And I will find you, in every universe

di effe_95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. One last toast ***
Capitolo 2: *** 2. Dangerous Mind ***
Capitolo 3: *** 3. A Golden Eagle on The Skin ***
Capitolo 4: *** 4. Hope ***
Capitolo 5: *** 5. Heal ***
Capitolo 6: *** 6. Golden Hour ***
Capitolo 7: *** 7. Aroma ***
Capitolo 8: *** 8. But I hate you, I really hate you ***
Capitolo 9: *** 9. Candy Corn for a Rascal ***
Capitolo 10: *** 10. Dance of the Knights ***
Capitolo 11: *** 11. The Dark One and The Elf King ***
Capitolo 12: *** 12. The Demon and The Hunter ***
Capitolo 13: *** 13. Deadly Kiss ***
Capitolo 14: *** 14. The Divided Sky ***
Capitolo 15: *** 15. I Am Your Fall ***
Capitolo 16: *** 16. A Cauldron Full of Hot, Strong Love ***
Capitolo 17: *** 17. A Blazing Fall ***
Capitolo 18: *** 18. I'll Make a Man Out of You ***
Capitolo 19: *** 19. A Man Too ***
Capitolo 20: *** 20. Your Ashen Hair ***
Capitolo 21: *** 21. We Will Be Just Fine ***
Capitolo 22: *** 22. Stay ***
Capitolo 23: *** 23. It's Always Love ***
Capitolo 24: *** 24. Come, Wake me Up - Prima Parte ***
Capitolo 25: *** 25. Come, Wake me Up - Seconda Parte ***
Capitolo 26: *** 26. Live Streaming With the Mysterious Boyfriend ***
Capitolo 27: *** 27. Your Way - Prima Parte ***
Capitolo 28: *** 28. Your Way - Seconda Parte ***
Capitolo 29: *** 29. Little Madeleine. ***
Capitolo 30: *** 30. Red Roses ***



Capitolo 1
*** 1. One last toast ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Pirate

N° parole: 2.131

Note: Salve a tutti :) Cominciamo questa sfida con qualcosa di soft, nella speranza di arrivarci fino in fondo.
Ho davvero intenzione di sperimentare con questa coppia, sperando di riuscirci. Ho inserito l’avvertimento OOC giusto per, nel caso, ma spero di non farli uscire troppo dall’IC. Inoltre, volevo segnalarvi che potete trovarmi anche su Instagram qui per qualsiasi cosa e aggiornamento: effe9_5.
Aggiornamento previsto ogni giorno e speriamo bene!


 


 

One last toast


 

Se tardi a trovarmi, insisti.
Se non ci sono in nessun posto,
cerca in un altro, perché io sono
seduto da qualche parte,
ad aspettare te…


 

Tooru osservava come ipnotizzato le goccioline d’acqua scivolare lungo il vetro dei boccali di birra. Non erano ancora stati toccati, e la schiuma biancastra era ormai quasi sparita.

Nella locanda il chiacchiericcio continuo non scemava mai.

Si mischiava alla puzza di fumo, corpi ammassati non lavati da tempo, cibo e alcol.

Nascosto dietro una scala a chiocciola di legno, in una sezione separata, Tooru poteva fingere che tutto quello non lo toccasse, che la sedia vuota all’altra parte del tavolo non lo ferisse.

La guardava come ipnotizzato, e non riusciva a capire come avrebbe fatto ad accettare la verità che si manifestava tangibile proprio davanti ai suoi occhi.

L’ambiente gli era familiare, il legno dei tavoli, il rosso delle tende, gli odori, i colori.

Tutto era uguale a come lo aveva lasciato un anno prima, quello stesso giorno.

Mancava solo una persona, seduta proprio lì, su quella sedia vuota.

Tooru avrebbe voluto essere meno testardo, meno orgoglioso.

Avrebbe voluto avere il coraggio di voltarsi alla fine della passerella di legno che lo aveva condotto sulla terra ferma, voltarsi verso la sua nave – con la bandiera verde acqua che sferzava il vento indomita – e chiedere al suo capitano d’armi, Hajime, di andare con lui.

Ma Tooru era il capitano di quella ciurma, il Grande Re dei mari conosciuti e non era mai davvero stato in grado di venire a patti con le sue debolezze – che erano molte.

Perciò aveva litigato con Hajime – il suo migliore amico – la sera prima che attraccassero al porto e non si era fermato alla fine della passerella per mettere il suo orgoglio da parte.

Non si era voltato alla volta dell’uomo di cui si fidava maggiormente per dirgli che forse non ce l’avrebbe fatta ad affrontare quella verità, che aveva avuto ragione, come sempre.

Perchè proprio come aveva detto Hajime, Tooru non avrebbe solo dovuto affrontare la consapevolezza di quella assenza e di che cosa significasse, ma anche il peso delle proprie scelte e del proprio orgoglio.

Il vociare nella sala crebbe di intensità, e come se si fosse appena risvegliato da un sogno molto lungo si rese conto che stava calando la sera.

La finestra alla sua sinistra affacciava sul porto ormai quasi deserto, illuminato da fiaccole mosse dal vento, infuocato dalla luce arancione del sole morente che si specchiava nelle pozze d’acqua tra le pietre levigate e sconnesse del pavimento.

Tooru riusciva perfino a vedere la sua amata nave da quella distanza, ormeggiata accanto alla banchina, con la bandiera ancora mossa dal vento ostinato.

Il giorno stava finendo e quella sedia sarebbe rimasta vuota, ormai lo sapeva.

Ma non era facile combattere contro la voglia di rimanere seduto lì, ad aspettare che il tempo scorresse e che lui fosse lentamente in grado di versare quelle lacrime che non arrivavano, oppure alzarsi in piedi e andare via come se nulla fosse successo.

Come se non gli stesse implodendo il petto dall’interno.

Un rumore di nocche sbattute contro il legno lo riportò al presente che stava vivendo.

Voltandosi nella direzione del rumore, Tooru vide un uomo appoggiato al pilastro di legno portante che sosteneva il soffitto della struttura, aveva le braccia incrociate su un grembiule sporco e un’espressione seria, rammaricata forse.

Guardava Tooru, le birre ancora intoccate e quella sedia vuota.

« Le voci che circolano devono essere vere, allora »

Tooru fissò Osamu Miya come se gli avesse appena sparato un colpo di rivoltella in petto.

Il proprietario del locale in cui si trovavano – La volpe bianca – non sembrò nemmeno rendersene conto, eppure Tooru non si era mai mostrato tanto vulnerabile di fronte a nessuno. Forse solamente con Hajime – entrambi venivano dal fango e dal letame della loro terra natia, Seijoh. Due orfani cresciuti a pane, cipolle e bastonate fino a quando non avevano messo piede su una nave per la prima volta.

Il resto era diventato leggenda e ancora se ne parlava in tutti i mari conosciuti.

« Suppongo di si » Fu la sua risposta accennata, mormorata appena.

Osamu si scostò dalla colonna di legno e gli si fece vicino, posandogli una mano sulla spalla.

Lui era stato testimone di ogni appuntamento avvenuto nel corso degli anni, in quella che all’epoca era la locanda di suo padre, quello stesso identico giorno.

Inarizaki era una nazione grande, autosufficiente, con una potenza militare notevole.

Tooru non avrebbe mai attraccato ai suoi lidi, anni addietro, se non fosse stato per Atsumu Miya – il gemello pirata di Osamu, la Volpe Rossa – ma era una delle poche nazioni su cui non pendeva una taglia stratosferica sulla sua testa.

« Non credevo che sarebbe mai arrivato quel giorno » Fu il commento sommesso di Osamu.

Nemmeno io, Tooru non riuscì a pronunciare quelle parole.

Era proprio perché non ci aveva mai creduto che in quel momento stava soffrendo.

Perchè vedeva una vita a cui aveva rinunciato per orgoglio diventare ormai impossibile.

Osamu non commentò la sua mancanza di parole, gli diede un’altra stretta sulla spalla e se ne tornò in sala a servire i suoi clienti abituali e di passaggio, lasciandolo al suo dolore.

Tooru sapeva che sarebbe dovuto andare via, ma non ci riusciva.

Fissò di nuovo la seria vuota, il boccale di birra rossa – la sua preferita – che aveva ordinato per abitudine, intoccata, e immaginò che ci fosse lui dall’altra parte, con la sua postura rigida, l’espressione indecifrabile e le gambe sempre divaricate, come se avesse fretta di andare via.

Il cielo stava diventando blu cobalto e gli tornarono in mente le parole che gli aveva detto Hajime la sera precedente, durante il loro litigio furioso:

Wakatoshi non verrà domani.

 

Lui non aveva voluto credergli, anche se sapeva che era vero.

 

𒆨𒆨𒆨

 

Era stato Tobio a dargli la notizia.

Si erano scontrati sulle coste di Karasuno, alla ricerca dello stesso tesoro.

Tooru non aveva mai perso un’occasione, ma quel giorno aveva perso in molti modi diversi.

All’inizio aveva creduto che quella di Tobio fosse solamente una vendetta nei suoi confronti.

Era un membro della sua ciurma prima che Tooru lo abbandonasse su un’isola deserta – contro il volere di Hajime. Ma Tobio se l’era cavata bene, e ora depredava i mari insieme ai Corvi, l’equipaggio selvaggio di Daichi, soprannominato il Capitano.

Stavano tirando di sciabola quando gli aveva dato la notizia: l’Imperatore è caduto.

Tooru non aveva capito subito, Tobio aveva sempre un’espressione corrucciata sul volto quando doveva dire qualcosa, poi era stato più chiaro:

« L’Aquila Reale, la nave di Wakatoshi, è affondata a largo di Karasuno »

Non aveva voluto credere a quelle parole. Era impossibile.

Si era lasciato ferire al fianco, quel giorno, e aveva perso anche l’inestimabile tesoro: un baule pieno zeppo di rubini e diamanti raffinati. Ma aveva perso anche qualcos’altro.

Qualcosa di molto più importante: il suo cuore.

 

Tobio non si stava vendicando di lui.

Non aveva mai voluto farlo, non ne era capace, nemmeno dopo essere stato abbandonato in quel modo crudele e spietato, solo per una mera gelosia.

Gli aveva dato quella notizia solamente perché sapeva.

Sapeva che dietro la rivalità con Wakatoshi vi era un grande amore.

Non era un segreto nei mari conosciuti, loro due erano una leggenda anche solo per quel motivo: l’Imperatore e il Grande Re che si inseguivano fino in cima al mondo per vedere chi sarebbe arrivato prima al prossimo bottino.

Tooru non aveva mai vinto, nemmeno una sola volta.

Lui e Wakatoshi non si vedevano spesso, lo facevano raramente ed erano momenti preziosi, a cui entrambi davano un grande valore. Erano eguali quando si toccavano.

Avevano solo un appuntamento, fissato ogni anno lo stesso giorno in quella taverna ad Inarizaki, territorio neutrale per entrambi.

L’anniversario del loro incontro, quando si erano ritrovati a scappare insieme – ancora ragazzini – da un pirata potente a cui avevano tentato di fare le scarpe.

Era stato Atsumu, incontrato durante la loro fuga, ad indirizzarli verso Inarizaki.

E cosi si erano nascosti nella locanda La volpe bianca per la prima volta.

E per la prima volta quel giorno – dopo settimane a scappare insieme in attesa di riunirsi alle loro rispettive ciurme – avevano dato sfogo a quello che provavano.

Poi era diventata un’abitudine.

 

Tooru era andato sul luogo che gli aveva indicato Tobio.

Il relitto dell’ Aquila Reale era ancora lì, mezzo sprofondato tra due scogli insidiosi.

Casse di viveri galleggiavano vuote in superficie, pezzi di legno, travi spezzate, stoffa incastrata e zeppa, ma nemmeno un solo corpo da recuperare o su cui piangere.

 

Nonostante avesse visto con i suoi occhi, Tooru non aveva creduto.

Wakatoshi non poteva essere morto in quel modo.

Non poteva.

 

𒆨𒆨𒆨

 

L’ultima volta che lo aveva visto gli aveva detto una cosa terribile.

Erano sul pontile della sua maestosa nave, con le vele bianche e viola sospinte dal vento e la bandiera con l’aquila reale che sventolava annunciando terrore ai suoi nemici.

Il mare era un amico familiare che scorreva in spruzzi bianchi sotto di loro.

« Mi sono sempre chiesto se tu verresti a cercarmi, dovesse mai succedermi qualcosa »

Tooru aveva posto la questione in modo spensierato, come faceva sempre.

Sapeva che Wakatoshi avrebbe preso la faccenda sul serio – prendeva tutto sul serio dopotutto- e gli piaceva prenderlo un po’ in giro con quei discorsi pesanti.

« Ti cercherei » Aveva risposto Wakatoshi con la sua aria severe mentre scrutava l’orizzonte infuocato dal sole morente « Anche in capo al mondo, se fosse necessario »

Tooru aveva sentito un brivido innegabile di potere nel sentire quelle parole.

Aveva potere sul cuore di quel pirata spietato, ed era forse una vittoria più grande di quanto non lo sarebbe stata una sulla carta.

« Di tutti i tesori che posseggo, tu sei quello più prezioso per me »

E lo aveva guardato come se avesse davvero davanti il tesoro più prezioso del mondo.

Tronfio del suo potere, e della certezza che sarebbero stati entrambi eterni, che la morte era lontana anni luce e non avrebbe mai potuto sfiorarli, Tooru aveva riso di lui.

« Io non sono tuo, e tu non mi possiedi, Wakatoshi » Aveva risposto beffardo.

L’altro non aveva replicato, tornando a fissare il mare di fronte a se, lasciando Tooru a domandarsi a che cosa stesse pensando tanto intensamente.

« So che tu faresti lo stesso » Se n’era uscito qualche minuto dopo, strappando Tooru dalle sue riflessioni « Mi cercheresti anche in capo al mondo, se fosse necessario » Aveva chiarito.

Tooru lo avrebbe fatto, certo. Ma lui e Wakatoshi non si erano detti ti amo nemmeno una sola volta e a lui piaceva quel gioco del fingere che non importasse.

« Non ne sarei così sicuro » Aveva replicato, dimenticando che Wakatoshi aveva il brutto vizio di prendere tutto alla lettera.

« Unisciti alla mia flotta, Tooru. Insieme, con i nostri uomini uniti, potremmo dominare i mari conosciuti » Gli aveva detto con una certa disperazione, afferrandolo per il braccio.

Tooru non aveva capito in quel momento. Non aveva capito perché Wakatoshi avesse improvvisamente espresso il desiderio di legarlo a se in quel modo.

Non aveva capito che era stato lui, con le sue parole, a renderlo disperato.

« Non potrò mai unirmi a te » Gli aveva risposto, liberando il braccio.

E Wakatoshi lo aveva semplicemente guardato.

 

La sua espressione gli era rimasta impressa nella mente per parecchio tempo.

Sembrava … ferito.

Poi non lo avrebbe più rivisto, ma ancora non lo sapeva.

 

𒆨𒆨𒆨

 

La sera era ormai calata fuori dalla finestra della locanda.

E Tooru era venuto a patti con il fatto che quella sedia sarebbe rimasta vuota ancora per molto tempo. Aveva afferrato il suo boccale di birra, senza ancora berlo.

Era venuto a patti anche con la sua determinazione, e la necessità di rimangiarsi quelle parole terribili che aveva pronunciato per orgoglio.

Ma per farlo, doveva trovare la persona che mancava dall’altro lato del tavolo.

« Un ultimo brindisi, Wakatoshi » Mormorò, facendo cozzare il proprio boccale di birra contro quello ancora intoccato, davanti alla sedia vuota.

« Me lo concederai. Perchè verrò a cercarti anche fino in capo al mondo, se necessario »

Bevve un sorso generoso e scrutò ancora una volta fuori dalla finestra.

Il porto era illuminato dalle torce, e la sua nave brillava nella notte, sotto una luna piena.

Il suo cuore non si era arreso e non lo avrebbe mai fatto, avesse campato anche mille anni.

Avrebbero raccontato un’altra leggenda su di lui: il pirata che setacciava i mari conosciuti per amore. Un po’ sdolcinata come storia, ma decisamente adatta per la sua indole.

Wakatoshi era vivo, da qualche parte, e lo avrebbe trovato.

Era il cuore a suggerirglielo.

Avesse dovuto intraprendere quella avventura da solo, lo avrebbe fatto.

« Sta a vedere » Mormorò.

E la bandiera sulla sua nave oscillò al vento della notte, come un alito di speranza.

 

e se non mi trovi più, in fondo ai tuoi occhi,
allora vuol dire che sono dentro di te.

 

( Se tardi a trovarmi – Walt Whitman )

 

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Capitolo 2
*** 2. Dangerous Mind ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Crime

N° parole: 4225

Note: Segnalo qui un Fem! Oikawa, ce ne saranno anche altri in futuro, sicuramente. Niente, ho voluto un po’ sperimentare, spero vi piaccia.
    TW: ci sono accenni di violenza fisica. Uomo avvisato, mezzo salvato!


 

Dangerous Mind

 

Still, I want you
But not for your devil side
Not for your haunted life
Just for you



Tooru aveva il cuore in gola.
Lo sentiva battere con violenza nella cassa toracica, mentre correva per i corridoi labirintici di quella maestosa mansione.
Non sapeva dove stava andando. Non ne aveva la minima idea.
Sentiva il fiato corto e il panico opprimere tutti i suoi sensi, non riusciva a ragionare, a pensare. Il suo corpo si muoveva in avanti, per inerzia, sospinto dal bruciante desiderio di trovare una via di fuga. Una qualsiasi.
Svoltò nell'ennesimo corridoio spazioso, e inciampò con il piede sul bordo di un tappeto persiano dall'aria costosa.
Cadde in avanti, mulinando le braccia nel vuoto alla ricerca di un appiglio qualsiasi.
Non ne trovò. L'impatto con il pavimento arrivò rapidamente, il dolore smorzato solo dalla ruvidezza della tappezzeria costosa.
Tooru rimase distesa a terra per qualche secondo, stordita.
Le pulsavano le ginocchia, i palmi delle mani con cui aveva tentato di frenare la caduta per istinto e la mascella, sentiva la guancia già gonfia.
Il dolore fisico, tuttavia, fu come una secchiata d'acqua ghiacciata addosso.
Le schiarì la mente, domò in parte il suo panico. Ancora tremante, si mise a sedere sul tappeto, analizzando la situazione circostante. Fece un respiro profondo, assorbendo con il dorso della mano il sudore freddo che le imperlava il volto.
Il corridoio era largo, identico a tutti i precedenti: pareti di un panna tenue, rifiniture costose, tappeti lunghi e complessi, porte di legno pregiato chiuse a chiave, mobili radi e vasi preziosi. Tutto minimalista e diretto, proprio come il proprietario di quella casa.
Risolve lo sguardo alla sua mano sinistra, era ancora sporca di sangue secco.
Il liquido vermiglio era penetrato nei solchi e nelle linee della sua pelle, aveva sporcato l'anello di diamanti e si era incrostato sotto il french delle sue unghie curate.
Nella fretta di agire, aveva colpito Reon con la sua mano debole - la sinistra - inoltre, dubitava di avergli fatto davvero male.
Non ricordava bene cosa fosse successo - il panico aveva reso la scena frammentaria nella sua memoria - ma era convinta di aver colpito il suo secondino dietro la nuca con un fermacarte. Il colpo non era stato molto violento e Reon non era nemmeno svenuto.
Tooru ricordava di averlo visto sbandare contro il muro del corridoio mentre lo spingeva con foga per scappare, una mano premuta sulla nuca insanguinata, e di aver corso per un po' prima di lasciar cadere su uno degli innumerevoli tappeti persiani l'arma che aveva utilizzato. L'uomo doveva dunque essere sulle sue tracce, ma non abbastanza vicino da arrivare subito. Tooru non poteva cantare vittoria - quella mansione era satura di criminali travestiti da guardie del corpo, e comunicavano tutti con quei maledetti auricolari. Reon doveva avere allertato gli altri della sua fuga.
Aveva poche probabilità di farcela.
Con un respiro tremante si alzò in piedi.
Era scalza, aveva perso le scarpe con i tacchi a spilli quando si era messa a lottare contro di lui, che l'aveva sollevata da terra come fosse un sacco di patate qualsiasi.
Meglio, i suoi passi non avrebbero fatto rumore. Il vestito da sera - di raso lungo - era scomodo, le fasciava il corpo dal seno fino alle caviglie come una coda di sirena, ma almeno aveva uno spacco sulla coscia destra, lo sollevò.
L'acconciatura era saltata via in parte. Una matassa di boccoli castani le pendeva sul lato sinistro del collo - non le finivano in faccia, potevano andar bene.
Con il cuore che ancora le martellava nel petto, ma il respiro sotto controllo e la mente finalmente lucida, si mosse. Attraversò il corridoio con cautela, sul lato destro, di modo da poter sbirciare dietro gli angoli. Ogni rumore la faceva sussultare.
All'ennesima svolta si trovò di fronte una vetrata - avrebbe apprezzato la vista e tutto il lusso che la circondava se non si fosse trovata in quella situazione.
Se ormai non avesse saputo che poggiava le sue fondamenta su un vero e proprio impero del crimine. Uno specchietto per le allodole come lei.
Dalla vetrata, che si affacciava sul maestoso giardino all'italiana della mansione, Tooru si rese conto di essere arrivata al primo piano.
Se solo fosse riuscita a raggiungere la -
<< Non può essere andata lontana >>
Il respiro le morì in gola al suono di quella voce pacata e atona - Kenjirou.
Sembrava provenire da dietro l'angolo.
Tooru sentì il corpo irrigidirsi, si schiacciò contro la parete come se vi ci volesse fondere dentro, trattenendo il fiato.
Portò una mano sul cuore impazzito e chiuse gli occhi umidi di disperazione, pregando.
Se avesse potuto anche solo scappare abbastanza lontano da contattare Hajime ...
<< Avevo detto a Wakatoshi che quella faina sarebbe stata solo una spina nel fianco >>
Cantilenò una seconda voce, familiare, fin troppo familiare. Tooru ghiacciò.
Satori - il braccio destro di suo ... marito.
<< Merda >> Imprecò sottovoce, premendo ulteriormente il fianco contro il bordo di un comò pregiato.
<< È la tua signora, non dovresti parlare di lei in questi termini >>
Fu il commento privo di intonazioni di Kenjirou - a Tooru non era mai piaciuto.
Non erano mai piaciuti nessuno dei due.
<< Con me non funziona il tuo lecchinaggio del cazzo, sai >> La voce di Satori era la più vicina delle due, Tooru aveva l'impressione che fosse proprio dietro l'angolo << Io non sono Wakatoshi. Tu non tolleri quella puttana, proprio come tutti gli altri >>
Kenjirou non replicò. Tooru si morse il labbro inferiore, si sarebbe indignata nel sentirsi appellare in quel modo se fosse stata un'altra occasione. Ma ora voleva solo fuggire.
Da quella casa - una delle sue case - che non conosceva, da quegli uomini, dalla sua vita di bugie. Da lui. Voleva soprattutto scappare via da lui e non rivederlo mai più.
O altrimenti gli avrebbe piantato un coltello nel cuore con le proprie mani.
<< E se la prendo le faccio passare la voglia di scappare >>
Tooru sussultò, spaventata da quella minaccia, e urtò con il fianco contro il comò.
Il vaso cinese di inestimabile valore posato al suo centro prese ad oscillare pericolosamente sotto i suoi occhi inorriditi.
Si slanciò in avanti per afferrarlo e produsse una serie di soffici rumori: un singulto e il breve stridio dei piedini di legno del mobile che veniva leggermente spostato di lato.
Con il cuore sul punto di uscirle di bocca si immobilizzò, continuando a tenere il vaso fermo. I due avevano smesso di parlare.
Ci fu un silenzio di qualche secondo.
<< Hai sentito qualcosa? >> Domandò Satori qualche istante dopo. Tooru serrò di nuovo gli occhi per un istante, si sentiva sul punto di vomitare. Aveva la nausea.
<< No >> Fu la replica di Kenjirou, arrivata dopo qualche secondo di troppo di silenzio.
Poi si sentì un bip acuto.
<< Una comunicazione da Tsutomu, pare sia nell'ala ovest >> Dichiarò dopo un secondo, e Tooru non riuscì a credere alla propria fortuna. Lasciò andare il vaso.
<< Muovi il culo allora, moccioso >>
Fu la replica di Satori. Rumori di passi che si allontanavano nella direzione opposta.
Tooru fece un respiro profondo, attese qualche secondo: silenzio assoluto.
Tenendosi la gonna si affacciò da dietro l'angolo, vide la lunga scalinata che portava all'ingresso maestoso. L'uscita principale.
Fu presa da una strana frenesia. Si mosse in avanti, la meta tanto vicina.
Ce l'aveva fa -
Le sfuggì una forte esclamazione di acuto dolore quando si sentì afferrare i capelli dietro la nuca con una mano. Un forte odore di colonia la investì quando sentì il respiro caldo di qualcuno accanto all'orecchio.
Sollevò le mani, tentando di liberarsi i capelli, e quella persona rise, provocandole uno spiacevole brivido lungo la schiena.
<< Pensavi di avercela fatta sotto il naso, vero puttanella? >> Satori, maledetto figlio di -
Il pensiero venne interrotto quando la stretta attorno ai suoi capelli si fece ancora più serrata. Sentiva di voler piangere, ma non lo fece.
Non lo avrebbe fatto mai davanti a loro.
<< Sono arrivata fin qui >> Lo sfidò invece, arrogante e orgogliosa. L'altro rise ancora.
Sembrava un folle, un pazzo.
<< Hai sentito, moccioso? Fa la spiritosa >>
Tooru si accorse solo in quel momento di Kenjirou. Era di fronte a lei, ma riusciva a guardarlo a malapena con il collo rigido a causa della presa salda sui suoi capelli.
<< Le stai facendo male, Satori. Il capo ha detto "non un graffio". Nemmeno tu sei tanto sciocco da sfidarlo così >> Tooru sentì montare dentro la disperazione.
L'avevano ingannata, entrambi, facendole credere di essersi allontanati, quando invece avevano captato la sua presenza proprio grazie a quei due insignificanti rumori.
E lei ci era cascata come una sciocca.
Satori rise di nuovo, strinse ancora più forte, strappandole un lamento - quello che voleva - prima di lasciarla andare con uno strattone.
Tooru barcollò in avanti. Ma non ebbe nemmeno il tempo di toccarsi la nuca per massaggiarsela, che Satori le sferrò un ceffone talmente forte da farla finire stesa a terra con la testa che le girava.
Il sapore metallico del sangue le invase la bocca: quelli erano gli uomini di suo marito.
Non mi mosse, paralizzata dalla piena realizzazione della realtà in cui viveva.
In cui si era andata a cacciare.
<< Satori, ma che caz - >>
<< Dirò che ha fatto resistenza >>
Tooru si sentì sollevare da terra come una bambola di pezza.
Avrebbe fatto davvero resistenza se quel gesto non l'avesse scioccata.
Non era mai stata colpita in quel modo. Mentre veniva caricata su una spalla come un sacco di farina, lo sguardo le finì sulla porta d'ingresso che si allontanava. Le scivolò una lacrima lungo il solco del naso, che raggiunse la punta e si staccò per finire a terra.
Ti prego. Ti prego.
Nessuno avrebbe ascoltato le sue preghiere.

 

♤◇♤



Odiava quella stanza.
La detestava, con il suo letto enorme, l'oro, il marmo e lo sfarzo che emanava.
Con il suo terrazzo troppo alto per scappare e la piscina con l'idromassaggio illuminata di notte. Non sapeva da quante ore se ne stava stesa a letto, ormai. Era priva di forze.
Il labbro le pulsava dolorosamente, ma non le importava molto.
Non era riuscita a scappare. Era prigioniera in casa sua e il suo carceriere - il suo carceriere non era nient'altro che suo marito.
L'uomo che aveva sposato.
Senza saperlo, era finita in catene ancora prima che lui la facesse rinchiudere in quella stanza quando era diventata violenta.
Tooru era orgogliosa, e si era sempre ritenuta una persona intelligente.
Sapeva osservare.
Sapeva cogliere le sue occasioni, colpire gli altri nei punti deboli e farli cadere.
Non era dunque un mistero che quell'uomo avesse catturato la sua attenzione quando aveva dimostrato di non possederne.
Hajime glielo aveva detto. Tutti i suoi amici glielo avevano detto.
Lo aveva conosciuto in un locale - quasi un anno prima - ci era andata come una ragazza qualsiasi, per divertirsi. Non sapeva niente di quel luogo, né di chi lo frequentasse.
Si erano incontrati e lei lo aveva sfidato. Gli era stato detto che era un uomo freddo, che era difficile catturare la sua attenzione e l'aveva presa come una sfida. Che sciocca. Quella sfida l'aveva vinta, ovviamente.
Ma non aveva visto cosa si celasse dietro quella maschera composta.
Wakatoshi la venerava. Non poteva dubitare di quello.
La venerava al punto tale da sembrare un amore malato. E ora lo vedeva.
Ma era stata lei a sposarlo di fretta, dopo solo pochi mesi dal loro incontro e da una guerra in cui lei scappava e lui si prostrava ai suoi piedi offrendole il mondo.
Ma su quel letto si sentiva svuotata perché le era piaciuto, e quel pensiero la annientava.
Si passò una mano sul volto bagnato.
Un rumore nel corridoio catturò la sua attenzione, scostò lo sguardo sulla porta chiusa a chiave. Il cuore prese a pomparle forte nel petto.
<< È dentro >> Disse una voce soffocata.
Non era Reon che le faceva la guardia, lui doveva essere da qualche parte a medicarsi la ferita dietro la nuca. Eita, forse.
Ci fu una risposta, probabilmente, ma Tooru non la sentì, udì lo scatto della serratura invece. La porta si aprì di uno spiraglio, ma poi si arrestò di colpo.
<< Non era di buonumore >> Sentì dire alla voce di Satori, che risuonò invece più chiara con l'uscio aperto di qualche millimetro.
Stronzo, si ritrovò a pensare mentre si metteva seduta sul letto, per affrontarlo.
Sapeva che era lui dietro quella porta.
<< Non sono sorpreso >> Fu la replica seria.
E la sua voce le fece scendere un brivido gelido lungo tutta la schiena, ma anche caldo.
Tooru provò raccapriccio per sé stessa.
Wakatoshi entrò nella stanza un istante dopo.
Si stagliò sulla soglia con la sua stazza, chiudendosi la porta dietro con uno scatto.
Non girò la chiave.
Indossava solo la camicia nera inamidata, sbottonata sul petto, con le maniche arrotolate fino ai gomiti. La giacca era sparita da qualche parte.
I pantaloni gessati gli fasciavano le gambe in modo elegante, come le costose scarpe lucide. Si era passato una mano tra i capelli più volte forse, perché erano scombinati.
La sua espressione non tradiva nulla, comunque, come sempre.
Tooru sapeva che la sua stava bruciando invece. Di odio, di passione, di vergogna.
<< Che cosa devo fare con te, Tooru? >>
Wakatoshi la guardava massaggiandosi il polso del braccio sinistro.
La fede al suo dito scintillò minacciosa sulla grossa mano.
Tooru trasalì, seduta al centro del letto.
Provò l'impulso di colpirlo, ma sapeva che era del tutto inutile.
Era più forte di lei e ci aveva già provato qualche ora prima, nel suo studio.
Rimase allora in silenzio, scostando lo sguardo rabbioso. Wakatoshi sospirò.
<< Gli ospiti sono andati via >>
Annunciò, con voce del tutto atonale e priva di inflessioni.
Si riferiva agli ospiti che avevano invitato nella loro mansione - che Tooru vedeva per la prima volta quella sera - per festeggiare l'anniversario del loro primo incontro.
Tooru rise con disprezzo, tornando a guardarlo.
<< Avevi paura che facessi una scenata? >>
La sua voce uscì tagliente come una lama.
Wakatoshi la fissò impassibile.
<< L' hai fatta, infatti >>
Ed era vero. L'aveva fatta. Wakatoshi diceva solo quello che aveva visto con i suoi occhi.
La serata stava andando bene, andava alla grande.
Tutte quelle persone influenti e di potere venute lì per ammirare lei.
Tooru si stava crogiolando nel suo compiacimento quando aveva visto Wakatoshi allontanarsi con Satori e Kenjirou. Era solo andata a cercarlo, nulla di più.
Non avrebbe dovuto sentire niente di quello che aveva sentito oltre la porta del suo studio, però lo aveva fatto. E ora sapeva. Sapeva tutto: suo marito era solo un criminale, uno strozzino e aveva costruito un impero del crimine.
E non era solo un modo per dire, lo chiamavano davvero l'Imperatore li a Shiratorizawa.
Tooru aveva capito allora di non conoscerlo affatto.
Aveva fatto irruzione nello studio e lo aveva aggredito fisicamente.
Ecco perché era finita chiusa in quella camera per il resto della serata.
Dove la portata della verità l'aveva schiacciata.
Tooru lo fissò con occhi pieni di odio.
<< Avrei voluto colpirti più forte >>
<< Non ne dubito >> Wakatoshi smise di massaggiarsi il polso sinistro e fece un passo nella stanza, verso il letto. Tooru lottò contro la voglia di indietreggiare.
Aveva avuto altri piani per quella notte, tra quelle lenzuola. Cristo, le venne la nausea.
<< Sei un mostro >> Sibilò invece, con astio.
Lui arrestò i passi e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.
I suoi occhi dal colore indecifrabile la scrutavano attenti.
<< Molti la pensano così, è vero >> La sua calma imperscrutabile la faceva impazzire.
Wakatoshi era esattamente lo stesso uomo che aveva sedotto, eppure ormai era diverso.
Non riusciva a non pensare a quello che aveva fatto con quelle stesse mani con cui la faceva impazzire di piacere. Tooru fu investita da una vampata di vergogna violenta.
<< E non hai nulla da dirmi? >> Lo canzonò, incredula. Lui non replicò.
Esasperata, Tooru fece per sfilarsi l'anello quando Wakatoshi si mosse furtivo e inaspettato. Prima che se ne rendesse conto era salito con un ginocchio sul materasso e le aveva afferrato il mento tra le mani.
Tooru trattenne il fiato, investita dal profumo speziato della sua colonia preferita.
Rimase intrappolata nel suo sguardo freddo.
Le sue viscere si contorsero in profondità, mosse dal desiderio e Tooru si ritrovò a domandarsi se in fondo non fosse un po' malata anche lei se continuava a desiderarlo nonostante tutto.
<< Sei stata colpita al viso >> La sua voce la strappò a quei pensieri oscuri, infastidita gli allontanò il braccio con una manata.
<< Non mi toccare >> Wakatoshi non mosse un solo muscolo facciale.
Era abituato a quei suoi colpi di testa, dopotutto era in quel modo che erano finiti insieme. Lei che lo respingeva e lui che insisteva per inseguirla ed averla.
Le era piaciuto giocare al gatto e al topo ed ora era finita in trappola.
Non si sarebbe mai liberata di lui. Doveva solo ucciderlo.
<< Ti fa male? >> Insistette lui, tentando di toccarla di nuovo, Tooru lo allontanò ancora una volta con una manata poco gentile.
<< No. Ho detto - Ahia! >> Wakatoshi la afferrò di nuovo per il mento e premette un pollice con forza contro l'angolo destro delle sue labbra.
<< Il tuo verso mi sembra una risposta eloquente. Chi ti ha colpito? >>
Tooru tentò di liberarsi dalla sua presa, frustata dalle sue azioni, ma non ci riuscì.
Non rispose, ignorandolo.
<< Satori >> Commentò invece Wakatoshi, come se le avesse letto nella mente.
Anche in quel caso la sua voce e la sua espressione non cambiarono.
Tooru fece per parlare, ma poi si accorse di una cosa. Un dettaglio che non aveva notato.
Wakatoshi aveva le nocche della mano sinistra scorticate e sporche di sangue.
Lei lo aveva graffiato e colpito, ma senza fargli versare nemmeno un goccia del liquido vermiglio. Poi comprese: quel sangue non era suo.
<< Hai picchiato quel tipo >>
Ne ebbe la conferma anche mentre sollevava gli occhi per fissarlo incredula, scioccata.
Come se tutto quello che aveva fatto fino a quel momento non fosse una prova sufficiente della verità che non aveva visto per mesi e mesi.
<< Era necessario >> Fu il commento pacato di Wakatoshi e Tooru perse la testa.
Si liberò dalla sua presa e lo spinse senza smuoverlo nemmeno di una virgola.
<< Mi fai schifo >> Sibilò come un aspide.
<< Doveva capire che non può scherzare con me, Tooru. Era la spia di un clan rivale >>
Era. Un verbo al passato. Lo aveva ... Wakatoshi la afferrò per la vita con appena cominciò a dimenarsi per colpirlo e la intrappolò nella sua presa.
Lei si sentì soffocare dal suo odore. Dal suo calore familiare.
<< Mi fai schifo! Schifo! >> Strillò, agitata.
<< Bisogna farsi rispettare se si vuole - >>
Tooru gli sputò in faccia, lo fece di istinto.
E tutto si fermò, perfino l'aria.
Sgranò gli occhi, sorpresa dal suo stesso gesto. Tremò mentre lo osservava sollevare la stessa mano sporca di sangue per pulirsi il viso dalla sua saliva.
<< Wakatoshi, io - Ah! >> L'uomo la afferrò nuovamente per la mascella, ma con forza, e Tooru si ritrovò sbattuta sul materasso con lui addosso. Guardò i suoi occhi grigio - verdi, che tanto l'avevano intrigata in passato, e le tremò il labbro inferiore.
<< Mi hai mentito >> Lo accusò, trattenendo le lacrime.
Perché guardava quegli occhi e si rendeva conto che dietro lo sgomento, l'odio e la delusione lei ancora ... ancora lo amava.
Aveva paura dell'uomo che aveva creduto di conoscere, lo temeva, era sua prigioniera ma non poteva smettere di amarlo su due piedi.
E non poteva nemmeno accettare semplicemente di non vedere.
Non vedere che era un assassino.
<< Mi hai tradita >>
Wakatoshi continuò a fissarla, il suo corpo pesante le premeva addosso.
Era abituata a quella sensazione, e una parte malata di lei lo trovava perfino eccitante.
<< Non ti ho mentito, non ti ho tradito >> Le accarezzò la guancia con il pollice, continuando a tenerle la mascella ferma, così che non potesse distogliere lo sguardo da lui << Sono stato sincero con te. Ma tu non hai fatto le domande giuste, Tooru >> Wakatoshi era incapace di mentire, quella era una delle prime cose che aveva imparato di lui. Ma era bravo a nascondere i suoi reali intenti dietro parole complesse e ambigue.
Durante il suo gioco di seduzione le era apparso misterioso, a volte enigmatico.
La prima volta che avevano fatto sesso era stato nella stanza privata di un locale, sul tavolino di un biliardo. Era successo dopo una furiosa lite e di lì a due mesi lo aveva sposato senza sapere nulla di lui. Era stata solo colpa sua.
Davvero non aveva fatto le domande giuste.
Fin dal principio. Wakatoshi non si era mai nascosto, lei non aveva chiesto.
Voleva lui, i suoi soldi, il suo potere. La sua vittoria.
E non si era chiesta da dove arrivasse tutto quello. Non lo aveva fatto. Se lo era preso.
<< Ti odio >> Sussurrò con gli occhi offuscati dalle lacrime, senza sapere se stesse parlando ancora di lui o di se stessa.
Wakatoshi le lasciò andare la mascella e fece scendere le dita lungo il suo collo e sullo sterno, sulle mezzaluna scoperte dei suoi seni.
Tooru sentì il battito accelerare e il suo corpo inarcarsi a quelle carezze.
<< Non mi odi >> Le dita scesero più in basso, sfregando con la stoffa contro la pelle sensibile e Tooru sospirò, seguendo con il corpo il movimento lento di quella mano.
<< E proprio per questo non mi lascerai >>
Per la prima volta da quando era entrato in quella stanza gli occhi di Wakatoshi si addolcirono leggermente.
<< Tanto non me lo permetteresti mai >>
Tooru si arrese alle lacrime, e ne fece cadere una lungo la guancia.
Wakatoshi la guardò per un istante prima di spazzarla via con il pollice.
<< Te lo permetterei, se tu lo desiderassi davvero >> E la verità di quelle parole la colpì.
Se ne sarebbe andata, probabilmente.
Ma non voleva. Non poteva vivere con lui sapendo quello che faceva, tutto quello che ancora le nascondeva, ma non voleva nemmeno lasciarlo nel profondo del cuore.
<< Chi sei tu? Chi sei davvero? >> Domandò, tremando quando la mano di lui si fermò sul suo ventre, aperta lo copriva per intero.
<< Lo stesso uomo che hai conosciuto >>
Tooru si arrese, si arrese il suo corpo.
Fece scivolare la mano lungo il braccio di Wakatoshi, gli afferrò il polso della mano posata sul suo ventre e la indirizzò lungo lo spacco del suo vestito, tra le sue cosce.
Lui sapeva che cosa fare. Cosa le piaceva.
E Tooru lasciò che lo facesse.
Per qualche ora finse che tutto quello non le importasse affatto.

 

♤◇♤



Non aveva chiuso occhio.
E temeva che non lo avrebbe fatto nemmeno durante il viaggio in macchina che l'avrebbe condotta a casa dei suoi genitori.
Si fermò sulla soglia della porta di quella stanza che era stata la sua prigione per una notte. Ignorò la presenza di Satori e Kenjirou alle sue spalle, fissò l'uomo davanti a lei.
Wakatoshi la guardava con le braccia incrociate sul petto, i capelli erano ancora bagnati dalla doccia recente.
Tooru strinse la presa sul borsone che aveva preparato con poche cose essenziali.
Aveva indossato abiti comodi, un paio di jeans e un maglione di lana.
Guardò Wakatoshi.
Voleva assorbire i tratti del suo viso nella sua memoria per sempre.
<< Saresti dovuta restare con me >> Le disse. Tooru sapeva di non poterlo fare.
Non in quel momento, comunque.
<< Non tornerò mai più da te >> La fierezza del suo tono di voce era incrinata dalle emozioni forti che le scuotevano il petto.
<< Tu e il tuo stupido orgoglio >> Commentò Wakatoshi, impassibile.
Tooru strinse il pugno attorno al manico del borsone, poi lo lasciò cadere a terra e con impeto, del tutto senza vergogna, gli saltò addosso, baciandolo con foga.
Wakatoshi la prese senza fatica, lasciando gli intrecciasse le gambe attorno ai fianchi.
Lo baciò fino a restare senza fiato. Ancora e ancora. Poi lo lasciò andare.
Wakatoshi la rimise a terra con cautela.
<< Addio >> Mormorò Tooru, voltandogli le spalle di fretta e passando accanto agli uomini di suo marito senza osare guardarli.
Si trovò sul corridoio, ansimante.
Ma non si mosse oltre, con una mano sul petto si voltò nuovamente per affrontarlo ancora una volta. Lui non le aveva staccato mai gli occhi di dosso.
<< C'è mai stato qualcosa di vero tra noi? >>
<< Ogni cosa è stata vera >> Wakatoshi non esitò nel dare quella risposta, non ci pensò un solo secondo << Ti aspetto a casa >>
Contro ogni buonsenso, Tooru sorrise.



 

Who's gonna save you now
Who's gonna save you


( Devil Side - Foxes )

 

 

 

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Capitolo 3
*** 3. A Golden Eagle on The Skin ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”
Prompt: Tattoo
N° parole: 2477



 
A Golden Eagle On The Skin
 
You're still a part
of everything I do
You're in my heart
just like a tattoo


La sala d'attesa del negozio non era niente male.
Dava l'idea chiara di quello che succedeva tra quelle pareti, anche se un posto tanto colorato Tooru non lo aveva mai visto. Almeno le sedie erano comode, o forse era meglio chiamarle poltrone. Ne erano solo quattro, e sembravano nuove.
Tooru tamburellò le lunghe dita avvolte dai cerotti bianchi sui braccioli, sbirciò la ragazza seduta ingobbita dietro il bancone, palesemente annoiata mentre sfogliava distrattamente un faldone pieno di disegni.
Era singolare: ricoperta di tatuaggi neri e colorati dalla testa ai piedi, con i capelli rosa raccolti in uno chignon chiuso da due spuntoni dorati. Aveva la frangetta perfetta.
E un trucco strepitoso, eyeliner bianco che le affilava lo sguardo con due perline dorate sulla punta del disegno.
Vestita di nero, con abiti stracciati, l'ombelico di fuori e gli anfibi, si faceva notare.
Sembrava a suo agio con se stessa e Tooru ne era ammaliato e affascinato al contempo.
Un suono elettronico, proveniente dalla sua destra, lo distrasse.
Tooru distolse lo sguardo dalla donna - che non aveva battuto ciglio al rumore - e rivolse un'occhiataccia al suo amico d'infanzia. Hajime nemmeno se ne accorse.
<< Sei un pessimo supportatore, Iwa-chan >>
Lo accusò, infrangendo il silenzio nella saletta variopinta.
Hajime sollevò le sopracciglia, ma non alzò lo sguardo dal cellulare che teneva in verticale tra le mani. Stava giocando a qualcosa di movimentato - e fastidioso - a giudicare dai rumoretti acuti.
<< Mi hai tirato giù dal letto >> Replicò, muovendo agile i pollici sullo schermo << Non so che cosa tu abbia in mente e nemmeno mi interessa. Volevo solo dormire >>
Tooru produsse un verso stizzoso, incrociando le braccia al petto.
Si infossò con la schiena nella poltrona, il broncio in bella vista.
<< Il solito pigro. Non è che se dormi di più diventi intelligente - Ahia! >>
Tooru saltò della sedia quando l'amico gli tirò un calcio sullo stinco senza distogliere lo sguardo dallo schermo del cellulare.
<< Sei un selvaggio, Iwa-chan! Nessuna ragazza ti vorrà mai se continui così! >>
Si lagnò, abbassandosi per massaggiare la parte lesa con la mano.
<< Si si >> Lo liquidò Hajime, concentrato.
Tooru sospirò e tornò a fissare la ragazza, si rese conto in quel momento che non aveva sentito nulla del loro chiasso perché indossava delle cuffiette Bluetooth.
Forse ascoltava la musica ad alto volume.
<< Tra qualche giorno parto. Pensavo volessi passare del tempo con me >> La sua voce era bassa, forse non voleva farsi sentire. Hajime non replicò niente per un po'.
<< Lo voglio, infatti >> Disse qualche istante dopo, quando ormai Tooru credeva non avesse sentito, cogliendolo di sorpresa.
<< Ma non credevo intendessi in un negozio di tatuaggi. Ah, cazzo >> Imprecò, poi abbassò il cellulare e sollevò lo sguardo su Tooru per la prima volta da ore.
<< Ho perso >> Gli disse, sconsolato.
<< Non l'avrei mai detto >> Fu la replica annoiata.
Hajime gli mollò un pugno sulla spalla, Tooru risucchiò l'aria tra i denti, bofonchiando una parola molto simile a "bestia". Si massaggiò la parte dolorante.
<< Che cosa hai in mente, Oikawa? >>
<< Che cosa posso mai voler fare in un negozio del genere? Difficile da intui- >>
<< Guarda che ti meno >>
Hajime sollevò il pugno e Tooru soffiò come un gatto, ritraendosi sulla sedia.
Si guardarono, rimanendo fermi, e dovettero fare del loro meglio per trattenere le risate.
Fu una lotta persa. Tooru scoppiò a ridere un secondo più tardi e Hajime ghignò.
Rise tanto da farsi venire le lacrime agli occhi, una mano premuta contro lo stomaco.
<< Mi mancherà tutto questo >> Commentò, asciugandosi una lacrima dall'angolo dell'occhio con il dito incerottato.
<< Hai scelto tu di andare in Argentina >>
Hajime aveva ancora quel brutto ghigno sul muso quando Tooru tornò a guardarlo.
Si, era stata una sua scelta partire. Il sorriso si spense un po' sul suo viso.
Molte persone non capivano che non era stata una scelta facile, presa alla leggera.
Inseguire il suo sogno non era un opzione per lui. Non lo era mai stata.
<< Ehi, Oikawa >> Tooru tornò a rivolgere lo sguardo al suo amico d'infanzia.
Hajime era serio, aveva riposto il cellulare nella tasca del giubbotto.
<< Non per impicciarmi dei fatti tuoi. Ma sei sicuro di poter andare ... senza di lui? >>
La domanda scottante. Tooru si portò le ginocchia al petto, appoggiando i talloni delle scarpe sul bordo della poltrona, come un maleducato.
Strinse le braccia attorno ai polpacci e appoggiò il mento sulle ginocchia ossute.
Guardò Hajime e sorrise. Sapeva che il suo migliore amico avrebbe odiato quel tipo di sorriso, perché non era mai stato in grado di leggerlo.
Tooru sorrideva fuori, mentre dentro urlava.
<< Non c'è niente tra me e Ushiwaka >> Mentì.
Non aveva avuto bisogno di un soggetto per capire a chi si stesse riferendo Hajime, che sollevò le sopracciglia scettico. Ovviamente, lui non conosceva i dettagli di quella storia - Tooru non ne aveva parlato con nessuno - ma non era uno sciocco e lo conosceva.
Tra lui e Wakatoshi c'era stato tutto.
D'altronde, era stato proprio lui ad afferrarlo per la collottola della felpa bianco - viola e a tirarselo addosso la prima volta.
Tutte le altre si erano toccati consapevolmente.
Tooru era ormai consapevole del risultato finale di quegli episodi.
Fare sesso grezzo sui cesti che contenevano i palloni da allenamento si era presto trasformato in lunghe passeggiate pomeridiane tra un allenamento e l'altro, carezze, qualche bacio rubato, battute che l'altro non capiva, stuzzicarsi. Cercarsi.
Aveva avuto molte relazioni nel corso della sua breve vita, le aveva cercate tutte e non aveva mai provato nulla che andasse oltre pura attrazione fisica.
Wakatoshi non lo aveva cercato. Ed era sempre stato lì, irraggiungibile.
Tooru ripensò a quando gli aveva detto che sarebbe andato via, in Argentina.
Erano stesi su un futon, ancora accaldati.
<< Se lo dici tu >> Commentò Hajime, continuando a fissarlo tutto aggrottato.
Tooru continuò a sorridere senza calore. Era molto, molto lontano con la mente.
Vado via. Parto per l'Argentina.
Wakatoshi lo aveva guardato senza battere ciglio, le braccia incrociate sul petto nudo nonostante fosse disteso di fianco. Tooru era steso sulla pancia.
Buona fortuna. Allora.
E quello era stato tutto.
Tooru si era sentito strano, non aveva mai avuto un dolore tanto intenso nel petto, prima. Allora aveva capito.
Aveva capito di essere stato uno sciocco e di aver perso anche lì. Anche quella battaglia.
Non si vedevano da allora.
Wakatoshi non lo aveva cercato nemmeno una volta, Tooru aveva fatto le ore piccole a fissare lo schermo di un cellulare nel buio.
Ma era troppo orgoglioso per fare il primo passo.
Non era finita bene, ma nemmeno voleva rinnegare quello che era stato, per questo si trovava in quel posto in quel momento.
<< Ad ogni modo >> Hajime lo riportò al presente.
Tooru lo fissò come se fosse emerso da un pozzo molto buio e spaventoso.
<< Un tatuaggio per un giocatore è una cosa seria. Sai che non potresti ... >>
Tooru fece spallucce e tornò a fissare la ragazza. Non si era mossa di un passo.
<< Lo so. Non si vedrà. Non in campo >> Hajime continuò a fissarlo, preoccupato.
Tooru non lo sopportava, così cercò qualcosa da dire per cambiare argomento, quando la porta dello studio interno si aprì. Ne uscì un uomo, e dietro quest'ultimo si affacciò il tatuatore, gli disse qualcosa sotto voce, si sorrisero. Poi l'uomo andò al bancone dalla ragazza annoiata, che nel frattempo si era tolta le cuffie.
<< Oikawa-san >> Tooru distolse lo sguardo dal bancone e lo posò sul tatuatore - Sakuragi-san - che lo guardava sorridente.
<< È il tuo turno >>

 
○●○


Tooru era nervoso.
Ma non lo avrebbe mai ammesso.
Steso sul lettino, mentre osservava il soffitto bianco, tamburellava le dita lungo i fianchi.
Sakuragi-san era stato rassicurante, lo aveva messo a suo agio mentre gli spiegava che cosa avrebbero fatto, ma Tooru non era riuscito ugualmente a rilassarsi.
L'idea di essere punzecchiato ripetutamente non era allettante, sebbene avesse scelto intenzionalmente di farlo.
<< Ohi >> Lo chiamò Hajime. Tooru spostò lo sguardo nervoso su di lui.
Era seduto alla sua destra, su uno sgabello, il busto proteso in avanti e i gomiti posati sulle ginocchia, le mani intrecciate. Lo fissava con espressione indecifrabile.
<< Calmati >> Tooru distolse lo sguardo.
<< Sono calmo >> Mormorò, tornando a fissare il soffitto.
Cercava di non prestare attenzione ai movimenti di Sakuragi-san.
<< Si, e io sono vergine >>
<< Iwa-chan! >> Sakuragi-san rise di gusto al loro battibecco, dimostrando di essere attento anche se stava facendo altro.
<< Sull'osso del bacino, allora? >> Chiese.
Tooru annuì, teso, tornando a concentrarsi su di lui, aveva la zona del tatuaggio già scoperta e disinfettata. Era imbarazzante, perché si sentiva mezzo nudo in quel modo.
Riprese a fissare il soffitto.
<< Cosa hai deciso di tatuarti? >>
La domanda di Hajime era legittima, strano che non gliel'avesse fatta prima.
Tooru aveva scelto in privato, ma sapeva che sarebbe dovuto arrivare il momento di svelarlo al suo migliore amico. Soprattutto dopo averlo costretto a venire ad assistere a quello che sarebbe stato uno strazio. Raccolse il coraggio.
<< Un' aquila reale >> Mormorò, senza distogliere lo sguardo dal soffitto perché sentiva le guance in fiamme e lo sguardo di Hajime addosso, penetrante.
<< Capisco >> Fu il suo unico commento.
Il rumore del macchinario per tatuare copri qualsiasi altra parola potesse venire.
Tooru aveva perso anche quella battaglia.
Poteva fingere che non ci fosse stato nulla e andare avanti con quel sorriso freddo sulle labbra. Non sarebbe stata la fine del mondo.
Ma quel tatuaggio sarebbe stato sempre un monito, perché non voleva negare a sé stesso, mai, il ricordo di aver amato qualcuno.


Di avere amato, per la prima volta.

 
○●○


L'attesa prima di una partenza sembrava sempre infinita.
Lo sembrava ancora di più dopo gli addii e gli occhi gonfi.
Tooru era rimasto da solo, in attesa che aprissero il gate, e tirava su con il naso da almeno due minuti. Sapeva di avere gli occhi gonfi, ma non gli importava.
Seduto su quella sedia di plastica, lo zaino da viaggio incastrato sotto il braccio sinistro, giocherellava distrattamente con il laccio del cappotto, ignorando il chiacchiericcio della gente ammassata accanto ai gate come lui.
Mentre pensava al futuro che lo attendeva, sentì vibrare la tasca destra dei jeans.
Tirò fuori il cellulare e il cuore gli balzò in gola.
Alza lo sguardo. Diceva il messaggio.
Tooru lo fece.
Wakatoshi era poco distante, accanto alle scale mobili, lo fissava da lontano.
Vestito con una tuta, pareva avesse appena smesso di correre.
Tooru lo vide riporre il cellulare nella tasca della felpa e avanzare verso di lui mentre si sfilava via anche le cuffie dalle orecchie. Era sudato e - dannazione - bellissimo.
Per riflesso, Tooru si alzò a sua volta.
Non lo vedeva da settimane e il cuore gli stava scoppiando in petto
<< Ciao >> Lo salutò Wakatoshi.
<< Ciao >> Tooru sperò che la voce non gli tremasse troppo visibilmente.
Si guardarono, entrambi impacciati.
<< Che - che cosa ci fai qui? >> Balbettò.
Non aveva idea di come Wakatoshi sapesse il giorno o l'ora della sua partenza, non ne avevano parlato quel giorno infausto.
<< Iwaizumi >> Chiarì l'altro e Tooru comprese. Comprese perché prima di andare via Hajime gli avesse chiesto di non avercela troppo con lui.
Tooru non aveva capito sul momento, ma ora gli era chiaro.
Soffocò il moto di affetto e nostalgia che provò per il suo migliore amico.
<< Aspettavo un tuo messaggio >>
Wakatoshi lo riportò al presente.
<< Io aspettavo un tuo messaggio! >>
Lo accusò incredulo, l'altro non mostrò turbamento. Non mostrò niente, a dire il vero.
<< Credevo fossi arrabbiato con me >> Chiarì.
<< E lo ero. Anzi, lo sono! >> Ruggì Tooru.
<< Ma non so il motivo. Così ho aspettato che ti calmassi. Non pensavo partissi oggi >>
Tooru rimase senza parole. Avrebbe voluto tirare un pugno sul muso impassibile del suo amante, per fargli provare almeno qualcosa che lui potesse capire.
Aveva ancora così tante cose da imparare su di lui. Come leggerlo, prima di tutto.
<< Credevo non volessi saperne più niente >>
Dopo che mi hai avuto, dopotutto.
La voce in un microfono annunciò qualcosa a cui Tooru non prestò attenzione.
<< Non volevo tarparti le ali >> Fu la risposta di Wakatoshi.
Tooru comprese solo allora, in quel momento preciso, quanta fatica dovesse aver fatto quel ragazzo impassibile per lasciarlo andare via solo con quelle tre brutali parole.
Alzò le mani per toccarlo, ma poi le abbassò perché erano in pubblico.
Wakatoshi lo capì, perché fece un passo avanti.
<< Iwaizumi mi ha detto che hai fatto un tatuaggio. Mi ha detto che siccome sono lento, avrei dovuto chiederti esplicitamente che cosa fosse il tatuaggio >>
Tooru scoppiò a ridere di cuore, incredulo.
E rise fino a farsi venire le lacrime, mentre la gente attorno lo guardava stranita e Wakatoshi non batteva ciglio, aspettando che si calmasse.
Quando riprese fiato, si asciugò una lacrima dall'angolo dell'occhio e posò la mano sul fianco ben coperto, dove ancora aveva la medicazione fresca.
Wakatoshi seguì il suo sguardo.
<< Dovrai scoprirlo tu quando mi verrai a trovare, temo >>
Mise su il suo sorrisetto accattivante, lo sguardo di Wakatoshi indugiò sul suo fianco, sul punto in cui lo baciava ogni volta alla fine di un rapporto.
Proprio in quel momento, il gate venne aperto. La gente cominciò a sciamare.
Tooru provò una stretta al cuore, ma si sistemò lo zaino in spalla e fece per andare.
<< Allora, arrivederci >> Mormorò, rimpiangendo di non avergli dato un altro bacio e di non poterlo fare in quel momento.
<< Tooru >> Lo chiamò Wakatoshi quando ormai si era voltato, girò la testa sulla spalla
<< Buona fortuna, allora. Vai a prenderti il tuo futuro >>
Tooru si morse il labbro inferiore con violenza e annuì con vigore.
Si voltò ancora una volta e mosse un passo.
<< Tooru >> Lo richiamò Wakatoshi.
Lui si fermò, ma senza voltarsi.
<< Ti amo >> Chiuse gli occhi e sorrise come non faceva da un po' << Vengo presto >>


L'orgoglio era una cosa così sciocca.


Seduto in aereo, ormai in volo, sollevò il bordo della maglietta e sbirciò il tatuaggio ancora arrossato sul suo fianco.
Non vedeva l'ora che venisse baciato.



 
Just like a tattoo
I'll Always have you

( Tattoo - Jordin Sparks )

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Capitolo 4
*** 4. Hope ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”
Prompt: Soulmate
N° parole: 8878
Note: Qui segnalo un Mpreg!!!!, quindi se non vi piace il genere meglio skippare questo prompt. Ho praticamente creato un Distopico dal nulla, giusto per complicarmi un po’ la vita, e mi scuso se il tutto risulti complesso e incasinato. É sicuramente un mondo che va approfondito ed espanso, ma ho già scritto anche troppo! Ci sono molti riferimenti ad opere delle stesso genere, ma è voluto :)



 
Hope
 
Thought I found a way
Thought I found a way out (found)
But you never go away (never go away)
So I guess I gotta stay now


La fuliggine nell'aria era più densa quella sera.
Tooru la sentiva entrare nelle vie respiratorie con maggiore invasività del solito.
Si aggiustò la sciarpa pesante attorno al collo, cercando si scaldarsi nel cappotto liso che indossava. Gli facevano male le ossa.
Affrettò l'andatura, l'eco dei suoi passi che rimbombava tra i vicoli scuri e sporchi, umidi. Altre anime solitarie rientravano in casa ingobbite e infreddolite, con i polmoni squassati dai colpi di tosse rasposa. La loro abitazione si trovava a ridosso della muraglia che circoscriveva il distretto di Seijoh, specializzato nella carboneria.
Era ammassata sotto l'imponente alzata di acciaio, schiacciata ad altre abitazioni identiche: con una sola luce sulla porta, le pareti sporche di fuliggine e un giardino in cui non cresceva niente da secoli, perché il terreno era morto e non produceva frutti.
Tooru rivolse uno sguardo alla sommità della muraglia, le fiaccole erano accese a tracciarne il perimetro e le familiari figure scure, incappucciate, marciavano avanti e indietro in una ronda organizzata e perpetua.
Le Guardie della Capitale, uomini e donne addestrati ad essere spietati.
Tooru aprì il cancelletto cigolante controllando l'orologio da polso, le otto meno dieci, ad un passo dallo scattare del coprifuoco. Attraversò il vialetto e bussò, pulendosi le mani nere di carbone sul cappotto liso e già macchiato.
La porta si aprì e da dietro la figura imponente di Hajime venne il calore di un focolare domestico, odore di casa.
Tooru sospirò di fronte la familiare vista di quel volto corrucciato e burbero. Gli sorrise.
Hajime non ricambiò, non era mai stato un tipo affettuoso, ma vi era calore nei suoi occhi verdi e intensi.
<< Bentornato a casa >> La sua voce era ruvida come quella di un fumatore incallito.
Doveva essersi fatto da poco un bagno, perché aveva ancora la pelle arrossata.
<< Sono a casa >>
Mormorò lui con voce flebile.


L'acqua calda costava sempre troppe tessere.
Lui e Hajime avevano deciso che ne avrebbero usata una al giorno solo per fare il bagno a Takeru. Loro potevano utilizzare quella fredda che arrivava dal distretto confinante di Karasuno tramite tubature sotterranee.
Tooru amava il momento del bagno di suo nipote.
Come tutti i bambini del distretto del carbone, Takeru andava a scuola per studiarne le caratteristiche e i principi base, a che cosa servisse e l'uso che ne facevano nella Capitale. Anche Tooru e Hajime, in quanto semplici esseri umani dotati di emozioni, ci erano passati per quella strada.
Il sistema funzionava come una macchina bene oliata ed efficiente.
<< Hai le mani tutte ruvide, zio Tooru >>
Rise Takeru, mentre gli strofinava con vigore il volto per pulirlo dalla fuliggine.
Tooru era stanco, ma sorrise.
<< Le mie mani sono magiche, sai? >>
Assecondò il bambino, mentre gli strofinava i capelli con una saponetta che si sarebbe presto spezzata tanto era sottile.
Doveva ricordare ad Hajime di andare a prenderne di nuove al mercato dello scambio.
<< Perché portano a casa tante tessere? >> Domandò Takeru con entusiasmo.
Nella vasca ci stava giusto giusto, aveva sette anni ma si portava più piccolo.
Come tutti i bambini del distretto era ossuto, portava i capelli rasati e non era molto alto. Possedeva due grembiuli grigi, un paio di scarpe da lucidare nonostante la fuliggine, una cartella con un quaderno e un solo giocattolo.
Tutto quello che gli era concesso.
<< Esatto >> Commentò Tooru con la sua voce roca, mentre gli sciacquava la testa usando una scodella di alluminio ossidato.
<< Stasera possiamo mangiare del pollo? >>
Tooru afferrò un panno bianco e fece cenno al bambino di alzarsi, mentre si metteva in piedi a fatica perché gli faceva male la schiena.
<< Il pollo è per la domenica Takeru, lo sai. Stasera abbiamo gli spinaci e le patate >>
Il bambino mise il broncio mentre Tooru gli strofinava la pelata e lo portava fuori dalla vasca, avvolgendolo bene nel panno sdrucito.
<< Non mi piacciono gli spinaci >> Brontolò.
<< Se li mangerai, diventerai forte come Hajime, sai? >>
Gli confidò Tooru pizzicandogli il nasino che aveva preso da sua sorella maggiore, morta insieme al marito nelle miniere di carbone del distretto. Episodi di normale routine.
I corpi venivano gettati nelle fosse comuni a confine con la muraglia del distretto di Shiratorizawa, il regno dell'oro e dell'argento.
<< Davvero? >> Takeru aveva gli occhi grandi di entusiasmo al pensiero.
Tooru lo aveva preso con sé che aveva quattro anni.
Glielo avevano praticamente scaricato le Guardie, comunicandogli che il numero 17847372 e il numero 17847398 erano deceduti.
Era successo anche con sua madre, e prima ancora con suo padre.
Da allora, lui e Hajime lo avevano cresciuto.
<< Davvero. Ora fila a mettere il pigiama e poi vai davanti al camino >>
Lo incoraggiò, dandogli una pacca leggera sul sederino.
Takeru rise e obbedì agli ordini.
Mentre correva nella cucina - ingresso - salotto Tooru lo sentì tossire violentemente.
Pensò che forse avrebbe fatto bene ad aumentare ancora di qualche ora il lavoro nelle miniere. A fine giornata avrebbe avuto più tessere.


Hajime stava preparando la cena quando lo raggiunse.
Takeru era seduto davanti al fuoco ad asciugarsi meglio i pochi capelli rasati, infilato nella casacca di lana che usava come pigiama, oscillava i piedi nel vuoto e cantava una vecchia canzone di minatori efficienti e sottomessi, imparata di certo a scuola.
<< Stai esagerando con le ore di lavoro >>
Le parole di Hajime lo raggiunsero non appena gli si accostò. Tooru le stava aspettando.
<< La tosse di Takeru è peggiorata >> Mormorò, rivolgendo un'occhiata al bambino.
Continuava a cantare felice, e tra una nota e l'altra faceva un colpo di tosse secca.
<< Ti ho già detto che posso pensarci io a prendere più tessere medicinali. Non c'è bisogno che ti spacchi la schiena in questo modo, Tooru >>
Hajime sollevò lo sguardo dalla poltiglia di patate e spinaci che stava girando nella pentola di rame - l'unica che possedevano -, e lo fissò truce.
Avevano già avuto quella conversazione.
<< Takeru è mio nipote, spetta a me provvedere a lui e alla sua salute >>
Si allungò sulla credenza e prese i tre piatti contati, andando al tavolo per sistemarli.
<< Non dire stronzate Tooru >> Lo minacciò Hajime, puntandogli contro il mestolo sporco di patate e spinaci - lui sospirò mentre apparecchiava bicchieri e posate.
Il cibo che mangiavano era razionato, lo ottenevano in cambio delle tessere che guadagnavano con le ore di lavoro. Arrivava dal distretto di Karasuno per lo più, perché per via della fuliggine e delle fabbriche la loro terra non produceva frutti.
L'acqua era tossica e anche l'aria.
Se non si moriva nelle miniere per via di un incidente, era il fumo a ucciderli uno a uno: erano morti così i loro genitori, lentamente. Tooru e Hajime sapevano che anche per loro era questione di tempo, anni, mesi, non si poteva mai dire davvero.
<< Non sprecare il cibo >> Lo accusò tranquillo, abituato a quelle minacce vuote.
<< E inoltre, non siamo Anime Legate, non hai nessuna responsabilità nei nostri confronti >> Tooru sistemò le posate - una forchetta era quasi arrugginita - e fece attenzione a non alzare lo sguardo su Hajime.
Era diventato bravo a dire quelle parole senza provare dolore, trasalire, o delusione.
<< La malattia di Takeru non decrescerà, Tooru. Nemmeno con tutte le medicine del mondo, e lo sai. Potrà solo peggiorare >> Certo che lo sapeva.
La voce roca di Hajime era una prova concreta, e ormai le medicine che assumevano non bastavano nemmeno più a calmare il bruciore dei polmoni.
Posò la caraffa d'acqua potabile sul tavolo e fissò il vuoto davanti a sé. Poi Hajime.
<< Siamo solo noi tre. Dobbiamo aiutarci a vicenda >> Insistette lui.
Perché nessuno lo farà.
Di certo non la Capitale.
Hajime lavorava in una fabbrica, a differenza sua, che scavava nelle miniere dodici ore al giorno con solo un'ora di pausa per il pranzo.
Il suo lavoro procurava più tessere per l'acqua corrente, per il cibo, per la legna da bruciare e soprattutto per le medicine necessarie.
Tooru doveva lavorare tre ore in più per ottenerne un paio, motivo per cui rincasava sempre ad un passo dal coprifuoco. Stanco.
<< Vieni a tavola, Takeru >> Chiamò il bambino ad alta voce, mentre prendeva un piatto per riempirlo di poltiglia.
<< Tooru - >>
<< Va bene, Hajime. Ho capito >> Mise il piatto più abbondante davanti al bambino, che si era seduto contento sulla sedia e aveva già afferrato il cucchiaio affamato.
<< Domani uscirò al solito orario >>
Hajime annuì. Si misero a tavola a cenare.


Tooru dormiva insieme a Takeru sul letto. Hajime occupava il posto sul divano.
La camera da letto era solo una e non aveva altro mobilio che quello, oltre una finestra che dava sul buio della muraglia. Il bambino dormiva profondamente e anche Hajime, perché il suo respiro rasposo da persona malata era pesante e regolare.
Tooru invece non riusciva a chiudere occhio.
Anche se sapeva che le sirene avrebbero suonato alle sei precise, svegliando tutto il distretto con il loro ruggito infernale. Non era solo il dolore ai polmoni a tenerlo sveglio - aveva dato la sua dose di medicine a Takeru anche quella sera - ma il solito pensiero fisso. Il solito tormento. Hajime non era la sua Anima Legata.
Tutti gli esseri umani come lui, dotati di emozioni, ne avevano una.
Un'anima gemella, la metà perfetta del proprio cuore.
Non esisteva amore più grande di quello, e nessun altro sarebbe andato bene.
A Tooru era stato insegnato che era un'esperienza unica, che avrebbe capito quando sarebbe successo. Tutte le coppie del distretto nascevano così.
Sua madre e suo padre. I genitori di Hajime. Sua sorella maggiore e suo cognato.
La perdita dell'Anima Legata era come morire dentro, tornare ad essere solo metà di sé stessi. Straziante.
A Tooru, in ventisette anni di vita, non era mai successo niente del genere.
Forse la sua Anima Legata era morta prima che potesse incontrarla - succedeva spesso -, forse lui era un essere umano difettoso. Hajime l'aveva incontrata anni prima, una donna, morta di parto insieme al loro bambino maschio.
Tooru non gli aveva mai chiesto che cosa avesse provato, ma era stata l'unica volta in cui aveva visto l'amico piangere. Disperarsi. Maledire la Capitale a voce alta.
Hajime e Tooru si conoscevano da sempre. Come i bambini che crescevano insieme nel distretto, si erano dati forza a vicenda in quel mondo sbagliato in cui erano nati con un solo mese di differenza. Tooru lo aveva seguito con lo sguardo passo passo, chiedendosi se non ci fosse qualcosa di sbagliato in lui per quello che provava - ma quando Hajime aveva conosciuto Nana, e il suo sguardo si era spostato adorante su di lei, aveva perso la sua occasione di dirgli: Vorrei che fossi tu la mia Anima Legata.
E ora che il corpo di Nana e del loro bambino si andava ad ammucchiare a tutti gli altri corpi senza sepoltura, non glielo avrebbe detto mai.
Non quando era sveglio o cosciente.
<< Vorrei che fossi tu >>

 
○●○


<< Takahiro aspetta un bambino >>
Era la pausa pranzo, e Tooru stringeva tra le mani un sandwich farcito da una sola fetta di formaggio. Rimase con la bocca aperta in procinto di mordere, a fissare il suo compagno di lavoro.
Issei ammiccò un sorriso, aveva il volto sporco di fuliggine e la luce sul suo cappello stava cominciando a perdere di intensità, presto si sarebbe scaricata del tutto.
<< Lo ha scoperto ieri >> Tooru battè le palpebre, chiuse la bocca e posò il sandwich sul tovagliolino che aveva in grembo.
<< Per questo non è qui, oggi. Sta chiedendo un permesso alla Guardia Centrale >>
Issei diede un morso al suo pranzo e tornò a fissare la parete che avrebbero dovuto presto riprendere a scavare. Erano parecchio in profondità quel giorno.
Tooru osservò distrattamente le Guardie della Capitale fare il giro del perimetro con i loro cappucci neri calati sulla testa.
<< Wow è - >> Si interruppe.
<< Inaspettato? >> Gli andò incontro Issei.
<< Stavo per dire bellissimo >> L'amico gli sorrise. Tooru si sentiva strano.
Sapeva che la sua visita sarebbe arrivata presto.
La visita che solo quelli come lui e Takahiro dovevano fare - quella della fertilità.
Tra la sua specie, vi erano alcuni di loro che nascevano di tipo Omega.
In grado di concepire. Takahiro era esattamente come Tooru e ora aspettava un bambino. Nulla di strano. Non nel loro mondo.
<< Suppongo lo sia >> Mormorò Issei.
Non lo era, in realtà. Non lo era mai mettere un figlio al mondo in quel distretto.
Sapere che i veleni tossici lo avrebbero ucciso prima che raggiungesse i cinquant’anni, se era tanto fortunato da arrivaci, non rendeva la notizia lieta.
Come anche sapere di poter lasciare un bambino orfano.
Tooru si era ripromesso di non lasciare mai che una cosa simile capitasse a lui.
Takeru era già al mondo, e lo avrebbe protetto come poteva, ma non avrebbe messo lui, intenzionalmente, una creatura in pericolo.
<< Mi domando perché continuiamo a farlo >>
Sussurrò, affondando le dita nel pane morbido del suo misero sandwich al formaggio - sapeva di segatura e plastica. Issei lo guardò impassibile.
<< Avere figli? Amare, intendi? >>
Tooru guardò dritto davanti a sé per qualche secondo, poi annuì lentamente.
<< Non lo so >> Issei appallottolò il tovagliolo nel pugno della mano annerita << Credo sia un bisogno naturale, qualcosa del genere. Ma dopotutto ... tu vuoi davvero morire così? Io ancora ci spero in un cambiamento. In un mondo migliore. In un mondo in cui non dobbiamo morire come cani. Succederà qualcosa, prima o poi >>
Si guardarono. Tooru era ammirato, non aveva mai sentito l'amico di infanzia parlare tanto e di quelle cose, soprattutto.
Nessuno si era mai apertamente lamentato della Capitale.
Non avevano i mezzi per una rivoluzione. Avrebbe portato solo ad altre morti insensate.
<< E cosa? >> Sussurrò Tooru. Issei gli fece quel sorrisetto enigmatico.
<< Non lo so, Tooru. Una scintilla, una speranza che accenda la miccia. Qualcosa >>
Tooru fissò il sandwich macchiato di impronte di carbone che non avrebbe più mangiato. Voleva crederci, disperatamente, nel cambiamento.
Qualsiasi cosa.


Tooru se ne accorse per via della puzza.
L'odore del sangue era inconfondibile, quel metallo ferroso.
Impossibile coprirlo anche con il puzzo di miniera, carbone e corpi ammassati.
Abbassò il piccone e guardò alla sua destra, illuminando il volto pallido di Shigeru, che si stringeva la mano al petto.
<< Ehi >> Lasciò cadere il piccone a terra accanto a quello dell'amico e lo prese per le spalle, girandolo verso di sé. Shigeru si mordeva il labbro con violenza.
Con la luce puntata dritta su di lui, Tooru vide il taglio netto che gli divideva a metà il palmo della mano. Il sangue scorreva copioso, sporcando la tenuta da lavoro già sudicia.
<< Merda >> Imprecò Shigeru, aveva l'affanno e Tooru si rese conto che doveva aver fatto una fatica tremenda per non gridare di dolore.
Con delicatezza prese la mano dell'amico per esaminare la ferita. Era un brutto taglio.
Andava disinfettato e urgentemente.
<< Dobbiamo avvisare le - >>
<< No! >> Tooru sollevò di scatto lo sguardo sul più piccolo, stava sudando freddo, ma aveva una luce di determinazione negli occhi.
<< Shigeru, ma - >>
<< Mi servono le tessere, Tooru. Ayako ha la febbre alta. E lo sai che non me ne daranno, anzi, me le sottrarranno per essermi infortunato >> Shigeru gli afferrò un braccio con violenza mentre pronunciava quelle parole, stringendo tanto da fargli male.
Tooru si morse il labbro inferiore. Esitò.
<< E va bene >> Acconsentì poi, e la stretta si allentò, apparve sollievo sul viso dell'altro.
<< Ma almeno devo fare questo >> Gli afferrò la mano ferita e la tenne ferma, mentre Shigeru sbiancava facendo resistenza. Tooru lo ammonì, mentre si guardava freneticamente attorno per non essere visto dalle Guardie di ronda.
Prese la sua borraccia dell'acqua e ce la versò sopra fino all'ultima goccia, poi si stracciò un lembo della camicia. Era sporco, ma meglio di niente.
Prese ad avvolgerlo attorno al palmo dell'altro.
<< Tooru non - >>
<< Shhh >> Lo sgridò, muovendo gli occhi a destra e a sinistra mentre tirava il nodo.
<< Starai bene? >> Domandò poi, tornando a fissare la faccia pallida, sudata e sporca del suo amico. Era la mano destra che si era ferito, quella portante che reggeva la picca.
Shigeru annuì con vigore, livido in faccia.
<< Starò bene >>
Tooru non ne era sicuro.


Shigeru resistette tre ore, poi collassò.
Successe all'improvviso, Tooru non se ne accorse nemmeno finché non se lo trovò addosso di peso. Il suo corpo bruciava.
Ovviamente, quello attirò l'attenzione delle Guardie.
Tutti si allarmarono, esclamando sorpresi o preoccupati.
Il lavoro si era interrotto e non andava bene.
<< Cosa succede qui >> Disse una voce monocorde tra la folla ammassata.
Tooru si sentì gelare il sangue nelle vene.
Gli altri operai, che si erano raccolti in cerchio attorno a loro, si dispersero in fretta, spaventati. La fronte di Shigeru era ustionante sotto il palmo della sua mano.
La Guardia li fissava dall'alto.
Era incappucciata, e come sempre l'unica cosa visibile erano gli occhi privi di vita, di un caldo marrone nocciola. Freddi. Tooru detestava quegli uomini e quelle donne, più di quanto non facesse con i potenti della Capitale.
Erano venduti, non venivano dall'alto, ma come lui e Hajime erano bambini e bambine di tutti i distretti che entravano volontariamente nella Guardia.
Venivano addestrati a non provare più alcun tipo di emozione. Diventavano carnefici che infliggevano punizioni, e morivano per i loro stessi oppressori volontariamente.
Come i potenti della Capitale, venivano ripuliti dalla malattia di cui Tooru e gli altri erano afflitti: le emozioni, i sentimenti.
Ed era per quelli che venivano schiavizzati e ritenuti essere inferiori. Delle bestie.
<< È - ha la febbre >> Biascicò con voce roca.
Tooru abbassò lo sguardo carico d'odio, sperando che passasse per un gesto di sottomissione. Ignorò i colpi di frustate e le voci monocorde di altre Guardie che intimavano di tornare al lavoro.
La Guardia di fronte a lui si accovacciò a terra, cercando con insistenza il suo sguardo.
Tooru deglutì ancora una volta. Non aveva mai avuto problemi con loro, prima.
Anche se avrebbe voluto ucciderli uno ad uno con le sue stesse mani.
<< Sento odore di sangue >> La voce priva di anima gli fece salire un brivido freddo lungo tutta la spina dorsale. I lamenti delle frustate crebbero di intensità.
<< Io non - >> Tooru serrò gli occhi quando quello si avvicinò troppo al suo volto, serrò anche la stretta su Shigeru, febbricitante.
Poi successe il finimondo.
Ci fu un ringhio violento e lo scoppio di qualcosa, una lampadina.
<< Che cosa è successo a Shigeru?! >> Ringhiò una voce familiare e Tooru capì.
Kentaro. L'Anima Legata di Shigeru.
Tooru vide una guardia afferrare quel cane selvaggio per una spalla, nel tentativo di contenerlo, ma non appena gli occhi di Kentaro si posarono sul corpo esanime del compagno, perse la testa.
Ringhiò, letteralmente, e tirò un pugno alla guardia, slanciandosi verso di loro.
<< Kentaro, no! >> Strillò Tooru, protendendo una mano in avanti. Ma il danno era fatto.
Le Guardie si accanirono su Kentaro.
Con gli occhi sgranati, Tooru non si accorse del momento in cui la Guardia dagli occhi castani gli sfilò il corpo di Shigeru di mano, prendendolo esanime tra le braccia.
<< No >> Mormorò e per istinto fece per protendersi in avanti, quando si sentì afferrare da dietro. Due braccia forti lo strinsero, tenendolo seduto a terra.
Premeva contro un petto solido, caldo, di cui non sentiva il battito cardiaco.
<< Non lo farei se fossi in te >> Disse una voce calda e profonda, monocorde, alla sua sinistra. Un respiro tiepido gli accarezzò l'orecchio. Tooru provò come una scossa.
Non osò spostare lo sguardo per vedere chi fosse lo sconosciuto, perché sapeva che si trattava di una delle Guardie della Capitale.
Un uomo. Che profumava di spezie.
Con occhi sgranati fissò il corpo di Kentaro rannicchiato a terra mentre veniva preso a caldi e a pugni. Tooru sentiva il proprio corpo sussultare ad ogni botta, ogni percossa.
<< Lo ammazzeranno >> Mormorò, senza saperne il motivo << Hanno una bambina di soli due anni >> Non avrebbe dovuto parlare. Non con una di quelle Guardie disumane.
All'improvviso, gli venne oscurata la vista.
Tooru trattenne il fiato, mentre si rendeva conto che era il ruvido palmo di una mano a coprirgli gli occhi. In quel modo, le sue percezioni si acuirono, il suo respiro affannoso riempì tutto lo spazio, come la presenza di quello sconosciuto che lo avvolgeva nel buio della miniera.
<< Non guardare >> Disse ancora quella voce rassicurante e calda << Finirà presto >>
E Tooru non guardò.
Non vide il corpo di Kentaro venir trascinato via nel buio, privo di sensi.
Non vide il sangue imbrattare il pavimento irregolare di pietre e polvere.
Rimase avvolto in quel calore.
A domandarsi che diavolo stesse succedendo.

 
○●○


La casa di Shigeru e Kentaro si trovava nella parte opposta rispetto a quella di Tooru.
Erano le sei di sera e il cielo era già nero.
Non che a Tooru importasse, il cielo era sempre scuro o grigio durante la mattina.
Il cielo azzurro era pura utopia nel loro distretto. Affrettò il passo.
Stava facendo una cosa illegale.
Non poteva visitare la casa di due persone in probazione. Ma non gli importava.
Bussò due volte, guardandosi intorno.
Era la paranoia, lo sapeva, ma aveva la sensazione che qualcuno lo stesse seguendo.
La porta si aprì in uno spiraglio.
Un volto sbirciò dalla fessura, ci fu un sospiro di sollievo, poi apparve Asuka. Stanca.
<< Tooru, grazie al cielo! >> La sua voce era satura di sollievo.
Lui si diede un'altra occhiata alle spalle, poi entrò in casa chiudendo la porta di forza.
<< Ayako ha la febbre altissima. Non so più che cosa devo fare >> Asuka - loro amica di infanzia - si portò le mani sul volto, trattenendo le lacrime.
Tooru afferrò le sue spalle con forza.
Era lei a prendersi cura della bambina di Shigeru e Kentaro mentre loro lavoravano. Siccome era sterile, come aveva scoperto con dolore, la Capitale la usava in quel modo. E come usavano lei, lo facevano con tutte le donne come lei.
Dovevano prendersi cura dei figli che non avrebbero mai avuto.
E non era un regalo, ma una punizione.
<< Tranquilla, ho con me le tessere >>
Tooru tirò fuori dalla tasca la sottile carta rigida con la pillola bianca imballata al centro.
Asuka fece un sospiro tremolante di sollievo.
<< Portami da lei >> La incoraggiò Tooru.


Ayako si addormentò.
Tooru rimase fino a quando non sentì la febbre calare e poi sparire del tutto.
Rimase chino sulla culla nonostante il mal di schiena terribile. Era quasi scattato il coprifuoco quando infine decise di andar via.
Asuka lo accompagnò alla porta.
Sarebbe rimasta lì per la notte.
<< Shigeru sta bene, e tornerà a casa domani mattina >> Lo informò, era molto più tranquilla adesso che la bambina stava meglio. Tooru annuì.
Sarebbero stati giorni difficili per Shigeru senza le tessere per vivere.
Tooru doveva trovare un modo per aiutarlo.
Aveva sacrificato quella tessera perché Hajime si era promesso di prenderne lui per Takeru con qualche ora in più alla fabbrica.
<< Kentaro? >> Chiese, il volto di Asuka si tese.
<< Ci vorrà del tempo. Poi resterà in probazione nelle celle per qualche giorno >>
Rimasero in silenzio, senza sapere cosa dire.
Almeno era ancora vivo. Messo male, ma vivo. Poi Tooru si riscosse e aprì la porta, venendo investito dal freddo della notte.
Si stava avvicinando l'inverno, con la neve che avrebbe complicato ancora di più le cose.
<< Grazie, Tooru >> Mormorò Asuka, regalandogli un sorriso tirato e stanco.
<< Stammi bene >> La salutò, affrontando la notte. Si affrettò.
Aveva solo venti minuti per rientrare a casa prima che le strade si affollassero di Guardie. Camminava da circa cinque minuti quando successe.
Era così immerso nei pensieri, tentando di coprirsi il volto dal vento con la sciarpa lisa, che aveva dimenticato la spiacevole sensazione si essere seguito.
Un'ombra lo afferrò per un polso, trascinandolo nel vicolo vicino, scuro e maleodorante. Il primo istinto di Tooru fu quello di gridare, ma la voce fu soffocata da una mano sulla bocca. Lottò, ma alla fine venne sbattuto ugualmente contro il muro. Fece male.
Un corpo possente lo schiacciò, togliendogli il fiato già precario dai polmoni.
Fu investito da un profumo soffocante di spezie. Sgranò gli occhi.
<< Sapevo che avresti fatto qualcosa di sciocco e avventato >> Quella voce.
La voce della Guardia nella miniera.
Profonda e priva di raucedine, atona. Tooru scosse la testa.
Era lui che lo stava seguendo fin da quando aveva lasciato la miniera. Dannazione.
<< Lo leggevo nei tuoi occhi. Eri rabbioso >>
Tooru smise di far vagare lo sguardo impazzito dappertutto e si concentrò sul suo aguzzino. Calmò il respiro, i polmoni a fuoco.
Non gli vedeva il volto. Non vedeva niente.
Indossava il cappuccio sulla tenuta nera di pelle e acciaio, la bocca era coperta dalla solita mascherina e gli occhi schermati da una retina.
Ne intravedeva solo la forma affilata.
Si guardarono per qualche secondo. Poi la guardia abbassò la mano.
Tooru trasse un respiro tremante.
<< Non credevo foste in grado di comprendere le emozioni >>
Mormorò con tutto il suo coraggio, la voce roca e secca.
L'altro continuò a tenerlo fermo sul muro.
<< Non ne siamo privi come i potenti della Capitale. Nasciamo con le emozioni. Dunque le comprendiamo. Le conosciamo >> Gli spiegò con calma, con sincerità.
Tooru cercò dentro di sé la rabbia che provava verso quelli come lui, ma non la trovò.
Era sepolta in fondo dentro di lui. Al contrario ... al contrario si sentiva bene.
Non voleva che lui se ne andasse, ed era folle. Nemmeno lo conosceva, o lo aveva visto.
<< Posso vedere il tuo volto? >>
La domanda gli uscì prima che potesse fermarsi, aveva anche allungato le dita tremanti verso il suo viso coperto. L'altro gli afferrò le dita di scatto.
<< Hai infranto la legge. Sei entrato nella casa di due soggetti in probazione >>
Tooru lo sapeva, ma voleva solo vedere i suoi occhi. Di che colore fossero.
Ed era una cosa da fuori di testa, considerato che stava per essere portato alla Guardia dal Comandante per aver violato la legge.
<< Lo so >> Ammise, mentre una piccola parte di lui ancora razionale pensava ad Hajime e a Takeru. Ormai il coprifuoco era passato da qualche minuto.
<< Eppure non hai timore >> No, non ne aveva.
Non ne aveva, ed era follia pura anche quella.
Si sentiva al sicuro con quello - quello sconosciuto. Una Guardia della Capitale.
Forse alla fine la fuliggine nell'aria lo aveva fatto uscire del tutto fuori di testa.
<< No >> Ammise ancora una volta.
La Guardia rimase in silenzio, a guardarlo, poi gli lasciò andare le dita e si portò una mano sotto il cappuccio, dietro la testa.
Sganciò qualcosa e la retina cadde, mostrando due occhi grigi dal taglio affilato.
E a quel punto il mondo si capovolse.
Per entrambi.


Fin da quando era solo un bambino Tooru aveva sentito raccontare da sua madre come si riconoscevano due Anime Legate.
Era come un terremoto, gli aveva detto.
Come se il mondo avesse spostato il suo asse terrestre, per poi rimetterlo a posto dopo che tutto aveva cambiato forma.
Guardavi l'altra persona ed era come se l'avessi sempre conosciuta.
Tooru aveva pensato fosse solo un modo onirico di spiegare la sensazione che si provava. Non qualcosa di letterale.
Ma fu quello che accadde.
Tooru vide, visse - come una pellicola avvolta all'indietro - la vita di ... Wakatoshi.
Lo conobbe.
Vide una spiaggia dalla sabbia bianca, con un mare in tempesta e un cielo nero come la pece. Una casetta di arenaria fatiscente su uno scoglio, in una cittadina di mare.
Sentì il pianto di un bambino. Era nato lì.
Era nato nel distretto di Shiratorizawa, con la sua catena montuosa ricca di oro e argento e le spiagge per la pesca intensiva.
La vita era misera anche all'interno della loro muraglia, soffrivano di fame e di stenti.
Tutto il pesce andava alla Capitale.
Vide una grotta alla fine della spiaggia, dei bambini - i suoi migliori amici - Satori e Reon. I loro giochi infantili. I tesori nascosti tra gli scogli.
Un'aquila reale, che era diventata sua amica, e volava sul mare fino ai picchi alti delle scogliere bianche.
Tooru era Wakatoshi in quei ricordi.
Vedeva tutto attraverso di lui. Sentiva.
Sentiva il suo amore per il padre, la sua venerazione. L'affetto per la madre, il timore reverenziale nei confronti della nonna. La lealtà nei confronti dei suoi amici.
Vide la sua infanzia, il giorno in cui venne preso.
Le lacrime disperate di sua madre che se la prendeva con il padre - un semplice pescatore con una barchetta rattoppata, Wakatoshi voleva essere come lui da grande - mentre lo trascinavano via senza che lui fiatasse.
Non li aveva più rivisti da allora. Nemmeno Reon e Satori.
Vide la fortezza della Capitale dove lì allenavano a diventare spietati.
Le torture con cui era stato addestrato a non provare emozioni, a soffocarle.
Visse attraverso di lui e lo conobbe nel profondo, quella parte di sé che gli era sempre mancata da morire senza che lo sapesse.
Quando tornò al presente, in quel vicolo buio, immerso in quegli occhi grigi, seppe.
Seppe che anche Wakatoshi aveva vissuto la sua vita, attraverso di lui.
Aveva appena trovato la sua Anima Legata ed era tutto quello che aveva sempre odiato.
Una Guardia della Capitale che non avrebbe dovuto mostrare o provare emozioni.
Una cosa mai successa prima nella storia.
Ne era certo.
Tooru allora fu certo che in lui qualcosa davvero non andasse.


Il primo istinto fu quello di abbracciarsi.
E lo fecero. Si aggrapparono l'uno all'altro come in cerca di aria, Tooru scivolò lungo la parete sudicia e Wakatoshi andò giù con lui. Si trovarono seduti sulla strada sporca.
<< Ti ho trovato >> Mormorò Tooru.
Era irrazionale. Non erano più due estranei che si parlavano per la prima volta.
Un amore come non ne avrebbe mai provato, immotivato, insensato.
Ora capiva le parole di sua madre.
<< Ti ho cercato per tutta la vita >> Posò la fronte sul suo petto, stringendo la sua casacca scura tra le dita ancora nere.
<< Tooru >> Lo chiamò l'altro con voce calda.
<< Wakatoshi >> Sussurrò di rimando.
Si guardarono negli occhi, Tooru sollevò una mano e toccò le labbra di lui attraverso la durezza della mascherina. Prese ad abbassare il dispositivo lentamente, e Wakatoshi non glielo impedì. Aveva un viso cesellato, duro, bellissimo.
Tooru gli sfiorò la pelle screpolata delle labbra, sollevando la testa verso di lui.
Wakatoshi gli prese il mento con una mano e si avventò su di lui con disperazione.
Le loro lingue si intrecciarono bisognose.
Wakatoshi si alzò, tirandoselo addosso e lo appoggiò contro la parete, ma con più gentilezza. Tooru avvolse gli arti attorno al suo corpo, si incastravano alla perfezione.
Quando rimase senza fiato, con i polmoni in fiamme, tirò indietro la testa e la poggiò contro la parete. Non avrebbe mai voluto smettere, ma faceva male.
<< Tooru. I tuoi polmoni >> Commentò Wakatoshi, facendogli scivolare una mano piena di calli lungo il petto coperto dal cappotto liso, consunto e sporco.
<< Sono malato, come tutti gli altri. Lo sai >> Era quello il motivo per cui le Guardie indossavano la mascherina, filtrava aria pulita nei loro polmoni sani.
E ormai Wakatoshi lo sapeva, perché sapeva tutto di lui e della sua vita.
Gli accarezzò il lato destro delle labbra gonfie dal bacio con il pollice.
<< Non credevo che tu esistessi >>
<< Lo so >>
<< Non permetterò che tu muoia. Né che lo faccia tuo nipote, o il tuo amico >>
<< So anche questo, adesso >>
Ed era straordinario. Il modo intimo in cui lo conosceva, non conoscendolo affatto.
<< Come è possibile questa cosa tra noi? >>
<< Non lo so >> Wakatoshi continuò ad accarezzargli il labbro inferiore << So che tu mi hai ... risvegliato. Tooru, io ... sento tutto. Di nuovo >> Si portò la mano libera sul petto, sopra il cuore << Qui. Sento di nuovo >>
E non era una cosa possibile, almeno non di solito. Non che loro sapessero.
Durante l'addestramento per diventare Guardie il legame con l'anima gemella veniva dolorosamente reciso.
Motivo per cui Tooru e Wakatoshi erano destinati a non incontrarsi mai.
A non riconoscersi mai. A passare uno accanto all'altro senza provare niente.
Quell'incontro non aveva spiegazioni logiche.
<< So solo che ormai non posso lasciar perdere. Non posso lasciarti andare >>
<< Nemmeno io, non voglio >>
Ed era folle. Era strano.
Era meraviglioso.

 
○●○


Wakatoshi lo riaccompagnò a casa attraverso le ombre.
Il coprifuoco era passato da un'ora buona.
Tooru lo vide sparire sul parapetto della muraglia - alta un centinaio di metri - e provò una sensazione stranissima. Iniziò a piangere senza farlo davvero.
Le lacrime scendevano senza dolore, o lamento. Arrivavano e basta.
Aprì la porta di casa mentre tentava di asciugarsi inutilmente il volto ancora sporco di fuliggine e impronte di mani.
Non si accorse del fuoco nel camino ancora acceso, mentre si strofinava gli occhi.
<< Tooru! >> Ruggì Hajime da un angolo della stanza. Takeru doveva già essere a letto.
<< Il coprifuoco è passato da un'ora, ti rendi conto di come - >>
<< Hajime ... >> L'invettiva rabbiosa dell'uomo si interruppe bruscamente quando Tooru abbassò le mani, mostrando gli occhi gonfi di lacrime incontrollate.
La sua espressione inferocita si distese, diventando sgomenta.
<< Non riesco a smettere di piangere >> Si passò ancora una volta le mani sul volto umido. Hajime deglutì rumorosamente, portandosi le mani sui fianchi.
<< Tooru tu ... >> La sua voce si spense.
<< Si >> Mormorò lui, e senza un motivo scoppiò a ridere perché si sentiva euforico.
<< L'ho incontrato. E ora non so che cosa mi stia succedendo >>
Rise, portandosi le braccia sulla pancia mentre piangeva.
Hajime sospirò e gli si fece vicino.
<< È una reazione normale alla lontananza. Passerà presto >> Lo istruì con pazienza. Tooru tentò di smettere di ridere per guardarlo. Concentrarsi su di lui.
Poi si rese conto di che cosa significava quella cosa per loro.
Aveva disperatamente sperato che potesse essere Hajime per anni, e forse segretamente anche l'amico avrebbe voluto dimenticare Nana, ma ora gli sembrava impossibile.
Non provava più niente di quei sentimenti che lo avevano tormentato, se non affetto fraterno, e Hajime lo sapeva. Ci era passato prima di lui.
<< Tooru, devi raccontarmi tutto >> Gli disse, appoggiandogli le mani sulle spalle.
E Tooru lo fece. Gli disse tutto.

 
○●○


Tooru e Wakatoshi si incontravano di nascosto.
Il loro caso non aveva precedenti, ma erano entrambi abbastanza furbi e intelligenti da sapere che se una notizia simile fosse arrivata alla Capitale, sarebbero diventati il capro espiatorio per una lezione pubblica. Tooru faceva la vita di sempre.
Erano solo i dettagli ad essere cambiati. Il vuoto che sentiva dentro era svanito.
Come se fosse stato solo tanto a lungo, al buio e al freddo, e poi fosse arrivato il calore di una luce, di un focolare accogliente.
Si cercavano con gli occhi nella miniera buia, anche se Tooru non poteva vedere quelli di Wakatoshi. Si sfioravano nell'ombra.
E si incontravano la sera in una casa abbandonata.
Su un materasso sporco e muffito, coperto solo da un lenzuolo umido, avevano fatto l'amore per la prima volta. Tooru non ci aveva mai pensato.
Non erano progettati per provare desiderio fisico per qualcuno che non fosse la propria Anima Legata. Sarebbe stato solo un atto di pura violenza.
Con Wakatoshi era stato naturale. Fastidioso al principio, forse, ma naturale.
E parlavano a lungo, per ore, o a volte restavano in silenzio a guardarsi innamorati.
Wakatoshi lo capiva meglio di chiunque altro.
Era una sensazione strana, ma piacevole.
Il mondo non era mai stato tanto pericoloso, eppure a Tooru non importava.
Aveva Hajime, Takeru, e adesso anche Wakatoshi era entrato a far parte della famiglia con naturalezza, come era successo con Nana al suo tempo.
Non riusciva a pensare ad altro.
Non era mai stato tanto felice nella sua misera vita.


Quella sera, a due mesi dal loro incontro, se ne stavano stesi sul loro materasso logoro, illuminati dalla luce delle fiaccole sulla muraglia.
Tooru era steso a pancia in giù, con il volto rilassato rivolto verso di lui.
Wakatoshi era invece steso di schiena, le braccia incrociate sul petto mentre ricambiava quello sguardo appagato.
Il lenzuolo copriva entrambi fino alla vita, anche se la sera era fredda.
<< Sei stanco >> Wakatoshi allungò una mano per sistemargli un riccio dietro l'orecchio.
Tooru era a pezzi, a dire il vero.
Anche se Wakatoshi era stato gentile, Tooru era stanco da giorni e dolorante.
<< Un po' >> Ammise, perché non poteva mentirgli. Allungò a sua volta una mano e tracciò il contorno del suo sopracciglio con la punta del dito.
<< Pensi mai di voler tornare a Shiratorizawa un giorno? >> Wakatoshi non cambiò espressione nel sentir nominare la sua terra natia, anche prima che lo strappassero dalle braccia dei suoi genitori non era mai stato molto espressivo. Era un bambino diretto.
E non capiva gli scherzi o i doppi sensi.
<< Non mi è concesso >> Rispose, continuando a guardarlo. Tooru cercò nei suoi occhi grigi la verità, forse una parte di lui avrebbe voluto tornare sulla spiaggia della sua infanzia e rivedere i suoi genitori e i suoi amici. Non sapeva niente di loro da venti anni.
<< Lo so, ma lo vorresti? >> Insistette Tooru.
Wakatoshi ci pensò un attimo.
<< Non so cosa potrei trovare lì >> Confessò. Vent'anni erano tanti, dopotutto.
Tooru sospirò e si fece più vicino al suo corpo caldo sotto il lenzuolo, Wakatoshi invece si voltò su un fianco per riflesso.
<< Sembrava un bel posto >> Mormorò Tooru.
<< Dove vivere, intendo >>
Wakatoshi si fece più attento e gli prese una mano stringendola con forza.
<< È solo un altro distretto, Tooru. La gente è più libera, ma ci sono le Guardie e il controllo della Capitale è ferreo come qui >>
Il suo tono fu definitivo e privo di inflessioni.
Tooru si morse il labbro inferiore. Il suo era solo un sogno sciocco, dopotutto.
<< Ma l'aria è pulita >> Mormorò, e proprio in quel momento, come un monito, un eccesso di tosse gli squassò il petto. Bruciava come l'inferno.
Wakatoshi si alzò a sedere di scatto e raccolse i pantaloni della tenuta da terra, frugò nelle tasche ed estrasse una decina di tessere. Tooru lo guardò mentre si asciugava il sangue dalle labbra con il dorso della mano.
<< Ho le tessere dei medicinali. Devi prenderle, Tooru. Ce ne danno troppe, e io non ne ho bisogno >> Gliele appoggiò accanto alla testa mentre tornava a stendersi cingendogli un fianco con il braccio.
<< Se continui a non indossare la mascherina a causa mia, ti serviranno presto >>
Aveva una voce terribilmente roca.
<< Non è così. Ci vogliono anni per cominciare ad ammalarsi >> Lo contestò Wakatoshi, senza esprimerlo visivamente e Tooru accennò un sorriso dolce.
<< Sette anni >> Ammise, pensando all'età di suo nipote Takeru.
Sette anni per ammalarsi e altri quaranta per morire lentamente.
Wakatoshi gli posò una mano sulla guancia e fece scontrare le loro fronti.
<< Ti darei i miei polmoni, se potessi >>
<< Lo so >> A Tooru pizzicarono gli occhi.
Posò una mano su quella di Wakatoshi.
<< Morirai se resti qui >> Realizzò il suo compagno a quel punto e Tooru annuì.
Come sua madre, suo padre, sua sorella e suo cognato, come i genitori di Hajime.
Sarebbe successo, inevitabilmente.
<< Dobbiamo godere del tempo che abbiamo insieme, anche se non possiamo registrare la nostra unione >> Sussurrò, chiudendo gli occhi stanchi. Presto avrebbero dovuto alzarsi e lasciare l'abitazione.
Wakatoshi non rispose nulla a quel punto.
Tooru non si chiese che cosa celasse nel profondo del suo cuore, cosa stesse pensando.


Tuttavia, fu il destino a decidere per loro anticipatamente.

 
○●○


Tooru aveva l'obbligo di sottoporsi a quella visita medica ogni tre mesi.
Era accompagnata da un permesso speciale dal lavoro per tutto il giorno.
Siccome era una visita invasiva, che non serviva solo ad accertarsi del progresso di deterioramento dei loro polmoni, veniva concessa la possibilità di ritirarsi in privato.
Tooru sopportò l'invasione del suo corpo con stoicità, come faceva sempre, fissando il soffitto anonimo della Guardia Medica.
Rivestirsi era sempre un processo umiliante.
Si stava sistemando la maglietta quando il dottor Mizoguchi parlò, intento a compilare la sua cartella medica.
<< Devi fornire il nome del padre >>
Dichiarò distrattamente, scribacchiando veloce. Tooru aggrottò le sopracciglia.
<< Il padre? >> Chiese, attorcigliando la sciarpa attorno al collo sottile.
Mizoguchi lo guardò di sottecchi.
<< Della creatura che porti in grembo >>
Tooru sentì la poca aria nei polmoni venir risucchiata via, sgranò gli occhi e la mano destra scattò immediatamente ad afferrare la maglietta lisa all'altezza dell'addome.
<< Serve entro una settimana. Se non vi siete ancora registrati, Tooru, dovete farlo subito >> Continuò Mizoguchi, cercando il suo sguardo con insistenza.
Tooru tentò di controllare la sorpresa e la sua totale paura.
<< Si, oggi glielo dico >> Rispose, lasciando andare la maglietta.
Si alzò in piedi per indossare il cappotto, gli tremavano le mani.
Mizoguchi gli passò la cartella, Tooru la prese.
Poi l'uomo si appoggiò con la schiena al bordo del tavolo e incrociò le braccia al petto, osservandolo. Era freddo, ma non cattivo. Aveva solo perso la voglia di vivere.
<< La tua situazione polmonare è grave, Tooru >> Gli comunicò senza mezzi termini.
<< Hai saltato la medicina per troppo tempo. So che ami tuo nipote, ma ora questa cosa ti peserà >> Tooru serrò la presa attorno alla cartellina medica, pronto per le parole che sarebbero seguite << Se vuoi fare richiesta di aborto, posso aiutarti io. Perché non credo che riuscirai a far nascere questo bambino >>
Facendo appello a tutto il proprio autocontrollo Tooru annuì, senza accettare, senza dire niente. Poi lasciò la stanza.
Si fermò solo quando svoltò nel primo vicolo vuoto, rilasciando il respiro affannato, posò la testa sulla parete e guardò il cielo grigio.
<< Merda >> Mormorò.
Ormai non avevano più tempo.

 
○●○


Tooru lo disse a Wakatoshi.
Nella casa abbandonata in cui si incontravano, mentre erano entrambi seduti sul materasso, le spalle che si sfioravano.
Per una volta Tooru non era stanco, né sporco di fuliggine, ma fissava il pavimento ricoperto di polvere nera come ipnotizzato.
Le ginocchia strette al petto.
Non aveva avuto un solo sintomo che potesse fargli sospettare una gravidanza.
Era caduta dal cielo, esattamente come quando aveva scoperto le sue conformazioni fisiche - ereditate da uno zio - all'età di undici anni. Non gli aveva mai dato nessun problema la sua condizione nel corso degli anni, era come se non ci fosse, non esistesse.
Almeno fino a quel momento.
Tooru si era ripromesso di non far nascere mai un figlio in quel mondo terribile, ma lo aveva fatto prima di conoscere Wakatoshi. E ora si sentiva dilaniato dentro.
<< Il dottore ha suggerito un'operazione >>
Gli aveva raccontato tutto, non aveva intenzione di tacere anche quella parte.
<< Ma anche in quel caso, non posso farla se non siamo registrati >>
Terminò con un sospiro e si massaggiò il setto nasale. Wakatoshi indossava ancora la mascherina, su sua insistenza, e non poteva vedergli metà del volto, ma anche in quel caso non sarebbe stato in grado di decifrare i suoi sentimenti.
<< Hajime è fuori questione, si è già registrato in passato. Ma posso chiedere a - >>
<< No >> Fu la risposta secca. Tooru si voltò a guardarlo, allibito.
<< Wakatoshi ma - >>
<< Non farai quella operazione >> Il suo tono di voce era pacato e profondo come sempre, ma vi era una traccia di durezza feroce nel fondo, definitiva.
<< Il dottore ha detto che i miei polmoni - >>
Wakatoshi si alzò di scatto, con un movimento aggraziato e Tooru si zittì, la mano che aveva allungato per toccarlo e dargli conforto sospesa nel vuoto.
Prese a camminare avanti e indietro.
Era nervoso. Tooru non lo aveva mai visto così. Sembrava una belva in gabbia.
<< Non uccideranno mio figlio. Ne te >>
Affermò, fermandosi di colpo.
Tooru sentì un brivido strano dietro la schiena e si morse il labbro inferiore.
Wakatoshi lo raggiunse con due lunghe falcate e si inginocchiò davanti a lui.
Gli prese le mani e ne baciò i dorsi attraverso la mascherina che ancora indossava.
<< Distruggerò questo sistema, se è quello che serve >> E nella luce fredda dei suoi occhi taglienti Tooru vide la determinazione di un guerriero. E gli credette.
Lo avrebbe scardinato fino all'ultimo pezzo.


<< Shiratorizawa e Karasuno sono in rivolta >>
Tooru e Hajime fissarono sbigottiti la Guardia dalle sedie rovinate della loro abitazione.
Wakatoshi si era tolto retina e mascherina, ma continuava ad indossare il mantello.
Era talmente alto che urtava con la testa contro il lampadario.
Era una domenica uggiosa, unico giorno di riposo concesso nel corso della settimana.
<< È un'informazione certa. Ma la Capitale sta cercando di non far trapelare niente per non fomentare altre ribellioni >> Continuò a raccontare con voce incolore << Hanno quasi perso i due distretti, ormai. Le fazioni ribelli stanno avendo la meglio >>
Tooru sentì un moto di speranza germogliare nel petto, una buona notizia in una giornata cominciata nel modo peggiore possibile, con i primi accenni di nausea.
<< Seijoh deve essere allertata >> Intervenne subito Hajime, parlando per la prima volta.
Wakatoshi annuì con un cenno secco della testa.
<< Chi - chi guida queste ribellioni? >>
La domanda di Tooru arrivò spontanea. Era ammirato, incredulo.
Wakatoshi lo guardò con una strana espressione, sembrava ... orgoglio.
<< A Shiratorizawa il capo della ribellione si fa chiamare Guess Monster >>
Un briciolo di comprensione comparve nel petto di Tooru, perché ora aveva dentro di sé anche i ricordi di Wakatoshi. Lui annuì.
<< Si, è il nomignolo che Satori usava in codice nei nostri giochi da bambini >>
Il suo migliore amico. Satori. Aveva iniziato una rivolta e la stava vincendo.
<< A Karasuno è guidata dal Capitano. Pare che lì la stiano risolvendo velocemente >>
Hajime serrò un pugno e fece un sorriso feroce.
Si alzò di scatto battendo le mani sul tavolo, con fare deciso.
<< Prenderai Tooru e Takeru e li porterai a Shiratorizawa >>
Dichiarò, e Tooru aggrottò le sopracciglia. Sembrava che quei due fossero stranamente in sintonia, mentre lui non ci aveva capito niente. Ed era strano.
Wakatoshi era il suo compagno.
<< È così >> Confermò quest'ultimo.
<< Aspettate un momento! >> Intervenne, buttando le mani in avanti << Uscire da qui è quasi impossibile. Primo. E secondo, perché il tuo nome non è incluso, Hajime? >>
I due uomini lo guardarono, per nulla impressionati dal suo disappunto.
<< Scappare non è facile, è vero >> Disse il suo migliore amico, guardandolo negli occhi.
Wakatoshi incrociò le braccia al petto.
<< Ma non è impossibile con un diversivo >> Aggiunse, attirando l'attenzione di Tooru su si se << Posso attraversare la muraglia se l'attenzione della maggior parte delle Guardie è altrove >> Gli spiegò con calma e Tooru comprese.
Fissò Hajime con occhi sgranati.
<< No >> Mormorò. Hajime gli posò le mani sulle spalle.
<< Si, Tooru >> Gli disse con fermezza, una luce negli occhi che non gli vedeva dal giorno della morte di Nana << Io sarò la miccia che farà svegliare Seijoh. Guiderò la resistenza qui, a casa nostra >> Tooru serrò gli occhi e scosse di nuovo la testa, Hajime gli strinse le spalle per attirare la sua attenzione.
<< Fai nascere tuo figlio, Tooru. Voglio vederti vivere, perché non sopporterei di perdere anche te >> Non nello stesso modo in cui ho perso Nana.
Tooru sentì le lacrime salire rapide e si morse il labbro inferiore.
<< Noi ci rivedremo in un mondo libero >>
E a Tooru tornarono in mente le parole di Issei, pronunciate in una miniera buia.
Una scintilla, una speranza che accenda la miccia.
Erano loro quella scintilla.

 
○●○


Due anni dopo


La spiaggia bianca era soleggiata quel giorno, ma tirava un po' di vento.
Tooru si schermò gli occhi con la mano e sorrise teneramente.
Stava per arrivare l'estate e le temperature si erano fatte tiepide, piacevoli.
Era ora di pranzo, lo stufato di pesce e verdure si conservava caldo nel forno a legna della loro graziosa cucina rustica. Credeva che sarebbe dovuto scendere lungo il sentiero per vederli, ma non ne ebbe bisogno. Wakatoshi era accovacciato sulla sabbia, i pantaloni sollevati fino a metà polpaccio in risvolti ampi.
Osservava la bambina con attenzione, lo sguardo rilassato, mentre sbatteva i piedini nella risacca bassa e rideva gioiosa.
Era nata la notte in cui a Shiratorizawa era stato abbattuto un pezzo di muraglia, che aveva creato un passaggio diretto a Karasuno.
Tooru era quasi morto per metterla al mondo.
Ma non era mai stato tanto fiero di rischiare la vita.
Perché lei era lì, in quel vestitino rosso e con gli occhi della stessa forma di quelli di Wakatoshi e rideva felice in un mondo libero.
Lui le disse qualcosa, facendole cenno di avvicinarsi con una mano, la bambina non esitò a raggiungerlo, correndo verso di lui con i suoi passi instabili e il pannolino sporco di sabbia. Quel giorno compiva due anni.
Prese il viso di Wakatoshi tra le manine e strofinò insieme i loro nasi, poi rise gioiosa.
Lui se la strinse al petto e cominciò a riempirla di baci, accennando un sorriso.
Wakatoshi non c'era la notte in cui era nata a casa dei suoi genitori - combatteva al fronte. Era stata una notte di tempesta e il mare rombava arrabbiato.
Ma quando era rientrato all'alba di una nuova era, sporco ma vittorioso, e aveva tenuto quella creatura minuscola tra le braccia, ancora raggrinzita e urlante, aveva pianto.
Forse per la prima volta da quando era bambino.
Lei era la loro speranza.
Wakatoshi voltò la testa verso di lui, come se lo avesse percepito, e Tooru sorrise, facendogli un cenno con la mano.
Prese la bambina in braccio con facilità e si avviò verso di lui, la pelle baciata dal sole.
<< È pronto il pranzo >> Gli disse quando fu vicino, poco prima che lui si chinasse per baciarlo. Tooru rise di quel gesto, mentre la bambina li fissava curiosa.
<< Pulitevi i piedi sulla veranda prima di entrare, che non ne posso più di spazzare via la sabbia >> Si raccomandò, accingendosi a pulire personalmente i piedi della figlia.
Erano ancora umidi di acqua di mare.
Wakatoshi annuì. Obbediente.
<< Takeru? >> Chiese poi.
<< Resta a dormire dai suoi amici >> Gli rispose distrattamente, mentre prendeva in braccio la bambina che si era sporta verso di lui.
Raggiunsero la veranda e Wakatoshi si fermò per pulire diligentemente i piedi.
<< Stasera vengono i tuoi a cena. Ho invitato anche Satori e Reon >> Lo informò Tooru, respirando l'aria pulita che entrava in casa loro a pieni polmoni << E Hajime si è preso una pausa dalla ricostruzione di Seijoh, quindi verrà a stare qui qualche giorno >>
Wakatoshi annuì, entrando in casa. Aveva la camicia tutta bagnata e sbottonata.
I capelli erano umidi di acqua di mare.
<< E non dimenticarti di dare lezioni di pesca a Takeru. Sai che vuole fare il pescatore come te da grande >> Affermò Tooru mentre infilava i guanti della cucina per tirare fuori la teglia dello stufato dal forno. Il profumo era ottimo.
<< Tooru, perché sei così euforico? >>
Domandò Wakatoshi, appoggiando una spalla allo stipite della porta, la bambina giocava tranquilla nel recinto che lui stesso le aveva costruito in un angolo.
<< Perché presto saremo in quattro e voglio dirlo a tutti! >> Wakatoshi sollevò un sopracciglio, un muscolo della mascella guizzò per la sorpresa. Tooru posò la teglia sul tavolo, accanto ai piatti, e gli sorrise.
<< Spero sia un maschio stavolta >>
Wakatoshi accennò un sorriso, raggiungendolo.
<< Un maschio mi piacerebbe >>


Erano loro la speranza.

