei davvero voluto vedere la faccia di Abraxas Malfoy quando ha saputo che ha scelto Villa Black e non il suo stupido maniero sperduto nel nulla. E a proposito di Malfoy, è arrivato questo…»,

Narcissa continuò a guardare ostinata davanti a sé, ma né a Bellatrix né ad Andromeda era sfuggito come le sue mani avessero indugiato un attimo di troppo, prima di far lievitare di nuovo il pacchetto argentato verso Bellatrix

«Probabilmente sarà qualche pretenzioso gioiello con cui pensa di comprarmi.  Non sono una povera sempliciotta che si fa abbindolare da un paio di pietre preziose. Mandalo indietro e scrivigli che può darlo a Irma Crabbe o a Eliza Burke, se non sa che farci».

«Oh, credimi credo che abbia dato loro qualcosa di ben diverso da un gioiello» commentò Bellatrix, ignorando volutamente l’occhiataccia di Andromeda. «Oh, e anche alla Smith di Corvonero, a quanto mi ha detto Rodolphus. Ma forse Meda ne sa di più, visto che sembrate stare sempre lì a chiacchierare come due pettegole».

«Mah, forse lo vedi più tu, visto che state sempre lì a raccontarvi di quanto bello e bravo e potente sia il vostro caro Lord Voldemort. Per Merlino, siete ossessionati tutti quanti» ringhiò Andromeda, mentre le sorelle la guardavano perplesse. «E tu, aprì quel dannato pacchetto, non ho voglia di star a sentire lamentele tutta la sera, già è abbastanza penoso così essere costretta a passare Yule in questo modo».

«Ma…» tentò Narcissa, guardando Bellatrix in cerca di appoggio. La maggiore, però, si limitò a scrollare di nuovo le spalle.

«Aprilo Cissy, mi sto già stancando. Aprilo e facciamola finita… » la blandì.

«Ma…» tentò di nuovo. Poi sospirando, si arrese, prendendo delicatamente in mano la scatolina e aprendola dubbiosa. In grembo, però, invece della collana o degli orecchini che si era aspettata, le cadde l’ultimo oggetto che si sarebbe mai aspettata.

Lo tirò su con due dita, quasi si trattasse di un geranio zannuto, osservando dubbiosa la liscia superfice blu ceruleo, facendola roteare piano.

«Una pallina? Che razza di regalo è una pallina per l’albero di Yule?» chiese Bellatrix, improvvisamente riscossa dalla sua esasperata indolenza. «Mi che l’ultima volta che ci siamo esercitati sulla Cruciatus ho un po’ esagerato… che gli avessi fritto il poco cervello che gli rimane?».

«Come scusa? Esercitati chi?» la fulminò Andromeda, venendo però liquidata da un gesto vago della sorella maggiore.  Poi però si lasciò distrarre dal lampo che era apparso negli occhi azzurri di Narcissa, nascondendo il sorriso di orgoglio. Lo sapeva che quello sarebbe stato il regalo perfetto… ora il suo l’aveva fatto. Adesso era Lucius a doversi giocare le sue carte, lei non avrebbe più mosso un dito. Cercando di scacciare via l’idea del futuro, Andromeda afferrò Bellatrix per un braccio costringendola ad alzarsi.

Mentre uscivano lanciarono entrambe un ultimo sguardo dubbioso a Narcissa, che aveva ripreso a prepararsi, come se nulla fosse, il viso impassibile come sempre e il pacchetto abbandonato sulla toilette.

«Se inizia a piagnucolare, mi esercito con la Cruciatus», minacciò Bellatrix sottovoce.

«Useresti una maledizione senza perdono su tua sorella? Sei pazza?» le sibilò di rimando la sorella, sgranando gli occhi e prendendo contemporaneamente mano alla bacchetta.

Bellatrix la guardò, sgranando gli occhi scuri con la stessa espressione di incredulità d quando le avevano detto che non poteva andare ad Hogwarts ad otto anni solo perché sapeva già lanciare incantesimi come una di undici. «Ma io parlavo di Malfoy, ovviamente! »

Andromeda la fissò a lungo, chiedendosi se davvero Bellatrix potesse farlo, arrivasse a quel punto di follia di prendersela con il suo stesso sangue. Guardò quel volto così famigliare, così simile al suo.  Cosa avrebbe fatto se avesse scoperto di Ted?

