Una giornata come tante

di gabryTheGift
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


“Diana!! Diana!!” Non c'è mai quando c'è bisogno di lei! È diventata pure sorda!
“Dianaaaa!!”

Imma Tataranni si alzò dalla sua sedia in preda, sembrava, alla rabbia più nera.

La cancelliera non rispondeva al suo richiamo, che soave non era per niente, e quindi decise di alzarsi dalla sedia della sua scrivania e con passo spedito andare verso la porta comunicante che dava nel suo ufficio.

Dopo averla spalancata, producendo un rumore fortissimo e decisamente voluto, si rese subito conto che la donna non era alla scrivania. Chissà dove si è cacciata e con chi!

“In questa Procura sono tutti scimuniti! Mai nessuno che sia al suo posto e che faccia il suo dovere!”

Sospirando e girando lentamente i tacchi, si diresse di nuovo alla sedia della sua scrivania e mormorando non riuscì a fare a meno di dire quasi a bocca chiusa una frase che aveva da giorni sulla punta della lingua. “Se ci fosse Calogiuri avrei tutto sottomano in modo efficiente e non dovrei gridare come una pazza per farmi sentire...”

Ecco l'aveva detto alla fine, nella solitaria protezione delle 4 mura del suo ufficio aveva ammesso, in modo velato perchè era pur sempre lo sceriffo di Matera e le smancerie non poteva permettersele nemmeno quando era sola, che le mancava il suo Calogiuri.

Momento... momento... Da quando in qua Calogiuri è mio? Certo - si disse - Ho fatto un sogno diciamo colorito su di lui e su questa scrivania ma era giusto un sogno... Forse avevo mangiato pesante prima di andare a letto. Si sà che poi si fanno sempre degli incubi!

Ma ricordando quelle immagini e appoggiando completamente la schiena alla sua comoda sedia dovette ammettere a sé stessa - Beh incubo adesso è una parola grossa – e pensandolo un sorrisino non potè fare a meno di fare capolino sulle sue labbra – Ma questo non centra! - Subito si riprese come lo sceriffo che era!- Ecco, la spiegazione è questa! Non c'è altro assolutamente! Altro che “mio”! “Mio” di cosa? “Mio” di che?

Ormai senza rendersene conto si era lasciata andare ai suoi pensieri. Sentendosi sola e quindi libera di potersi vagamente analizzare, la sua mente corse a ciò che davvero la stava destabilizzando ovvero la mancanza del suo sottoposto.

Certo, era contenta che fosse a Roma per tentare il concorso da Maresciallo. Credeva nelle sue capacità, a differenza delle persone che circondavano il giovane, ed era convinta che potesse farcela.

Con un po' di sana competizione e con un po' di autostima Calogiuri può fare qualunque cosa! Era questo che pensava da sempre del ragazzo.

E proprio non si capacitava di come chi lo circondava non riuscisse a vedere il suo potenziale e non credesse in lui. - Come si fa a non credere nelle capacità del mio Calogiuri insomma!

Alt! Ferma qui! - Si disse subito - Ecco che ci risiamo Imma: Calogiuri e l'aggettivo possessivo non possono essere inseriti nella stessa frase.

La Tataranni sospirò profondamente e incrociò le braccia sulla scrivania per poi posarci il capo sopra e chiudere gli occhi.

Ripensò a Calogiuri e a quel sogno avuto – Ma ho mai fatto un sogno così su Pietro? Mah! - Si chiese ma subito scosse la testa come per non pensarci e continuò a far vagare la testa tra le sue teorie.

Nel sogno il caro Calogiuri appariva un uomo spavaldo, deciso – Che sia una premonizione di come potrebbe essere davvero questo ragazzo fuori dalle mura di questo ufficio? Oppure di come potrebbe essere se si liberasse da alcune catene che lo rendono mite ed insicuro ma deciso e sagace sulle questioni più serie? E chi lo sa?

Insomma un Calogiuri vestito di nero – una versione dark come direbbe qualcuno – che entra in ufficio e mette la mano sotto la maglietta e tocca Noooo! No e no! Ferma Imma! Calogiuri che tocca qualcosa sono delle altre parole che non possono essere accostate! Mannaggia alla miseria mannaggia! - pensò scuotendo la testa sulle sue braccia e strizzando forte gli occhi già chiusi e incrociando strette le gambe tra di loro- Mananggia a me! Mannaggia! Ma che mi è preso?

Dopo questo rimprovero verso sé stessa non riuscì a fare a meno di pensare alla fitta allo stomaco che aveva sentito quando il ragazzo le aveva detto che sarebbe andato a Roma. In quel momento si era sentita sola e spaventata.

