Il demone di Laplace

di _Alcor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** BUG REPORT #5594 ***
Capitolo 2: *** BUG REPORT #5574 ***
Capitolo 3: *** BUG REPORT #5574, nessun aggiornamento ***
Capitolo 4: *** BUG REPORT #5575, déjà vu entro la stima prospettata ***
Capitolo 5: *** BUG REPORT #5575, che serata da schifo ***
Capitolo 6: *** BUG REPORT #5576 ***
Capitolo 7: *** BUG REPORT #5576, strappo ***
Capitolo 8: *** BUG REPORT #5576, necessità: riposo e un negroni, magari più di uno ***
Capitolo 9: *** BUG REPORT #5576, ricarica batterie in corso ***
Capitolo 10: *** BUG REPORT #5577, quindici vittime ***
Capitolo 11: *** BUG REPORT #5577, mi sono sfuggite le cose di mano ***
Capitolo 12: *** BUG REPORT #5577, quel branco di sciocchi mi manca ***
Capitolo 13: *** BUG REPORT #5578, da leggere tassativamente non appena avrò finito con Sterling ***
Capitolo 14: *** BUG REPORT #5578 e #5579 ***
Capitolo 15: *** BUG REPORT #5579, di tre persone presenti, non mi fido di una ***
Capitolo 16: *** BUG REPORT #5579 broken einheri ***
Capitolo 17: *** BUG REPORT #5583, #5590, #5596 ***
Capitolo 18: *** BUG REPORT #5597, basta ***
Capitolo 19: *** BUG REPORT #5598, aiutami ***
Capitolo 20: *** BUG REPORT #5598, stelle binarie ***
Capitolo 21: *** BUG REPORT #5598, sotto lo strato ***
Capitolo 22: *** BUG REPORT #5598 e #7777 ***



Capitolo 1
*** BUG REPORT #5594 ***





If saving you is a sin, i’ll gladly become a sinner


PROLOGO.

[Warden of humanity]

 

Lazerin | ERRORI RILEVATI  | EINHERI Ashley Sterling (4096 errori)



Apro la porta dell’appartamento e metto un piede fuori, la brina sottile che ricopre il tappetino di entrata mi scricchiola sotto la scarpa. Cicatrici di ghiaccio si allargano sui muri color crema e sulle ampie finestre, lì dove le linee si incontrano sbocciano fiori cristallini aguzzi.

Soffio una nuvoletta di condensa che sparisce nell’aria. Un paio di vetri cedono, una pioggia di frammenti schizza verso l’esterno; nascondo il collo dentro il giaccone, ogni secondo che passa le anomalie sono sempre più evidenti.

Mi sporgo dal parapetto del pianerottolo, una macchia di ghiaccio fradicio di sangue ricopre il piano inferiore. Tra le punte aguzze, brilla un bagliore violaceo che manda un’olezzo terribile. Dev’essere l’einheri rotto… Ottimo, prima recupero quella maledetta pietra, prima tutto tornerà alla normalità.

Stringo il corrimano gelido e scendo, attenta a non scivolare. Ci manca solo una rotolata ingloriosa giù per le scale, quando Ashley si sta impegnando così tanto a sistemare questo casino.

Salto gli ultimi tre scalini e atterro di ginocchia nel sangue. Mi si attorciglia lo stomaco, ma tendo la mano verso la luce, il ghiaccio intorno si sgretola e la pietra fluttua verso di me. La afferro.

A contatto la luce dell’einheri si attenua, sfuma a un azzurro sano. Me lo rigiro tra le mani, è la solita stella abbozzata nel cristallo, non le mancano pezzi. Rilasso le spalle, vorrei piangere. È finita, il freddo si ritirerà e potrò tornare ai miei compiti.

L’odore di anomalia appesta ancora l’aria, mi copro il naso.

Infilo la pietra nella tasca del giaccone e cerco tra il ghiaccio, non ci sono altre luminescenze.

Adocchio un figura premuta al muro. Ashley è raggomitolata con la fronte poggiata sulle ginocchia scoperte, uno strato di brina le ha ricoperto la gamba sinistra. La pelle sottostante è ricoperta di lividi bluastri.

Inspiro. L’odore di anomalia viene da lei, maledizione.

«Sterling, stai bene?» Sono una tale falsa a chiederlo, non può stare bene.

Ashley alza la testa, sotto la frangia rossa le iridi marroni hanno assunto sfumature violacee. Tira su un pugno, il movimento è senza energia. «Una favola, dammi solo cinque minuti e possiamo ritentare. Anzi no, me ne bastano due.»

Aggrotto la fronte; in questa condizione non può fare niente, dovrei prendermi giorni per curarla dall’infezione e sperare di non fare altri danni. Figurarsi rimettersi al lavoro. La raggiungo e metto la mano sulla sua fronte, è bollente. «Scotti.»

Ashley si appoggia al mio palmo, gli occhi sfarfallano e si chiudono. Strascica le parole. «La febbre sparirà al prossimo salto temporale.»

Questa irresponsabile!

Le prendo il polso; la porterò dove non possa fare danni, poi capirò cosa fare. «La stanchezza mentale non sparirà, non puoi salvare nessuno in questo stato. Men che meno confinare delle anomalie.»

Ridacchia. «Potrei ancora emotivamente bonkarti, Guardiana.»

Gonfio le guance per non risponderle, il fatto che la sua personalità non abbia risentito ancora della faccenda dovrebbe essere un lato positivo.

«Saliamo fino al tetto, ti fai una dormita rigenerativa.» Le metto una mano sotto l’ascella e tiro sù, mi spalma tutto il suo peso addosso. Mi tremano le ginocchia per lo sforzo, questa ragazza ha almeno venti centimetri di gambe di troppo.

Pianto il piede nel ghiaccio, l’altro. La conduco verso la scala. «Dobbiamo limitare al minimo i loop, hai al massimo un paio di tentativi prima di diventare uno di quei mostri.»

Ashley emette un respiro debole. «Grazie ma… pensi che mi servirà così tanto?» Ha gli occhi appannati di stanchezza. «Non vedo l’ora di portare a termine ‘sta cosa e tornare normale.»



 

[Note a margine]

Ho l’outline della intera fic pronto ma scriverò capitolo per capitolo, quindi possibilissimo che editerò il tutto a lavoro concluso. E che ci siano ritardi/irregolarità di aggiornamento causa irl stuff.

Il caldo mi sta spaccando, recentemente.

_Alcor

 

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Capitolo 2
*** BUG REPORT #5574 ***


I.
[Ashley Sterling]


Lazerin | ERRORI RILEVATI | Broken einheri, impossibile risalire al codice identificativo



Passo tra due tavoli da air hockey inutilizzati; il muro di fondo è ricoperto da una fila di cabinati vintage che rischiarano la penombra del locale.

Ci cammino accanto. Un paio di soldatini in pixel art si gettano in un campo nemico a pistole spianate, automobili vanno in derapata per le vie di una città poligonale, un robot si accuccia in cima a un grattacielo. Non ho giocato neanche a metà di questi titoli e non lo farò oggi.

Tiro fuori dalla tasca l’ultimo gettone rimasto, questo me lo conserverò per la prossima volta che vengo.

Un biondino in maglietta sportiva pesca una palla da basket dal pop-a-shot, arriccia le labbra e tira. Accanto a lui c’è il cabinato di BUCKET LIST OF THE DEAD, Ronye è ancora lì dove l’ho lasciata.

Gambe divaricate, pistola rosa fosforescente puntata allo schermo e coda di cavallo mezza disfatta per l’intensità con cui gioca a quella mostruosità. Mi fermo a un paio di passi di distanza e premo il gettone tra pollice e indice.

La musica martellante copre gli spari e i grugniti degli zombie. Le zanne del boss si chiudono su un NPC, il suono viscido di carne e ossa spezzate è distorto dalle casse dell’anteguerra. Lo schermo si illumina di bianco, una macchia di sangue copre la visuale.

Faccio roteare il gettone sulle nocche e mi allontano di un passo. Il comparto sonoro mi fa male fisico.

Ronye ringhia sottovoce, fa schizzare la pistola da una parte all’altra. Stringe così forte che le si sbianca la pelle. «Palo, non mi offendo se ti giri!»

«Che amica sarei?»

Rotea il gettone, tifa per Ronye. Non guardare.

Il cabinato irradia luce rossa, mi travolgono i ringhi gutturali e il suono disgustoso di dita che strappano carne. Forse guardare sarà meno doloroso rispetto a immaginare cosa sta accadendo.

Un essere fatto di muscoli pulsanti e vene nere si sfaccia contro lo schermo, salto indietro e tiro un gridolino soffocato.

Il biondino al pop-a-shot si gira e mi fissa. Che vergogna.

Metto le mani sul viso e mi raccolgo a terra come una palla. La gamba di Ronye mi arriva al fianco. «Palo, mi deconcentri!» Caccia un urlo frustrato e ficca la pistola rosa nel sostegno. La scritta GAME OVER riempie lo schermo, il nove diventa un otto, un sette…

Alzo gli occhi. «S… scusa.»

Si passa le dita sulle palpebre e mi tende la mano. Il sudore le ha appiccicato la frangia alla fronte. «Rilassati, non era una buona run in ogni caso. Normalmente arrivo al lich del gabinetto con il doppio della vita e un uso del curio dorato.»

Gliela stringo e mi alzo. Non ho idea di cosa fa la maggior parte della roba che ha citato, ma non tocca questo cabinato da mesi.

«Di base ti sei arrugginita?»

«Fin troppo.» La maniera scontenta con cui arriccia le sopracciglia è adorabile. «Approfitterò delle vacanze per riprenderci la mano.» Chiamare così il licenziamento deve far miracoli per il suo morale.

«Non vuoi recuperare tutto sta sera, vero?»

Ronye rivolge uno sguardo di fuoco al cabinato. «Ormai sono tiltata e,» occhieggia l’orologio da polso. «Domani hai il turno, vero? Dovevi avvisarmi che era così tardi.»

Dissimulo l’imbarazzo con una risata. Sono settimane che non passiamo una serata insieme. «Tornare a casa prima è uno spreco.»

Ronye mi batte la mano dietro la schiena, l’impeto mi sbilancia avanti. Sarà sottile ma quelle braccina sono forti. «Sarà… Muoviti.»





I vecchi binari spariscono dentro la galleria ferroviaria della tratta in disuso, metto le mani in tasca e caccio una pedata a un grosso pezzo di metallo che ingombra il passaggio. L’erba è cresciuta talmente tanto da averlo legato a terra.

Questo posto è abbandonato da un pezzo.

La luce lunare raggiunge a malapena l’entrata della galleria, non fatico a credere che su internet sia chiamata bocca dell’inferno. Ronye cammina sulla sbarra di metallo della rotaia, le braccia stese per rimanere in equilibrio. «Sicura che non dovresti dormire?»

«Sicura-sicura.» Il cielo è limpido, in questa zona l’inquinamento luminoso non è così grave e alcuni astri maggiori sono visibili. «Oggi si vedono bene.»

Trovo le tre stelle della linea d’argento e tendo la mano a L contro l’ultima. Vicino all’unghia dell’indice ci dovrebbe essere lucchetto, socchiudo un occhio. Eccola! Brilla di una tenue sfumatura azzurra.

Le promesse rivolte a quella stella vengono rispettate, sempre. Anni fa eravamo in cinque a vedere le stelle, promettendo di continuare a frequentarci dopo aver finito la scuola, ora la maggior parte di loro si è trasferita e non ha nemmeno intenzione di tornare a Welt per salutare.

Che depressione.

Ronye mi si affianca. «Trovata?»

Annuisco. Ormai potrei non aver nemmeno bisogno di questo metodo per riconoscerla, ma è un'abitudine. Il ronzio di un paio di insetti mi passa vicino alle orecchie.

«Eccavolo.» Ronye spiaccica una zanzara contro la propria spalla, lo schiocco risuona. «Avrei preso l’antizanzare se avessi saputo che venivamo qui.»

«L’estate è proprio arrivata… E io non ho ancora toccato la tesi.»

«Me ne vado se parli di università.»

Mi spalmo contro le sue spalle, la stringo in un abbraccio che grazie al cielo non rifiuta. «Non mi abbandoni, signorina. Le faccio vedere qualcosa di coolino che stiamo facendo al lavoro.» Ronye mi pianta la mano sotto il mento e preme verso l’alto per scollarmi. Schiocco la lingua, devo sperare che un giorno non decida di tirarmi in faccia un’ordinanza restrittiva.

Un cono di luce illumina la bocca della galleria. «Che ci fate qui?» La voce è severa.

Dall’ombra emerge una donna dai capelli rossi, legati in una coda alta. La camicetta abbottonata fino al collo mi ispira ufficiale governativo. Punta la torcia contro il viso di Ronye. «Questa area è pericolosa, andatevene.»

Lei si fa indietro, e la donna sposta di nuovo il fascio di luce verso la sua faccia. Se continua così finiremo a botte in un attimo.

Metto la mano sulla spalla di Ronye. Ci manca solo che si metta a litigare con lei, mi faccio avanti. «Ci scusi, non ne avevamo idea.»

Per la terza volta, la tipa ci acceca. «Allora andatevene.»

La mano di Ronye si posa sulla mia, la sposta e accorcia le distanze dalla donna. «Tu chi saresti?»

La rossa spalanca gli occhi, si abbraccia i gomiti. È più alta di una spanna minimo, ma di fronte a quella ragazza si stringe e fa piccolina. «Non siete voi a fare domande.»

Alzo un sopracciglio, che reazione inusuale. «Hai qualcosa per imporci che dobbiamo andarcene?»

L’espressione della donna si fa scura, incassa la testa e poi la scuote. Ronye mi prende la mano e marcia oltre la rossa, che non ci ferma. Cosa abbiamo appena vissuto? Ci infiliamo nella galleria.

Nel buio, Ronye sghignazza. «Abbiamo pizzicato una ladra, totale.»

Il pensiero mi fa venire ansia, ma non dev’essere così pericolosa se si è congelata così. «Avrà complici?»

«Probabilmente.»

«Guarda che ho cambiato idea; non voglio morire solo per farti da guida.»

Ronye abbozza un sorriso. «Non preoccuparti, scaredycat, ti proteggo io.»





La x fluorescente sul muro segnala il punto di arrivo, faccio un cenno con la mano. «Ci siamo.»

Mi sfrego le mani, si sono arrossate per il freddo. Dentro la galleria la temperatura è molto più bassa di quello che mi aspettavo.

Ronye mugugna, punta la torcia del telefono contro la rientranza nella parete, dove è incuneata una vecchia postazione blu per le riparazioni in loco. Spalanco la porticina, i cardini scricchiolano.

A parte una catasta di strumentazioni e attrezzi, c’è solo un tavolino con una console piena di file di bottoncini e levette. Mi abbasso sotto il tavolo, la postazione di controllo ha un bottone rosso enorme ricoperto da una protezione trasparente. La sblocco e lo spingo.

Trattengo il fiato. Uno, due, tre, quattro. Con uno sfrigolio elettrico, i fanali posizionati ai lati della galleria si accendono uno dopo l’altro. Un mare di colori ricopre le mura, non so come han fatto a fare la diavoleria elettrica per illuminare tutta la zona ma quelli dell’amministrazione hanno la mia infinita ammirazione.

Faccio un passo indietro, Ronye spegne la torcia. Gli occhi passano tra il gigantesco castello fiabesco dipinto sul muro e il dragone alato di un anime che andava un paio d’anni fa.

Fischia. «E questo l’avrebbero fatto per riqualificare il luogo…»

Esco e mi chiudo la porta alle spalle. «Ay. La tratta non è così lunga, renderlo un museo all’aperto sembra interessante.»

«Avete parecchia speranza che nessuno venga a vandalizzare questo buco.» Ronye segue i binari scassati, un paio di falene ronzano intorno a uno dei fari. «Chi c’ha lavorato?»

«Un sacco di gente, tra i vari Limy è tornata con la sua compagnia artistica da Seele giusto il tempo di fare il pezzo forte del museo.» Faccio uno svolazzo con la monetina e seguo la linea della galleria, qui si sente solo il ronzio leggero degli apparecchi elettrici. La temperatura non accenna a migliorare.

«Quindi è riuscita ad entrare in accademia, mi aspettavo che avrebbe avvisato…»

«Ha lasciato l’arduo compito ai suoi stati sui social.» C’è un rumore distante, come il fruscio di qualcosa di estremamente pesante. Me lo starò immaginando? «In realtà ha anche spedito un catalogo con le sue opere, le stiamo caricando nel museo digitale del Granaio in questi giorni.»

Passiamo accanto a mostri-pinguini panciuti, una donna ammantata di stelle con gli occhi del colore della galassia. Un lupo stilizzato è solcato da tre graffi profondi. Mi fermo e Ronye mi sbatte contro la schiena.

«Palo-»

«Scusa.» Passo i polpastrelli sui segni di artigli, sono equidistanti tra loro. Come se fossero stati impressi nello stesso istante. Mi si gela la gola. «Temo che… la ladra avesse ragione.»

Ronye mi serra la mano sul gomito e tira per tornare indietro, la assecondo a passi veloci, meglio non rischiare. Se la bestia che ha lasciato quei graffi è nelle vicinanze, ci sarà bisogno della polizia per catturarla.

I rumori distanti si fanno sempre più vicini, calcio il terreno e scatto. Insieme al rassicurante suono del respiro di Ronye alle mie spalle, qualcosa di pesante sbatte e graffia contro il muro. Più vicino, come un fiume in piena che vuole travolgerci.

Superiamo la donna ammantata di stelle, i passi sono talmente forti da far tremare i muri. Il gemito delle rotaie che si schiacciano sotto il peso di qualsiasi cosa sia alle nostre spalle è violento. Ho il cuore in gola, supero la cabina blu. Le mani di Rho mi premono contro la schiena e spingono.

Rotolo avanti.

Mi raggiunge un sibilo distante. Il suono umido di denti che si chiudono nella carne non è seguito dal gocciolare del sangue a terra, o grida di dolore. Sbatto e mi volto verso il mostro, tra le sue zampe colossali c’è la giacchetta di Ronye.

«Rho?»





[.Note a margine]

Far rotolare le monete sulle nocche è una di quelle cose totalmente inutili, ma cool. Davvero.

Inizia la parte migliore dei loop temporali, i traumi. Mi sono dovuta fisicamente fermare dall’inserire l’headtilt che c’è stato in star rail. C’HO I TRAUMI, MIHOYO.

_Alcor

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Capitolo 3
*** BUG REPORT #5574, nessun aggiornamento ***


II.
[Ashley Sterling]


La giacchetta di Ronye è intrappolata tra zanne irregolari, incrostate di ghiaccio sporco.

Dal tessuto scivola una pietruzza azzurra, che cade in mezzo alle rotaie schiacciate e rimbalza tra gli artigli del mostro. Uno di quei cosi è grande quanto il mio avambraccio, se me lo piantasse addosso ci rimarrei sul colpo.

Spalanca gli occhi blu privi di pupilla: ha il muso schiacciato ricoperto da placche aguzze, molla la giacchetta e fa sibilare una lingua da rettile oltre le mie spalle. Sfrega la schiena contro la cima della galleria che scava solchi nella roccia e soffia.

Un’ondata gelida spazza la zona, mi si infila sotto la maglia e penetra fino alle ossa. Il ghiaccio scricchiola, si allarga lungo le pareti e il terreno fino a mordermi le scarpe. Le stacco di riflesso, sono così morta.

Mi si appannano gli occhi, un singhiozzo mi rimane incastrato in gola. Forse è meglio, almeno potrò implorare il perdono di Ronye immediatamente.

La pietruzza trema, sparisce come se fosse stata solo un gioco di luce.

Il mostro tende i muscoli, pronto a lanciarsi in avanti, e gratta la coda colossale contro il muro. Trancia la cabina delle riparazioni senza difficoltà: vetro e metallo cedono, si rovesciano sul pavimento e spaccano lo strato di ghiaccio.

Un mormorio spettrale serpeggia nella galleria, riconosco una voce distante di donna accompagnata da passi leggeri.

Quella rischia di fare una pessima fine. Mi giro e pianto i piedi per alzarmi, le gambe cedono. Sfrego le ginocchia nude sul ghiaccio, brucia. «Torna indietro!» urlo. «È pericoloso!»

La ladra dai capelli rossi emerge dal buio, si cinge il polso con le dita guantate. Sul palmo zampillano scintille. Continua a venire avanti, lei sapeva che questo posto è pericoloso, perché diamine sta venendo avanti?

Il mostro scatta. Mi passa sopra la testa per aggredirla.

La donna stende la mano illuminata di azzurro contro di lui, nei suoi occhi crepita il colore della galassia.

L’essere rimane sospeso a mezz’aria, tira uno strillo straziante che fa tremare i muri. Mi copro le orecchie. I contorni della bestia si sfaldano, diventa trasparente e si sfilaccia in lunghi fili di luce che convergono dentro il palmo della donna. Formano una stella viola, simile alla pietruzza caduta dalla giacca di Ronye, onde azzurre si espandono a macchia d’olio sulla superficie finché non la ricoprono.

L’urlo si placa.

La donna la stringe. «Ecco fatto.»

Sono viva. Mi tolgo le mani dalle orecchie.

La galleria è graffiata, un paio di fari sono stati divelti dal passaggio di quello e gli altri sono mezzi divorati dal ghiaccio. Non è rimasta traccia del mostro o di Ronye, niente sangue, niente corpo. Ci sono solo i resti della sua giacchetta.

L’ho portata io qui, se fossimo tornate a casa subito non sarebbe successo. Un paio di lacrime mi scivolano sulle guance. Cosa dovrei dire ai suoi genitori, come posso guardarli in fac–

Una mano si poggia sulla mia spalla. «Ehi.»

La ladra è a stento una macchia rossa nello sfondo colorato. Socchiudo gli occhi nel tentativo di metterla a fuoco, ha uno sguardo mesto. Rassegnato. Non dovrebbe essere lei triste, è la mia migliore amica che è scomparsa nel nulla. «Va tutto bene.»

Mi mordo il labbro. «Non va tutto bene. Era lì…» Mi si rompe la voce, mi sembra di avere acido in gola. Batto il pugno a martello contro la fronte, neanche lo sento. L’ho portata io qui, mi ha spinto per salvarmi da quello e io non ho fatto niente!

La ladra si mette la gemma in tasca, mi sposta la frangia dagli occhi e poggia la fronte contro la mia. «Shh…» Mi prende le guance e tiene ferma, tento di muovermi ma ha una presa ferrea. «Sii grata di essere ancora viva.»

«No!» Non parlarne come se fosse morta, dammi un’alternativa. Per favore… «Dimmi dov'è Rho.»

Mi passa una mano tra i capelli, tutti questi contatti da una sconosciuta mi fanno accapponare la pelle. Sospira, chiude gli occhi come se le costasse immenso sforzo parlare. «La tua amica è diventata una stella ed è tornata al cielo.»

«Se devi dire cose simili, allora stai zitta.»

Alzo il pugno, le fa un passo indietro e mi trascina. La galleria sfuma in scie di colore che convergono in quegli occhi in cui si riflettono le stelle.

Atterro sul cemento regolare, il vento caldo della sera mi sfiora le guance bagnate. Siamo all’esterno, in cima a un edificio altissimo e i suoni delle automobili sono forti.

Mi faccio indietro di riflesso. Riconosco il profilo degli edifici: l’arcade è in centro, incuneato tra l’autoscuola e il ristorante preferito di mamma. Al limitare della macchia di luci c’è la zona dove si trova la galleria ferroviaria.

«Sto sognando?»

La donna mi mette una mano sotto il mento e me lo sposta verso il cielo in cui a malapena si vedono una manciata di stelle. «Sai trovare il Lucchetto?»

«Perché dovrei?»

«Ti faccio vedere la tua amica.» La tizia mi dà un colpetto sulla guancia e riporta l’attenzione verso l’alto. Alzo una mano, non c’è la stessa visuale che avevo prima ma ho già identificato la stella splendere del suo azzurrino in mezzo al nero.

Metto le dita a L vicino all’ultima stella della cintura d’argento, il Lucchetto è lì, vicino alla mia unghia. Gli è comparsa una stella accanto, non c’era un attimo fa.

Quella sarebbe Rho?

La donna emette un sospiro, tira fuori dalla tasca la gemma di prima e fa due passi fino al bordo dell’edificio. «L’einheri della tua amica rimarrà lì a vegliare sulle persone a cui tiene finché ognuno di voi non sarà tornato alle stelle.»

La pietruzza vibra e scatta verso l’alto, diventa una scheggia di colore. La perdo nella distesa di stelle.

La ladra si rimette le mani in tasca e scrolla le spalle. «Quando sarà pronta, il creatore la farà piovere sulla terra per darle un’altra occasione di vita.»

In pratica, mi ha lasciato sola anche lei. Mando giù il groppo alla gola, non voglio riprendere a piangere davanti a lei. «Perché mi stai dicendo tutto questo?»

«Facciamo che sia per chiusura personale?» Alza la mano, le dita scintillano di azzurro.

«Non c’è chiusura nel sapere che la mia migliore amica è finita nello spazio.»

«Oh, ma non lo ricorderai.»

Esito. «Scusa?»

«Te l’ho detto per rasserenare il tuo stato psicologico prima dell’estrazione dei ricordi problematici.» Mi tende la mano. «È una precauzione per evitare che tu possa degenerare come l’anomalia di oggi.»

Mi si annebbia la mente, non sento più l’aria sulla pelle e qualcosa mi si strappa nella cassa toracica. È come essere spezzati in due dall’interno. Le punte di una gemmina affiorano dal mio petto, ci pianto la mano sopra per spingerle giù.

Il sorriso della donna rossa è aguzzo, usa lo stesso tono conciliante di prima. «Lo faccio per il tuo bene, non puoi vivere così.»

Mi rifiuto, che persona vile sarei se accettassi?

La donna tira indietro la mano di colpo, le punte si piantano contro il palmo. Ci butto l’altra mano sopra e spingo, non voglio dimenticare nulla. Mi cedono le gambe, mi raggomitolo a palla solo per proteggere un po’ di più l’einheri.

La donna schiocca la lingua. «Proprio non capisci quando la gente fa qualcosa per te?»

«Se volevi fare qualcosa per me, dovevi impedirci di andare incontro a quel coso!»

Mi arriva una pedata sul fianco, mi sbilancio a pancia in sù. Neanche fa male rispetto alla sensazione del mio cuore che si sta sfilacciando, tengo le mani salde sul petto. Se cedo per un istante mi toglierà tutto.

«Siete state voi a voler scendere comunque.»

Parlare mi costa, sudore freddo mi cola giù dalla tempia. «Tu hai evidentemente il potere per farti ascoltare!»

«Non funziona così il libero arbitrio.» Distoglie lo sguardo.

La pressione sul petto è un po’ più debole, devo spingere su questa linea. «Questa è tanto colpa nostra come tua, e tu hai sicuramente un modo per salvare Rho.» Tiro nel respiro. «Ti farò un favore: se mi spieghi come fare ci penso io.»

La donna chiude gli occhi, la sua figura severa nello sfondo del cielo scuro pare solo stanca. Il palmo si spegne, il dolore sul petto svanisce e rimane solo la sensazione delle mie unghie piantate nel petto. Le allontano, ho le dita addormentate da quanto le ho tenute tese.

Ho una possibilità, non ho idea di come sfruttarla. So solo che lei avrebbe voluto evitare la morte di Rho, tanto quanto l’avrei voluto io.

Mi tende la mano e la afferro, con uno strattone mi rimette in piedi e spinge oltre il bordo del tetto. Perdo l’appoggio dei piedi, lo strattone al braccio mi toglie il respiro. La stretta di quella donna sulla mano è l’unica cosa che mi separa da una caduta letale.

Mi rivolge uno sguardo di biasimo. Le luci calde della notte le illuminano il viso, da come aggrotta le sopracciglia non vedo odio o astio. Solo preoccupazione. «Stai cercando di giocare con cose che non sono da umani. Hai una vita, proteggila.»

Le macchine sono minuscole, piccole scie dorate che corrono sulla strada. Saremo all’ottavo piano almeno. «Devo dimostrarti che sono disposta a sacrificare tutto?»

Un lampo di confusione le attraversa gli occhi. «Cosa te lo fa anche solo pensa–»

Le lascio la mano. La gravità mi ghermisce le spalle e la ladra sbianca.

Un ghigno mi affiora sulle labbra.

Questa donna è davvero facile da premere.

Qualcosa mi stringe i fianchi, il paesaggio sfuma. La donna tira un’imprecazione e si sbilancia, cado sulla sabbia, il mare è una macchia scura accanto a noi. Sono viva, mezza schiacciata a terra da un peso fastidioso. La donna si tira su. «Incosciente!»

Avere qualcuno a un soffio dalla faccia che ti urla addosso mi fa sentire viva.

Sono viva. Le sorrido.

Farfuglia. «Che fai? Sei inquietante…»

«Ti ho convinto.»

«No!»

«Potevi lasciarmi morire e invece mi hai salvato.»

«Che c’entra questo con–» si blocca a metà. «Sei insopportabile.»





Mi sfrego le mani e le infilo nella giacchetta, il cono di luce del faro distante spezza il buio.

Non sono mai stata sulla battigia da sola, mi sono assicurata di evitarlo da quando le altre se ne sono andate. Invece sono qui, perfino quella donna si è allontanata con la scusa di prendersi da bere. Se è una semi-dea come sembra non può farsi apparire una bibita in mano?

L’acqua si allunga sulla sabbia e si ritira, lenta. La rossa mi si ferma accanto e porge una lattina aperta. «Vuoi?»

La spingo indietro. «Devo accettare perché tu mi aiuti a salvare Rho?»

«Nope.» La donna se la porta alle labbra e tira giù un sorso. «Mi chiamo Yelena, sono la guardiana dell’umanità come puoi immaginare.»

«Ashley.» Stendo le gambe. «Mi aspettavo che la guardiana avesse un nome più… divino.»

Inarca le narici. È offesa, non ho nemmeno idea del perché.

Mi tocco il lobo destro, è dalla terza elementare che non porto nemmeno più gli orecchini votivi che mi aveva regalato il bisnonno. Non so neanche come dovrei parlarle. «È una cosa che ti dà fastidio?»

«Custodisco comunque tutta l’umanità, anche la parte maleducata.»

Sembra di parlare con una persona normale. Essere in spiaggia con una donna apparentemente poco più grande di me mi fa sentire acutamente la mancanza del nostro gruppo, e soprattutto di Ronye.

Limy l’ho sentita recentemente per la creazione dei graffiti, l’ultimo messaggio che mi sono scambiata con Ellie e Jill risalirà al diploma.

Yelena si siede sulla sabbia. «Te lo dico sinceramente, per me questa cosa è una idiozia.»

«Dobbiamo riprendere la conversazione di pri–» Serro le labbra. «…ci hai trasportate sulla spiaggia per evitare che ti dimostri ancora che sono disposta a tutto?»

Yelena tira giù il resto della bibita, evita di rispondermi o di guardarmi in faccia. «Non sto a spiegarti cosa devo fare io, ma se davvero credi di poterla salvare dovrai ripetere la giornata di oggi e pregare che non finisca di nuovo così.»

Alzo la testa. «Non basta non portarla di nuovo là?»

«Speriamo basti.» Yelena passa il pollice sulla lattina, batte l’indice sul petto. «Farlo ti danneggerà qui, nel tuo einheri.»

«La mia anima, tipo?»

Lei annuisce. «Se riesci a risolverla al primo colpo non ci saranno problemi tali da dover intervenire, ma dovesse ripetersi più volte potresti diventare uno di quei cosi.»

Fischio, suona male. «Starò attenta.»

Yelena mi passa una mano sulla testa, sarà così affettuosa perché si crede davvero responsabile di ogni essere umano esistente?

«Grazie, per avermi dato questa possibilità.»

Si stacca, inarca le narici per la seconda volta. Che tic stranamente carino. «Non dovrei avertela data in principio.»

Mi metto in piedi. «Motivo per cui rimarrà un segreto tra noi.»

Caccia un sospiro esasperato. Schiocca le dita.





[.Note a margine]

Il lato positivo di postare prima di aver terminato la storia, capitolo per capitolo, è costringermi ad andare avanti. Il lato negativo è rendermi conto di quanto foreshadowing e spiegazione avrei dovuto sistemare nello scorso capitolo. *cries*

Il capitolo è gentilmente offerto Regression feat. Yusuf and Ayanga.

_Alcor

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Capitolo 4
*** BUG REPORT #5575, déjà vu entro la stima prospettata ***


III.
[Ashley Sterling]


Lazerin | ERRORI RILEVATI | Broken einheri, impossibile risalire al codice identificativo | EINHERI Ashley Sterling (2 errori)



Un segnale acustico risuona a un passo dalla mia faccia, il led dell’allarme lampeggia di arancione due volte e diventa verde. È il suono che fa quando viene disattivato, se non sbaglio.

Schiocco la lingua. Sono accanto alla porta d’entrata del museo civico, la luce naturale passa attraverso il vetro e riscalda la scalinata bianca che porta al piano superiore. Al centro del muro, come ad accogliermi, c’è un’incisione della guardiana dell’umanità che sorride. Ha i capelli scuri e indossa un mantello da viaggiatore, negli occhi sono incastonati degli einheri in vetro colorato.

È diversa dalla donna che ho incontrato, il marmista che se n’è occupato non aveva neanche una mezza idea del suo vero aspetto.

Digito la combinazione per spegnere l’allarme una seconda volta, giusto per sicurezza. Non voglio rischiare di svegliare l’intera città per un errore così sciocco.

Un attimo fa ero con Yelena sulla battigia a guardare le stelle, ora il sole splende e sono al Granaio. Mi serve sapere che giorno è. Metto mano ai pantaloni: tiro fuori il mazzo tintinnante di chiavi del museo, un fazzolettino di carta strappato e umido. Frugo nella tasca sul retro, il cellulare è lì.

Sblocco lo schermo: 9:13 della mattina stessa. Sono davvero tornata.

Apro la rubrica e clicco sul numero di Ronye, squilla a vuoto una, due, tre volte. Mi infilo nell’ufficio accanto per non rimanere ferma e vado al quadro elettrico, il telefono ancora squilla. Apro la protezione di plastica e alzo ogni levetta non coperta da nastro adesivo di carta.

Dal ricevitore arriva un fruscio e uno sbadiglio. «Palo?»

La voce di Rho è carica di sonno e ovattata, deve avere la faccia premuta contro il cuscino. Mi si blocca il respiro in gola, le levette nere del quadro sfumano. Socchiudo gli occhi, le ennesime lacrime mi cadono sulle guance. Non posso renderlo un vizio.

Tiro su con il naso.

«Shi–» La stanchezza evapora dalla voce di Ronye. «Palo, che ti è successo?»

È viva, ed è preoccupata per me quando è lei quella che è finita male come una cretina. Incasso la testa tra le spalle e singhiozzo, l’ansia mi scivola di dosso. «Nulla.»

«Se questo lo chiami nulla non voglio sapere come chiami il resto.» La voce si spezza, una porta o un armadio sbatte in sottofondo. «Dove sei? Sto arrivando.»

Mi metto una mano tra i capelli. Questa ragazza sarà la mia morte.

«Ashley… Ti ho messo in vivavoce, sono ancora qui.»

Mi passo il palmo sull'occhio, per quanto non vorrei far altro che abbracciarla la destabilizzerei per niente. «Sto bene, sono al lavoro.» Per lei sarà la prima volta che mi vede da settimane, non posso rovinarla o farle pensare che sia successo qualcosa. «Ho finito gli integratori per i nervi, scusa.»

Bugia, è da mesi che non ho bisogno di prenderli.

«Passo dalla farmacia, cerco di arrivare in dieci minuti max.»

Solo la fila dei vecchini della mattina alla ricerca di medicine sarà mezz'ora, ma conoscendola troverebbe un modo per teletrasportarsi qui se potesse.

«Scusa, Rho.»

«Oh ma chill.» Ci sono dei fruscii fastidiosi di sottofondo, la voce si avvicina. Deve aver ripreso in mano il telefono. «È una scusa per fare le daily di Soul Slayers, così non le ho per il pomeriggio.»

Sorrido. «Il giochino AR?»

«Il giochino AR,» concede. «Hai bisogno che rimanga in chiamata?»

«No…» Mi sforzo di ricordarmi gli impegni della mattina. «No, ho il catalogo dell'ultima donazione da preparare, il cell mi serve per fare le foto.»

Ronye mugugna. «Se cambi idea, ti rispondo anche se sto guidando.»

«Non farlo, grazie.»

«E invece lo faccio.»

Faccio la linguaccia allo schermo anche se non mi può vedere, clicco il tasto rosso e lo blocco. Il mio riflesso mi rivolge un sorriso debole che non riscalda gli occhi arrossati. Sono proprio un disastro, ma devo smettere di essere così.

Rho è viva.

Corro verso le scale, l’entrata si apre con un leggero fruscio e porta con sé il suono del traffico cittadino. Seth, il ragazzo del servizio civile, fa capolino, il vento gli ha disfatto il codino di capelli castano e gli schiaffeggia il colletto contro la guancia.

Ha un auricolare nell’orecchio e l’altro gli pende sulla maglietta. «Scusa il ritardo, mi ero detto di partire presto perché sentivo che ci sarebbe stato traffico. Non l’ho fatto e bam.» Alza le braccia, non mi sta neanche guardando. «Ho trovato tre camion, un trattore e un incidente.»

«Giorno a te!» Gli do le spalle e salgo le scalinate a due a due.

«Sì giorno, ma…» La porta si chiude, i suoi passi corrono dietro di me. «Hai la voce tremula, hai pianto, Sterling?»

Supero l’incisione della guardiana. Avrei dovuto chiedere a quella donna come darle una mano, mi sembra impossibile che mi abbia davvero concesso di salvare Ronye così facilmente.

Seth fa gli scalini a due a due per starmi dietro. «Sembra che qualcuno ti abbia tirato peperoncino negli occhi. Sicura di non aver bisogno di nulla?»

No. Non ho bisogno di nulla. Solo di passare una buona serata e non– ah. Stringo il corrimano e mi sporgo indietro con il busto. Lui fa un salto indietro per non farsi colpire. «Ho dimenticato le etichette per i quadri giù, me le passi a prendere?»

«Vero. Vado subito!»

Scatta giù per le scale senza neanche borbottare. Sarà che è la sua prima esperienza lavorativa ma è davvero servizievole. Raggiungo il secondo piano. La sala delle esposizioni temporanee da sistemare è la prima porta alla mia destra.

Mi passo la mano dietro il collo. «Ora devo capire come giustificarmi con Rho appena arriva…»





Mi fermo al semaforo rosso, la fiumana della sera si accumula sul marciapiede intorno a me. Chiacchiere incomprensibili mi sommergono. D’estate la città si popola sempre un po’ di più del solito anche tra settimana, potrei perfino illudermi di non abitare in un paesino insignificante.

Trovo Ronye dall’altro lato della strada con le chiappe appoggiate a uno dei vasi di cemento davanti alla pasticceria, e lo zainetto tra i piedi. I boccioli bianchi di rosa rugosa alle sue spalle le fanno da sfondo incantevole. Prende un dattero dal fazzolettino di carta che tiene in mano e lo sgranocchia, come se non avessimo concordato di fermarci a mangiare un gelato insieme.

Questa ragazza vuole sovraccaricarsi di zuccheri ancora prima di iniziare.

Scatta il verde, la fiumana di persone mi spinge in avanti. La assecondo e allungo il passo.

Il profumo delicato dei fiori quasi copre l’odore di salsedine nell’aria. Mi fermo davanti a Ronye, sta rosicchiando il seme come un criceto.

«Ohilà!» saluto.

Mi porge la mano con il fazzoletto, ci sono altri tre datteri intoccati. Forse dovremmo proprio saltare quel gelato.

Le spingo indietro, non ho voglia di ritrovarmi le dita appiccicose. «L’energia serve a te per giocare.»

Mette il seme tra i datteri e appallottola il fazzoletto, se lo caccia nello zaino. «Sai già a che giocherò?»

«Lo shooter disgustoso.»

Spalanca gli occhi, corruga le sopracciglia e piega la testa di lato. «Ci hai preso.» Si mette lo zainetto in spalla. «Te ne ho mai parlato?»

No. «Sì, un sacco.»

Si dà la spinta per alzarsi, da questa posizione deve inclinare meno il collo per guardarmi in faccia. Scrolla le spalle. «Sono una persona orribile, tu odi la roba horror.»

«Oh, ma va. Sentirti parlare di mana ramp e giocare non curva non è niente di strano.»

«…Sicura che non ti ho parlato di Galaxies Collide?»

Galaxies cosa– Mi sono fregata da sola. Devo fuggire dalla conversazione ora.

Rido e oltrepasso la fila di vasi carichi di boccioli profumati. Ci sono una manciata di tavolini circolari bianchi occupati da gruppetti immersi nelle loro chiacchiere, un cameriere mi corre accanto con il vassoio stretto al petto, sparisce dentro la pasticceria.

«Palo…» Ronye esita. «Nulla, scusa.»

Mi fermo, non voglio sentire quel tono oggi. La nostra serata sarà leggendaria, e non finirà male! Le stringo la vita e la tiro su ad altezza gli occhi, ignoro le occhiate perplesse che ricevo da un paio di tavoli. «Mi mancavi!»

Ronye scuote la testa. «Ci siamo viste stamattina.»

La rimetto giù e le abbraccio le spalle. «E mi dispiace averti tirato giù dal letto per quello.»

«No worries.» Ricambia la stretta. È solida, è reale. «Sono in full vacanza, mi posso permettere questo e altro.»

«Ringrazio la guardiana per la tua vacanza.»

«Oi.» È un avvertimento, la prossima volta mi tirerà un colpo nel fianco. «Sei pregata di non sembrare contenta.»

«Ma lo sono!» Mi stacco e le prendo un lembo della giacchetta, la trascino all’entrata dove i camerieri corrono avanti e indietro presi da il-cielo-sa-solo quale problema. «E per di più scommetto che ti sei fatta mettere in vacanza perché hai fatto di testa tua di nuovo.»

Ronye socchiude gli occhi.

La incanzo. «Hai protestato da sola contro una scorrettezza del tuo capo? Una che magari nemmeno ti riguardava…»

Le orecchie diventano rosse, nasconde la faccia dietro il palmo della mano. «Palo, cambia argomento.»

Entriamo. Il fresco del condizionatore mi penetra fino alle ossa, non mi sono accorta fino a questo momento quanto caldo fa. Il bancone occupa un buon terzo del locale, la vetrina dei dolcetti è stata quasi del tutto razziata, sono rimasti solo un paio di biscotti a forma di delfino e dei cuori di cioccolato bianco.