Scacciò via quel pensiero, ricacciandola in fondo alla stretta allo stomaco che aveva ogni volta che pensava al futuro, mentre la guardava allontanarsi verso le sue stanze, allegra come mai non l’aveva vista da tanto, non sapendo se sperare che fosse per l’idea di usare le sue nuove, terrificanti, capacità magiche o per l’arrivo di Lord Voldemort.

 

 


꙳꙳꙳

Il grande albero di Villa Black, ricolmo di cristalli scintillanti e nastri blu, svettava nell’ingresso, alto quasi fino al soffitto.  Era certo che avesse curato lei ogni dettaglio, ogni singolo fiocco di neve incantato, ogni candela posizionata per creare un perfetto gioco di luci, ogni ramo coperto di neve magica che non si scioglieva mai. Riconosceva il suo gusto, il suo tocco inconfondibile.

Gli altri la trovano esasperatamente snob, persino per gli standard dei Black. Lui invece era completamente affascinato dal suo modo sottile e tagliente di ricordare a tutti che no, lei non era come loro. Si era reso conto di essere innamorato dal momento in cui l’aveva vista il suo primo giorno di Hogwarts, attraversare sicura la sala grande come se fosse il suo palcoscenico, nel suo passo nulla della bambina che ricordava, la sorellina timida di Bellatrix ed Andromeda.

Era stata la prima volta in vita sua che si era trovato a non sapere cosa dire, lui che si era sempre vantato di poter affabulare chiunque, di poter avere qualunque cosa e chiunque volesse. Aveva sempre creduto di aver il dono di trovare sempre il modo giusto per far cadere una ragazza ai suoi piedi, era diventato quasi un gioco a Serpeverde. Ogni tanto qualcuno tirava fuori un nome e il primo che riusciva a strappare almeno un bacio alla nominata, acquistava dei punti. Non c’era mai stata competizione, specialmente da quando Rodolphus aveva deciso di ritirarsi.

Quando l’anno precedente era uscito quel nome, il suo nome, aveva dovuto usare ogni minima particella di autocontrollo che aveva per non prendere la testa di Rockwood e spaccargliela sul pavimento dello spogliatoio di Quidditch. Mentre cercava di ripetersi che doveva contenersi, però, quello era già in terra annaspando in cerca l’aria, mentre Rodolphus con un secondo tocco di bacchetta incendiava la lavagna.

«Abbiamo già fatto questo discorso, mi sembra. Il prossimo che nomina una Black non sarà così fortunato. Sono stato chiaro?» aveva detto Lestrange con voce glaciale, squadrandoli ad uno ad uno con gli occhi fiammeggianti.

E Lucius aveva taciuto, ma quella sera stessa aveva provveduto a chiarire il suo punto di vista con il diretto interessato. Peccato davvero che fosse un cacciatore così bravo, sarebbe stato davvero d’aiuto nella partita di sabato contro Corvonero. Se solo non avesse deciso di fare l’idiota proprio quel giorno…

Non si sapeva come, però, evidentemente qualcun altro era venuto a saperlo, perché lo avevano ritrovato in stato confusionale che vagava di notte nella foresta proibita, completamente nudo e probabilmente passato anche da qualche centauro piuttosto su di giri. A quanto pareva non ricordava nulla, era stato pesantemente obliviato, ma Lucius era sicuro che non fossero state Bellatrix o Andromeda, come mormorava tutti nella scuola. No, lui era sicuro che era stata Narcissa, con i suoi occhioni blu e i capelli biondi da bambola di porcellana, una perfetta maschera che celava le sue doti straordinarie al mondo.

«Non essere nervoso, sai bene come andrà a finire. Ti darà un due di picche, come al solito. Forse dovresti passare direttamente da Cygnus, almeno avresti qualche possibilità. In fondo se togliamo qualche maldicenza del periodo prima dello Statuto di Segretezza, sei un partito decente.  Dovresti sbrigarti, so che Nott ci sta facendo più di un pensierino, visto che Andromeda è irremovibile. A proposito, spero che Bellatrix non venga a sapere delle voci che l’hanno vista in biblioteca con quel Sanguesporco di Tassorosso». Rodolphus era accanto all’amico, guardandolo sconsolato, ormai certo che si sarebbe ripetuta l’ennesima scena in cui Narcissa lo avrebbe, nel migliore dei casi, ignorato. Neanche il  passare due settimane insieme alle sorelle Black in Scozia quell’estate era riuscito a migliorare la situazione e il giovane promesso sposo iniziava a credere che il suo futuro testimone di nozze fosse semplicemente masochista.