Sì, a lei poteva confessarselo.

Istintivamente non aveva potuto fare a meno di appoggiarsi alla sua spalla e piangere. Nemmeno lei sapeva spiegarsi fino in fondo cosa le era preso e cos'era quel freddo che aveva improvvisamente sentito - Patetica sono!- Sentire dalle sue labbra che sarebbe andato via era stato il colpo finale di quella giornata. L'aveva lasciata quasi senza fiato e impaurita. Io impaurita non lo sono mai! Non ho paura di niente! Eppure le era tremata la terra sotto i piedi e non ce l'aveva fatta a resistere.

Da quando con Pietro non aveva una reazione così istintiva, così di pancia? E soprattutto l'aveva mai avuta? Se lo chiese con altrettanta paura ma con altrettanta paura decise di non darsi una risposta.

Voglio bene a Pietro! Lui è l'unico che mi ha guardata fino ad oggi. E non so nemmeno perchè l'ha fatto.

Dopo questa riflessione, si alzò lentamente dalla sua sedia e rivolse lo sguardo ai vetri della finestra del suo ufficio. I vetri riflettevano il suo volto e guardando la sua espressione triste non riuscì anche non intravedere il volto di quand'era adolescente.

Si rivide sola e goffa, china sui libri perchè amava studiare e perchè voleva diventare qualcuno. Allo stesso tempo sapeva che non aveva altro da fare se non rimanere con il viso su quelle pagine e su quei quaderni per ore e ore.

Troppo schietta e sincera, dalla lingua troppo tagliente e non portata alle smancerie, nessuno l'aveva mai accolta in un gruppo o invitata da qualche parte. Ancora adesso si chiedeva perchè Diana si fosse così tanto incaponita nel provare ad essere sua amica.

Pietro era un santo! E lei? Lei era troppo complicata da gestire. Era troppo complicata da sopportare. Troppo complicata da amare.

E poi il riflesso di quei vetri le mandava, come sempre, un immagine che non avrebbe mai voluto vedere. Capelli troppo ricci, di un rosso strano ma che non avrebbe mai cambiato per nulla al mondo. Era il suo marchio, la sua firma. Occhi troppo scuri, viso normale, nessun fascino, nessun attrattiva, nulla.

Ci credo - si disse - che quello con Calogiuri era solo un sogno! Qaundo mai un ragazzo così potrebbe notare in una stanza una come me?

“Oh cazzo!” disse ad alta volce senza riuscire ad impedirselo – E questo da dove salta fuori adesso?

Scioccata da quanto aveva pensato Imma Tataranni si impose di non pensarci più. Di non pensare più a Calogiuri, allo strano rimestamento che sentiva nello stomaco e al calore che quel sogno le aveva donato.

Basta! Basta! - disse a sé stessa - È lo stress! È solo perchè non mi aiuta mai nessuno in questa Procura e quindi penso a lui, tutto qui!

Aprì in fretta e furia il fascicolo che aveva sulla scrivania e si mise a leggerlo! Chi lo pensa a Calogiuri? Non io! Certo che no. Non ne ho motivo!

Un rumore proveniente dall'uffico accanto la distrasse e vide Diana entrare con un caffè e sedersi alla sua scrivania con in mano alcuni fascicoli e fogli protocolli.

Mentalmente ringraziò la donna e subito la chiamò: “Alla buon'ora Diana! Devo fare tutto io in questa Procura! Dammi i fasciocoli che ti ho chiesto. Veloce che ho da fare!”

Decise di non analizzare cosa la parolina “veloce” le avesse riportato ancora una volta alla mente e si mise di testa e piedi nel caso.

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


La giornata alla fine passò.

Tra scartoffie e interrogatori Imma riuscì perfettamente a non pensare a niente e a nessuno. Se lo impose in modo impeccabile proprio come lo sceriffo che era. Lo sceriffo di Matera era sempe vigile con tutti anche e soprattutto con sé stessa.

Una volta a casa cenò con la sua famiglia.

Valentina come al solito guardava adorante suo padre e non lei. Mentre Pietro nel suo docile rimprovero alla figlia sembrava sempre goderne di essere il genitore preferito.

Alcune volte la Tataranni pensava, quando si concedeva di pensare senza freni – Con quel sorrisino, con quella sua aria buona e gentile sembra dirmi: vedi? Vedi che in questo sono migliore di te? Lo vedi? Nella cosa che conta, in quello che per te è importante io ne esco vincitore e tu solo seconda. In questo io sono migliore di te!