Il ragazzo dietro il bancone dei gelati smette di parlare con il suo collega e ci rivolge un sorriso stanco. Guarda Ronye. «Tu mi sembri una ragazza da veleno, meringa e nutella.»

Oh wow. Ha azzeccato esattamente l’ordinazione di ieri.

Ronye arriccia il naso, infastidita. «Magari lo decido io che cosa prendere.»

Non sto neanche a preoccuparmene. Da domani questi déjà vu spariranno.





Mi infilo tra due tavoli di air hockey inutilizzati, stringo al petto il bicchiere pieno di gettoni e cerco di togliermi dalla faccia il sorriso da scema che ho da tre ore buone. Se non la smetto prima o poi Ronye si irriterà.

Il fondo dell’arcade è pieno come al solito di una fila di cabinati accesi, li costeggio. Evito il pop-a-shot abbandonato. Il biondino della sera scorsa ha lasciato perdere il canestro e si è piazzato con la sua ragazza al braccio a un paio di passi da BUCKET LIST OF THE DEAD a fissare lo spettacolo.

Ronye abbassa la pistola rosa fosforescente e prende un respiro, le labbra sono tirate in una linea ma irradia luce da quanto è soddisfatta di sé. La barra degli HP è verde, anche se è sparita l’iconcina dorata del curio.

«Questa run sta andando troppo bene.»

Poggio il bicchiere pieno di gettoni inutilizzati sul cabinato accanto e applaudo leggermente. «Non puoi essere ottimista e basta?»

Ieri ha speso tre ore ad allenarsi. Yelena può aver riavvolto la timeline, ma a quanto pare si ricorda della fatica che ha fatto. Per quel che mi riguarda possiamo passare la serata così, non c’è niente di meglio di vederla felice come una ragazzina.

«Ogni volta che mi rilasso mando tutto alle ortiche.»

Lo schermo sfarfalla di bianco, il nome LICH DEL GABINETTO cola sullo sfondo scolastico come una lavata di sangue.

Tiro le labbra in un sorriso sghembo. «Vuoi un paio delle mie pastiglie di magnesio?»

Una mano si alza dalla parte bassa dello schermo, una figura fatta di cenci entra in scena. Fa schifo ma non è spaventoso. Ronye mi lancia uno sguardo veloce, l’espressione si ammorbidisce. «Pausa finita.» Spara a raffica.

Al mostro salta il cappuccio bucherellato, tira un grido straziato e sfaccia il viso smunto contro la telecamera. Un insetto lungo e pieno di zampe gli spunta da una delle orbite vuote e cammina dentro la sua bocca. Mi si attorciglia lo stomaco, troppi dettagli, troppi dettagli!

Un altro paio di ragazzi si avvicinano per assistere. Ronye ricarica e continua il suo assalto, efficiente e precisa. La barra del boss diventa rossa, al Lich salta un braccio e mette in mostra il petto scheletrico, sottopelle si muovono vermi spessi.

Gli HP arrivano a zero.

Un giro di chitarra annuncia la vittoria.

Ronye lascia la pistola nel suo supporto e tira un respiro, mi mostra il palmo. Le batto il cinque. L’highscore appare a fine credits, è una sfilza di numeri lunghissima ma non arriva neanche a metà del decimo in classifica.

La gente che gioca a Bucket list mi fa paura.

Ronye sospira, se lo aspettava. Guarda il barattolo dei gettoni. «Non ne abbiamo usati neanche metà.»

«Quando hai skill, succede.» Tiro fuori il telefono, è poco dopo la mezzanotte. Direi che è ora di rincasare. «Ma possiamo tornare nel fine settimana a smaltire gli altri.»

La folla che si è fatta alle nostre spalle si disperde senza provare a parlarci, le musiche dei cabinati ne nascondono i discorsi. Qui dentro c’è odore di caldo stantio.

Ronye prende il bicchiere. «Mi aspettavo saresti voluta rimanere in giro.»

«Ho lavoro domani.»

«Ah vero.» Si stacca i ciuffi di capelli scuri che le si sono appiccicati alla guancia, è palese che sia confusa dalla risposta. Dava per scontato che saremmo rimaste in giro… Pure lei ha ricordi sopiti di ieri? «Si va verso casa, huh.»

Rovescia il bicchiere nello zainetto, una cascata di gettoni tintinna lì dentro. Se lo mette in spalla e imbocchiamo l’uscita, le porte scorrevoli si aprono. L’aria fresca della notte ci accoglie, si respira meglio qua fuori.

Gonfio il petto. «La prossima volta ti porto alla vecchia tratta per Welt.»

Le luci dei lampioni le riscaldano metà del viso. «I nonnini alla farmacia parlavano del fatto che sia stata convertita a museo.»

«Ahia, hanno spoilerato la sorpresa.» Chiudo un occhio. Non importa cosa ricorda inconsciamente, prima faccio arrivare domani, prima potrò dimenticare quest’incubo. Prendo la via per il parcheggio. «Però ti posso dire che persino Limy e il suo gruppo sono passati a fare un paio di graffiti.»

«Avrebbe potuto salutare.»

«Ma quando mai.» Il semaforo pedonale è verde. Attraversiamo senza guardare, tanto non passa mai nessuno a quest’ora. Il parcheggio è a un tiro di sasso da noi, illuminato da lampioni neri. «Però è brava, uno del suo gruppo che ha fatto questo graffito della Guardiana che ispira generica donna eterea jpg.»

«Era un complimento?»

«Non lo so nemmeno io.» Le rivolgo uno sguardo.

«Ti dirò, le gallerie scure mi fanno un po' paura, con quello che ci potresti trovar–» Sparisce. Qualcosa tintinna e mi finisce tra i piedi, c’è un einheri azzurro vicino al mio sandalo. Trema, mi getto a terra per afferrarlo.





L’ombra del mostro mi copre e guadagna terreno, la galleria è gelida e gli unici suoni che regnano sono il metallo maciullato alle nostre spalle. Ashley è un paio di passi più avanti.

Non ho speranza di uscirne ma devo assicurarmi che sopravviva. Calcio il terreno e stendo le braccia, la spingo.

Denti aguzzi mi avvolgono.





L’einheri diventa una scheggia di luce e sparisce nel cielo stellato. Il terrore residuo ancora mi stringe la gola. Ho appena visto i ricordi di Rho.

Cado in ginocchio.

Che è successo?





[.note a margine]

Il capitolo di oggi è gentilmente offerto da Deja Vu delle Dreamcatcher (jap ver.)

Per fare un piccolo riepilogo veloce da consultare nel caso perda i miei appunti su giochi fittizi di questo universo narrativo:

-Galaxies Collide è un card game hearthstone-like per telefono.

-Soul Slayer è pokémon go-like ma sei un cacciatore di mostri, sempre per telefono.

-Bucket List è il cabinato più generico di zombie che potete immaginare, ma con il senso dell’umorismo da Star Rail.

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Capitolo 5
*** BUG REPORT #5575, che serata da schifo ***


IV.
[Ashley Sterling]




Un colpo di tosse mi spezza il respiro, pianto i piedi e butto le mani alle ginocchia per sorreggermi. Tiro altre due scariche che rimbombano nella quiete della città, mi sono fatta dal centro alla zona periferica di corsa. Ho la gola riarsa.

Ronye, se avessi avuto le tue gambette, sarei crollata a metà strada.

Case coloniche abbandonate punteggiano il paesaggio vicino alla vecchia tratta, illuminate dai coni di luce dei lampioni che costeggiano la via. Erbacce rigogliose hanno invaso i giardini, sbucano dalle sbarre dei cancelli chiusi.

Costeggio il marciapiede, il casolare crollato è una macchia scura poco più in là. Un paio di anni fa una tempesta ne ha scoperchiato il tetto e l’albero centenario vicino ci è caduto sopra, sfondandone le mura. La casa si è ripiegata su sé stessa in una cascata di macerie. Nessuno si è ancora curato di pulire il disastro, ma è un ottimo punto di riferimento per ricordarsi dov’è la galleria abbandonata in queste viuzze tutte uguali.

Allungo il passo. Non pensare che non sarebbe strano trovare qualche malintenzionato appostato ad aspettarti, pensa al nonno che tira rosari di imprecazioni addosso alla guardiana quando qualcosa non va.

Una goccia di sudore mi scivola sul naso, la sfrego con il palmo. Ho lo stomaco in subbuglio. Mi infilo nel giardino e passo sotto i rami secchi, che mi sfiorano la testa.

In fondo alla proprietà c’è il dislivello sassoso che porta ai binari in disuso, lo salgo. La brina scricchiola sotto i sandali e scintilla alla fioca luce delle stelle. Siamo ancora lontani mezzo chilometro dalla galleria per Welt, il ghiaccio si è espanso troppo.

Il freddo mi accarezza la pelle, alzo gli occhi. Nel cielo brillante trovo il Lucchetto, accanto Ronye splende di azzurro. Tranquilla, come tua migliore amica ho il dovere di tirarti giù anche se ti sei affezionata a quella posizione.

Seguo i binari, l’erba alta è stata schiacciata a raggiera da raffiche violente. Da brina leggera passa a cristalli di ghiaccio, a una lastra sottile... Ci cammino sopra a passi pesanti, per non rischiare di scivolare.

La bocca galleria ha sputato spuntoni aguzzi che non accennano a sciogliersi. Yelena ci è seduta accanto, indifferente alle temperature da assideramento. Tiene una mano premuta sull’occhio e sorseggia una lattina arancione. Almeno una di noi è tranquilla.

Mi fermo a un passo da lei, ha un tacco spezzato, una calza strappata fino a metà coscia e la camicia sbrindellata. Posso vederle il fianco ricoperto da una costellazione di lividi freschi, le ferite sono circondate da una lieve interferenza, come un disturbo su uno schermo. Il mostro l’ha ridotta malissimo questa volta.

Yelena stacca le labbra dalla lattina, inclina la testa e incontra il mio sguardo. «Non è bastato, vedo.»

Se lo aspettava. Mando giù il desiderio istintivo di indignarmi, da come ha parlato ieri avrei dovuto aspettarmi anch’io che non sarebbe andata così bene. «L’ho fatta tornare a casa prima ed è diventata una di quelle pietre lo stesso.»

«Einheri.»

Non mi servono etichette, ora. «Einheri, okay. Come evito che accada, la prossima volta?»

Yelena si toglie la mano dalla faccia, le manca l’occhio. Lì dove dovrebbe esserci l’orbita vuota la pelle si sfilaccia e distorce. Serro le palpebre, mi fa male lo stomaco.

«Concretamente non c’è qualcosa in particolare che puoi fare.» Yelena manda giù il resto della lattina, la stringe. L’alluminio si appallottola tra le sue mani. «Un einheri è la cristallizzazione dei ricordi e dell’ego di una persona, è fatto per memorizzare tutto. Anche se la maggior parte delle informazioni rimane inconscia.»

La sta trasformando in una lezione di psicologia. «Quindi?»

Poggia il grumo arancione accanto a sé, i lividi sul fianco sono spariti. La calza si è ricucita da sola, i lembi della camicetta si stanno riallacciando. «Quando dico che un einheri ricorda tutto, intendo tutto-tutto, anche le timeline precedentemente vissute.»

Quindi ricorda di essere morta. Forte. Ho paura a chiedere se significa che la morte di Ronye sia una cosa certa, che avverrà ogni volta che scatta un certo orario. Poter riavvolgere il tempo è già un miracolo, non saprei come gestire la predestinazione.

Yelena raccoglie le gambe al petto, mette una mano su uno degli spuntoni di ghiaccio e si alza. «Si vede che quando è morta, stava pensando a qualcosa di così importante che il ricordo riaffiora nel conscio anche se non dovrebbe.»

Ma nei suoi ultimi pensieri c’ero io. Mi si stringe il cuore, questa cretina sarà davvero la mia morte. «Cielo…»

«Capita che emozioni forti rimangano a macchiare un einheri dopo una morte violenta, è il motivo per cui fanno un periodo in cielo per raffreddarsi prima di poterli pulire e riplasmare.»

Mi passo una mano tra i capelli, mi è comparsa della brina tra i ciuffi. «Quindi… devo farle vivere qualcosa di più pesante dell’incontro con quel mostro. Tipo, aprirle tutte le sue copie di giochi da collezione?»

Yelena si mette una mano sul petto. «Non so se questo mi dice più delle priorità della tua amica o delle tue.»

Rido, colpevole. Non lo farei comunque, non vorrei farmi odiare.

Un occhio dalla pupilla lattiginosa le ha riempito l'orbita vuota. «Ma il punto è che un figo riccone potrebbe dichiararsi a lei, ma non credo che inciderebbe su un trauma legato alla morte. Sono due tipi di ricordi che vengono memorizzati in aree diverse del cervello.»

«Non nell’einheri–»

«Ashley Sterling, dobbiamo avere un discorso su biologia e teologia mentre sono in questo stato?» La pupilla sta prendendo colore, screziature simili a stelle la punteggiano.

«Valido.» Metto le mani sulle labbra. «Quindi mi basta farla venire qui e andarcene prima di morire. Si può fare. E se non ci riesco, basta ritentare.»

Serra le labbra in una linea sottile, mi mette una mano sulla spalla e dà un colpetto allo sterno. «Non li hai, più volte ci provi più rischi di diventare un'anomalia.»

Non sarebbe un problema se potessi salvarla. Ridacchio e faccio un passo indietro, mi mette ancora a disagio il suo essere così tanto espansiva. «Meno la faccio soffrire, meglio è. Giusto.»

Yelena sbatte le palpebre, gli occhi hanno lo stesso colore della galassia. Le distorsioni sulla sua pelle sono sparite. «Mi infastidisce questa tua noncuranza.»

«Esitare non aiuta nessuno… Tu come ti sei ridotta così?»

Yelena sbatte le palpebre, una mantella bianca le appare sulle spalle. Ci si stringe dentro, fino a rendersi un involtino. «Una zampata che mi ha sfondato un paio di volte.» Muove la mano come per scacciare una mosca fastidiosa. «Vai a dormire, domani mattina resetterò la timeline.»

«Non fai ora?»

«Tra un reset e l’altro non sparisce la stanchezza accumulata, se vogliamo evitare una singolarità dove tutta la città smatta per mancanza di sonno devo aspettare.»

Fischio. «Ora vorrei vederlo.»

Yelena mi scocca uno sguardo di fuoco.





La luce del gazebo in giardino è accesa, oltre il reticolato di legno c’è una figura incurvata sul tavolino. Solo mamma potrebbe essere sveglia ancora a quest’ora, speriamo non mi fermi. Non vedo l’ora di crollare.

Spalanco il cancelletto di casa, dalla siepe bassa che costeggia il vialetto sbuca Edgar. Abbaia e mi si infila tra le gambe, la codina snella frulla. Scusami, scricciolo, ma oggi mi toccherà ignorarti.

«Scintilla, vieni qui un attimo.»

Come non detto.

«Ti servo ora, ma’?» Mi chino sul cucciolo, gli gratto con le unghie dietro un orecchio. Edgar saltella sul posto, fa un cenno verso le aiuole con il muso. Ha voglia di giocare anche se è notte tarda.

Annuisco. Si getta tra le piante.

Mamma si sporge dal gazebo, ha i capelli castani raccolti in un concio disordinato e gli occhiali inclinati sul naso. Indossa una delle maglie lise di papà che di solito usa come pigiama, le arriva a metà coscia. «Potrei averti trovato qualcosa di interessante per la tesi!»

Stava facendo ricerche per me?

«Arrivo!» Faccio il giro della siepe e vado al gazebo.

Gonfia il petto e indica con entrambe le braccia la distesa di libri e fogli che ricopre il tavolo. Una bottiglia vuota d’acqua giace rovesciata in mezzo alla confusione. L’odore dello zampirone mi solletica il naso.

Si è proprio appassionata. Mi metto accanto a lei, dal lobo destro le pende un orecchino votivo alla guardiana. È una pietra rosata, screziata di argento. Non l’ho mai visto. «Oh, è nuovo?»

«Macché, è quello che mi ha regalato nonno.»

Arriccio le labbra. Cerco di ricordarmi la forma o il colore della gemma, ma mi sfugge totalmente sul momento. Dev’essere la stanchezza.

Mamma pesca dal mucchio una matita, ha le dita sporche di evidenziatore verde. «Com’è andata con la piccola Brionac?»

Ridacchio, spero che non mi legga in faccia quello che è successo. «Ronye è la solita malata di videogame.»

«Ad ognuno le sue malattie.» Ride tra sé. «Dove siete state?»

«Qua, là. Sono hyper stanca.» Faccio un passo avanti.

Lei stende le labbra nella sua solita espressione paziente, apre un libricino sottile e si ferma a una pagina con una colonna di testo scritto con l’antico alfabeto. «Sei così evasiva che mi fai pensare che abbiate litigato.»

Quanto vorrei che non applicasse i suoi studi di comportamento umano su di me.

«Ci vedi farlo?»

«Scintilla, è normale litigare ogni tanto.» Sarebbe pronta a sentirmi ammettere di averle detto cose orribili. Edgar sbuca dall’ombra con una pallina da tennis stretta tra i denti, si sfaccia contro la mia caviglia e me la lascia ai piedi.

Saltella.

«Adesso non ne voglio parlare.» Meglio essere sinceri, tanto domani avrò salvato Ronye e mi dimenticherò di questa faccenda. Prendo la palla e la lancio alla cieca verso il retro del giardino, Edgar parte come una scheggia. «Piuttosto, la tesi…»

Se avesse trovato qualche informazione sulle scuole costruite dagli ordini schermitori sarebbe l’ideale.

Mamma sospira, batte il dito sulla pagina. «Stavo traducendo qualche poesia che risale ai tempi in cui Welt era ancora la capitale. Prova a leggere»

Butto l’occhio al testo, sono solo linee e cerchi accompagnati da appunti a matita. Mi concentro sul primo verso. «Pietre… brillanti?»

«Quasi, queste due parole vicine significano gemme.»

«In che universo–»

Mamma ride. I suoi studenti sognerebbero di vederla così conciliante e contenta. Mi passa la mano sulla schiena, nella sua maniera silenziosa di tranquillizzarmi quando una serata va male.

Sbuffo. «Le ho studiate solo al primo anno, lo sai.»

«Questo è il motivo per cui dovevi fare lingue.» Mi dà un colpetto sul naso.

«Sarei finita a compararmi continuamente con te.»

Chiude il libro, soddisfatta del suo bullismo. Lo lascia nel mucchio e prende un foglio A4 dove deve aver scritto la traduzione. «Comunque, erano le parole di uno schermitore. Aspetto a dirti il significato perché voglio controllare il contesto in cui venivano pronunciate alcune formule…»

Edgar mi sbatte di nuovo contro le caviglie, nemmeno l’ho sentito! Prendo la palla e la lancio oltre la siepe. Il cucciolo si infila tra i rami e rimane incastrato con la codina che sporge, frulla come un’elica.

«Non puoi farmi uno spoiler?»

Mamma sventola il foglio. «Definisce la guardiana come lo specchio dell’umanità. Ci riflette, mostra le nostre brutture. E non ci lascia soli mentre le correggiamo.»

Abbozzo un sorriso, direi che è una descrizione poco accurata. A me sembra solo una tipa bizzarra e facile da convincere. «Ha senso con i loro ideali di onestà degli schermitori. Quando hai finito la fotocopio.»

«Modestamente, sono stata brava.»

Si inorgoglisce per le cose più strane. «Eggià. Rimani fuori ancora tanto?»

Mamma alza gli occhi e accenna un sorriso.

Con un fruscio rumoroso, Edgar si scastra e corre nel buio. Meglio scappare dentro prima che venga a reclamare altre coccole.





[.note a margine]

La correzione del capitolo è stata offerta gentilmente da Wildfire epic japanese version, uno potrebbe iniziare a pensare che non riesco ad ascoltare mai le canzoni nelle loro versioni originali.

Parlando di correzioni, gli appunti su cosa correggere non appena avrò finito la prima stesura diventano sempre più ricchi. È non iro esaltante.

_Alcor

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Capitolo 6
*** BUG REPORT #5576 ***


V.
[Ashley Sterling]


Lazerin | ERRORI RILEVATI | Broken einheri, impossibile risalire al codice identificativo | EINHERI Ashley Sterling (4 errori) | Tessuto sfilacciato | Possibilità di emersioni massicce lungo l’asse 70Y



Seth raccoglie dalla scrivania la pila di cataloghi da sistemare sull’espositore del primo piano, i capelli arruffati gli cadono in ciuffi disordinati sugli occhi. Si sarà buttato giù dal letto e scaraventato fuori di casa ancora prima di capire perché lo stava facendo.

I déjà vu sono più forti di ieri, ma ho intenzione di cambiare le carte in tavola.

Apro l’armadietto dell’ufficio, pesco il blocco con la bozza del catalogo per il responsabile della cultura, penna e pazienza. È la terza volta che ripeto questo lavoro, ormai so a memoria quali sono i quadri con i dati sbagliati. Pure Seth dovrebbe saperlo, a livello inconscio.

Sbadiglia, un paio di lacrime gli spuntano agli angoli degli occhi. Poggia la schiena alla porta che dà sull’entrata del museo.

Chiudo l’armadio. «Passa dal bagno e sciacquati il sonno dalla faccia.»

Strizza gli occhi, poggia il mento sui cataloghi.«Ero convinto che sarei arrivato in ritardo se non fossi partito subito. E invece c’ero già alle otto e un quarto e di te nessuna traccia.»

Poraccio. «Lo sai che iniziamo alle nove.»

«Che è un orario indegno!»

Lo seguo fuori di lì e su per le scale. «Vedila così, oggi abbiamo iniziato il turno con largo anticipo.»

L’incisione nel marmo della Guardiana mi rivolge un sorriso quieto, sono sicura che ieri sera mamma mi abbia parlato di qualcosa legato a lei. Mi fermo al suo cospetto. Più mi sforzo di pensarci, più quel momento è una macchia scura. Probabilmente non è importante, me la ripeterà quando la vedrò.

Seth mi dà la voce dalla cima della rampa. «Sterling, oggi non ne hai voglia?»

Ridacchio. «Mi stai giudicando?»

«Sì.»

Sei fortunato che non sono vendicativa, perché la tentazione di mollarti qui da solo e darmi malata è forte. E poi li senti tu i capi se il lavoro non viene ultimato in tempo. Un paio di botti leggeri mi colgono alla sprovvista, butto l’occhio all’entrata. Una ragazza minuta è oltre il vetro, i lunghi capelli scuri sono arruffati dal vento.

Bussa di nuovo. Aguzzo lo sguardo. Che ci fa Rho qui fuori? Alza la mano, scuotendo il tubetto viola pastello delle pastiglie di magnesio. Corro giù e vado a spalancare la porta. «Ehi!»

Rho me lo mette sulla mano. «Se ne hai bisogno.»

È preoccupata per me, il pensiero mi scalda il cuore. «A cosa devo l’onore?»

«Ecco–»

Arrossisce, in difficoltà. Si sfrega le mani dietro la nuca. Non ha modo per giustificare il fatto che il déjà vu l’abbia spinta a correre in farmacia solo per prendermi degli integratori. Una persona del genere va protetta a tutti i costi.

Faccio un passo indietro. «Seth, ti presento Rho. Andavamo allo stesso liceo. Lei indirizzo scientifico informatico, però.»

Seth scende di due scalini in due scalini fino all’incisione della Guardiana, abbassa la testa. «‘sup.»

Ronye accenna un mugugno, è ingessata come al solito quando si tratta di parlare con sconosciuti. Gira i tacchi. «Torno a casa.»

Le prendo il retro del cappuccio, punto i piedi e devo stringere per non lasciarmela scappare. «‘spetta che devo farti vedere una cosa.»

«No, grazie.» Incassa la testa tra le spalle, il vento le scompiglia la frangetta. «Sei al lavoro, lavora.»

Allungo la mano e le stringo le spalle. «Oh suvvia. Non sei in vacanza? Approfittane per arricchirti spiritualmente.» La trascino dentro, è più leggera di certe colonne decorative che mi è toccato scarrozzare in giro. «Abbiamo il meglio del valore culturale del paese, qui.»

Seth indugia, la sua voce si mischia a quella di Ronye. «Quale valore?»

Non c’è niente come insultare casa per unire i giovani. Chiudo la porta con il tacchetto dei sandali e la lascio rimettersi in piedi. «Mettiamo a posto i cataloghi e ti faccio vedere la galleria che hanno sistemato.»

Seth mi guarda come se mi fosse cresciuta una testa in più. «Sicura?» Il lavoro dei quadri è impellente e andrebbe consegnato entro un paio di giorni, ma il mio dovere di amica viene prima di tutto il resto.

Annuisco, ho già la scusa pronta. «Vedi, ci sono da caricare i lavori che la compagnia artistica da Seele ha fatto nella galleria, ma le foto che abbiamo fatto sono tutte sfocate.»

«Ma le ho fatte io quelle foto.»

«Son da rifare.» Perdonami. Mi volto verso Ronye e le batto la mano sulla spalla. «Ne approfittiamo per farti vedere il graffito che ha fatto Limy.» Entro in ufficio, mollo plico e penna sulla scrivania.

Non li toccherò mai più finché non vedo l’alba di domani.





Seth parcheggia l’auto all’ombra del casolare crollato e gira la chiave.

Mi tolgo la cintura e salto fuori. Alla luce del sole le case abbandonate mi danno l’idea di essere finita di fronte alla testimonianza di una civiltà perduta, più che far paura. Non una macchina o un cenno di vita spezza la tranquillità di questo posto.

Ronye scende dietro di me. Non mi ha tolto gli occhi di dosso da quando siamo partite, devo sembrarle parecchio strana.

Le prendo il polso prima che possa chiudere lo sportello e me la stringo, è solida. Perfetto. Alza la testa, serra le labbra in una linea sottile e mi scocca uno sguardo di fuoco. La mollo e le liscio pieghe inesistenti della giacca. Seth fa scattare la chiusura dell’auto.

Il vento sgarbato della mattina si è calmato, l’aria sta tornando irrespirabile come al solito.

Infilo le mani in tasca e sfioro le pillole di magnesio. Faccio strada. «Per di qua, presente la linea ferroviaria che hanno soppresso?»

Ricevo a malapena un mugugno in risposta, l’interesse generale è inesistente. Sto ripetendo quelle informazioni solo per fingere una parvenza di normalità.

Mi infilo nel giardino del casolare crollato e passo sotto i rami spessi dell’albero grigio-sabbia, alcuni sassi sono stati colorati dai ragazzi che passano di tanto in tanto qua. Teschi, simboli stilizzati, c’è di tutto.

Salgo il dislivello che porta alle rotaie. L’erba è di nuovo immacolata e mi arriva alle ginocchia, speriamo di non beccare una zecca a girarci in pantaloncini corti. Seth ci passa in mezzo, svelto per mettersi al riparo dall’afa che si sta alzando.

«Non è un posto pericoloso?» mormora Rho.

Tiro le labbra in un’espressione sarcastica. «Temi che succeda qualcosa qui, di tutti i posti?»

«No? Ma tutto mi sembra un po’ strano. Ecco.» Seguiamo la scia nell’erba lasciata da Seth. «Hai quell’espressione di quando eviti a tutti i costi di parlare di qualcosa.»

La brezza porta l’odore e lo scrosciare delle onde, il mare è nascosto dal profilo del paese.

Alzo le spalle. «Ti stai facendo un giro mentale strano.»

«Palo…» Ormai usa il mio soprannome solo per riprendermi. «Ogni volta che c’è un problema inizi ad essere propositiva e non parlare.»

Se ti dicessi qualsiasi cosa, ti faresti carico di tutto.

Mi fermo alla bocca della galleria, finché abbiamo compagnia non riaprirà la questione. Seth accende il cellulare e punta il fascio della torcia in avanti. Sta borbottando qualcosa sulle brutte idee di posizionare il quadro elettrico al centro del tunnel.

Ci inoltriamo con una mano sulla parete ruvida per avere un punto di appoggio, l’oscurità ci inghiotte. È fresco qui dentro, ma nulla del freddo polare degli altri giorni.

Ronye fischietta una delle OST di BUCKET LIST.

Una X fosforescente verde illumina il buio, Seth la punta e scorre il muro, troviamo la rientranza con la cabina. Ci entro e clicco il pulsante di accensione, le luci sfarfallano, irradiano la galleria e la sua fila di graffiti. Il lieve oh sorpreso di Ronye è gustoso dopo che ha fatto così tante storie per venire.

Un castello delle fiabe, un drago dritto da un anime. Seth guarda verso il fondo, lì dove dovrebbe trovarsi il mostro dei ghiacci. Nessuna traccia, per ora. «Gli artisti di Seele hanno fatto quelli più vicini all’uscita?»

Conto con le dita. «Una rappresentazione della guardiana qui vicino, sulla via dovremmo trovare un corvone drago, un cestino dell’immondizia intitolato alla città e il dimenticato.»

Tendo le orecchie e mi avvio in testa al gruppo.

Seth si ferma alla donna ammantata di stelle, ricontrolla lo schermo per essere sicuro di non aver sbagliato a scattare. Faccio un altro passo, l’inconfondibile suono della brina sotto le scarpe mi accoglie. È qui.

Passiamo il graffito del lupo stilizzato. Non ci sono le artigliate, questa volta. Un lieve odore di menta appesta l’aria. Spalanco gli occhi, confusa. Piantine basse, ricoperte di un leggero strato di brina, spuntano tra le rotaie.

Ronye smette di fischiettare.

Riconosco la menta, il fiore dell’equinozio… Alcune non le ho mai viste, mi chino ad accarezzarne una dai petali frastagliati e le foglie aghiformi. L’uscita della galleria è illuminata dalla luce del giorno, l’afa ne sfuma i contorni. La densa vegetazione al di là non sembra nemmeno qualcosa che vedresti nelle nostre campagne.

Abbiamo raccolto sufficiente prova che c’è qualcosa di strano qui. «Ragazzi, lo vedete?»

Seth scatta la foto al graffito-bidone. «Non ho gli occhiali.»

Ronye si gira, stupefatta. «Perché hai bisogno degli occhiali per notare qualcosa che non va?» Stanno già diventando amici.

Le luci si spengono con una distorsione elettrica. Seth tira un’imprecazione, metto le mani alla tasca. Un fascio di luce taglia il buio, qualcuno ha acceso la torcia del cellulare. Lo faccio anch’io, un terzo cono rischiara la zona.

«Qual era la probabilità che il sistema elettrico malfunzionasse oggi?» borbotta Seth.

«Meglio che ce ne siamo accorti adesso, più che dopo,» commenta Ronye. «Almeno potete aggiustarlo.»

Cerco nel buio tracce di un pericolo. Illumino il viso genuinamente seccato di Yelena, che ci viene in contro.

Seth caccia uno strillo, la donna gli afferra il polso. «Andatevene.»

Un alito di aria fredda ci smuove i capelli, gli occhi di Yelena dardeggiano alle sue spalle e poi si fermano di nuovo su noi tre. «Ora. Non potete stare qui.»

Ronye si irrigidisce, si tasta la giacca alla ricerca di qualcosa. Non dubito un’arma. Ci manca solo che si metta a far rissa con una divinità.

Soffio. È una buona scusa per andarsene. Alzo le mani per fare da paciere. «Siamo dell’ufficio cultura, stavamo per andarcene.» Mi metto davanti a Rho. «Faremo una segnalazione per la rottura delle luminarie.»

«Bene, ora muovetevi.»

Passi pesanti si muovono nel buio. Dobbiamo andarcene davvero.

Seth mi ferma. «Beh, ma la conosci?»

Lo spingo avanti. «Yelena della municipale, non l’hai davvero mai vista?»

«N-no.»

«Sarà che sei sempre chiuso in archivio.» Gli do un buffetto. Artigli grattano i muri, sono leggeri ma non riesco a ignorarli. Ci penserà Yelena. Ronye mi prende il braccio. «Non viene con noi?»

«Avrà un lavoro da fare.»

«Senza luce?»

Yelena, guardiana del mondo, per favore, fingiti normale. Altrimenti sembro sospetta pure io. Mi giro, le ombre in fondo si stanno muovendo. Graffi profondi appaiono sui muri e un’ondata fredda ci investe. Il buio si getta su Yelena, che grida quella che sembra una imprecazione soffocata.

Sarà stata una reazione accidentale. Se la caverà.

Ronye si stacca, gira i tacchi.

No. No! Cretina! Tendo le mani per afferrarla, chiudo le dita sul vuoto. La macchia nera spinge la zampa contro il terreno, riducendo a grumi di metallo le rotaie. Yelena rotola di lato e sbatte contro le mura. Puntella le mani per alzarsi, la coda si schianta contro di lei, viene premuta contro il cemento e si affloscia.

Un ringhio cavernoso riempie il tunnel, mi vibra nel petto.

Mi getto su Ronye e le prendo la vita per trascinarla indietro, non è difficile leggera com’è. «Che ti metti a rischio a fare?»

«Non possiamo lasciarla da sola!»

«Certo che possiamo!»

Illuminati dalla torcia di Seth, gli occhi spalancati di Ronye mi colgono alla sprovvista. «Non mi lascerai vivere con un rimpianto simile.» Mi tira una gomitata allo stomaco che mi strappa il respiro, mi sfugge dalle braccia. L’ennesima ondata di freddo ci investe, è forte. Mi sbilancia. Ronye si appiattisce al muro, vengo spinta indietro e sbatto la schiena contro le rotaie.

Guardiana, fa' che non accada di nuovo.

Lo prego di tutto cuore.





[.note a margine]

Il caldo è stato più cattivo del solito sulla mia capacità di lavorare..

btw, fun fact del giorno, una delle tante ispirazioni per la galleria è il MV di Pressure del Milgram project.

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Capitolo 7
*** BUG REPORT #5576, strappo ***


VI.
[Ronye Brionac]


Tre coni di luce scorrono a destra e sinistra.

Illuminano il grumo di metallo ed erbacce schiacciato a terra, la brina lucida che ricopre il pavimento e i graffi profondi nel muro. Assottiglio gli occhi, nell’oscurità intravedo un profilo colossale.

Ci punto contro la torcia del telefono: nulla, solo il nero impalpabile.

L’essere emette un ringhio cavernoso che mi vibra nel petto, il freddo mi morde le guance e ghiaccio lontano scricchiola.

Scocco uno sguardo alla donna della municipale, ha puntellato la mano a terra e tirato su il busto. Trema, l’altro braccio è molle, il colpo di coda deve averle scassato la spalla. E con i danni interni che avrà subito, ha bisogno di soccorsi prima di subito.

Gonfio il petto d’aria. L’oscurità si sposta, le si sta avvicinando. In tasca ho solo il portafoglio e le chiavi della macchina, non ci posso fare niente con quelli. Speriamo che quella bestia infernale, qualsiasi cosa sia, sia sensibile ai suoni. Non ho alternative.

Apro l’app di musica e clicco la playlist di studio, il ritmo martellante di Summer Holiday parte al massimo. I vocalizzi della cantante si distorcono in un eco stridente, tiro indietro il braccio.

L’oscurità si è girata verso di me. Ho il suo sguardo sulla pelle.

Buona a sapersi, la musica pop dà fastidio anche ai mostri soprannaturali.

«Ronye! Ma sei scema!?» abbaia Seth, grazie al cielo non sposta il cono di luce della torcia da davanti a noi. Tiro il telefono contro il muro opposto a Yelena e scatto avanti, l’oscurità si sposta verso il cellulare, che rimbalza a terra e manda una distorsione.

«Che fai?» Gli si strozza la voce.

Corro con tutta la forza che ho in corpo, un minimo di esitazione e qui ci rimango secca anch’io. Un sibilo taglia l’aria, qualcosa spazza il terreno, scardina i grumi di metallo da terra. È vicinissimo alle mie gambe.

Salto.

Passa oltre e si pianta nel muro, centinaia di crepe lo risalgono. Zero esitazioni, zero esitazioni! Arrivo a Yelena e le afferro il braccio sano, ha gli occhi offuscati di dolore e pare non riconoscermi. La strattono. «Vieni!»

Incespica.

Non possiamo rallentare così, ci rimettiamo!

L’oscurità ringhia, ce l’abbiamo di nuovo addosso. Non è la prima volta che ce l’ho così vicina, ma è davvero troppo vicina. Qui devo proteggere Ashley, lei ha almeno le gambe lunghe. Può salvarsi se continua a correre.

Che diamine sto pensando!?

Ashley è dietro uno dei coni di luce nel buio. Non sta rischiando niente. Una fitta mi attraversa il petto, me lo stringo. Il cuore mi si sta spaccando in due. Una zampa dell’oscurità ci cala addosso, Yelena stende un braccio.

Decine di anelli semi-trasparenti si chiudono intorno a noi, il mostro ci sbatte contro. La botta increspa la superficie, gli artigli ci scavano e affondano. Mi arrivano a un soffio dal viso, devono essere grandi quanto il braccio di un adulto.

Yelena mi dà una spallata. «Non rendere tutta ‘sta cosa inutile.» La frangia le si è appiccicata alla fronte, ha il respiro affaticato. Ha gli occhi striati di bianco, come piccole stelle. «Me la cavo anche senza bisogno di umani che si impiccino.»

Le crederei di più se non fosse un disastro da vedere.

Le stringo il polso. «In queste situazioni devi chiedere aiuto!»

Un’altra artigliata riduce a brandelli la barriera, i frammenti piovono su di noi e si polverizzano prima di toccare terra. La trascino verso gli altri, i due coni di luce dei telefoni si dividono per lasciarci passare. Non ho bisogno di guardare in faccia Palo per sapere che è in apprensione.

Yelena geme, ma tiene il ritmo. «Con quali poteri vorresti salvarmi?»

Mi tengo tra le due file di rotaie, per non rischiare di incastrare il piede da qualche parte. Ho il respiro corto, il cuore mi martella nelle orecchie. «Nessuno, vedo che in ogni caso non sono di aiuto!»

L’oscurità si muove, gratta nei muri e si avvicina.

La sommessa risata di Yelena spezza i suoni inquietanti. Good, le ho migliorato l’umore. Il solito sorriso nervoso mi affiora sulle labbra.

Un’altra spazzata di coda si infrange alle nostre spalle. Seth strilla. «Siamo morti, siamo morti, siamo morti–»

Finché il moveset di quel coso rimane così limitato, abbiamo grosse possibilità di sopravvivere.

Ashley traffica con il suo cellulare, musica orchestrale riempie la galleria. Lo lancia alle nostre spalle, decine di violini nervosi fanno da sfondo alla nostra chase scene. Per qualche istante, il mostro smette di grattare contro i muri. Gli altri guadagnano terreno, a poco a poco mi superano. Yelena mi mette una mano sulla schiena e spinge per impedirmi di rallentare.

Usciti di qua potremo buttarci alla macchina e di questa cosa si occuperanno i militari o l’agenzia governativa segreta che sicuramente si occupa di questi schifi. Passiamo la X verde fosforescente. L’uscita è vicina, la distesa d’erba incolta ondeggia al vento.

Palo mi afferra il braccio e mi trascina avanti.

Qualcosa taglia l’aria sopra le nostre teste, si incastra nei muri. Yelena emette un sibilo, mi lascia la mano. La luce della torcia fa scintillare stalattiti di ghiaccio piantate nel muro come frecce.

Un corpo cade alle mie spalle. Mi giro di riflesso, qualcosa sporge dalla schiena della donna.

«Ragazze!» Il cono di Seth si ferma pochi passi più avanti. «Ci rimettiamo la vit–»

Illumina la gigantesca stalattite che sporge dalla schiena di Yelena, il ghiaccio si è allargato e le ha ricoperto la schiena. Deve averle perforato il cuore in un colpo.

Ashley abbaia. «Dammi una mano a toglierlo! Siamo in tempo!»

Seth fa il giro intorno e lo stringe; ci butto le mani sopra anch’io, il ghiaccio brucia contro i palmi. Per quanto mi sembri inutile tentare, magari la ferita è meno profonda di quel che penso.

Due ondate fredde ci sbattono contro la schiena, il ruggito del ghiaccio ci raggiunge. Morde i piedi e risale fino alle caviglie. Assimila il viso di Yelena al terreno.

Seth stacca la stalattite e la lascia cadere di lato, il blocco scivola sul tappeto di ghiaccio. Lascia una striscia rosso intenso al suo passaggio.

Ashley si accuccia e scuote schiena di Yelena. «Non metterti a dormire ora, non osare metterti a dormire ora!»

Illuminata dalla luce, la voragine nella schiena di Yelena la passa da parte a parte. Non possiamo salvarla, è già andata. Non possiamo… Il pensiero traditore che solo Palo può sopravvivere mi coglie di nuovo, ha le gambe lunghe, può correre veloce. È irrazionale e non mi serve quando siamo tutti bloccati così.

Le zampate pesanti del mostro si avvicinano.

Seth sbatte il telefono contro il ghiaccio nel tentativo di spaccarlo.

L’ombra scatta, si chiude su Seth e divora il cono di luce. Una pietruzza azzurra cade a terra, rischiara il buio in cui siamo state gettate. Scatta verso l’alto e sparisce.

L’oscurità si ricopre di colore, una zampa enorme ricoperta da scaglie aguzze fa un passo verso di noi, un muso tozzo incrostato di ghiaccio mi passa accanto all’orecchio.

Qualcosa si strappa.

Centinaia di crepe luminose ricoprono i muri della galleria, frantumano il ghiaccio. Si arricciano su sé stesse come carta, dal fondo fino all’uscita. Sotto di noi si apre un’immensa distesa tropicale, tra le piante colossali spuntano i resti di edifici distrutti da centinaia di anni. Il vento ruggisce, trascina giù il mostro e il corpo di Yelena.

Mi manca la terra sotto i piedi, ma una mano mi afferra la spalla. Le unghie di Ashley si piantano nella mia carne. Ha afferrato la traversa della rotaia come una scala di corde, scintille elettriche le scaturiscono dalla fronte e alzano la frangetta, risalgono fino alle sbarre metalliche.

«Rho, issati!»

C’è un grido cavernoso, le stalattiti di ghiaccio tagliano l’aria.

«Lo so!»

Tendo il braccio e prendo uno dei supporti di legno. Qualcosa mi si conficca nella schiena, rompe la maglia. Una punta rossa affiora dal mio petto. Fa caldo ed è pesante. Stringo le dita sulla traversa, non posso lasciarmi andare.

Non si sopravvive a cadute del genere.

Abbasso gli occhi. Yelena è in caduta libera ma ha gli occhi lucidi, brillanti. Stende il braccio contro il mostro che si sfilaccia in linee di colore violacee e viene assorbito dalla sua mano. Sparisce come se non fosse mai caduta.

Dai, almeno è viva. Meglio che tre morti.