 
But I know some day
I'll make it out of here
Even if it takes all night
or a hundred years


( Lovely - Billie Eilish ft. Khalid )

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Capitolo 5
*** 5. Heal ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”
Prompt: Hospital
N° parole: 7047
Note: Anche qui segnalo un: Fem!Oikawa, Fem!Hinata, Fem!Kenma e Fem!Sugawara. Mi sono dovuta ispirare al modello di studio americano per questo prompt ( l’ho fatto in maniera frettolosa, quindi mi scuso se non dovesse essere proprio del tutto accurato ) perché non riuscivo a capirci niente di quello Giapponese * lacrima *. Inoltre, tutte le serie TV americane su questo tema che ho visto hanno fatto il resto xD




 
Heal
 
As he goes left, and you stay right
Between the lines of fear and blame
You begin to wonder why you came


《 Brutto spocchioso inespressivo! 》
Tooru aprì con violenza la porta a doppio battente, facendola sbattere rumorosamente contro il muro da ambo i lati.
《 Mi ha fatto inacidire il caffè nello stomaco quel ghiacciolo del cazzo 》
Continuò a brontolare, massaggiandosi le tempie mentre le ante della porta oscillavano alle sue spalle.
《 Ecco che ci risiamo! 》 Intonò una voce divertita e familiare, a cui Tooru rivolse subito un'occhiataccia da sopra le dita - Takahiro.
《 Chissà che cosa ha combinato oggi l'Uomo di Ghiaccio per irritarla tanto! 》
Gli diede man forte Issei e Tooru sentì le vene scattare nervose sulle tempie e pulsare.
La stanza di riposo per i tirocinanti era abbastanza affollata.
Non ci aveva pensato quando se n'era andata via a passo di marcia.
Incrociò le braccia sotto il seno, sul camice blu, e sbuffò per scacciare una ciocca di capelli ondulati dalla fronte.
《 Mi ha mandata a fare una "pausa" 》
Digrignò tra i denti, stringendoli con tale forza da rischiare di spezzarli.
Takahiro e Issei si fissarono per un istante, palesemente intenti a trattenere le risate.
《 E tu che cosa hai fatto per finire qui la ... terza, quarta volta in un solo turno? 》
Tooru spostò lo sguardo su Kei Tsukishima, quel tirocinante arrogante del primo anno a cui avrebbe volentieri tirato via il collo.
Fortunatamente non bazzicava nel reparto di neurologia - ma in quello di chirurgia, motivo per cui sentiva la necessità di diventare violenta solamente qualche volta, quando lo incrociava o se ne usciva con cose simili.
《 Non importa che cosa io abbia fatto! Quello che importa è che lui ha torto! Ed è l'unica cosa che conta qui 》 Spiegò con aria affabile, mentre si dirigeva verso la nuova tecnologica macchinetta per le bevande.
L'avevano istallata un paio di giorni prima.
《 Ma siccome è lui - sfortunatamente - il Primario di Neurologia 》 Qui imprecò tra i denti con veemenza 《 Mentre io - 》
《 Mentre tu sei solo una tirocinante al terzo anno che non ha voce in capitolo 》
La interruppe Takahiro con voce divertita.
《 E non fa altro che farsi rimproverare 》 Gli diede man forte Issei.
Tooru schiacciò il pulsante della cioccolata calda con troppa forza e si fece male il dito, mentre fulminava i suoi compagni di corso con una brutta occhiataccia.
《 E smettetela voi due! 》 Sbottò, sbuffando ancora una volta per scacciare via i capelli dal volto 《 Non ho studiato tutti questi anni e cominciato il tirocinio dei miei sogni perché un dispotico tiranno mi comandasse a bacchetta! Argh! 》
Si infilò le mani nei capelli e chiuse gli occhi, respirando profondamente.
Era il turno di notte, erano solo le dieci, aveva cominciato alle otto e già si era beccata tre "pause". Doveva smetterla di stressarsi se voleva sopravvivere altre dieci ore.
Afferrò la cioccolata calda e cominciò a girarla con lo stecchetto di plastica annesso.
《 Il dottor Ushijima è uno dei migliori nel suo campo 》
Intervenne Tobio, che stava consumando uno spuntino al tavolo.
Tooru lo guardò malissimo. Anche lui, insieme a Kei, era un tirocinante al primo anno sotto la supervisione del dottor Sawamura - Primario di Cardiologia.
Era un moccioso maledettamente bravo con una strana ossessione nei suoi confronti.
Lei comunque era molto più brava.
《 Infatti dovresti ritenerti fortunata. È serio e professionale, non di certo come ... qualcun altro 》 Si intromise Kenma, cosa rarissima.
Tooru la guardò come se l'avesse tradita.
L'altra, appoggiata con la schiena sul bordo di un mobile ricoperto di fascicoli e cartelle, si stiracchiò sfacciatamente. I lunghi capelli biondi, con le radici scure della ricrescita, le cadevano lisci come spaghetti sulle spalle.
Comunque, Tooru non poteva risponderle male, perché il Primario del reparto di Psicologia - dove faceva tirocinio lei da due anni - era davvero strano.
Sembrava avesse bisogno lui in primis di qualche seduta, forse anche più di qualche.
《 Io lo trovo spaventoso! 》 Intervenne invece Shouyou, seduta accanto a Tobio mentre sgranocchiava una carota dello stesso colore dei suoi capelli.
《 Ecco! Vedi Tobiuccio, la tua metà ha più sale in zucca di tutti ... voialtri 》
Dichiarò Tooru, sorseggiando la cioccolata incredibilmente amara.
Dannazione, aveva dimenticato lo zucchero come sempre.
《 Ohi, questa qui non è - 》
《 Gwah! Non vorrei mai uscire con - 》
Esplosero insieme i due con voce acuta, sovrapponendo le loro parole.
Tooru sogghignò divertita, sorseggiando la sua bevanda, che ora aveva un sapore più dolce. Takahiro e Issei la guardarono con un'espressione che suggeriva chiaramente il loro divertimento. Forse avrebbero infierito. Kei invece fece una brutta smorfia.
Kenma sollevò le sopracciglia, esasperata da quella pantomima ridicola.
Proprio in quel momento, il cercapersone di Tooru prese a emettere quel bip inequivocabile.
《 Ah, merda 》Per poco non rischiò di buttarsi sul camice la cioccolata, che non aveva bevuto nemmeno per metà.
《 La "pausa" è durata poco 》 La prese in giro Takahiro mentre posava il bicchiere sul ripiano e controllava il cercapersone.
Era lui. Fece un respiro per cercare la calma interiore.
《 Il tuo Imperatore tiranno non può fare a meno di te 》 Rincarò la dose Issei. Avviandosi verso la porta con una certa fretta, Tooru mostrò il dito medio ai due colleghi in modo feroce, con tanto di linguaccia. I due risero.
《 Non ti dimenticare la serata al bar di domani! 》
Gli gridò dietro Shouyou mentre riapriva la porta a doppio battente con la stessa veemenza di quando era entrata.
《 Ci sarò! 》 Strillò nel corridoio.
Poi fece un respiro profondo, si aggiustò il camice bianco sulla divisa blu e andò.


☆☆☆


《 Non ho sentito niente, dottoressa! 》
Tooru accennò un sorrisetto sghembo, accavallando le gambe come una principessa mentre continuava a premere con forza l'ovatta sul braccio del bambino.
《 Te l'avevo detto che ho le mani magiche 》
Gli fece l'occhiolino e applicò di fretta un cerotto con delle emoji sorridenti sopra.
Il bambino - Hikaru - ridacchiò.
《 E siccome sei stato davvero bravo - 》 Continuò Tooru infilando una mano nella tasca del camice, mentre con l'altra applicava la targhetta sulla fiala piena di sangue.
《 - meriti un premio 》 E tirò fuori un lecca lecca a spirale color arcobaleno, infiocchettato da un nastro azzurro. Gli occhi del bambino si illuminarono.
《 Grazie, dottoressa! 》 Esclamò con gioia.
Tooru gli fece una carezza sulla testa completamente calva e si alzò, sfiorandogli con delicatezza le cicatrici sulla nuca.
La mamma del bambino di nove anni - che era stata seduta accanto a loro durante il prelievo - si alzò a sua volta e le prese una mano, quella che Tooru aveva appena infilato in tasca. Lei la guardò sorpresa, ricambiando la stretta della donna automaticamente.
《 Grazie, dottoressa 》 Mormorò la donna con voce esile, sembrava una pezza da buttare via. Scheletrica, ingobbita e stanca.
《 Hikaru era nervoso. Non voleva tornare in ospedale quando si è sentito male 》
Le dita della donna erano ossute e spigolose, le unghie spezzate.
Tooru le rivolse un sorriso.
《 Non lo dica nemmeno. Ho solo fatto il mio lavoro 》 E aggiunse l'altra mano su quella della signora per rafforzare la stretta e il concetto. La porta si aprì in quel momento, ed entrambe rivolsero la propria attenzione sull'uomo appena entrato.
Tooru si irrigidì quando quello sguardo grigio e freddo, che le era familiare ormai da tre anni, si posò proprio sulle loro mani intrecciate. Ma non lasciò la presa.
Fu la signora a farlo, mentre portava tutta la sua attenzione sul dottore che aveva in cura suo figlio. Wakatoshi resse il suo sguardo per qualche istante, Tooru resistette abbastanza a lungo da non fargli una smorfia come una bambina.
《 Dottore, allora - 》 Cominciò la donna con voce tremante ed esile.
《 Abbiamo l'esito della tac 》
Disse lui immediatamente, interrompendola senza gentilezza.
La sua espressione facciale non cambiò.
《 Vorrei discuterne con lei in privato 》
Tooru vide le spalle della donna restringersi ulteriormente, percepì la sua paura, la sua ansia. Fece un passo avanti e le mise una mano sulla schiena, facendolo sembrare un gesto casuale. Il corpo della donna si rilassò subito per riflesso, poi rivolse uno sguardo di puro disgusto alla volta del suo superiore.
Wakatoshi sollevò un sopracciglio.
《 Ma Hikaru ... 》 Accennò la signora, voltandosi a guardare il figlio che aveva tutte le mani impasticciate di zucchero e la bocca macchiata di coloranti. Sembrava felice.
《 Il bambino sarà in compagnia di un'infermiera che arriverà a momenti 》
La informò Wakatoshi con il solito tono di voce. La signora annuì, intimidita.
Tooru si chiese come potesse un uomo bello come lui, così dotato, cosi intelligente, essere tanto ... freddo.
Probabilmente non lo avrebbe mai capito.


La stanza era scura, gli esiti della tac spiccavano sulla lavagna luminosa.
Tooru guardava con occhi attenti quello che aveva davanti e le si stringeva lo stomaco.
Ma siccome nella stanza vi era anche il dottor Tendou, cercò di controllarsi.
L'uomo era appoggiato con le braccia conserte ad un lettino, e la stava osservando.
Wakatoshi si spostò davanti alla prima immagine e indicò con il dito indice della mano sinistra la zona del cervelletto.
《 Vede questa massa, qui? 》 Disse con voce profonda, senza aspettarsi davvero una risposta 《 È un altro medulloblastoma. Si è formato di nuovo nello stesso punto della volta precedente 》 L'esile signora produsse un singhiozzo e si portò le mani tremanti alla bocca, gli occhi spaventati, disperati e lucidi di lacrime.
《 Dottore, ma avevate detto - 》
《 Lo so. La mia era solo una speranza 》
Wakatoshi sospirò e tornò ad indicare lo schermo luminoso. Tooru sentiva di avere gli occhi sgranati, grandi, mentre la rabbia le montava dentro come un'onda feroce.
Perché sei così freddo, eh, stronzo?
Stai parlando con una persona, non con un pezzo di carne!
Le parole premevano sulla lingua per uscire. Le trattenne per se a stento.
《 Il tumore si è diffuso anche in altre zone dell'encefalo ed è ad uno stadio avanzato 》
Continuò a spiegare con voce monocorde, e la signora cominciò a singhiozzare.
《 Possiamo tentare un'operazione. Io e il dottor Tendou, qui - 》 L'uomo si mosse, facendosi vicino 《 - faremo il possibile, ma il rischio è molto elevato. Questo deve saperlo. Qualunque sia la sua decisione 》
《 Il mio bambino 》
Singhiozzò la donna senza ritegno sotto lo sguardo freddo di Wakatoshi, mosse una mano nel vuoto, come a cercare un appiglio, e prima che Satori potesse farsi avanti e aprire bocca, Tooru si mosse.
Le afferrò il braccio per sostenerla e la signora si aggrappò a lei nella ricerca di un abbraccio che alleviasse la sua disperazione.
Tooru ricambiò quella stretta feroce.
Detestava quei momenti del suo lavoro.


《 Non sei stata per nulla professionale 》
Wakatoshi era stanco. Rimproverare la sua tirocinante focosa, intelligente, bellissima e agguerrita non era esattamente quello che voleva in quel momento.
Ma lo fece ugualmente. Tooru lo guardò allibita.
Satori, nel frattempo, si era messo seduto comodo sul divano di pelle, con tanto di piedi poggiati sul tavolino come se quello fosse il suo ufficio.
Li osservava come se stesse assistendo ad un film davvero interessante.
Wakatoshi si preparò alla tempesta.
《 Ha! 》Esclamò lei, accennando una risata del tutto incredula e beffarda《 E tu sei stato veramente disumano! 》 Gli inveì contro alzando un dito minacciosa.
Era una furia e lui la trovava bellissima.
《 Calmati 》 La intimò, ma ebbe come la sensazione che quella parola non avesse fatto altro che farla arrabbiare ancora di più.
Faceva il medico, ma non era mai stato molto bravo con le persone.
Con Tooru, poi, sembrava essere molto peggio che con tutti gli altri.
《 Non puoi abbracciare i tuoi pazienti o regalare loro dei lecca lecca. Devi essere più professionale, perché altrimenti non - 》
Provò a spiegarle, ma lei sbatté con violenza le mani sul ripiano di legno della scrivania. Aveva occhi di fuoco, grandi, espressivi.
《 Quella signora stava piangendo! 》 Sbottò, del tutto intenzionata a far valere la sua posizione 《 E tu le hai detto senza mezzi termini che al figlio restano zero possibilità di salvezza! Come ti è venuto in mente di - 》
《 Sarebbe cambiato qualcosa se le avessi indorato la pillola? 》
La interruppe, mentre faceva il giro della scrivania per mettervisi seduto dietro.
Era stanco. I turni di notte lo massacravano e ormai, sulla soglia dei 40 anni, non riusciva più ad avere la stessa tolleranza di un tempo.
Tooru si bloccò, colta di sorpresa.
《 No, ma - 》 Cominciò esitante, lui la bloccò.
《 No, esatto. Avrebbe solo alimentato le sue speranze. Puoi immaginare quanto sarebbe stato ancora più difficile affrontare la verità in seguito 》
Tooru tacque, stringendo i pugni delle mani lungo i fianchi.
Si morse il labbro inferiore, frustrata, e a lui non sfuggì nessuno di quei gesti.
Intrecciò le mani sul ripiano freddo davanti a sé, erano grandi e ruvide ormai, venose. 《 Tooru, tu sei brava, ed intelligente. Dei miei tirocinanti sei la più ... promettente 》
Satori tossì in maniera sospettosamente finta, portando un pugno davanti alla bocca, sembrò borbottare qualcosa di simile a: Non farti sentire da Kenjirou e Tsutomu.
Wakatoshi lo ignorò, come faceva spesso.
《 È l'unico motivo per cui tollero il tuo atteggiamento nei miei confronti 》
Proseguì. Un altro colpo di tosse più forte venne ignorato, mentre Tooru lo fissava dritto negli occhi come se lo stesse sfidando.
《 So che puoi farmi mandare via 》
Lo sfidò subito lei con quella bocca affilata. Wakatoshi trattenne un sorrisetto.
《 Ma sei troppo emotiva. Sempre troppo empatica. Motivo per cui sarà Kenjirou ad assistermi durante l'operazione. Non tu 》 Continuò imperturbabile, come se non l'avesse nemmeno sentita e si preparò ad una sfuriata, che non avvenne.
La mascella di Tooru sembrava sul punto di spezzarsi tanto era tesa.
Senza aggiungere niente o opporsi, si diresse verso la porta con passo feroce, anche se lui non l'aveva congedata.
《 Tooru 》 La chiamò, e lei fu costretta a fermarsi, ma non si voltò a guardarlo, ne pensò di salutare Satori.
《 Puoi andare a fare una - 》
《 Una pausa, si, lo so! 》 Esplose infine, continuando a camminare con la coda di cavallo che oscillava a destra e a sinistra 《 Sempre troppo empatica. E tu sei sempre uno stronzo! 》 La sentirono borbottare a voce troppo alta mentre andava via come una furia. Wakatoshi sospirò e si lasciò andare con la schiena contro la sedia reclinabile, massaggiandosi il setto nasale.
《 Davvero impressionante 》 Non aveva dimenticato la presenza di Satori.
Il suo migliore amico tolse i piedi dal tavolino e si mise seduto con i gomiti sulle ginocchia. 《 Potresti essere anche meno duro con lei 》
Lo rimproverò con aria canzonatoria. Wakatoshi smise di massaggiarsi il naso.
《 Tra i tuoi è davvero la migliore 》
《 Lo so 》Aveva voglia di prendere un caffè.
《 È proprio per questo che sono così duro. È promettente, e io posso renderla la migliore. Non l'ho scelta a caso 》 Si alzò dalla sedia mobile e scrocchiò il collo.
Satori invece rimase seduto, rilassato.
《 Sei sicuro che sia solo per quello? 》
Wakatoshi lo guardò. Aveva un sorrisetto enigmatico sulle labbra, quegli occhi sempre un po' folli e spiritati. Satori c'era stato per lui fin dal primo giorno di università.
Erano arrivati fin lì insieme, senza che lui nemmeno sapesse come.
Si era sempre chiesto che cosa avesse visto in lui quel ragazzo un po' strano per restargli accanto come amico tutti quegli anni. Almeno venti, in un calcolo approssimativo.
Satori lo conosceva bene.
《 Se vuoi fare di lei la migliore, allora perché impedirle di assistere ad un'operazione? Non diventerà un bravo neurochirurgo così 》
Wakatoshi strinse il pugno della mano destra e si diresse verso la porta del suo ufficio.
Non aveva intenzione di parlare di quello con il suo amico.
Non era bravo a leggere le persone e non capiva mai gli scherzi, i doppi-giochi o le battute. E sapeva di non essere facile da leggere lui stesso, non era mai stato molto espressivo. Sapeva controllare le emozioni, anche se le provava come chiunque altro.
Ma Satori era l'unica persona in grado di decifrare i suoi pensieri.
《 Non c'è niente di male, Wakatoshi 》 Insistette l'amico, alzandosi in piedi con una smorfia 《 Sono passati due anni. Sei ancora relativamente giovane e - 》
《 Satori 》 Il suo tono era fermo.
L'amico sollevò le mani in aria come per difendersi.《 E va bene. Fai come vuoi. Ma almeno non nasconderti dietro quella ragazza. Non è te 》
E se ne andò, lasciandolo solo a riflettere suoi propri demoni del passato.

 
☆☆☆


Tooru era brilla, forse un po' ubriaca.
Ne era consapevole, come era consapevole del fatto di non aver smesso di lamentarsi nemmeno un solo secondo da quando era arrivata al bar. E che adesso, nelle sue condizioni, lo stava facendo con ancora più intensità.
Aveva smesso di tormentare la sua coinquilina, solo per attaccare con i suoi colleghi.
Perché Wakatoshi era un uomo attraente orribile e non riusciva a toglierselo dalla testa da quando aveva lasciato il suo ufficio rovinandosi tutta la giornata successiva.
《 Mi ha tolto l'operazione quel dannato tiranno! 》
Si lamentò per l'ennesima volta quella sera, facendo girare il liquido ambrato nel bicchiere. Vodka al caramello, buonissima, ma le faceva girare la testa.
《 Non urlare, Tooru 》 La rimproverò Shigeru, guardandosi attorno con aria nervosa 《 Non lo vedi che è seduto al bancone a pochi metri di distanza? 》
Tooru rivolse un'occhiata torva proprio in quella direzione.
Certo che lo aveva visto, quel maledetto. Era impossibile non farlo.
Con la giacca di pelle marrone su una maglietta nera appiccicata ai pettorali pompati, jeans scuri, scarponi da motociclista e quei maledetti capelli fonati qualunque donna lo avrebbe guardato! Non sembrava nemmeno avere quarant'anni, il maledetto.
E poi perché diavolo era venuto? Non era un tipo asociale?
《 Non mi importa se mi sente! 》 Biascicò, buttando giù un altro sorso di alcol dolce.
《 Povera Tooru 》 Intervenne Shouyou dandole una pacca sulla spalla, era vestita di nero, con tanti fiorellini, e Tooru la trovava adorabile 《 La dottoressa Koushi non mi avrebbe mai fatto una cosa del genere 》 Le diede man forte e Tooru le lanciò un bacio.
《 La dottoressa Koushi è un angelo. Per questo il suo reparto è una pace dei sensi. Daichi sapeva quel che faceva quando l'ha sposata 》
Intervenne prontamente Takahiro, mentre sgranocchiava un cetriolo accanto alla birra che si era ordinato, tutto rilassato sul divanetto.
Il loro tavolino era piccolo e ci stavano stretti, ma a Tooru piaceva.
Sembrava intimo e quel bar era delizioso.
L'ubicazione sul tetto di un grattacielo lo rendeva unico, il giardino era spettacolare e le luci appese dappertutto rendevano l'atmosfera quasi magica, surreale.
《 Una pace dei sensi. Il reparto di ginecologia, chissà come mai 》
Intervenne Issei divertito. Gli altri scoppiarono a ridere.
《 Comunque te lo sarai meritato 》 Takahiro tornò al discorso principale, riferendosi a lei. Tooru ingollò un altro bicchierino di vodka e lo fulminò con lo sguardo.
《 Se continui a rispondergli in quel modo ti manderà via. E non vediamo l'ora 》
Il mormorio di Kei fu perfettamente udibile. Tooru gli puntò un dito contro, domandandosi silenziosamente perché Kei avesse due teste.
《 Io posso dire quello che voglio! 》
Biascicò, non si accorse degli sguardi degli altri che si sollevavano alle sue spalle, e quando Shouyou tentò di fermarla, la scacciò via e continuò imperterrita a lagnarsi.
《 Sono una persona libera! Solo perché ha qualche anno di esperienza in più e perché è un Primario, non significa che abbia sempre ragione! Ne che possa mettermi i piedi in testa ... beh, sarebbe strana una cosa simile comunque. Cavolo, ora lo sto immaginando scalzo! 》 Ridacchiò come una scema.
Shouyou avvampò, Takahiro e Issei cercarono di trattenere una risata, Kei alzò gli occhi al cielo e gli altri tacquero imbarazzati.
Tooru nemmeno si rese conto del silenzio.
《 Ma comunque è un Imperatore tiranno. È spocchioso, freddo, disumano! E un grande bastardo! Uno stronzo! 》
Soddisfatta della sua invettiva, annuì con vigore e si tirò in piedi di scatto, barcollando. Tirò giù la gonna di pelle che indossava e sbatté le palpebre, frastornata.
《 E ora vado in bagno 》 Annunciò.
Si girò per uscire dall'incastro di gambe e arti sparsi sui divanetti e andò a sbattere dritta dritta contro il petto solido di qualcuno.
Sentì subito profumo al sandalo, il fresco di una giacca di pelle sotto le mani.
Sollevò lo sguardo ed ebbe un singulto.
《 Oh, Wakatoshi. Ciao 》
Gli sorrise come se non lo avesse appena insultato pesantemente.
Lui la reggeva, un sopracciglio sollevato.
《 Imperatore tiranno 》 Ripeté lentamente.
Tooru ridacchiò, non poteva fare a meno di pensare che fosse davvero bello.
Avevano tredici anni di differenza, ma lei non riusciva a vederla tutta quella distanza.
《 Ops 》 Rise ancora《 Sono brava ad inventare nomignoli, vero? 》
Le sue mani posavano sui pettorali tonici e caldi nascosti da quella maglietta nera attillata, Tooru si concentrò su quelli senza motivo.
《 Sei fatto di acciaio. Acciaio 》 Commentò, battendo le mani sul petto di Wakatoshi, che continuava a tenerla per le braccia perché non cadesse.
《 Sei ubriaca 》
《 Soooolo un pochino 》
Tooru gli mostrò il pollice e l'indice per fargli vedere effettivamente quanto poco fosse ubriaca. Poi rise ancora una volta.
《 Vieni con me, hai bisogno di aria fresca 》
Tenendola ancora per le braccia la trascinò verso l'uscita, sotto lo sguardo degli altri.
Tooru non si oppose.


A Wakatoshi piaceva quel bar.
Aveva una bella atmosfera, inoltre, avevano messo come sottofondo una soffusa musica jazz che apprezzava.
Condusse Tooru sotto la tettoia di legno ricoperta di edera, fiori e di lucine gialle.
La fece sedere su una panchina che affacciava sui tetti degli altri grattacieli, direttamente sul cielo privo di stelle. Tirava un vento fresco e piacevole.
Tooru chiuse gli occhi truccati di nero e parve godersi l'aria refrigerante sul volto sudato.
Wakatoshi la osservò per qualche secondo prima di mettersi seduto accanto a lei.
Era bella con i capelli sciolti, che a lavoro portava legati in una coda alta.
Le cadevano sulle spalle in boccoli naturali, erano lunghi, di un colore intenso.
Indossava quella gonna di pelle corta senza calze, e non le aveva mai visto le gambe prima. Erano toniche e slanciate. Gli stivaletti neri non avevano un tacco alto.
La camicetta a sbuffo bianca aveva una spaccatura profonda sul seno, e la giacca nera corta ne accentuava il colore. Wakatoshi non poteva non guardarla.
E lo fece, la osservò mentre sorrideva beata, rilassata dall'alcol e dal fresco sul volto.
Non sorrideva mai a lui spontaneamente. Tooru aprì un occhio e lo sbirciò.
《 Sei stato nei miei pensieri tuuuutto il giorno. Tutto il dannato giorno 》 Gli disse.
Wakatoshi sollevò un sopracciglio.
Non sapeva come interpretare quelle parole.
《 Volevo torcerti il collo 》 Aggiunse Tooru, aprendo anche l'altro occhio.
Si strinse nelle braccia, aveva il volto un po' assonnato, effetto dell'alcol in circolo.
《 E baciarti fino a soffocare allo stesso tempo 》 Rise dopo aver detto quelle parole.
Wakatoshi appoggiò gli avambracci sulle ginocchia e intrecciò le mani nel vuoto, guardando dritto davanti a sé.
《 Sei ubriaca, Tooru 》 Ripeté.
Lei non parlò subito, rimase in silenzio per qualche secondo. Wakatoshi sussultò lievemente quando si sentì sfiorare il dito anulare della mano sinistra.
Abbassò lo sguardo e vide l'indice di Tooru, con l'affilata unghia dipinta di rosso, ossuto e aggraziato, toccarlo appena. Era la prima volta che succedeva in tre anni.
《 Non sei sposato? 》 Gli chiese.
Wakatoshi si voltò a guardarla, sorpreso.
Lei si era rannicchiata sulla panchina, portandosi le ginocchia nude al petto.
Sembrava molto più sobria, tranquilla.
Era strano per lui, che non lo stesse aggredendo o insultando o contestando per qualsiasi cosa. Tooru allontanò il dito.
《 Lo sono stato 》Le disse.
Non ne parlava mai molto. A meno che non glielo chiedessero tanto direttamente.
《 E ora non lo sei più? 》
《 No. Ho divorziato due anni fa. Non ho più contatti con la mia ex moglie 》
Tooru fece silenzio a quel punto, posando il mento sulle ginocchia e osservando il parapetto che avevano davanti.
《 Avete figli? 》 Chiese dopo un po'.
Wakatoshi guardò il parapetto a sua volta.
Si domandò quanto fosse doloroso cadere da quella altezza, e quanto veloce sarebbe stato morire.
《 No 》Rispose, ed era una verità, dopotutto.
Non ne avevano in quel momento.
Tooru si toccò la punta delle scarpe con le dita, le vene ben visibili sul dorso delle mani.
《 Ho sempre voluto farti tutte queste domande. Hai vissuto tredici anni più di me e mi sei sempre sembrato distante anni luce 》
Tornò a guardarlo, con uno sguardo più lucido, tanto che Wakatoshi si domandò se non stesse parlando di nuovo con una persona sobria, che avrebbe ricordato tutto l'indomani mattina.
《 Voglio odiarti perché mi sento attratta da te. Buffo eh? Non ti sopporto, eppure ... 》 Rise, nascondendo la fronte sulle ginocchia.
《 Almeno non sei più sposato. Mi sentirei orribile altrimenti 》
Wakatoshi agì per istinto, senza riflettere.
Allungò una mano e le accarezzò una ciocca di capelli, come avrebbe sempre voluto fare dal primo giorno che l'aveva vista. Era sposato all'epoca.
Era ancora sposato e voleva già un'altra donna. Voleva scappare da sua moglie e da quel dito che continuava a puntargli contro.
Tooru non gliel'aveva chiesto, quindi non doveva dirglielo, né saperlo.
La accarezzò e Tooru sollevò lo sguardo.
《 Sei davvero bello 》Ridacchiò come una bambina, segno che ancora non era del tutto libera dagli effetti della vodka al caramello.
《 Tu sei bellissima 》 Gli disse.
La sua mano scese dai capelli al volto, sfiorandola lievemente e con cautela.
Non era professionale quello che stavano facendo, senza voler contare gli anni di differenza e l'esperienza di vita che li separava.
《 So che mi vuoi, Wakatoshi 》
Disse lei mentre lui prendeva a passarle un pollice sulle labbra dipinte di rosso.
Il rossetto si sbavò lievemente sotto il labbro inferiore.
《 Sono il tuo superiore 》
Sapeva che quelle parole non avrebbero fermato nessuno dei due.
Il pollice scese sul mento, poi oltre.
Tooru fu testarda, come sempre, gli prese il viso tra le mani e lo baciò con foga, slanciandosi in avanti e mettendosi seduta a cavalcioni su di lui.
Sapeva di dolce e profumava di buono, ed era inebriante.
Non stava con una donna da anni.
Senza riflettere, fece scorrere le mani lungo i suoi polpacci e su fino alle cosce, facendo passare le dita sotto la gonna di pelle, sulla carne morbida e calda.
I loro respiri si fecero più pesanti.
《 Andremo a casa mia 》
Mormorò lui, muovendo il pollice nella parte interna della sua coscia, lei annuì, respirando affannosamente sulle sue labbra.
《 Spero tu abbia due caschi 》

 
☆☆☆


Tooru era andata via prima che lui si svegliasse.
Ma ci aveva riflettuto bene, seduta sul bordo del letto sfatto con i vestiti della sera prima addosso, gli stivaletti in mano e un martellante mal di testa.
Ci aveva riflettuto mentre lo osservava dormire a pancia in giù, la schiena allenata in bella vista e il lenzuolo che gli copriva appena la curva delle natiche.
Era ubriaca, ma ricordava ogni cosa di quella notte e della sera precedente, di quello che gli aveva detto. Nient'altro che la verità.
Ci aveva riflettuto mentre osservava quell'ambiente asettico ed estraneo, che non diceva niente di lui o della persona che era.
Ci aveva riflettuto anche mentre si domandava se quello fosse l'appartamento dove aveva vissuto con la sua ex moglie.
Ma alla fine era andata via prima che lui si svegliasse. Era scappata, come una codarda.
Non andava a letto con un uomo da Hajime, da quando a un mese prima del matrimonio aveva scoperto che lui la tradiva.
Farsi toccare da un altro non era una cosa familiare o a cui era abituata, era stata con Hajime da quando aveva quattordici anni fino ai venticinque e conosceva solo quello.
Wakatoshi era entrato nella sua vita proprio quando quella con Hajime era finita.
E non riusciva ad ammettere che sotto tutto l'astio e le lagne e la guerra che aveva combattuto contro di lui ci fosse quello.
Lo detestava, nel profondo, eppure voleva conoscere tutto di lui e voleva stargli vicino.
Ed era andata via come una codarda infima.
Tooru non lo vide quella mattina, sapeva che aveva l'operazione del bambino, Hikaru - quella per cui si era infuriata, ma che ora era felice di evitare. Durò sette ore.
Un tempo sufficiente perché lei potesse ritrovare il coraggio che aveva perso.
Raggiunse il corridoio della sala operatoria e si fermò sulla soglia, sgomenta.
Non poteva sentire quello che Satori e Wakatoshi stavano dicendo al padre e alla madre del bambino, ma piangevano entrambi disperatamente e lei -
Lei sentì un groppo in gola, una stretta ferrea.
Rimase impietrita sulla soglia anche quando lo vide voltarsi nella sua direzione e rivolgerle uno sguardo freddo e privo di emozioni.
Un bambino di nove anni era appena morto sotto i ferri e lui -
Le passò accanto senza fermarsi e Tooru strinse un pugno, ricacciando indietro le lacrime. Poi decise di seguirlo.
Stava buttando i guanti, la cuffietta e la mascherina nella pattumiera quando lo raggiunse. Indossava ancora il camice da sala operatoria sporco di sangue fresco.
《 Che cosa è successo? 》
La voce le uscì incrinata e spezzata.
Wakatoshi aprì il rubinetto dell'acqua e lo scroscio arrivò rumoroso e potente.
Cominciò a sfregarsi le mani con foga.
《 Quello che temevo 》 Fu la sua replica sbrigativa, mentre scuoteva le mani nel lavandino come un cane bagnato.
《 E non - non provi niente a riguardo? 》
Perché lei stava per soffocare, lì, in quel momento preciso.
Wakatoshi asciugò le mani su un panno pulito e poi lo gettò nel cesto della biancheria.
《 Non è la prima volta che mi capita 》
Si guardarono, per la prima volta dopo la sera precedente. Proprio in quel momento arrivò Satori, aveva un'espressione greve.
《 Wakatoshi, devi - 》
《 È morto un bambino di nove anni e tu l'hai detto ai suoi genitori con quella faccia?! Ma cosa c'è in te che non va?! 》
Tooru esplose e non riuscì a trattenere le lacrime, si portò una mano alla gola.
Era affezionata a quel bambino. Poi successe qualcosa di inaspettato.
《 Questo è il cazzo di motivo per cui ti ho detto di essere professionale 》
Wakatoshi alzò la voce e tirò un pugno contro la parete. Un pugno. Con quelle mani che erano la sua carriera e la sua vita. Tooru sgranò gli occhi, smettendo subito di piangere. La mano ancora stretta attorno alla gola.
《 Questa cosa non va, Tooru. Dovremo rivedere delle cose. Forse sarebbe meglio che sia Satori a prenderti come tirocinante 》
《 No, ehi. Io non prendo tirocinanti 》
Ma Tooru non stava ascoltando quello che diceva Satori, si era fermata alle parole precedenti. Wakatoshi se ne stava lavando le mani perché erano andati a letto insieme.
Era appena morto un bambino e lui pensava a come sbarazzarsi di lei, mentre dei genitori piangevano lacrime amare. Lei poteva pure non saper controllare le proprie emozioni - al posto suo sarebbe crollata, ma lui era -
《 - un pezzo di merda. Sei un pezzo di merda. Sei un mostro 》
Ci fu silenzio. Pesante. Atroce.
《 Non sono stato io ad andare via 》
Fu l'unico commento di Wakatoshi, che la lasciò senza fiato, prima che se ne andasse.
Tooru ci mise qualche secondo, poi fece per seguirlo ancora una volta, agguerrita.
Voleva dirgli che non poteva liberarsi di lei in quel modo, quando Satori la afferrò per il braccio con una stretta ferrea.
Lei lo guardò, sconvolta.
《 Non andargli dietro adesso. Non è dell'umore giusto 》
Tooru si bloccò. Rimase ferma dov'era.
《 Vieni con me. Dobbiamo parlare 》

 
☆☆☆



Seduta sulla tazza di un gabinetto lurido, Tooru fissava lo schermo del cellulare.
Non sapeva più che cosa pensare.
Solo che era stata una stupida e una sciocca.
Wakatoshi aveva avuto un figlio, dopotutto.
Ma lo aveva perso all'età di quattro anni per un medulloblastoma degenerato, e quello era motivo per cui aveva risposto di no alla sua domanda.
Non era riuscito a salvarlo, e con lui nemmeno il suo matrimonio.
Sua moglie lo aveva incolpato della morte del figlio per un anno intero, e poi era finita.
Tooru non sapeva niente di lui.
Non osava nemmeno immaginare che cosa dovesse aver provato lui e lei ...
Lei lo aveva accusato di essere un mostro, di essere freddo e cattivo.
Non è stato razionale quando si è trattato di suo figlio, Tooru. Non era ancora primario quando è successo. Come te, anche se non sembra, era empatico con i suoi pazienti. In maniera diversa, certo, ma lo era. E soffriva. Ha imparato una lezione
Le parole di Satori le risuonano in testa e chiuse gli occhi, appoggiando la nuca contro le piastrelle fredde del bagno.
Non vuole lo stesso per te. Non vuole che tu soffra come hai fatto oggi, per questo ti rimprovera sempre. Apri gli occhi, principessa. Perché siete andati troppo oltre, ormai
Tooru si domandò quanto dovesse aver sofferto in silenzio per la sorte di Hikaru, così simile a quella di suo figlio.
Forse aveva rivissuto un incubo, e lei nemmeno se ne era resa conto.
Lo aveva accusato in quel modo, remandogli contro. Si detestava in quel momento.
Infine schiacciò il pulsante di chiamata e portò il cellulare all'orecchio.
Squillò un paio di volte prima che la voce familiare rispondesse.
《 Ehi, Hajime 》 Tooru si schiarì la gola.
Ci fu silenzio dall'altra parte, per qualche secondo appena.
《 Tooru 》 La voce gli era cosi familiare che si ritrovò a sorridere.
Non si parlavano da due anni, e l'ultima volta che lo avevano fatto lei gli aveva detto delle cose terribili. Erano stati mesi difficili, quelli.
Il cambio di appartamento, abituarsi ad una nuova quotidianità, all'idea del matrimonio saltato, a quel tradimento. Se ripensava a quei tempi - aveva appena cominciato il tirocinio - si sentiva come se fossero appartenuti ad un'altra persona.
A ripensarci, era stato anche il periodo in cui Wakatoshi era entrato nella sua vita.
《 Ciao 》 Lo salutò, con voce calda.
Hajime le era mancato terribilmente dopo la separazione, e non solo perché erano stati insieme più di dieci anni. Lui era il suo migliore amico prima che si fidanzassero, e le era mancata soprattutto la sua compagnia. Allontanarsi era stato necessario - con anche le loro famiglie di mezzo, come quando suo cognato era andato sotto casa sua e lo aveva fatto una schifezza - ma la ferita era guarita.
《 Ehi ... ciao. C-come stai? 》 Chiese lui.
Aveva la solita voce roca e burbera, ma vi era affetto. Si erano sicuramente amati in passato. Poi quell'amore era mutato.
《 Bene. Più o meno. Tu? 》
《 Sto bene. Mi - mi sono sposato 》
Tooru si morse il labbro inferiore.
Sentì il bisogno di correre da Wakatoshi.
《 Sono contenta per te 》Disse, ed era sincera. Hajime doveva aver sposato la ragazza con cui l'aveva tradita, perché ormai la cosa andava avanti già da un anno quando lei lo aveva scoperto. Forse avrebbe dovuto restarci male, provare qualcosa, ma era acqua passata sotto i ponti da un pezzo.
《 Tooru, va davvero tutto bene? 》
E fu sorprendente come la minima insistenza di Hajime fece crollare la sua facciata.
Si posò una mano sugli occhi.
《 Posso farti una domanda? 》 Qualche istante di silenzio, poi Hajime le diede l'okay.
《 Perché mi hai tradita? 》
Le piastrelle dietro la nuca erano fredde.
《 Non te l'ho chiesto due anni fa 》
Ci fu ancora del silenzio, poi un sospiro.
Forse per Hajime non era facile rispondere, forse pensava che fosse ancora aggrappata a lui e a quella brusca separazione.
《 Tu non c'eri mai, Tooru. Pensavi solo a te stessa. Il tirocinio, la carriera. Le tue idee. Sei una persona ambiziosa, molto più di quanto non lo fossi io 》 Hajime trasse un respiro dopo qualche altro istante di silenzio 《 Mi sentivo in secondo piano, per te. Non c'eri mai per organizzare il matrimonio, venivano sempre prima i tuoi problemi. Io volevo solo essere il centro per te, non il margine. Volevo avere più attenzioni, detto in maniera brutta 》
《 E le hai trovate in lei 》 Concluse Tooru.
Hajime non rispose, perché era chiaro. Le aveva già detto che si era sentito un verme quando l'aveva tradita la prima volta e non era finita subito, eppure non aveva smesso.
In sintesi, lei era stata egoista, egocentrica.
《 Non sono cambiata molto 》
Gli disse, asciugandosi le lacrime da sotto gli occhi, erano scese senza fare rumore.
《 Hai incontrato qualcuno 》 Capì Hajime.
Tooru fece spallucce, anche se lui non poteva vederla.
《 Si, ma tanto ho già mandato tutto a puttane. Come sempre 》 Rise di sé stessa.
La situazione era così complicata.
《 Potresti sempre non arrenderti, Tooru. Con me lo hai fatto molto facilmente 》
Non se ne era resa conto. Forse era proprio quello che Hajime le recriminava davvero.
Lei non aveva combattuto per riaverlo.
Al contrario, era stato facile lasciarlo andare.
《 Se lui è quello davvero ... giusto. Allora non lasciar perdere in questo modo 》
《 Non so cosa lui sia per me, ma - ma il pensiero che ce l'abbia con me non mi fa respirare, Hajime 》
E lo realizzò proprio mentre lo diceva.
《 Allora che cosa aspetti, Tooru? 》

 
☆☆☆


Il tetto dell'ospedale era il suo posto preferito.
E quando lo raggiunse, Tooru non pensava che ci avrebbe trovato proprio lui.
Lo aveva cercato, ma senza successo.
Allora era andata fin lassù per schiarirsi le idee. E le sue idee erano lì, sedute a terra accanto alla parete delle scale antincendio.
Wakatoshi aveva le ginocchia tirate al petto, le braccia posate su queste ultime, la testa inclinata all'indietro mentre osservava il cielo.
Sembrava stanco e chissà a che cosa pensava. Tooru provò un moto familiare nel cuore, e nel momento esatto in cui lo vide, capì. Si strinse nelle spalle - tirava vento là sopra - e lo raggiunse, mettendosi seduta accanto a lui tirando le ginocchia al petto.
Doveva averla vista o sentita arrivare.
《 Ci vorrebbe una sigaretta 》
Fu lui il primo a parlare, e la sua voce calda e profonda le fece venire un brivido.
《 Fumi? 》 Domandò, curiosa. Lui fece spallucce, continuando a osservare il cielo.
《 No, solo ogni tanto 》 Quando era stressato, insomma. E in quel momento forse lo era, la giornata non era cominciata nel modo migliore possibile.
E lei ci si era messa di mezzo.
《 Non sei un mostro, Wakatoshi 》
Era la prima cosa che voleva dirgli, perché era la prima cosa di cui si era pentita.
《 Sei una persona molto forte, invece. Sei coraggioso. Sei paziente e sei sincero. E anche bello, se devo dirti tutto. Insomma, non puoi biasimarmi se ti sto addosso! 》
Gli diede un leggero colpetto con il ginocchio mentre confessava quelle cose e sentiva il suo sguardo addosso.
《 Tooru, noi - 》
《 Lo so. È una situazione difficile. Ma sarei pronta ad affrontare tutte le voci che gireranno. E sono pronta anche a dirti che farò la brava e ti ... ascolterò ... ogni tanto 》
Tooru lo sbirciò di sottecchi e vide l'accenno di un sorriso sulle sue labbra così statiche.
Wakatoshi le diede un colpetto di ricambio con il proprio ginocchio e Tooru si fece vicina. A quel punto lui le passò un braccio attorno alla spalla, scaldandola subito.
《 Solo ogni tanto 》 Commentò, pensieroso.
《 Beh, si. Dovrò farlo se voglio superarti 》
《 Ma non smettere di chiamarmi Imperatore tiranno, mi piace 》 Acconsentì lui.
Tooru rise e si accoccolò meglio contro il suo petto, perché aveva freddo.
《 Tooru, io non sono - 》
《 Facciamo le cose con calma, Wakatoshi 》
Lo interruppe, sapendo quello che stava per dirle. Per una volta non voleva essere egoista.
Voleva pensare a lui. Pensava già a lui.
E ora capiva molto bene Hajime.
《 Usciamo insieme, ogni tanto. Voglio imparare tutto, di te. Voglio scoprire come bevi il caffè, cosa ti piace mangiare e cosa no. Voglio andare a fare molte gite insieme, nel tempo libero. E tra qualche tempo andare a vivere insieme. Voglio presentarti la mia famiglia e conoscere la tua. E poi sposarti su una spiaggia, un giorno. E poi magari avere un figlio, o due. E non sarà facile e non sarà nemmeno difficile. Vorrei fare tutte queste cose, con te, prima o poi 》 E non vedeva l'ora che quel futuro si avverasse, anche se il tempo non era esattamente dalla loro parte.
《 So che tu ci sei già passato 》 Mormorò.
Wakatoshi non disse niente, forse aveva già sospettato che Satori aveva vuotato il sacco.
《 E un giorno forse me ne parlerai. Ma ... ti sto chiedendo se ti va di provare di nuovo. Con me 》
Lui guardò il cielo ancora una volta.
《 Non vedo l'ora 》 Commentò.

 
And I would have stayed up
with you all night
Had I known how to save a life


( How to save a life - The Fray )



 

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Capitolo 6
*** 6. Golden Hour ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”
Prompt: Royalty
N° parole: 3859
Note: Attenzione, attenzione! Qui abbiamo un Fem!Ushijima. Non ne ero molto convinta all’inizio, ma alla fine mi sono fatta convincere da una mia amica ( si, è colpa tua, prenditi le tue responsabilità ) a tentare … E siccome questa raccolta nasce anche per sperimentare, mi sono detta, perché no? Perchè non fare uno switch, ogni tanto? Ecco perché è nata Ushio. Potrete capire che ho dovuto cambiargli nome a forza di cose. Tooru è un nome anche femminile, ma Wakatoshi no … ho scelto Ushio perché si avvicinava ad Ushijima nell’assonanza. Detto questo, buona lettura!






 
Golden Hour
 

We were just two lovers
Feet up on the dash, driving nowhere fast
Burning through the summer




《 Non mi sembra una buona idea, Tooru 》
Ushio bisbigliava, nascosta come lui dietro gli alberi dalle chiome rigogliose.
Era accovacciata al suo fianco, vicina.
《 A me sembra un'ottima idea, invece 》Tooru pronunciò quelle parole con il fiatone.
Era riuscito a spostare il piedistallo di marmo - che aveva ospitato una brutta statua di bronzo da giardino - accanto alla cinta muraria che delimitava il palazzo reale, di modo che potessero scavalcare facilmente.
《 Ecco fatto 》Mormorò, tirandosi in piedi ma restando basso, nascosto dalle siepi.
Si sistemò un cappello scuro sui capelli arricciati e infilò lo zaino in spalle.
Era carico di entusiasmo all'idea di quella fuga da palazzo, a differenza di sua moglie.
Lei sembrava per lo più contraria e indifferente. Nulla di nuovo.
《 Coraggio 》 La incitò, indicando il piedistallo su cui sarebbe dovuta salire.
Ushio lo guardò senza espressione alcuna.
《 Tooru, devo dirti una cosa. Non posso - 》
《 Ti aiuto io, principessa 》
Le prese una mano e la tirò verso il piedistallo. Ushio smise di parlare, o cercare di farlo. Ma quando Tooru si avvicinò per aiutarla, ignorò la sua mano tesa e si arrampicò con agilità, mettendosi seduta sul muretto con le gambe gettate dall'altro lato.
Tooru cercò di soffocare l'irritazione.
《 Come non detto 》 Mormorò, arrampicandosi a sua volta con facilità.
Si mise seduto a cavalcioni, proprio di fronte a lei, che lo scrutava con quegli occhi grigi inespressivi.


Quando l'aveva incontrata di persona per la prima volta, Tooru l'aveva trovata ... brutta.
Esattamente come appariva in televisione o nei giornali scandalistici che leggevano sua madre e sua sorella, dove uscivano tutte le notizie più succulente sulla famiglia reale.
Negli altri stati le principesse erano belle. Erano sorridenti. Femminili e aggraziate.
Lui si era ritrovato davanti una stangona di 189,5 centimetri - lui era altro 184, 3 - con un fisico di acciaio, la tartaruga e nessunissima espressione facciale su un volto anonimo.
Probabile, inoltre, che la sua cattiva impressione fosse stata alimentata dal fatto che il loro era un matrimonio combinato. Tooru non aveva origini nobili.
Era un cittadino qualunque, prima di sposare lei e diventare principe consorte.
Quando andava all'università, e si lamentava con gli amici di quanto fosse poco attraente la loro principessa rispetto a quelle degli altri paesi, mai avrebbe pensato di diventare suo marito. Ma suo padre - che faceva il giardiniere presso la residenza dei reali - aveva salvato la vita del Re accidentalmente, domando il suo cavallo imbizzarrito.
E quello era stato il premio che aveva concesso alla famiglia dell'uomo che gli aveva salvato la vita: la sua unica figlia ed erede al trono. Come se fosse un oggetto.
Ushio sarebbe stata destinata ad un principe, o un duca, se non fosse stato per quel cavallo. E Tooru, di parte, non avrebbe perso la libertà.
La sua famiglia, d'altra parte, ne aveva guadagnato titoli, una casa da sogno e soldi.
《 Come scendiamo dall'altra parte? 》
Ushio si sporse leggermente oltre il bordo per sbirciare la strada sottostante.
Tooru osservò i muscoli del suo addome contrarsi sotto la canotta attillata che indossava, il reggiseno color carne spuntare oltre il bordo della scollatura.
Si erano vestiti in modo anonimo, come avrebbero potuto fare due giovani qualsiasi.
Ushio aveva legato i lunghi capelli color nocciola in una coda di cavallo alta, che aveva poi infilato nello spazio libero del cappello. Jeans attillati, canotta, una camicia a boscaiolo stretta in vita, gli scarponi, e non aveva più niente della principessa.


Ci erano voluti anni perché andassero d'accordo, perché cominciassero a capirsi.
Ushio non parlava molto, tanto meno quando lui usciva fuori di testa, i primi tempi, del tutto inadatto a quella vita soffocante.
Ogni suo passo era controllato, ogni mossa, ogni parola che gli usciva di bocca.
Le guardie reali addosso, non poter andare dove voleva, non vedere i propri amici, le responsabilità e i sogni infranti. Tutto il suo futuro cancellato.
Tooru aveva odiato suo padre ingiustamente e se l'era presa con sua moglie in modo feroce. Ci aveva messo anni per rendersi conto che lei era una vittima di tutta quella storia, proprio come lui. Ushio era destinata a sposarsi senza amore fin dal primo momento, a non avere amici, a non avere privacy e nemmeno a mostrare emozioni.
Un automa, ecco cosa era.
E quel matrimonio non avrebbero potuto rifiutarlo ad ogni modo, anche se lui ci aveva provato. Arrivava dall'alto, non era stato programmato, ma aveva rappresentato ugualmente una propaganda politica. Il popolano innamorato della principessa.
Una storia d'amore struggente, conclusasi con il lieto fine, che i migliori inventori di gossip della corte avevano costruito ad arte, vincendo la simpatia del popolo ed escogitando un altro modo subdolo per entrare nelle loro tasche senza che se ne lamentassero. Tasse pagate per mantenere la famiglia reale, che li ripagava mettendo la propria vita in bella vista come in una vetrina.
《 Dovrebbe esserci una panchina dall'altro lato, proprio in questo punto preciso 》
La istruì, Ushio guardò sotto per verificare la veridicità di quelle parole, poi tornò a concentrarsi su di lui.
《 Come lo sapevi? 》 Gli chiese, atona.
Non sembrava realmente interessata, anche se lo era. Tooru fece spallucce, divertito.
《 Passavo sempre da questa strada quando andavo all'università 》
Ed era un bravo mappatore di città. Scesero dall'altra parte agilmente.
Tooru si guardò attorno, attento che non ci fossero paparazzi in giro.
Ci mancava solo un articolo sulla loro fuga da palazzo ad una settimana dai festeggiamenti del loro sesto anniversario di matrimonio.
I giornali scandalistici erano un'altra cosa con cui aveva dovuto imparare a convivere.
Nonostante tutte le belle bugie sul loro grande amore impossibile, che aveva vinto conto la differenza di ceto sociale senza sfociare in una tragedia come quella di Romeo e Giulietta, la verità era che loro non si amavano. Per niente.
E non tutti erano abbastanza ciechi da non notarlo.
Gli occhi erano tutti su di loro e alcuni erano più attenti di altri.
Soprattutto quelli delle testate giornalistiche che non strizzavano gli occhi alla corona.
Tooru ancora ricordava alcuni titoli di articoli che avevano mandato in subbuglio la corte e i suoi impiegati: - Frottole a corte: quello dei due giovani reali è in realtà un matrimonio combinato?
- Il principe di ghiaccio: attrito con la principessa in pubblico!
- La nostra principessa è finalmente in dolce attesa?
- Aria di divorzio? La coppia reale passa le vacanze in residenze separate!
- La Principessa non ne può più!
- Ancora nessun erede per la coppia reale!;
- Shock a corte: il principe tradisce la principessa! Grande amore: tutta una farsa!
L'ultimo articolo della lista - Tooru l'aveva classificata nella sua testa in quell'ordine - diceva la verità. La foto sgranata e sfocata che avevano scattato era vera.
Era scoppiato un vero e proprio putiferio quella volta. Il bacio era avvenuto durante un viaggio in visita presso la corte di un altro stato. Ushio era indisposta quella sera e Tooru era andato senza di lei alla festa di compleanno del secondo erede al trono.
Non andava a letto con una donna dal giorno in cui era entrato a palazzo per il suo "addestramento" a diventare principe e quella donna era lì, davanti a lui, provocante.
I paparazzi li avevano colti sul fatto attraverso le vetrate piene di tende, la foto era venuta male, difficile poter affermare con certezza che l'uomo nella foto fosse lui.
Era in quel modo che se l'erano cavata. Con un comunicato stampa che smentiva tutto e una denuncia per diffamazione alla testata giornalistica, che aveva chiuso i battenti.
La cosa peggiore di quella storia non era stato tanto l'insabbiamento meticoloso della faccenda, ma il modo in cui il Re, la Regina Consorte e la Regina Madre gli avessero raccomandato di essere più discreto, e non di non tradire mai più sua moglie.
Tooru non aveva avuto nemmeno un rimprovero da parte loro per quello, per aver mancato di rispetto alla figlia, alla donna e alla nipote.
Solo perché aveva messo in cattiva luce la reputazione della casata reale.
Quella storia aveva cambiato il suo rapporto con Ushio per sempre.
Erano sposati da tre anni quando era successo, e Tooru non l'aveva mai vista tanto vivace prima di allora.
Era arrivata da lui stringendo quel giornale stropicciato tra le mani, aveva mandato via tutti con una tale autorità da non sembrare nemmeno la donna che conosceva, poi aveva steso il foglio su un tavolo, dritto sotto il suo naso, indicando la foto con l'unghia smaltata di bianco latte.
《 Io sono tua moglie 》Aveva detto con quella voce profonda e sgraziata; gli occhi bellissimi e di solito inespressivi, erano infuocati.
Tooru l'aveva trovata meravigliosa in quel momento, nonostante la tragicità della situazione. E quel pensiero la aveva colpito, perché era sposato con quella donna da tre anni, ma non l'aveva mai trovata bella prima di vederla esprime una qualche forma di emozione, sebbene accennata. Ushio aveva perso la compostezza.
Se proprio devi farlo, almeno si abbastanza furbo da non farti fotografare
Gli aveva detto, stringendo lungo il fianco il pugno della mano con cui aveva indicato la foto sfocata. Unico segno di rabbia.
Come i suoi genitori e sua nonna, anche lei dava per scontato che gli fosse concesso fare una cosa simile, e che lei avrebbe dovuto accettarlo senza obiettare.
D'altronde, loro non andavano a letto insieme.
Tooru non faceva visita a sua moglie nelle sue stanze, mai.
La prima notte di nozze le aveva detto che non poteva toccarla, perché provava disgusto e repulsione al pensiero. Poi una sera, in cui era scappato da palazzo per vedere degli amici, e si era ubriacato, Ushio lo aveva coperto nonostante non fosse al corrente dei suoi piani e lui, in cambio, le aveva messo le mani a dosso.
L'aveva stretta da dietro - nonostante lei fosse più alta - abbassandole le bretelle dell'orrida camicia da notte che indossava, poi le aveva toccato i seni come se lo avesse già fatto. Ushio non si era ribellata a quel vile attacco.
Ma aveva tremato appena e a Tooru era bastato per allontanarsi e dare la colpa delle sue azioni all'alcol e al fatto che volesse scoparsela solo perché era in astinenza da mesi.
Alla fine, se le avesse messo un cuscino in faccia e ignorato i muscoli di acciaio dell'addome e delle braccia, allora sarebbe stata uguale a qualsiasi donna.
Non ci aveva mai più riprovato. Disgustato da se stesso. Dai suoi pensieri.
Aveva passato i due anni successivi a convincersi di non volerla toccare, a farla sentire una schifezza e renderle la vita un vero e proprio inferno quando poteva.
Poi era successo quello: il tradimento.
Ushio lo aveva guardato negli occhi quando aveva detto: 《 E sappi che da adesso mi sentirò autorizzata a fare lo stesso
Tooru era orgoglioso e non ci aveva visto più.
Il pensiero che lei potesse tradirlo, magari con quel duca, quel Satori Tendou a cui era promessa prima di lui, e che aveva guardato con nostalgia durante una mostra d'arte per beneficenza - mostrando per la prima volta un barlume di emozioni vere - lo infastidiva.
Ed era ipocrita, ma non gli importava.
Per Ushio la conversazione era finita lì, ma quando si era voltata per dargli le spalle e andare via Tooru l'aveva afferrata per il polso con violenza, strattonandola.
Ushio pesava ed era di acciaio, lo guardava dall'alto perché era più alta, eppure sgranò lievemente gli occhi al suo gesto avventato.
Non si toccavano spesso, solo in pubblico qualche volta, per alimentare la farsa.
Tu non sei una moglie
Era sua indole usare le parole come armi.
Studiare la situazione nei minimi dettagli e usare ogni piega e angolo o difetto a proprio vantaggio. Quella volta non fece nulla di diverso da quello che faceva sempre.
Ushio tentò di indietreggiare. Tooru la assecondò, spingendola all'indietro.
Non per davvero. Lo sei solo sulla carta 》Il loro matrimonio non era mai stato consumato, e quello era peggio di qualsiasi altra cosa avessero mai potuto fare alle spalle della famiglia reale e del popolo che servivano.
Una moglie accoglierebbe il marito nel proprio letto
Ushio era indietreggiata fino a sbattere contro una scrivania con il fondo schiena, si era guardata indietro un solo istante, per istinto, e Tooru l'aveva spinta a sedere sul legno, infilandosi nello spazio delle sue cosce.
In quel modo era sovrastata da lui e poteva fissarla dall'altro in basso.
Ushio aveva sostenuto il suo sguardo.
Tu mi trovi brutta 》 Gli aveva detto, con una tale naturalezza che Tooru ne era rimasto spiazzato, in principio senza parole.
La vergogna aveva poi divampato dentro di lui, rendendolo feroce e incattivito.
Brutta, sgraziata, inespressiva e sottomessa!
Aveva aggiunto con ferocia, afferrandole la mascella con la mano.
Ushio aveva retto il suo sguardo senza nemmeno trasalire. Irritandolo.
Tooru si era avvicinato alle sue labbra sottili, prive di trucco, profumava di borotalco.
Ma questo non mi impedisce di desiderare di sbatterti su questa scrivania in questo preciso istante 》 Aveva mormorato contro ogni buon senso contro di lei.
E si era aspettato uno schiaffo, una spinta all'indietro, una presa in giro quanto meno. Ushio invece gli aveva avvolto le gambe lunghe e toniche attorno ai fianchi - Tooru le adorava, e quella era stata una delle rare volte in cui le aveva viste da quando si erano sposati, perché gliele coprivano sempre - e se lo era attirato contro, petto contro petto.
Non ti ho mai detto di non farlo 》 Ed era un dato di fatto.
Anche la prima notte di nozze non era stata lei a tirarsi indietro.
Lui aveva fatto lo stronzo.
Tremavi 》Le aveva detto allora, solo per avere un briciolo di ragione in quella storia.
Una scusa per giustificare la sua incoerenza. Il suo orgoglio.
Perché mi piaceva, ma non lo avevo mai fatto prima
E la serietà con cui venne offerta quella confessione lo annientò.
Volevo che mi toccassi, ma poi hai smesso. Sapevo che era colpa mia, del mio aspetto, e inoltre eri ubriaco 》 Ushio credeva che l'avesse toccata solo perché era ubriaco e Tooru stesso si era auto convinto che fosse esattamente così.
Aveva mandato quella bugia a puttane avventandosi sulle sue labbra.
Del tradimento non avevano mai più parlato.
Ed era cominciata così tra loro, con il sesso, che poi era diventato abitudine, complicità nella vita di tutti i giorni, serenità e infine ... amore. Ci avevano messo quattro anni per quello, perché la storia che avevano costruito su di loro diventasse reale.


《 Dove andiamo adesso? 》
Tornato al presente, Tooru si riscosse e sorrise, prendendo la moglie per mano.
Ushio osservò i loro arti uniti e poi sollevò subito lo sguardo su di lui.
Ricambiò la stretta con forza.
《 Vedrai 》Le rispose, con gli occhi che brillavano alla prospettiva.
La macchina - una decappottabile degli anni '60 - era parcheggiata esattamente dove Tooru aveva chiesto ad Hajime di lasciarla. Era bianca e lucida, invitante.
La aggirò sfiorandole il fianco con le dita di una mano, un sorriso raggiante sul volto.
《 Non è meravigliosa? 》 Guardò Ushio con aspettativa, lei era impassibile come al solito, ma non si fece ingannare.
Gli zigomi sporgenti erano arrossati, segno di una forte emozione.
Con il tempo aveva imparato leggerla, il più delle volte.
《 Dove andiamo? 》 Chiese di nuovo lei.
Tooru saltò nel posto del guidatore con agilità e si sporse per aprirle lo sportello, la chiave era nascosta sotto il tappetino. La prese mentre lei si accomodava.
Il tettuccio era già abbassato.
《 Ovunque tu voglia, principessa. Questo è il mio regalo di anniversario 》
Le sorrise radioso e un po' infantile, selvaggio.
Gli occhi di Ushio si tinsero di affetto.
E Tooru provò uno strano moto di orgoglio.


◇◇◇


Ushio amava sentire il vento sul volto.
Era un'esperienza nuova per lei, quella libertà.
Sfrecciare lungo la strada sotto un cielo sereno, senza preoccuparsi di nulla.
Della postura, delle parole che usava, del modo in cui mangiava e dei paparazzi.
Siamo solo due adulti di trent'anni a fare una gita per il loro anniversario, tutto qui
Le aveva detto Tooru prima che intraprendessero quella follia.
Voleva che Ushio conoscesse il mondo come lo aveva vissuto lui prima che si sposassero.
Da persona libera e comune.
Ushio amava quell'uomo. Lo aveva amato dal primo istante in cui lo aveva visto.
Bellissimo, intelligente e determinato. Evidentemente schiacciato da lei e da ciò che rappresentava nella sua vita: una moglie potente, poco attraente e deludente.
Una catena attorno ai polsi. Ushio aveva sopportato in silenzio perché sapeva.
Sapeva di non essere bella come le altre principesse - le piaceva allenarsi, correre la mattina presto, sudare e bruciare nella fatica di un allenamento estenuante, di non essere divertente o spiritosa, come le ricordava spesso sua madre.
Di non essere attraente né di buona compagnia.
Con uno come Tooru, tanto espansivo, intelligente e ben voluto, lei appariva scialba, come una macchia sullo sfondo di una tela: visibile e fastidiosa.
La loro prima notte di nozze, quando lui le aveva detto di non volerla toccare perché gli veniva la nausea al pensiero, Ushio aveva accettato senza fiatare.
Voleva che lui credesse di non averla ferita.
Non piangeva mai, ma quella notte lo aveva fatto. E poi aveva mentito a tutti, ripetendosi che lo faceva solo per preservare entrambi da discorsi e insistenze, e non perché non poteva sopportare la vergogna che provava verso se stessa: si era punta il dito con un ago e aveva macchiato il letto, ed era andata a dormire con i capelli sciolti e senza camicia da notte. Aveva creato una bella scena. Almeno era servita.
Ushio aveva sopportato per amore, e mai avrebbe creduto che sarebbe potuto diventare reale anche per lei. Non aveva fatto niente perché lo fosse.
Tooru guidava con spensieratezza, felice.
Il suo cuore si sentiva in pace nel guardarlo, non lo vedeva mai tanto rilassato a corte, se non solo a letto, nell'intimità di un abbraccio.
Ushio non glielo avrebbe mai detto, era troppo entusiasta per rovinargli l’umore, ma per lei era già un regalo poterlo osservare mentre si godeva quello sprazzo di libertà che non aveva più a causa sua. Vederlo ridere la rendeva felice.


Raggiunsero la città natale di Tooru.
Seijoh era un paesino di montagna, a mezz'ora di distanza dalla capitale Shiratorizawa. Non si trovava troppo in alto, ma d'inverno nevicava ed era bellissimo.
Ushio la conosceva per sentito dire. Non ci era mai stata prima.
Non poteva visitare liberamente il regno che avrebbe un giorno governato, anche se solo di facciata. Tooru la portò ovunque. Sembrava un bambino entusiasta.
La portò a vedere la scuola dove aveva studiato, i luoghi che aveva frequentato da bambino, la sua casa - non entrarono. La portò in giro per negozi, ed era straordinario il modo in cui quattro abiti diversi potessero renderli anonimi agli occhi delle persone. Ushio si sentì libera. Non era una sensazione che le era familiare.
Tooru la portò nei luoghi della sua infanzia e condivise con lei quel pezzo di vita.
Mangiarono in un ristorante che affacciava nel vuoto e dava la vista in lontananza sul mare. E sulla capitale intera.
Tooru le offrì del vino, ma Ushio fu costretta a rifiutare.
Le avevano detto che non poteva bere alcun tipo di alcolico.
E nel pomeriggio tardo, quando ormai era certo che a palazzo si fossero accorti della loro fuga strategica, se ne andarono a sbirciare il tramonto.
Tooru la condusse su una veduta panoramica.
Era in alto, verso la sommità del monte, ma deserta. Fermò la macchina proprio al centro del piazzale, con la luce rovente del sole che infiammava tutto: il cruscotto, la macchina, i loro volti, gli alberi, gli occhi. Nella decappottabile era una vista fantastica.
《 Sono grata del tuo regalo 》
Ushio avrebbe voluto dirglielo molte volte nel corso della giornata.
Non si sentiva nemmeno stanca. Era una gioia appagante, la sua.
Tooru la guardò, distogliendo lo sguardo dal tramonto infuocato, i suoi occhi castani e grandi sembravano brillare.
《 Sei bellissima 》 Le disse, cogliendola totalmente impreparata 《 Oggi sei davvero bellissima. Per me, quanto meno. Ed è l'unica cosa che conta, non è così? 》
Si, detta in quel modo era una questione semplice.
L'amore rendeva ciechi e la bellezza era soggettiva per chiunque.
Ushio non si era mai attaccata a quei pensieri, ma Tooru la trovava bella perché aveva imparato ad amarla. Indipendentemente dal suo essere una principessa inadatta.
《 Tooru 》 Lo chiamò dopo qualche istante, con voce dolce, meno profonda.
Lui le prestò tutta la sua attenzione e le prese una mano, portandosela alle labbra per baciarle il dorso《 Aspetto un bambino 》
Lo aveva scoperto il giorno prima, anche se lo sospettava da almeno una settimana.
Voleva dirglielo prima, ma lui era stato troppo impegnato ad organizzare quella gita.
Tooru la guardò per qualche secondo.
Mettere al mondo un erede era loro dovere. Ushio lo sapeva da sempre, conosceva il compito che avrebbe dovuto assolvere, si era preparata a sopportare qualsiasi cosa.
Anche condividere il letto con un uomo che non voleva.
Doveva essere Satori, al principio, e lei gli voleva bene, erano amici.
Poi era diventato Tooru, e mai avrebbe creduto di poter provare attrazione fisica per suo marito: era un regalo inaspettato. Fare l'amore con lui non era come aveva immaginato, stare stesa, zitta e buona senza fiatare. Fare l'amore con lui era divertente.
La famiglia reale aveva chiesto quell’erede fino allo stremo della pazienza.
Ma non era arrivato prima, anche se non avevano fatto niente per impedirlo, almeno non da quando avevano cominciato ad avere rapporti.
Ci aveva messo tre anni per arrivare. Ushio non era spaventata dalla prospettiva.
Ma forse ancora non le sembrava del tutto reale.
《 Scherzi? 》 Sbottò, rosso in volto. Ushio scosse la testa.
《 Otto settimane mi hanno detto 》
Tooru si passò una mano tra i capelli arruffati, sbirciandole l'addome d'acciaio.
In lei non era ancora cambiato niente.
《 Avresti dovuto dirmelo 》 La rimproverò.
《 Ci ho provato 》 Fu la sua replica.
Tooru si zittì, si, ci aveva provato, ma lui l'aveva interrotta ogni volta.
《 Merda, sarò padre. Che ansia 》 Brontolò. Ushio trattenne un sorriso a stento.
《 E io sarò madre. E dovrò partorire. Che ansia 》 Ribadì con voce atona.
Tooru tornò a guardarla di sottecchi. La sbirciava con cautela, come se fosse nuova.
《 Lo sai che il tuo regalo batte il mio a mani basse, vero? 》
Ushio sentì un muscolo della mascella contrarsi, poi non resistette oltre e successe una cosa incredibile: rise. Non rideva mai. Non le veniva facile.
Tooru la guardò come se fosse una creatura rara.
E sotto il sole del tramonto, intenti a venire a patti con quella nuova avventura, si godevano entrambi i loro anni migliori.

 

Can you even imagine falling like I did?
For the love of my life
She's got glow on her face
A glorious look in her eyes
My angel of light

( Golden Hour - Jvke )

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Capitolo 7
*** 7. Aroma ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”
Prompt: Coffee Shop
N° parole: 4204
Note: Questa one-shot è ambientata nell’epoca Showa, durante la Seconda Guerra Mondiale.
          TW: angst, angst e ancora angst.

 


Aroma

You were for me
like the neon of Ginza


( Ginza Neon Paradise - Unohana )




Epoca Showa - anno 13 ( 1938 )


Un paio di anni prima che scoppiasse la guerra, esisteva una caffetteria nascosta in quel paese di periferia, vicino Hiroshima. Era situata in una stradina chiusa, un vicolo stretto e pittoresco, lungo i margini della lunga scalinata che conduceva al castello.
Le porte scorrevoli erano contornate da un rampicante verde e da fiori di glicine, così ogni volta che se ne varcava la soglia, sembrava di entrare in un mondo fantastico. L'aroma del caffè raggiungeva la strada principale, tostato e croccante.
La prima volta che vi aveva messo piede, Wakatoshi era stato attratto da quel profumo.
Si era fermato lungo la scalinata sotto una pioggia battente privo di ombrello, di ritorno dalla redazione del giornale di paese.
La ventiquattro ore di pelle lo riparava a malapena dall'acqua scrosciante.
Le persone che scendevano come lui la grossa scalinata andavano di fretta, pronte a rientrare a casa dopo una giornata di lavoro. Lui a casa non aveva nessuno ad aspettarlo.
Era fredda e spoglia e si era anche dimenticato di prendere qualcosa per cena.
Nel buio della notte, illuminata dai lampioni sferzati dalla pioggia, la luce di quella caffetteria era calore, era accoglienza. Wakatoshi era entrato.
Lo aveva accolto un ambiente unico. Divanetti e tavolini di legno, piante verdi e rigogliose appese al soffitto, un bancone grazioso e una parete attrezzata aperta con una vasta collezione di tipologie di caffè.
Era rimasto impacciato sulla soglia, grondante acqua sul tappetino.
E lì lo aveva visto per la prima volta.
Rideva, con il volto illuminato dalle lampadine grezze appese in fili sul soffitto di travi.
Un grembiule in vita suggeriva la natura del suo ruolo, catturava l'attenzione.
Ma non era la sua evidente bellezza a catalizzare il suo sguardo, era la luce interiore che emanava. Un calore piacevole.
Come un faro nel mare di notte, durante una tempesta violenta: la pace e la salvezza.
Wakatoshi era una luna solitaria e quel giovane uomo un sole brillante.
La caffetteria era sua, lo avrebbe poi scoperto.
E aveva il nome di Aroma, scritto con i caratteri rōmaji in lingua italiana.
Wakatoshi avrebbe ricordato quel giorno per sempre, nelle sue memorie scritte.


Diversi anni dopo, di quel bar non ce ne sarebbe stata più traccia.
Come di diverse altre cittadine giapponesi.

 
♧♧♧


Wakatoshi era uno scrittore.
Lavorava ad un romanzo a puntate, pubblicato dalla redazione di un giornale locale. Aveva scadenze settimanali e strette.
Prese l'abitudine di andare a scrivere in quella caffetteria tutte le mattine.
Con la sua ventiquattro ore, la giacca lunga e vecchia addosso e i fogli fitti di caratteri che ricoprivano l'intero tavolo. La prima volta che parlarono era una giornata soleggiata, quasi estiva, di quelle afose che toglievano il respiro.
Wakatoshi faceva fatica a buttare giù una scena.
Le maniche della camicia erano arrotolate fino ai gomiti, aloni di sudore avevano cominciato a formarsi sotto le ascelle e le mani nei capelli li avevano tutti scombinati.
《 Vi chiedo scusa 》 Una voce gli aveva fatto sollevare lo sguardo dai fogli incasinati.
Lui era lì davanti, con una tazzina tra le mani, sorridendo cortese. Bellissimo.
Wakatoshi lo aveva guardato, forse con una strana espressione sul volto, ma l'altro era rimasto cordiale e sorridente.
《 Dove posso ... 》 Gli aveva mostrato la tazzina con il suo caffè e Wakatoshi aveva capito con qualche minuto di ritardo che non sapeva dove poggiarla, il tavolo era ingombro di fogli, diari, libri e inchiostro.
《 Oh, vi chiedo perdono 》 Aveva mormorato con voce inespressiva, cominciando a raccogliere i suoi appunti con fare frenetico. Il giovane, che non sembrava molto distante da lui con l'età, aveva posato la tazzina nel poco spazio disponibile con cura.
《 Siete un giornalista? 》 Aveva domandato con scioltezza, mentre girava il manico della tazzina di vetro nella sua direzione.
《 Sono uno scrittore 》 Wakatoshi aveva replicato seguendo il suo gesto con gli occhi, le dita sottili che si muovevano abili e leggiadre.
《 Uno scrittore! 》 In quel giovane vi era un che di fanciullesco intuibile dal suo aspetto《 È la prima volta che la mia caffetteria ne ospita uno 》
Gli aveva sorriso, intrecciando le mani davanti al grembiule.
《 Posso accomodarmi accanto a voi? 》 Wakatoshi aveva guardato la sedia vuota alla sua sinistra, ci aveva solo poggiato il cappotto contro, lo tolse immediatamente.
《 Certamente 》Gli aveva fatto cenno con la mano di accomodarsi.
E lui non se lo era fatto ripetere, prendendo posto con eleganza.
Si erano guardati negli occhi per alcuni secondi, sufficienti a far scattare qualcosa dentro di lui. Come il click di una valigetta.
《 Non ho potuto fare a meno di notare che siete in difficoltà 》
L'altro lo aveva sottratto dal mondo della fantasia in cui la sua mente si perdeva spesso. Le persone lo ritenevano strano anche per quel motivo.
Davano la colpa al suo essere artista, ma era solo una scusa per giustificare la sua totale ingenuità e incapacità di capire il prossimo.
《 Non riesco a scrivere una scena 》 Gli aveva indicato i suoi fogli sparsi sul tavolino, ma l'altro non aveva staccato gli occhi dal suo viso. Con un gomito poggiato su uno spigolo sgombro del tavolo e la mano chiusa a pugno su una guancia, lo osservava.
Aveva uno sguardo intelligente e curioso. Era un bravo osservatore.
《 Vediamo se posso aiutare ... 》 Wakatoshi ci aveva messo qualche secondo a raccogliere un foglio in particolare, perché non riusciva a staccare lo sguardo da quello dell'altro. Era come ipnotizzato dalla grandezza ed espressività di quegli occhi.
Di solito non mostrava ad altri le bozze dei suoi lavori, solo al proprio editore, e non parlava dei suoi struggimenti da scrittore.
《 Oh 》Fu un'esclamazione dolce, di pura sorpresa. Wakatoshi lo aveva osservato mentre leggeva le griglie con occhi avidi, fino all'ultima frase incompleta e lasciata a metà《 Siete voi lo scrittore di Memorie di un samurai 》Un mormorio ammirato.
《 Lo leggete? 》 Aveva domandato senza mostrare l'imbarazzo che provava.
《 Fin dalla prima uscita di un anno fa! 》 L'entusiasmo spigionato da lui era stato autentico e forte. Wakatoshi sarebbe arrossito se ne fosse stato capace.
《 Nel prossimo capitolo Hirohito incontrerà finalmente Sachiko! 》 Qualche volto incuriosito si era voltato nella loro direzione a quello scoppio di gioia mal contenuta.
Wakatoshi aveva annuito, intrecciando le mani sporche di inchiostro davanti a sé.
《 Voi come immaginate la loro riunione? 》
Aveva chiesto, incuriosito dalla risposta che quello straordinario sconosciuto avrebbe potuto dargli. Inoltre, essendo un lettore la sua opinione avrebbe potuto ispirarlo.
《 Vediamo ... 》 Si era picchiettato il mento con un dito, riflettendo 《 Tragico, direi. Si sono separati da bambini, quando il loro villaggio è stato attaccato dai banditi. Hirohito è scappato, lasciando l'amica alla mercé di quegli uomini ... sono passati anni e anni. Ora sono due adulti che hanno vissuto vite diverse, con esperienze diverse 》 Lo aveva guardato e Wakatoshi aveva provato una certa soggezione 《 Tragico e struggente. Ecco. Hirohito è lì per fare ammenda, conosciamo il suo viaggio di redenzione, ma Sachiko ... Sachiko che cosa prova? Cosa sente, cosa le è successo ... credo sia questo che il lettore voglia sapere, adesso 》 E gli aveva sorriso, passandogli indietro il foglio con cura. Wakatoshi lo aveva preso, riflettendo su quelle parole.
《 Io sono - 》
《 Ushijima Wakatoshi, lo so 》 La mano protesa era rimasta a mezz'aria accanto al suo fianco, l'altro aveva sorriso ancora una volta.
《 Oikawa Tooru. È un piacere conoscervi 》
《 Il piacere è mio 》
Si erano stretti la mano per la prima volta quel giorno. Quella di Tooru era affusolata e morbida al tatto, e presto Wakatoshi avrebbe scoperto che profumavano di caffè tostato.
Fu un incontro non diverso da molti altri, ma fu solamente il principio per loro.

 
♧♧♧


Tooru si sedeva al suo tavolo ogni giorno.
Gli portava il solito caffè aromatizzato e si metteva comodo al suo fianco per qualche minuto. Parlavano di tante cose. In quei giorni divennero amici.
Divennero familiari nel toccarsi accidentalmente ma senza vergogna, nel guardarsi negli occhi e riconoscere qualche espressione, una scintilla di divertimento, un briciolo di affetto. Divennero confidenti. Non dicevano niente, eppure dicevano tutto. Wakatoshi non aveva mai scritto tanto, e tanto bene come in quel periodo della sua vita. Tooru gli fece da pubblicità. Una mattina fredda di Dicembre di quello stesso anno, molti mesi dopo dal loro primo incontro, Tooru lo accolse con entusiasmo e gli mostrò un angolo della caffetteria dove aveva allestito una sorta di piccola tabaccheria.
In bella vista se ne stava una pila di giornali tutti uguali, il quotidiano dove lui scriveva la sua storia a puntate.
《 Ho fatto un accordo conveniente con il vostro editore! Siete fortunato ad avermi come amico eh! 》 E Wakatoshi lo era davvero.
Tornare in quella casa vuota la sera tardi era diventato meno difficile, meno triste.
Il giorno dopo avrebbe avuto uno scopo per alzarsi ed uscire: vedere il volto di Tooru.
Osservarlo anche solo da lontano, fingendo di non provare quello che provava.
Fingendo di essere un uomo normale, come avrebbe voluto la sua famiglia. Un uomo sorridente, carismatico, empatico e di successo. Un uomo come Tooru.
Fingendo di non aver deluso nessuno con i suoi sentimenti. Di non essere solo.
Furono mesi preziosi in cui legarono in silenzio, poi cambiarono molte cose.

 
♧♧♧


Epoca Showa - anno 16 ( 1941 )


Il 7 Dicembre di quell'anno il Giappone attaccò il porto di Pearl Harbor, segnando la sua entrata definita in quel conflitto che stava squassando il mondo a metà.
La vita cominciò a cambiare. Entrò in vigore il coprifuoco notturno, i viveri vennero suddivisi, i giovani chiamati alle armi. Aroma poteva essere aperta solo di mattina.
La gente era spaventata, ma entusiasta della gloria che sarebbe venuta per il Giappone.
Tooru non si era buttato giù nemmeno un solo giorno da quando era cominciata quella storia. Lui zoppicava, si era rotto il ginocchio nell'incidente che aveva ucciso i suoi genitori. Non sarebbe stato chiamato alle armi, il che era un bene, perché avrebbe potuto badare a sua sorella maggiore e al nipote quando suo cognato sarebbe andato via. Ma Wakatoshi sapeva che non poter combattere per il proprio paese non era un sollievo per uno come Tooru, semmai un'onta. Lo sapeva perché facevano molte passeggiate insieme, ogni pomeriggio: era un'altra delle loro nuove abitudini.
Ricorreva l'anniversario del loro primo incontro quando si manifestò un altro cambiamento. Uno in cui Wakatoshi non avrebbe mai sperato, nemmeno nei suoi sogni più vividi e tormentati.


Tooru gli aveva parlato molto di sé.
Lui non poteva dire di essere stato di molte parole, invece.
Nel corso degli anni aveva imparato tante cose di lui, dalle banali a quelle importanti, ma non aveva mai capito perché non si fosse sposato.
Le donne lo adoravano, gli vendevano le proprie figlie su un piatto d'argento.
Tooru era gentile con tutte, ma non sceglieva mai nessuno davvero.
Quello strano uomo. Wakatoshi non aveva fatto domande.
Non era nella sua natura chiedere, o essere curioso, il suo interesse moriva nell'arco di un battito di ciglia. In quanto a lui, invece, non aveva la minima possibilità che gli potesse interessare una donna, per quanto si fosse sforzato in passato nel tentativo di compiacere i suoi genitori e sua nonna.
Il cambiamento avvenne inaspettato.
Un giorno insospettabile di quella lunga guerra, Tooru gli chiese di accompagnarlo in un posto.


Si trattava di una casa di campagna, dove viveva una famiglia di vecchietti.
Erano una sua conoscenza e gli avevano chiesto aiuto nei campi, perché tutti i loro figli erano al fronte a combattere. Tooru aveva accettato senza pensarci due volte, e se lo era trascinato dietro con entusiasmo. L'idea di potere aiutate in modo diverso dall'imbracciare un'arma lo aveva reso euforico.
Lavorarono nei campi tutto il giorno, come se la guerra non esistesse.
Wakatoshi divenne bersaglio dei vecchietti pimpanti, divertiti dalla sua totale incapacità di cogliere i doppi sensi o le battute, e venne coccolato dalle vecchiette e dalle donne che volevano sapere il finale della sua opera o presentargli qualcuna delle loro figlie. Fu una di quelle giornate che avrebbe ricordato negli anni a venire.
Stette bene, anche se non sapeva esprimerlo.
E verso la sera, steso a terra nei campi con il cielo infuocato dal tramonto e il rombo degli aerei a sorvolarlo, anche se stanco si era sentito in pace.
《 Non ho più l'età per fare queste cose 》 Aveva mormorato Tooru al suo fianco.
Wakatoshi aveva staccato gli occhi dallo spettacolo meraviglioso del cielo.
《 Avete solo trentatré anni 》 Come lui. Erano nati ad un mese di distanza circa, nello stesso anno, Tooru a Luglio e lui ad Agosto.
《 L'età giusta per sposarsi. Anzi, siamo fuori di almeno tre anni ormai! 》
Un'ape ronzava attorno ai suoi capelli arricciati dal sudore, ma Tooru non l'aveva scacciata via. Osservava il cielo con quegli occhi grandi e Wakatoshi aveva provato il folle desiderio di scrivere su di lui. Forse per renderlo eterno attraverso le sue parole, perché al mondo, per lui, non sarebbe mai più nata una creatura come Tooru.
《 Ushijima-san, perché non vi sposate? 》
Wakatoshi aveva represso l'istinto di allungare una mano per spostargli via dalla fronte un ricciolo molesto quando si era voltato a guardarlo.
Tooru aveva le gote arrossate dalla calura e dalla giornata trascorsa nei campi.
《 Non fa per me il matrimonio 》Si era ritrovato a dire, una verità.
Non poteva accontentare una donna come avrebbe voluto. Ci aveva provato, ma inutilmente. Sarebbe stato un matrimonio di inferno per entrambi e lui non lo voleva. Tooru lo aveva guardato intensamente.
《 Inoltre, spavento le donne 》Aveva aggiunto.
A quel punto Tooru era scoppiato a ridere, senza ritegno.
Si era stretto le braccia attorno allo stomaco e aveva riso a pieni polmoni, circondato dai fili d'erba e dai fiori sembrava una poesia pronta per essere svelata.
Wakatoshi si era girato su un fianco istintivamente, per guardarlo meglio, e Tooru, attento ai suoi movimenti, lo aveva guardato. La sua risata si era un po' attenuata.
《 Dovreste imparare a sorridere 》
Gli aveva detto, sistemandosi le mani intrecciate sullo stomaco.
《 So sorridere 》 E la serietà del tono con cui aveva dato quella risposta aveva fatto venire un altro attacco di ridarella al suo amico.
《 Non vi ho mai visto farlo in tre anni! 》
Wakatoshi allora aveva sorriso. O meglio, ci aveva provato. Tooru aveva sgranato gli occhi, poi si era fatto rosso, infine era esploso a ridere agitando le gambe nel vuoto.
《 Siete spaventoso! 》 Aveva strillato. Era divertito e aveva le lacrime agli occhi.
Wakatoshi non aveva allungato una mano per asciugargliene una, si era trattenuto abbastanza per tutta la sua vita da non compiere quei gesti con naturalezza.
《 Ah, credo che sarei triste se vi sposaste 》
Tooru aveva sospirato, ritrovando il contegno. Era tornato a fissare il cielo.
《 Mi mancherebbe la vostra compagnia 》
《 Non mi sposerò 》
Tooru aveva ridacchiato di nuovo come un bambino. Sembrava ancora un bambino.
《 Nemmeno io 》 Aveva affermato. Wakatoshi aveva atteso, in silenzio.
《 Ho un amore impossibile 》
Gli aveva confidato infine Tooru, tornando a fissarlo negli occhi, il suo sorriso era più morbido e dolce. Tinto di malinconia. E Wakatoshi si era chiesto chi potesse essere tanto fortunato ad avere l'amore di quella creatura meravigliosa e unica.
Avrebbe voluto fare delle domande, ma non ci riuscì. Non sapeva da dove cominciare.
《 E voi? Avete mai amato qualcuno? 》 Wakatoshi aveva amato solo due volte.
La prima era solo un ragazzino, e aveva segnato la fine della sua vita così come la conosceva. Non era finita bene. La seconda volta, invece, era proprio lì accanto a lui, e non sarebbe finita bene nemmeno in quel caso.
Sapeva per esperienza che per quelli come lui non vi era nessun lieto fine da scrivere.
Almeno, non era ingenuo come un tempo.
Nel mezzo, vi erano stati solo interessi fugaci, sguardi veloci, apprezzamenti mentali.
《 Si 》 Aveva risposto senza esitazione.
Tooru lo aveva guardato sorpreso, il sorrisetto un po' congelato sulle labbra tese.
Poi aveva riso di nuovo, tornando ad osservare il cielo: una tela striata di arancione, rosa, viola, bianco e blu cobalto.
《 Che persone fortunate 》 Tooru aveva solo mormorato, come se fosse sovrappensiero o avesse fatto una confessione a mezza voce.
Wakatoshi non era nemmeno sicuro di aver davvero sentito quelle parole, ma qualcosa era scattato dentro di lui. Un sentimento potente che non aveva saputo controllare.
Si era mosso prima di rendersene conto.
E prima di rendersene contro lo aveva baciato.
Era stato solo uno sfiorarti di labbra, un tocco che nemmeno ricordava sulla pelle.
Ma ricordava gli occhi sbarrati di Tooru, il suo viso sconvolto oscurato dalla sua ombra.
Wakatoshi si era tirato indietro immediatamente, mettendosi seduto sull'erba.
Si era sentito un mostro, sbagliato.
《 Mi dispiace, Oikawa. Devo andare 》
Aveva detto con voce incolore, ma in modo frettoloso. Tooru aveva provato ad afferrarlo di scatto, tirandosi a sedere, ma senza successo.
《 Aspettate, Ushijima-san! 》
Wakatoshi non aveva aspettato.
Era scappato via.


I giorni seguenti non era andato alla caffetteria. Aveva cominciato ad evitare i posti in cui Tooru avrebbe potuto cercarlo o dove avrebbe potuto incontrarlo per caso.
Non tornava a casa la sera, ma se ne andava a dormire ovunque gli capitasse.
Poi fu costretto a rientrare, per un cambio di abiti, e si accorse che era finalmente giunta la sua carta militare. L'aveva attesa, e infine era giunta.
Sarebbe potuto andare via dalla vita di Tooru con una buona scusa, adesso.
Ma avrebbe dovuto sapere quanto lui fosse testardo.
Tooru aveva bussato alla sua porta tutte le sere e infine lo aveva trovato.
Wakatoshi avrebbe dovuto saperlo davvero, perché quello era uno dei motivi per cui lo amava.


Tooru era andato ben oltre le sue aspettative.
Aveva chiesto di lui in giro e fatto ricerche.
Tutto quello che Wakatoshi non gli aveva detto di sé stesso lo era venuto a sapere da altre persone, persone sbagliate.
Aveva scoperto che era stato cacciato di casa quando aveva solo diciassette anni, che era stato scoperto ad avere una relazione illecita con il suo migliore amico.
Che la nonna aveva avuto un infarto quando la cosa era venuta fuori, e sua madre lo aveva diseredato seduta stante tentando di insabbiare la cosa.
Satori lo aveva lasciato, andandosene, e Wakatoshi aveva vissuto nella vergogna sotto l'ala di suo padre - divorziato dalla madre - finché non era morto.
Dimmi che non è vero, Wakatoshi!
Le urla di disperazione di sua madre mentre si batteva il petto piangendo avevano cambiato la sua vita e la persona che era per sempre.
Wakatoshi non si era mai davvero nascosto, forse in fondo al suo cuore nemmeno aveva saputo cosa fosse davvero successo con Satori.
Erano amici, e l'istante successivo si era ritrovato steso su un futon senza capire.
Non aveva nascosto niente, era stato l'altro a farlo. Wakatoshi era ingenuo e uno sciocco.
Lo era sempre stato.
Ma è vero, madre.
Aveva solamente detto la verità, perché non capiva il motivo per cui avrebbe dovuto mentire. Lì era finito tutto, con quella confessione.
Anche la sua innocenza e ingenuità.
《 Ma voi chi siete davvero? 》
Tooru gli aveva posto quella domanda seduto davanti a lui, solo il kotatsu a dividerli, due tazze di tè intoccate e un piattino di wagashi fantasiosi, ma vecchi di giorni.
《 Io vi conosco, dopotutto? 》
Wakatoshi non aveva saputo come rispondere a quella domanda.
Era dolorosa, e lui non sapeva esprimere il dolore in altro modo che con il silenzio.
Nient'altro sarebbe cambiato in lui.
Era rimasto muto, reggendo l'accusa di quegli occhi feriti, con le mani intrecciate sul kotatsu, seduto sulle ginocchia a schiena dritta.
Come faceva da bambino di fronte un rimprovero della nonna materna.
《 Non avete niente da dire, Ushijima-san? 》
Wakatoshi si era sforzato.
《 Non volevo perdere la vostra amicizia 》
Tooru aveva stretto forte il pugno della mano destra sul tavolo a quelle parole.
《 La vostra compagnia mi era più preziosa di qualsiasi confessione 》
Ma Wakatoshi non si era fermato e aveva pronunciato quelle parole con voce ferma.
Come un automa o una macchina.
《 Mi dispiace 》 Le sue scuse erano sincere.
Tooru aveva sciolto il pugno teso e allungato una mano verso di lui, toccandogli le dita.
《 Se solo me lo aveste detto ... avreste potuto scoprire che io sono esattamente come voi 》 Gli aveva sorriso 《 E forse ci saremmo sentiti entrambi meno soli. Forse avremmo sofferto di meno 》
Era stata una confessione, una rivelazione che gli aveva cambiato la vita per sempre.
Di nuovo, ma in meglio, per un solo, singolo momento.
Io sono come te
Tooru si era poi alzato, aveva fatto il giro del tavolo e si era messo seduto in ginocchio davanti a lui, come un suo pari, esposto.
Aveva allungato le mani esitante, prendendogli il viso. Lo aveva accarezzato con dolcezza, Wakatoshi non ricordava l'ultima volta che era successa una cosa del genere.
《 Mi puoi accettare? Perché sono tre anni che ... da quando hai messo piede nella mia caffetteria 》 Tooru aveva riso, imbarazzato, mentre faceva scontrare le loro fronti.
《 Non credevo che avremmo mai potuto ... 》
E Wakatoshi aveva capito di non essere solo.
Aveva capito di essere stato fortunato.
Il destino, o qualcuno, gli aveva concesso almeno quel regalo, un istante di amore.


Fecero l'amore quella notte. Disperatamente.
Il giorno successivo Wakatoshi partì.
L'immagine di Tooru sulla soglia della sua porta di casa che lo salutava assonnato, all'alba, gli avrebbe fatto compagnia a lungo, prima di diventare sbiadita nei suoi ricordi. Anche allora avrebbe dovuto saperlo che sarebbe stato solo un attimo di felicità.
Che per quelli come loro non vi era un lieto fine. Non in quell’epoca.
All'epoca credeva che sarebbe morto.
《 Ti aspetto qui 》
Erano state le ultime parole di Tooru per lui, accompagnate da quel sorriso e una mano agitata al vento che lo salutava.
Avrebbero potuto fare così tante cose insieme se avessero avuto più tempo.


Wakatoshi partì per la guerra, ma non morì.
Il 6 Agosto del 1945 fu sganciata una bomba atomica sulla città di Hiroshima.
Tutto nel raggio di chilometri fu spazzato via.


Quando Wakatoshi tornò a casa, non la riconobbe.
Aroma non esisteva più, come i luoghi dei suoi ricordi, ormai vivi solo nella sua memoria e nella memoria di chi era sopravvissuto.


Di Tooru non seppe più niente.
Gli rimasero solo quella notte e quell’istante di felicità.

 
♧♧♧


Tokyo - 2022


《 Mà, sono appena arrivate le ristampe di quel libro che volevi mettere in vetrina! 》
La voce la raggiunge nel magazzino del negozio, dove sta facendo l'inventario.
Lascia perdere tutto e corre al piano di sopra, dove la sua secondogenita sta firmando la consegna. Senza curarsi di niente apre la prima scatola e solleva il volume.
È una ristampa attesa da anni, con una copertina bellissima. Un'edizione limitata.
Accarezza il titolo con le dita: Aroma.
L'autore di questo libro è morto nel 2006 all'età di 98 anni. L'opera è il suo più grande successo, venduto in tutto il mondo per la storia commovente che racconta.
Una storia in parte vera, ad eccezione del finale.
《 Ne mà, perché ci tieni tanto a questo libro? È vecchio! 》
Minami le chiede, tirando fuori i volumi dagli scatoli. Lei la guarda male.
《 Ushijima-san ci ha messo l’anima in questo libro! 》 La rimprovera.
È stato il suo professore di scrittura creativa all'università, molti anni prima.
Lei ci è affezionata, anche se non era un uomo particolarmente affettuoso.
Lo aveva accudito fino alla morte, perché era solo e non aveva figli o nipoti.
《 Racconta una storia vera, sai? Lo dovresti leggere 》
Lo mostra alla figlia, indicandole la trama con un dito. Minami legge.
La sua espressione cambia, si fa pensierosa.
《 Me lo porto in camera 》 Dice, e lei sorride.
Va alla vetrina con una copia nuova, ricorda il giorno in cui ne parlò con il professore.
Non ho mai smesso di cercarlo. Tooru è sempre rimasto una parte di me.
Pochi sapevano che il protagonista di quel libro era una persona che il professore aveva amato molto, anche dopo la sua morte.
Ora vivrà per sempre in questo libro.
È stata una delle loro ultime conversazioni. Negli ultimi tempi l’uomo non aveva parlato altro che ti Tooru, continuamente, costantemente, come se l’altro lo stesse chiamando.
Il professore era stanco e vecchio. Negli ultimi tempi lo aveva colto una forma di demenza senile che gli faceva dimenticare gli ultimi anni della sua vita, riportandolo al passato. In quel libro, il finale della storia era diverso: Tooru e Wakatoshi vivevano felici insieme per molti anni a venire.
Posa il libro in vetrina, in bella vista. Sorride.
《 Finalmente vi siete rincontrati eh professore? 》 Domanda 《 Siete stato paziente. Sono sicura che Oikawa-san vi abbia aspettato tutto il tempo 》
Poi sospira e torna in negozio.


Nell'aria si sente odore di caffè.




 

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Capitolo 8
*** 8. But I hate you, I really hate you ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Fake Dating

N° parole: 3.517

Note: Qui la one-shot è quasi canon-verse, abbiamo solo un Fem!Oikawa per motivi di trama. Inoltre, avrete il piacere di conoscere: mamma-Ushijima e nonna-strega.
Buona lettura!



 
But I hate you, I really hate you


 
But I hate you, I really hate you
So much I think it must be
True love, true love




Tooru si era pentita di avere acconsentito. Pentita enormemente.
In realtà, non aveva avuto molta scelta, e la colpa era tutta di Iwa-chan.
Non sapeva mai tenere la bocca chiusa.
《 Dovremmo tenerci per mano! 》
Sibilò alla volta del ragazzo seduto al suo fianco davanti al kotatsu.
《 Mia nonna non approverebbe 》 La risposta secca e atona la fece irritare.
Scoccò un'occhiataccia dardeggiante al suo finto - finissimo - fidanzato e sperò che quella giornata finisse il prima possibile.
Non era mai stata brava a fare la samaritana e non avrebbe cominciato quel giorno.
Il motivo per cui si trovava nel salotto di casa Ushijima, ad aspettare che la nonna spaventosa e la mamma austera del suo finto - ci teneva a specificarlo ancora - fidanzato tornassero nella stanza, accompagnate dal padre errante che era appena arrivato per quella improbabile riunione di famiglia, era un migliore amico che non sapeva stare zitto. Iwa-chan sapeva bene che tra lei e Ushiwaka non correva affatto buon sangue.
Era un fatto risaputo, storico.
Come era storica anche l'ostinata ossessione che Ushiwaka aveva nei suoi confronti.
Da quando la famosa frase era stata pronunciata: Saresti dovuta entrare nella squadra femminile della Shiratorizawa. Il tuo talento è sprecato, qui - era stata croce nera.
Tooru aveva fatto della sua missione di vita quella di dimostrare che Ushiwaka aveva torto marcio! Non gli importava che Iwa-chan - amico d’infanzia traditore - lo reputasse un bravo ragazzo e cercasse di convincerla ad uscire con lui, ne che fossero amici, lei detestava Ushiwaka con tutta sé stessa! Era l'orgoglio, il maledetto orgoglio!
《 Allora fatti più vicino, almeno 》 La sua voce era acido puro concentrato.
Wakatoshi la guardò inespressivo.
《 Mia nonna non approverebbe nemmeno questo 》
Tooru stritolò la gonna blu del vestito che indossava tra i pugni delle mani.
I suoi denti digrignanti fecero un brutto suono.
《 Come credi di convincerli che stiamo insieme se ogni cosa è disapprovata ?! 》
Contenne a malapena uno strillo.
Non aveva accettato lei di fargli da finta fidanzata, Tooru voleva che fosse chiaro.
Iwa-chan l'aveva messa in mezzo senza interpellarla, o chiederle niente, aveva dato la sua parola per lei! Quel brutto -
Tooru si era trovata di fronte al fatto compiuto e finito.
Durante il ritorno da un'amichevole tra le loro squadre, Ushiwaka aveva confessato a Iwa-chan che Satori - l'altro idiota con le rotelle fuori posto - aveva fatto intendere a sua nonna e sua madre che aveva una fidanzata. Le due lo avevano detto al padre.
E poi avevano preteso che questa fantomatica fidanzata partecipasse al pranzo di famiglia organizzato di lì a qualche giorno.
Ushiwaka aveva una cotta, ma non una fidanzata. Proprio per niente!
Il sesso femminile era un mondo ignoto e ostile, avverso: ci provava, ma davvero non riusciva a capire quelle creature mitologiche.
Iwa-chan - il genio! - gli aveva suggerito di trovarsi una finta fidanzata solo per quell’occasione, poi avrebbe potuto inventarsi che si erano lasciati o una roba simile.
Al che, Ushiwaka gli aveva fatto presente che non conosceva nessuno che potesse aiutarlo in quella farsa. Allora Iwa-chan - il bastardo! - se ne era uscito con: 《 Lo farà Oikawa 》 Aveva dato la sua parola, il fetente!
Tooru si era lagnata a dovere, ma alla fine aveva dovuto acconsentire.
Erano seguiti molti lamenti e attacchi isterici.
E quello era il motivo per cui si trovava seduta a quel tavolo a farsi giudicare da una vecchia bavosa dal brutto carattere e una madre che decisamente aveva una mazza da scopa infilata su per il -
《 Stanno tornando 》 L'avviso di Wakatoshi la riportò al presente, dove aveva l'ansia.
Il cuore sembrava sul punto di esploderle fuori dal petto, e sarebbe stata un'immagine divertente. Chissà che cosa avrebbe pensato la nonna di Ushiwaka nel vederla vomitare il cuore sul costoso servizio da tè che avevano davanti in quel momento.
Proprio un'ottima fidanzata, certo.
Li sentirono arrivare ed entrambi rimasero seduti composti, esattamente come li avevano lasciati prima di andar via: quello doveva essere proprio un test.
Di fatto, la vecchia - che fu la prima ad entrare nella stanza - lì squadrò attentamente.
Tooru le sorrise in maniera del tutto finta.
《 Wakatoshi! 》 Esplose una voce maschile. Tooru rimase frastornata.
L'uomo che entrò - Takashi Utsui - assomigliava a Wakatoshi, ma era evidente che la mazza nel deretano l'avesse ereditata dalla madre.
L'uomo era espressivo! Sorrideva a trentadue denti, felice.
Tooru sapeva - tramite Iwa-chan - che i genitori di Ushiwaka avevano divorziato quando era piccolo. Non vedeva il padre spesso. Incuriosita, lo sbirciò, e rimase di sasso.
Stava sorridendo. Sapeva sorridere!
《 Papà 》 Takashi si mise seduto accanto al figlio, attorno al kotatsu, e lo agguantò in un abbraccio stretto fatto di pacche sulla schiena.
Wakatoshi ricambiò con meno impeto, ma a Tooru l'abbraccio sembrò sentito.
Lo schiarirsi di una gola la fece girare di scatto verso la vecchia e la madre.
《 Abbiamo ospiti! 》Berciò la nonna.
Era una donna all'antica, con una certa presenza. Nonostante l'età sembrava ancora perfettamente senziente e lucida. Dispotica. Tooru stava sudando per colpa sua!
La madre di Wakatoshi era fredda, invece, distaccata, non pareva propensa all'affetto - e questo spiegava molte cose - ma era tutto lì.
L'aveva squadrata da capo a piedi come se fosse un pezzo di cacca sotto la scarpa e fine. Tooru era certa che nessuna donna le sarebbe andata bene per il figlio, nemmeno se fosse stata lei stessa a sceglierla.
《 Oh oh, ci siamo fatti prendere la mano 》
Takashi lasciò andare il figlio e si sporse verso di lei con quel bel sorriso ...
Okay, lui era decente. Anzi, le piaceva.
《 Sono Takashi Utsui, il padre di Wakatoshi. Piacere di conoscerti 》 Fece un inchino.
《 Oikawa Tooru, il piacere è mio, io sono - 》
《 La mia fidanzata 》 Quella interruzione la sorprese, bloccandola a metà inchino.
Ushiwaka aveva risposto con la solita espressione da schiaffi, rigido come un palo della luce, ma sicuro. Allarme rosso! Allaaaarme rosso!
È tutto finto! Finto! Gridava la voce nella testa di Tooru, quella di Disgusto ( si, come in Inside Out ), ma lei la sentiva solo marginalmente. Era incuriosita, in realtà.
Takashi sollevò le sopracciglia, sorpreso.
《 Piacere 》 Mormorò ancora Tooru.
Di quella casa in antico stile giapponese, tutto la intimidiva e la faceva sudare freddo.
Non solo le persone, ma l'austerità del mobilio in sé!
Aveva passato ore in video-chiamata con la sorella per decidere che cosa indossare, come farsi i capelli e come truccarsi: uno stress!
Oh, Ushiwaka le doveva un favore ENORME!
Alla fine, aveva indossato un semplice vestito blu notte che le arrivava a metà coscia, da ragazzina. Si era fatta una treccia che domasse i capelli mossi e non si era truccata.
Aveva solo messo due orecchini di perle e un anello anonimo alla mano destra ( senza smalto ). Più anonima di così non si poteva!
《 A proposito di questo 》 Intervenne la nonna-strega 《 Perché non ci raccontate un po' come vi siete incontrati? 》 Tooru sentii come lo stridio di una puntina su un disco graffiato nel sentire quella domanda. La vecchia sospettava!
E con lei, sicuramente anche sua figlia ...
《 È successo alle medie 》 Intervenne immediatamente, prima che potesse farlo lui.
Non era del tutto sicura che Wakatoshi sapesse mentire.
Era troppo abituato a dire le cose in faccia e quello che pensava davvero.
《 Alle medie? 》 Intervenne mamma-Ushijima alzando un sopracciglio nero curato.
Erano al terzo anno di liceo, ormai, forse era passato davvero troppo tempo ...
《 Si, Ushiwa - Ushijima-kun è venuto a vedere uno dei miei match insieme ad un mio amico d'infanzia 》 Tooru aveva costruito una bella storia in quattro e quattrotto, con un po' di verità e un po' di fantasia, bastava che Wakatoshi non aprisse bo-
《 Le ho detto che era sprecata nella squadra in cui stava giocando e che sarebbe dovuta venire nella nostra scuola invece 》 Silenzio. Pesante.
Tooru respirò profondamente e fece un sorriso tirato, mentre le due donne si scambiavano uno sguardo con tanto di sopracciglio alzato.
《 Già. Mi colpì molto la sua sincerità. Così ho iniziato a chiedergli dei consigli e - 》
Tentò di recuperare in calcio d'angolo.
《 In realtà mi odia- 》
《 E COSI ABBIAMO INIZIATO A ESSERE AMICI 》 Gli rifilò una gomitata potente nel fianco, dove non si potesse vedere e continuò a sorridere. Wakatoshi sollevò un sopracciglio e tacque, continuando a guardare dritto di fronte a se, ma con una mano si massaggiò la zona lesa, senza darlo troppo a vedere. Gli adulti li fissarono.
《 Poi - poi ci siano innamorati 》 Balbettò Tooru, fingendo di arrossire ed essere imbarazzata. Era sempre stata brava a recitare, infatti, in tutte le recite scolastiche aveva sempre il ruolo della protagonista. Anche perché era bellissima e lo sapeva.
Wakatoshi doveva essere solamente grato di averla al suo fianco, perché nella vita reale - come se quella non lo fosse - non avrebbe mai potuto avere una fidanzata bella come lei.
Il pensiero stesso la infastidiva e non aveva senso.
La nonna-strega e mamma-Ushijima rimasero in silenzio per qualche secondo.
《 Potresti versare il tè, cara, per favore? 》
Tooru avrebbe volentieri assottigliato lo sguardo: quella megera voleva sfidarla.
Stava valutando le sue capacità come se lei e Wakatoshi dovessero sposarsi domani - che assurdità! - o come se lei fosse nata ieri. Il problema, comunque, era che Tooru non sapeva versare il tè secondo il metodo tradizionale. Lei ... lo versava e basta.
Preferiva perdere tempo con gli allenamenti di pallavolo che ... quella roba.
Scoccò un'occhiata a Ushiwaka, che ricambiò.
Guarda cosa mi tocca fare per te! E mi hai anche insultata quattro anni fa!
Se gli occhi avessero potuto parlare ...
《 Certamente 》 Rispose con voce stucchevole e zuccherina, totalmente finta.
Si sporse in avanti sul tavolo e prese la teiera.
Nonna-strega sollevò un sopracciglio, Tooru digrignò i denti, dilatando le narici.
Quella famiglia era un incubo.
《 Oikawa-san 》 Intervenne Takashi per la prima volta, e la sua voce sembrò vibrare in tutta la stanza. Tooru sollevò lo sguardo, trattenendo il fiato quando l'uomo si allungò verso di lei e le tolse la teiera di mano con nonchalance 《 Wakatoshi mi ha accennato che giochi anche tu a pallavolo 》 Continuò a parlare come se niente fosse, facendo intendere che il suo fosse un intervento casuale, come dettato dell'abitudine.
Tooru lasciò andare la teiera e tornò al suo posto - Takashi era il nuovo membro preferito della famiglia. Sarebbe stato un suocero fantastico e - Frena, frena, frena!
Sbirciò di sottecchi Ushiwaka: Perché diavolo hai parlato di me a tuo padre?
Sei malato, per caso? Peccato non esistesse la comunicazione telepatica, con uno come lui sarebbe stata a dir poco essenziale.
《 Utsui-san 》 Nonna-strega sembrava indignata dal fatto che fosse lui, un uomo, a versare il tè. Takashi fece un gesto non curante della mano.
《 Sono una palleggiatrice 》 Intervenne Tooru con uno slancio, perché quell'uomo le stava simpatico 《 E sono anche il capitano 》
《 Un ruolo in comune con mio figlio 》
Lui le sorrise, assomigliava al figlio tantissimo, ma non nelle espressioni.
《 Oikawa è brava 》 Intervenne Ushiwaka, guardandola dritto negli occhi 《 Potrebbe raggiungere vette altissime 》
Tooru fece un sorrisetto e gli puntò un dito contro, animata dalla loro antica rivalità.
《 E lo farò, tu dovrai solo stare a guardare! 》
Fece un ghignetto, dimenticandosi che li stavano osservando, ad entrambi.
《 Conto di essere lì con te 》 Fu la replica di Wakatoshi, concentrato ad osservarla.
Tooru rimase ferma con occhi leggermente spalancati. Tutti lo stavano osservando.
Takashi proruppe in una risata allegra e battè una mano sulla schiena ampia del figlio.
《 Fa sul serio il mio ragazzo, ma bravo! 》
Tooru tornò a fissare la sua tazzina da tè, ora piena, la prese tra le mani e si accigliò.
A quel punto, nonna-strega tossicchiò - era palesemente contrariata - mentre mamma-Ushijima si sventolava il volto infastidito con un ventaglio elegante.
Tooru non fu sorpresa dal fatto che il suo matrimonio con il padre di Ushiwaka fosse finito, anzi, si chiedeva come fossero finiti insieme quei due!
L'acqua e il fuoco, ecco cosa erano. Un po' come lei e Ushiwaka.
《 Cosa ti piace di mio figlio 》 La domanda della donna, pronunciata con voce ferma da dietro il ventaglio, fece ammutolire tutti. Era la prima volta che apriva bocca.
Come il figlio, non sembrava espressiva. Tooru strinse le dita attorno alla tazzina.
Era la domanda peggiore che avesse mai ricevuto ma ... stavano già ingannando tutti,
inoltre, la osservavano tutti con curiosità, in attesa di una risposta, perfino Ushiwaka.
《 Ushijima-kun è sicuro di se 》 Iniziò, sollevando lo sguardo intelligente, guardò la sua finta suocera negli occhi《 Forse un po' troppo diretto, a volte, ma dice sempre quello che pensa. Al punto di sembrare maleducato. È ingenuo, a volte 》
Lo guardò, facendo un sorrisetto divertito.
《 Si fa fregare dai suoi amici facilmente. È un po' lento, lo devo dire. E odia le persone confidenti senza fondamento. È testardo e convinto delle sue idee 》 Poi guardò Takashi, perché sentiva le guance scottare《 Mi piacciono tutte queste cose di lui. Ma mi piace soprattutto il fatto che sia sempre sincero. Lo ammiro per questo! Un ragazzo come lui mi fareb- mi fa sentire sicura 》 Tacque, con il fiatone.
Era impazzita. Doveva essere impazzita.
Aveva detto la verità, certo, non era così stupida da non sapere quello che pensava o provava, ma perché diavolo se l'era lasciato sfuggire in quel modo?!
Alla fine di quella giornata avrebbe dovuto minacciare Ushiwaka di tenere la bocca chiusa con Iwa-chan. Ad ogni costo!
《 Sembra quasi che tu stia parlando di un'altra persona! 》 Intervenne immediatamente nonna-strega, con fare sdegnoso. Tooru la guardò storto.
《 Voglio bene a mio nipote, ma è lento come un mulo! È a malapena passabile! 》
Continuò la vecchia, battendo un pugno sul tavolo.
Tooru era sconvolta da quelle parole, pronunciate con tanta sicurezza.
Attorno al tavolo, Takashi si era accigliato, evidentemente contrariato.
Mamma-Ushijima era tutta corrucciata, invece.
Tooru guardò Ushiwaka, sembrava impassibile, ma aveva i pugni delle mani chiusi sulle ginocchia come un bambino rimproverato. Doveva esserci abituato.
Quella vista fece scattare qualcosa dentro di lei. Senza pensarci, allungò una mano e strinse quella di Wakatoshi, poi si fece vicina a lui aggrappandosi al suo braccio.
Al diavolo l'approvazione di questa megera!
La vecchia si zittì, gli altri adulti la guardarono.
Ushiwaka si fece rigido, tentò di togliere il braccio ma Tooru gli mollò una gomitata.
Lo tenne stretto con forza.
Non gli era mai stata più vicina di un metro, aveva un buon profumo addosso.
Nessuno dei suoi ex profumava in quel modo.
《 Per me va benissimo 》 Scattò, con un sorriso feroce, poi puntò un dito contro la vecchia. Le puntò il dito contro. Lo fece - Amen.
《 Vedrete se non me lo porto all'altare! 》
Nella sua camera mentale, Disgusto, Paura, Rabbia, Gioia e Tristezza iniziarono a fare fagotto per andare via. Ancora una volta, fu la risata di Takashi a spezzare l'incredulità. Tooru era sicura di aver assunto la stessa tonalità di un pomodoro.
Sentiva lo sguardo di Ushiwaka addosso.
Lo lasciò andare, rassettandosi il vestito. Un diavolo doveva essersi impossessato di lei.
《 Oh, non vediamo l'ora. Tra un paio d'anni magari! Ora beviamo il tè, che si fredda 》
Tooru afferrò subito la tazza e si scottò la lingua, non aveva mai trovato la superficie di un kotatsu tanto interessante prima. Oh, doveva davvero minacciare Ushiwaka.
Iwa-chan non avrebbe dovuto sapere nemmeno una sola parola di quella storia.

 
▪︎▪︎▪︎


La camera di Ushiwaka era come lui: minimalista e spoglia. Diretta.
Non vi era nulla che dicesse molto sulla persona che era, ma quanto meno aveva una vista spettacolare sul giardino interno.
Tooru non era stata in molte case giapponesi tradizionali e quella lo era.
Con le porte di carta di riso spalancate, la stanza di Wakatoshi dava sul portico di legno e sul giardino interno. Loro erano seduti proprio lì, con i piedi scalzi sospesi sopra il laghetto artificiale pieno di karpe koi.
Vicini, ma senza che le loro spalle si sfiorassero accidentalmente.
Passava un'arietta fresca e piacevole.
《 Grazie, per oggi 》
Wakatoshi osservava due pesci girarsi intorno, Tooru incrociò le braccia sotto il seno.
《 Non credere di cavartela così facilmente. Mi devi un favore, e bello grosso 》
《 Lo ripagherò 》 Fu la risposta immediata, e Tooru sogghignò.
Non lo sopportava, ma era divertente. Sollevò lo sguardo e vide i genitori di Ushiwaka, seduti ancora attorno al kotatsu, dall'altra parte della casa.
Sembravano parlare tra di loro, ma era evidente che stessero discutendo di loro.
《 Ci stanno guardando 》 Commentò.
Wakatoshi seguì il suo sguardo e annuì.
Tooru sciolse le braccia e posò i palmi delle mani sul portico, stringendosi nelle spalle.
《 Tuo padre ti manca? 》 Domandò con esitazione. Era un argomento delicato.
《 Lo vedo poco 》 Fu la replica di Ushiwaka. Tooru lo sbirciò di sottecchi.
《 Ma a lui devo tutto quello che sono 》
《 Cosa intendi? 》
《 Quando ero bambino 》 Cominciò Ushiwaka, intrecciando le mani davanti a sé 《 Mia nonna e mia madre volevano correggere la mia mano sinistra 》
Tooru spalancò la bocca e mise su un'espressione inorridita.
La mano sinistra, il fatto che fosse un mancino era la chiave del suo talento.
《 Ma mio padre si oppose con tutto se stesso. È questo che gli devo, tutto quello che sono adesso 》 Wakatoshi amava suo padre.
Assomigliava alla madre caratterialmente, era cresciuto con lei dopotutto, ma aveva anche qualcosa di lui, ed era il motivo per cui era tanto diverso.
《 Sono sicura che è fiero di te 》
Si guardarono, lui aveva uno sguardo ... intenso. E i suoi occhi erano di un taglio ... particolare. Erano intriganti.
《 Oikawa 》 La chiamò Ushiwaka e lei smise di agitare i piedi sopra l'acqua 《 Le pensi davvero quelle cose di me? 》 Tooru sorrise, poi allungò un braccio verso l'acqua, toccandone la superficie, alcune karpe koi scattarono via fulminee.
《 Ora non montarti la testa però 》
Gli schizzò un po' d'acqua addosso, cogliendolo totalmente di sorpresa. Poi rise.
Tutto sommato, poteva fare la buona samaritana ogni tanto.
Ma comunque, Iwa-chan non doveva saperlo.