Tuttavia ogni volta che ci pensava si diceva che non era possibile. Si diceva che Pietro era un buon marito, le voleva bene, non poteva davvero essere in competizione con lei. Non poteva vedere il rapporto con la loro figlia come una sorta di competizione.

Magari fa così perchè è felice delle dimostrazioni d'affetto di Valentina. È normale che ne sia felice e che non mi prenda mai parte con lei. Io sono il bastone e lui è la carota. Ci compensiamo. Io detto le regole, sono la mamma intransigente e lui è il padre amico, buono e paziente. Pietro è l'unico che mi ha visto quando non mi vedeva nessuno. È buono e gentile non può provare un sentimento del genere.

Quindi scuoteva la testa e subito smetteva di pensarci – è una sciocchezza pensare certe cose – si diceva – a pensare una cosa del genere gli faccio un torto.

Anche quella sera quindi Valentina dopo cena si rintanò nella sua stanza. Suo marito invece steso sul divano guardava la tv e lei rassettava la cucina. Alla fine le piaceva farlo qualche volta – qualche volta eh! Non bisogna farci l'abitudine! Il ruolo della casalinga proprio non fa per me! Checché ne dica quella scassapalle di mia suocera!

Una volta finito di rassettare cominciò ad avvicinarsi al divano dove era ben steso e rilassato Pietro. Dalla televisione si sentiva un caos infernale e le immagini davano allo spettatore la visione di corpi giovanissimi, di ragazze magrissime e vestite molto poco. I suoi occhi andarono quasi di riflesso a cercare il volto del marito e vide un'espressione soddisfatta e allegra che poche volte aveva notato sul suo volto – Ma guarda questo? Cose da pazzi!-

Come se si fosse sentito preso in causa Pietro senza guardarla disse: “Amò? Guarda queste! Eh non come te eh” concludendo con una risatina fatta quasi a bocca chiusa.

Istintivamente Imma chiuse forte i pugni delle mani – Ma come si permette questo? Se lo ricorda chi sono io? - e subito rispose : “Grazie Pietro, sei sempre gentile!”

“Eh dai amò sto scherzando” continuò a dire sempre guardando la tv. Ad un tratto si girò per guardarla e le disse di raggiungerlo “Vieni qui, dammi un bacino così mi faccio perdonare.”

Imma si avvicinò non tanto perchè voleva portare avanti la sua stupidissima scenetta ma solo perchè non le andava di litigare. Era stanca e stremata dalla giornata di lavoro e da altri problemi – che non era il caso di pensare – e quindi si disse – una cosa veloce su!

Ma non fece proprio come le disse Pietro. Imma si avvicinò allo schienale del divano e protese la guancia verso di lui – un bacio sulla guancia e non se ne parla più.

Pietro capì subito le intenzioni della moglie e le prese il mento con una mano per girare il viso verso di sé. Immediatamente Imma si scostò e non potè fare a meno di dire: “No, Pietro scusa devo fare una doccia. Non ce la faccio più.”

Senza aspettare una risposta Imma andò a passi spediti verso il bagno e si chiuse dentro.

Il rumore del click della porta che si chiudeva dietro di lei divenne assordante nel bagno. Sembrò riempire completamente quei pochi metri e Imma non riuscì a fare a meno di appoggiare prima la schiena e dopo anche la testa alla porta, facendo un lungo e intenso sospiro.

Cosa mi succede? – si chiese – Il tocco della sua mano mi ha infastidito, possibile mai?

Sarà per quella battuta scimunita – si disse.

Lentamente si discostò dalla porta e quasi senza accorgersene si avvicinò allo specchio posto sopra il lavello. Appoggiando le mani sui bordi del lavello si guardò allo specchio cosciente dell'immagine che la lastra di vetro le avrebbe fatto vedere. Non posso essere certo cambiata da questa mattina, no?

Guardò gli occhi troppo scuri, troppo tondi, troppo anonimi. I ricci ribelli che tutti prendevano in giro a scuola, perchè lei lo sapeva che per tutti il rosso era un colore che stonava – è cattiva! Non vedi di che colore sono i suoi capelli?

Ogni tanto i ricordi legati agli anni della scuola facevano capolino anche se lei si diceva, come diceva a tutti anni fa, che non le interessava. Non posso perdere tempo con certe cose - ripeteva sempre a Diana - Devo studiare io!

Continuando a guardare il suo viso stanco dopo una giornata di lavoro e una piccola ruga d'espressione spuntata qua e là, inevitabilmente fece fluire dalla sua mente un pensiero che, come già sapeva, le ronzava da tempo nella testa ma che non si era mai concessa di formulare prima di quella giornata.

Guardandosi allo specchio si disse – Ma come può uno così bello guardare una come me?