Ashley mi prende la maglia, le scintille che la circondano mi scorrono sottopelle e addormentano i muscoli. Chiudo gli occhi. Non vuole lasciarmi andare, ma cadrà. Non ha certo la forza di tirarmi su.

Le stringo la mano, devo togliermela di dosso.

Devo–





[Ashley Sterling]





Yelena mi trascina fuori dalla voragine di peso e mi getta sul terreno.

Stringo l’einheri di Rho al petto: è tiepido, non l’ho lasciato andare da quando mi si è polverizzata tra le dita. I suoi ricordi della fuga continuano a riempirmi la mente, li accolgo. Costo di disconnettermi dal mondo, ripeto ogni dettaglio che può essermi essenziale per la prossima volta.

Vorrei prenderla a schiaffi, ma devo aspettare.

Yelena si sporge sulla bocca della galleria, la coda rossa scivola in avanti come se avesse messo faccia in un tombino. Non appena fai un passo avanti, la gravità ti trascina giù come se fosse un precipizio.

Poggia la mano sul bordo della parete rocciosa e scorre, un terremoto si scatena sulla zona. Uno dopo l’altro, massi grossi quanto tavoli cadono sull’entrata e la seppelliscono.

Yelena sposta lo sguardo su di me, non c’è traccia delle ferite precedenti. Tira un sospiro stanco e mi si siede accanto. Poggia una mano sopra le mie, che proteggono quel che rimane di Rho.

«Lasciala.»

Se lo faccio, tornerà di nuovo alle stelle come Seth. I sensi di colpa mi mordono il petto, ho invischiato un’altra persona in questa situazione.

Poggia la fronte contro la mia. «Ashley, basta. Abbiamo coinvolto troppe persone in questa cosa.»

Ho la gola secca. Vuole concluderla, del tutto.

Continua. «Questa cosa è sbagliata, non avremmo mai dovuto–»

«Non lo dire.» La guardo negli occhi, sono duri. «Tu hai accettato.»

«E ora ci pongo fine.»

«Non lo farai.» Stringo Rho. Dobbiamo tornare indietro e ripetere questa giornata se voglio riabbracciarla e vedere Seth. Frammenti della fuga, il buio e i suoni stridenti mi riempiono le orecchie. Il mostro è diventato tangibile non appena ha mangiato qualcuno. È successo così entrambe le volte.

Un gorgoglio rabbioso mi risale la gola. «Dopotutto, hai accettato perché ti sentivi in colpa, vero?»

Yelena tentenna, si fa indietro. Eccola, come al solito non sa nascondere le sue emozioni. Meglio per me. «Quel mostro per diventare reale ha bisogno di acchiappare qualcuno. È per quello che non l’abbiamo visto in anticipo nessuna delle due volte.»

Leggo di aver ragione nei suoi occhi. Insisto. «E solo quando è fisico tu lo puoi sconfiggere così facilmente.»

«Ho tentato di evitare che voi lo incontraste!»

«Se lo chiami tentare.» Mi alzo. «Quante delle persone scomparse che ci sono ogni anno sono perché tu le hai lasciate mangiare da mostri dimensionali?»

Yelena mi tende la mano. «L’einheri Ash. Abbiamo concluso, i danni sono già incalcolabili.»

Devo ragionare. Respiro. «Ce ne occuperemo. Insieme.»

Un sorriso amareggiato le taglia il viso. «Come fino ad ora? Ho sprecato così tanta capacità di calcolo per assecondarti. Prima che possa sistemare lo strappo dimensionale a quella galleria mi vorranno settimane. E per cosa? Vederti sbattere contro lo stesso problema senza ragionare!»

«Ma io ti aiuterò. Per davvero.» Allargo le braccia. «Niente più “tua missione, tuo dovere.” Sei già tornata alla stregua di un essere umano. In queste situazioni devi chiedere aiuto.»

Yelena serra le labbra. Le parole che ha detto Rho devono bruciarle.

Lascio andare Ronye, schizza verso l’alto. «E io lo chiederò a te. Permettimi di salvare i miei amici, chiudere quello strappo dimensionale ed evitare che tu abbia di nuovo bisogno di sacrificare esseri umani per sigillare quelle creature.»

Yelena chiude gli occhi.

«Ashley, non è cosa per umani.»

Le prendo la mano e l'aiuto ad alzarsi. «Per la guardiana e un’umana sì, magari.»

Non rifiuta.





[.Note a margine]

P.E.T. di Sakamata Chloe mi ispira tanto dialogo Ashley/Yelena lungo Laplace, non tanto per il testo quanto il mood dell’intera canzone. Ma ehiyo! Secondo i miei appunti siamo arrivati al midpoint della storia, ora se non faccio errori enormi dovremmo essere a metà strada.

Onesto, il prossimo ¼ di storia è quello più nebuloso nei miei schemi, quindi ci metterò un po’ di più del solito a preparare i capitoli – se non mi arrivano addosso altre canzoni che fanno da illuminazione improvvisa.

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Capitolo 8
*** BUG REPORT #5576, necessità: riposo e un negroni, magari più di uno ***


VII.
[Ashley Sterling]




«No, pa’, non l’abbiamo neanche sentito il terremoto.»

Mi fermo accanto alla macchina di Seth e incastro il cellulare che Yelena mi ha prestato tra spalla e orecchio, il vetro rotto mi gratta la guancia. A quanto pare non tutto di lei si ripristina da solo.

«Stai attenta.» Papà sospira, l’abbaiare di Edgar e il rumore di macchine che sfrecciano coprono il silenzio. Staranno facendo il solito giro vicino al parco sulla trentasettesima. «Il Granaio è così vecchio che un giorno ti cadrà in testa.»

Ci mancherebbe solo quella. «Non iettarmela.»

Papà ride.

Tento la maniglia. Lo sportello rimane chiuso, diamine. Tiro un altro paio di volte, ma non scrocca. Tocca arrendermi: non ho possibilità di aprire senza le chiavi, e quelle se ne sono andate con Seth quando è schizzato in cielo.

«Mamma ha detto che sta bene?»

«Là in facoltà non l’hanno neanche sentito.» Qualcuno strombazza, Edgar abbaia più forte per battere il clacson. «Probabilmente l’epicentro siamo noi, Liam ha visto parte della collina franare.»

Mi appoggio alla carrozzeria rovente con il braccio. Cacchio, con le strumentazioni si accorgeranno in un attimo da dove è partito il terremoto. E se lascio qui l’auto, la gente non ci metterà troppo a fare uno più uno. Partirebbe una corsa contro il tempo per rimuovere le macerie e tirare fuori Seth dalla galleria, che finirebbe in soccorritori gettati nell’abisso tropicale.

Vorrei evitarlo, ci sono già due morti di troppo da tenere in conto.

Tiro una pedata alla ruota, non basta a rilassarmi. «L’importante è che nessuno si sia fatto male.»

Papà canticchia sottovoce, non ha fretta di aggiungere altro. Viviamo in due orari così diversi della giornata che spesso si accontenta di sentirmi respirare nelle vicinanze.

Yelena mi piazza la mano sulla spalla e mi spinge di lato, poggia l’indice sulle labbra. «Con permesso.» Infila un dito nella maniglia e tira, lo sportello si spalanca come se non fosse mai stato chiuso.

Copro il ricevitore. «Grazie, oh nobile guardiana.»

«Sfotti?»

Le sorrido e tolgo il palmo dal cellulare. «È una fortuna che sia finita così tranquil– oh, vedo la responsabile.» Credici, papà. Per favore. «Non vorrei che mi beccasse al telefono.»

«Che ti dica qualcosa, ti stai informando della tua famiglia.»

«Non glielo farò notare mai; coccola il best doggo per me.» Chiudo prima di sentire la risposta.

Yelena indica con il braccio l’abitacolo, il profumatore allacciato allo specchietto retrovisore dondola a destra e sinistra. L’aria sa di chimico. «Guidi tu?»

Le rendo il cellulare. «Mai. Non so neanche dove lasciarla per non attirare l’attenzione.»

«Fai così schifo?»

«Non mi piace guidare e basta…»

Yelena infila la testa dentro l’auto e tamburella le dita sulla carrozzeria, la coda di capelli rossa ondeggia al vento. Borbotta qualcosa sul cambio automatico e getta fuori un sacchetto di takeout appallottolato, lo schivo.

La pallina rotola giù per il viottolo deserto.

Guardiana dell’umanità ma, a quanto pare, non dell’ambiente. Si batte le mani. «Mettiamoci d’accordo. Come la scorsa volta, mi conviene aspettare prima di resettare la timeline.»

Una mano fredda d’ansia mi afferra il collo, lo massaggio. Sapevo già che sarebbe successo, ma se aspettiamo troppo i genitori di Seth e Ronye segnaleranno alla polizia che i figli non sono tornati a casa. E quando troveranno la macchina di Seth cercheranno di stabilire chi è l’ultima persona con cui hanno parlato.

Non vorrei mentirgli in faccia.

«È necessario?» esalo.

«Sì. Devo assicurarmi che il resto dell’umanità non impazzisca perché non gli ho lasciato il tempo di riposare.» Mostra il pollice alzato, distende l’indice. «E gli ultimi eventi hanno bruciato parecchio della mia capacità di calcolo. Normalmente posso fare quello che voglio senza creare contraddizioni che danneggino la “realtà”, meno capacità di calcolo ho–»

«Più sei stanca, più sbagli?»

Annuisce.

Le metto una mano sulla spalla. «Cosa sei, un programmatore in crunch?»

Batte le palpebre, assaporo lo sguardo sbigottito che mi rivolge. «Huh. Qualcosa del genere.»

Se la mette giù così, non abbiamo alternative. «Di quanto tempo hai bisogno?»

«Sarebbe meglio una settimana, ma temo che puliscano la frana per prima di allora.» Sospira. «Due giorni minimo, se vedo che si mettono a lavorarci prima taglierò il periodo di riposo.»

Magari anche i déjà vu si indeboliranno se lasciamo scorrere del tempo. Non risolve il problema della denuncia di persona scomparsa che ci troveremo tra capo e collo se ci vedono con la macchina di Seth.

«Riesci a teletrasportarla in fondo al mare?»

Yelena accarezza la carrozzeria. «Sicura che non ci serva per muoverci?»

«Preferisco non avere i poliziotti subito dietro le chiappe.» La soluzione a questo casino è dentro la città, e muovermi a piedi è molto più facile che reggere il traffico. «Tu ti riposi, io sono più brava a piedi.»

«Suppongo.» Yelena ferma il palmo sul tettuccio, l’auto sparisce con un lampo grigio metallizzato. Chissà quale angolo degli abissi ha appena inquinato.

Le prendo la mano. «Ci porti in un posto con una visuale migliore?»

La tentazione di chiederle cosa siano le scintille che mi hanno avvolta mentre rischiavo di cadere nel baratro con Ronye mi coglie, la ricaccio indietro. Non so come reagirebbe, ho bisogno del numero minore possibile di variabili da controllare.

Lo terrò per me.





Siamo sullo stesso tetto da cui è iniziato tutto, mi metto le mani dietro la schiena e seguo con gli occhi lo scorrere veloce delle auto per le strade. Non ci sono ancora volanti della polizia o pompieri in movimento.

Yelena mi passa una lattina imperlata di condensa e si siede sul bordo dell’edificio con gli stivaletti a penzoloni. Il pensiero di piazzarsi lì e di poter cadere con una spintarella mi fa venire il voltastomaco.

Spinge la linguetta, piega la testa di lato per rivolgermi uno sguardo di sbieco, tra le dita affusolate intravedo la scritta mojito mix. Ottimo, mi serve bella lucida per il briefing. «Come vogliamo giocarcela?»

Serro le labbra e abbasso gli occhi sulla mia bibita, una JollyRoger verde lime. Questa roba sa di fiele nelle giornate migliori, la apro e me la porto alle labbra. «L’ultima volta l’hai sconfitto senza sacrificare nessuno?» Le bollicine mi grattano la gola.

«Sì. Come lo–»

«Non sembravi sentirti un cane quando ti ho incontrato, condizioni fisiche pietose a parte.»

Yelena abbozza un sorriso ironico, che non le illumina gli occhi. La prima volta mi ha fatto abbassare la guardia a forza di comportarsi in modi così vulnerabili, ma non posso dimenticare che è la donna che non esita a lasciar morire persone per il bene della massa.

Abbassare la guardia non è una scommessa che posso permettermi.

Mugugna. «Ho sbattuto l’anomalia al muro finché non si è materializzata per conto suo. Non è una cosa che posso permettermi di nuovo.» Tira giù un sorso della lattina. «Quando avvolgerò il tempo di nuovo, lo strappo si chiuderà… ma se la facessi manifestare lì potrebbe diventare più grosso.»

Più grosso è un termine vago. Divorerebbe l’intera collina? Si estenderebbe verso la città? L’immagine dell’asfalto che si dissolve mi riempie la mente, una casa che si inclina verso il precipizio che crolla con dentro i suoi abitanti.

«Manifestare da un’altra parte, got it.» Dobbiamo attirare un mostro invisibile fuori. «Il problema è che quando uscirà dai confini della galleria, lo perderemo di vista.»

«Se fosse più piccola potrei darti ragione, ma così grossa… potrebbe diventare una calamità naturale.»

Un’ambulanza dispiega le sirene e passa un semaforo rosso, un furgoncino quasi le si pianta nella fiancata. Il puntino bianco non rallenta e schizza tra le vie della città.

Esito. «Se lo sfondassimo con una macchina?»

«Rimarresti incastrata nel ghiaccio.»

Non ci ha messo un istante a scartare la mia idea. «Lo buttiamo a mare e via?»

Yelena poggia la lattina accanto a sé e congiunge le mani sotto il mento, ci sta riflettendo come se fosse la cosa più fattibile del mondo. «Potrebbe essere un’idea, sai. Sarebbe circondato dal mondo reale e quello porterebbe a…»

Non seguo il ragionamento. «Perché il mare vale e l’aria che lo circonda no?»

«Il volume di dati con cui si interagisce sarebbe diverso, cadendo in acqua farebbe congelare tante di quelle cose intorno a sé!» Si volta. «È perfetto!»

«Non lo è. Il mare è a dieci minuti dalla galleria.»

«A piedi, in macchina…»

«Se vuoi guidare, prego.»

Tira le labbra in un ghigno sghembo, si poggia la mano sulla guancia e finge sorpresa. «Ci pensi tu a fare il lavoro di dea mentre io lo attiro in acqua? Ma dovevi dirmelo che potevi farlo.»

Alzo le mani in segno di resa. «Domani lasciami le chiavi.»

Lo faccio per tenere la gente viva, perché è così che le brave persone dovrebbero comportarsi. Rho e Seth concorderebbero.

Squilla il telefono di Yelena, me lo passa.

La scritta RESPONSABILE CULTURA :C è distorta da centinaia di microfratture. Soffro, si sarà accorta che non sono al lavoro. «Perché le chiamate per me arrivano a te?»

«Pensavo avessi bisogno di rimanere rintracciabile.»

Sì, ha ragione ma non significa che ne sono felice. Chiudo gli occhi e scorro il tasto verde. «Pronto?»

«Sterling?» È arrabbiata, ho paura.

Sono solo le dieci, questa giornata sarà dannatamente lunga.





Anche questa volta, trovo la luce del gazebo in giardino accesa malgrado sia già notte inoltrata. Oltre il reticolato di legno mamma starà facendo qualsiasi cosa ha fatto ieri sera.

Spero che non mi fermi, dopo lavoro ho passato tutto il giorno a fare avanti indietro dal porto alla galleria alla ricerca della via più veloce e pulita per evitare che l’anomalia si pappi gente mentre la portiamo alla sua morte.

Non vedo l’ora di crollare.

Scavalco il cancelletto di casa, dalla siepe bassa che costeggia il vialetto sbuca Edgar. Abbaia e mi si infila tra le gambe, la codina snella frulla. Vederlo così contento è un toccasana per le mie batterie scariche.

Tira un guaito e schizza indietro, si rintana tra le aiuole di mamma. Abbassa le orecchie, trema.

Che diamine–

«Scintilla? Gli hai pestato la coda?»

«Possibile.» Mi avvicino per accarezzarlo, Edgar arretra e fa un ringhio lamentoso.

«Fate pace, fate pace.» Mamma si sporge dal gazebo, la lunga treccia castana le scivola sulla spalla. Il cardigan rosa è bucherellato dagli anni, ma si rifiuta ancora di buttarlo, ci sono troppi ricordi preziosi di cui è stato protagonista. «Oggi ho trovato un sacco di robe interessanti, che ti aiuteranno sicuramente con la tesi.»

Un sacco? Ha persino lavorato più di ieri. Faccio il giro della siepe e vado al gazebo.

Mamma gonfia il petto e indica con entrambe le braccia la distesa di libri e fogli che ricopre il tavolo. Su un lato c’è la sua teiera-dello-studio, insieme a un paio di tazze abbandonate. Dalle briciole che le circondano, direi che papà deve averle fatto compagnia e aver dimenticato, di nuovo, di portare via ciò che ha usato.

L’odore del tè alla menta quasi stempera quello dello zampirone.

Mi metto accanto a lei, dal lobo destro le pende un orecchino votivo alla guardiana. È una pietra rosata, screziata di argento. Non l’ho mai visto. «Oh, è nuovo?»

«Ti dimentichi sempre che è quello del nonno?»

Sempre? Cerco di ricordarmi la forma o il colore della gemma, ma sono sicura di averlo visto per la prima volta oggi. Non importa. «Welps.»

Mamma pesca da un mucchio di fogli un libricino sottile e lo scorre, ha le dita tappezzate di evidenziatore. Mi porge la poesia in testo antico. Questa volta riconosco il carattere per occhio, oltre a quello di pietra preziosa. «Non ti stuzzicherò oggi,» promette.

Le tendo la mano. «Allora mi faresti vedere la traduzione?»

Me la schiaffeggia. «Pussa via, nessuno dei due testi è ancora perfetto. Ma ho due opzioni, occhi o specchio. Quale vuoi sentire?»

«…occhi?» Non credo di aver la concentrazione di seguirla, ma non vorrei deluderla.

«Gli schermitori vivevano la loro vita con l’obiettivo di diventare stelle guida per le successive generazioni.» Sorride. Particolarmente orgogliosa di sé, che si sia divertita a lavorarci è evidente. «Cosicché, alla fine della loro vita, non si sarebbero vergognati di tornare sotto la custodia della Guardiana.»

Mi passo la mano sotto il mento. «Beh, in praticamente tutti i loro insegnamenti c’è questa idea di non tradire il giuramento che han fatto verso il popolo, la corona, la guardiana, etc…»

«Ma sai qual è l’altra cosa che mi esalta? Questa è un’altra prova del motivo per cui rappresentano la guardiana con gli occhi punteggiati da stelle.» Mi ondeggia il libricino pieno di linee e cerchietti incomprensibili sotto gli occhi. «La chiamano guardiana dagli occhi incisi. Secondo la loro tradizione, inizialmente, la guardiana aveva gli occhi di colore normale, ma a forza di osservare le stelle le si sono letteralmente impresse nelle iridi.»

«Ah.»

Mamma fa una smorfia. «Sai che capire perché fanno le cose è importante, vero? Quando fai una ricerca e tutto…»

«Scusa mamma, sono stanca…»

Si ferma a fissarmi negli occhi, mi sposta la frangia dalla fronte. «È successo qualcosa con Ronye?»

Scuoto la testa. «Non l’ho vista. Avrà avuto da fare.»

«Scintilla…» Le si sente il dolore nella voce, mi abbraccia la spalla. «Non ti ha detto nulla?»

«Ne possiamo parlare domani?» Mamma mi sfrega la testa contro la spalla, mi trattengo dal dirle che non c’è davvero bisogno di consolarmi. Le poggio la testa contro la sua e sfrego leggermente. «Notte ma’.»

«Notte tesoro.»

La lascio e mi reco all’entrata, Edgar riprende a tremare non appena mi avvicino. Spero che mi senti la puzza dell’anomalia addosso e basta. Entro in casa, salgo alla mia camera e mi chiudo la porta alle spalle.

Rimango al buio.

Stendo la mano. Una scintilla azzurra mi danza sul palmo e rischiara parte delle piastrelle chiare. È elettricità, posso generarla semplicemente pensandoci. «Mamma e i suoi pet-name strani devono aver influito?»

Tiro fuori le chiavi dalla tasca e spingo con la mente, archi elettrici mi avvolgono la mano. Illuminano il letto sfatto, la scrivania… Lento, il mazzo si alza e tintinna a mezz’aria.

Ci metto tutta la forza di cui sono capace. Schizza verso l’alto e si piantano sul soffitto. Le scintille si spengono e salto indietro, sbatto la schiena contro la porta. Clicco l’interruttore, il fascio di luce mi acceca. Strizzo gli occhi, le chiavi sono piantate come un dardo.

Accidentaccio.

Tendo la mano e immagino di tirarle a me. Il mazzo tremola.

È solo il secondo loop, ma sto già sviluppando capacità da mostro. Stringo le dita, non sono molto ma mi aiuteranno a combatterlo. La chiave si stacca dal muro, la afferro al volo.

«Aspe’ il ghiaccio puro è un isolante…»

Rido.

Che sfiga.





[.note a margine]

Nei miei appunti capitolo 7 doveva contenere altre due scene, non vorrei fare il discorso “verrebbe troppo lungo il capitolo”, anche se è la prima ragione per cui mi sono fermata non appena ho toccato il solito numero di parole.

Quindi dico che le due scene successive hanno un tema unitario diverso da questo capitolo, quindi si spezza

_Alcor

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Capitolo 9
*** BUG REPORT #5576, ricarica batterie in corso ***


VIII.
[Ashley Sterling]




La statua di Rothschild che pianta la spada a terra è illuminata dal sole del mattino, gli occhi aggrottati puntati verso l’entrata della sala d’esposizione fissa. Rimango sulla porta con il portatile stretto al petto e i cavetti neri che sbordano dalle braccia.

Le mura sono tappezzate dai foderi appartenenti a nove dei centotre schermitori che han combattuto durante la fioritura degli aster, ognuno corredato da una teca piena di tutti gli effetti personali che siamo riusciti a recuperare dagli scantinati della città. Lettere, mantelli… Di Ardens sono stati trovati i dadi con cui si dice che si sia giocato la spada.

Eppure ogni volta che entro qui i miei occhi tornano a Rothschild Caelum.

Non è caduto a terra neanche quando gli hanno tagliato i tendini delle caviglie. Si è rifiutato di inginocchiarsi anche dopo aver trucidato l’ultimo traditore. Leggende dicono che la Guardiana l’abbia dovuto trascinare all’altromondo.

Chissà se è la verità…

Yelena piroetta tra gli espositori e piazza le chiappe su una scrivania appartenente a uno dei primi reggenti, accavalla le gambe. Zero rispetto per l’ambiente e zero rispetto per le reliquie dei tempi andati. Rivolge uno sguardo nostalgico alla statua, un debole sorriso le increspa le labbra rosse.

Attacco lo spinotto alla presa accanto all’entrata e mi accuccio, apro il portatile scassato. Lo schermo è coperto da un dito di polvere. «Vecchia conoscenza, immagino.»

«Il buon Cael? Era un caro amico.»

Mi congelo. Cael. Non Caelum, non Rothschild ma Cael. Il dubbio che abbiano avuto una tresca mi artiglia la schiena, clicco più volte il tasto di accensione del pc per levarmelo dalla mente. Non vorrei che il flash di loro due avvinghiati mi inquinasse la tesi.

Yelena schiocca le dita, un cellulare ricoperto da una cover rossa mi cade sul grembo. È sbeccato in cima a destra, esattamente come quello che avevo… prima di lanciarlo in bocca al mostro della settimana. Lo sblocco, il salvaschermo è un paesaggio in inchiostro su seta della vecchia Welt.

È il mio telefono!

Niente nuove chiamate, solo una notifica da Yelena Shaw. «Figo.»

«Vedi quel che riesco a fare quando sono riposata? Ci ho persino messo il mio numero.»

Clicco sulla notifica, la propic mostra una castana spalmata contro una mora infastidita, davanti al duo un tavolino con un gatto rosso spaparanzato a pancia in sù tra due spritz a godersi il sole. Strizzo gli occhi, la castana ha le iridi color galassia.

Fatico a credere che la Guardiana sia una mutaforma.

Digito di che colore avevi gli occhi, prima che diventassero così? Invio.

Un trillo arriva dalla tasca di Yelena, dà un’occhiata allo schermo. «Sai che non lo ricordo più?»

«Certe cose si possono davvero dimenticare?»

«Girl, hai idea di quanti anni ho–»

Le porte del piano di sotto si spalancano. Passi rapidi salgono, mi affretto a digitare la password per accedere al profilo da ospite. La dea sparisce come una bolla di sapone. Clicco l’icona a forma di telescopio del motore di ricerca ancora prima che il computer finisca di caricare le applicazioni in background.

La responsabile del servizio cultura fa capolino nella stanza, gli occhi nascosti da due lenti spesse e le rughe di espressione accentuate da come contrae la mascella. Liam Brionac la segue, in uniforme da poliziotto, un paio di borse marcate gli segnano gli occhi.

Non ha dormito, e non me ne stupisco.

Tengo lo sguardo sulla finestra del motore di ricerca. «Ciao?»

«Ehi, Palo.» La voce di Liam è debole e roca. Adora sua figlia, e sa che non è tipa da assentarsi senza aver avvisato genitori, nonni e fratelli. Starà pensando al peggio. «Devo farti un paio di domande.»

Appoggio il computer a terra. «Certo.»

La responsabile agita la mano. «Vai ora.» È spiccia come al solito. «Il lavoro è meno importante.»





Liam apre la porta, un tappeto a rettangoli alternati ricopre il pavimento. C’è un tavolino di vetro, con supporti dorati, un paio di divanetti e un mobiletto con una pianta grassa, un paio di infiorescenze rosate tappezzano la foglia.

Non mi aspettavo che ci fosse una stanza del genere in una stazione di polizia.

Liam si passa una mano sulla barbetta incolta, sottobraccio ha un enorme fascicolo marrone. «Prego.»

Annuisco, incerta. C’è un quadro alla parete, una rana snella nascosta tra le lame d’erba. Un residuo di quando era la mascotte della città secoli fa. È una stanza stranamente innocua, mi aspettavo di essere rinchiusa nel primo stanzino bianco ad attendere senza fine una sentenza.

Siedo a uno dei divanetti, Liam mi fa un cenno con la mano. «Tra un istante arriva, ah eccolo–»

Mi torturo i pollici, dalla porta fa capolino un uomo dall’aria assonnata. Il ricamo sulla spalla non è l’ibisco della polizia locale, ma un leone rampante in oro. L’ho visto solo nei film. Forze speciali?

Un ricciolo castano gli ricade sulla fronte, sorride. «Piacere.»

Liam lo indica con la mano. «Ti presento l’agente Rivas.»

Rivas prende il fascicolo da Liam e gli batte una mano sulla spalla. «Vatti a riposare.» Si scambiano convenevoli, probabilmente si conoscevano già. L’uomo entra e mi stringe la mano. «Tu devi essere l’amica di Ronye.» Mi rivolge un sorriso rassicurante e si siede, senza staccare il contatto visivo.

«Sì.»

Poggia il fascicolo all’ombra del vaso. Un paio di fogli sbordano e rischiano di cadere. «Sarai scossa, ma ogni secondo è essenziale.»

No, quello scosso è il padre che hai appena mandato a riposare. Mi accarezzo il collo e tengo gli occhi fissi sui sandali, conto i rettangoli nel tappeto. «Sapete qualcosa?»

«Stai sicura che stiamo facendo il possibile, tornerà in un batter d’occhio a casa.»

Mi mordo la guancia. «Dimmi– mi dica cosa posso fare.»

«Non c’è bisogno che mi dai del lei.» Si mette la mano sotto il mento e si sporge avanti. «Facciamo un riepilogo dell’ultima volta che vi siete sentite, non risparmiare nulla.»

«Ecco, a dire la verità l’ultima volta che l’ho sentita…» Faccio scorrere gli occhi dal tavolino al fascicolo, è enorme. Che informazioni si sarà portato dietro? «È stato a inizio settimana, ci eravamo messe d’accordo per uscire ieri sera insieme. Una chiamata parecchio lunga, le ho dovuto cavare fuori con le pinze il fatto che fosse stata licenziata.»

Passo la mano dal collo ai capelli, c’è qualcosa di piccolo e rigido alla base della mia nuca. Sembra un tubicino rigido lungo quanto un polpastrello, è attaccato alla pelle. L’uomo continua a fissarmi, ha gli occhi scuri e limpidi. Si aspetta di sentire di più?

Riprendo. «Rho ha sempre avuto questo vizio di mettersi in mezzo ogni volta che vede delle ingiustizie, anche a scapito di sé stessa.»

«Liam me ne ha parlato, sembra che Ronye avrebbe dovuto prendere il nostro stesso campo di lavoro.»

«Davvero. Ma lei pensa di avere troppo i noodle arms per permetterselo. Io dico che il primo squilibrato che non la prende sul serio si trova una pedata nel ginocchio e yeetato giù per la scogliera.»

Ride. «Magari le facciamo cambiare idea, non appena tornerà a casa.»

Stringo i polpastrelli sul tubicino strano che ho tra i capelli e tiro, brucia ma lo stacco. Chiudo gli occhi e porto il pugno chiuso al grembo. Dischiudo il palmo, c’è una piuma. Era attaccata alla mia pelle, una piuma.

Respiro.

Va tutto bene, tanto finirò tutto con il prossimo reset.

Non c’è problema se ho una piuma tra i capelli.

«Ash.»

Mi irrigidisco, stringo il pugno e alzo gli occhi verso Rivas.

Tamburella le dita sulla gamba. «Pensi che Rho sia scappata per la frustrazione di essere stata licenziata?»

Scuoto la testa, infilo la piuma in tasca. «Non è il tipo, non ho ancora avuto il modo per chiederlo ma penso davvero che si siano liberati di lei perché non scende a compromessi quando si tratta di fare la cosa giusta.»

Il battere ritmico sulla coscia cresce. «Sapevo che foste molto legate, come mai non l’hai incontrata prima?»

«Volevo lasciarle i suoi tempi.»

Si ferma, piega la testa di lato e si avvicina un po’ di più sulla sedia. «Non sei stata un gran supporto…»

Serro le labbra. La rana nel quadro alle sue spalle quasi riesce a convincermi che sia una chiacchierata informale, questa. Sprofondo con la schiena nel divanetto per mettere un po’ di distanza da lui. «Ha…» La parola è acido sulle mie labbra. «…ha ragione.» Faccio una risata debole.

Quando la salverò, si rimangerà quello che ha detto.

Lui intreccia le dita. «Ti sarai accorta che Ronye non è l’unica persona scomparsa.»

«Ah, davvero?» Non so che tono dovrei avere.

«Beh, Seth Temperance non è venuto al lavoro oggi, ci siamo sorpresi che tu non l’abbia neanche segnalato alla tua responsabile… Per dire la verità, sembra che non sia stato visto nemmeno ieri lavorare.»

«Credevo avesse preso un paio di giorni liberi.»

«Due persone che non si conoscono scompaiono lo stesso giorno, sai cosa è normale che pensiamo?» Mi faccio piccola, ma lui continua. «Che l’unico punto di contatto tra i due sia coinvolta.»

Prende il fascicolo e lo lascia cadere sul tavolino, spalanca la prima pagina. Una foto dall’alto di me che stringo Ronye sull’entrata del Granaio, Seth è a malapena visibile con le braccia cariche di cataloghi. Viene dalle telecamere di sicurezza. Preme il dito sulla foto. «Non ho bisogno di dirti che giorno è datata.»

Sapeva già tutto fin dall’inizio.

Sono finita. La lampadina della stanza sfarfalla e sfrigola, deglutisco l’ansia a forza. Le distorsioni si interrompono.

Rivas non mi toglie gli occhi di dosso per un attimo. «Ripartiamo da capo, ma questa volta non mentire.»

«Non ho–»

«Vuoi negare davanti alla foto?» Chiude il fascicolo. «Ashley, abbiamo già un quadro chiaro della situazione, vogliamo solo darti la possibilità di parlare per prima per rispetto verso i tuoi genitori.»

Non possono sapere tutto.

Non–

«Non hai mai combinato niente di male in ventidue anni di vita, stai per laurearti. Sei sempre stata un’ottima figlia e amica, perché vuoi rovinare tutto così?»

Sto facendo quello che un’ottima amica farebbe. Sto sopportando, mi sto impegnando e mi assicurerò che non capiti questa cosa ad altre persone.

La sto aiutand–

«Non aiuti nessuno così.»

La lampadina salta. Frammenti incandescenti di vetro ci cadono addosso, Rivas si copre la testa e geme. Il buio inghiotte il suo sguardo accusatore. Sono stata io? Alzo gli occhi, scintille elettriche azzurre illuminano la lampadina rotta, un olezzo di plastica bruciata riempie la stanza.

Rivas si alza. «Era comunque il caso di spostarsi.»





La stanza degli interrogatori è bianca e piccola, un solo tavolino e due sedie. Non ci sono finestre. Rimango seduta a terra con la schiena al muro, una moneta stretta al palmo. Ho perso la concezione del tempo dopo che mi hanno piazzato qua.

Rivas aveva tanta fretta di parlarmi ma credo siano passate ore.

Va bene così, stanno facendo il loro dovere di poliziotti e io il mio di amica. Non gliene faccio una colpa, tanto tutta questa cosa sparirà con il prossimo reset e non importerà più a nessuno.

Faccio rotolare una monetina sulle nocche, la lieve sensazione di prurito sottopelle è l’unica indicazione che sto usando il magnetismo per muoverla. Il movimento è quasi più naturale di quando la facevo rotolare senza sostegno.

Ho tempo per migliorare la mia precisione mentre Yelena riposa.

Abbiamo un piano solido, è una sfiga non aver sfruttato del tempo per impratichirmi con l’auto ma faccio bene le cose sottopressione. Credo. Non lo so. La porta si apre, c’è un’agente donna con i capelli raccolti e un sorriso amabile oltre la soglia. Tiene due tazze bianche fumanti con una mano.

«Non è scomodo stare laggiù?» chiede, con un leggero sorriso. Sulla spalla ha i fiori di ibisco tipici della nostra polizia, ma è la prima volta che la vedo. Ha un tono gentile e conciliante eppure anche lei pensa che io abbia aiutato Rho e Seth a sparire.

Sapesse che li ho condotti entrambi alla loro morte, consapevolmente.

La luce sfarfalla.

Lei alza gli occhi. «Scintilla, dici che sarà stato il terremoto di ieri a danneggiare tutto?» Faccio girare la monetina, più veloce. Più precisa.

Si siede e poggia le tazze. «È un po’ caldo per la cioccolata calda, ma ti aiuterà un po’ con l’umore. Hai ancora il vizio di dimenticare di fare colazione?»

Faccio scorrere la monetina lungo il palmo.

«Ash.» La voce rimane paziente. «Dai un attimo retta a tua zia, sono preoccupata per te.»

Zia?

La monetina si ferma. La guardo negli occhi, ma non riconosco niente di questa persona. Batte una mano sulla sedia, nella maniera in cui incoraggi una bestiolina ad avvicinarsi.

Yelena ha detto che un einheri funzionante ricorda, se metto che la funzione di una di quelle stelle è immagazzinare informazioni quando la rompi… è normale immaginare che le perda? Sto dimenticando?

Stendo le labbra in un sorriso tremante, non è una cosa che mi posso permettere se voglio salvare Rho e Seth. Devo stamparmi a fuoco nella mente il piano per salvarli prima del reset. Stringo la monetina e mi alzo.

Se riesco a salvarli con il prossimo loop, non ci sarà problema.

«Scusami, zia… questa situazione è davvero incasinata.»

Lei sospira e tira indietro la sedia per lasciarmi spazio. «Parliamo.»

Prima l’accontento, prima posso imprimermi direttamente nell’anima cosa devo fare per dare un lieto fine a tutti. Se riesco almeno a salvare per la prossima timeline l’informazione “salvali”, tutto il resto andrà in ordine.





[.note a margine]

Con la premessa che sono pienamente consapevole che non sono poliziotti realistici, eiyoo, ho finalmente fatto fruttare il guardare video di JCS. E messo il payoff dei foreshadowing iniziati a capitolo 4.

La vita è good.

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Capitolo 10
*** BUG REPORT #5577, quindici vittime ***


IX.
[Ashley Sterling]


Lazerin | BUG RILEVATI | Broken einheri, impossibile risalire al codice identificativo | EINHERI Ashley Sterling (16 errori) | Tessuto rotto | Rischio di collisioni di terre lungo l’asse 70Y



Non aiuti nessuno così.

Spalanco gli occhi e mi tiro su, la tenda della porta-finestra lascia filtrare a malapena una sottile lama di luce che si posa sulle lenzuola azzurro pastello aggrovigliate ai miei piedi. Non sono più in centrale, Yelena ha finalmente resettato.

Tiro fuori le gambe dal letto e poggio le piante sul pavimento fresco. Mi brucia il petto, ci metto una mano sopra. È un dolore sordo ma costante, stringo i denti e soffio per liberarmene.

Mi sforzo di ricordare qualcosa dopo la chiacchierata con Rivas, una donna simile a mamma che mi offre qualcosa di caldo, il suono di sbarre che vengono chiuse, lo sfrigolio dell’elettricità. Il mormorio incessante della mia voce che ripete devi salvarli, devi salvarli, devi salvarli.

Sono stata lievemente inquietante.

Tolgo la mano dal petto e mi alzo, stendo le braccia al soffitto per stiracchiarmi. Grazie al cielo non ricordo gli emotional damage che mi hanno ridotto in quello stato, sono il tipo di persona che si deprimerebbe inutilmente più che rimanere concentrata.

E poi, finiti i loop, ricordi simili mi impedirebbero solo di riprendere la mia vita.

Mi avvicino allo specchio dell’armadio. I capelli rossi sono sparati in ogni direzione, intorno all’orecchio ho una macchia di peluria marrone. Ci passo una mano sopra, sono piume. Folte e piccole, del mio colore naturale di capelli.

Sono più dell’ultima volta.

Non ho il tempo di tingermi i capelli solo per nasconderle, bisogna farle sparire…

Il cellulare squilla, lo recupero dal caricabatterie attaccato sotto la scrivania. Ronye. È viva! Un moto di felicità mi ribolle nel petto, clicco il tasto verde. «Rho!»

«Palo, ehi! Stai bene.» Il sollievo le riempie la voce. Per lei il tempo si è fermato a quando è stata pugnalata dal dardo di ghiaccio, chissà cosa ha pensato non appena si è svegliata. «Non dovrei romperti a quest’ora…»

«Macché, sono felice di sentirti!» Passo i polpastrelli tra le piume, potrei piazzarci sopra un cappello o una bandana, ma c’è rischio che nell’operazione di oggi li perda per strada e si scoprano le piume sotto. Vanno staccate. «Prima ci parlavamo quasi ogni giorno.»

Afferro la prima alla base e tiro, si stacca ma con una stilettata di dolore secco. È peggio di tirarsi i capelli. Trattengo il fiato.

«Vero.» Rho sospira. «Mi sembra di essermi persa pezzi negli ultimi giorni, stamattina mamma ha spalancato la camera e si è messa a piangere. Papà è stato quasi peggio.»

Strappo la seconda, strizzo le palpebre, un velo di lacrime mi appanna la vista. «Hai fatto preoccupare i tuoi?» La voce mi trema.

«Macché, non ho fatto proprio niente.»

Strappo. Una coppia di gocce bollenti mi scende giù dagli angoli degli occhi. Premo la manciata di piume sulla scrivania e prendo fiato. Non c’è un modo per rendere questo strazio meno doloroso?

Rho sospira. «Probabilmente abbiamo mangiato qualcosa di avariato e siamo tutti sfasati. Ho fatto anche un sogno assurdo.»

Mi passo il braccio sugli occhi. «Eww… Vuoi parlarne?»

Ronye trattiene il respiro per qualche secondo, lo lascia andare in un soffio stanco. «Facevamo bungee-jumping ma a un certo punto la corda a cui eravamo legate si è trasformata in un pezzo di rotaia. Io sono caduta e… c’era una mahou shoujo in rosso che stava precipitando con me su Yrff.»

Mahou Shoujo… Yelena? Una risata isterica mi risale la gola, la trattengo. Allo specchio il mio riflesso ha gli occhi che schizzano da una parte all’altra per il panico. «Ti sei rimessa a vedere cartoni su maghette a tema horror? Lo sai che fanno male all’anima.»

«Lo rinneghi tanto, ma al tempo Astral Paladins ti piacque.»

Ennesimo nome che non conosco. Sta diventando un vizio. Strappo un’altra piuma, il dolore vicino all’orecchio si infiamma. «Magari lo riguarderò, ti unisci?»

«Perché no? Magari settimana prossima.»

«O domani.»

Rho abbozza una risata sommessa. «O domani. Immagino che ti avrò attaccata alle chiappe finché non sarai tranquilla.»

«Mi conosci così bene.» Mi passo una mano tra i capelli. Spero di tutto cuore di non avere altre piume.

«Ora mi dici cosa preoccupa te?»

Rimango in silenzio, non so dove scappare dall’argomento.

Dal ricevitore arriva uno schiocco di dita insistente. «Ho capito, ne parleremo dal vivo. Sei al Granaio oggi?»

Non cambierà idea. Il mio riflesso piega le labbra in un sorriso tremante, sembra che gli basti un colpetto per scoppiare in lacrime. «Ti aspetto.»

Chiudo la chiamata e mi passo i polpastrelli sulla cute sensibile. Forse sarebbe stata una idea migliore tagliarle con le forbici. Quando mai che rifletto più di tre secondi sulle cose!

Getto le piume nel bidone della scrivania e esco da lì, c’è un osso per cani blu smangiucchiato in mezzo al corridoio.

Oh. Abbiamo un cane. Cute!

Come chiamato, un cosino dalla codina frullante sbuca dalla rampa di scale. Mi adocchia, appiattisce le orecchie contro la testa e alza il culetto, ringhia di gola.

Certo che devo essere un’orribile persona se mi odia a quel punto.





Il cellulare squilla per l’ennesima volta, è Seth che mi cerca per entrare nel Granaio. Butto l’occhio allo schermo mentre continuo la mia corsa lungo la via deserta, la casa sfondata dall’albero è in vista. Una macchina sportiva rosso fiammante è parcheggiata di fronte alle rovine.

Non saprei riconoscere il modello, tanto finché hanno quattro ruote sono tutte la stessa cosa.