A Takashi piaceva quella Tooru. Molto.
Non era stato solo il discorso appassionato nei confronti di suo figlio, o la sfacciataggine dettata dall'età, ma la sincerità che vi era in lei. Forse erano entrambi troppo giovani per capirlo, troppo presi dalla loro rivalità - una rivalità a senso unico - per vedere oltre.
Suo figlio era stracotto di quella ragazza, vi erano pochi dubbi a riguardo.
Sembrava un cagnolino al cospetto della padrona, per Tooru invece ... era testarda, e forse le ci sarebbe voluto un po’ di tempo e meno orgoglio per accettare la realtà.
《 Non stanno insieme. Non davvero 》
Takashi distolse lo sguardo dai due ragazzi, seduti vicini davanti al laghetto.
Guardò la sua ex moglie e fece spallucce.
《 No, ma è questione di tempo 》 Se ne erano accorti tutti che era una farsa.
Tooru aveva solo aiutato Wakatoshi per non metterlo in difficoltà di fronte alla bugia di Satori. Loro comunque, non avrebbero dovuto insistere con quell'invito - la possibilità che Wakatoshi avesse davvero una fidanzata era stata troppo entusiasmante, però.
Comunque, i ragazzi non avevano bisogno di sapere della loro realizzazione.
《 Se non la sposa, sarò molto delusa. Lei mi piace, e per Wakatoshi è perfetta 》
Takashi sorrise a quelle parole, bevendo un sorso di sake.
《 Dagli tempo, vedrai. Sarà una nuora fantastica! 》
Proprio in quel momento, Tooru strillò, attirando la loro attenzione.
Non era un grido di paura, ma di sorpresa. Si stavano schizzando acqua addosso e lei rideva divertita, dicendo chissà cosa.
Takashi era sicuro che anche Wakatoshi stesse sorridendo. Una cosa rara.
E chiunque riuscisse a far sorridere suo figlio in quel modo …
《 Sono simili a noi 》Guardò la sua ex moglie con un pizzico di sorpresa, proprio mentre Tooru spingeva suo figlio con una spalla, in maniera gentile.
Sarebbe stata perfetta nella loro famiglia. Quello che mancava.
《 Si, ma avranno un finale diverso, ne sono certo 》
Commentò, osservando con occhi ridenti Tooru che si arrampicava sulla schiena di Wakatoshi come un koala.



 
Sometimes I hate every single stupid word you say
Sometimes I wanna slap you in your whole face
There's no one quite like you,
you push all my buttons down
I know life would suck without you


( True Love - Pink )

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Capitolo 9
*** 9. Candy Corn for a Rascal ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Bodyguard

N° parole: 3.095

Note: La storia è ambientata negli USA! ( anche se non è specificato )




 
Candy Corn for a Rascal
 

Let me be your bodyguard
Living in my protection
We can just get ignited
Lost inside


Quel bambino era un incubo.
Non vi era altro modo per descriverlo.
Tooru non era pagato abbastanza per quello. E di certo non era diventato una guardia del corpo per proteggere un bambino viziato, meno che mai insieme al suo rivale di sempre. Ma - ahimè - quella era la realtà attuale. Non solo doveva fare da guardia al figlio viziato di una celebrità del cinema insieme al suo acerrimo nemico, ma il suddetto bambino era appena SCAPPATO!
« È tutta colpa tua! » Sbottò con estrema maturità alla volta nel suo collega, mentre si muoveva veloce tra la folla di persone. Ne aveva già urtate parecchie senza cura.
« È scappato dalla finestra del bagno »
Gli fece presente mister: " Sono il migliore, solo uno di noi può essere il primo ".
« Avresti dovuto prevederlo! » Fu la replica lapidaria, solo perché voleva avere sempre l'ultima parola in un alterco. Con Wakatoshi soprattutto.
« Eccolo. Sta entrando nella Casa degli Spettri »
Gli segnalò l'altro, ignorando totalmente le sue accuse insensate.
Tooru seguì il suo sguardo e vide il moccioso varcare la soglia della orrida casa spettrale.
« Maledetta piattola » Digrignò tra i denti, buttando per l'aria un po' di adulti e bambini. Wakatoshi gli stava dietro senza problemi, scansando la gente con agilità e grazia. Tooru detestava i parchi a tema.
Erano affollati, pericolosi, caotici e facevano solo venire un gran mal di testa.
Ma quello era il giorno dell'inaugurazione, e avevano chiesto a quel famoso attore di presiedere allo spettacolo pomeridiano ... e loro due si erano beccati il marmocchio!
Saltando la fila tra le lamentele e gli operatori che cercavano di fermarli, entrarono nella Casa degli Spettri. Era tetra e buia, Tooru ebbe un brivido lungo la spina dorsale.
« Non può essere lontano » Wakatoshi parlava a bassa voce, scostando delle ragnatele finte dal soffitto mentre attraversavano il corridoio illuminato da luci psichedeliche.
Le decorazioni facevano tutto l'effetto horror, non erano male.
« Potrebbe già essere uscito dall'altro lato dell'attrazione e aver scelto di salire ... che ne so ... sulle montagne russe! » Brontolò lui di rimando.
Trasalì quando una strega scese dal soffitto ridendo come un'invasata.
Wakatoshi era ancora davanti a lui, la sua schiena ampia rivestita dallo smoking nero sembrava fondersi con il corridoio buio.
Tooru gli guardò la nuca. Aveva delle belle spalle, non come le sue, che erano sempre state più sottili. Lo detestava fin dai loro giorni all'accademia, ma quell'odio era sempre stato misto a qualcos'altro ...
Si era perso nei propri pensieri, e non vide lo zombie uscire dalla parete: urlò.
Urlò senza controllo, in modo stridulo, e tentò di colpire il manichino con un calcio di karate per riflesso, ma inciampò con il piede nelle ragnatele finte sul pavimento e precipitò di faccia addosso a Wakatoshi. Accadde tutto nell'arco di pochi secondi.
Si ritrovò sul pavimento, il brutto colpo attutito dal corpo dell’altro bodyguard, che gli faceva da cuscinetto. Per riflesso, Wakatoshi si era voltato per prenderlo, ma era caduto a sua volta a causa del peso eccessivo.
Tooru si trovò con il mento piantato nel suo ombelico e cominciò a maledire tutte le scelte fatte nel corso della sua vita che lo avevano condotto a quel momento: con il naso a pochi centimetri di distanza dal piffero del suo nemico - collega.
Almeno, l'amichetto era a riposo. Rispettoso.
« Cazzo » Tooru sbottò tutto il suo disappunto. Avrebbe torto il collo a quel moccioso non appena gli avesse messo le mani addosso. Come minimo.
« Stai bene, Tooru? » Wakatoshi lo afferrò per le braccia, aiutandolo a mettersi seduto sul pavimento infernale di ragnatele. Nella sua voce non si percepiva preoccupazione, ma Tooru lo conosceva abbastanza bene da sapere che non lo avrebbe preso in giro per aver urlato come una femminuccia.
Si mise seduto e cominciò a spolverarsi lo smoking stropicciato.
« Sto bene » Rispose. Semmai, quello che doveva essersi fatto male era Wakatoshi.
Aveva attutito 1,84 centimetri di altezza per 72, 2 chili di peso.
« Tu stai bene? » Brontolò, mettendo il broncio.
Wakatoshi si limitò ad annuire, poi sollevò lo sguardo e fissò qualcosa alle sue spalle.
Tooru seguì la stessa direzione e si accorse che si era formata una piccola folla di preadolescenti dietro di loro, all'imbocco del corridoio nefasto.
Lo fissavano con dieci espressioni diverse sul volto.
« Avete intenzione di continuare ad amoreggiare ancora per molto? Noi vorremmo passare! » Parlò uno dei ragazzini, quello che sembrava il leader del gruppetto.
Aveva la testa tutta rasata. Tooru lo guardò indignato.
« Chi amoreggia con chi?! Non dire fesserie, mocciosetto! »
Si portò una mano sul petto, del tutto oltraggiato dal solo pensiero.
Nel frattempo Wakatoshi si era alzato in piedi, del tutto disinteressato.
« Ha ha! Stavate amareggiando e come! » Lo prese subito in giro crapa pelata e i suoi amichetti cominciarono a dargli man forte, additandoli.
« Ora vi faccio vedere io, mocciosi di merda » Ruggì, cominciando ad alzare le maniche della giacca elegante per dare una bella sculacciata a quei monelli indisponenti.
Prima che potesse riuscirci, Wakatoshi lo afferrò per il colletto della camicia, tirandolo indietro.
« Il bambino, Tooru. Stiamo perdendo tempo prezioso » Disse con voce calma.
Tooru si divincolò dalla sua presa e sistemò la camicia, dandosi un contegno.
« Non c'è bisogno che me lo dici! » Replicò come un bambino capriccioso.
I mascalzoni risero del loro battibecco e Tooru gli puntò un dito contro, mentre seguiva Wakatoshi lungo il corridoio verso l’uscita.
« La prossima volta vi sculaccio per bene! »


Riuscirono a raggiungere il bambino nella zona dei negozi, piena zeppa di souvenir.
Si era nascosto dietro uno stand che vendeva pupazzi di animali non identificabili.
Tooru sospirò, mettendo i pugni chiusi sui fianchi. Non sapeva bene che cosa provare, gli faceva tenerezza quel moccioso, nascosto lì dietro con la convinzione di non essere visto. Ma se ripensava alla Casa degli Spettri, alla Nave dei Pirati, al Labirinto degli Specchi ... gli prudevano le mani dalla voglia di riempirlo di schiaffi sul deretano.
« Io lo attiro fuori e tu lo acciuffi » Disse a Wakatoshi, sospirando con forza.
Erano entrambi scarmigliati e stanchi. Senza aspettare una conferma, Tooru si avviò a passo di marcia verso lo stand degli animaletti amorfi.
« Aspetta che ti becco, piccola peste » Esordì a voce alta, con tanto di dito alzato.
Come si era aspettato, il bambino sgusciò via agile come una pantera, solamente per essere afferrato sotto le esili braccia da Wakatoshi, che spuntò dal nulla con grazia.
« Ah, no, mollami! » Cominciò a strillare il piccolo indemoniato, scalciando nel vuoto. Aveva otto anni, ma era mingherlino. Nonostante questo si dibatteva feroce, a Tooru sembrava un piccolo roditore infuriato. Wakatoshi se lo passò sotto un braccio, reggendolo come se fosse un sacco pieno di cianfrusaglie da buttare.
« Il piccolo topolino è finito in trappola! »
Tooru aveva un sorriso trionfante sul volto mentre osservava il musetto imbronciato del dispotico bambino. Si era arreso alla forza di Wakatoshi, ma li fissava con disprezzo.
« Vi odio! Vi odio! » Strepitò con la forza della sua disperazione di bambino.
Tentò di mordere il braccio che lo reggeva, ma trovò resistenza nella stoffa, inoltre, Wakatoshi non mosse nemmeno un muscolo.
« Calmati, ti farai male » Si limitò a dirgli.
« Ora ti chiudiamo in una stanza e ci resti! E niente più bagno, userai un pannolino! »
Minacciò Tooru, il bambino - che si chiamava James - sgranò gli occhi sul viso da teppista.
« No! Non voglio ... papà mi aveva promesso che saremmo andati insieme sulle attrazioni ma ... non ha mai tempo per me! È un bugiardo e mi ha lasciato con due noiosi come voi! » Strepitò, capriccioso.
Tooru guardò il collega nel sentire quelle parole. Non se le aspettava. In tutti i sensi.
Poteva capire che James ritenesse Wakatoshi noioso - chi non lo faceva?- ma lui!
Non era noioso nemmeno per sbaglio! Ad ogni modo, comunque ... quel bambino doveva capire che non avevano nessuna voglia di stare dietro le sue ignobili -
« Se venite con me sulle giostre non scappo più, lo giuro! »
Trattò il bambino, di punto in bianco. Tooru lo guardò a bocca aperta.
Non aveva nessuna intenzione di fare da babysitter a quella belva feroce.
« Non se ne parla nemmeno! » Esplose.
James gli rivolse un sorrisetto da schiaffi sotto il braccio di Wakatoshi - sembrava un diavolo in miniatura. Tooru ebbe un bruttissimo presentimento a riguardo.
« Allora dirò a papà che mi avete perso » Piccolo bastardo! Sentì la vena sulla tempia pulsare minacciosa mentre sorrideva come un invasato al bambino.
« Senti tu - » Esordì, sputando fiamme.
« D'accordo » Wakatoshi lo interruppe.
Si guardarono, Tooru era allibito.
Per via dello shock non ebbe nemmeno la prontezza di prendersela con lui subito.
Wakatoshi mise il bambino a terra, poi gli prese una mano. James sembrò contento.
« Coraggio, tu, vieni! » Lo intimò, agitando una manina nella sua direzione perché la prendesse. Tooru mise il broncio.
« Ho un nome io, sai?! » Sbottò, prendendogli l'arto appiccicaticcio e sudato, ovviamente « Tooru, mi chiamo Tooru! »
James ghignò, mostrando la finestrella di denti mancanti - i due incisivi da latte.
« Io sono Wakatoshi » Intervenne il diretto interessato di quel nome, anche se non era stato interpellato. James guardò lui stavolta.
Strinse le mani ad entrambi e sorrise entusiasta, come se avesse vinto un premio.
« Bene, andiamo! » Gridò euforico.
E Tooru seppe che si sarebbe stancato. Tanto.


Molto tempo dopo tre giri sulle montagne russe, due giri sui tronchi, un bis nella Casa degli Spettri e nella Nave dei Pirati, arrivarono alla fantomatica giostra.
Tooru era devastato, non vi era altra parola adatta per descrivere la sua condizione psicofisica. Si aggrappò con le mani alla barricata di ferro che delimitava la fila e rivolse un'occhiataccia al piccolo James.
« Andiamo lì, lì, lì! » Strepitò lui sovreccitato.
Indossava un cappello con le orecchie di topolino sui capelli biondi - glielo aveva preso Wakatoshi - e Tooru doveva ammettere controvoglia che era ... beh, si ... adorabile.
Ma restava pur sempre un piccolo demonio.
« Si si, sta calmo » Brontolò mentre veniva tirato per la manica della giacca nera.
« Io voglio la Ferrari! » Affermò, indicando la macchina rosso fiammeggiante.
Mancava poco al loro turno. La ragazza al principio della fila sorrise ad entrambi con fare malizioso, da civetta. Tooru non era interessato, ma sbirciò Wakatoshi incuriosito.
Non sembrava interessato nemmeno lui. Bene.
Passarono e James raggiunse la Ferrari di corsa, strillando come un matto.
« Ti aspettiamo qui » Gli fece sapere Tooru.
« No! » Strillò il bambino « Se non venite anche voi, allora non salgo! »
E incrociò le braccia al petto, ostinato. Tooru guardò Wakatoshi con un'espressione che parlava: Lo accoppo, io lo accoppo, adesso!
L'altro non mostrò nessun disagio.
« Voglio il pony » Si limitò a dire.
James esplose di felicità, saltellando sulla Ferrari, e cominciando a fare i rumori di un motore rombante, mentre girava lo sterzo.
Tooru osservò con occhi sgranati Wakatoshi salire sul pony: era un'immagine che non avrebbe mai dimenticato per il resto della vita.
Era ingobbito, i calzini neri spuntavano da sotto il pantalone sulle caviglie perché le ginocchia urlavano contro i manici per reggersi. Sembrava scomodo.
Tooru tirò fuori il cellulare e gli fece una foto di nascosto.
« Che fai? » Domandò Wakatoshi voltandosi verso di lui proprio mentre riponeva l'oggetto nella tasca interna della giacca da smoking.
« Niente » Rispose, trattenendo una risata.
Con quell’espressione in viso era comica la scena.
Solo Wakatoshi poteva restarsene tutti serio seduto sul pony in miniatura di una giostra per bambini.
« Io voglio il bruco! » Annunciò, e salì sulla giostra, che finalmente partì.
James urlava a comando della sua macchina e una fastidiosa musichetta risuonava nelle orecchie. Tooru guardò la schiena di Wakatoshi e sorrise.
Avrebbe potuto ricettarlo con quella foto, ma non voleva farlo.
Era sua, gelosamente sua da custodire.


La ruota panoramica fu l'attrazione finale.
Il cielo era infuocato quando si fermò nel punto più altro, dando una vista spettacolare su tutto il luna park.
La cabina era stretta, sia Tooru che Wakatoshi dovevano piegare la testa per non urtare contro il soffitto. Le pareti interne erano dipinte con motivo di principesse Disney e loro si erano beccati Rapunzel, Wakatoshi aveva mamma Gothel proprio sulla testa, minacciosa. James invece era silenzioso e osservava il panorama sottostante.
Non era mai stato tanto zitto e le due guardie di rivolsero uno sguardo circospetto.
« Come mai tanto silenzioso, topolino? »
Chiese Tooru, James lo guardò con i suoi occhi verdi espressivi.
« Lo spettacolo sarà cominciato » Disse.
Parlava dell'evento che aveva impegnato suo padre per tutto il giorno. James non aveva una madre, era risaputo. Era morta anni prima, quando lui era solamente un neonato.
A crescerlo era gente estranea, perché il padre era troppo impegnato nella sua vita da star per badare a lui. Tooru provò un moto d'affetto nei confronti di quella creaturina.
« Hai fame? » La domanda di Wakatoshi arrivò da nulla.
James distolse lo sguardo dal panorama e lo rivolse verso di lui. Annuì subito.
« Quando scendiamo andiamo a mangiare qualcosa. Cosa desideri? »
James ci pensò, picchiandosi il mento con il dito. Tooru avrebbe voluto dire al suo collega che non avrebbe dovuto viziare tanto quel moccioso, ma si trattenne.
Tutti i capricci di James, dopotutto, non erano altro che un modo per avere qualche attenzione in più da parte del padre. O da parte loro, dopotutto. Così stette zitto.
« Voglio le candy corn! Taaaaante candy corn » Disse con voce squillante, aprendo le braccia per mostrare la grandezza. Wakatoshi annuì, era seduto accanto al bambino e gli prestava tutta la sua attenzione.
Tooru ebbe una rivelazione, a quel punto: Wakatoshi sarebbe stato un ottimo padre.
Ed era strano, pensare al suo rivale in quei termini. Molto strano, perché gli era venuto su un pensiero del tipo: Con uno così crescerei anche dieci figli.
Ed era evidente che fosse solo la stanchezza a fargli pensare certe cose, perché non aveva mai pensato a Wakatoshi come ad un compagno. Anche se Iwa-chan continuava a dirgli che la guardia numero uno dell'associazione aveva una cotta stratosferica per lui, tanto da risultare imbarazzante. Tooru non ci aveva mai creduto davvero.
La loro era solo una rivalità vecchia di anni.
« Che ne dici anche di un hot-dog? » Trattò con il bambino, che annuì entusiasta.
« E voglio anche le patatine fritte! E la coca-cola! » Aggiunse alla trattativa.
Wakatoshi annuì, accordandogli quei capricci.
James si aggrappò al suo braccio e gli posò la testa sulla spalla, stanco.
Era il primo gesto di affetto nei loro confronti. Wakatoshi gli accarezzò la testa bionda.
La ruota panoramica cominciò a muoversi lenta, oscillando, e Tooru si ritrovò a studiarlo.
Con il sole del tramonto i suoi tratti sembravano quelli di una statua greca.
I loro occhi si incrociarono e non si separarono per il resto della lenta discesa.

 
♡♡♡


James aveva avuto la sua busta formato gigante di candy corn.
Il suo hot-dog, le patatine, la coca-cola, il pupazzo di Luke Skywalker con la spada laser e lo zucchero filato. Ora correva beato, come se avesse ritrovato l'energia, attorno al palo di una luce agitando all'aria un palloncino rosso.
Sembrava felice, una bambino appagato.
« James! » Lo chiamò Tooru, facendogli segno di avvicinarsi.
Quando gli arrivò a portata di mano, pulì con un fazzoletto un angolo della sua bocca sporco di zucchero sotto lo sguardo attento di Wakatoshi.
James aspettò paziente, poi andò via. Tooru appallottolò il fazzoletto e lo lanciò nel cestino - la giornata era quasi finita e tutto sommato non era stata nemmeno malaccio.
Guardò Wakatoshi di sottecchi e scoppiò a ridere - indossava un cerchietto con una treccia bionda di Elsa che gli finiva sulla spalla, opera di James. Lui invece aveva un cerchietto con le stelle a molla colorate che si illuminavano a intermittenza.
« Ti dona » Gli disse, indicando l'oggetto.
Wakatoshi toccò la treccia sintetica che cadeva sistemata sulla giacca nera.
« Vuoi fare un'altra foto? » Gli chiese e Tooru avvampò, colto sul fatto.
Tornò a guardare James, che giocava con il cane di una signora seduta al tavolo di fronte.
« Dovremmo farla, con James »
Insistette Wakatoshi, raccogliendo le cartacce della loro cena su un vassoio.
« Non è molto professionale »
Gli fece notare Tooru, James rise quando il cane gli leccò le mani zuccherose.
« Tutta la giornata non lo è stata » Puntualizzò Wakatoshi, incrociando le braccia al petto mentre si lasciava andare con la schiena contro la sedia.
« Sei bravo con i bambini » Se ne uscì Tooru, porgendo la cosa con fare noncurante.
Lo sguardo fisso e attento su James.
Lui e Wakatoshi erano rilassati, ma sarebbero stati pronti ad intervenire se necessario.
« Mi piacciono. Ne vorrei, in futuro »
La confessione inaspettata di Wakatoshi gli fece voltare la faccia sorpresa verso di lui.
Aveva dello zucchero sul colletto della giacca e uno spruzzo di briciole sulla cravatta - James aveva mangiato sulle sue gambe.
« Tu no? » Gli rigirò la domanda. Tooru distolse lo sguardo e arrossì di nuovo.
« Non lo so. Con il nostro lavoro ... è difficile crescere un bambino, immagino »
Si grattò la nuca e fece spallucce, poi guardò di nuovo Wakatoshi, che non aveva mai distolto lo sguardo da lui « Ma con la persona giusta magari no »
Si guardarono di nuovo, come era successo sulla ruota panoramica. Intensamente.
Poi James li chiamò a gran voce, allegro, e il momento si ruppe. Tooru sospirò.
Si alzò in piedi e stiracchiò la schiena.
« Tooru » Lo chiamò Wakatoshi « Io - »
« Domani sera, alle 20:00, da Dante's. E non fare tardi » Lo interruppe di fretta.
« Non tarderò » Tooru sorrise.
« Ohi, Toooooru, Wakatoshi venite! »
Strepitò James agitando le braccia in aria per richiamare la loro attenzione.
« Arriviamo topolino! » Gli gridò dietro.
E le stelle del suo cerchietto si illuminarono gioiose.

 

Let me be your bodyguard
I can be useful to you


( Bodyguard - Bee Gees )

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Capitolo 10
*** 10. Dance of the Knights ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Dancer

N° parole: 3288

Note: Chiedo perdono a tutti i ballerini di danza classica e a voi lettori per questa one-shot terribile, ma abbiate pietà di me, ho fatto del mio meglio con un prompt che proprio mi faceva paura e su cui non avevo la minima idea di cosa scrivere. E chiedo perdono anche a William Shakespeare, ti prego non me ne volere Will!








 
Dance of the Knights


Le gioie violente hanno violenta fine,
e muoiono nel loro trionfo,
come il fuoco e la polvere da sparo,
che si consumano al primo bacio
 
( Romeo e Giulietta: Atto II, scena VI - William Shakespeare )




Tooru aveva ottenuto tutti i suoi risultati con sudore e fatica.
Aveva lottato come un leone tutta la vita, senza scrupoli e senza mostrare cuore o alcuna pietà verso nessuno.
Nel loro ambiente funzionava in quel modo, bisognava schiacciare l'altro con ferocia.
Non era diventato l’étoile del teatro più importante di Seijoh aprendo le gambe come avevano fatto la maggior parte dei suoi compagni e predecessori. Era diventato il primo ballerino perché se lo era meritato, senza guardare in faccia nessuno.
Ma non era mai riuscito a battere il ballerino indiscusso sulla scena nazionale e mondiale: Wakatoshi Ushijima.
Non aveva importanza quante volte ci avesse provato, quante lacrime avesse pianto, quante ore di allenamento e digiuni avesse fatto, era stato sempre tutto inutile.
E poi era arrivata finalmente quell'occasione, l'occasione che si era rivelata maledetta.
Nella nuova compagnia per cui stava lavorando - la migliore in piazza - vi era la concorrenza più spietata che avesse mai incontrato.
I ballerini di danza classica migliori del mondo riuniti sotto la direttiva di uno dei maestri, coreografi ed ex étoile che avevano fatto la storia della danza.
La compagnia avrebbe dovuto portare in giro per il mondo una versione alternativa e del tutto innovativa - non era stato specificato loro in che modo - di Romeo e Giulietta con le musiche di Prokofiev.
I ruoli non erano prefissati e le audizioni erano state aperte a tutti.
Tooru non poteva perdere quell'occasione. Voleva il ruolo di Romeo, voleva vincerlo in una sfida diretta contro Wakatoshi. Non era stato tanti anni all'estero per niente, non si era fatto sanguinare i piedi per niente. Non aveva rinunciato ad una vita per perdere.
In quell'audizione aveva dato il meglio di sé, aveva brillato come una supernova.
E infine era accaduto, era successo. Aveva ottenuto un ruolo principale.
Ma non il ruolo per cui si era preparato fino a vomitare, piegato sulla tazza del gabinetto nel cuore della notte.
Quando era stato convocato insieme a Wakatoshi, aveva sperato che ...
Aveva sperato di poterlo umiliare davanti all'intera commissione, come era capitato a lui innumerevoli volte in passato. Ma non era successo, al contrario.
Era stato lui ad essere umiliato, ma in modo diverso: erano stati considerati alla pari. Wakatoshi aveva ottenuto il ruolo di Romeo, mentre a Tooru era stato assegnato quello di Julian. Un personaggio inesistente. Non avevano capito all'inizio, nessuno dei due.
Poi era arrivata la spiegazione inverosimile: la versione alternativa altro non era che una rappresentazione della storia classica tutta al maschile.
Romeo and Julian, così si sarebbe chiamata, una provocazione in faccia alle nuove posizioni del governo. Tooru non aveva saputo come reagire.
Aveva ottenuto il ruolo da protagonista, ma non quello per cui si era preparato, inoltre, avrebbe dovuto danzare in coppia con Wakatoshi, che odiava con tutto se stesso.
Sarebbe stato messo in ombra da lui. La loro complicità mancata avrebbe rovinato tutto lo spettacolo e non ci sarebbe voluto molto per essere sostituito.
Quando erano usciti dalla sala, Wakatoshi aveva cercato di fermarlo, per parlare con lui.
« Tooru, dovremmo - »
« Non dovremmo fare niente. Tu non mi intralcerai Wakatoshi » Lo aveva zittito.
L'altro se n'era rimasto a guardarlo per qualche istante, nella sua postura perfetta.
« Il tuo orgoglio ti farà restare esattamente dove sei adesso »Aveva aggiunto « Ovvero sotto di me » Tooru aveva sentito una strizza nervosa alla bocca dello stomaco a quelle parole. Un sorriso grottesco gli aveva illuminato di rabbia gelida il volto piacente.
« Vedremo » Si era limitato a dire, senza dare il tempo a Wakatoshi di continuare il suo discorso crudele e diretto. Aveva stretto i pugni ed era andato via.
Sotto di me .... quella frase lo aveva tormentato in più sensi di quelli che aveva inteso il suo rivale. E Tooru si odiava.
Si odiava soprattutto per quello, perché ancora non era riuscito ad andare oltre.

 
¤¤¤


Tooru raggiunse il gabinetto giusto in tempo per rigettarci dentro.
Strinse le mani sudate attorno alla porcellana della tazza scivolosa e aspettò pazientemente che i conati passassero.
Erano le tre di notte, non aveva toccato cibo e doveva tornare a provare.
Doveva essere perfetto nel suo ruolo di Julian.
Quella mattina avevano iniziato a provare in sala, ma era stato un vero disastro, almeno per lui. Lo avevano rimproverato più volte di quanto gli fosse piaciuto ammettere, ma l'idea di ballare con Wakatoshi, di farsi toccare da lui per le prese ... lo rendeva nervoso, irritato e arrabbiato. Non ci riusciva. Così si stava punendo nell'unico modo che conosceva: massacrandosi di allenamento e fatica.
Chiuse gli occhi e respirò piano, passandosi il dorso della mano sulla bocca mentre le parole del direttore gli rimbombavano in testa, come un mantra: « La tua anima dov'è Tooru? » Non era la prima volta che gli facevano quella domanda.
Era bravissimo, sapeva fare team, quando era a capo di qualcosa si adattava agli altri e mai il contrario. Si fidavano di lui e lui si fidava di loro.
Brillava perché erano gli altri a illuminarlo, non il contrario.
Con Wakatoshi si sentiva in ombra. Ai margini.
Non era stato sempre così tra di loro. Tooru lo ammirava all'inizio, voleva essere come lui. Voleva seguire il suo esempio e diventare sempre più bravo, sempre più bravo.
Fino a quel giorno nefasto, quando avevano entrambi tredici anni, alla loro prima competizione ufficiale. Tooru era arrivato secondo, e quando aveva incontrato il suo rivale - idolo per la prima volta, erano state queste le parole che gli aveva rivolto: « Il tuo talento è sprecato. Saresti dovuto entrare nella mia accademia. Così sarai sempre un passo dietro di me » Era stato un momento decisivo della sua vita.
Da quel momento non aveva avuto più pace.
E quella cotta adolescenziale - avvenuta nel momento in cui stava iniziando a scoprire se stesso - si era trasformata in rivalità, ostilità e passione feroce.
Tooru non si sarebbe mai liberato di Wakatoshi, in nessun senso possibile.
E ora, all'apice della sua carriera, il ruolo più importante della sua vita era arrivato insieme all'uomo che gli aveva stravolto la vita. Uscì dal cubicolo del gabinetto e rimase immobile con il fiato sospeso, credeva di essere solo. Tobio lo fissava attraverso lo specchio macchiato, mentre scrollava le mani bagnate nel lavandino.
« Tooru » Esordì, voltandosi a guardarlo.
« Tobio » Fu la sua replica composta, mentre si avvicinava ad un lavandino. Aprì il rubinetto e l'acqua fredda cominciò a scendere, vi immerse le mani sotto e sospirò.
« Ti stai allenando tu nella sala 3? Ho visto le luci accese mentre venivo in bagno »
La domanda di Tobio non sembrava avere doppi fini, il suo era puro interesse.
Tooru lo sbirciò mentre si asciugava le mani con della carta, Tobio aveva il pigiama addosso. Stava dormendo, come tutti gli altri.
Erano andati entrambi nella stessa accademia per qualche anno.
Tooru ricordava un moccioso entusiasta che lo guardava con ammirazione, ricordava di essersi crogiolato in quella sensazione.
Poi Tobio era diventato un po' troppo bravo e Tooru aveva dovuto schiacciarlo.
Ferito dalla sconfitta, aveva cambiato accademia, era andato a quella di Karasuno e li era sbocciato. Nella loro compagnia era uno dei migliori, aveva di fatto ottenuto il ruolo di Tebaldo nello spettacolo senza il minimo problema.
« Dovresti dormire. Il riposo è importante » Tooru si passò l'acqua gelida dietro il collo e sul volto sudato, aveva i crampi allo stomaco. Guardò Tobio con un'occhiataccia.
« Non ho bisogno dei tuoi consigli, Tobiuccio. So bene cosa è importante e cosa no, grazie tante » Chiuse il rubinetto e scrollò le mani nel lavabo, schizzando lo specchio, mentre Tobio buttava via la carta.
« Oggi hai fatto schifo, e non è da te »
Tobio si appoggiò con un fianco sul lavandino e incrociò le braccia al petto.
Tooru lo guardò male.
Sapeva bene di aver fatto schifo, ma non voleva sentirselo dire proprio da lui.
« Non sono fatti tuoi! » Lo rimproverò. Tobio non sembrò toccato dalle sue parole.
« Se mandi a monte lo spettacolo con il tuo comportamento allora si »
Replicò, e Tooru lo fissò indignato, con l'acqua che gli scorreva lenta lungo le spaccature della camicia larga che indossava.
« Hai vomitato, poco fa. Ti ho sentito »
« Tobio » Il suo tono di voce fu fermo, definitivo.
Non doveva andare oltre quella linea. Non doveva.
Tobio si staccò dal lavandino e sciolse le braccia sul pigiama di seta blu.
« Io ti ammiro, Tooru. Sei uno dei ballerini migliori in circolazione. Wakatoshi pensa lo stesso di te, lui ti venera » Tooru sgranò gli occhi, fissò Tobio per qualche secondo, poi scoppiò a ridere senza ritegno. Quel moccioso aveva le traveggole.
« Non dire sciocchezze »
« Me lo ha detto con la sua bocca, non mi sto inventando nulla. Non lo fa capire, ma non vede l'ora di ballare con te. È entusiasta all’idea stessa »
Tooru ripensò alla faccia impassibile di Wakatoshi durante le prove e si domandò in che modo avrebbe potuto sembrare entusiasta. Eppure, Tobio non era tipo da mentire.
Era piuttosto ingenuo e sciocco in realtà.
« Mi ha detto che questo potrebbe essere il momento più alto della sua carriera » Tooru rimase in silenzio, fissando il più piccolo con il cuore improvvisamente in tumulto.
« È una cosa che ho imparato da poco tempo, quindi non pretendo che tu mi stia a sentire » Tobio si avviò verso la porta, per poi fermarsi sull'uscio « Ma Wakatoshi è dalla tua parte. È lì per te, Tooru. Non è lì per affossarti, ma per farti brillare. Lo dovresti capire da solo. Buonanotte »
E se ne andò, lasciandolo davanti allo specchio con il suo riflesso stravolto e pallido. L'acqua continuava a colare sul viso incorniciato da quegli occhi grandi.
Tooru non l'aveva mai vista da quella prospettiva. Ma per Tobio era facile parlare.
Lui non aveva una cotta che si era trasformata in delusione e rivalità da gestire.
Tooru, dovremmo ...
Che cosa aveva voluto dirgli Wakatoshi prima che lui lo fermasse bruscamente e con cattiveria? Tooru strinse le mani sulla porcellana del lavandino e sollevò la schiena.
Forse avrebbe dovuto chiederglielo.

 
¤¤¤


Per quel giorno le prove di coppia vennero sospese. Tooru si allenò in una saletta con la sola compagnia di Hajime, che faceva parte del corpo di ballo secondario.
Il ruolo di Julian era analogo a quello di Giulietta, ma era stato disegnato su un uomo.
Sarebbe stata una storia innovativa o un totale disastro, era sicuro che la critica si sarebbe divisa a riguardo.
« Tooru » Lo fermò Hajime mentre si esercitava in un grand jeté perfetto.
Gli stava facendo da Romeo, ma non conosceva perfettamente i passi, quindi il risultato era abbastanza scadente. Tooru si fermò con grazia, atterrando in prima.
« Cosa? » Hajime incrociò le braccia al petto nudo, contrariato.
« Julian è innamorato di Romeo. Dov'è questo amore eh? » Tooru si imbronciò.
Fece stretching sui piedi piegandoli nelle punte e incrociò le braccia al petto.
« Non riesco a essere innamorato del mio amico di infanzia! Nemmeno per finta »
Hajime sollevò un sopracciglio e sospirò con pazienza, abituato ai suoi capricci.
« Allora forse dovresti passare per il teatro piccolo. Lì proveresti meglio » Afferrò la maglietta e se la mise addosso, mentre Tooru lo guardava con espressione allibita.
« Oh andiamo Hajime! Mi sforzerò, va bene? » L'altro lo guardò esasperato, parlandogli con pazienza mentre raccoglieva il borsone del cambio « Ho le mie prove da fare, Tooru. E poi non conosco i passi di Romeo. Non mi sono preparato per le audizioni »
Tooru mise il broncio da bambino e prese la sua borraccia dell'acqua, scolandone metà in una volta sola.
« Davvero Tooru, vai al teatro piccolo »
Gli disse Hajime sulla soglia della porta, guardandolo dritto negli occhi.
Tooru comprese. Rimase con la bottiglietta in mano per qualche minuto, a riflettere, poi afferrò il proprio borsone e si diresse fuori dalla saletta a passo deciso.


Il teatro piccolo non era in uso.
Quando Tooru entrò lo trovò buio, per lo più, solo le luci sul palco erano accese, soffuse.
Sedie erano accatastate sul fondo, polvere ammucchiata sui pavimenti e le poltrone ricoperte da lenzuola bianchi. Nell'aria vibrava una musica familiare.
Tooru camminò lungo il corridoio laterale di destra, facendo attenzione a non urtare con le gambe nel buio. Raggiunse la seconda fila, non illuminata dalle luci e si mise seduto stringendosi il borsone al petto.
Rimase a guardare la figura che si muoveva aggraziata e perfetta al centro del palco.
Wakatoshi sembrava un'opera d'arte.
Aveva movimenti perfetti, sembrava forte e delicato nello stesso momento, invitante.
Tooru rimase a guardarlo con gli stessi occhi di quando era un ragazzino e riusciva a riconoscere la bellezza in qualcosa di spettacolare e unico.
Wakatoshi eseguì un bras bas perfetto e Tooru seguì il suo movimento con il corpo.
Fino a chiudere gli occhi sul finale, nella realizzazione di quanto fossero perfette le sue pirouette, fino al momento in cui cadde con grazie sul posto.
Il suo corpo era perfetto. Attraverso la camicia larga si intravedeva il duro lavoro a cui lo aveva sottoposto, la carnagione scura, la cura che ne aveva.
Tooru non era diverso, in quello, ma il suo corpo non sarebbe mai stato della stessa possanza, o grandezza.
Era una questione fisica che trascendeva l'allenamento o l'attenzione alla dieta.
E lui era invidioso di quel talento naturale.
Personalmente ne era sempre stato sprovvisto, tutti i traguardi raggiunti li aveva ottenuti sputando il sangue, ed era fiero di sé stesso per quello.
Non doveva negarsi quel successo.
Ma quella cotta adolescenziale non gli era mai passata davvero.
Aveva covato sotto l'invidia da sempre, ed era ora di mettere quel sentimento negativo da parte una volta per tutte.
Si alzò dalla sedia e raggiunse il palco. Wakatoshi stava bevendo dalla sua borraccia, era sudato, quando lo vide sollevò leggermente le sopracciglia.
Tooru andò dietro le quinte e lasciò il borsone accanto a al suo.
« Sei troppo stanco per provare insieme? » Gli chiese, facendo stretching ai piedi.
Wakatoshi chiuse la boccetta e si asciugò le labbra, non aveva nemmeno l'affanno.
« No » Rispose, andando verso lo stereo.
« Proviamo Dance of the knights » Propose Tooru mettendosi in posizione.
Wakatoshi annuì, lasciò partire la musica e gli si mise accanto. Si mossero, in sincrono.
Era la scena in cui Julian e Romeo si innamoravano.
Tooru agganciò gli occhi con quelli di Wakatoshi, si incrociarono a metà strada, i dorsi delle mani che si sfioravano in un saluto elegante.
Tooru sentì dentro tutta l'innocenza di quel primo amore puro e ingenuo.
Era un fanciullo e si gettava a capofitto in quel sentimento di cui conosceva poco.
Scoprì preso che ballare con Wakatoshi era facile. Piacevole.
Si adattava a lui con facilità, e per la prima volta Tooru si trovò libero di dare tutto se stesso sapendo che il suo partner non avrebbe avuto difficoltà a stargli dietro.
Arrivò il momento della presa e Wakatoshi era lì pronto ad afferrarlo, Tooru si buttò tra le sue braccia con fiducia librandosi in aria come un cigno ad ali spiegate.
Quando Wakatoshi lo fece scendere lentamente, si ritrovò tra le sue braccia, schiacciato contro il suo petto, occhi negli occhi. La musica andò avanti ma loro si fermarono. Avevano entrambi l'affanno.
« Volevo proporti di provare insieme, l’altro giorno » Disse Wakatoshi tra un respiro e l'altro. Non gli lasciò andare la vita e Tooru non si spostò, tenendo le sue mani posate sul suo petto in movimento. Era saldo e sudato.
« Si, ora l'ho capito » Fu la sua risposta.
Wakatoshi allungò una mano e gli scostò via un ricciolo sudato dalla fronte.
« Saliremo sulla cima del mondo con questo spettacolo. Insieme » Aggiunse.
Wakatoshi scrutò i suoi occhi grandi ed espressivi, le dita gli accarezzarono il profilo spigoloso ed elegante del viso.
« Tu lo vuoi davvero? Perché è quello che io voglio, Tooru. Che ho sempre voluto »
Tobio aveva avuto ragione, quel moccioso.
Wakatoshi lo voleva al suo fianco per raggiungere la vetta del mondo della danza.
Forse la storia si sarebbe ricordata di loro.
« Fammi brillare come una supernova, Wakatoshi. Facciamolo vedere al mondo »
Tooru si avventò sulle sue labbra senza pensare, aggrappandogli le braccia al collo.
Il suo se adolescente fremette soddisfatto.
Wakatoshi non lo respinse, al contrario strinse le mani attorno al suo vitino allenato.
Quando Tooru si aggrappò con le gambe attorno alla sua vita, Wakatoshi lo prese pronto, indietreggiò fin dietro le quinte e andò a sbattere contro un pannello di legno con la schiena mentre continuavano a divorarsi di baci voraci e dolci.
Io muoio con un bacio
Sussurrò Tooru con il fiatone sulle labbra del suo nuovo amante.
Wakatoshi lo sospinse tra le tende rosse.

 
¤¤¤


" ... una medaglia ad onore va al nuovo astro nascente della danza classica, Tooru Oikawa, la cui interpretazione ha commosso non solo il pubblico, ma anche la critica. Affiancato da un nome come quello di Wakatoshi Ushijima, l’ étoile dell' Opera di Seijoh ha riportato in vita una storia sempreverde in maniera sublime. Un'opera senza dubbio azzardata, innovativa, con un messaggio tuttavia chiaro ed efficace: l'amore non conosce genere o resa. Ci aspettiamo in futuro grandi cose da questo duo. Il mondo è ai loro piedi e può solo inchinarsi "


Tooru abbassò il giornale e rivolse a Wakatoshi un sorriso a trentadue denti.
Il suo fidanzato si limitò a girare la stecca del caffè con grazia.
La Prima della sera precedente era stata un vero e proprio successo. Senza eguali.
« Hai sentito una sola parola? »
Lo rimproverò Tooru, schiaffeggiandogli la mano. Wakatoshi non cambiò espressione.
« Ascolto sempre quello che dici. Sei la luce dei miei occhi, dopotutto. La mia stella »
Tooru lo guardò con sospetto, ma Wakatoshi era serio.
Diceva sempre quelle cose senza alcun imbarazzo.
« Questo articolo è fantastico » Dichiarò. Wakatoshi bevve il suo caffè in un sorso.
« Sono più interessato a quello su come rimuovere i peli superflui » Disse poi con serenità, osservando la gente che passeggiava per strada, sotto i portici affollati.
Si erano concessi una mattina di riposo dopo mesi di estenuante lavoro e il successo della Prima della sera precedente.
Tooru lo guardò con un'espressione di disgusto palesemente dipinta sul volto.
« Non so come io abbia fatto ad innamorarmi di uno come te » Sbottò, tornando a rivolgere lo sguardo sull'articolo in prima pagina dove c'era una foto spettacolare di lui e Wakatoshi impegnati in una presa. Avrebbe appeso quella prima pagina sulla parete del nuovo appartamento in cui si sarebbero trasferiti insieme molto presto.
Avevano già fatto progetti per il futuro.
Una carriera soddisfacente fino alla fine e poi aprire una scuola di danza insieme.
« Mi sono innamorato prima io »
Tooru tornò a guardare Wakatoshi e quei suoi occhi grigi spettacolari.
Gli aveva confessato che si era invaghito di lui da ben prima che si incontrassero, quando lo aveva visto ballare in televisione per un concorso di minore importanza.
Per Tooru era stata una sorpresa piacevole scoprire di essere sempre stato ricambiato.
« Questo è solo l'inizio » Continuò Wakatoshi, prendendogli una mano per baciargli il dorso con eleganza e affetto. Tooru gli sorrise.
« Puoi ben dirlo »

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Capitolo 11
*** 11. The Dark One and The Elf King ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Fantasy

N° parole: 5979

Note: Con questo prompt ho fatto un vero macello, e più che un fantasy sembra una tragedia. Ma pazienza. In realtà, ho sfogato un po’ qui alcune idee che avevo in mente per dei progetti mai portati a termine. É una storia complessa, che avrebbe meritato molta più attenzione e approfondimento, ma questo è quello che sono riuscita a fare in un giorno di tempo. Ci sono riferimenti espliciti a opere come Il Signore degli Anelli, al folklore bretone, e ad altre cose, l’ispirazione è voluta e consapevole.
Inoltre, mi scuso per i nomi poco originali di luoghi e persone, se avessi avuto più tempo ci avrei lavorato su mooolto meglio.
TW: qui sono d’obbligo per alcune cose. Mpreg: è solamente accennato, non ha nessun fulcro all’interno della storia, ma devo comunque segnalarlo per necessità di cose. Ci sono atti di violenza fisica. In generale è un po’ brutale. Uomo avvisato … già sapete. Buona lettura.










 
The Dark One and The Elf King




Anno 600 dell'Era Buia


L'atmosfera che si respirava alla fine di una battaglia a Tooru non era mai piaciuta.
Nell'aria restava un odore acre di sangue e cenere che gli raspava la gola, il fumo si alzava alto nel cielo. Arrestò i suoi passi arrancanti sulla cima di un precipizio, lasciando cadere l'elmo di Seijoh sul terreno macchiato di brina e sangue.
L'alba di quel giorno era sorta, ma lui non avrebbe trovato alcuna pace.
Nemmeno tutti i secoli del mondo sarebbero stati sufficienti per sopportare quel peso.
Le mani guantate di ferro tremavano, e lasciò andare un singhiozzo quando crollò a terra sulle ginocchia, accanto ad una pira di cadaveri che ancora fumava, dando sfogo alle sue lacrime rumorose.
Si piegò sullo stomaco, stringendo le braccia attorno al petto e pianse e pianse ancora.
Pianse fino a quando un braccio dalla forte presa non si strinse attorno alle sue spalle.
Fu sospinto contro un petto fasciato da un'altra armatura sporca di sangue e fango, e si lasciò andare contro il suo amico di sempre.
Hajime puzzava di fumo, di ruggine e di terreno marcio, ma almeno era vivo.
Era ancora lì. Era lì, ed era forte come una catena indistruttibile che lo avrebbe legato a quella vita immortale per sempre.
« Tooru, mio Signore »
Nella sua voce arrochita dalla lunga battaglia notturna vi era una supplica straziante.
Mio Signore, rialzatevi per favore. Rialzatevi ancora una volta.
Ma Tooru era stanco. Era stanco di lottare, di spargere sangue innocente, di vivere.
Le Terre Emerse erano in guerra da secoli.
E Tooru era stato testimone del principio di quella faida, così come sapeva ne avrebbe anche testimoniato la fine.
Il sole sorse freddo davanti ai loro occhi, si stagliò all'orizzonte, infuocato.
Rosso come il sangue che era stato versato quella notte, ancora una volta.
Testimone della loro tragica storia.
Tooru e Hajime rimasero seduti per terra sul terreno gelido di brina ad assistere allo spettacolo, stretti, fino a quando un tepore tenue accarezzò i loro volti lividi e sporchi.
A quel punto gli occhi di Tooru si erano asciugati e il Re degli Elfi di Seijoh aveva finalmente preso la sua decisione, all'alba di un nuovo giorno di massacro e morte.
« Devo ucciderlo con le mie mani » La voce era roca, la gola bruciava di fumo.
Hajime si irrigidì alle sue spalle.
« Mio Re » Non aggiunse altro.
Come Signore di una delle Casate Nobili Minori, Hajime gli aveva giurato fedeltà.
Ma la fiducia che li legava era ben precedente alla presa di potere di Tooru come Re degli Elfi di Seijoh. Loro si erano giurati amicizia eterna quando erano ancora solo due bambini. Millenni prima, si erano scelti come fratelli.
Hajime conosceva il sacrificio che vi era dietro quelle parole che non aveva mai pronunciato prima. Hajime conosceva l'amore che Tooru aveva deciso di sacrificare. Sapeva che, non appena avesse messo in atto la sua affermazione, una parte di lui sarebbe morta per sempre. Sapeva che avrebbe perso l'amico, l'uomo che conosceva.
Ma era disposto ad accettarlo, nella morsa del dolore di tutti quei millenni di anni che avevano vissuto senza rimpianti.
« Abbiamo vissuto molte ere, Hajime » La presa di Tooru sul suo braccio si fece più forte, alla ricerca di una forza che da solo non avrebbe mai trovato.
Hajime strinse la presa immediatamente.
« È così, mio Re »
« Sei stato un buon amico, per me »Tooru sentì il braccio del Signore della Casata Minore Iwaizumi tremare attorno al suo petto.
Le loro armature dorate splendevano al sole come pepite d'oro consunte, ammaccate.
« E lo sarò fino alla fine, mio Signore »
Tooru annuì, stringendo il pugno fino a quando non divenne del tutto esangue.
« Ci avviamo verso l'ultima battaglia »
« Sarò al vostro fianco, come sempre »
« Bene » Tooru annuì « Bene » Annuì di nuovo « Saperlo mi rincuora molto »
Infuse un po' di leggerezza nel suo tono di voce, un insensato giubilo di fronte la fine.
Circondato dalla morte, il Re degli Elfi di Seijoh non aveva paura del suo destino.


La Lega si era riunita nella Valle dei Corvi, presso la Corte di Re Daichi III, nelle cavità delle Montagne Ululanti di Karasuno.
Terra rigogliosa e indipendente, dominio degli uomini dall'alba delle ere perdute.
« L'Oscuro ha colpito duramente le nostre difese » La voce di Daichi rimbombò contro le pareti della caverna, illuminata da fiaccole crepitanti nel silenzio « Siamo riusciti a respingere il suo esercito oltre la linea di Morguth, ma ad un prezzo altissimo »
Attorno a tavolo rotondo vi era un silenzio assordante.
Daichi mosse alcune pedine sulla mappa a grandezza naturale delle Terre Emerse, facendo indietreggiare le linee nemiche fino alle lande desolate di Morguth.
« Abbiamo timore di pensare che stia per arrivare qualcosa di molto grosso »
Intervenne Tetsuro, il Re dei Demoni infernali di Nekoma.
Tooru spostò lo sguardo su di lui e sul suo Consorte, Kenma il Veggente.
« Ci sono movimenti ai confini di Shiratorizawa »
Intervenne Satori, il Signore dei Druidi Bianchi, indicando la zona di confine tra Shiratorizawa e le lande di Morguth, un tempo appartenute al territorio.
« Il brulicare di qualche sorta di attività » Concluse, infossato nella sedia di pietra.
Non aveva un bell'aspetto e Tooru non lo biasimava, i loro sguardi si incrociarono, comunicando molto più di quanto avrebbero potuto farlo le parole.
« Era da secoli che l'Oscuro non si mostrava di persona su un campo di battaglia »
Gli occhi nella sala si voltarono contemporaneamente verso l'unico uomo rimasto in piedi, Atsumu Miya delle Tribù Selvagge di Inarizaki - La Volpe Rossa. Se ne stava con le braccia incrociate sulla pelle nuda accanto al tavolo, il corpo coperto di tatuaggi teso.
La pelliccia di una volpe gli cadeva sulle spalle possenti, era armato e irrequieto.
Come Daichi III di Karasuno, Atsumu era solo uno degli eredi di quella guerra, nato sotto di essa e costretto a combatterla da tutta la vita.
In una prima fase del conflitto, infatti, erano state la Terra di Seijoh, quella di Shiratorizawa, di Date Tech e di Karasuno ad affrontare l'orda di Orchi guidati e creati dall'Oscuro in quelle che sarebbero diventate le lande di Morguth.
Gli altri si erano uniti nel corso dei secoli di conflitto, quando la situazione era diventata preoccupante, era nata in quel modo la Lega delle Terre Emerse.
In quella stanza, alcuni ne facevano parte fin dagli esordi.
« Voi cosa ne pensate, mio Signore? » Atsumu sollevò lo sguardo su di lui.
Tooru si raddrizzò a sedere, lisciandosi le lunghe vesti azzurre.
Sapeva che la sua intera figura sfolgorava di una tenue luce nell'oscurità della caverna, segno indiscusso della sua immortalità.
« Che l'Oscuro non abbia mai cambiato i suoi obiettivi dall'inizio del conflitto »
Intrecciò le dita davanti al ventre, osservando la mappa in miniatura sul tavolo di quercia « Shiratorizawa è la sua terra natia. La conosce meglio di chiunque altro » Si sporse verso il modellino e indicò la zona segnalata da Satori « Tra le Montagne dell'Aquila Reale vi sono dei passaggi sotterranei »
« Ma quei passaggi sono impraticabili da ... millenni! »
Intervenne prontamente Kotarou, Signore dei Gufi del Gelido Nord.
« Non è corretto » Intervenne Satori, massaggiandosi stanco il ponte del naso.
« L'Oscuro lì sta ricostruendo da lungo tempo. Ne abbiamo avuto la conferma a prezzo di ... molte vite innocenti » Continuò il Druido.
Tooru pensò che stesse facendo riferimento alle sentinelle che aveva mandato in esplorazione quando si era reso conto di quelle attività anomale al confine.
Sentinelle che non avevano fatto ritorno, se non solo una, ormai quasi in fin di vita.
« L'Oscuro ha riparato quelle cavità sotterranee. Ci farà passare un esercito ed entrerà a Shiratorizawa in poco tempo » Concluse Tooru per lui, osservando la mappa.
Il piano ormai gli era chiaro. Lo era diventato nel corso dell'ultima battaglia, quando lo aveva visto scendere in campo per la prima volta da secoli.
« Per tutto questo tempo ha distratto il nostro sguardo con battaglie futili per attuare il suo piano. Ecco perché si è mostrato, sta per agire personalmente » Fu la realizzazione di Tetsuro, e quando Tooru annuì, attorno al tavolo cadde un silenzio pesante e teso.
« Il suo obbiettivo non è mai cambiato » Intervenne Kenma per la prima volta, guardando Tooru negli occhi. Il tavolo si protese verso di lui, in attesa delle sue parole.
Ma Kenma non aveva una visione da cinquecento anni, dal giorno in cui era nato Aranel. La sua vista si era oscurata all'improvviso, come quella di tutti i Veggenti.
Tooru strinse le dita sul grembo.
« Rivuole suo figlio »
« È così » Confermò con voce ferma « Tutto quello che ha fatto è stato per Aranel. Ogni singola mossa. Ci ha fatto solo credere che i suoi obiettivi fossero cambiati »
Nella caverna cadde nuovamente il silenzio.
La portata di quello che avrebbero dovuto affrontare colpì tutti con forza.
Il peso delle conseguenze delle azioni passate dei loro avi.
« E come mai ve ne siete reso conto solo adesso ... mio Signore? » L'intervento di Atsumu fu inaspettato, Tooru affrontò il suo sguardo a testa alta « Dopotutto voi e l'Oscuro eravate ... molto intimi un tempo »
L'aria si fece improvvisamente tesa. Non parlavano mai di quella verità.
Non tutti erano presenti quando tutta quella storia era cominciata.
Molti di loro avevano solo sentito bisbigli e sussurri.
Tooru aveva preso la sua decisione all'alba della loro ultima battaglia, quando si era reso conto che l'Oscuro non aveva mai cambiato i suoi piani. Che il motivo per cui era diventato un mostro ancora alimentava la sua furia.
Tooru si era arreso al destino quel giorno.
« Sposati, se vogliamo essere precisi » Fu la sua replica composta.
Accavallò le gambe sinuose sotto la veste.
Nella sala cadde il silenzio, molti trasalirono. Atsumu perse tutta la sua arroganza.
« Il nome dell'uomo che è divenuto l'Oscuro era Wakatoshi »
La sua voce risuonò forte, rimbombando contro le pareti.
Erano secoli che non veniva pronunciato il suo nome, erano secoli che lui non lo pronunciava. Aveva fatto voto di non farlo fino a quando non sarebbe giunto l'atto finale della loro storia.
« Non pronunciamo il suo nome qui! »
Sbottò Re Daichi posando le mani sul tavolo, aveva un'espressione severa sul volto.
« È solo un nome. Il potere che reca con sé glielo abbiamo concesso noi » Fu la sua replica serena, composta « Wakatoshi era un Druido Bianco molto potente, erede di Shiratorizawa e mio sposo » Continuò, riportando la sua attenzione su Atsumu.
« Io conoscevo lui, non l'Oscuro »
Tooru spostò lo sguardo su uno dei fuochi scoppiettanti, come ipnotizzato.
Era perso nel passato.
« Non so chi sia quella creatura » Mormorò, ricordando occhi di brace.
Ci furono altri minuti di silenzio pesante.
« Il problema adesso è come fermarlo » Parlò dopo qualche istante Tetsuro, ripiegando le sue possenti ali corvine da pipistrello dietro la schiena.
« Non possiamo lasciarlo passare »
« Non passerà, infatti » Intervenne subito Tooru. Lo guardarono di nuovo sorpresi.
« Lo affronterò io personalmente » A quelle parole scoppiò il finimondo attorno al tavolo, e tra il marasma di voci quella di Re Daichi risuonò con più forza e vigore.
« Credete di poter riuscire in questa impresa, Signore degli Elfi? » Domandò, zittendo tutti gli altri « Dopotutto, già una volta avere fatto questa promessa »
Tooru rimase impassibile di fronte a quella lecita insinuazione.
Ma non credeva di poterlo fare. Doveva.
Distruggerò quello che ho creato
Fu la sua ferma risposta.

 
♤♤♤


Satori lo intercettò lungo i corridoi sotterranei delle Montagne Ululanti di Karasuno. Tooru aveva un viaggio da intraprendere prima di compiere la sua impresa.
Indossava un mantello grigio con cappuccio, ma chiunque avrebbe riconosciuto la sua grazia innata e regale. Soprattutto un uomo che era stato al suo comando, un tempo.
« Speravo di poter vedere Aranel con te, mio Signore »
Il Druido Bianco era appoggiato alla parete con le braccia conserte.
Come per Tooru, anche il suo viso non mostrava segni evidenti dell'età.
« Si trova nella Valle dei Laghi Verdi, a Seijoh. Non era contento »
Satori scoppiò a ridere, passandosi un dito sul naso. Sembrava stanco.
« Non ne dubito, con il sangue che gli scorre nelle vene » Commentò, mentre la sua folle risata scemava lentamente in un'espressione seria. Erano lontani i tempi in cui camminavano insieme nei bianchi corridoi del Castello di Cristallo a Shiratorizawa.
Ora si era dovuto sobbarcare un’eredità che non era stata suo diritto di nascita, e forse, inconsciamente, cercava ancora la sua guida, ma Tooru non si era più sentito degno di quel ruolo quando era nato l'Oscuro dalle sue azioni.
« Gli permetterò di combattere l'ultima battaglia » Confessò, ripensando al suo ragazzo. In termini elfici era nel pieno dell’adolescenza, con uno spirito indomito.
Tooru aveva sopportato quei cinquecento anni per lui.
Ma non aveva fatto un buon lavoro, l’amore che provava per suo padre era troppo grande perché non potesse fargli vedere anche il suo grande dolore.
« Voglio che Wakatoshi possa vederlo almeno un'ultima volta »
Satori era l'unico uomo con cui Tooru poteva pronunciare quel nome senza preoccuparsi. Entrambi erano ancora in lutto per l'amante e l'amico che avevano perduto. Non potevano dimenticare quel nome. Non loro.
Lo avrebbe già fatto la storia.
« Sarà una scena pietosa per Aranel »
Satori incrociò le braccia al petto, osservandolo dritto negli occhi.
« Non conosce suo padre. Era piccolo quando se n'è ... andato. Ma ha sempre nutrito la speranza di riportarlo indietro » Tooru strinse le dita con forza davanti al grembo « È colpa mia. I primi tempi dopo ... io ero vivo a malapena. Il mio dolore era troppo forte e ... ho trascurato quello di Aranel. Lui si è visto privato del padre e ... anche di una madre. Ero ossessionato dal rivolere Wakatoshi indietro perché vivere un'eternità senza di lui mi sembrava un abominio »
Tooru ripensò al fantasma che era stato a quei tempi.
Aranel aveva solo cinquanta anni, era un bambino in termini elfici.
Aveva visto cose che non avrebbe dovuto.
Mamma, mamma non piangere. Salverò io papà, te lo prometto. Mamma!
La sua voce infantile gli risuonava ancora nelle orecchie cose se fosse successo solo ieri, nei giorni in cui restava steso nel letto desiderando di morire.
« Sa che Wakatoshi ha fatto tutto quello che ha fatto per lui »
Intervenne Satori, spostando lo sguardo ipnotizzato sulla parete di fronte, uno dei suoi occhi, quello sinistro, era cieco. Aveva cercato di riportare indietro il suo Signore, come Tooru, ma nel tentativo aveva perso anche Reon, Eita e Kenjirou.
« È così. Per questo è smanioso. Crede di poterlo cambiare. Non capisce che ormai suo padre ha - » Si interruppe, mordendosi il labbro inferiore.
Nel corso di quei cinquecento anni Tooru aveva imparato a soffocare il desiderio di averlo accanto come aveva sempre fatto fin da quando erano bambini, di cercarlo nei momenti di sconforto, di rannicchiarsi nel letto e piangere ore e ore, di desiderare le sue mani addosso anche solo per una carezza. Era bastato rivederlo sul campo di battaglia per pochi istanti appena per rendersi conto che non era servito a niente.
Lo avrebbe amato fino alla fine delle ere, qualsiasi forma lui avesse assunto.
Qualsiasi cosa avesse o avrebbe fatto.
Aveva tentato di proteggere Aranel dalla verità, ma inutilmente.
« Suo padre ha superato la linea del non ritorno » Satori concluse la frase per lui.
Tooru annuì, tornando a ricomporsi.
« Wakatoshi era il mio migliore amico » Un fratello del patto di sangue, ecco che cosa erano loro due. Un patto fatto da bambini molto simile a quello che lui stesso aveva stretto con Hajime. Quando l'anima di Wakatoshi si era macchiata di sangue, lo aveva fatto anche quella di Satori. Non era stato mai più lo stesso.
« Sono colpevole quanto te di non averlo fermato. Ci convivo ogni giorno »
Satori sciolse la presa delle braccia e protese una mano callosa e piena di cicatrici verso di lui. Tooru gliela strinse, permettendogli di trovare un po' di pace nel suo tocco.
« Vorrei essere con te quando sarà il momento, mio Signore »
Satori chinò leggermente il capo in avanti. Un gesto di eterna sottomissione ed eterno servizio, come aveva giurato quando era diventato il Consorte del suo Signore.
« Saremo tutti lì » Confermò Tooru, stringendogli la mano con forza « Per accompagnarlo oltre nelle terre Elisee. È arrivato il momento di mantener fede ad un vecchio patto del passato »

 
♤♤♤


La prima volta che Tooru era stato in quelle caverne a nord, oltre le Terre Selvagge, era solamente un giovane innamorato. Voleva conoscere il proprio destino di gloria.
Era andato dal Veggente Maggiore sulle Montagne di Itachiyama sfidando la sorte.
L'arroganza lo aveva spinto. Era venuto a conoscenza del fatto che al momento della loro nascita - avvenuta lo stesso giorno del passaggio della Cometa Nefasta - sia lui che Wakatoshi avevano ricevuto una profezia. Alla vigilia della loro unione, disapprovata dalle rispettive Casate, Tooru voleva avere delle risposte.
Il Veggente Maggiore - un tempo conosciuto come Kiyoomi Sakusa - era un eremita asociale e scontroso, che richiedeva sempre un prezzo in cambio delle sue profezie.
Tooru aveva ceduto la sua Stella Natia per l'occasione, la collana della sua nascita, intrisa del suo potere luminoso. Una fonte di nutrimento eterno.
Kiyoomi, in cambio, gli aveva descritto un futuro di dolore e sofferenza, di distruzione.
« Se sposerai il Signore dei Druidi Bianchi le Terre Emerse cadranno nel caos, figlio della luce. Ci saranno secoli di oscurità, orde infernali cammineranno su questa terra. E il frutto della vostra unione oscurità la vista di coloro che vedono al futuro. L'Oscuro sorgerà dalle ceneri in cui viene soffocato con fatica »
Tooru ricordava le parole di quella profezia come se fosse stata pronunciata ieri.
Ma all'epoca era arrogante e innamorato.
« Io non ho paura del destino »
« Non puoi salvare l'uomo che ami dal suo fato, figlio della luce »
« Staremo a vedere »
Il Veggente Maggiore aveva avuto ragione.
Tooru non era riuscito a salvare nessuno, e la profezia in fine si era avverata.
« Non sei cambiato molto, figlio della luce » Sorrise quando quella voce lo accolse, mentre spostava le liane che ostruivano il passaggio nella grotta.
Nemmeno Kiyoomi era cambiato di una virgola dall’ultima volta.
Sedeva sul suo giaciglio a gambe incrociate, il corpo sempre giovane, gli occhi bendati.
L'unica differenza stava nella collana lucente che portava al collo, la sua collana, che gli allungava la vita e prolungava anche la giovinezza del suo corpo.
« Sono qui per un tuo consiglio » Esordì.
Kiyoomi proruppe in una risata roca e secca.
« I miei occhi sono ciechi da cinquecento anni. Non ho profezie per te »
« Non è di una profezia che ho bisogno » Tooru era calmo mentre passeggiava nella caverna solitaria, osservando i pochi oggetti di vita di quel vecchio eremita immortale.
« Voglio sapere come uccidere l'Oscuro »
Andò dritto al punto, arrestandosi davanti a lui.
Nonostante fosse cieco, sapeva che Kiyoomi poteva vederlo, anche se in forma diversa.
Il Veggente Maggiore fece un sorriso grottesco, come quello di un predatore.
« Ti avevo avvertito, molti anni fa »
« Lo so » Fu la sua risposta pacata.
« L'Oscuro risorgerà dalle ceneri del suo potere assopito e morte ricadrà su questa terra. Sarai tu, figlio della luce, a piangere sul suo sudario » Recitò a memoria il Veggente.
Tooru ricordava bene anche quelle parole.
« Ero un giovane arrogante. Sono qui per compiere il mio destino » Disse, umile.
Kiyoomi tacque per qualche secondo, restando seduto sul suo giaciglio di piante.
« L'Oscuro aveva un cuore umano. Quel cuore è ancora dentro di lui »

 
♤♤♤


Erano stati loro due a dare inizio all'Era Buia.
All'epoca non ne erano consapevoli.
Quando si erano incontrati per la prima volta, Il Principe del Elfi di Seijoh e Il Signore dei Druidi Bianchi di Shiratorizawa, si erano amati che erano ancora solo due bambini. Non avevano idea che il loro amore fosse nato sotto una cattiva stella.


Tooru era venuto al mondo con una profezia.
Aveva emesso il suo primo vagito quando la Cometa Nefasta aveva tracciato l'arco del suo passaggio nel cielo stellato. Sua madre lo aveva appena stretto tra le braccia che il Veggente di Corte aveva emesso la sua sentenza: Il figlio della luce avrà grande onore tra la sua gente. Ma il suo destino è oscuro come il cuore di chi lo amerà.
I suoi genitori si erano spaventati.
Quando aveva conosciuto il Signore dei Druidi Bianchi, tutto aveva avuto senso.


Wakatoshi era venuto al mondo con una profezia.
Aveva emesso il suo primo vagito quando la Cometa Nefasta aveva tracciato l'arco del suo passaggio nel cielo stellato. Sua madre lo aveva appena stretto tra le braccia che il Veggente Druido aveva emesso la sua sentenza: In essi vive un cuore oscuro, che distruzione nefanda con sé arrecherà, quando la luce di Seijoh incontrerà.
I suoi genitori si erano spaventati.
Crescendo, Wakatoshi aveva scoperto di possedere un enorme potere interiore.
Una parte di quel potere era luce, l'altra parte era ombra e oscurità pressante.
Fin da bambino aveva imparato a domarla e controllarla.
Aveva vissuto la sua vita nella luce, fino a quando non aveva incontrato Tooru.


Si erano amati dal primo istante.
Nei Giardini di Lothriel, dove tutto aveva avuto inizio per loro. Sotto i portici verdeggianti, tra le cascate dorate, in un giorno di sole.
Era cominciata con un fiore.
Wakatoshi ne lasciava uno ogni giorno sul suo balcone, colorato, di modo che spiccasse tra i rampicanti verdi che lo ricoprivano.
Tooru vedeva la paura che gli altri avevano di lui e del destino che lo rivestiva come un’ombra, ma ne era affascinato.
L'oscurità di Wakatoshi non lo spaventava.
La sua luce sarebbe stata sufficiente ad illuminarlo per sempre.
Ne era davvero convinto. Era convinto che sarebbe bastato a spezzare il destino.


Si sposarono contro il volere degli altri.
Tooru amava il Castello di Cristallo, la loro casa. Era verde, rigogliosa, si trovava alla fine dei territori di Shiratorizawa, a contatto con il mare ignoto.
Li passò gli anni migliori della sua vita e del suo amore incommensurabile.
E fu lì che ebbe la gioia più grande.
« Che cos'è? » Aveva chiesto Wakatoshi con voce atona, osservando la sua mano chiusa. Si trovavano nel giardino interno, quello privato che affacciava sulle loro stanze.
Erano seduti sul bordo della fontana che spruzzava acqua fresca e rigogliosa.
Tooru aveva riso girando il pugno chiuso verso di lui, poi lo aveva aperto lentamente. Dentro era sbocciato un fiore bianco.
Wakatoshi lo aveva guardato senza capire.
« È sbocciato un fiore dentro di me » Tooru aveva spiegato con pazienza.
L’altro ci aveva messo un po' ma poi aveva capito, e prima che Tooru potesse rendersene conto si era ritrovato tra le sue braccia in un raro moto plateale di amore e affetto.
Era stato allora che lo aveva perso per sempre, in quell’istante, ma all'epoca Tooru non lo sapeva. Nel loro momento più bello.


Regalandogli un figlio, Tooru lo aveva perso.


Aranel era nato con una profezia, come i suoi genitori prima di lui.
Una profezia nefasta e tragica. Parlava della fine della loro era così come la conoscevano.
La sua nascita avrebbe reso ciechi Veggenti e cambiato la storia del mondo.
La cosa non ebbe alcuna conseguenza all’inizio, fino a quando, una notte, quando Aranel era ancora solo un neonato, tentarono di assassinarlo.
Fu la prima volta in cui Tooru intravide l'Oscuro.
Prese il sopravvento per una frazione di secondo e massacrò tutti.
Tooru ricordava di come, con Aranel stretto al petto, fosse indietreggiato spaventato alla vista di Wakatoshi con quell'espressione trasfigurata, gli occhi di fuoco rovente.
Il marito aveva allungato una mano sporca di sangue verso di lui, anche il suo volto era macchiato, il portico disseminato di cadaveri.
« Tooru, vieni da me. Vi terrò al sicuro »
E lui aveva afferrato quella mano sporca.


Era stata la prima volta che Wakatoshi aveva ucciso per loro.


Aranel cresceva e con lui Tooru vide crescere anche l'ombra dentro suo marito, si ingrossava come un'onda durante le tempeste.
Wakatoshi divenne paranoico. Cominciò a vedere complotti ovunque.
Chiuse Tooru e Aranel in casa, nonostante le sue suppliche.
Ci fu un solo momento, un istante, in cui Tooru si illuse di potergli dare pace, di poterlo riportare alla sua luce. Di riavere l'uomo che aveva amato.
Quando scoprì di aspettare un secondogenito.
Fu la luce folgorante di un istante.
Perse quella creatura di un secondo attentato.
Fu trafitto al ventre da un pugnale.


Quello fu il punto di non ritorno.


Wakatoshi compì l'atto atroce che non gli avrebbe mai più permesso di tornare indietro.
Vi era un Tempio Sacro nelle terre di Date Tech, un tempio dove venivano addestrati i bambini a diventare soldati. Il futuro del regno. Le nuove speranze.
L'alba di quel giorno nefasto sorse insanguinata sul principio di una nuova era.
Quei piccoli corpi spezzati la testimonianza di un orrore atroce.


Tooru aveva capito solo allora.
Aveva capito che non avrebbe mai potuto spezzare il destino, nemmeno con tutto l'amore del mondo. Il Fato era un nemico troppo grande perfino per lui.
« Che cosa hai fatto, Wakatoshi »
Aveva mormorato, la voce spezzata e gli occhi sgranati.
Non vi era più traccia di quegli occhi grigi e gentili che aveva amato.
Un rosso dilagante aveva preso il possesso.
« Li ho privati dei loro figli. Come hanno privato me dei miei »
Era stato l'Oscuro a parlare per la prima volta.
Era sorto dalla ceneri, proprio come aveva decretato la profezia: ed era stato Tooru a risvegliarlo. Inconsapevolmente.
« Vieni, Tooru. Spazzerò via ogni cosa e ostacolo che si metterà contro Aranel e contro di noi. Vieni, mia stella luminosa »
E Tooru aveva afferrato ancora una volta quella mano, ma stretto nel suo abbraccio era stato consapevole di una cosa: lo aveva fatto per tradirlo.


Tooru strinse un accordo con le fazioni che avevano tentato di uccidere Aranel.
Le fazioni che lo avevano accoltellato nel grembo, privandolo per sempre della possibilità di concepire altri eredi: Karasuno, Date Tech, Nekoma, Fukurodani.
Erano solo alcuni tra i nomi di coloro che avevano tentato di distruggere la sua famiglia.
Strinse quel patto perché voleva salvare l'amore della sua vita.
Il suo cuore. Voleva provarci ancora una volta.
« Voi garantirete protezione eterna per mio figlio. In cambio, io proverò a fermare mio ... l'Oscuro » Era stato stretto un patto di sangue inscindibile, di generazione in generazione avrebbero dovuto rispettarlo. Se fosse stato fatto del male ad Aranel una grande sciagura di sarebbe abbattuta su di loro e sulle loro terre.
Suo figlio era al sicuro. In quel modo, avrebbe potuto riavere indietro suo marito.
Un patto rischioso, ma necessario.
Era solo un illuso. Quando Wakatoshi lo aveva scoperto, si era sentito tradito nel profondo dall'unica persona che ancora smuoveva dentro di lui un sentimento umano.
« Dimmi dove hai nascosto Aranel »
Tooru non riusciva a respirare quando gli era stata posta quella domanda, perché Wakatoshi lo teneva per il collo e stringeva con violenza.
Aveva scosso la testa, piangeva.
« Ti - ti p-prego. Luce - l-uce del mio cuore » Aveva provato a sfiorargli il viso, senza successo. Soffocava nella stretta di quella mano che mai, fino a quel momento, gli aveva fatto del male. Ma nemmeno quel nomignolo servì a fermare quello che venne.
Wakatoshi lo scagliò contro un muro.
Se non fosse stato immortale, Tooru sarebbe morto sul colpo. Il corpo spezzato a metà.
« Dove hai nascosto mio figlio! » La sua voce aveva tuonato, facendo vibrare le pareti della loro casa, calcinacci erano caduti copiosi dal soffitto.
Tooru aveva scosso testa, in preda al dolore. Non riusciva a pronunciare nessuna parola.
A quel punto, Wakatoshi gli si era avvicinato, inginocchiato a terra gli aveva spostato una ciocca di capelli dal viso bagnato di lacrime.
« Sei ancora così bello. Sopratutto nel dolore. Dimmi dove hai messo Aranel, Tooru. Lo proteggerò » Lo aveva accarezzato con quelle dita con cui lo aveva anche picchiato.
Non puoi proteggerlo da te stesso.
Non era riuscito a pronunciare quelle parole.
Aveva invece estratto il pugnale nascosto e glielo aveva conficcato nel fianco, ad un soffio dal cuore. Wakatoshi aveva ruggito come un animale.
Si era dibattuto, circondato da un potere nero che lo avvolgeva come una coperta.
Tutta la potenza devastante della sua magia oscura, finalmente liberata alla sua massima potenza, che niente avrebbe potuto contro la luce.
Tooru aveva creduto che sarebbe morto lì, fallendo miseramente nella sua missione.
Era stato Satori a salvare entrambi.
Era strisciato verso di lui, mezzo cieco, e aveva creato uno scudo sufficiente a sopportare l'impatto d'urto che venne dall'esplosione di quella massa di potere.
Quando avevano riaperto gli occhi, del Castello di Cristallo erano rimaste solo rovine carbonizzate, e nel raggio di chilometri una landa desolata di cenere, che sarebbe stata ribattezzata con il nome di Morguth - morte, nella lingua antica.
Wakatoshi era solo un corpo carbonizzato riverso nella cenere, del suo bellissimo volto erano rimasti solo gli occhi, rosso fuoco.
Tooru li aveva incrociati nel dolore.
《 Io ti odio. Ti odio!
Aveva gracchiato il suo amore con voce distrutta, le corde vocali fatte a pezzi.
Non aveva avuto modo di dirgli niente quel giorno. Satori lo aveva portato via.


Wakatoshi era morto lì.
Dalle sue ceneri era sorto l'Oscuro.


E per cinquecento anni Tooru non lo aveva più visto. Fino all'alba di quella battaglia.

 
♤♤♤


La storia era cominciata con loro, e con loro si sarebbe conclusa.
Sulle rovine della loro casa, dove stava avvenendo l'ultima battaglia decisiva.
Tooru si era fatto strada combattendo, la sua armatura dorata scintillante e l'elmo con le orecchie a punta calato sul volto.
Lo tolse quando si ritrovò di fronte il suo nemico, un'attesa lunga cinquecento anni.
L'Oscuro era bardato nella sua armatura di ferro nero, l'elmo a forma di Aquila Reale lasciava intravedere solo i suoi occhi rossi.
« Il Re degli Elfi di Seijoh in persona »
Nel fragore della battaglia, quella voce rasposa e monocorde fu udita solamente da lui. Tooru sguainò la spada lucente. L'Oscuro fece lo stesso con quella d'ossidiana. Il cuore gli rombava nel petto mentre si scagliava contro di lui con un grido feroce di battaglia.
« Finiamo quello che abbiamo cominciato insieme ... Wakatoshi »
Le spade cozzarono tra di loro, scatenando scintille.
Due onde d'urto, di luce e tenebre, si propagarono come raggi nell'aria.
Ingaggiarono una lotta violenta di fendenti e stoccate, un occhio umano avrebbe visto solo due lampi di luce opposta scontrarsi. Raggiunsero quello che un tempo era stato il cortile, la battaglia che infuriava attorno a loro. Si fronteggiarono nel loro posto felice.
Sulla macerie della loro vita. Del loro amore.
« Non sei cambiato di una virgola »
« Lo stesso non posso dire di te » Tooru parò un fendente, ma non vide il pugnale arrivare da basso, gli graffiò l'addome e ruzzolò a terra, sui detriti bruciati.
Si portò una mano sulla ferita e indietreggiò.
Wakatoshi incedeva verso di lui con calma, la spada nera stretta nel pugno.
« Sei finalmente venuto a compiere il tuo destino, Tooru? » I pesanti stivali di ferro frantumavano i detriti al loro passaggio. Tooru urtò con la schiena contro il muro.
« Ma non sei ancora abbastanza forte. Non sei abbastanza forte per liberarmi da questo tormento » Trattenne il fiato nel sentire quelle parole e sollevò lo sguardo sorpreso.
Wakatoshi fece per calare la spada su di lui.
A quel punto, successero molte cose contemporaneamente.
« Mio Signore! »
« Wakatoshi no! »
Ruggirono Hajime e Satori nello stesso momento, correndo verso di loro mentre venivano sospinti via dalla calca degli Orchi. Le loro braccia protese in avanti.
« Madre! » Aranel apparve nel loro campo visivo, sporco di sangue nero e con l'affanno.
I suoi occhi grigi e taglienti erano spalancati.
I lunghi capelli castani gli sferzavano il viso.
« Aranel, no! Sta indietro! » Gridò Tooru.
« Padre! Padre sono io » Insistette Aranel, avanzando.
La corsa della spada d'ossidiana si arrestò.
Wakatoshi vacillò, voltando il capo coperto verso il figlio che non aveva visto crescere.
« Aranel - la mia creatura » Mormorò Wakatoshi, pronunciato il significato nascosto del nome che avevano scelto insieme per il loro fiore.
Tooru colse subito l'occasione.
Creò un muro di luce tra loro e il figlio, che fu sbalzato via indietro di qualche metro.
Poi si tirò in piedi di colpo e sbatté Wakatoshi contro i resti di un muro su cui un tempo cresceva del glicine. Avrebbe potuto ucciderlo con il suo potere oscuro, ma non lo fece.
Era sempre stato più forte di lui, ma non si difese.
« Questa volta non sbagliare mira, mia stella luminosa »
Tooru sentì il cuore spezzarsi in mille pezzi quando il luccichio del pugnale balenò nel vuoto e si conficcò nel cuore di Wakatoshi.
Mia stella luminosa.
Lo chiamava in quel modo quando l'Oscuro era ancora ben sepolto dentro il suo cuore.
Wakatoshi ebbe solo un sussulto, mentre le dita sfioravano la sua guancia.
« Vai in pace, luce del mio cuore »
Mormorò Tooru, accasciandosi a terra, sospinto dal suo peso.


Il muro di luce perse di intensità.
Quando Aranel riuscì a vederci qualcosa, non vi erano più scintille di luce e tenebre, il
frastuono della battaglia era cessato. Gli Orchi giacevano a terra privi di vita.
L'unica cosa che vide furono due corpi rannicchiati sul terreno, tra le macerie della casa dove era venuto alla luce. Fece per corrervi incontro, ma due mani diverse lo fermarono, agguantandolo per le braccia, Hajime e Satori.
« Non andare, aspetta » Gli sussurrò il Druido Bianco. La sua voce piena di dolore.
Aranel guardò i suoi genitori.
Tooru era accovacciato a terra e stringeva il corpo di Wakatoshi, abbandonato al suolo, come avrebbe potuto fare con un bambino, contro il suo petto.
Lo cullava, oscillando avanti e indietro come una nenia.
Gli aveva tolto l'elmo di ferro nero, il suo volto coperto da cicatrici era irriconoscibile anche per lui, che aveva di suo padre solo un vago ricordo di bambino.
Tooru lo accarezzava con amore, cullandosi.
« Luce del mio cuore. Luce del mio cuore, va tutto bene. Tutto bene. Riposa adesso »
Aranel strinse i pugni, soffocando le lacrime.
« Sarai tu, figlio della luce, a piangere sul suo sudario »
Sussurrò Satori al suo fianco. Aranel si strinse a lui con forza.
Tooru aveva compiuto il suo destino.


All'alba di quella nuova era Aranel aveva perso tutto. Un padre, una madre.
Il destino aveva fatto il proprio corso.
Da lui sarebbe nata una nuova era: Aranel - la mia creatura.
Chiamando suo padre nell’atto finale, aveva risvegliato in lui quella parte umana sepolta sotto le tenebre, per un solo istante Wakatoshi aveva ricordato il nome che aveva scelto per il suo unico erede. Quell’attimo era bastato a Tooru per agire.
La profezia era compiuta.


Sulle rovine della sua casa natia Aranel sollevò il volto al cielo.
« Chiameremo questa nuova epoca Era della Speranza » Mormorò, osservando sua madre che continuava a cullare suo padre come se fosse un bambino.
« Un bel nome » Commentò Hajime e Satori annuì.
Nell’atto finale erano stati tutti li, insieme.


Io non ho paura del destino.

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Capitolo 12
*** 12. The Demon and The Hunter ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Demon Hunter

N° parole: 6980

Note: questa one-shot dovrebbe essere ROSSA! Quindi leggete con cautela, per favore.
Non ho intenzione di cambiare il rating della raccolta, per ora, ma se in futuro dovesse uscirmi qualcos’altro di rosso ci penserò su.
TW: violenza fisica, turpiloquio, sesso.







 
The Demon and The Hunter


"Non sarà il demone a scegliervi, sarete voi a scegliere il vostro demone."

( Platone - La Repubblica)




Bip-bip. Bip-bip.
Wakatoshi non diede il tempo alla ricetrasmittente di suonare ancora una volta.
Premette il pulsante e si schiacciò contro il muro, facendo cenno a Kenjirou di andare avanti con un gesto secco delle dita.
« Golden Eagle a rapporto » Bisbigliò. Dall'altro lato della ricezione si sentirono delle interferenze iniziali, Wakatoshi schiacciò l'auricolare con forza nell'orecchio, poi arrivarono parole ben distinte.
« ... preso uno poco fuori dalla casa diroccata »
Riconobbe la voce del suo braccio destro, Satori.
« Ricevuto. Puliamo l'area e arriviamo, passo e chiudo »
Bisbigliò, mentre si accovacciava alla base del muro per sbirciare in un'altra stanza vuota, devastata e muffita.
« Ricevuto, passo e chiudo »
Arrivò dall'altra parte, poi il silenzio dopo il bip di chiusura.
Wakatoshi fece un respiro profondo e sistemò il fucile a pompa sulla spalla, ricaricandolo di colpi con una mano sola. Kenjirou, Tsutomu e Jin erano appostati accanto ad una porta da cui provenivano dei rumori molesti, come di carne strappata.
Il primo incrociò il suo sguardo e fece un cenno con il capo, indicando la stanza buia.
Wakatoshi annuì con fare deciso.
L'istante successivo irruppero nella stanza sparando a tutto spiano.
« Vi facciamo saltare le budella, stronzi! »
La risata sguaiata di Tsutomu risuonò violenta tra i ringhi disumani e i colpi da sparo.

 
◇◇◇


La retata era stata un successo.
Al quartier generale, il vecchio Tanji sarebbe stato contento del risultato.
Quattordici demoni uccisi, un prigioniero come richiesto e solamente tre fuggitivi.
La soffiata avuta dalla divisione Karasuno si era rivelata vera.
Il covo era nei loro territori ed era piuttosto grosso, un bel bottino.
Wakatoshi scese dalla macchina sbattendo la portiera con garbo, gli stivali scricchiolarono sulla ghiaia del vialetto. Satori era appoggiato contro la fiancata della sua Berlina nera tirata a lucido, riparava una sigaretta dal vento mentre cercava di accenderla con un fiammifero.
« Lo stronzetto ha un bel caratterino »
Lo accolse, scuotendo la mano per spegnere il fiammifero, che poi buttò a terra.
La sua divisa era sporca di sangue di demone, qualche schizzo gli era arrivato anche sul volto. Wakatoshi lanciò un'occhiata al casermone, quell'imponente struttura che si stagliava buia nella notte. La prigione per demoni.
« È un demone Gamchicolh. Fai attenzione quando vai lì dentro »
Lo istruì Satori, Wakatoshi lo guardò con un sopracciglio sollevato, mentre l'altro si puliva il sangue secco dal viso con il pollice destro.
« Avete preso un demone maggiore » Commentò, prendendo la sigaretta che gli porgeva l'altro per fare un tiro, era una Camel One. Satori gli passò il pacchetto al volo e Wakatoshi lo afferrò con la mano sinistra. Ne era rimasta solo una.
Se la mise nella tasca dei pantaloni sintetici della divisa da lavoro.
« Già » Commentò Satori, riprendendosi la sigaretta « Taichi ha perso due dita »
Wakatoshi sollevò entrambe le sopracciglia stavolta, tornando a fissare la struttura.
« Reon è andato a fare rapporto al vecchio. Stasera non dovremo sentire il puzzo di piscio di gatti che si porta dietro » Satori buttò la sigaretta sul selciato e la spense con il tacco pesante di uno stivalone. Poi guardò l'orologio che aveva al polso.
« Sono solo le due di notte » Fischiò entusiasta « Abbiamo fatto presto stanotte. Avrò il tempo per una scopata decente » Wakatoshi tornò a fissare la struttura.
« Tu che fai, vieni con me al club? »
Gli chiese l'amico aggirando la Berlina per raggiungere il lato del guidatore.
Wakatoshi ci pensò su un attimo. Lo avrebbe aspettato una nottata di interrogatori pesanti al prossimo turno di lavoro.
« Tsutomu » Chiamò a voce alta. La nuova recluta voltò subito lo sguardo nella sua direzione, smettendo di parlare con Jin all'entrata della base d'addestramento.
Wakatoshi gli lanciò le chiavi della sua jeep.
« Riportami la macchina a casa »
« Certo, Capitano! » Rispose il ragazzo entusiasta.
Wakatoshi salì sul lato del passeggero con grazia fluida.
« Quel moccioso ti venera » Ridacchiò Satori mentre metteva in moto.
Sgommò in retromarcia e uscì dal vialetto.
« È promettente » Fu il suo commento a riguardo, mentre si rilassava contro il sedile.
Satori imboccò la statale deserta.
« Chissà se Mina è di turno, stasera. Come sa fare lei i pompini nessuna. Ti giuro! Mi fa sborrare come fossi un moccioso » Wakatoshi chiuse gli occhi.
« Dovresti uscirci insieme » Disse.
« Scherzi?! » Sbottò Satori, sporgendosi in avanti per armeggiare con le frequenze radio, la maggior parte erano disturbate per via della zona abbandonata « Perché complicarsi la vita con una relazione quando si può scopare senza impegno? Non se ne parla, amico. Non di nuovo. Niente sentimenti. Ah, ecco! »
La radio aveva agganciato la frequenza giusta, una canzone famosa risuonò all'interno dell'abitacolo pulito e curato.
« ... 'cause I keep runnin' runnin' runnin' from my heart » Prese a cantare Satori stonato.
Wakatoshi guardò la strada scorrere buia fuori dal finestrino, i campi incolti e le abitazioni scure. La luna era piena quella notte.
Non vedeva l'ora di scolarsi un bel bicchiere di brandy freddo.

 
◇◇◇


« Le ho preso del caffè, Capitano! »
Tsutomu lo accolse con entusiasmo quella sera, non appena entrò nell'ufficio della base d'addestramento. Le nuove reclute erano tutte riunite attorno alle scrivanie, alle prese con le scartoffie, ma era evidente che stessero perdendo tempo prima che lui arrivasse, perché chi aveva assunto posizioni rilassate si ricompose frettolosamente.
A Wakatoshi non importava un granché.
Anche lui odiava il lavoro d'ufficio, per quanto necessario, e non aveva nulla da ridire fin quando i suoi uomini erano capaci sul campo.
« Grazie » Replicò senza inflessioni particolari, prendendo al volo il caffè che gli era stato offerto. Ne bevve un sorso: amaro, proprio come piaceva a lui.
Passò accanto al tavolo di Kai e prese una delle ciambelle colorate e zuccherose sistemate con cura dentro una scatola. La morse, era al gusto di pistacchio, non male.
« Vuole che ordiniamo qualcosa da mangiare, Capitano? » Chiese Tsutomu.
Nel frattempo, Wakatoshi si era avvicinato alla sua scrivania, andava di fretta.
Fece una smorfia appena accennata alla vista della pila di scartoffie accumulate in cartelline colorate al centro del tavolo e iniziò ad aprire i cassetti.
« Dell' hayashi rice » Rispose distrattamente, frugando tra il proprio disordine cronico.
« Ma lo ha ordinato anche ieri ... »
Wakatoshi non sentì il mormorio della recluta, sollevò lo sguardo e si fermò un istante, guardando l'ufficio confusionario. Sei scrivanie, tutte ingombre, un archivio di documenti che non veniva sistemato da mesi, piante morte sui davanzali, polvere e sporcizia. Quell'ufficio era terribile.
« Avete visto il mio badge di accesso alle prigioni? » Domandò, grattandosi la nuca.
Non ricordava dove lo aveva messo l'ultima volta, ma gli serviva urgentemente.
« Mi sembra di averlo visto tra i documenti sulla sua scrivania »
Intervenne Yushou, staccando lo sguardo dallo schermo del computer, dove stava battendo qualcosa a mano con svogliatezza. Wakatoshi si affrettò a cercare.
Lo trovò tra un rapporto non finito e un post-it giallo con su scritto: Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi. Firma i documenti, per favore. - Leyla.
La loro segretaria, assente da qualche settimana per congedo maternità.
Se lo infilò con fretta.
Mentre lasciava la stanza sentì le reclute bisticciare in maniera bonaria tra loro.
« Sei il solito lecca culo, Tsutomu » Diceva Kai con voce decisoria.
« Non è vero! » Strepitò l'accusato.
« Al Capitano comunque piacciono più grandi. Quindi se fossi in te punterei su un uccello diverso » Quello era Yu, sboccato.
« Non ho quelle intenzioni! » Strepitò Tsutomu.
« Si, come no ... »
« Vi giuro di no! »
Accennando un sorrisetto, Wakatoshi non sentì il seguito della conversazione.

 
◇◇◇

« Sei in ritardo »
Lo accolse Satori davanti all'enorme porta di acciaio a doppio battente che portava alle prigioni. Mostrarono i badge alle guardie, che si affrettarono ad aprire il passaggio. Wakatoshi non rivolse nemmeno un'occhiata al suo braccio destro quando disse: « E tu hai ancora i postumi di una sbornia » Satori fece una smorfia, massaggiandosi una tempia. Entrarono in un corridoio asettico, tanto bianco da accecare, con una serie di celle sui due lati - contrassegnate da numeri in ordine cronologico - chiuse da porte blindate di piombo e acciaio. Erano vuote, ad eccezione di una.
« Il vecchio si arrabbierà, Satori. Non posso coprirti di nuovo »
Il loro obiettivo era sottoterra, nella stanza degli interrogatori.
Svoltarono in fondo e presero le scale d'emergenza per accorciare il tragitto.
« Che non mi rompesse le palle. Sono abbastanza lucido per ammazzare un bel po' di demoni, se necessario » Ed era vero.
Ogni cacciatore di demone aveva il proprio vizio personale. Per Satori erano l'alcol e le donne. Il modo di sfogare lo stress di un lavoro come il loro, pagato bene ma rischioso.
Ogni cacciatore che entrava nell'organizzazione aveva un passato di natura violenta con un demone, qualche conto da saldare. Per Satori si trattava di una moglie.
« Capitano, Vice-capitano! » Salutò Taichi davanti la porta degli interrogatori, ben chiusa. Wakatoshi si sorprese di vederlo lì.
Diede uno sguardo alla sua mano fasciata, sangue fresco sporcava ancora le bende.
« Ah, si » Commentò l'uomo seguendo la direzione del suo sguardo, sollevò la fasciatura elaborata « Mano sinistra, per fortuna. Metà mignolo e un pezzo di falangetta dell'anulare sono andati. Posso ancora sparare bene con la destra » Taichi sembrava particolarmente fiero di sé, ma doveva essere sotto effetto di antibiotici e anestetici.
« La puttana si trova qui dentro » Indicò la porta blindata, chiusa ermeticamente.
« Il Generale Tanji? » Domandò Satori, mentre Wakatoshi si preparava mentalmente ad affrontare quell'interrogatorio.
« Non verrà. Riunione urgente. Vuole un rapporto dettagliato dell'operazione »
« Altre scartoffie » Si lamentò Satori, alzando gli occhi al cielo.
Wakatoshi invece fece cenno a Taichi che sarebbe entrato.
Voleva finire presto quel lavoro ingrato ed andare a pranzare.
« È insidioso, Capitano » Lo mise in guardia Taichi, facendo passare il suo badge lungo una colonnina tecnologica.
Wakatoshi non si fece intimidire.


Il Demone era bello. Attraente.
O almeno, era l'impressione che dava, ma era difficile poterlo dire con certezza, considerato il modo in cui era conciato.
Lo avevano legato con delle manette ai polsi e alle caviglie, era nudo.
Aveva un aspetto umano, tranne per le corna tra i capelli ricciuti, le ali ripiegate dietro la schiena e i probabili denti acuminati. Era stato selvaggiamente picchiato, sul fianco sinistro del suo corpo rannicchiato contro la parete, Wakatoshi intravide una serie si contusioni violacee e importanti. Il viso era tumefatto in alcuni punti, lo zigomo, un sopracciglio spaccato, il labbro gonfio e incrostato.
Wakatoshi riconobbe la mano pesante di Satori in quel capolavoro dell'orrore.
Mise le mani sui fianchi e si fermò davanti alla creatura, abbastanza lontano da non essere raggiunto dai suoi artigli nascosti.
« Non hai mangiato » Notò, osservando il pezzo di carne rancida gettato malamente sul pavimento sporco. Era intatto e puzzava di morte.
« Sono vegetariano » La risposta lo spiazzò. Si era aspettato un ringhio o un sibilo animalesco come risposta, ma il demone aveva una voce armoniosa e piacevole, tipica della sua razza: i perturbatori di anime, demoni Gamchicolh.
Wakatoshi sapeva che dall'altro lato della parete Satori e Taichi stavano assistendo alla scena, probabilmente si era unito anche Reon. Li immaginava a sbellicarsi dal ridere.
Sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto, sul giubbotto antiartigli e zanne.
« Un demone vegetariano » Lo scetticismo nel suo tono di voce era palpabile, anche se non si leggeva nella sua espressione.
Il demone abbassò le braccia, rivelando un volto affilato e grandi occhi scuri.
Aveva un bel corpo, anche se cercava di coprire la propria nudità in quella posizione rannicchiata, che doveva aver assunto anche per difesa.
Fece un sorrisetto maligno. Aveva i canini appuntiti.
« Ah, tu sei uno di quei cacciatori idioti che crede di sapere tutto su di noi »
La sua voce melodiosa risuonò come un canto nella stanza gelida e blindata degli interrogatori. Era fatta per ammaliare.
« Vi nutrite di carne. Umana » Puntualizzò Wakatoshi, per niente divertito.
Il demone Gamchicolh fece una risatina.
Sangue nero gli scese lungo il mento dalla ferita sul labbro, nuovamente aperta.
« Oh i Thamiel lo fanno e sicuramente anche gli Harab, ma il resto preferisce nutrirsi ... di altro » E fece un sorrisetto, facendo scorre lo sguardo sul suo corpo fino all'altezza del suo pube, prima di sollevarlo con estrema lentezza sui suoi occhi.
Era un demone della seduzione dopotutto, quella era la sua natura.
Wakatoshi lo trovò disgustoso. Sciolse la presa rigida delle braccia e fece un sospiro, non aveva intenzione di mettersi a discutere con un demone di roba inutile.
Dopotutto, erano creature ingannatrici e malevole.
« Ascolta » Esordì « Se rispondi alle mie domande, ti lasceremo andare » Il demone rise un'altra volta, con più naturalezza. Il sangue dal mento gli gocciolava addosso.
« Si, certo. Come avete lasciato andare tutti gli altri »
Wakatoshi lo vide fare una smorfia, chiudere gli occhi e posare la testa contro la parete fredda di acciaio alle sue spalle. Stava provando dolore.
« Dove si trova l'ingresso del covo madre? »
Domandò lo stesso, ignorando le sue accuse, per quanto vere.
« Come se potessi mai rivelarlo a voi » Rispose il demone, sogghignando.
« Sarebbe meglio per tutti e due che tu collaborassi. Non mi va di essere cattivo »
Wakatoshi stava perdendo la pazienza.
Il demone aprì di nuovo gli occhi e lo fissò, nella sua espressione vi era fastidio.
« Ci definite dei mostri, ma non siete da meno »
Berciò, poi si strinse il fianco e fece ha smorfia di dolore.
« Dove si trova l'ingresso del covo madre? » Chiese di nuovo, ignorando la cosa.
Il demone si chiuse in un mutismo ostinato e prese a fissare la parete sinistra.
Wakatoshi sospirò, mosse un passo e vide chiaramente il modo in cui il demone sussultò, schiacciandosi nel suo angolo in attesa di ricevere qualche altra tortura.
Era quello che si sarebbe meritato, ma non era nello stile di Wakatoshi essere violento.
« Va bene. Niente cibo e medicine per te. Vediamo quanto sopporti il dolore »
Decretò, il demone si strinse ancora di più in sé stesso, poi gli ringhiò contro mostrando le zanne affilate e sporche di sangue. Wakatoshi lo ignorò, per nulla impressionato.
Aveva ucciso di peggio. Affrontato di peggio.
« Stronzo! » Gli urlò dietro la creatura, mentre usciva dalla stanza.
Quando raggiunse gli altri nella saletta adiacente Satori lo accolse con un fischio.
« Efficace, vedo » Lo prese in giro. Wakatoshi osservò il demone attraverso lo schermo dei monitor, dalla telecamera interna della cella.
« Dammi tempo e lo farò cedere » Decretò, e proprio in quel momento il Gamchicolh puntò il suo sguardo scuro su di lui.

 
◇◇◇


« Ha detto qualcosa? »
Wakatoshi osservò il monitor bianco e nero nella saletta scura. Seduto sulla sedia reclinabile, con gli stivaloni accavallati sulla scrivania, Eita fece spallucce.
« Non ha aperto bocca. Nemmeno un solo lamento in tutta la settimana »
Il demone stava dormendo. Era rannicchiato nel solito angolo, i suoi lividi ancora scuri.
Wakatoshi incrociò le braccia al petto e stese le labbra in una linea sottile.
Non era contento. Quel demone era tenace, testardo o solamente un grande idiota.
Non gli restava ancora molta autonomia per vivere senza cibo, e le ferite erano state causate da armi di adamas, non sarebbero guarite senza l'ausilio di qualche medicinale.
Nemmeno per un demone.
« Lo dobbiamo torturare » Decretò Eita.
« No » Fu la sua replica immediata.
« Wakatoshi, il vecchio non è contento »
« Torturarlo non servirà a niente. Come è successo con tutti gli altri prima di lui »
La sua voce era definitiva, non gli importava che Tanji lo richiamasse o gli desse un reclamo, Wakatoshi aveva i suoi metodi.
Era stato chiesto a lui di tentare, quella volta, e lo avrebbe fatto a modo proprio.
Osservò il demone dormire.
« Non fa niente mentre dorme » Gli disse Eita.
Pareva annoiato di fare la guardia, aveva già bevuto quattro caffè, a giudicare dalla pila sul tavolo, e finito di leggere la sua rivista rock preferita.
« Se ne sta lì e - » Un lamento roco attraversò i microfoni. Eita tacque subito.
Wakatoshi osservò lo schermo con le sopracciglia aggrottate. Credeva fosse stata solo un'interferenza, ma poi successe di nuovo, si sentì un lamento, un mormorio.
La creatura nello schermo si mosse.
« Che cazzo succede? » Mormorò Eita.
« Sta avendo un incubo » Realizzò Wakatoshi, e nella voce non riuscì a controllare la sorpresa. Il collega si girò a guardarlo come come se avesse appena detto una cavolata.
« I demoni non sognano, Wakatoshi. Non hanno un'anima come noi o una coscienza »
« E allora come lo chiami quello? » Guardarono di nuovo lo schermo in bianco e nero.
Il demone si agitava nel sonno, poi emise un singhiozzo. Stava ... piangendo.
« Merda » Commentò Eita.
« Abbiamo mai catturato un demone Gamchicolh prima? » Chiese Wakatoshi.
Eita afferrò i registri sul tavolo, abbassando i piedi con un movimento veloce, e scorse velocemente le pagine con gli occhi.
« No. Solo demoni minori. Perché? »Eita lo guardò, ma Wakatoshi stava riflettendo. Non si era mai intrattenuto in una conversazione con un demone così, prima.
Tutti quelli che avevano interrogato nel corso degli anni avevano solamente mostrato una sete di sangue e violenza, caos e distruzione. Erano demoni minori che morivano facilmente. Ma anche tra quelle creature doveva esserci una qualche gerarchia.
Non rispose ad Eita, non fece in tempo.
« Ah no, mamma! Mamma, no! »
Strillò la creatura e cominciò a piangere più forte, tremando nel suo angolo.
« Chiama la madre … » Mormorò Eita. Lo sgomento nella sua voce era palpabile.
« Fammi entrare »
« Come? » Il collega lo guardò allucinato. Era evidentemente distratto.
« Fammi entrare Eita » Ripeté, ma era già fuori dalla porta quando pronunciò quelle parole con fare autoritario.


Il demone lo azzannò con violenza quando lo scosse per le spalle.
I denti affondarono nel suo braccio, trinciando la stoffa e perforando la carne. Wakatoshi fece una smorfia, ma con l'altro braccio intimò ad Eita di restare dov'era attraverso la telecamera. La creatura aveva le pupille dilatate, tanto da fagocitare il colore caldo nocciola delle iridi. Respirava con affanno e si guardava attorno scattoso. Wakatoshi ignorò la sua nudità e gli mise una mano dietro la nuca, bloccandogli la testa, la presa sul suo braccio si allentò.
« Sta calmo » Intimò al demone. Quando quest'ultimo ebbe messo a fuoco il suo viso, lasciò la morsa di scatto e strisciò indietro, tirandosi le ginocchia addosso.
Se le strinse contro il petto. La sua bocca ora era sporca del suo sangue.
« Hai avuto un incubo » Lo informò Wakatoshi, restando accovacciato davanti a lui.
Il braccio gli bruciava, ma aveva avuto ferite peggiori da curare.
Inoltre, da quel che sapeva sui Gamchicolh non erano velenosi.
Il demone non rispose, nascose la testa sotto le braccia, stava tremando dal freddo.
Wakatoshi credeva che i demoni non provassero niente, né caldo né freddo.
« Non credevo che voi demoni sognaste »
« Te l'ho detto » Gracchiò la creatura, ancora nascosta sotto le proprie braccia « Sei un cacciatore idiota che crede di sapere tutto »
Wakatoshi si mise seduto a terra, poi cominciò ad arrotolare la manica delle divisa sul braccio ferito. La stoffa era forata e macchiata di sangue fresco e scuro.
« Chiamavi tua madre » Lo informò, mentre controllava le due lacerazioni nella pelle dell'avambraccio. Ci sarebbero voluti i punti.
« No » Dichiarò il demone con fare capriccioso, come se volesse negare l'evidenza. Wakatoshi tornò a guardarlo.
« Piangevi e la chiamavi a gran voce »
« Sta zitto, o ti stacco il collo a morsi! »
Lo aggredì la creatura, uscendo dal guscio protettivo delle sue braccia, i denti sguainati.
Poi si accorse delle ferite causare dai suoi denti e distolse lo sguardo, Wakatoshi trovò curioso quel comportamento.
« Come ti chiami, ce l'hai un nome? »
Intrecciò le mani attorno al ginocchio tirato verso il petto e lo guardò apatico.
Il demone fece una brutta smorfia.
« Certo che ho un nome ... cretino » Lo guardò come se fosse un rifiuto disgustoso e quell'espressione provocò in lui una strana reazione, sbuffò divertito una risata.
« Io sono Wakatoshi » Si presentò.
« Che nome ridicolo » Lo sbeffeggiò l'altro. Wakatoshi rimase in attesa qualche istante.
« Tooru » Fu il mormorio di disappunto « E levati quel sorrisetto dalla faccia, umano idiota » Wakatoshi sollevò le mani in segno di scuse.
Tooru si avvolse le ali corvine attorno al corpo nudo per coprirsi meglio, erano piccole e non servivano per volare, la sua razza non ne era in grado.
Wakatoshi le guardò, poi seguì la curva della schiena con lo sguardo, giù fino alle na-
« Dove stai guardando, schifoso? »
« Voi demoni non avete un'anima »
Wakatoshi pose la domanda ignorando completamente il demone.
Tooru sbatté le palpebre, come stordito. Le ferite sul suo bel viso stavano già migliorando, quindi Wakatoshi riusciva a scorgere meglio i suoi tratti raffinati.
« Certo che abbiamo un'anima! » Era palesemente indignato dalla sua affermazione e lo fissava come se fosse uno sciocco senza cervello.
« Non è quello che mi hanno insegnato »
« Perché in realtà non sapete un cazzo di noi demoni maggiori! »
« Allora insegnami, coraggio »
Tooru tacque, scrutandolo con gli occhi chiusi a fessure, sospettoso.
« Non mi fido di te. Sei un cacciatore di merda e ti odio con tutto il cuore »
Wakatoshi guardò l'orologio da polso e sospirò, aveva una riunione noiosa di lì a pochi minuti, ma con quel demone non aveva fatto nessun progresso utile.
Guardò Tooru e sospirò di nuovo, tirandosi in piedi.
« Devo farmi medicare il braccio »
Annunciò, osservando il sangue secco colato lungo l'avambraccio e sul pavimento.
Tooru fece una smorfia tipica di chi non se ne importava un fico secco.
« Almeno non sei velenoso » Gli disse mentre raggiungeva la porta della cella.
« Che peccato! » Lo inseguì la voce melodiosa fin nel corridoio.
Wakatoshi accennò un sorriso.

 
◇◇◇


« Si può sapere che cazzo stiamo facendo in un negozio ... del genere? »
Wakatoshi lo trovava un posto carino in realtà.
Retrò, con pochi posti a sedere accanto alla vetrina e un paio davanti al bancone.
Ignorò la protesta di Satori e osservò l'enorme menù affisso sulle loro teste - era stato scritto a mano con del gesso colorato su lavagne enormi agganciate al soffitto.
« Che cos'è la vuna? » Chiese, metà del menù era composto da quella roba.
« E io che cazzo ne so? » Satori infilò le mani nelle tasche dei pantaloni da divisa e si guardò attorno con quella faccia da folle spiritato.
Wakatoshi lo guardò un istante, poi tornò a concentrarsi sul menù incomprensibile.
« Non capisco perché lo stai facendo » Intervenne nuovamente il suo braccio destro, dimostrando di non avere un briciolo di pazienza « Facciamo come al solito e apprendiamolo per le palle. Niente fa cantare meglio di una bella tortura ai genitali! »
Una coppia seduta accanto alla porta lì guardò con espressioni intimidite.
« No, Tooru è diverso dagli altri demoni. Non è assetato di sangue come loro e ragiona lucidamente. Non ho mai avuto una conversazione senziente con uno di loro prima »
Satori alzò gli occhi al cielo quando lo sentì pronunciare il nome del Gamchicolh.
Non era stato contento quando aveva saputo le ultime novità, soprattutto dopo aver visto il suo braccio fasciato.
« Appunto! È senziente e cederà alle torture, a differenza di quei demoni minori che non facevano altro che urlare zozzerie, soprattutto gli Iamaliel, quelli si che sono dei pervertiti del cazzo. Urlavano di piacere quando gli bruciavo il pisello! »
Nel frattempo, avevano raggiunto il bancone.
Una ragazza li osservava sorridente da dietro la cassa, sembrava molto giovane.
« Cosa desiderate? » La sua voce era acuta.
« Un'insalata estiva con straccetti di soia grigliati e sushi veggie con ... vuna »
Ordinò Wakatoshi, solo perché erano i primi piatti su cui aveva posato gli occhi.
« E dei veggie burrito » Si intromise Satori. Wakatoshi lo guardò, mentre la ragazza smanettava con il computer tecnologico che aveva davanti al viso.
« Che c'è, mi è venuta fame! » Si giustificò.
« Sono 20,50€ grazie » Si intromise la ragazza, Wakatoshi le passò il bancomat.
« E comunque insisto sulle torture! » Insistette Satori.
Wakatoshi riprese la carta e la ripose nel portafoglio dietro i pantaloni.
« Il vostro ordine arriverà a momenti »
Li informò la ragazza, e loro si spostarono verso il bancone sgombro.
« Il Generale Tanji ha dato l'incarico a me, Satori. Farò a modo mio » Replicò, calmo.
Satori mise una mano in tasca ed estrasse un pacchetto di sigarette mezzo distrutto, ne prese una e se la mise tra le labbra, senza tuttavia accenderla.
« Fa come vuoi, Wakatoshi. Ma ti ricordo che è di un fottuto demone che stiamo parlando. Loro non hanno avuto pietà di noi quando ... tuo padre non sarebbe contento. E nemmeno la mia Rina, fanculo » Wakatoshi si irrigidì nel sentir pronunciare quei due. Suo padre e Rina, la moglie di Satori. Quella donna gracile e bruttina, con una personalità esplosiva e creativa che la rendeva speciale agli occhi di tutti.
Aveva una pasticceria prima che … Wakatoshi le voleva bene.
In quanto a suo padre ... non voleva nemmeno pensarci.
« Ti aspetto fuori » Mormorò Satori, andandosene prima di dargli il tempo di annuire. Rina era la luce dei suoi occhi, e da quando era morta un paio di anni prima ... Satori si era fatto lunatico, selvaggio, cattivo.
Wakatoshi non lo fermò.


« Che cosa stai combinando? »
La voce di Tooru era satura di scetticismo mentre Wakatoshi gli sistemata davanti gli straccetti di soia e il sushi al vuna.
« Non eri vegetariano? » Si fermò durante l'azione di togliere il coperchio della ciotola di carta che conteneva l'insalata e lo guardò. Tooru aveva le sopracciglia aggrottate.
« Si, ma ... »
« Allora non ti piace la vuna? Non so bene che cosa sia ma - »
« Mi piace » Lo interruppe Tooru.
Si fissarono un istante, il primo diffidente, il secondo del tutto confuso.
« Avevi detto niente cibo. O medicine »
Lo sguardo di Tooru si spostò sul blaster di pillole accanto alla bottiglia d'acqua.
Era una semplice tachipirina e Wakatoshi non era nemmeno sicuro che avrebbe funzionato su una creatura degli inferi.
« Ho cambiato idea. Mangia, su » Gli sospinse il vassoio contro.
Tooru non lo toccò ne si mosse, rimase nel suo angolo.
« Non ti dirò niente sul covo madre » Chiarì. Credeva che Wakatoshi volesse comprarlo. Forse era così, in un certo senso, ma erano anche altre le informazioni che stava cercando di ottenere. Tooru guardò il cibo con desiderio, il suo stomaco gorgogliò per un tempo molto prolungato - non toccava cibo da giorni - ma nonostante questo non prese niente.
« Lo so. Mangia. Parleremo d'altro » Lo incoraggiò, spingendo ancora un po' il vassoio. Tooru esitò ancora un istante, poi si fiondò sul cibo.
Le catene erano abbastanza mobili da permettergli di rifocillarsi.
Wakatoshi attese che finisse, e solo quando lo vide mandar giù due compresse di tachipirina si azzardò a parlare.
« Hai detto che avete un'anima » Azzardò. Tooru si pulì la bocca con il dorso della mano, poi annuì, stringendosi nella coperta che l'altro gli aveva portato.
« Si, cacciatore idiota. Abbiamo un'anima e proviamo sentimenti. A differenza di quanto credete, non andiamo in giro a sedurre la gente per mangiarla. Quello lo fanno i demoni minori. Ma tanto per voi siamo tutti uguali »
La telecamera sulle loro testa ronzò. Wakatoshi sapeva che nella stanza accanto Satori, Eita, Reon e Taichi erano in ascolto, con i registratori accesi e a portata di mano.
« Voi uccidete la mia gente senza pietà! » Lo accusò Tooru, scuotendo le catene che aveva ai polsi e ai piedi - brutte escoriazioni si erano già formate sulla pelle delicata.
« E cosa fate voi di diverso? Vi cacciamo perché voi ci cacciate »
Convenne Wakatoshi, incrociando le braccia al petto.
« Sono i demoni minori che vi attaccano. Noi maggiori ci nutriamo di altro, te l'ho detto. Io, per esempio, mi nutro di passione » Wakatoshi sollevò un sopracciglio.
« Scopi con gli umani per nutrirti di ... passione? E non li mangi » Riassunse, scettico. Tooru lo guardò come se fosse un completo idiota senza speranza.
« Sono vegetariano. V-e-g-e-t-a-r-i-a-n-o. E non scopo! Io faccio l'amore. Ed è diverso. Inoltre, lo faccio anche molto bene per tua informazione, e solo con chi voglio io »
A quel punto il suo sguardo intrigante si spostò su di lui e lo squadrò per intero.
Wakatoshi era interessato, ma non glielo avrebbe fatto sapere.
« Mi scelgo degli amanti, tutto qui » Concluse l’altro, facendo spallucce.
Wakatoshi decise di sorvolare sull'argomento per il momento.
« I demoni minori sono creature del caos »
Continuò a spiegare Tooru dopo una breve pausa, tornando serio.
« Si nutrono di sangue e dolore. Uccidono per il gusto di farlo. Mentre per noi siete preziosi, una fonte di sostentamento dello spirito, loro vi uccidono per divertimento. Siamo in guerra con loro dall'alba dei tempi. Ci fareste anche un favore ad ammazzarli, se non fosse che non sapete fare distinzione »
I suoi occhi grandi si persero in qualche ricordo.
Wakatoshi rimase in silenzio, a contemplare quello che aveva appena udito.
« Hai staccato due dita a uno dei miei uomini » Lo accusò, senza tradire niente.
« Perché mi stava picchiando! » Si difese Tooru con veemenza, stringendosi la coperta addosso, contro il corpo martoriato di botte.
« Stavamo cercando di scappare dai demoni minori quando siete arrivati »
« Non - » La porta si aprì di colpo, sbattendo contro la parete di acciaio con violenza. Wakatoshi si tirò in piedi di scatto, solamente per rendersi conto che era stato Satori.
L'amico fece per scagliarsi contro Tooru, che si raggomitolò per riflesso, ma Wakatoshi lo agguantò immediatamente da dietro prima che potesse riuscirci.
« Smettila con le tue stronzate, pezzo di merda! » Sbraitò inferocito, si dimenava talmente tanto che Wakatoshi faceva fatica a tenerlo, nella stanza accorsero anche Reon ed Eita. Taichi doveva essere rimasto nella saletta.
« Vuoi dirmi che per tutto questo tempo siamo stati noi i carnefici?! Ho visto con i miei occhi uno di voi mostri sventrare l'amore della mia vita! » Satori si dibatté, violento.
« Smettila! » Sbottò Eita con l'affanno.
« Era incinta, cazzo! E quel mostro l'ha sventrata come fosse un maiale! Rina, la mia Rina ... cazzo! Cazzo!» Le urla di Satori si trasformarono in un pianto strozzato, si calmò di colpo « Cazzo » Mormorò ancora.
Wakatoshi chiuse gli occhi, tenendolo stretto.
Satori non avrebbe mai superato quel lutto, per quel motivo non voleva andare avanti con la sua vita. Avrebbe significato dimenticare Rina e le sue mani sporche di cioccolata.
Tooru si asciugò gli occhi, catturando la sua attenzione. Stava piangendo.
« Io - » Provò a dire. Satori lo interruppe.
« E lo sai cosa hanno fatto al padre di Wakatoshi? Eh? Lo hanno smembrato davanti ai suoi occhi quando era solo un bambino! » Continuò ad inveire, ma privo di forze.
« Satori! » Provò a fermarlo Wakatoshi.
« E per poco non hanno ammazzato anche lui, è vivo per miracolo! Quindi non venirmi a dire che siamo noi i mostri! È la tua razza maledetta, brutta puttana di merda! »
Tooru stava tremando, occhi sgranati.
« Mi - mi dispiace ... » Mormorò, guardando Wakatoshi. Sembrava terrorizzato.
« Portatelo via » Ordinò, rivolgendosi ad Eita e Reon, che non esitarono.