«Non dire assurdità» sibilò Malfoy di rimando con il tono di uno che si rifiuta anche solo per un minuto di credere che potesse essere vero, tanto che Nott pensasse sul serio di potersi prendere Narcissa come se fosse uno zuccotto stregato particolarmente succulento, quanto che quelle assurde voci su Andromeda Black e lo sfigato spacciatore di erbe fosse vero. «Io non voglio che sia Cyrus a costringerla, io voglio che sia lei a volermi. Proprio tu parli, che quando finalmente Bellatrix ha accettato di sposarti ti sei ubriacato talmente tanto che ti sei svegliato due giorni dopo?».

Rodolphus sospirò, guardando pigramente gli anelli di fumo che si disperdevano nell’aria. « Narcissa non è Bellatrix. E non è come le altre che ti sei portato a letto…»

Lucius ghignò ferino, pensando al regalo che ormai doveva già aver ricevuto: «Ed è proprio questo il punto. Forza andiamo, sia mai che oggi sia il primo giorno in cui diventeremo cognati».

«Non sai in che guaio ti stai cacciando. Ma contento tu…ricordati però che Lady Black ha un debole per me!» gli rise dietro Rodolphus, mentre si avvicinavano al gruppo di Serpeverde invitati che li stava aspettando nel foyer, prima di fare il loro ingresso ufficiale nel salone dei ricevimenti. La porta si aprì dolcemente, la sala già gremita di gente, mentre i violini ancora suonavano musiche di accompagnamento.  Le pareti adorne di specchi, riproducevano un gioco infinito di cristalli e luci, un caleidoscopio di maghi e streghe dell’alta società magica. Lucius ghignò, cercando tra i corpetti di seta e le sete fruscianti, la figura elegante e flessuosa di Narcissa, certo di riuscire a trovarla anche nel buio più profondo di un Nox perfetto.

«Siete in ritardo».

Era apparsa alle loro spalle, con un sorrisetto soddisfatto sulle labbra appena più rosate del solito.

«Non c’è ancora stato il primo ballo, mi pare. Siamo perfettamente in tempo», sorrise di rimando Lucius, sostenendo lo sguardo della più giovane delle Black senza batter ciglio. Aveva pensato a lungo a quale sarebbe stato il suo vestito per quella sera, tanto più dopo che aveva sentito ogni singola ragazza della scuola parlarne. C’era chi aveva parlato di zaffiri incastonati, chi di un abito con una coda tale da riempire l’intera sala (il che era evidentemente una stupidaggine, soprattutto visto quanto Narcissa amasse ballare, chi di un velo d’oro. Lui non aveva mai creduto a nessuno di quei vagheggiamenti, certo che Narcissa, la sua Narcissa anche se lei ancora non lo sapeva, non avrebbe mai messo qualcosa di così pacchiano.

Di certo, però, non si aspettava il vestito celeste chiarissimo, così delicato da fondersi quasi con la sua pelle, sfumando in un intricato ricamo di sottilissimi fili d’argento, né il lungo spacco che si intravedeva solo mentre camminava.

La Principessa di Ghiaccio.

Lucius ghignò: c’era una cosa che nessuno capiva tranne lui. Narcissa Black aveva senso dell’umorismo.

«Hai ragione, sei perfettamente in tempo per vedermi aprire le danze. Andiamo Rodolphus, non fare aspettare ulteriormente Bellatrix», disse rivolgendosi direttamente al ragazzo accanto a lui, senza degnarlo di uno sguardo.

Eppure, mentre lo superava al braccio di Rodolphus, senza neanche girarsi dall’altra parte, aveva notato il piccolo ciondolo blu cobalto che le splendeva al collo. Un monile piuttosto insolito per una Black. Tanto più insolito perché non era affatto un gioiello. Era una pallina, una splendente pallina di cristallo blu, rimpicciolita fino a diventare poco più piccola di galeone.