Mi accarezzo la tasca carica di monetine, la mia piccola arma contro il male. Prima di venire qui sono passata al bar per farmi cambiare una banconota in monetine della taglia più piccola. Il barista non vedeva l’ora di strozzarmi, temo. Come il cane esagitato di stamattina e, sicuramente, la responsabile non appena si renderà conto che sono assente ingiustificata dal lavoro.

Yelena smonta dall’auto, sulle spalle porta la sua mantella bianca bordata d’oro. La prima volta che l’ho adocchiata non mi ero resa conto di quanti dettagli avesse. Indica con un braccio il sedile del guidatore. «Tuo turno.»

Mi fermo tre passi più indietro, mi mancano le parole. «Perché una così… visibile?»

Yelena si alza il cappuccio sopra la testa. «È veloce, sono fatte per essere comode da guidare. Oltretutto ha un impianto audio tale che potrebbe buttare giù il cielo.»

Le passo accanto e sporgo la testa dentro l’abitacolo, intorno al cambio ci sono lettere. P, D, N e R. «Cos’è questa roba?»

«Cambio automatico, è più semplice.»

«Non l’ho mai usato–»

«Imparerai in un attimo.»

Speriamo.

Yelena mi spinge dentro, mi siedo. La macchina è bassa, ma almeno è già regolata per le mie gambe. Soffoco il pensiero che questa cosa si accorcerebbe al primo scontro e rivolgo uno sguardo alla donna sorridente accanto a me.

Lei mi accarezza la spalla, incoraggiante. «Pronta?»

«Certo.»

Si sporge avanti e clicca il tasto della radio. Una carica nervosa di un paio di violini arriva dalle casse, è chiara e di qualità; sotto al ritmo incalzante il pianoforte ha una linea melodica a cui non avevo mai fatto caso.

Il cellulare torna a squillare.

Yelena batte una mano sulla carrozzeria. «Tu fai in modo che i tuoi amici si dirigano al porto, io intanto te lo attiro fuori.»

Stringo il volante di pelle. Mi tremano le mani. «E quando mi dai il segnale, alzo la musica al massimo e si dà il via all’inseguimento.»

«Ti butti in acqua, io lo purifico prima che coinvolga ogni peschereccio della zona. Ti salvo e lieto fine per tutti.»

Il cellulare smette di squillare.

Sospiro. «Come accendo questo inferno?»

Yelena schiocca le dita. Le chiavi si girano da sole e il motore prende vita. La levetta si sposta sulla lettera N. «Quando senti il segnale passala in D e vai a tavoletta.»

Le mostro il pollice alzato. Yelena gira i tacchi e si avvia verso la galleria, prendo il cellulare e prima di poter aprire le notifiche di sei chiamate senza risposta, riprende a squillare. Scorro il tasto verde.

«Cavolo Sterling! Dove ti trovi?»

«Hm… mi devo recare al porto a recuperare una cosa.»

«C’è anche una tua amica qui, una certa Roxan–»

«Ronye!» Si sente sullo sfondo.

Seth geme, frustrato. «Che cacchio ci fai là? Hai tu le chiavi per entrare!»

«Beh, venite a prendermi. Sarò vicino al capannone della Tiamat quando avrò finito.» Spengo la chiamata. Il cellulare riprende a squillare neanche dopo un paio di secondi, lo getto sul sedile del passeggero e giro la manopola della radio al massimo.

I violini mi vibrano nel petto. Aggiusto lo specchietto retrovisore. L’erba che circonda l’entrata della vecchia galleria è indisturbata, prendo fiato. Sfioro il pedale dell’acceleratore, ancora niente.

L’entrata della galleria esplode, le macerie rotolano su una massa enorme invisibile. Non vedo Yelena, solo l’erba che viene ricoperta di ghiaccio e divisa in due da qualcosa di enorme. Il vetro dei finestrini si riempie di brina.

Qualcosa mi atterra sopra il tettuccio dell’auto.

È Yelena.

«Vai! Vai!»

Piazzo la leva sulla D e pesto l’acceleratore, qualcosa di pesante piega l’albero centenario e salta. Una nebbia, simile all’effetto dell’afa estiva, si riflette nello specchietto retrovisore. La massa vorticante atterra sulla stradina e crea una scossa, la macchina rimbalza.

«Guarda davanti a te!»

L’urlo sopra la mia testa viene mangiato dal vento, mi sto avvicinando a rotta di collo a una curva. La prendo larga e giro di scatto, la macchina nemmeno minaccia di cappottarsi, la tenuta sulla strada è incredibile.

Concentrazione, ho rischiato davvero tanto di prenderla dritta ed entrare nel giardino di un povero sconosciuto neanche un attimo fa.

Una codata del mostro raccoglie tutta la rete metallica della casa, la lancia su un campo incolto. Il tachimetro sfiora i settanta, se faccio una curva stretta a una velocità simile moriamo prima di raggiungerlo il mare.

Una fila di case arroccate l’una a ridosso dell’altra si apre davanti a noi. «Vai troppo veloce, lo stiamo staccando!»

L’idea di rallentare mi fa tremare le braccia, ma lascio l’acceleratore. Ci sono poche persone a quest’ora intorno al porto, chi deve iniziare a lavorare ha già iniziato da tempo e i bagnanti non frequentano mai questa zona.

Centinaia di ragnatele di ghiaccio ricoprono i palazzi, la bestia pianta le zampe. Un’ondata di dardi ci arriva addosso, si infrange su una barriera a bande con un ruggito gutturale. La risale e ne definisce i contorni.

La musica segue un rapido crescendo. Dovrei svoltare alla– sbarro gli occhi. Non mi ricordo la strada.

«Che fa– che fai!? Ashley!»

Supero la zona a traffico limitato, la via prosegue dritta fino al canale navigabile che spezza in due la città. Oltre la distesa immensa d’acqua c’è un’altra striscia di terra piena di case. Se arrivo lì, dovrei trovare un posto da dove buttarmi in acqua.

Supero un paio di runner che costeggiano la strada, non rallento.

«Perché non hai svoltato!?» arriva dal tettuccio.

Barriere a cupola ricoprono le persone per strada, la brina ci cresce intorno. Non rallento. L’afa vibrante arriva loro vicino – trattengo il fiato – e passa oltre. Ho fatto un errore stupido ma sta filando tutto liscio.

Il mostro fa un balzo e si attacca al muro di un edificio, spuntoni ghiacciati colossali fioriscono sul muro. L’essere viene attraversato da una linea di colore, prima di sparire di nuovo.

La macchina di Seth sbuca da una stradina, Rho preme la faccia contro un finestrino. Inchiodo.

Yelena rotola giù dal tettuccio e incrina il parabrezza, cade a terra. Sposto la leva in N e un ruggito spezza il rumore martellante dei violini, la macchia d’afa si sfaccia addosso alla guardiana.

Urla.

Saremo neanche a duecento metri dal nostro obiettivo.

Clicco un pulsante a caso della radio. I violini tacciono, sostituiti da una chitarra pop che fa tremare i vetri, mi sento gli occhi della macchia d’afa addosso. Una vibrazione di colore l’attraversa.

La macchina di Seth sparisce in retromarcia dentro la viuzza dal quale era arrivata, basta questo per distrarlo. Tiro fuori una monetina dalla tasca e la spingo con il magnetismo, schizza come un proiettile. Sfonda il vetro e rimbalza contro le scaglie aguzze senza fare danno.

La figura colossale vibra di colore e torna semi-trasparente.

Tiro fuori un altro paio di monete, tento di spingerle contemporaneamente ma un dolore bruciante al petto mi toglie il fiato. Partono in direzioni opposte e si piantano all’interno dell’abitacolo. Una barriera a bande emerge dal terreno e scolla l’essere da Yelena, e lo capotta indietro. La donna emerge da terra con i capelli pesti di sangue e tossisce.

Metto in D, spingo l’acceleratore e vado a tavoletta contro la creatura. Neanche sfioro i trenta che il rinculo della botta mi fa sbattere contro il poggiatesta, non tolgo il piede dal pedale anche quando la carrozzeria si accartoccia.

Ci schiantiamo contro uno degli edifici congelati.

La lucertola gigante prende colore e lo mantiene, la testa si allunga verso il sedile del guidatore e morde la fiancata. Denti grigi affondano sopra la mia testa, mi getto verso il sedile del passeggero per evitarli.

Strappa la fiancata e la sputa alle sue spalle, tira un altro morso. Spingo le componenti metalliche per evitare che affondi, le zanne sfondano la carrozzeria ma il metallo gli preme contro il palato con abbastanza forza per rallentarlo.

Mi fa male il petto. Brucia.

Le zanne mi sfiorano la maglia, pungono la pelle.

L’essere si sfilaccia e sparisce nella solita stella di cristallo che Yelena brandisce, lascio cadere i frammenti di metallo strappato dall’auto a terra. Il dolore al petto si scioglie.

Abbiamo vinto.

E l’espressione di Yelena è assolutamente furiosa, ma me ne preoccuperò dopo.

Socchiudo gli occhi, sono sfinita. Lascio che il sonno mi trascini nell’incoscienza, sono stata brava. Difficoltà a guidare e dimenticare letteralmente la strada a parte sono stata brava.

Uno schiaffetto sulla guancia mi strappa al mio meritato riposo. Rho è a un passo dalla mia faccia, il viso distorto da una espressione terrorizzata. Sposto gli occhi di lato, Seth è rimasto diversi passi più indietro.

Sono vivi.

Entrambi.

«Palo! Rimani con me.»

Una mano fredda si poggia sul mio fianco, devo avere dei buchi nella maglia perché sento il suo palmo contro la pelle. La abbraccio e le poggio la mano dietro la nuca, le faccio sistemare la faccia contro l’incavo del mio collo. «Sei viva.»

«Tu non per molto, se non ti spieghi!»





[.note a margine]

Questa volta mi tocca ringraziare particolarmente la gente che on-screen e off-screen mi sta commentando i capitoli. Ascoltare le percezioni altrui aiuta davvero tanto a sbloccare idee, per esempio questo capitolo avrebbe fatto più fatica ad uscire se un amico non mi avesse detto

Quindi

Attireranno il mostro blastando musica a tutto volume vero?


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Capitolo 11
*** BUG REPORT #5577, mi sono sfuggite le cose di mano ***


X.
[Ashley Sterling]




Le manette mi grattano i polsi, incrocio le gambe sotto la panca e scocco uno sguardo a Yelena seduta accanto a me. Non si è tolta il cappuccio neanche quando è stata trascinata nel corridoio delle sale interrogatori, le labbra rosse e pochi ciuffi sono l’unica cosa che spunta sotto il tessuto bianco. È impeccabile, come se fosse appena uscita dalla pagina di qualche fumetto fantasy.

Io, invece, mi sento un relitto.

Mi alzo e stendo le braccia al soffitto, l’aria fresca del condizionatore si intrufola sotto la maglietta dallo squarcio sul fianco. Da quando mi hanno tirato fuori da quella dannata macchina, la stanchezza mi si è aggrappata addosso e non da cenno di voler andarsene.

Lascio cadere le mani al grembo, le manette tintinnano. Il peso di Rho contro il petto, il suo respiro tremolante sulla pelle, il tono irato… non li avrei potuti sentire se non avessi cambiato il futuro.

La porta in fondo si apre, il padre di Ronye arriva a passo rapido con la divisa abbottonata fino al collo. Non sembra essersi fermato un momento. Gli occhi scendono al mio fianco. «Sei proprio sicura di non avere ferite?»

Stendo le labbra in un sorriso di cortesia e annuisco. Sto bene, solo un po’ stanca. Perfino il dolore al petto è calato…

L’agente passa lo sguardo a Yelena. «E lei? Ho sentito che è volata giù da una macchina in corsa.»

Yelena prende un respiro. «Sono resistente…» si sente a malapena.

«Ho sentito che gli stupidi non si ammalano, non che scampano l’ospedale dopo idiozie simili.» Si gratta la fronte poco sotto l’attaccatura dei folti capelli biondicci, Rho ha i suoi stessi occhi azzurro chiaro, quasi grigio.

Yelena incassa, puntella i gomiti contro le gambe e preme le mani sulla faccia. «Sia lodata la Guardiana.» Sulle sue labbra suona sarcastico.

«Non tirare in mezzo divinità, la responsabilità di ‘sta cazzata è vostra..»

Cala un silenzio imbarazzante. Il polso mi pizzica, ci gratto l'unghia contro. Il dolore si infiamma, trattengo un lamento a denti stretti. La pelle si è arrossata parecchio.

La porta della sala interrogatori più vicina si apre, ne escono Ronye e Rivas. L’agente legge delle carte e attorciglia il ricciolo castano intorno all’indice. Padre e figlia si scambiano un lungo sguardo in silenzio.

Nemmeno un giorno fa lui aveva il viso scavato dalle preoccupazioni, oggi è di nuovo tutto come doveva essere. Il prezzo pagato non è stato nemmeno così pesante.

Rivas chiude il fascicolo, aggrotta le sopracciglia come un vecchio contadino davanti ai ragazzini fastidiosi.

Il padre di Rho fa un cenno al cappuccio depresso ancora seduto sulla panca. «Signorina, se vuoi seguire il mio collega…»

«Io?» Yelena stacca le mani dal viso. «Io davvero…?»

Forse si aspetta di essere dispensata, ma nessuno le risponde. Si alza e segue Rivas come un condannato al patibolo, la porta della sala interrogatori sbatte. Quel tizio è nervosissimo, le sta per arrivare addosso la strigliata del secolo.

Padre sospira. «Potete usare la soft room.»

Rho rilassa le spalle. «Grazie.» Mi prende sottobraccio e strattona, mi sbilancio in avanti. «Dobbiamo parlare.» Mi trascina senza lasciarmi possibilità di protestare verso la porta più vicina alle scale, la spalanca.

Il familiare tappeto a rettangoli alternati tappezza il pavimento. C’è un quadro con una rana snella nascosta tra i fili d’erba, è buffo e strano da vedere in una centrale ma questa città non è priva di bizzarrie.

Rho mi lascia andare, ha tutti i muscoli del viso contratti dal nervoso. «Mettiti comoda.»

«Devi sembrare così tanto poliziotto cattivo mentre lo dici?» Raggiungo la poltroncina su cui mi sono seduta l’ultima volta e mi lascio cadere. Quella ragazza non accenna a sorridere, mi gratto la guancia in imbarazzo. «Già che essere ammanettata fa strano…»

Rho chiude la porta e ci poggia la schiena contro. Nulla da fare, quegli occhi potrebbero congelarmi sul posto. «Ash, cosa sta succedendo?»

Eccola, la domanda che non voglio sentire. «Che giornata pazzesca, eh?»

Assottiglia gli occhi, non è contenta. «Cos’era quel mostro?»

«Vuoi che tiri a indovinare?»

Rho si avvicina e mi si siede accanto, non parla. Ha imparato dal padre che rimanere in silenzio spinge gli interlocutori a continuare a cercare di riempirlo. Ha sempre usato quella tecnica anche su di me.

Ma mi fa sentire a disagio rimanere così. Mi schiarisco la voce. «Davvero, non ne ho idea. Se fossimo in un telefilm potrei dire esperimento governativo impazzito.» Mi mordicchio la guancia. «Scommetto che se cerchiamo sui forum dei complottisti, troviamo qualcosa su questa… lucertola camaleonte dei ghiacci.»

Rimane in silenzio a guardarmi storto. Ce l’ho accanto, ma la sento lontanissima. Più lontana di quando è diventata una stella.

«Rho…» esalo. «Dai, pensi che l’abbia creata io?»

Ronye batte le mani sulle cosce e lascia cadere la schiena contro il divanetto. «No, certo. Ma capisci che c’è qualcosa che non va?» Si tocca il petto. «Quel coso che ti inseguiva, l’ho già vista una volta. Nell’incubo di cui ti ho parlato. Mentre si stava mangiando quel tuo collega.»

Serro le labbra. Ce l’ho sulla punta della lingua il suo nome. «Seth?»

«Lui.» Inclina la testa per guardarmi. «Come non è normale beccarti a guidare un’auto da novantamila krone mentre ti scorrazzi sul tettuccio la mahou shoujo dei miei incubi.»

Incasso la testa tra le spalle. «È stato divertente?»

«Ash, che ne dici di spiegarti?» Non sembra arrabbiata, solo delusa. «Sono morte delle persone oggi, il tuo essere evasiva inizia a darmi sui nervi.»

Morte, me lo aspettavo ma speravo che non fosse così. Sfrego la punta delle scarpe sul tappeto. Preferirei sentirla urlare o sgridarmi, questi silenzi e toni lapidari mi logorano. Tornerò indietro, sistemerò anche quello e poi sarà davvero tutto in ordine.

Pensiamo prima alle informazioni utili. «Dov’erano queste persone?»

Rho aggrotta le sopracciglia. «Dov’erano? Di tutto mi vuoi chiedere questo?»

Annuisco. «Mi serve per la prossima volt–»

«La guardiana non voglia!» sbotta. «Se un altro mostro del genere apparisse, sarebbe un disastro.»

«Ho bisogno di saperlo, per favore.» Intreccio le dita. «Non posso spiegarti i dettagli, ma posso fare qualcosa. Tornare indietro.»

Le trema il labbro, si passa una mano tra i capelli scuri e si rimette composta di botto. Gli occhi azzurri sono di ghiaccio. Non mi piace quel colore.

Insisto. «Senti con Yelena abbiamo evitato già che una persona destinata a morire ci rimanesse secca.»

«E ne avete fatte fuori altre quindici?»

Quindici sono davvero tante. Quando è successo? Se mi fossi ricordata quale strada imboccare, nessuno sarebbe morto. Stringo i denti. Mi stamperò in testa ogni informazione necessaria del piano e non passeremo più per luoghi frequentati.

Rho mi mette la mano sulla spalla. «Ti rendi conto che sembri uscita di senno?»

«E allora?» Lei respira solo perché sono tornata indietro a rimediare, Seth pure. Varrà anche per gli altri. «Sono sanissima.»

«Se… se dovevi salvare qualcuno, perché non mi hai chiesto aiuto?»

«Eh?»

Si stacca. «Ti abbiamo chiamato e chiamato, ‘sta mattina ci siamo parlate e non hai neanche provato ad aprire l’argomento. Hai detto che il mio incubo era ew ma tu sapevi che era realtà.»

Mi faccio indietro anch’io. «Perché avrei dovuto tirarti in mezzo a cose così pericolose? L’hai vista quell’anomalia?»

Mi tocca il fianco, lì dove la maglia è bucata. «L’ho vista e non capisco perché devi fare sempre tutto da sola!»

«Non sono sola, c’è Yelena.»

«Ti rendi conto che sei andata da una sconosciuta, più che dalla tua migliore amica?»

Serro le labbra, non è che non voglio il tuo aiuto, è che non voglio doverti spiegare come sei morta. Tu, Seth… Stringo i pugni. Ha ragione in fondo, sono codarda, ma sono felice che con il prossimo reset non ricorderà nulla di questa discussione.

«Mettiamo che ci sia davvero la possibilità di tornare indietro come dici, la prossima volta devi chiedermi aiuto.» Mi prende le guance e mi fissa negli occhi. «Ash, promettimelo.»

È seria, non potrei farle torto peggiore che mentirle in questo momento… eppure, che amica sarei se la lasciassi rischiare la vita così inutilmente? Mi poggio al suo palmo, ha le mani che odorano di caffè.

È la prima volta che me ne accorgo?

Il punto è che è calda, è viva. Voglio che rimanga così.

Per questo non la coinvolgerò.

«Te lo prometto,» mento.

Il respiro di Ronye si blocca, toglie le mani. «…non riesci proprio ad essere onesta con me.» Un sorriso amaro le taglia le labbra, sparisce come se non ci fosse mai stato.

Spalanco gli occhi e distolgo lo sguardo, i rettangoli alternati del tappeto sono parecchio più interessanti rispetto alla prospettiva di guardarla in faccia.

«Palo, tu hai un modo per ricordare tutto, anche se torni indietro. Quale?»

Premo i pugni chiusi contro la fronte. «Io ricordo perché sono quella a tornare indietro, tu non hai modo.»

«Non è vero.»

Rimango zitta, Rho si alza e gira intorno al tavolino di vetro.

«Non sei l'unica a ricordare, magari sei l’unica che ricorda perfettamente, ma io ricordo frammenti… anche papà e mamma ricordano, anche se cose diverse.»

Si ferma davanti al quadro della ranocchia snella.

«Loro pensavano fossi sparita.» Si tocca il petto. «Sai… è successo una cosa buffa oggi. Seth mi ha detto che gli sembro il tipo di persona che fa cose idiote senza pensare, e in qualche modo sopravvive.»

Tento di sorridere. «Non ha torto. Fai spesso cose sceme.»

«È un parere interessante da avere senza conoscermi, di solito sembro corrucciata e nerd.» Fa le virgolette con le dita. Trasale, mi punta l’indice addosso. «Tu hai le gambe lunghe. Puoi scappare più velocemente di me.»

Mi drizzo. Ho già sentito questa frase mentre leggevo i suoi ricordi. «Rho, che senso ha?»

«Eravamo nella galleria, stavamo scappando… e c’era quella donna!» Si morde il labbro, tasta il petto. «Sono io quella che è morta! Ecco perché non mi vuoi in mezzo, hai fatto questa cretinata per salvare me.»

«Non stai sopravvalutando la tua importanza?»

«E tu la tua capacità di mentire!» Si è convinta di quel fatto, e non so come farle cambiare idea. Si blocca e lancia un’occhiata verso la telecamera della sala interrogatori, si sarà appena ricordata che queste conversazioni vengono registrate dalla polizia. «Cosa hanno in comune tutti quei ricordi…» borbotta a mezza voce, non mi sta più considerando.

E io ho la dolorosa consapevolezza che capirà come ricordare prima che Yelena resetti la timeline.





Rivas tiene le braccia incrociate. Il tavolo è ricoperto di una distesa di foto della zona a traffico limitato nel quale ci siamo infilate. Vetri crepati, asfalto segnato da grosse impronte, e il fiore di ghiaccio che occupa gran parte del muro del palazzo. «Da dove vogliamo iniziare?»

Ne ha un paio coperte vicino a sé.

Pensavo che mi sarei sentita vittoriosa a trovarmelo di fronte dopo aver salvato Rho, eppure mi sento solo persa.

«Facciamo che parlo io.» Una foto della macchina dilaniata viene spinta davanti a me. «Tu e Yelena vi siete gettate in una corsa pazza giù per una strada principale, inseguite da un mostro gigante. Prima domanda, cos’era quella creatura?»

«Non lo so.»

«Perché siete venute in città?»

Le parole mi sfuggono. «Non stavo ragionando…»

Rivas mi fissa, impaziente. «Penso che queste ti smuoveranno.» Gira la prima foto che tiene accanto a sé, uno scatto dal basso del fiore di ghiaccio sbocciato nel muro. Gran parte delle finestre circostanti sono state sfondate da grosse radici cristalline.

Gira la seconda, uno scatto di una stanza ricoperta di spini azzurri. Hanno spaccato i muri, rotto mobili e sventrato letti. Gira la terza, una macchia rossa gocciola giù da un vetro di una doccia crivellato, oltre intravedo un’ombra umanoid– mi rifiuto di guardare, scosto gli occhi e lo stomaco si chiude.

Rivas si appoggia allo schienale della sedia.

«Quindici persone sono finite in questo stato, perché?»





[.note a margine]

Sarò sincera, scrivere di Yelena sbeffeggiata dalle sue creature è un passatempo estremamente funny.

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Capitolo 12
*** BUG REPORT #5577, quel branco di sciocchi mi manca ***


XI.
[Ashley Sterling]


Nella sala interrogatori aleggia ancora la freschezza del profumo di Rivas. È gradevole, l’unica cosa che quell’uomo non sa essere.

Mi appoggio allo schienale e lascio ricadere le braccia stanche sul tavolo, le allontano quel poco che le manette mi consentono. Il metallo tintinna. Sotto i bracciali la pelle è irritata, e continuerà a esserlo se non mi do una calmata e smetto di muovermi. Mi mordicchio il labbro, sono insofferente a questa inattività.

Dovrei essere là fuori a fare qualcosa.

Non c’è un orologio per darmi una vaga idea dello scorrere del tempo, non arrivano suoni dal corridoio. Mi sembra di essere in una dimensione parallela, ma è già giorni che vivo slegata dal tempo si può dire. Forse, restare qui dentro da sola o essere là fuori ad affrontare lo sguardo severo di Rho non mi farebbe troppa differenza.

Un sorriso spontaneo mi piega gli angoli della bocca. Non prendiamo in giro nessuno, in questo momento non rischio affatto che Ronye mi guardi in faccia.

«Mi conviene provare a liberarmi ormai che sono qui, hm.» Tanto le manette sono metalliche, dovrei essere in grado di far scorrere i meccanismi senza bisogno di chiavi. Facciamo scattare questa serratura!

Non ho idea di come immaginarmi l’interno, perciò spingo ogni singolo elemento in una direzione. Non accenna a scattare. Sto sbagliando il verso? Premo in direzione opposta, crepitii elettrici e il gemito del metallo riempiono il silenzio. Nulla cede.

Mi mordo l’interno della guancia, perché sto sviluppando poteri anomali se non sono nemmeno in grado di usarli?

Indirizzo la spinta elettromagnetica a martello, il metallo geme. Si piega in avanti e gratta la pelle, il dolore al petto di questa mattina si infiamma. Spezza la mia concentrazione, non appena smetto di applicare forza il male si allenta. Avevo il sospetto che provenisse direttamente dall’einheri, ma saperlo è peggio. Nessuna delle mutazioni mi è utile.

Tiro un soffio dolorante e alzo le braccia, le sbatto contro il tavolo. I bracciali nelle manette si piantano nella pelle e mi tirano una stilettata, soffoco un gemito frustrato.

Ho quindici persone da salvare, che sono morte perché ho preso la strada sbagliata.

La porta della sala interrogatori cigola e si spalanca, Yelena ammantata di bianco entra di soppiatto. A lei le manette le han tolte, vorrei chiedere in quale mondo parallelo io sarei più pericolosa di quella là.

Chiude la porta e si mette l’indice sulle labbra, scorre la mano sulla serratura che scatta senza difficoltà. Questo è inferire.

«Quel Rivas…» attacca, «è difficile da digerire.» Si toglie il cappuccio, i lunghi capelli rossi sbiadiscono a un rosa pastello e sfuggono all’elastico, ricadono sulle spalle e le incorniciano un viso ora paffuto, da ventenne.

Ha perso in un istante dieci anni di vita.

Si avvolge nel mantello, quando lo riapre sfoggia un paio di jeans, maglietta bianca e un cardigan azzurro legato sotto al seno. Le stelle nelle sue iridi frullano; Rho ha ragione, questa è una mahou shoujo.

«Quindi, spiegami che ti è successo oggi.»

Mi bagno le labbra. «Sei uscita da Astral Paladins–»

Le orecchie di Yelena, a malapena nascoste dai folti ciuffi pastello, sfumano al rosso violento. «Non era esattamente quello l’obiettivo, ma devo cambiare vibe se non voglio essere ammanettata di nuovo. Il mio orgoglio non reggerebbe un’onta simile.»

«È bello fragile se cede per così poco.» Mostro i polsi.

Si mette una mano sotto il mento, mi squadra da capo a piede. «Sai che così mi piaci? Avrei dovuto pensarci io a legarti…»

«Questa frase sarebbe così equivoca detta dalla tua vecchia faccia.» Mi metto una gamba sotto le chiappe. «Dovresti avere un’occhio di riguardo per le tue creature però…»

Fa una risata sarcastica. «Vi ho sempre negli occhi.»

«…letteralmente?»

«Ay. Scusa, non ne abbiamo parlato neanche troppo fa?» Si punta gli indici contro gli occhi e allunga il collo per fissarmi. «È presto per dimenticarsene.»

«Ah… Ecco, ho altre priorità ora se devo essere onesta.» Nemmeno io sono convinta di quello che dico.

Yelena aggrotta le sopracciglia. Ha un aspetto infantile, ma la maniera con cui irrigidisce le spalle e serra le labbra mi ricorda il nostro primo incontro sul grattacielo. «Non prendere sottogamba la cosa.» Si avvicina, è ancora più bassa di prima ma incasso la testa tra le spalle e mi faccio più piccola lo stesso. Mi passa le dita tra i capelli, gentile come il tocco di una madre.

Trattengo il respiro, spero di non aver dimenticato delle piume.

Controlla ciocca per ciocca, sfrega i polpastrelli contro la nuca, dovrebbe rilassarmi ma mi sento l’ansia stringermi il petto. Scende intorno alle orecchie, soffia. «Hai dell’odore di anomalia addosso. Pensavo fosse rimasto per colpa dell’altra, ma potrebbe venire da te.»

Tiro indietro il busto. «Puzzo!?»

«Un casino, ma non è quello il punto.» Si mette le mani sui fianchi. «Se inizi a scordare informazioni è indice che il tuo einheri è fratturato, e considerato che sei già tornata indietro tre volte non lo escluderei…»

«Sono solo tre.»

Mi tira un colpetto sul naso. «Sono tre di troppo!»

Premo la lingua contro il palato, questa donna si distrae non appena faccio pressione sui sensi di colpa. «Non è niente di grave, mi sarò fatta prendere dai nervi. Mi vedo ancora sull’auto e il coso che morde la fiancata–» Lascio cadere la frase.

Yelena ha arricciato il naso, l’espressione severa tentenna.

Ottimo, si è distratta. «Dovremo capire come risolverla, non so se sarei in grado di guidare di nuovo senza fare errori…»

Scuote la testa, alza la mano. Il palmo si accende di azzurro e zampilla scintille fredde. «Per prima cosa devo vedere in che stato sei.»

Il cuore mi si squarcia in due, mi si annebbiano gli occhi. Agguanto il petto e stringo la maglietta. Gemo, un piagnucolio penoso mi risale la gola. Le punte di einheri mi sgorgano dal petto, sono torbide, segnate di viola.

«Scusa.» Lo copro, la voce mi esce a stento. «Per- per favore. Saltiamo. Abbiamo problemi ben più gravi…» La nausea mi ribolle nello stomaco.

«La salute della tua anima non vale come problema importante?»

Detta così mi fa sentire stupida. Affondo le dita nel cardigan soffice, lacrime mi pizzicano gli occhi. La voce mi esce spezzata e sottile.

Yelena mi tende la mano. «Ash, non ho intenzione di smettere finché non ho visto in che stato sei e ho corretto gli errori di troppo. Se mi diventi un’anomalia, tutti questi sforzi per salvare Ronye saranno inutili.»

E lo capisco, ma– Le tiro il cardigan. Ho il cuore in fiamme, sto venendo spezzata dall’interno.

«Togli quella mano.»

Premo sull’einheri, torna dentro. «N… no.»

Chiude il pugno che si spegne, torno a respirare. Le punte affondano nel petto, del dolore rimane una pulsazione distante. Yelena trascina la sedia di Rivas accanto alla mia e ci si siede. «Stai sperimentando controindicazioni, fammene un esempio.»

«Mi stai chiedendo un esempio di cosa ho dimenticato?»

Tamburella le dita sul tavolo e gonfia le guance, in una espressione infantile. Il pericolo di perdere il controllo della situazione è almeno un passo più distante. «Sei e rimani una little shit, ma fammi aggiustare quel che posso.»

Le fermo. «Se mi aggiusti, rischio di perdere i ricordi di questi loop?»

Mugugna e annuisce. «Meglio quello che avere un altro demone in giro per la città.»

«…puoi aspettare?»

Scuote la testa, gli occhi color galassia si assottigliano. Mi fissa, ma pare guardare un posto lontano.

Insisto. «Ho sentito che ci sono state altre quindici vittime, non penso che sia giusto fare finta di nulla.»

Yelena torna nella sala interrogatori con me, si china in avanti con le dita intrecciate poggiate sotto il mento. «Non è tua responsabilità salvare tutti, soprattutto a tuo discapito. Sono io la guardiana dell’umanità, sai.»

Scelgo le parole con cura. «Non vorrei vivere con il rimpianto di essere rimasta indifferente.»

«Non lo ricorderesti.»

Inspiro, le labbra mi tremano. «Ti prego.»

Mi sposta la frangia dagli occhi. «In questa cosa assomigli fin troppo a Cael, sai?» Mi accarezza, gentile e delicata ma non posso dimenticare che sacrifica gli umani per fare fuori queste anomalie normalmente. Nulla le impedirebbe di tornare a farlo dopo aver fallito questa operazione con me. «Mi fai salire vecchio sale che pensavo di aver digerito.»

Assomigliare allo scudo rosso… Non ho la sua decisione né la sua forza per continuare a combattere anche da sola. Ma se lo imito abbastanza, forse potrò rubare almeno un frammento della sua leggenda.

Si stacca. «Possiamo continuare a resettare, ma devo controllare almeno in che stato sei, per capire quanto ci possiamo permettere.»

Esito, ma sposto le mani dal petto, Yelena tende la sua che si accende di azzurro. Lascio l’einheri striato di viola affiorare.

Ogni singolo senso si spegne.





Dischiudo gli occhi, il vento mi spazza la guancia.

Ho le gambe malferme e il mal di stomaco mi scuote, incespico in avanti. Yelena si para davanti a me e mi impedisce di sfacciarmi a terra, il panorama cittadino è illuminato dalla luce del pomeriggio. Siamo in cima al palazzo dove mi porta ogni volta per vedere tutto dall’alto. «Ti ho portato fuori già che c’eravamo.»

«Siamo evase?» gli acidi ribolliscono e mi salgono in gola, spingo Yelena e mi butto in ginocchio di lato. Rimetto l’anima, acqua e saliva. Un altro conato mi scuote il petto che si espande fino a fare male, vomito un liquido giallastro viscoso.

Si spande, tiro indietro le mani per non toccarlo.

Che schifo, ho l’amaro appiccicato alla lingua.

Yelena mi tira indietro la fronte e mormora qualcosa che, credo, dovrebbe rassicurarmi. Non la sento nemmeno. Il terzo conato mi scuote, sputo una manciata di schifo e nulla più, è come se il mio corpo stesse cercando di espellere un veleno che non c’è.

Ansimo.

«Cavolo, non hai mangiato oggi?»

«Non lo faccio mai.»

«Hai una mezza abitudine sana?»

«Excuse me, il mio stomaco stava bene fino a un attimo fa.» Circa, ma di sicuro non ero in questo stato prima di essere analizzata da lei. «Ti do la colpa.»

Mi accarezza la schiena. «Ash, ho fatto la diagnostica. Non sei in una bella situazione.»

Anche uno scemo capirebbe che non sto bene in questo momento.

«Il tuo einheri, non ho idea come, ha già accumulato sedici errori. L’anomalia con cui ci siamo scontrati aveva solo una cinquantina di errori quando è degenerata a quel punto.»

«Si spiega perché mi stanno crescendo piume addosso.»

«Ti stanno crescendo piume!?» Le carezze diventano un paio di schiaffi ben assestati, rischio di sbilanciarmi contro la pozza maleodorante. Yelena continua imperterrita. «Disgraziata, irresponsabile, piaga–!»

Un altro conato mi scuote, un filo di roba gialla mi cola dalle labbra. Mi viene il mal di stomaco a guardarla, passo il dorso della mano sulle labbra. «Pietà, pietà.»

Tentenna e fa una smorfia. Con uno schiocco di dita, fa sparire il vomito da sotto i nostri nasi. È utile nei momenti meno rilevanti ma ogni tanto lo è, sospiro. Mi porge un fazzolettino morbido, mi tampono la bocca.

Un bicchiere d’acqua, una mentina…

Alzo gli occhi, sta continuando a far apparire roba dal nulla per lo stomaco e disporla sul pavimento.

«La smetti?»

«Queste sono per me se mi fai vedere di nuovo una cosa simile.»

«Lasci divorare la gente da mostri dimensionali e ti dà fastidio quello?»

«Yup.» Yelena si siede e lancia uno sguardo al cielo terso, il viso infantile da bambina stona con quel suo sguardo distante. La brezza le arruffa i capelli rosa e mi scocca un ghigno, che non vela la stanchezza negli occhi. «Non sono immune al disgusto sai? Ho smesso di stringere legami con gli umani per quello. Non voglio vedere mai più qualcuno nello stato di Ardens.»

«Ardens?» Corrugo le sopracciglia. «Lo schermitore che si è giocato la spada a dadi?»

Yelena scoppia a ridere.

Non era la reazione che mi aspettavo. «Che c’è?»

«La storia è inclemente con le persone…» Si abbraccia le gambe, c’è gentilezza nella sua voce e nostalgia. È differente rispetto a quando parla di Cael, chiude gli occhi. «E gli esseri umani sono sempre stati tanto bravi a creare armi troppo efficaci per uccidere, quanto a partorire idioti pronti a dilaniarsi per gli altri.»

Rimango in silenzio.

Abbozza una risata a disagio. «Ho incontrato parecchi aspiranti eroi, alcuni capaci, altri che non avevano le spalle abbastanza forti per farlo. In entrambi i casi, quando erano soli finivano male. C’è solo chi lo faceva prima di altri.»

«E quindi hai iniziato ad essere spietata e logica per non soffrire…»

«Ci ho provato ad esserlo. L’unico problema è che il creatore mi ha scelto come guardiana proprio perché son tutto tranne che logica.» Si passa una mano tra i capelli, un sorriso tremulo le si allarga sul viso. «Altrimenti non mi sarei fatta bullizzare con i sensi di colpa da una ragazzina come te, alla mia veneranda età poi!»

Prendo il bicchiere d’acqua abbandonato e lo porto alle labbra. «Sì, sei davvero bullizzabile.»

«Con questo volume di crescita dei bug che stai sperimentando… non possiamo permetterci di fare errori. Non potevamo prima ma ora hai un ultimatum stretto. Se diventi un’anomalia, per te non ci sarà un tornare da Ronye e la tua quotidianità. Dovrò curarti, ficcarti in cielo e sperare che la tua prossima vita non patisca conseguenze delle tue idiozie assurde.»

Da qui non si vede il palazzo danneggiato dal ghiaccio. La città sembra piccolissima, la attraverso a piedi già abitualmente, in macchina non dovrebbe essere più difficile. Mando giù l’acqua per sciacquare il sapore disgustoso. «Possiamo farcela.»

«Lo spero. Sei la prima persona a cui permetto di tornare indietro con me.» Yelena stende avanti le gambe. «E ti dico, non ho mai avuto particolare stima delle mie capacità, ma sono particolarmente scoraggiata questa volta.»

Piego la testa di lato. «Non dovresti rassicurarmi?»

«Almeno una di noi due deve essere realista. Per quanto io voglia un finale dove non muore nessuno, so che non è facile da ottenere.» Ricambia il mio sguardo, sullo sfondo del cielo sconfinato mi sento ancora una volta separata dal mondo. «Ash, perché fai tutto questo? Ronye Brionac ormai è salva.»

Lo scudo rosso non si è accontentato di salvare chi amava. «Non è così che si comportano le brave persone, credo.»

Yelena poggia accanto alla mia coscia un paio di tramezzini incelofanati, una bottiglia di succo d’arancia. Si sarà ricordata che non bevo alcol. «Sai, tutto questo mi preoccuperebbe meno se avessi la certezza che stai facendo qualcosa in cui credi più che un dovere.»

Ne scarto uno, ridacchio. «Ehi io fingo bene di tenere alle persone.»

«Aspetta, fingi!?»

«Scherzo, scherzo.» Do un morso: cipolla e una salsa saporita che non conosco. «E visto che ci tengo a te devo ricordarti che le sale interrogatorio sono tenute sotto osservazione con telecamere. Rivas ora sa che hai un’altra faccia e sei una mutaforma da scifi scrauso.»

Si poggia la mano sulla faccia. La passa tra i capelli che sfumano a un biondo platino, quasi bianco. Diventano corti e arruffati, da maschiaccio. Inarca la schiena. «Bene, mangia che poi ti faccio rifare la strada dalla galleria al porto finché non ti rimane impressa nell’anima.»

Le sorrido.





[.note a margine]

Ascoltare Moon Halo, fingerstyle guitar, per avere la full experience di Yelena si sente vecchia e di aver imparato molto dai suoi protetti. Lei mi incarna totalmente la vibe da Turned into a moon that always tells the warmth and brightness of the sun.

idk man, l’idea di un dio gentile è cool

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Capitolo 13
*** BUG REPORT #5578, da leggere tassativamente non appena avrò finito con Sterling ***


XII.
[Ashley Sterling]


Lazerin | BUG RILEVATI | Broken einheri, impossibile risalire al codice identificativo | EINHERI Ashley Sterling (32 errori) | EINHERI Ronye Brionac (1 errore) | Tessuto sfilacciato | Riparazioni non completate



Stringo pollice e indice sulla piuma, dovrebbe essere l’ultima. Lo spero almeno, la pelle della testa è ipersensibile e non so se reggerei di doverne strappare un’altra.

Il mio riflesso allo specchio ha gli occhi arrossati e le guance striate di lacrime, le sorrido per farle – e farmi – coraggio. Strappo, il dolore si diffonde su tutta la cute come una pulsazione sorda, ingoio il gemito tremulo che minaccia di sfuggirmi.

Butto l’ultima piuma sulla scrivania, insieme alle altre. Cade sul display illuminato del cellulare lì accanto, copre il nome Ronye. L’icona verde mi chiede di rispondere, invece clicco il tasto per bloccare lo schermo e sistemo il mucchietto castano-dorato.

Ci potrei riempire un cuscino per cani, un cuscino troppo piccolo rispetto a quello di cui avrei bisogno. Che pensiero strano, mi copro la bocca con il pugno e rido tra me. La piccola piuma che sporge dal polso oscilla a ogni movimento.

Sarà la settimana passata a organizzarmi per Yelena, ma non mi preoccupa. Oggi posso sconfiggere qualsiasi cosa.

Arruffo i capelli e mi schiaccio le guance rosate. Inclino la testa, non sembra esserci nessuna altra mutazione visibile. Trascino con il piede il bidone della scrivania avanti e ci butto dentro le piume, strappo quella al polso.

Pizzica, ma quasi non l’ho sentita. Soffio, la lancio con le altre e prendo il cellulare. «Direi che dopo questa sono sveglia.»

Il display si riaccende, segnala le cinque e mezza del mattino e tre chiamate senza risposta da Rho. Fortuna che l’ho messo in silenzioso, altrimenti a quest’ora tutta casa saprebbe che qualcosa non va.

Lo caccio in tasca ed esco. Il corridoio è largo, muri spugnati di arancione decorati dall’occasionale mobiletto con cianfrusaglie utili solo a prendere polvere. Mi ricorda film ambientati cinquant’anni fa, ma non c’è niente di veramente mio nel mobilio.