 
◇◇◇


Quella mattina si presentò al lavoro anche se non era di turno.
Per una volta, nella saletta accanto non vi era nessuno, lui e Tooru erano soli.
Per la prima volta. Aveva creduto di trovarlo addormentato essendo mattina, invece era sveglio e aveva ancora gli occhi rossi. Lo sguardo distante.
« Ti ho portato dei libri da leggere » Esordì, posando una pila di vecchi volumi accanto a lui: Guerra e Pace, Il Conte di Montecristo, Amleto e I dolori del giovane Werther.
Tooru li guardò a malapena.
« Grazie » Mormorò. Wakatoshi fece un cenno con la testa.
« Mi dispiace, per tuo padre » Fu un mormorio appena udibile.
Wakatoshi se lo era aspettato.
« Mi hai detto che non sono i demoni maggiori ad uccidere. Non dovresti scusarti, allora » Si appoggiò con la schiena al tavolo e incrociò le braccia al petto, era vestito con abiti civili quel giorno, una camicia nera, jeans scuri e scarpe comode.
« Lo so. Ma se avessimo fermato ... » La voce di Tooru si spense. Era stanco.
Wakatoshi lo capiva. Si sentiva impotente. Proprio come lui.
« Mio padre era un cacciatore, come me. Conosceva i rischi del mestiere » Cominciò a raccontare « Ci attaccarono in casa. I miei erano divorziati e quella sera stavo da lui. Erano in due. Mi sono salvato solo per istinto, in cambio ho avuto questo regalo »
Sollevò la maglietta e mostrò a Tooru la brutta cicatrice di un morso che aveva sul fianco destro del corpo « Sono passati anni, ormai »
Tooru fissò la cicatrice per qualche istante.
« È per questo che fai il cacciatore anche tu? Per vendicare tuo padre? »
Gli chiese con voce docile. Wakatoshi annuì. Non poteva mentire.
Uccideva quegli esseri perché era l'unico modo che conosceva per sfogare la rabbia.
Tooru, però, era diverso. Rappresentava un'anomalia nella sua vita.
« I cacciatori attaccarono il nostro nido quando ero solo un bambino » Mormorò Tooru, strappandolo alle sue riflessioni « Mia madre morì, e anche mia sorella, suo figlio, mio cognato e poi mio padre. Rimanemmo solo io e Hajime. A volte, ho degli incubi legati a quella notte » Ecco perché chiamava la madre urlando.
Wakatoshi lo capiva, perché succedeva ancora anche a lui, ogni tanto.
« Non siamo molto diversi, idiota di un cacciatore » Mormorò, e i loro occhi si incatenarono « Entrambi stiano ancora piangendo i nostri morti »
Nemico di fazioni sbagliate. Wakatoshi non seppe perché si mosse.
Fu puro istinto, o attrazione, non lo sapeva. Quella l’aveva provata dal primo momento che aveva posato gli occhi sul suo corpo, Tooru gli era affine, in qualche modo.
Guardò la telecamera, era spenta. Bene.
Si accovacciò davanti a lui e gli prese i polsi, stringendoli nelle catene.
« Che cosa fai?! » Protestò il demone.
Wakatoshi si limitò a girarlo di schiena e schiacciarlo contro la parete di fronte.
Tooru rabbrividì e premette i palmi delle mani sul ferro freddo, la guancia.
Wakatoshi gli osservò la schiena aggraziata, seguendo con lo sguardo la curva delle natiche e le cosce leggermente divaricate. Era bello. Era un demone bellissimo.
« Hai detto che ti scegli degli amanti » Sussurrò all'orecchio di Tooru premendo la sua eccitazione contro di lui, attraverso i jeans ancora chiusi. Il demone rabbrividì.
« Scommetto che non hai mai avuto un cacciatore come amante » Continuò, sfiorando la sua apertura con due dita. Tooru fremette, esalando un respiro lieve.
« Fallo, oh fallo. Ti prego » Mormorò. Wakatoshi non se lo fece ripetere.
Sbottonò i pantaloni quanto necessario ed entrò dentro di lui senza prepararlo.
Non ce n'era bisogno. Le ali di Tooru, richiuse, fremettero e lui rovesciò la testa sulla sua spalla. Prese a muoversi lentamente.
Stava facendo l'amore con un demone.
Tooru mugugnò quando si mosse più veloce, allungò le mani sul muro e le intrecciò alle sue. Avevano entrambi l'affanno.
« Questa cosa resta tra di noi »
« Si, si » Acconsentì Tooru, perso nell'estasi.
Wakatoshi chiuse gli occhi e appoggiò la fronte sulla sua nuca.
Tooru era un'anomalia che lo confondeva, ma anche una chiave che lo aveva appena liberato dalle catene strette dell'odio.

 
◇◇◇


« Ci è sfuggito »
Satori gli stava facendo rapporto nell'ufficio disordinato.
Non avevano parlato di quanto era successo nei giorni precedenti, erano andati oltre, come facevano sempre. Wakatoshi, inoltre, non aveva intenzione di dirgli che si era scopato il demone che aveva accusato ingiustamente.
« Quindi è quasi riuscito ad entrare » Commentò distrattamente, ripensando al modo in cui Tooru aveva divaricato le gambe per fargli più spazio contro la parete.
« Wakatoshi, mi stai ascoltando? » Guardò Satori e lo trovò lì, a fissarlo nervoso.
« Si, scusami » Gli disse.
« Un altro Gamchicolh ha tentato di entrare e liberare il tuo demone. Ma è scappato »
Wakatoshi sorvolò sull'uso del pronome.
« Bene » Si limitò a commentare. La parola peggiore che potesse usare.
Satori lo guardò per un istante, studiandolo.
« Wakatoshi, tu - » Iniziò, ma la porta dell'ufficio fu aperta bruscamente, e nella stanza entro Tanji Washijou in persona.
Entrambi si alzarono di fretta e fecero un saluto militare esemplare.
Il vecchio non sembrava contento.
« Capitano Ushijima, vorrei scambiare due parole con lei. In privato »
Satori colse il messaggio. Lasciò la stanza.
Il Generale avanzò, piazzandosi davanti alla sua scrivania.
« Sono molto deluso da lei, Capitano. Per la prima volta in dieci anni. Speravo in risultati più immediati con quel demone »
Wakatoshi resse lo sguardo del vecchio.
« Abbiamo delle scoperte interessanti, signore. Sono sicuro che le registrazioni - »
« Non mi interessa di quelle futili registrazioni. È l'ubicazione del covo madre che stiamo cercando, Capitano. Non la verità. Se non otterrà risultati entro domani riterrò i suoi metodi inefficaci. Ci penserò io personalmente » Il vecchio lo guardò negli occhi, sfidandolo. Wakatoshi resse il suo sguardo fino alla fine.
« Buona giornata, Capitano »
Wakatoshi rimase in piedi per molti minuti dopo che l'uomo ebbe lasciato la stanza.
Sapevano la verità. Da sempre. Ma non faceva alcuna differenza per loro.
Demoni minori o maggiori. Lo sapevano e non avevano detto niente, usando la loro rabbia come un'arma di sterminio di massa.
Wakatoshi aveva sperato di poter cambiare qualcosa grazie a quello che aveva scoperto di Tooru, ma … era solamente un ingenuo con gli occhi foderati.
Non voleva che Tooru morisse, però.
« Lo ucciderà, Wakatoshi »
Sollevò lo sguardo allucinato. Satori era sulla porta, braccia incrociate al petto.
Aveva origliato tutta la conversazione. Tipico di lui.
« Devi aiutarmi, Satori » Gli disse, disperato.
L'amico sospirò e si passò una mano sugli occhi.
« Te lo avevo detto di stare attento »
Wakatoshi sapeva di meritare quel rimprovero.
« Lo so. Mi dispiace. »
« Ti sei innamorato di quel demone. Non ci posso credere »
« Scusami » Satori sospirò.
« Ti aiuterò »

 
◇◇◇


Il piano era stato perfetto.
Wakatoshi non aveva detto molto a Tooru. Prima avevano contattato l'amico demone, Hajime, attraverso uno scambio complesso di messaggeri. Poi lo avevano fatto evadere.
Era notte fonda quando raggiunsero il luogo d'incontro.
Una casa abbandonata fuori dalla statale.
Wakatoshi aveva ricoperto Tooru con dei suoi vecchi vestiti, che gli stavano larghi.
Quando scese dalla macchina, il demone sembrava un bambino.
Si guardava attorno incredulo e stupito.
« Hajime! » Esclamò felice quando vide l'amico di sempre in lontananza.
Era diffidente, si vedeva. Ma Wakatoshi lasciò che Tooru gli corresse incontro e lo abbracciasse con forza. Anche se gli fece male il petto a vederlo allontanarsi.
« Ho cercato di tirarti fuori » Gli disse Hajime, aveva una voce burbera.
« Lo so » Rispose Tooru. Poi si voltò a guardare Wakatoshi, fermo davanti alla propria jeep con le braccia incrociate al petto.
« Mi hai liberato » Gli disse con voce meravigliata.
« Così pare » Fu la sua risposa apatica.
« Cacciatore idiota » Mormorò Tooru.
Hajime guardava la scena accigliato. Satori pareva scocciato, invece.
« Wakatoshi » Lo chiamò allora Tooru per la prima volta, usando il suo nome “ridicolo”.
Wakatoshi accennò un sorrisetto.
« Ti amo » Il sorriso su fece dolce.
« Lo so » Rispose.
Tooru si morse il labbro inferiore, non resistette oltre e gli corse incontro.
Wakatoshi se lo strinse addosso, facendo attenzione a non schiacciargli le ali.
Respirò il suo odore di zolfo e cenere.
« Ci rivedremo » Gli promise, baciandolo con dolcezza.
« Si » Tooru annuì, baciandolo a sua volta.
Satori tossicchiò, andando dal lato del passeggero.
« Dobbiamo andare, Wakatoshi »
« Non ti faranno del male, vero? » Domandò Tooru con trasporto.
Wakatoshi fece spallucce.
« Sospetteranno, ma non hanno prove. Al massimo mi beccherò una lavata di capo »
Sciolsero l'abbraccio.
« Ti stavo guardando, l'altra volta » Confessò Wakatoshi, Tooru rise.
« Lo so, sporcaccione » Le loro mani si lasciarono.
Il Demone e il Cacciatore.


Lungo la strada della statale, di ritorno a casa, Wakatoshi osservava il buio oltre il finestrino con aria pensierosa.
« Ho chiesto a Mina di uscire » La voce di Satori lo sorprese.
Si voltò a guardarlo. L'altro fissava la strada con espressione distesa.
« Bene » Si limitò a commentare.
Alla radio, una canzone famosa cantava: Whoa, I'm coming alive, whoa, I'll wake up now and live, whoa, I'm coming alive.

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Capitolo 13
*** 13. Deadly Kiss ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Room Mates

N° parole: 2880

Note: è pietosa, scusatemi. College, setting USA.







 
Deadly Kiss
 

I tell myself I don't care that much
But I feel like I die 'til I feel your touch
Only love, only love can hurt like this
Only love can hurt like this
Must've been a deadly kiss



Tooru era ormai sull'orlo delle lacrime.
Seduto al suo fianco, Koushi cercava di tirarlo su, ma senza molto successo.
« Metti giù quella birra, Tooru. Per favore » Lo pregò e accompagnò le sue parole con i gesti, togliendo dalle mani dell'amico la terza lattina aperta in pochi minuti.
Tooru protestò con un lieve lamento. Voleva ubriacarsi talmente tanto da friggersi il cervello e dimenticare quello che aveva visto.
« Io non capisco! » Si lagnò, stringendosi le ginocchia al petto, la voce spezzata dal pianto. Gli spalti alti del campo di football erano sempre stati il suo luogo preferito.
Il posto dove rifugiarsi nelle ore morte, quando non vi erano allenamenti di mezzo e il sole se ne stava sul punto di tramontare o sorgere. Ci andava sempre per pensare o schiarirsi le idee, o semplicemente non fare niente e godersi il sole sul volto. Quel giorno, però, avrebbe piovuto, e il cielo se ne stava già tutto rannuvolato sulle loro teste.
« Mi fai il filo per quattro anni e quando finalmente te lo do, tu ti fai trovare a letto con un altro?! » Aveva bisogno di bere. Subito « Dammi quella birra, Koushi! »
Si slanciò verso l'amico, che sollevò il braccio mettendo la lattina fuori dalla sua portata.
« Non se ne parla, Tooru. Hai bevuto abbastanza. Domani abbiamo i corsi e non voglio vederti in uno stato pietoso »
« Sono già in uno stato pietoso! »
Strillò, tentando di prendere ancora una volta la lattina, senza successo.
A quel punto Koushi sospirò e Tooru si sentì terribilmente in colpa. Stava rubando il suo tempo lamentandosi in quel modo, quando nemmeno ne aveva il diritto. Sospirò.
« Scusami, Koushi. Non devi startene qui con me, so che dovevi uscire con Daichi »
Mormorò, tornando a stringere le braccia attorno alle ginocchia.
Cominciava a far freddo la sera, Tooru indossava solo una felpa extralarge con il logo del college: Haikyuu Academy, verde acqua e sbiadita.
Non serviva a ripararlo dalle raffiche di vento che ogni tanto si alzavano.
« Tooru, sono una persona senziente. Se non volevo perdere tempo con te, te lo avrei fatto sapere senza problemi »
Koushi rispose con pazienza, Tooru lo osservò di sottecchi mentre appoggiava la lattina di birra ancora piena sul sedile degli spalti, lontana dalla sua portata.
« Sono grato della tua amicizia » Confessò.
Koushi si voltò a guardarlo con espressione sorpresa e poi rise, a Tooru piaceva molto il suono della sua risata, un po' sguaiata e decisamente cristallina e sincera.
« Non ci credo. Wakatoshi ti ha proprio fatto perdere la testa per farti dire certe cose! »
Tooru si imbronciò immediatamente e tornò a guardare il campo deserto, nascondendo la bocca e il mente contro le ginocchia.
« Mi rimangio tutto » Borbottò « E non pronunciare il suo nome che sennò mi partono cinque minuti di istinti omicidi! » Koushi rise ancora una volta, poi si perse anche lui ad osservare il campo deserto. Era una giornata uggiosa e mogia.
« Non potevo parlarne con Hajime » Tooru riprese a parlare, richiamando la sua attenzione « Mi avrebbe dato in testa e a ragione. Tu sei l'unica persona che non mi giudicherebbe mai per le mie stronzate! » Koushi gli diede una pacca sulla spalla con fare amichevole, a volte Tooru avrebbe tanto voluto essere come lui. Puro e diretto.
Invece era esattamente tutto il contrario.
« L'importante è che tu capisca, Tooru, che non c'è niente di male a mettere l'orgoglio da parte, ogni tanto. Non ti fa apparire meno forte o più vulnerabile »
Si, in teoria Tooru lo sapeva, ma era la pratica il problema.
Ogni volta che apriva bocca con Wakatoshi, o quando si parlava di lui, tirava fuori il peggio di sé, come se non sapesse controllarsi.
Quella però era una storia che andava avanti da quattro anni.
Da quando era iniziato il collage.
Tooru e Wakatoshi, erano compagni di stanza fin dal primo giorno.
Non era stata una convivenza facile. Erano come diavolo e l'acqua santa.
Wakatoshi era popolare, amato, giocava nella squadra di football ed era messo bene in fatto di donne e uomini. Tooru era popolare, amato, giocava a pallavolo ed era messo bene in fatto di donne e uomini. Un disastro, insomma!
Lo scoppio era stato inevitabile.
Tooru avrebbe voluto dire che si erano fatti la guerra in tutte e quattro gli anni, ma in realtà ... la guerra l'aveva fatta solo lui per tutto il tempo. E non era servita ad altro che a nascondere una brutta attrazione fisica a cui non aveva voluto darla vinta.
Wakatoshi non si era nascosto, invece.
Glielo aveva detto, con la stessa franchezza con cui diceva esattamente quello che pensava ogni volta. Gli aveva detto che lo desiderava, che lo voleva, non solo nel suo letto, ma nella sua vita.
Quando era successo, Tooru l'aveva presa come una vittoria personale, un trionfo.
Quella di Wakatoshi era una debolezza, un'ammissione di sottomissione nei suoi confronti. Per i tre anni successivi Tooru si era messo di impegno ad umiliarlo.
Frequentava ragazzi diversi ogni volta, davanti ai suoi occhi, gli occupava la camera di proposito, facendogli intendere che per un po' non avrebbe dovuto avvicinarsi.
Wakatoshi non reagiva mai a quelle sue sciocche provocazioni.
Tooru aveva condotto quella guerra da solo, senza stare a sentire i consigli di Hajime, o di chiunque volesse farlo ragionare.
Non poteva dare lui la resa.
Poi era successo qualcosa. Qualcosa di inaspettato.
Wakatoshi aveva iniziato a frequentare un junior, un certo Kenjirou.
Tooru non si era mai sentito tanto disturbato come in quel periodo della sua vita, e come l'orbita di un satellite, aveva cominciato a ruotare attorno al pianeta Wakatoshi con frequenza. Gli si era attaccato addosso. Proprio come una brutta piovra.
Gli si metteva seduto accanto durante le lezioni che avevano in comune con la piattola che gli stava dietro, solo per dar fastidio ad entrambi e rompergli le uova nel paniere.
Si metteva sugli spalti durante gli allenamenti della sua squadra.
Passava il tempo con lui in biblioteca e poi, nella stanza che condividevano, passavano ore intere a parlare e bere qualche birra, scrivere relazioni insieme, litigare sui film che non avevano in comune - praticamente tutti - o a ridere perché erano troppo brilli e dicevano sciocchezze. Tooru aveva amato quei momenti, i momenti in cui l'attrazione fisica tra di loro era così forte da tagliare l'aria in due.
Aveva smesso di uscire con altri ragazzi senza che nemmeno se ne rendesse conto, perché tanto lo faceva solo per infastidire il suo nemico numero uno, che aveva una cotta per lui assolutamente ricambiata.
Aveva smesso di umiliarlo davanti agli altri per cominciare a stuzzicarlo.
Tutti avevano notato il cambiamento tranne lui, perché sarebbe stato come dover ammettere di avere sempre avuto torto e ah, l'orgoglio!
Il suo orgoglio era un mostro che aveva una volontà propria e incontrollata.
Era successo durante una delle sere in camera loro.
Tooru non poteva nemmeno dare la colpa all'alcol perché non stavano bevendo. Wakatoshi stava commentando la scena di un film con quella sua faccia priva di espressioni, la voce monocorde.
Tooru non lo stava ascoltando davvero, ma lo stava solo guardando incantato.
Wakatoshi aveva detto qualcosa - non ricordava cosa di preciso - che aveva fatto scattare qualcosa di forte dentro di lui, allora lo aveva baciato, zittendolo.
Era il primo bacio che si davano da quando avevano capito di volerci dare dentro di brutto. Erano finiti con il fare l'amore quella sera, inevitabilmente.
Sul pavimento della loro camera condivisa.
Tooru credeva di essere una persona navigata e di aver avuto le sue esperienze, ma Wakatoshi ... Wakatoshi gli aveva fatto certe cose che lo avevano lasciato confuso, stordito e decisamente soddisfatto.
Alla fine di tutto, poi, era andato nel panico.
Quando si era reso conto di cosa era appena successo, di quello che provava, gli era come scoppiato il cervello. Ricordava ancora le parole che aveva detto: Adesso non montarti la testa. Non è successo niente, abbiamo solo scopato. Era solo sesso.
Wakatoshi sembrava averla presa come sempre, come ogni volta che lui aveva fatto lo stronzo. Tooru si era sentito meglio. Aveva creduto che dopotutto fosse un bene per entrambi che le cose restassero ferme li, sul piano fisico.
Quella mattina invece, aveva aperto la porta di camera per trovarsi di fronte uno spettacolo raccapricciante!
Kenjirou che cavalcava - dannazione voleva cavarsi gli occhi - Wakatoshi sul suo letto.
Aveva urlato, doveva ammetterlo.
Il suo urlo aveva allertato i due, che si erano fermati - per grazia concessa - mostrando un briciolo di imbarazzo. E poi era scappato.
Era letteralmente scappato via in preda al panico, domandandosi perché si sentisse morire dentro o tradito: ma conosceva la risposta meglio di chiunque altro, solo che non aveva mai voluto accettarla. E ora si trovava sugli spalti, con Koushi.
A lui aveva raccontato tutto.
« Non ho nessun diritto di arrabbiarmi »
Ammise, mentre il cielo sulle loro teste cominciava a tuonare rumorosamente.
Koushi scrutò le nuvole con aria preoccupata.
« L'ho trattato uno schifo per tre anni e quando avrei potuto essere onesto con lui e con me stesso ... sono un disastro »
Si disperò, seppellendo il volto nelle ginocchia con un lamento acuto.
« Almeno lo sai » Gli disse Koushi allegro.
Tooru in cambio grugnì come un maiale.
« Non è tardi, Tooru. Trova il coraggio, non sei una persona codarda »
« Ma si stava facendo cavalcare da quel ... quel coso - argh! Lo voglio ammazzare! »
Berciò, uscendo dal suo guscio per torcersi le dita delle mani in moto di stizza.
Koushi lo guardò con le sopracciglia alzate e un sorrisetto divertito sulle labbra.
« Voglio cambiare stanza » Si depresse di nuovo quando pensò che ci sarebbe dovuto tornare prima o poi. Solo che non sapeva poi come avrebbe dovuto comportarsi.
Le prime gocce di pioggia cominciarono a cadere dal cielo, grosse e numerose, sarebbe stato un vero e proprio acquazzone. Tooru si calò il cappuccio della felpa sulla testa.
« Dobbiamo andare » Decretò Koushi.
Si alzarono e scesero gli spalti, sotto le tribune, riparati dalla pioggia, Tooru buttò via le lattine di birra vuote e anche quella piena che aveva appena aperto, perché ci aveva piovuto dentro. Lui e Koushi avevano appena raggiunto l'atrio quando lo vide, minaccioso, arrabbiato. Tooru si fermò paralizzato.
« Oh cazzo » Mormorò e Koushi, ancora al suo fianco, lo guardò accigliato, poi seguì il suo sguardo e comprese.
« Oh oh » Commentò. Hajime era in versione Godzilla e puntò lo sguardo su di lui, storpiando la propria faccia in un sorriso grottesco a trentadue denti.
« Tooru! » Lo additò, facendo girare mezza hall affollata nella sua direzione.
Hajime sapeva. Forse era stato Daichi a dirgli tutto, senza volerlo, giocavano insieme nella squadra di palla a nuoto del collage.
« Oh no, oh no, no, no » Mormorò Tooru facendo qualche passo indietro.
« Non mi togliersi questa soddisfazione Tooru, vieni qui! »
Lo minacciò l'amico di sempre con un sorriso feroce sulle labbra.
Tooru non aveva altra scelta. Guardò fuori dalla vetrata della porta di ingresso, stava diluviando. Non ci pensò troppo, corse fuori sotto la pioggia.
« Tooru! » Lo chiamò Koushi.
« Non scappare codardo! » Gli gridò dietro Hajime, inseguendolo.
Tooru non si fermò, continuò a correre.

 
°°°


Quando entrò negli spogliatoi maschili della squadra di football, era zuppa d'acqua dalla testa ai piedi. Il cappuccio della felpa era praticamente spugnata e i suoi capelli ricci e grondanti sul viso. Ma non gli importava, perché aveva seminato Hajime ed era tutto quello che contava per il momento.
Certo, non avrebbe potuto scappare per sempre, ma ...
Si appoggiò al muro e fece un respiro profondo, riprendendo fiato.
Il cuore gli martellava fortissimo nel petto. Chiuse gli occhi, deglutendo.
« Tooru » Li spalancò di colpo, scioccato.
Wakatoshi era proprio lì davanti a lui.
Nudo, ovviamente, con solo l’asciugamano bianco stretto attorno alla vita.
Gli allenamenti! Si maledisse Tooru, schiaffandosi una mano sulla fronte.
« Sei zuppo » Notò Wakatoshi con la sua solita flemma. Anche i suoi capelli erano bagnati, ma dovevano appena essere stati frazionati con forza.
« Davvero? » Sbottò Tooru, con più sarcasmo di quanto avrebbe voluto.
Dannazione, pensò, mordendosi il labbro inferiore. Guardò il suo compagno di stanza e subito gli tornò in mente steso su quel letto mentre ... spostò lo sguardo.
« Dove hai lasciato il tuo cagnolino? »
La domanda gli uscì prima che se ne rendesse conto, era carica di disprezzo.
« Kenjirou non è un cagnolino » Fu la replica calma di Wakatoshi.
Probabilmente non aveva nemmeno capito il gioco di parole, era tipico di lui.
« State insieme? » Domandò Tooru, perché tanto ormai la sua dignità era andata a puttane con il suo orgoglio. Wakatoshi lo guardò per qualche secondo.
« Mi hai detto che non dovevo aspettarmi niente da te » Rispose, e Tooru si morse il labbro inferiore con tale violenza da farsi male.
Il sapore metallico del sangue gli inondò immediatamente la bocca.
« Si, però - » Tacque, senza sapere che cosa dire. Ora che ce lo aveva davanti non voleva fare altro che ripetere quello che era successo nella loro stanza quella sera.
E magari poi addormentarsi accoccolati sul pavimento dopo aver visto un brutto film.
« Ho il diritto di andare avanti » Tornò a guardare Wakatoshi quando lo sentì dire quelle parole. Certo che aveva quel diritto, lo aveva sempre avuto.
Tooru non meritava niente per come lo aveva trattato tutto quel tempo.
« Si, ma - » Si zittì di nuovo.
« Tooru » Lo chiamò Wakatoshi con voce alterata, stava perdendo la pazienza.
Per la prima volta perdeva la pazienza.
« Perché ora ti comporti così? »
« Perché ho paura! » Esplose infine, dando sfogo a quello che aveva dentro « Perché tu mi fai paura! Mi incasini il cervello, il cuore! Non voglio mai più vederti andare a letto con un altro, dannazione! Ma non mi merito niente da te, perché sono un codardo che per tutti questi anni ha negato la cosa più importante di tutte! »
Aveva il fiatone quando finì di gridare e si sentiva anche svuotato dentro.
« Quale cosa » Domandò Wakatoshi, senza scomporsi minimamente di fronte la sua reazione esagerata e melodrammatica.
« Che tu mi piaci! » Sputò fuori Tooru senza ripensamenti « Che mi sei piaciuto dal primo istante, anche se non ti sopportavo! »
« È un controsenso »
« Lo so! » E si ritrovò a ridere di se stesso.
Ma, cavolo, finalmente lo aveva detto.
Non aveva mai provato sensazione più bella di quella, prima ... aveva buttato tutto fuori.
« Tooru » Lo chiamò Wakatoshi « Sei bagnato, ti prenderai un malanno. Devi fare una doccia calda e - » Tooru si staccò dal muro e gli afferrò il viso con le mani, poi gli stampò un bacio rumoroso sulle labbra ancora umide.
« Ci sono le docce qui dentro » Disse.
« Si »
« Bene »
Wakatoshi ce lo spinse dentro con tutti i vestiti addosso, cogliendo il messaggio.

 
°°°


« No, ti prego, questo film no! »
Si lamentò Tooru, indicando lo schermo del computer su cui capeggiava una lista piuttosto ghiotta di film tra cui scegliere.
Erano stesi a terra, sulla moquette, sotto un piumone caldo con una ciotola di pop-corn davanti. L'autunno era arrivato e fuori la pioggia ancora sbatteva contro i vetri.
« Questo, allora? » Domandò Wakatoshi.
Tooru gli si fece più vicino, godendosi il calore del suo corpo avvolto da una felpa.
« Decisamente no » Dichiarò, ma non stava guardando il computer.
Wakatoshi se ne accorse e voltò lo sguardo tagliente verso di lui.
« Ho come la sensazione che tu non voglia vedere nessun film » Gli disse.
Tooru si voltò, stendendosi sulla schiena, e rise, prendendo a giocare con i laccetti della sua felpa di Ravenclaw blu, adorava il modo in cui gli stava addosso.
Wakatoshi aveva parlato con Kenjirou quella mattina e Tooru si sentiva di buon umore. Non era mai stato tanto bene prima. Con nessuno, ma soprattutto con sé stesso.
« Mi hai beccato » Mormorò.
Wakatoshi si piegò su di lui e lo baciò.
« Le prossime vacanze vieni da me in Minnesota » Lo informò, Wakatoshi sollevò un sopracciglio « I miei vogliono conoscere il mio ragazzo » Gli spiegò.
Wakatoshi era del Nebraska invece.
« Va bene » Si limitò a dire, tranquillo.
Tooru sorrise e tornò a fissare lo schermo del computer con la lista dei film.


L'orgoglio poteva anche andare a farsi fottere.



 
Only love can hurt like this
Must've been a deadly kiss
Only love can hurt like this
Only love can hurt like this
Your kisses burn into my skin
Only love can hurt like this


( Only Love can Hurt Like This - Paloma Faith )

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Capitolo 14
*** 14. The Divided Sky ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it” 

Prompt: Spy 

N° parole: 3651

Note: in questa one-shot ci sono evidenti riferimenti alla storia della Germania.
Ovviamente sono leggermente camuffati e modificati, perché sempre di AU su Haikyuu stiamo parlando. L’organizzazione di protezione e spionaggio interno nella DDR era conosciuta come Stasi o Ministero per la Sicurezza di Stato, io ho scelto di usare questa seconda dicitura per non essere troppo diretta. 
Ora, sull’argomento avrei scritto mille capitoli ( ho una laurea in lingua tedesca, e qualcosa a riguardo ho studiato ), se possibile, ma l’ho fatto in un giorno solo e temevo anche di non riuscire in tempo ( la giornata è stata anche molto pesante per me, causa real life).
La storia non è perfetta come avrei voluto, tutta la parte centrale io avrei voluto scriverla, non solo raccontarla, ma pazienza. 
La sfida è anche questa. 
TW: no happy ending qui, il finale è suuuuuper aperto. Fem!Oikawa.
Il titolo l’ho preso il presto dall’opera di una grande scrittrice tedesca, Christa Wolf – Die geteilte Himmel, ovvero Il cielo diviso. Super consigliato. 
 
 
 
 
The Divided Sky
 
 
1959 - Repubblica Democratica di Shiratorizawa 
 

La vita di Wakatoshi era costruita su una bugia. 
Sette anni della sua vita erano stati una menzogna. Una bellissima menzogna. 
Seduto sul bordo del letto matrimoniale, con ancora indosso il lungo cappotto beige, cercava di venire a patti con quella scoperta.
La ventiquattro ore giaceva ai piedi del letto, intoccata, piena di documenti top-secret. 
Quante volte l'aveva lasciata incustodita, senza pensare che non sarebbe stata al sicuro tra le pareti della sua casa, perché si fidava di chi ci viveva dentro. 
Non sentì la porta di casa aprirsi e chiudersi, non sentì la sua voce melodiosa chiamarlo. 
Si rese conto che era tornata a casa solo quando si accese la luce nella camera - si era fatto buio e non se n'era reso conto - che lo accecò, e se la ritrovò davanti, sull'uscio della porta. La sua bellissima e anonima moglie. 
« Sei a casa ... » Gli disse. 
Indossava il cappotto blu di lana grezza, delle calze color carne e le solite scarpe consumate. Lavorava in una fabbrica di scatolame, almeno ufficialmente. 
Wakatoshi ormai non ne era più sicuro. 
« Pensavo rientrassi più tardi stasera »
La guardò, senza rispondere.
Il sorriso sul volto di Tooru, sulle belle labbra rosse, si spense lentamente di fronte l'espressione - qualunque fosse - sul suo viso. 
Rimase sulla soglia a guardarlo, la soglia della loro camera da letto, e lo sguardo di Wakatoshi ricadde sulla fede che portava al dito anulare calloso e rovinato. 
« Amore, non ti senti bene? È successo qualcosa di grave a lavoro? Perché - »
« Sei una spia della RFS »
Wakatoshi buttò fuori la cosa prima che lei potesse toccarlo. 
Tooru era entrata nella stanza e si era avvicinata per sfiorargli il viso, ma si fermò non appena sentì quelle parole. I suoi occhi grandi e bellissimi erano sgranati, il colore del volto improvvisamente cinereo. 
« Wakatoshi, ma cosa - » Balbettò. 
« L'orecchino di perle che hai perso »
La interruppe lui, rivolgendo un'occhiata alla sua ventiquattro ore ancora chiusa. 
Tooru non seguì il suo sguardo. Rimase inginocchiata davanti a lui, appoggiata alle sue ginocchia con gli occhi sgranati e il volto pallido e sudato. 
« Lo hai trovato? È un tuo regalo, sai che ci tengo molto e ci sono rimasta male quando ... » 
La voce di Tooru era un sussurro appena incrinato, un sorriso teso sulle labbra. 
« Era nella mia ventiquattro ore » Scese un breve silenzio tra di loro, nella stanza. 
Tutto taceva, anche la strada fuori dalla finestra. Rimasero a fissarsi. 
Wakatoshi la guardava e si chiedeva chi fosse quella donna con cui aveva condiviso sette anni di vita, due di fidanzamento e cinque da sposati. Non sapeva ancora bene che cosa avrebbe dovuto provare di fronte ad una reazione tanto evidente. 
Forse sperava ancora di essersi sbagliato. 
« Non so come ci sia finito, forse - »
« Ci hai guardato dentro. Di notte, magari, mentre dormivo. Hai aperto la valigetta, perché conosci il codice, e hai selezionato i documenti che ti interessavano, ma non tutti, altrimenti sarebbe stato sospetto, e hai portato le informazioni a chissà chi e chissà dove. Ma purtroppo hai perso un orecchino »
Wakatoshi ci aveva riflettuto a lungo seduto sul letto, le cose dovevano essere andate in quel modo, forse condite con un po' di fantasia da parte sua, ma più o meno uguali.
Tooru rimase paralizzata a fissarlo. Nel momento decisivo non era nemmeno in grado di mentire o nascondere la verità, come aveva invece fatto per sette anni. 
Non riusciva ad essere spigliata e intelligente come al solito, veloce a pensare.
« Sei una spia della RFS. Le informazioni che trapelavano dal nostro dipartimento sono opera tua » Wakatoshi si sentiva ... strano. Era sicuro che avrebbe dovuto provare qualcosa ma ... era come se una parte di lui volesse rinnegare la realtà per rifugiarsi nella vita di menzogne che aveva condotto fino a quel momento. 
« Se non fosse stato per quell'orecchino trovato nel posto più improbabile, Tooru, non lo avrei mai scoperto » Disse, come se dare la colpa ad un orecchino potesse alleviare la situazione. Come se immaginare di non dover mai scoprire la verità fosse meglio. 
Vivere nella menzogna lo fosse. A quel punto, gli occhi di Tooru si riempirono di lacrime. Furono peggio di una conferma. 
« Non è così » Le parole famose. 
Wakatoshi aveva un mucchio di domande da farle, per esempio: Sei nata nella Repubblica Federale di Seijoh per cui lavori come spia? Oppure sei nata qui, come mi hai raccontato, ma fai solamente il doppio gioco? 
La risposta per lui avrebbe fatto una differenza enorme, almeno, avrebbe significato che una parte di quelle menzogne avesse un fondamento di verità. 
D'altronde, le migliori bugie avevano sempre un fondo di verità per funzionare. 
« Ti sei avvicinata a me perché sono un impiegato della MSS » Realizzò a quel punto. 
Il Ministero della Sicurezza di Stato, l'organizzazione che si occupava della sicurezza e dello spionaggio interno della RDS - La Repubblica Democratica di Shiratorizawa. 
« Ti sei avvicinata a me perché sono un idiota, come diceva mia madre »
Tooru scosse la testa, le lacrime le bagnavano le guance spigolose. 
« No, non sei un idiota. Non lo sei affatto! Sei un uomo buono, e giusto! Io avevo il compito di dimostrarlo! »
Proruppe lei, e quelle parole smossero qualcosa dentro di lui. Una brutta emozione.
E poi finalmente arrivò la realizzazione, la rabbia. Esplosero tutte insieme. 
« Mi hai mai amato? » Chiese, lo sguardo fisso ipnotizzato contro il pavimento, ma non su di lei. Non attese una risposta « Esiste anche solo qualcosa di vero tra le cose che mi hai detto? Nella nostra vita? O sei solo un personaggio costruito ad arte su di me? Tu sei vera Tooru, o solo una menzogna? Ti chiami davvero così, almeno? O anche il tuo nome è tutta una bugia? »
Tooru si portò una mano sulla bocca per soffocare i singhiozzi e scosse il capo. 
« Non è come pensi, non - »
« È per questo che non hai voluto figli? » La interruppe bruscamente. 
Wakatoshi ne avrebbe voluto almeno uno. 
Ma aveva rispettato la decisione di Tooru quando gli aveva detto di non essere sicura di volerne, il corpo era suo dopotutto. Lui non aveva voce in capitolo a riguardo.  
Quella negazione ora aveva tutto un altro significato, un altro sapore
« Wakatoshi, ascoltami - ah! »
Prima che potesse rendersene conto, in uno scatto violento di collera, la afferrò per la gola con una mano e la sbatté con violenza sul materasso del letto, di schiena. 
La bloccò sotto il suo corpo con rabbia. 
Tooru aveva gli occhi sgranati e i capelli sparsi sulle lenzuola. 
Wakatoshi non era una persona che si scomponeva facilmente, e lei stessa doveva provare timore di fronte a quella reazione. Lui provava timore di se stesso. 
Tremando, le tolse la mano dalla gola. 
Aveva stretto abbastanza forte da lasciarle il segno, forse ne sarebbe uscito un livido. 
La lasciò stesa sul letto e si rimise seduto sul bordo, schiena curva, sguardo basso, le dava le spalle, ancora fasciate dal cappotto. 
« Te ne devi andare » Fu la sua sentenza. 
« Wakatoshi aspetta, non - »
« Inventeremo qualcosa ma non ti voglio qui. Devo pensare a cosa farne di te »
Tooru si tirò a sedere sul materasso, tentando di prendergli un braccio e lui fu subito in piedi. Raggiunse il loro armadio, lo aprì e cominciò a tirare fuori tutti i suoi vestiti, gettandoli alla rinfusa sul letto. 
« Lasciami almeno spiegare! » Sbottò lei. 
Wakatoshi passò ai cassetti del comodino, biancheria intima, foulard, calze. 
« Sono sempre tua moglie, sai?! »
Afferrò il portagioie dal comò e lo gettò sul letto con violenza, quello si aprì riversando il  contenuto sui vestiti: bracciali, collane, spille, gemelli, anelli e orecchini. 
Quello di perla rotolò fino a cadere a terra, tra di loro. Lo fissarono. 
« Non sei nessuno» Fu la sua replica ferma, mentre si aggrappava con le mani al mobilio « Non so nemmeno chi tu sia davvero »
« Sono la donna che conosci! Non ho recitato una parte, Wakatoshi, fammi spiegare ti prego! »Tooru si alzò e lui si mosse, raggiunse il letto e vi tirò da sotto una vecchia valigia impolverata. La buttò sul letto insieme al resto. 
« Se ti trovo a casa quando rientro ... »
Lasciò la minaccia incompleta, nel vuoto. 
Tooru si morse il labbro inferiore, aveva il rossetto tutto sbavato sul mento. 
Sembrava un pagliaccio. 
« Se è un figlio che vuoi, allora facciamolo. Facciamolo adesso. Lo desideravo anche io, ma -  Siamo ancora in tempo, abbiamo tutto il tempo del mondo. Se questo potrà - »
Wakatoshi lasciò la stanza senza ascoltare il resto e si diresse giù per le scale, sentì Tooru chiamarlo a gran voce, seguirlo. 
Lo raggiunse mentre apriva la porta di casa sulla notte  fredda di metà Ottobre. 
« Ma dove vai? Dobbiamo parlare! »
Gli prese un braccio, Wakatoshi si liberò facilmente della sua stretta. 
Uscì per strada, era ancora trafficata. Tooru lo seguì anche lì. 
« Wakatoshi! »
E quella fu l'ultima cosa che sentì prima dello schianto, il suo nome gridato in quel modo disperato. Aveva attraversato la strada e lei lo aveva seguito di istinto, senza controllare di poter passare o meno. Una Trabant l'aveva investita in pieno. 
Wakatoshi si voltò in tempo per vedere il suo corpo disteso per metà sotto la macchina, del sangue da qualche parte sulla strada. Gli occhi chiusi, i suoi bei capelli sparsi. 
Rimase fermo e immobile, senza reagire. 
 
¤¤¤
 
Un tempo Shiratorizawa e Seijoh erano un unico paese. Questo prima della guerra. 
Wakatoshi non l'aveva combattuta personalmente, era un bambino all'epoca. 
Ricordava qualcosa però, dei momenti, degli attimi atroci che gli erano rimasti impressi nella memoria a lungo termine di bambino. 
Sapeva dai racconti nostalgici di suo padre che il loro paese era una grande potenza prima della dittatura e della guerra, ma avevano perso e lo avevano fatto nel modo peggiore. Così erano stati invasi da due delle potenze vincitrici e spaccati a metà. 
Qualche nostalgico preferiva dire Ovest ed Est, piuttosto che Seijoh o Shiratorizawa. 
Wakatoshi ricordava poco del suo paese unito. Aveva vissuto soprattutto nella RDS. 
La RFS non la conosceva affatto.
Erano divisi da un muro, ormai, reale
Un muro che divideva famiglie, ideologie e ormai anche cultura e storia. 
Vi erano fughe da una parte all'altra, ovviamente, nonostante i fermi controlli. 
Vi era anche chi diceva che Shiratorizawa fosse la parte peggiore in cui vivere, alla mercé di un governo dittatoriale e spietato. Wakatoshi faceva solo il suo lavoro. 
Lui era un semplice impiegato d'ufficio, niente di più. 
Aveva vissuto bene, nel rispetto delle regole. 
Tooru era entrata nella sua vita monotona inaspettatamente. 
Aveva preso posto presso il MSS da poco. Lui non faceva la spia interna. 
Si occupava solo di documentazioni, affari dello stato di cui non si impicciava. Solo Satori Tendou era l'unico collega che sembrasse davvero intenzionato ad essergli amico. 
Tooru l'aveva incontrata poco fuori dalla fabbrica di scatolame dove lavorava. 
Si trovava non molto distante dal suo luogo di lavoro, e dietro l'edificio fatiscente dove si adunavano le donne anonime e stanche della RDS, vi era una brutta fermata dell'autobus. 
Era su una strada mal curata, con alle spalle un marciapiede inselvatichito e una parete di mattoni rosso ricoperta di poster vecchi di propaganda e pubblicità stracciate. 
Wakatoshi prendeva lì l'autobus per tornare a casa. E una volta ci aveva trovato lei. 
Gli era saltata agli occhi perché sembrava diversa dalle altre donne. 
Non nel modo di vestire, portava un fazzoletto in testa, abiti anonimi, niente trucco e pochi gioielli, come tutte le altre. Le sue belle mani erano rovinate dalla fatica, ruvide e callose. Ma era bella, anche senza ornamenti, spiccava, alta, magra, attraente, occhi grandi, capelli mossi e folti. Il viso vitale e a fuoco. 
Non era solo una macchia anonima su uno sfondo tetro e sbiadito. 
Gli aveva sorriso quel primo giorno. 
Wakatoshi aveva pensato fosse stato solo per educazione. 
Gli dicevano che era un bell'uomo, come suo padre, e aveva avuto le sue donne e le sue esperienze, ma una donna bella come quella non avrebbe avuto motivo di concedergli un sorriso di altra natura. 
Pensava sarebbe finita lì. 
Ma si incontrarono tutti i giorni alla stessa fermata, la stessa ora, solo loro due. 
Un giorno a lei cadde un fazzoletto, Wakatoshi non di accorse della causa, ma era lì che si chinava per raccoglierlo. 
Si erano parlati la prima volta in quell'occasione. 
 
Era cominciata con quattro chiacchiere alla fermata dell'autobus. 
Poi lunghe passeggiate lungo la strada. Addii che diventavano sempre più difficili. 
Poi la prima uscita impacciata in quattro, organizzata ovviamente da Satori. 
E il primo bacio, e poi la prima volta che avevano fatto l'amore nel suo appartamento da scapolo, una vecchia mansarda in Adlerstraße con due stanze e un piccolo balcone che dava sulla strada. I loro vestiti sparsi a terra o sul tavolo della cucina, una radio che commentava qualcosa nel silenzio. Avevano vent'anni. 
Poi Tooru aveva conosciuto sua madre, a cui non era piaciuta, e suo padre, che l'aveva adorata. E sua nonna, che non ci stava più con la testa dopo la guerra. 
E infine si erano sposati, due anni dopo. 
Una cerimonia semplice, senza pretese. 
Ed era arrivata la sua prima promozione a lavoro, così avevano lasciato la mansarda per andare a vivere in una vera e propria casa. 
Se Wakatoshi avesse potuto dare un titolo a quel periodo della sua vita sarebbe stato: Gli anni felici. Quel capitolo si era bruscamente interrotto quel giorno, sul marciapiede di una strada trafficata. 
 
¤¤¤
 
Tooru era in coma. 
Il bacino rotto e una commozione cerebrale erano stati i risultati di quell'incidente. 
Almeno non è morta, era stato il pensiero che aveva attraversato la mente di Wakatoshi per tutta la notte, fino al mattino seguente, quando era arrivato Satori. 
Lo aveva raggiunto nella sala d'attesa, deserta ad eccezione sua. 
Aveva in mano un bicchiere di carta coperto con della carta d'alluminio. 
Wakatoshi lo accettò, ma non bevve nemmeno un sorso, restandosene seduto a fissare il pavimento mentre l'amico gli si metteva seduto accanto rilassato. 
Si erano sentiti al telefono poco prima, Wakatoshi aveva parlato dell'incidente e accennato appena a qualcosa. Era una persona ingenua, ma non abbastanza da non sapere che non era sicuro parlare di certi argomenti attraverso linee telefoniche sicuramente controllate. 
« Sono qui per raccontarti una storia, Wakatoshi » Esordì Satori a voce moderata.
Era strano sentirlo parlare in quel modo. 
Era come se anche lui, in qualche modo, rispettasse il silenzio e il dolore di quel luogo. 
« Forse ti sentirai tradito, ma a mia discolpa posso dirti che ti sono stato davvero amico in questi anni. Sei una persona ... interessante »
Wakatoshi sollevò lo sguardo dal pavimento per la prima volta da quando il dottore gli aveva dato il responso delle condizioni di Tooru. Guardò Satori senza capire. 
« Non so bene che cosa sia successo tra te e Tooru per arrivare a ... questo, ma se hai creduto che lei fosse una spia della RFS ti sei sbagliato. Di grosso »
La presa sulle mani che aveva stretto tra di loro a forza si fece violenta. 
La sua espressione non cambiò, ma dentro ...
« Tu che cosa ne sai? » La voce era ferma. 
« Perché conoscevo Tooru prima che tu la incontrassi. A dire il vero, eravamo colleghi »
Silenzio pesante, per qualche secondo. 
Satori dovette leggere la domanda sul suo volto, perché lo anticipò di misura. 
« Si, Tooru era una spia della MSS Wakatoshi. L'hanno mandata a spiare te, perché sospettavano che tu avessi ... tendenze simpatizzanti verso l'Ovest »
Wakatoshi non sapeva che cosa dire, che cosa pensare. È ridicolo, furono le prime parole che gli vennero in mente. Lui non aveva idee simpatizzanti verso ... niente. 
E lo stesso organo di stato per cui lavorava sospettava ... una follia. 
Tornò a guardare il pavimento, le mani sempre più strette tra di loro. 
« Tooru doveva trovare le prove della tua innocenza o colpevolezza »
Wakatoshi sciolse la presa delle mani e se le sfregò sul volto, passandole poi tra i capelli fino a stringerli con forza violenta nel pugno. 
La bevanda calda era finita abbandonata per terra, accanto ai suoi piedi. 
« Ma che bella storia ... »
Mormorò, cominciava a sentire la rabbia montare dentro come un'onda. Ancora. 
« Non doveva avvicinarti, Wakatoshi » Le parole di Satori arrestarono la tempesta. 
Sciolse la presa sui capelli e si voltò a guardarlo con uno sguardo che non avrebbe voluto vedere riflesso in uno specchio. 
« Andò contro le regole. Si finse operaia della fabbrica per avvicinarti. Io gliel'avevo detto di non farlo, ma quella donna è testarda, lo sai meglio di me! E, ovviamente, si è innamorata di te quella stupida »
« Questo non è amore »
« Davvero? Per sette anni quella donna ti ha protetto. C'è una talpa nel tuo dipartimento, Wakatoshi, per questo ti hanno puntato. Siete tutti controllati da anni. Tutte le notti Tooru controlla la tua valigetta per assicurarsi che non ti incastrino con documenti compromettenti! » Wakatoshi ripensò ad una cosa ... 
Ripensò ad una cosa che gli aveva detto Tooru, ma lui non l'aveva fatta parlare. 
Sei un uomo buono, e giusto! Io avevo il compito di dimostrarlo! 
« Ovviamente, non puoi pensare che i piani alti potessero accettare un vostro avvicinamento. Tooru è stata licenziata »
Satori allungò le gambe davanti a sé e incrociò le caviglie, portandosi le mani dietro la nuca come se stesse prendendo il sole. 
« A quel punto è venuta da me a pregarmi di prendere il suo posto. Ho accettato, ovviamente. Ma lei era paranoica e, sebbene le avessi detto di non farlo, doveva anche controllare personalmente che tu fossi al sicuro. Una spia resta sempre una spia »
Wakatoshi ripensò al modo in cui l'aveva afferrata per la gola, sbattendola contro il materasso. Tooru era terrorizzata da lui. Chiuse gli occhi e ci passò le mani sopra. 
« Sai perché non voleva restare incinta nonostante lo desiderasse? »
Wakatoshi aprì gli occhi di colpo e lo guardò.
Satori lo stava osservando di sottecchi. 
« Me l'ha detto. Con le lacrime agli occhi mi ha detto che non poteva darti un figlio, perché aveva paura che lo usassero contro di te. Di voi » Satori sciolse la posizione delle mani dietro la nuca e le intrecciò davanti allo stomaco, sospirando pesantemente. 
Se è un figlio che vuoi, allora facciamolo. Facciamolo adesso. Lo desideravo anche io, ma ... Lui non le aveva creduto. Ovviamente non le aveva creduto. 
« Questa è la bella storia che sono venuto a raccontarti. Una bella storia di bugie e verità nascoste per amore. Ora ti lascio solo »
Satori gli diede una pacca sulla spalla, poi si alzò in piedi con un sospiro pesante. 
Per la prima volta, Wakatoshi si rese conto che era stanco, tanto stanco quanto lui, perché voleva bene a Tooru. Lo fermò di nuovo sulla soglia. 
« Il suo nome. La sua vita, le sue - »
« Tooru Oikawa, nata il 20 luglio del 1932 in quella che oggi è la Repubblica Federale di Seijoh. Si è trasferita da bambina qui »
Il resto della storia Wakatoshi la conosceva.
« Era tutto vero, se è quello che ti stai chiedendo. Ogni cosa che sapevi di lei, era vera. Almeno le cose che contavano davvero lo erano »
Satori lo stava osservando dalla spalla, ancora girato verso la porta con il corpo. 
Si infilò le mani nelle tasche della giacca e tornò a guardare dritto di fronte a se. 
« Viviamo in uno stato che non ci concede libertà, Wakatoshi. Se non lo avevi capito, ora lo sai. Bisogna fare quello che si può per sopravvivere, e Tooru lo sapeva. Lei era sola, senza famiglia, e tu eri la sua cosa più preziosa. Ha fatto quello che poteva per proteggerti, giusto o sbagliato che fosse » Una pausa « Ma suppongo che non potesse proteggerti dal suo passato » Satori se ne andò. 
Wakatoshi passò qualche minuto a fissare il vuoto. 
Quando se ne rese conto, stava già piangendo silenziosamente. 
 
¤¤¤
 
I fiori freschi che aveva messo nel vaso accanto al suo letto erano dei fiordalisi. 
Il loro fiore nazionale. O almeno lo era stato quando erano un unico paese. 
Forse sarebbe arrivato un giorno in cui quel muro avrebbe perso il suo potere, crollando in macerie. Fino ad allora, Wakatoshi avrebbe vissuto. 
Allungò una mano e strinse quella di Tooru.
« Satori mi ha raccontato una storia »
Le disse, salendo a spostarle una ciocca di capelli dalla fronte ancora tumefatta. 
« Ma vorrei che fossi tu a raccontarmela » Si avvicinò con la sedia al letto, le aveva messo gli orecchini di perle perché erano i suoi preferiti, e anche se non potevano indossare molti gioielli, Tooru ci aveva sempre tenuto ad essere curata. 
« Ho delle scuse da farti. E cose importanti da dirti, perciò aprì gli occhi, Tooru »
 
Io sono qui ad aspettarti dalla stessa parte del muro. 

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Capitolo 15
*** 15. I Am Your Fall ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Deity

N° parole: 4549

Note: questa one-shot è fortemente ispirata al mito di Persefone e Ade. Sinceramente è un miracolo che io sia riuscita a postarla oggi … ringraziate gli attacchi d’ansia che non mi fatto dormire la notte. Buona lettura!





 
I Am Your Fall
 

Indeed, it's wrong to keep you near me
One could call me cruel and deceiving
But in your sacred air I am full of light
Your loving arms are the true delight
To which I'm lost




Tooru non avrebbe dovuto cogliere quel fiore.
Sua madre glielo aveva detto. Ma per lui era stata una sfida.
Entrare nel regno del dio degli inferi, nel suo giardino meraviglioso e proibito, cogliere il fiore dell'albero di melograno.
Tooru non sapeva quello che stava facendo.
Non conosceva la maledizione di quel giardino o del suo padrone.
Era una divinità giovane, sfacciata e indomita.
Non sapeva che recidendo il fiore dal suo albero stava inevitabilmente decidendo il suo destino. Una bellissima prigione d'ossidiana.


 
♧♧♧


I giardini degli inferi erano la cosa più bella che avesse mai visto.
Non assomigliavano a niente che lui stesso avesse creato sulla terra, camminata dai mortali, o sulle alte sommità del cielo, camminate dagli dei suoi fratelli.
O nemmeno ai giardini nel regno marino, che visitava raramente.
Il regno degli inferi non aveva un cielo, ma una coltre nera sulla testa, non era un luogo vivo. La vita non cresceva tra quelle mura.
Il palazzo d'ossidiana era di una fredda bellezza e l'unico sprazzo di colore veniva da quel giardino. I fiori erano bioluminescenti e vi era al centro quell'unico albero di melograno con i suoi frutti invitanti.
Tooru passava la maggior parte del suo tempo lì. A passeggiare lungo le sponde dello Stige e del Leto che lo attraversavano, fingendo di non essere in catene.
« I fiori di questo giardino traggono vita da me »
Trasalì quando sentì quella voce profonda e monocorde. Rimase con la mano sospesa sopra la cupola di un fiore rosa, osservando la figura che si muoveva nell'ombra.
Il dio degli inferi e delle anime perdute. E ora anche suo marito.
Emerse circondato dalla sua aurea nera, che si sollevava dal chitone che indossava.
Le sue ali maestose e nere erano ripiegate dietro la schiena imponente.
Non assomigliava affatto al mostro delle fiabe che raccontavano i mortali ai loro bambini per spaventarli la notte. O alle leggende che raccontavano tra gli dei.
La Morte incarnata era attraente, piacente.
« Per questo sono maledetti »
Tooru strinse la mano al petto, rivolgendo al marito un ribelle sguardo da giovane divinità astiosa e del tutto intenzionata a fargli passare una vita miserevole.
Aveva colto il fiore di quel melograno e ora era maledetto anche lui, costretto a restare negli inferi senza mai poterli lasciare. Lui, il dio della natura e della vita.
« È di tuo gradimento quello che vedi? » Tooru sollevò il naso in un gesto sprezzante.
« È a malapena passabile » Sbottò, guardando lui e non i giardini intenzionalmente.
Wakatoshi non mutò espressione di fronte il suo evidente insulto alla sua persona.
La sua pelle bronzea sfavillò luccicante.
« I giardini sono tuoi, se ti piacciono. Consideralo il mio regalo di nozze » Replicò invece, con estrema calma. Tooru rimase dov'era, a debita distanza, senza mostrare l'accenno di sorpresa che era nata dentro di lui a quelle parole.
Erano sposati, ma non lo aveva mai toccato.
Nessuno voleva sfiorare la Morte, nemmeno una divinità immortale.
« Il regalo per la mia prigionia? » Sbottò sprezzante, incrociando le braccia al petto.
Wakatoshi sgranchì le ali dietro la schiena.
« Ti avevo detto che le acque dei miei fiumi erano tentatrici. Tu non hai ascoltato »
Una vampata di vergogna si impossessò di lui nel sentire quelle parole.
Strinse le mani sulla stoffa del chitone bianco.
« Sei stato tu ad istigarmi! Sei anche il dio dei sotterfugi e delle bugie »
Lo accusò, pestando un piede a terra. Wakatoshi si mosse nelle ombre, avvicinandosi all'albero di melograno al centro del meraviglioso giardino bioluminescente.
« È vero » Confessò, senza essere chiaro a che cosa si stesse riferendo, se all'accusa o alle altre sue peculiarità divine.
« Non ti ho fatto niente, non avevi motivo di imprigionarmi qui con te! »
Tooru indietreggiò di un passo quando Wakatoshi si mosse ancora nei giardini.
« Il mio tocco non uccide » La risposta non fu quella che si era aspettato « So che gli altri dei lo dicono, ma il mio tocco non uccide senza controllo. Allo stesso modo in cui il tuo da la vita » Tooru rimase in silenzio, Wakatoshi si fermò ad una distanza discreta, senza invadere i suoi spazi « Non ti toccherò senza consenso, se è quello che temi »
Ci fu silenzio per qualche istante.
Tooru non rispose, restando dov'era. Wakatoshi rimase a guardarlo negli occhi fino a quando non spostò lo sguardo sul cielo scuro, prestando attenzione a qualcosa che Tooru non poteva vedere. Spalancò le possenti ali.
« Nessuno vuole essere solo, Tooru » Gli disse poi all'improvviso, staccando i piedi dal terreno con un leggero battito di ali del tutto aggraziato « Nemmeno la Morte »



 
♧♧♧


La prima volta che Wakatoshi aveva visto Tooru ne era rimasto incantato.
Lo aveva riconosciuto subito, il giovane dio della natura e della vita.
Sfacciato, indomito e intraprendente come glielo avevano descritto le sue furie.
Stava facendo il bagno in uno dei laghetti nati dai fiumi dei suoi inferi, e nessuno mai aveva osato farlo prima. Wakatoshi lo aveva guardato senza imbarazzo, incuriosito dal suo corpo attraente. Tooru brillava sempre.
Negli antri oscuri del suo reame niente sembrava sfolgorare come lui.
La sua luce era bianca e calda, un tepore anche per la sua pelle perennemente gelida.
Lo aveva spiato nelle ombre, ma Tooru si era accorto ugualmente di lui.
« Esci fuori, guardone! » Lo aveva accusato con quella voce melodiosa e altera. Tronfia.
Wakatoshi era uscito dal suo nascondiglio.
Aveva realizzato il momento in cui Tooru lo aveva riconosciuto, il dio degli inferi che era maledetto a non poter mai lasciare il suo reame per l'eternità.
La sua espressione spavalda era cambiata.
« Sei nelle mie acque » Gli aveva detto.
Tooru si era ritratto sotto la superficie, nascondendo come poteva le sue nudità esposte.
« Le trovo rinfrescanti » Era stata la risposta.
Si trovavano al confine tra il regno mortale e quello degli inferi, in quel bosco tetro e affascinante, dove ancora cresceva la vita prima di incontrare le lande desolate del suo reame di macerie e anime corrotte.
« Sono acque tentatrici, giovane Tooru » Lui era trasalito nel sentir pronunciare il suo nome, ma tra le divinità non era un mistero.
Wakatoshi era certo che anche lui conoscesse il suo nome. Se non per intuito divino, quanto meno per via degli incubi che venivano raccontati su di lui.
« Niente è in grado di tentarmi! » Aveva risposto Tooru con la sua arroganza.
Wakatoshi aveva allora accennato un sorriso, mettendosi seduto su uno dei massi accanto al laghetto, sfiorando con la punta dei pedῖlon la superficie dell'acqua, le ali spiegate dietro la schiena in tutta la loro grandezza regale.
« Queste acque lo farebbero » Aveva ribattuto osservandolo. Non ricordava nemmeno quando fosse stata l'ultima volta che aveva parlato con qualcuno di vivo, qualcuno che non fossero le sue furie o fosse arrivato al suo cospetto solo per chiedere un favore personale « Ti hanno già indotto ad entrare dentro di loro con dei sussurri »
Tooru parve indignato da quella affermazione.
« Ci sono entrato di mia volontà! » Aveva replicato orgoglioso.
Un sorriso aveva graziato le labbra bronzee di Wakatoshi, quella giovane divinità possedeva uno dei vizi peggiori della loro razza.
« È quello che credi. Ma prima che tu possa accorgertene, potrebbero indurti a fare cose impensabili ai più » Un corvo era uscito dagli alberi gracchiando indignato da qualcosa.
Wakatoshi lo aveva seguito con lo sguardo, pensieroso. I Corvi erano gli animali di suo fratello Daichi, il Signore dei Cieli, doveva a lui la sua maledizione.
« Tipo? » Tooru lo aveva riportato al presente, dove ci aveva messo qualche secondo per ricordare di che cosa stessero esattamente parlando.
« Come introdurti nei giardini degli inferi e cogliervi un fiore, ad esempio. Impresa in cui nessuno è mai riuscito » Tooru non aveva risposto, lo aveva osservato da sotto la superficie dell'acqua con quei suoi occhi grandi ed espressivi. Furbi e intelligenti.
« Siete una persona meschina, Re degli Inferi » Era stato il suo unico commento.
Si era poi alzato in piedi, mettendo in mostra il suo corpo nudo senza nemmeno arrossire. Lo aveva fatto apposta.
Aveva raggiunto la sponda ed era uscito dall'acqua gocciolante, si era chinato a raccogliere il chitone bianco e lo aveva portato al petto, lasciando che Wakatoshi gli studiasse la schiena e la curva delle natiche sode, con le gambe allenate.
Si era voltato a guardarlo di spalle, per accertarsi che si stesse godendo lo spettacolo. Wakatoshi lo stava facendo.
« Addio, vostra meschinità »
Lo aveva salutato con un sorrisetto di arrogante soddisfazione sulla faccia.
E se ne era andato dove Wakatoshi non poteva seguirlo.
Erano seguiti alcuni secondi di silenzio.
« Satori, esci fuori » Aveva detto con voce calma.
« Siete davvero meschino, Vostra Grazia » Wakatoshi aveva sorriso di nuovo, restando seduto sul suo masso piatto mentre la furia atterrava al suo fianco con grazia.
« Tutti conoscono la maledizione dei vostri giardini. Quella divinità degli arbusti arrogante non tornerà, nemmeno dopo la vostra evidente provocazione »
Wakatoshi aveva continuato a fissare il punto in cui Tooru era sparito, al confine con il regno dei mortali a lui inaccessibile.
« Staremo a vedere » Era stata la sua replica divertita.
Dopotutto l'aveva colpito nel suo punto debole: l'orgoglio smisurato.


Pochi giorni dopo, Tooru aveva colto il fiore di melograno nei suoi giardini.

 
♧♧♧


Il Signore degli Inferi era un uomo solitario.
Era la prima cosa che Tooru aveva notato passando del tempo nel suo regno di morte.
Lavorava indefesso, ma era anche spietato con le anime corrotte e immeritevoli.
Tooru aveva imparato con fatica ad accettare il suo ruolo di signore del palazzo di ossidiana. Aveva scoperto che Wakatoshi non viveva da solo, aveva molti servitori, come le sue tre furie: Satori, Eita e Reon. Ma non erano divinità fraterne.
Gli altri dei non andavano mai a trovarlo.
Forse era solamente un caso.


Stava lavorando nei giardini quando accadde.
Accade quel qualcosa che cambiò il corso del tempo in quella dimora solitaria.
Anche se aveva accettato quel regalo con disprezzo, Tooru in realtà lo amava.
Era nella sua natura farlo. L'unico conforto di quella prigionia era lì, in quelle piante bellissime che non morivano mai.
Aveva le mani affondate nel terreno quando Wakatoshi atterrò nel giardino con grazia.
Le sue ali d'ombra non sollevavano aria.
« Hai condannato al supplizio eterno quelle povere anime infelici, marito mio? »
Gli domandò senza nemmeno sollevare lo sguardo dal lavoro di travaso che stava facendo. Avrebbe potuto usare la magia, ma preferiva farlo personalmente, sporcandosi le belle mani affusolate, affondarle nella terra e nutrirsi della sua vitalità pulsante.
La sua voce era sarcastica. Non lo chiamava mai in quel modo con affetto, perché era chiaro che nel loro rapporto non vi fosse traccia di amore.
« Solo quelle meritevoli di soffrire » Fu la risposta pacata e sincera.
Wakatoshi era un dio meno complicato di quelli che Tooru conosceva.
Non era beffardo, infido, cattivo o supponente. In realtà, non lo aveva mai visto esprimersi con emozioni diverse da quella faccia apatica e controllata.
Aveva giusto accennato un sorriso ogni tanto.
« E ora che hai terminato il tuo lavoro, devi venire a tormentare me »
Tooru prese tra le mani la bella rosa azzurra luminescente, quella rimase viva e intatta.
Stava cercando di creare un'aiuola di sole rose, per quanto fosse assurdo.
« Volevo sapere se ti andava di vedere un posto » Wakatoshi ignorò la sua frecciatina.
Tooru sospirò e si voltò a guardarlo. Lo stomaco gli si strizzò un po', traditore.
Il dio degli inferi indossava l'armatura d'ossidiana quel giorno. Era attraente.
« Non ho già fatto tutto il giro degli Inferi? E se si tratta di Tartaro, non mi va di incontrarlo di nuovo, grazie » Replicò, tornando a lavorare la terra come se niente fosse.
Wakatoshi incrociò le braccia al petto.
« È un luogo che si può raggiungere solo volando »
Specificò, catturando l'attenzione di Tooru, che sollevò un sopracciglio.
Pulì le mani con la magia e si alzò in piedi.
« È un tuo modo subdolo per toccarmi? » Domandò incrociando le braccia al petto.
Wakatoshi sollevò un sopracciglio.
« Posso chiamare Satori e - »
« No, grazie. Non voglio un solo artiglio di quell'uccellaccio del malaugurio vicino al mio corpo » Lo interruppe sbrigativo. Poi guardò di nuovo Wakatoshi e sospirò.
« Sei una persona meschina, marito mio »
Ripeté le parole che gli aveva rivolto la prima volta che si erano incontrati.
Poi gli si avvicinò lentamente, come non aveva mai fatto da quando si era ritrovato imprigionato negli inferi.
Wakatoshi emanava freddo e ostilità, Tooru esitò un istante, rabbrividendo.
Sollevò lo sguardo per guardare l'altro negli occhi e vi lesse qualcosa, dispiacere forse.
Si sentì leggermente in colpa. Sollevando il mento con alterigia porse la propria mano al dio degli inferi. Wakatoshi la guardò per qualche secondo, poi gliela prese con delicatezza inaspettata. La sua pelle era ghiacciata.
Tooru rabbrividì nuovamente, ma si controllò.
Come aveva detto Wakatoshi, il suo tocco non era letale, affatto.
E non era spiacevole, a parte il freddo contatto iniziale.
Tooru gli si avvicinò, avvolgendogli le braccia attorno al collo e Wakatoshi lo sollevò senza fatica alcuna. Profumava di melograno e morte.
Era una combinazione stranamente ... piacevole. Wakatoshi scosse le ali.
« Mi dispiace. Non dovrai sopportare a lungo la mia vicinanza » Gli disse con calma.
Tooru sollevò lo sguardo per osservarlo in viso, ora che erano tanto vicini.
Era un bel viso spigoloso, dai tratti affilati come i suoi occhi caleidoscopici.
Tooru non ebbe il coraggio di rispondere.
Wakatoshi si liberò in volto e ... non ebbe modo di pensare ad altro che a quella meravigliosa sensazione di essere sospeso nel vuoto.
Atterrarono su un alto eremo, davanti alla bocca di una cavità della montagna.
L'ingresso dell'antro era coronato di piante rampicanti nere con fiori azzurri luminescenti che prendevano nel vuoto come tanti boccioli.
Tooru scese dalle braccia di Wakatoshi e guardò quell'entrata irraggiungibile con occhi incantati di meraviglia. Nel cielo nero si vedevano le stelle, le costellazioni.
« È il punto più vicino alle terre mortali che esista negli inferi, dopo i laghetti »
Gli spiegò Wakatoshi affiancandolo, ma restando ad una debita distanza da lui.
« Vieni a vedere » Gli disse gentilmente, scostando i rampicanti neri per farlo passare.
Tooru esitò solo un istante, poi varcò la soglia. E rimase senza fiato.
Vi era una fonte termale lì dentro, acqua tiepida che zampillava in piccole cascate dalla parete nera e umida in un laghetto bellissimo.
Ai loro piedi vi era un tappeto d'erba e di fiori, alberi senza foglie adornavano lo spazio, con fiori vermiglio sbocciati magicamente dai rami morti.
« È ... meraviglioso » Commentò con un filo di voce, sentendo la vita scorrere in quel luogo. Wakatoshi entrò nella grotta e Tooru si accorse che, mentre lui contemplava la meraviglia, si era tolto le scarpe e i parastinchi dorati dell'armatura.
Camminava scalzo sul soffice letto d'erba.
« Questo è il mio posto segreto » Confessò il Signore degli Inferi accovacciandosi davanti alla fonte termale, in cui immerse due dita con sicurezza, le polsiere d'oro, con motivi di aquile reali, scintillarono in riflesso con l'acqua e i suoi vapori.
« E ci hai portato me? » Tooru domandò di istinto, senza riflettere.
Wakatoshi lo guardò.
« Sei mio marito » Fu la secca risposta. Tooru si strinse nelle braccia, a disagio.
Non dormivano nemmeno nello stesso letto, pranzavano e creavano seduti uno di fronte all'altro con un tavolo di otto metri a dividerli.
Eppure quella era la risposta di Wakatoshi.
Sospirando, lo raggiunse e si mise seduto accanto a lui davanti all'acqua.
« Tu non sai socializzare molto, vero? »
« Non posso lasciare il regno degli inferi perché mio fratello mi ha maledetto. Inoltre, le divinità che scendono qui lo fanno solo per chiedermi qualche favore impossibile »
Tooru, che stava allungando una mano per toccare l'acqua, si arrestò per guardarlo.
Wakatoshi osservava sereno il laghetto.
« Davvero? » Chiese, e nel suo tono di voce dovette trapelare qualcosa, perché Wakatoshi si voltò a scrutarlo con quegli occhi unici.
« Tu sei l'unica persona viva con cui ho parlato negli ultimi cento anni »
Quella dichiarazione lo lasciò basito.
Non aveva capito quanto fosse profonda la sua solitudine fino a quel momento.
« E nessuno viene a trovarti per della pura e semplice compagnia? »
Wakatoshi tolse la mano dall'acqua e la scrollò, per poi intrecciarla all'altra nel vuoto.
« Non sono una persona amichevole »Tooru fece silenzio per qualche attimo.
In realtà, lui trovava Wakatoshi estremamente ... dolce.
Era un ingenuo, incapace di tenersi per sé anche un solo pensiero diretto.
Era incapace di ferire intenzionalmente.
Era diverso da qualsiasi altro dio nato dai vizi degli esseri umani, compreso lui.
La morte non ha bisogno di essere ambigua.
Gli tornarono in mente le parole che gli aveva detto una volta sua madre.
Si mostra esattamente com'è. Era era vero.
« Perché Daichi ti ha maledetto? »
Quella era una storia che non gli avevano mai raccontato.
Inoltre, Tooru aveva avuto modo di scoprire che molte delle cose che raccontavano sugli inferi e sul suo Signore erano condite di molta fantasia.
« Temeva il mio potere. Tutto qui » Wakatoshi non aggiunse altro.
Non vi era astio nelle sue parole, né tracce di risentimento. La maledizione era permanente, sarebbe vissuto per sempre nella solitudine, eppure non portava rancore.
« Ma adesso hai me » Ancora una volta, le parole gli sfuggirono di bocca senza controllo. Wakatoshi sollevò le sopracciglia, guardandolo.
Tooru si fece audace e gli toccò di nuovo il dorso gelato di una mano.
« Daichi voleva che tu fossi solo, ma hai me. La maledizione non ha vinto, ma tu si »
Disse con impeto, non sopportava le ingiustizie, era più forte di lui.
Anche se venivano dal Signore del Cielo.
« Sei in catene a causa mia » Gli fece notare Wakatoshi. Si, era vero.
Ma gli inferi non erano un luogo del tutto morto, e Tooru adesso ne era un signore a tutti gli effetti. Avrebbe fatto la sua parte.
Cercò la sua mano e gliela strinse, consapevolmente. Era grossa e callosa.
La sua pelle bianca e quella bronzea brillarono intensamente nella grotta.
E sui rami morti degli alberi spogli fiorirono fiori dorati, ma nessuno dei due se ne accorse.
« Grazie per aver condiviso con me il tuo posto segreto » Gli disse, continuando a tenergli la mano « Mi piacerebbe che passassimo un po' più di tempo insieme »
Wakatoshi accennò un sorriso e ricambiò la stretta.
Tooru si rese conto che nessuno doveva averlo mai toccato.
Nessuno prima di lui. Il dio della vita.

 
♧♧♧


Wakatoshi mantenne la promessa.
Di ritorno dal suo lavoro, passava il suo tempo con Tooru. Imparava come amare la natura dei giardini che gli aveva regalato affondando le mani nel terreno.
Lo accompagnava a fare lunghe passeggiate.
Tooru fece amicizia con Cerbero e con Tsutomu, il traghettatore di anime.
Al tavolo si mise seduto accanto a lui.
Imparò a farsi amare dai suoi sudditi e partecipò ad alcuni processi.
Ogni tanto tornavano sull'eremo a fare dei bagni nelle terme, e piano piano l'uno si abituò all'altro. Alla vicinanza con l'altro, al toccarsi, allo sfiorarsi.
Si conobbero come amici.
E prima che se ne rendesse conto, quella vita gli divenne cara. Cominciò a considerare casa gli inferi, amici i suoi abitanti strani. E il Signore degli Inferi il suo compagno.
Prima che potesse contare le stagioni trascorse, anche il suo cuore era mutato.


Tooru si era innamorato del Signore degli Inferi.

 
♧♧♧


La stanza di Wakatoshi affacciava sui Campi della Pena, da cui si levavano lamenti lontani. Tooru bussò, ma non ottenne risposta.
Aprì la porta lentamente, sbirciando nella stanza. L'enorme letto era intatto, vuoto, i veli che lo coprivano ancora allacciati e chiusi.
Entrò, posando i piedi scalzi sul freddo pavimento di ossidiana.
Chiuse la porta con cura dietro di sé.
Wakatoshi non sembrava essere da nessuna parte, poi le tende nere si gonfiarono sospinte dal vento caldo proveniente dai campi. Tooru si diresse verso il balcone.
Wakatoshi era appoggiato alla ringhiera, un chitone nero addosso e la schiena curva, lo sguardo distante sul suo reame.
Tooru gli si affiancò, stringendo al petto il cuscino morbido che si era portato dietro.
« Non riesci a dormire » Una costatazione. Wakatoshi parlò con la sua voce profonda e bassa senza guardarlo, i capelli erano mossi appena dal tiepido vento.
« Ho avuto un incubo » Confessò Tooru.
Gli si mise vicino sulla ringhiera, appoggiandogli la testa sulla spalla.
« Nemmeno tu riesci a dormire » Notò. Wakatoshi gli passò distrattamente un braccio attorno alle spalle. Avevano fatto l'abitudine a toccarsi con naturalezza.
Tooru si era abituato a quella gelida pelle.
« Le anime dei Campi della Pena si lamentano con maggior forza. Sono irrequiete » Tooru lo osservò mentre scrutava l'orizzonte fiammeggiante.
« Speravo di poter dormire con te » Gli disse senza vergogna.
Per la prima volta Wakatoshi spostò lo sguardo dai campi per posarlo su di lui.
Tooru ricambiò l'occhiata.
« Questo è il mio letto in realtà, no? Dovrei dormire accanto a te »
« Ogni cosa mia è anche tua adesso. Compreso questo reame »
Tooru spostò la testa dalla sua spalla e gli prese una mano, intimandolo a girarsi verso di lui. Wakatoshi era poco più alto.
Si alzò sulla punta dei piedi per raggiungerlo e gli sfiorò le labbra con un bacio.
Erano gelide anche quelle. Wakatoshi rimase impassibile, in attesa.
« Voglio rendere vera questa unione » Affermò Tooru, prendendogli il volto tra le mani.
« Perché, Tooru. Non hai obblighi con me »
Tooru lo guardò negli occhi e gli sorrise.
« Davvero non sai il perché? » Gli chiese con dolcezza, accarezzandolo.
Wakatoshi gli afferrò una mano e gli baciò il palmo.
« Non osavo sperare che tu ... »
« Che io potessi amare te, il dio della morte » Concluse Tooru per lui.
Non sapeva come dirgli che forse era l'unica creatura, tra le divinità, a meritare amore.
Gli era stato negato troppo a lungo.
« È così » Confermò.
Tooru lo baciò di nuovo, questa volta con più impeto e meno dolcezza e timidezza.
A quel punto Wakatoshi lo prese in braccio senza sforzo, entrò nella loro camera da letto e lo adagiò sul letto con accortezza.
Quando si chinò su di lui le ampie ali di tenebra si spiegarono maestose, ricoprendoli.

 
♧♧♧


Tooru fu svegliato da un ruggito.
Non era un ruggito prodotto di gola, ma viscerale.
Erano le fondamenta stesse del palazzo di ossidiana a tremare.
Wakatoshi, pensò. Quello era il suo potere.
Si tirò a sedere di scatto sul materasso enorme e sfatto. Coprendosi con le lenzuola osservò il lato del letto vuoto, allungò una mano sul cuscino. Era ghiacciato.
Senza pensarci troppo scese dal letto e indossò il suo chitone bianco di fretta.
Le pareti tremarono ancora una volte, scosse.
Quando giunse davanti alla sala del trono incrociò le tre furie, Satori, Eita e Reon.
« Che cosa succede? » I tre si guardano tra di loro, imbarazzati.
« Non potete entrare, mio Signore » Fu Reon a parlare per primo, con la sua solita calma e compostezza. Tooru incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio.
« E chi lo dice? »
« Il Re degli Inferi ... Signore » Intervenne Satori senza mezzi termini.
Reon ed Eita lo fissarono, lui fece un sorriso da iena. Il palazzo tremò di nuovo.
« È davvero arrabbiato » Commentò Satori, palesemente divertito dalla furia del suo Re.
Tooru perse la pazienza.
« Levatevi di mezzo » Sbottò, allontanando le tre furie dalla porta con la magia, poi la spalancò di colpo senza complimenti e si bloccò al centro della sala del trono.
Davanti a Wakatoshi se ne stavano sua madre e Daichi, il Signore dei Cieli, in persona.
« Tooru! » Esclamò la dea non appena si accorse di lui.
Daichi e Wakatoshi si voltarono a guardarlo.
« Oh figlio mio, stai bene! » Tooru alzò gli occhi al cielo e affiancò il marito.
« Andiamo, madre. Meno melodramma » La schernì, e immediatamente le lacrime finte sul volto della dea cessarono. Incattivì lo sguardo e incrociò le braccia al petto.
« Questa divinità infima ha rapito mio figlio! » Sbottò, sprizzando il veleno del suo sangue da fuori. Tooru alzò gli occhi al cielo.
« È così, fratello? » Intervenne Daichi con la sua voce possente.
Prima che Wakatoshi potesse rispondere con qualche sciocchezza, Tooru intervenne.
« Certo che no! Ho colto un fiore del suo giardino, nonostante fosse proibito, e mia madre lo sa! Mi aveva detto di non farlo »
« E a ragione! Ora sei ... »
« Sono il marito del dio degli Inferi, si »
Calò un silenzio pesante. Il Signore dei Cielo li fissava entrambi accigliato.
« Capisco » Commentò « Ma temo di dover riportare Tooru indietro »
Il palazzo tremò ancora una volta con violenza, ribollendo della collera di Wakatoshi.
Tooru a quel punto si parò davanti a lui.
« No » Disse, sfidando Daichi.
« Tooru - » Cominciò Wakatoshi.
« No! Lo hai già maledetto alla solitudine eterna. Non gli toglierai anche me! »
« Tu lo ami! » Sbottò sua madre con disgusto. Tooru non si prese la briga di risponderle, rimase fermo davanti a Wakatoshi, la sua attenzione tutta per Daichi.
« Capisco » Fu il suo unico commento.
« Ma mio signo- » Daichi sollevò una mano.
« Tuttavia, la tua assenza nel regno mortale ha incrementato le morti e ridotto la vita. È tuo dovere tornare. Io sciolgo la maledizione che lega al dio degli inferi » Tooru non sentì sulla di diverso al suono di quelle parole pronunciare contro il suo volere.
Si schiacciò con la schiena contro il petto di Wakatoshi e lui lo strinse a sé.
« Tooru, devi andare » Gli disse.
« Sei mesi » Furono la sua replica. Daichi sollevò un sopracciglio.
« Sei mesi sulla terra, sei mesi qui! »
Era irremovibile. Daichi guardò Wakatoshi, che resse il suo sguardo.
« Va bene » Acconsentì infine e Tooru tornò a respirare.
Posò la mano su quella di Wakatoshi, posata sul suo petto.


La maledizione era spezzata.

 
♧♧♧


« Ci vediamo tra sei mesi, allora »
Wakatoshi gli sistemò un mantello sulle spalle. Tooru annuì, baciandolo a tradimento mentre era impegnato ad allacciargli l'indumento davanti al petto.
« Non sentire troppo la mia mancanza »
Gli disse con un sorriso birichino.
Wakatoshi accennò un sorriso.
« Tornerò » Promise Tooru.


Sull'albero di melograno, spuntò un altro fiore.

 
And you've noticed it
There is something right here
You have come to love, yes you've come to love
What you always will fear


( Persephone - Tamino )

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Capitolo 16
*** 16. A Cauldron Full of Hot, Strong Love ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Magic School

N° parole: 3410

Note: per questa one-shoot potevo ispirarmi solo all’unico, inimitabile: Harry Potter.
Ora, so che esiste una scuola giapponese di magia, ma io sinceramente non ne so molto a riguardo, e poi volevo proprio che fosse ambientata ad Hogwarts.
Ho inserito i personaggi in determinate case un po’ per trama, un po’ per mia personale preferenza, perciò vi prego di non tirarmi pomodori se non siete d’accordo.
Buona lettura :)



 
A Cauldron Full of Hot, Strong Love
 
I've got a cauldron full of hot,
strong love
And it's bubbling for you!
Say Incendio, but that spell's not hot
As my special witch's brew!


L'annuncio dell'imminente Ballo Celestiale aveva mandato Hogwarts nel panico.
Un' eccitazione palpabile serpeggiava tra i corridoi del castello, sussurri, bisbigli eccitati, risatine fastidiose.
Tooru Oikawa non sopportava niente di tutto quello, in realtà trovava estremamente ridicolo annunciare un ballo a due settimane dalla finale di Quidditch.
L'attenzione della gente era ormai tutta verso quello sciocco evento e il Quidditch era passato in secondo piano, ma Tooru non si sarebbe fatto coinvolgere.
Sarebbe rimasto con lo sguardo fisso sui suoi obiettivi, ovvero condurre Corvonero alla vittoria per la prima volta in sette anni! Sentiva che quello era l'anno buono.
Non poteva lasciare che la squadra si deconcentrasse, ma quel maledetto ballo!
La Biblioteca era l'unico luogo in cui i sussurri non arrivavano, in cui non si sentivano risatine eccitate da ochette, motivo per cui era diventato il suo luogo preferito dell'ultimo periodo.
Un nervo gli pulsò nella tempia quando sentì il tonfo di un libro gettato senza grazia sul tavolo, seguito da altri rumori di sedie spostate, fruscii e sussurri.
Sollevò lo sguardo dal libro di aritmanzia avanzata e osservò una serie di volti familiari occupare un tavolo che era stato meravigliosamente libero fino ad allora.
« Abbiamo delle novità »
Esordì Koushi con un sussurro seduto proprio davanti a lui, aveva sistemato dei libri sul
tavolo, ma non li stava nemmeno aprendo.
« E non ti piaceranno » Aggiunse Hajime, che si era invece accomodato al suo fianco.
Parlava a voce troppo alta per la Biblioteca, e Tooru si aspettava che Madame Saeko spuntasse fuori da un momento all'altro con la sua mazza per cacciarli via tutti.
Magari, pensò irritato.
Gli altri lo guardarono male, tranne Tobio e Shouyou, che stavano discutendo a bassa voce su quale articolo dell' Emporio di Zonko fosse meglio per fare uno scherzo a Kei e Tadashi, se la Polvere Ruttosa o le Pallottole Puzzole, ignorando la conversazione.
Tooru rivolse ad entrambi una smorfia disgustata e si concentrò sui suoi coetanei.
« Quali novità? » Bisbigliò, fissando l'amico tassorosso nei caldi occhi color nocciola.
Koushi si morse il labbro inferiore.
« Non prenderla male, però »
Mise le mani davanti, e la vena sulla tempia di Tooru pulsò con ancora più violenza.
Aveva una brutta sensazione. Bruttissima.
« Osamu, Kei e Shigeru sono stati scelti come membri per il comitato di decorazione del Ballo Celestiale » Sbottò Hajime senza tatto.
Tooru fissò l'amico grifondoro con un'espressione probabilmente inorridita.
Perché il mio Cacciatore, Battitore e Portiere sono nel comitato delle decorazioni di questo maledetto ballo? Che Merlino mi aiuti!
Avrebbe voluto chiedere con calma, ma no.
« Che cosa?! » Sbottò a voce alta, sbattendo anche le mani sul libro di aritmanzia ormai dimenticato. Il suono rimbombò nella biblioteca e Shouyou e Tobio smisero di bisticciare, mentre come un falco in agguato Madame Saeko spuntò da dietro uno scaffale con la sua mazza in mano.
« Silenzio! » Tuonò, fissandoli minacciosa.
« Ci scusi, Madame Saeko! » Intervenne prontamente Koushi con uno dei suoi sorrisi nervosi ma gentili e contagiosi.
Madame Saeko continuò a fissarli torva, ma tornò dietro lo scaffale da cui era apparsa.
« Che cosa?! » Chiese nuovamente Tooru, questa volta gridando in un sussurro.
« Ma abbiamo gli allenamenti di Quidditch! » Sbottò, fissando prima Koushi e poi Hajime. Quest'ultimo sembrava molto scocciato.
« Non più » Fu tuttavia Tobio a parlare.
Tooru guardò il suo Cercatore di riserva e compagno di casa come fosse uno scarafaggio.
« Anche altri membri delle squadre di Quidditch sono stati scelti per il comitato »
Intervenne Koushi con calma, anche se si vedeva che era particolarmente nervoso.
« Come me, per esempio. Hajime anche, Daichi e ... » Koushi esitò, cercando un aiuto dal grifondoro che non arrivò « ... tu e Wakatoshi » Finì infine con voce piccola.
Tooru spalancò la bocca, scioccato.
« Ecco che parte la lagna » Mormorò Hajime al suo fianco, per poi sbadigliare sfacciato.
« Ma come pensano che possiamo allenarci e organizzare quello stupido ballo di merda contemporaneamente, per la barba di Merlino? » Sibilò come un aspide velenoso.
Koushi si morse un'altra volta il labbro inferiore, stava cominciando a sudare.
« Non possiamo, infatti » Disse Hajime.
Nel frattempo, Shouyou e Tobio avevano ricominciato a discutere animatamente.
Tooru guardò l'amico di infanzia. Il suo presentimento si era fatto pressante.
« Hanno cancellato gli allenamenti Tooru, e anche la finale della Coppa di Quidditch »
La vena nella sua tempia scoppiò a quel punto. Per forza, perché vedeva rosso.
« CHE COSA?! » Strillò ancora più forte di quanto non avesse fatto prima.
Come se fosse stata ad aspettare, Madame Saeko spuntò dietro di loro come un avvoltoio assetato di sangue.
« Se vi sento urlare un'altra volta lascerete questa stanza correndo su gambe inferme per settimane, perché vi lancerò un incantesimo Tatantallegra talmente forte che non ve lo dimenticherete mai più! » Li minacciò con violenza, il dito puntato. Tutti la fissarono terrorizzati, perché sapevano che le sue minacce non restavano mai solo tali.
« Sono stata chiara? » Annuirono tutti.
Rimasero in silenzio per qualche secondo quando se ne fu andata.
« Non possono cancellare il Quidditch! » Sibilò di nuovo Tooru dopo qualche istante, riportando l'attenzione sull'argomento che gli interessava davvero.
« Beh, lo hanno fatto » Fece notare Hajime. Tooru lo fulminò con lo sguardo.
« Ehi, guarda che cosa ho trovato! » Bisbigliò Shouyou alla volta di Tobio, tirando fuori qualcosa dalla tasca del suo mantello da grifondoro, nessuno dei più grandi gli prestò la minima attenzione. Tooru strinse i pugni delle mani sul libro.
Non poteva perdere la sua occasione di vincere la Coppa di Quidditch, era il suo ultimo anno! Presto avrebbero dovuto concentrarsi per i M.A.G.O.
Non poteva perdere la sua occasione di battere Wakatoshi e ...
Wakatoshi, pensò con un pizzico di trionfo.
Il Cercatore e Capitano della squadra di Serpeverde non avrebbe mai acconsentito ad una cosa del genere. Per una volta potevano allearsi in qualcosa e mettere fine a quella ridicola storia del Ballo Celestiale.
« Wakatoshi non può essere d'accordo con questa storia. Devo parlare con lui! »
Decretò, alzandosi in piedi di scatto.
A quel punto Koushi e Hajime si rivolsero uno sguardo che non gli piacque per niente.
« Diglielo tu » Borbottò il suo amico d'infanzia tutto imbronciato, Koushi gli rivolse una brutta occhiata risentita.
All'anima del grifondoro ... pensò Tooru.
Incrociò le braccia al petto e fissò Koushi con un sopracciglio alzato, deglutendo.
« Wakatoshi ha acconsentito » Bisbigliò.
Silenzio, pesante. Ingombrante.
Poi, prima che Tooru potesse avere una reazione qualsiasi, successe il finimondo.
Ci fu un esplosione di fumo verde e cominciò a diffondersi per l'aria un odore inequivocabile di .... « CHI HA LANCIATO UNA CACCABOMBA NELLA MIA BIBLIOTECA?! » Ruggì una voce da iena.
« Shouyou, idiota! » Stava nel frattempo strillando Tobio, investito in pieno.
« Non l'ho fatto apposta! » Strepitò il giovane grifondoro.
« Scappiamo! » Proruppe Tooru, pensando a Madame Saeko.
Afferrarono al volo le proprie cose dal tavolo e iniziarono a correre verso la porta d'uscita, con la donna che gli correva dietro lanciando fatture a tutto spiano.
« Siamo nella merda! » Sbottò Tooru.
« Letteralmente! » Commentò Koushi.
« Ah odio queste cose! » Ringhiò Hajime.
« Shouyou sei un idiota! » Sbraitava Tobio.
« Scusateeeee »

 
◇◇◇


Tooru non tornò nella Torre di Corvonero quando la punizione ebbe termine, ma si diresse come una iena nei Sotterranei.
Gli facevano male le braccia per tutti i Trofei che aveva lucidato a mano, ma era furioso.
Individuò due giovani serpeverde del primo anno, diretti verso la loro casa comune e li chiamò a gran voce: « Ehi, voi due! »
I ragazzini si girarono e lo fissarono terrorizzati. Erano minuscoli.
« Fatemi entrare nella vostra sala comune » Ordinò ad entrambi con fare autoritario.
« Ma - » Provò a protestare uno dei due. Tooru sollevò un dito minaccioso.
« Sono anche Caposcuola, sapete? »
Usò la carta del potere, mettendo le mani chiuse a pugno sui fianchi.
I due ragazzini scattarono verso la loro sala comune terrorizzati e Tooru gli tenne dietro.
Non gli era mai piaciuta l'atmosfera tetra di quel luogo, con il calamaro gigante del lago nero che ogni tanto passava dietro le vetrate verdi in movimento.
Comunque entrò di prepotenza nella sala comune di Serpeverde.
« Wakatoshi! » Sbraitò, facendo girare tutti gli occhi dei presenti su di sé.
« Ahi ahi, qui qualcuno è furioso »
Il commento arrivò da una voce melliflua e intenzionalmente ironica.
Tooru guardò alla sua sinistra, seduto su un divanetto verde, spaparanzato come se non avesse una sola preoccupazione al mondo, se ne stava Tetsuro, il Battitore di Serpeverde. Tooru non lo poteva sopportare, soprattutto in campo.
Quella squadra era composta di serpi, a tutti gli effetti.
« Non sono dell'umore, Tetsuro. Vai a chiamare il tuo Capitano o lo tiro fuori dai dormitori personalmente » Sbottò, ignorando la folla che gli si era radunata attorno. Tetsuro sollevò le mani e rimase seduto esattamente nella stessa identica posizione.
« Non farti l'idea sbagliata, Tooru. Wakatoshi sarà anche il mio Capitano, ma qui siamo fuori dal campo. E io non sono il lacchè di nessuno » Rispose con un sorrisetto irritante sulle labbra. Tooru alzò gli occhi al cielo. Tetsuro era così melodrammatico.
« Tooru » Proprio in quel momento apparve il diretto interessato di quella conversazione. Wakatoshi era appena entrato nel dormitorio.
Con lui c'erano Satori e Atsumu.
Fantastico, pensò Tooru, incrociando le braccia al petto per prepararsi.
« Ah, eccoti » Esordì « Voglio una spiegazione, Wakatoshi. E convincente »
« Sei di ottimo umore oggi »
Intervenne Atsumu, poi diede una pacca sulla spalla di Wakatoshi e gli si avvicinò.
« Tu ne sei proprio sicuro, amico? »
Gli sussurrò vicino l'orecchio, Tooru si accigliò di fronte quelle parole che non capiva, ma non era un problema suo. Wakatoshi rimase impassibile, gli occhi puntati fissi su di lui. Il suo rivale sul campo di Quidditch dal primo anno a Hogwarts.
Due prodigi entrati nella squadra molto presto.
« Visto? » Intervenne Tetsuro dal suo divano « Amorevole proprio come un Imp »
Tooru gli rivolse una smorfia.
Molti scoppiarono a ridere divertiti dalla battuta. Ne aveva abbastanza di quei serpeverdi coalizioni tutti contro di lui.
« Come ti è venuto in mente di acconsentire alla decisione di annullare il Quidditch? »
Decise di prendere in mano la situazione.
Wakatoshi lo guardò con quella sua espressione del tutto indecifrabile.
Dopo sette anni a Hogwarts ancora non aveva imparato a decifrare il suo nemico.
« Siamo stati scelti per il comitato »
Fu la risposta atona, come se potesse essere sufficiente ad accettare la situazione.
Tooru sciolse la presa delle braccia e guardò Wakatoshi con espressione allibita.
« Sei caduto dalla scopa e hai battuto la testa a terra da bambino? »
Satori fischiò divertito, scoppiando a ridere.
Atsumu e Tetsuro lo imitarono, seguiti da altri.
« È il nostro ultimo anno a Hogwarts! La nostra ultima sfida, idiota! » Inveì Tooru.
« Il risultato non sarebbe stato diverso » Cadde il silenzio nella sala comune.
Tooru serrò i pugni e la mascella. Livido.
« Ohi ohi, Waka, non è stata una mossa saggia la tua, amico »
Commentò a voce bassa Tetsuro dal suo divano, estremamente divertito.
« Non ne avremo mai la certezza grazie alla tua stupidità » Fu la replica fredda di Tooru.
Wakatoshi sostenne il suo sguardo impassibile. Era solo una perdita di tempo.
« Wakatoshi è interessato al Ballo Celestiale. Come tutti noi d'altronde »
Si intromise Satori con voce divertita. Tooru non si aspettava quella cosa, sollevò le sopracciglia senza riuscire a contenere la sorpresa che gli dipinse il viso.
« Ha una cotta per qualcuno »
Aggiunse Atsumu, appoggiando un braccio sulla spalla del suo Capitano. Tooru spalancò la bocca, come se fosse sotto l'effetto di Brachium Emendo lanciato male.
Non fece in tempo a chiedere oltraggiato chi fosse questa persona che Wakatoshi voleva invitare al ballo, che nella sala comune di Serpeverde entrò il professore Washijou di Storia della Magia, direttore della casa.
« Signor Oikawa, l'ultima volta che ho controllato lei era uno studente di Corvonero » Esordì il vecchio con aria severa.
« Merda » Brontolò Tooru sottovoce.
« Come, prego? »
« Si, professor Washijou » Rispose ad alta voce, cercando di non digrignare i denti.
« E cosa, di grazia, sta facendo nella sala comune di Serpeverde? »
Tooru non rispose, non gli venne in mente niente di intelligente da dire sul momento, di certo non poteva ammettere di essere andato lì con l'intento di azzannare verbalmente uno dei suoi studenti.
« Niente » Se ne uscì.
Atsumu, Satori e Tetsuro scoppiarono a ridere sotto i baffi e rumorosamente. Tooru avrebbe voluto, per una volta, testare l'efficacia dell'anatema che uccide su di loro.
« Bene, dato che non ha niente da fare, a quanto pare, può venire ad aiutarmi a rimettere a posto gli archivi della mia aula » Tooru imprecò interiormente.
Due punizioni in un giorno solo erano troppo.
Seguì il professor Washijou con la testa china, ma quando raggiunse la porta, accertatosi che il vecchio non potesse vederlo, si girò verso Atsumu, Satori, Wakatoshi e Tetsuro e gli fece il dito medio.

 
◇◇◇


All'ennesima gomitata nel fianco, Hajime gli rivolse una brutta occhiataccia spazientita.
Erano stesi entrambi a terra sul pavimento umido e freddo della Sala Grande, con le mani sporche di glitter dorato e colla.
« Secondo te per chi è che ha una cotta? » Domandò a bassa voce, osservando con lo sguardo Wakatoshi dall'altro lato della sala, che lanciava incantesimi sulle stelle di ghiaccio che avrebbero appeso sul soffitto perché non si sciogliessero mai.
Era stata un'idea di Tooru infondervi dentro una luce azzurra di modo che splendessero di un'atmosfera fredda. Hajime seguì il suo sguardo accigliato.
« Sul serio, Tooru? » Gli chiese scocciato.
Tooru distolse lo sguardo da Wakatoshi per fissare il suo amico grifondoro.
« Cosa? Sono solo curioso! » Si difese.
Era un po' più che solo curioso, ma Hajime non doveva saperlo.
Che fosse anche un pizzico geloso del ragazzo o della ragazza che Wakatoshi avrebbe invitato erano solo fatti suoi.
« Ehi, Tooru! » Voltò la testa verso la voce che lo aveva chiamato, Daichi, capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro.
« Tu e Wakatoshi potete andare a recuperare le scatole di candele nella stanza dei manufatti per favore? »
« Urgh » Fu il suo commento a caldo.
« Magari puoi chiedergli della sua cotta »
Lo prese in giro Hajime rivolgendogli un ghigno, mentre Tooru si alzava con fatica.
Gli rivolse un'occhiataccia.
« Arrivo, arrivo » Gridò con voce scocciata.


Camminarono in silenzio per i corridoi.
Tooru gli rivolse solo un'occhiata ogni tanto, tentato seriamente di chiedergli di quella cotta. Ma raggiunsero la stanza dei manufatti e non trovò il coraggio di chiedere niente.
Dopotutto non erano amici.
Si conoscevano da sette anni ma non avevano mai parlato molto, si erano solo fronteggiati sul campo da Quidditch, seguito insieme infinite lezioni, fatto gite ad Hogsmeade e si erano per lo più scannati. Tooru lo aveva scannato, per lo più.
La stanza dei manufatti era un ... macello.
« Le scatole sono quelle » La voce profonda di Wakatoshi rimbombò nello spazio stretto. Aveva indicato un punto alto su di uno scaffale pieno di polvere.
Tentare con Accio avrebbe rischiato di far rovesciare tutto il contenuto per terra.
« Passami la scala » Lo intimò Tooru.
Wakatoshi eseguì l'ordine e sistemò la scala sulla scaffalatura.
« Fai attenzione » Gli disse.
« Non sono un incapace! » Sbottò infastidito, apprestandosi a salire sulla scala.
« Lo so » Rispose Wakatoshi, mettendosi sotto di lui per essere pronto a prenderlo in caso fosse caduto e per prendere le scatole.
Tooru gli rivolse uno sguardo sorpreso.
« Pensavo che per te io non fossi bravo in niente! » Commentò aspro, fermandosi a metà scala. Gli scatoli delle candele erano tre. Sbirciò dentro al primo, erano miste.
« Non è così. Sei bravo. Se il cappello parlante ti avesse smistato a Serpeverde avresti vinto » Tooru abbassò lo sguardo su Wakatoshi.
« Beh, non ho avuto voce in capitolo »
« La tua squadra non ti valorizza »Tooru passò lo scatolo e Wakatoshi lo prese.
Passò poi al secondo, un po' più pesante.
« La mia squadra è perfetta così » Ci furono alcuni secondi di silenzio.
« Per chi hai una cotta? » La domanda gli uscì senza controllo.
Tooru chiuse gli occhi, mordendosi il labbro inferiore.
Tutta colpa di Hajime!, pensò.
« Deve essere una persona importante, dato che hai mollato il Quidditch così! »
Si affrettò ad aggiungere, cercando di suonare noncurante e disinteressato.
« Volevo ballarci insieme prima che finisse la scuola » Tooru si era appena girato per consegnare la scatola a Wakatoshi e i loro sguardi si incatenarono a metà azione.
Tooru fu il primo a distogliere lo sguardo.
Lasciò la scatola a Wakatoshi e tornò a voltarsi verso gli scaffali polverosi.
« Dovresti chiederglielo, allora » Commentò.
Prese la terza scatola, la più pesante.
« Hai ragione. Verresti al Ballo Celestiale con me, Tooru? »
A quel punto successero alcune cose contemporaneamente.
Peeves spuntò dal muro inaspettatamente, mandando all'aria lo scatolone e le candele, ridendo come un matto. Tooru perse l'equilibrio sulla scala e si slanciò all'indietro, urlando. Wakatoshi si buttò in avanti per afferrarlo, ma scivolò su una candela.
Lo prese, ma rovinarono entrambi a terra nello spazio stretto, sommersi di candele.
Tooru finì schiacciato addosso a Wakatoshi.
« Cazzo » Mormorò « Peeves ti ammazzo! »
Gridò poi al fantasma, che rideva di loro da qualche parte sulle loro teste.
« Stai bene, Tooru? » Dimenticandosi del fantasma Tooru tornò a concentrarsi su Wakatoshi. Era praticamente steso su di lui e i loro volti pericolosamente vicini.
Arrossì come il diciassettenne che era.
« Si, sto bene » Disse, cercando di spostarsi. Si tirò in piedi con fatica.
Wakatoshi fece lo stesso, massaggiandosi i reni indolenziti che avevano spezzato parecchie candele lunghe.
« Tu stai bene? » Gli chiese. Wakatoshi annuì. Lo stava fissando.
Si aspettava una risposta e Tooru non poteva sperare che si dimenticasse della cosa.
« Scusa, non avrei - » Iniziò Wakatoshi.
« Ci vengo! » Fu la risposta urlata di Tooru, viola sulle guance. Per fortuna la stanza era sempre buia e Wakatoshi non riusciva a vederlo del tutto bene.
« Ci vengo. Al ballo con te, intendo »
Specificò, sollevando il naso altezzoso.
« Bene » Commentò Wakatoshi.
A quel punto, nel silenzio imbarazzato, la porta si aprì di colpo e ne spuntarono fuori Atsumu, Tetsuro, Satori, Hajime e Daichi.
« Ben fatto Peeves » Disse il primo, schiacciando il cinque con il fantasma.
Tooru sbatté le palpebre, sorpreso.
Quando realizzò il piano di quei quattro sciocchi, fece un sorriso grottesco e tirò fuori la bacchetta dalla manica della giacca.
« Oh oh » Commentò Satori.


Si inseguirono per i corridoi come bambini.

 
◇◇◇


Le decorazioni per il ballo erano state un successo.
Anche ballare con Wakatoshi. Era sorprendentemente bravo.
Tooru era uscito fuori dal giardino quando fu raggiunto dal suo accompagnatore con qualcosa di fresco da bere. Tooru accettò volentieri il drink. Era accaldato.
Nella sala Celestina Warbek cantava Un calderone pieno di amor bollente.
« Grazie » Gli disse, sollevando il drink. Wakatoshi si mise al suo fianco.
« Ho parlato con il preside » Confessò.
Tooru lo guardò sorpreso.
« L'ho convinto a rimandare la partita per dopo i M.A.G.O » Tooru era senza parole.
Guardò Wakatoshi e un sorriso enorme gli dipinse il bel volto.
« Davvero?! » Esplose. Wakatoshi annuì.
A quel punto Tooru gli saltò addosso, avvolgendogli le braccia attorno al collo.
« L'ultima sfida, io e te. Nel Campo da Quidditch! »
Gli disse con un sorriso feroce, puntandogli un dito contro.
Wakatoshi sorrise.
« Io e te » Confermò.



 
Oh, come and stir my cauldron
And if you do it right
I'll boil you up some hot, strong love
To keep you warm tonight!


( A Cauldron Full of Hot, Strong Love - Celestina Warbek )

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Capitolo 17
*** 17. A Blazing Fall ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Enemies

N° parole: 5610

Note: questa one-shot è davvero molto ROSSA ROSSA ROSSA.
Mi appello al buon senso dei lettori minorenni e li prego FORTEMENTE di skippare. Grazie.
Mi scuso per il ritardo e mi scuso perché probabilmente da domani non riuscirò più ad essere puntuale con gli aggiornamenti quotidiani, perché la vita reale ha reclamato la mia presenza a tempo fisso nel prossimi giorni. Su questa one-shot, comunque, avrei voluto continuare a scrivere, ma dovevo decisamente darci un taglio.
Mi dispiace davvero di aver reso Takashi-san così cattivo >_<
TW: sesso, no happy ending, finale aperto.

 


A Blazing Fall


 
We clawed, we chained, our hearts in vain
We jumped, never asking why
We kissed, I fell under your spell
A love no one could deny
Don't you ever say I just walked away
I will always want you




Tooru mal sopportava quelle cene di gala.
Non servivano ad altro che ostentare il potere e la ricchezza della persona che le organizzava. Lui, d'altra parte, come erede di una delle più grandi potenze economiche del paese, la Seijoh Corporation, non aveva molta scelta: doveva parteciparvi.
La Karasuno Pharmaceutical Industry stava cercando collaboratori nel loro settore, si trattava di un contratto che avrebbe fruttato un mucchio di soldi e prestigio, Tooru e suo padre erano lì per cercare di ottenere quella firma. Anche quello faceva parte del gioco.
Sorridere cordialmente, partecipare a quello sfoggio di soldi e potere, dimostrarsi impeccabili sotto tutti gli aspetti. Affabili.
Tooru era stato cresciuto in quel modo. In un mondo finto e dorato che disprezzava profondamente, non aveva mai voluto essere l'erede che suo padre si aspettava.
Per quel motivo aveva costruito molte maschere. Almeno Daichi Sawamura, il figlio del CEO della Karasuno Pharmaceutical Industry, era un giovane piacevole e sincero, per Tooru non era stato difficile intavolare con lui una conversazione che non posasse tutte le fondamenta su menzogne e frasi di circostanza.
Ovviamente, Daichi non era uno sciocco, era stato cresciuto per ereditare un impero e sapeva il motivo per cui l'erede della Seijoh Corporation era stato spinto verso di lui con tanta insistenza da parte del suo vecchio.
In futuro, sarebbero stati loro a dover mantenere i buoni rapporti tra le due potenze.
Per l'occasione, Mr. Sawamura aveva noleggiato una mansione lussuosa del diciannovesimo secolo, sfarzosa e labirintica. Non aveva badato a spese.
Voleva essere chiaro con il messaggio che stava inviando: sono una persona potente e non sceglierò il primo che passa per concludere questo affare.
« Ah, si è degnato di comparire! » Il commento di suo padre lo strappò dai suoi pensieri. Bevve un sorso di champagne dal lungo bicchiere di cristallo e osservò attraverso il bordo di cristallo gli ospiti appena arrivati: Mr. Takashi Ushijima e suo figlio Wakatoshi, possessori della Shiratorizawa Company.
Erano i loro nemici giurati sulla piazza.
« Quella prima donna! » Continuò a brontolare il suo vecchio, afferrando un altro bicchiere di pregiato champagne francese dal vassoio di un cameriere che stava passando.
« Presentarsi in ritardo per farsi desiderare ... per poi avere tutta l'attenzione su di sé »
Tooru bevve l'ultimo sorso dalla sua coppa e osservò il padre con un sorriso sardonico sulle labbra. Aveva come la sensazione che il suo vecchio avrebbe tanto voluto avere lui quell'idea, stava rosicando interiormente, ma non lo avrebbe mai ammesso.
L'orgoglio era una cosa che aveva ereditato da lui dopotutto, insieme ad un patrimonio stratosferico ed esagerato.
« Furbo, non c'è che dire » Mormorò, posando la coppa vuota sul vassoio vuoto di un giovane cameriere che passava di lì. Tooru gli sorrise cordialmente.
Quando sollevò gli occhi, trovò lo sguardo di Wakatoshi Ushijima ad incrociare il suo.
Come al solito non esprimeva niente. Era tagliente, misterioso e impassibile.
Il suo nemico giurato.
Indossava un completo costoso di marcatura italiana che gli stava d'incanto, color antracite. Una camicia nera sbottonata senza cravatta.
Si guardarono senza distogliere lo sguardo, fino a quando Wakatoshi non fu avvicinato da qualcuno, a cui strinse la mano garbatamente, prestandogli tutta la propria attenzione, e lo sguardo di Tooru non venne ostruito da un altro cameriere impeccabile, con in mano un vassoio di calici pieni di un frizzante vino rosato. Ne prese uno, tornando a prestare attenzione a suo padre e agli uomini che lo circondavano.


Ci avevano provato ad odiarsi, lui e Wakatoshi, come avrebbero voluto i loro padri.
Ma non era andata proprio in quel modo tra di loro.


 
***


Il lussuoso corridoio era deserto.
Le ampie vetrate specchiavano il cielo buio della notte, Tooru diede uno sguardo allo schermo del cellulare, l'ultimo modello della loro azienda che stava per uscire in commercio. Il messaggio ricevuto recitava:


Primo piano, stanza 101 -
Ti aspetto sveglio.


Nessuna firma, nessun nome, un numero anonimo che cambiava ogni volta senza che venisse mai salvato sul suo cellulare in continuo cambiamento.
La stanza 101 era la prima sulla sinistra.
Una suite, perché Mr. Sawamura non aveva badato a spese per gli ospiti che sarebbero rimasti a dormire nella grossa mansione. Bussò alla porta, guardando a destra e a sinistra il corridoio scintillante e vuoto, poi quella si aprì lentamente.
Tooru vi sgusciò dentro, chiudendosela alle spalle. Erano le due del mattino.
Wakatoshi era accanto alla vetrata che dava sui giardini, con le tende greige aperte.
Si era tolto la giacca, restando solo con la camicia nera sbottonata, le maniche arrotolate fino ai gomiti, aveva un bicchiere di liquido ambrato con del ghiaccio nella mano sinistra e scrutava il panorama fuori. Il grosso Rolex nero al polso rifletteva la luce tenue e calda delle lampade da parete. Tooru si appoggiò contro la porta.
« Non credi di aver bevuto abbastanza per stanotte? »
Wakatoshi si voltò nella sua direzione, smuovendo quello che doveva essere whisky di ottima qualità nel bicchiere.
« Dovresti provarlo, ti piacerebbe »
Fu il suo commento, accompagnato da un sorso leggero mentre continuava a fissarlo.
Tooru sollevò un sopracciglio, aveva un sorrisetto birichino sulle belle labbra.
« Fammelo provare sulla tua bocca » Lo provocò, restando appoggiato alla porta.
Wakatoshi rimase impassibile, ma ogni suo gesto parlava per lui.
Tirò il laccio delle tende, che si chiusero sulle finestre enormi.
Poi appoggiò il bicchiere ancora pieno per metà sul tavolo di marmo color ardesia, adornato di finti fiori color ghiaccio al centro.
La stanza era la copia sputata di quella che aveva ricevuto anche Tooru, perché non potevano esserci differenze tra di loro, anche se in realtà ce n'erano e come.
Per esempio, la volontà di Tooru di ereditare il potere di suo padre diversa da quella di Wakatoshi. Per lui era un obbligo, per l'altro un dovere.
Wakatoshi si avvicinò a lui lentamente.
Quando gli fu abbastanza vicino allungò una mano grande e venosa per afferrargli la cravatta rossa, sfiorandone il tessuto con il pollice.
Il sorrisetto di Tooru si tese per la tensione che cominciava a crescere nel suo corpo, fremente per l'aspettativa di quello che sarebbe venuto e che conosceva bene.
Wakatoshi tirò la cravatta con forza e Tooru si ritrovò schiacciato contro il suo petto, le labbra sulle sue e una mano a palmo aperto premuta dietro la schiena.
La lingua di Wakatoshi sapeva di whisky mentre si intrecciava alla sua vorace.
Tooru rise divertito, passandogli una mano dietro la nuca, tra i capelli; glieli strattonò leggermente e interruppe il bacio. Avevano entrambi l'affanno. Stavano sudando, soprattutto Tooru, ancora stretto in quello scomodo completo firmato.
« Ottima qualità » Mormorò, lasciandosi scappare un'altra risatina quando Wakatoshi fece strusciare in un gesto inequivocabile i loro bacini tesi.
« Posso fartene ordinare uno » Commentò Wakatoshi, tenendolo fermo con la mano contro di sé. Il sorriso di Tooru si addolcì.
Gli lasciò andare i capelli e avvolse le braccia attorno al suo collo, tirandolo verso di sé ancora una volta. Le punte dei loro nasi si toccarono, fredde.
« Mi sei mancato » Gli disse.
Wakatoshi poggiò la fronte contro la sua.
Era stato fuori tre settimane per un viaggio di affari all'estero, mentre Tooru concludeva l'accordo migliore della sua giovane carriera. Si erano sentiti ogni tanto per telefono, ma il fuso orario era di sei ore, ed erano stati entrambi troppo impegnati.
« Ti ho preso un regalo » Disse Wakatoshi, mentre si accingeva a sciogliere il nodo della sua cravatta, che sfilò via con agilità.
« Davvero? No, non dirmelo. Fammi indovinare! » La voce di Tooru era divertita e carica di una dolce felicità, mentre si lasciava sfilare la giacca nera, per poi allungare le mani e cominciare ad aprire i bottoni restanti della camicia di Wakatoshi.
« Un orologio! » Esclamò, aiutando il suo amante a togliere l’indumento bene incastrato nei pantaloni. Wakatoshi scosse la testa, mentre gli sbottonava agile la camicia bianca.
« Una penna stilografica autografata! » Provò ad indovinare Tooru, impegnato a slacciargli la cintura, che tirò via gettandola a terra senza complimenti.
« Sei fuori strada » Wakatoshi gli abbassò il pantalone e i boxer contemporaneamente, Tooru sentì l'aria fredda della notte fargli venire la pelle d'oca sulle cosce scoperte.
« Una macchina tedesca? »
Fece, arrancando per sfilare via scarpe, calzini, pantaloni e mutande tutte insieme.
« Ne hai già tre » Commentò Wakatoshi atono, infilando la mano calda tra di loro, attorno alla parte sensibile del suo corpo. Tooru annaspò aggrappandosi alle sue braccia, Wakatoshi lo spinse contro il muro freddo. Tooru rise, tramando tutto.
« Un cane? » Soffiò con l'affanno. Wakatoshi sollevò l'angolo della bocca in un sorriso appena accennato e divertito.
« È nella mia giacca, sulla sedia » Lo sguardo di Tooru saettò per un secondo sulla giacca color antracite, piegata con cura sulla sedia di vetro accanto al tavolo.
« Credo che lo prenderò dopo » Ammise, sbottonando con le mani tremanti di desiderio i pantaloni eleganti di Wakatoshi.
« Ottima scelta » Concordò l'altro denudandosi a sua volta con il suo aiuto, senza smettere di toccarlo. Quando ebbe finito si premette su di lui, pelle contro pelle, sudore scivoloso e calore. Tooru spinse inconsciamente il bacino contro quello del suo amante.
« Doccia? » Mormorò Wakatoshi passando il naso lungo l'incavo del suo collo, immerso nel profumo naturale del suo corpo, della colonia costosa che indossava e di sudore.
Tooru gli passò le braccia attorno al collo, lasciandosi sollevare come un koala.
« Doccia » Concordò, affannato.
Avevano solo fino all'alba.