Non si pentì di quel pensiero.

Non si pentì di quel pensiero rivolto al suo Calogiuri. Si sentì libera di pensarci davvero e senza freni. Sto solo mettendo in fila i pensieri – si disse – Non faccio male a nessuno. Forse solo a me stessa – continuò inevitabilmente.

Abbiamo una bella sintonia, ci capiamo con lo sguardo. Lo so, lo sento... e forse, dico forse, posso essere attratta da lui. Insomma chi non lo sarebbe? Inoltre è un ragazzo gentile, rispettoso, educato. È bello dentro proprio come lo è fuori. Avrei voluto conoscere un ragazzo così quando lo ero anch'io, magari quando andavo a scuola. Magari avrei avuto dei ricordi più belli.

Non frenava più la sua mente dal pensare al ragazzo che per lei era diventato un punto di riferimento. Ma non desiderò soffermarsi sul fatto che la Procura le sembrava un po' triste senza il suo sorriso e senza i suoi occhi azzurri e dolcemente ingenui. Voleva solo essere libera di sognare in quel momento, di sognare come la ragazza che non era mai stata.

In fondo sono solo ipotesi, idee. Non lo figuro nella mia vita. Sono felice di quello che ho. È solo che Calogiuri è davvero pulito, un bravo ragazzo dai buoni sentimenti. È normale che una ragazza ci fantastichi sopra. Una ragazza appunto, non io. Diciamo che sto lasciando fantasticare per una volta la Imma di qualche anno fa!

Lo specchio la portò indietro nel tempo e riuscì a vedere soltanto il suo viso di qualche anno fa, il viso di quando studiava, il viso di quando incontrò suo marito.

Imma scosse la testa e non riuscì a fare a meno di sussurrare: “Figurati se uno così bello...” Ma non riusci a concludere quella frase con la sua voce e abbassando il capo decise che era arrivato il momento di fare quella famosa doccia che aveva detto a suo marito.

Dopo essersi sistemata per la notte Imma raggiunse Pietro a letto. L'uomo cercò di abbracciarla ma lei finse un mal di testa. Quella sera non se la sentiva, pensava troppo alla ragazza che era stata e pensava troppo a Calogiuri.

Calogiuri lì a Roma in mezzo a tante giovani ragazze. Figurati - si disse ancora – Se magari sta a pensare a m... a Matera quello...-

Con questi ultimi pensieri il Sostituto Procuratore si addormentò. Ma i sogni non si possono addomesticare come i pensieri e non si può decidere cosa pensare e non si può cambiare una parola al posto di un altra per sentirsi la coscienza più pulita.

Quella notte Imma Tataranni sognò Ippazio Calogiuri.

Ma non sognò nulla di ardito, nulla di erotico o di sensuale. La donna sognò soltanto un Calogiuri che, con il suo viso dolce e i suoi occhi comprensivi, la corteggiava.

Sognò che l'aspettava sotto casa per ore solo per poterci parlare qualche attimo. Sognò di arrossire comprendendo le intenzioni del ragazzo e sognò di vederlo arrossire. Sognò di passeggiare con lui, di parlare con lui di tutto e di niente. Sognò lui che le chiedeva quale fosse il suo libro preferito e cosa stesse leggendo in quel momento. Sognò che le sfiorava la mano mentre passeggiavano e poi imbarazzato che la ritraeva subito perchè non sapeva se lei potesse esserne infastidità.

Imma sognò di sorridere. Sognò di sorridere radiosa una volta davanti all'uscio di casa quando lui le baciò una guancia, la stessa guancia che lei aveva sporto verso suo marito.

La mattina dopo si svegliò con un sorriso triste. Il sogno era stato bellissimo e dolce ma era meglio non pensare a cose che non le erano successe e che non sarebbero mai potute succedere.

Si vestì, fece colazione in fretta e furia e aspettò di vedere l'auto con Capozza alla guida pronto per portarla in Procura.

Quella era la sua vita di tutti i giorni, niente smancerie, e andava bene così.

Durante la mattinata seduta alla sua scrivania sentì bussare alla porta del suo ufficio. Una volta dato il permesso di entrare, vide fare il suo ingresso da quella stessa porta il suo Calogiuri.

Il suo cuore fece un piccolo salto ma non volle ascoltarlo. Era troppo impegnata a sorridere.

“Calogiuri già di ritorno?”

“Beh Dottoressa, Roma sarà anche la città più bella del mondo ma Matera è tutta un'altra cosa.”

La Tataranni sorrise tra sé e non riuscì a non chiedersi – chissà come andrà a finire questa volta.

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