Si girò verso il centro della sala, intercettando lo sguardo sconsolato di Andromeda che lo guardava scuotendo la testa, facendo finta di trovare interessante qualsiasi cosa i Fowley le stessero dicendo e cercando di ignorare i richiami di sua madre. Poi la vide alzare gli occhi al cielo, e sillabare un E va bene rassegnato, mentre il giovane erede dei Malfoy si avvicinava con un gran sorriso che non prometteva niente di buono.

 

 

꙳꙳꙳

 

Ogni bambino nato nell’alta società imparava a danzare quasi prima di camminare. C’era chi lo odiava, trovandolo un obbligo insopportabile, chi semplicemente era talmente incapace da trasformarlo in una tortura, tanto per chi l’eseguiva che per chi era costretto a guardare.

Bellatrix, ad esempio, pur amando stare al centro dell’attenzione, lo trovava un insieme di regole che mal si confacevano al suo carattere. Si ribellava, in quel modo solo suo in cui ogni cosa sbagliata era talmente potente ed affascinante da sembrare comunque giusta.

Andromeda dall’altra parte, si impegnava, così come faceva in ogni cosa. Non le bastava essere brava, lei doveva essere la più brava, dimostrare a quell’idiota della loro insegnante di ballo che doveva ancora nascere la strega capace di metterla in difficoltà.

Ma Narcissa amava ballare, adorava il modo in cui riusciva a scindere la mente dal corpo quando lo faceva, la musica che risuonava in ogni parte del suo corpo. Certo, a volte era difficile quando trovava un partner non abbastanza bravo, o che non riuscisse a capire la musica come la capiva lei. E allora doveva sforzarsi, costringersi a farsi portare, così come l’insegnante ripeteva sempre.

Il primo ballo era stato con suo padre, rigido e altero come sempre, la concessione fatta alla piccola della famiglia, anche se lei ne avrebbe volentieri fatto a meno.  Sua madre era stata invitata da Rodolphus, e ridacchiava deliziata da qualcosa che lui le aveva detto, affascinata come sempre dal futuro genero. Bellatrix, impaziente e scalpitante in attesa dell’arrivo di Lord Voldemort, aveva accettato di malavoglia l’invito di Lord Lestrange, continuando però a guardare nervosamente la porta. A rigor di logica, quindi Andromeda avrebbe dovuto ballare con Rabastan, mentre Lady Lestrange per il momento avrebbe dovuto rimanere in disparte, in attesa della chiusura della prima danza. Così avrebbe dovuto essere ed era una cosa che avrebbero dovuto sapere tutti.

Tutti tranne Andromeda e Lucius Malfoy, a quanto pareva, visto che si erano posizionati tra Narcissa e Bellatrix, con un’aria di assoluta innocenza dipinta in faccia. Il primo ballo era stato un valzer tradizionale, senza scambio delle coppie, eppure nonostante il suo tentativo di concentrarsi sul non farsi sballottolare troppo da suo padre, ancora incapace a portare decentemente anche dopo diversi decenni di pratica, Narcissa non poteva fare a meno di controllare di sfuggita quei due, che scivolavano leggeri roteandole intorno, come una coppia collaudata, senza riuscire a smettere di guardare la mano di Malfoy posata con fin troppa famigliarità sulla vita di sua sorella, appena due dita sotto a dove sarebbe dovuta essere. E visto che era dannatamente bravo, e che Andromeda avrebbe potuto ripetere a memoria qualsiasi regola di qualsiasi materia, incluso il ballo, senza perdere un battito di ciglia, era evidente che lo stessero facendo apposta.

 Inclinò appena la testa, in modo che il suo nuovo ciondolo catturasse bene la luce, ben conscia degli occhi di Malfoy che la seguivano in ogni movimento. Oh, sarebbe stato davvero divertente quando avrebbe accettato l’invito di Flint per il prossimo ballo, lasciandolo con un palmo di naso, pensò Narcissa. Che si divertisse pure a fare l’idiota con tutte quelle ragazzine che gli giravano intorno, pronte a farsi comprare con qualche regalo costoso. La ragazza sorrise, pensando a come avrebbe stretto gli occhi Malfoy, guardandola allontanarsi con uno che non era bravo nella danza e ricco neanche la metà di lui. Lo immaginava già, serrare la mascella in maniera appena percettibile, ma bastevole per lei che ormai aveva imparato a riconoscere i segni della sua impazienza, così come il tamburellare leggero del pollice contro l’indice coperto dall’anello, quasi volesse ricordare a tutti da quale famiglia provenisse.