Tooru spingeva con le mani contro le mattonelle umide di acqua e vapori, il sapone che scivolava lentamente dalle sue dita fino al piatto della doccia.
Wakatoshi spingeva dentro di lui, invece.
Quella notte sembrava farlo con una certa intenzione, toccando tutti i punti giusti, infiammando i suoi nervi come benzina e fuoco. Una spinta più forte e Tooru gemette, aggrappandosi con le mani al soffione mobile, le dita bianche e arrossate sotto il tocco dell'acqua bollente che continuava a precipitare su di loro ininterrotta.
La cabina doccia era piena di vapori, i vetri ormai del tutto ricoperti di condensa.
Un'altra spinta un po' più aggressiva.
Tooru allungò una mano indietro e afferrò il fianco di Wakatoshi, poggiando la mano sul tatuaggio stilizzato a forma di "T" che aveva sul bacino ossuto.
« Wakatoshi, aspetta. Piano » Gemette più forte quando l'altro gli prese la mano con cui lo stava toccando e gliela spinse contro la parete della doccia, premendovi contro anche il suo corpo in un movimento lento. Intrecciò le loro dita.
« Ti sto facendo male? » Gli domandò, avvicinando la bocca bagnata al suo orecchio.
Tooru rabbrividì e strinse inconsciamente. Wakatoshi si lasciò scappare uno sbuffo.
Era controllato anche nel sesso.
« No, ma - Ah, cazzo » Imprecò quando l'altro prese a muoversi lentamente, esattamente come gli piaceva tanto. Era evidente che quelle tre settimane di lontananza avevano reso Wakatoshi famelico. Era del tutto intenzionato a farlo venire senza che nemmeno si toccasse. Era una cosa che Tooru non sempre era in grado di accettare senza imbarazzarsi. Cercò di far scivolare la mano in basso, attorno al proprio membro, ma Wakatoshi gli bloccò il polso.
« Fermo » Lo intimò con l'affanno.
Tooru si morse il labbro inferiore, gemendo.
« Oh, andiamo. Non voglio - Merda! »
- venire solo da dietro. È imbarazzante.
Non riusciva più a parlare con lucidità. Wakatoshi stava andando troppo forte.
Merda, merda, merda ...
Il piacere montò dentro di lui senza controllo, come ogni volta che si toccavano.
Venne con violenza, sporcando le mattonelle nere della doccia con i suoi umori, il grido di liberazione incastrato tra la gola e le labbra morse con violenza.
Wakatoshi si lasciò andare dentro di lui, perché sapeva di avere il permesso, e seppellì la fronte tra il suo collo e i capelli, unico rumore un verso gutturale e roco.
Rimasero fermi per alcuni secondi, con l'affanno, ancora uno dentro l'altro.
« Stronzo, ti avevo chiesto di non farlo! » Tooru aveva la voce roca mentre sollevava una mano e la passava dietro la sua nuca, voltando la testa verso di lui in una torsione.
« Scusa » Fu il commento per nulla sentito.
Tooru sbuffò una risata e si voltò lentamente, lasciando che Wakatoshi uscisse da dentro di lui con lentezza. Gli prese il viso tra le mani e gli diede un bacio a timbro.
« Adesso levami il tuo sperma dal culo, idiota » Wakatoshi scoppiò a ridere.
Era una cosa tanto rara e preziosa che Tooru sorrise dolce.
Era l'unico con cui rideva così. E amava quella cosa.


« Prendi » Wakatoshi gli lanciò la giacca e Tooru, steso nell'enorme letto sotto lenzuola e piumino color argento, l'afferrò malamente.
« Nella tasca destra interna » Lo istruì l'altro, in piedi accanto al tavolo con solo le mutande addosso. Un pezzettino di tatuaggio che spuntava da sotto l'elastico sul bacino. Tooru lo sbirciò per qualche secondo, poi frugò nella tasca interna ed estrasse una busta bianca. Sollevò un sopracciglio e la aprì.
Si mise seduto sul letto di scatto, gli occhi che brillavano, grandi ed enormi.
« Due biglietti per la finale della nazionale di pallavolo! » Era entusiasta a riguardo.
L'azienda di Wakatoshi ne era lo sponsor ufficiale.
Motivo per cui, nonostante la passione per quello sport fin da quando era solo un ragazzino, a Tooru era sempre stato vietato di vederne una dal vivo.
Non era un mistero che le loro famiglie fossero nemiche praticamente da sempre.
Wakatoshi e Tooru erano cresciuti per odiarsi, ma avevano fatto l'università insieme e nonostante ci avessero provato ... Tooru era stato più adamantino al riguardo.
Ma alla fine aveva ceduto a sua volta.
Era iniziata con una scopata nella classe di chimica dopo una furiosa litigata, era finita con il fare l'amore nella suite di una mansione - anni dopo - di nascosto.
« Due. Ci andremo insieme »Tooru osservò i biglietti.
Non avevano mai fatto niente insieme alla luce del sole.
Lo scandalo che ne sarebbe venuto fuori se avessero scoperto della loro relazione ...
Il solo pensiero bastava a far venire a Tooru il mal di stomaco, e lui era quello più propenso a lasciare che accadesse tra i due.
« Non è rischioso? » Chiese.
Wakatoshi si avvicinò al letto e vi si mise seduto sopra, dandogli tutta la sua attenzione.
« No. Non partecipiamo mai personalmente agli incontri. Non si aspetteranno la mia presenza, inoltre, conto di vestirmi in modo da risultare anonimo »
Tooru rise all'idea che Wakatoshi potesse risultare anonimo, niente in lui lo era.
« Ti amo » Gli disse invece, perché era vero.
Nella loro relazione avevano giurato di non farci mai entrare gli affari di mezzo, motivo per cui non chiedevano mai niente a riguardo. Anche in quell'accordo con la Karasuno Pharmaceutical Industry non si sarebbero fatti coinvolgere, qualunque fosse stato il risultato finale. Wakatoshi gli prese una mano e gli baciò il palmo.
« Anche io, Tooru. Sei la mia vita »


Ci provavano a stare insieme.
Anche se non potevano.


 
***


Fare la fila come la gente comune aveva un non so che di eccitante ed elettrizzante.
Avevano entrambi un berretto in testa. Vestiti in modo sportivo e anonimo.
Tooru sbirciava Wakatoshi senza cercare di ridere, nella sua felpa blu scolorita, con i capelli ben nascosti sotto il cappello.
« Smettila di sghignazzare, Tooru » Gli disse l'altro all'ennesima occhiata.
Tooru rise più apertamente, essendo stato colto in fallo. Era emozionato e felice.
« Ma sei buffo. Troppo » Lo prese in giro.
Wakatoshi lo guardò con la sua faccia seria.
« Sei vestito come me » Gli fece notare.
« Ma io sono bello con tutto! » Disse Tooru con convinzione, un viso da schiaffi. Inaspettatamente, Wakatoshi gli afferrò il viso con una mano, stringendogli la mascella, lo voltò verso di sé e lo baciò a timbro.
Tooru spalancò gli occhi, sorpreso.
Un bacio in pubblico, con nessuno che se ne fregava davvero niente.
« È vero » Gli disse a fior di labbra, per poi lasciarlo andare. Tooru si morse il labbro.
Poi gli prese la mano, Wakatoshi ricambiò la stretta con forza.
Sarebbe bello stare insieme così.
Alla luce del sole.
Un pensiero che passò tra di loro come un filo.


Non sarebbe mai successo.
Non potevano smettere di essere quello che erano.
Lo scoprirono con dolore.


 
***


Wakatoshi era stato chiamato nell'ufficio privato del padre. Succedeva spesso.
Faceva bene il suo lavoro, il suo vecchio non aveva mai avuto modo di vergognarsi di lui.
Eppure, quando entrò in quella stanza che un giorno sarebbe stata sua, capì immediatamente che qualcosa con andava.
Takashi era davanti all'imponente finestra. Gli dava le spalle e aveva le mani intrecciate dietro la schiena, giocava con le proprie dita.
« Padre » Lo chiamò con voce atona per segnalare la sua presenza.
Takashi si voltò. Aveva un'espressione ... Wakatoshi non sapeva decifrarla.
« Avvicinati » Gli disse.
Wakatoshi lo accontentò e si avvicinò alla scrivania, sul legno pregiato vi era una busta.
Gli lanciò solo un'occhiata, ma poi prestò totale attenzione al padre.
« Hai qualcosa da dirmi? »
Quella domanda lo lasciò basito, cercò di controllare la propria espressione.
Non ricordava di aver lasciato qualcosa in sospeso o di aver fatto male un lavoro.
« No, padre. Ho forse fatto - »
Successe molto repentinamente.
Takashi afferrò la busta sul tavolo e gliela schiaffò in faccia, colpendolo al viso.
Wakatoshi rimase immobile, sorpreso, mentre una serie di fotografie cadevano al suolo a faccia in giù e all'insù insieme. Ne guardò una: lui e Tooru in fila per entrare allo stadio, con quei ridicoli cappelli, lui chino a baciarlo. Il sangue gli gelò nelle vene.
« Mi sei sembrato strano ultimamente, così ti ho fatto seguire » Takashi sbatté le mani a palmo aperto sul tavolo della scrivania « E questo è quello che scopro! Che sei un cazzo di deviato che si scopa il figlio di quel pezzo di merda del mio nemico! »
Wakatoshi sollevò lo sguardo, affrontando la furia del padre, non si toccò la guancia offesa. Takashi non aveva mai alzato prima le mani su di lui, ma Wakatoshi era un uomo ormai. Poteva sopportare qualche botta.
« È questo - » Gli diede un altro schiaffo che Wakatoshi parò con il braccio « - che ti ho - » E un altro ancora « - insegnato, eh? » E un altro, poi si fermò con l'affanno.
A trent'anni compiuti Wakatoshi si domandava come fosse possibile essere trattati in quel modo. Pensò a Tooru. Pensava sempre a lui.
« E ora che lo sai che cosa farai? »
Ebbe il coraggio di domandare, abbassando il braccio colpito. Osservò il padre mentre si passava le mani nei capelli per aggiustarli, ancora affannato e livido di rabbia.
« Tu sposerai la figlia degli Shirabu e ti assicurerai che Oikawa esca dalla tua vita »
Sbottò Takashi battendo di nuovo un pugno sulla scrivania.
Wakatoshi non battè ciglio.
« Non lo farò » Rispose, tranquillo. Suo padre fece un sorrisetto nervoso a quel punto, ma trionfante. Aprì un cassetto della sua scrivania e tirò fuori un plico di fogli.
« Credo che lo farai invece, se non vuoi che il tuo ... amato Tooru passi dei guai »
Wakatoshi sentì un brivido freddo lungo la schiena, si fece avanti e afferrò i documenti.
Sbiancò, leggendo quei fogli.
« Sono le prove di alcuni episodi di evasione fiscale da parte della Seijoh Corporation. Ci ho lavorato a lungo su, ma ho ottenuto esattamente quello che volevo! » Esclamò trionfante, guardando il figlio « Avevo intenzione di usarle in altro modo ma ... se non vuoi che quel moccioso che ti scopi - » Fece una smorfia « - passi un brutto quarto d'ora ... allora ti conviene starmi a sentire » Wakatoshi fissò il vuoto davanti a sé.
Poi sollevò lo sguardo sul padre.
« Che cosa vuoi che faccia » Takashi sospirò, posando le mani sul tavolo.
« Sposerai la figlia di Shirabu, come ti ho detto. Dovrai tagliare ogni contatto con quel - quel pervertito » Wakatoshi strinse un pugno.
« Non sarà facile, Tooru non è stupido »
Disse con voce incolore, esattamente come si sentiva dentro in quel momento.
« Inventati qualcosa! Inoltre, otterrai anche la firma di collaborazione con i Sawamura. Fai tutto questo e io lascerò in pace quel ragazzo »
Concluse Takashi, mettendosi seduto dietro la sua scrivania con un sospiro.
Wakatoshi non aveva mai odiato suo padre.
Quella fu la prima volta che lo fece.
Takashi dovette leggere qualcosa nel suo sguardo, perché sospirò stanco.
« Devo pensare al futuro di questa azienda. Quel futuro sei tu »
Wakatoshi pensò fosse inutile spiegare a suo padre che se si fosse sposato con Tooru - seppure ne sarebbe scaturito uno scandalo all'inizio - una fusione tra le loro aziende sarebbe stato anche l'equivalente di costruire un vero e proprio impero.
« Il futuro dell'azienda vale più della felicità del tuo unico figlio. Chiaro »
Takashi sollevò lo sguardo quando sentì pronunciare quelle parole, ma Wakatoshi stava già lasciando la stanza, si fermò sulla soglia, di schiena.
« Buona giornata, padre »


Seduto sul divano del suo appartamento all'ultimo piano di un grattacielo in centro città, con il tavolino davanti, Wakatoshi aveva bevuto mezza bottiglia di whisky da solo.
Era un disastro, si sentiva ribollire dentro.
« Che cosa farai? » Gli chiese Satori, il suo migliore amico, figlio di uno dei dirigenti di suo padre. Wakatoshi incrociò le mani davanti a sé, fissando il tappeto peloso.
« Non posso permettere che la vita di Tooru venga distrutta in quel modo »
Conosceva già la soluzione al suo problema. Ed era perdere contro suo padre.
Ormai quelle informazioni erano in suo possesso, e Takashi non era così stupido da non averne fatto copie in abbondanza. Anche loro avevano resoconti sporchi ben nascosti, ma Wakatoshi non poteva rischiare di mettere l’azienda in pericolo, ne valeva del pane quotidiano di innumerevoli persone innocenti.
Non avrebbe mai potuto vivere quella guerra, per quanto si sforzasse di pensare ad un modo. Satori lo guardò con aria grave.
« Come pensi di ingannare Tooru? È intelligente, non ti crederà mai se all'improvviso gli dici che non lo ami più, penserà subito che gli stai mentendo »
E solo quel pensiero era follia pura. Che lui non potesse più amarlo.
Wakatoshi bevve un altro sorso di whisky.
Lo sguardo gli cadde sulla rivista abbandonata sul tavolino, in copertina vi era una foto di Daichi Sawamura con le braccia conserte e in completo elegante.
Il titolo recitava: Giovani Uomini in Carriera.
« Hai detto che Tooru è quasi riuscito a chiudere l'accordo, vero? » Chiese a Satori.
L'altro si fece attento, mettendosi seduto sul bordo del divano si protese in avanti.
« Si, cosa hai in mente? » Wakatoshi continuò a fissare la foto di Daichi.
« So cosa devo fare » Disse, bevve ancora un sorso, finendo il bicchiere.
Ci furono alcuni istanti di silenzio teso, poi calò il bicchiere con forza sul tavolino, rompendo il vetro e frantumando il cristallo sotto di esso.
Il dolore alla mano fu lancinante. Ma strinse il pugno pieno di schegge, il sangue che gocciolava sul macello che aveva creato, le schegge erano finite ovunque.
Anche addosso a Satori, che pure non era sorpreso dalla sua reazione.
« Dobbiamo andare in ospedale » Disse tranquillo.
Wakatoshi strinse il pugno insanguinato e se lo portò la fronte, chiudendo gli occhi.
Sperò che il dolore alla mano potesse alleviare quello che aveva nel petto.
Non servì a molto.


 
***


Tooru era felice quella sera.
Mr Sawamura aveva deciso di firmare il contratto con la Seijoh Corporation, avevano l'incontro ufficiale in un paio di settimane e lui si sarebbe occupato di concludere.
Era appena uscito dalla doccia quando bussarono alla porta di casa. Si accigliò.
Viveva in un complesso di appartamenti di lusso con un sistema di sicurezza rigidissimo. Il portiere lo avvisava sempre in anticipo per qualsiasi visita, a meno che ...
Si precipitò ad aprire la porta.
Come aveva immaginato, Wakatoshi era lì. Ed era in condizioni pietose.
Tooru notò immediatamente la fasciatura attorno alla mano, ancora sporca di sangue.
« Wakatoshi » Disse allarmato, lasciandolo entrare. Non andava quasi mai da lui, era troppo rischioso, doveva essere successo qualcosa per farlo rischiare tanto.
« Scusa » La sua voce era strana, strascicata. Doveva ancora essere pieno di farmaci.
« Ho avuto una brutta giornata » Tooru gli accarezzò il viso, addolcito.
Anche lui, quando aveva una brutta giornata, lo andava a cercare.
« Hai cenato? Lascia che - » Tooru non riuscì a terminare la frase che fu zittito con un bacio. Wakatoshi lo aveva stretto da dietro, girandogli la testa nella sua direzione.
Tooru si accorse subito che aveva bevuto.
« Ehi, aspetta, che ti pren- » Fu zittito di nuovo. Wakatoshi lo spinse contro il tavolo e ce lo piegò sopra, un vaso costoso cadde e si ruppe in mille pezzi per via dell'impatto.
Gli infilò le mani sotto l'accappatoio, sulle cosce ancora umide di doccia.
« Wakatoshi, che cazzo stai - »
« Ti prego. Ti prego, Tooru » Mormorò, fermandosi.
Gli posò la fronte sulla schiena, cominciando a strusciarla su e giù sulla stoffa morbida.
Tooru rimase interdetto da quel gesto.
Wakatoshi aveva bevuto, si era ferito una mano, era ... era strano. Non era mai stato così prima, avrebbe dovuto chiederglielo ma ... poteva farlo dopo.
« Sul letto, per favore » Gli disse.
Wakatoshi gli prese una mano e andò verso la zona notte, non lo guardò in faccia.


Molte ore dopo, nel cuore della notte, si guardavano nel letto enorme, la luce della luna che entrava dalla vetrata si proiettava sulle lenzuola nere.
« Tooru, voglio che tu sappia una cosa » Gli disse Wakatoshi mentre gli occhi cominciavano a chiuderglisi dalla stanchezza. Lo aveva preso due volte.
« Qualsiasi cosa succederà in futuro, devi sapere che ti amo. Non lo devi dimenticare »
Tooru non capiva, stava sognando.
Doveva essere un sogno. Era tutto nebuloso.
« Non lo dimenticherò » Mormorò, stanco.


Quando si svegliò la mattina successiva, era solo nel letto.
Wakatoshi era andato via.


 
***


Tooru non ebbe sue notizie per un mese.
Non era mai successo prima ed era mangiato vivo dalla preoccupazione.
Non riusciva a contattarlo, e quando era andato al suo appartamento ... non lo avevano lasciato passare. Stava sbirciando il cellulare per la milionesima volta quando Hajime entrò nella sua stanza come una furia. Tooru saltò.
« Hajime, cazzo! » Sbottò « Mi hai fatto venire un infarto! » L'altro lo ignorò.
Aveva una faccia ... Tooru si fece subito serio.
« Mr. Sawamura ha firmato con la Shiratorizawa Company! » Gli disse sbrigativo, la rabbia che vibrava nella sua voce. Tooru sbiancò, dimenticando il cellulare.
« Non è possibile! » Sbottò.
« Lo è, invece. Stava temporeggiando per questo motivo! Il bastardo! »
Tooru non seppe che cosa dire per qualche secondo.
« Ma come - »
« Si è messo di mezzo Wakatoshi, Tooru. È riuscito a strapparci il contratto da sotto il naso quel figlio di puttana! »
No, non è possibile. Furono le prime parole che gli vennero sulla punta della lingua.
Le trattenne. Hajime non sapeva niente della loro relazione.
Con le mani che gli tremavano tentò di non farsi prendere dal panico eccessivo.
« Spiegati » Disse, cercando la calma.
« Lo siamo venuti a sapere tramite un giornale di merda! Hanno firmato l'accordo, e nel frattempo ne hanno anche approfittato per annunciare l'allegro matrimonio! »
Tooru ci accigliò.
« Quale matrimonio? » Domandò, confuso.
« Quello di Wakatoshi con la figlia degli Shirabu, Tooru! » Sbottò l'amico e gli buttò davanti il giornale in questione, su cui capeggiava il titolo a grandi lettere.
« È uscito un'ora fa » Continuò, ma Tooru non lo stava più ascoltando, aveva le orecchie improvvisamente foderate.
Non riusciva a sentire niente, le lettere sulla copertina vorticavano confuse.
Hajime gli stava dicendo qualcosa, ma lui si alzò in piedi, andò verso la porta.
No, non è vero. Non era vero.
Wakatoshi era strano l'ultima volta che era stato da lui, doveva essere successo qualcosa. L'istante successivo era fuori.


***


Fu il trambusto che fece alzare lo sguardo di Wakatoshi dalla scrivania nel suo ufficio. Veniva da fuori la sua porta, che si spalancò all'improvviso con violenza.
Tooru entrò nella stanza, seguito dalle sue guardie del corpo.
Era una furia e gettò un giornale proprio davanti a lui.
Wakatoshi lo riconobbe. Capì.
« Lasciateci soli » Intimò alle guardie, che obbedirono, chiudendosi la porta alle spalle.
Tooru rimase dov'era, aveva il fiatone.
« Mi devi una spiegazione, Wakatoshi! » Gridò, passandosi una mano sulla bocca.
Era estremamente agitato e nervoso, si vedeva da chilometri di distanza.
Wakatoshi rimase impassibile, ma strinse i pugni delle mani sotto la scrivania.
« Sono affari, Tooru, ho solo - »
« Non quello! » Lo zittì Tooru « La storia del matrimonio! » Strillò, con la voce spezzata.
Wakatoshi fece un respiro profondo. Sapeva che sarebbe arrivato quel momento.
Gli stavano tremando le dita, non riusciva a guardarlo negli occhi, così tornò a concentrarsi sui documenti che aveva davanti, cercando di farlo passare come un gesto di disinteresse per la questione.
« È esattamente come leggi, Tooru. Mi sposerò tra un mese » Rispose.
L'altro scoppiò in una risata isterica, si avvicinò alla scrivania e con una manata violenta fece volare via tutti i fogli su cui lui stava lavorando.
« Pensi che io sia stupido, Wakatoshi? Eri strano quella sera! Stavi ... male »
Tooru era sempre così perspicace quando si trattava di lui. Sollevò lo sguardo per guardarlo in faccia ed era stravolto, nonostante la rabbia dietro gli occhi lucidi.
« E poi chi vuoi prendere in giro, sei gay Wakatoshi! Non credo ti piaccia tanto infilarlo dentro una vagina o sbaglio?! » Continuò imperterrito Tooru.
Wakatoshi era sordo a quelle provocazioni sciocche e aspettate.
Non posso permettere che tu vada a fondo.
« Non posso più farlo, Tooru » Quella risposta spiazzò l'altro.
Tooru si immobilizzò, terrorizzato.
« Cosa non puoi più fare? » Sussurrò.
« Questa cosa con te. Basta. Mi sento in colpa. Non lo posso fare. Ti ho solo usato, Tooru, te ne devi fare una ragione. Fin dall’inizio non c’era futuro per noi »
Disse stanco, e si passò indice e pollice sul ponte del naso.
Quando sollevò lo sguardo, Tooru stava piangendo.
Stava piangendo. Per colpa sua. Gli venne la nausea.
« Hai detto che mi ami. So che mi ami, non è vero Wakatoshi. Stai mentendo »
Mormorò, mordendosi il labbro inferiore per non scoppiare in singhiozzi.
« Sono anni che andiamo avanti »
« E adesso dobbiamo finirla »
Intervenne impassibile, senza muovere nemmeno un solo muscolo facciale.
Era sempre stato bravo in quello, anche se avrebbe voluto vomitare.
« Allora che sei venuto a fare da me quella sera?! Potevi andartene a fanculo! »
Ruggì Tooru con la disperazione delle sue lacrime. Poi scosse la testa.
« Wakatoshi, ascoltami, lo so che - » Cominciò subito ad aggiungere, pentitosi della sue parole. Wakatoshi doveva farla finita in quel preciso momento, prima che Tooru cominciasse ad insistere tentando di convincerlo.
Avrebbe ceduto. Avrebbe ceduto perché lo amava troppo. Da sempre.
Dal primo istante in cui aveva posato gli occhi su di lui.
« Volevo solo scoparti un'ultima volta prima di sposarmi. Tutto qui, Tooru »
Si sorprese di se stesso. Della calma che trasparì dalla sua voce, la noia.
« Dopotutto non è stato male, era la cosa più divertente di tutta questa storia »
Tooru parve freddarsi qualche istante nel sentire le sue parole assurde, bugiarde, poi si ricompose. Si aggiustò la giacca dello smoking, asciugò il bel viso e quando lo guardò aveva un'espressione che ricordò tanto a Wakatoshi i primi tempi all'università.
Quando lo odiava profondamente.
Stava cercando di raccogliere il suo orgoglio calpestato e la sua dignità oltraggiata.
Wakatoshi sapeva che non sarebbe mai stato perdonato per quell’affronto.
Per quel tradimento. Per quelle menzogne che Tooru mai avrebbe dovuto scoprire.
Qualsiasi cosa succederà in futuro, devi sapere che ti amo. Non lo devi dimenticare. Wakatoshi gli aveva detto quelle parole.
« Se vuoi essere mio nemico, Wakatoshi, allora ti accontenterò » La sua voce era diventata di tagliente e letale « Io ti distruggerò. Fosse l’ultima cosa che faccio »
Sibilò piegandosi in avanti verso di lui sulla scrivania, i loro volti a pochi centimetri di distanza, mentre una singola lacrima gli cadeva sulla guancia, l’ultima che avrebbe versato per lui, l'espressione stoica che nascondeva il dolore, la sofferenza.
Tooru aveva dimenticato quelle parole.
Se ne andò via senza guardarsi una sola volta indietro.
A Wakatoshi andava bene, finché Tooru sarebbe stato al sicuro da suo padre.


Nel frattempo, sarebbe stato più grande nemico, l’avrebbe tormentato fino allo stremo, se era l'unico modo che aveva per restare nella sua vita.
Wakatoshi era pronto.
Perciò distruggimi, Tooru, provaci. Non arrenderti mai.
Nemmeno io mi arrenderò.



 
I came in like a wrecking ball
I never hit so hard in love
All I wanted was to break your walls
All you ever did was wreck me


( Wrecking Ball - Miley Cyrus )

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Capitolo 18
*** 18. I'll Make a Man Out of You ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Mafia

N° parole: 3233

Note: stasera ci siamo quasi per il rotto della cuffia, e sinceramente non so come ho fatto dopo la giornata che ho avuto. Sicuramente non è all’altezza delle storie precedenti, sebbene siano state scritte tutte in un giorno solo come questa.
Ma l’ho scritta in … tre/quattro ore? ( a differenza delle altre )
Per questo motivo vi chiedo di essere clementi con l’abbassamento di livello.
Poteva essere una tragedia, invece ne è venuta fuori una cosa più leggera ( spero )
Con questa tematica non mi piace andare sul pesante, un po’ per il peso che ha per la storia del nostro paese … vi confesso che non è un prompt che amo.
Ora, una mia amica mi ha detto che ho esagerato ieri con la storia del rating rosso …
Quella one-shot É rossa, ovviamente, ma mi è stato consigliato di lasciare rating arancione e di mettere quello rosso solo se le storie con questo target superano il numero di quelle arancioni … il ragionamento fila.
Motivo per cui torno indietro sui miei passi ( tanto per essere incoerente ancora un po’ )
Metterò dei warning per i capitoli infuocati.
Buona lettura di questa cosa pietosa. Sorry.











 
I'll Make a Man Out of You


 
You're the saddest bunch
I ever met
But you can bet
before we're through
Mister, I'll make a man out of you



Quel Wakatoshi era un disastro annunciato.
Tooru avrebbe tanto voluto torcere il collo ai suoi uomini. Erano un branco di idioti, ecco cosa. Seduto sulla comoda sedia reclinabile, dietro la sua bella scrivania, osservava quella nuova recluta non richiesta con espressione di disgusto malcelato.
Avrebbe presto torto il collo ad Hajime, Takahiro ed Issei con le sue stesse mani.
Era certo.
« È ben piazzato, lo possiamo usare »
Stava dicendo il suo braccio destro come se il diretto interessato non fosse lì.
« Già, con un po' di addestramento può - »
« Può fare il mio sguattero, si » Lo interruppe Tooru alzando un dito.
Poi abbassò con eleganza le lunghe gambe fasciate da un costoso pantalone bianco a terra, togliendo i piedi dal tavolo. Si alzò in piedi, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni, una camicia nera scollacciata e la giacca posata ad effetto sulle spalle.
Tooru era un boss della mafia, e non era solo tutta scena, non sapeva cosa farsene di quel babbeo ben piazzato con la faccia d'angelo.
« Tooru, non puoi metterlo a fare lo sguattero! Guarda che spalle che ha! »
Sbottò Hajime indignato.
« Esatto! Perfette per strizzare un mocio! »
Fu la sua replica definitiva, mentre passava accanto ai tre per uscire fuori dalla stanza.
Aveva una questione da risolvere con un tizio che era in ritardo con i pagamenti, doveva fargli capire personalmente che con Tooru Oikawa del clan di Seijoh non si scherzava.
« Ora muoviti, Hajime, dobbiamo andare » Lo esortò, fermandosi sulla soglia.
Il suo braccio destro mise i pugni chiusi sui fianchi, ma sospirò, eseguendo i suoi ordini.
Prima di lasciare la stanza, Tooru si fermò un attimo a dare un'occhiata a quel Wakatoshi. Era davvero ben piazzato e attraente.
Decisamente il suo tipo, ma con vent’anni in meno di mezzo. Che nervi.
« La scopa si trova nel ripostiglio » Lo istruì, indicando con il pollice la porta di una stanza chiusa « Issei e Takahiro ti istruiranno sulle regole, ma, per intenderci, tradiscimi e te lo taglio in tanti minuscoli pezzettini. Poi li fondo nell'acido e ti ci butto anche te » Fece un sorriso smagliante.
Wakatoshi non cambiò espressione facciale.
« Ora andiamo » Ordinò, girando sui tacchi.


Rimasti soli con Wakatoshi, Issei e Takahiro si guardarono a vicenda, sospirando.
Ce lo avevano portato loro lì quel tizio. Era una loro responsabilità, probabilmente.
« Vieni, ti faccio vedere la base » Si fece avanti Takahiro, prendendolo per un braccio. Wakatoshi si mosse senza protestare.
« Oggi il boss era di pessimo umore » Si aggiunse Issei, aprendo la porta del ripostiglio, dove vi era un mucchio di cianfrusaglie raffazzonate.
« Qui ci trovi la roba che ti serve per pulire » Wakatoshi diede un'occhiata ed annuì.
Issei e Takahiro si rivolsero uno sguardo, se non lo avessero sentito parlare personalmente avrebbero creduto che fosse muto o un po' ritardato, incapace di capire.
« Non prendertela a male, amico. Il boss cambierà idea con il tempo, non gli è andata giù che abbiamo disobbedito ai suoi ordini »
Aggiunse gioviale Issei, dando una pacca sulla spalla ben piazzata di Wakatoshi.
« Quelli di ammazzarmi » Parlò lui per la prima volta con voce del tutto atona.
« Esatto, amico! In realtà lui non sapeva nemmeno il tuo nome, gli passerà »
Intervenne anche Takahiro, dandogli un'altra pacca violenta sulla spalla.
« È carino » Se ne uscì Wakatoshi. Issei e Takahiro rimasero interdetti.
« Ti piace questa topaia? » Chiese Takahiro per essere sicuro, alzando un sopracciglio.
Wakatoshi lo guardò impassibile.
« Il tuo capo » Specificò.
Issei e Takahiro fecero silenzio per in istante, poi scoppiarono a ridere violentemente, riempiendolo di pacche sulle spalle che nemmeno lo smossero.
« È una serpe velenosa, amico! »
Disse Issei sguaiato, reggendosi lo stomaco con un braccio.
« Attento a non farti mordere » Gli diede mano forte Takahiro, asciugandosi gli occhi. Wakatoshi pensò silenziosamente che fosse due idioti.

 
°°°


Wakatoshi era stato incastrato.
Si era ritrovato in quella dannata situazione solo per colpa di un suo "amico".
Era pieno di debiti con quel boss della mafia e aveva messo lui come garante.
Wakatoshi lavorava come insegnante di karate e judo in una palestra in periferia, il suo stipendio non bastava nemmeno per pagarsi un affitto, motivo per cui viveva in una stanza nei sobborghi malfamati. Non avrebbe potuto pagare quel debito nemmeno se avesse voluto. Per quel motivo non si era messo a protestare quando quei tre - che aveva pestato per bene con qualche mossa prima che tirassero fuori le armi - l'avevano trascinato dal loro boss per assoldarlo.
Puoi pagare il tuo debito con dei servigi.
Era stato quello che gli aveva detto Hajime, il capo della combriccola.
Wakatoshi si era sentito costretto ad accettare.
O quello o la morte, e sinceramente, per quanto fosse miserabile la sua vita, ci teneva che durasse ancora almeno sessant'anni.
« Che cazzo è successo a questo posto?! » Esplose una voce familiari fuori la porta dell'ufficio raffazzonato in cui Wakatoshi stava finendo di lavare a terra.
Si era fatto notte nel frattempo.
« Non c'è nemmeno più un granello di polvere in giro! » Continuò a strepitare la voce. Ci furono alcuni istanti di silenzio in cui Wakatoshi si rese conto che qualcun altro stava parlando, ma con un tono normale. Poi la porta si aprì di scatto ed entrò Tooru, accompagnato dal suo braccio destro. Il completo bianco che indossava quella mattina era schizzato di sangue, e anche le nocche della mano destra erano rosse e scorticate.
« Ah, tu » Commentò non appena si rese conto della sua presenza.
Wakatoshi sollevò il mocio da terra e glielo puntò contro, ad entrambi.
« Fermi » Ordinò, e colti alla sprovvista i due eseguirono « È ancora bagnato a terra. Ho appena finito di lavare, non voglio impronte in giro »
Spiegò Wakatoshi con calma e serietà, abbassando la mazza per rimuovere una macchia di impronta che non aveva notato. Tooru, palesemente allibito, scoppiò a ridere come una iena, poi diede una gomitata ad Hajime, che gli rivolse un'occhiataccia.
« L'hai sentito, Hajime? Ha le palle il tipo »
« Mi chiamo Wakatoshi » Si intromise lui.
Tooru tornò a guardarlo con un sorriso affilato sulle labbra, ma rimase sulla soglia senza entrare nella stanza. Incrociò le braccia al petto.
« A quanto ammonta il tuo debito? » Chiese.
« È il debito del mio amico. Non mio, lui mi ha fatto da garante senza consultarmi »
Wakatoshi si sentì in dovere di spiegare.
Tooru fece un gesto scocciato con la mano, come se stesse scacciando via una mosca.
« Dettagli. Inutili, tra l'altro. Quanto? »
Wakatoshi fece mente locale, glielo avevano detto Hajime e gli altri due idioti quando gli avevano teso l'agguato fuori dalla palestra.
« Quarantamila euro con gli interessi » Disse.
Tooru fece un sorriso tenero e affettuoso.
« Grazie alla tua insolenza ora siamo arrivati a sessantamila » Lo informò con voce melliflua « In termini di anni, vediamo ... direi che sono circa dieci al mio servizio! Ottimo! Per dieci anni avrò la topaia pulita. Ora sparisci » Wakatoshi fece un sospiro.
Non che gli importasse granché, finché si trattava di pulire gli andava bene stare sotto il pacchero di quel boss bastardo e arrogante.


 
°°°


Tooru avrebbe fatto saltare le cervella a qualcuno in breve tempo.
« Dove sono quel branco di ... »
I magazzini erano deserti, ad eccezione delle sentinelle di turno.
Stava camminando in preda alla furia, cercando quella banda di idioti dei suoi uomini per informarli di una nuova partita di cocaina da spacciare, ma non riusciva a trovarli da nessuna parte. Perfino Hajime era sparito.
Poi, passando accanto agli spazi comuni, sentì un vociare esagerato, grida di esultanza, come se stessero tifando per qualcosa. Si fermò di colpo ed entrò nella stanza.
Nessuno gli prestò la minima attenzione, erano tutti troppo concentrati a tifare come bestie nei confronti di ... qualcosa. Tooru individuò Hajime e gli si affiancò.
« Si può sapere che cazzo - »
Cominciò, ma il suo braccio destro lo zittì.
« Guarda » Gli disse, indicando il centro dell'enorme magazzino.
I suoi uomini erano radunati in massa attorno ad un tavolo per quattro, non troppo grande. Seduti su due sedie uno di fronte all'altro, Wakatoshi e Kentaro, il loro cagnolino rabbioso, si stavano sfidando a braccio di ferro. Tooru aggrottò le sopracciglia. Wakatoshi indossava ancora in testa il foulard che si metteva per fare le pulizie, e attorno alla vita un grembiule da donna. Era ridicolo. Assolutamente ridicolo.
Soprattutto con quella espressione seria.
« Ha battuto tutti » Tooru riportò l'attenzione sul suo braccio destro.
« Anche me » Precisò Hajime, per nulla turbato dalla sua ammissione.
Proprio in quel momento si sentì un gran vociare di insulti e urla di incoraggiamento.
Era iniziata la sfida, Kentaro stava sudando, rosso in volto nello sforzo, Wakatoshi invece sembrava fatto di pietra. Non sudava, non cambiava espressione e non si muoveva, come se i suoi muscoli fossero fatti di acciaio.
Proprio in quel momento Kentaro lasciò aperto uno spiraglio.
« Idiota » Commentò Tooru con un sorriso feroce sulle labbra mentre osservava.
Wakatoshi abbassò il braccio di scatto, sbattendo quello del cagnolino rabbioso sul tavolo. Quando realizzò di aver perso si alzò e cominciò ad abbaiare e insultare il suo avversario impassibile e perfettamente riposato.
« Visto? Te l'avevo detto che è bravo! Come guardia del corpo sarebbe perfetto, Tooru »
Nella voce di Hajime si percepiva un certo orgoglio per la sua scoperta.
Tooru allargò il sorriso e cominciò ad arrotolarsi le maniche della camicia leopardata.
« Se riesce a battermi lo addestro io personalmente » E prima che Hajime potesse davvero recepire le sue parole si fece avanti. Non appena si accorsero di lui i suoi uomini si zittirono tutti, spaventati di essere stati colti sul fatto.
« Ti sfido sguattero, battiti con me! » Disse a voce alta, con fare teatrale.
Si mise seduto davanti a lui e posò il gomito sul tavolo, mostrando la mano nella posa di presa. Si guardarono negli occhi.
Wakatoshi fece altrettanto, accettando la sfida.
Passata la sorpresa, il pubblico cominciò subito a tifare per lui con foga.
Si strinsero le mani, Tooru notò subito che quella di Wakatoshi era calda e callosa.
« Tre, due, uno, via! » Esclamò qualcuno.
Tooru sentì immediatamente la vena sulla tempia gonfiarsi e tendersi.
Sorrise come un lupo, mentre il braccio gli tremava sotto la pressione di quello del suo avversario. Wakatoshi aveva la mascella tesa.
« Bastardo » Sibilò feroce, aumentando la spinta del suo braccio.
Voleva fargli cambiare espressione, lo voleva vedere -
L'istante successivo il suo braccio sbatteva contro il tavolo. Aveva perso.
Scese un silenzio di tomba nel magazzino.
Tooru di massaggiò l'arto, fissando quel giovane strano e bizzarro che aveva davanti.
Rise. « Sei niente male, sguattero » Ammise, alzandosi.
Wakatoshi fece lo stesso, erano sotto lo sguardo di tutti i suoi uomini.
« Domani mattina ti aspetto nel mio studio. Se fai tardi ti taglio le palle »

 

°°°


Le cose andarono meglio per Wakatoshi da quel momento in poi.
Cominciò ad essere trattato con rispetto dagli altri malavitosi della base, che cominciavano a vederlo come uno di loro. Si fermava a giocare con loro a braccio di ferro, o insegnava qualche mossa di karate e judo a chi lo chiedeva.
Era chiamato lo strambo nel gruppo.
Gli allenamenti con Tooru erano stancanti e spietati. Ma anche divertenti.
Wakatoshi non era mai stata una guardia del corpo, non sapeva sparare, né aveva una buona mira. Se la cavava solo nel corpo a corpo, del tutto inutile durante uno scontro armato e Tooru non lo sopportava. Gli faceva perdere la pazienza ogni volta.
Ma passavano tantissime ore assieme.
Era un uomo spietato, dal pugno di ferro.
Nonostante le apparenze bonarie, Wakatoshi comprese che sarebbe stato in grado di uccidere un uomo senza battere ciglio. Non era un boss della mafia per sentito dire.
Ma mesi passarono in quel modo e Wakatoshi si abituò alla sua eccentricità, al suo umore ballerino, a quella gente che non era davvero la sua gente.
Ma era da tempo che non aveva una casa o una famiglia, e quelle persone sembravano la cosa più vicina a quelle due cose che avesse avuto da molto tempo a quella parte.


E Tooru, Tooru gli piaceva.
In molti più sensi di quanto implicasse quella parola.
E con decisamente meno saggezza di quella che avrebbe dovuto dimostrare.
Non ne sarebbe venuto nulla di buono dalla sua cotta per un boss della mafia.

 

°°°


Alla vigilia del suo primo incarico ufficiale come guardia del corpo, Tooru lo raggiunse in quello che ormai era diventato il suo alloggio.
Wakatoshi era seduto accanto alla finestra.
« Te la stai facendo sotto, ghiacciolo? » Esordì, fermandosi accanto all'uscio della porta, su cui si appoggiò incrociando le braccia al petto. Fece un sorriso malizioso.
Wakatoshi rimase con le gambe incrociate accanto alla finestra, la luna piena nel cielo che continuava a guardarlo.
« Basta che tu faccia quello che ti è stato insegnato e andrà bene » Continuò Tooru.
« Lo so » Fu la sua risposta serena.
Tooru si staccò dallo stipite ed entrò nella stanza, guardandosi attorno.
La stanza di Wakatoshi era quasi vuota. Aveva pochissimi effetti personali.
Una foto dei suoi genitori era tutto quello a cui teneva davvero.
« Allora come mai quella faccia pensierosa? Oppure no, hai sempre la stessa faccia dopotutto » Si fermò al centro della camera.
« Non ho mai ucciso nessuno. Stavo solo pensando a che cosa si provasse »
Confessò Wakatoshi, tenendo lo sguardo fisso sull'uomo che aveva davanti.
Tooru aveva quasi vent'anni più di lui, eppure era terribilmente attraente e giovanile.
« Non dovrai uccidere nessuno domani, Wakatoshi. Non ti crucciare »
Lo ammonì Tooru, incrociando le braccia al petto.
« Si, ma cosa si prova? » Insistette lui.
Tooru sospirò e lo raggiunse accanto alla finestra, mettendosi seduto accanto a lui.
« Ti priva di un'anima e di una coscienza. Una volta che varchi quella linea non c'è via di ritorno. Diventa un'abitudine, per quanto questo possa sembrarti orribile » Tooru sollevò le mani e le mostrò all'altro, indossava un grosso anello d'oro al pollice della mano destra « Queste sono sporche di molto sangue, Wakatoshi. Non sono un uomo per bene, io. Non lo devi dimenticare » Wakatoshi non lo aveva dimenticato. Mai.
Guardò la luna fuori dalla finestra.
« Come ci sei finito in questo guaio, tu? A parte avere amici di merda »
Gli chiese Tooru dopo qualche istante di silenzio.
» I miei sono morti quando ero bambino. Mi ha cresciuto la nonna, ci arrangiavamo. Poi è morta anche lei. Tutto qui. Mi piaceva lavorare alla palestra, però »
Raccontò, tornando a fissare Tooru.
Il suo sguardo lo intimidì, lo stava guardando con un certo interesse del tutto nuovo.
« Il mio sogno era di aprirne una tutta mia. Satori diceva che sono un idiota »
« L'amico che ti ha fottuto? » Chiese Tooru.
Wakatoshi annuì. Satori era un po' folle.
« Mi piaceva insegnare ai bambini e vederli felici » Concluse, con la solita faccia.
Tooru sbuffò una risata divertita.
« Io dico che invece sei un bravo idiota »
Wakatoshi non seppe cosa replicare a quelle parole. Tooru lo fissava con una certa intensità, come se stesse cercando di studiarlo. Leggerlo dentro.
Lo guardava in modo ... diverso.
« I tuoi sogni sono meritevoli » Gli diede una pacca sulla spalla e si tirò in piedi. Wakatoshi non sperava che Tooru potesse ricambiare i suoi sentimenti, ma quelle parole erano davvero una stretta allo stomaco per lui.
« Quei sogni non mi servono più » Disse.
Dopotutto, ci avrebbe messo tutta una vita per ripagare il debito che aveva con Tooru.
Lui gli rivolse una strana espressione.
« Il modo in cui ti comporterai domani deciderà molte cose, Wakatoshi »
Gli disse, andando verso la porta.
Wakatoshi non comprese il senso di quelle parole.


Il giorno seguente, l'incontro con il clan di Date Tech si rivelò una trappola.
Wakatoshi si buttò sulla traiettoria di un proiettile diretto verso Tooru e fu colpito alla spalla destra. Fu il suo unico atto da guardia del corpo, non premette mai il grilletto.
Non uccise nessuno.


 
°°°


Si era risvegliato in ospedale.
Tooru ci mise una settimana buona per andare a trovarlo, quando la sua spalla era ormai quasi completamente guarita. Sarebbe stato dimesso il giorno successivo.
Tooru era seduto accanto al suo letto con la solita aria rilassata, indossava un completo rosso, con la giacca appoggiata sulle spalle di una camicia nera, e aveva le gambe accavallate con grazia in avanti. Una collana dorata al collo e gli occhiali da sole costosi.
« Il tuo è stato un gesto sconsiderato »
Fu il suo unico rimprovero. Non proprio quello che Wakatoshi si era aspettato.
Strinse le mani attorno alle coperte del letto.
« Ma mi hai salvato la vita, ghiacciolo »
Tooru si protese in avanti, verso di lui, seduto dritto nel letto d'ospedale, tolse gli occhiali da sole e accennò uno dei suoi sorrisi loschi.
« Motivo per cui il tuo debito è estinto »
Wakatoshi sentì lo stomaco contrarsi.
« Puoi tornare a vivere la tua vita » Gli disse Tooru, dandogli un buffetto sulla faccia. Wakatoshi strinse forte la presa sulle lenzuola, tanto da rischiare di stracciarle.
« E se io non vole- »
« Non sei fatto per questa vita. Sei un'anima buona. Non voglio vederti impugnare una pistola mai più » Tooru si alzò in piedi, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni.
Wakatoshi aveva il magone il gola, ma si protese in avanti e gli afferrò la giacca.
« Tooru io - »
« Lo so » Lo interruppe. Gli sorrise dolce « Ho vent'anni più di te, sai? E anche per questo deve finire qui questa avventura. Se non fossi stato chi sono, ci avrei pensato sul serio ... ragazzino. Sei il mio tipo, sai? » Wakatoshi gli lasciò andare la giacca.
Non sapeva come spiegargli che per la prima volta dopo tanto tempo gli era sembrato di riavere una famiglia.
« Almeno ti ho reso un po’ più uomo » Lo prese in giro, poi tornò a rivolgergli quel sorriso un po’ dolce un po’ ferino e selvaggio « In un'altra vita, Wakatoshi »
Lo salutò sulla soglia
In un'altra vita.

 

°°°


Wakatoshi trovò una busta al centro del letto della sua vecchia stanza muffita.
Una busta bianca. La trovò quando rientrò dall'ospedale.
La aprì, recitava:


Sotto il letto troverai una valigetta.
Ci sono dentro sessantamila euro in contanti.
Apri la tua palestra, Wakatoshi.
Rendi felice qualche bambino e strappalo dalla strada. Così che nessuno debba mai essere costretto a diventare un mafioso spietato. Sii felice, ghiacciolo.


Nessuna firma.
Ma Wakatoshi non ne aveva bisogno.
In un'altra vita, Tooru, pensò.



 
Heed my every order
And you might survive
You're unsuited for the rage of war
So pack up, go home, you're through


( I'll Make a Man Out of You - Donny Osmond )

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Capitolo 19
*** 19. A Man Too ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Office

N° parole: 5717

Note: mi sono divertita molto a scrivere questo prompt, e come al solito mi sono anche complicata la vita. Non illudetevi, anche questo è stato scritto in quattro/cinque ore – spezzate – nonostante il ritardo, ma recupereremo :)
Se questa fosse stata una long, Kenjirou sarebbe stato molto più presente e molto più cattivo, avrebbe fatto passare i sorci verdi ad entrambi. Tooru e Wakatoshi si sarebbero avvicinati molto più lentamente, senza tutti i tagli che ho dovuto inserire per forza di cose. E il finale sarebbe stato lo stesso, forse un po’ articolato, ma questo è quanto. Mi sono dovuta schiaffeggiare le mani, insomma. Buona lettura!
TW: tradimento ( ma soft )





 
A Man Too


 
Ragazza mia, sei bella e giovane
Ma pagherai ogni cosa che otterrai
Devi esser forte ma forte perché
Dipenderà da te




Lo stage presso quella famosa casa di moda Tooru se lo era guadagnato.
A venticinque anni aveva raggiunto un enorme traguardo lavorativo tutto da solo.
Sei mesi di cui si era detto avrebbe fatto tesoro, retribuiti, da inserire nel CV, con grandi possibilità di assunzione futura.
Il primo giorno era arrivato in ufficio emozionato, propositivo ed entusiasta.
Il posto non aveva deluso le sue aspettative.
Già solo l'idea di dover raggiungere ogni giorno una zona tanto in della città, di entrate in quel grattacielo stellare con il proprio badge personale era sufficiente a caricare al massimo la sua euforia e i suoi propositi.
L'ufficio si distribuiva su tre piani nella parte più alta del grattacielo ed era un luogo colorato, variopinto, asettico ed eccentrico insieme: tutto quello che serviva per stimolare la creatività, l'istinto e l'estro.
Ma la realtà era stata come una secchiata di acqua gelata addosso.
La Shiratorizawa's Fashion Office poteva anche vantare un marchio famoso in tutto il mondo, ma l'ambiente di lavoro ... era tremendo. O almeno, lo era per gli stagisti.
Tooru aveva guardato con invidia ai rapporti consolidati tra i colleghi di vecchia data.
E tutto quello che aveva sperato di imparare ...
Era stato affidato ad uno dei nomi più autorevoli del campo, quello di Satori Tendou, stilista eccentrico e anticonformista, ma tutto quello che gli aveva insegnato fino a quel momento era ... come usare una fotocopiatrice e quali fossero i gusti in fatto di bevande
dei suoi collaboratori.
Tooru era deluso. Molto. E fumava di rabbia repressa.
Gli sembrava di star sprecando il suo tempo.
Non aveva ancora idea di quanto quello stage avrebbe cambiato la sua vita futura.

 

•••


Avevano indetto una riunione quella sera.
Era stata organizzata di fretta e furia.
Tooru avrebbe dovuto staccare alle sette di sera, ma Satori gli aveva domandato di restare ad assisterli, perché sarebbe andata per le lunghe. Tooru era scocciato all'idea di dover restare a lavorare fino a tardi senza essere pagato, ma Satori non gli aveva mai chiesto niente del genere prima, ed era curioso di assistere ad una vera riunione, anche se il suo compito sarebbe stato solo quello di servire caffè, cibo e fare fotocopie.
« Buona fortuna con quelli lì » Sollevò gli occhi dai plichi di fotocopie che stava spillando, incrociando lo sguardo severo del segretario, Tsutomu.
Condividevano lo stesso ufficio, una stanza bianca tappezzata di foto di modelle, premi vinti e sfilate famose in tutto il mondo.
Avevano due scrivanie colorate e incasinate, vicine. Quella di Tsutomu era un vero ammasso di carte, plichi, fascicoli, post-it e faldoni. I primi giorni Tooru aveva pensato che fosse solo un tipo isterico attaccato al telefono fisso, poi aveva scoperto che se le cose funzionavano bene in quell'ufficio disordinato e caotico era proprio grazie a Tsutomu e alla sua particolare organizzazione.
L'unica regola per Tooru era stata quella di non cercare di mettere ordine tra le sue cose.
E lui era generalmente rispettoso degli altri.
Quando non erano dei mocciosi di merda. O dei prepotenti. O dei "so tutto io".
« Si, grazie » Brontolò, osservando con aria critica le bozze dei modelli che avrebbero dovuto presentare per la stagione primavera - estate. Era da circa mezz'ora che divideva le fotocopie per farne dei plichi, e più le guardava, più le trovava sbagliate.
« Ti ho lasciato dello yakisoba da scaldare nel microonde della saletta relax. Mangia qualcosa quando fanno pausa »
Si raccomandò Tsutomu, avvolgendo una sciarpa viola attorno ad un cappottino grigio.
Tooru impilò i fascicoli spillati e iniziò a infilarli all'interno di cartelline colorate.
Il suo sembrava più uno stage da segretario che da stilista.
Maledetti, pensò.
« Grazie, Tsutomu. Ci vediamo domani »
« A domani » Fu la replica.
Tsutomu prese la ventiquattrore, le chiavi della macchina e se ne andò portandosi dietro una scia di costoso profumo maschile.
Tooru rimase da solo e sospirò.
L'orologio a forma di maialino sulla scrivania segnava le 19:05.
Chiuse le cartelline colorate una ad una, poi si alzò prendendole tutte insieme e stringendole al petto. L'ufficio faceva una certa impressione a quell'ora della sera, fuori tutto buio, ad eccezione delle luci dei negozi e degli altri uffici e appartamenti vicini, e un silenzio di tomba che non si sentiva mai di giorno.
La maggior parte degli uffici erano bui e chiusi, ma la saletta relax aveva ancora la luce accesa, come la stanza delle riunioni e quelle del personale che era rimasto.
Si diresse verso la stanza riunioni, tentando di abbassare la maniglia della porta con un fianco, avendo le mani occupate.
Non ci riuscì, poi si rese conto - le porte e le pareti erano tutte di vetro, tranne quelle dei bagni - che nella stanza c'era già qualcuno.
E non qualcuno a caso, ma il direttore della casa di moda: Wakatoshi Ushijima.
Il marchio era suo, il suo nome una garanzia.
Non era solo in quello, lavorava in coppia con il marito - avevano costruito insieme quell'impero - ma tra i due il suo nome aveva un peso diverso.
Wakatoshi era un genio. Aveva solo trent'anni ed era già arrivato alla vetta.
Un po' come Tobio, suo collega più piccolo all'accademia.
Tooru non poteva vantare un tale talento.
Era bravo, volenteroso, intuitivo, ma non era un genio. Si sforzava. Era nella norma.
Tutto quello che otteneva aveva alle spalle sudore, fatica e pratica. Molta pratica.
L'uomo era già seduto al tavolo rotondo, sulla poltrona bianca, accanto al pannello delle proiezioni, stava consultando qualche documento, ma prima che Tooru arrivasse.
Ora lo fissava con quegli occhi taglienti, una mano appoggiata sul viso con due dita che premevano sulle tempie. Era un uomo attraente, anche se un po' intimidatorio.
Sebbene fosse stato lui a firmare per il suo stage Tooru non ci aveva mai parlato.
Si era rapportato direttamente con Satori.
Abbassò il fianco, smettendola di cercare di aprire la porta in quel modo assurdo.
I vetri erano insonorizzati, non si poteva ascoltare quello che veniva detto dentro una stanza, ma Tooru ebbe come la sensazione di sentire lo stesso lo strusciare della poltrona sul parquet quando Wakatoshi si alzò.
Oh merda, che ansia!
Pensò, mentre lo vedeva avvicinarsi, poi la maniglia si abbassò.
« Grazie! » Gli uscì una voce squillante.
Wakatoshi sollevò un sopracciglio, imbarazzato Tooru gli passò sotto il braccio per entrare nella stanza.
Grazie?! Tooru, brutto idiota, mica stai parlando con tuo padre! È il tuo capo!
Alzò gli occhi al cielo e cominciò a distribuire le cartelline sul tavolo, dal lato in cui era costretto a dargli la schiena.
Wakatoshi si mosse e tornò accanto alla poltrona, ma non si sedette.
Rimase in piedi, con le mani appoggiata sul bordo dello schienale bianco di pelle.
Tooru sentiva il suo sguardo addosso.
Sollevò leggermente gli occhi e incrociò inevitabilmente quelli dell'altro, fu tentato di riabbassarli subito ma non lo fece, li spostò sul tavolo con calma, continuando a fare il suo lavoro. Poteva fingere di non sapere chi fosse l'altra persona nella stanza, ma sarebbe stato davvero un po' troppo anche per lui.
« Tooru » Si sentì chiamare, e sollevò lo sguardo, sussultando sorpreso « Lo stagista che ho affidato a Satori »Wakatoshi aveva una voce profonda e monocorde.
Sembrava privo di emozioni, proprio come nelle interviste che Tooru aveva visto in televisione qualche volta al TG. Indossava una maglietta a collo alto nera, attillata, di lana pettinata, dei jeans creati da lui e un paio di scarponi sportivi.
Per essere uno stilista non era eccentrico.
« Si, sono io » Tono sorpreso « Non credevo si ricordasse di me »
Tooru si morse la lingua quando si lasciò scappare quelle parole.
E mettiti un freno, idiota!
« Mi ricordo bene di te, invece. Ti ho scelto io personalmente tra i vari candidati, dopotutto » Fu la replica.
Tooru sbatté le palpebre, del tutto scioccato.
Aveva creduto di essere stato solo selezionato a caso quando aveva messo finalmente piede in quel posto, considerando il modo in cui veniva trattato.
Si era sentito molto deluso quando lo aveva pensato.
« Dovevo seguirti io, all'inizio. Ma non ho potuto per via di una cosa che è sopraggiunta inaspettata. Satori ti sta insegnando bene? Non era molto contento del cambio di programma » Tooru pensò di mentire, in un primo momento, sarebbe stato più semplice. No! si disse poi, infervorandosi tutto.
Non aveva idea che Wakatoshi avrebbe dovuto seguirlo, e che poi se ne era invece lavato le mani. Quello si che sarebbe stato uno stage istruttivo! Invece, quel Satori!
« A dire il vero ... » Cominciò, puntando un dito per mettere in chiaro che la sua sarebbe stata una lunga lamentela.
Wakatoshi sollevò le sopracciglia e si fece attento, incuriosito dalla sua reazione.
Ma proprio in quel momento la porta si aprì.
Entrarono i partecipanti alla riunione facendo molto rumore, chiacchierando e ridendo.
Imbarazzato da quella alzata di testa, Tooru si fece minuscolo e si ritrasse, arretrando anche fisicamente.
Wakatoshi non distolse subito lo sguardo.


Tooru stava seguendo la riunione in modo frammentato, ma aveva immediatamente capito che gli umori non erano buoni.
Se n'era perso un bel pezzo quando rientrò nella stanza con le buste della cena sotto braccio. Avevano ordinato d'asporto al ristorante cinese a cinque stelle dietro l'angolo, e Tooru si era dovuto occupare delle ordinazioni e dei pagamenti.
Ora si aggirava attorno al tavolo distribuendo cibo come un cameriere.
« ... una vera delusione » Stava dicendo in quel momento Wakatoshi.
Tooru passò dietro Sawamura, responsabile del reparto di sartoria, e gli mise accanto alla cartellina aperta una ciotola piena di involtini primavera dall'odore invitante.
L'uomo lo ringraziò distrattamente.
« Questo succede quando si lascia carta bianca ad un branco di eccentrici »
Quel commento velenoso arrivò dalla destra di Tooru, proprio dalla persona che stava servendo: Kenjirou Shirabu - Ushijima da sposato - il marito di Wakatoshi.
Sollevò un sopracciglio quando colse la frecciatina evidente nei confronti del compagno, dopotutto, doveva essere stato lui a scegliere la squadra che si sarebbe occupata della stagione primavera-estate. Tooru lasciò sul tavolo una ciotola di spaghetti di frutti di mare, che venne allontanata malamente con fare sprezzante.
Quel Kenjirou aveva la puzza sotto il naso. Tooru avrebbe volentieri vuotato il contenuto della ciotola sui suoi capelli dal taglio discutibile.
« Sono certo che tu avresti fatto sicuramente di meglio, come con quei sacchi della spazzatura che hai presentato a Milano l'anno scorso » Intervenne affabile Satori.
Tooru per poco non rischiò di inciampare.
Fino a prova contraria, Kenjirou aveva lo stesso numero di quote di Wakatoshi in quell'azienda, anche se sulla carta era solo il vicedirettore.
« Satori, bada bene che - »
« Il punto è che dobbiamo darci una mossa. Siamo indietro su tutto »
Intervenne Kuroo. Tooru si ricordava di lui perché era un tipo sagace e dalla risposta pronta. Ma non aveva idea di quale fosse il suo ruolo.
Passò proprio dietro di lui e gli consegnò il suo piatto di ravioli al vapore vegetariani.
Wakatoshi si alzò, si appoggiò alla poltrona e sollevò il fascicolo dei modelli disegnati.
« Ora vi farò una domanda » Esordì, mentre Tooru tirava fuori dalla busta una confezione di pollo alle mandorle glassate « Voglio sapere il motivo per cui questi disegni non vanno bene. Perché li ho bocciati »
« Perché sei pesante » Fu il commento sottovoce di suo marito, Kenjirou, che si teneva una tempia con le dita come se avesse una brutta emicrania, mentre era solo insofferenza. Lo sentirono tutti, ma come la prima volta ignorarono la cosa.
Tutti tranne Tooru.
E meno male che dovrebbero amarsi.
Pensò, sbirciando i disegni dalla spalla di Sawamura.
Restava della sua idea mentre tutti gli altri se ne restavano in un silenzio di tomba.
I modelli in sé non erano nemmeno male, ma ...
« ... i colori sono troppo scuri »
Il pensiero gli sfuggì di bocca.
Quando se ne accorse, sollevò la testa di scatto, rimanendo paralizzato con il pollo ancora tra le mani e gli sguardi di tutti puntati addosso. Oh merda, merda, merda.
« Io - » Cominciò a dire per scusarsi.
« È esattamente questo il motivo » Intervenne Wakatoshi, incrociando le braccia al petto mentre teneva lo sguardo puntato su di lui. Di nuovo.
Tooru era lì da tre mesi, ma gli sembrava di essere visto per la prima volta quella sera.
« Tooru, perché pensi siano troppo scuri? »
Lo interrogò. L'ansia di Tooru crebbe.
« Wakatoshi, è solo uno stagista, non - »
« Satori » Lo zittì. L'altro alzò le mani.
Tooru si sentì leggermente più sicuro di sé. Voleva farla vedere a quello stilista da quattro soldi ... okay, non proprio da quattro soldi.
Posò il pollo sul tavolo e raddrizzò la schiena.
« Il tema della stagione è Aria. Dovrebbe trasmettere leggerezza. Quei colori sono troppo pesanti. Credo che i modelli siano buoni, ma le stoffe, i tagli ... quelli dovrebbero essere un po' alleggeriti. Ecco » Si fece mano a mano sempre più sicuro.
Quando ebbe finito, Wakatoshi chiuse il fascicolo e lo gettò al centro del tavolo.
Quello si schiaffò sulla superficie.
« È quello che voglio da voi » Concluse con voce incolore « Credete di poterlo fare, o devo chiedere al nostro stagista? »
Tooru avvampò quando sguardi di diversa natura si voltarono a fissarlo, quello più spiacevole apparteneva a Kenjirou.


Più tardi, mentre raccoglieva il materiale dal tavolo dell'ufficio, con l'orologio che segnava le 22:00 passate, Wakatoshi gli passò accanto mentre lasciava la stanza per ultimo, infilandosi in cappotto elegante.
« Ben fatto. Sei nel team per la stagione. Satori ti dirà i dettagli domani »
E se ne andò prima che Tooru potesse realizzare. Rimase con le cartelline sotto braccio per qualche istante, poi un brivido di eccitazione ed orgoglio lo percorse tutto.
Ce l'ho fatta!


 
•••


L'ufficio di Satori era accanto a quello di Wakatoshi. Dalla postazione in cui stavano lavorando, quel litigio violento non poteva passare inosservato. Anche se non sentivano niente per via dei vetri insonorizzati vedevano tutto. Ignorare era impossibile.
« Ci risiamo » Tooru spostò lo sguardo su Shouyou, seduto al suo fianco.
Era del reparto di Sawamura e stava scegliendo la stoffa da usare per la stagione primavera-estate insieme a Tooru.
« Questo azzurro è di ottima qualità » Tooru toccò la stoffa solo distrattamente, lo sguardo ancora fisso su Kenjirou che inveiva selvaggiamente contro Wakatoshi.
Lui era appoggiato con la schiena alla scrivania e tentava di calmarlo inutilmente.
« Succede spesso? » Chiese.
Shouyou seguì la direzione del suo sguardo e annuì, passando ad una stoffa lilla.
« Litigano in continuazione, da anni. In ufficio ci abbiamo fatto l'abitudine »
Tooru guardò i motivi floreali del tessuto con fare distratto, prendono a giocare con i bordi.
« Dovrebbero lasciarsi » Continuò Shouyou, mettendo da parte i due colori. Bocciati.
« Anche se suppongo non sia così facile, con l'azienda e tutto » Tooru non rispose.
Non era sposato e non aveva un ragazzo. Dall'ultimo era passato un anno buono.
Veniva sempre mollato, per qualche motivo, quindi di quelle cose non se ne intendeva molto ad essere sinceri.
Proprio in quel momento vide Wakatoshi allungare le mani per cercare di prendere le spalle di Kenjirou, che gli schiaffò una cartellina di fogli sulla faccia con violenza.
Tooru trasalì. Kenjirou lasciò la stanza come una furia, ma il suo sguardo era per Wakatoshi. Se ne rimase appoggiato con la schiena curva al tavolo per qualche minuto, le mani congiunte davanti a sé.
I documenti erano caduti tutti sul pavimento.
Doveva averlo fissato troppo intensamente, perché ad un certo punto quegli occhi grigiastri si spostarono su di lui.
Ma Tooru non abbassò lo sguardo.


 
•••


Natale era alle porte. Nevicava.
Tooru aveva sempre amato la città in quel periodo dell'anno, con le luci, il freddo, l'atmosfera. Si strinse nella sciarpa mentre camminava lentamente per i marciapiedi, godendosi la giornata libera.
Stava per entrare nel suo bar preferito - un posto non troppo grande, decorato per l'occasione - quando si sentì afferrare per un gomito. Non se n'era reso conto, ma sarebbe andato a sbattere contro un uomo che stava uscendo proprio in quel momento, reggendo due bevande calde, se quella mano scoperta, grande e venosa non lo avesse afferrato.
Fu spinto all'indietro contro un petto solido, un buon profumo di colonia lo raggiunse.
Vide l'uomo delle bevande andare via con occhi leggermente sgranati, poi sollevò lo sguardo. Wakatoshi lo stava fissando con la solita espressione impassibile.
« Ah, la ringrazio » Commentò, sfuggendo gentilmente alla sua presa.
Si allontanò, girandosi totalmente verso di lui.
Wakatoshi mise le mani intirizzite nelle tasche del cappotto elegante sbottonato.
« Frequenti anche tu questo bar » Notò.
Tooru annuì, imbarazzato. Si sentiva in quel modo nei suoi confronti fin da quando aveva assistito a quella scena in ufficio.
« Fanno la cioccolata calda migliore »
« È così » Silenzio. Pesante.
Wakatoshi indicò l'entrata del locale.
« Beviamo qualcosa insieme » Propose.


Tooru fu costretto ad accettare.


Scelsero il posto per sedersi in un angolo, sotto il ritratto di un vaso di margherite.
Un tavolino per due, carino, con delle candele dorate al centro, accese. Vennero servite ad entrambi due cioccolate calde decorate.
« Cannella e nocciola »
Notò Tooru, stringendo le mani intirizzite attorno alla tazza calda e invitante.
Nell'aria si sentivano le note di It's beginning to look a lot like Christmas.
« Garofani e mandorle » Fu la replica.
Tooru si ritrovò a sorridere. Wakatoshi aveva indovinato.
« Lei è molto perspicace » Disse, soffiando sul vapore che ancora usciva dalla tazza.
L'altro girò il cucchiaino nella bevanda.
« Osservare la gente è il modo in cui lavoro. Non serve parlare, basta guardare con attenzione e cogliere i dettagli »
Tooru rimase imbambolato a fissarlo per qualche secondo, poi scosse la testa, stringendo la presa sulla tazza con forza.
« E che dettagli ha colto in me? » Chiese. Fissava il tavolo, e non l'uomo negli occhi.
« Wakatoshi » Fu la risposta. Tooru sollevò lo sguardo e aggrottò le sopracciglia.
Non capiva.
« Siamo fuori dall'ufficio. Vorrei che mi chiamassi Wakatoshi. Che mi dessi del tu. Inoltre, nessuno dei miei dipendenti mi da del "lei" a parte te »
Mise il cucchiaino sul piattino e bevve un sorso. Tooru lo imitò.
« Avrebbe - avresti potuto dirmelo »
Mormorò, assaporando il retrogusto di mandorle e garofani sotto il palato e sulla lingua. Wakatoshi accennò un sorriso sul bordo della tazza.
Accanto alle bevande avevano portato anche dei biscotti di pan di zenzero a forma di omini. Tooru ne prese uno.
I bottoni sul davanti erano stati glassati.
« Sei intelligente e perspicace. Hai fantasia e sai lavorare di squadra. Anche con Satori, che è del tutto folle e ti comanda » Lo prese in contropiede Wakatoshi, rispondendo alla sua domanda precedente « Ma non hai polso, né fiducia in te stesso. O nelle tue capacità. Non sei un genio, certo, ma per fortuna ti ho scelto io »
Tooru sentì un pizzico di irritazione. Lasciò ricadere il biscotto nel piattino.
« Tirerò fuori il meglio di te. E tu di me »
E quella stessa irritazione si dissolse subito.
Sbatté le palpebre e per la prima volta si rese conto di come doveva sembrare da fuori la situazione. Wakatoshi era un uomo sposato.
Era una persona famosa, rinomata. E a Tooru piacevano gli uomini.
I paparazzi lo avrebbero scoperto, perché sapevano scavare bene nella vita di tutti.
Inoltre, quell'uomo lo incuriosiva davvero.
Non era solo bellissimo, e non riguardava solamente la possibilità di lavorare con lui.
Lo interessava come persona.
Era una situazione pericolosa, ma ...
Wakatoshi era a suo agio, come se la cosa non lo preoccupasse minimamente.
E Tooru si adattò al suo comportamento.
Parlarono, parlarono tanto, per ore.
Parlarono degli anni di studio di Wakatoshi, dei suoi viaggi all'estero, della vita privata di Tooru. Risero, e si scoprirono. Alla fine di quella serata inaspettata, Tooru aveva come la sensazione di conoscere Wakatoshi da sempre.
Ed era strano, perché non gli era mai successo con nessuno prima di allora.

 

•••


Tooru si fece coraggio. Bussò.
Nonostante Wakatoshi potesse vederlo dal vetro del suo ufficio.
Era accanto ad un manichino, stava lavorando a qualcosa.
Gli fece cenno di entrare, Tooru lo fece e strinse la cartellina dei colori al petto.
« Avrei bisogno del tuo aiu- »
« Resta fermo lì » Si immobilizzò.
Wakatoshi gli venne vicino reggendo tra le mani un pizzo nero. Glielo accostò al viso.
Non disse nulla, la sua espressione impassibile come al solito, poi tornò al manichino.
Il vestito era solo un abbozzo, appuntato con spilli e scucito, ma sembrava avere già ... una forma. Tooru si avvicinò inconsciamente.
« Devo partecipare ad un concorso »
Gli spiegò Wakatoshi, aggiustando il pizzo delle maniche. Tooru sollevò un sopracciglio.
« Partecipi ancora ai concorsi? » Chiese. Wakatoshi si voltò a guardarlo, togliendosi uno spillo tra le labbra per appuntarlo sull'abito.
« Danno prestigio al nostro nome » Aveva senso. Tooru non ci aveva mai pensato.
« Il tema della sfilata è Vedova Vergine » Lo informò Wakatoshi e Tooru comprese.
Vide subito l'immagine dietro quella bozza di vestito.
Dimenticandosi di quello che avrebbe voluto chiedergli quando era entrato, posò la cartellina dei colori sulla scrivania e si avvicinò.
Era un abito da sposa nero.
Le maniche sarebbero state trasparenti, con ricami di fiori elaborati. La gonna era ampia, di pizzo, lunga, ricoperta dalla stessa stoffa trasparente delle maniche.
Con gli accessori e gli ultimi ritocchi sarebbe stato un lavoro fantastico.
« Fammi da modello » Le parole di Wakatoshi lo riportarono al presente.
« Ma sono un uomo! » Sbottò, indignato.
Non era la risposta giusta da dare, lo comprese dall'espressione che l'altro gli rivolse. Non era diversa, ma aveva qualcosa.
« Sono solo imposizioni della società, Tooru. Sei cresciuto pensando che indossare una gonna sia sbagliato perché è un indumento da donna. Ma se fosse stato il contrario? Se gli uomini avessero da sempre indossato una gonna? Allora a quel punto ti avrebbero insegnato che portare un pantalone sarebbe stato sbagliato, in quando indumento da donna. Sono limiti, Tooru. Tutti qui » E si picchiettò la tempia, indicando la testa.
Tooru sentì il cuore battere più forte nel petto.
Si sentiva come se fosse stato appena fulminato sul posto da una rivelazione.
« Sei uno stilista, Tooru. Non devi mai porre limiti alla tua creatività. Puoi essere tutto, uomo, donna, entrambe le cose » Wakatoshi gli porse una mano.
Sembrava l'invito accattivante verso un mondo del tutto nuovo e inesplorato.
Tooru la afferrò euforico e la strinse.


Passando accanto all'ufficio del direttore, Satori e Tsutomu si fermarono. Sorpresi.
Dietro di loro Shouyou, Tadashi e Kei fecero lo stesso. L'immagine che avevano davanti era ... surreale. Tooru indossava ... un velo nero. Wakatoshi gli ruotava attorno come un avvoltoio, tentando di infilargli un fiore tra i capelli arricciati.
Era concentrato, mentre l'altro rideva di gusto, dicendogli chissà cosa.
« Era da un po' che non lo vedevo così »
Fu il commento di Satori, che incrociò le braccia al petto, un sorrisetto sulle labbra.
Proprio in quel momento videro Tooru provare ad infilarsi un paio di scarpe con il tacco alto. Rischiò di cadere e si aggrappò con le mani alle braccia di Wakatoshi.
« Accipicchia » Mormorò Shouyou.
Satori si girò a guardarlo, divertito.
« Sembra essere tornato ai tempi dell'accademia » Quando Wakatoshi non aveva ancora sposato Kenjirou ed era pieno di idee e creatività eccentrica.
Satori gli aveva detto mille volte di non mettersi quel maledetto anello al dito.
« È Tooru » Intervenne Kei con la sua solita aria scocciata. Ma il suo sguardo era serio.
« Lo detesto. È irritante. Ma fa così, ti fa venir voglia di fare le cose bene » Disse, poi sembrò rendersi conto delle sue stesse parole e si imbronciò tutto.
« Non che mi importi » E se ne andò.
Satori tornò a guardare l'amico di sempre.
Wakatoshi non aveva mai guardato Kenjirou a quel modo.


 
•••


Si era fatto tardi. Troppo. Erano le undici.
Tooru doveva andare via. Lasciò perdere quello che stava facendo e si alzò in piedi, infilando cappotto, guanti e sciarpa.
Almeno il giorno seguente era domenica, avrebbe potuto riposare.
Spense la porta dello studio e se la chiuse alle spalle, ma si rese subito conto di non essere solo. La luce nell'ufficio di Wakatoshi era accesa e lui se ne stava lì, di schiena, appoggiato alla scrivania.
Tooru bussò per attirare la sua attenzione.
Non devi tornare a casa da tuo marito? O forse per te casa è un inferno?
Furono le prime domande che gli sfiorarono i pensieri. Le tenne per sé, strette.
« È tardi » Gli disse, restando sulla soglia.
Wakatoshi lo guardò con una strana espressione, Tooru si accorse che stava osservando il cellulare prima che lui arrivasse. Lo chiuse non appena si accorse del suo sguardo.
È un uomo sposato, Tooru. Non importa che tu non ti sia mai sentito tanto bene con un qualcuno, prima. È fuori portata.
È anche il tuo capo, inoltre.
Non sei pronto per affrontare quella merda.
« Tooru » Lo chiamò Wakatoshi, poi afferrò il cappotto, le chiavi della macchina e gli si avvicinò, prendendogli una mano.
Tooru annaspò. Si lasciarono l'ufficio alle spalle.
« Andiamo a bere qualcosa » Gli disse l'altro, continuando a tenerlo per mano.
« Ma - » Provò a protestare Tooru.
Ma non gli lasciò andare la mano.


Wakatoshi lo portò in un'enoteca.
Non erano gli unici clienti, l'atmosfera era soffusa, piacevole, l'odore di vino buonissimo. Nell'aria una musica jazz accattivante.
Tooru guardò il suo bicchiere di pregiato vino rosso, lo agitò nella coppa.
Si sentiva rilassato, forse un po' brillo.
« Non vuoi tornare a casa? » Domandò.
L'alcol gli scioglieva sempre la lingua. Wakatoshi bevve un altro sorso di vino.
« No » Era brillo anche lui « Preferisco la tua compagnia » Bevve ancora « Inoltre, vorrei stare con te tutto il tempo. Proprio come un adolescente con la sua crush, non è così che dicono i ragazzini di oggi riferendosi alla persona che gli piace? » Gli fece un sorrisetto.
Tooru si fece attento, lo stomaco stretto in una morsa e il cuore che batteva forte.
Si umettò le labbra e appoggiò il bicchiere di vino sul bancone.
« Wakatoshi, non è - »
L'altro si fece improvvisamente vicino, afferrandogli le mani.
Profumava di colonia e di vino fruttato, il suo volto era vicino.
« Se ho frainteso respingimi » Sussurrò.
Tooru non riuscì a reagire con prontezza a quelle parole. E fu sufficiente perché l'altro lo baciasse. Ma fu solo un bacio a timbro, perché Tooru era brillo, ma non ubriaco.
Mise le mani sul petto di Wakatoshi e lo allontanò con gentilezza.
« Non hai frainteso » Mormorò « Ma sei comunque un uomo sposato, Wakatoshi »
Sussurrò, guardandolo negli occhi stanchi. Anche Wakatoshi era brillo e non ubriaco.
Lo sguardo di Tooru ricadde sulla fede che portava al dito.
« Non posso » Si morse il labbro inferiore.
Strinse le mani sulla sua maglietta.
Wakatoshi gli sfiorò un polso con le dita.
« Avrei voluto incontrati prima »
Gli disse, poi smise di toccarlo, tornando a voltarsi verso il bancone.
Tooru rimase girato verso di lui, invece, a rimpiangere qualcosa di cui non aveva il controllo. Anche io.
Non lo disse.


 
•••


Si erano evitati nei giorni seguenti.
Tooru non poteva negare che in parte era colpa sua. O forse era totalmente colpa sua.
Perciò fu imbarazzante per lui ritrovarsi nella stessa situazione di quella sera, loro due da soli nell'ufficio ad un'ora davvero tarda.
Quella volta era stato Wakatoshi ad andare da lui. Tooru si tolse gli occhiali e li posò sul ripiano della scrivania, lasciò perdere il cucito su cui stava lavorando.
« È tardi, Tooru » Gli disse Wakatoshi, con una naturalezza che gli invidiò.
Come se tra loro non fosse mai successo niente.
« Non me ne sono reso conto » Ed era vero.
Pur di non pensare perdeva il senso del tempo.
Wakatoshi si appoggiò con la schiena sulla porta, che richiuse dietro di se, mentre Tooru si alzava in piedi, facendo il giro della scrivania e fermandovisi davanti.
A debita distanza. Si guardarono.
« Non mi va di tornare a casa, Tooru » Gli disse a un certo punto Wakatoshi.
Tooru sentì una stretta allo stomaco, gli sembrava così stanco e afflitto.
« Posso restare un po' con te? » Fece inconsciamente un passo verso di lui a quelle parole, staccando le mani dalla scrivania.
« Tu mi dai pace » Mormorò Wakatoshi.
Tooru allungò le mani verso di lui.
« Vieni qui » Sussurrò.
Fanculo tutto il resto.
Aveva combattuto in quei giorni contro se stesso, contro il buon senso e la morale.
Ma la verità era che anche a lui Wakatoshi dava pace. Avrebbe potuto essere il suo più grande rivale, quello da superare, ma era diventato il suo più grande sostegno.
Il suo maestro. Una persona che amava.
Sentiva che avrebbe potuto amarlo per tutta la vita senza mai annoiarsi mai.
E per la prima volta, sicuro di mostrare il suo vero sé stesso, di farsi sentire, forse avrebbe avuto anche la certezza di non essere mollato senza una spiegazione valida.
Wakatoshi si mosse verso di lui.
Impattarono a metà strada l'uno contro l'altro.
Tooru infilò le mani nei suoi capelli, baciandolo con foga e trasporto, aveva desiderato farlo anche quella sera. E molte volte prima di quella sera.
Wakatoshi gli fece passare le mani sotto le cosce, lo sollevò leggermente da terra e lo mise seduto sulla scrivania, buttando a terra penne, fogli, forbici, ricami, aghi e stoffa.
Fanculo tutto il resto.

 

•••


Wakatoshi era felice.
Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che si era sentito in quel modo.
Stava bevendo un bicchiere d'acqua quando due mani familiari, ma distanti, lo strinsero da dietro. Guardò la fede sul dito di suo marito. Non era andata subito male tra di loro.
Wakatoshi era convinto di amarlo quando gli aveva chiesto di sposarlo, quando gli aveva chiesto di fondare insieme quell'azienda. Kenjirou era semplicemente ... cambiato.
« Wakatoshi » Mormorò, con un chiaro intento nel tono di voce.
Non facevano sesso da anni, ormai. E solo il pensiero ormai nemmeno lo eccitava.
Dopo Tooru poi, sarebbe stato davvero impossibile.
« Kenjirou. No » Gli prese i polsi e sciolse il loro abbraccio forzato. Si girò ad affrontarlo.
L'altro aveva quello sguardo ferito.
Quello sguardo che preannunciava parole velenose gridate in faccia, schiaffi e botte.
« Devi firmare quei documenti di divorzio, Kenjirou. Questa storia deve finire »
L'ultima volta quei documenti glieli aveva schiaffati in faccia con violenza.
L'altro si strinse le braccia al petto.
« Hai un altro, vero? Quello stagista »
Indovinò. Si trovavano nella cucina di casa loro, quella casa che Wakatoshi detestava.
Non la sentiva più sua da troppo tempo.
« Tooru » Disse, senza mentire.
Non ne era mai stato capace, comunque.
Wakatoshi aveva sempre vissuto i suoi sentimenti alla luce del sole.
Kenjirou fece una smorfia.
« Non hai nemmeno la decenza di contenere il tuo amore per lui » Sibilò, ferito.
Wakatoshi fece spallucce.
« Non ho mai nascosto niente e lo sai. Noi non ci amiamo più, Kenjirou. Forse tu nemmeno mi hai mai amato davvero »
Si staccò dal bancone della cucina. L'altro lo guardò allontanarsi.
« Tooru mi da pace, Kenjirou. Mi fa sentire libero e mi fa venir voglia di creare con queste mani infinite possibilità. Tu mi stai soffocando e mi devi lasciare andare »
Kenjirou non lo aveva mai guardato con tale odio negli occhi, prima.
« Sarà solo un altro capriccio » Sbottò.
« Sai che non è così » Wakatoshi lo disse con gentilezza. Sai che non è come te.
Si erano sposati giovani, a ventitré anni, e dopo sei di matrimonio - con gli ultimi tre passati ad urlarsi contro - il loro amore era morto.
Forse non era mai nemmeno stato vivo.
« Ti manderò il mio avvocato per discutere dei dettagli sull'azienda »
Fu la resa finale di Kenjirou.

 

•••


Tooru era nervoso. Molto.
Aveva chiesto a Wakatoshi di raggiungerlo sul terrazzo all'ultimo piano del grattacielo, anche se il cielo prometteva la prima nevicata dell'anno.
Era seduto su una panchina quando l'altro gli si mise seduto accanto.
Non sapeva come dirgli che non poteva -
« Sto per divorziare » Lo informò Wakatoshi, demolendo tutte le sue buone intenzioni.
Ti amo. Ma non posso stare con te.
Abbiamo fatto l'amore, ma è stata una follia.
Le parole gli morirono sulle labbra.
« Volevo dirtelo, prima che ti venisse la brutta idea di mollarmi. Inoltre, alla fine dello stage c'è un contratto a tempo determinato ad aspettarti. Ma se non vuoi ... se non te la senti di affrontare quello che diranno o penseranno di questa storia - e sappi che non sarà mai la verità - allora lo capisco »
Tooru rimase del tutto spiazzato.
Si voltò in avanti, fissando il cielo grigio sulle loro teste. Avrebbe decisamente nevicato.
« Il contratto era previsto fin dal principio? »
Domandò, intrecciando le mani tra le cosce, perché faceva davvero un freddo cane.
« L'ho fatto preparare dopo la riunione » Confessò Wakatoshi.
Prima che le cose tra di loro cambiassero.
« Sarà una valanga di merda » Mormorò Tooru.
Wakatoshi annuì, quando si voltò a guardarlo era seduto rilassato sulla panchina.
Come se non avesse un solo problema al mondo.
« Facciamolo » Sbottò « Ma guai a te se ti permetti di difendermi davanti a quelli che metteranno in dubbio il mio posto »
Devo essere impazzito.
Wakatoshi accennò un sorriso a mezze labbra.
« Fagliela vedere, Tooru »
E lui gli saltò con le braccia al collo per baciarlo.


In quell'istante, cominciò a scendere la prima neve.


 

Ragazza mia,
adesso sai com'è
Quell'uomo che mi porti via
e vuoi per te


( Anche un uomo - Mina )

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Capitolo 20
*** 20. Your Ashen Hair ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Flower Shop

N° parole: 1026

Note: questo prompt è stato un po’ un esperimento. Noterete da subito che è totalmente diverso dai precedenti. Ne ho approfittato per trattare di un argomento che mi sta davvero molto a cuore. Non è descritto in maniera esplicita, né citato letteralmente, ma dovrebbe essere perfettamente intuibile.
L’ho fatto con molto tatto e poche parole, come un messaggio mio personale e silenzioso. Spero di non risultare irrispettosa in qualche modo.
Nel qual caso, mi scuso sinceramente.
Todesfuge può essere tradotto con Fuga di morte o Fuga dalla morte.









 

Your Ashen Hair


 
i tuoi capelli d’oro Margarete




Di fronte al suo negozio di scarpe fatte a mano, sulla strada principale, vi era un fioraio.
Il suo chiosco era colorato, un pugno negli occhi sui colori smorti della via.
Vendeva fiori sempre freschi, colti in campagna poco fuori dal centro cittadino.
Non vivevano in una città troppo grande o numerosa, e quella era conosciuta come Kristallstraße: la via dei cristalli.
Brillava di notte con le luci accese dei lampioni e delle vetrine, brillava con la neve dell'inverno e brillava con quella del sole.
La gente diceva che vista dall'alto, quella strada sarebbe apparsa come la scia luminosa di una cometa.
E in tutte quelle luci un arcobaleno di colori faceva capolino maestoso e vivace.
Tooru amava quel posto. Lo amava la mattina presto in una giornata uggiosa.
Lo amava durante la pausa pranzo. Lo amava nelle ore morte della giornata e in quelle frenetiche. Quel chioschetto gli dava gioia.
Il suo proprietario era un uomo serio, con un volto severo ed un corpo imponente.
Pareva sapere tutto di fiori.
Tooru lo aveva sempre osservato curioso, regalandogli qualche sorriso cortese dall'altra parte della strada. Mai ricambiato, se non da uno sguardo penetrante e severo.
Nulla che lo avesse scoraggiato.
L'uomo dei fiori era sempre solo. Non aveva una compagna, dei figli, o una famiglia che andasse ad aiutarlo con il chiosco.
Tooru sapeva che viveva fuori città, in campagna, in una delle vecchie fattorie.
Arrivava tutte le mattine con il suo carretto scoppiettante carico di fiori freschi e lavorava alacremente, senza darsi mai riposo.
Era aperto anche la domenica mattina fino ad ora di pranzo. Tooru camminava lungo la via, inseguito dai bambini della parrocchia con le campane che suonavano a messa.
E l'uomo dei fiori era lì, seduto sulla sua sedia.
Le donne distribuivano dolci lungo la strada, e lui restava lì, seduto. E solo.
A vendere i suoi fiori a poco prezzo.
Un giorno, mentre l'altro era sul retro del chiosco, Tooru scrisse un biglietto dal suo negozio, attraversò la strada e posò una girandola soffice alla cannella sul suo bancone. L'uomo dei fiori lesse il biglietto.
E per tutta la giornata non successe niente.
Il giorno successivo, legato con un filo di spago alla maniglia della porta che apriva il suo negozio di scarpe, Tooru trovò legato un fiore, accompagnato da un biglietto:


Dalia - gratitudine


Tornato a casa quella sera, mise il fiore a seccare in un libro.


 
♧♧♧


Qualche tempo dopo, osservando dal suo negozio, Tooru notò che l'uomo dei fiori zoppicava camminando. Gli lasciò accanto al bancone una stampella vecchia che aveva usato suo padre, ormai deceduto.
La mattina seguente arrivò un altro fiore:


Giglio - nobiltà d'animo.


Anche quel fiore finì a seccare nel libro.


 
♧♧♧


L'uomo dei fiori prese l'abitudine di salutarlo.
Non si parlarono mai con le parole della gente comune. Tooru non sentì mai la sua voce o vide mai il suo volto da vicino.
Ogni mattina, ad un gesto gentile con un biglietto vicino, arrivava un fiore diverso.


Una notte, poi, mentre tutti dormivano, qualcuno passò per le strade della città.
Al mattino, al loro risveglio, trovarono dei simboli sui vetri di alcuni negozi, una lunga lista di leggi era stata appesa lungo ogni angolo di strada.


Il simbolo era una stella ritratta in un cerchio.
Apparve sulla porta del chiosco, dipinta con la vernice del colore del sangue.
Quel simbolo divenne un marchio.


 
♧♧♧


Non potevano parlare, ormai.
Anche se avessero voluto. Era legge.
Le persone non potevano più comprare nel chiosco, era proibito, ma l'uomo dei fiori tornava ogni mattina ad aprire il suo negozio.
E ogni giorno se ne stava seduto solo sulla sedia, a leggere dei libri o a sfogliare il giornale. Anche quando i soldati cominciarono ad apparire per strada.
Anche quando distrussero il chiosco durante la notte, rovesciando piante e sedie.
L'uomo dei fiori mise tutto a posto indefesso.


E Tooru, nel frattempo, infrangeva la legge.


I fiori erano il loro linguaggio nascosto.
Il loro modo di comunicare senza poter usare la voce che gli era stata strappata.


Calla - amicizia e stima sincera


Erica - solitudine


Malva - pacatezza


Zinnia - nostalgia


Tooru conservò ogni fiore.
Non sapeva che sarebbero stati l'unica cosa rimasta.


E poi arrivò l'ultimo fiore nascosto.


 
♧♧♧


Successe una notte, che fu ricordata nella storia del mondo.
Arrivarono con il fuoco e le fiamme, infrangendo vetrine e distruggendo.
La via dei cristalli di spense quella notte.
Le sue luci brillanti giacevano in mille frammenti sulla strada, sepolti dalla cenere e dalle impronte dei suoi aguzzini spietati.


Tooru non aveva parole per quella tragedia.
La mattina seguente, che puzzava di fumo, fiamme e polvere da sparo, di sogni infranti nella violenza, di marcio e inumano, tra i resti di ciò che rimaneva delle loro vite, trovò i frammenti di quello che un tempo era stato un chiosco colorato.
I cui petali di fiori variopinti macchiavano la strada come lacrime piovute dal cielo.
Sulla maniglia della porta ancora intatta del suo misero, anonimo e oscuro negozio vi erano due fiori, gli ultimi. Maltrattati.


Alstroermeria - devozione


Delphinium - amore sincero


 
♧♧♧


L'uomo dei fiori si chiamava Wakatoshi.
Lo scoprì qualche tempo dopo, quando andò a cercarlo nella sua fattoria di campagna.
Era stata distrutta mentre lo portavano via, così come avevano fatto con molta altra gente con quel simbolo sulla porta.
Portato chissà dove a diventare cenere del cielo. Lacrime e vergogna degli uomini.


Wakatoshi aveva la sua età.
Era nato con un mese in meno rispetto a lui.
Aveva una libreria piena di libri di piante e un giardino meraviglioso, che non avevano toccato. Possedeva una cane, vecchio.
Il suo unico amico, che Tooru prese con sé.
Aveva perso i genitori da bambino: Erica.
E un amico quando erano molto piccolo, per una brutta infezione alla pancia: Zinnia.
Era innamorato dell'uomo delle scarpe, perché era gentile nei suoi confronti: Delphinium, Alstroermeria.


Di lui rimasero solo i ricordi di Tooru e i fiori conservati nei suoi libri.
Non fece mai ritorno nella via dei cristalli.


 
i tuoi capelli di cenere Sulamith


( Todesfuge - Paul Celan )

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Capitolo 21
*** 21. We Will Be Just Fine ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Parent

N° parole: 4951

Note: il tema che ho scelto per questa one-shot potrà sembrare inusuale, ma è molto importante per me, perché mi riguarda estremamente da vicino.
Parla anche della mia famiglia, in qualche modo, di qualcosa che viviamo quotidianamente. Le scelte di Tooru e Wakatoshi sono scelte che hanno fatto anche persone vicine a me, e non hanno alcuna intenzione di passare un messaggio.
Ho solo raccontato qualcosa di vero, di mio, di personale ;)
Spero vi piaccia. Buona lettura :)
TW: Fem!Oikawa, potrebbe essere letto come una scena nel futuro del prompt 8: But I hate you, I really hate you, di cui ci sono anche dei riferimenti.









 
We Will Be Just Fine


 
Let's not fight, I'm tired,
can't we just sleep tonight?
Don't turn away,
it's just there's nothing left here to say
Turn around, I know we're lost
but soon we'll be found



Tooru doveva essere stata forte, Wakatoshi ne era certo.
Almeno fino a quando non era apparso lui in quell'asettico corridoio d'ospedale, con quell'odore inconfondibile di disinfettante nell'aria.
Allora era crollata.
« Wakatoshi » Lo aveva chiamato, come non faceva da tempo, e il volto le si era accartocciato in totale disperazione mentre gli avvolgeva le braccia attorno al collo per aggrapparsi a lui. Non si toccavano in quel modo da molto tempo.
« Che cosa è successo? » Chiese, guardando Hajime da oltre la spalla di Tooru, che continuava ad abbracciarlo forte.
Il migliore amico di sua moglie aveva lo sguardo serio, un'espressione preoccupata.
Le braccia erano incrociate al petto.
« Non lo sappiamo ancora. Daiki stava giocando ... poi si è sentito male »
Tooru, ancora stretta a lui, sciolse lentamente l'abbraccio e si passò le mani sul volto congestionato. Sembrava stanca.
Wakatoshi si stava allenando quando era arrivata quella telefonata.
" Oikawa-san sta portando Daiki in ospedale, Ushijima-san. Dovresti andare subito "
Non aveva mai guidato con tale imprudenza prima di quel pomeriggio.
Ci aveva messo venti minuti esatti per arrivare, con un percorso che ne prevedeva almeno trenta senza traffico.
Si era vestito di fretta ed era andato, senza fare una doccia, senza curarsi di niente.
Lui e Tooru non vivevano più nella stessa casa da qualche mese, ormai.
Wakatoshi non vedeva il bambino da almeno una settimana. Avevano fissato un incontro per il venerdì successivo, ma era arrivata prima quella telefonata.
« Stava bene. Lo avevo sott'occhio, giocava con le costruzioni sul tappeto, e poi - »
Tooru si passò le mani tra i lunghi capelli ondulati e strinse forte tra le dita, soffocando un altro isterico attacco di pianto.
« Sono qui, Tooru » Le disse Wakatoshi, appoggiandole una mano sulla spalla.
Lei la scacciò via malamente, prendendo a camminare sul posto in preda all'agitazione.
« Ma non ci sei mai quando abbiamo davvero bisogno di te, arrivi sempre dopo! »
Lo accusò, riversando su di lui la sua angoscia. Wakatoshi se lo era aspettato.
Nonostante provasse una soffocante angoscia al pensiero di non conoscere la sorte di suo figlio, rimase calmo, pronto a ricevere qualsiasi parola rabbiosa. Astiosa.
« Mi hai cacciato di casa » Le ricordò.
Tooru puntò i grandi occhi arrossati su di lui.
Lo sguardo di fuoco che gli ricordava i tempi delle medie, una vita precedente.
« Anche prima non c'eri mai! » Lo accusò.
« Oikawa » Intervenne Hajime, con un tono di voce carico di avvertimento.
Tooru sembrava aver dimenticato velocemente il modo in cui gli si era aggrappata addosso non appena lo aveva visto.
« Dal momento in cui hai saputo che Daiki - non lo hai davvero mai voluto! E io - »
Tooru agitò le braccia, infervorata. Litigavano in quel modo violento da mesi.
« Non ti permetto di dire cose che non sono vere, Tooru » Sbottò, perdendo anche lui un briciolo della calma che lo contraddistingueva « Ho voluto Daiki dal primo istante, e anche dopo. Me lo hai dato tu, lo amerei a prescindere da tutto »
Tooru si morse con violenza il labbro inferiore. Poi scoppiò in altri singhiozzi violenti.
Il loro scontro aveva attirato lo sguardo indiscreto di altre famiglie, o di semplici passanti in sala d'attesa.
« Ma perché proprio a noi, eh? » Singhiozzò ancora lei, raggiungendolo di nuovo. Wakatoshi le fece passare un braccio sulle spalle, mentre lei seppelliva il volto sul suo petto, aggrappandosi alla sua felpa. Hajime, ancora lì accanto a loro, sospirò.
« Vado ad avvisare tuo padre, Ushiwaka »
Lo informò, e Wakatoshi si limitò ad annuire, continuando a tenere stretta Tooru.
L'ultima volta che si erano visti, due giorni prima, lei gli aveva chiesto il divorzio e lui glielo aveva concesso senza obiezioni. Wakatoshi si era chiesto spesso che cosa gli fosse sfuggito, che cosa fosse successo per arrivare fino a quel punto di rottura.
Poi aveva pensato che dovesse essere colpa del suo destino familiare, esattamente come era capitato per i suoi genitori anche il suo matrimonio era destinato a fallire.
Come aveva sempre predetto anche sua nonna, a cui Tooru non era mai piaciuta, da quel primissimo incontro di anni prima.
Aveva concesso il divorzio a Tooru, ma non voleva davvero lasciarla.
Era felice della famiglia che stavano costruendo, anche se lei non voleva crederci.
Wakatoshi però non sapeva come spiegarle certe cose. Non era bravo con le parole.
« Siamo più forti di qualsiasi "perché" Tooru, non lo avevamo deciso insieme? »
Le disse, azzardando una carezza sulla sua testa.
Lei sollevò lo sguardo lucido per guardarlo.
« I genitori di Daiki Ushijima? » Chiamò una voce, ed entrambi si voltarono di scatto, fissando il dottore appena entrato nella sala d'attesa.
« Siamo noi » Intervenne Tooru con urgenza. Si staccò da lui e raggiunse il medico, Wakatoshi la seguì a ruota. L'uomo aveva un'espressione seria sul volto.
« Non ho notizie rassicuranti » Iniziò, e Wakatoshi sentì una strana stretta alla bocca dello stomaco. Daiki, pensò e gli occhioni grigio - castani di suo figlio gli tornarono in mente come in un flash. Gli piaceva tanto farsi baciare i palmi delle manine da lui, rideva sempre con forza. Tooru gli afferrò una mano con foga.
« Daiki-kun ha una malformazione cardiaca, nel suo caso specifico si tratta di un difetto interventricolare » Cominciò a spiegare il medico con calma, Wakatoshi intrecciò le dita con quelle di Tooru, avevano entrambi i palmi sudati, ma strinsero con forza.
Aspettavano la botta, il colpo di grazia.
« È un fenomeno comune nei bambini come Daiki-kun, affetti dalla sindrome di down. Nel suo caso specifico, fortunatamente, è una condizione operabile »
Li rassicurò il medico. Wakatoshi non sentì la morsa che aveva nello stomaco allentarsi. Daiki aveva solo dieci mesi.
Era minuscolo e non riusciva ancora nemmeno a star seduto dritto.
Senza rendersene conto, strinse la mano di Tooru con troppa forza, lei lo guardò, uno sguardo di sorpresa evidente negli occhi.
« I rischi? » Chiese, tenendo gli occhi fissi in quelli del dottore.
Wakatoshi aveva solo ventisei anni, come Tooru, non sapeva bene che cosa fare quando si sentiva ancora bambino a sua volta. Soprattutto in quel momento.
Mentre veniva a sapere che suo figlio stava male e avrebbe sofferto.
« Minimi, oserei dire. Ma è pur sempre un'operazione Ushijima-san »
Disse l'uomo con calma, intrecciando le mani davanti.
Tooru rafforzò la stretta delle loro dita.
« Quando? » Domandò.
« Adesso » Rispose il dottore, sorprendendo entrambi.


 
¤¤¤


L'attesa era snervante.
Tooru non la sopportava. Le sembrava di impazzire.
Guardò Wakatoshi, seduto al suo fianco fuori la sala operatoria.
Se ne stava con la schiena curva, le mani abbandonare sulle cosce a fissare il pavimento. Si conoscevano da più di dieci anni, e Tooru non lo aveva mai visto in quello stato. Nemmeno quando avevano scoperto che Daiki sarebbe nato con la sindrome di down. Era stata lei ad impazzire in quell' occasione.
Allungò una mano per cercare quella di Wakatoshi, gliela strinse.
Lui si voltò a guardarla.
Era passato troppo tempo da quando avevano fatto qualcosa insieme, affrontandola mano nella mano. I primi mesi della nascita di Daiki le cose erano andate bene, poi erano cominciate a subentrare le difficoltà. Wakatoshi non era mai a casa, tra gli allenamenti, i campionati a cui Tooru aveva rinunciato per il figlio e i Mondiali che lo avevano portato fuori nazione. Tooru era impazzita senza di lui.
Avevano cominciato a litigare, poi lei lo aveva mandato via di casa per orgoglio.
E poi gli aveva chiesto il divorzio. Glielo aveva chiesto anche se lo amava.
Non era stato sempre così. Alle medie lo odiava, era il suo rivale.
Poi alle superiori aveva fatto la finta fidanzata per lui, solo per un giorno, e li era cominciato qualcosa. Ma lei era andata in Argentina per un paio di anni.
E quando era tornata ... era stato tutto molto graduale e naturale tra di loro.
Uscire insieme, sposarsi, mettere su casa.
« Ho sempre pensato che fosse colpa mia » Mormorò Tooru.
Era stanca e le bruciavano gli occhi, le luci al neon erano fastidiose.
« Forse non sono stata attenta e Daiki - »
« Non siamo portatori della traslocazione genetica associata alla sindrome, Tooru »
La interruppe Wakatoshi. Avevano fatto innumerevoli test a riguardo.
Anche nella prospettiva di un altro figlio.
« Inoltre, non mi importa. Daiki è ... non vorrei sostituirlo con nessun altro bambino »
Sano. Era la parola che Wakatoshi non aveva usato. Tooru intrecciò le loro dita.
« Nemmeno io. Non mi devi fraintendere » Gli disse con foga, avvicinandosi sulla sedia.
« Ma a volte ho paura. Ho paura di non saperlo crescere, o amare come meriterebbe. Ho paura che possano fargli del male, il mondo sa essere così cattivo. Ho paura che possa ... lasciarci troppo presto. E non lo so come farei a vivere in quel caso, perché l'amore che provo per lui ... »
« ... è un'amplificazione di quello che provi per me. Lo so » Si guardarono, sotto la luce al neon rossa della porta della sala operatoria, in quel corridoio deserto.
« Quando abbiamo scelto di tenerlo ero pronto a qualsiasi cosa, Tooru »
E sapeva bene che era vero.
Wakatoshi non faceva mai niente se non era convinto che andasse bene. Di poterla fare.
« Allora perché non eri mai a casa? Perché mi hai fatta sentire ... sola e sbagliata? Perché mi hai fatto credere di non volerlo? »
La voce le si incrinò. Amava così tanto quell'uomo impassibile, ma dal cuore grande
« Perché mi hai fatto credere che ... che non mi amassi più come prima? »
« Non era mia intenzione » Fu la replica immediata di Wakatoshi, che si voltò nella sua direzione muovendo anche il corpo. Ora erano viso a viso, mani nelle mani.
Da mesi non si toccavano con affetto.
« Tu avevi rinunciato al tuo sogno per lui. Sentivo solo la necessità di fare del mio meglio per voi. Per farvi avere una vita serena e dignitosa. Volevo che Daiki potesse essere fiero di me, un giorno. Volevo proteggerlo dal ... futuro » Wakatoshi fece spallucce « Non mi sono reso conto che stavi soffrendo »
Tooru fece una brutta smorfia.
« Perché non me l'hai detto quando ti ho accusato di cose terribili? » Lui distolse lo sguardo e Tooru lo inseguì, costringendolo a guardarla « Wakatoshi » Lo rimproverò.
« Perché non lo so fare, Tooru. Lo sai » Fu la replica gettata fuori a forza.
Tooru non insistette, aspettando che fosse lui a continuare, se avesse voluto.
« Non so dirtelo meglio di così. Voglio te e vorrò Daiki, per sempre. Anche se ci saranno giorni difficili, dove vorremmo solo scappare da questa responsabilità. Ci saranno poi anche tanti giorni belli, in cui vorremmo restare fino alla fine »
Tooru sentì le lacrime montare di nuovo.
Ti amo tanto, davvero tanto.
Non glielo diceva da prima che Daiki nascesse.
Tooru aveva accusato lui di non esserci mai, di non volere quel bambino, ma era stata lei per prima a desiderare di scappare quando lo aveva stretto in braccio e aveva visto quegli occhi dai tratti inconfondibili, la realtà fattasi presente, vera.
Era stato solo più comodo gettare su di lui la colpa, la frustrazione, la paura.
Wakatoshi voleva Daiki, ed era stato convinto fin dal primo istante.
Anche lei amava suo figlio, ma ci aveva messo tempo ad accettare la situazione.
Si sporse in avanti e appoggiò la fronte sul suo petto ampio, sulla maglietta bianca che profumava di candeggina, ammorbidente e sudore pulito.
Wakatoshi le passò un braccio sulla spalla, stringendola a sé.
« Basta che siamo insieme, in questo » Mormorò lei, ricordando le parole che si erano scambiati il giorno in cui avevano saputo.
Avevano scelto insieme di far nascere Daiki, con consapevolezza. Contro tutti.
« Ti ricordi il giorno in cui ti ho detto di aspettarlo? »
Disse Tooru, lasciandosi scappare una leggera risata al pensiero.
« Mi sono sentito così piccolo » Mormorò Wakatoshi.
Avevano ventiquattro anni a testa.
« Non lo avevi capito subito »


 
¤¤¤


Tooru era rimasta incinta di Daiki nel Marzo dei suoi ventiquattro anni.
Non lo stavano cercando. Era solo arrivato.
Per lei era stato emozionante e snervante allo stesso tempo, era nel pieno della sua carriera da alzatrice. Ma si era detta che sarebbe stato solamente uno stop momentaneo.
Quando si era effettivamente resa conto che lei e Wakatoshi stavano per formare una famiglia, mettere al mondo un bambino, era stata contenta e felice.
Aveva organizzato una festicciola tra amici per dargli la notizia.
Erano presenti Satori, Hajime, Eita, Reon, suo padre Takashi - tornato in Giappone per il periodo - i suoi genitori, sua sorella maggiore, suo nipote Takeru e anche la madre di Wakatoshi, anche se era venuta di controvoglia.
Tutti erano stati informati prima.
Tooru aveva preparato sul tavolino un palloncino con su scritto: Ciao papà, un paio di scarpette bianche e le foto delle prime ecografie fatte per confermare la gravidanza.
Lo avevano aspettato tutti seduti attorno al tavolino e sul divano dietro.
Wakatoshi era rientrato in casa dagli allenamenti, con la borsa a tracollo e la tuta addosso. Si era fermato quando li aveva visti tutti lì, riuniti, e Tooru lo aveva fissato con emozione quando i loro sguardi si erano incrociati e lui aveva individuato il palloncino.
« Merda, è la festa del papà? » Aveva domandato lui, fissando poi il suo vecchio.
Nella stanza erano scoppiati tutti a ridere.
« Wakatoshi! » Avevano esclamato contemporaneamente Tooru e sua madre, la prima accasciandosi sul tavolino, disperata, la seconda portandosi indice e pollice sul ponte del naso, massaggiandoselo.
« Questo va su tutti i social media! »
Aveva esclamato Satori, che era stato incaricato di fare il video, ridendo come un folle. Wakatoshi non aveva nemmeno cambiato espressione facciale.
« Congratulazioni, papà! »
Era allora arrivata in soccorso sua sorella maggiore, gridando con troppa forza.
Wakatoshi aveva sbattuto le palpebre, poi aveva di nuovo guardato Tooru, che aveva annuito nella sua direzione con una faccia tra l'esasperato e l'emozionato.
« Io? » Aveva domandato Wakatoshi, lasciando cadere il borsone a terra.
Tooru aveva riso ed annuito, allargando le braccia per invitarlo ad abbracciarla.
Era stato uno dei momenti più felici della loro vita insieme.


Alla quindicesima settimana avevano scoperto che sarebbe stato un maschio.
Wakatoshi non era il tipo da esprimere facilmente le proprie emozioni, ma Tooru sapeva che era contento e felice di avere un maschietto.
Lo capiva dal modo in cui si impegnava per preparare la sua cameretta, montando la culla da solo anche se non era capace. Lo capiva dal modo in cui appoggiava la testa sulle sue gambe la sera, quando se ne stavano a guardare la televisione nel salotto, e distrattamente appoggiava la mano per sentirlo muovere.
O da quella volta che Tooru aveva fatto fare una tutina con i colori della sua maglietta degli Schweiden Adlers, il numero 11 in bella vista, e lui l'aveva mostrata con orgoglio alle telecamere alla fine di una partita vincente in cui era stato particolarmente in forma.
Era stato un periodo pieno di successi per lui.


Tooru aveva pianto tutte le sue lacrime il giorno in cui erano venuti a sapere che la villocentesi aveva dato conferma a dei sospetti nati da una recente ecografia.
Non avevano aperto bocca per tutto il tragitto di ritorno a casa.
Poi lei si era seduta sul bordo del letto e aveva pianto e pianto.
Wakatoshi le si era seduto davanti, inginocchiato a terra tra le sue gambe, Daiki - che avevano deciso di chiamare in quel modo perché avrebbe portato una luce nelle loro vite - tra di loro, agitato dentro di lei.
« Ma perché a noi? Perché il nostro bambino? Perché? »
Quella era stata la prima domanda che si erano fatti entrambi, a cui Tooru aveva dato voce. Cercare una motivazione, qualcosa a cui dare la colpa.
« Non lo so, Tooru. Non lo so » Wakatoshi era stato sincero con lei.
Non c'era una risposta giusta da dare a quella domanda.
« Ma siamo più forti di qualsiasi "perché". Daiki è il nostro bambino, una nostra responsabilità. Dobbiamo essere forti »
Tooru gli aveva stretto le mani, il naso rosso che colava, l'ultima ecografia attaccata con una calamita a forma di ciuccio sulla lavagna nera appesa al muro.
« Tu ... tu vuoi tenerlo, Wakatoshi? » Glielo aveva chiesto, esitante.
Aveva amato quel bambino, immensamente, dal primo istante in cui aveva scoperto di aspettarlo, e soffriva e si sentiva un mostro per aver preso subito in considerazione quella prospettiva non appena era diventata reale la difficoltà che avrebbero affrontato. Ma Tooru lo aveva fatto. Aveva avuto paura. E ci aveva pensato, si, di interrompere tutto.
« Sono una madre terribile »
Aveva detto subito dopo, scoppiando a piangere di nuovo.
« Non lo sei. Hai solo paura, come me »
Wakatoshi aveva cercato il suo sguardo.
« Daiki è mio, e lo voglio. Con tutte le difficoltà che può comportare questo salto nell'ignoto. Ma non pensare mai di tenerlo solo per me, Tooru. Io sarò al tuo fianco in qualsiasi circostanza, proprio come ti ho promesso »
Tooru aveva pensato in quel momento di essere stata molto fortunata.
Aveva odiato quell'uomo, era stato il suo più grande nemico, e adesso era l'amico più caro che avesse, la persona di cui si fidava di più.
Si era portata una mano sulla pancia. Daiki era agitato perché era lei ad esserlo.
« Sarà così difficile ... avevi così tante speranze per lui, Wakatoshi. Volevi fare tante cose con lui e ora - »
« Ora le faremo con più calma, con i suoi tempi, seguendo i suoi passi »
Le aveva detto lui, calmo e composto.
Tooru in realtà non ricordava di averlo mai visto perdere una sola volta il controllo.
« Ma lo prenderanno in giro, non avrà supporto, la società gli remerà contro e - »
« E avrà noi. Sempre. A proteggergli le spalle, e Tendou, e Iwaizumi »
Tooru si era sporta in avanti e aveva poggiato la fronte contro la sua, una goccia d'acqua era caduta sul tappeto tra di loro.
« Non lo voglio dar via. È mio. Daiki è mio »
Aveva detto, e sapeva che era vero nel profondo del suo essere.
Anche se era arrabbiata, spaventata e confusa, anche se in quel momento avrebbe fatto di tutto per sbarazzarsi di quella responsabilità, Daiki stava crescendo dentro di lei ed era il figlio di Wakatoshi. Non le serviva altro.
Erano insieme in quello. Sempre.
« Più forti di qualsiasi perché »
« Siamo forti, Tooru »


L'unica volta in cui Wakatoshi aveva perso la compostezza prima della nascita di Daiki, era stato il giorno in cui avevano comunicato la notizia alle loro famiglie.
« Devi abortire » Era stata la ferma e sicura dichiarazione di sua nonna.
« Sapevo che dalla vostra unione non ne sarebbe venuto niente di buono! Se la madre è così ... non poteva che essere questo il risultato. Non può nascere un demente nella famiglia Ushijima. Non esiste! » Tooru si era sentita mortificata, calpestata.
Quella donna l'aveva colpita nel suo punto debole, aveva toccato il nervo scoperto: la sensazione che fosse tutta colpa sua. Era emotivamente debole in quel periodo.
« Sono d'accordo con tua nonna » Era intervenuta la madre di Wakatoshi.
Aveva un'espressione rigida, fredda, come se non stessero parlando di suo nipote.
« Potrete avete altri bambini in futuro »
« Mamma ... » Aveva allora mormorato Tooru con la voce spezzata, gli occhi lucidi, allungando una mano sul tavolo per toccare quella di sua madre, cercando un sostegno, del conforto. Tooru non avrebbe mai dimenticato il momento in cui la donna aveva ritratto l'arto, l'espressione addolorata e a disagio sul volto familiare.
« Non credo che sia una buona idea tenere questo bambino, figlia mia. Ushijima-san ha ragione, potrete avere altri - »
Tooru era scoppiata a piangere come una bambina, seppellendo il viso nelle mani.
E Wakatoshi, che se ne era stato zitto fino a quel momento, aveva sbattuto un pugno violento sul tavolo. Poi lo aveva ribaltato direttamente, scatenando lo scompiglio generale, disappunto e indignazione.
« Fuori da questa casa. Tutti »
Era stata la sua unica frase, definitiva.
Non aveva detto altro.


Takashi era stato l'unico contento della notizia.
Era ancora in California quando avevano scoperto la cosa.
« Non vedo l'ora di insegnargli a giocare a pallavolo! » Erano state le sue parole.
Si rivolgeva a Daiki come se sarebbe stato un bambino perfettamente normale.
Alla fine di quella telefonata Wakatoshi aveva pianto.
Era la prima volta che Tooru lo vedeva fare una cosa del genere. Aveva pianto sulla sua spalla, seduti entrambi a terra sul tatami, accanto alla cornetta del telefono.
Sarai un bravo papà, Wakatoshi. Daiki-kun è molto fortunato ad averti.
Takashi aveva chiuso la chiamata in quel modo.
Tooru aveva pianto insieme a lui.