Non ricordo neanche più com’è casa, a quanto pare. Accarezzo la parete ruvida, sotto il mobiletto a ridosso del muro di fondo spunta un osso per cani mangiucchiato. Ora mi spiego il pensiero sul cuscino, abbiamo uno scricciolo per casa. Non so il nome di quella creaturina ma già mi manca!

La porta lì vicino si spalanca e lo copre. Mamma sciabatta fuori da quello che deve essere il bagno con un asciugamano sulle spalle e i capelli gocciolanti, indossa il solito pigiama liso che avrebbe dovuto buttare da almeno due anni. «Ci voleva una doccia con questi caldi.» Incontro il suo sguardo, si ammutolisce. «Già sveglia? Avremo una bufera oggi!»

Tante grazie per la fiducia.

Un cagnetto dalla codina snella sbuca dalle scale, si blocca sul posto e abbassa le orecchie. Ringhia. Mi scatta addosso con le zanne spiegate, sta mirando alle mie caviglie! Corro dietro a mamma, che si mette le mani sui fianchi e grida. «Edgar!»

Edgar inchioda, scivola sul parquet e sfaccia contro il battiscopa. Guaisce. La codina non smette di frullare un secondo. Ripensandoci, non mi manca così tanto.

Una paio di gocce picchiettano il pavimento, mamma mi stringe la mano. «Dai, visto che è presto facciamo colazione tutti e quattro insieme, tuo padre è appena tornato.»

Ho effettivamente bisogno di lei per trovare l’uscita. Le passo il pollice sul dorso della mano. «Massì.»

Mi conduce giù per le scale di legno. Una collezione di foto di noi tre ci accompagna: ero una ragazzina castana con i capelli perennemente arruffati. C’è un diploma di solfeggio di Hibiscus Malvaceae; una targa placcata di metallo ad Arthur Sterling, l’incisione rappresenta un pesce che schizza dall’acqua.

Seguiamo un lungo corridoio. C’è perfino una foto di Ronye ed io insieme ad altre tre ragazze strette su un masso troppo piccolo per tenerci tutte, risalirà al periodo del liceo. Anche al tempo svettavo sopra le altre di una testa buona.

Non le conosco e se mi sforzo non mi viene in mente di loro, come se non avessero avuto una minima rilevanza nella mia vita. Non mi mancano; mi mordo il labbro.

Mamma si blocca sulla soglia di una stanza, un sorriso sghembo accentua le fossette delle guance. «Stai facendo reminiscenze?»

«Un po’.»

La seguo. Papà è al tavolo della cucina, alle sue spalle c’è un piano cottura dall’aria rustica e un frigorifero grigio metallizzato. Affonda la forchetta in un contenitore da microonde azzurro, arrotola una generosa boccata di spaghetti allo scoglio e se li caccia in bocca. Mugugna un commento incomprensibile, probabilmente sull’orario a cui mi sono svegliata.

Non so come spiegargli che sono l’unica del mio circolo di conoscenze che è su prima delle undici.

Mamma va al piano cottura e spalanca una cabinetta, ne tira giù due ciotoline di plastica. Non ho il coraggio di toccare nulla, rischio di ostentare di non aver idea dove mi trovo. Trascino indietro la sedia davanti a papà e mi metto comoda. «Sento il giudizio da lontano, oh nobile padre.»

Pa’ scuote la testa, manda giù un gamberetto. «Non potrei mai.» Si alza gli occhiali e stropiccia un occhio, gli calano le palpebre per la stanchezza. Con la sua giacchetta anonima e quel fisico sottile, non noto alcun dettaglio che mi riveli che lavoro fa. Mamma mette sul tavolo una cesta di mele, recupera dei cereali e li aggiunge al mucchio. Poggia dell’olio, pane e sale… Neanche lei sa cosa mangio la mattina, probabilmente.

Il pensiero mi strappa un sorriso amaro. I due davanti a me sono sconosciuti, ci tengo a loro ma più mi sforzo di pensare a cosa ci collega, meno emerge. Ho paura di rendermi conto quanto ho perso.

Pesco una mela, mamma mi porge il coltello prima che possa aprire bocca. «Grazie.»

«E di che?»

Non lo so.

Incido la mela e la divido in quattro fettine, mamma riempie un cucchiaio d’olio e lo manda giù a occhi stretti. Papà distoglie lo sguardo e rabbrividisce, si spazzola i suoi spaghetti in silenzio.

Davvero nessuno di loro vuole parlare? Accendete la tv, un qualsiasi sito di streaming, mi va bene persino una radio! Mamma posa il cucchiaio e si tampona i capelli bagnati. Nulla da fare, mi vogliono tenere rinchiusa in questa situazione.

Taglio la mela in tocchetti più piccoli e li lascio cadere in una delle ciotoline di plastica. «Ma’, ci sono testi sugli schermitori legati alla guardiana? Magari Ardens?»

«Ardens?»

Non ha presente il nome, non dovrei sorprendermi. È stupido non fare questa domanda a Yelena, ma ho l’impressione che pigerei un tasto dolente.

«È uno degli schermitori di Yrff che ha combattuto durante la Fioritura degli Aster.»

«Ti serve per la tesi?»

Papà fa rimbalzare gli occhi tra me e lei, ma non ci prova neanche a entrare nella conversazione. Come ha fatto una appassionata di storia come mamma a mettersi con uno così fissato nel presente?

Verso l’olio sulla mela, ci do una leggera spazzolata di sale. «Ero solo curiosa, ho sentito diverse cose particolari su di lui recentemente. Tipo che forse non si è davvero giocato la spada a dadi? E che magari la guardiana c’entrasse qualcosa?»

Mamma alza le spalle. «Di leggende sui servitori della guardiana ce ne sono a bizzeffe, credo che storicamente non ci sia una divinità che abbia collaborato di più con i suoi figli.» Sfiora l’orecchino votivo, la pietra umida luccica di rosa e argento. «Anche se tutte si fermano prima della fioritura stessa, o giù di lì.»

Papà apre una cozza e gratta l’interno con la forchetta. «Di base, si fermano al momento in cui la tecnologia ha iniziato a svilupparsi a tal punto da rendere il concetto di divinità obsoleto.»

Mamma gli pizzica la guancia. «Oppure la guardiana ci ha lasciato liberi di fare quel che volevamo. Il suo compito è custodire, non guidare.»

Inforca un altro pezzo. «Dov’era quando ci hanno sfasciato la macchina?»

Mamma si mette la mano sulla faccia. Si è controllata abbastanza da non riciclare il solito discorso sul fatto che la guardiana non è una tuttofare, etc, etc… Pesca un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e gli tampona le tracce di sugo dalle guance. Papà le lascia fare, perché non stanno davvero discutendo, ma si stanno stuzzicando su due argomenti in cui la vedono diversamente.

Mamma brontola. «Solo la guardiana sa come non ho avuto bisogno di trascinarti a prendere il voto con me.»

«Perché ti amo e so che per te è importante.»

Eccoli che partono. Forse non sono mai a colazione con loro per risparmiarmi il flirting.

Yelena collaborava tanto con i suoi figli, ma ha smesso per quello che è successo ad Ardens. Perché non è tornata indietro per salvarlo? Cambiare le sorti della fioritura? Batto le dita sul tavolo e inforco il primo pezzetto di mela, i cristalli di sale scintillano sull’olio. La rosicchio, mi darà la carica che mi serve.

Un ringhio mi arriva dalle spalle, tiro su le gambe. Edgar schizza sotto la sedia e va a schiantarsi contro i piedi di papà, che non ci fa nemmeno caso. La creatura torna alla carica, mi gira intorno alla sedia con gli occhietti stretti e le orecchie abbassate.

Fa un verso di gola lamentoso.

Ma che gli ho fatto?

Papà si china. «Ohi, bello! Capriccioso di prima mattina?»

Edgar gli corre incontro, gli lecca la mano e sbatte il musetto contro il suo palmo.

Mamma ride. «Ashley, gli hai nascosto Lafayette?»

Scrollo il capo. Manco so cos’è Lafayette. «Non gli ho fatto niente, che io ricordi.»

Papà prende un pezzo di pane e lo porge a Edgar, che se lo mordicchia tutto eccitato. La coda frulla. «Facciamo che lo porto fuori, tanto devo digerire un po’ prima di andare a stendermi.»

«Sicuro che non vuoi che faccia io, tesoro?»

«Sicuro sicuro.» Papà mi passa accanto, mi arruffa i capelli senza fermarsi. «Tanto se la nostra piccola Memoria di ferro non ricorda niente, significa solo che EdEd si è svegliato dalla parte sbagliata della cuccia.»

Tiro fuori il cellulare. Il contatore sale a trentasei notifiche. Trentasette. Trentotto… Tutte da Ronye, la chiamerei stalker se non avessi paura di cosa vuole dirmi. Tanto non può avere idea di dove partirà la corsa folle, vero?

La porta di casa si chiude, l’abbaiare eccitato di Edgar si fa distante.

Se ci penso, è difficile che Ronye non abbia scoperto l’intera dinamica dell’incidente. Yelena ha aspettato una settimana per resettare, e ha passato la maggior parte del tempo a mettere pezze sullo strappo alla galleria mentre io mi davo alla macchia.

Quella ragazza ha avuto tutto il tempo che voleva per ricostruire i nostri movimenti.

Mangio il terzo pezzetto di mela. È amaro.

Mamma sorride, accarezza l’orecchino votivo alla guardiana. «Non mi chiedi se è nuovo, questa volta?»

Rimango a metà con il quarto morso. Gliel’ho mai chiesto? La pietra che le pende dall’orecchino è ben curata, ma non è un design particolarmente recente. Sarà qualcosa che andava decenni fa. «Ah, te l’ho mai chiesto?»

«Ho l’impressione di sì.» Tamburella le dita. «Ma abbiamo fatto sogni strani recentemente, mi starò facendo influenzare.»

Sfrego il pollice sulla forchetta.

Mamma ruba quella di papà e si frega uno dei miei pezzetti di mela. «Mi sembra l’altro giorno che non stavi zitta un secondo a tavola. A quel tempo ci citavi orario, luogo e magari anche un dettaglio stranamente specifico solo marginalmente collegato ai tuoi racconti.»

Il discorso sta prendendo una piega strana. Imbocco il quinto morso, non ho così voglia di mangiare altro.

Disegna un cerchietto con la forchetta. «Sai quante volte abbiamo sentito della volta che tu e Limy, al parchetto, dopo la verifica sui verbi in quarta stavate ignorando un gruppo di bulletti in jeans strappati viola, finché Rho non è andata ad affrontarli?»

«Mai abbastanza.»

Mamma ride e annuisce. «La mia pavida scintilla. Senti… È successo qualcosa?»

Mi pulisco la bocca, le notifiche sono salite a cinquantadue nell’arco di cinque minuti. Abbasso la tendina del cellulare.

[sticker]
[sticker]
[sticker]
[sticker]
[sticker]

Le notifiche di altri quattro sticker scorrono sullo schermo. Mi sta spammando. «No, non è successo niente a Rho in realtà.» E posso dirlo convinta, ora che l’ho sottratta al loop di morti. «Licenziamento a parte, sembra normalissima.»

Mamma sorride. «Devo fidarmi?»

«Ma’.»

«Chiamalo istinto di mamma ma… So che tendi a metterti nei guai quando la piccola Brionac si mette nei guai. E poi, io non ti ho chiesto di Ronye.»

Mi inumidisco il labbro inferiore. Starà esagerando, non posso vivere così in dipendenza di quella ragazza.

Mamma allunga le braccia sul tavolo. «Ne parliamo intanto che mi asciughi i capelli?»

«Ma fa caldo!»

«Il phon mi rilassa.»





Il casolare crollato spunta tra le case coloniche soffocate dall’erba alta, parcheggiata alla sua ombra c’è una macchina sportiva verde smeraldino a cui è appoggiata una ragazzina dai capelli biondo platino arruffati.

Non riesco ad abituarmi al cambiamento, Yelena per me è rossa e matura, non uno scricciolo uscito da un cartone animato avventuroso. Mi saluta con ampie bracciate. «Hai fatto colazione questa volta?»

Le batto il cinque, lo schiocco spezza la tranquillità cittadina. «Ay!»

Fa uno svolazzo del braccio per indicare l’abitacolo, sul cruscotto c’è uno schermo piuttosto grande con una mappa della città. «Ta-dà! Un navigatore, giusto per precauzione.» Mi rivolge un sorriso energico.

Ma seriamente? «Ehi, io ho rifatto lo stesso percorso per una settimana intera per cosa?»

«Perché aspettare che la voce robotica ti dica svolta a destra alla settima è più lento di saperlo e basta. Questo è solo una tutela, tutela!»

Non posso offendermi, abbiamo appurato che i miei ricordi sono fallati attualmente. «Grazie per la fiducia.»

«È il mio ruolo!» Yelena gira i tacchi e parte verso la galleria, salgo in macchina e prendo un respiro. Regolo lo specchietto retrovisore, accendo la macchina e piazzo la levetta su N. Dovrei mandare un messaggio al lavoro per ricordare che sono assente oggi…

Lo sportello si spalanca, Yelena deve aver dimenticato qualcosa.

Ronye allunga le gambine e si lascia cadere sul sedile, gli occhi stretti e le labbra contratte.

Stringo il volante. «Scendi.»

Mi scocca uno sguardo di sbieco. «Nope.»





[.note a margine]

Sto seguendo SHY. Prego che non incida nel mood della storia, perché diamine il periodo Lycoris Recoil lo vedo tra le righe. Parlando di navigatori, ho ricalcolato il percorso di Laplace e il numero di capitoli potrebbe essere lievitato leggermente. Giusto un po’. Tipo a 21, epilogo contato?

M’sorry.

Not really.

So che non lo dico mai, però grazie davvero per star seguendo il fever dream che ‘sta storia si sta rivelando essere.

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Capitolo 14
*** BUG REPORT #5578 e #5579 ***


XIII.
[Ashley Sterling]




Il motore dell’automobile fa le fusa, impeccabile come solo una macchina da anni di stipendio può essere. Non dovrei poterlo sentire, mi sta sfuggendo qualcosa di importante. Il puntatore triangolare del navigatore lampeggia, è già impostato per il porto: tempo di percorrenza del tracciato cinque minuti.

La visiera del cappello di Ronye le getta ombre sugli occhi stretti, accavalla le gambe. È il solito trattamento del silenzio per costringermi a parlare, e io non ho per niente voglia di subirlo.

Controllo gli specchietti, il cambio è su N… La radio getta un lieve bagliore azzurrognolo, la scritta OFF capeggia sul piccolo display. Ecco il tassello mancante! Premo il pulsante di accensione, basta troppo poco a questa ragazza per mettermi sotto pressione.

Le melodie di timidi violini riempiono l’abitacolo.

Poggio la schiena al sedile. «Scendi.»

Alza un ciglio. «Oppure?»

«Oppure nulla.» Stringo il volante fino a far sbiancare le nocche. «Non ti lascio rimanere qui sopra.»

«Puoi spostarmi?»

La frangia rossa si alza, smossa da un crepitio elettrico. Una fitta mi stringe il petto. Calma, non posso usare l’elettricità su di lei. «Cerca di ragionare, non è il momento di avere questo discorso.»

«E quando Ashley?» Un sorriso innervosito si allarga sulle sue labbra.

Mai. Ecco quando.

Un’esplosione fa tremare i vetri, mi giro e sporgo oltre il sedile. L’erba fuori dalla galleria sta venendo tagliata dalla carica di qualcosa di enorme e invisibile. Passi pesanti vibrano, scuotono la macchina a ogni mio respiro.

Ronye non tentenna malgrado il terremoto anomalo che si avvicina. «Non è la prima volta che abbiamo avuto questo discorso, vero? Ne ricordo bene solo una, tu l’hai già vissuta più volte, vero?»

Giro il volume al massimo, il vibrato dei violini soffoca i suoni esterni. Le metto una mano sulla spalla. «Questa situazione non è uno scherzo. È rischiosa, e la tua presenza mi intralcerà.»

Mi afferra il polso, stringe. «Perché ti ci sei inficcata, allora?»

Un tonfo arriva dal tettuccio dell’auto, ecco Yelena!

Strattono il braccio e piazzo la leva su drive, schiaccio l’acceleratore a tavoletta. Il ghiaccio morde i vetri, si allarga come una mano gelida. Scattiamo avanti lungo il rettilineo, il rombo del motore si mischia alla carica di decine di violinisti e alla voce robotica del navigatore.

Sta iniziando a piacermi questa canzone.

Nebbia turbinante atterra alle nostre spalle, la macchina rimbalza. Ronye sbatte la testa contro il tettuccio e se l'afferra. Neanche trenta secondi e si sta già facendo male, questa qui non è adatta a sopravvivere.

«La cintura!» Stringo il volante. «E se trovi il pulsante per il riscaldamento accendilo, che finiremo con il parabrezza appannato di questo passo!»

Ronye si allaccia e gira. «È quello il problema con cui te la stai vedendo da sola!?»

Il pestone di Yelena sul tettuccio arriva forte e chiaro. «Ashley, in quanti siete lì dentro!?»

«In troppe!» Ci stiamo avvicinando a rotta di collo alla prima curva stretta, per ora l’anomalia si sta comportando secondo i piani. Lascio l’acceleratore finché la lancetta del tachimetro non sfiora i quaranta e giro il volante mettendoci tutto il mio peso, a metà curva premo il pedale finché non torno ai sessanta.

Ronye si spalma contro lo sportello anche se è allacciata, la testa le schiocca contro il finestrino. Deve aver fatto male. Butto l’occhio allo specchietto retrovisore, un lampo di marrone delinea la coda da lucertola dell’anomalia, che spazza la rete metallica della casa e la getta nel campo circostante.

Dura un istante, prima di tornare una nebbia vorticante.

Una fila di case arroccate l’una a ridosso dell’altra si apre davanti a noi, centinaia di ragnatele di ghiaccio ricoprono i palazzi. Si ingrossano, scavano nei muri e spaccano finestre. La bestia viene attraversata da una linea di colore, pianta le zampe. Un’ondata di dardi ci arriva addosso, si infrange sulla barriera a bande azzurre di Yelena.

I pezzi si attaccano alla superficie, la ricoprono. Viene sfondata dalla nebbia vorticante.

La musica segue un rapido crescendo. Ronye clicca un pulsante sul cruscotto, i bocchettoni dell’aria mi gettano calore sulle braccia nude. Si gira a guardare l’essere. «Avete speranza di sistemarlo?»

La voce del navigatore annuncia l’ennesima indicazione che non sto ad ascoltare, la viuzza da prendere è vicinissima. Il cartello nero che segnala la azienda Tiamat è sulla destra e per girare devo rallentare, sarò a cento metri di distanza.

Prendo fiato, non posso esitare.

Inchiodo, la lancetta del tachimetro crolla fino ai venti e svolto, il retro dell’auto scivola sull’asfalto e minaccia di sfuggire dal mio controllo. L’anomalia sta correndo dritta dritta per la fiancata dove è seduta Ronye.

La nebbia ci scatta addosso. L’ennesima barriera a bande si alza davanti a noi, il mostro sbatte il muso e diventa visibile per il tempo di un battito di ciglia. Si sfaccia a terra e scoppio a ridere, un paio di lacrime mi pizzicano gli occhi.

Pianto il piede sul pedale, fortuna che c’è Yelena. I passi pesanti dell’afa ci seguono nella stradina. Automobili parcheggiate costeggiano la via da entrambi i lati, hanno stretto la via al punto che temo di grattare le portiere delle macchine.

Il gemito del metallo accartocciato ci insegue, butto l’occhio allo specchietto retrovisore. La nebbia fa impennare una utilitaria e la manda a sbattere contro tre compagne, frammenti di metallo colorato e vetro volano ovunque.

L’anomalia diventa visibile, spinge una jeep contro una delle stradine secondarie.

È karma, chi parcheggia così merita questo e altro. Il fragore mi spacca i timpani, una spessa lastra di ghiaccio si allunga sull'asfalto: le ruote perdono presa sul terreno e slittano di lato, gratto le portiere di una fila di macchine. Scintille mi volano contro il finestrino.

Ronye si aggrappa al poggiagomito e preme la schiena contro il sedile, non ho bisogno di lanciarle un’occhiata per sapere che è terrorizzata. Dobbiamo arrivare in fondo, prendere una rotonda e possiamo buttarci subito in mare. Manca poco!

Una city car sbuca da una stradina secondaria, ci viene incontro. Non ho modo di sorpassarla e, anche se ci teletrasportassimo davanti a lei con tutta l’auto, la lascerei in balia dell’anomalia. «Divina sfiga!» impreco.

Yelena urla qualcosa di incomprensibile dal tettuccio; stringo il volante. La city car va lentissima e non accenna a voler fare retromarcia o svoltare. Adocchio una delle stradine secondarie, svolto a destra.

Il du-dun del navigatore segnala che sta ricalcolando il percorso.

«Ashley!» strilla Yelena.

«Tra trecento metri–»

Imbocco la prima strada a sinistra, grazie al cielo sgombra di intralci. Du-dun! La nebbia scava nell’asfalto e ci viene dietro.

«Fare inversione a U al–»

Posso cavarmela. La strada si apre sull’enorme parcheggio aziendale della Tiamat, ingombro fino all’ultimo spazio di macchine e camion. Folate di vento violente si raccolgono intorno alla anomalia, cristalli si solidificano in lunghi dardi. Con un fischio violento, vengono sparate in ogni direzione.

Decine di barriere si allungano dai bordi del parcheggio, una bolla avvolge la macchina. Alcuni bolidi si infrangono a un soffio dal lunotto. I frammenti grandinano sulla nostra testa senza farci nulla, i parabrezza di diverse macchine saltano.

Inverto la direzione dell’auto e miro all’entrata da cui sono passata, la nebbia vorticante è ferma, proprio lì. Ad ogni pezzo di grandine che la sfiora, si colora per un istante. Intravedo la sua figura colossale a pezzi, le zanne spalancate che soffiano aria gelida.

«Che razza di–» Ronye deglutisce.

La musica si stacca e il gemito del metallo mi riempie le orecchie, qualcosa ci tira verso l’alto. Tra i due sedili anteriori e posteriori, una stalagmite di ghiaccio impala l’automobile. Ci assestiamo con uno scrollone, ad occhio ci ha tirato su di almeno tre metri. La brina si diffonde sul poggiatesta, butto la mano all’ancoraggio della cintura e lo faccio scattare.

«Usciamo!»

Spalanco lo sportello, Rho mi ha già anticipato. Si getta giù e la seguo, sfrego le ginocchia contro l’asfalto. Faccio un mezzo giro con il busto e mi alzo, il busto di Yelena è riverso in avanti. La stalagmite l’ha trapassata da parte a parte. Rosso cola sulla superficie cristallina, il ghiaccio che le si sta solidificando sulle guance.

I passi pesanti dell’anomalia si avvicinano.

Il ghiaccio puro non conduce elettricità, devo tirargli una scarica tra le scaglie che lo proteggono anche se non posso vederle. Stendo il braccio; non ho né potenza di tiro, né precisione ma prenderò tempo finché Yelena non si riprende.

«Ash, non ti azzardare!»

L’elettricità crepita intorno a me, aggrappo con il magnetismo un furgoncino crivellato dalla grandine. Il dolore al petto si ravviva, mi lacera il cuore e mi fa salire la temperatura come se avessi la febbre.

I fari del mezzo si accendono, lo scaglio contro l’afa turbinante. Ci si accartoccia addosso, l’urlo di Ronye si mischia al gemito del metallo. Il profilo della lucertola appare e sparisce, tempo di un battito di ciglia.

Non c’è altro movimento, mi giro. È sparito.

Un ruggito arriva da destra, le braccia di Ronye mi avvolgono e vengo spinta di lato. Il vento viene tagliato dal passaggio di qualcosa di grosso e veloce, vengo spostata dal risucchio violento come quello di un treno che ti passa accanto.

Sbatto, mi scrollo Ronye di dosso e mi tiro su, l’elettricità mi danza in scintille intorno al polso. Il dolore mi preme sul petto. L’afa si muove e adocchio Yelena, sporca di sangue, che ci salta sopra.

L’essere ritorna visibile e la mano di Yelena si accende di azzurro, i contorni dell’anomalia si tendono verso il suo palmo. Ci siamo riuscite!

Le vado incontro e stringo i pugni. La lucertola si impenna, la Guardiana vola giù di schiena e la luce che ha raccolto torna indietro di scatto come un elastico. Una zampata mi prende in faccia e mi sbalza indietro, non fa male ma mi gira la testa. Sbatto contro un camion e scivolo giù.

L’anomalia si riempie di colore anche se non sta toccando nulla. Chino il capo.

La voce di Ronye è dannatamente lontana, spezzata dalle lacrime.

«Salvala, ti prego!»



Lazerin | BUG RILEVATI | EINHERI Ashley Sterling (64 errori) | EINHERI Wyatt Jay (46 errori) | EINHERI Marilee Rivas (5 errori) | EINHERI Ronye Brionac (2 errori) | Tessuto logoro in tre coordinate|



Il cuore mi va in fiamme, spalanco gli occhi e tiro un rantolo. Sono intrappolata sotto un lenzuolo sottile, ma il caldo è insopportabile in questo momento. La voce mi esce rauca e straziata. Mi pianto la mano al petto, il braccio si ricopre di un fitto piumaggio e torna normale l’istante dopo.

Archi elettrici schizzano ovunque, accendono il lampadario della camera, disegnano un pattern di fulmini sull’armadio di legno. Di questo passo farò saltare tutto l’impianto elettrico di casa. Comprimi, comprimi, comprimi!

Rotolo giù dal letto e tiro un respiro pesante, il pavimento è bucherellato da macchie verdi. Mi sporgo su una, è slabbrata e circondata di distorsioni. Ci intravedo un paesaggio futuristico, in un altro buco un quieto villaggio medievale, in un altro ancora un ambiente immerso nelle stelle.

Puntello le dita e mi alzo, le unghie diventano lunghi artigli e tornano normali, ringhio. È presto per perdere la propria umanità, non sai ancora se hai portato a termine il tuo compito.

Il mio riflesso ha la testa ricoperta di un fitto piumaggio castano, gli occhi screziati di viola. Le piume si frammentano in polvere che mi accarezza la pelle e si accumula a terra, un altro manto mi appare addosso un respiro dopo.

Devo eliminare quella anomalia senza che uccida nessuno, non posso diventare un mostro prima di esserci riuscita. Concentrati. Le piume si polverizzano. Conto uno, due, tre, mi riappaiono addosso. Regolo il respiro, granuli marroni cadono a terra. Uno, due, tre, quattro, cinque. Riappaiono.

Ancora e ancora finché il respiro non torna normale.

Le mutazioni fisiche spariscono, c’è solo la solita peluria tra i capelli e quella sul polso a testimoniare quel che è successo. Abbasso gli occhi, il pavimento è ricoperto di sabbia che scivola giù negli strappi dimensionali.

Uso il piede come vanga e tiro giù uno dei cumuli dentro un buco. Sparisce senza lasciare traccia. Sorrido. Mi posso controllare e ci metterò un attimo a pulire.

Il cellulare squilla, butto l’occhio allo schermo. Una notifica da Yelena Shaw.

Sotto l’orario, c’è scritta la data. È un mese prima rispetto al solito.

Perché è tornata così tanto indietro!?





[.note a margine]

La maggior parte delle informazioni importanti di questo capitolo sono difficilmente percepibili, lol. Non vedo l’ora di poterle introdurre chiaramente.

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Capitolo 15
*** BUG REPORT #5579, di tre persone presenti, non mi fido di una ***


XIV.
[Ashley Sterling]




Il vento si intrufola dalla finestra spalancata e porta la fragranza dolciastra del glicine, copre quasi l'odore bruciato che permane nell’aria. Arriccio il naso, qualcuno nella via lo coltiva in quantità industriali.

Stringo la scopa e faccio il giro del letto, l’unico strappo dimensionale – che non ho ancora coperto con una scatola piena di libri – è all’ombra del comodino. Un colpo di ramazza e l’ultima manciata di polvere si riversa sopra il paesaggio denso di casette di legno arroccate sul fianco di una montagna.

A nessuno darà fastidio, spero.

Lancio un’occhiata al telefono appoggiato sulla scrivania, Yelena ha detto aspetta lì ma sono già passate le otto. Fortuna che non ho lavoro oggi.

Il trillo del campanello di casa è frizzante, agguanto un asciugamano ancora umidiccio dalla sedia e copro la voragine dimensionale. Mi sporgo dalla finestra: un lembo di tessuto bianco sbuca da sotto il portichetto, Ronye si è inginocchiata tra le siepi e gratta l’orecchio di un cane scodinzolante. Alza la testa e rivolge un sorriso caloroso a chiunque abbia aperto la porta. «C’è Ash?» dice.

Poggio la scopa in angolo. Quella lì è con la dea, non dovrebbe essere con la dea.

Cos’ha combinato dopo che–

Stringo il pollice tra i denti, ricordo il dolore bruciante alla schiena ma il resto dello scontro con l’anomalia manca. Le cose mi stanno sfuggendo di mano, di nuovo. Ormai è un’abitudine.

Mi passo le dita tra i capelli e butto lo sguardo alle scatole disordinate sul pavimento, Rho le definirebbe sus in un attimo. Scavalco il letto e vado alla porta, la spalanco. Yelena ha la mano allungata verso il pommello, tira indietro il busto come se fosse appena stata schiaffeggiata e geme, disgustata. Si tappa il naso. «Cos’è questo odore acre?»

Ronye la spinge di lato e mi si spalma addosso; stringo i denti, pronta a ricevere uno schiaffo ma un paio di braccia sottili mi stritolano. Le tremano le spalle, non è esattamente la reazione che mi aspettavo.

Le accarezzo la schiena.

Un fischio sordo mi gratta le orecchie, Ronye rimane rilassata come se non lo sentisse. È distante ma c’è la presenza di qualcosa di invisibile sulla mia spalla, sussurra quelle distorsioni che assomigliano quasi a parole.

Finalmente ci conosciamo.

Ronye chiude i pugni e mi tira un colpo a martello sulle spalle. «Sei insopportabile.»

La risata istintiva mi esce strozzata. «Io sarei insopportabile, certo. Sei tu quella che mi ha messo sotto pressione.»

Ha gli occhi arrossati e le labbra serrate, ma almeno ha smesso di tremare.

«Senti.» Alzo le braccia. «Non funziono sotto pressione, lo sai. Se non fosse stato per te, avrei già chiuso questa situazione.»

Yelena ci sfreccia accanto, salta il letto e butta la faccia fuori dalla finestra. Sospiro, sollevata, grazie alla Guardiana non ha sfiorato nemmeno uno degli strappi dimensionali.

Aspe’– Il modo di dire non funziona in questo caso.

Ronye mi stringe il polso. «Ti sei fatta ammazzare.» Le si spezza la voce. «Credevi di farcela da sola contro una cosa simile?»

Mando giù il boccone amaro, vederla così asciuga ogni mia voglia di litigare. «Mi dispiace.»

«Ti rendi conto di come mi sono sentita?»

Mi passo i polpastrelli sulle palpebre; certo che me ne rendo conto, ci sono passata anch’io. Anche se non ho proprio idea di come stessi quella sera. «Scusami, davvero.»

Attendo altre pugnalate emotive, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi ma non dice altro. Si è fissata sulla sottile piuma che mi è spuntata dal polso, si sporge e analizza le tracce di bruciato sul muro, i fulmini incisi nel legno dell’armadio, la camera in disordine.

Contrae la mascella, gli occhi le si riempiono di quelle che devono essere lacrime di frustrazione, si passa il braccio sugli occhi.

Yelena tira due boccate d’aria carica di glicine. Si siede sulla traversa inferiore della finestra con le gambe a penzoloni, le decorazioni dorate che pendono dal mantello tintinnano. «Direi che dovremmo fare una chiacchierata sulla situazione attuale.» Fa uno svolazzo con la mano. «Ma fuori di qui, perché l’odore in questa camera mi sta ammazzando.»

Stringo la piuma del polso tra due dita e strappo, la pelle prude. «Non ne parleremo con lei presente.»

Yelena piega il collo di lato, è tornata ai capelli rossi. «Che tu lo voglia o no, è coinvolta.»

«L’hai coinvolta!?»

«Evitate di parlare come se non ci fossi, grazie.»

La Guardiana gira il collo, il suo sorriso ammaccato è accarezzato dal sole del mattino. «È stato strano fare nel giro dello stesso mese, per ben due volte, il dialogo su riavvolgi il tempo, salva la ragazza. Nessuna di voi due si fida particolarmente del parere della tizia millenaria, e ciò mi offende.» Batte le mani. «Bon, vi aspetto fuori.»

Si lancia giù con un tintinnio di pendagli dorati, l’eco degli strepiti esaltati del cane la accoglie. Ho la netta impressione che quell’esserino sia un gran traditore.

Ronye alza le spalle ed esce, chiudo la porta dietro di me. I muri spugnati d’arancio illuminano il corridoio che sbocca direttamente sulle scale, gli occasionali mobiletti pieni di ninnoli mi ispirano casa d’altri tempi. Due giri di chiave e me la caccio in tasca.

Scendiamo i gradini, Rho si ferma davanti a una foto che ci raffigura insieme ad altre tre sconosciute. Le si addolcisce lo sguardo, sembra provare parecchia nostalgia per quel momento.

Il corridoio è una collezione di porte che non so dove portano, mi lecco le labbra. Sono smarrita.

Ronye incrocia il mio sguardo. «Non vai?»

«Non mi ricordo da dove si esce.»

Dischiude le labbra, mi afferra la mano e trascina a colpo sicuro verso una delle tante porte. «Ciao, Ib!»

Da qualche parte, arriva l’urlo di mamma in risposta. «Ciao ragazze!»





La porta della pasticceria scampanella alla nostra uscita, Yelena affonda il cucchiaino nella coppetta piena di gusto all’ambra. Lo sciroppo dorato cola sul gelato e scintilla nel sole nella mattina, alle nostre spalle Ronye è rimasta al bancone ad aspettare che il commesso finisca il suo parfait deluxe alla frutta con due aggiunte di il-cielo-sa-solo-cosa e una spolverata di zuccherini.

Diabete portami via.

Ci siamo fatti da casa alla gelateria a piedi. Tornare indietro di un mese ha reso i poteri di Yelena instabili e proni a creare altri errori, a quanto pare. Nella battaglia contro l’anomalia, non ho nemmeno più il sostegno della dea teleporter ma ci ho guadagnato il rischio di dover fare un’escort mission.

Yelena non pare esserne preoccupata, si siede a uno dei pochi tavolini vuoti vicino ai boccioli di rosa rugosa, continua a mangiare di gusto.

Poso il mio piattino con una manciata di biscottini a forma di ranocchia e due macaroon azzurro pastello. «Quindi?»

Si tappa il naso e agita il cucchiaino di plastica. «Quindi puzzi di anomalia, non stare sottovento.»

«Ma non lo sono.» Trascino la sedia di lato, lei incurva le spalle rilassata. L’odore deve essere micidiale. Prendo una ranocchietta tra i denti, la glassa decorativa al pistacchio mi si scioglie in bocca.

«Il tuo einheri ha accumulato la quantità di errori per esserlo, come tu non sia degenerata a livello intellettivo è oltre me.»

Mando giù un’altra ranocchietta. «Gli stupidi non possono diventare più stupidi?»

«Essere senza istinto di autoconservazione non equivale a essere scemi.» Pianta il cucchiaino nella sua coppetta, il vento le fa ricadere i ciuffi rossi sugli occhi.

Mi lecco le labbra, tutti questi biscotti mi stanno impastando la bocca. «Ho una buona ragione per non uscire di testa.»

«Chi non ce l’avrebbe?»

Annuisco. Mando giù un’altra ranocchia, briciole di pasta al burro mi si attaccano al palato. Avrei dovuto prendermi anche una bottiglietta d’acqua. «Cioè sì. Hai ragione… è che finché so che posso fare qualcosa per gli altri non ho certo intenzione di diventare un’altra fonte di danno. Ho iniziato questa cosa per convincerti che il tuo metodo è sbagliato.»

Lascia morire le persone per sistemare più facilmente le anomalie, in qualsiasi modo la si metta ci sono mille modi migliori di questo.

«Il mio metodo sarà sbagliato ma il tuo non è giusto Ashley. Non voglio che la salvezza degli altri dipenda dalla distruzione fisica di una persona che si carica di tutto.» Mi prende la mano. «Non voglio vedere qualcun altro fare la fine dei miei amici.»

Getto un’occhiata alla vetrina, Ronye è seduta a uno dei tavolini interni della pasticceria con il suo parfait, inforca un pezzetto di fragola. Ci tiene d’occhio, ma non accenna a uscire. Avrà percepito che non è un buon momento.

Stringo la mano di Yelena. «Ardens?»

Lei sbuffa. «Non ho interagito solo con gli schermitori lungo i secoli, eh.»

«Ma la morte di Ardens ti ha dato particolarmente fastidio.»

Tentenna, gli occhi prendono quella sfumatura stanca che ha ogni volta che le ho messo pressione addosso in passato. «Era la persona per cui sarei tornata ad essere solo Yelena, per un po’. O almeno, avrei finto di poterlo fare.»

«Come è morto?»

Non mi lascia andare, ha il palmo caldo e sudaticcio che trema. «…gli avevo dato l'occasione di evitare la Fioritura. Invece è rimasto e ha fatto muro tra i civili e l'assedio. Non ho guardato cos’è successo dopo.»

Non l’ha nemmeno salutato! Non riesco a concepirlo.

Incassa la testa tra le spalle. «Avrei potuto salvarlo, ma non posso interferire. Ho dei doveri.» Non so se lo sta dicendo a me o a sé stessa. «Fossi stata una persona normale avrei potuto mettermi in mezzo e tirarlo via di lì. Ma cambiare le sorti della Fioritura sarebbe stato giocare con la vita di tutti i coinvolti, non solo la sua.»

«Parli dei civili sopravvissuti grazie a lui?»

«Non solo. Lungo i decenni avrebbe toccato tante vite, in bene o in male.» Distoglie lo sguardo, un sorriso amareggiato le piega le labbra. «Ma non era unico e necessario nel mondo, non meritava di sopravvivere più di altri.»

Lo sta facendo sembrare un discorso tanto razionale, ma non mi ha detto nulla di quello che avrebbe voluto Ardens. Un paio di macchine sfrecciano lungo la via, la gente chiacchiera per strada ignara della nostra conversazione. Chissà da quanto tempo si porta un simile dolore nel petto.

Yelena si stacca, pungola il gelato che si sta sciogliendo ma non sembra aver voglia di mangiarlo. «Caelum è sopravvissuto così tanto perché Ardens e gli altri erano lì con lui.»

«Perché mi stai lasciando salvare Ronye allora? Non è interferire?»

«Perché…» Leggo centinaia di frasi che vorrebbe dirmi dietro quegli occhi, si sostiene il viso con la mano. Molla il cucchiaino di plastica. «Sono ipocrita suppongo.»

Tace e io non so cosa aggiungere. Lo scampanellio della porta annuncia l'arrivo di Ronye, si è già spazzolata una metà del parfait. Mi porge una bottiglietta d’acqua e si siede accanto a me. «Come ci muoviamo contro l'anomalia?»

Sussurri striscianti mi accarezzano l’orecchio, rabbrividisco.

Yelena tira un sospiro, incasella il suo dolore e lo ricaccia indietro eppure ne trovo ancora lo spettro nella maniera in cui contrae le labbra. Sfiora il tavolo con un dito, un foglio si srotola dal nulla accanto alla coppetta mezza sciolta. Mi sporgo.



BUG REPORT #5574

29/05/2041



Yelena ci mette una mano sopra e mi tira un colpetto sulla fronte. Se lo porta al petto. «L’anomalia è attualmente in un complesso di appartamenti sulla trentasettesima, ci rimarrà annidata fino a sera tarda del prossimo giorno.» Si alza. «Camminiamo, vi spiego là.»

Lascia il gelato lì.





L’appartamento è un edificio grigio e alto a un tiro di sasso dal parco comunale, assolutamente anonimo se non fosse per il paio di finestre del terzo piano opacizzate dalla brina. Il familiare pattern di ghiaccio parte dagli angoli del vetro e si tende verso il centro.

Ecco dove si annida.

Yelena fa una piroetta e ci aspetta alle strisce pedonali, butta il piede avanti. Un vecchietto in bicicletta le taglia la strada, l’uomo urla qualcosa in dialetto stretto che, per quel che ne so, potrebbe essere una maledizione.

Ronye mi tira un pugnetto contro la spalla, fa un cenno al nido del mostro. «Che fine ha fatto il proprietario?»

Se era a casa, è diventato una delle nostre stelle.

Yelena attraversa, gli occhi al foglio che ha evocato dal nulla. Il tintinnio del mantello la segue. «Il proprietario è l’anomalia, è ancora allo stadio umanoide.»

Le guance di Ronye virano a un colorito terreo. «Dobbiamo sapere altro?»

Scuote la testa. «Nulla, dovrete agire dopo che ha fatto la sua prima vittima. Così–»

«Scusa?» Stringo i pugni e le vado accanto.

Yelena costeggia il muretto di cinta in mattoni rossi, piccole piantine colorate punteggiano il giardino dell’edificio. Mi passa il foglio, dopo una sfilza infinita di abbreviazioni, trovo un paio di foto alla fine della pagina.

Le due vittime sono ragazzini, al massimo appena usciti dalle superiori. Mi si attorciglia lo stomaco. Lei ha un sorriso innocente e i capelli mossi raccolti in una coda laterale, l’altro è un moretto con gli occhi affilati e svegli.

Ronye mi mette una mano sulla spalla e legge il documento.

Mi tremano le dita. «Perché dovremmo lasciarli morire?»

I sussurri striscianti mi aggrediscono le orecchie, le distorsioni aumentano e coprono qualsiasi cosa Rho stia dicendo. Me la scrollo di dosso e si spezzano; mi rivolge uno sguardo stupefatto. Forzo una risata, ma non è il contesto giusto e la sua espressione non si ammorbidisce.

Yelena sospira. Poggia la schiena al muretto. «Perché se li salvate, dovreste tornare a salvare chiunque non sia stato salvato.» Il tono inflessibile di Yelena mi ricorda quello che le ho sentito usare la prima sera che ci siamo incontrate. «Comprendetemi, sto cercando di essere diretta con voi anche se la questione non è facile. Avete voluto aiutarmi, non farete sempre cose che vi faranno sentire bene.»

Ronye annuisce. «Se non parliamo chiaro, non possiamo collaborare.» È così arrendevole, ma è colpa della sua testardaggine se stiamo cercando di salvare anche gente che non ci riguarda!

È così?