Ma se Lucius era fiero di essere un Malfoy, pronto ad usare il suo nome e la sua ricchezza per vantarsi, c’era una cosa che doveva assolutamente capire: lei non era una sconosciuta Burke, Crabbe, Smith o Edgecombe.

Lei era una Black.

Ed era meglio per lui se avesse capito subito di smettere di fare quei giochini idioti.

 

꙳꙳꙳

«Cos’è, ti sei stancata di ballare con degli incapaci?»

Lucius l’aveva vista uscire dalla sala, dopo l’ennesimo giro di valzer in cui era riuscito solo ad avere i pochi passi concessi dalla rotazione. Durante il primo ballo Andromeda si era raccomandata di non fare al solito suo e di non iniziare ad assillarla. E persino lei avrebbe dovuto ammettere che era stato bravo, fin troppo. Si era limitato a porgerle la mano per farla girare, a non stringerla troppo, costringendosi ad ignorare il profumo di fiori bianchi dei suoi capelli che rischiavano di non farlo ragionare.

Non aveva fatto scenate quando lei si era fermata a conversare con Rodolphus e Rabastan, né quando aveva accettato di ballare con praticamente ogni singolo giovane mago presente. Non si era fatto avanti, limitandosi ad osservarla da lontano con un sorrisetto, osservandola oltre le sagome sempre sbagliate della sua compagna di turno.

Erano passate quasi due ore e Lord Voldemort era finalmente arrivato, catalizzando l’attenzione di tutti, ciascuno che cercava di strappargli una parola, un sorriso, di ammantarsi della sua aurea magnetica. Solitamente lui sarebbe stato uno di quelli, pronto a sgomitare con Bellatrix per mostrare la sua devozione. Ma poco dopo l’arrivo dell’ospite d’onore aveva visto Narcissa allontanarsi silenziosa, un’ombra sottile che scivolava via dietro i grandi arazzi verde smeraldo.

L’aveva seguito, ben attento a non fare rumore, sino al balcone dell’ala ovest, dove era rimasta assorta a guardare il giardino, persa in chissà quale pensiero. Era rimasto lì, in silenzio, a guardare la curva morbida e bianca delle sue spalle, il tessuto leggero che aveva sentito poco prima sotto le sue dita, forzandosi a non indugiare troppo per sentire il calore della su vita sottile. Era rimasto lì, ad osservare le dita affusolate che giocherellavano con la collana, toccandola distrattamente.

«Forse», concesse Narcissa con un sorriso di sfida, mentre lo guardava avvicinarsi sino a sedersi leggermente sul bordo del balcone di marmo bianco, così da essere quasi alla sua altezza. « O forse stavo cercando di prendere un po’ d’aria, da sola… dovresti provare, sai?»

Lucius sorrise, spostando il peso su un braccio in modo da avvicinarsi. «Vedo che hai apprezzato il mio regalo. Anche se io non lo avevo pensato proprio cosi...»

Istintivamente, le dita della ragazza si strinsero solo un secondo attorno alla perla azzurra. Poi lo sfidò con un sorriso:«Questo dimostra che sono più intelligente di te, no?»

«Oh, su questo non ho dubbi. So bene che sei molto più intelligente di quello che vuoi far credere» sorrise lui, in maniera così sincera e aperta che per un attimo lo stomaco di Narcissa si contrasse in un modo strano, quasi piacevole. Lui le sfiorò il viso con un dito, spostandole dietro l’orecchio una ciocca di capelli dietro l’orecchio, rimanendo a guardarla affascinato. «Così come so che odi dipingere, nonostante ti ostini a fare finta che sia il tuo passatempo preferito».

«Ah sì? E cosa mi piacerebbe fare, allora?» chiese Narcissa, avvicinandosi appena di mezzo passo, senza abbassare lo sguardo neanche per una frazione di secondo.