E poi Daiki era nato.
Un parto semplice, senza nessuna complicanza.
Era venuto al mondo con quei suoi tratti inconfondibili, ma così simile ad entrambi.
Era una bambino bellissimo anche per essere solo un neonato minuscolo e raggrinzito.
« Quanti dolci che faremo insieme, marmocchio »
Gli aveva detto Satori quando lo aveva tenuto in braccio per la prima volta.
Tooru era ancora in clinica per una complicanza personale legata all'anemia.
Seduta sul letto con il lungo pigiama addosso, Wakatoshi accanto a lei, aveva sorriso un po' stanca ed emotivamente stressata – non faceva che piangere.
« Non cominciare tu! La cioccolata gli farà male. E dammelo un po' che lo hai in braccio da troppo tempo! » Era intervenuto Hajime, tentando di prendergli il bambino.
Daiki aveva continuato a dormire indisturbato.
Tooru e Wakatoshi si erano guardati, sorridendosi a vicenda.
Daiki era un bambino molto amato.
E i loro cuori erano più leggeri nel saperlo.


Daiki aveva riso per la prima volta con suo padre.
I suoi progressi erano molto più lenti di quelli di qualsiasi altro bambino, ma cresceva forte, sano e felice. Sorrideva sempre. Nonostante passasse la maggior parte del suo tempo tra ospedale e casa, con i molteplici controlli di routine.
Wakatoshi lo teneva sotto le ascelle, seduto fuori al balconcino del loro appartamento. Gli aveva messo addosso la tutina della squadra, perché ormai gli andava bene.
Tooru era dentro casa ad asciugarsi gli occhi dopo aver avuto un crollo emotivo ad un capriccio violento del bambino. Apparentemente senza causa o motivo.
Dimmi che cosa vuoi! Non ti sopporto più!
Wakatoshi lo aveva baciato sul pancino, con le sue gambette tirate su come quelle di una rana, la testa ancora instabile, e Daiki aveva riso. Una risata di pancia, forte.
« Hai visto come ride? » Le aveva chiesto Wakatoshi con serenità.
Tooru si era asciugata gli occhi ed era strisciata verso di lui, fissando il figlio che rideva guardando il padre del tutto innamorato di lui. Poi si era aggrappata al braccio di Wakatoshi e gli aveva appoggiato una testa sulla spalla.
Lui non l'aveva nemmeno rimproverata per la sua brutta reazione, per le sue parole.
« Grazie » Non gli aveva detto altro.


Poi si erano allontanati.


 
¤¤¤


« Vorrei essere lì »
Wakatoshi strinse la presa attorno al cellulare. Takashi lo aveva chiamato mentre erano in attesa, dopo aver avuto la notizia da Iwaizumi.
« Vorrei che tu fossi qui » Rilanciò Wakatoshi con sincerità.
Takashi sospirò dall'altro lato del telefono, dall’altra parte mondo.
« Sei un uomo forte, Wakatoshi. Non sono d'accordo con tua madre su molte cose, ma ti ha cresciuto bene da quel punto di vista »
Wakatoshi chiuse gli occhi e assaporò il suono della voce di suo padre, quell'accenno roco venuto con l'avanzamento dell'età.
Molto di quella forza gliela dava lui, ma non era mai stato in gradi di dirglielo.
« Mi sento impotente » Gli confessò.
« È normale » Gli disse Takashi « Fare il genitore è il mestiere più difficile del mondo, Wakatoshi. E sappi che non lo farai mai bene. Guarda me e tua madre »
« Io non vi incolpo di niente » Takashi rise.
« Lo so. Sei sempre stato un bravo bambino, ma questo non significa che io non abbia pensato di aver fallito con te. È normale. » Wakatoshi fece per aprire bocca, ma Takashi lo precedette, continuando a parlare « La differenza, però, è che tu hai Tooru »
Wakatoshi rimase in silenzio per qualche secondo.
« Mi ha chiesto il divorzio » Confessò.
Non lo aveva ancora detto a nessuno, nemmeno a Satori.
« Non faceva sul serio. È una donna orgogliosa, ma non può vivere senza di te »
« E come lo sai? »
« Perché voi non siete me e tua madre » La replica di Takashi fu immediata e schietta.
Wakatoshi non seppe che cosa rispondere.
« I figli sono una gioia e un dolore continuo. Non ci appartengono, Wakatoshi, ma dobbiamo comunque essere li per afferrarli quando cadranno. Daiki avrà bisogno solo di un po' più di supporto, ma starà bene. Con te e Tooru starà bene. Lo so »
Passarono alcuni minuti di silenzio, in cui Wakatoshi lottò contro un magone alla bocca dello stomaco, alla gola. Quando fece per aprire la bocca, poi ...
« Wakatoshi! » Tooru apparve nella saletta con un'espressione allarmata.
Il dottore era uscito dalla sala operatoria.
« Vado papà, grazie » Disse di fretta.
Poi raggiunse Tooru.


Daiki stava bene e aveva superato l'operazione senza complicanze.


 
¤¤¤


« Pà, buu »
Erano state quelle le prime parole che il bambino aveva rivolto ad entrambi quando aveva ripreso conoscenza. Sapeva dire solo ma, pà e buu.
Mamma, papà e bua. E per chiamare Hajime e Satori usava un generico: je.
Era un’ invocazione lamentosa, data dallo stordimento dell'anestesia e dal dolore che stava aumentando.
Wakatoshi gli baciò una manina, seduto accanto al suo lettino per bambini.
« Passerà presto, sei stato molto bravo »
Tooru, seduta dall'altra parte del letto, gli passò una mano tra i ricci arruffati.
Daiki era ancora con loro, e tanto le bastava.
« Pà, ma, buu buu » Si lagnò. Tooru gli si fece vicina, strofinando il naso contro la sua guancia, per godersi il suo profumo di bambino e medicine.
« Wakatoshi » Chiamò, e i suoi occhi taglienti furono immediatamente su di lei.
« Torna a casa, per favore » Wakatoshi allungò una mano e Tooru gli andò incontro, intrecciarono le dita sui piedini di Daiki, infilati sotto le coperte.
Il loro cuore era lì, e stava bene.


Perché voi non siete me e tua madre.


Non esisteva nessuna maledizione, solo la pazienza di imparare a camminare mano nella mano.

 

¤¤¤


Daiki correva con le sue gambe a taralluccio sulla spiaggia.
Aveva imparato a camminare da poco, compiuti i due anni di vita.
Wakatoshi e Tooru lo seguivano poco dietro tenendosi per mano, il vento forte che agitava il lungo vestito bianco di lei e le sferzava i capelli.
Daiki correva stringendo tra le mani un pallone Mikasa giallo e blu troppo grande, gridava di gioia. Tooru rise, seguendolo con lo sguardo.
Poi Daiki cadde, guardandoli entrambi con il mento sporco di sabbia e la palla ancora stretta tra le manine protese in avanti.
Tooru e Wakatoshi risero. Lui scoppiò a piangere.
« Non è successo niente, coraggio » Gli disse Wakatoshi prendendolo in braccio, Tooru raccolse la palla e se la mise sotto braccio.
Poi pulì il mento arrossato del bambino, che voltò la faccia imbronciato.
« Oh oh, che caratterino »
Lo prese bonariamente in giro, pizzicandogli la pancia, Daiki rise con il volto ancora bagnato di lacrime, nascondendo la faccia sulla spalla di Wakatoshi.
« Stavo pensando di riprendere a giocare » Disse a Wakatoshi, mostrandogli la palla.
« Daiki è abbastanza grande, ormai. Potremmo provare a lasciarlo in quella scuola che ci hanno consigliato » Wakatoshi le accennò un sorriso.
« Certo, perché no » Acconsentì, passando una grossa mano sulla schiena del figlio.
Tooru gli fece un sorrisetto e mostrò la palla.
« Ti va di ricevere qualche colpo? » Gli domandò con voce birichina.
Wakatoshi si aprì in uno dei suoi rari sorrisi - non di quelli spaventosi e forzati.
« Fatti sotto, moglie »


Mentre Daiki giocava nel passeggino accanto a loro, Tooru fece un sorriso feroce.
Fece volare la palla in aria con un movimento esperto, prese la rincorsa piazzando bene i piedi nella spiaggia - come aveva imparato a fare in Brasile - e schiacciò forte.
Si sentì immediatamente felice e contenta.
La palla arrivò sul bagher di Wakatoshi e poi schizzo verso la riva del male.
« Ah ah! » Esclamò feroce, puntandogli un dito contro.
Wakatoshi sollevò le sopracciglia.
« Non sono abituato alla sabbia »
« Ti ho stracciato! Ammettilo »
Daiki produsse un grido felice ed entrambi risero mentre lo vedevano agitare mani e braccia come se volesse partecipare.


Anche se ci saranno giorni difficili, dove vorremmo solo scappare da questa responsabilità.
Ci saranno poi anche tanti giorni belli, in cui vorremmo restare fino alla fine.



Quello era uno di quei giorni.





 
Well, it's been rough
but we'll be just fine
We'll work it out, yeah, we'll survive
You mustn't let
a few bad times dictate


( Soon we'll be found - Sia )

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Capitolo 22
*** 22. Stay ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Poledancer

N° parole: 16.120

Note: it’s been 84 years, ma ce l’abbiamo fatta.
Segnalo qui storia ROSSA, MA CHE PIÙ ROSSA NON SI PUÒ.
Buona lettura :)
TW: sesso, turpiloquio, tematiche molto delicate







 
Stay

You don't know what you did,
did to me
Your body lightweight
speaks to me








L' Haikyuu Nightclub era come una seconda casa per Tooru.
Si esibiva tre volte a settimana, il venerdì, il sabato e la domenica notte.
Il palo era il suo cavaliere da sedurre. E sapeva farlo sempre molto bene.
Le grida volgari si agitavano ancora feroci all'interno del locale, riusciva a sentirle anche mentre camminava dietro le quinte.
Tooru fece un sorrisetto compiaciuto, raccogliendo le mance generose che avevano infilato numerose mani lascive nei suoi microscopici slip leopardati.
« E anche stanotte è stato un successo, mie care! »
Esclamò con voce squillante aprendo le tende rosse del camerino.
Sventolò il suo malloppo di banconote come fosse un ventaglio, sbattendo le ciglia.
« Fa vedere, fa vedere! » Esclamò Shouyou, saltando giù dal suo sgabello di velluto rosa con una certa abilità, considerato che indossava due zatteroni arancione fluo con almeno dodici centimetri di tacco e plateau.
« Banconote da cinquanta! » Esclamò indignato, tentando di strapparne una dal mucchietto con le sue unghie finte posate di fresco, senza riuscirci perché Tooru fu più veloce a tirare via la mano « Se me ne danno da venti devo festeggiare, quei taccagni! »
Era solo mezzo truccato, con le calze a rete arancioni, un body di pelle giallo con una spaccatura generosa sul seno finto e un pitone di piume arancioni avvolto attorno al collo. Si era già ricoperto di glitter dorato sulle spalle e sulle braccia, ma ancora non aveva messo la parrucca e ultimato il trucco.
« Che vuoi farci stellina, sei solo una povera Drag Queen passata di moda! »
Intervenne con voce zuccherosa l'altro occupante del camerino, Satori.
Anche lui era favoloso, con le calze nere semitrasparenti, un completo microscopico ricoperto di lustrini scintillanti rossi e tacchi a spillo piuttosto impegnativi. Stava passando il mascara sulle lunghe ciglia finte, che sembravano piccoli ventagli in miniatura. Si era già calato nella parte.
Ormai era la focosa Roxy a tutti gli effetti.
« Non essere cattiva, non siamo passate di moda! E tu sei la Queen indiscussa di questo reame di sporcaccioni! » Intervenne Shouyou, tentando nuovamente di sottrarre una banconota a Tooru, che gli schiaffeggiò il dorso della mano abile.
« Giù le tue zampacce, Wanda » Shouyou le soffiò contro come un gatto, calandosi nella parte, poi rise e raggiunse la sua ballerina, dove riprese a truccarsi.
Tooru raggiunse la sua postazione e infilò le banconote del borsellino interno del suo zaino. Raccolse un panno da doccia pulito, la luce dei riflettori, insieme ai movimenti attorno al palo, lo facevano sempre sudare come un maiale. Voleva lavarsi subito.
« Noi siamo troppo vestite, stellina! »
Esclamò Roxy tirandosi in piedi, il trucco che si era fatta quella sera era spettacolare.
« Ti aiuto a mettere la parrucca, coraggio »
Si mise dietro le spalle di quella che ormai era Wanda a tutti gli effetti e la aiutò ad infilare sulla testa una vaporosa parrucca cotonata da leonessa.
Proprio in quel momento sentirono bussare sulla parete, poi la testa scura di Tobio - uno dei buttafuori - spuntò attraverso le tende.
« Siete pronte, signore? » Domandò.
Tutti sapevano che le Drag Queen di quel locale andavano chiamate in quel modo.
« Ci siamo, zuccherino! »
Esclamò Roxy, camminando con grazia sui suoi trampoli mortali a spillo.
Wanda si alzò, attardandosi a dare un'ultima sistemata alla parrucca davanti allo specchio. Tooru la trovava un vero incanto, minuta e accattivante al punto giusto.
Passando dietro di lui come una serpe silenziosa e velenosa, Roxy gli schiaffeggiò una chiappa nuda, pizzicandola poi con i suoi artigli rosso fuoco, come fosse una guancia.
« Ti darei un bel morso, zuccherino » E gli fece un sorriso provocante da diva.
Tooru rise, tirando i vestiti da fuori lo zaino.
« Ora sei una splendida donna, tesoro, non mi si alza. Che peccato però »
Fu la sua replica sagace, mentre le rivolgeva uno di quei suoi sguardi da "sesso" - come li chiamava Hajime. Roxy rise giuliva, imitando male una ragazzina imbarazzata, poi passò accanto a Tobio, avventandosi su di lui. Gli accarezzò il viso con un'unghia.
« E tu? Sei interessato a farti mordere, zuccherino? »
Lo provocò, ammiccando con il suo smagliante sorriso bianco.
Tobio rimase impassibile.
« Non da te » Rispose, per poi imbronciarsi.
Roxy rise di nuovo, poi lasciò il camerino, trascinandosi la sua risata folle dietro le quinte, che rimbombò spettrale.
« Aspettami, Roxy! » Esclamò Wanda, aggiustandosi l'imbottitura nel seno.
Nel tentativo di raggiungere di fretta la sua madrina drag, inciampò in un capo di abbigliamento gettato alla rinfusa sul pavimento.
Tobio si slanciò in avanti e la prese per le braccia, evitando la rovinosa caduta sui tacchi.
Tooru alzò gli occhi al cielo di fronte quel romanticismo rivoltante.
« Grazie, micetto » Disse la Drag Queen, tirandosi in piedi.
Tobio grugnì qualcosa come " brutto idiota " tra i denti.
Wanda uscì, dandogli un buffetto sulla guancia, divertita, e lui la seguì con lo sguardo puntato dritto sul suo didietro piccolo e decisamente provocante.
« Dovresti scopartelo e basta, perché con quella bava alla bocca fai davvero schifo Tobiuccio. Sembri un pervertito »
Commentò Tooru a voce alta, attirando l'attenzione del buttafuori su di sé.
Si era appena sfilato gli slip per entrare in doccia ed era nudo come un verme, ma Tobio lo guardava come se fosse una cosa inutile, di dubbio interesse.
Era uno dei pochi. E Tooru non lo sopportava anche per quello.
Nessuno poteva resistere al sul fascino.
« Non me lo voglio solo scopare » Bofonchiò Tobio. Tooru gli rivolse un sorrisetto divertito mentre apriva il getto della doccia per far scorrere acqua calda. Era incastrata dietro le quinte, nel minuscolo bagno del camerino che condividevano tutti.
« Allora chiedigli di uscire! Altrimenti continuerà a farsi sbattere da Atsumu davanti ai tuoi occhi per farti dispetto, Tobiuccio » Il buttafuori grugnì di nuovo, infastidito.
Tooru entrò sotto il getto caldo, sospirando.
E sul palco, non molto distante, si sentì: « Siete contenti di vederci, zuccherini? »
E grida di approvazione esplosero nell'aria.


 
☆☆☆


L'Haikyuu Nightclub era uno dei pochi locali gay della città.
Era un luogo di ritrovo, un posto per persone emarginate dalla società.
Era casa e famiglia per alcuni di loro.
Tooru si aggirò tra la massa di corpi in movimento, sotto le luci stroboscopiche della discoteca, scansandoli con agilità e grazia.
Chi riconosceva in lui il ballerino sexy e quasi completamente nudo sul palo, faceva volgari battute di apprezzamento nei suoi confronti.
Nulla a cui Tooru non fosse abituato. Spesso scambiavano quella che per lui era arte, infinite ore di allenamento e sudore, per una volgare danza provocante votata al sesso.
Raggiunse il bancone del bar e si mise seduto su uno sgabello con grazia, accavallando le gambe nei jeans scuri.
Aveva indossato una maglietta a mezze maniche nera e la sua unica giacca di pelle.
« Ehi, Tooru » Lo salutò Daichi con un cenno del capo e un mezzo sorriso da dietro il bancone, mentre shakerava un drink. Tooru ricambiò il gesto.
Avevano avuto una cosa, non molti anni prima, ma non era andata bene. Ovviamente.
Nessuna delle sue storie lo faceva.
« Mi fai un Bloody Mary? » Gli chiese.
Il lato positivo del lavorare in quel posto non era tanto lo stipendio - misero - ma la possibilità di poter bere qualche drink gratis dopo lo spettacolo.
Daichi fece un cenno del capo, poi:
« Ohi, Wakatoshi! »
Chiamò, e Tooru alzò gli occhi al cielo nel sentir chiamare la sua nemesi.
L'interpellato apparve da dietro l'angolo, reggendo tra le mani una cassa di agrumi.
I muscoli delle braccia erano gonfi dallo sforzo, le vene in bella vista.
Lo stomaco di Tooru si contorse in una stretta dolorosa e piacevole al contempo.
La divisa dei barman era semplice, una maglietta nera a mezze maniche, pantaloni dello stesso colore e grembiulino blu.
Ma su un fisico come quello di Wakatoshi ...
Tooru si sarebbe fatto scopare da lui lì su quel bancone, ma non lo avrebbe mai ammesso. Nemmeno sotto tortura.
« Prepara un Bloody Mary a Tooru » Lo istruì Daichi.
Wakatoshi si limitò ad annuire.
Lavorava al Nightclub da un paio d'anni ed era avvolto da un certo mistero personale.
Non mischiava mai vita privata con quella lavorativa, motivo per cui nessuno sapeva davvero niente di lui.
Il motivo per cui Tooru lo odiava non era solo per via del fatto che lo trovasse attraente sotto ogni punto di vista, ma perché il primo giorno al locale, dopo averlo visto esibirsi nella sua variante migliore, il suo commento era stato: Potresti fare di meglio.
Nessuno gli aveva mai detto una cosa simile.
Nessuno che non ne capisse niente di pole dance quantomeno.
Da allora era stata guerra aperta e dichiarata, almeno da parte sua.
Wakatoshi, d'altra parte, non aveva mai fatto mistero del fatto che volesse scoparselo.
Glielo aveva chiesto, con la sua schiettezza a volte decisamente fuori luogo e spiazzante.
Tooru sarebbe morto, piuttosto che ammettere di essere interessato a sua volta.
« Sei stato bravo stasera » Gli disse Wakatoshi mentre prendeva un tumbler alto e lo posava sul bancone, agile e veloce. Tooru lo guardò di sottecchi, sospettoso.
I suoi complimenti erano sempre sinceri, comunque, ma non li sopportava.
« Sono sempre bravo » Rispose, tornando a fissare la pista da ballo pur di non prestare troppa attenzione al barista.
« A volte sei giù di tono, si vede »
Tooru si voltò di scatto, incrociando le braccia al petto. Wakatoshi non lo stava guardando, concentrato a versare nello shaker succo di pomodoro, spremuta il limone e qualche goccia di tabasco e Worchestershire. Si muoveva esperto.
« E tu che cazzo ne capisci? » Lo accusò. La sua espressione doveva essere truce.
Wakatoshi sollevò lo sguardo per un secondo, mentre si allungava a prendere sale e pepe, che mise in piccole dosi nello shaker.
« Un amico ha una scuola di ballo, in centro città. Insegna anche la pole dance »
Tooru sollevò un sopracciglio, improvvisamente interessato alla conversazione, anche se non voleva darlo troppo a vedere.
« E tu prendevi lezioni? » Chiese, scettico.
Con un corpo pesante come il suo ... sollevarlo e muoverlo attorno al palo con fluidità non sarebbe stato uno scherzo. Wakatoshi accennò un sorriso mentre girava gli ingredienti nello shaker con un bar spoon.
« Direi di no, ma ... » Cominciò a versare la vodka attraverso lo jigger « ... quando le cose a casa si facevano un po' pesanti, passavo i pomeriggi lì. E lo guardavo insegnare invece di fare i compiti » Senza rendersene conto Tooru si era appoggiato al bancone, prestandogli tutta la sua attenzione.
Era raro sentirlo dire cose su di sé, si potevano contare con una sola mano.
Lo osservò distrattamente mentre metteva qualche cubetto di ghiaccio nello shaker.
« Il tuo amico è vecchio » Commentò.
Wakatoshi sorrise di nuovo, sollevando solamente un angolo della bocca.
Era un movimento sexy e Tooru brontolò sotto voce contro se stesso e la sua stupidità.
« Non farti sentire da Tanji » Commentò, mentre cominciava a miscelare gli ingredienti con la tecnica del throwing in movimenti esperti e veloci, poi aprì lo shaker e bloccò il ghiaccio con uno strainer.
« Ha settantotto anni » Aggiunse, versando il contenuto dello shaker nel tumbler alto.
Il colore era invitante e decisamente perfetto.
Tooru spalancò la bocca, scioccato.
Wakatoshi doveva avere all'incirca ventisette anni, come lui.
« Insegna ancora? » Domandò. Wakatoshi aggiunse un gambero di sedano nella bevanda, uno spicchio di limone decorativo e la passò a Tooru sul bancone.
Era un drink visivamente perfetto.
« No, ha lasciato la palestra ad un suo allievo. Reon. Ma supervisiona tutto come un'aquila rapace » Tooru percepì una nota di affetto nel tono della sua voce.
Era ... strano. Bevve un sorso del suo Bloody Mary e per poco non si mise a gemere.
Era buonissimo. Dannazione.
« E comunque non sono mai giù di tono! »
Precisò, perché si era lasciato troppo andare.
Wakatoshi fece spallucce, mentre se ne stava affaccendato a pulire il bancone con gesti meccanici, veloci ed efficienti.
« Come credi » Rispose e Tooru si risentì.
« Wakatoshi, un Margarita! » Lo chiamò Daichi dall'altro lato, impegnato.
« Arriva » Fu il commento apatico.
Proprio in quel momento, mentre se ne stava a bere tutto imbronciato il suo cocktail, uno gli si mise seduto accanto. Talmente accanto da stargli quasi addosso.
Tooru lo guardò, accigliato.
Non era male, capelli biondi tinti tirati all'indietro, scuri sulla nuca e rasati.
Aveva uno sguardo vivace e un orecchino interessante al lobo destro.
« Pensi che il tuo amico può farmene uno uguale? » Gli chiese, indicando il cocktail.
Aveva un sorrisetto da schiaffi e le sue intenzioni erano palesi.
Tooru fu tentato sul momento di rispondergli con un: chiediglielo, ma poi lo sguardo gli cadde su Wakatoshi. Li stava fissando, con espressione neutra, mentre massaggiava un lime sul bancone con una mano per scaldarlo e ricavarne più succo.
Era geloso, il bastardo! Con che diritto -!
Tooru sentì il diavoletto che era in lui stuzzicarlo con il tridente nero.
« Se ti comporti bene forse te lo faccio assaggiare »
Rispose invece, accavallando le gambe, sorridendo accattivante e sporgendosi verso lo sconosciuto, che sembrava essersi fatto un bagno del profumo.
« Sono Yuji » Si presentò il tipo, avvicinandosi abbastanza perché le loro labbra fossero a pochi millimetri di distanza. Tooru leccò le proprie, provocante.
« Ciao, Yuji » Mormorò, poi, quando stavano per toccarsi, lo spinse lievemente indietro e si fece una risata voltandosi verso il bancone.
Yuji rimase qualche secondo imbambolato come uno stoccafisso, poi rise a sua volta.
Era intrigato, e adesso voleva averlo.
Tooru conosceva i tipi come lui.
Sollevò lo sguardo e incrociò quello di Wakatoshi, era intenso e infuocato di gelosia.
Gli provocò una contrazione nel basso ventre.
Smettila di scoparmi con lo sguardo!
« Mi è piaciuto il tuo spettacolo, dolcezza » Yuji tornò alla carica, appoggiandosi sul bancone, ancora talmente vicino da toccarlo quasi dappertutto.
Il viso era voltato nella sua direzione, mentre Tooru continuava a fissare davanti a sé con un sorrisetto nascosto dietro al drink che sorseggiava.
« Ovviamente, sono il migliore » Rispose.
Yuji rise e avvicinò le labbra al suo orecchio.
« Anche io sono il migliore quando si tratta di ... attività più piacevoli » Sussurrò.
Tooru sorrise e lo guardò di sottecchi.
« Ma non mi dire » Commentò ironico.
Ne aveva visti di stronzi che si proclamavano dii del sesso, per poi fare cilecca al primo colpo. E di sesso scadente ne aveva avuto a sufficienza nella sua vita.
Si era divertito solo con Tetsuro - l'altro barista, assente quella sera - Daichi e Hajime.
Tutto il resto era stata spazzatura.
Yuji gli fece scivolare la mano sul fianco.
« Se vuoi vedere da te ... » Lo provocò.
Tooru fece un sospiro, pronto a rispondere e -
« Vuoi ordinare? » Guardarono entrambi Wakatoshi, sorpresi.
Lui era impassibile, si stava asciugando le mani sul grembiule blu che aveva in vita.
« Ah ehm ... » Balbettò Yuji, preso alla sprovvista, imbarazzato dal suo sguardo atono. Tooru sollevò un sopracciglio, teso.
« Se ti siedi al bancone lo fai per ordinare » Continuò Wakatoshi, con tono ... di rabbia.
Sto stronzo sta intervenendo per aiutare! Comprese Tooru, e una strana rabbia si impossessò di lui, posò il bicchiere ormai vuoto per metà sul bancone.
Ti faccio vedere io come ti devi fare i cazzi tuoi, bastardo! Non sono tuo!
« Sono interessato alla tua offerta » La sua voce era alta, appositamente alta mentre si voltava verso Yuji e scendeva dallo sgabello, mettendogli un braccio sulle spalle per aggrapparsi a lui in maniera lasciva.
Yuji si dimenticò immediatamente di Wakatoshi, ma Tooru aveva messo su quello sguardo cattivo e seducente solo per lui.
Tu non potrai mai sfiorarmi con un dito.
Era quello che gli stava dicendo.


Quando si allontanò con Yuji si sentì un po' vuoto dentro, ma non vi diede importanza.


 
☆☆☆


Tooru viveva nella periferia della città, in un quartiere malfamato e pericoloso.
Il suo appartamento, che in realtà era un sottoscala di tre stanze appena, si trovava in un vicolo sporco e fetente, sotto un ristorante cinese che puzzava di fritto e faceva casino.
Lui e Yuji avevano scopato sul retro del locale, accanto ai cassonetti della spazzatura. Quello stronzo non aveva avuto nemmeno la decenza di portarlo in un motel.
Come si era aspettato era stato scadente e terribile, Tooru aveva dovuto pensarci da solo al proprio piacere, ma almeno il bastardo aveva usato il preservativo.
E se n'era andato via imbarazzato quando avevano finito, senza nemmeno chiedere il suo numero di cellulare.
Non che Tooru fosse interessato, ma lo stronzo avrebbe anche solo potuto fingere che non gli fosse passato l'interesse dopo esserselo sbattuto per bene.
Sospirando, infilò le chiavi di casa nella toppa della porta, aprendo con cautela.
Erano le quattro del mattino, dopotutto.
L'aria fuori si era fatta fredda, le luci per strada erano spente come al solito e un tipo si stava facendo nella strada accanto.
Entrò in quella che doveva essere cucina, ingresso e salotto insieme, venendo investito dalla solita puzza insalubre di muffa, facendo piano - perché lì, sul divano letto, ci dormiva suo nipote - ma lo trovò al tavolo, con una candela accesa, chino sui libri di scuola.
« Takeru » Sibilò sotto voce.
La porta della camera da letto era semi chiusa e dallo spiraglio si intravedeva il letto, e un fagotto avvolto sotto le lenzuola.
« Ciao, zio Tooru » Mormorò il bambino, sereno, continuando a fare gli esercizi di matematica a lume di candela.
Tooru lasciò lo zaino per terra e gli andò vicino, accarezzandogli la testa rasata.
Non potevano permettersi un barbiere, così era Tooru a tagliargli i capelli, ma non era molto bravo. A lui ci pensava Satori, che quando non faceva la Drag Queen di notte, si occupava di un normalissimo negozio di parrucchieri sulla strada principale.
Ma a Tooru non chiedeva un soldo, e lui non voleva approfittarne oltre.
« Che cosa fai sveglio a quest'ora? »
« La mamma ha avuto una delle sue crisi. Non sono riuscito a fare i compiti »
Fu la replica serena del bambino e a Tooru si strinse la bocca dello stomaco con violenza. Guardò verso la camera da letto.
Satsuki stava dormendo, per fortuna.
« Hai cenato? » Gli chiese Tooru, mettendosi seduto accanto a lui.
Takeru annuì. Aveva solo otto anni, ma sembrava averne il triplo per le responsabilità che si portava sulle spalle.
Tooru era stato cacciato di casa quando aveva diciassette anni per via del suo orientamento sessuale. Quando era da solo andava bene, se la cavava.
Lavorava part-time in due posti diversi, nella palestra di famiglia di Hajime poteva studiare pole dance gratuitamente, e la notte aveva sempre il suo corpo da usare.
Poi sua sorella maggiore era rimasta incinta di uno stronzo che l'aveva mollata, e i suoi genitori avevano buttato per strada anche lei.
Satsuki era andata da lui.
Aveva partorito Takeru e poi si era messa a lavorare, ma si era depressa con il passare del tempo e ormai era malata da anni.
Se ne stava a casa e non muoveva un dito, imbruttita, incattivita, aveva delle crisi.
Le sue medicine costavano, costava la scuola di Takeru, l'affitto di quella catapecchia con un proprietario taccagno che spacciava roba e voleva sempre essere pagato in tempo, altrimenti costringeva Tooru a fare delle consegne per lui.
Le bollette e gli abiti e il cibo.
Tooru faceva quello che poteva. Quello che riusciva.
Quando non ballava al Nightclub, passava tutti i giorni della settimana a lavorare in un ristorante elegante nella zona ricca della città, quella doveva viveva la gente che non aveva la minima idea di cosa fossero la fame e la miseria.
Lui stesso veniva da lì. Prima.
« Le sue medicine sono finite, zio Tooru »
Gli fece notare Takeru, ancora impegnato nei suoi compiti. Tooru imprecò.
« Merda. Mi sono dimenticato di prenderle »
Si grattò la nuca, stanco e imbarazzato.
« Lo faccio domani, promesso » Disse al nipote, accarezzandogli di nuovo la testa.
Takeru era un bambino intelligente, più della norma, gli insegnanti a scuola gli avevano parlato bene di lui. Tooru voleva che studiasse e diventasse qualcuno, voleva che se ne andasse da quel buco di merda e avesse una vita felice e benestante.
« La tua insegnante di classe mi ha parlato di una gita » Gli disse, sottovoce.
Non voleva svegliare Satsuki prima del tempo, non aveva idea di come si sarebbe alzata. Era diverso ogni giorno con lei.
« Si, ma non ci vado » Fu il commento di Takeru, che sollevò lo sguardo dal quaderno.
Era stanco e avrebbe dovuto dormire.
« Ma perché - »
« Il viaggio costa, zio Tooru. Inoltre, la mamma resterebbe da sola troppo a lungo »
Tooru avrebbe voluto replicare, ma Takeru era molto più saggio di lui per certe cose.
Purtroppo. Non era davvero un bambino. Per quel motivo non aveva molti amici.
« Il soldi non sono un problema tuo »
Tooru sapeva per certo che Takeru ci era rimasto male all'idea di non poter andare in gita con i suoi coetanei. Ma quel bambino non chiedeva mai niente.
Era nato nella miseria e nella privazione.
E non aveva mai fatto un capriccio per qualcosa, o si era lamentato.
« Andrai a quella gita, ho già pagato » Aveva chiesto quei soldi in prestito a Shouyou, sapeva che non glieli avrebbe richiesti con fretta.
« Ma la mamma - »
« Alla mamma ci pensa zia Junko quando non ci sono io. Non ti devi preoccupare »
Lo interruppe deciso. Aveva già parlato con la mamma di Hajime, una casalinga agguerrita, che si era offerta volentieri per aiutare.
Junko era come una madre per Tooru, ci era rimasta malissimo quando tra lui e Hajime le cose non erano andate come sperato.
Viveva nel quartiere accanto, non molto diverso. Li era pieno di case popolari.
Il viso di Takeru parve illuminarsi appena, e non c'entrava niente la candela.
« Grazie, zio Tooru » Bisbigliò.
Lui gli sorrise e gli accarezzò i capelli.
Allontanarsi per un paio di settimane gli avrebbe fatto bene. Satsuki non era una sua responsabilità comunque, ma di Tooru.
« Ora vai a dormire almeno un paio d'ore, coraggio. Per domani ti faccio la giustifica »
Takeru annuì e chiuse i libri e i quaderni, scendendo dalla sedia con ubbidienza.
Anche Tooru avrebbe dovuto dormire, ma non ne aveva voglia, la sua mente era affollata da troppi pensieri.


 
☆☆☆


« E non toccarmi, non mi toccare! »
Satsuki gli graffiò la mano con le unghie e Tooru perse la pazienza.
Smise di tentare di spazzolarle i capelli, gettando la spazzola malamente sul letto.
Quella mattina si era svegliata male.
Per fortuna, Takeru era già andato a scuola.
« Voglio solo dormire, lasciami stare »
Brontolò la sorella, tornando a strisciare sul letto.
Non si cambiava la camicia da notte da giorni, né si faceva una doccia.
Le lenzuola puzzavano e anche la stanza, che non aveva finestre ma solo un piccolo pertugio chiuso da sbarre arrugginite che affacciava sul marciapiede.
L'attività preferita di Satsuki alcune mattine, era quella di contare le scarpe dei passanti.
« Prendi le medicine, forza » La incitò, andandole vicino con le pillole in mano.
« Noo, non le voglio » Si lamentò lei come una bambina « Mi fanno istupidire, non riesco a pensare! » E gli spinse il braccio.
Tooru sospirò, ma non si lasciò scoraggiare. Come aveva fatto tante altre volte in passato, afferrò la mascella della sorella, le aprì la bocca a forza e le fece ingoiare i farmaci, tra le urla, i gorgoglii e un leggero agitarsi.
« Stronzo, sei uno stronzo! » Lo aggredì lei, tentando di nuovo di graffiarlo.
« Si, si » Commentò Tooru, distratto. Non si era alzato alle sette, con solo tre ore di sonno addosso, per andare a prenderle le medicine e ricevere quelle lamentele.
Proprio in quel momento suonarono il campanello di casa. Doveva essere Junko.
Tooru sapeva che a Satsuki serviva essere ricoverata in una struttura apposita, ma non poteva permettersela. Quelle medicine erano solo un palliativo.
Junko lo avvolse in un abbraccio stretto non appena lo vide, era una donnina energica e vivace. Entrò in casa con la sua borsa piena di cibo - Tooru le aveva detto di non farlo, ma inutilmente - portando subito vitalità e gioia.
« Oggi è di cattivo umore » Le disse.
Era in ritardo e doveva andare a lavoro.
Junko si diresse sbrigativa al lavabo.
« Ci penso io » Sbottò, poi a voce più alta « Vieni a darmi una mano con questi fagiolini, Satsuki! » Gridò, per risposta arrivò un lamento.
Tooru sospirò, prendendo la giacca, le chiavi di casa e quelle della bicicletta.
« Niente lamenti, Satsuki. Muovi quel culo! »
Urlò Junko. Tooru le diede un bacio sulla guancia di fretta e si avviò alla porta.
« Ti amo, Junko. Grazie » Le disse.
La donna gli mandò un bacio volante.
Tooru si chiuse la porta alle spalle.


 
☆☆☆


Il proprietario dell'Haikyuu Nightclub era tutto sommato un brav'uomo.
Aveva ereditato il locale dal nonno, un uomo tosto, e poi aveva messo a posto la testa, sposando l'uomo della sua vita.
Seduto davanti alla sua scrivania sul retro del locale, a fine serata, Tooru si chiedeva che cosa avesse fatto di sbagliato per trovarsi davanti a Ikkei Ukai con in faccia quell'espressione. E per di più, con Wakatoshi seduto accanto.
« Andrò dritto al punto, ragazzi » Sbottò l'uomo, appoggiando la schiena contro la sedia di pelle mentre si accendeva l'ennesima sigaretta. Il suo ufficio puzzava di fumo in maniera incredibile, ormai era impregnato anche nel legno e nel metallo.
« Il comune non ha ancora rinnovato il contratto d'affitto del locale, se non lo farà, dovremmo chiudere baracca » Tooru saltò dalla sedia, letteralmente.
« Che cosa?! Ma non possono! »
Sbottò allibito, posando le mani a palmo aperto sul ripiano della scrivania.
Ikkei lo guardò da dietro il fumo della sigaretta. Quell'uomo lo pagava una miseria, ma almeno gli permetteva di tenersi tutti i soldi delle mance.
Inoltre, il Nightclub era come una casa per lui, il luogo dove poteva essere se stesso, dove poteva fare quello che amava, circondato da persone che gli erano amiche.
Li c'era la sua altra famiglia. Tooru non poteva accettare una cosa simile.
« Possono. E lo faranno. Per questo motivo mi servite voi due, nello specifico »
Ikkei spense la sigaretta nel posacenere già straripante e si mise con la schiena dritta, intrecciando le mani sulla scrivania. Tooru tornò a sedere, rivolgendo uno sguardo a Wakatoshi, che se n'era rimasto zitto. Fu a lui che Ikkei si rivolse a quel punto.
« Tu devi parlate con tua madre, Wakatoshi e cercare di convincerla che questo locale non è ... promiscuo. Tooru ti darà una mano »
Tutta quella frase non aveva il minimo senso.
Tooru rimase per un istante seduto sulla sedia, con le mani strette sui braccioli.
La verità arrivò come un fulmine a ciel sereno.
« Il cazzo di sindaco è tua madre! » Sbottò, voltandosi a guardare Wakatoshi.
Lui rimase del tutto calmo e posato.
« Si »Una risposta irritante. Tooru strinse le mani sui braccioli della sedia.
« E perché non lo hai mai detto, di grazia? »
« Perché non lo hai chiesto »
Non faceva una piega. Tooru si zittì, almeno con lui.
« In che modo potrei aiutarlo? » Domandò, rivolgendosi direttamente ad Ikkei.
Lui scosse le spalle, sospirando.
« Tu sai parlare, Tooru. E sei affabile, hai la faccia da bravo ragazzo. Aiutalo e basta »
Quella era una follia bella e buona. Ma tacque, senza sapere bene che cosa dire.
« Abbiamo un problema » Intervenne a quel punto Wakatoshi, attirando l'attenzione dello sguardo di entrambi su di sé « Non ho un buon rapporto con mia madre. Sono andato via di casa presto, inoltre ... » Wakatoshi esitò per un istante, catturando l'interesse di Tooru per quel comportamento « ... lei non sa che io sono bisessuale »
Ci fu silenzio. Pesante silenzio.
Bi?! Fu il primo pensiero che frullò nella testa di Tooru. Wakatoshi non sembrava bi.
Non sono fatti tuoi, gli ricordò una voce nella sua testa, quella della ragionevolezza.
« Siamo fottuti » Fu la seconda cosa che pensò, e la esternò a voce alta.
Non se la sentiva di giudicare Wakatoshi per la sua scelta di non fare coming out - considerato il modo in cui era andata a lui - ma era indice del fatto che sua madre non fosse una donna tollerante verso quelle cose.
Non avevano la minima chance di convincerla a firmare un rinnovo del contratto.
« No, non lo siamo » Intervenne Ikkei. Aveva uno sguardo spaventoso sul viso.
Doveva aver appena avuto un'idea malsana.
« Basterà che Wakatoshi non dica niente »
« E con quale giustificazione dovrebbe chiedere alla madre di non chiudere questo posto? Le sembrerà sospetto! » Sbottò Tooru, incrociando le braccia al petto.
« Tanto per cominciare, questo è il suo posto di lavoro. Ha più di un motivo per protestare con lei » Disse Ikkei, cominciando ad illustrare la sua idea sulla questione.
Su quello, Tooru non poteva dargli torto.
« Secondo, ci sarai tu a renderla meno sospetta » Tooru sbatté le palpebre.
Si è fumato una canna di troppo, pensò.
« Io sono gay » Sbottò, esasperato.
« Ti vestirai da donna, Tooru. E ti fingersi la sua fidanzata. In questo modo renderai la cosa meno sospetta per Wakatoshi »
Tooru rimase in silenzio, poi scoppiò a ridere, pensando che si trattasse di uno scherzo.
Quando Ikkei non rise insieme a lui, ma rimase serio dietro la sedia, Tooru smise e fissò entrambi con espressione inorridita.
« Stai scherzando? Sono un uomo, Ikkei! Un bell'uomo, per l'esattezza. Perché non prendere una donna vera? Kiyoko ad esempio, oppure Hitoka, la sua ragazza! Sono sicuro che si presterebbero volentieri »
Ikkei scosse la testa, risoluto.
« Loro sono solo delle clienti, Tooru. Non hanno il nostro stresso attaccamento nei confronti di questo locale »
« Satori, allora! Lui sarebbe - »
« Mia madre lo conosce. È una sua cliente affezionata » Intervenne Wakatoshi, lasciandolo di stucco ancora una volta, e mai in maniera positiva « Anche con il trucco lo riconoscerebbe di sicuro »
« Shouyou! È perfetto » Tooru battè la mano sul legno della scrivania, trionfante.
« È fuori questione, il padre di Shouyou lavora al Comune. Devi essere tu, Tooru. Hai un volto perfetto per sembrare una donna » Lo stroncò Ikkei, incrociando le braccia al petto soddisfatto. A Tooru quell'idea sembrava fare acqua da tutte le parti.
« Grazie tante » Brontolò, contrariato.
Ikkei fece un sospiro e guardò entrambi.
« So che amate questo posto » Iniziò, frugando nella tasca della giacca per prendere un'altra sigaretta « Per entrambi è come una casa, anche se in modo diverso »
Se la mise tra le labbra e cercò l'accendino.
Tooru rivolse uno sguardo sorpreso a Wakatoshi. Non lo conosceva molto, ma non credeva che anche per lui quel posto fosse tanto importante.
Ikkei comunque pareva saperne molto a riguardo.
« So che fareste di tutto per proteggerla » Si accese la sigaretta e diede una bella boccata.
« Ci proverò » Commentò Wakatoshi.
Tooru fissò il tavolo, poi il suo datore di lavoro. Ikkei tirò un'altra boccata.
« Inoltre, se avrete successo, vi raddoppio lo stipendio »
Azzardò, con un sorriso feroce. Tooru si morse la lingua: passare da cinquecento dollari a mille in un solo colpo era una bella mossa.
Pensò a Takeru, a sua sorella ...
« D'accordo, ci sto » Sbottò, cedendo.
Ikkei battè il pugno sul tavolo trionfante.
È una pessima idea. Pessima.
Quel pensiero continuava a tormentarlo.


 
☆☆☆


« Non so perché ho accettato, davvero non lo so, devo essere impazzito »
A poche ora dalla cena organizzata da Wakatoshi per incontrare il sindaco, Tooru si sentiva del tutto scoraggiato e avvilito.
« Coraggio stellina, non fare così » Lo rimproverò bonariamente Satori, picchiettandogli il mento perché alzasse lo sguardo nella sua direzione.
Tooru gli rivolse un'occhiataccia velenosa.
L'appartamento di Satori si trovava esattamente sopra il suo negozio. Viveva in una bella zona, nella periferia, ma meno degradata di quella in cui stava Tooru.
Quella parte della città era frequentata dalla borghesia media, gente onesta che lavorava sodo. A Tooru piaceva la sua casa.
Non era grande, aveva giusto tre stanze. Ma era accogliente, curata e calda.
Sapeva di Satori da tutti i punti di vista.
E Roxy era un po' dappertutto lì, come se fosse la sua ombra, cosa non troppo distante.
« Pensa che lo fai per il Nightclub »
Cercò di ricordargli Satori, passandogli il mascara appiccicoso sulle belle ciglia.
La notizia della probabile chiusura si era diffusa rapidamente tra i dipendenti del locale. Così come la verità sulla parentela di Wakatoshi e il loro maldestro piano.
« Non so se farmi scocciare le palle con il nastro adesivo valga la candela! »
Borbottò, tentando di grattarsi i genitali martoriati.
Ci aveva già provato una volta, ma Satori lo aveva schiaffeggiato sulla mano.
« Ti avevo detto di farti la ceretta »
Commentò l'amico con naturalezza, sollevandogli il mento per osservare l'operato.
« La faccio la ceretta, ma non ... » Sbottò Tooru, indignato. Già si sentiva stanco.
E la cuffia per nascondere i capelli cominciava a prudente in maniera insopportabile, anche se ancora non aveva nemmeno indossato la parrucca.
Satori aveva una collezione intera, conservata con cura. Per lei aveva scelto una parrucca di capelli veri, una cascata biondo cenere naturale, mossi sulle punte.
« Dovresti, ci sono uomini a cui piace - »
« Parleremo del rim-job ... mai, grazie. Soprattutto perché sei etero! »
Lo zittì, accaldandosi tutto. Satori rise. Poi si alzò e andò a prendere la parrucca, che impiegò cinque minuti buoni a sistemargli.
« Ecco fatto, stellina. Sei ... bellissima » Tooru tentò di pestargli un piede con il tacco della scomoda scarpa che stava indossando.
Satori scansò il colpo e rise, porgendogli le mani per aiutarlo ad alzarsi.
Tooru era abbastanza stabile, nonostante non avesse mai indossato niente di così alto.
Raggiunse lo specchio a figura intera e rimase esterrefatto, di stucco.
Non sembrava nemmeno più lui.
Indossava un vestito bianco attillato, elegante, con un cinturino nero di pelle.
Non si vedeva niente nella zona bassa e il seno finto, grazie al contouring, sembrava vero. Una seconda, modesta e adatta al suo fisico slanciato e raffinato.
Il corpetto gli aveva reso le spalle meno larghe, le calze color carne le gambe più affilate e femminili. Il trucco era semplice, niente di eccessivo, ma gli aveva cambiato la faccia, totalmente. Sembrava sua sorella. Quella dei vecchi tempi, quando stava bene.
Orecchini di perle con la clip, una collanina elegante, scarpe nere con plateau e tacco non troppo alto. Borsa abbinata. Satori aveva fatto un lavoro strepitoso.
Se non avesse saputo di essere un uomo, avrebbe davvero dubitato di sé stesso.
« Sei - »
« Fantastico, lo so »
La voce di Satori era piena di soddisfazione.
Gli mise sulle spalle una giacchetta nera elegante, e gli passò un rossetto color carne.
Tooru non era abituato a quelle unghie finte color latticino, ne agli anelli, così fece più fatica a prendere il tubetto.
« Mettilo in borsa, per ritoccare il rossetto ogni tanto. Ci ho messo anche un assorbente, qualche robina da donna ... » Satori fece un gesto della mano come se stesse scacciando via una mosca, poi si diresse verso la ballerina dove aveva lasciato il cellulare.
Tooru, incredulo, sbirciò il contenuto della borsetta.
Ne tirò fuori un tampax.
« Che cosa te ne fai di questi?! » Sbottò.
Per tutta risposta Satori gli scattò una foto.
« Sono solo per far scena, nel caso dovessi aprire la borsa davanti al Sindaco, è una donna adorabile, ma molto attenta »
« Si, grazie della rassicurazione » Borbottò Tooru, rimettendo il tampax nella borsa.
Satori stava ancora trafficando con il cellulare e aveva un sorrisetto sospetto.
« Ehi, cancella quella foto! » Sbraitò Tooru. Non voleva che la foto di lui vestito da donna con un tampax in mano facesse il giro del locale. Era già umiliante così.
« Troppo tardi, stellina. L'ho già inviata a Shouyou. Ci è rimasto troppo male di non poter essere qui » Satori gli fece l'occhiolino.
Tooru fece una smorfia contrariata.
« Come no. Stasera si farà una bella scopata con Tobio, che ha finalmente mosso il culo ... davvero rimasto male, si » Borbottò, lamentandosi come un vecchio.
Proprio in quel momento qualcuno bussò al citofono.
La faccia impassibile di Wakatoshi apparve deformata nello schermo sgranato.
« È carino anche così » Cinguettò Satori, andando a rispondere.
Tooru alzò gli occhi al cielo.
« Il tuo cavaliere ti aspetta di sotto. Non romperti una caviglia mentre scendi le scale e cerca di modulare la voce, come ti ho insegnato. Andrà tutto bene »
Satori lo spinse verso la porta di casa. Tooru deglutì.
Andiamo, pensò.


Wakatoshi era appoggiato a braccia conserte contro lo sportello di una macchina.
Una vecchia Chevrolet Spark blu.
Indossava una camicia nera senza cravatta, con le maniche già arrotolate fino ai gomiti.
Dei jeans scuri strappati e scarponi sportivi.
Era terribilmente attraente il bastardo.
Sollevò un sopracciglio quando lo vide.
« Sei - »
« Non una parola »
Lo minacciò Tooru sollevando un dito, mentre avanzava fino alla macchina cercando di non rompersi una caviglia nel processo.
Il nastro adesivo tirava ed era fastidioso, la parrucca prudeva e gli occhi bruciavano.
Le calze erano insopportabili.
Voleva urlare di frustrazione violenta. Preferiva indossare i suoi slip di pelle.
Wakatoshi non fiatò, gli aprì lo sportello e lo aiutò ad entrare in auto senza fare danni.
Poi salì dal lato del guidatore. La sua macchina era pulita, profumava grazie ad uno di quegli alberelli appesi allo specchietto retrovisore, e una foto di lui bambino con suo padre era incastrata tra il vetro del parabrezza e la guarnizione di gomma della portiera. Tooru la osservò.
« Sei pronto? » Gli chiese Wakatoshi, mettendo in moto.
Lui distolse lo sguardo dal bambino sorridente tra le braccia del padre.
« Togliamoci di mezzo questa rogna » Brontolò.
Wakatoshi inserì la marcia e partì.


Il ristorante era di lusso.
A cinque stelle, come era stato specificato più volte dal cameriere che li aveva condotti al tavolo. Per Tooru aveva già parlato troppo.
Non aveva la minima idea di come ci si comportasse in quei posti.
Aveva già dovuto lottare per tenersi la giacca sulle spalle - suggerimento di Satori.
Avrebbe voluto chiedere a Wakatoshi qualche consiglio, considerato che doveva essere cresciuto in quell'ambiente, ma sua madre il Sindaco era già seduta al tavolo.
Si alzò quando li vide arrivare.
Era una donna di un'eleganza naturale, Tooru lo aveva sempre pensato, anche quando l'aveva vista parlare nei telegiornali locali.
« Wakatoshi, che piacere vederti » Anche la sua voce era elegante, e il modo che aveva di muoversi, come avvolgere le braccia attorno alle spalle del figlio toccandolo solo marginalmente e accostare la faccia alla sua senza baciarlo davvero. Un gesto freddo.
« Mamma » Fece lui altrettanto gelido.
Poi si voltò nella sua direzione e lo indicò.
« Lei è la mia fidanzata. Tooru »
Con il cuore che gli scoppiava nel petto, Tooru fece un inchino formale.
Quella era la prova del nove.
« Piacere di conoscerla, signora »
La donna lo scrutò da capo a piedi con un sorriso di fredda cortesia sulle labbra rosse.
« Il piacere è tutto mio, cara. Prego, sediamoci. Mi sono presa il permesso di ordinare un ottimo Châtheau d'Yquem nell'attesa »
Disse la donna mentre prendevano posto attorno al tavolo.
Tooru osservò le numerose posare sistemate accanto ai suoi piatti e cominciò a sudare.
Non aveva la minima idea di cosa farsene.
« Sono rimasta piacevolmente colpita dal tuo messaggio, Wakatoshi. Era da settimane che non avevo tue notizie, tesoro »
La conversazione era cominciata e Tooru avrebbe tanto voluto afferrare il menù plastificato al centro del tavolo per sventolarsi il viso accaldato.
Prese il bicchiere e bevve un sorso di vino.
Era eccezionale. Dannazione.
« Sono stato parecchio impegnato » Fu il commento freddo di Wakatoshi.
Sotto il tavolo, Tooru gli pestò un piede con violenza.
Lui sollevò un sopracciglio e lo guardò stranito.
Quello scambio di sguardi non passò inosservato agli occhi del Sindaco.
Tooru le sorrise con troppo zelo.
« Si, lo vedo. Una così bella ragazza ... Tooru. Cosa fai nella vita, cara? »
Ecco, ci siamo! Pensò Tooru avvilito.
Il famoso interrogatorio dei genitori per tastare il terreno.
« Tooru è una ballerina » L'intervento di Wakatoshi lo spiazzò.
Stava osservando il menù ed era incredibilmente rilassato.
Tooru lo guardò imbambolato, poi si riscosse.
« Si. Sono una ballerina di pole dance » Rispose, modulando la voce come gli aveva insegnato Satori. Nel suo caso, era facile.
Il sindaco sollevò un sopracciglio. Non sembrava molto contenta.
« Vi siete conosciuti alla scuola di Tanji? »
« Si, esatto »
Tooru ricordò la loro conversazione al bancone del bar di qualche sera prima.
Era una buona bugia, quella.
Nel frattempo, arrivò il cameriere per le ordinazioni e Tooru andò letteralmente nel panico, perché non aveva nemmeno dato uno sguardo al menù.
Ne prese uno di fretta e gli venne un brutto capogiro.
Solo il vino viaggiava attorno ai cinquecento dollari, tutto il suo stipendio di un mese al Nightclub. Sperò di non dover pagare il conto, altrimenti sarebbe dovuto andare a vendersi per strada per dare da mangiare a Takeru.
Prima che potesse andare eccessivamente nel pallone, Wakatoshi ordinò con calma, poi aggiunse: « Anche per la signora » Indicando lui, e gli prese una mano.
Tooru fu tentato sul principio di allontanarla, ma poi ci pensò su e gliela strinse.
Se volevano risultare credibili ...
Wakatoshi aveva le mani grandi e calde.
Se le era immaginate addosso, qualche volta.
Cominciarono a fare conversazione.
Domande sulla sua infanzia, sui genitori, sulla famiglia. Per Tooru era facile mischiare verità e bugie, o costruire una vita in cui i suoi genitori non lo avevano cacciato di casa.
C'erano stati momenti nella sua vita in cui aveva provato il bruciante desiderio di inginocchiarsi ai loro piedi e chiedere aiuto.
La disperazione poteva far fare di tutto.
Ma era stato forte e non aveva mai chiesto niente. Se l'era cavata sempre da solo.
E non aveva idea di come stessero i suoi. La città non era tanto grande, ma Tooru non li aveva nemmeno mai incontrati per strada.
Arrivarono gli antipasti e poi il primo.
Tooru, osservando Wakatoshi di sottecchi, riuscì in qualche modo a barcamenarsi con tutte le posate, i piatti e i bicchieri di turno.
La situazione cambiò quando arrivarono al dolce.
Tooru non aveva mai mangiato tanto bene. Stava per vomitare tanto era pieno.
Avrebbe voluto che Takeru fosse lì.
Spesso, non aveva nemmeno i soldi per mandarlo a mangiare una pizza con gli amici.
Strinse il pugno sul tovagliolo.
« Tutto bene, cara? » Domandò la donna.
Di lei Wakatoshi aveva preso solo il taglio degli occhi grigi, freddo e impassibile.
Tooru allentò la presa sul tovagliolo.
« Si ... » Iniziò, poi ci pensò un attimo « No, in realtà no. Mi dispiace, amore, ma non riesco a far finta di nulla » Sbottò all'improvviso alla volta di Wakatoshi, sperando che abboccasse e non facesse l'idiota. Gli strinse di nuovo la mano.
« So che mi hai chiesto di non tirare fuori l'argomento ma - non posso far finta di niente, sapendo che stai male! »
Era arrivato il momento di andare al punto e chiudere in fretta la cosa.
« Di che cosa sta parlando, Wakatoshi? »
Abboccò il sindaco, guardando il figlio.
« Della vostra intenzione di non rinnovare il contratto d'affitto del Nightclub »
Chiarì la faccenda Wakatoshi, e Tooru gli strinse una mano per fargli capire di aver fatto bene. Il sindaco si pulì gli angoli della bocca con il tovagliolo raffinato, facendo attenzione a non sbavare il rossetto rosso, e lo posò accanto al tavolo.
« Capisco » Commentò « Ora mi è chiaro il messaggio e il motivo di questa cena »
Merda, pensò Tooru.
L'atmosfera si raffreddò in un secondo.
« Non volevi vedere tua madre, ma solo ottenere qualcosa per il tuo tornaconto »
Si accaldò la donna.
Wakatoshi posò il tovagliolo sul tavolo a sua volta, in un gesto calmo e posato.
« Invece non capisci niente » Anche la sua voce era posata e calma, nonostante dentro dovesse avere un tumulto « Sei sempre la solita, mamma. Non cambierai mai »
Strinse per un attimo il pugno attorno alla stoffa pregiata del tovagliolo e poi lasciò andare altrettanto in fretta.
« Volevo solo chiederti un favore. Se per una volta potevi fare qualcosa per me, per tuo figlio. Ma vedo che non è così » Si alzò in piedi, sposando la sedia con garbo « Papà se n'è andato per questo motivo, mamma. Perché tu mettevi il tuo ruolo davanti alla tua stessa famiglia »
« Wakatoshi, non è - »
« Non ti sei mai nemmeno interessata a me. Tu non mi conosci davvero »
Calò silenzio attorno al tavolo.
Alcuni degli altri clienti si erano voltati dalla loro parte per guardare incuriositi, attirati dai loro movimenti. Tooru pensò fosse meglio non attirare troppo l'attenzione comune.
Non su di se, almeno. Considerato che non era davvero una donna, e non voleva che la sua famiglia finisse nel mirino dei giornali.
« Scusate, adesso vado in bagno »
« Wakatoshi » Disse Tooru, facendo per seguirlo, ma poi si fermò.
Non poteva andare nel bagno dei maschi, tecnicamente, e nemmeno lasciare da sola quella donna al tavolo. Maledizione, pensò.
Aveva già i suoi problemi, non c'era bisogno che si immischiasse anche in quelli altrui.
Rimasero per un po' in silenzio, imbarazzati.
« Le chiedo scusa, io - » Azzardò.
« No, Wakatoshi ha ragione. Non sono stata una brava madre per lui. Volevo dargli un futuro migliore, ma non c'ero mai alle sue recite, passavo poco tempo a casa con lui »
La donna intrecciò le mani sul tavolo, erano ancora molto belle, ma cominciavano a mostrare i primi segni dell'età.
« L'ho fatto sentire solo tutta la sua vita. E poi, per colpa mia, anche la persona che amava di più si è allontanata da lui »
Tooru strinse le mani in grembo, giocando con gli anelli che gli stavano stretti.
« Suo padre » Indovinò, con tatto.
La donna annuì, aggiustandosi una ciocca di capelli neri come la pece dietro l'orecchio.
« Gli ho lascito spazio e indipendenza perché non pensavo di avere il diritto di intromettermi nella sua vita »
La voce le si incrinò, gli occhi si fecero lucidi, si morse il labbro inferiore.
Tooru ricordò in quel momento che il nome della donna era Sachiko.
Esitante, imbarazzato, allungò una mano sul tavolo verso quella di lei, ma si fermò quando si rese conto che la stava guardando.
Fece per ritrarre l'arto, quando Sachiko lo sorprese, posando lei una mano sulla sua.
Era calda come quella del figlio.
Tooru sentì un nodo in gola.
Un tocco così materno non lo sentiva da anni.
« Wakatoshi ama molto quel locale » Iniziò.
E anche io, ma quello non lo disse.
Senza rendersene conto dimenticò di modulare il tono della voce.
« È un luogo di incontro per molte persone che non hanno una casa o ... una vera famiglia » Si umettò le labbra senza curarsi del rossetto « Se vuole fare qualcosa per suo figlio, allora rinnovi quel contratto. Sono sicuro che Wakatoshi lo apprezzerà molto, perché sembra davvero un brav'uomo » Sachiko fece un sorriso tenero, il primo vero sorriso di tutta la serata e Tooru la guardò confuso. Lei gli diede un colpetto sulla mano.
« Avevo intenzione di rinnovare il contratto fin dal principio. Ci sono solo stati dei ritardi al comune » Lo rassicurò.
E Tooru sentì tutta la tensione accumulata nelle spalle sciogliersi.
« Ti prego di far sapere a mio figlio che ... anche se non sembra, so molte cose su di lui, fin da quando era ragazzino »
Sachiko iniziò a raccogliere la borsa e Tooru comprese che se ne sarebbe presto andata.
Si fermò un secondo, prima di alzarsi in piedi, e lo guardò negli occhi.
« Voglio che lui possa vivere la sua vita liberamente » Poi gli accennò un altro sorriso materno « E anche tu ... caro »
Tooru sentì il respiro bloccarsi nel petto.
Rimase immobile, occhi granati.
« Un giorno mi piacerebbe vederti ... con meno trucco in faccia, se avrai piacere »
Aggiunse la donna tranquilla, alzandosi.
« Il conto è stato pagato, potete andare via quando ve la sentite. Buona serata, caro »
Senza parole, Tooru non ebbe nemmeno la prontezza di ricambiare quel saluto.
Rimase seduto al tavolo imbambolato, con il dolce davanti mangiato solo per metà.


Il viaggio di ritorno in macchina fu silenzioso per i primi dieci minuti circa.
Tooru aveva spiegato sommariamente la situazione a Wakatoshi, evitando di specificare che sua madre sapesse di lui. O che avesse intuito, probabilmente fin dal principio, che era un uomo ad accompagnare il figlio a quella cena.
Nonostante l'impeccabile lavoro di Satori.
Si fermarono ad un semaforo in centro città.
Tooru si era tolto le scomode scarpe e aveva tirato le gambe al petto, rilassandosi sul sedile. Non era abituato a muoversi in giro con una macchina, lui aveva solo una bicicletta di seconda mano che nessuno voleva nemmeno rubare nel suo quartiere.
Wakatoshi avrebbe dovuto accompagnarlo da Satori.
Takeru era partito per la gita stesso quella mattina, emozionato come non mai.
Mentre Junko gli aveva fatto il favore di restare a dormire con Satsuki.
Avrebbe passato la notte dall'amico e poi il giorno successivo sarebbe tornato a casa, giusto in tempo per il turno al ristorante.
Alla radio, che era solo un mormorio di sottofondo, passavano una canzone famosa.
« Ti va di venire da me? »
La domanda di Wakatoshi lo colse completamente impreparato.
Smise di fissare la strada illuminata nella notte, con le insegne al neon e le poche persone che ancora camminavano nel freddo.
Si voltò a guardare Wakatoshi, che aveva metà viso illuminato dal semaforo rosso.
« Non abito lontano da Satori. Siamo nello stesso quartiere, puoi salire per un caffè, poi ti porto da lui » Si guardarono.
In quel momento il semaforo tornò verde, cambiando colore anche alla faccia di Wakatoshi. Uno sulla moto li bussò da dietro. Non aveva un solo briciolo di pazienza.
Wakatoshi tornò a guidare, guardando la strada.
Tooru sapeva di dover rifiutare.
Un invito come quello finiva sempre e solo in un modo e non era un ingenuo.
Lui e Wakatoshi, nonostante l'astio, avevano il desiderio di saltarsi addosso dal primo momento in cui si erano visti. Ma Tooru non voleva che accadesse, per qualche strano motivo. Non voleva che quella cosa con Wakatoshi ... finisse.
Qualunque cosa fosse.
Non era solo una questione di principio.
« Va bene » Disse invece, stanco, senza aggiungere altro. Non ricordava nemmeno quando era stata l'ultima volta che si era concesso una serata tutta per sé.
Wakatoshi non rispose, né mostrò alcuna sorpresa alla sua risposta affermativa.
Si limitò a guidare nella notte.
Per il resto del tragitto non parlarono.


Wakatoshi viveva nell'appartamento al secondo piano di un complesso di palazzi.
Era notte, Tooru non riusciva a vederli bene, ma non sembravano essere in buone condizioni. Il quartiere era lo stesso di Satori, ma lui viveva nella parte meno graziosa.
In compenso, la casa dentro era davvero carina.
Tooru si era guardato attorno con un sorriso mesto sulle labbra.
Non era la casa di una persona ricca, ma nemmeno il sottoscala di un ristorante cinese ammuffito e umido.
Wakatoshi non voleva aiuti da sua madre, ma lei era lì, dietro le sue spalle. Comunque.
Tooru lo invidiava per quello.
Sachiko sapeva che suo figlio non era etero, anche se lui non glielo aveva detto, ed era rimasta. Era rimasta nonostante sapesse.
Wakatoshi era molto fortunato.
Seduto - o era meglio dire quasi steso - sul divano accanto alla portafinestra che dava sul bancone, nel salotto cucina open space minuscolo, Tooru lo osservava muoversi sicuro nei suoi spazi. Si era tolto le scarpe, ma solo quelle.
Non aveva idea di come rimuovere il resto senza danneggiare qualcosa di non suo.
La cucina di Wakatoshi era graziosa.
Non troppo grande, moderna, su tonalità scure di granito, ossidiana e legno.
Aveva un'isola e sopra di questa se ne stava una contro soffittatura con delle luci appese.
Erano tonde, di vetro trasparente e di tre colori diversi: azzurro, verde e fucsia
Dietro di lui, una vetrinetta di alcolici faceva bella mostra di se.
In quel momento, Wakatoshi era alle prese con una moka decorata come una mucca.
Rilassato sul divano, Tooru si godeva la vista di quell'uomo attraente e giovane che gli preparava un caffè nella sua cucina.
Era un'immagine strana per lui.
« Ti porti il lavoro a casa »
Osservò a voce alta, indicando con un movimento del mento la vetrinetta degli alcolici, aveva il vetro colorato anche quella.
Wakatoshi seguì il suo sguardo.
« Prima del Nightclub ho lavorato per circa sei anni in un bar nella capitale. Avevo l'abitudine di esercitarmi a casa »
Quell'uomo era pieno di sorprese.
Wakatoshi si fermò con il cucchiaino infilato nel raffinato caffè aromatizzato che gli aveva proposto di bere.
« Preferisci un drink leggero? » Gli chiese.
Tooru sollevò gli angoli della bocca in un sorriso davvero rilassato e morbido.
« Solo se lo prendiamo insieme »
Wakatoshi lasciò subito perdere la moka.
Aprì un mobiletto dietro di lui e prese due bicchieri bassi, sistemandoli sul bancone.
« Come mai sei tornato? »
Tooru porse la domanda mentre lo osservava aprire un cassetto sotto l'isola per prendere il suo jigger personale.
« Avevo solo voglia di tornare a casa »
Wakatoshi aprì il frigorifero e ne estrasse due bottigliette in vetro di bitter Campani, che aprì sul bordo del bancone dell'isola con movimenti esperti del polso.
« Una storia d'amore finita male » Indovinò Tooru, divertito. Wakatoshi sollevò l'angolo destro delle labbra mentre versava il primo bitter nel jigger e poi nel bicchiere.
« Storia d'amore finita male » Confermò.
Si voltò verso la vetrinetta ed estrasse quello che a Tooru sembrava del Vermouth rosso.
Gli piaceva sempre vederlo lavorare.
« E tuo padre? » Gli domandò, esitante.
Wakatoshi versò il Vermouth con il dosatore e poi si voltò a prendere il gin.
« Mio padre vive in California. Lo vedo poco, quando torna. Ogni tanto »
Doveva essere ancora una ferita aperta per lui, Tooru decise di non insistere con altre domande sull'argomento. Se avessero chiesto a lui dei suoi genitori, avrebbe detto che erano morti probabilmente.
« Non mi piace parlare molto della mia famiglia »
Aggiunse inaspettatamente l'altro, versando il gin nei bicchieri, poi gli diede la schiena per prendere del ghiaccio dal freezer, che versò a cubetti.
Da un cassetto tirò fuori un bar spoon e prese a girare il contenuto del cocktail.
« Passavo la maggior parte del mio tempo con papà, poi lui e la mamma hanno divorziato. E io non l'ho presa bene »
Afferrò un'arancia matura dalla fruttiera sistemata sull'isola e ne tagliò due fettine.
Le mise sul bordo del bicchiere, incastrate.
« Ecco a te un Negroni » Concluse.
Tooru si alzò dal divano e raggiunse l'isola, mettendosi seduto su uno dei due sgabelli.
Prese un bicchiere e lo sollevò verso di lui, capendo il suo intento Wakatoshi lo imitò, facendo cozzare i due bicchieri.
« A cosa brindiamo? » Chiese il barman.
« Al nostro successo » Commentò Tooru, mandando giù un sorso generoso.
Strizzò gli occhi e fece un sorriso contento.
« Ah, sei proprio bravo » Ammise.
Wakatoshi accennò un sorriso, mentre faceva ruotare il liquido omogeneo e rossastro nel suo bicchiere ricoperto di condensa.
« E tu, nessuna storia importante? » Gli chiese, appoggiandosi al bancone.
Tooru fece spallucce. Non aveva niente di bello di sé da raccontargli, gli uomini che aveva avuto erano tutti andati via molto presto.
« Nessuno che sia mai rimasto »
Rimasto abbastanza a lungo da sopportare i suoi casini.
Quando sollevò lo guardo dal bordo del bicchiere, Wakatoshi lo stava osservando con un'espressione intensa.
Tooru mise giù il bicchiere.
« Hai il rossetto tutto sbavato »
Gli fece notare Wakatoshi, fissando le sue labbra. Per riflesso, Tooru vi passò sopra un pollice, attirando l'attenzione di quello sguardo da aquila reale.
« Chissà come si leva questa roba dalla faccia »
Commentò, pensando a tutto il trucco che Satori gli aveva spalmato sul viso.
« Vogliamo provare con un po' d'acqua? » Propose Wakatoshi.
Tooru era certo che le ragazze non usassero della semplice acqua per levarsi quel cerone oleoso dalla faccia, ma annuì. Pur di riuscire anche solo a toglierne un po' .
Wakatoshi afferrò un panno della cucina e lo bagnò sotto l'acqua, poi fece il giro del bancone e si piazzò davanti a Tooru. Gli prese il mento e gli sollevò il viso.
Tooru schiuse leggermente le labbra per la sorpresa; avvicinandosi, Wakatoshi gli posò delicatamente il panno sull'occhio e lo passò sulla pelle con un gesto delicato.
Quando ebbe finito, fissò Tooru e le labbra cominciarono a tremargli vistosamente.
Si stava trattenendo dal ridere.
« Si è sbavato, vero? » Domandò Tooru, rassegnato. Forse ora sembrava un panda.
« Credo sia waterproof » Gli fece sapere.
Maledetto Satori!
Wakatoshi si allungò sul bancone per afferrare un vassoio, lo svuotò e lo passò a Tooru, di modo che potesse specchiarsi. Non appena si vide riflesso, scoppiò a ridere.
Wakatoshi cedette e lo imitò poco dopo.
Tooru non ricordava nemmeno quando era stata l'ultima volta che si era fatto una risata di cuore con un altro uomo accanto.
Forse con Tetsuro, prima che trovasse l'amore della sua vita nel burbero buttafuori allampanato e biondo, Kei.
« Sembro Joker » Sghignazzò, ridendo talmente tanto da rischiare di cadere dallo sgabello. Si aggrappò al braccio di Wakatoshi.
« Sei un Joker molto attraente »
Tooru si rese improvvisamente contro che si erano fatti molto vicini.
Wakatoshi si era quasi fatto spazio tra le sue gambe mezze scese dallo sgabello, e si respiravano sul viso Vermouth rosso, gin e bitter.
La risata si spense lentamente.
Wakatoshi si fece più vicino, incastrandolo contro il bancone quando appoggiò le mani sul ripiano dietro la sua schiena. Tooru si piegò automaticamente all'indietro.
« Volevi scoparmi fin dal principio, vero? Per questo mi hai invitato a salire »
Soffiò a quel punto, come un gatto.
E tu hai accettato sapendolo, parlò la voce della coscienza in lui. La scacciò.
Wakatoshi scosse lentamente la testa.
« Non volevo solo scoparti, Tooru » Gli disse, con il suo respiro dal profumo di alcol.
« Volevo fare l'amore con te. Stasera »
Mormorò sulle sue labbra.
E Tooru perse la testa.
Gli afferrò il colletto della camicia e se lo tirò contro, baciandolo con foga.
Wakatoshi fu svelto con le mani.
Le infilò immediatamente sotto la gonna del suo vestito bianco, strisciando i polpastrelli sulle calze ruvide fino al suo interno coscia.
Tooru sentì una trazione familiare e poi -
« Ahia, cazzo! » Strillò, scioccato.
Wakatoshi si fermò di colpo, immobilizzato.
Lo fissò, e Tooru ricambiò lo sguardo.
« Il nastro adesivo » Gli disse. Wakatoshi aggrottò la fronte.
« Il cosa? »
« Il nastro adesivo che mi tira il pacco! » Sbottò Tooru del tutto esasperato.
« Come credi che abbia fatto a nasconderlo sotto delle mutande di pizzo?! »
Wakatoshi gli rivolse con uno sguardo che ...
« Indossi delle cazzo di mutande di pizzo? »
« Oh merda »
Fece Tooru, ma prima che potesse anche solo ragionare, Wakatoshi lo sollevò per le cosce e lo fece sedere sul bancone dell'isola. Gli sollevò la gonna del vestito con un movimento esperto e tirò via le calze agile.
Tooru sentì subito il freddo sulla pelle nuda.
« Wakatoshi, che fai - Ah! » Gli uscì una strillo stridulo quando lui gli afferrò le mutande di pizzo e le strattonò via, insieme al nastro adesivo, che si portò dietro anche qualcos'altro. La sua erezione era ora esposta al vento.
Cercò di coprirla con le mani mentre Wakatoshi si protendeva su di lui.
« Ora va meglio » Gli disse.
Tooru gli rivolse una brutta occhiataccia.
« Sei un animale » Lo rimproverò.
Wakatoshi fece un sorriso da lupo famelico.
« Ho aspettato due anni, sai? Voglio prendermela comoda »
« Che cosa - oh cazzo! »
Wakatoshi gli afferrò i fianchi e lo trascinò fino al bordo del bancone, mettendosi tra le sue cosce. Tooru sentì i capelli della parrucca scivolare nel vuoto dietro di lui, senza cadere. Satori l'aveva fissata veramente bene.
Quando Wakatoshi calò con la bocca su di lui ebbe appena la prontezza di afferrare con le mani il bordo del bancone. Rovesciò la testa all'indietro e gemette.
« Wakatoshi non - Ah! »
Non ricordava che nessuno gli avesse mai fatto una cosa simile prima.
Gli tornarono in mente le parole di Satori: Ci sono uomini a cui piace ...
Non mi sono fatto la ceretta! Strillò il diavoletto che era dentro di lui.
Ma prima che potesse anche solo formulare un pensiero coerente, gli era già venuto in bocca come un moccioso.
Tooru rimase senza fiato a fissare il soffitto scuro sulla sua testa.
Che cazzo è successo?
Gli girava un po' la testa, come un vortice.
Non era abituato all'idea che il suo partner si occupasse prima del suo piacere, piuttosto che direttamente del proprio, godendo solo del suo bel corpo.
« Veloce » Commentò Wakatoshi.
Tooru lo fissò male, intenzionato a dargliene quattro, ma poi lo beccò mentre si puliva il mento con il dorso di una mano e si ritrovò nuovamente a deglutire.
Cielo, sbattimi come una centrifuga!
Fu sul punto di gridargli a voce alta.
Wakatoshi lo afferrò per le braccia e lo issò a sedere sul bancone, con la testa che ancora gli girava forte, poi lo prese in braccio.
Tooru si ritrovò occhi negli occhi con lui.
Gli passò le braccia attorno al collo e si avvicinò lentamente per concedersi un bacio lento, umido e passionale con lui.
« Letto » Mormorò Wakatoshi quando si separarono, con il fiatone.
« Letto » Concordò Tooru, desideroso.


Dimenticò presto tutti i propositi per cui Wakatoshi non avrebbe mai dovuto toccarlo.


La prima cosa di cui si rese conto, restando con gli occhi chiusi ma vigile, fu di essere stretto nell'abbraccio caldo di qualcuno. Non era nel letto di casa sua, perché le lenzuola non puzzavano di muffa ma profumavano di ammorbidente.
E non erano gli arti ossuti di sua sorella Satsuki a stringerlo, ma un paio di braccia forti. Faceva freddo, lui era nudo, ma sotto quelle morbide coperte, con la schiena premuta contro quel petto ampio stava bene. Wakatoshi sembrava una stufa umana.
Nella penombra del mattino appena sbocciato, la sua spoglia camera da letto gli era estranea e distante. Tooru si mosse leggermente, stendendo le gambe sotto le coperte, erano intrecciate a quelle di Wakatoshi e i suoi peli sfregavano contro la sua pelle ancora sensibile. L'orologio digitale sul comodino diceva che erano solo le 5:17 del mattino.
Si portò le mani sul volto e soffocò il pianto.
Il modo in cui era stato toccato quella notte ...
Nessuno aveva mai usato tanto tatto nei suoi confronti.
Nemmeno Hajime, che era stato il primo di tante cose per lui. O Daichi, che pure era sempre gentile. Tetsuro, invece, non voleva che solo quello da lui e lo aveva spesso usato come valvola di sfogo personale. Ma Wakatoshi ...
Volevo fare l'amore con te.
Era era quello che aveva fatto. Amarlo.
E quella era la cosa peggiore di tutte.
Non solo il modo in cui lo aveva spogliato con gentilezza, aiutandolo a rimuovere parrucca, vestiti e quant'altro, ma anche come lo aveva steso, il modo in cui lo aveva baciato dappertutto, lo aveva preparato, gli era entrato dentro e si era mosso.
Tooru non aveva mai avuto niente del genere.
Ed era un problema. Un enorme problema.
Si sfregò gli occhi, poi sentì un respiro caldo sulla spalla e due labbra soffici baciargli proprio quella porzione di pelle calda.
Wakatoshi sollevò la testa e si sporse oltre per guardare sul comodino.
« È ancora presto » Mormorò con voce roca, ricadendo con la testa sul morbido cuscino.
Tooru si rigirò nel suo abbraccio e appoggiò il volto sulla sua spalla, osservando il suo profilo. Wakatoshi aveva gli occhi chiusi, ma con il suo sguardo fisso addosso li riaprì.
Era una bella sensazione vederlo appena sveglio al mattino.
Tooru voleva godersi ogni momento.
Wakatoshi girò leggermente la testa per guardarlo, poi allungò una mano e prese ad accarezzargli lo zigomo con dolcezza.
Hai ottenuto quello che volevi.
Adesso anche tu sparirai come gli altri, oppure mi dirai che per te è troppo ...
Quei pensieri morirono dentro di lui.
« Stavo pensando ad una cosa » Mormorò Wakatoshi con voce roca, scivolando lentamente sopra di lui mentre continuava ad accarezzargli lo zigomo.
Tooru sentì addosso la pressione del suo corpo mozzargli un po' il respiro.
Era piacevole averlo così.
« Cosa? » Fece, anche lui con la voce arsa, sollevando un braccio per aggiustargli una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
« La prima volta che ci siamo incontrati. Ho detto qualcosa che ti ha fatto arrabbiare »
Tooru lo guardò incredulo per un istante.
« Mi stai dicendo che per tutti questi due anni tu non sei stato consapevole del mio odio profondo nei tuoi confronti? » Era incredulo. Allibito. Alle cinque del mattino.
Wakatoshi battè le palpebre, sorpreso.
« Mi odi? » Chiese ingenuamente.
Tooru scoppiò a ridere, senza riuscire a trattenersi.
« Mi hai detto che ero mediocre! » Strillò.
« Ti ho detto che poteri fare di meglio » Lo corresse Wakatoshi e Tooru gli mollò uno scappellotto dietro la nuca con la stessa mano con cui lo stava accarezzando.
« Allora te lo ricordi, stronzo »
« Mi è tornato in mente »
Fu la risposta sommessa. Tooru rise di nuovo, tornando ad accarezzarlo.
Wakatoshi si mosse appena su di lui, facendolo mugolare come un gatto in preda alle fusa, gli prese le ginocchia e gli sollevò le gambe di modo che fossero piegare sulle sue spalle. Una posa inequivocabile.
« Sono le cinque del mattino, Wakatoshi » Gli disse Tooru, tanto per lamentarsi.
Non gli era mai importato di che ora fosse per fare certe cose.
« Lo so » Fece l'altro, abbassando lo sguardo per osservare il punto in cui i loro corpi si univano. Scivolò dentro di lui con estrema facilità.
Tooru annaspò, in cerca d'aria, aggrappandosi alle sue spalle.
Era ancora ben disposto dalla sera prima.
« Senti fastidio? Bruciore? » Gli chiese Wakatoshi, leggermente affannato.
Tooru scosse la testa. Si sentiva ... pieno.
Era quello il termine giusto.
« Non volevo offenderti quando ho detto quelle parole »
Disse Wakatoshi, cominciando a muoversi con lentezza.
Toccò immediatamente il suo punto sensibile e Tooru non riuscì a rispondere.
Sarebbe uscito solo un suono incoerente.
« È perché sei bravo, sai? » Tooru gemette « Potresti diventare il migliore. Se tu - »
Poi lo zittì con un bacio, perché non sapeva che cosa avrebbe fatto che avesse continuato a parlare.
Sarebbe stato ancora più difficile sopportare il suo abbandono, dopo.
Quindi voleva che Wakatoshi usasse il suo corpo e basta, perché era quello che sapeva fare meglio. Farsi scopare.
Al resto non voleva pensare.


Seduto sul divano della cucina, come la sera precedente, guardava fuori dal balcone il quartiere nelle prime luci grigie del mattino.
Wakatoshi gli aveva prestato dei vestiti. Erano larghi, ma almeno maschili.
Inoltre, aveva rimosso trucco, unghie e anelli e si sentiva finalmente bene. Se stesso.
Anche se aveva il volto tutto rosso per via dello sfregamento, e un asciugamano di Wakatoshi era completamente da buttare.
Lui entrò nella cucina con una busta in mano.
« Ci sono tutte le cose di Satori, qui » Gli disse, mostrandogliela.
« Grazie » Rispose Tooru distrattamente, alzandosi in piedi.
Si sfregò le mani sui pantaloni larghi della tuta. Si fissarono negli occhi.
Ecco, ci siamo, pensò con sollievo.
Wakatoshi ora sarebbe stato imbarazzato, non sapendo come uscirsene dalla cosa.
E per Tooru sarebbe andata tutto bene.
Troncare quella cosa prima che -
« Andiamo a fare colazione insieme? »
Quella domanda lo destabilizzò.
« Come? »
« C'è un bar carino qui sotto casa. So che la zona non è il massimo ma ... »
Il resto della frase Tooru smise di ascoltare.
Ma che intenzioni hai, Wakatoshi?
Ma lo sai che merda di vita, che ho?
Non appena te ne renderai conto ...
Tooru doveva troncare prima che accadesse.
« Vorrei solo andare a casa » Lo interruppe.
Wakatoshi lo fissò con gli occhi leggermente spalancati, sorpreso, senza comprendere il suo improvviso cambio di umore.
» D'accordo, andiamo allora »
Disse, dandogli le spalle per prendere le chiavi della macchina.
Tooru strinse i pugni delle mani sulla tuta.
Per poco non si mise a piangere. Per poco.


 
☆☆☆


Evitarlo nei giorni successivi fu semplice.
Wakatoshi non sapeva dove abitasse, né dove si trovasse il luogo del suo altro lavoro.
Aveva il suo numero di cellulare, ma bastava ignorare i messaggi, in quel caso.
Il problema arrivò il venerdì notte.
Tooru doveva consegnare i vestiti che aveva preso in prestito da lui, ed evitarlo era praticamente impossibile.
Aveva ballato malissimo attorno al palo, quella sera, e non era un bene, non quando aveva appena firmato il contratto con l'aumento di stipendio, come promesso da Ikkei. Lo aveva informato quella sera che Sachiko era stata di parola: affitto rinnovato per i prossimi dieci anni, senza clausole. Ora stava a loro far funzionare le cose.
« Come mai sei così nervoso, Tooru? »
La domanda di Satori lo colse impreparato e si morse l'unghia che stava torturando con troppa forza. Uscì un po' di sangue.
« Merda » Mormorò, succhiandosi il dito mentre osservava la busta con i vestiti puliti e stirati di fresco. Ormai non avevano nemmeno più l'odore di Wakatoshi, quindi tenerli non era nemmeno un'opzione per lui.
« Ha qualcosa a che fare con la notte in cui sei rimasto a dormire da Wakatoshi? »
Fu come ricevere un pugno nello stomaco.
Chiuse la cerniera dello zaino con violenza e se lo mise in spalla, alzandosi mentre prendeva anche la busta con foga.
« No, ti ho già detto che non è successo niente tra di noi »
Tooru aveva mentito, ovviamente.
Quando aveva riportato le cose a Satori, l'amico lo aveva sommerso di domande e lui, invece di piangere o sfogarsi, aveva detto un mucchio di stupide bugie.
Satori, che stava finendo di struccarsi, lo guardò con uno sguardo intenso, come se sapesse. Eppure non gli disse niente.
« Ti crederò » Stabilì « Solo perché sono troppo di buon umore per litigare con te »
« Esce con una a cui va bene la storia del Drag »
Si intromise Shouyou, che da quando aveva cominciato ad uscire con Tobio - piantando la mezza storia che aveva con Atsumu - sembrava un raggio di sole.
Fastidioso, lacrimevole e irritante.
« E zitto un po', mi rovini la sorpresa! » Tooru strinse le mani attorno alla busta.
Voleva restare lì a parlare con loro, ma ...
Voleva sapere chi fosse questa donna, perché Satori era etero, ma non tutte potevano capire la sua forma d'arte e il fatto che Roxy fosse una parte di lui, ma pur sempre un personaggio di finzione.
Voleva sapere se era quella giusta, perché l'amico aveva sofferto molto in passato, ma ...
Aveva quella busta e -
« Vai pure, Tooru. Ne parliamo la prossima volta, non preoccuparti »
Guardò Satori, e poi Shouyou, che annuì.
« Grazie » Mormorò, e poi andò via.


Wakatoshi non era dietro il bancone.
In compenso, però, c'era Tetsuro e poi Daichi, che era impegnato a provarci con uno.
Un uomo delicato, con un neo sul volto, che veniva da qualche sera al locale. Decisamente il suo tipo.
« Wakatoshi è in magazzino »
Gli fece sapere Tetsuro, mentre asciugava dei bicchieri bassi con uno strofinaccio.
Tooru imprecò a mezza bocca, fissando la busta con i vestiti. Era ironico, aveva fatto di tutto per evitarlo, e proprio quando lo cercava ... Wakatoshi era in magazzino. Tipico.
« Non fare quella faccia, dai. Tornerà a momenti » Tornò a guardare Tetsuro.
Gli era piaciuto parecchio la prima volta.
Con lui, Tooru ... scosse la testa.
« Non ho tempo da perdere » Sbottò.
Poi prese a massaggiarsi il ponte del naso.
« Cosa, te lo sei scopato alla fine? »
Tooru lo guardò malissimo da dietro le dita.
Tetsuro era andato avanti come se niente fosse stato quando quella cosa che avevano insieme - qualsiasi cosa fosse - era finita. Ma per Tooru non era stato così facile.
Lo piantavano tutti, prima o poi, Tetsuro era stato il terzo.
Sentirlo parlare in quel modo, come se lui fosse solo una puttana che andava in giro a scopare con tutto ciò che si muoveva ...
« Non sono cazzi tuoi » Ringhiò, brusco.
Tetsuro alzò le mani e sorrise divertito.
« Percepisco un po' di astio » Era ironico.
Tooru fece un respiro profondo e si preparò per andare via, non voleva perdere tempo con lui lì. Non ne valeva la pena.
« Tu fai sempre così, Tooru. Te ne vai »
Gli corse dietro l'altro, facendolo fermare. Tornò a guardarlo, arrabbiato.
Non posso restare Tooru.
Questo è ... troppo per me. Tu sei troppo.
È stato divertente, ma ... era solo sesso.
« E tu sei uno stronzo » Sbottò.
Tetsuro posò lo strofinaccio sul bancone e appoggiò le mani sul ripiano, affrontandolo.
« Non comportarti come se te ne fosse mai fregato qualcosa di me. Noi scopavamo e basta e non mi amavi di certo »
Tetsuro era sempre stato un po' cattivo di natura. Tooru lo sapeva bene, era simile a lui in quel senso. A far male la gente era bravo.
E quella era chiaramente una bugia.
Di quel pezzo di merda Tooru si era innamorato, così come aveva fatto con Hajime e poi con Daichi. Ma nessuno di loro era rimasto.
Nessuno di loro voleva vivere con la merda che si portava dietro da anni.
« Questo non lo saprai mai, stronzo »
La voce gli uscì spezzata.
Tetsuro sgranò leggermente gli occhi.
Tooru non gli diede il tempo di replicare, se ne andò, lasciando che gridasse il suo nome nella calca, come lui aveva fatto nella sua testa per innumerevoli notti insonni.


Wakatoshi era davvero in magazzino.
Tooru lo trovò piegato a raccogliere delle casse di alcolici e agrumi vari, vide limoni e lime e arance e anche pompelmi.
« Wakatoshi, ehi ... » La sua voce esitante rimbombò nel magazzino.
Lui si alzò, guardandolo con quell'espressione solitamente impassibile.
Se fosse arrabbiato o meno non si capiva.
Nel rivedere i suoi occhi, a Tooru tornò subito in mente il modo in cui lo aveva guardato mentre erano stesi a letto, subito dopo l'amplesso, ancora accaldati e affannati.
Gli si strinse lo stomaco. Era uno sciocco, e si era innamorato di ogni uomo sbagliato che gli aveva mostrato un briciolo di gentilezza, affetto o divertimento.
Ma con Wakatoshi ... oh, quello era peggio.
Quello era amore. Cazzo.
Di quello che faceva male allo stomaco.
« Tooru » Disse lui, dimenticandosi le casse.
« Ti ho portato i vestiti che mi hai prestato. Sono lavati e stirati, ti lascio la busta qui »
Si percepiva una certa fretta nella sua voce.
Lasciò la busta per terra, accanto alle casse, e poi fece per andarsene.
L'incontro con Tetsuro lo aveva provato e non aveva la forza di - Wakatoshi lo afferrò per il polso con una certa forza.
« Non scappare, Tooru » Gli disse.
Lui provò a divincolarsi, senza successo.
« Lasciami andare, per favore » Lo pregò.
Wakatoshi non mollò la presa.
« Non hai risposto nemmeno ad un messaggio. Ho forse - »
« Non lo posso fare, Wakatoshi. Lasciami! »
Tooru avrebbe voluto prendersi a schiaffi.
Scoppiare a piangere davanti a lui in quel modo, scuotendo la testa come un bambino.
Wakatoshi lo lasciò andare, sorpreso. Tooru si asciugò il volto con rabbia.
« Non vuoi una storia seria, capisco »
« No, non capisci invece! » Sbottò, frustrato.
Una storia seria era tutto quello che aveva sempre desiderato avere, una persona a cui potersi aggrappare nei giorni peggiori, ma ...
« La mia vita privata è una merda, Wakatoshi. Una grande merda! »
Scattò, cominciando a gestionale con foga.
« E quando te ne renderai conto - perché lo farai - vorrai solo andare via, come ... come hanno fatto tutti gli altri! » Smise di gridare con il fiatone, il volto bagnato e le lacrime che non ne volevano sapere di smettere di scendere. Le aveva trattenute per anni.
Ed era quella la sua paura più grande, il motivo per cui aveva continuato a respingerlo.
Perché sapeva che avrebbe fatto male.
« E se te ne vai tu, io - io - »
... io non saprei più come andare avanti.
« E se ti dicessi che voglio restare »
Wakatoshi invece rimase calmo, posato, come quando aveva affrontato sua madre.
« Che voglio restare, nonostante tua sorella. Anche se c'è tuo nipote »
Tooru rimase paralizzato, con il fiato strozzato in gola. Fissò Wakatoshi inorridito.
« Come -»
« Satori è mio amico, Tooru. Da sempre »
Una rabbia bruciante gli attraversò il petto. Per una frazione di secondo si sentì tradito, fu solo un attimo, un istante, sapeva bene perché Satori aveva detto quelle cose così personali a Wakatoshi, voleva vederlo felice.
« Tu non hai idea di che cosa stai dicendo » Mormorò.
A parole era tutto facile.
Ma restare davvero ...
Tooru non poteva rischiare.
Se non fosse andata bene, sarebbe stato lui a rimetterci il cuore, la felicità, ogni cosa.
« Tooru - »
« No, Wakatoshi. Non - »
Il cellulare cominciò a squillargli nella tasca interna del giubbotto di pelle.
Nel magazzino il suono rimbombò, come avevano fatto anche le loro voci.
Tooru aggrottò le sopracciglia, sul display lampeggiava un nome raro: Junko.
« Pronto » Rispose.
Le parole successive si fecero confuse.
Tooru seppe solo che, se Wakatoshi non fosse stato con lui, non avrebbe saputo come reagire, né come affrontare la situazione.


 
☆☆☆


Tooru si precipitò nel sottoscala spalancando la porta con violenza, senza curarsi di chiuderla. Ci pensò Wakatoshi, che lo aveva portato fino a casa, prendendo un permesso.
Satsuki era seduta su una sedia, ossuta e pallida nella sua lunga camicia da notte ingrigita, i capelli sfatti legati in un codino morbido, vomitava in una bacinella.
Junko era seduta accovacciata accanto a lei.
« Sta calmo, Tooru. Sta vomitando tutto, le ho messo le dita in gola che le aveva appena ingerite, non hanno fatto effetto »
Lo accolse la donna con voce tosta e sbrigativa. Ma Tooru era fuori di sé.
Raggiunse Satsuki e le diede uno schiaffo violento sul braccio, scuotendola tutta.
« Che hai fatto eh? » Un altro schiaffo e lei si lamentò, piangendo.
« Che cazzo hai fatto?! Satsuki?! »
Gridò, scoppiando a piangere anche lui mentre le dava un altro schiaffo forte.
Lei si mise a strillare, proteggendosi con le braccia mentre continuava a piangere.
« Tooru, per l'amor di Dio, calmati! »
Intervenne Junko, tentando di separarli.
« E Takeru? Non ci pensi a Takeru, brutta stronza?! Le mie pillole per l'ansia, sul serio? L'unica cazzo di cosa che mi fa dormire la notte tu la usi per tentare di ammazzarti ?! »
« Mi dispiace, mi dispiace Tooru. Scusa »
Disse Satsuki tra i singhiozzi, le grida e i suoi schiaffi di collera e dolore.
A quel punto Tooru si sentì avvolgere da un paio di braccia forti e cadde all'indietro, contro il petto di Wakatoshi. Cielo, aveva assistito a quella scena ...
« Calmati, Tooru. Va tutto bene. Shh »
E lui, contro ogni buon senso, si rilassò.
Senza pensarci troppo si girò e avvolse le braccia attorno al suo collo, abbracciandolo. Wakatoshi non ci mise che due secondi a ricambiare quella stretta.
Tooru non la ricordava nemmeno l'ultima volta che aveva provato un tale conforto.


Seduto attorno al tavolo, con i gomiti appoggiati sul ripiano di legno, ormai calmo, Tooru osservava Satsuki mangiare una minestra calda.
Avevano entrambi gli occhi rossi. Gonfi.
Ma si erano calmati. Junko era andata via poco prima, tranquillizzata.
Tooru avrebbe dovuto scusarsi con lei appena possibile.
Allungò una mano e sistemò una ciocca di capelli castani dietro l'orecchio di Satsuki, che gli accennò un tenue sorriso. Wakatoshi si allontanò dai fornelli e sistemò un piatto di invitanti uova in camicia sul tavolo. Era andato a fare la spesa e aveva preparato la cena per Satsuki, mentre Tooru le faceva un bagno caldo e parlavano.
« Grazie » Fece lei, osservando Wakatoshi con occhi stranamente curiosi mentre si metteva seduto attorno al tavolo, accanto a Tooru. Era tranquillo, e per nulla turbato.
« Mi piaci, comunque » Gli disse con la sua voce atona, prendendo un altro cucchiaio di minestra « Sai anche cucinare »
« Satsuki! » Fece Tooru, per tutta risposta lei gli diede una gomitata nel fianco.
« Fammi bella, dopo. Devo mettermi il vestito con i fiori »
Gli bisbigliò a voce troppo alta.
Tooru la guardò allibito, poi fissò Wakatoshi. Lui stava trattenendo un sorriso.
L'ultima volta che Satsuki aveva chiesto di indossare un vestito per sembrare carina ...
Non se la ricordava nemmeno.
« Ah, ho capito » Fece lei, guardandoli.
« Sono arrivata troppo tardi »
Un'altra gomitata nel fianco di Tooru con il suo braccio terribilmente ossuto.
« Hai tutte le fortune, fratellino »
« Quello fortunato sono io » Intervenne Wakatoshi, guardando Satsuki e non Tooru.
La loro conversazione era rimasta in sospeso. Come tutto tra di loro.
« Ecco, vedi. Mi piace » Confermò Satsuki.
Stava mangiando con appetito.
Tooru non aveva insistito troppo dopo essersi calmato.
Era stato Wakatoshi ad affrontarla.
Le si era seduto davanti e le aveva preso le mani, nonostante fosse un'estranea per lui.
Aveva visto il peggio della vita di Tooru.
La sua casa, sua sorella, il frigo vuoto ...
Hajime, che era cresciuto con Tooru, conosceva bene tutta quella situazione.
Erano rimasti amici ma ...
Non lo voglio, Tooru!
Mi dispiace, non voglio vivere con questa responsabilità. Ti voglio bene, ma ...
Erano rimasti amici, ma tra di loro qualcosa si era rotta per sempre.
Di loro era rimasta solo Junko, che ancora ci sperava.
Daichi non ci era nemmeno arrivato a quel punto. Tra di loro era andata male prima. Wakatoshi invece non aveva fatto una piega.
« Allora cerca di convincere tuo fratello a diventare il mio fidanzato »
Quelle parole lo riportarono al presente.
« Ehi, Wakatoshi! » Lo riprese.
« Tooru, certe volte sei proprio scemo » Intervenne Satsuki, senza rimorsi nella voce.
Passarono il resto della notte a scherzare.
Wakatoshi aveva nella tasca della giacca un mazzo di carte Uno, e Tooru non ebbe l'ardire di chiedere come mai. Ci giocarono, agguerriti, anche Satsuki.
E quando cominciò a stancarsi, diventando taciturna e di nuovo spenta, la portarono a letto, dove si addormentò. Tooru buttò le pillole per l'ansia nella spazzatura.
Non voleva le venisse di nuovo in mente di ... magari quando c'era Takeru.
« Grazie » Mormorò a Wakatoshi sull'uscio della porta, molto più tardi. Verso le tre.
Voleva dirgli di fare attenzione per strada a quell'ora, e che sperava avrebbe trovato ancora la macchina dove l'aveva lasciata.
Ma Wakatoshi conosceva bene quel quartiere.
« Non voglio la tua gratitudine » Ammise.
Tooru lo sapeva. Ma era stanco. Molto stanco quella sera.
Non te ne andare. Non poteva dirlo.
« Sono stanco, ti prego » Mormorò invece.
Wakatoshi annuì, senza insistete oltre.
Prima di andarsene però gli accarezzò una guancia con le sue ruvide dita da barman.
Era andato via con la divisa addosso.
Rientrato in casa, Tooru si chiuse la porta alle spalle e si vi appoggiò contro.
Sul tavolo vide un pentolino sigillato.
Aggrottò le sopracciglia e si avvicinò, accanto vi era un biglietto con una pessima calligrafia:


Mangia qualcosa.
Ti ho preparato del brodo caldo.


P.S Nella dispensa ci sono dei panini al latte.
Se non ricordo male, dovrebbero essere i tuoi preferiti.


P.P.S Ho preso anche qualche porcheria per Takeru. Merendine, pizza, patatine fritte.
E le carte, erano un regalo per lui in realtà.
Me lo ha suggerito Satori. Mi ha detto che avrei potuto ingraziarmelo in quel modo.


P.P.P.S Voglio restare Tooru. Sul serio.


Prima di arrivare alla fine del biglietto Tooru stava già piangendo e ridendo insieme.
Quell'uomo.
Quel meraviglioso e sciocco uomo.


 
☆☆☆


Tooru amava allenarsi.
Lo faceva con fatica, dedizione e sangue.
Il palo era il suo amante, colui che non lo avrebbe mai tradito. Toccarlo, stringerlo, usarlo come sostegno e muoversi attorno a lui era una vera e propria danza d'amore.
Gli dava sicurezza e conforto.
L'unico punto fisso della sua vita. Aveva iniziato da bambino e non aveva mai smesso.
« Ohi, Tooru. Sono le nove, stiamo per chiudere » Gli urlò una voce familiare.
Tooru si tenne fermo al palo con forza, esibendosi in una rotazione perfetta prima di atterrare, poi tolse la cuffietta dell'orecchio.
« Scusa, Hajime. Ora vado via » L'altro si appoggiò con la spalla sullo stipite della porta, osservandolo mentre raccoglieva un panno per asciugarsi il volto sudato.
Avrebbe fatto una doccia a casa.
Era passato troppo tempo dall'ultima volta che aveva potuto allenarsi nella palestra.
Ma aveva perso la cognizione del tempo.
« Tutto bene? Sei strano oggi » Tooru guardò il suo amico di sempre.
Hajime era stato tutte le sue prime volte. Ma non era rimasto.
Non era rimasto con lui fino alla fine.
« Sto bene » Mentì, infilandosi una maglietta a mezze maniche bianche addosso, i pantaloni della tuta e poi una felpa, che chiuse per riparasi dal freddo della notte.
« Ti vedi con qualcuno » Indovinò Hajime.
Tooru tirò su il cappuccio, nascondendo i ricci bagnati di sudore sotto la stoffa.
Hajime doveva aver saputo da Junko quello che era successo a Satsuki, ed era per quel motivo che era andato a tallonarlo.
Non parlavano come un tempo, non più dopo il modo in cui Hajime l'aveva lasciato.
Ormai doveva rincorrerlo per farsi dire qualcosa. Tooru non se la sentiva di confidarsi con lui riguardo i suoi problemi, considerato che era per quelli che era finita.
« No, abbiamo deciso che non era cosa »
Rispose, disattivando il bloothooth dal cellulare e riponendo le cuffie nel borsone.
Infilò il cellulare in tasca mentre Hajime sospirava, staccandosi dal muro.
« Però lui ti piace » Constatò.
Tooru era andato ben oltre il mero piacere.
« Si, come mi piacevi tu. E Daichi e Tetsuro, e tutti gli altri che si sono divertiti a scoparmi ma poi sono scappati via non appena la cosa si è fatta un po' più seria »
Calò il silenzio nella palestra deserta.
Tooru si morse il labbro, gettando il cellulare all'interno del borsone con foga.
Non aveva avuto intenzione di uscirsene con quella frase, ma era un fascio di nervi tesi in quel periodo della sua vita.
Hajime accolse il colpo con una certa compostezza. Dopotutto, era nel torto.
« Mi dispiace, Tooru. So che è colpa mia » Tooru alzò gli occhi al cielo.
« La mia esistenza non ruota intorno al mio struggimento per te, Hajime. Ho cose più serie di cui occuparmi » Sbottò, acido.
Hajime entrò nella stanza e prese una corda, cominciando a piegarla per bene.
« Mi riferivo al motivo per cui hai paura di rischiare, perché temi di essere lasciato indietro. Di nuovo » Replicò, calmo.
E per Tooru fu come riceve un calcio dritto nello stomaco, tirato con violenza.
Hajime posò la corda al suo posto.
« Sono stato uno stronzo con te. Avevo paura, non ti amavo abbastanza. Ma non lasciare che questo ti blocchi »
Tooru avrebbe voluto dire qualcosa, ma non riusciva a parlare.
Non riusciva a muoversi.
« Se qualcuno vuole restare, Tooru, allora permettiglielo. Altrimenti non saprai mai come sarebbero potute andare le cose »
Hajime si lasciò cadere su una sedia, stanco.
« I rimpianti ti tormentano per sempre Tooru. Fidati di me »
Lo guardò dritto negli occhi e Tooru comprese: il suo più grande rimpianto era lui.


Fuori, il freddo gli morse la pelle sudata.
Infilò le mani nelle tasche della felpa e sollevò il volto per guardare il cielo.
Le stelle erano numerose e la luna piena.
Voglio restare. Sul serio.

 
☆☆☆


La canzone che aveva scelto per lo spettacolo di quel sabato sera era sexy, un po' sboccata e forse esplicita. Proprio come il modo in cui si stava muovendo su quel palo, come se stesse flirtando con lui, lo stesse provocando.
Mani volgari si allungavano verso di lui con banconote, intente ad ottenere qualche toccatina. Non quella sera. Quella sera Tooru aveva un obiettivo in mente.
Cogliendo tutti di sorpresa, tanto da attirare anche l'attenzione di chi era sulla pista da ballo nell'altra parte del locale, balzò giù dal palcoscenico e salì con un movimento agile sul bancone del bar. Gli spettatori seduti sugli sgabelli urlarono.
Tooru camminò lungo il bancone con i pesanti stivali di pelle che scricchiolavano. Indossava solo uno slip di pelle nero e una cravatta con il nodo allentato.
Raggiunse uno dei quattro pali di ferro che reggevano la struttura del bar al centro del locale. Vi si appoggiò sopra.
« Ehi, barman » Fece ad alta voce, rivolgendo a Wakatoshi, che lo guardava sorpreso, uno sguardo da "sesso", per citare Hajime « Ho saputo che hai richiesto un ballo privato tutto per te » Wakatoshi lo guardò imbambolato e Tooru fu sicuro - al cento per cento - che avrebbe specificato di non averlo fatto, invece.
Non era nella sua natura capire quelle cose.
E per quello lo amava da impazzire.
Ma prima che potesse farlo, iniziò a ballare.
Non era nient'altro che una danza per sedurlo. Muovere il bacino in quel modo.
Fu provocante, sexy e deciso.
E per tutto il tempo non spostò lo sguardo da quello di Wakatoshi, che si era andato man mano a scurire e farsi più intenso.
Quando la musica terminò, si sfilò la cravatta, si mise seduto sul bancone, dando le spalle al pubblico, e la avvolse attorno al collo di Wakatoshi tirandoselo addosso.
Lui parò lo strattone appoggiando le mani accanto ai suoi fianchi, sul bordo del bancone. Tooru lo accolse nello spazio tra le sue gambe, i loro nasi si toccarono.
« Resta » Gli mormorò sulle labbra, poi rise divertito e infine lo baciò sotto una marea di grida divertite, cellulari che riprendevano e colleghi con battute pronte.
Wakatoshi poggiò la fronte sulla sua.
« Grazie per esserti fidato di me. Ti amo »
Parole sussurrate tra di loro.
« Signori, giù le mani da questo barman! Ormai è mio! »
Gridò Tooru rivolgendosi alla folla, che esplose in risate ed acclamazioni.
Ci fu anche qualche lamentela.
Poi tornò a concentrarsi su Wakatoshi.


Forse finalmente qualcuno sarebbe rimasto.
Anzi, ne era quasi certo.

 
☆☆☆


L'appartamento nuovo era arieggiato, imbiancato di fresco, spazioso e aveva tre balconi. Oltre che due bagni. Era al terzo piano di un complesso di edifici popolari nello stesso quartiere dove aveva vissuto Wakatoshi fino ad allora.
Tooru non aveva idea che i traslochi potessero essere tanto faticosi.
Ma nella sua vita, di cambiamenti, ne erano avvenuti tanti negli ultimi tempi.
« Questo è l'ultimo » Posò lo scatolone accanto agli altri e guardò Wakatoshi, in bilico su uno scalino mentre finiva di montare la tenda nella loro camera da letto.
Poco tempo dopo essersi messi ufficialmente insieme, Sachiko - ormai sua suocera - aveva voluto conoscerlo per davvero. Senza trucco o maschere.
Lei e Wakatoshi avevano parlato molto in quell'occasione.
E Tooru non aveva nascosto niente di sé, o della sua famiglia.
La settimana successiva, il sindaco gli aveva fatto sapere che si era liberato un posto nella miglior clinica della città - di sua proprietà - per Satsuki.
Ovviamente, era tutto pagato.
Tooru se l'era presa con Wakatoshi per quello.
Non era abituato ad avere un aiuto che non richiedesse qualcosa in cambio.
Ma Satsuki lo aveva stupito. Gli aveva detto di volerci andare.
Devi vivere la tua vita, Tooru. E io la mia.
Takeru sarebbe rimasto con lui.
E Tooru aveva imparato da quella storia che non era una debolezza accettare l'aiuto di qualcuno. Soprattutto se di cuore e sincero.
Aveva poi lasciato il lavoro al ristorante.
Reon, il giovane allievo che si era occupato della scuola di Tanji - l'amico di Wakatoshi - aveva dovuto lasciare per trasferirsi altrove.
Il vecchio aveva allora lasciato legalmente la scuola nelle mani di Wakatoshi.
E adesso, la gestivano insieme a tutti gli effetti. I profitti erano inaspettati.
E lui faceva il lavoro migliore del mondo: insegnare la pole dance.
Era rimasto a lavorare anche all'Haikyuu Nightclub per tre notti di fila, perché non avrebbe mai potuto abbandonare quel luogo.
E alla fine, Wakatoshi gli aveva chiesto di andare a vivere insieme, con Takeru.
Ed erano arrivati fin lì, nell'arco di pochi mesi.
Stanco, si mise seduto sul materasso ancora imballato del loro letto.
Per risparmiare, avevano riutilizzato alcuni dei mobili che già possedevano, come la cucina di Wakatoshi e la testiera del suo letto, o l'armadio.
Ma avrebbero avuto tempo per rendere quella casa il loro nido personale.
Wakatoshi scese dalla scaletta, tirò la tenda per verificare che funzionasse e poi lo raggiunse, mettendosi seduto accanto a lui.
« Non vedo l'ora di vedere la faccia di Takeru quando vedrà la sua nuova cameretta »
Gli disse, con la solita voce che non tradiva in realtà nessuna trepidazione d'attesa.
Takeru aveva una stanza tutta per sé. Per la prima volta nella sua vita.
Wakatoshi se lo era preso molto a cuore e l'affetto era stato ricambiato tutto.
La cameretta gliel'aveva montata tutta lui, inoltre, aveva anche voluto che il bambino avesse una paghetta mensile con cui poter uscire con gli amichetti o comprarsi qualcosa. Gli aveva anche rifatto il guardaroba.
E Takeru aveva anche cominciato a farsi crescere i capelli, su cui Satori non vedeva l'ora di allungare quelle sue manacce.
« Sarà felicissimo » Commentò Tooru, stiracchiandosi « Domani potremmo andare a prenderlo da Junko » La casa non era perfetta, ma abitabile.
Si lasciò cadere di schiena sul materasso imballato, era bello comodo. Soffice.
« Stasera dobbiamo andare alla festa di fidanzamento di Shouyou e Tobio »
Gli ricordò Wakatoshi, stendendosi accanto a lui. Tooru fece una smorfia.
« Già si sposano, quelli sono matti! »
Brontolò. Wakatoshi allungò una mano e prese ad accarezzargli il braccio.
Tooru fece le fusa a quelle carezze.
« Non sei stato tu a spingere Tobio a fare finalmente la prima mossa? »
Gli chiese Wakatoshi, prendendo a sbottonargli la camicia.
« Si, e me ne prendo tutti i meriti! » Sbottò, alzandosi di scatto.
Spinse Wakatoshi sul materasso e si mise a cavalcioni su di lui.
« Ma abbiamo tutto il tempo per inaugurare questo letto, o sbaglio? »
Wakatoshi accennò un sorriso, appoggiandogli le mani sulle cosce.
« Ho intenzione di fare l'amore con te su ogni superficie piana della nostra casa »
Lo informò. Il sorriso gli si ammorbidì nel sentir pronunciare la parola "nostra".
« Non perdiamo tempo, allora »



 
You don't know what you did,
did to me
Your body lightweight
speaks to me


( Under The Influence - Chris Brown )

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Capitolo 23
*** 23. It's Always Love ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Farm

N° parole: 8.605

Note: questa one-shot è particolare, e ha molto di me in se. Forse troppo.
É personale, intima. Racconta cose che non ho mai confidato a nessuno …
Spero che non vi dispiaccia troppo questo piccolo sfogo …
Non è la classica storia d’amore. Non ha un finale. Non ha un lieto fine e potrebbe assolutamente essere terribile e noiosa. Affronta solo un aspetto … diverso dell’amore. Un qualcosa che a volte può risultare scomodo, ma necessario …
Non siate troppo duri con me dovesse far troppo schifo.
Tschüss :)





 
It's Always Love
 

And even though we didn't work
It's always love, always love
And even though we hurt each other
More than once
It was love, always love




Seduto sul sedile del passeggero di quella Jeep Renegade nuova fiammante, Tooru osservava il paesaggio fuori dal finestrino con aria imbronciata.
Era da qualche minuto che si susseguivano solo campi verdi, ville sporadiche, fattorie e mandrie di animali. Dovevano ormai essere quasi arrivati a destinazione, ma era passato troppo tempo dall'ultima volta che era stato ospite nel cottage in campagna dei nonni di Hajime. Non ricordava bene la strada.
« Potresti anche solo fingere di essere contento di passare le feste alla fattoria »
Tooru tentò gli ignorare il tono di biasimo nella voce del suo amico d'infanzia.
Uno dei motivi per cui stava tenendo il broncio era perché ce l'aveva a morte con lui.
« Ero contento, infatti » Brontolò, continuando a fissare la strada fuori dal finestrino. Era nato e cresciuto in città, ma amava quei paesaggi bucolici e paradisiaci.
« Prima che tu invitassi Wakatoshi insieme al suo nuovo fidanzato »
Non glielo aveva ancora rinfacciato abbastanza.
Hajime fece un sospiro pesante e armeggiò con l'aria calda, alzandola leggermente.
Le temperature si erano abbassate fuori città.
« Andiamo, Tooru. È passato un anno »
Distolse lo sguardo dalle strade ricoperte di foglie autunnali per guardare Hajime, che era tornato a concentrarsi sulla strada.
« Solo un anno » Precisò, fulminando l'amico con un'occhiataccia delle sue.
Poi tornò a guardare fuori dal finestrino, gomito appoggiato sulla portiera e mento incastrato nel palmo della mano.
« Non mi amava davvero. Ha fatto in fretta a trovarsi un altro, quel - tsz »
Fece un sospiro e si strinse nella giacca.
Era passato davvero un anno dal giorno in cui l'avevano fatta finita, ma per Tooru era stato faticoso andare avanti con la propria vita.
Era stato un po' come se il tempo si fosse mosso a rallentatore nei mesi successivi.
Stava bene a malapena, ed Hajime ...
« Che cosa avrei dovuto fare, Tooru? Io e Wakatoshi siamo amici ... lo sai. Ho invitato gli altri, non potevo escludere solo lui » Hajime aveva ovviamente ragione, ma Tooru era troppo orgoglioso e ferito per ammetterlo. Sarebbero stati quattro giorni di vera sofferenza per lui, e addio la prospettiva di rilassarsi lontano da tutto e tutti.
« E poi stanno insieme solo da un paio di mesi ... non è che si sia messo subito con qualcun'altro » Quello poi era il colmo.
« Avrei solo voluto che tu me lo dicessi prima, Hajime! Non a metà strada verso la fattoria! » Sbottò, perdendo la pazienza.
Si voltò di scatto verso l'amico e incrociò le braccia al petto, fissandolo con astio.
Hajime gli rivolse un'occhiata veloce.
« Se te lo avessi detto prima non saresti venuto » Ammise, con voce controllata.
« Ovviamente! » Sbottò Tooru, tornando a voltarsi in avanti, con le braccia sempre incrociate al petto.
« Ma da quando sei un codardo che scappa? Ormai ti è passata, no? »
No, Hajime no. È solo quello che vi ho fatto credere! Non mi è passato un bel niente!
Rimase in silenzio, osservando l'asfalto e le foglie a margine della strada attraversate dai solchi di molteplici pneumatici.
« Come al solito sei un bruto senza cuore »
Brontolò invece, imbronciandosi come un bambino capriccioso.
« Ohi » Hajime allungò una mano e gli diede uno scappellotto violento dietro la nuca.
« Ahia! E guarda la strada, imbecille! » Strepitò Tooru, massaggiandosi la parte lesa.
Hajime gli rivolse uno sguardo assassino.
« Guarda che ti prendo a calci! »
Lo minacciò, e ci provò davvero a colpirlo con un calcio. La macchina sbandò leggermente a sinistra e Tooru si mise a strillare.
« Hajime! » La sua voce era più alta di almeno dieci decibel del normale.
« Smettila di fare l'idiota! »
« Non sono io quello che ha rischiato di farci schiantare! »
« Tooru! »
« Scusa, scusa ... bruto »
La macchina sbandò di nuovo a sinistra.