Serro le labbra e mi arruffo i capelli, so di essere qui per una motivazione ma ne sono rimaste solo frammenti scollegati. Non riesco a capire come cercare di convincere Yelena possa essere colpa di Rho.

Prendo un respiro.

«Va bene. Avete ragione.»

Credo.





[.note a margine]

Ormai nascondo le Honkai: Star Rail reference ovunque.

Capitolo più macchinoso, ne sono consapevole. Well, ops?

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Capitolo 16
*** BUG REPORT #5579 broken einheri ***


XV.
[Ashley Sterling]




Una rampa di scale grigia ci separa dal pianerottolo del terzo piano, il sole batte contro le ampie finestre e rischiara i muri color crema. La temperatura nel condominio è degna degli ultimi giorni di inverno.

Gocce d’acqua scivolano giù dai vetri, le seguo in senso contrario. Poco più in alto le strisce si trasformano in brina, diventano incrostazioni cristalline. Ronye sfrega i palmi sulle braccia nude. «Fa freddo a guardarle.»

«Tieni gli occhi fuori e immagina una sauna.»

Il parco oltre il vetro è una distesa verde, punteggiata da grappoli rossi di azalee. Un paio di nanerottoli si lanciano una palla, staranno schiamazzando. Ho quasi l'impressione di essere confinata in un universo differente da loro.

Saliamo, scalino dopo scalino la temperatura scende. Soffio, il respiro si condensa in una nuvoletta. La porta dell’appartamento è sigillata, il legno è fratturato e si è arricciato in più punti.

«Dobbiamo collaborare, rimani dietro di me.»

Ronye va al campanello e lo preme, un debole trillo arriva dall’altra parte della porta. Alza il pollice. «Collaborare,» fa eco. Non capisco se è una sfida o è seria.

Dei passi si avvicinano veloci. «Arrivo!» È una voce femminile, sarà Coda-laterale. Ci sono dei colpi secchi, il suono cristallino del ghiaccio che si infrange. La maniglia gira. «Oh-issa!» La porta non si sposta di un centimetro.

«Scusate, il legno si è un po’ gonfiato.»

Si sta comportando come se fosse la cosa più normale del mondo avere il circolo polare dentro casa. Premo le mani sulla porta. «Ti do una mano.»

«Troppo gentile!»

Ronye mi affianca, sfioro il suo braccio. I sussurri striscianti mi accarezzano l’orecchio, assomigliano a una risata distante. Stringo i denti. «Tiriamo!» Punto i piedi e ci metto il mio peso, il legno gratta. La porta si spalanca con un boato.

La ragazza cade di schiena e tira un gemito, la treccina castana che le incornicia il viso le finisce sul naso. Si passa il braccio sul naso arrossato, stende le labbra cianotiche in un sorriso da commessa. «Giorno… chi siete?»

L’aria si condensa in rivoli che ci avviluppano le scarpe. Ha due felpe addosso, le nocche rosse e spaccate.

Ronye le tende le mano. «Due amiche di Wyatt, passavamo dalla zona e visto che lui non si fa sentire da un po’...»

La ragazza gliela stringe e si tira su. «Lo sapete com’è fatto, mantenere i contatti sociali è difficile per quel disgraziato.»

Ronye annuisce. «Ci siamo abituate.»

Invidio la capacità di mentire. La castana si sfrega le mani e le caccia nel tascone davanti della felpa. «Oggi non è nella condizione di incontrarvi, ha la febbre talmente alta che sto cercando di convincerlo ad andare all’ospedale.»

Non è ancora successo nulla di irreparabile. Yelena potrebbe arrivare, correggerlo e salvarli entrambi. È ingiusto.

Ronye fa un sorriso che non le raggiunge gli occhi. «Magari proviamo a parlargli noi, forse lo convinciamo.»

Treccina fa un paio di passo indietro, oltre la soglia i muri sono macchiati di umidità. Paccottiglia è rovesciata nella stanza in fondo, frammenti di vetro spaccato brillano sotto la luce naturale. «Quello è testardo come un vecchio, non vuole chiamare neanche qualcuno per capire cosa si è rotto.» Batte le mani. «Ma gli dirò che siete passate, vi chiamate?»

«Ashley, lei è Rho.» La indico con il palmo aperto, lo chiudo. «È anche amico nostro, lasciaci aiutare con qualcosa.»

Si illumina. «Wyatt si è fatto delle brave amiche… sentite, aspettate qui. Mi date una mano a fargli la lavatrice. Ho un mare di vestiti da scorrazzare giù.» Ci chiude la porta in faccia.

Ronye rilassa le spalle. «Non vuole farci vedere l’interno.»

«È così disorientata che non sta dubitando nulla. Rende la cosa più facile ma…»

«Non ti fa sentire meglio.» Batte i denti, ha la pelle d’oca. «Ma dovresti lasciar perdere.» La maniglia si abbassa.

Metto la mano sulla spalla di Ronye, ignoro i sussurri viscidi e schiocchi che mi echeggiano nelle orecchie. «Io non ho lasciato perdere, quando c’eri tu al suo posto.»

Treccina spalanca la porta e mi tende una cesta piena di panni congelati, le sfioro le dita ruvide. Non mi piace vederla così, è come interagire con qualcuno che è già morto.

«Comunque io sono Marilee, ma chiamatemi Mary. Gli amici di Wyatt sono anche amici miei.» Passa un sacchetto dell’indifferenziata a Rho. «Avevo proprio bisogno di un paio di braccia in più per pulire quel casino.»

Continua a parlare ma un’ombra in fondo alla stanza mi distrae, è un ragazzo che arranca trascinando i piedi nudi. Incespica su una delle cianfrusaglie e quasi sbatte contro il muro, da sotto le maniche corte spuntano scaglie da rettile.

L’anomalia è così vicina che potrei toccarla.

Non ora, se iniziassi uno scontro Ronye ne verrebbe coinvolta.

Mary ci precede giù dalle scale, la voce pimpante che sproloquia di scuola e Wyatt. Le seguo, alla prima occasione tornerò indietro finché Rho mi fa il favore di distrarla.

Non riesco a stare dietro ai loro discorsi, ma man mano che scendiamo la temperatura torna tiepida e accettabile. Ispiro l’aria accogliente di maggio, scendiamo fino al seminterrato. Uno stanzone spoglio, con due porte di legno e alcuni di bidoni etichettati.

Ronye caccia il sacchetto in quello dell’indifferenziata. «Domanda strana, ma sei parente di un certo agente Rivas?»

Mary gira la chiave e apre la porta. «Hai incontrato mio fratello? Poliziotto gentile, ricciolino sempre in disordine?»

Mi irrigidisco. La figura dell’uomo è offuscata nella nebbia, ma gentile è l’ultimo termine che userei per descriverlo.

Ronye annuisce. «Proprio lui. Hai gli stessi occhi»

Mary entra. «Per averlo incontrato devi esserti cacciata nei guai forte.»

Il soffitto è basso, i muri sono stipati di cabinotti in ombra con modellini, libri impolverati. Scatoloni e un’asse da stiro intralciano la via. Accanto all’unica, piccola, finestra che dà sul mondo esterno sono impilate una lavatrice e una asciugatrice. La cesta dei panni al suo fianco straborda di pantaloni e boxer grigi.

«Mi hanno pescato quando ero nel sedile del passeggero di un’auto rubata.» Ronye stende le braccia e si stiracchia. Mi strozzo con la saliva, lei continua imperterrita. «Peggior giovedì della mia vita.»

«E non era nemmeno arrabbiato con te!» Tossicchio.

Mary spalanca l’oblò. «Mi sembrava strano che Wyatt avesse amiche normali. Quanto siete state dentro?»

«Scagionata subito.»

Poso il cesto dei panni accanto alla lavatrice. «Una settimana o giù di lì?»

«Una settimana?» esclama Ronye, serra le labbra in quel modo che lascia intendere che non è contenta.

Mary scoppia a ridere, raccoglie un paio di felpe nere e le caccia dentro. «Perché ti sorprendi tu? Insomma.»

Questo è un buon momento per andarsene, se riesco a sistemare Wyatt senza coinvolgere quella ragazza dubito che Yelena potrà lamentarsi. Mi tasto la tasca dei pantaloni. «Oh, mi stanno chiamando. Mi assento un attimo.»

Gli occhi di Ronye mi si piantano addosso, bruciano.

Mary agita la mano. «Non preoccuparti, grazie!»

Esco e corro su per le scale, scintille elettriche mi sgorgano dalla frangia e scivolano giù. Raggiungo il primo, il secondo, il terzo piano. La porta è accostata, il gelo ha ricoperto di una patina sottile il pavimento.

Sfrego il piede, la pianta scivola avanti con troppa facilità. Qui qualcuno rischia di spezzarsi l’osso del collo.

Stringo la maniglia ed entro, la via è disseminata di vetri rotti e oggetti rovesciati. Porta a un piccolo soggiorno con divano, un grosso armadio a muro e televisione. Il display è attraversato da una ragnatela di crepe, un paio di pezzi si sono staccati e giacciono a terra.

I sussurri distorti mi aggrediscono.

Non è gentile ignorarmi così.

Mi tappo un orecchio e soffio, quanto danno fastidio! Ma non sto toccando Ronye, perché li sento? Da sinistra arriva un fischio sottile, ci lancio uno sguardo. La stanza si apre su un cucina, sul piano cottura un fuocherello scoppietta sotto una teiera. Un ragazzo è incurvato sopra di essa, borbotta frasi sconnesse coperte dal suono insistente dei sussurri.

Sei così vicina, posso quasi toccarti.

Sbatte il pugno contro il mobile. «Che caldo!»

Si afferra la maglietta, ha gli zigomi alti e il naso schiacciato. Gli occhi scavati da vistose occhiaie. Appallottola il tessuto e lo getta a terra. La corporatura esile è segnata da scaglie marroni, rade sul petto che diventano un tessuto fitto che protegge fianchi e schiena. Il busto si contrae e gonfia troppo per una normale cassa toracica. Si artiglia il collo e scava linee parallele di un rosso intenso. «Fallo smettere.»

«Oi, coso.» Alzo la mano, i sussurri si ravvivano.

Ti ho osservato tutto questo tempo, sai.

Mi faccio indietro, come scottata. Piccole crepe si formano sul pavimento. Il ragazzo si inclina sul tavolo, il pattern di scaglie gli si allarga lungo la pelle mentre i muscoli si gonfiano come palloncini, è disgustoso.

Ringhia.

Gli corro incontro. Sfonda la tavola, cade a terra e i pantaloni gli si sfilacciano. Una lunga coda si srotola e sbatte contro il frigorifero, lascia un grosso sbozzo.

C'è uno strappo assordante. Il pavimento si divide in due, tendo la mano alle piastrelle spaccate ma si arricciano e anneriscono come carta che brucia. Le manco. Scivolo giù nel baratro.





Non una sensazione tattile, non un odore. L’abisso è striato di stelle ma non c’è altra forma di vita qui. L’ansia mi stringe i polmoni e rende difficile respirare, mi scappa una risata strozzata. Potrei aver fatto una cretinata troppo grossa, ‘sta volta.

Più mi sono avvicinata, più la degenerazione di quel ragazzo si è impennata. Come lo sconfiggo senza nemmeno poterlo toccare?

Un tessuto umido mi si avviluppa intorno alla gola e trascina giù, mi stringe le braccia, le gambe. Yelena riuscirà a tirarmi fuori, vero? Stendo le dita, non percepisco nemmeno la resistenza dell’aria sulla pelle. Magari dovrò aspettare parecchio per essere ripescata, ma sarà una scusa per riposare e tanto non ricorderò niente.

Win-win.

Andrà tutto bene.

Andrà…

Soffio.

Dita affusolate mi accarezzano la mano, salgono fino alla mia faccia e mi premono sulle tempie. Una coppia di ali elettriche mi avvolge, la presenza sulla spalla che ho sentito fin dall’ultimo reset mi abbraccia, ho l’impressione che mi sia accanto fin da quando ho iniziato i loop.

«Piacere.» È la mia voce, ma viene dall’esterno.

Le piume vengono attraversate da una distorsione, si trasformano in centinaia di schermi su paesaggi scollegati tra loro. Ci sono io su dei libri, in un altro sono al museo a chiacchierare con un ragazzo. In un altro ancora sono sdraiata su un telo a fissare le stelle, Ronye si sporge verso l’album da disegno di una ragazzina dai capelli neri.

Dischiudo le labbra, ma non esce fiato.

«Andiamo al sodo, ti serve la conoscenza e il potere per ottenere il futuro migliore.»

Le scene si ripetono. In una Yelena è impalata da una stalagmite sopra la macchina, Rivas fissa sul cellulare un selfie di Mary, appesa al collo di un Wyatt abbronzato. Ci sono io con le mani strette intorno al collo di Ronye, che mi artiglia le dita ma non riesce a spostarmi.

«Un essere umano da solo non può cambiare il destino voluto da dio. Un’anomalia in grado di controllare causa-effetto, invece…»

Le scene si ripetono, la me nella piuma stringe le dita intorno al collo di Ronye che sputacchia e piagnucola. Una cosa del genere non può realizzarsi, tutta questa sofferenza non avrebbe senso se permettessi che accada una cosa del genere!

«Sfrutta i tuoi poteri, tanto senza di lei questa cosa non avrebbe significato.»

Quella me stringe di nuovo le dita intorno al collo di Ronye, non smette finché gli occhi non le si opacizzano. Tendo una mano contro le ali e le afferro, strappando decine di piume. Spariscono. Non voglio vedere altro.

Non posso aspettare che Yelena si senta bene. Posso smettere di essere umana, ma uscirò di qui ora.

«È la mia responsabilità.» Mi tocco la gola. Sono stata io a parlare! La presenza opprimente sulla spalla non c'è più.

Afferro il buio, si arriccia sotto le mie dita come seta. Lo tiro, il tessuto si sfilaccia e mostra il prato del parco punteggiato di azalee. Mi ci butto dentro, sbatto la spalla e una stilettata di dolore mi fa sfuggire un gemito.

Il tepore sulla pelle, l'erba contro il viso, sono tornata nella realtà. Mi tiro su, oltre il muro di cinta l’appartamento è stato spaccato in due. I due lembi si piegano in direzioni opposte, tenuti insieme solo da una fitta ragnatela di ghiaccio che a malapena sembra reggerne il peso.

Che casino.







[.note a margine]

Low low low low low~ ogni riferimenti al MV di Raimei è puramente intenzionale.

Il giorno in cui riscriverò questa storia farò prima di tutto una ricerca su ipotermia e all things ice. Già mi è bastato scoprire che il six-phased ice esiste veramente e man, mi sento ignorante in materia.

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Capitolo 17
*** BUG REPORT #5583, #5590, #5596 ***


XVI.
[Ronye Brionac]


[Report #5580, #5581, #5582 scartati per ridondanza]


Lazerin | BUG RILEVATI | EINHERI Warden of humanity (funzionalità scese del 5%, tempo stimato di recupero 1951 ore) | EINHERI Ashley Sterling (1024 errori) | EINHERI Ronye Brionac (6 errori) |



Scrollo la sabbia dalle scarpe e mi siedo sul telo viola, accanto allo zainetto di provviste che ho raccattato da casa. La luce del faro taglia il buio e illumina un gommone che sta schizzando tra le acque scure.

Un’onda si stende sulla battigia e accarezza i piedi nudi di Yelena, che ha gli occhi fissi sulla città. Oltre il profilo degli edifici, tre elicotteri proiettano coni di luce sulle strade. Sono passate ore, ma cercano ancora il terrorista che ha fatto crollare il condominio sulla trentasettesima con un ordigno a base criogenica inaudito.

Fatica inutile, il responsabile splende in cielo insieme alle sessantadue vittime di questo tentativo.

Tiro la cerniera dello zainetto e pesco una lattina di crema di mais, la superficie ancora tiepida mi scalda i palmi. Stacco il cucchiaio dal coperchio. Le scaglie sul dorso delle dita scintillano di verde, ne gratto una ma i contorni sono saldati alla pelle. Dannati cancri inutili.

«Non toccarle,» mormora Yelena. Raccatta i sandali abbandonati sulla battigia e si avvicina, la sabbia le si attacca alla pelle umida. «Se li lasci stare non si allargheranno. Spero.»

«Speri?» Stappo il contenitore, l’aroma chimico dei conservanti mi pizzica le narici.

Si siede sulla sdraio e ci allunga sopra le gambe. «Le altre volte non si sono allargate.»

Non vale parlare di cose che non posso ricordare. Immergo il cucchiaio nella crema e la mescolo: grumi di gelatina emergono, li premo contro il bordo della lattina per romperli. «Ho segni da anomalia anche se non mi lasci mantenere i ricordi dei tentativi.»

«Pensa cosa succederebbe se te li lasciassi mantenere.»

«Non riesco a immaginarlo, in realtà.» Abbandono il cucchiaio e mi porto la lattina alle labbra, la crema mi riscalda la gola e lascia un retrogusto dolce sulla lingua.

Yelena pesca una bottiglietta di spritz prepreparato e la stappa con una pressione del pollice, ha rimasto giusto i poteri per fare questi trucchi da mago da quattro soldi. «Ecco, non so se voglio immaginarlo nemmeno io. Potrei provare a simularlo, ma non riesco nemmeno ad aprire l’interfaccia dei report…»

Prendo un altro sorso di crema. Anche senza ricordi sono piuttosto sicura che questi sono gli unici momenti di calma che la Guardiana ha.

Un sacchetto di carta pieno di albicocche atterra al mio fianco, stringo le dita sulla lattina e mi preparo. Ashley mi si lancia contro la schiena e stringe in un abbraccio che mi sbilancia avanti, le sue mani si posano sulle mie per tenere fermo il contenitore. Yelena fermami, perché la strozzo.

Palo sfrega la guancia contro la mia. «Portato il dessert.»

«Pensavo stessi cercando di ammazzarmi.» Lo sciabordio delle onde viene velato da un suono distante, sussurri che mi fanno accapponare la pelle. Accompagna le mie mani fino al petto, dove non rischio di rovesciarmi crema tiepida addosso.

Niente più sguardi evasivi, niente più evitare il contatto. È la cuddle bug di sempre. Le piazzo la mano sotto il mento e tiro su.

Si stacca con una risata e mi abbraccia le spalle, lasciando abbastanza spazio per liberarmi quando voglio. «Sono stata una cretina.»

«Nulla di diverso dal solito.»

«Questa ha fatto male.» Prende dallo zainetto vicino il contenitore del poke che abbiamo recuperato dal supermercato, apre le bustine di salsa piccante e soia, le rovescia. Fili viscosi calano sul misto di riso, salmone, alghe e fagioli.

Accarezzo il sacchetto di carta, lo stemma dell’ortofrutta dall’altra parte della città è disegnato in arancione sulla superficie marroncina. È tornata a fare deviazioni stupidamente lunghe solo per comprare nei suoi negozi preferiti.

Mi tremano le mani. «A quanti fallimenti siamo?»

Ashley pianta le bacchette nel poke e lo mischia. «Tre?»

«Non ci siete nemmeno vicine.» Yelena stacca le labbra dalla bottiglietta vuota di spritz e la posa ai piedi dello sdraio, insieme alle compagne. Ha finito due pacchetti in così poco tempo? Sbadiglia. «Cinque da quando siamo tornate indietro di un mese.»

Palo prende un paio di fagioli spappolati e se li porta alle labbra. «Non stiamo andando male.»

Yelena le lancia il contenitore di cartone degli spritz in testa.

Mi scolo il resto della crema, rimangono solo un paio di grumi gelatinosi attaccati all’alluminio. Cerco nel cielo le tre stelle della linea d’argento e allineo le dita ad L all’ultima, vicino all’unghia dell’indice trovo il lucchetto che splende. Le scaglie sulle dita si sono allungate, è bastato che Ashley si avvicinasse per così poco perché accadesse. Mando giù il tremore che mi stringe la gola. «Ricordi la nostra promessa, Palo?»

Ashley si passa una mano tra i capelli, un sorriso pigro le arriccia le labbra. «Onestamente…»

«Limy ne riderebbe, eri quella più convinta di rispettarla fino alla fine.»

Mi dà una spintarella sul fianco, caldo mi avvolge le dita, le unghie si allungano e diventano appuntite. Inspiro, rimani calma, rimani calma.

«Puoi dirmela, anche se non la ricordo sarebbe bello mantenerla.» Ha le iridi puntellate di viola, è un colore sbagliato su di lei.

«Era di rimanere insieme, anche dopo la scuola.»

Si illumina come una bambina, allarga le braccia. «Beh, mi sembra di starla mantenendo bene, questa. Complimenti alla vecchia me.»

La Ashley che conosco io ha pianto dopo che il nostro gruppo di amiche si è rotto, non riesce a guardare film che contengono addii e ha gli occhi pieni di amarezza ogni volta che tiriamo fuori le altre.

Le ho permesso di perdersi nel tentativo di inseguire questa missione. «Mancano tre delle cinque persone che dovrebbero rimanere insieme.»

«Ah.»

«Ah sì.»

Incassa la testa tra le spalle, cercando di farsi un pelo più piccolina ma alta com’è svetta ancora sopra di me. Le prendo la mano, le scaglie si moltiplicano sulle dita ma tengo gli occhi fissi sui suoi. «Sono qui per aiutarti, lo sai.»

«Certo che lo so, ma va tutto bene.» Scrolla le spalle, lo pensa veramente. «Se sei l’unica persona rimasta, significa che sei la più importante.»

«Ci arrivi per ragionamento o perché lo pensi?»

Palo tentenna. Dischiude le labbra e aggrotta la fronte, le posso vedere il criceto correre disperatamente sulla ruota.

«Lo pens–»

«Nessuno ti crede se lo dici dopo così tanto tempo!» Un motivetto allegro spezza la conversazione, Ashley caccia la mano alla tasca. Il display si illumina, il viso arruffato di Limy ci sorride. Okay… «Perché ti sta chiamando?»

«Lo sapessi.»

Yelena sospira, apre un occhio. «Lavoro. Ti sta chiamando per i quadri che ha fatto per la galleria in disuso.»

Non dev’essere la prima volta che lo fa.



[Report #5584, #5585, #5586, #5587, #5588, #5589 scartati per ridondanza]

Lazerin | BUG RILEVATI | EINHERI Warden of humanity (funzionalità scese del 5%, tempo stimato di recupero 1961 ore) | EINHERI Ashley Sterling (8192 errori) | EINHERI Wyatt Jay (46 errori) | EINHERI Ronye Brionac (6 errori) | EINHERI Marilee Rivas (5 errori) |



Mary chiude l’oblò della lavatrice e canticchia sottovoce la fanfara di un vecchio videogame, mi sfugge il titolo sul momento. Apre lo sportellino del detersivo e ci versa dentro un tappino di liquido rosa perlato.

Ash è scappata al piano di sopra da a malapena un minuto, ma sembra passata un’era.

Sul cellulare la pagina di caricamento di Soul Slayers mostra uno degli NPC della banca, sulle lenti degli occhiali da vista gli brilla un sinistro luccichio. Una nuvoletta gli appare accanto alle labbra con la scritta PAGARE, in rosso.

Sarà la rerun dell’evento di fuga dall’agenzia delle entrate. Ci clicco il pollice sopra, l’UI si apre. Al posto del personaggio che ho impostato per accogliermi, c’è un ragazzo in uniforme governativa dai capelli biondi.

Sussulto, altro che rerun, questo è un sequel dell’evento. Ha una giacca lunga, decorata di fitti ricami dorati– Blocco lo schermo, calma i pensieri impuri, Rho. Te la leggerai quando avrai più calma.

Mi infilo il telefono in tasca; simpare per personaggi 2D è di cattivo gusto quando non siamo ancora sfuggite al loop di morti, ma è un buon modo per distrarsi dall’ansia.

Mary riempie l'asciugatrice del nuovo carico, ignara che da qui a poco il ruggito di Wyatt farà tremare le fondamenta stesse dell’edificio. Intreccio le dita e soffoco il brivido che mi risale la schiena, non mi piace rimanere indietro quando Ashley si sta mettendo a rischio… ma abbiamo compiti diversi.

Mary si arrotola le maniche fino ai gomiti, le braccia sono gonfie e bluastre. «Non la segui?»

«Hm?»

«Non è andata a telefonare.» Sotto le ciglia congelate gli occhi sono limpidi, tira le labbra in un sorriso allegro. «Dai! Potevo crederci la prima volta, ma ormai abbiamo avuto il nostro primo incontro ancora, e ancora, e ancora, e ancora–»

I déjà vu! Mi mordo l’interno della bocca, faccio un passo indietro verso l’uscita.

Mary giochicchia con la treccina che le incornicia la guancia. «Non te n’eri accorta, tu? No… Proprio perché sai ti stai facendo indietro.» Una distorsione attraversa i suoi contorni, attraverso la sua pelle chiara vedo il muro bitorzoluto alle sue spalle. «Cosa siete, una società segreta di super eroi?»

«No.» La voce mi trema, l’aria si condensa in una nuvoletta.

La temperatura è calata di colpo, cosa starà facendo Ashley lassù?

Mi mette una mano sulla spalla, il suo corpo riprende colore e solidità. «Dovevo immaginarlo… beh, se non c’è nessuno che ci possa salvare, dovrò rivolgere le mie preghiere alla Guardiana»

Dischiudo le labbra, non ho il coraggio di dirle che non è costretta a morire. «Vuoi andare da lui?»

«Yep.»

«Perché mettersi a rischio così?»

Uno strappo violento mi rimbomba nelle orecchie, l’intero edificio trema e lunghe crepe risalgono i muri in ogni direzione. Mary socchiude gli occhi e corre fuori dalla porta, la inseguo su per le scale che portano al piano terra e poi per la rampa successiva.

Non riesco a chiudere le distanze, dannate gambe corte!

Oltre le vetrate cadono pezzi enormi di muro, una macchia marrone e blu si pianta nel terreno e genera una scossa che mi spinge contro il corrimano. Ruggisce. Mary tentenna e guarda fuori, ho solo questa occasione. Scatto e la stringo. «Non puoi fare niente, lascialo andare.»

Nuvole scure riempiono il cielo.

Mi tira una gomitata tra le costole, non mollo. «Chi credi di essere?»

«Una che non ne può più di gente con il complesso del martire!»

Raffiche di vento ululano, smuovono i nuvoloni e si raccolgono proprio fuori dall’edificio. I peli del braccio si drizzano, la brina li ricopre prima che il freddo mi entri nelle ossa. Sta arrivando.

Dardi di ghiaccio spaccano i vetri, Mary si irrigidisce e le salto sulla schiena per farle da scudo. L’aria viene tagliata a un soffio dalla mia testa, vetro freddo mi piove sulla schiena e tintinna. Schiaccio a terra la ragazza.

Fuori dalla finestra una palla elettrica cade a gran velocità, riconosco la testa rossa di Ashley. Gli occhi le brillano di viola e lasciano una scia di colore; si schianta nel giardino. Echi e boati scuotono i muri, non mi azzardo ad allentare la presa su questa cretina.

Inspiro. «Cerca di fidarti di noi.»

Ho paura.

Mary ha smesso di dibattersi. «E cosa potete fare per salvarlo?»

Mi stacco e cerco il suo sguardo, ha gli occhi viola e le dita impalpabili. Mi mancano le parole. Se non è stata la vicinanza con Wyatt, è stata la presenza di Ashley a farla diventare così. Facciamo schifo come eroine.

Lei sorride. «Nessuno ti crederebbe se non riesci nemmeno a rispondere a una domanda simile.»

Un fulmine si infrange fuori dall’edificio, il rombo mi spacca i timpani. Ci pianto i palmi sopra ma un fischio mi riempie le orecchie. Il ghiaccio entra dalle finestre spaccate, mi imperla le ciglia e morde le guance.

Mary mi passa attraverso come se fosse fatta d’aria, raggiunge la finestra rotta e si sporge. La coda dell’anomalia si abbatte contro il muro e fa piovere pezzi di mattoni sulle scale. Afferro il corrimano e mi alzo, ma quella cretina si butta giù.

Siamo neanche al primo piano, non si ammazzerà solo per quello.

Ignoro il fischio nelle orecchie e mi affaccio alla finestra, in tempo per vedere le zanne della lucertola chiudersi su di lei.

Mi cedono le ginocchia.

Non ha esitato nemmeno per un attimo a ucciderla?

[Report #5591, #5592, #5593, #5594, #5595 scartati per ridondanza]

Lazerin | BUG RILEVATI | EINHERI Warden of humanity (funzionalità scese del 5%, tempo stimato di recupero 1959 ore) | EINHERI Ashley Sterling (131072 errori) | EINHERI Wyatt Jay (46 errori) | EINHERI Ronye Brionac (9 errori) | EINHERI Marilee Rivas (5 errori) |



Il ragazzo chino sulla soglia dell’appartamento ha forma umana, ma sotto i vestiti strappati spunta un reticolato di scaglie marroni e incrostazioni di ghiaccio.

Palo stende il braccio per impedirmi di passare e fa un passo indietro, spingendomi contro il muro del pianerottolo. Scintille elettriche le smuovono i capelli, si accumulano in un globo di plasma. Un cenno del capo e il dardo di energia incandescente si schianta sulla spalla di Wyatt, che crolla in ginocchio e ringhia.

La maglia gli prende fuoco. Lui pianta le dita ricoperte da scaglie appuntite e drizza il busto, i canini si allungando a vista d’occhio e sporgono da sotto il labbro inferiore, la sclera gli si è tinta di blu.

Ash allinea un altro dardo di elettricità alla sua fronte e spara, il rimbombo mi scuote il petto.

Wyatt ci scatta sotto e le placca le gambe, mi sbatte la sua nuca contro il naso. Il proiettile sfonda il pianerottolo come un biscotto secco. Mondo che male! Gli occhi mi si riempiono di lacrime bollenti.

La coda dell’anomalia si lega intorno alla caviglia di Palo e la sbatte contro il muro opposto.

Salto sulla schiena del ragazzo per rallentarlo ma vengo sbalzata giù dal pianerottolo. Incrocio gli occhi viola di Ashley privi di reazioni, le tendo la mano ma siamo già rassegnate. Fallito anche questa volta, eh.



Dischiudo gli occhi, sarò svenuta per massimo pochi istanti. Sangue caldo mi cola dalla testa ed è scivolato giù dagli scalini a cui sono appoggiata. È striato di un liquido verde e denso, mi scappa una risata debole. Siamo in quattro che stiamo smettendo di essere umani. Tiro un respiro tremulo, sento la febbre alzarsi.

Non è ancora morto nessuno, se dovessimo resettare per colpa mia sarebbe estremamente frustrante.

«Ronye!» Yelena scende le scale di corsa, alle sue spalle Ashley rimane un paio di passi più indietro e ferma. Gli occhi viola mi osservano vitrei, senza riconoscermi e senza dolore. Sussurri e gemiti mi accarezzano le orecchie, quei suoni la seguono costantemente ormai.

Capisco che non mi riconosca, ma la morte ha davvero perso significato se non reagisce nemmeno un poco.

Yelena mi si china accanto, tende le mani illuminate da un tenue bagliore azzurro. Scoppiano. Le ritira, cacciando un gemito di dolore. Sangue gocciola dai palmi segnati, un tempo una ferita del genere sarebbe guarita in un attimo.

Stringe i denti e corruga le sopracciglia, frustrata. È un’espressione fin troppo umana.

I palmi si riaccendono di azzurro, un altro scoppio violento ci arriva alle orecchie e mi arroventa la pelle. Le tremano le braccia ma le impone sulla mia testa, la bocca serrata che non lascia sfuggire un solo mormorio.

Le metto una mano sul dorso. «Fermati.»

«Mi fate venire il nervoso.»

«A chi lo dici.»

Le dita non accennano a guarire, Yelena le riaccende di potere e di nuovo scoppiano. L’unica tra noi con i super poteri stabili ora è Ashley. È spaventosa la cosa.

«Perché non vi fidate dell’altra?» Abbassa le mani, sconfitta e mi accarezza la testa con un tocco fin troppo materno. «Vi scavalcate continuamente cercando di fare anche il lavoro dell’altra. E poi fate questa fine.»

«Scusa.»

«Non dirlo se non lo pensi.»

Dovrei dirlo lo stesso. Vorrei aiutare Wyatt e Marilee, non voglio rovinare gli sforzi di Ashley, ma ho così tanta paura di ritentare. Un giorno temo che scoprirò che sto diventando anch’io quell’essere che mi fissa apatica dalla cima delle scale.



[.note a margine]

Immaginate un essere in grado di sapere la posizione di ogni singola particella all’interno dell’universo. Ora immaginate che abbia una capacità di calcolo così potente da permettergli di dedurre come queste particelle interagiscono in-real-time. Un essere simile sarebbe in grado di prevedere il futuro e di leggere il passato?

Questo è il concept da cui sono partita per definire l’antagonista di questa storia. Vi passo un link all’articoletto di focus che spiega la teoria con un po’ più di attenzione. Non ho video da allegare questa volta perché non ho trovato nessuno che andasse oltre la spiegazione base del concetto e del determinismo e – piena onestà – io l’ho conosciuto da un arco narrativo in SeiButa.

https://www.focus.it/scienza/scienze/esperimenti-mentali-il-demone-di-laplace



Thank god ho preparato in anticipo il commento, altrimenti l’unica cosa che avreste ricevuto da me sarebbe stato Furinaohgodcosanonèla4.2digenshin

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Capitolo 18
*** BUG REPORT #5597, basta ***


XVII.
[Ronye Brionac]

Lazerin | Registrata singolarità mnemonica | EINHERI A�h!∅y St�rl1n∅ ( ▪ ▪ ▪ ▪ ▪ errori) | Si consiglia di interrompere le operazioni di manutenzione di “LAZERIN”, per disfarsi dell’entità che lo rallenta.



Una folata rabbiosa alza la sabbia e me la schiaffeggia sugli occhi, mollo la lattina tiepida sul telo e soffoco un ringhio. La risata di Palo mi echeggia nelle orecchie, quasi fa sparire i sussurri viscidi per un istante. «Fazzoletto?»

Scuoto la testa e mi sfrego le palpebre, le scaglie grattano la pelle come carta vetrata. «Cos’ha il tempo, oggi?»

Ashley scrolla le spalle, sposta lo sguardo sullo sdraio dove Yelena dorme, coperta da un paio di giacchette che abbiamo raccattato in giro. Alza il naso: il cielo è una macchia scura di nuvole grigie.

Raccatto la lattina. «Piove sul bagnato.»

«Succede.» La melodia di decine di violini arriva dalla tasca dei pantaloncini di Ash, tira fuori il cellulare. Sotto la ragnatela di fratture del display brilla il viso arruffato di Limy, ha una macchia di inchiostro lungo la guancia.

Il vento sgarbato le sposta la frangetta rossa, corruga la fronte.

Le tendo la mano. «Vuoi che faccio io?»

Batte le nocche sulla gamba e si alza. «Me la caverò bene.»

Ne dubito. Le prendo un lembo della maglia. «Palo.»

Ashley blocca lo schermo: il trillo dei violini svanisce, il vento freddo e i sussurri gorgoglianti mi sfiorano le orecchie. Si accuccia con le braccia appoggiate sulle cosce e mi fissa negli occhi; vicino all’attaccatura dei capelli ha decine di puntini rossi lì dove si è strappata le piume di dosso.

«Me la caverò bene,» dice.

Allungo le mano per tirarle uno scappellotto, ma mi blocca il polso. Si arroventa come se me l’avessero stretto con un ferro caldo. Le unghie si allungano, una membrana sottile collega le dita. Me la scrollo di dosso.

Mi lascia andare senza proteste, arriccia le labbra in un sorriso sarcastico. «Queste reazioni da tsundere poi, da te, non me le aspettavo.»

Ashley salta indietro e le tiro un calcio istintivo, mi afferra la caviglia. Brucia! Sulla pelle affiorano decine di quelle scagliette. Si stacca e ricade sulla sabbia di culo, scrocchia le nocche e torna a guardare lo schermo.

Stava schivando ancora prima che la colpissi. Che diamine–

Mi porto le gambe al petto, mi tremano le spalle ma mi trattengo dal chiederle cosa sei diventata? Ho paura della risposta. «Questa situazione è ingestibile.»

Il vento ruggisce, mi schiaffeggia la faccia e trascina via le giacchette di Yelena. Si perdono tra i mulinelli di sabbia e gli ombrelloni chiusi, un paio si sono inclinati e spezzati di netto.

Sorride, quieta. «Io la trovo gestibilissima. Yelena ci lascia fare quello che vogliamo e, guarda, questa volta non ci siamo fatti neanche una ferita!»

«Che la Guardiana dell’umanità ci lasci fare questo casino è strano!»

«Sono convincente.» Allarga le braccia, si alza con un saltello energico. «E tu ti preoccupi troppo, ora scusami… Ho una telefonata da fare.» Infila le ciabatte e si incammina per la battigia, le voci striscianti si perdono nello sciabordio delle onde.

L’ennesima folata gelida mi frusta la faccia, raggiunge Ashley e le gira intorno come uno scudo. Porta il cellulare all’orecchio e calcia un’onda, schizza spuma ovunque. È terrificante quanto sia rilassata.

Se continua a negare la realtà, parlerò con l’unica che può costringerla.

Vado allo sdraio, riposino o meno almeno lei dovrà darmi ragione. La Guardiana dorme come una bambina beata, le metto una mano sulla spalla. È ferma, il petto non si muove neanche di una virgola. Una morsa d’ansia mi stringe lo stomaco, la scuoto. «Oi!»

Yelena apre gli occhi e prende una grossa boccata d’aria, si accartoccia contro il mio petto e tira una scarica di tosse. Non mi sono sbagliata, non stava respirando fino a un attimo fa. Mi afferra il braccio, un filo di sudore le cola giù dalla tempia. La membrana che collega le dita retrocede, le scaglie si riassorbono alla pelle.

Le stringo la mano. «Ashley non è normale.»

«Ah, Ashley, sì.» Tira su il viso, gli occhi punteggiati di stelle sono dilatati e rossi. «Cosa… cosa c’è?»

Che ha? Accidenti. «Hai capito quel che ti ho detto?»

Annuisce. «Senti, rimani indietro… Stai direttamente fuori dalla spiaggia finché non ho finito.»

Non mi piace come l’ha detto. Seguo il suo sguardo, spaccature profonde si irradiano intorno ai piedi di Ashley. Sabbia e acqua cadono nelle profondità della terra. «Ti aiuterò.»

«Oh, nonono.» Si mette in piedi, le gambe le tremano e mi finisce addosso. Stringe i denti e accende i palmi di azzurro. È penosa, una dea non dovrebbe essere così. «Non ha più coscienza di sé, non ne usciresti bene.»

Non stiamo parlando di un animale. «Cambio di programma. Ci parlo io, tu tornatene pure a dormire.»

«Ronye, per favore, no.»

La terra trema, un boato risale le fratture e si distorce in un grido. Una rampa di roccia si impenna di fronte a noi e sale, sale, sale fino a far sparire la schiena immobile di Ashley. Mollo Yelena e la risalgo di corsa, la guardiana si sfaccia con un «ow!»

Una raffica raccoglie l’acqua verdastra e la fa turbinare intorno a Palo, che rimane immobile con il telefono all’orecchio.

Mi sporgo dalla rampa, saranno nemmeno tre metri di discesa ripida che terminano in una sottile passerella di sabbia bagnata circondata da entrambi i lati dal baratro. L’acqua marina si rovescia nei buchi come una cascata.

Deglutisco. Yelena è l’unica che può fermare Palo con la forza, ma se la lascio fare rischio di lasciare che venga fatta fuori. Fatti coraggio, non tremare! Mi lascio scivolare giù, il fondoschiena gratta sul ruvido. Tocco terra e mi avvicino a passi leggeri.

Le raffiche mi smuovono i capelli, sono un bel cambio dal solito freddo crudele del ghiaccio ma ne farei a meno. L’uragano racchiude Ashley come uno scudo; il misto di acqua, conchiglie e alghe cela il suo profilo. Prendo fiato. «Cretinetti!»

L’idiota sussulta. Gira la testa e mi tende la mano, gliela stringo. Uno strattone mi trascina dentro l’occhio del ciclone, arpiono le spalle di Ashley e mi premo contro di lei per non essere trascinata via.

Vado a fuoco.

La febbre di alza e gli occhi mi si appannano; l’urlo del vento si attutisce, sostituito dai sussurri. Sono vocette sottili e malevole, ridono. Mi avvolge con un solo braccio. «Scusa, mi sono fatta prendere dai pensieri.»

«Te l’avevo detto che ti avrei dato una mano.» Scaglie mi affiorano sulle mani una dopo l’altra, i canini mi pungono la lingua.

«Ma dovrei sapermela cavare da sola con una cosa così facile.» Mi accarezza la schiena. «È che… mi ha chiesto come sto.»

«Scusa?»

«Non sapevo come risponderle.»

Ashley allarga le braccia e la spingo, ancora una volta ho l’impressione che si sia fatta indietro ancora prima che la allontanassi. Stringo i denti; bile mi si accumula in gola, la mando giù a fatica.

«Non stai bene, su questo dovremmo essere tutti d'accordo.»

«Suppongo che si possa dire così…»

«Testona…» Un ringhio basso mi risale la gola, serro gli occhi. «Più che fare la spavalda, dovresti chiedermi aiuto.»

«Perché?»

«Perché sono la tua migliore amica.»

«Perché?»

Siamo amiche, che c’è tanto di difficile da capire? «Ci siamo conosciute in terza elementare, quando ti sei trasferita con i tuo–»

Mi tira un colpetto sulla fronte. «Ci possiamo anche conoscere da tanto tempo ma guardarti in faccia mi innervosisce.»

«Guarda che è reciproco in questo momento.»

Un fulmine si abbatte in mezzo al mare, il rombo mi spacca la testa e alza una colonna d’acqua. Scariche le avvolgono le braccia e mi addormentano i muscoli. Mi posa una mano sulla spalla, l’elettricità si pianta a terra e asciuga la piattaforma di sabbia che ci sostiene. La scarica mi paralizza, brucia ogni briciola di coraggio di cui dispongo. «Palo fai male.»

Stringe. «Dovrei volerti bene, sei la mia migliore amica.»

Qualcuno mi aiuti. Scintille che le vorticano intorno esplodono come una bomba, mi arroventano la pelle e bruciano gli occhi.

Non voglio morire così.

Le risale malefiche si ravvivano, Ashley mi sta parlando ma non riesco a sentirla.

Ho paura.


[A�h!∅y St�rl1n∅]




Riemergo dal baratro.

Una colonna d’acqua statica si allunga verso il cielo, l’odore di bruciato e salsedine mi pizzica il naso. La sabbia intorno a me è diventata una lastra di vetro rovente che mi scalda le suole.