«Leggere. Libri di Pozioni, per lo più, anche se cambi la copertina in modo che pensino tutti che si tratti di romanzetti leggeri», iniziò ad elencare, toccandole appena la pelle delicata del collo, danzando con le dita come se stesse sfiorando i tasti di un pianoforte. «Che ti piace volare, ma lo fai solo quando nessuno ti guarda. Che hai pensato tu ad ogni dettaglio di questa serata, e l’hai fatto in modo che tua madre pensasse che sia stato tutta una sua idea. Che sei tu a convincere ogni volta Dippet a fare concessioni a Serpeverde, anche se non vuoi che nessuno lo sappia perché non vuoi che ti assillino».

Narcissa rimase in silenzio, mentre sentiva lo sguardo di Lucius bruciarle addosso. Lui si avvicinò di pochissimo, ma quel tanto che bastava da poter sentire il respiro caldo sulla pelle. Gli passò una mano sul bavero lucido della giacca, indugiando all’altezza del petto.

«E sai tutto questo perché?» chiese, alzando il viso verso di lui, sfidandolo con le labbra che quasi si sfioravano.

«Perché io ti vedo, Narcissa Black. E ti vedrò sempre» le mormorò, scendendo a sfiorarle la collanina d’oro bianco, sino a poggiare le dita sulle sue, chiuse attorno al ciondolo. «E questa pallina starà benissimo sul nostro di albero di Yule. E poi è blu come i tuoi occhi, sono attento i dettagli, lo sai».

«Non ti sembra di correre un po’ troppo, Malfoy?» rise finalmente Narcissa, allontanandosi proprio quando Lucius si stava chinando per baciarla, e squadrandolo con un sorrisetto a due passi di distanza«Io non so niente di te… ad esempio non so a cosa pensavi quando mi hai chiesto se fossi davvero sorella di Bellatrix ed Andromeda, tanto per dirne una».

«Puoi vederlo da te, no? Ma non preoccuparti, ne avremo di ricordi da metterci. Incluso quella volta che mi hai quasi baciato. Ma non preoccuparti, Black, ci saranno altre occasioni», sospirò Malfoy, senza però perdere quello strano sorriso che per una volta non somigliava ad un ghigno.

Narcissa si avvicinò di nuovo, sollevandosi in punta di piedi, sino a posargli un bacio leggero sull’angolo della bocca.

«Chissà…» rise cristallina, girandosi per tornare nella sala, camminando come se stesse nuovamente danzando, lanciandogli un’ultima occhiata con gli occhi azzurro brillanti.

Lucius sospirò di nuovo, toccandosi il punto ancora caldo delle labbra di lei, mentre un gran sorriso gli si stampava sul volto. Si tastò la tasca interna della giacca, dove ora sentiva un piccolo rigonfiamento, li dove le dita di Narcissa avevano indugiato,

Perplesso, guardò il rametto verde che ora teneva in mano, i bordi affilati dal verde sfumato.

Vischio magico.

Si, decisamente Narcissa Black aveva senso dell’umorismo. E quello sarebbe stato davvero un primo ricordo perfetto. Solo il primo di tanti.

 

 

 

 

 


La storia è ispirata, ma non partecipa visto che ormai è finito da un pezzo, al calendario dell’Avvento del Forum "Ferisce più la penna", con il prompt “Vischio di Natale “del 23 Dicembre

Ovviamente è solo una scusa per poter fangirlare su Lucius e Narcissa da giovani e usare tutti i miei fancanon che mi piacciono tanto: che Lucius e Narcissa siano davvero innamorati, che lei lo abbia fatto penare un bel po’ prima di accettare il suo corteggiamento, che entrambi siano comunque molto legati alle tradizioni dei purosangue. Da ultimo, io sono fermamente convinta che Lucius ed Andromeda siano stati grandi amici, anche se poi le loro strade si siano divise in maniera così violenta. Mi piacciono talmente tanto che li ho usati in tutte queste altre storie, in fondo collegate con questa:

Il Basilico e le vacanze in scozia di cui parlano Narcissa e Rodolphus le trovi in Basilikos (Ted/Andromeda), https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4055247&i=1

Lo zampino di Andromeda nel regalo per Narcissa è in “Ricordo di un Natale passato” https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4044059&i=1

Se invece vuoi dell’angst natalizia dopo tutto questo fluff , anche se sempre a tema Lucissa, puoi passare da “Tutto ciò che resta” https://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4043164&i=1

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