 
***


I nonni di Hajime avevano un cottage grazioso.
Uno di quelli che si vedevano nelle foto sui cataloghi di villeggiatura in campagna o su, in montagna. Vicino avevano la loro fattoria.
Una piccola attività di cui si occupavano personalmente, vendendo prodotti con il loro marchio in quantità limitate. Tooru non andava a far visita a Nana e Ryota da qualche anno, ormai. Ma non aveva dimenticato quanto fosse bella la loro dimora, né quanto bene gli volessero. Totalmente ricambiato.
Erano stati accolti con estremo affetto quando avevano parcheggiato la macchina nel vialetto. E nonostante Tooru avesse pregato Ryota di restare seduto - si era rotto una gamba cadendo dalla scaletta durante la raccolta dei fichi - il vecchio si era alzato testardo sulle stampelle, per abbracciarlo.
Era anche per quel motivo che avevano deciso di passare le vacanze lì e non altrove, per dare una mano alla fattoria adesso che vi erano due braccia in meno a disposizione.
Seduto sul morbido letto della stanza che avrebbe condiviso con Hajime - dato che erano gli unici a non essere in coppia - Tooru fece un respiro profondo, affondando le mani nel piumone caldo.
Adorava quell'ambiente rustico, con i mobili di legno antico, la parete di mattoni e il camino già in funzione, con il fuoco crepitante. Si strinse nella giacca a vento - che ancora non aveva tolto - e cercò il coraggio che non aveva.
Sentiva le voci nel cortile, i saluti di benvenuto, come aveva sentito le macchine arrivare con le ruote scricchiolanti sulla ghiaia.
Non era un codardo, ma non sapeva bene come avrebbe reagito.
A dargli la notizia della nuova relazione di Wakatoshi era stato Shouyou, durante una cena insieme fuori, tra amici. Tooru non aveva sue notizie da mesi, ormai.
Quella sera aveva provato a riprendere in mano la sua vita - per l'ennesima volta - accettando un invito che per troppi mesi aveva ignorato e rimandato.
Wakatoshi non usava molto i social media, ma il suo nuovo compagno si.
Shouyou aveva scoperto la cosa tramite una serie di tag e condivisioni, e poi aveva informato Tooru con tatto. E lui aveva passato una notte insonne sotto le coperte a sbirciare la pagina instagram di uno sconosciuto che odiava e invidiava.
A fissare l'uomo con cui era stato insieme per cinque anni guardare o stringere un altro come aveva guardato e stretto lui.
Gli aveva provocato una strana sensazione, oltre che una violenta crisi di pianto.
E ora che li aveva entrambi davanti in carne ed ossa - per colpa di Hajime - non sapeva bene come controllarsi o come reagire.
« Tooru è dentro, scenderà a momenti »
Sentì pronunciare dalla voce del suo amico d'infanzia attraverso la finestra aperta.
Allora fece un altro sospiro e si tirò in piedi.
Scappare non sarebbe servito a niente.
« Ah, ecco sua maestà! Ci ha degnati della sua regale presenza » Lo accolse la voce canzonatoria di Takahiro nel cortile, a cui Tooru rivolse uno sguardo truce.
« Stavo sistemando le nostre valigie » Brontolò acido, sottolineando il pronome e indicando Hajime, come per intendere che era sceso in ritardo per colpa sua.
Nel vialetto erano parcheggiate solo due macchine.
Per venire si erano organizzati in gruppo.
« Tooru! » Esplose Shouyou con la sua voce acuta, saltellando nella sua direzione per stringerlo forte tra le braccia.
« Non importunare subito la gente, idiota! »
Lo rimproverò immediatamente Tobio, tentando di acchiappare il suo fidanzato per il cappuccio della pesante felpa arancione.
Tooru accennò un sorriso e strinse le braccia attorno al gamberetto - come gli piaceva chiamare Shouyou - dandogli un buffetto sulla criniera indomabile di capelli.
« Sempre così romantico, Tobiuccio » Prese in giro il minore, facendolo arrossire « Ciao gamberetto » Aggiunse poi con voce piena di reale affetto, Shouyou gli sorrise, poi fece una linguaccia infantile alla volta di Tobio.
Salutò velocemente anche gli altri.
« Questo posto è incantevole » Intervenne ad un certo Koushi. Teneva per mano Daichi, che stava portando sulla spalla uno di quei borsoni enormi da viaggio.
« Grazie » Fu la replica di Hajime, burbero.
Proprio in quel momento si sentì chiudere il cofano di una delle due macchine.
Wakatoshi apparve in tutta la sua statura, accanto ad un trolley da viaggio.
Indossava un cappotto grigio familiare.
Un regalo di Tooru di qualche anno prima, quando si era lamentato con lui che avrebbe dovuto indossare qualcosa di più alla moda.
Non credeva che lo avesse tenuto. I loro sguardi si incontrarono e Tooru sentì come se qualcuno gli avesse appena tirato via il terreno stabile da sotto i piedi.
« Scusate, si era incastrato il trolley » Disse Wakatoshi con voce atona e profonda.
Guardava lui, con una certa insistenza, e tutti nel cortile se ne erano accorti.
Tooru si morse il labbro inferiore. Inconsciamente strinse la presa attorno a Shouyou, solo per frenare il proprio corpo dalla voglia matta che aveva di avvicinarsi a quello dell'altro. Dalla voglia di accarezzarlo.
Di dare pace a quella spiacevole morsa che gli aveva preso la bocca dello stomaco.
« Yo, salve a tutti » Intervenne una voce nuova, per niente familiare.
L'uomo comparso accanto a Wakatoshi sembrava ... particolare.
Non era bello come Tooru, ma questo non aveva importanza quando si trattava di qualcuno come Wakatoshi. Gli altri distolsero lo sguardo da loro due, imbarazzati, e lo stesso Wakatoshi smise di fissarlo, per concentrarsi sul suo fidanzato.
Quello nuovo.
« Lui è Satori » Lo presentò.
L'altro fece un sorrisetto un po' folle, alzando due dita in segno di pace per salutare.
« Tooru ... » Mormorò Shouyou quando gli altri si affrettarono a ricambiare amichevoli.
« Va tutto bene gamberetto »
Lo rassicurò con un sorriso quando incrociò il suo sguardo preoccupato.
Arrivò il suo turno di salutare, solo per non essere maleducato. Lasciò andare Shouyou e fece un sorriso cordiale, allungando una mano per stringere quella di Satori.
« Sono Tooru, piacere » La voce era calma, controllata, posata.
Satori gli strinse la mano e fece un sorriso del tutto impossibile da decifrare, un po' pigro e un po' strampalato.
« Il famoso ex » Commentò a voce alta.
Nel vialetto ci fu altro silenzio imbarazzato.
Tooru si morse la lingua per non rispondere qualcosa di sagace e piccante.
Proprio in quel momento, arrivò Nana agitando una delle sue mani venose e callose in aria, sembrava euforica e felice.
Tooru non aveva mai trovato il suo intervento tanto appropriato e provvidenziale.


Si sistemarono, e nel frattempo si fece sera.
La notte al cottage avrebbe potuto far paura.
Erano circondati da campi, alberi e strutture che al buio provocavano un certo timore.
La verità però era che in compagnia quel posto era davvero incantevole, con la cena organizzata tra la grossa cucina in stile rustico e il bellissimo portico curato.
Il camino acceso in casa creava una certa atmosfera, come le luci che prendevano sulla tettoia del portico e lungo le colonne.
Tooru passò la serata a tagliare verdure di stagione in compagnia di Shouyou, Koushi, Nana e Ayako - la cugina di Hajime che viveva con Nana e Ryota - mentre gli altri si prodigavano accanto alla brace facendo chiasso. Rise tanto, dimenticandosi il motivo per cui non aveva voglia di uscire fuori al portico per godersi l'aria fresca delle sere autunnali. Fu piacevole, una cena amichevole.
Takahiro ed Issei intrattennero tutti con le loro battute, Ayako, Nana e Ryota imbarazzarono a morte Hajime con racconti scottanti sulla sua infanzia.
Tooru stava bene, almeno in quel momento.
Poi, ad un certo punto della serata, mentre sparecchiava la tavola raccogliendo i piattini dei dolci - una pumpkin pie deliziosa - fu distratto da una risata poco familiare.
Rimase proteso sul tavolo, con un piatto sporco in mano, mentre guardava Wakatoshi e Satori - incaricati di spazzare - fermi accanto alla scopa che parlavano di qualcosa.
Non poteva sentirli, ma Satori stava dicendo qualcosa gesticolando molto e Wakatoshi sorrise. Farlo sorridere era sempre difficile.
Rispose qualcosa a voce bassissima, poi Satori si fece vicino, appoggiandosi alla scopa. Le loro fronti si toccarono.
Lui rise di qualcosa, Wakatoshi rispose di nuovo a mezza bocca, serio ma affettuoso.
Sembravano intimi. E lui si era illuso di poterlo sopportare.
Di poter ignorare il vuoto che sentiva allo stomaco, o la sgradevole sensazione che aveva provato durante tutta la cena: di essere terribilmente solo, bloccato nel passato.
« Ehi, Tooru » La voce di Koushi lo strappò a quella scena nauseante. Guardò l'amico, e si rese conto che la sua espressione doveva essere abbastanza esplicativa, perché all'improvviso Koushi lo guardò con tristezza e una certa compassione.
« Stai bene? » Domandò dolcemente, rivolgendo solo un'occhiata veloce ai due piccioncini accanto alla scopa.
« Benissimo » Replicò freddo, riprendendo a sparecchiare i piatti con una certa fretta.
Koushi non aggiunse nient'altro.


 
***


Tooru non riusciva a dormire quella notte.
Non si trattava solo dell'ambiente poco familiare.
Generalmente faceva sempre fatica la prima notte in un letto estraneo.
Proprio non riusciva a trovare pace. Aveva un nodo allo stomaco e uno alla gola.
Si rigirò sulla schiena, posando le mani in grembo.
La luce della luna entrava dalla finestra, fredda. Il fuoco nel camino era morto, con gli ultimi rimasugli dei tizzoni ardenti nella cenere.
Fissò le travi di legno nel soffitto antico.
Poi spostò lo sguardo alla sua destra, sul lato del letto a baldacchino in cui dormiva Hajime. Russava leggermente, completamente immerso nel sonno, a pancia sotto con la schiena mezza scoperta, nonostante il freddo.
Tooru lo invidiava tantissimo.
Hajime sembrava non avere una sola preoccupazione al mondo.
Sospirando provò a rigirarsi sul fianco sinistro, dando lo sguardo alla finestra.
Chiuse gli occhi. Cominciò a pensare. Rivide la scena accanto alla scopa.
Aprì gli occhi e scostò le coperte, mettendosi seduto sul materasso, il cuore che batteva veloce nel petto, in preda ad una forte ansia.
Il freddo della notte gli morse la pelle anche attraverso la stoffa del pigiama, lontana dal tepore del piumone e delle lenzuola.
Si strinse nelle braccia e infilò i piedi nelle pantofole.
Forse del latte caldo con il miele gli avrebbe fatto bene.
Si alzò lentamente, facendo attenzione a non turbare il sonno di Hajime, afferrò un cardigan di lana e lo usò come vestaglia.
Poi scese di sotto.


Stava girando il cucchiaino pieno di miele di castagno - prodotto in casa proprio in quel periodo dell'anno - nel latte bollente, quando lo vide entrare in cucina.
Come se fosse la manifestazione tangibile di tutti i suoi tormenti.
Rimase seduto al tavolo con una gamba piegata sotto il sedere, un gomito sul tavolo e il cucchiaino fermo nella tazza.
Wakatoshi si fermò sulla soglia, evidentemente sorpreso di trovarselo davanti.
E la sorpresa era del tutto reciproca.
Aveva i capelli scombinati e indossava la solita tuta per quando andava a dormire.
Era scalzo. Tooru dovette mordersi la lingua per non rimproverarlo, ormai non erano più affari suoi se si prendeva un malanno.
« Tooru ... ciao » Il suo nome pronunciato dalle sue labbra ... tornò a girare il miele nel latte, fissandone il colore giallastro.
« Ciao » Rispose con voce esile e bassa.
Si era tagliato una fetta avanzata di torta, perché erano le due del mattino e uno spuntino ormai ci stava bene. Trascinò il piattino verso di sé e tagliò la punta della fetta con la forchetta, facendola affondare nella crema e poi nella pasta frolla burrosa. Wakatoshi entrò in cucina, ma non si avvicinò a lui, o al tavolo, raggiunse il lavabo e vi si appoggiò contro con la schiena.
Tooru sentiva i suoi occhi addosso mentre spiluccava la torta, fissando ostinato il tavolo.
Non si vedevano da ... undici mesi, tre settimane, cinque giorni e sette ore, circa.
Ma quello era solo un calcolo approssimativo.
E quella volta era stata dura, difficile. Terribile.
Era stato il giorno in cui Wakatoshi aveva portato via tutte del sue cose da casa loro.
Tooru aveva pianto tutto il tempo, seduto sul divano.
Era Febbraio, e fuori stava nevicando.
Loro si erano lasciati già da un mese circa.
Lo ricordava come se fosse successo solo il giorno precedente.
« Come stai? » Ritornò al presente e sollevò lo sguardo.
Wakatoshi aveva incrociato le braccia al petto, sulla maglietta grigio scuro.
Una domanda innocua.
« Sto bene. Lavoro, casa ... solite cose »
Fece spallucce e prese la tazza tra le mani, soffiandoci sopra prima di bere un sorso di latte ancora bollente. Era buonissimo.
Gli scaldò il petto in modo piacevole.
« Sei dimagrito » Notò Wakatoshi. Tooru fece spallucce, bevendo un altro sorso.
« Sai ... » Cominciò, tornando a fissare il tavolo.
Sai, sono stati mesi difficili senza di te.
Ho dovuto imparare a dormire di nuovo da solo.
A non allungare la mano nel dormiveglia per cercarti.
Abituarmi alla tua assenza la mattina, appena sveglio.
All'assenza delle tue cose tra le mie.
Ho dovuto abituarmi a non trovarti in cucina di ritorno da una delle tue corse mattutine, alle sette del mattino. E al fatto che non ci saresti stato di ritorno da lavoro dopo una giornata davvero faticosa. Ho dovuto abituarmi a trovare il tappo del dentifricio sempre a posto, o la tavolozza del gabinetto abbassata. E a combattere contro il desiderio di averti lì per litigare con te di queste mie stupide fissazioni. Non ho avuto tempo per pensare di mangiare bene, o dormire le ore giuste, o socializzare ed essere felice.
O - come te - di innamorarmi di qualcun altro.
Ho dovuto prima imparare a respirare di nuovo, e poi a camminare, a muovermi a piccoli passi in quella realtà senza di te.
Non sapevo più come vivere la mia vita prima di te - quella non me la ricordavo.
Quindi, scusa, sai ... ma ci ho messo tempo.
Ci ho messo molto tempo a ritrovarmi.
Ti ho odiato con ferocia, e poi, con la stessa ferocia ti ho amato.
Non conosco le vie di mezzo, sono fatto così. Sono fatto male.
Ma la vuoi sapere la cosa più divertente di tutta questa storia?
Mi sono mosso a rallentatore mentre tu andavi avanti come un treno, ed ora sono rimasto indietro anni luce. Vorrei amare qualcun altro come hai fatto tu.
E invece sono qui, a guardarti.
E mi sento un coglione, perché sai ... ci ho provato, davvero, ma sono ancora fermo lì.
Fermo a quel giorno, su quel divano.
E tutti questi mesi sono stati solo una cazzata colossale.
Vorrei ancora che tu fossi dall'altro lato del letto quando apro gli occhi la mattina, già stanco della giornata che verrà.
Perciò si, ho perso peso.
« ... deve essere la tua immaginazione. Sono sempre lo stesso »
Bevve un altro sorso di latte. Il miele gli scivolò sul palato torbido.
Wakatoshi non disse niente per qualche secondo, poi si voltò verso la cucina, cercando qualcosa nella dispensa.
« Non riuscivi a dormire, vero? »
Tooru si irrigidì leggermente a quella domanda, tornò a fissare la schiena di Wakatoshi. Aveva preso un barattolo di quelle che sembravano spezie? Tè, si rese conto.
« Non riesci mai a dormire la prima notte in un luogo estraneo. Ricordo male? »
Wakatoshi voltò la testa per guardarlo e Tooru rimase con la tazza sospesa davanti al viso, tra le mani. Lo sguardo un po' assente.
« No, ricordi bene » Mormorò dopo qualche secondo.
Appoggiò la tazza sul tavolo ma continuò a tenerla tra le mani riscaldate.
Si guardarono, forse troppo a lungo.
Il silenzio era un filo teso pieno di parole.
« E tu, invece? Perché sei sveglio? »
Domandò Tooru, solo per riempirlo di discorsi futili che facessero rumore, molto rumore. Era strano parlare in quel modo rigido.
Fino a pochi mesi prima facevano l'amore, condividevano a volte la doccia, entravano nel bagno mentre vi era l'altro ad usarlo.
Condividevano pensieri e discorsi colloquiali di qualsiasi tipo con naturalezza.
Era strano come in poco tempo sembrasse che nemmeno si conoscessero più.
Ma la realtà era che Tooru non conosceva quel Wakatoshi. Quello dopo di lui.
Quello che amava un altro uomo, e non lui.
« Satori non riusciva a dormire » Fu come ricevere un pugno dritto nello stomaco.
Per fortuna, Wakatoshi era impegnato a preparare la tisana, girato verso la cucina, così non vide la sua espressione.
« Ho pensato di preparargli una tisana ... con te funzionava sempre »
Non siamo la stessa persona.
Per poco non gli scappò di bocca con foga.
Guardò la torta, mangiata solo sulla punta.
« Sembrate ... felici. Insieme » Buttò li, giusto per dire qualcosa di carino.
Qualcosa che facesse pensare che non gliene fregava niente, anche se non era vero.
Wakatoshi accese il fuoco sotto il bollitore e si voltò a guardarlo, incrociando di nuovo le braccia sul petto ampio.
« Satori mi fa stare bene » Disse. Nulla di più.
Tooru accennò un sorriso, combattendo contro un improvviso moto incontrollato di lacrime. Allora bevve un altro sorso di latte.
Wakatoshi non si era nemmeno chiesto cosa avesse provato ad avere quella notizia.
Non si era nemmeno messo nei suoi panni e si era presentato lì, con il suo fidanzato, dopo nemmeno un anno dalla loro separazione.
La cosa brutta di tutta quella storia era che non si erano lasciati perché non si amavano più. Lo avevano fatto perché, quando Wakatoshi aveva domandato a Tooru di sposarlo, lui aveva detto di no. Il mondo era crollato addosso ad entrambi.
Si amavano, ma, per la prima volta, avevano scoperto di volere cose completamente diverse. Tooru non voleva sposarsi, né pensare ad una famiglia futura.
Voleva la loro vita così com'era, insieme e basta, senza legami di carta o catene.
Wakatoshi no, desiderava l'opposto.
Quindi no, si erano lasciati, ma si amavano.
Era per quel motivo che era stato ancora più doloroso, e inaccettabile e terribile.
Quel non voler lasciare andare ... anche quando era solamente l'unica cosa da fare.
« E tu? Non hai ... »
Tooru rise di fronte quella domanda vaga e mosse una mano in aria, come se volesse scacciare via una mosca molesta.
« No, non ancora. Non ho incontrato nessuno che mi interessasse »
Rispose, cercando di risultare spensierato.
In realtà, non ci aveva mai nemmeno provato.
Magari, in una decida d'anni, con la rassegnazione del fatto che non esistevano possibili compromessi tra di loro, o vie di fuga - ci avevano già provato - allora forse ci avrebbe pensato davvero. Wakatoshi lo fissò a lungo. Intensamente.
Tooru amava quegli sguardi così intimi.
« So now we're strangers again, but this time with memories »
Mormorò sotto voce, una frase che Tooru aveva sentito pronunciare da qualche parte.
Lo guardò con occhi sgranati, colpito.
Ci fu qualche istante di silenzio e -
« Wakatoshi, perché ci stai mettendo tutto questo tempo per preparare una tisana? Non è che - » Satori entrò in cucina e si interruppe.
Il suo sguardo perennemente assonnato si spostò prima su Tooru, poi su Wakatoshi.
« Ho interrotto qualcosa? » Domandò. La sua voce pareva fredda.
« No, ho finito il mio latte e me ne torno a dormire »
Intervenne immediatamente Tooru, alzandosi in piedi con la tazza in mano.
Non voleva finire invischiato in quella situazione assurda di gelosia.
Non ce l'avrebbe fatta.
Raggiunse il lavabo, passando accanto a Wakatoshi, tanto vicino a lui come non lo era dal quel giorno, quando aveva provato comunque - contro ogni buon senso - a convincerlo a restare. E a rinunciare ai suoi sogni di avere una famiglia, un giorno.
Era stato egoista.
Lasciò la tazza nel lavabo pulito, sentendo il suo sguardo intenso addosso, ma non sollevò lo sguardo.
Si affrettò ad allontanarsi.
« Buonanotte » Commentò con voce incolore mentre passava accanto a Satori per uscire dalla cucina con fretta, sentì inevitabilmente il suo sguardo addosso.
Sapeva di dare l'impressione di voler scappare, ma non poteva restare solo con quei due. Era davvero troppo.
Mentre si allontanava nel buio ingresso per raggiungere le scale a chiocciola moderne, sentì le loro voci cominciare ad alzarsi.
I toni farsi più vivaci. Discutevano.
Merda, non voglio essere trascinato in mezzo.
Prese a salire le scale con più fretta.


Per il resto della notte non dormì.
Rimase steso nel letto ad osservare il volto imbronciato di Hajime, dopo avergli sistemato il piumone addosso.
Era un gesto che faceva spesso per Wakatoshi.
Non si era mai reso conto di quanto gli fosse mancato.


 
***


Tooru era nella merda. Letteralmente.
Imprecò a denti stretti osservando la pila fumante di letame che lo avevano mandato a spalare vicino ai campi. Gli facevano male le braccia solo a guardare.
Inoltre, la puzza lo avrebbe fatto vomitare prima di pranzo, ed era una brutta cosa, perché non aveva nemmeno fatto colazione.
Fingendo di aver dormito benissimo, si era alzato con un sorriso smagliante e Nana ne aveva approfittato per metterlo subito al lavoro. Così aveva raccolto le uova nel pollaio in compagnia di Shouyou e Ayako, facendosi inseguire malamente dal gallo impazzito mentre Hajime rideva riprendendolo con il cellulare. Poi aveva aiutato a mungere le mucche, ma si era arreso dopo qualche palpatina a quelle mammelle spaventose, di conseguenza, si era spruzzato del latte in faccia e sugli stivali di gomma.
Koushi, che era con lui, aveva riso.
E anche Daichi e Tobio, ma l'ultimo si era beccato uno scappellotto dietro la nuca.
E infine quello: il letame.
Tooru era stanco. Molto stanco.
Fissò la carriola sudicia, le mosche che ronzavano e ripensò alla propria esistenza.
Era andato a passare il ponte di ferie alla fattoria per distrarsi, rilassarsi e invece ...
« Usa questo » Si voltò di scatto, sorpreso.
Wakatoshi era dietro di lui e gli porgeva un fazzolettino immacolato. Stringeva in mano una pala come la sua, indossava stilavi di gomma e un giaccone pesante per il freddo.
Quella notte aveva fatto la brina sul terreno.
Tooru sollevò un sopracciglio.
« Nana mi ha spedito a darti una mano »
Lo informò con voce monocorde.
Fantastico, pensò con voce piena di acido.
Si domandava che cosa ne pensasse Satori dopo la notte precedente.
« Grazie » Disse invece, prendendo il fazzoletto per legarselo attorno a naso e bocca come aveva fatto Wakatoshi.
Non indugiò oltre e cominciò a spalare con foga, lui lo seguì a ruota.
Lavorarono alacremente per una buona mezz'ora, poi Tooru cominciò a stancarsi.
Guardò Wakatoshi, perfettamente tranquillo.
Avete litigato per colpa mia ieri sera?
La domanda gli pungeva la lingua.
Doveva averla pensata forse con troppa forza, perché Wakatoshi lo guardò.
Distolse lo sguardo, lasciando cadere il letame nella carriola piena per la terza volta.
« Non finisce mai » Si lamentò, osservando la pila ancora consistente.
Era sicuro di non profumare come suo solito.
E con il fazzoletto andava meglio, ma ...
« Ne avremo fino ad ora di pranzo » Lo informò Wakatoshi. Tooru lo sapeva già.
« Sono stanco » Si lamentò ugualmente.
Strinse le mani attorno alla carriola per portarla via, quando Wakatoshi gli si avvicinò.
« Faccio io questa volta » Le loro braccia si toccarono, e così anche le mani guantate.
Tooru lasciò subito andare la presa e fece un passo indietro, a disagio.
Wakatoshi non disse niente e si allontanò.
Tooru tornò alla pila di letame e continuò a spalare, riempiendo una seconda carriola più piccola che avevano recuperato dal fienile.
« Attento! » L'avvertimento arrivò alle sue spalle, inaspettato.
Si voltò di scatto, in tempo per vedere Wakatoshi lasciare andare la carriola svuotata in mezzo alla strada sterrata e fare uno scatto atletico verso di lui.
Lo afferrò per la collottola del giaccone, ma troppo tardi, la pila di letame oscillò e li travolse. Tooru aveva scavato troppo sotto.
Si ritrovò schiacciato per un momento, steso dritto sul petto di Wakatoshi, stordito.
Quando realizzò quanto appena successo inorridì e si tirò a sedere di scatto, ma era troppo tardi. Erano sudici, entrambi.
E lui stava letteralmente per vomitare. Rabbrividì e scrollò le braccia.
« Siamo ricoperti di merda! » Strillò, agitato.
Nel frattempo, Wakatoshi si mise a sedere.
E inaspettatamente, scoppiò a ridere.
Tooru lo fulminò con lo sguardo.
« Wakatoshi! » Esclamò, colpendolo sul braccio con una manata, come era solito fare quando l'altro lo prendeva in giro in quel modo.
« Almeno non ci è andata in bocca » Fu il suo unico commento composto, indicando i fazzoletti luridi che ancora avevano sulla faccia.
Wakatoshi sorrise, Tooru se ne accorse perché abbassò l'indumento, mostrando la faccia mezza pulita e mezza sporca.
A quel punto non resistette, rise anche lui.
« Che situazione ... »
« ... di merda? » Lo aiutò Wakatoshi.
E lui rise più forte, abbassando a sua volta il fazzoletto. Gli era passata la nausea.
Si guardarono.
E senza rendersene conto, mosso forse dall'abitudine, allungò una mano guantata e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
« I tuoi bei capelli, che disastro ... » Mormorò distrattamente, cercando di pulirli alla bell e meglio. Incrociò gli occhi di Wakatoshi e allora si rese finalmente conto di quello che stava facendo. Merda, pensò, ritraendo la mano di scatto.
Il cuore cominciò a battergli nel petto impazzito, alimentato dalla vergogna.
« Scusa, questo - no ... » Impallidì.
Si voltò, chiudendo gli occhi qualche secondo per maledirsi, ma prima che potesse alzarsi un braccio lo avvolse.
Wakatoshi appoggiò la fronte sulla sua schiena e Tooru ne sentì tutto il peso.
Sentì la forza del suo braccio attorno allo stomaco, la presa salda della sua mano sul fianco, il suo respiro regolare e il suo calore.
Nelle notti di inverno, di quelle fredde, dormivano in quel modo nel loro letto.
« Vorrei ancora che tu cambiassi idea »
Tooru sentì immediatamente le lacrime montare, si morse il labbro inferiore.
Sentiva che Wakatoshi avrebbe voluto aggiungere altro, ma se avesse ceduto in quel momento ... non poteva permetterglielo.
« Questo non è giusto » Disse allora con foga, liberandosi dal suo abbraccio « Non è giusto nei confronti di Satori » Era solo un momento di debolezza.
La tentazione di volerci riprovare, quando non sarebbe cambiato niente.
Avevano già tentato. Tooru avrebbe continuato a desiderare una relazione priva di vincoli, Wakatoshi a volere una famiglia. Anche andarsi incontro non era servito.
Nessuno dei due sarebbe mai stato felice.
Tooru si alzò in piedi e prese a camminare con passo veloce, allontanandosi dai campi, senza guardarsi indietro. Non sarebbe stato in grado di andare via se lo avesse fatto.


« Ehi Tooru, che hai combinato?! »
Lo chiamò a gran voce Hajime quando raggiunse il cortile del cottage.
Alcuni di loro stavano raccogliendo delle zucche bellissime dal campo vicino ed erano affaccendati ad accatastarle, altri invece se ne stavano seduti ai tavoli ad intagliarle.
Servivano per addobbare lo stand durante la fiera che si sarebbe tenuta la sera successiva in paese, la notte del 31 Ottobre.
Tooru non si fermò, proseguendo dritto.
« Tu e Wakatoshi vi siete rotolati selvaggiamente nel letame? »
Arrivò la battuta di Takahiro, agghiacciante.
Lo stesso interprete si rese conto troppo tardi della gaffe.
Satori stava intagliando una zucca e aveva sentito tutto.
Cadde un silenzio pesante e teso.
« Ci è caduto addosso, grazie »
Fu il suo commento acido e infastidito, un tentativo di ignorare la battuta.
« Devo levarmi questa roba di dosso. Ora! »
Issei scoppiò a ridere, per stemperare un po' la situazione, e anche gli altri lo imitarono.
« Peccato non aver fatto un video » Commentò Hajime, sghignazzando.
Tooru gli puntò un dito contro mentre si sfilava gli stivali di gomma sulla soglia di casa per non sporcare dentro.
« Ti stai divertendo un po' troppo, tu! »
Lo minacciò, lasciando le scarpe fuori, sul vialetto ricoperto di foglie autunnali.
« Quando ti sei ripulito vieni ad intagliare le zucche! » Lo istruì invece Nana, divertita.
« Si, vieni Tooru! » Esclamò Shouyou dandole man forte.
Lui era troppo di cattivo umore per quello.
« Si, vediamo » Brontolò. Poi entrò in casa di corsa.
Prima che riuscisse a raggiungere le scale qualcuno gli strinse un polso, senza preoccuparsi che potesse essere sporco.
Spaventato dalla prospettiva che potesse trattarsi di Satori - intenzionato ad un confronto - si voltò di scatto, i nervi tesi a mille. Ma era solamente Hajime.
« Ohi, ma che ti prende? » Sbottò l'amico.
Tooru sospirò e chiuse gli occhi.
« Niente » Mormorò.
« Ehi, mica tu e Wakatoshi avete davvero … »
Aprì gli occhi di scatto e divincolò il polso dalla stretta ferrea di Hajime, che lo guardava con una strana espressione preoccupata. Una certa urgenza nella voce.
« No, cielo Hajime. Certo che no! » Sbottò.
Voleva muoversi a fare quella doccia.
Era totalmente sporco di merda di mucca.
« Non siete ... »
« No, non siamo ... niente! Lui è fidanzato, diamine. E io ... io voglio farmi questa cavolo di doccia, se non ti spiace! »
Lo aggredì, per poi pentirsi subito di quello scatto improvviso di mancata pazienza.
Hajime annuì, abbassando lo sguardo.
Tooru si sentì immediatamente in colpa.
« Va, scusa » Gli disse l'amico infilando le mani nelle tasche della giacca pesante.
Tooru esitò un istante ma, non sapendo bene che cosa dirgli, rimase in silenzio.
Poi salì le scale.


Hajime lo osservò sparire oltre la curva.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi:
« Sei ridicolo, cugino »
Saltò dallo spavento quando quella voce sussurrò a pochi millimetri dal suo orecchio.
« Ayako, cazzo! » Strillò, grattandosi il lobo mente si allontanava da lei infastidito « Da quanto sei qui a spiare?! »
Ayako rise birichina, nascondendo le mani intrecciate dietro la schiena.
« Da abbastanza tempo » Replicò. Il che voleva dire fin dal principio.
Hajime sospirò, grattandosi la nuca. Sua cugina aveva dieci anni meno di lui - venti - ed erano cresciuti più come fratello e sorella.
« Quando glielo dirai? » Domandò lei oscillando sul posto.
Hajime aggrottò le sopracciglia, rivolgendole un'occhiata di puro sospetto.
« Dire cosa e a chi? » Domandò con cautela.
Ayaka si fece vicina e mise una mano davanti alla bocca, come se volesse raccontargli un segreto. Hajime alzò gli occhi al cielo - non erano più due bambini - ma si avvicinò.
« A Tooru, che lo ami tipo da ... sempre? »
Bisbigliò lei, e Hajime fece uno scatto indietro. La fissò con espressione sorpresa.
« No! Come ti viene che - ma tu - come ... come cavolo lo sai? » Sbottò alla fine.
Era sicuro di essere arrossito malamente. Ma con Ayaka era inutile mentire, altrimenti gli avrebbe dato il tormento fino alla morte.
Lei ridacchiò, palesemente soddisfatta di sé.
« Si vede, idiota. Inoltre, io ti conosco meglio di chiunque altro. Non lo dimenticare »
Hajime alzò gli occhi al cielo di fronte quel tono di voce così saccente e sicuro.
Anche se era la verità. Si grattò la nuca e tornò a fissare le scale a chiocciola.
« Va bene così. Tooru non - non potrebbe accettarlo ora come ora » Sospirò.
« Ti sei sentito sollevato quando ha detto che tra lui e Wakatoshi non era successo niente, vero? » Bisbigliò Ayaka, che nel frattempo gli si era avvicinata.
Hajime distolse lo sguardo dalle scale per concentrarlo su di lei. Fece un altro sospiro.
« Non sai quanto » Confessò « Il che è da stronzi. Perché sono entrambi miei amici. Stanno soffrendo e io - io faccio il coglione che spera di ottenere qualcosa da tutta questa storia oltraggiosa e ridicola »
Tornò a grattarsi la nuca, frustrato e stanco.
Aveva sopportato molte cose in silenzio nel corso di quei cinque anni.
Dopotutto, non aveva mai avuto il coraggio di dire a Tooru quello che provava, anche quando ne aveva avuto la possibilità, alla fine del liceo. Era stato lui a spingerlo verso Wakatoshi, e considerata come era andata a finire ... si sentiva idiota anche per quello.
E forse ormai era davvero troppo tardi. Ayako gli diede un colpetto dietro la schiena.
« Non demordere, cugino. Tooru ha solo bisogno di un po' di tempo, tutto qui »
« Si ... ma temo che anche se dovesse succedere un miracolo ... lui non potrebbe mai amarmi allo stesso modo » Forse quella era la paura che lo frenava di più.
Era strano confidarla ad una ragazzina.
« Certo che no, Hajime! » Affermò, scocciata. Lui la fissò basito, allibito.
Ayako sospirò di fronte la sua espressione.
« Ogni forma di amore è diversa, troglodita. Tooru ti amerebbe in modo diverso perché ... tu sei diverso » Alzò gli occhi al cielo « Idiota che non sei altro »
Hajime la fulminò con lo sguardo. Anche se le sue parole avevano senso.
« E se lui non ... non volesse andare avanti, o non ci riuscisse? Perdere anche me per lui forse sarebbe ... troppo » Ayako gli diede un'altra pacca sulla spalla, più forte questa volta, come se volesse fargli male intenzionalmente.
« Non ci hai nemmeno provato e hai tutto il tempo e la pazienza per farlo! Inoltre ... quando dicono che il tempo guarisce ogni ferita, è vero. O quanto meno, subentra la rassegnazione, i sentimenti cambiano e noi ... semplicemente andiamo avanti » Lo guardò « Credo sia anche istinto di sopravvivenza, in un certo senso »
Hajime la guardò per qualche secondo, poi accennò un sorriso sghembo divertito.
« Sei saggia » La prese in giro, passandole una mano nella matassa di capelli neri.
Lei gli scacciò via la mano infastidita.
« Te ne rendi conto solo adesso? Tooru ha ragione, sei solamente un bruto! »
Hajime rise mentre la sentiva borbottare.
Tornò a fissare le scale. Aveva così tanti dubbi su quello che sarebbe potuto succedere se le cose tra lui e Tooru in futuro ... ma scosse la testa.
Un passo alla volta, si disse.


Sotto la doccia, nel frattempo, con l'acqua bollente che cadeva copiosa sulla pelle ustionata e arrossata per essere stata strofinata con foga, Tooru rimase con la fronte appoggiata alle mattonelle umide.
Vorrei ancora che tu cambiassi idea.
Forse Wakatoshi non era andato molto più lontano di lui dopotutto.


***


Tooru non scese mai ad intagliare le zucche.
Si addormentò sul letto, rilassato dalla doccia calda e stanco dalla notte insonne e dal pesante lavoro fisico a cui non era abituato.
A svegliarlo fu Hajime.
Quando aprì gli occhi assonnati, lo trovò inginocchiato davanti al letto che gli stava accarezzando i capelli scombinati.
Sbatté le palpebre, chiedendosi se se lo stesse solamente immaginando. Non era così.
« La cena è pronta. Hai dormito saltando il pranzo, sai? » Tooru sbatté le palpebre.
Si rese conto che la stanza era in penombra, e il cielo fuori la finestra scuro.
Quando si era steso per un momento sul letto, era sicuro ci fosse il sole fuori.
Si mosse leggermente, rendendosi conto di essere avvolto da un piumino caldo.
« Te l'ho messo io addosso »
Gli spiegò Hajime, smettendo di accarezzargli i capelli.
Era ancora un gesto strano. Hajime non era affettuoso, solitamente.
« Avevi ancora i capelli un po' umidi quando ti ho trovato addormentato »
Tooru annuì leggermente, strofinandosi il volto.
Si sentiva ancora assonnato e stordito.
« Non hai dormito stanotte, vero? »
La domanda di Hajime lo costrinse a guardarlo di nuovo negli occhi.
« Avrei dovuto saperlo. Non riesci mai a dormire la prima notte a casa di estranei, scusa » Tooru scosse la testa, fissando Hajime come se lo stesse vedendo per la prima volta, e non lo conoscesse da quando avevano quattro anni o giù di lì.
« Non è colpa tua, sai? » Gli disse con voce ancora roca di sonno, mettendosi a sedere.
Il freddo della notte gli morse subito il corpo.
Si strinse nella tuta pesante.
Hajime lo fissò per qualche secondo, poi gli arruffò i capelli e si tirò in piedi, scappando al suo sguardo perplesso e interrogativo.
« Andiamo a cena, avrai fame » E in effetti, ne aveva parecchia.
Niente colazione o pranzo ... sarebbe svenuto molto presto. Ne era certo.
Così trascinò i piedi foderati di calzettoni sul pavimento e si mise a sedere sul bordo del letto. A quel punto Hajime gli porse una mano. Tooru la guardò per un istante.
Poi guardò lui.
« Forza » La prese con fiducia.




« Ayako diventerà una cantante famosa »
L'esclamazione di Nana risuonò traboccante di orgoglio davanti al fuoco scoppiettante del falò, attorno cui si erano riuniti dopo cena.
« Non imbarazzarmi, nonna! »
Replicò la diretta interessata stretta alla sua chitarra acustica.
Tooru sorrise, stringendosi nel pesante cardigan di lana che Hajime, seduto accanto a lui sul tronco spesso, gli aveva avvolto attorno alle spalle.
« Suonaci qualcosa, dai, mentre le castagne si abbrustoliscono per bene! »
La incitò Takahiro, chino davanti al fuoco a scuotere i vassoi di metallo pieni di caldarroste. Era una bella atmosfera, calda e amichevole.
E loro se ne stavano seduti stretti in cerchio, abbastanza vicini da sembrare un bel gruppo assortito e compatto. Tooru si sentiva anche più tranquillo, rilassato.
Dormire gli aveva fatto bene, inoltre presto sarebbe stato un giorno nuovo.
E ogni giorno era diverso dal precedente.
Ayaka si sistemò la chitarra addosso, cominciando a pizzicarne le corde.
Istantaneamente, come se fosse stato un richiamo degli angeli, tutti si fecero attenti e zitti, l'unico rumore era prodotto dal crepitare vivo del fuoco.
« It's kinda hard waking up in the morning without you » Cominciò a cantare con un tono graffiante e intenso, Tooru sentì un lungo brivido dietro la schiena, come il preannuncio di qualcosa « When I reach over and realize it's over, I just let the memories wash over me, through me and out of me »
Arrivò come un vero pugno nello stomaco.
Con lo sguardo perso nelle fiamme scoppiettanti, ripensò alle mattine che si era svegliato in quel letto troppo grande e aveva allungato una mano nel vuoto.
Strinse inconsciamente le ginocchia al petto.
« But they're still on the sheets and they stay there so I lay there with you »
E le ore passate steso senza sapere che cosa farsene del suo corpo. Della sua vita.
Perché in quelle lenzuola sembravano raccogliersi tutti i ricordi.
« Even though we didn't work it's always love, always love » Inevitabilmente spostò lo sguardo lì dove non lo aveva posato intenzionalmente per il resto della serata.
Incrociò subito lo sguardo di Wakatoshi.
Ed era strano, guardarsi in quel modo mentre Satori se ne stava seduto tra le sue gambe e lui lo stringeva forte con le braccia.
Era un controsenso, ed era ... terribile. Ma era così vero.
« And even though we hurt each other more than once it was love, always love »
Si guardavano negli occhi e Ayako sembrava parlare al posto loro, muti e incatenati.
Ed era così ingiusta l'inevitabilità di quel finale: si amavano, ancora, ma stare insieme non avrebbe fatto altro che ucciderli piano.
Era ancora amore. E lo sapevano tutti.
Tooru non ascoltò il resto della canzone, l'ultima nota vibrante, non si rese conto dei secondi di silenzio che avevano seguito l'esibizione, né di come tutti si fossero inconsciamente avvicinati - Shouyou abbracciato a Tobio, Koushi e Daichi che si tenevano per mano, perfino Issei e Takahiro con i mignoli intrecciati - non si rese nemmeno conto di quando si mossero.
Rimase fermo a fissare Wakatoshi attraverso il fuoco, seduto sul tronco e stretto nel suo cardigan pesante. E una lacrima gli cadde sulla guancia, una sola, veloce.
« Tooru, ehi, Tooru! » Voltò lentamente la testa alla volta di Hajime, passandosi in tempo la mano sulla guancia.
Lui gli teneva il braccio con una mano.
« Cosa? » Chiese, poi si accorse del silenzio.
Lo stavano fissando tutti, in attesa.
« Le castagne » Intervenne Shouyou con voce esitante, mostrandogli un involucro di carta arrotolato in un cono perfetto pieno di caldarroste ancora ustionanti « Ne vuoi? » Merda, pensò. Si era tanto estraniato da perdersi un pezzo intero di conversazione.
Non aveva nemmeno fatto i complimenti ad Ayaka. Una bella figura del cavolo.
Scosse la testa, soffocando il nodo che aveva in gola.
« No, grazie. Sono stanco e andrei a riposare se non vi dispiace »
Annunciò invece a voce alta e spensierata, alzandosi in piedi.
Hajime gli lasciò andare il braccio.
« Ma hai dormito tutta - »
« Buonanotte! » Si affrettò a dire con voce giuliva, sovrastando la protesta del suo migliore amico. E senza aspettare una parola di congedo cominciò ad andare via.
Il suo passo era svelto, forse troppo, ma fece appena in tempo a chiudersi la porta alle spalle che cominciò a respirare male. Si portò una mano sul petto e strinse, lasciando che le lacrime trovassero la strada per uscire.
Cominciò con un singhiozzo strozzato, poi un altro e infine si morse il labbro inferiore, sfogando quello che aveva accumulato nel petto in quei due giorni.
« Tooru ... » Mormorò una voce alle sue spalle, e lui si voltò di scatto.
Riconobbe Hajime, che lo fissava allibito.
Lo aveva seguito, probabilmente. Si asciugò di fretta il viso, come a voler cancellare qualcosa di sorprendentemente evidente, ma alla fine si arrese.
Guardando il suo migliore amico negli occhi si arrese, allungò le mani verso di lui e gli artigliò la felpa, chinando la fronte in avanti.
« Sono un bugiardo, Hajime. Il bugiardo più grande del mondo » La voce era strozzata.
E le lacrime cadevano sul pavimento di legno seguendo la curva del suo naso perfetto.
La stretta sulla felpa era dolorosa.
« Non mi è passata per niente. Sono ancora fermo lì, allo stesso punto e - » Rischiò di soffocare « - e - e non riesco a sopportare l'idea che stia con un'altra persona! Perché ci amiamo, ed è così ingiusto che - cazzo »
Non lo aveva mai ancora ammesso ad alta voce. Che non era andato avanti.
Che quell'anno aveva solo mentito a tutti.
Che si era mosso per inerzia e lo aveva capito solamente in quel momento.
« Tooru » Commentò Hajime, prendendogli i polsi. Liberò la felpa dalla sua stretta e lo aiutò a mettersi seduto sui primi gradini di un rialzo del pavimento, poi si accovacciò davanti a lui, continuando a tenergli le mani.
« Scusami, Tooru » Gli disse, a voce bassa.
E quello riuscì a farlo smettere di soffocare nel suo stesso pianto disperato.
« Ma Hajime, non è - »
« Non ho capito che stavi ancora così male. Se fossi stato un po' più attento ... non avrei insistito tanto a farti venire » Era strana la voce di Hajime, Tooru lo guardò negli occhi, erano verdi e limpidi come sempre.
« Non credi che io sia una persona orribile a desiderare di stare ancora con lui? »
La voce gli si incrinò di nuovo.
Hajime scosse la testa, subito, convinto.
« No, certo che no. Non vi siete lasciati perché il vostro amore era finito, questo rende la cosa ancora più difficile » Parlavano a voce bassa, anche se nel cottage non c'era nessuno, ed erano tutti fuori attorno al falò a mangiare le castagne e divertirsi.
Tooru osservò le sue mani in quelle di Hajime.
Erano affusolate, morbide, al contrario di quelle dell'altro, ruvide e venose.
« Wakatoshi mi ama ancora » Mormorò.
« Certo che ti ama ancora » Gli diede man forte Hajime « Vorrà bene a Satori, ma tu sei tu, Tooru » Ed ancora una volta il suo tono era strano « Ti amerà per sempre »
Hajime prese ad accarezzargli le nocche.
Come tu amerai lui per sempre.
Parole sottintese. Tooru annuì.
« So che non è giusto nei confronti di Satori, ma io - io voglio tornare con lui - io - »
« Tooru » Il suo nome fu pronunciato con gentilezza, una cosa inedita da parte del suo migliore amico. Lui scosse la testa, ostinato.
« - posso mettere da parte i miei desideri. Lo posso fare! Lo sposerò e poi potremmo - »
« Tooru, basta » Cadde il silenzio.
Hajime non aveva nemmeno urlato o alzato la voce, aveva solamente detto due parole.
Tornò a guardarlo negli occhi, anche se non voleva davvero farlo.
« Sarebbe una vita miserevole, per entrambi. E lo sai. Ti sentiresti soffocare, poi cominceresti ad odiarlo e alla fine ... »
Hajime aveva ragione. Sarebbe andata a finire esattamente così.
« Wakatoshi mi ha confidato una cosa » Mormorò l'altro, continuando a tenergli le mani con forza « Forse avrei dovuto dirtelo prima ma ... non importa. Quando mi ha raccontato di Satori - una sera che siamo andati a bere una birra insieme - lui ... »
Hajime sospirò, come se stesse tentando di trovare le parole adatte « Non se la stava passando molto bene, Tooru. Gli mancavi, e ti voleva indietro e si stava sforzando »
Proprio come te. Ma non lo disse.
« Mi ha detto che Satori era il suo modo di andare avanti. Di mettersi un freno »
Tooru sentì le lacrime tornare e non voleva.
« Gli vuole bene e forse lo ama, in modo diverso ... » Hajime qui fece una faccia strana, sorrise amareggiato « Perché sa, nel profondo del suo cuore, che può dargli esattamente quello che desidera. Che loro due la vedono allo stesso modo »
Mentre per me non è affatto così.
Anche quello non venne detto. Silenzio.
« Ma non è facile, Tooru, lasciare andare. Nemmeno per lui »
Vorrei ancora che tu cambiassi idea.
Comprese in quel momento che Wakatoshi si era lasciato andare alla debolezza nel letame. Che forse non avrebbe voluto farlo.
Tooru lo aveva fermato prima che potesse dirglielo.
Vorrei ancora che tu cambiassi idea, ma non saremmo mai felici.
Perciò devi lasciarmi andare.
Probabilmente avrebbe voluto dirgli qualcosa del genere e lui lo aveva interrotto.
Wakatoshi voleva chiedergli di lasciare la presa per sempre e lui ...
« Ma è così difficile Hajime » Mormorò.
La consapevolezza che lo torturava.
La presa sulle sue mani si fece più forte.
« Lo so. Ma Tooru, a volte, il più grande atto di amore che una persona possa fare nei confronti di un'altra è lasciare andare » Hajime si fece un po' più vicino e nel buio della stanza i suoi occhi verdi erano come un faro nella notte.
A Tooru tornarono in mente tutte le volte che da bambini si erano trovati nella stessa posizione, lui a piangere e Hajime dalla sua parte, con pazienza infinita.
« Ci vuole coraggio. E sarà dura e farà male, ma come per ogni cosa ... passerà »
E resterà sempre l'amore.
Rimasero in silenzio per qualche minuto.
Tooru sentiva il volto umido e freddo, avrebbe voluto asciugarselo - gli colava anche il naso - ma non voleva lasciare le mani di Hajime.
Erano calde e salde, familiari. Sicure.
« Voglio che Wakatoshi sia felice » Disse.
Hajime annuì, accennando un sorriso triste.


E anche se insieme non abbiamo funzionato, diceva la canzone, è amore, sempre amore.


Anche lasciare andare qualcuno per il proprio bene era amore.
Tooru lo aveva capito.
E aveva lasciato andare.





 
For all those times that we locked eyes
When I was yours and you were mine
It's always love, always love


( Always Love - Lauren Jauregui )

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Capitolo 24
*** 24. Come, Wake me Up - Prima Parte ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Supernatural

N° parole: 14.670

Note: it’s been 84 years ma eccoci qui. Questo prompt l’ho dovuto dividere in due parti (ahimè), perché me la sono presa comoda e non ho il dono della sintesi (purtroppo). Qui mi sa che devo far valere l’avvertimento OOC che ho inserito nella descrizione della storia.
Il contesto è totalmente americano (USA) e ve ne renderete conto. Potrebbe essere tutto molto interessante, come estremamente noioso … a me piace parecchio, e non mi piace mai niente di quello che scrivo xD quindi questo potrebbe essere un male … nel caso, buona lettura!
La seconda parte arriva tra tre/quattro giorni ;)





 
Come, Wake me Up


- Prima Parte -




 
But we're running out of time
Oh, all the echoes in my mind cry
There's blood on your lies




All'età di sette anni, Tooru era stato attaccato da un lupo.
Non lo ricordava molto bene. L'evento era fatto di tanti ricordi confusi.
Era nel giardino di casa, sul retro. Stava facendo un pupazzo di neve con Hajime.
La carota aveva una forma strana. Ridevano. Indossava un cappello arancione, il suo preferito. E il cielo era bianco, come l'aria.
Un dolore lancinante alla caviglia.
Hajime aveva urlato.
La neve fredda sulla faccia, nei vestiti.
Un rombo assordante nelle orecchie, come il motore di una macchina che ronzava.
Qualcosa di arancione nella neve. Le sue dita che graffiavano, viola dal freddo.
Strisce rosse sotto i suoi vestiti che sembravano papaveri vermigli spuntati dalla neve.
Il legno della staccionata che graffiava la base della schiena.


Erano frammenti, come tanti piccoli flash.


Il lupo era arrivato dal bosco dietro la casa - la avvolgeva totalmente - ma non ricordava esattamente come, né quando. Gli avevano detto che aveva saltato la staccionata - vi era un punto dove era rotta e suo padre non aveva mai tempo di ripararla.
Non aveva ricordi di quel momento.
Gli avevano anche detto che era stato Hajime ad allarmare sua madre.
Era corso dentro casa, piangendo spaventato e disperato.
Jennifer era arrivata correndo con un fucile a pompa tra le mani, ma a quel punto i lupi se ne erano andati. Il branco sparito.
Tooru era nella neve, svenuto, con la caviglia maciullata e una pozza di sangue sotto di sé.
Quello glielo avevano raccontato, ovviamente.


Era seguito il periodo in ospedale.
Il dolore, gli antidolorifici, i test per la rabbia. Non l'aveva contratta, ma quel lupo poteva esserne affetto, perché di solito non succedevano aggressioni di quel tipo dalle loro parti.
Ci erano abituati ai lupi, era zona.
Poi la terapia con lo psicologo, Mr Mizoguchi, un altro giappo-americano come lui, di modo che si potesse sentire a proprio agio. Tooru in realtà assomigliava di più a sua madre - come sua sorella maggiore - e non aveva mai sofferto di episodi di razzismo o si era sentito dilaniato dall'appartenenza a due culture diverse.


Aveva sette anni e quello avrebbe dovuto essere un trauma per lui. E forse lo era.
Lo era in un modo che non riusciva a vedere.
Ma di quel periodo in ospedale ricordava alcune cose, e non erano negative: il posto gli piaceva, era colorato e pieno di giocattoli, gli altri bambini lo trattavano con rispetto.
Hajime lo andava a trovare tutti i pomeriggi e giocavano insieme a Uno o con i dinosauri.
Mr Mizoguchi era simpatico e gli dava sempre qualche caramella durante le sedute.
Inoltre, sua nonna materna era ricoverata lì da qualche mese, nel reparto di oncologia.
Linda Meyer, una donna ossuta e forte, che profumava di boschi e camino, che gli faceva sempre l'occhiolino come se condividessero un segreto e gli aveva regalato una vecchia collana con un lupo di legno intagliato a metà busto, di profilo, che ululava alla luna.
Non devi aver paura dei lupi, Tooru. Non possono farti del male, perché tu sei speciale.
Gli diceva sempre ogni volta che la andava a trovare nella sua stanza d'ospedale, che a Tooru piaceva perché affacciava su una distesa di foglie colorate d'autunno e di neve d'inverno: direttamente sul bosco selvaggio.
La nonna era seduta sempre su una poltrona reclinabile, rivolta verso la vetrata chiusa, una coperta sulle gambe e lo sguardo distante.
Non ho paura di loro, rispondeva lui.
Ed era vero. Non aveva paura, nonostante l'aggressione. Nonostante gli adulti si aspettassero il contrario o sospettassero che avrebbe iniziato a dare di matto all'improvviso.
Che avesse sepolto il trauma dentro di sé e che sarebbe venuto fuori nel modo più inaspettato, con una crisi, magari.
Linda Meyer sorrideva e gli metteva una mano sulla testa, accarezzandolo.
Bene, bene, diceva soddisfatta.
E poi tornava a guardare fuori, come se si aspettasse di vedere qualcuno spuntare dai boschi. Non succedeva mai.


Era morta qualche mese dopo, quando Tooru era già tornato a casa, ma continuava ad andare settimanalmente da Mr Mizoguchi.


Le sedute con lui erano durate fino ai dieci anni. Tooru non credeva di averne bisogno, ma era divertente, tutto sommato, parlare con qualcuno di qualsiasi cosa gli passasse per la testa senza essere giudicato. Era un bambino molto intelligente.
Vi era solo una cosa che non aveva mai confessato a nessuno, fin dalla primissima volta che gli era stata posta la domanda.
Ricordi come sono andati via i lupi, Tooru?
Mr Mizoguchi aveva una voce morbida e delicata, perfetta per lavorare con i bambini.
La prima volta glielo aveva chiesto mentre stava disegnando, seduto al tavolino per bambini. Tooru lo ricordava ancora vividamente. Lo aveva chiesto a voce bassa e morbida, come se gli stesse confidando un segreto che non avrebbe mai dovuto svelare.
No, era stata la sua risposta immediata.
Mr Mizoguchi non ci aveva creduto e per due anni - aiutato dai suoi genitori - aveva posto quella domanda. Era convinto - e a ragione - che ci fosse una parte di quella storia che Tooru non voleva condividere. O che avesse dimenticato. Un tassello.
Non aveva mai ottenuto una risposta diversa, nemmeno i suoi genitori, e alla fine avevano lasciato perdere. Dimenticando la faccenda.


Tooru ricordava come erano andati via i lupi.


Era il frammento più chiaro di quel giorno.
Il lupo adulto lo aveva trascinato dentro il bosco, mentre lui piangeva chiamando sua madre, le unghie spezzate che scavavano nella neve inutilmente.
La caviglia era in fiamme e denti aguzzi continuavano a scavare nella carne.
Aveva sentito altri ringhi e ululati nella foresta.
Il branco che chiamava l'Alfa.
E poi era successo all'improvviso.
Con la vista appannata di lacrime e dolore, Tooru aveva intravisto qualcosa di bianco come la neve sfrecciare tra gli alberi e saltare sul lupo adulto azzannandolo nella pelliccia.
Il dolore alla caviglia era diminuito di colpo.
Le due creature erano rotolate nella neve, tra gli alberi, lontane da lui.
Tooru non riusciva a muoversi, lo ricordava.
Ricordava la sensazione degli arti paralizzati.
Ma aveva visto, quella cosa bianca spuntata dal nulla era un cucciolo di lupo.
La sua pelliccia era candida come la neve, sembrava morbida. Si era acquattato e aveva ringhiato ferocemente contro il lupo adulto, nonostante fosse solamente un cucciolo.
Tooru lo aveva trovato coraggioso.
Poi aveva perso i sensi per qualche secondo, forse minuto, non ne era sicuro.
Quando aveva riaperto gli occhi a fatica, aveva sentito qualcosa di caldo e umido tra i capelli. Un uggiolio forte gli aveva ferito l'udito. Il cucciolo di lupo era accanto a lui.
Tooru avrebbe voluto accarezzarlo, ricordava. Era accanto a lui e gli picchiava sulla tempia con il muso umido, come se volesse intimarlo ad alzarsi in piedi.
Non ci riesco. Tooru era convinto di aver pronunciato quelle parole a voce alta, ma forse le aveva sussurrate solo nella sua testa.
Il cucciolo di lupo aveva gli occhi grigi.
Tooru ricordava di aver pensato: Che belli.
Poi si era svegliato in ospedale.


Aveva solo sette anni, era un bambino, ma anche allora non aveva raccontato niente.
Era come se sapesse, fin dal principio, che quello fosse un segreto da custodire.
Era suo, e di nessun altro.
O almeno lo era stato, fino a quando non aveva compiuto diciotto anni.


Allora tutto era cambiato.

 

***


La seconda volta che aveva visto il cucciolo di lupo dalla pelliccia candida era autunno.
Era l'autunno dei suoi tredici anni.
Tooru era nel giardino sul retro, ricoperto di foglie colorate, e giocava con Blue - il loro Golden Retriever di famiglia - lanciandogli una pallina di gomma da riportare indietro.
Cominciava a fare freddo.
Tooru indossava una felpa pesante di plaid in cui navigava dentro.
Aveva lanciato la palla verso le zucche ammucchiate accanto alla staccionata nuova - suo padre l'aveva fatta cambiare a seguito dell'aggressione.
Le zucche erano per Halloween.
Sua sorella maggiore, Allison, sarebbe tornata a casa per le feste dall'Università e avevano l'abitudine di intagliarle insieme per addobbare casa. Blue aveva fatto uno scatto per raccogliere la palla, ma poi si era fermato con la coda agitata e aveva ringhiato.
Tooru non aveva capito all'inizio.
Non vedeva niente da quelle parti, non riusciva a capire a che cosa stesse ringhiando il suo cane e aveva sospirato afferrando la mazza da baseball sistemata tra le carriole accanto alla rimessa degli attrezzi. Pensava fosse un procione - ne avevano trovato uno nel motore della macchina l'anno precedente -, oppure uno scoiattolo o addirittura una volpe rossa.
O una faina. Una volta ne aveva vista una.
Si era diretto verso le zucche agitando la mazza nella mano con una rotazione esperta.
Non aveva paura, per quanto assurdo fosse.
Quando era tornato a casa i suoi genitori gli erano stati addosso, così come sua sorella, che aveva solo quattordici anni all'epoca.
Credevano che per lui sarebbe stato difficile rivedere alcuni luoghi, come il giardino sul retro. Si erano aspettati urla notturne dettate dagli incubi. Avevano perfino preso in considerazione l'idea di trasferirsi altrove. Ma nulla di tutto quello era successo.
Tooru era tornato come se nulla fosse stato.
Erano loro ad avere difficoltà con il giardino sul retro, a saltare ad ogni rumore, a seguirlo qualsiasi passo facesse, a scattare nel cuore della notte per controllarlo.
Con il tempo la presa ferrea si era sciolta.
Come per ogni cosa, il ricordo terribile di quel periodo era scivolato nelle incombenze della vita di ogni giorno ed erano andati avanti.
Era per quel motivo che Tooru non aveva dato di matto quando lo aveva visto.
Lì, seduto dritto accanto al cancelletto chiuso. Avrebbe potuto sembrare un cane a prima vista, un husky, ma il colore candido e la forma inconfondibile del muso avevano presto dissipato qualsiasi possibile dubbio.
Come Tooru, il lupo non era più un cucciolo.
Era cresciuto, ma gli occhi ...
Gli occhi erano inconfondibili: grigio tempesta. Era un esemplare bellissimo.
Tooru aveva sentito il battito cardiaco accelerare e non a causa del timore, ma dello stupore.
Si era chiesto spesso che fine avesse fatto quel cucciolo di lupo che aveva osato sfidare l'Alfa del suo branco per aiutarlo. Lo aveva sognato qualche volta, nelle notti di luna piena, quando si svegliava proprio a causa degli ululati con l'affanno.
Ogni volta aveva come la sensazione che qualcuno lo stesse chiamando da lontano.
Ad ogni modo, non era spaventato.
Il lupo lo fissava seduto dritto, la sua espressione fissa, quegli occhi assurdi.
Tooru aveva abbassato la mazza da baseball inconsciamente, trascinandola nelle foglie cadute mentre si avvicinava cauto.
Se sua madre si fosse affacciata in quel momento ... probabilmente avrebbe dato di matto. Tooru non aveva paura, per niente.
Era emozionato e si sentiva fremere dentro.
« Ciao » Aveva sussurrato, raggiungendo il cancelletto chiuso.
Il lupo era rimasto fermo, con la coda che scattava nelle foglie a terra.
Cautamente, gli si era inginocchiato davanti, sporcandosi i jeans stracciati nel terreno.
« Sei tu, vero? » Aveva domandato ancora. Il lupo aveva mosso le orecchie.
Tooru aveva allora allungato una mano, perché voleva toccarlo.
Non appena sollevato l'arto tremante con movimenti lenti e accorti, Blue aveva iniziato ad uggiolare e poi ringhiare nello stesso momento.
« Smettila, Blue! Va dentro »
Lo aveva rimproverato aspramente, per paura che potesse allertare sua madre.
Il Golden Retriever era schizzato dentro casa.
Tooru era tornato a fissare il lupo, che non si era nemmeno messo a ringhiare di rimando.
Si erano guardati negli occhi e aveva provato l'assurda sensazione di avere a che fare con un essere senziente, con una persona. Scuotendo la testa aveva ripreso ad allungare la mano con lentezza, per accarezzarlo, ma a metà strada, impaziente, il lupo aveva chinato la testa e si era spinto in avanti, picchiando il muso umido contro il palmo della sua mano.
Tooru aveva trattenuto il respiro, mentre una scossa gli attraversava il corpo, e poi aveva riso a pieni polmoni quando l'animale gli aveva leccato il palmo, facendogli il solletico.
« Anche io sono contento di rivederti » Il suo era stato un mormorio appena.
Poi aveva girato la mano, affondando le dita nella pelliccia morbida di quella straordinaria creatura. L'aveva accarezzata senza timore.
Il lupo aveva prodotto un ringhio sommesso, come se fosse in preda alle fusa.
« Non ti ho mai ringraziato per quella volta »
Gli aveva afferrato il muso con entrambe le mani e aveva fatto urtare le loro fronti.
Il lupo profumava di bosco e foglie.
« Noi siamo amici, non è vero? » Ovviamente, non aveva ottenuto una risposta verbale, ma la creatura gli aveva picchiato il mento con il muso. Tooru aveva riso.
La sua coda bianca si agitava nella terra.
Poi si era irrigidito e aveva rizzato le orecchie, alzandosi sulle quattro zampe.
« Tooru! » Aveva chiamato sua madre a voce alta, sempre più vicina « Tooru! »
« Adesso va! Non farti trovare qui! » Aveva detto con fare allarmato al lupo bianco.
Lui lo aveva guardato per un istante, poi si era dato alla fuga nel bosco.
Quando sua madre era uscita nel giardino sul retro - un cipiglio nervoso nello sguardo - Tooru era ancora seduto sul terreno sporco con la mazza da baseball accanto.
« Perché non rispondi quando ti chiamo? »
Lo aveva subito rimproverato Jennifer, incrociando le braccia al petto ossuto.
« E che cosa fai per terra? Sei tutto sporco! Blue è arrivato di corsa, uggiolando con la coda tra le zampe, mi ha spaventata » Tooru aveva sospirato, tirandosi in piedi.
Sua madre era troppo apprensiva, aveva pensato con fare del tutto scocciato.
« Pensavo ci fosse un procione, di nuovo » Aveva risposto, facendo strusciare la mazza nel terreno « Blue si è spaventato, sai che è un cane molto fifone »
Jennifer lo aveva fissato negli occhi con un cipiglio severo, come se volesse in qualche modo rivelare quella bugia bella e buona. Ma alla fine aveva ceduto, annuendo.
« Entra in casa, dai » Lo aveva incoraggiato.
Tooru non si era messo a protestare, non voleva tentare oltre la sorte, ma non gli era nemmeno sfuggito lo sguardo che sua madre aveva rivolto al bosco mentre le passava accanto per rientrare in casa di fretta.


Tooru aveva creduto di non rivedere mai più il suo amico lupo.
E per qualche settimana era stato così, poi la creatura era riapparsa.
Ancora e ancora. Ogni tanto. E loro erano diventati buoni amici.
In quel modo erano passati quattro anni.


Tooru non parlò mai con nessuno del lupo bianco.
Per molto, molto tempo.


 
***


« Tooru, sbrigati! »
Alla voce totalmente priva di pazienza di Hajime - che lo chiamava dalla strada - fu accompagnato il bussare violento di un clacson. Tooru era in ritardo e lo sapeva.
Sbirciò ancora una volta oltre la tenda dalla sua camera, ma del lupo non vi era traccia.
« Tooru! » Un'altra bussata.
Sospirò e lasciò la stanza, afferrando la cartella dal bordo della sedia.
La casa era deserta, nonostante fossero solo le sette e mezzo del mattino.
I suoi genitori lavoravano come matti in quel periodo, e non erano mai a casa.
Scese le scale e si fermò a sedere sui gradini del portico, per indossare i pesanti scarponi.
Allacciò in fretta i lacci della scarpa sinistra, poi passò alla destra ed esitò di fronte la pelle cicatrizzata attorno alla caviglia.
Un'altra bussata di clacson e tornò svelto ad allacciare anche la scarpa destra.
Si alzò in piedi di scatto e avvolse la sciarpa arancione di lana attorno al collo, che si impigliò nella collana che gli aveva regalato sua nonna da bambino.
Chiuse casa e si avviò verso il pick-up mezzo rotto che guidava il suo migliore amico tentando di liberare la collana dalla sciarpa.
Hajime lo fissava con espressione truce dal finestrino abbassato.
« Siamo in ritardo, idiota! » Lo aggredì verbalmente, mentre Tooru faceva il giro del pick up color pisello - come gli piaceva chiamarlo - per raggiungere la portiera dal lato del passeggero.
Mentre la apriva per entrare, armeggiando con la sciarpa, il gancetto della collana si ruppe e cadde. Tooru la afferrò al volo, richiudendosi la portiera alle spalle.
« Cazzo! » Mugugnò, osservando il lupo intagliato che ululava alla luna.
Portava quella collana da undici anni e non si era mai rotta prima di allora.
« Perché cazzo ci hai messo tanto? »
Brontolò Hajime ingranando la marcia mentre rientrava in strada senza nemmeno guardare lo specchietto laterale. Tooru osservava il gancio con espressione accigliata.
« Non dirmi che sei rimasto sveglio tutta la notte per via dei compiti di chimica! »
Sospirò e lasciò perdere la collana, osservando gli alberi che si susseguivano veloci fuori dal finestrino, colori autunnali. Tooru non aveva fatto tardi per via dei compiti, o almeno, si era svegliato alle sei nonostante fosse andato a dormire alle due.
Aveva fatto tardi perché si era messo ad aspettare il suo lupo bianco nel giardino sul retro - come nei giorni precedenti - e lui non si era presentato. Lo faceva spesso.
« Si, sono andato a letto tardi e non ho sentito la sveglia » Disse invece « Scusa »
Sentì lo sguardo di Hajime addosso, così si voltò a ricambiarlo, il solito cipiglio.
« Mi dispiace, per quella »
Gli disse, indicandogli la collana con un cenno del mento, mentre tornava a fissare la strada.
Tooru la osservò un'ultima volta, poi la strinse nel pugno della mano screpolata.
« Non importa » Mormorò.
« Era la collana di tua nonna »
« La farò riparare » Replicò di fretta.
Hajime fece un cenno brusco, poi rimasero in silenzio nella macchina per qualche secondo.
Dalle loro case fino a scuola il tragitto era di venti minuti circa. Tooru si sporse verso la radio e la accese, partì immediatamente la voce allegra del commentatore locale, che blaterava dell'arrivo di Halloween. Poi mandarono una canzone.
Lui rimase a fissare gli alberi che passavano sulla strada familiare verso l'Haikyuu High School con la mente ingombra di pensieri.
E nel frattempo, alla radio qualcuno cantava:
I'm running with the wolves tonight
I'm running with the wolves


A Tooru piaceva chimica.
Era una delle sue materie preferite, nonostante fosse il corso dove la gente andava peggio in assoluto. Era il primo della classe, ma non si sforzava per esserlo. Semplicemente capiva.
Adorava anche l'aula dove si teneva la lezione.
Le lavagne appese alla parete, il vecchio proiettore che ricordava i tempi dell'era preistorica, lo scheletro nell'angolo - Jack - a cui avevano messo addosso un completo rigato bianco e nero con un ciondolo di Sandy agganciato alla costola del cuore.
Le file di banconi con provette varie, microscopi e vetrini, la vetrina in fondo a tutto e la vasca di rane sul davanzale della finestra e i cartelloni colorati e gli infissi di legno.
Era un posto familiare e gli piaceva davvero.
Lui e Hajime - che seguivano quella classe insieme - sedevano sempre nella terza fila sulla destra, accanto alla parete con il cartellone colorato della tavola chimica di Mendeleev.
Il professor De Luca - di origini italiane - era un uomo eccentrico e geniale.
Dalla risposta pronta e divertente. La sua lezione era cominciata da qualche minuto quando la porta della classe si aprì nuovamente con una certa forza.
Tooru sollevò la testa dal libro di chimica, come tutto il resto della classe.
« Ah, signor Wakatoshi! Vedo che oggi ci ha fatto la cortesia di unirsi a noi! »
Mr De Luca era appoggiato alla cattedra con le mani intrecciate davanti, usò un tono di voce allegro e volutamente alto. Il ragazzo appena entrato invece, rimase fermo sulla soglia, reggendo la cartella di pezza malconcia sulla spalla sinistra.
Dalla sua espressione non era chiaro cosa stesse pensando, ma sembrava ... stanco.
Aveva l'aspetto di una persona che era stata malata - magari di una brutta influenza - e aveva ancora i postumi ben visibili sul volto.
« È in ritardo » Gli fece notare il docente.
Wakatoshi si strinse nelle spalle.
« Chiedo scusa » Fu la sua unica replica.
Indossava la giacca di pelle nera che rappresentava il suo marchio di fabbrica - Tooru conosceva quel ragazzo perché faceva parte della cosiddetta "élite" scolastica - su una felpa rossa scolorita, un paio di jeans scuri e delle Vans nere un po' vecchie.
« Ha saltato una settimana di lezioni, arriva in ritardo, il suo ultimo compito era un disastro ... devo continuare? » Nella classe cominciarono i bisbigli.
Quella era una ramanzina a tutti gli effetti. Hajime tirò una gomitata a Tooru nel fianco, lui distolse lo sguardo da Wakatoshi per fissarlo con un sopracciglio sollevato.
« Non ti sembra malaticcio? » Gli bisbigliò l'amico, facendosi vicino.
Tooru fece spallucce, tornando a fissare il coetaneo, che rimase zitto sulla soglia.
« Magari ha avuto l'influenza » Mormorò.
Hajime fece un'espressione scettica.
« Si ammala spesso, allora, dato che salta la scuola almeno una settimana al mese »
Tooru non seppe che cosa ribattere.
Hajime aveva ragione, ma per quanto potesse saperne, magari era cagionevole di salute, o forse aveva una qualche malattia o una situazione familiare complicata.
La verità, però, era che Wakatoshi Smith rappresentava un mistero per tutti.
Era popolare a scuola. Giocava nella squadra di basket, era amato dalle cheerleaders e circondato da quella che lui e Hajime avevano ribattezzato come la Banda dei Misteriosi.
Era apprezzato dalle donne - e dagli uomini, per quel che avevano sentito raccontare - ma nessuno lo conosceva davvero. A parte forse quei suoi strambi amici: Satori, Reon ed Eita.
Per quanto riguardava Tooru, invece ... Lui era praticamente nessuno, a scuola.
Faceva parte di quella categoria di ragazzi anonimi, un po' nerd forse, con pochi amici al seguito - sempre nerd - e invisibili. Con Wakatoshi non ci aveva mai parlato, nonostante seguissero insieme molte lezioni. Non era nemmeno sicuro che conoscesse il suo nome, anche se andavano a scuola insieme dalle medie. E non aveva importanza che Tooru avesse una cotta per lui praticamente da sempre - da quando aveva capito il suo orientamento sessuale - perché tutti avevano una cotta per Wakatoshi.
« Non importa » La voce di Mr De Luca li riportò alla scena che avevano davanti.
Il docente sospirò e indicò la classe « Entri » Wakatoshi fece un cenno di ringraziamento con la testa ed entrò, passando in mezzo ai banconi con gli occhi di tutti puntati addosso per andare a sedersi in fondo, solo, senza battere ciglio.
Tooru fece del suo meglio per non fissarlo.
« Torniamo a noi, giovani cervelli dai neuroni ridotti ad amebe a causa del frequente uso di marchingegni infernali conosciuti come smartphone »
Mr De Luca schioccò le dita con violenza, facendoli sobbalzare.
Poi rise della sua battuta - come un narcisista - e si voltò verso la cattedra, su cui aveva posato un plico di fogli quando era entrato.
« Ne distribuisca uno a testa, grazie » Chiese al ragazzo seduto in prima fila.
Quando ricevette il foglio, Tooru lo guardò con una certa curiosità, mentre i suoi compagni di classe iniziavano un brusio di totale disapprovazione e sconforto.
« Esercizi di chimica organica » Lesse Hajime alla sua destra, lamentoso, e per marcare il concetto picchiò la fronte sul bancone bianco. Tooru accennò un sorriso.
« Forza, forza, non cominciamo con le lamentele! » Disse il professore schioccando di nuovo le dita, la voce che sovrastava esperta il brusio senza rasentare le urla.
« Ci sarà un compito simile a sorpresa la prossima settimana ... ops » Mezza classe rise, Tooru accennò un sorriso divertito « Approfittatene per esercitarvi e, meraviglia delle meraviglie, potrete farlo in coppia! » Il professore aprì le braccia in un gesto teatrale - dava davvero l'idea di un mimo - e alcuni ragazzi risero di nuovo.
« Meno male, perché non capisco niente di sta roba »
Mormorò Hajime al suo fianco, palesemente sollevato. Tooru lo guardò.
« Si, dalla F meno sul tuo ultimo compito lo avevo intuito » Gli disse divertito.
Hajime gli rivolse un'occhiataccia, per poi tirargli un calcio sullo stinco.
Tooru imprecò tra i denti.
« Bestia! » Gli soffiò contro, del tutto intenzionato a colpirlo forte sulla spalla.
« Signor Tooru! » Lo chiamò il professore prima che potesse riuscirci, e lui abbassò il braccio di colpo, voltandosi a guardare il professore come se lo avesse colto con le mani nel sacco a fare una marachella.
« Si ... Mr De Luca? » La sua voce suonò un'ottava più alta rispetto al solito.
« Il signor Wakatoshi si siederà accanto a lei per svolgere questi esercizi, è rimasto troppo indietro con il programma e confido nel suo aiuto. Il signor Hajime può lavorare con i suoi compagni del banco dietro! » Tooru battè le palpebre come se fosse diventato improvvisamente stupido, restando a fissare il professore - che era già tornato dietro la cattedra tutto contento - con quel sorriso da idiota freddato sulle labbra.
« Merda » Mormorò Hajime al suo fianco, costringendolo in quel modo a riprendersi.
Il cuore gli batteva in preda all'ansia nel petto.
Ed era una cosa sciocca! Stupida!
« Ti ho detto mille volte di venire a studiare da me il pomeriggio! » Cercò di mostrarsi disinteressato alla faccenda, sereno, mentre il cuore pompava sempre più forte e la voce gli usciva leggermente incrinata e sentiva le guance in fiamme e gli veniva da ridere!
Tutto contemporaneamente.
« Ho il lavoro part-time nel pomeriggio »
Gli ricordò Hajime, mentre raccattava le sue cose dal banco per spostarsi dietro.
Tooru cercò di ignorare i movimenti all'ultimo banco, ma quando sentì una presenza alla sua sinistra fu davvero difficile.
« Ben ti sta, allora! » Berciò alla volta dell'amico, che gli rivolse uno sguardo assassino e lo avrebbe sicuramente colpito da qualche parte - magari dietro la nuca - se non si fosse trovato a scontrarsi dritto con Wakatoshi mentre usciva dal bancone.
« Scusa » Lo sentì dire, con voce monocorde.
Hajime borbottò qualcosa di incomprensibile e passò oltre.
Tooru rimase con lo sguardo fisso sul foglio pieno zeppo di esercizi mentre sentiva Wakatoshi passare dietro la sua schiena reggendo la malconcia cartella di pezza al petto, era alto e grosso e ignorarlo era quasi impossibile. Tooru giocherellò con un angolo del proprio foglio fino a quando l'altro non si mise seduto sullo sgabello al suo fianco.
Ed era strano, perché lì c'era sempre stato Hajime e trovarci un'altra persona era insolito.
Azzardò un'occhiata alla sua destra.
« Ciao » Gli disse Wakatoshi nello stesso momento, perché lo stava fissando.
Aveva la schiena ingobbita e le braccia posate sul bancone accanto al microscopio, il foglio degli esercizi era già tutto stropicciato, ma non aveva nemmeno una penna per scriverci sopra.
« Ciao » Fu la sua risposta appena accennata, accompagnata da un sorriso teso e imbarazzato. Wakatoshi non lo ricambiò. Tooru si sentì uno sciocco.
Spostò nuovamente lo sguardo sul foglio.
« Iniziamo dagli esercizi sugli alogenuri alchilici, cosa ne - » Iniziò, imbarazzato.
« Siamo insieme anche nella classe di letteratura inglese, in trigonometria e in quella di spagnolo » Tooru rimase con la bocca aperta, sorpreso da quella interruzione.
Lo guardò nuovamente e rimase di sasso.
Non aveva mai visto il suo volto tanto da vicino prima di allora - si limitava ad osservarlo da lontano - e provò una stranissima sensazione di dejà vu.
In un primo momento non seppe dirsi perché.
« Si ... » Rispose allora, automaticamente.
Wakatoshi piegò leggermente la testa, in un gesto buffo che a Tooru ricordò il suo cane.
« Dov'è la tua collana? » Anche quella domanda lo stordì.
Un cambio repentino di argomento.
Tooru non aveva nemmeno fatto in tempo a realizzare che Wakatoshi conoscesse esattamente tutte le lezioni che frequentavano insieme, che ecco un'altra cosa di cui rimanere scioccato.
Automaticamente portò la mano al collo, dove custodiva la collana, ma poi ricordò che proprio quella mattina il gancetto si era rotto.
Abbassò le dita prima di arrivare a toccare la pelle calda.
« Hai una collana, no? » Insistette l'altro.
Lui distolse lo sguardo, ma annuì.
« Si, è vero » Mormorò, stordito.
Continuava a domandarsi come ...
« ... fai a saperlo? » E prima se che ne rendesse conto il pensiero gli sfuggì di bocca.
Si morse il labbro inferiore, ma ormai era troppo tardi.
Wakatoshi fece spallucce. Continuava a tenere lo sguardo fisso su di lui, mentre Tooru lo aveva già spostato una decina di volte.
« Ci giochi ogni tanto, a lezione » Confessò, e Tooru sentì le farfalle nello stomaco mentre un pensiero sciocco gli attraversava la mente: Mi osservi, allora?
« Il movimento cattura l'attenzione » Aggiunse Wakatoshi, facendo di nuovo spallucce.
Le farfalle nel suo stomaco morirono miseramente: Ovviamente!
Tooru ingobbì la schiena e fece un sospiro.
« Mi dispiace che ti abbia dato fastidio a lezione con i miei ... movimenti. Non era mia intenzione. Ora, vogliano vedere gli eser- »
« Posso vederla? » Un'altra interruzione, come se non avesse nemmeno parlato.
La cosa cominciava ad irritarlo parecchio. Mise da parte qualsiasi soggezione o infatuazione e si voltò a guardare totalmente Wakatoshi, girando lo sgabello mobile nella sua direzione con tutto il corpo per affrontarlo, ma si paralizzò.
Di nuovo. Perché all'improvviso gli era venuto in mente il motivo per cui aveva avuto quella stranissima sensazione di dejà vu: gli occhi.
Gli occhi di Wakatoshi erano grigi e a lui sembrava di averli già visti da qualche parte.
Il suo lupo. Il lupo bianco, erano uguali.
« Che cosa? » Mormorò allora, con il respiro bloccato in gola.
La sua domanda aveva un'inflessione diversa da quella che avrebbe dovuto avere in risposta a quella di Wakatoshi. Ma l'altro parve non accorgersene.
« La collana. Posso vederla? » Tooru battè le palpebre, lento e stordito.
Smettila, è solo una coincidenza.
Molto romantica, certo, ma pur sempre una coincidenza.
Non fare il ragazzino Tooru! Anche se hai solo diciotto anni!
Si portò una mano alla gola, impacciato, ma di nuovo si fermò prima di toccarsi il collo.
Poi la infilò nella tasca dei jeans scoloriti ed estrasse la collana.
« È - è rotta » Gli disse, facendo oscillare il ciondolo di legno che raffigurava il lupo ululante a metà busto di profilo. Wakatoshi lo osservò con attenzione, prima di tornare a guardare lui senza espressione facciale. Tooru cominciava a pensare che non lo facesse apposta.
« Il che mi dispiace » Cominciò a blaterare quando gli venne da arrossire per quello sguardo fisso addosso « Perché era un regalo di mia nonna, che aveva da quando era ragazza e ha conosciuto mio nonno - che è morto prima che mamma nascesse - e a pensarci bene era stato proprio il nonno a regalargliela! E non si è mai rotta, prima. E lei è morta quando ero piccolo e quindi mi dispiace davvero tantissimo che ... » Oh merda, pensò, vergognandosi violentemente del modo in cui aveva cominciato a perdere il controllo.
« Ed è chiaro che a te non interessi » Concluse mormorando, mortificato a morte.
Per tutta risposta Wakatoshi tese una mano a palmo aperto davanti a lui, come se volesse qualcosa. Tooru lo fissò inebetito.
« Dammela. Proverò ad aggiustarla »
Gli disse, muovendo le dita della mano avanti e indietro per ribadire il gesto.
Tooru sbatté le palpebre e capì che si stava riferendo alla collana della nonna.
Senza capirne il motivo, gliela fece scivolare sul palmo con fiducia.
Wakatoshi si voltò verso il bancone e cominciò ad esaminarla, poi trafficò con la cartella e prese un mazzo di chiavi. Iniziò ad inciarmare con i gancetti vari.
« Dovremmo fare gli esercizi »
Mormorò Tooru, tanto per dire qualcosa, ma ancora una volta non stava davvero ascoltando quello che gli usciva dalla bocca, perché era rapito dai movimenti dell'altro.
« Si, ma non ne sono capace. So che tu mi insegneresti bene, sono io che non capisco proprio. Sono stupido, pazienza. Ti sarei grato se me li facessi tu gli esercizi »
Wakatoshi parlò con una schiettezza disarmante mentre continuava ad armeggiare con la sua collana. Sembrava più portato per le cose manuali di fatto. Tooru però rimase spiazzato, immaginando che il professore non sarebbe stato troppo contento.
« Alla collana serve un gancetto nuovo, posso tenerla? Te la ridò appena pronta »
Gli chiese Wakatoshi proprio mentre si apprestava a svolgere gli esercizi - erano dieci, ma lui ci avrebbe impiegato quindici minuti prendendosela comoda - senza sollevare lo sguardo da quello che stava facendo, qualunque cosa fosse.
« Si, certo » Rispose, tanto comunque avrebbe dovuto portarla a riparare in città.
« Qui, vedi? Si è spezzato il cerchio » Wakatoshi gli fece cenno di avvicinarsi e Tooru lo fece, con la penna in mano ormai senza tappo, pronta per essere usata.
Guardò la parte che il coetaneo gli stava indicando, ma fu un altro dettaglio a cogliere la sua attenzione: l'odore di Wakatoshi. Profumava di ammorbidente per vestiti, dopobarba dolce e bagnoschiuma alla pesca, e fin lì tutto bene, ma sotto, ad uno strato più profondo, Tooru percepì odore di bosco e foglie. Un odore che gli era familiare.
« Ehi, tutto bene? »Gli chiese Wakatoshi. Lo stava fissando con una strana espressione, Tooru comprese che se n'era rimasto zitto troppo a lungo.
« Si, sto bene. Ora faccio gli esercizi »
Rapido, tornò a guardare il compito, cominciando a scriverci sopra automaticamente.
Scosse la testa. Poteva solo esserselo immaginato, ovviamente, o magari Wakatoshi viveva nel bosco, non era una cosa tanto strana, alcune abitazioni si trovavano davvero così isolate.
Tooru scosse la testa di nuovo, doveva concentrarsi sui compiti e lo fece.


Dimenticò presto la storia dell'odore.


 
***


Wakatoshi gli riportò la collana un paio di giorni dopo. Era la pausa pranzo.
Tooru si era messo seduto ai tavoli da pic-nic fuori al cortile interno della scuola, perché faceva freddo, ma non aveva ancora nevicato.
Nel suo vassoio della mensa se ne stava del purè di patate commestibile, un hamburger che forse non avrebbe dovuto mangiare e una mela grossa e rossa, che gli aveva fatto pensare immediatamente a Biancaneve.
Probabilmente piena di steroidi o chissà che.
Stava mettendo in bocca un cucchiaio di purè quando l'altro gli si mise seduto davanti senza complimenti, infilandosi con grazia nella panca. Anche quel giorno, nonostante Novembre fosse alle porte, Wakatoshi indossava la sua giacca di pelle su una maglietta nera a collo alto. Tooru rimase con la bocca aperta, il cucchiaio ad un passo dalle labbra, e nel silenzio totale un pezzo di purè cadde nel piatto con un pomf sonoro.
« Ciao » Lo salutò Wakatoshi, ignorando la cosa. Non si erano né salutati, né parlati dopo la lezione di chimica, quindi Tooru non sapeva davvero come interpretare quel comportamento. Si schiarì la voce, abbassò il cucchiaio nel piatto e si guardò attorno.
Nei tavoli vicini un po' di persone li guardavano con aria curiosa.
Tooru cercò di non pensarci troppo.
« Ciao » Rispose, il tono sorpreso.
Wakatoshi accennò un piccolo sorriso tutto denti bianchi e canini appuntiti, poi sollevò una mano e dal pugno chiuso fece penzolare nel vuoto il lupo di legno intarsiato.
« La mia collana! » Esclamò Tooru, allungando immediatamente le mani per afferrarla, Wakatoshi gliela fece cadere nel palmo. Tooru se la portò al petto e sorrise.
« Grazie » Gli disse con sincera gratitudine.
L'altro incrociò le braccia al petto e lo guardò.
« Hai un bel sorriso » Se ne uscì. Le guance di Tooru andarono subito a fuoco.
Distolse lo sguardo, allacciando con fare esperto la collana attorno al collo - lo aveva fatto talmente tante volte nel corso della sua vita che il gesto gli era caro e familiare.
« Scusa, forse il mio commento ti ha turbato o è stato inopportuno »
Tornò a guardare Wakatoshi di sottecchi, sistemandosi la sciarpa attorno al collo mentre il freddo familiare della collana gli toccava la pelle.
L'altro aveva un'espressione impassibile.
Gli ricordava il suo lupo bianco.
« Lo penso davvero, comunque »
E gli accennò un sorriso interessato. Tooru sbatté le palpebre, scioccato.
Era sempre stato il ragazzo dotato, intelligente, carino, ma normale. Invisibile.
« Ci stai provando con me?! » Gli scappò.
Il secondo successivo divenne viola come il succo di mirtilli nel suo vassoio.
Avrebbe voluto seppellirsi sottoterra. Subito.
Era impensabile che uno come Wakatoshi - avvolto da quell'aurea di mistero inavvicinabile - potesse provarci con lui. Per Tooru vi erano ragazzi come Mike - capitano del club di scacchi, ci era stato insieme un paio di mesi al terzo anno - oppure come Bob - collezionista di fumetti occidentali, si era lasciato con lui circa tre mesi prima. Ed era tutto lì quello che sapeva.
Rosso di imbarazzo fissò il tavolo ipnotizzato. Voglio morire, pensò.
Wakatoshi incrociò le braccia al petto.
« Si, ci sto provando. Tooru » Ammise.
Tooru si freddò, scioccato, poi sollevò lo sguardo, incrociando quei perturbanti occhi grigi come la tempesta. Irrazionalmente familiari.
« Ho capito! » Sbottò con aria trionfante, puntandogli un dito contro « Hai fatto una scommessa con i tuoi perfidi amici! » Tentò di indovinare, sentendosi molto intelligente
« Conquistare il nerd sfigato di turno entro il Prom di fine anno e poi scaricarlo dolorosamente davanti a tutta la scuola! » Concluse infervorato.
Aveva visto tonnellate di film con quel tema.
Wakatoshi rimase impassibile, poi sollevò un sopracciglio in un arco perfetto.
« Hai una bella fantasia » Commentò.
Tooru rimase con la bocca spalancata per qualche secondo, Wakatoshi allungò una mano e gliela posò sul mento - era bollente al tatto - per chiudergliela con gentilezza.
« Ci entreranno le mosche » Lo prese in giro con espressione del tutto seria, mentre Tooru realizzava che lo aveva appena toccato proprio quando l'altro aveva ormai ritirato la mano per intrecciare di nuovo le braccia.
« Nessuna scommessa? » Borbottò, accarezzandosi distrattamente il mento.
Wakatoshi fece guizzare un muscolo della mascella - voleva ridere, ma si tratteneva.
« Spiacente, no. Mi interessi davvero »
Tooru maledisse l'assenza di Hajime, che si era beccato l'influenza stagionale a lavoro ed era bloccato da una diarrea feroce sulla tazza del gabinetto.
Avrebbe voluto dare di matto, ma il suo migliore amico non era lì.
E lui non sapeva che cosa replicare, perché sentiva solamente il battito del suo cuore, che pompava troppo sangue.
« Volevo invitarti alla partita di sabato »
Wakatoshi lo riportò al presente. Lo guardò.
Si sentiva accaldato, ed erano all'aperto.
« Non sono un tipo sportivo » Ammise.
L'altro si strinse nelle spalle.
Non era un mistero per nessuno, Tooru non si era mai interessato ai successi della squadra di basket della scuola. Lui preferiva passare i sabato sera a chattare su Telegram con il suo gruppo Aliens Do Exist dei nuovi eccitanti avvistamenti o delle nuove teorie aliene.
Era una faccenda seria, insomma.
Ma Wakatoshi lo aveva invitato ad una partita.
La sua cotta era interessata a lui.
« Wakatoshi! » Quel richiamo infranse i suoi pensieri veloci e confusi.
Si voltarono entrambi a sinistra, verso l'entrata secondaria della mensa, quella con le porta-finestre di vetro tutte spalancate. Era la banda misteriosa di Wakatoshi al completo.
Tooru sentì un brivido freddo scendere lungo la schiena quando percepì il loro sguardo addosso - non era amichevole.
« Ai tuoi amici non piaccio » Notò. Non era una novità per lui.
Era sicuro si stessero domandando proprio in quel momento perché l'amico avesse dimostrato quell'improvviso interesse per un nerd sfigato. Wakatoshi si spostò sulla panca, tirandosi in piedi con un movimento agile, Tooru si ritrovò a guardarlo dal basso, ancora seduto.
« A loro non piace nessuno » Gli disse, sistemandosi meglio la borsa a tracolla sulla spalle sinistra « Spero tu ci sia, sabato »
Aggiunse, facendogli un cenno del capo come saluto mentre andava via.


 
***


Tooru andò alla partita del sabato sera.
Accompagnato da un Hajime decisamente scocciato e insofferente, imbronciato nella calca assordante della palestra.
Tooru non era mai stato a scuola di sera, e doveva ammettere che aveva il suo fascino illuminata a notte. Vi erano tutte le premesse per un film dell'orrore avvincente, poteva quasi essere stata una buona idea quella di dare buca ai suoi amici dell' Aliens Do Exist.
Quasi. Per vedere Wakatoshi con la divisa bianca e viola della scuola addosso sicuramente.
Ma non gli piaceva la calca.
« Ripetimi perché devo farlo »
La voce di Hajime era piena di astio, mentre guardava con espressione assassina un bambino che faceva chiasso e lo spintonava, seduto proprio accanto a lui. Tooru soffocò una risata con un pugno sulla bocca, solo perché non gli andava di prenderle.
« Perché a fine serata ti offro del cibo » Gli disse con voce divertita.
Per convincerlo a venire con lui, Tooru gli aveva promesso una cena a base di porcherie, che includeva: panini abominevoli con carne di dubbia provenienza, anelli di cipolla, salse di tutti i tipi e patatine fritte nell'olio riciclato del giorno precedente.
« Non so più se ne valga la pena » Commentò Hajime con aria disgustata, mentre il bambino accanto a lui esplorava la propria narice con tutto il dito indice.
Tooru lo trovò spiacevole a sua volta e fece una brutta smorfia.
Quelle creaturine graziose sapevano essere disgustose.
« Se riesci a resistere ti prendo doppio cheeseburger! »
Propose allora, alzando la voce nella folla che faceva chiasso.
Hajime tornò a fissarlo con espressione truce.
« E doppia porzione di anelli di cipolla »
Trattò, sapendo bene che Tooru avrebbe disapprovato ardentemente quell'alimentazione diabolica. Lo aveva tediato spesso e volentieri sulle percentuali di morti per infarto nel loro paese a causa dell'eccessivo consumo di carne rossa e di una scorretta alimentazione.
« Okay, okay! » Brontolò, fissando il campo.
Sentiva ancora lo sguardo di Hajime addosso.
« Ma tu poi che cosa ne sai di basket? »
« Niente » Ammise senza vergogna, sereno.
Scrutava il campo, dove si stavano riscaldando tutti schiacciando a canestro.
« Non posso crederci che sei venuto a vedere una partita di basket - sport che odi - solo per un ragazzo! » La sua voce era carica di indignazione.
Tooru fece un gesto vago della mano, come se stesse scacciando via una brutta mosca.
« C'è una prima volta per tutto »
« Ti sta prendendo in giro, idiota »
Tooru rivolse uno sguardo ad Hajime, che stava incrociando le braccia al petto.
Avrebbe voluto rispondergli con qualcosa di brillante, ma proprio in quel momento ci fu un gran boato di approvazione e incoraggiamento. Si voltarono entrambi verso il campo, giusto per vedere Wakatoshi - ancora appeso al cerchio del canestro in cui aveva appena schiacciato con violenza - atterrare sul pavimento lucido nella zona del pitturato con un balzo aggraziato.
« Mi hai fatto perdere il canestro »
Brontolò Tooru guardando Hajime come se fosse una brutta piattola da schiacciare.
L'amico, di rimando, gli afferrò la mascella con una mano e gli girò la testa verso il campo. Wakatoshi stava scrutando tra la folla e quando lo individuò, nonostante la confusione, alzò la mano per salutarlo. Tooru, imbarazzato, ricambiò il gesto con la mano di Hajime che ancora gli schiacciava le guance, facendolo boccheggiare come un pesce.
Arrossì violentemente e Hajime lo lasciò andare, guardandolo con disgusto.
« È un esibizionista. E tu fai schifo »


Tooru stava cercando il coraggio.
Fuori dalla porta degli spogliatoi giocava distrattamente con i lacci del cappotto pesante, prendendo tempo. Molti dei componenti della squadra erano già andati via, euforici dopo una vittoria schiacciante, ridendo quando lo vedevano lì impalato fuori dalla porta o facendo battute sconce. Uno di loro gli aveva fatto anche kabedon con il braccio, affermando che fosse carino e di non averlo mai notato prima di allora - Tooru si era liberato di lui all'istante.
Gli era bastato aprire bocca e blaterare di alieni.
Ed era ormai sicuro che Hajime stesse per perdere la pazienza ad aspettarlo nel pick-up.
Si era già lamentato della sua decisione di andare negli spogliatoi per salutare.
Tooru fece un respiro profondo e annuì a sé stesso con aria decisa, poi si staccò dal muro ed entrò negli spogliatoi.
Erano deserti. Almeno, fu quella la sensazione che ebbe all'inizio.
Il gocciolare nelle docce era l'unico rumore apparente. Tooru rimase sulla soglia, guardandosi intorno con aria nervosa - era notte e la luce della luna filtrava a malapena.
Forse Wakatoshi era andato via e non se ne era accorto.
Decise di lasciar perdere e si girò, pronto a tornare indietro, quando sentì un ringhio.
Si immobilizzò sul posto, un brivido lungo la schiena. Quel suono gli era familiare.
Si voltò, scrutando il fondo buio della stanza, tra le panche e gli armadietti.
Non era impossibile che qualche creatura - un lupo - fosse entrata nella scuola.
Era capitato spesso, gli abitanti della zona erano abituati ad episodi del genere.
Tooru sapeva che avrebbe dovuto lasciare la stanza, lo sapeva anche per via della sua esperienza pregressa, ma contro ogni buonsenso possibile avanzò.
Mosse ogni passo con cautela, scrutando le ombre.
Quando ebbe raggiunto le docce lo sentì di nuovo, un ringhio lupesco e feroce.
Il cuore gli saltò nel petto.
Sei tu? Pensò, immaginando il suo lupo bianco. Era un pensiero sciocco.
Poi successe una cosa inaspettata.
Sentì un rumore di passi e l'istante successivo due figure si stagliarono nell'arco della porta, sotto la luce al neon. Spaventato, si nascose dietro gli armadietti.
« Non mi piace quello che stai facendo, Wakatoshi » Aggrottò le sopracciglia.
Non conosceva quella voce maschile.
« Sei stato chiaro a riguardo, Satori »
Tooru si sporse leggermente, sbirciando.
Intravide Wakatoshi, con ancora il corpo bagnato dalla doccia e un asciugamano stretto in vita. Si morse il labbro inferiore, mentre non poteva fare a meno di scannerizzare con gli occhi la sua tartaruga. Notò che aveva una cicatrice strana sul fianco, frastagliata e gonfia.
Sembrava stranamente simile alla sua, come se fosse il morso di un -
« Gli altri sono preoccupati »
Le parole del suo amico - quel Satori - interruppero i suoi pensieri. Era arrabbiato.
« Lo so. Ma non ve n'è motivo » Wakatoshi invece sembrava tranquillo.
Emanava una certa aurea di potere.
« Non ti resta molto tempo, Wakatoshi »
La voce di Satori si fece pesante, greve di qualcosa e Tooru aggrottò le sopracciglia.
Non riusciva a capire il senso di quelle parole.
Poi ripensò alle sue continue assenze da scuola. E pensò anche che forse era malato.
« No » Confermò l'altro, sereno. Tooru sentì una morsa al petto.
« Proprio per questo ho deciso di avvicinare Tooru di persona »
Quelle parole lo confusero. Aggrottò le sopracciglia e tornò a guardare dritto davanti a sé, schiacciando i polpastrelli dritto nel muro.
« Ma alla fine soffrirai. E anche lui »
« Si, probabile. Ma non ne varrà la pena? »
Tooru sentì il cuore accelerare.
Forse dopotutto Wakatoshi era davvero malato, aveva una cotta segreta per lui - ricambiata senza che lo sapesse - e si era fatto avanti per non avere rimpianti.
Aveva senso. E Tooru era pronto a vivere il suo film hollywoodiano, ma non quella sera.
Facendo attenzione, fece un passo indietro e poi un altro ancora e in men che non si dica correva nel corridoio per raggiungere Hajime.


Fu distratto per tutto il resto della notte.


 
***


Successe gradualmente.
Tooru prese la strana abitudine di fermarsi il pomeriggio a studiare sugli spalti della palestra, in solitaria. Si metteva gli occhiali, le cuffie pelose e studiava, fino a quando gli allenamenti non terminavano e Wakatoshi lo raggiungeva.
A quel punto parlavano a lungo, fino a quando uno dei suoi amici - che non sopportavano palesemente Tooru - non lo chiamava.
Wakatoshi invece prese l'abitudine di fargli degli agguati lungo i corridoi.
Quando usciva da una lezione per accompagnarlo a quella successiva, quando se ne stava in biblioteca a studiare. Una volta, volle anche partecipare ad una partita di Dungeons and Dragons con i suoi amici del club, rendendo l'atmosfera terribilmente tesa, oltre a perdere miseramente. Divennero amici.
Tooru cercava di non pensare al motivo per cui avesse smesso di interrogarsi sul perché del comportamento di Wakatoshi. Se era malato, ancora non glielo aveva detto.
Ma lui, d'altra parte, era pronto ad accettare quella sfida, con tutte le sue conseguenze.
Wakatoshi non gli parlava davvero di sé. Non gli raccontava mai nulla della sua famiglia, non nominava un padre o una madre, o anche dei fratelli, nonni o zii.
Non parlava dei suoi hobby o delle sue aspirazioni future. Viveva il presente.
Era sempre un mistero, ma per Tooru lo divenne di meno.
Divenne un mistero familiare.
Poi finalmente successe, un pomeriggio qualsiasi, mentre usciva dalla biblioteca con dei libri stretti al petto di trigonometria avanzata. Wakatoshi spuntò da dietro l'angolo come faceva sempre, dove se n'era rimasto appoggiato per chissà quanto tempo.
Tooru non si spaventò - ormai ci aveva fatto l'abitudine - ma notò immediatamente che qualcosa in lui non andava: Wakatoshi aveva una brutta cera. Era pallido, con le borse viola sotto gli occhi, le pupille dilatate e le narici che fremevano senza un motivo apparente.
Il suo profumo naturale di foglie e boschi era intenso, e copriva quello alla pesca.
Inoltre si reggeva lo stomaco con le braccia come se avesse dei crampi molto forti.
Tooru si allarmò immediatamente, toccandogli la fronte per vedere se scottasse.
Fu un gesto spontaneo, dettato anche dalla familiarità che avevano preso entrambi nel toccarsi nel corso di quelle settimane.
Fu anche un gesto decisivo.
Wakatoshi gli prese il polso con la mano sinistra, poi gli avvolse un braccio attorno alla vita e se lo strinse contro. Tooru ebbe appena il tempo di percepire il suo respiro sulle labbra, al sapore di miele, prima di sentirle premere su quelle dell'altro.
Erano screpolate e ruvide, ma anche morbide.
E gli girava la testa quando Wakatoshi si staccò e fece scontrare le loro fronti.
Sembrava ustionante la sua pelle.
« Per qualche giorno non verrò a scuola »
Anche il suo respiro al miele - poteva essere il sapore di qualche medicinale? - era bollente mentre si infrangeva affannato sul suo volto. Wakatoshi non disse niente sul loro bacio.
Tooru ne aveva dati alcuni - non era andato oltre con nessuno - ma non si era mai davvero sentito come in quel momento: felice. Innamorato, forse. Un po' folle, anche.
« Stai bene? » Domandò, arrossendo mentre abbassava gli occhi sul petto dell'altro.
« Starò bene » Fu la replica sicura.
Tooru annuì, incapace di domandare oltre.
Non aveva la minima idea di come affrontare l'argomento, non aveva nemmeno la minima idea in che cosa si stesse cacciando. Wakatoshi non aveva un cellulare, un numero di telefono, un'email, Tooru non sapeva dove abitasse, non avrebbe potuto contattarlo.
Automaticamente, senza rendersene conto, sollevò una mano e si aggrappò alla sua giacca di pelle - il suo corpo mandava ondate di calore davvero strane.
« Ci vediamo a scuola. Poi andiamo da qualche parte per il nostro primo appuntamento, okay? » Tooru annuì, sollevando gli occhi. Sentiva le guance bollenti e uno stranissimo magone alla bocca dello stomaco, come se volesse mettersi a piangere.
« Okay. Ora ci metto il pensiero » Gli lasciò andare la giacca « E comunque, voglio salire sulla tua moto da praticamente sempre! »
Wakatoshi sorrise, mostrando due canini appuntiti sulle labbra pallide e screpolate - Tooru si domandò se li avesse sempre avuti tanto affilati, ma non ricordava - e annuì.
« Ti darò il casco nero » Acconsentì.
Tooru rise, staccandosi da lui quando vide passare alcune persone, che li guardavano incuriositi e con una certa insistenza.
« Quello rosa mi piace, sai? » Gli disse.
Wakatoshi allargò il sorriso.
Poi si guardò di nuovo attorno, aspettò che passasse un gruppetto di ragazzi, poi si chinò e gli diede un altro bacio a timbro.
« A prestissimo, allora »


Il giorno successivo Wakatoshi smise di venire a scuola. E Tooru si ritrovò a pensare a quanto le cose potessero cambiare velocemente in un solo mese di vita.
Di controparte, il suo lupo bianco apparve nel giardino sul retro una sera di luna piena.
Tooru era particolarmente malinconico, seduto sul davanzale della finestra con le cuffie nelle orecchie e una tuta per casa addosso, la nebbia che sporcava l'aria.
Il lupo era apparso nella foschia, bellissimo.
Tooru aveva avvolto le braccia nella sua pelliccia calda, stringendosi a lui con forza.
Crogiolandosi della sua presenza.
Aveva parlato con lui a lungo di quanto successo in quel mese.
Gli aveva confessato di essersi innamorato.


Poi era successo una cosa terribile.
Inaspettata. Una cosa che aveva cambiato tutto. Una cosa che aveva sconvolto il suo mondo così come lo aveva sempre conosciuto.


 
***


Tooru stava tornando da scuola.
Hajime lo aveva riaccompagnato a casa, come ogni giorno, prima di andare a lavoro.
Tooru sapeva di essere solo. Sua sorella sarebbe tornata la settimana successiva per qualche giorno, in vista del ponte di Halloween, mentre i suoi erano sicuramente a lavoro.
Sua madre impegnata con il negozio di famiglia - vendeva articoli di elettronica - e suo padre nel noioso ambulatorio di paese per animali - era un veterinario.
Infilò le chiavi nella toppa di casa ed entrò ignorando le foglie che ricoprivano il portico, cadute dai rami dei due alberi di quercia piantati uno a destra e uno a sinistra della casa, cresciuti tanto da arrivare al secondo piano e sulla tettoia del portico stesso.
Avrebbe dovuto spazzare, ma si scocciava.
Entrò in casa, che era un disordine caotico, e andò dritto in cucina, perché aveva fame.
Voleva farsi un sandwich grondante burro d'arachidi, sedersi sul divano sotto una copertina calda e continuare a vedere quella serie TV sugli alieni che stava spopolando in quel periodo nel suo paese e all'estero. Aprì il mobiletto della credenza e prese la busta del pane morbido, il barattolo con il burro d'arachidi, che infilò sotto il braccio, e si apprestò a raggiungere il frigorifero, per versarsi anche un bel bicchiere di spremuta d'arancia fresca.
Posò tutto sull'isola al centro della spaziosa cucina e fu a quel punto che lo vide, solo quando si trovò di fronte la portafinestra aperta della veranda.
Il vetro era macchiato di sangue - l'impronta di una zampa - e il suo lupo bianco giaceva riverso sul pavimento di legno della veranda.
Tooru rimase paralizzato per qualche secondo.
Il cuore che aumentava le pulsazioni nel petto a causa della paura.
Non reagì immediatamente, ma quando realizzò pienamente la situazione si precipitò fuori. Esitò un istante, prima di inginocchiarsi accanto alla creatura riversa su un fianco, ignorando la scia di sangue sul portico bianco e le impronte imbrattate.
Con gli occhi lucidi di pianto, allungò una mano tremante verso il muso della creatura.
Respirava ancora, notò con sollievo.
Il pelo bianco era sporco su un fianco, dove sembrava esserci una brutta ferita, un taglio rosso, forse causato da qualche arma da fuoco.
Era illegale dare la caccia ai lupi, ma non tutti rispettavano la legge.
« Va ... va tutto bene » Disse alla creatura con voce tremante, senza domandarsi se lo stesse dicendo davvero a lei o a sé stesso « Tu ... tu resta qui. Torno subito, okay? »
Esitò un istante, prima di alzarsi e correre in cucina, guardando il lupo ancora un istante - aveva gli occhi chiusi. Una volta raggiunta l'isola afferrò il cellulare con mani sudate e instabili e compose il numero di cellulare di suo padre.
Era un veterinario, avrebbe saputo che cosa fare. Tooru non poteva pensare alle conseguenze in quel momento. Si sarebbe sorbito qualsiasi ramanzina dopo.
Portò l'apparecchio all'orecchio, voltandosi verso la vetrata aperta sulla veranda e a quel punto - troppo scioccato da quello che vide - mollò la presa e quello cadde a terra sul tappeto con un rumore sordo, di faccia.
Dove prima se ne stava steso un lupo, ora giaceva un essere umano, nudo.
Tooru lo fissò con occhi sgranati. Dal tappeto giunse la voce ovattata di suo padre che lo chiamava insistentemente, ma lui nemmeno se ne accorse.
Oltrepassò il cellulare e raggiunse la veranda.
Si aggrappò con la mano allo stipite della portafinestra aperta, per reggersi.
Conosceva il ragazzo disteso svenuto su un fianco, i capelli scombinati e pieni di foglie.
Umettandosi le labbra, valutando che cosa fare, si inginocchiò di nuovo accanto a lui.
Tese una mano nel vuoto, sulla sua testa, ma prima di toccargli i capelli si arrestò.
« Wakatoshi » Sussurrò, le labbra tremanti.
Non successe niente di niente.
Spaventato, gli osservò il fianco. Era sporco di sangue, ma lì dove avrebbe dovuto esserci una ferita, vi era solo una striscia di pelle rosa in via di rapida guarigione.
« Non è possibile ... » Mormorò a sé stesso, incredulo, senza fiato, sconvolto.
Facendosi coraggio gli toccò una spalla - era caldo al tatto - e lo spinse leggermente, facendo in modo che cadesse supino sul portico. La sua testa seguì il movimento e si spostò a sinistra, totalmente lasca. Tooru gli osservò il petto, in preda al panico: respirava.
Fece un sospiro di sollievo mal contenuto.
Con le dita tremanti gli scostò i capelli dalla fronte, per vedergli meglio il viso.
Non vi erano dubbi. Era lui. Wakatoshi.
Ma era ... era folle.
Poi si rese conto che era nudo. Dappertutto.
Tooru abbassò lo sguardo automaticamente, ma poi lo rialzò di colpo, arrossendo violentemente.
« Okay, direi che vederlo così non sarebbe corretto. Ne romantico »
Borbottò tra sé e sé. Poi fece un altro respiro profondo e annuì.
Facendosi coraggio gli prese il viso tra le mani, girandogli la testa nella sua direzione mentre gliela sollevava leggermente da terra.
« Wakatoshi, devi svegliarti, okay? Non posso portarti al piano di sopra da solo »
Gli disse con voce ferma, scuotendolo. Lui non si mosse.
« O andiamo! Ti prego, sto per impazzire! » Lo scosse di nuovo. Niente.
Tooru rimase frustrato a fissargli il viso, poi il suo sguardo si posò sulle labbra leggermente dischiuse e carnose e morbide. Gli venne in mente Biancaneve.
« Davvero? Sul serio? » Sbottò, fissando il coetaneo come se fosse davvero quella la soluzione al problema « Se funziona, vorrei che tu non mi denunciassi affermando che il bacio non era consensuale! » Borbottò. Poi si chinò e lo baciò. A timbro.
Le loro labbra si sfiorarono appena, come la prima volta. Tooru si scostò, per osservare il risultato della sua stupida trovata, quando una mano calda scivolò inaspettatamente nei suoi capelli, dietro la nuca, bloccandogli la testa in quella posizione.
« Non ho intenzione di denunciarti » Disse una voce roca e divertita, mentre un respiro caldo che sapeva di miele si infrangeva sulle sue labbra.
Tooru tirò leggermente la testa indietro e incrociò un paio di occhi grigi offuscati.
Gli venne stranamente da piangere e si rese conto - per la prima volta da quando si erano visti fuori la biblioteca - che gli era mancato.
« Idiota » Mormorò, mordendosi il labbro inferiore per non piangere come un moccioso.
Wakatoshi sollevò l'angolo sinistro della bocca, accennando appena un sorriso.
Poi fu scosso dai brividi, e Tooru si rese conto che era ancora nudo.
« Giusto » Commentò, arrossendo « Ho bisogno che mi aiuti ad alzarti, perché sei troppo pesante e da solo con ci riesco » Wakatoshi chiuse un attimo gli occhi, ma poi annuì e si tirò a sedere di scatto, oscillando immediatamente verso sinistra, stordito.
Tooru si affrettò a mettergli un braccio sulle spalle e aiutarlo ad alzarsi.
Era talmente pesante che rischiò di ruzzolare a terra insieme a lui quando vacillò sotto il suo stesso peso. Ma riuscirono a restare entrambi in piedi, in qualche modo, e tenendo lo sguardo sempre fisso in avanti - la tentazione di abbassarlo per Tooru era forte - salirono al piano di sopra. Sudò. Letteralmente.
Lasciò cadere Wakatoshi sul suo letto con un grugnito per nulla umano e portò le mani sui fianchi quando lo vide perdere nuovamente i sensi, poi lo sentì russare, rumorosamente.
« Ma tu guarda - » Brontolò. Stava cercando di non pensare al fatto che il ragazzo di cui era innamorato se ne stesse steso prono - e tutto nudo - sul suo letto, nella sua cameretta e che - cosa fondamentale - era piuttosto sicuro prima fosse un lupo.
Era follia allo stato puro, eppure ...
Sospirando, mentre tentava di calmarsi, cercò di sistemargli addosso il piumone pesante.
Proprio mentre glielo rimboccava sulla schiena sentì squillare il telefono di casa.
Scese al piano di sotto con fretta, staccando il cordless mentre osservava il casino che aveva lasciato in cucina, la veranda sporca ...
« Pronto? » Rispose distratto.
« Tooru » La voce di suo padre lo riportò al presente. Sbatté le palpebre, ricordandosi del cellulare sul tappeto e del fatto che lo avesse chiamato poco prima.
« Papà, ciao ... »
« Mi hai chiamato prima, tutto bene? » La sua voce era piena di preoccupazione.
« Davvero? Non me ne sono accorto ... forse la chiamata è partita per sbaglio »
Sperò di essere stato abbastanza convincente. Non era mai stato un grande attore, infatti, alle recite scolastiche gli facevano fare sempre l'albero o la luna.
« Ti ho sentito fare un nome ... un certo Wakatoshi, possibile? »
Merda. Alzò gli occhi al cielo e si morse il labbro inferiore, pensando a qualcosa mentre vagava con lo sguardo in giro per la cucina.
« È un amico ... studiamo insieme » Scusa davvero banale. Ridicola. Inutile.
Non con uno come suo padre, che sembrava avere il radar rintraccia menzogne.
« Solo un amico, Tooru? » Lo disse con quel tono di voce, quello dei genitori apprensivi.
« Papà, solo un amico. Giuro » La sua voce suonava petulante al punto giusto.
Sollevò lo sguardo sul soffitto, al piano di sopra, sperando che Wakatoshi non decidesse di svegliarsi proprio in quel momento.
« Uhm » Qualche secondo di silenzio « Ha un nome giapponese. È nella comunità? »
La comunità di giappo-americani che abitava in quello stato, proprio in quel paese e di cui anche suo padre faceva parte.
« Si. Ma come per me, i tratti occidentali sono un po' più marcati … » Mentì.
Non aveva idea di chi fossero i genitori di Wakatoshi, dove vivesse ne cosa facessero.
« Solo amico, dunque »
« Papà! » La sua risata familiare.
« Okay, okay » Silenzio « Usate le precauzioni, tu e il tuo amico »
« Papà, no! Cielo, sta - sta zitto! »
Un'altra risata divertita, mentre urlava nella cornetta del cordless e arrossiva furiosamente. Chiuse la chiamata senza salutare e fece un respiro pesante, maledicendo il suo vecchio.
Tornò a fissare il soffitto.
Aveva cose più serie a cui pensare.