Ho paura.


La voce di Ronye è un piagnucolio penoso nella mia mente. Tra le dita stringo un einheri macchierellato di viola, il colore si diffonde in rivoli disordinati sulla superficie.

Non voglio morire così.

La colonna d’acqua si sfalda e scroscia a terra, mi inzuppa fino alle ossa e irrita gli occhi. Lo sfrigolio del vetro che si raffredda svanisce dopo pochi istanti. Non riesco a togliere gli occhi dall’einheri di Rho, il viola si sta diffondendo così velocemente.

Con ogni secondo che la trattengo la sto avvelenando.

Brucia.


Yelena si ferma all’inizio della passerella di vetro, fradicia da capo a piede e con un’alga verde che le pende dalla spalla. Una sagoma elettrica si stacca da lei, cammina a passi rapidi e avvolge le dita intorno a Ronye. Sbatto le palpebre.

Tempo di un respiro e Yelena si avvicina, mi strappa l’einheri di mano. Non faccio nemmeno resistenza, non voglio più sentire quelle urla. Le sagome elettriche si staccano dal mare e tendono sulla battigia cristallina, cadono nella voragine. Un istante dopo da un’onda le raggiunge e si butta nel vuoto con uno scroscio violento.

Una sagoma elettrica corre in cielo, inseguita da un aeroplano. Decine e decine di sagome si sfalsano dagli ombrelloni, i gabbiani e mi mostrano il futuro prossimo.

Yelena avvicina la pietra al petto, ogni tre rivoli viola che spariscono uno compare e serpeggia tra gli sbozzi. La mia stessa presenza sta rallentando l’influenza benefica della guardiana.

E non mi importa. Perché non mi importa!?

Una sagoma si stacca dai miei piedi, chiude le distanze con la dea e le mette le mani intorno al collo. Serro gli occhi, non si realizzerà. Non è una predizione che voglio, non dopo–

Un singhiozzo frustrato mi chiude la gola, Ronye è di nuovo una pietruzza e non riesco a esserne triste.

Yelena avvolge un panno intorno all’einheri macchiato, lo infila nella tasca dei pantaloni. «Sei d’accordo che è stata passata la misura?»

Annuisco, non mi fido della mia voce in questo momento. Mi punta gli occhi screziati di stelle addosso, quasi si aspettasse di sentirmi dire altro. Che devo dirle? Ha ragione, cambiare il passato non è per esseri umani.

«Non usare quei poteri, dovrebbe bastare a rallentare la degenerazione.» Mi dà la schiena. «Appena mi riprendo torneremo indietro, ti darò modo di salutarla ed eliminerai l’anomalia per me. Poi, ti piazzerò tra le stelle, indipendentemente da quante vittime farai.»

Si aspetta che uccida altre persone, eh. Non che le abbia dimostrato di saper fare di meglio. Mi abbraccio le spalle. «Grazie.»

Si ferma sul posto, ma non mi guarda in faccia. «Di cosa?»

Una sagoma elettrica si stacca da me, stende il braccio e Yelena cade di faccia e scivola giù per il baratro. Succederebbe tutto in meno di un secondo, se lo volessi. Sono così potente rispetto a lei che potrei rubarle il titolo di guardiana. Sussurri e risate mi riempiono le orecchie, se prendessi il suo posto potrei creare un mondo a mio piacimento.

Uno dove Ronye è viva, Yelena è libera dai suoi rimpianti e io…

Io potrei smettere di essere tormentata dai desideri di Ashley Sterling.

Soffio via tutta l’ansia che mi preme sul petto. «Mi lasci la possibilità di rivederla un’ultima volta. È un rischio stupido da prendere.» Faccio una risata senza forze. «Ma molto gentile da parte tua.»

«Non gentile,» ribatte Yelena, tagliente. «Non voglio rimanere con altri sensi di colpa.»

Peccato che importi solo a te di questa cosa.



[.note a margine]

Ad inizio progettazione la morte di Ronye per mano di Ashley era l’unico evento di cui fossi sicura. La scena non è rimasta minimamente come l’avevo progettata. Kirbo e NonLoSo mi ha fatto modificare l’importanza di Ronye nella fic, Tubo mi ha fatto scoprire let it die, che è diventata la OST dell’intero capitolo. Swan e Slaine hanno ugualmente influito sulla gestione dei personaggi.

Laplace è un lavoro bello differente rispetto a quello che avrei potuto fare da sola.

Also Mixxo, compare di scrittura, volevi il breakdown di Rho. Spero che questa alternativa non ti dispiaccia.

Love y’all.

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Capitolo 19
*** BUG REPORT #5598, aiutami ***


XVIII.
[Ronye Brionac]



Ripristinata la timeline 5574 con successo

Lazerin | Registrata singolarità mnemonica | EINHERI Ashley Sterling (impossibile calcolare gli errori) | Si consiglia di interrompere le operazioni di manutenzione di “LAZERIN”, per disfarsi dell’entità che lo rallenta.



«Wasurete shimatta koto dake o oboete iru.»

Dischiudo gli occhi, la luce del telefono rischiara il comodino e il poster con gli MC giocabili di Soul Slayers attaccato al muro. Le note malinconiche del pianoforte mi cullano, stringo le labbra e mando giù uno sbaglio.

«Pokari to aita ana no saki de kimi to deatta.»

Raccolgo le gambe al petto, le ossa scricchiolano una lamentela acuta. Serro le palpebre e arriccio il naso; andiamo, non posso ammalarmi in questa stagione! Sarebbe più sensato essere stata stirata da bulldozer mentre dormivo, in questi giorni non ho fatto sforzi da giustificare acciacchi simili.

Vabbe’, tanto non ho più un capo che possa lamentarsi se non mi presento un’ora prima sul luogo di lavoro.

«Namae mo kao mo wakaranai kimi.»

Lo stomaco brucia, ci premo le mani contro ma la sensazione sgradevole non si cheta. Tossisco, il fastidio risale e stringe la gola in un fitta straziante. Catarro viscoso si attacca alle tonsille, mi sporgo fuori dal letto e tiro due colpi contro il petto.

«Nandaka natsukashii youna ki ga shita.»

Sputo una sostanza verde luminescente che si stampa sulle piastrelle, sfrigola e getta un filo di bruciato. Che cazzo. Arpiono il cellulare e cerco il tasto per spegnere la sveglia.

«Tagai ni ana umete ik–»

La voce ruvida della cantante sparisce, clicco l’interruttore accanto al letto. La lampadina sfarfalla un paio di volte e si accende; una manciata di crosticine verdi, ruvide e irregolari, mi tappezzano le dita. Ci passo un dito sopra, non si staccano. Le gratto, bruciano ma rimangono lì.

Il dolore di stomaco è nuovo, ma a quelle ci sono abituata. L’odore di pietra calda mi pizzica il naso, come ho fatto a pensare che anche solo una di queste cose fosse normale!?

Mi butto giù dal letto e spalanco la porta di camera. «Mamma!»

«Son con nonna!» L’urlo arriva dal piano inferiore. «Vieni a darci una mano con i pan ranocchio.»

Ovviamente un’altra di quelle ricette strane da social, sia benedetto il giorno in cui le ho spiegato come accedere a Leaf.

Lo stomaco ribolle, soffio una protesta a bassa voce e stringo la maniglia della porta. Se ho altra di quella roba dentro, mi ritroverò a groviera in poco tempo eppure non mi preoccupa. C’è qualcos’altro che sto dimenticando, qualcosa di parecchio più importante che riguarda… quadri? Il mare?

Scendo gli scalini a due e due aggrappata corrimano, un ragazzo dai capelli castani arruffati sta uscendo seguito da papà in divisa. Inchioda sul posto. «Ronye?»

L’altro mi rivolge uno sguardo, ha gli occhi segnati da pesanti occhiaie e un accenno di barba. Un ricciolino gli ricade sulla fronte. Mi è familiare, dove l’ho già visto?

Salto gli ultimi tre scalini e li raggiungo, mostro le mani. «Hai idea di cosa siano?»

Papà sussulta come se l’avessi schiaffeggiato. «Non per essere bastardo ma mangia qualcosa e lava i dent–» La voce gli si spegne.

Mi puzza l’alito? Metto una mano davanti alla bocca e soffio, l’odore di acidi mi schiaffeggia il naso, è ributtante. Tappo la bocca, che vergogna.

Passano minuti di silenzio imbarazzanti, mamma si sporge dalla porta della cucina con il naso e i riccioli sporchi di farina. Papà mi prende il polso e passa i polpastrelli sulle crosticine verdi, riconosco la sensazione della sua pelle ruvida. Questa roba è sensibile, non è semplicemente attaccata. Tamburello il piede a terra e mi concentro sul tavolo della cucina, nonna scarica tre cucchiaiate di crema grandi quanto palline da gelato sulla base del pan ranocchio. Accanto alla ciotola verde ha già modellato le zampette e gli occhietti da attaccare alla sua opera d’arte.

Mamma si avvicina. «Non ho mai visto una cosa simile.»

La rana? Ah no, la mia mano, vero! Serro le labbra per non alitarle addosso, lo stomaco mi brucia.

Papà mi lascia. «Hai idea di come te le sei fatta?»

Scuoto la testa. «Non le avevo ieri sera, credo.» Una fitta mi stringe le tempie, incasso le spalle. C’è un uragano che si alza dal mare, raccoglie alghe e sabbia ma trovo una figura immobile al centro di quel casino.

Ci mancano solo le visioni strane… scalpito, devo uscire e parlare con– con chi?

Papà e mamma si scambiano uno sguardo, lei serra le labbra in una linea sottile che accentua tutte le rughe del viso. «Andiamo… in pronto soccorso?» In una situazione normale il tono insicuro mi avrebbe strappato una risata.

Papà annuisce. «Per sicurezz–»

Lo sciabordio delle onde gli copre la voce, l’acqua scroscia giù da un precipizio ma nessuno reagisce ai suoni.

Mamma sfrega le mani sul grembiule. «Ti porto, dammi un attimo.»

No, non posso perdere tempo lì, scuoto la mano. «Vado da sola, pelle a parte mi sento bene.» Papà alza un sopracciglio e mamma mi fissa, non sono per niente convinti. Indico la cucina. «Dai, tu hai il turno e c’è nonna e…»

Non possiamo lasciarla sola perché è cagionevole di salute sarebbe la scusa perfetta, ma se mi azzardo a dirlo ad alta voce mi arriverebbe un matterello sulle ginocchia.

Nonna sbatte le mani sul tavolo e si alza. «Liam!»

Papà scatta sull’attenti. «La porto io!»

Ecco, quella donna fa paura.





Papà scala fino alla seconda e svolta a destra del campo sportivo, la macchina rallenta e imbocca l’entrata della settantatreesima. La strada è costeggiata da una fila di condominii e parcheggi dalle strisce blu. Il profilo dell’ospedale, circondato da sempreverdi, svetta sulla maggior parte degli edifici.

Ricciolino è seduto accanto a papà e mi fissa truce dallo specchietto retrovisore; con la faccia da morto che ha, farebbe paura anche se sorridesse. Le spalle gli si alzano, si incassano dopo qualche secondo incurvate dal peso del mondo.

Dopo aver perso la sorella, mi aspetto che Rivas si comporti diversamente?

Trattengo il fiato e poggio il gomito contro lo sportello per sostenermi il viso, non riesco a venire a capo dei miei pensieri oggi. Qualcosa là fuori mi chiama, sulla schiena mi cola l’ansia di star dimenticando qualcosa di essenziale.

Papà svolta nel parcheggio colossale dell’ospedale, cerca un posto libero tra le file gremite.

Slaccio la cintura e mi sporgo tra i due sedili. «Non c’è bisogno che mi accompagni dentro.»

Mi lancia un’occhiata di sfuggita, si ferma per lasciar passare un paio di nonni con i nipoti al seguito. «Sicura?»

«La tua presenza non cambierebbe molto, magari finiamo per scoprire che è una cosa normalissima… tipo, preoccuparsi per ora è scemo, no?» Lo stomaco mi ribolle, un grumo di catarro acido minaccia di risalire.

Si accosta accanto a un paio di parcheggi occupati. «Non voglio lasciarti sola solo perché ho il turno.»

Gli do un buffetto sul viso. «Sto bene, davvero.»

Rivas, cioè Ricciolo, si schiarisce la gola. «Anche un amico di mia sorella li ha avuti.»

Le spalle di papà si rilassano. «Davvero, Riv?»

Il sorriso triste di una ragazzina castana si riflette sul parabrezza, si lancia in un baratro di ghiaccio aguzzo. Mi stropiccio gli occhi; crosticine verdi sulle mani, roba acida nello stomaco e allucinazioni visive. È una malattia dannatamente specifica da avere.

Rivas gira il busto, gli occhi arrossati mi squadrano le dita. «Sei stata in qualche posto insolito? Magari ci aiuterà a capire le origini di quelle scaglie.»

Le copro. «Non proprio, ho alternato casa lavoro negli ultimi mesi.»

«In che zona lavori?»

Mi trattengo di correggerlo con lavoravo, non ha bisogno della storia di come sono stata licenziata. «Sedicesima, presente la sede principale di quella azienda di robotica?» Mi sfugge sempre il nome. «Facevo siti web in un edificio lì vicino.»

Rivas mormora, perplesso. Cerca lo sguardo di Papà che scuote la mano. «Ti faccio vedere la zona dopo.» Si appoggia al volante e tira le labbra in uno dei suoi rari sorrisi aguzzi. «Ti dirò, ce l’ho con quelli là. Tra mobbing dilagante etc, vorrei avere la scusa per drizzargli la schiena.»

Ricciolo annuisce, come se potesse capire da un discorso così fuori contesto! «Ma come avete risolto?»

Non voglio neanche ascoltarli; il mare, la galleria o qualsiasi cosa sia mi sta chiamando. Spalanco lo sportello e scendo.

Papà continua, imperterrito. «L’unica che ha avuto il coraggio di difendere quella ragazza è stata Ronye e l’han subito–» È ancora furioso, la prima volta che avrà un pretesto gliela farà pagare.

«Vi chiamo appena so qualcosa. A dopo!» Sbatto la portiera.

Il finestrino dal lato di papà si abbassa. «Tieni il telefono acceso!»

Lo saluto con il braccio e attraverso il parcheggio dell’ospedale di corsa, rallento davanti alla bacheca dei manifesti accanto alle scale per accedere al giardino esterno. Il tripudio di viola e gialli è una locandina per l’anniversario della fioritura degli aster, al Granaio hanno organizzato una mostra specifica che partirà dal–

Una morsa di tristezza mi stringe il cuore, un paio di lacrime mi scivolano giù dalle guance. Le scaccio con il palmo della mano.

Ashley?

La incontrerò questa sera dopo mesi che non le davo udienza per uscire, mi è mancata parecchio se ho questa reazione assurda. Mi stropiccio gli occhi, ci sono un paio di manifesti con il viso di due ragazzini. Wyatt Jay e Marilee Rivas, la polizia promette un premio in denaro per chiunque abbia informazioni che porti al loro ritrovamento.

Riconosco gli occhi gentili della ragazza, sono gli stessi di Ricciolo, gli stessi dello spettro che ho visto sul parabrezza. Una fitta mi stringe la tempia e mi manca la forza nelle gambe, un lampo nero attraversa il cielo e lo squarcia come se fosse carta.

Mi scappa una risata nervosa, le allucinazioni stanno diventando troppe. Fortuna che il pronto soccorso è a un passo di qui.

Grida di panico riecheggiano in strada, un signore anziano alza gli occhi e incespica sulle scale per il giardino, afferra il corrimano in tempo per non sfacciarsi. Due ragazzi corrono alla macchina, gli zaini rimbalzano contro le loro schiene.

In cielo nebbie rosate vorticano intorno a un edificio altissimo che pende sulla città, minaccia di cadere da un momento all’altro e distruggere tutto.

Deglutisco, lo squarcio si ricuce e rimane solo il cielo azzurro. Una dopo l’altra, decine di motori si accendono, non ho idea di dove i conducenti pensano di nascondersi quando è il cielo stesso che è stato spaccato.

Ashley ha combinato un casino. Ashley? Di nuovo quella tristezza soffocante mi artiglia il cuore, perché Ashley dovrebbe… Afferro il telefono e digito il suo numero, la chiamata va giù l’istante dopo.

Il numero da lei chiamato è attualmente spento o non raggiungibile.

Il cellulare vibra, una notifica da Ashley accende lo schermo. “Scusa, non mi va molto di parlare.”

Digito in fretta. “Perché?”

Sarà raggomitolata da qualche parte a deprimersi, occhi viola e pelle punteggiata di rosso per tutte le piume che si è strappata di dosso… Ho dimenticato qualcosa di grosso e tutti questi flash scollegati sono il mio cervello che mi sta prendendo a calci per la frustrazione.

Il cellulare vibra. “Robe.” Arriva un’altra notifica. “Mi dispiace, sono irritante lo so.”

Solita vittimista del cavolo. Ogni volta fa tutto da sola poi si comporta così quando non ce l’ha fa più, neanche considera di chiedermi aiuto anche se sono qui per questo!

Serro le labbra, la lingua mi si addormenta e la pelle brucia. Vesciche e bolle mi tappezzano la pelle, scoppiano e si anneriscono. Mi passo una mano sugli occhi e mi appoggio alla bacheca con la schiena, questi dannati ricordi scollegati sono irritanti.

Mi tocco la lingua, percepisco la pressione e il sapore lievemente salino della pelle. Confermo, sono stata uccisa e questi sono solo dolori fantasma dell’evento.

Una notifica fa trillare il cellulare, sempre Ashley. “Allora ciao.”

“Palo, mi ricordo cosa è successo.”

Ashley sta scrivendo…

Smette.

Ashley sta scrivendo…

Una vibrazione. “Mi dispiace.”

Cretina. Clicco la casella di risposta. “Pensi di cavartela così? Dimmelo in faccia almeno!”

“Sto risolvendo il problema che ho creato.”

Le scrivo: “dimmi dove sei.”

Attendo, le notifiche fioccano da ogni sacrosanto gruppo in cui sono stata ficcata. Arrivano immagini, scatti della torre immersa nella nebbia rosata. Nulla da Ashley. Il bruciore mi risale la gola, tossisco contro il palmo e un grumo acido finisce sulla mano. Il dolore è istantaneo, lacerante come la sensazione di essere presa in pieno da un fulmine.

Pulisco il grumo contro il fianco dei pantaloni, l’odore di pelle e tessuto bruciato mi pizzica il naso.

Ancora niente da Ashley.

“Palo, è una questione di tempo prima che mi ricordi dove cercarti.”

Ash!

Rispondi.” Ti prego.

Apro il menù degli stickers, ne clicco uno a caso ancora, ancora e ancora…

Il display viene sommerso dal nero, papà ti sta chiamando capeggia al centro insieme a una sua foto. Mi tiro indietro la frangia e premo il tasto verde ancora prima che parta la suoneria.

La sua voce è asciutta. «Stai bene?»

Un buco nel fianco dei pantaloni, una vescica da bruciatura enorme nella mano e un’amica che sta per ammazzarsi per quello che ne so. Mando giù la tristezza. «Immagino tu abbia visto il casino in cielo.»

«Ho sentito le urla,» obietta. «Ti sto tornando a prendere.»

«Per fare che? Sarà stata un’aurora boreale strana.»

Papà borbotta. «Strana? Ronye, non scherzare.»

Sì, non ci crederei nemmeno io. Il cellulare trema, un altro messaggio. «Non è che possiamo farci qualcosa pa’, anche se torno a casa. Mi conviene entrare in ospedale e pensare al primo problema.»

Dal mare sta arrivando una macchia di nuvole scure che mi è fin troppo familiare, Ashley sta per scatenarsi di nuovo. Perché Yelena non mi ha aiutato a ricordare le vecchie timeline, questa volta?

«Sia io che tua madre saremmo più contenti a saperti a casa.»

Li capisco, in caso di apocalisse le comunicazioni potrebbero sparire da un momento all’altro e i miei preferirebbero di gran lunga essere insieme negli ultimi momenti del pianeta. Ma non si parla di apocalisse.

«Pa’...» Mi lecco il labbro. Ashley è davvero viva? Chiunque potrebbe scrivermi dal suo telefono e fingersi lei, soprattutto una dea immortale. «Torno a casa a piedi, al lavoro avranno bisogno di te e camminare un po’ non mi ucciderà.»

Papà emette un suono di gola. «Non fare deviazioni.»

«Certo, mezz’ora e sarò a casa.»

«Chiama quando arrivi.»

Metto giù. Il mondo sta andando a rotoli, quindi c’è qualcosa che lo sta mandando a rotoli. Yelena, per quanto sospetta, cura con la sua sola presenza i danni delle anomalie quindi… Quindi posso sperare che Ash sia ancora viva, devo solo raggiungerla il più velocemente possibile.

Le notifiche dall’app di messaggistica e dal browser si sono moltiplicate, scorro il menù a tendina. Tra nomi di gruppi e parenti, trovo quello di Ashley. Lo clicco.

“Aiutami.”

Mi gela il sangue nelle vene, giro i tacchi. Il museo civico è lontanissimo ma, se non ci sarà lei, ci sarà il suo collega. Posso chiedergli la macchina e poi prego, spero, che il mio istinto mi dica il prossimo edificio da raggiungere.

Le scrivo un messaggio di fretta.

“Sto arrivando.”





[.note a margine]

Questa settimana mi sono presa più tempo del solito per scrivere la bozza dei prossimi capitoli (mi manca solo da finire di abbozzare l’epilogo, yo!) e mi sono dimenticata di mettermi a correggere quella dell’effettivo capitolo da postare, lmao.

La storia si è allungata di un capitolo extra perché Yelena ha fatto la donna difficile; per colpa sua la bozza di questo capitolo aveva raggiunto le 3500 parole. Per dare contesto, le mie bozze dopo essere state corrette tendono a guadagnare almeno ¼ di parole extra.

Alcor e la disorganizzazione, let’s goooo.

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Capitolo 20
*** BUG REPORT #5598, stelle binarie ***


XIX.
[Ronye Brionac]



Spalmo la spalla contro il muro di facciata del Granaio e prendo fiato, mi scoppiano i polmoni. Venti minuti di corsa solo per arrivare qui, avessi avuto le gambe lunghe di Ashley ci avrei messo la metà. Tossisco, schizzi acidi si spargono sull’asfalto e gettano sottili fili di fumo.

Uno spasmo mi scuote il petto, me lo artiglio. Onestamente, avrei bisogno anche dei polmoni di Palo.

Nuvole cariche di pioggia si sono stese sulla città, il tempo è talmente nero da sembrare notte. Se altri squarci si aprissero nel cielo, non sarebbero visibili. I lampioni si accendono con uno sfrigolio elettrico, i coni di luce rischiarano a stento la zona.

Lancio un’occhiata al telefono, mamma e papà staranno per accorgersi che non sono tornata a casa. Lo caccio in tasca e butto la mano alla porta del museo civico, la sbarra rossa cede. È aperta.

Le scaglie sulle dita si scoloriscono e riassorbono, il dolore allo stomaco si calma ma la vescica da bruciatura sulla mano rimane. Entro; se solo i segni di anomalia svaniscono, significa che la bastarda è qui.

Dalla cima della scalinata la sua incisione mi rivolge un sorriso quieto. Raggiungo l’ufficio e mi spingo fino al retro dove ci sono i bagni: trovo solo un paio di scatole piene di cartacce e nastro adesivo isolante accatastate in un angolo. Corro nelle stanze opposte.

Quadri, quadri e quadri.

Niente da fare. Salgo le scale con le orecchie tese, un piagnucolio debole spezza il suono dei miei passi, qualcuno tira su con il naso. Non sembra una voce familiare… Arrivo in cima alla rampa, oltre le ampie vetrate il cielo nero viene spezzato da un fulmine che illumina la città a giorno.

Qualcuno sbuffa, è un suono gracchiante che pare arrivare da vecchie casse. «Non sono così tanto spaventosa.»

«Ma’am. Signora entità… io–» La voce del collega di Ashley si fa acuta.

Le seguo fino alla stanza dove ci sono tutti i manufatti degli schermitori, il ragazzo – Seth? – è accartocciato dietro a uno degli espositori. Una nuova statua luminescente si trova accanto a quella dello scudo rosso, coperta da una mantella bianca bordata d’oro e circondata da frammenti di cristallo vorticanti.

Yelena?

La statua fa un passo. Salto indietro e il ragazzo tira uno strillo.

La donna si avvicina a uno degli espositori, il volto privo di fattezze si concentra su ninnoli e stoffe custodite nella teca. Batte il dito azzurrino a livello di una coppia di dadi a dieci facce. Mi sono persa una trentina di timeline per strada!?

Seth mi lancia uno sguardo, gli occhi sbarrati e le labbra tremanti. «Chi cacchio sei tu?»

«Amica di Ashley.» Quanto lo preferirei svenuto, gli intralci dovrebbero stare zitti e muti. «Se ti può aiutare, sei nel primo episodio di una serie televisiva e stai per essere trascinato a salvare il mondo.»

«Scusa!?»

Yelena getta indietro le spalle e scoppia a ridere, la voce è come unghie sul vetro. «Avevo l’impressione che tu e Ashley non aveste preso seriamente la cosa, ma una serie televisiva? Magari.»

Costeggio il muro per raggiungere una delle spade decorative esposte, sarà meglio di nulla.

Yelena si passa una mano sul viso da manichino. «Lasciatelo dire, prima che sprechi energia.» I frammenti che le girano intorno vibrano, sono scaglie di colori diversi, in ognuno ci sono milioni di piccolissime immagini sovrapposte. «Ashley Sterling è irrecuperabile. Dovrei ricrearla da zero e sarebbe solo una imitazione della tua amica.»

Balle. Ha perso il controllo di tutto; ma se può resettare un intero mondo, deve poter recuperare una sola persona. Sfilo la spada da schermitore appesa al muro: tutti i gioielli che decorano l’elsa la appesantiscono inutilmente e la lama avrà visto solo cerimonie.

La punto contro la donna. Non è pensata per essere utilizzata in battaglia e io voglio usarla contro una divinità. Soffio via l’ansia.

Seth piagnucola. Stesse zitto!

Yelena mi mostra il palmo aperto e indica da capo a piede. «Si è rotta per risparmiarti la morte e tu fai questo?»

«Salvarla? Yep, lo sto facendo.»

Schiocca la lingua, l’anello di frammenti tintinna come campanelle a vento. «Non saremmo a questo punto se mi aveste ascoltato fin dall’inizio!»

«Se volevi farti ascoltare, dovevi porti in modo diverso.» Saggio il peso della spada, la stringo. Ci sono teche espositive e vecchi mobili sfalsati che ingombrano il passaggio, chiudere le distanze senza farsi attaccare sarà borderline impossibile. «È da quando abbiamo iniziato che non fai altro che riproporci la sceneggiata della dea incompetente, ma sei onniscente. E ti sei rifiutata di lasciarci informazioni basiche.»

Yelena tamburella le dita cristalline sulla teca, il volto passa su tutte le vestigia delle schermitori. «Una recensione piuttosto dura, eh.»

«Obiettiva, vorrai dire.» Passo intorno a uno degli espositori. «E poi non mi hai aiutato a ricordare questa volta, perché?»

Un singhiozzo soffocato di Seth echeggia nella stanza. Un fulmine squarcia il cielo, si riflette sulla pelle cristallina della dea e l’anello di frammenti. Decine di coni di luce esplodono in ogni direzione con l’intensità di una flashbang, stringo la spada e tendo le orecchie.

Mi colpirà da dove–

Le macchie scure nella vista spariscono, Yelena è ancora lì accanto alla teca con i dadi. Era il momento perfetto per disarmarmi e non l’ha fatto… si sente così superiore con la sua divinità?

Eppure ha perso potere, non sarebbe in questo stato altrimenti.

«Cosa vuoi da Ashley?»

«Chissà…»

Lo sa benissimo cosa vuole e se voglio contrattare devo scoprire di che si tratta. Procedo a passi leggeri, con la guardia alta.

Yelena fa un passo indietro. «Oh no-no! Non toccarmi.» Allarga le braccia, il cerchio di cristalli intorno a lei freme. «Ognuno di questi frammenti contiene almeno tremila anni di ricordi. Se tu perdi il senno perché li tocchi, non avremo una conversazione produttiva.»

Un brivido freddo mi scende la spina dorsale, ecco il mio biglietto per uno scambio equo. E non so se è un prezzo che sono in grado di pagare, ma se ci riuscissi… potrei fermare l’apocalisse e recuperare Palo.

Espiro, mi trema la mano.

Spingo il tavolino espositivo di mezzo e scatto, le gambe di legno grattano sulle piastrelle ma si spostano di appena una manciata di dita. Sbatto contro l’angolo con il fianco e trattengo un’imprecazione, sono partita malissimo. Corro avanti.

Yelena si getta dietro la teca dei dadi e abbassa, seguita dal tintinnio dei pendenti dorati della mantella. «Tu e Ashley siete dannatamente uguali!» protesta.

«Vieni qui!» Tendo le dita sull’anello di frammenti, che si ritira fino a sfiorare le sue spalle. La spada è inutile se questo è il suo modo di affrontarmi.

«Non farmi essere volgare!» replica.

Agguanto le gambe del tavolo che ci separa e lo rovescio, le chincaglierie di chissà quale schermitore volano giù dalle loro posizioni e si mischiano nella teca con un gran baccano. Yelena tende la mano per fermarlo, l’anello di frammenti si allenta.

Afferro una pietra. L’odore pungente dello zolfo mi pizzica il naso, la ruvidezza del legno contro il viso. Uno dopo l’altro, decine di frammenti mi sbattono contro il braccio teso. Diversi macigni mi premono sullo stomaco mentre galleggio nel mezzo di un mare verde, il sapore della sacher di Marie-Anne è un retrogusto dolce sul fondo della lingua.

La stanchezza.

Sono così stanca…

Yelena si sfoca in una macchia azzurra e bianca. Uso la pietra come appiglio e calcio il terreno, placco la donna.



«Saresti tu la marionettista? Ah-ha! È imbarazzante.»

«Yel, tu puoi aver il dovere di difendere l’umanità. Io voglio salvare le persone che amo.»

«L’oceano mi piace, là sotto non ci sono persone.»

«Penso che taglierò questi fili, credo sia ora di un cambiamento Guardiana»

«___________________!»



C’è troppo. I ricordi di Yelena sono davvero troppi.

Sono sdraiata sulla sabbia, sto scalando il monte più alto e bruciando sotto macerie. Milioni di voci parlano una sopra l’altra, distinguo a malapena pochi urli nel caos. Una mano d’ansia mi stringe il petto.

Sono così arrabbiata.





«Joshua che ha trovato quella caverna piena di cristalli, Marie-Anne che fa quella variante della sacher che ti piace. Cael e Aer, non sono l’umanità, sono persone!»



«Tu la chiami vittoria? Ti rendi conto di quanti sono stati sacrificati!?»





Corro giù per una vallata, bagno le gambe nel fiume fresco e accolgo il sole caldo sulla pelle nello stesso istante. Le urla mi sommergono e sorrido, sorrido perché che altro posso fare? Si deve andare avanti, qualcuno deve custodirla l’umanità – qualcuno che possa fare eccezioni, non un sistema automatico che segua regole fredde e rigide.

Riposo sotto calde coperte e studio seduta a una scrivania di mogano, il treno mi sta portando lontano… in una regione in cui la guerra è appena scoppiata ed è finita da cento e passa anni. Il popolo taglia la testa al reggente e assisto, perché non ho alcun diritto di mettermi in mezzo.

Assisto?







«Non pensi che la Corona abbia bisogno di qualcuno che sa quello che fa?»





«Non voglio ancora addormentarmi, ho così tanto da fare…»





La campana batte il tredicesimo tocco.

Un silenzio innaturale cala sulla via del mercato, centinaia di persone ammassano la viuzza ma neanche una emette un soffio. La brezza scuote le cordicelle che pendono dai banchetti. Su ogni filo sono stati legati tre nodi a quadrifoglio, uno per ogni console che si è sacrificato per portare la pace.

Il quattordicesimo tocco risuona.

Il brusio si alza con l’intensità di una bomba. Sguscio tra una coppietta che sta scegliendo delle stoffe e costeggio il banchetto di libri antichi, la maggior parte di essi saranno imitazioni. I trenta rintocchi di Caer Ys mi accompagnano, memoria della fatica che è stata fatta per riscattare la libertà.

Ricordare è una cosa che piace agli esseri umani.

Raggiungono il marciapiede e seguo la strada. L’insegna del Giardino della regina è incuneata tra decine di stendardi a memoria dei tre consoli; sono gialli, rossi e blu: i colori delle tre famiglie dai quali provengono.

Mi fermo davanti alla vetrina della pasticceria, questa volta hanno piccole fette di torte tradizionali, biscotti e frutta candita. È tornato il sette del terzo mese! Dovrei scegliere qualcosa per festeggiare anche se non mi è ancora ben chiaro come far stare tremila e passa candeline su una sola torta…

Mio fratello avrebbe scritto vecchia sulla torta con il cioccolato e l’avrebbe chiusa lì. La gola mi si chiude, la sua faccia è una macchia sbiadita tra una collezione di macchie.

Se ricordare è per essere umani, devo aver smesso di esserlo da un po’.











Mi siedo e stendo le gambe oltre il bordo del tetto, la città è un mare verde. Riconosco ancora il profilo degli edifici, strade e automobili ma, con la morte dell’ultimo essere umano, la pianta infesto-tappezzante-chi-cavolo-ne-capisce-non-io-di-certo ha ricoperto tutto.

«Buon compleanno a me,» canticchio.

Il cielo è punteggiato di poco meno di otto miliardi di stelle, l’umanità si è estinta da a malapena cinquantatré giorni, a occhio e croce.

È tornato il sette del terzo mese, da queste parti lo chiamavano Fonte dell’acqua in quella lingua gracchiante che non sono mai riuscita a padroneggiare. Capisco improvvisamente perché i nonni non hanno mai voglia di imparare le nuove tecnologie, è sfibrante sentire tutto sfuggirti di mano e non riuscire a starci dietro.

Mi sdraio, il cemento mi rinfresca la schiena. Ho finito il mio lavoro, potrei chiudere gli occhi…

Ma il mio dovere è riportarli indietro ogni volta che si annientano.











Mi sporgo dalle mura; Caelum è in piedi al centro del giardino interno, circondato da corpi ammassati. Non voglio sapere quanti di loro hanno già esalato l’ultimo respiro. Pianta la spada a terra e drizza la schiena, rivolge il viso fradicio di sangue al sole.

Lui ha avuto la decenza di rimanere vivo.

Lo spettro delle labbra di Ardens contro la fronte brucia, stringo le labbra e mando giù la frustrazione. Scavalco le mura e mi lascio cadere, la mantella bianca mi appare sulle spalle e si gonfia all’aria.

Gli occhi cristallini mi seguono, atterro e gli corro incontro. Prima o poi doveva succedere una tragedia il settimo giorno del terzo mese, no? È ovvio quanto il fatto che il sole sorge la mattina.

Gli tendo la mano. «Riposa, Cael.»

Scoppia a ridere, la voce è un mormorio lacerato dalle urla delle ultime ore. «Quando Ardens diceva che eri una visione divina, non pensavo questo.»

«È tardi per iniziare a rispettarmi ora.»

«Meglio tardi che mai.» Si lascia cadere di schiena con uno sbuffo.

Non tengo a nessuna di queste persone…


Io non sono Yelena.





Riemergo e prendo un respiro, una ventata mi travolge e mi capovolta indietro. Rotolo su un pavimento nero che si confonde con il cielo punteggiato di stelle. Un forte bagliore bianco mi ferisce gli occhi, pianto le mani sulla superficie liscia ma vengo spinta comunque.

Tiro indietro i capelli, il paesaggio è spezzato da un enorme einheri che emerge da terra come un iceberg. Scie di luce lo avvolgono, si stringono e allontanano, regolari come pulsazioni di un cuore gigantesco.

Una si allarga di botto e mi frusta, mi riparo la faccia con il braccio.

«Tu la chiami vittoria? Ti rendi conto di quanti sono stati sacrificati!?»

Una stoccata di dolore alla gamba mi toglie il respiro, il peso di diecimila notti insonni mi schiaccia le spalle. Ho lasciato morire parecchie persone perché non posso intromettermi, devo proteggere l’umanità ugualmente.

Qualsiasi persona, anche i malvagi.

Stringo i denti, non lo farei mai.

«Io sono Ronye,» mi dico. Anche se ho vissuto milioni di vite umane attraverso i ricordi di “Yelena”, io sono Ronye. «Mi stai trascinando nelle tue paturnie. Dimmi come salvare Ashley.»

Il cristallo lampeggia e un’altra scarica di luce mi arriva addosso, mi schiaffeggia il viso.

«Saresti tu la marionettista? Ah-ha! È imbarazzante.»

Ho paura del sorriso soddisfatto che mi rivolge, sono immortale e mi spaventa. Si pulisce le mani dal sangue delle paladine che ho creato per difendere la terra. Non era quello che avevo scritto. Le ho create per vincere!

…Gioco con le vite umane? Non ero un essere umano anch’io?

Mi guardo le mani e le stringo. «Ronye, il mio nome è Ronye.» Mi metto in piedi e cammino verso il cristallo, ho le gambe stanchissime.

Un filo di luce mi schiaffeggia il fianco.

«Yel, tu puoi aver il dovere di difendere l’umanità. Io voglio salvare le persone che amo.»

Continuo a camminare, sento lo spettro di labbra gentili contro le mie. Non c’è niente di confortante nella stretta di Ardens, lo sto per perdere per una stupidaggine. Non si rende conto che non può salvarmi morendo?

Scaccio anche quei ricordi intrusivi, l’iceberg è distante due falcate. «Yelena, giuro che ti prendo a schiaffi non appena mi dai quello che mi serve.»

Ashley, mi servono ricordi che la riguardano.

Uno dopo l’altro frammenti di luce mi schiaffeggiano. Sono una cacofonia dissonante, molto più facile da ignorare rispetto a un solo ricordo per volta. Se per riavere Palo devo improvvisarmi psicologa, ben venga.

Sfioro la pietra.

Qualcosa nel mio petto si riscalda, una debole luce si tende da me e tocca l’iceberg, che si restringe. Un battito di ciglia, al posto della gigantesca struttura rimane una donna raggomitolata con le gambe al petto, gli occhi color galassia nascosti dalla frangia rossa. Il vento sparisce e i capelli mi ricadono in ciuffi disordinati ovunque, li sposto con una manata.

Yelena neanche mi fissa.

Ho raggiunto la sua anima e non si presenta per un’ultima protesta? Premo la lingua contro il palato, il cuore mi martella le orecchie e le gambe minacciano di cedermi. Mi siedo, si è fatta carico dell’umanità da sola e si è ridotta così.

Abbiamo un’idiota a custodirci, c’è da piangere.

Fortuna che sono abituata a trattare con gente del genere.

Le metto una mano sulla spalla e mi concentro su Palo, il piccolo filo di luce che ci collega si tende come se fosse stato tirato. I ricordi di Yelena mi afferrano, prima l’odore della salsedine, il freddo del vento sulla pelle…





Una folata fa tremare le fronde degli alberi, tengo fermo il cappuccio della mantella bianca e mi infilo nella stradina incuneata tra due villette vacanze. Il braccio scintilla di azzurro sotto il sole estivo, mi sono ridotta a un cristallo su gambe e non riesco ad assumere forma umana.

«Non sono capace di fare nemmeno la cosa più basica.»

Sbuco nella strada che costeggia la spiaggia; oltre la sottile striscia dorata, onde rabbiose ricadono sulla cordata di boe che parte da riva. Nuvole da tempesta colorano l’orizzonte, il vento mi sibila nelle orecchie. Sta arrivando un temporale sovrannaturale con i fiocchi.

Siamo messi male. Improvvisamente dare un’ultima occasione ad Ashley sembra parecchio più stupido di fronte al destino del resto del mondo.

Raggiungo la pensilina dell’autobus dove l’ho lasciata prima. Sta seduta con una gamba stretta al petto e l’altra tamburella l’asfalto. Il viso è una spolverata di puntini rossi, incassato tra le spalle.

L’ala che le ha sostituito il braccio destro le sfrega per terra; Ashley liscia il piumaggio castano e ci affonda le dita, strappa. Un tremito la scuote, scintille cadono a terra e vengono portate via dal vento.

Da questa cosa non può più cavarsi fuori da sola e io non ho i poteri per salvarla prima che distrugga tutto. Non la posso neanche toccare per confortarla per non rischiare di metterla in contatto con i miei ricordi incasinati.

Alza gli occhi arrossati. «…quindi, cosa stiamo aspettando?»

Un miracolo, vorrei dire.

Mento. «…è il tuo ultimo giorno sulla terra, pensavo volessi godertelo un po’ di più.»





I capelli rossi di Yelena mi solleticano il naso, il suo ginocchio mi preme contro il fianco e il braccio sinistro, bloccato sotto di lei, mi prude. La statua di Caelum Rothshild, con la spada piantata a terra e uno stendardo che gli pende sul viso, veglia su questa scena assurda.

Mi faccio indietro con il busto, schiaccio qualcosa di pungente che scricchiola.

Vetro?

Sono tornata al Granaio, sono avvinghiata ad una dea e… non so cosa fare. Uno strano calore mi scalda il petto; seguo quella sensazione e, ancora una volta, percepisco la presenza monumentale dell’einheri di Yelena con i suoi millenni di ricordi e non una soluzione utilizzabile.

Gli occhi della donna sfarfallano, slaccia le gambe dalle mie e se le fissa. «Co-cosa?» Mi afferra le spalle, le stelle negli occhi frullano come dotate di vita propria. «Mi hai ripristinato! Cosa diamine hai fatto quando mi hai toccata?»

«Nulla!» Sto perdendo sempre più sensibilità all’arto, lo strattono via e mi metto a sedere. Il braccio intorpidito inizia a formicolare, lo massaggio. La sala di esposizione è un casino di tavoli rovesciati e vetrine spaccate, i dadi che Yelena fissava con tanta adorazione sono finiti ammassati tra vecchie monete e la spada cerimoniale.

Il cielo oltre le finestre è nero.

L’impazienza di Yelena mi scuote il petto, piego la testa e le rivolgo uno sguardo di sfuggita. Il corpo è lì, che mi fissa a labbra strette, ma non appena sbatto gli occhi l’iceberg di cristallo mi sovrasta con il peso di tutti i suoi ricordi.

Soffio. «Ho cercato informazioni su Ashley.»

«Non ti sei subita i ricordi, hai cercato.» Gli occhi lampeggiano, scatta in piedi. «Hai fatto entrare in risonanza i nostri einheri e ci hai collegato. Io mi sono stabilizzata perché–»

Un tremito le scuote l’anima, è sgradevole. Vengo continuamente immersa nelle sue emozioni se mi deconcentro un solo istante.

Mi tende la mano. «Ronye, devo chiederti a quanto sei disposta per salvarla.»

«Tutto.» Gliela stringo.

Mi tira su di peso, i pendagli dorati della sua mantella tintinnano. «Non dire tutto prima di sapere il prezzo.»

Ho vissuto quasi seimila timeline per salvarla, dubito ci sia un prezzo più alto da pagare. «Vuoi che faccia con lei la stessa cosa che ho fatto con te, no? Collegare le nostre anime. Renderci–» Qualcosa nel legame che ho con Yelena mi suggerisce le parole. «Stelle binarie.»

Fa una smorfia. «…Appena questa cosa finisce ti stacco da me, è inquietante.»

A chi lo dici. Sposto lo sguardo verso Seth. «E tu, ci serve la tua macchina. Alzati.»

Il ragazzo, nascosto dietro un tavolo rovesciato, singhiozza.

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Capitolo 21
*** BUG REPORT #5598, sotto lo strato ***


XX.
[Nameless]

Un alito di freddo mi si intrufola sotto la maglietta e rotola fuori dalla galleria, premo la schiena contro il muro e spingo le gambe contro il petto. L’erba che circonda l’entrata è dritta come aghi, scintilla sotto il fulmine bianco che schizza in mezzo alle nuvole scure.

Una fitta al petto mi toglie il respiro, stringo i denti per prepararmi al dolore. La manica della maglietta si gonfia ed esplode, spaccata da un fitto tappeto di piume castane. Decine di spilli bollenti mi risalgono il collo, ci pianto la mano sopra. I primi cenni di nuove piume me la accarezzano.

Il dolore si localizza dietro l’occhio e pulsa.

Singhiozzo. Quanto devo ancora aspettare, Guardiana?

Massì, facciamoci zittire e piazzare tra le stelle.

Mi avvolgo con l’ala, un grumo di carne sgraziato con poche piume rimaste. Mi pento quasi di averla spennata, sarebbero state comode per combattere il freddo dell’anomalia.

Nulla da perdere. A parte tutto, s’intende.

Il pavimento scricchiola, le spaccature sotto i miei piedi si allargano fino alle rotaie. Frammenti di asfalto crollano nella fenditura, sfiorano un gruppo di gabbiani che corrono su un arcobaleno e piovono su una città di casette bianche arroccate sul mare. Ogni secondo che passa sto assottigliando il confine tra questa realtà e le realtà che la Guardiana ha dovuto abbandonare.

Sono un veleno.

Che parolone! Ricordami piuttosto, perché tu dovresti morire quando quella che si sacrifica a destra e manca per sconosciuta rimane viva e libera?

La voce irritante che mi stuzzica è la mia, ne sono sicura. Anche se da quando sono nata non ho mai parlato credo. «Importa?» Il suono è logoro e tremante, emerge a malapena al di sopra dei tuoni che si abbattono sulla città.

Odio la mia voce, vivere non dovrebbe essere un’esperienza così misera.

Esatto, mia piccola Mumei!

Mi ride nelle orecchie, una mano gentile mi arruffa i capelli. Il dolore al petto si accende e crollo di lato, con la guancia premuta contro una delle spaccature che si allargano. La presenza mi massaggia la cute; le ossa del collo bruciano, scricchiolano e si allungano.

Ti piace come nome? Nella lingua di un antico popolo significa…

«N-non voglio… sen-ngh…»

Ah che antipatica! Non c’è nessuno che ti conosce più di me.

Mi afferra la testa e la preme a terra, le fenditure si allargano con un boato e cedono. Il busto cade, pianto i piedi per non scivolare giù e richiamo il magnetismo per oppormi alla forza di gravità. Il colpo mi spedisce fuori dalla galleria, spacco l’erba congelata e rotolo.

Qualcosa si strappa. Nebbia rosata inquina le nuvole, che vengono sfondate dalla punta colossale di un edificio antico. Il crollo è assordante, scende a velocità rapida sulla città e sparisce nel tempo di un respiro.

Riappare sopra il mare e s’abbatte con uno scroscio.

Stringo gli occhi, prego che l’onda non uccida nessuno. Spero.

Dopotutto, ora che abbiamo gettato al vento tutto quello che ti rendeva te stessa, dovremo riempire il vuoto in qualche modo!

Pianto la mano a terra e mi rialzo, la bocca della galleria sputa aria fredda e un ringhio lontano. Il proprietario deve essersi accorto di avere ospiti… eppure non mi sta venendo in contro.

Ti piace Garuda come nome?

Zoppico fino all’entrata, il mondo al di là della voragine è silenzioso. Non una vita a popolarlo. Se ci cadessi dentro ora…

Ed ecco che vengo ignorata da me stessa. Ma abbiamo tempo per pensare a un nuovo nome.

Faccio un passo indietro, senza volerlo. La presenza ha indossato il mio corpo e sorride. «Tanto, l’unica cosa che hai di buona è la forza di volontà,» dice con la mia bocca. Stringo gli occhi e mi tiro uno schiaffo, espiro.

Ho controllo.

Ho controllo.

E sappiamo entrambe che la prossima volta che utilizzerai i nostri poteri, si spezzerà.

Non mi serve prevedere il futuro per sapere che ha ragione. Occhieggio l’oscurità della galleria, l’anomalia è nascosta in agguato. Ringhia, spuntoni di ghiaccio si allungano dal muro e mi puntano la gola a minaccia.

La Guardiana ha detto di aspettare ma il mio controllo è labile.

La voragine sull’altro mondo è lì, sarebbe così facile spaccarla e lanciarsi dentro, ma se non mi occupo prima del padrone della galleria lascerei un problema enorme per tutti. Mi dispiace, Guardiana, ma dovrò metterti fretta. Concentro l’elettricità in una palla crepitante, il dolore al petto si accende.

Ronye, mi fido di te.

Risate mi scoppiano nelle orecchie.

Ed è in questo che sbagli!





[Ronye Brionac]

Il semaforo diventa verde, Seth stringe il volante fino a farsi sbiancare le nocche e mette la seconda. Il motore borbotta e si spegne. «No!» Afferra le chiavi e le gira nel quadro, l’auto annaspa sotto un coro di clacson.

Mi sporgo tra i due sedili anteriori e gli metto una mano sulla spalla, stringo. Questo ragazzo ha i nervi così tirati che rischio che mi svenga. «Coso, relax.»

Una jeep ci sorpassa e tira dritto, si porta dietro un corteo di auto e di automobilisti che gesticolano insulti in nostra direzione. Sono dannatamente ottimisti se pensano di sfuggire alla fine del mondo così.

Seth gira di nuovo le chiavi nel quadro, l’auto si spegne di nuovo con uno scossone. Come ci riesca lo sanno solo le divinità nei cieli. Yelena, seduta accanto a me, tiene gli occhi sulla città in cerca di anomalie e strappi dimensionali.

Mi stringo il petto, anche se non posso toccare con le dita la nostra connessione la sento. Mi passa nuove informazioni ogni volta che mi distraggo, come un tutorial che non posso spegnere. «Seth, ti do il cambio, vengo a guidare io.»

La macchina parte e Seth rimette in prima, ci muoviamo a passo d’uomo ma siamo in movimento ora. «Ce l’ho fatta, non c’è bisogno…» farfuglia. Ora deve solo imparare a premere l’acceleratore e forse, possiamo arrivare in tempo alla galleria.

C’è uno strappo violento. Nebbia rosata si mischia alle nuvole nere, la punta colossale di un edificio sfonda la fitta rete di nubi. Cade, spire colorate si arricciano intorno alla figura colossale.

«Echeca–» Yelena pianta il dito sul pulsante del finestrino elettrico: il vetro si abbassa lento, troppo lento. L’ansia della donna mi travolge come un fiume in piena, ne finisco sommersa e mi irrigidisco. Il bolide sfiora i tetti, la guardiana butta fuori dallo sportello il busto e tende le mani al cielo.

Seth svolta di botto, finisco con la schiena contro lo sportello.

La struttura sparisce. Linee blu attraversano il corpo di Yelena, la pelle si sgretola e lascia scoperto il nucleo cristallino sottostante. Una distesa innevata mi riempie la mente, centinaia di spade sono piantate in linee regolari come lapidi. Trecentosettantatre morti, tutto sangue sulle mie mani perché mi sono messa in mezzo anche se non avrei dovuto.

La dissonanza stride, non farei pensieri del genere. Col cavolo se sto con le mani in mano, quando qualcuno è a rischio.

Sbatto gli occhi, un essere di cristallo si è ritirato dentro l’abitacolo dell’auto. «Yelena!» Tiro la connessione tra i nostri einheri, l’ansia e la tristezza che mi pesano addosso si affievoliscono. Questa donna irritante e le sue emozioni incasinate! «Siamo nel mezzo dell’apocalisse, ti ricordo.»

«Lo so!» Una distorsione l’attraversa, riprende aspetto umano. «E non è carino quello che stai pensando.»

Grandioso, anche lei può leggermi.

Incrocia le braccia. «Non rende felice nemmeno me.»

Non avrò una conversazione mentale con lei, mi rifiuto. «Seth l’acceleratore, per favore!»

«Sto facendo del mio meglio!»

La lancetta dei giri del motore impenna, usciamo dalla macchia di edifici e corriamo verso le campagne di Yrff. I lampioni in lontananza sfarfallano, uno dopo l’altro si spengono come un’onda di oscurità.

Elettricità statica mi drizza i capelli e il quadro della macchina salta, si spegne di botto. Rimaniamo al buio nella strada deserta, un lampo rischiara l’oscurità e si spegne. Seth gira la chiave ma la batteria non dà un cenno di vita. Palo, che diamine! So che è colpa tua.

Spalanco la portiera e scendo di corsa, controllo il cellulare per la torcia ma anche quello è andato. Non ricordo l’ultima volta che ho fatto il backup dei dati, accidenti. Yelena mi prende la mano e mi trascina attraverso il buio, ha delle falcate lunghissime.

Un lampo rischiara la strada, Seth ci corre accanto anche se è spaventato a morte. Quasi potrei rispettarlo.

L’ondata di preoccupazione mi stringe il petto, mi sorprendo di scoprire che non è mia. «Ashley ha eliminato l’anomalia prima del tempo, accidenti.»

Cerco la forza per risponderle ma mi manca il respiro, incespico. Seth corruga le sopracciglia. «Che ha fatto Sterling?»

Yelena tentenna, il lampo delinea i contorni del suo viso preoccupato. «Cosa non ha fatto Sterling.»

Se ancora tale la possiamo chiamare.

Il pensiero non mi appartiene, non ho il coraggio di chiedere cos’è successo.





L’erba intorno alla galleria è un mare di aghi ghiacciati, qualcosa ha spaccato una striscia vicino all’entrata. Una pietra viola luminescente brilla poco distante dal varco, l’einheri malato di Wyatt. Seth si avvicina con prudenza e tende la mano, un lampo rischiara il posto e la voragine che dà su un baratro nero.

Si getta indietro e tira un urlo da forare i timpani. Yelena gli passa accanto e recupera la pietra, rivoli di azzurro spezzano il colore nauseabondo. Mi lancia uno sguardo. «Che casino.»

La terra è crollata, poche zolle luminescenti disposte come una scala galleggiano all’interno del buco. Portano a uno degli strati sottostanti, una timeline che Yelena ha abbandonato dopo che l’umanità si è estinta.

Ashley si sarà rifugiata laggiù per limitare i danni… avrà creato la scalinata per me?

Yelena esita. «Ronye.»

«Scendo.»

Le stelle negli occhi di Yelena sono luminescenti, annuisce. «Seth, fammi un favore, ritorna in strada e assicurati che nessuno si avvicini alla zona manco per sbaglio.»

«Hai un lumino?»

«No.»

Emette un verso strozzato ma non protesta, bravo ragazzo. Taglia in mezzo all’erba e si allontana. La Guardiana soffia e si mette una mano sul petto. «Io rimarginerò gli errori qui.»

«E io devo stabilizzarla come ho fatto con te.» Nessuna dice l’implicito: se sbagliamo non c’è un ritentare, non c’è una normalità a cui tornare. «Se ti fai prendere dai tuoi ricordi, tira nella connessione.»

«Per chi m’hai preso?» Agita una mano. «Convivo con il mio dark past da quando avevo tredici anni.»





Mi calo nel buco e poggio i piedi sulla prima piattaforma, trema e si abbassa ma rimane sospesa nel buio. Assottiglio gli occhi, il supporto di pietra è circolare e liscio, la base diffonde una luce verdastra che delinea il muro di pietra di una gigantesca sala sotterranea.

Una città sembra essere stata scolpita direttamente nella roccia, illuminata da fuochi fatui crepitanti. Una macchia azzurra si accende tra gli edifici, spara in ogni direzione fulmini che si piantano nella roccia e falciano le strutture.

Crolli si susseguono uno dopo l’altro, assordanti.

Le vertigini mi rendono le gambe molli, non ho appigli e ogni piattaforma dista un buon salto dall’altra. Un errore e scoprirei come ci si sente a subire danno da caduta in un videogame. Vento freddo sibila tra le rocce, spicco un balzo e atterro sul supporto successivo, ancora e ancora e ancora.

Sassi si staccano dai supporti, le piattaforme scivolano di lato sotto il mio peso e la paura mi stringe la gola. Fare tutto questo per salvare una persona è stupido, soprattutto quando non hai legami con essa. Leggere tutti quei ricordi di Yelena ha reso il ricordo dei miei genitori una macchia sfocata, figurarsi se ricordo perché Ashley e io siamo amiche.

Ancora una ventina di salti e toccherò terra, finalmente. Ho già finito i polmoni per tutta questa attività fisica. Spicco un balzo e manco l’atterraggio, scivolo giù. «E no!» Afferro il bordo della piattaforma, lo strattone alle braccia mi strappa una protesta sussurrata. Tento di issarmi ma la gravità sta cercando di trascinarmi giù.

Un’altra scarica elettrica devasta gli edifici, gettate di aria calda e polvere mi schiaffeggiano il viso. Essere qui è un’idiozia, ma una volta che si riceve una quest non si può rimanere indifferenti alle sofferenze di qualcuno. E se ci siamo perse per strada, possiamo ritrovarci quindi rimarrò viva.

C’è una piattaforma diversi metri sotto di me; se manco l’atterraggio di nuovo mi spaccherò a terra. Sfida accettata, mi lascio andare e piego le gambe. Il vento si infiltra sotto la maglia e scuote i capelli, sbatte le ginocchia contro la pietra e ondeggio di lato. Guardiana che male! Abbraccio il sostegno per impedirmi di cadere.

Tiro un respiro. Yelena tira a malapena nella nostra connessione, apprezzo la preoccupazione ma sto bene. Concentrati sul rimettere insieme il mondo per il nostro ritorno, per favore. Rimango stretta alla piattaforma finché il battito furioso nelle orecchie non si quieta, sto bene. Sono viva.

Mi metto in piedi e riprendo a scendere.

Ogni salto è uno strazio, ma il terreno è sempre più vicino. Spicco l’ultimo balzo e raggiungo il pavimento, lo bacerei. Fuochi fatui verdini rischiarano la strada, le strutture di pietra sono deserte e polverose, disabitate da chissà quanto.

Un’altra scarica elettrica sfonda un edificio, scava una cicatrice nella pavimentazione e mi passa a poco più di un braccio di distanza. Un fischio acuto mi trapana le orecchie, mi afferro la spalla per calmare il tremore che mi scuote.

Muovo un passo. Le gambe non cedono, perfetto. Un secondo, anche l’equilibrio è okay. Seguo il sentiero tracciato dal blast, oltre le macerie e i fuocherelli scoppiettanti. Adocchio la massa di piume castana appollaiata nel mezzo di una casa sfondata, scintille deboli si staccano dalle penne. Un occhio viola si fissa su di me.

«Ashley?»

L’uccello rintana la testa sotto un’ala, mi ci potrei nascondere senza difficoltà sotto una di quelle. Un tiro nel petto mi risveglia, le emozioni di Yelena sono una carezza amara a cui non so dare nome. Cerco qualcosa di umano ma non c’è niente, giusto la differenza di altezza è rimasta quasi la stessa.

«Hai detto aiutami.» Mi lecco il labbro inferiore. «Perché ti nascondi?»

Scavalco sassi e macerie, i sassolini scricchiolano sotto le mie scarpe. Se sai ancora vergognarti, significa che ci sei lì dentro. Raggiungo l’ala sotto cui tiene la testa e la scosto, le poggio una mano sul collo. «Ashley, sono arrivata.»

Sento il petto scaldarsi, poggio la fronte contro il piumaggio e tendo quel muscolo invisibile che ho utilizzato per collegarmi a Yelena. Percepisco il nucleo di ricordi di Ashley, lo afferro. È freddo, vuoto.

Non c’è niente da cercare.

Benvenuta, piccola sgherra della Guardiana!

Il paesaggio si sfalda.

Riconosco il pavimento nero che si confonde con il cielo stellato; Ashley – gambe lunghe e capelli rossi arruffati! – è in piedi a un tiro di sasso, lo sguardo vuoto e le labbra dischiuse, tra le braccia di una sua copia sputata dai capelli castani.

Ne ho le scatole piene di queste cose soprannaturali.

La copia mi rivolge un sorriso aguzzo, piume e stelle traslucide le pendono dai bordi della mantella che ha sulle spalle. «Ecco che lo scricciolo viene nella bocca del leone.»

«Chi sei?» Stringo il pugno.

Ride, dà un colpetto di nocche sulla tempia di Ashley. «Stavamo scegliendo ancora il nostro nuovo nome, ma come puoi vedere non sono così collaborativa con me stessa.» Si stacca e mi gira intorno, come un predatore. Fai solo altro paio di passi, ti voglio bella distante dalla mia migliore amica. «Per ora è un cinquanta cinquanta tra Garuda e Mumei, quale dei due vedi meglio su questa faccia?»

Le espressioni che fa sono sbagliate, su quella faccia non ho mai visto così tanto disprezzo. «Ti risolvo il problema, lei è Ashley

Garuda alza le sopracciglia. «Un po’ banale.»

Cerco il legame che ho stabilito con Palo e lo tiro, rimane ferma come una marionetta a cui hanno tagliato i fili. Trovo solo il vuoto e un forte senso di smarrimento soffocante, non ci sono ricordi a cui fare appello, è vuota.

Il sorriso dell’anomalia si fa più aguzzo, mi appare accanto.

«Che carina che sei a provarci.» Dispiega le ali. Ricoprono il cielo stellato e il pavimento con milioni di schermi frastagliati: riproducono visioni della città distrutta, persone che scappano e ingorghi. Yelena corre da sola, viva e indifferente al disastro in corso. «Lascia che ti predica il futuro, scricciolo. Consideralo un piccolo favore.»

Prendo fiato. «Non c’è bisogno.»

«No? Ti sei arresa?»

Uno schermo mostra quel dannato rapace enorme solcare i cieli, vittorioso, in un mondo dove non sono rimasti esseri umani.

Le rivolgo uno sguardo di sbieco. «Perderai.»

La copia sussulta, sorride l’istante dopo. «Cosa te lo fa dire?»

«Sono cresciuta con lei, ogni volta che è nervosa diventa improvvisamente più solare.» Le sferro una pedata contro il ginocchio. «E poi, la mia migliore amica è una zuccona, basta scuoterla un po’ per farla reagire.» Afferro il colletto e le tiro una testata.

Il dolore mi aguzza i sensi, Garuda ringhia. «Mi basta ammazzarti, per ovviare al tuo happy ending.» Ma il suo corpo è attraversato da una distorsione, diventa impalpabile per il tempo di un respiro. Sto avendo effetto.

Una ginocchiata allo stomaco mi strappa il respiro, crollo a terra e mi blocca. Mi stringe le mani intorno al collo, la presa è ferrea e le unghie si piantano nella pelle. Tiro nel respiro, scalcio.

«A… sh!»

«Non è quello il mio nome.» Stringe, la soddisfazione palese nel volto. «Riprova.»

«A… a-shl–!»

Una stretta più forte mi mozza il respiro. Palo rimane immobile nel mezzo alla distesa di schermi, ma gli occhi viola si posano su di noi. Un filo di orrore li riempie, è presente, mi riconosce.

Garuda diventa impalpabile per un istante, prendo fiato prima di avvertire di nuovo la stretta. Trattengo un sorriso, sei fregata. Palo placca la donna e me la disarciona di dosso, gli schermi spariscono e rimane solo il cielo stellato su di noi.

Rotola a terra; la copia sparisce in un bagliore e viene riassorbita da Ashley che si raggomitola in posizione fetale. Una scarica di tosse la scuote. Vorrei correre da lei ma non ne ho proprio la forza, socchiudo gli occhi. «Ehi?»

Palo si mette a sedere e alza gli occhi, le spalle vengono scosse da tremiti. «Ehi. Mi dispiace per quel, ecco, tentativo di omicidio.»

«Wow, non pensavo che nessuno me l’avrebbe mai detto.»

Ridacchia, a disagio. «Senti, so di averti chiesto aiuto ma… non mi ricordo più nulla di, ecco, tutto.»

Lo so, è da quando sono qui che cerco di tirare fuori qualcosa della vecchia te stessa ma non c’è niente. «Si dice grazie, sai.»

«Grazie…»

«Ronye.»

«Ronye,» ripete, sembra saggiare il nome sulle sue labbra. «…Rho sarebbe più amichevole. E poi sarebbe come Rhongomyniad, la lancia che–»

Almeno il lato nerd di mitologia e storia non è sparito. Sono quasi sicura di aver già sentito questo discorso, me l’avrà fatto anche la prima volta che ci siamo presentate. Mi siedo. «Allora, che vuoi fare ora?»

Mi rivolge uno sguardo di sfuggita. Isolate dal mondo, sotto un mare di stelle, ho l’impressione che ci siamo già scambiate una promessa in passato. «Beh, so cosa non voglio fare.»

Annuisco.

Si tortura le mani. «Non voglio farti del male.»

«Appuntato.»

«Non voglio fare del male ad altra gente.»

L’aver quasi provocato l’apocalisse sarà un argomento spinoso da portare a tavola. Tiro il nostro legame, sento Garuda che snuda le zanne e tenta di colpirmi. Prendo fiato, quel mostro è ancora dentro Ashley, a malapena sotto controllo. «Cosa vuoi fare?»

«Conoscere, conoscerti.»

Mi alzo e mi avvicino, le tendo la mano. «Ronye Brionac.»

«Il nome me l’hai già detto. Io…» Il viso si rabbuia, accetta la mia stretta e si alza. Fa una risatina. «Dovrei essere Ashley, il nome ti piaceva mi sembra di aver capitolo.»

«Quello l’han scelto i tuoi genitori.»

«Ho dei genitori!?»

Sbatto le palpebre, sono di nuovo nella sala sotterranea gigantesca ma, al posto dell’enorme pennuto, sono stretta dalle braccia della mia migliore amica. Ricambio il tocco con forza. «Bentornata.»

La vedo guardarsi intorno. «…spero tanto che riusciremo a risalire.»

[Ashley]

Afferro il bordo della voragine e mi isso, il cielo è un foglio grigio senza strappi o edifici che piovono. Garuda da qualche parte dentro di me ringhia, scontenta. Che rimanga ovunque si sia nascosta, se fosse possibile non vorrei mai più averci a che fare con lei.

La Guardiana, seduta accanto all’entrata della galleria, mi rivolge un sorriso stanco. «Ottimo lavoro, ragazze.»

Non trovo le parole.

Ronye caccia un oi! «Palo, una mano!»

Sussulto, mi volto e tendo la mano nel buco. Rho mi afferra il polso, la connessione tra i nostri einheri mi sbilancia. È come se il nostro baricentro si fosse spostato a metà strada tra di due.

La tiro su: caccia un verso sgraziato e si spalma sul terreno, emette un sospiro contento.

La Guardiana stende le braccia al cielo e si stiracchia. «Direi che ora tocca a me, riposate pure ragazze.»

Mi infilo la mano nella tasca dei pantaloncini. «Quanto ti vorrà a risolvere questo casino?»

«Un mesetto.» Scrolla le spalle. «Ma per voi non passerà nemmeno un secondo. Quanto a me, mi metterò un po’ di musica nelle orecchie per far passare il tempo più velocemente mentre lavoro.»

La cosa è dannatamente conveniente, eppure la stanchezza nei suoi occhi cela una tristezza a cui non so dare nome. Mi trattengo dallo scusarmi. «Grazie, ho fatto un casino enorme.»

«No worries. Dovrei scusarmi, volevo vedere se potevo… tornare a collaborare con gli esseri umani dopo così tanti secoli.» Ridacchia. «Questo casino è più che altro colpa mia.»

Rho le tira una pedata, lascia uno stampo di polvere nella mantella divina della donna. «Emo del cavolo.»

«Sono la tua dea.»

«Sei una vecchia depressa!»

La scena è surreale, non conosco nessuna di queste due veramente ma ho l’impressione che non dovrebbero comportarsi così. Mi metto tra le due. «Ragazze…»

La Guardiana sospira. «In realtà, ho capito che posso collaborare con gli umani. Devo solo selezionare meglio le persone con cui difendere il mondo, non fare casini e…»

Rho agita un braccio. «E farci amicizia.»

Annuisce. «Bye, bye. Piattole.» Schiocca le dita.

Ronye si riduce a una stella, trema e corre verso il cielo. Si unisce ad altre migliaia di linee. Anche ora che è distante, il mio baricentro tende verso di lei. So dov’è, so che è viva ed è per questo che Garuda rimane nascosta.

Ma io sono ancora qui. «Dovevi ancora parlarmi?»

Annuisce. Aggrotta le sopracciglia e gli occhi velati di tristezza mi squadrano da capo a piede, non sono buone notizie. «Ronye ti ha tirato indietro per i capelli, il tuo einheri… praticamente è il tuo collegamento con quella ragazza che impedisce all’anomalia di scatenarsi.»

Ah. Non me ne posso liberare così facilmente.

«Quella creatura è potente, nel mio stato attuale passerà tutta la vostra vita prima che io possa eliminarla da te e mantenere il tuo carattere attuale intatto. Posso resettarti a prima di questo incidente oppure…»

Oppure correggere solo gli errori, lasciarmi senza memorie a confidare nel legame con Ronye per rimanere “me.” Mi gratto la nuca. «Da come ne parli, resettarmi sarebbe l’equivalente di uccidere la me attuale.»

Distoglie lo sguardo.

Ecco la risposta. «Non è una domanda che dovresti fare solo a me.»

«So già la risposta di Ronye, per quello chiedo cosa vuoi tu.» Si tocca il petto. «Sono collegata anch’io, con lei. Per ora.»

«L’implicito è che ti scollegherai alla prima occasione?»

«Certo che sì, il mio dark past lo dovrei sapere solo io e basta!»

Accenno un sorriso, che persona infantile. Non la potrei venerare mai, ma forse diventarci amica sarebbe anche fattibile. «Lasciami così. E lasciami il tuo numero, direi che dopo tutto questa faccenda ti devo una mangiata fuori.»

«L’hai già.»

«Oh. Good job, past me.»

«Ash.» Accenna un sorriso di rimando. «Non è morto nessuno 'sta volta.»





[.note a margine]

https://www.youtube.com/shorts/YxSIkyGlRVc Breve reazione di Yelena quando ha scoperto che Ronye le ha letto i ricordi.

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Capitolo 22
*** BUG REPORT #5598 e #7777 ***


Da capo.
[Warden of humanity]

Ashley rimane impalata sull’entrata della galleria ferroviaria, lo sguardo smarrito scende al terreno ghiacciato come se si vergognasse di non ricordare a cosa mi riferisco. Prende un respiro e alza la testa di scatto, i ciuffi rossi le ricadono sugli occhi. «Bene! Tipo, non ci speravo con quel palazzo volante e tutto.»

Si gratta le guance e arrossisce, ma non mi guarda.

Congelo il sorriso sulle labbra per non preoccuparla, non è colpa sua. «Beh, a tra un mese!»

Lei annuisce. «A tra poco!»

Faccio appello alla mia autorità di Guardiana, il palmo si accende di azzurro. Ashley si scolorisce, frammenti di luce viola si staccano dal suo corpo e si condensano nel mio palmo sotto forma di einheri.

La pietra è una collezione di fratture così profonde che è un miracolo che non mi si polverizzi tra le mani. La rigiro, sotto il cristallo l’elettricità di Garuda scorre e trattiene i pezzi perché non si stacchino. Non mi sbagliavo.

La stella trema, richiamata dal legame con Ronye. La trattengo. Se la lasciassi schizzare in cielo da lei, con tutta probabilità si frantumerebbe prima di arrivare a destinazione. Espiro, con ordine…

Vanno chiusi gli strappi che collegano il mondo agli strati dimensionali inferiori, cambiata la logica stessa per giustificare la caduta di un edificio su una cittadina e la presenza di individui con poteri esper. Mi toccherà riscrivere la storia mondiale o inserire qualche società segreta assurda, conviene rileggersi le teorie complottiste maggiori per decidere quale avverare.

Finire il lavoro entro il mese sembra un miraggio, improvvisamente.

Premo l’indice sull’einheri, la pietra si apre come un fiore di loto fin troppo fragile. La punta adibita all’ego è nera e screziata di un solo puntino bianco, pulsa elettricità. La sfioro, la coscienza di Ashley dovrebbe trovarsi qui. Il dito mi si intorpidisce, anche la maggior parte degli errori si è concentrata qui a quanto pare…

Quella della memoria è a pezzi. Cerco qualcosa di salvabile, ma giusto la punta che contiene le variabili ereditate dai genitori è in uno stato accettabile. Torno al puntino bianco, gli do un colpetto con l’indice. Si scastra dalla sua posizione e lo afferro, lo ripongo con cura nella tasca della camicia.

Prima di mettere una pezza su tutto, Garuda mi deve parecchie spiegazioni.

Richiudo la mano, i petali del fiore scivolano e tornano al loro posto. Lascio andare l’einheri. La pietra pulsa, tempo un battito di ciglia e al suo posto c’è di nuovo la spilungona rossa. Un sorriso obliquo le arriccia le labbra, allarga le braccia. «Un’udienza privata con la Guardiana dell’umanità, quale onore!»

«Finiamola con la sceneggiata.» Il tono mi esce più velenoso di quanto avrei voluto, mi mordo il labbro inferiore e conto fino a tre. Garuda attende, senza fretta. «Questo lieto fine è stato fin troppo facile.»

Il sorriso si fa aguzzo. «Non ho sentito né la stupida né Rho lamentarsi.»

«Stai sentendo me farlo.» L’unica cosa consistente lungo i secoli è vedere gli umani sacrificarsi in modo stupido, e poi lasciare a me il dovere di pulire i loro casini. Farsi fregare da una di vent’anni mi irrita.

Garuda si avvicina all’erba congelata e passa il palmo sugli steli appuntiti. «Non c’erano altri finali possibili, perché dovevo renderla complicata? Ronye e l’idiota imparano a collaborare, al prezzo delle normalità mondiale e dei ricordi di Ashley, che se lo merita perché si era cacciata in questo casino.» Ridacchia. Ne parla come se fosse una spettatrice distante della vicenda, non il mostro appena sigillato. «Un po’ di karma, un po’ di conseguenze. È un finale realistico.»

«Dai per scontato che non sistemerò il casino che hai fatto.»

«Puoi?» Garuda si preme le nocche contro la tempia, la nonchalance irritante con cui si pone brucia. «I poteri per eliminarmi non li hai, per ora. Ti conviene creare un setting intorno a me, per non avere una sola elettrocineta che scorrazza in giro per il mondo. Ti vorranno anni prima di potermi cancellare.»

La parte peggiore è che ha ragione.

Si dirige verso il casolare crollato, la seguo. «Proprio perché puoi calcolare le conseguenze di ogni evento, non capisco perché hai fatto una scelta simile.»

«In questo ti assomiglio, no?»

«Non paragonarmi a te!»

Si ferma al dislivello che porta al giardino. Calcia un sasso che rotola giù e si perde in una macchia di soffioni. «Nulla di caratteriale, è semplice. Non puoi avere relazioni normali perché tutti vivranno un solo attimo rispetto a te. Io so cosa succederà da qui alla fine dell’esistenza, perché dovrei giocare all’umana

Mi si attorciglia lo stomaco. «Ashley.»

Garuda si irrigidisce. Caccia le mani nella tasca dei pantaloni e fa un mezzo giro per guardarmi in faccia. «Te la sei messa in tasca un attimo fa, prima di svegliarmi.»

«Tu sei Ashley!»

Sussulta, il sorriso canzonatorio le si congela sul volto, falso e forzato.

Le prendo la spalla. «Quella ragazza che abbiamo salvato è una personalità che tu hai creato, ha vita e desideri ma non è la cretina che si è gettata da un palazzo per convincermi di salvare una sua amica.»

Sbuffa, si allontana con uno scrollone. «Ma davvero…»

«Ho visto abbastanza anomalie, nessuna ha mai accumulato tanti errori e tanto velocemente come te.» Perdere i ricordi è una delle sintomatologie, ma a quel punto la gente si riduce a bestie. Non diventa un’altra persona. «Mi hai bloccato il cuore l’ultima volta sulla spiaggia, e quando Ronye mi ha svegliata non avevo controllo dei miei muscoli.»

«Controllare una delle quattro forze fondamentali ti rende lievemente broken.» Ridacchia, senza energia.

«Avevi paura che rovinassi il tuo climax? Anima sfortunata uccide l’amica che doveva proteggere?»

«Mi piace più idiota per il main character.»

La voglio prendere a schiaffi. Vedere Ronye riemergere con solo i lividi da strangolamento sul collo è stata la conferma che non volevo avere. «E poi, durante “la battaglia finale”, ti lasci sconfiggere dopo aver tentato di strozzare la tua amica. Tu, che nella timeline precedente l’hai fritta viva

Batte le mani. «Beh, hai risolto l’arcano. Complimenti alla grande Guardiana.»

«Risparmiati il sarcasmo.»

Fa un paio di saltelli indietro, atterra alla base del dislivello ferroviario, alza il viso per non perdere di vista il mio sguardo. «Garuda serviva per convincere Ronye che, a forza di sacrificarsi per gli altri, avrebbe danneggiato anche le persone nella sua vita.»

«Non doveva essere per forza così.»

«Doveva. Davvero. So calcolare cosa accadrà di qui alla fine di tutto, posso fingermi umana ma Ronye non merita questo.» Batte il pugno chiuso contro il petto, lì dove si trova il suo einheri in pezzi. «E io non merito questo strazio, preferisco di gran lunga leggere una fiaba dove Rho è tornata a casa felice con Ashley.»

«Anche se è una presa in giro?»

«Anche se è una presa in giro.»

Scendo e le tiro uno schiaffo, lo schiocco risuona nel silenzio che regna sul mondo in stasi.

Garuda sorride. «Da parte di Ronye?»

«Da parte mia.»

Sospira. «Immagino di dovermi scusare ma… lo rifarei.» Una piuma elettrica si manifesta tra i suoi capelli, la stacca e me la porge. «Se mi lasci il ruolo di spettatrice della tua creazione, ti farò un regalo per assicurarti un buon finale.»

Non voglio accettarla. Preferirei di gran lunga resettare tutto e fingere che gli ultimi mesi non siano esistiti ma se lo facessi… vanificherei l’esistenza di troppe persone. Volevo tornare a interagire con l’umanità.

La prendo, la piuma si stende e diventa uno schermo. Un primo piano del mio viso, una crepa attraversa la guancia e si allarga rapida lungo tutta la pelle. Gli occhi si opacizzano, mi osservo andare in pezzi.

Una risata amara mi risale la gola. «Quindi morirò? È questo che volevi dirmi?»

La visione si ripete, non trovo altri dettagli da poter sfruttare. Solo il mio sguardo stanco e poi la mia morte, ancora e ancora.

Scrolla le spalle. «Ti sorprenderà quanto saperlo, risparmierà un disastro peggiore per l’universo.»

«E non puoi darmi altre informazioni…»

«Creerei troppe variabili e mi toccherebbe interferire di nuovo.» Si passa una mano tra i capelli rossicci. «E tu non ne puoi più di me che mi metto in mezzo, no?»





Passo lo scopone sul pavimento e spingo l’acqua oltre il bandone del garage, guardiana dell’umanità e ora donna delle pulizie. Musica pop copre i miei sospiri, dal cellulare di Ronye arriva l’ultima hit estiva, la canticchia sottovoce.

Ashley sfila un cassetto dal mobile di rimpetto al muro, rovescia acqua e carte fradice a terra, proprio lì dove avevo appena passato! Mormora un ops colpevole, non la passerà liscia così facilmente accidenti.

Il crollo della torre delle nebbie sulle coste di Yrff ha generato un’onda anomala che ha spaccato finestre, sfondato steccati e messo a mollo parecchie case. La maggior parte dei giovani della zona si sono adoperati subito per offrire assistenza a chi fosse in difficoltà a causa del disastro.

Non mi considererei tra i giovani, ma quelle due hanno insistito a coinvolgermi.

Limy sbuca da una stanza sul retro, punta lo scopone gocciolante contro la gola di Ashley. «Stavo pensando, amnesia e occhi di colore diverso? Non ci credo.» È una cosina bassa, in salopette sporca di almeno venti sfumature di colore diverso. «Sarai uno di quegli “emersi” che hanno iniziato ad apparire. Fatti avanti, ridammi Palo.»

Ronye le tira una gomitata. «Lasciala stare, sono state settimane dure.» Non saprei dire chi fra le due è più nana.

Limy mi indica. «Non ho finito, quella là è palesemente troppo bella per girare per Yrff. È una città per nonni questa!»

«Oi,» protesta Ash. «Non pensi sia tropp–»

«Chiamo le mele, mele! Abituati in fretta, clone.»

Ashley rotea gli occhi ma non si lamenta. Prende per mano Ronye e si appoggia alla sua testa con il mento, affettuosa come un cane fin troppo grande.



Garuda, davvero sei soddisfatta di questa bugia?





[.note a fine pagina]

Buckle up, buckaroo. Nessuno mi impedirà di essere prolissa ora.



Finché non succede un grosso imprevisto, ho intenzione di scrivere su questo universo con il buon Mixxo (se volete leggere un fantasy più leggero, Kindles è ambientata dopo Laplace ed è già completa! E appare Yelena in un paio di capitoli a continuare ad essere un fricking disastro.)



Ispirazioni

Reset | Drama cinese sullo sventare l’esplosione di un autobus. La storia tende a sviluppare i personaggi secondari tra un reset e l’altro, diversi poliziotti sono piuttosto importanti e responsabili delle sofferenze dei protagonisti. Ottimo mistero e bella ship, poi!

Kagerou Project | Opera multimediale che assolutamente adoro e che mi ha messo in fissa con il concept di loop come device narrativo.

Madoka Magica | Che Ashley vivesse l’arco narrativo di Sayaka in MadoMagi era voluto. Il fatto che finisca per seguire quello di Homura fino a letteralmente Rebellion non era voluto; ma per quanto non ami il setting e la filosofia cinica, credo di essere stata parecchio segnata da questa storia.

Shattered samsara | short animation di Honkai che chiude uno degli archi narrativi, da cui ho preso ispirazione per come gestire la lettura dei ricordi tramite einheri. Potrei anche consigliare di guardarlo fuori contesto, non ha esattamente la stessa potenza ma è una storia che si intuisce bene senza sapere troppo.

Lament of the fallen | un’altra delle short animation di Honkai che chiude uno degli archi narrativi, da cui ho rubacchiato anche la frase “if saving you is a sin, I’ll gladly become a sinner”. È stato la principale ispirazione per il rapporto tra le protagoniste (e mi sa che la causa delle vibe di ship tra Ashley e Ronye è proprio questa, perché le due MC di questo video vivono nel loro giardino di gigli fioriti)

Thus spoke apocalypse | terza short animation di Honkai che cito, non sto a ripetermi. Anche questo sa essere parecchio potente senza il contesto della trama del gioco. È quella che ha ispirato il grande piano di Garuda di arrivare fino all’estremo pur di creare un happy ending per Ronye. Sicuramente Laplace non ha la potenza di Thus, considerato tutto il contesto. Ma non saprei nemmeno dire se è un finale soddisfacente, rispetto a quello che ho costruito fino ad ora. C’è da dire, finché puoi mettere la parola “continua” alla vita dei tuoi personaggi c’è sempre speranza che le cose per loro si sistemino.



Ronye è ispirata a Roxane di Mixxo, che appare in Chiusa nella sua piccola scatola. Di quel personaggio ho sempre amato il contrasto tra persona che odia il contatto con gli altri ed eroismo spiccato anyway.

Onestamente, avrei preferito utilizzare il personaggio con la personalità totalmente intatta, ma non sapevo se la storia avrebbe funzionato senza cambiamenti quindi ecco come è spawnata ‘sta tipa.



Ringraziamenti

Guardatemi urlare perché sarò capacissima di mancare qualcuno.



Mixxo, che ha tenuto accesa la mia voglia di scrivere lungo gli anni di blocco e frustrazioni, grazie per tutti questi anni. Non sono riuscita a muovere Roxane ma spero che Ronye sia stata una degna “copia”, e magari un degno pg a sé stante.

Kirbo, Gungnir e Caem che irl mi hanno dato input per come muovermi, anche se erano occupati. La maggior parte delle idee assurdamente sensate erano loro.

Nella bozza dei ringraziamenti ho scritto “Tubo, bless u e le tue riflessioni approfondite” e non avrei bisogno di dire altro. Ti ho odiato/amato quando hai azzeccato a capitolo dodici chi sarebbe stato il boss finale.

Slane che mi ha riempito di appunti per come modificare la storia, perché sì, ho intenzione di farlo. Il primo atto è inesistente e Wyatt e Marilee sembrano venire fuori dal nulla.

Swan che mi ha fatto rendere conto che Yelena può essere simpatica e le relazioni dei pg non sono totalmente da buttare, e Martha a cui devo chiedere scusa per averla fatta smattare. Megara e Dragun che mi hanno dato un’ottima spinta per iniziare questa corsa in pieno caldo estivo.

Milly e NonLoSo che con le vostre riflessioni mi avete fatto capire cose che io stessa non avevo capito della storia.

Anchestral, EmmaJ, grishaversale, LadyTsuki, Orso Scrive anche a voi grazie.



L’ho detto parecchio, ma lo ripeto, la storia è venuta scritta così anche grazie a voi. Avete reso l’esperienza di scrivere la mia prima effettiva long non fanfiction fino alla fine indimenticabile.

Y’all are great.

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