Quando tornò in camera sua, reggendo tra le mani un vassoio pieno di sandwich al burro di arachidi e succo di frutta, Wakatoshi era sveglio, seduto al centro le suo letto con le braccia incrociate al petto nudo. Tooru esitò sulla soglia per qualche istante, poi si chiuse la porta alle spalle e fece un respiro profondo. Si voltò e andò da lui, mettendosi seduto ai piedi del letto.
Gli mostrò il vassoio strapieno.
« Immagino avrai fame » Nella sua cameretta non vi era mai stato tanto silenzio.
« Non proprio. Ho mangiato una lepre giusto stamattina »
Fu la risposta data con nonchalance, con estrema serenità.
« Ah, capisco » Fu il solo commento che Tooru riuscì a fare, invece, un po' nauseato, fissando una parete qualsiasi proprio di fronte a lui.
Sarebbero andati subito al nocciolo della questione, dunque. Bene.
« Ma uno lo prendo » Lo informò Wakatoshi, allungando una mano per prendere un panino.
Tooru lo sbirciò di sottecchi, e proprio mentre lo vide addentare il pane con i suoi denti bianchi e i canini appuntiti, fece la domanda: « Dunque. Sei un lupo mannaro ... tipo? »
Cercò di buttarla lì, come se gli avesse appena chiesto che tempo facesse fuori.
Wakatoshi si pulì un angolo delle labbra con il pollice, Tooru tornò di fretta a guardare la parete di fronte quando lo vide sollevare gli occhi nella sua direzione.
« Sono un licantropo » Fu la risposta sincera.
Tooru non conosceva la differenza.
Per lui erano tutti uguali, lupi mannari, licantropi o muta-forma.
« Tipo Jacob di Twilight? » Domandò, sentendosi immediatamente stupido.
E oltre a stupido si sentì anche preso in giro.
« No. Non di quel tipo. Mi trasformo solo con la luna piena »
Tooru guardò automaticamente fuori dalla finestra.
Vi era ancora troppa luce nel cielo per vedere la luna fare capolino, ma era stata piena.
Lo era stata fino a qualche notte fa.
E aveva tutto un senso, all'improvviso, in maniera quasi sconcertante: le assenze di Wakatoshi circa una volta al mese, il suo aspetto quel giorno nel corridoio.
Wakatoshi non era malato, ma era ... un lupo. Il suo lupo bianco.
Tooru fu travolto dalla consapevolezza di quella realizzazione.
Gli girò la testa e si aggrappò con maggior forza al materasso, affondando le mani.
« Ti - avevi una brutta ferita sul fianco »
Trovò il coraggio di voltarsi verso di lui e gli indicò la zona, coperta dal piumone.
Wakatoshi non guardò nemmeno, fece semplicemente spallucce.
« Non sono scappato abbastanza in fretta dai cacciatori. Un proiettile mi ha preso di striscio, ma guarisco in fretta ... se non è argento » Tooru spalancò la bocca.
« Ma è illegale cacciare i lupi! » Era indignato oltre ogni dire, anche se aveva sospettato fin dal principio che fosse stata l'opera illegale di alcuni cacciatori.
« Non a tutti importa » Wakatoshi fece di nuovo spallucce.
Tooru lo fissò allibito.
« Sei venuto da me » Era a disagio.
« È stato l'istinto » Anche quella risposta arrivò subito, sincera.
Rimase in silenzio per qualche secondo, non sapendo bene che cosa dire. Cosa provare.
« Perché? » Chiese in fine, con un filo di voce appena.
Lo sapeva, in cuor suo, ma voleva comunque sentirglielo dire.
« Perché vengo sempre da te quando sono trasformato, Tooru. È più forte di me »
E Wakatoshi non gli negò la verità. Non lo aveva fatto fin da quando aveva riaperto gli occhi nella veranda, eppure gli aveva comunque mentito per anni.
E sicuramente lo aveva fatto nel mese in cui si erano frequentati. Di fronte all'evidenza palese, semplicemente non aveva potuto mentire. Tooru si sentì profondamente deluso.
Distolse di nuovo lo sguardo da lui.
« Eri tu ... allora. Il lupo che ... » Automaticamente si portò il ginocchio al petto, appoggiando il tallone sul bordo di legno del letto, e sollevò l'orlo dei jeans scoprendo la brutta cicatrice di un morso proprio sulla caviglia.
« Si, ero io. All'epoca ero solo un cucciolo »
Quella conferma gli fece tremare le dita.
Poi sussultò, scostandosi automaticamente quando sentì un paio di dita bollenti sfiorargli la caviglia sensibile - la cicatrice tirava ogni volta che il tempo era particolarmente umido.
Wakatoshi si era proteso in avanti nel letto.
Tooru lo fissò, occhi sgranati e cuore in gola che batteva violento e veloce.
L'altro ritrasse le dita con calma, tornando a posare le mani sul suo grembo.
« E mi hai salvato la vita. Perché? » Tooru caricò quella domanda di disperazione.
Voleva davvero saperlo, con tutto sé stesso. Soprattutto perché aveva sempre avuto la sensazione di parlare con una persona dietro il lupo per tutto quel tempo.
« Perché tu sei il mio compagno, Tooru » Di nuovo cadde un silenzio attonito.
Tooru non aveva idea di che cosa significasse quella parola: compagno.
Immaginava significasse anima gemella ...
Ma non riusciva a provare niente sul momento. Né sorpresa né shock.
« Ti ho visto in pericolo e ... sono scattato. L'Alfa ... il branco era debole in quel periodo. Venivamo uccisi dai cacciatori in continuazione. Lui voleva rinforzate il gruppo mordendo i bambini della zona » Tooru sentì un brivido freddo lungo la schiena « Ma quando ti ho visto e lui ti ha morso ... ho perso la testa. E l'ho sfidato. Ho perso, ovviamente, avevo sette anni, ma mi ha risparmiato perché tu eri il mio compagno » Poi arrivò la realizzazione, il sottinteso di quel racconto che gettava una luce diversa su tutta la faccenda.
« Ma allora io - » Scattò, guardando Wakatoshi con gli occhi sgranati mentre tornava a toccarsi la caviglia, solo che non riuscì a terminare la frase. A dirlo.
« Si, avresti dovuto trasformarti »
Fu Wakatoshi a dare voce alla sua paura, al suo sgomento, alla realtà scioccante.
« E ho aspettato, Tooru. Ti ho aspettato ad ogni luna piena, ma tu ... non sei mai arrivato »
Vi era dolore nelle sue parole, una sofferenza che attirò la sua attenzione e si propagò anche dentro di lui « La prima trasformazione è molto dolorosa, poi ci si fa l'abitudine. Volevo essere con te. Ma tu non ti sei mai trasformato. Allora ho pensato che se non potevo stare con te in quel modo, allora avrei almeno potuto ... esserti amico come lupo »
Tooru si strinse la caviglia nella mano.
La cicatrice sembrava pizzicare all'improvviso, come mossa da un fantasma.
« Andiamo a scuola insieme da ... praticamente sempre! Avresti potuto - »
Si interruppe, frustrato, domandandosi perché avesse deciso di impuntarsi proprio su quella sciocchezza, pur di evitare la domanda che avrebbe dovuto fare comunque.
« Cosa? Avrei potuto avvicinarti e dirti: Sai, sono un licantropo e ti ho salvato dai lupi. Vuoi restare con me per il resto della vita? » Intervenne Wakatoshi, facendogli sgranare gli occhi. Tooru arrossì, poi si strinse a sé stesso. Si sentiva sopraffatto.
Wakatoshi aveva ragione. Se avesse fatto una cosa simile Tooru lo avrebbe creduto come minimo pazzo. Credeva nell'esistenza degli alieni, ma se non avesse visto con i suoi occhi - come aveva fatto - avrebbe dubitato come chiunque altro.
Così si morse il labbro inferiore e rimase zitto. Almeno fino a quando non si costrinse finalmente a domandare: « Perché non mi sono trasformato? »
La risposta non arrivò immediata come le precedenti, Wakatoshi sembrò esitare.
Tooru sollevò la testa di scatto, ma i suoi occhi grigi non erano titubanti o dubbiosi.
« Non lo so per davvero » Gli disse, sicuro.
Tooru decise di lasciar cadere l'argomento.
« Sei stato morso quando ... »
Provò a chiedere, perdendo coraggio a metà strada di quella domanda fiacca.
« Avevo sei anni quando è successo »
Cominciò a raccontare Wakatoshi senza problemi apparenti e Tooru sussultò.
Era così piccolo ...
L'altro gli mostrò il fianco, dove se ne stava una brutta cicatrice da morso.
Tooru ricordò di averla notata negli spogliatoi perché gli era sembrava così simile alla sua, ma non aveva capito all'epoca. E come avrebbe potuto?
« La prima volta che mi sono trasformato ... i miei genitori non hanno preso bene la cosa. Mio padre ha imbracciato un fucile ... era spaventato. Sono scappato e lui mi ha trovato, il mio Alfa. Da allora viviamo tutti come una famiglia, qui, nel bosco. Nella villa gialla, hai presente? » Tooru aveva presente. La grossa villa nei boschi, bellissima.
Era gestita da un uomo di una certa fama, sapeva che aveva adottato molti ragazzi ...
Ma non si era mai interessato oltre.
« Mi dispiace tanto ... » Mormorò, senza sapere bene che cosa altro dire a riguardo.
Non poteva nemmeno immaginare un padre che imbracciava un fucile contro il proprio figlio di sei anni, probabilmente spaventato da quello che gli stava succedendo …
Tooru provò il fortissimo impulso di poggiare la testa sul petto di Wakatoshi. Stringerlo.
E si rese conto che doveva essere una conseguenza del fatto che fossero compagni, e che la cotta che aveva avuto per lui tutto quel tempo ... E la scossa che aveva provato nel toccarlo la prima volta. O la sensazione di essere chiamato da quegli ululati quando era un bambino.
Ora capiva. Era lui: Wakatoshi.
Era stato sempre lui. Si sentiva svenire.
« A me no. Sto bene, ho il mio branco »
Wakatoshi lo sorprese con quelle parole, strappandolo ai suoi pensieri molesti. Pronunciò la parola "branco" con un calore dolce nel tono, che sapeva di famiglia.
« Ho trovato te » Tooru si mosse sul letto, a disagio. Lasciò andare la caviglia.
Calò un silenzio pesante nella stanza.
Stava cercando di metabolizzare tutto.
Eppure, una parte di lui aveva sempre saputo, ne era sicuro. Fin da quella aggressione.
Non era sorpreso quanto avrebbe dovuto.
« Sei spaventato da me, Tooru? »
Wakatoshi infranse di nuovo i suoi pensieri. Tooru sollevò la testa per guardarlo, gli tornarono in mente le parole di sua nonna. Era ancora scioccato, ma gli sorrise con dolcezza, improvvisamente calmo.
« Non ho mai avuto paura di te. Lo sai »
Prima che se ne rendesse conto, Wakatoshi gli fece scivolare una mano nei capelli, dietro la nuca, le loro fronti si toccarono e lui si ritrovò steso nel suo stesso letto, affossato nel piumone, con il corpo schiacciato da quello pesante e caldo di Wakatoshi.
Era circondato dal suo odore intenso di boschi e foglie secche, legna e pesca, affogava nei suoi occhi grigi, che erano esattamente gli stessi del suo lupo.
Perché Wakatoshi era il suo lupo bianco.
Finalmente provò emozione a quella verità.
« Il mio bel lupo » Mormorò, sollevando una mano per accarezzargli il viso.
Wakatoshi produsse una sorta di ringhio.
Non era minaccioso, ma piuttosto una specie di fusa, di apprezzamento per quel gesto.
A Tooru tornò in mente il ringhio che aveva sentito negli spogliatoi della scuola.
C'era anche qualcos'altro che gli stuzzicava la mente legato a quel giorno, ma non ricordava cosa ... non in quel momento, comunque.
« Tutti gli altri del tuo gruppo ... loro sono il tuo branco. I tuoi fratelli » Indovinò.
Wakatoshi annuì. Aveva senso.
Tutto ormai aveva quasi trovato il suo senso.
Tooru era sovrappensiero, non era pronto a quello che successe. Gli uscì una specie di strillo - più simile allo squittio di un topo - quando Wakatoshi si chinò e gli baciò il collo.
Prima che potesse realizzare, in preda al panico, si trovò con la felpa sollevata fin quasi al collo e le mani di Wakatoshi sui fianchi. Fu percorso dalla pelle d'oca.
« Ehi, ehi, fermo! Wakatoshi, hiiii »
Si agitò come un matto, per poi strillare di nuovo quando lui lo baciò sullo stomaco.
A quel punto gli bloccò i polsi con forza.
Wakatoshi sollevò la testa, osservandolo dal basso come un predatore. Era un predatore, dopotutto. E Tooru solo una preda, che sentiva il proprio cuore pompare nel petto impazzito e una strana sensazione alla bocca dello stomaco e in mezzo alla gambe.
« Che - che fai? » Gli chiese, la voce tremante.
Wakatoshi risalì su di lui, togliendogli il fiato con il suo peso.
« Quello che ha suggerito tuo padre. Da semplice amico, ovviamente »
Tooru spalancò la bocca, indignato e scioccato contemporaneamente.
« Hai sentito? » Nella sua voce l'incredulità era quasi palpabile. Wakatoshi sollevò le labbra in un sorriso spaventoso, mostrando i canini bianchi e appuntiti.
Faceva paura, ma era dannatamente affascinante.
« Ho l'udito sviluppato. Posso sentire una conversazione anche a un chilometro di distanza »
Si picchiettò l'orecchio.
Doveva essere terribile, e fastidioso, per Tooru sicuramente lo era. Si imbronciò.
« Per esempio, so che eri negli spogliatoi la sera della partita. Perché ho sentito i tuoi passi e il tuo respiro. E l'odore, ovviamente. Hai un odore fantastico, a proposito »
Tooru spalancò di nuovo la bocca. Lo stava facendo troppo spesso, ormai.
Balbettò parole senza senso, imbarazzato a morte. Sentiva il volto in ebollizione.
« Anche se poi sei scappato via »
Continuò Wakatoshi, ignorando i suoi deliri.
« Non sono scappato! » Sbottò, indignato.
« E usare i tuoi super-poteri non è giusto! »
Wakatoshi rise lievemente. Poi Tooru si ricordò improvvisamente che era nudo.
« Comunque no, mi spiace deluderti ma non faremo niente di quello che ha suggerito mio padre! Quindi ... ora spostati, grazie » Tentò di spingerlo indietro e mettersi seduto, ma non ci riuscì. E non perché non fosse forte, lo era, semplicemente Wakatoshi lo era di più. Cominciava a detestare quella cosa. Il fatto che fosse un maledetto licantropo.
« Non l'hai mai fatto prima? » La domanda lo fece imbarazzare di brutto.
Tentò di nuovo di sgusciare via.
Wakatoshi lo bloccò sul materasso inchiodandogli i polsi al letto con le mani.
Tooru guardò a destra, verso la sua scrivania, in particolare Mr John, il pupazzetto dell'alieno verde che gli aveva regalato sua sorella. Non aveva mai fatto niente con nessuno, no.
Ma non voleva dirlo a voce alta.
« Niente di niente? Con Mike? Bob? »
Il tono annoiato di Wakatoshi lo convinse a guardarlo di nuovo. La sua espressione era neutra - come sempre - ma non era felice.
Tooru avrebbe detto che fosse ...
« ... geloso? Sei geloso? » Gli uscì come una domanda scettica, del tutto incredula.
Wakatoshi gli diede una botta sulla fronte.
« Ahia! » Strillò lui, incredulo.
« Sei vergine »
« Lo sai che lo sono! Ti ho raccontato praticamente tutto quando eri un lupo, credendo che tu fossi solo un semplice lupo, appunto! » Strepitò di rimando, totalmente viola in faccia dall'imbarazzo. Poi si rese conto delle sue stesse parole.
Aveva raccontato tante cose a Wakatoshi, dopotutto. Molte. Anche imbarazzanti. Merda.
Voleva seppellirsi nella terra, subito.
Tentò di farsi piccolo piccolo nel letto e tornò a guardare tutto tranne che lui.
« Mi domando se ... quando sei nella tua forma lupesca, tu puoi - »
« Capire tutto quello che mi viene detto, si. E ricordo tutto anche molto bene, Tooru »
« Si, come temevo » Tooru si umettò le labbra « Quindi ricordi anche quando - »
« Quando hai praticamente confessato di avere una cotta per me dalla prima media? Si Tooru, lo ricordo. E la cosa mi ha reso molto felice » Ma non rendeva felice lui, no.
Rendeva solo il tutto davvero imbarazzante.
« Si, bene, ma ... non sono pronto, sai, per il grande passo. Potresti ... »
Wakatoshi rise di nuovo, lievemente, poi gli lasciò andare i polsi e si tirò indietro, mettendosi a sedere a gambe incrociate sul materasso. Per fortuna, si era coperto l'amico Frizz con le lenzuola e il piumone.
Tooru si alzò di fretta dal letto, indietreggiando mentre si strofinava i polsi.
« Dei vestiti. Ti devo trovare dei vestiti »
Farneticò, andando a sbattere con la schiena contro la scrivania - una foto con sua sorella cadde, facendo rumore. Wakatoshi sembrava maledettamente divertito.
« I tuoi non mi staranno, Tooru »
« Mio padre! I vestiti di mio padre, aspetta qui! » Saltò, andando verso la porta.
Quando gli passò accanto, furtivo e veloce come un serpente, Wakatoshi si allungò e gli diede una pacca sul sedere. Tooru strillò saltellando sul posto: « A cuccia! »
Si girò di scatto e portò le mani davanti.
Wakatoshi rise di stomaco, forte, ringhiando.
Quando si lasciò la stanza alle spalle - cercando di non correre troppo - Tooru aveva nella testa l'immagine di lui che si lasciava cadere sul materasso ridendo di gusto.
Era fottutamente innamorato, dannazione.


 
***


Furono due settimane felici quelle che seguirono.
Wakatoshi lo portò in città sul dorso della sua moto, e passarono un primo appuntamento che non aveva mai avuto con nessuno prima. Nemmeno Mike e Bob.
A scuola era fantastico stare insieme.
Wakatoshi lo andava a baciare ad ogni pausa che facevano durante gli allenamenti, dove Tooru se ne stava ormai seduto sugli spalti a studiare come posto fisso.
Non si preoccupavano più della gente, o degli sguardi curiosi che arrivavano puntuali ogni volta che camminavano nei corridoi abbracciati, Wakatoshi con un braccio possessivo sulle sue spalle e le mani che si intrecciavano, ridendo e parlando.
Si inseguivano nel cortile interno della scuola, dove ormai le foglie stavano sparendo, lasciando spazio ad alberi sempre più spogli.
Wakatoshi ringhiava inseguendolo, con riflessi sempre più veloci dei suoi.
E finivano per cadere a terra ogni volta, a riempirsi di baci.
Era bello, era divertente. Tooru era felice.


Sua sorella tornò a casa l'ultima settimana di Ottobre. Tooru la adorava - Allison.
Aveva sette anni più di lui, ma questo non aveva impedito ad entrambi di formare un bel legame. Solo che quella volta sua sorella lo mise davvero a dura prova.
Allison ebbe la bella pensata di invitare Wakatoshi ad Halloween da loro, solo perché voleva a tutti i costi conoscere il suo ragazzo. E lo fece a sua insaputa, con l'aiuto di Hajime il traditore. Tooru tenne il broncio ad entrambi per ben tre giorni, ed era bravo a farlo.
Poi arrivò il giorno fatidico.
Fu una serata meravigliosa, contro tutte le aspettative. Wakatoshi si integrò perfettamente. Conobbe sua madre, suo padre e poi Allison, che lo trattò come se lo conoscesse da tutta la vita e fosse un vecchio amico di famiglia. Tooru la adorò.
E poi c'era Hajime e avevano invitato anche Satori e Reon ed Eita, per mettere più a loro agio l'ospite. E nonostante non si conoscessero bene, si divertirono parecchio.
Tooru era contrario al film horror, e per tutta la proiezione se ne stette seduto sul divano rannicchiato accanto a Wakatoshi, attaccato al suo fianco, ad urlare come un invasato.
Sua madre gli scattò una foto con la polaroid.
Finì attaccata al frigorifero con una calamita.
In quello scatto, dove Tooru aveva gli occhi chiusi e la bocca spalancata in un grido di paura, Wakatoshi lo guardava con un sorriso divertito e una tale intensità da gridare amore folle a gran voce. Era bella. E mentre la osservava - molte ore più tardi - Tooru cercava di non pensare a quanto avrebbero dato di matto i suoi genitori se avessero saputo di avere in casa quattro licantropi. Ma era felice, per la prima volta, e non vide arrivare la valanga.
Lo colse di spalle.


 
***


Successe a scuola, un pomeriggio.
Era appena iniziato Novembre e gli alberi erano ormai completamente spogli.
Avrebbe cominciato a nevicare molto presto.
Tooru era seduto in biblioteca quando Satori occupò il posto davanti al suo.
Non se lo aspettava. Rimase con la penna in mano, sollevata sul quaderno dove stava svolgendo gli esercizi di matematica avanzata. Le cuffie pelose sulle orecchie.
Satori era tutto imbacuccato in un cappotto, appena uscito dagli allenamenti con i capelli ancora un po' umidi - i licantropi non si ammalavano come i comuni mortali.
Tooru si tolse le cuffie, la musica che continuava a filtrare tramite i fori.
La stoppò premendo il dito sullo screen del telefono.
« Ehm, ciao » Salutò Satori, sorridendo teso. L'altro - che aveva l'espressione un po' folle - fece un sospiro pesante, stravaccandosi sulla sedia. Sembrava di cattivo umore.
« Devo dirti una cosa e Wakatoshi mi ucciderà. Probabilmente. Ma devi sapere »
Tooru posò la penna in mezzo al quaderno.
Non gli piaceva quel tono di voce, e nemmeno le parole che aveva sentito.
Satori vagò con lo sguardo nella stanza, poi lo posò su di lui, che aspettava paziente.
« Non ti ha detto una cosa. Importante »
Iniziò, e Tooru sentì una stretta allo stomaco.
« Non so se sai che era destinato ad essere il prossimo Alfa del branco. E io il suo Beta »
Tooru aggrottò le sopracciglia. Si, Wakatoshi glielo aveva detto e -
« Era? » Domandò, soffermandosi su quella parola in particolar modo.
Satori sospirò, poi, con un gesto scattoso, tornò a protendersi in avanti appoggiando le braccia sul tavolo. Lo guardò dritto negli occhi.
« Devi sapere che ci sono alcuni licantropi le cui trasformazioni hanno effetti collaterali a lungo andare » Tooru rimase in silenzio, intrecciando le mani sul grembo, aveva la sensazione che avrebbe dovuto aggrapparsi a qualcosa « Alcuni di noi continuano a passare da una forma all'altra per tutta la vita, come James - nostro padre, il lupo che ti ha morso - oppure io, Reon, Eita ... » Tooru rafforzò la presa delle sue dita.
Non conosceva James.
L'uomo che se ne era andato in giro a mordere ragazzini per rafforzare il suo branco.
Tooru avrebbe dovuto essere uno di loro.
Sarebbe dovuto crescere lontano dall'amore della sua famiglia, ma ad un passo da loro.
Non riusciva a capire come Wakatoshi, Satori o tutti gli altri riuscissero a restare con lui.
Ma supponeva che fosse una questione di appartenenza al branco che lui - da essere umano qualsiasi - non poteva capire.
Era altro a preoccuparlo in quel momento, tuttavia: la pessima premessa di Satori.
« Wakatoshi è il più forte, tra noi. Anche il più anziano in termini di appartenenza al branco. James lo voleva come suo successore, ma ... le sue trasformazioni hanno quegli effetti collaterali, Tooru » Cadde un silenzio pesante, di qualche minuto.
Le mani di Tooru iniziarono a tremare, era sicuro di non avere una bella cera né una bella espressione, ma strinse con forza.
« Che genere di effetti collaterali? » Chiese.
La voce era roca, e non seppe spiegarsi dove trovò il coraggio di fare quella domanda.
Satori fece un respiro e intrecciò le dita delle mani davanti a sé, sul tavolo.
Pareva soffrire molto.
« Ad ogni trasformazione ha cominciato a fare sempre più fatica a tornare umano. È iniziato tutto qualche anno fa » Mormorò a voce bassa.
A Tooru si contrasse lo stomaco in una morsa. Non fu una sensazione piacevole.
Non era come quando Wakatoshi lo baciava dietro l'orecchio e lui sentiva le farfalle.
« Anche questo mese ... quando lo hai trovato sul portico. Avrebbe dovuto già essere umano, perché la luna piena era passata da qualche giorno, solo che - che non è riuscito a tornare indietro. È stato lo shock causato dal proiettile a far scattare la trasformazione inversa »
Satori cominciava a mostrare una certa difficoltà nel proseguire a raccontare.
E Tooru invece sentiva le lacrime montare.
« E prima o poi resterà bloccato, Tooru. Per sempre » Una lacrima cadde.
Tooru non ebbe la prontezza di spazzarla via.
Rimase fermo con le mani strette in grembo, la schiena incurvata, a fissare Satori.
Poi gli tornò in mente una cosa. Una cosa che aveva dimenticato.
Quella parte di conversazione tra Wakatoshi e Satori negli spogliatoi: Non ti resta molto tempo. Il lupo rossiccio aveva usato quelle parole.
Tooru non le aveva capite, ma ora avevano un senso. Un senso terribile.
Aveva creduto che si riferissero alla trasformazione imminente, al fatto che Tooru avrebbe potuto scoprirlo. Come per la malattia. In realtà non era malato davvero, ma saltava la scuola con la luna piena. Tooru si era sentito in pace. Ma ora.
Ora aveva una tempesta nel petto. Violenta.
« E ricorderà ogni cosa. Noi, te. »
Sarebbe stata una sofferenza terribile e Wakatoshi ne era consapevole.
Cadde un'altra lacrima silenziosa.
Satori tirò su con il naso.
« Tooru » Lo chiamò, e si guardarono, il dolore uno specchio riflesso nei loro occhi.
« La prossima potrebbe essere l'ultima luna per lui »
Una settimana, due, al massimo. Tooru sentì il volto accartocciarsi.
Portò le mani al viso e nascose il pianto dietro i palmi, soffocando i singhiozzi nel petto. Perché?, pensò, perché, Wakatoshi?


Lui e Satori rimasero nella biblioteca di scuola per molto tempo, con le spalle curve.
A piangere un caro amico e un amore appena nato come se lo avessero già perso da molto tempo.




 

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Capitolo 25
*** 25. Come, Wake me Up - Seconda Parte ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Supernatural

N° parole: 17.522

Note: in questa seconda parte Tooru è davvero un crybaby, oops.
Viene citata la poesia di William Sharp, A Crystal Forest … a quanto pare, la parte finale, quella che ho inserito più spesso nella one-shot, non fa parte del testo originale ma è stata inserita successivamente dalla Disney nel live action della Bella e Bestia … D’altra parte io stessa l’ho sentita pronunciare direttamente da lì …
Buona lettura :)





 
Come, Wake me Up


- Seconda Parte -




Al centro del bosco se ne stava un lago.
Era molto bello e suggestivo. In quel periodo dell'anno cominciava a ghiacciare.
Tooru aveva il fiatone quando lo raggiunse, con il cappotto aperto e la sciarpa che pendeva troppo sul lato destro del collo. Seguì il sentiero e poi intravide il pontile, e lo chalet di legno in cui lui e Wakatoshi si incontravano il pomeriggio.
Una nuova abitudine di pochi giorni.
Lo chalet era del suo padre adottivo, quel James, ma non lo usavano mai.
Tooru spalancò la porta con foga.
Lo accolse il solito ambiente caldo e piccolo.
La cucina di legno, l'isola che la chiudeva, il divano pieno di cuscini con la vetrata che affacciava sul lago suggestivo, il camino acceso e la porta chiusa del bagno e della piccola e unica camera da letto. Wakatoshi era inginocchiato accanto al fuoco quando Tooru aprì la porta come un pazzo, e lo stava ravvivando con un attizzatoio.
Si guardarono e lui doveva essere sconvolto.
Wakatoshi si tirò in piedi, aveva le sopracciglia aggrottate.
« Tooru, cosa - » Gli lanciò lo zaino addosso.
Fu un gesto istintivo. Perché era arrabbiato e faceva male al cuore, un male cane.
E non voleva. Non voleva che finisse. Che quella cosa tra di loro finisse. Mai.
Da quando era stato morso, Tooru aveva avuto sempre la sensazione che qualcosa gli mancasse, di essere fuori posto nel mondo.
Ora sapeva quale fosse il suo pezzo mancante: Wakatoshi. E non voleva perderlo.
Allora era arrabbiato, tanto arrabbiato.
Wakatoshi si accucciò con i riflessi pronti, e la cartella gli volò sulla testa per atterrare dritta sul divano costoso pieno di cuscini.
« Me lo dovevi dire, idiota! » Gridò, gli occhi che si riempivano velocemente di lacrime.
Wakatoshi si raddrizzò e mise su un'espressione neutra. Aveva capito.
« È stato Satori » Indovinò, ma non sembrava particolarmente arrabbiato con l'amico - il fratello - di sempre.
Tooru pestò un piede a terra e si portò le mani ai capelli, stringendoli nel pugno.
« Sei stato cattivo, Wakatoshi. Ed egoista! »
Gli gridò addosso, puntandogli un dito contro.
« Dovevi dirmelo che avevamo le ore contate! Che non avremmo mai potuto - anzi, no. Sai cosa? Non avresti mai dovuto rivolgermi la parola! Avresti fatto meglio a restare lontano e distante. Allora io non avrei mai saputo che tu eri il mio lupo bianco e ora - ora non mi sentirei così, come se il cuore stesse andando in mille pezzi! »
Stava facendo del melodramma, lo sapeva. Hajime lo chiamava drama queen fin da quando erano bambini, per prenderlo in giro, ma era più forte di lui.
Soprattutto in quel momento.
« Sei egoista e cattivo! E non avresti dovuto lasciare che mi innamorassi di te sapendo che non sarebbe mai potuto essere per sempre! » Era senza fiato quando finì di gridare.
Il volto bagnato di lacrime e il petto che si alzava e abbassava per l'affanno.
Aveva gesticolato come un matto.
E Wakatoshi non si era nemmeno mosso mentre gli urlava contro a quel modo.
Incrociò solo le braccia al petto, sulla maglietta di cotone a collo alto nera.
Cadde un silenzio pesante che durò minuti.
« Hai ragione, scusa. Sono stato egoista » Fu infranto da Wakatoshi.
Il suo tono era sincero, schietto e sicuro. Tooru si strinse le braccia attorno al corpo.
Non riusciva a smettere di frignare.
« Volevo stare con te, anche se solo per poco. Non ho pensato ai tuoi sentimenti »
« Hai avuto tutto il tempo per dirmelo! » Lo accusò, aggrappandosi a quella rabbia.
« Lo so. Scusa » Un'altra risposta sincera.
« E che cosa avresti fatto quando sarebbe arrivato il momento? Saresti sparito dalla mia vita all'improvviso? Così, uno schiocco di dita e via?! » Nello chalet faceva freddo.
Tooru aveva lasciato la porta alle sue spalle aperta e il fuoco del camino non riusciva a reggere il confronto con l'aria gelida. Lui però tremava anche per un altro motivo.
« Ho tutto pronto, per quando sarà » La risposta calma di Wakatoshi gli spezzò ancora di più il cuore « Con James ho pensato a tutto. Non è la prima volta che succede. Ma per te avevo in mente una lettera, sai. Alla fine di tutto »
Una lettera. Una misera lettera. Come se a Tooru sarebbe mai potuta bastare.
Bastare per mettersi l'anima in pace.
« Una lettera, certo »
Gli uscì una voce piena di doloroso sarcasmo, fece anche una risatina isterica.
Wakatoshi produsse un respiro profondo.
« Mi dispiace davvero, Tooru »
Nella sua voce percepì chiaramente un pizzico di disperazione e rammarico.
Tooru non riusciva ad immaginare che cosa dovesse star provando Wakatoshi in quel momento, e non ci riusciva perché non sapeva niente fino ad un paio di ore prima.
Perché aveva scelto di non condividere con lui quel fardello fin dal primo istante.
E perché non era un lupo. Non poteva sentire quello che provava né quello che pensava, come tutti i compagni lupi. E quella cosa lo avrebbe fatto impazzire.
« Mi hai fatto male. Qui » Indicò il cuore.
E gli tremò la voce mentre arrivava un'altra ondata di pianto, che soffocò a malapena.
Wakatoshi fece guizzare un muscolo della mascella, unico segno che dimostrava quanto quelle parole avessero affondato.
« Non sei costretto a restare fino alla fine, Tooru. Non te lo avrei mai chiesto »
Ma mi hai chiesto di amarti. Ed è questo che mi sta facendo male: amare.
Parole che si incastrarono tra i denti.
Strinse i pugni delle mani lungo i fianchi, sollevò il mento in un gesto orgoglioso, tirò su con il naso e lottò contro la tentazione di passarsi il dorso delle mani sul volto bagnato.
« Bene » Non riuscì a dire altro.
Sentiva che la voce avrebbe ceduto, altrimenti. Rimase fermo dov'era, davanti alla porta aperta, mentre Wakatoshi si chinava leggermente sul divano per prendere la cartella che gli aveva tirato addosso. Fece un passo avanti e gliela porse.
Tooru lo guardò negli occhi quando la prese.
Quegli occhi grigi che lo avevano accompagnato per molti anni della sua vita, anche quando non conosceva il meraviglioso l'uomo che vi si nascondeva dietro.
« Sii felice » Gli disse Wakatoshi, sincero.
Strinse le dita attorno alla tracolla di pezza con violenza.
Non ebbe la forza di rispondere niente.
Gli diede le spalle e si slanciò verso la porta ancora aperta, afferrò il pomello e mosse un paio di passi, investito dal gelo. Quando arrivò sullo zerbino si fermò.
Guardò lo spettacolare paesaggio invernale che aveva davanti: il lago, le montagne, gli alberi spogli e la brina sul selciato.
Strinse la presa sul pomello fino a far diventare le nocche bianche, chiuse gli occhi, li riaprì. Sapeva di non poter fare un passo oltre se non voleva avere quel rimpianto per tutta la vita. Chiuse la porta con violenza, lasciò cadere la cartella a terra e si voltò.
« Wakatoshi! » Lo chiamò, correndogli in contro senza nemmeno rendersene conto.
L'altro, che non gli aveva staccato gli occhi di dossi, lo prese al volo con i suoi riflessi pronti da lupo. Tooru sentì le sue braccia forti tenerlo sotto le cosce mentre gli avvolgeva le braccia attorno al collo e lo abbracciava con foga, stringendolo a se.
Affondando la faccia nell'incavo del suo collo e affogando nel suo odore di boschi e foglie.
Pesca e legna e camino. Salirono altre lacrime e le lasciò andare.
« Non posso essere felice senza di te » Confessò sul suo collo.
Rimanere era una follia, avrebbe sofferto.
Aveva solo diciotto anni, non aveva idea di che cosa fare. Ma voleva esserci.
Non appena era stato sul punto di lasciarsi quello chalet alle spalle ne era stato certo.
La rabbia era scivolata via, come la delusione. Non poteva lasciare Wakatoshi da solo.
Non poteva lasciarlo solo nel momento in cui avrebbe incontrato il suo terribile destino.
Erano compagni, erano aria l'uno per l'altro ed era come un voto per la vita.
Era come dire: si, lo voglio senza essere necessariamente davanti ad un ministro autorizzato o ad un altare. E Tooru lo voleva, con meravigliosa inconsapevolezza.
« Tooru » Mormorò Wakatoshi, strofinandogli la guancia sulla tempia in un gesto molto lupesco. Tooru uscì dal nascondiglio del suo collo e gli prese il viso tra le mani - lo voleva bene impresso nella mente e nel cuore.
Sapeva che con il tempo l'avrebbe dimenticato. Si protese in avanti e lo baciò.
Prima a timbro, poi con più irruenza. E poi di nuovo, e di nuovo, con intensità e audacia.
Fino a quando Wakatoshi comprese le sue intenzioni. Quello che voleva.
« Ehi, ne sei sicuro? » Mormorò tra un respiro e l'altro di un bacio appassionato.
Tooru non era mai stato tanto sicuro.
« Si » Rispose con impeto « Solo che … » Esitò un istante « ... non so bene che cosa devo fare »
Wakatoshi sorrise e gli baciò la fronte.
« Ti guido io. E poi impareremo insieme » Tooru sentì tutta la tensione lasciarlo.
Impareremo insieme quello che ci piace.
Era fiducioso, innamorato, triste, spaventato, disperato ed emozionato quando Wakatoshi lo fece sedere sul divano pieno di cuscini. Era tutte quelle cose in tumulto nel suo stomaco mentre si stendeva sui cuscini morbidi, trascinandoselo addosso.


Fuori cominciò a cadere la prima neve.


« Non hai paura? »
Fuori dallo chalet era calato il buio pesto.
L'orologio sulla parete segnava le sei di sera precise, ma sembrava già notte inoltrata.
Inoltre, ormai si erano accorti entrambi della neve che era caduta, nonostante fosse poca e non avesse ancora attecchito al terreno.
Il fuoco nel camino scoppiettava vivace, Wakatoshi vi era inginocchiato davanti - con solo un paio di boxer addosso - e lo ravvivava con nuovi ciocchi di legno.
Era la loro unica fonte di luce.
La domanda di Tooru infranse il silenzio.
Era seduto in un angolo del lungo divano ad elle, le ginocchia strette al petto e una coperta avvolta attorno al corpo nudo. Stava al caldo, stava bene.
E ancora si sentiva come intorpidito e scosso.
Si toccò distrattamente i segni dei denti affondati nella pelle della sua spalla - aveva smesso di sanguinare da qualche minuto, poi sarebbe rimasta solamente la cicatrice.
Il morso tra compagni.
Era stato lui a chiederglielo esplicitamente. Wakatoshi lo guardò, restando accovacciato davanti al camino con l'attizzatoio rovente sospeso nel vuoto.
« Ho paura di alcune cose, si » Confessò.
Tooru appoggiò il mento sulle ginocchia, avvolgendo le braccia attorno alla coperta.
« Quali cose? » Sentiva gli occhi ancora gonfi.
Aveva pianto per il morso, ma anche per quello che aveva significato: legarsi a lui per sempre. Nonostante il lupo. Ma era una cosa che aveva voluto intensamente, anche se aveva solo diciotto anni. Perché sapeva che Wakatoshi sarebbe stato l'unico, anche se fossero arrivati altri in futuro, e Tooru desiderava ricordarlo concretamente, con quella cicatrice.
Molte persone lo avrebbero definito un masochista, ma Wakatoshi aveva capito, aveva capito e lo aveva accontentato. E poi anche Tooru lo aveva morso.
Nello stesso identico punto, tra il collo e la spalla. Anche se non era un lupo e non aveva affondato forte, il segno dei suoi denti umani era rimasto inciso come una cicatrice sulla pelle immacolata e priva di segni di Wakatoshi. Allora si era commosso, perché forse non aveva capito quanto fosse speciale quel legame fino a quel momento: mentre se ne stavano seduti davanti al camino sul tappeto, nudi entrambi, stretti in un abbraccio di arti incastrati e petti che si scontravano - con il collo che ancora sanguinava appena - a sincronizzare i loro respiri senza farlo apposta. Wakatoshi appese l'attizzatoio al gancio accanto al camino, insieme agli altri strumenti, e intrecciò le mani nel vuoto.
« Ho paura dei ricordi. E del fatto che non potrò parlarti come faccio adesso »
Tooru non disse niente. Triste.
« Ho paura dell'idea di starti lontano. E di non poterti più toccare così »
Tese una mano verso di lui, Tooru fece intrecciare le loro dita.
« E mi mancherà non poterti stare accanto in un luogo pubblico. E odierò non poterti seguire quando la tua vita andrà avanti anche senza di me » Tooru strinse forte la presa.
Wakatoshi ricambiò la stretta.
Avevano fatto l'amore proprio come due adolescenti. Lui un po' imbranato e confuso.
Lo aveva voluto. E aveva provato tante cose insieme indistinte: imbarazzato, disagio, amore, piacere, dolore, tristezza, gioia. Si era sentito soffocare quando Wakatoshi lo aveva schiacciato con il suo peso, e si era sentito travolto dalla vergogna nello spogliarsi dei suoi vestiti.
A disagio con il suo corpo, gli arti sgraziati, le gambe troppo lunghe, il fisico asciutto e le ossa sporgenti. Le ginocchia ossute che sembravano teschi.
Ma il contatto della loro pelle era bello e piacevole, come la mano di Wakatoshi tra di loro, che si muoveva attento e posato.
Non era stato come nei film o nei libri, forse, molto meno romantico, ma era stato loro.
Un'ora intera in cui erano stati solo loro.
A scoprirsi. Se avessero avuto il tempo, quello di qualunque altro, avrebbero imparato a muoversi meglio, a toccare meglio e ad agire meglio. A farne un'abitudine.
Ma non avevano quel tempo.
« E non hai paura per te? » Gli chiese. Perché in tutto quell'elenco di paure e mancanze e odio, Wakatoshi non aveva parlato di se nemmeno una sola volta.
« Non hai paura di quello che verrà per te? »
« No. Sono venuto a patti con il mio destino molto tempo fa. Ho avuto le mie notti insonni e i miei momenti di crisi. Mi sono arrabbiato e ho pianto. Ora ci sei tu nei miei pensieri »
Tooru strinse con forza le braccia attorno alle gambe. Si sforzò di non piangere ancora.
« Ma siete sicuri che non si possa fare niente? Io non posso fare niente? »
Era una domanda sciocca, lo sapeva.
Ma doveva farla, anche solo per essere in pace con se stesso. Per averci provato.
Voleva sentirsi dire quel no. Wakatoshi si alzò e andò a sedersi al suo fianco sul divano, schiena curva, mentre le loro dita restavano sempre intrecciate.
« Ci sono state persone che hanno tentato, Tooru. Anche nella tua famiglia. Ma non è mai andata bene. Mai »
Tooru raddrizzò la schiena e lo guardò come se avesse appena parlato in arabo.
La sua espressione doveva essere palesemente turbata e perplessa.
« Che cosa c'entra la mia famiglia? » La domanda gli uscì più brusca del previsto.
Wakatoshi rimase calmo. Tooru lo vide allungare una mano verso di lui e per un momento pensò che volesse accarezzarlo, poi le dita di Wakatoshi scesero in basso, agganciandosi al filo della sua collana. La tirò leggermente in avanti e il lupo intagliato nel legno oscillò nel vuoto.
« La collana di tua nonna »
Tooru lo guardò negli occhi confuso.
« La collana? »
Wakatoshi lasciò andare la presa e Tooru la sentì appoggiarsi familiare sul collo.
« Dietro il lupo intagliato ho notato un nome, quando me l'hai data per farla aggiustare »
Wakatoshi cominciò a raccontare e Tooru comprese che vi erano altre cose che gli aveva nascosto. Si indispettì subito. Sfilò via le dita intrecciate delle loro mani e le ritrasse sotto la coperta calda, fissando Wakatoshi negli occhi con espressione seria.
« Joe Meyer. Mio nonno » Puntualizzò.
Sapeva bene di quel nome inciso nel legno.
Possedeva quella collana da dieci anni dopotutto. Inoltre, era stato proprio lui a dare l'informazione a Wakatoshi, la prima volta che si erano rivolti la parola per davvero.
« Era un licantropo, Tooru »
Quella confessione arrivò come un fulmine.
Tooru scosse la testa.
« No. Mio nonno è morto prima che mamma nascesse. La nonna mi raccontò che se ne andò via durante una notte di ... » La voce gli si affievolì mentre lo colpiva la realizzazione.
Fissò il vuoto, poi Wakatoshi.
« Di luna piena » Concluse per lui.
Tooru sgranò i begli occhi, scioccato.
Ricordava la storia che Linda gli raccontava quando era bambino: di questo giovane dagli occhi azzurri - che sua madre aveva ereditato, passandoli ad Allison - di cui si era innamorata quando aveva diciotto anni. Era rimasta incinta di Jennifer due anni dopo.
Poi suo marito era morto prima che nascesse, durante una notte di luna piena, nel bosco che circondava la sua casa. Ecco perché prima che morisse la nonna guardava sempre tra gli alberi. Tooru lo aveva capito solamente crescendo: aspettava Joe.
Lo aveva aspettato tutta la vita.
Ora quella storia cominciava ad avere tutta una nuova prospettiva. Una nuova luce.
« Mio nonno era come te » Mormorò.
Aveva gli occhi sgranati dalla realizzazione.
Wakatoshi annuì, distogliendo lo sguardo.
« Ho fatto delle ricerche quando ho visto la collana che indossavi. La prima volta che mi sono presentato a te sotto forma di lupo » Tooru sbatté le palpebre, sorpreso, poi distolse lo sguardo da lui a sua volta e guardò il tavolino di vetro e il tappeto sotto: la pelliccia di un orso. Wakatoshi gli aveva raccontato che era vera. James l'aveva fatto fabbricare dalla carcassa della prima preda che Wakatoshi aveva abbattuto da cucciolo: un orso bruno.
Tooru non aveva voluto farci l'amore sopra quando l'aveva saputo - pensando a quella povera creatura - e per questo erano scivolati sul pavimento di legno umido e freddo.
Fece una brutta smorfia e sbuffò.
« Perché la cosa non mi stupisce » Mormorò a voce bassa.
Sentì che Wakatoshi tornò a guardarlo.
« Lo so che non ti ho detto tante cose »
« A questo punto, spero solo che non ce ne siano altre. Davvero »
Era stanco. Wakatoshi gli toccò la spalla attraverso la coperta, stringendo con la mano.
Tooru poteva sentire il suo calore naturale anche attraverso la stoffa pesante.
« Ti dirò tutto quello che so, lo prometto. Perché non voglio che tu creda che io non ci abbia provato, Tooru. Perché l'ho fatto. Ho cercato una soluzione, disperatamente. Solo che - »
Non l'ho trovata.
Tooru fece spuntare una mano da sotto la coperta per asciugarsi il viso - alla fine aveva pianto di nuovo. Era un debole. Annuì, tornando a guardare Wakatoshi.
Lui lo scrutò a lungo negli occhi prima di riprendere a raccontare, come per accertarsi che il suo consenso fosse genuino.
« Ho scoperto che quella collana era un simbolo per i branchi di questa zona, in passato. I lupi intagliavano personalmente il ciondolo e lo donavano al proprio compagno o alla propria compagna » Tooru toccò automaticamente il lupo, tanto familiare, con i suoi spigoli grezzi, non sapeva che era stato suo nonno Joe ad intagliarlo personalmente.
« Ora è una cosa che non facciamo più. Ma tuo nonno Joe ha fatto quello per Linda »
Wakatoshi indicò la collana e Tooru provò una strana sensazione nel sentirlo fare i nomi dei suoi nonni come se fossero persone conosciute. Due vecchi amici.
« Mia nonna era umana, come me » Gli fece presente, lasciando andare il ciondolo della collana, che tornò a posarsi nell'incavo tra le clavicole.
« Lei era speciale, Tooru. Anche suo padre era un lupo, il tuo bisnonno. I figli di licantropi e umani non diventano lupi, ma sono come dei simili. Ecco perché Joe ha riconosciuto in lei la sua compagna e viceversa » Tooru provò una strana sensazione nel petto.
Cercò di ricordare sua nonna prima che si ammalasse, anche se era piccolo.
Aveva i capelli castani, striati di bianco, gli occhi grandi e scuri - come i suoi - ed era una donna energica, vitale, felice nonostante i numerosi lutti e dolori che aveva avuto nel corso della vita. Era andata via giovane.
Non devi aver paura dei lupi, Tooru. Non possono farti del male, perché tu sei speciale.
Linda lo sapeva, fin dal principio. Ecco perché gli aveva detto quelle cose.
Ed ecco il motivo per cui Tooru non aveva mai avuto paura dei lupi, nonostante l'aggressione subita quando aveva sette anni. Perché erano fratelli anche per lui.
« Mia madre però è sposata con un uomo normale. Mio padre è ... solo mio padre »
Mormorò, guardando Wakatoshi atterrito. Lui gli si fece vicino sul divano.
« Jennifer ha trovato il suo compagno in un essere umano comune, e questo è normalissimo, Tooru. Anche se non ne sono consapevoli » Wakatoshi gli fece passare il braccio attorno alle spalle. Lo strinse. Tooru appoggiò la testa sul suo petto.
Sua madre non sapeva niente, ne era certo. Non aveva mai mostrato simpatia per i lupi, da quando poi avevano tentato di fargli del male, ne aveva paura e li detestava.
Era una vera ironia, considerato suo padre.
« Tu hai nel tuo sangue i geni di Linda, Tooru. Molto più di tua madre o di Allison »
Tooru tornò a guardare Wakatoshi.
« È per questo che non mi sono trasformato? Il motivo per cui io e te ... »
« Si » Wakatoshi annuì appena « Credo sia questo il motivo. Non potevi trasformarti perché hai già dentro di te un lupo » Ma era un lupo di natura diversa.
Tooru sentì una morsa alla bocca dello stomaco.
« Esattamente come Linda, tua nonna »
Sei speciale, Tooru. L'esile eco della sua voce gli risuonò nella mente.
Non lo aveva mai detto ad Allison, e voleva un gran bene anche a lei.
« Lei ha cercato di portare indietro tuo nonno, Tooru »
Confessò a quel punto Wakatoshi, richiamando la sua attenzione.
« Joe è morto naturalmente, quando io ero un bambino. Il branco lo ha sepolto, ma non sapevo ancora che era lui. L'ho capito dopo. Era un lupo solitario. Sono piuttosto certo che abbia continuato a vedere tua nonna per un po' anche se non poteva tornare nella sua forma umana - o almeno questo è quello che mi ha detto James »
Tooru non ne sapeva niente. Linda non era vissuta abbastanza per raccontargli quelle storie. Ma avrebbe tanto voluto che fosse ancora lì, per poterle parlare.
Forse era l'unica persona sulla faccia della terra che avrebbe potuto capirlo.
« Mia nonna non ci è riuscita, vero? »
Una domanda che aveva già una risposta.
Wakatoshi scosse la testa. Calò il silenzio.
« Credevo la collana c'entrasse qualcosa, per questo ho approfittato del fatto che si fosse rotta per esaminarla. E no, prima che tu faccia quella faccia - la faccia arrabbiata - sappi che non ne avevo idea. Ho solo colto l'opportunità quando mi si è presentata »
Tooru distese le labbra, rivolgendogli una leggera occhiataccia, poi aprì le braccia, invitando Wakatoshi ad infilarsi sotto la coperta insieme a lui. Non si fece pregare.
Gli avvolse la coperta addosso e si strinse al suo fianco, godendosi il calore che emanava.
Inconsciamente, pensieroso, prese a giocherellare con il ciondolo.
Era strano quanto la vita si ripetesse.
Sua nonna aveva tentato di far tornare indietro suo nonno per tutta la vita, ed era morta su quella sedia d'ospedale con lo sguardo rivolto al bosco, in attesa.
Lui avrebbe fatto la stessa fine, lo sapeva.
Fu attraversato da un brivido e Wakatoshi lo strinse a se, fraintendendo.
« Ma la collana non è nient'altro che quello, giusto? Nient'altro che fili, legno e ferro »
Lasciò andare il ciondolo e decise di non pensarci oltre. Avrebbe fatto male ad entrambi continuare con quei discorsi.
« Nient'altro che fili e ferro »
Confermò Wakatoshi e poi rimasero in silenzio tra le quattro pareti di quel piccolo chalet.
Con il crepitio del fuoco come unica compagnia, e la luce calda che si estendeva creando giochi d'ombra ovunque.


Lo scorrere del tempo non aveva mai fatto tanta paura prima.
Come la consapevolezza che non avrebbero potuto far niente per cambiare le cose.


Lasciarono lo chalet che ormai era tutto buio.
Il lago, il bosco e il selciato macchiato di brina e neve. I loro piedi scricchiolavano rumorosamente, la luce della moto di Wakatoshi fendeva il buio del sentiero.
Tooru saltellava sul posto, tentando di scaldare le mani tra di loro.
Wakatoshi gli porse il casco rosa. Tooru lo guardò, accennando un sorriso carico di tristezza, mentre ripensava al loro primo e unico appuntamento in città.
Allora non sapeva che Wakatoshi stava cercando di costruire dei ricordi.
Non lo aveva capito. E avrebbe preferito non farlo.
Prese il casco e lo indossò velocemente, con una manualità da esperto, Wakatoshi fece lo stesso con quello nero e salì sulla moto.
Tooru lo imitò poco dopo, aggrappandosi alla sua vita con estrema naturalezza.
Appoggiò la guancia sulla sua schiena e il palmo di una delle due mani dove poteva sentire battergli il cuore. Era rassicurante.
« Ti riporto a casa » Disse Wakatoshi spingendo la moto per togliere il cavalletto, mentre il motore rombava.
« No, vorrei che tu mi lasciassi in un posto diverso! » Gridò a voce alta per sovrastare il rumore di accelerazione della moto che partiva. Wakatoshi si guardò indietro sulla spalla per un secondo, ma con la visiera scura abbassata davanti agli occhi la sua espressione si vedeva appena e nemmeno le luci sulla strada principale - nel quale spuntarono quasi immediatamente - riuscivano a rendere migliore la visuale, al contrario, si infrangevano come lampi veloci sul vetro.
« Okay, dimmi dove » Gli fisse infine, tornando a guardare la strada davanti a sé.
Tooru si strinse a lui con più forza.


Wakatoshi fermò la moto, ancora accesa, davanti al vialetto di una bifamiliare azzurra e bianca. Tooru la guardò, mentre si sfilava via il casco e scuoteva la testa per ravvivare i capelli schiacciati: la casa di Hajime. Era un po' anche la sua casa, in realtà.
Non gli sarebbe bastata una vita per descrivere tutti i giochi che aveva fatto con il suo migliore amico nel cortile o nel giardino retrostante. Le notti passate lì, le cene di famiglia, i genitori di Hajime - Laura e Ryota - che erano un po' anche i suoi genitori.
Tooru aveva bisogno di quello, quella sera, aveva bisogno del suo migliore amico.
Passò il casco a Wakatoshi, che nel frattempo stava alzando la visiera, scoprendo i suoi meravigliosi occhi grigio tempesta.
« Grazie » Gli disse Tooru, allungando una mano per toccargli il braccio.
Wakatoshi non fu in grado di ricambiare il gesto, perché la moto era accesa e aveva entrambe le mani sui manubri.
« Starai bene? » Domandò di rimando, scrutando la casa alle sue spalle.
Tooru seguì la direzione del suo sguardo.
« Sono da Hajime » Gli spiegò, annuendo.
Wakatoshi sistemò il casco ad un gancio e fece un cenno del capo, comprensivo.
« Capisco » Si limitò a dire.
Si guardarono per qualche secondo, Tooru avrebbe tanto voluto baciarlo.
Come se gli avesse letto nel pensiero, Wakatoshi lasciò andare uno dei manubri e si sganciò il casco, sfilandolo via mentre scuoteva ferocemente la testa.
Si protese in avanti e Tooru non esitò nemmeno.
Gli avvolse le braccia attorno al collo e lo baciò una volta, due e poi tre.
Si ritrasse appena, poi tornò per un quarto bacio. Fece per staccarsi, ma quella volta fu Wakatoshi a tirarlo indietro per un quinto.
« Ci vediamo domani » Gli sussurrò alla fine, ad un soffio dalle labbra, con il suo respiro caldo di miele che gli accarezzava la pelle. Tooru annuì, facendo un passo indietro.
Wakatoshi voltò la testa di scatto verso la casa, mentre tornava ad infilare il casco.
« Il tuo amico sta scendendo le scale per aprire la porta. Ti ha visto dalla finestra »
Lo informò, allacciando i ganci sotto il mento.
Doveva aver sentito nonostante la distanza.
« Non origliare nelle case degli alti » Lo rimproverò fiaccamente, Wakatoshi sorrise, perché vide i suoi zigomi sollevarsi nella parte della visiera che ancora non aveva abbassato.
« Fai attenzione per strada. Nevica ancora » Gli disse, facendo un altro passo indietro.
Lui annuì, poi calò la visiera sugli occhi. Un istante dopo sfrecciava via lungo la strada.
Tooru lo seguì con lo sguardo, poi si voltò verso la casa, la cui porta era aperta.
Hajime era sotto l'arco, incorniciato dalla luce calda che filtrava da dentro l'abitazione.
Indossava una tuta logora e una vecchia felpa sbottonata, sulla maglietta bianca con Godzilla che distruggeva un grattacielo. Tooru salì gli scalini e raggiunse il portico.
Hajime aveva la sua solita espressione burbera, con quelle sopracciglia aggrottate.
« Non mi hai detto che passavi »
Non appena sentì la sua voce, Tooru provò il violento desiderio di piangere e lo fece.
Iniziò a singhiozzare senza controllo.
Hajime nemmeno si sorprese. Fece un sospiro, un po' come se se lo fosse aspettato.
« Vieni qui, idiota » Gli afferrò un braccio e se lo tirò contro, stringendolo in un abbraccio un po' goffo e impacciato. Tooru si aggrappò con le mani alla sua felpa.
« Dannazione, sei gelato! » Sbottò Hajime, per poi fare un altro sospiro quando vide che lui non accennava a smettere di piangere « Hai litigato con il tuo miracle boyfriend? »
Lo prese in giro, usando un termine che aveva sentito usare da Satori la notte di Halloween.
Tooru lo detestava con tutto il cuore.
Annuì, perché non poteva raccontare la verità al suo migliore amico. O almeno, non ancora.
« Vuoi che gli spacchi il culo? » Tooru rise, passandosi il dorso di una mano sul viso congestionato di lacrime, il respiro che si trasformava in condensa nell'aria.
« Cosa? Credi che non ne sia capace? Che solo perché il tuo fidanzato è grosso come un orso io non possa fargli il culo? Ho una mazza di ferro giusto sul retro »
Tooru rise ancora più forte, stringendosi lo stomaco mentre altre lacrime cadevano.
Ecco perché aveva bisogno di Hajime.
« No, lascia perdere. Non c'è bisogno di arrivare a tanto »
Disse a fatica, asciugandosi gli occhi con entrambe le mani.
Hajime lo scrutò con un cipiglio divertito.
Tooru sapeva che avrebbe davvero preso Wakatoshi a sprangate se glielo avesse chiesto.
Una volta aveva picchiato ferocemente due ragazzini della comunità giappo-americana che lo avevano preso in giro chiamandolo frocio.
Hajime era stato in punizione un mese intero per quel motivo, e Tooru era andato a trovarlo sempre di nascosto portandogli degli insetti raccolti nel bosco in solitudine.
« Vieni dentro, idiota, fa freddo »
Lo trascinò nel caldo della casa tirandolo per la manica del montgomery pesante.
Tooru si chiuse la porta alle spalle e fu subito investito da rumori e odori di cucinato.
Era ora di cena, dopotutto.
Aveva già avvisato sua madre che sarebbe rimasto a dormire da Hajime quella notte.
« La mamma sta preparando le enchiladas. Si è fissata con la cucina messicana »
Lo informò l'amico mentre si toglieva il cappotto e lo appoggiava sul braccio.
Laura lo chiamò a gran voce proprio in quel momento e Tooru entrò in cucina con un saluto allegro, seguito da un Hajime sempre più burbero e imbronciato.
Dimenticò molto presto il motivo per cui non aveva fatto altro che piangere tutto il giorno.
Seduto a tavola con i genitori di Hajime e il suo migliore amico come se fosse uno di famiglia. Rise tanto, tormentò un po' l'amico, aiutò Laura a fare i piatti, fece una partita a scacchi con Ryota - vincendo - e passò buona parte della notte a giocare con la play station insieme ad Hajime, nella sua camera caotica.
Non parlarono di Wakatoshi. Mai.
Tooru comunque non avrebbe saputo che bugia inventare sulla loro presunta litigata.
E di certo non gli avrebbe raccontato di aver perso la verginità proprio quel pomeriggio.
Fu piacevole fin quando non si ritrovò nel letto del suo migliore amico - che russava senza pietà - schiacciato contro una parete a fissare un soffitto nel buio totale.
Allora si rese conto che niente avrebbe potuto funzionare per farlo stare meglio.
Il tempo non avrebbe rallentato la sua corsa.


Prima lo accettava, meno male avrebbe fatto.

 
***


Passarono la settimana restante facendo finta di niente.
Tooru non avrebbe voluto lasciare Wakatoshi da solo nemmeno un solo minuto, ma era decisamente impossibile. Hajime lo prendeva in giro dicendo che stava diventando una cozza sdolcinata, che era meglio non litigassero se poi quello era il risultato, perché gli sarebbe venuto il diabete da sdolcinatezza se avessero continuato in quel modo.
Tooru non riusciva sempre a ridere o ad arrabbiarsi per quelle sciocchezze.
Wakatoshi prese una strana abitudine nel corso dei giorni che precedettero la luna piena.
Si fece prestare una vecchia polaroid da James, nel quale aveva inserito dei riquadri di foto colorati e variopinti.
Scattava foto in continuazione, ovunque andassero e qualunque cosa facessero.
Foto insieme, foto in cui era da solo, foto di Tooru. Un mucchio di foto venute bene e male. Poi un giorno andarono in un posto diverso dal solito, una libreria con bar.
Tooru adorava posti del genere.
La libreria - Camellia - si trovava in un vicolo appartato, per quel motivo Tooru non ci aveva mai fatto caso prima, nonostante conoscesse abbastanza bene la città dove era nato e cresciuto. Si trovava tra due edifici di mattoni rossi, in un posto non proprio invitante, ma la vetrina bastava ad invogliare le persone ad entrare all'interno.
Wakatoshi gli fece varcare la soglia per primo, e sulle loro teste tintinnò una campanella. Tooru fu investito dall'odore di libri usati, carta riciclata, inchiostro nuovo e caffè, cioccolata e pasticceria appena sfornata. Il posto era piccolo, ma grazioso.
Vi erano file e file di scaffali imbottiti di libri di ogni genere, divanetti e tavolini di ottone, piante finte che prendevano dal soffitto o dalle mensole, lampadine appese senza paralume e una scala a chiocciola che portava al piano di sopra, ogni gradino fatto con la costa di un libro diverso.
Al centro se ne stava un piccolo bar, con una ragazza indaffarata dietro il bancone. Era ...
« ... bellissimo » Sussurrò Tooru incantato, dando voce ai suoi pensieri.
Un largo sorriso si fece spazio sul suo volto infreddolito - era caduta altra neve nel corso dei giorni e ormai cominciava ad ammucchiarsi.
Wakatoshi chiuse la porta dietro di loro e gli prese una mano guantata.
« Voglio farti vedere una cosa » Gli disse. Tooru lo guardò, riprendendosi dallo stupore, mentre lo conduceva verso la scala a chiocciola. Il sorriso gli morì sul viso.
Wakatoshi aveva le occhiaie ed era pallido, i primi sintomi quella trasformazione che si avvicinava con fare incalzante. Anche i canini avevano preso ad essere sporgenti.
Tooru gli strinse la mano con forza - era bollente e non indossava guanti come lui - seguendolo sulla scala.
Il piano superiore era identico a quello di sotto, ma vuoto, e senza tavolini o bar.
Solo lunghe file di scaffali, piante, luci e tanti pouf colorati su cui sedersi per leggere comodamente. Wakatoshi lo condusse in fondo alla stanza, dietro uno scaffale appartato e Tooru rimase senza fiato. Vi era una sorta di tenda, creata con tende trasparenti sovrapposte che si andavano a legare ad un gancio nel soffitto, creando una sorta di alcova nascosta.
All'interno di quel nido protetto era stato steso un tappeto morbido, pieno di cuscini comodi, e una spirale di lucine gialle seguiva la forma della tenda rendendo l'atmosfera piacevole e decisamente romantica.
« È ... wow »Disse, molto eloquente.
Wakatoshi rise dietro di lui, spingendolo verso la tenda con entrambe la mani.
« Entraci, prima che arrivi qualcuno e si rubi il posto. È molto quotato, sai? » Lo incitò.
Tooru gli rivolse giusto un'occhiata, poi si inginocchiò sul tappeto e gattonò sotto le tende, mettendosi seduto a gambe incrociate contro i cuscini. Da lì l'atmosfera era surreale.
Guardò Wakatoshi, ancora in piedi fuori la tenda con il suo aspetto da malato.
« Tu non entri? » La domanda suonava un po' apprensiva, ma Tooru aveva paura che se ne stesse lì a fissarlo per imprimersi nella testa la sua immagine. Non voleva.
Tese una mano verso di lui.
« Vieni » Wakatoshi gliela prese, inginocchiandosi davanti a lui.
« Vuoi qualcosa di caldo da bere? » Chiese.
Voglio te, così come sei adesso. Umano. Per sempre. Si limitò a scuotere la testa.
Wakatoshi annuì ed entrò nell'alcova.
In due si stava stretti e diventava sorprendentemente intima.
Tooru fu sopraffatto dalla sua stazza e dal suo odore naturale di boschi e foglie, che era diventato spaventosamente forte.
« Da bambino venivo a nascondermi qui sotto »
Wakatoshi lo strappò all'angoscia che stava prendendo il sopravvento su di lui.
Stava armeggiando con lo zainetto di pelle nero che aveva sulla spalla, e ne estrasse la vecchia polaroid azzurra.
« Non ho molti ricordi dei miei genitori biologici. Mia madre è giapponese, mio padre americano. Rina e Robert Oxford. So che si sono trasferiti in California quando io ... hanno dichiarato che ero morto e poi James ha pensato al resto » Tooru si fece improvvisamente attento. Wakatoshi non parlava con lui di quelle cose « Quando sentivo particolarmente la loro mancanza, venivo qui. Non so dirti il perché. Credevo che questa fosse una tana, una sorta di rifugio, forse » Si portò la polaroid al viso e la puntò nella sua direzione, Tooru accennò un sorriso, lui scattò. La foto uscì qualche istante dopo.
Wakatoshi la estrasse con cura, agitandola.
« Poi ci sono tornato quando ho capito che ero un lupo affetto da trasformazioni collaterali. È stato il mio rifugio anche allora » Sulla foto cominciò ad apparire del colore.
Wakatoshi tenne lo sguardo fisso lì.
Tooru non poteva fare a meno di guardare lui invece. Gli veniva da piangere, di nuovo.
« Volevo venirci anche con te, almeno una volta prima della prossima luna »
Nella piccola cornice apparve Tooru con quel sorriso stentato, particolarmente fotogenico.
« Siamo qui. Io e te » Trovò la forza di dirgli.
Wakatoshi annuì e sollevò la foto.
« Questa posso tenerla? »
Gli chiese, mentre cominciava a frugare con una mano nella tasca della giacca di pelle.
« Ma certo che puoi » Mormorò Tooru, mentre lo osservava estrarre quello che sembrava un plico di minuscole lettere tenuto da un nastro rosso infiocchettato.
Quando Wakatoshi glielo passò, si rese subito conto che erano tutte le foto scattate quella settimana. Una vita intera vissuta in pochi giorni, catturati in istantanee.
Gli tremarono le mani.
« Quelle sono per te. Tienile » Tooru avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma aveva un groppo in gola, sapeva che avrebbe pianto se avesse parlato.
Wakatoshi lo comprese.
Si chinò in avanti e lo baciò appena, accarezzandogli uno zigomo con il pollice.
« Sicuro di non volere niente? Gli odori di questo posto mi stanno facendo impazzire ... pare ci siano dei cornetti in forno »
Tooru accennò un sorriso, scuotendo di nuovo la testa. Aveva lo stomaco chiuso.
« Ma tu vai, se hai fame » Lo incitò.
Wakatoshi fece spallucce, prendendo a sbrogliargli la sciarpa da attorno al collo.
« Fa caldo, prenderai freddo quando usciremo se non togli sciarpa, guanti e cappello, sai?» Mormorò, ammucchiando la sua sciarpa di lana in un angolo.
Tooru si tolse il cappello, poi i guanti e glieli passò, lasciando che li mettesse accanto alla sciarpa. Poi notò la polaroid e la prese.
« Tempo di una foto insieme » Annunciò, cercando di ritrovare l'allegria.
Si mise seduto tra le gambe di Wakatoshi, che gli fece spazio, e si stese sul suo petto, sistemando la polaroid come se volesse scattare un selfie, impresa ardua.
« Sorridi » Lo istruì, premendo il tasto per scattare. Ci fu un click, poi uscì la foto.
La prese, rimanendo steso su Wakatoshi, osservando lo sfondo ancora tutto scuro mentre agitava la pellicola. Nel frattempo, Wakatoshi si era sporto verso le pile di libri sistemate negli angoli dell'alcova. Ne prese uno in particolare, attirando l'attenzione di Tooru, che sollevò lo sguardo. Lesse il titolo al contrario: Poesie di William Sharp.
Non conosceva né il libro né l'autore.
« Mi leggi qualcosa? » Gli chiese distrattamente, tornando a soffermarsi sulla foto, che cominciava a colorarsi. Lo sentiva sfogliare le pagine.
« Non sono un bravo lettore » Si denigrò.
Tooru ridacchiò, tenendo la foto con indice e pollice davanti al viso.
« Hai una voce profonda. Sarà piacevole » Era venuta bene, inaspettatamente.
Wakatoshi continuò a sfogliare, poi si fermò.
« Questa mi piace » Disse, la voce che gli vibrava nella cassa toracica e così anche sulla nuca di Tooru « Si chiama A Crystal Forest » Lo informò.
« Leggi » Tooru era distratto, stava cercando si capire se la foto sarebbe venuta più chiara o rimasta tanto scura.
« L'aria è blu, pungente e fredda, avvolta in un gelido fodero tetro » Cominciò Wakatoshi con tono neutro, Tooru ascoltò a malapena, pensieroso « Ogni ramo, ramoscello o filo d’erba sembra miracolosamente vetro » Ci fu uno strano silenzio, come se l'aria si fosse fermata ad ascoltare « Guarda, guardami » Automaticamente Tooru sollevò lo sguardo, solo per incontrare la copertina alla rovescia del libro retto sulla sua testa. Poi Wakatoshi lo spostò, guardandolo dall'altro, recitando l'ultimo pezzo a memoria « Vieni e destami »
Tooru sentì gli occhi pizzicare.
« Perché io sono ancora qui »
L'ultima frase Wakatoshi la sussurrò, per poi chinarsi in avanti su di lui e dargli un bacio al contrario, proprio mentre cominciava a piangere, singhiozzando.
La foto stretta al petto insieme alle altre.
« Sei davvero un piagnucolone » Lo prese in giro, bloccandogli il mento con una mano per baciarlo di nuovo mentre tirava su con il naso. Anche Hajime glielo diceva.
« Sono emotivamente fragile » Protestò lievemente. Wakatoshi rise e lo lasciò andare, Tooru ne approfittò per asciugarsi il volto con la manica del montgomery.
Poi si voltò per guardarlo male, ma non ci riuscì.
Era lì, con la schiena appoggiata ai cuscini, le ginocchia tirate al petto, ma ancora spalancate, e il libro chiuso con un dito a fare da segno sulla pagina della poesia.
Tooru prese la polaroid e scattò un'altra foto, un senso di tristezza soffocante nel cuore.
Wakatoshi smise di sorridere. Si tirò in avanti con un movimento veloce e incrociò le gambe davanti a sé, afferrando Tooru per i polsi. La foto cadde tra loro.
« Sto per abbracciarti » Lo informò.
« Di solito lo fai senza dirmelo »
Wakatoshi gli avvolse le braccia attorno e lo strinse, trascinandoselo contro.
Tooru sentì un brontolio profondo risuonare nel suo petto, il principio di un ringhio.
Il lupo stava prendendo il sopravvento su di lui. Sentì il suo respiro caldo sul collo e i canini che gli sfioravano la pelle - provocandogli dei brividi - mentre gli posava un bacio sulla giugulare. Erano in quella posizione anche quando si erano scambiati il morso.
« Volevo solo fartelo sapere » Non avrebbe potuto farlo più molto presto. Tooru sollevò le braccia e gliele avvolse attorno alla schiena, aggrappandosi al suo giubbotto di pelle.
« Ti amo anche io, miracle boyfriend » Gli sussurrò all'orecchio.
Risero entrambi per le parole inventate da Satori. Poi Tooru sentì quel groppo ormai familiare formarsi in gola e sapeva che avrebbe pianto ancora una volta.
Era strano, ma pareva che le lacrime non avessero mai una fine dentro di lui.
« Ricordalo sempre, Tooru. Ovunque andrai nella vita. Non lo dimenticare »
« Sei incancellabile tu. Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia ...» Rispose, citando un testo di Charles Bukowski che lo aveva sempre colpito particolarmente.
« Oh, mi attacchi anche tu con una poesia ... come prosegue? »
Lo prese in giro Wakatoshi, sussurrando sul suo collo.
Tooru sorrise tristemente, anche se l'altro non poteva vederlo. Forse proprio per quello.
« Non me lo ricordo » Mentì.


... solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere?


Tooru non ne aveva idea.

 
***


Successe silenziosamente, e lui nemmeno se ne accorse.
Dormiva, perché avvenne di notte. Non ebbe incubi, né sogni premonitori.
Non si sentì chiamare, come capitava in quei film d'amore strappalacrime.
Non sentì niente di niente.
La mattina si svegliò alle sei, come sempre.
Aveva nevicato tutta la notte, e probabilmente il giardino, il tetto della casa e le strade sarebbero state impraticabili.
Si era alzato stiracchiandosi, infilando i piedi congelati nelle pantofole pelose.
Ed era andato alla finestra piena di condensa.
Era stato allora che lo aveva visto, il suo lupo bianco: Wakatoshi.
Mentre scendeva le scale di corsa, rischiando di cadere e farsi male, non riusciva a pensare a nient'altro che al fatto di non aver provato o sentito niente.
Nemmeno un piccolo, minuscolo sussulto.
E così come non era in grado di percepire le emozioni o i pensieri di Wakatoshi - nonostante fossero compagni - non aveva provato niente durante la sua trasformazione.
Al contrario, aveva dormito profondamente per tutta la notte, come un angelo.
Wakatoshi era lì seduto nella neve, dove quasi si confondeva, non fosse stato per gli occhi color tempesta. Era composto.
Lui invece cadde nella neve prima di riuscire a raggiungerlo, infermo sulle gambe.
Si inzuppò il cotone leggero del pigiama e anche la pelliccia delle pantofole.
E sentì il dolore causato dal ghiaccio sulla pelle, ma non riusciva a muoversi, a rialzarsi.
Respirava solo violentemente - nuvole di condensa nel gelo - con gli occhi appannati di pianto. Wakatoshi allora si alzò sulle quattro zampe, caricò e con un agile salto oltrepassò la staccionata, finendogli davanti con grazia.
Lo colpì sulla faccia con il muso, come se volesse dirgli: Alzati. Tooru non ci riusciva.
« Non ti ho nemmeno salutato » Mormorò.
Wakatoshi uggiolò lievemente e prese a strusciarglisi addosso con la sua pelliccia calda e candida, facendo il giro del suo corpo.
Poi infilò la testa sotto una delle sue braccia e fece leva sulle zampe, tentando di sollevarlo. Non poteva. Era forte e grosso, ma nella sua forma da lupo non ci riusciva.
Tooru rimase come un peso morto, con le gambe ormai insensibili nella neve, le braccia abbandonate lungo il corpo. Non ottenendo reazione, Wakatoshi gli colpì il mento con il muso e lo costrinse a sollevare lo sguardo.
Tooru non riuscì ad evitare di incrociare i suoi occhi tempestosi.
Riusciva quasi a vedere l'uomo dietro il lupo.
Guarda, guardami, sembrava dirgli, vieni e destami.
« ... perché io sono ancora qui » Sussurrò.
Wakatoshi uggiolò di nuovo - come se stesse piangendo - e gli appoggiò il muso sul collo.
Tooru si asciugò il volto, tirò su con il naso.
Poi lo abbracciò, affondando il viso nella sua pelliccia calda e morbida.
Aveva ancora una speranza.
Una sciocca speranza: che Wakatoshi riuscisse a tornare indietro ancora una volta.
Che quella non fosse davvero la fine.


Il giorno successivo gli salì la febbre alta.
Fu una buona scusa per restare in camera, steso nel letto a non pensare a niente.
Aspettava che sua madre e suo padre lasciassero casa, poi scendeva al piano terra ed apriva la veranda, aspettando. Wakatoshi entrava sempre in silenzio, il ticchettio delle unghie sul pavimento ad annunciare il suo arrivo.
Si stendeva sul tappeto accanto a Tooru, e restavano in silenzio, a vedere qualcosa alla televisione, oppure a fare niente. Tooru si appoggiava su di lui, come fosse un cuscino, e avvolto nella sua coperta restava in silenzio. E in attesa.
Con il cuore spezzato.


La luna piena passò e fece il suo corso.


Tooru tornò a scuola.
Ci era andato da solo, con la sua macchina, perché Hajime - che testardamente era andato a trovarlo tutte le sere - si era mischiato il virus da lui.
Stava attraversando il parcheggio quando li vide: Satori, Eita e Reon.
Sistemò la cartella sulla spalla e accelerò il passo, rischiando di scivolare sul ghiaccio.
« Ehi! Ehi, Satori! »
Il coetaneo si voltò a guardarlo e Tooru rallentò il passo, restando a qualche metro di distanza. Sembrava ancora ... malato. Lo sembravano tutti e tre.
Tooru sapeva che non era una cosa normale.
Con il passare della luna piena riprendevano il possesso del loro corpo senza conseguenze, allora comprese. Erano in lutto per un amico. Un fratello.
« Non è tornato indietro, Tooru »
Lui sentì il labbro inferiore tremare.
Scosse la testa, ostinato.
« Ma l'altra volta - »
« NON TORNERÀ INDIETRO! FATTENE UNA CAZZO DI RAGIONE! »
Tooru non si aspettava la reazione aggressiva di Satori, per quel motivo sussultò vistosamente, tremando tutto.
« Ehi, Satori. Calmo » Mormorò Reon, mettendo una mano sulla spalla dell'amico.
Ma Satori aveva occhi solo per Tooru, e sembrava subito pentito del suo scatto d'ira.
« Tooru, scusami » Fece un passo verso di lui, che indietreggiò automaticamente.
Non perché fosse spaventato, ma perché ... non voleva accettare quelle parole. No.
« Scusa, davvero. Non - non allontanarti da noi. Lui non lo vorrebbe. È che non ci sto con la testa, davvero. Io ... » Tooru smise di ascoltarlo.
Non tornerà indietro. Lo sapeva, ma non ci vide più.
Era qualcosa che non poteva controllare con la razionalità.
Diede le spalle a Satori, Eita e Reon - lasciandoli spiazzati - e tornò di corsa verso la macchina, cercando freneticamente le chiavi all'interno dello zaino.
« Tooru! » Lo chiamò Satori con foga, cercando di raggiungerlo, ma quando ci riuscì lui aveva già ingranato la retromarcia.


Parcheggiò nel vialetto di casa con una brutta sterzata, rischiando di prendere un paletto.
Non si accorse nemmeno del suv di sua madre parcheggiato nel garage aperto.
Non entrò dentro, fece il giro largo.
Raggiunse il giardino sul retro e andò anche oltre, verso il bosco a cui gli era sempre stato proibito di avvicinarsi, fin da quando era solo un bambino. Era inferocito, addolorato.
« Wakatoshi! » Gridò, talmente forte da aver male alle corde vocali.
Fece un respiro, strinse i pugni lungo i fianchi e si fermò a metà strada, con i piedi che affondavano nella neve, gli stivali bagnati e umidi.
Lo chiamò di nuovo, mettendo le mani a coppa attorno alla bocca.
Poi cadde in ginocchio nella neve, come quella mattina terribile. Provò dolore.
E come se lo avesse percepito, come se le sue grida avessero raggiunto tutto il bosco, il lupo bianco arrivò correndo aggraziato. Era di una bellezza dolorosa.
Il suo passo armonioso, la neve che si sollevava e il corpo flessuoso, enorme.
Tooru sapeva che lo avrebbe sentito, se non per via del legame, per il suo udito sviluppato.
Wakatoshi gli arrivò ad un passo dal viso, arrestando la sua corsa. Gli urtò il mento con il muso e prese ad odorarlo senza cura, alla ricerca di qualcosa che non andasse in lui.
Tooru gli affondò le mani nella pelliccia e lo costrinse a guardarlo, occhi negli occhi.
« Trasformati! » Gli ordinò, feroce.
Wakatoshi sbuffò, agitando la coda nel vuoto.
« Non mi interessa, devi trasformarti! »
Tooru sapeva di sembrare folle in quel momento. Solo non voleva accettare la realtà.
Gli altri erano tornati indietro e lui no.
Sapeva che poteva succedere, ma non era stato del tutto reale.
Almeno non fino a quel momento.
Satori, Eita e Reon lo aveva reso dolorosamente vero: Wakatoshi non era lì.
Non ci sarebbero più state lezioni di chimica, trigonometria e inglese insieme.
Ne agguati nei corridoi. Inseguimenti nel cortile, pranzi insieme alla mensa, battute e risatine. Baci dati di nascosto. Appuntamenti o coccole alla luce di un camino.
Tooru aveva solo diciotto anni e nemmeno lo sapeva che cosa fosse l'amore.
Gli era stato detto spesso che era troppo giovane anche solo per fare sesso con qualcuno. Erano cazzate. Nessuno avrebbe potuto convincerlo che quello che stava provando non fosse amore, anche se non aveva idea di che cosa significasse.
Perché era dilaniato dentro e non sapeva che cosa fare per rimettersi insieme.
Wakatoshi tentò di sgusciargli via dalle mani, ma lui scosse la testa, tenendolo fermo.
« Guardami! Guardami, Wakatoshi. Devi fare uno sforzo, come l'ultima volta. Lo devi fare per me, va bene? » Lui uggiolò. Tooru era consapevole di non fare del male solo a sé stesso. Wakatoshi ricordava, sentiva, comprendeva tutto, era solo bloccato nel corpo di un lupo.
Ma era lì.
« Ti prego ... ti prego ... » Mormorò, appoggiandogli la guancia nel pelo candido.
Aveva perso sensibilità alle gambe ormai. Non gliene importava niente.
Wakatoshi gli sfuggì alla presa e fece un salto indietro, fissandolo con i suoi occhi grigi spettacolari. Scosse il capo. Un gesto molto umano. Troppo.
Un netto e fermo "no".
Tooru lo fissò con occhi vacui, distratti.
« Allora mi lascerò morire qui »
Gli disse, tornando a fissarlo con l'espressione di una persona folle.
Non riusciva nemmeno a piangere quella volta.
« Morirò per ipotermia » Wakatoshi iniziò ad agitarsi, gli ringhiò contro in posizione d'attacco, con la coda che si muoveva nel vuoto sempre più frenetica.
« Allora trasformati, coraggio. Fallo e io mi alzerò da terra » Era testardo.
Lo era sempre stato.
Wakatoshi ringhiò più forte, scoprendo le zanne. Lui non fece nemmeno una piega.
« Devi provarci, perché non voglio perderti. Non voglio! Non abbiamo nemmeno iniziato io e te! Perciò provaci! Provaci! »
Gli gridò contro con disperazione, nel suo modo umano di ringhiare senza zanne.
Wakatoshi scosse di nuovo il muso: Non posso. Non ci riesco. Ci ho già provato.
Fu come se quella sequela di pensieri veloci attraversasse la mente di Tooru in maniera del tutto leggibile e lucida. Ma fu solo un attimo. Un istante appena.
Sbatté le palpebre, leggermente stordito. Nel frattempo, Wakatoshi gli aveva azzannato il colletto del montgomery cominciando a tirare con foga perché si alzasse.
Tooru tornò a prestargli la sua attenzione.
« Dovrai trascinarmi via, sai? » Gli disse, sollevando le labbra in un sorriso grottesco carico di disperazione e tristezza. Wakatoshi tirò con più forza, ringhiando.
Non fare il bambino. Alzati, Tooru.
Lo sentì di nuovo, distintamente.
Fece per voltarsi e guardarlo con stupore, ma uno strattone più forte lo fece cadere di schiena nella neve. Gli uscì un piccolo urlo.
Poi si ritrovò a fissare il cielo bianco, come quella volta che aveva sette anni.
Era cominciato tutto in quel momento a ripensarci.
Se solo non fosse stato così sciocco da mettersi a giocare fuori con Hajime ... magari in quel momento sarebbe stato a scuola, senza sapere niente.
Non mi voglio alzare. Voglio restare qui.
Non essere idiota! Alzati, ora. O ti mordo le palle, davvero.
Scoppiò a ridere. Con la voce di Wakatoshi nella testa scoppiò a ridere, senza avere la forza di domandarsi perché ora sentissero uno i pensieri dell'altro.
Rise, steso nella neve come se volesse fare un angelo, ma con la parte posteriore del corpo ormai quasi completamente insensibile. Wakatoshi ringhio, tirando, e riuscì a spostarlo nella neve di qualche centimetro, dieci, forse. Poi si stancò.
Tooru chiuse gli occhi. Non seppe per quanto tempo - solo pochi secondi, forse - poi sentì il muso di Wakatoshi sul petto. Li riaprì.
Lui si era steso nella neve e uggiolava forte, come se stesse piangendo.
Fino a quando non ululò al cielo, affranto.
Ti prego, Tooru. Ti prego.
Sto già soffrendo. Alzati. Non ce la faccio.
E tornarono le lacrime, prepotenti.
Tooru sollevò una mano e lo accarezzò.
Si mise seduto di nuovo con uno sforzo, aveva la nuca completamente zuppa.
Wakatoshi gli si mise steso in grembo e Tooru lo abbracciò, affondando la guancia nella pelliccia morbida della sua schiena.
« Scusa » Sussurrò « Non so che cosa mi sia preso, davvero. Ho visto Satori e gli altri e ... so che stai soffrendo. Non avrei dovuto, scusa. Ma io ... » Non volevo arrendermi.
Lasciò scendere le lacrime, chiudendo gli occhi, senza fare rumore. O singhiozzare.
Nemmeno io volevo arrendermi.
Nella calma dell'accettazione, Tooru si rese conto di quanto tosse bello sentire la sua voce nella testa in quel modo.
« Tooru! Oddio Tooru, ma che fai?! »
Sollevò la testa di scatto quando sentì la voce di sua madre.
Era ancora lontana, affacciata alla staccionata.
Tooru non riusciva nemmeno a vedere la sua faccia, o l'espressione che aveva messo su.
Era sicuro che non avesse visto Wakatoshi, perché si confondeva con la neve.
Ma lo avrebbe fatto se si fosse avvicinata, cosa che stava facendo, perché aveva appena scavalcato la staccionata e correva a fatica, rischiando di cadere mentre affondava ogni passo nella neve alta.
« Va, ora. Va tutto bene, davvero » Gli sussurrò all'orecchio, dandogli un bacio.
Wakatoshi si rizzò a sedere, in allerta, scattò agile verso il bosco, ma quando lo raggiunse si fermò un secondo sul margine. Si fissarono.
Tooru seduto ancora nella neve, totalmente abbandonato al dolore.
Ti amo. Sii forte. Poi sparì nella foresta.
Sua madre lo raggiunse proprio in quel momento, buttandosi in ginocchio accanto a lui.
Gli prese il viso tra le mani, voltandolo verso di lei, ma i suoi occhi rimasero puntati verso il bosco. Li dove era sparito il lupo che non sarebbe mai più tornato ad essere uomo.
« Tooru, sei ghiacciato santo cielo. E sei appena guarito da una brutta febbre! Guardami! Guardami, coraggio! » La violenza nella voce di sua madre lo riportò al presente, a guardarla. Sollevò gli occhi umidi verso di lei, riconoscendo il suo volto familiare, simile al suo.
Non era spaventata, no. Sembrava solo preoccupata per lui.
Gli accarezzò il viso dolcemente, come faceva quando era solo un bambino.
« Se n'è andato » Mormorò allora lui, con un groppo in gola. Jennifer assottigliò le labbra.
« Oh, figlio mio » Gli baciò la fronte.
Tooru cedette. Scoppiando a piangere si aggrappò alle braccia di sua madre, che lo strinse al seno come quando era piccolo, e lasciò andare via tutto il dolore e lo sconforto.
Pianse tanto e a lungo, poi smise.


Smise anche di sorridere o di ridere.


Fu a quel punto che cominciarono le sue lunghe e solitarie notti chiuso nella torre.


Sarebbero durate per sempre, secondo le leggi di quella terra.
Come per sua nonna.

 
***


Riprese ad andare a scuola regolarmente.
Se ne stava per conto suo, con la sola compagnia di Hajime, che ci metteva tutto se stesso per farlo reagire.
« Ti starò attaccato al culo finché non tornerai ad essere il solito fastidioso te stesso »
Lo aveva minacciato, con tanto di dito puntato contro.
Tooru non era nemmeno riuscito a sorridere, anche se avrebbe voluto.
Hajime stava mantenendo la promessa.
Gli stava addosso quasi tutto il tempo - tranne quando avevano lezioni diverse o lavorava - e lo portava in giro per la città a fare cose che adorava fare un tempo.
Lo andava a trovare a casa quasi tutte le sere, con l'approvazione di Jennifer.
Sua madre, che non aveva fatto domande.
Ogni tanto, a scuola, a loro si univano anche Satori, Eita e Reon. Ed era una cosa strana.
Tooru credeva che non sarebbe stato in grado di sopportare la loro vicinanza.
Invece gli dava stranamente conforto averli accanto. Vi erano momenti in cui Satori si chinava verso di lui e lo annusava, poggiando la guancia sulla sua spalla.
Era il suo legame con Wakatoshi, gli avevano spiegato. Persistente nel morso.
Sentivano la mancanza dell'uomo, dell'amico e del fratello, con cui potevano correre e parlare ormai solamente nelle notti di luna piena. A scuola si diffuse presto la notizia che Wakatoshi si era trasferito di fretta in un altro Stato, per motivi di salute personale.
Tooru dovette affrontare gli sguardi curiosi.
Le voci che circolavano: Sarà andato a disintossicarsi da qualche parte, in realtà.
Probabilmente si drogava.
Non è che ha contratto l'HIV?
Non era facile far tacere i pensieri o le voci degli altri.
Per quel motivo se ne stava taciturno per fatti suoi. L'ombra di sé stesso.
Passarono tre lune piene prima che le cose migliorassero. Solo di poco.


Tooru aveva ormai una routine.
Andava a scuola con Hajime e lì passava del tempo anche con i ragazzi del branco.
Una volta a settimana andavano insieme al cinema, o al bowling, o da qualsiasi parte.
Tornato a casa passava buona parte del pomeriggio nel giardino sul retro a studiare con la compagnia di Wakatoshi e Blue, che si era ormai abituato alla sua presenza.
E poi vi erano quelle settimane.
Le settimane in cui Wakatoshi non di presentava, sopraffatto dal lupo che era in lui.
Durante quelle settimane Tooru lo cercava nei luoghi che erano stati loro.


Passava le ore nel bar - libreria in città, sotto la tenda con le lucine, a rileggere a memoria la poesia di William Sharp. Guarda, guardami. Vieni e destami ...
« ... perché io sono ancora qui »
Mormorava nel vuoto, fissando le tende sulla sua testa, il libro aperto a metà sullo stomaco.
Il posto accanto dolorosamente vuoto.


Nella sua stanza aveva piantato sulla parete dove teneva i poster degli alieni - rimossi senza rimpianto - dei chiodi, attorno al quale aveva attorcigliato un filo di ferro.
Con delle mollettine colorate vi aveva appeso tutte le foto scattate con la polaroid.
Ma lo aveva fatto solamente molto tempo dopo il loro incontro nella neve.
Era stato un lavoro semplice, ma lo aveva tenuto occupato abbastanza da muoversi.
Quando aveva finito, mettendosi ai piedi del letto per osservare il lavoro fatto, si era accorto che sua madre era appoggiata allo stipite della porta con le braccia incrociate al petto e un dolce sorriso sulle labbra. Tooru l'aveva guardata.
« Ci starebbero bene delle lucine gialle » Gli aveva detto, con voce morbida e stanca.
« Ci stavo pensando » Le aveva risposto. Jennifer aveva sorriso di più ed era entrata nella stanza a passo leggero, come se stesse silenziosamente chiedendo il permesso.
Non aveva mai invaso gli spazi dei suoi figli, nemmeno quando era stato aggredito - almeno non troppo - e Tooru le era grato.
« Ho saputo » Gli disse con dolcezza, affiancandolo « Ne vuoi parlare? »
Fissavano entrambi le foto. Erano belle.
« Te l'ha detto Laura a cui l'ha detto Hajime? » Gli chiese, ma non era arrabbiato.
Non era un bel niente da molto tempo ormai.
Jennifer fece un sospiro.
« Hajime è solo preoccupato per te »
« Lo so » Era stata la sua replica sincera.
Jennifer si era messa seduta sul letto e gli aveva fatto cenno di fare altrettanto.
Tooru aveva eseguito l'ordine in silenzio.
« Non posso capire quello che stai provando, davvero. Io sono stata solo con tuo padre. L'ho scelto dal primo momento ed è sempre stato con me. Quindi non conosco il dolore del distacco » Jennifer parlò a voce bassa, senza nemmeno toccarlo come una sorta di forma di conforto « E non ti dirò che sei giovane e hai tutta la vita davanti per trovare qualcun'altro. Che era solo una cotta. Il dolore va rispettato. Qualunque forma esso abbia, che sia dell'anima o del corpo. E non ti dirò nemmeno che passerà se non ci pensi. È una cosa da insensibili, da chi non conoscere quella forma di sofferenza »
L'attenzione di Tooru si fermò sulla foto che avevano scattato nell'alcova. La sua preferita.
« Sono figlia di tua nonna, Tooru. E sai che lei ha vissuto tutta la sua vita nel rispetto della memoria di mio padre. Quindi sono qui per dirti che va bene. Va bene soffrire ed essere in lutto, anche tutta la vita se serve » Gli prese una mano a quel punto.
Era ruvida, calda e familiare, con la fede e l'anello di fidanzamento che non aveva mai tolto fin da quando si era sposata. Tooru ricambiò la stretta, grato.
« Quindi non capisco, no. Ma so molto più di quanto tu possa immaginare. E sono qui. Sarò sempre qui al tuo fianco » Tooru annuì e le appoggiò la testa sulla spalla. Lei sollevò una mano per accarezzargli il volto, come faceva spesso quando era solo un bambino.
Come aveva fatto anche la sera che gli aveva detto di essere attratto dai maschi.
Sei sempre mio figlio. Il mio bambino.
Erano rimasti in silenzio per un po'.
« Wakatoshi mi piaceva, comunque »
Fu lei a spezzarlo, a voce bassa, persa ad osservare una foto in particolare.
« Anche a me » Mormorò lui, parlando per la prima volta dopo lunghi minuti di silenzio.


Il giorno successivo, Jennifer gli fece trovare una scatola di lucine sulla scrivania.


L'altro posto in cui andava quando Wakatoshi non si presentava, era lo chalet.
Non avrebbe dovuto avere le chiavi, ma Satori gliene aveva procurato un paio.
« Tanto ci andava solo lui » Tooru si metteva seduto davanti al camino freddo, al buio e al gelo - lontano dal tappeto con la pelliccia dell'orso - e fissava il vuoto.
Era lì che cercava disperatamente i ricordi della loro vicinanza fisica, perché era lì che avevano fatto l'amore per la prima volta. Avevano avuto poco tempo anche per quello.
Il contatto fisico di quella natura lo aveva sempre spaventato prima di Wakatoshi.
Poi era stato strano, ma naturale.
Nello chalet passava le sue ore più disperate.


Un giorno lo trovò occupato.
Le luci erano accese, come anche il camino, perché vedeva le fiamme muoversi dietro il vetro delle finestre. Sapeva che non sarebbe dovuto entrare.
Non aveva idea di chi ci fosse dentro. Ma era stata la speranza.
La sciocca speranza a farlo andare avanti.
La follia che, anche dopo tre mesi, anche dopo Natale, il corto Febbraio e l'inizio di Gennaio, Wakatoshi fosse riuscito a tornare indietro. Per qualche forma di miracolo.
L'uomo che vide dietro il bancone della cucina, intento a preparare una tisana calda, non lo aveva mai visto prima. Non lo conosceva, ma intuì immediatamente chi fosse.
Di chi si trattasse. Lui gli sorrise cordiale, come se non fosse appena entrato in una delle sue proprietà senza permesso. Come se lo conoscesse.
« Ciao. Tooru, giusto? » Lo salutò. Aveva una voce profonda.
Doveva essere sulla cinquantina, ma si portava tonico.
Sembrava uno di quegli attori di Hollywood, come Tom Cruise o Brad Pitt.
Era vestito in maniera impeccabile, come se fosse appena uscito dall'ufficio, e sarebbe stato anche attraente se non fosse stato per l'eccessiva differenza d'età che lo rendeva solamente intimidatorio agli occhi di Tooru.
James Smith - l'Alfa del branco. Il "padre" di Wakatoshi.
Lo guardò con espressione neutra.
« Le chiedo scusa. Vado subito via »
Fece per girarsi e tornare sui suoi passi, intenzionato a scappare da quella situazione.
« No, aspetta » Lo fermò l'uomo.
Non lo fece con una voce carica di urgenza, era sereno e tranquillo, eppure Tooru si fermò lo stesso. Gli scese un brivido lungo la schiena. Un brivido freddo.
È l'Alfa, pensò. Era l'Alfa ad attrarlo, perché era stato morso da lui. Quell'uomo.
Tooru non si era mai trasformato per via del sangue che gli scorreva nelle vene, ma era stato morso comunque e portava la cicatrice proprio sulla pelle. Strinse i pugni.
Si voltò a guardarlo con la mascella tesa.
James non lo stava nemmeno più osservando.
Aveva sistemato due tazze sulla mezza isola che faceva da divisorio tra cucina e salotto, una di fronte all'altra, e vi stava versando l'acqua calda del bollitore.
« Accomodati. Prendi un tè con me » Sorrise cordiale e gli indicò lo sgabello.
Tooru fu seriamente tentato di andare via, ma alla fine cedette, prendendo posto mentre continuava a fissarlo con espressione neutra.
« Sai già chi sono, vero? Wakatoshi ti ha parlato di me »
Tooru lo osservò attentamente mentre prendeva una scatola di legno che non aveva mai notato prima e la appoggiava sul bancone.
« Suppongo sia vero anche il contrario » Rispose schietto, con lo sguardo fisso sulla scatola. James gli rivolse un sorrisetto dai canini appuntiti mentre toglieva il coperchio, rivelando una varietà davvero vasta di bustine da tè. Ce n'era di tutti i tipi.
« Non lo posso negare. Wakatoshi mi ha detto molte cose. Ma mi ricordo di te »
Lo guardò, sorridendo in modo tale da non lasciare che il calore gli raggiungesse gli occhi. Tooru strinse i pugni sulle gambe.
« Hai preferenze? » Gli indicò la scatola aperta con il palmo di una mano.
Tooru lo ignorò intenzionalmente.
« Si ricorderà sicuramente la mia caviglia »
Fu veloce come un aspide e diretto. Fermo.
James fece un sospiro e non lasciò che il sorriso sul suo bel volto si incrinasse.
Prese due bustine di tè nero e le aprì, mettendo l'infuso nelle tazze ancora bollenti.
« Tu mi disapprovi » Indovinò « Latte, zucchero? » Gli domandò poi, spingendo il vassoio con le zollette e il liquido verso di lui. Tooru ignorò anche quello.
« Se n'è andato in giro a mordere bambini indifesi per crearsi un branco » Sbottò senza mezzi termini « Sarà comprensivo di fronte la mia totale disapprovazione »
James ridacchiò prima di prendere un sorso di tè grezzo, senza né latte né zucchero.
« Sei il compagno perfetto per Wakatoshi » Scosse la testa e bevve un altro sorso « Anche lui mi rispondeva sempre con quel fare impertinente quando non era d'accordo con me su qualcosa » Tooru sentì lo stomaco contrarsi.
Guardò quell'uomo con disgusto e fece per alzarsi dallo sgabello e andare via, ma James lo afferrò per un polso prima che riuscisse anche solo ad alzarsi in piedi.
« Aspetta, aspetta » Lo fermò « Okay, hai ragione. Ho fatto una cosa spregevole, non ti do torto. Ero giovane, impulsivo, incazzato e ho sbagliato » Tooru lo guardò negli occhi.
Gli sembrava sincero per la prima volta.
Desistette dall'idea di andare via e tornò a sedere, senza tuttavia toccare il suo tè.
« Ma tu e Wakatoshi siete gli unici due bambini che io abbia mai morso, e puoi crederci o meno, ma è così »Tooru si accigliò.
Wakatoshi non gli aveva mai detto niente del genere prima.
« No, non è - »
« Ho accolto Satori, Eita e Reon nel branco dalla strada. Erano licantropi solitari, bambini abbandonati. Puoi chiedere a loro, se proprio vuoi. So che siete amici, ed è naturale »
James incrociò le mani sul bancone, intrecciando le dita davanti a sé.
Si guardarono negli occhi. Tooru con astio.
« In che senso "è naturale"? » Sbottò.
« Perché tu sei il compagno di mio figlio. Sei parte del branco, ormai. Sei come un fratello , soprattutto adesso che sono in lutto »
« Wakatoshi non è morto » James lo guardò negli occhi, Tooru lo sfidò.
« Ma lo hanno perso, in qualche modo » Ribattè « Anche tu lo hai perso »
Tooru sentì la stretta allo stomaco farsi ancora più forte e dolorosa.
Ma lottò per rimanere impassibile.
« Non di meno Wakatoshi è vivo » Replicò. Rimasero in silenzio per qualche secondo, a guardarsi negli occhi mentre si sfidavano a chi avrebbe ceduto prima.
« Lo sapevi che i lupi, una volta perso il proprio compagno o la propria compagna restano da soli per il resto della vita? »
Quel cambio repentino di conversazione lo stordì, si ritrovò a battere le palpebre.
« Si, lo so » Rispose, stranito.
Non aveva idea di dove volesse andare a parare. James fece un cenno della testa.
« Io ho perso la mia compagna e nostro figlio. Molto tempo fa, ormai »
Tooru tacque, totalmente spiazzato da quella confessione inattesa. Inaspettata.
« Mia moglie era un licantropo, come me. Faceva parte del mio vecchio branco. E anche nostro figlio lo era, ovviamente » James tacque, visibilmente perso nei ricordi.
« Cosa accadde? » Mormorò Tooru.
« I cacciatori. Uccisero più della metà del mio branco, compreso mia moglie e mio figlio. Era la sua prima trasformazione »
James tornò a guardarlo e Tooru lesse nei suoi occhi azzurri un profondo tormento, per la prima volta dietro la maschera da uomo d'affari affabile e affascinante.
Lo incolpava e non approvava i suoi modi, ma in realtà non lo conosceva per niente.
« Io ho perso la testa quel giorno. E per molto tempo dopo. Non sono stato più me stesso per ... molto tempo. Non ero l'Alfa, lo sono diventato per diritto di forza quel giorno. Ma non ero all'altezza del ruolo. Non ero nelle condizioni di tenere unito quello che restava del branco e ... alla fine sono rimasto solo. Ho preso delle decisioni sbagliate a causa della solitudine e della disperazione » Tooru strinse le labbra in una linea sottile.
Di fronte al suo sguardo ostinato l'uomo sospirò, per poi scostare lo sguardo a destra.
« Non dovevo mordere Wakatoshi, ma l'ho fatto. Lui ... mi ricordava Oscar. Gli assomigliava » Tooru comprese che si riferiva al figlio biologico che aveva perso.
« E non dovevo mordere te. Ma l'ho fatto. Ovviamente, non sapevo che saresti stato il compagno di Wakatoshi. Eppure ... eppure l'istinto mi ha condotto da te, quel giorno. Oggi dovresti essere nel mio branco, Tooru »
Tooru lo sapeva, ed era quello il motivo per cui provava tanto astio per quell'uomo.
Perché aveva tentato di strapparlo via dalla sua famiglia.
« Ne sono consapevole » Digrignò tra i denti.
James gli rivolse uno sguardo penetrante.
« Puoi trovare tutto questo riprovevole, va bene. Ci sta. Ma devi capire una cosa, Tooru, una cosa molto importante. Wakatoshi è mio figlio. L'ho cresciuto da quando aveva sei anni. Forse sarò un mostro ai tuoi occhi per come l'ho avuto nel mio branco, ma è mio »
Nel pronunciare quel pronome gli uscì un ringhio profondo, Tooru sentì dentro di sé tutta la potenza del richiamo da alfa. Il potere sopito sotto la pelle dell'uomo.
Rabbrividì, restando dov'era.
« Odiami, se la cosa ti fa stare meglio. Disprezzami. Ti ho fatto del male, dopotutto. Ma sei la metà di mio figlio e - e ne ho già perso uno. Per cui ... non stare lontano da noi, dal tuo branco. Non ti chiedo altro »
Tooru non seppe che cosa replicare.


La settimana successiva visitò per la prima volta la villa gialla e gigantesca nel bosco.
Vide il posto dove Wakatoshi era cresciuto.
La famiglia che James aveva costruito.
Passò ore nella sua stanza ancora intatta, steso nel suo letto matrimoniale, a fissare la foto che Wakatoshi gli aveva scattato sotto la tenda e aveva tenuto per sé, sul comodino.


Cercò di essere più vicino al branco a cui avrebbe dovuto appartenere.
Ma non servì a sanare il vuoto nel suo cuore.

 
***


Successe un giorno inaspettato, quattro mesi dopo, a Marzo.
Quando la neve era ormai quasi tutta sciolta e le temperature erano tornate frizzanti, ma non gelide e ingestibili. Successe nel momento meno aspettato.
Era un sabato qualsiasi. Tooru era sulla veranda, se ne stava seduto su una delle sdraio con Blue steso accanto, che si beava di una carezza distratta.
Aveva Risveglio di Primavera di Frank Wedekind in mano, e stava tentando di leggerlo - sebbene fosse un'opera teatrale - senza dare di matto.
Satori era appena andato via, così come Hajime, dopo una brutale partita ad Uno che lo aveva visto vincitore, ma a un caro prezzo.
Tooru aveva provato per tutto il tempo la sensazione di stare bene.
La sensazione di poter andare avanti.
Era un pensiero che lo raggiungeva ogni tanto.
Forse solo nei giorni migliori, che non erano molti a dire il vero.
Il problema era la sopravvivenza.
Tooru si svegliava ogni mattina, e doveva alzarsi e andare avanti: sopravvivere, appunto.
Nella sopravvivenza ci viveva la quotidianità.
Nella quotidianità sarebbe subentrata l'abitudine.
Era così che si sopravviveva di fronte una devastante perdita, gli aveva detto James.
Tooru aveva iniziato ad apprezzarlo, sebbene continuasse a disprezzare le sue azioni.
Una volta, a cena da lui, gli aveva urlato contro che non avrebbe dovuto morderlo perché in quel modo non avrebbe mai saputo niente dei licantropi e forse Wakatoshi non si sarebbe interessato a lui per avvicinarlo.
James aveva ribattuto sfidandolo ad una partita a Mario Kart - accettata.
Il loro rapporto era così. E Tooru ormai lo aveva capito: nella villa gialla lui era l'eredità di Wakatoshi. Prima della sua ultima luna piena, doveva aver chiesto alla sua famiglia che si prendesse cura di lui, e loro lo stavano facendo, anche quando era esasperante.
Tooru non se la prendeva per quello.
Anche lui ne approfittava.
Erano di quanto più vicino vi fosse ancora di umano in Wakatoshi e lui ne aveva bisogno.
Non lo vedeva da un mese.
E non aveva importanza quanto avesse gridato per chiamarlo.
Wakatoshi non era mai arrivato da lui.
Era da un mese che non dormiva bene, o non mangiava decentemente, divorato dall'ansia.
James gli aveva spiegato che vi erano momenti - nei lupi permanentemente trasformati - in cui l'animale prendeva il sopravvento sull'uomo, annichilendolo.
Era puro istinto predatorio e di sopravvivenza.
In quei periodi dell'uomo restava poco.
Tooru però non poteva fare a meno di pensare anche ai cacciatori illegali.
Wakatoshi aveva rischiato di essere ucciso già una volta e se ... chiuse il libro di scatto.
Gli era venuta una brutta nausea.
Smise di accarezzare Blue - che rizzò la testa contrariato - e si prese il ponte del naso tra le mani, massaggiando gli occhi stanchi.
Fece anche un respiro profondo, ma l'immagine della veranda sporca di sangue che aveva ripulito personalmente arrivò a tradimento come un fulmine.
Scattò in piedi come un lampo, ma non fece in tempo a raggiungere casa.
Vomitò nel vaso di foglie variegate di sua madre. Jennifer si affacciò sulla veranda proprio in quel momento, con uno strofinaccio in mano.
« Tooru! » Strillò, precipitandosi al suo fianco.
Lui si pulì la bocca con il dorso della mano e scosse la testa.
« Scusa » Gracchiò con la gola in fiamme e l'acido nella bocca che rendeva tutto amaro.
Jennifer fece un verso esasperato.
« Adesso basta. Basta davvero » Mormorò. Tooru la guardò con occhi pieni di afflizione, era convinto che la mamma non potesse più sopportare i suoi atteggiamenti.
« Tuo padre non vorrebbe ma ... alzati, vieni con me Tooru. Adesso »
Lui non disse niente, frastornato. Lasciò che sua madre lo prendesse per un polso e lo portasse dentro casa, senza capire bene che cosa significassero le sue parole.
Era un po' spaventato, a dire il vero.
Gli venne in mente che forse avevano deciso di mandarlo via da qualche parte.
Tooru non voleva. Aveva già deciso anche di frequentare l'università vicina. Ma rimase in silenzio, mentre sua madre lo spingeva a sedersi sul divano senza delicatezza alcuna.
« Aspetta qui e non muoverti. Vado a chiamare tuo padre e tua sorella »
Tooru si mise seduto buono, in attesa.
In bocca aveva ancora un saporaccio, non avendo mangiato comunque molto.
Sua madre tornò qualche istante dopo, seguita da suo padre - accigliato - e da sua sorella Allison, tornata per il weekend insieme al suo ragazzo - Derrik - solo per comunicare a tutti che si sarebbe sposata l'anno seguente. Era stato emozionante.
Derrik non era con loro, per fortuna.
Tooru gli voleva bene, ma non aveva con lui tutta quella confidenza, motivo per cui non voleva che fosse coinvolto in quella conversazione, qualunque cosa volesse dire.
« Jenni, che succede? » Domandò suo padre, fissando la moglie con fare nervoso.
Lei si mise seduta accanto a Tooru, stringendo le mani a pugni chiusi sulle gambe.
Si morse il labbro inferiore.
« Sei incinta, mamma? » Intervenne Allison, provando a sdrammatizzare la situazione.
Non funzionò. Jennifer la guardò male.
« Ho deciso che Tooru deve sapere la verità. Adesso. Perché non ne posso più »
Cadde un silenzio pesante.
Tooru sbatté le palpebre, totalmente scioccato. Forse aveva sentito male.
« Jenni, non mi sembra il caso di - »
« No Renji! Abbiamo taciuto per troppo tempo e sapevamo .... sapevamo che sarebbe successo. Mia madre ce lo aveva detto. E poi lui è il mio bambino »
Jennifer parlò con fermezza, guardando il marito negli occhi determinata.
« Non posso più vederlo in questo stato »
Ci fu ancora silenzio. Minuti interi in cui Tooru guardò la sua famiglia come se fossero degli estranei, come se stessero parlando di lui dimenticandosi che era lì, presente.
« Di quale verità state parlando?! » Sbottò.
Jennifer e Renji lo fissarono preoccupati e, forse, anche un po' colpevoli.
« Devi ascoltarmi, Tooru » Cominciò sua madre, prendendogli una mano nella sua, e lui fu seriamente tentato di sfilarla via, ma non lo fece « Ascoltami fino la fine, poi arrabbiati, se vuoi. Ma ascoltami, okay? »
Lo guardò negli occhi con fermezza, così simili ai suoi, e Tooru si limitò solo ad annuire.
Non fece o disse altro.
« Noi sapevamo tutto, amore mio. Ogni cosa. Io sapevo. Di mio padre, di mia madre, dei ... dei lupi » Fu come ricevere un pugno dritto nello stomaco, ma come promesso, non parlò. Anche se avrebbe voluto urlare.
« Quando sei nato ... tua nonna l'ha capito subito, sai? Che avevi ereditato il suo sangue, a differenza di Allison » Tooru la guardò.
Sua sorella gli accennò un sorriso triste.
Sapevi tutto, fu il pensiero che gli attraversò la mente. Ma non lo esternò.
« Io provavo molto rancore verso mio padre, Tooru » Continuò sua madre « Non sopportavo l'idea che avesse fatto soffrire tanto mia madre, né che fosse lì nel bosco ... da qualche parte, incapace di parlare e di crescermi come avrebbe dovuto »
Sollevò lo sguardo e guardo verso il bosco oltre le porta-finestre della veranda.
Tooru si chiese quante volte lo avesse fatto, proprio come lui, domandandosi che cosa stesse facendo suo padre. L'uomo che non aveva mai conosciuto.
Tooru era arrabbiato, molto, ma la capiva.
« Tua nonna non ha mai parlato male di lui, sia chiaro. Ma io volevo solo il mio papà e non capivo. Non capivo perché non fosse lì con me. Mi ci è voluto del tempo »
Jennifer tornò a guardarlo e gli strinse la mano con forza e calore familiare.
« Quando ti hanno attaccato io ... io credevo di averti perso per sempre, Tooru. Io e tuo padre - noi avevamo paura che fossero venuti per portarti via, perché sapevano che eri speciale. Che dovevi stare con loro » Tooru la guardò negli occhi e li vide pieni di lacrime trattenute a malapena. Sua madre era una piagnucolona come lui.
« Non avevo paura dei lupi, io li odiavo »
« Per questo eravate tutti paranoici » Indovinò, parlando per la prima volta.
Il suo tono di voce era calmo, sereno, anche se avrebbe tanto voluto accusare ognuno di loro puntandogli un dito addosso: Sapevate tutto e non me l'avete detto!
« Non perché temevate che io potessi aver sviluppato un trauma, ma perché avevate paura che mi trasformassi o mi portassero via da voi all'improvviso »
Né sua madre, né suo padre, e nemmeno Allison parlarono subito, rivolgendosi uno sguardo complice che gli fece mordere violentemente il labbro inferiore di rabbia.
« Non puoi trasformarti, Tooru »
Parlò suo padre, incrociando le braccia al petto. Tooru lo guardò male.
« Lo so. E non grazie a voi » Sbottò, senza riuscire più a trattenersi, astioso.
« Come immaginavo » Mormorò sua madre.
Tooru tornò a guardarla, ma non fu lei a parlare di nuovo.
« Ma non lo è stato, vero? » Allison si era sporta in avanti e lo guardava sorridendo.
Tooru avrebbe tanto voluto tirarle un calcio.
« Cosa? » Chiese, nervoso e furioso.
« Un trauma. Il morso alla caviglia » Non se le aspettava quelle parole.
Sbatté le palpebre, sorpreso da quell'osservazione.
Non credeva che la sua famiglia se ne fosse mai resa conto.
« No, non lo è stato. I lupi non mi hanno mai spaventato » Ammise, sincero.
Vide suo padre fare un sospiro, chiudere gli occhi e massaggiarsi il ponte del naso.
Allison accentuò il sorriso. Su madre annuì.
« Perché è successo qualcosa quel giorno. Una cosa che non hai mai voluto raccontare, non è vero? » Gli domandò dolce, con calma.
Tooru ripensò a Mr Mizoguchi, al suo studio accogliente, che assomigliava tanto ad una stanza dei giochi. E alla sua domanda.
Aveva sempre creduto che anche quello fosse finito nel dimenticatoio per i suoi.
Sfilò la mano da sotto quella di sua madre e fissò il vecchio tappeto consumato.
« Un cucciolo di lupo mi salvò » Confessò allora per la prima volta, a voce alta.
Non lo aveva mai detto a nessuno che non fosse stato Wakatoshi, la persona interessata.
« Mi salvò, perché ... perché io ero il suo compagno » Jennifer si portò una mano alla bocca per soffocare un singhiozzo, mentre guardava Renji, che aveva uno sguardo rassegnato. Allison si asciugò una lacrima.
« Era Wakatoshi » Mormorò. E non riuscì a comprendere la sensazione che aveva nel petto in quel momento, sembrava un misto di sollievo e angoscia.
Si aggrappò con le mani al bordo del divano.
Sua madre tornò a toccargli le nocche con le sue dita ruvide e calde, familiari.
« Lo so, amore mio. Per questo voglio bene a quel ragazzo come se fosse mio, sai? »
Tooru si morse il labbro inferiore, mentre le lacrime, dopo tanto tempo, tornavano.
Jennifer decise di farsi più vicina, si mise seduta proprio accanto a lui e gli passò un braccio sulla schiena, stringendolo a se.
« Ho sempre saputo che parlavi con lui quando era un lupo. Sapevo che tu non avevi idea di chi fosse. Ho capito il momento esatto in cui lo hai incontrato, innamorandoti irrazionalmente, e ho capito quando hai scoperto la verità. Io ed Allison volevamo conoscere così tanto questo ragazzo che ti faceva brillare gli occhi ... allora abbiamo pensato ad Halloween. Volevamo conoscere il branco a cui appartenevi senza saperlo. E come lo guardavi ... come mia madre guardava suo padre e come io guardo Renji »
Tooru sentì le lacrime scendere, mentre sua madre rivolgeva uno sguardo a suo padre.
Allungò una mano verso di lui e gliela strinse.
Era un gesto intimo, di amore duraturo.
« E ho capito che Wakatoshi era come mio padre. Sapevo che avresti sofferto. Ti ho visto nella neve, quel giorno. Ho visto tutto Tooru, perché tu sei il mio bambino. Mio figlio. Sarai sempre mio figlio » Si lasciò scappare un singhiozzo e si strinse a sua madre con slancio, come aveva fatto sulla neve, quando era impazzito. Si sfogò un po', poi asciugò il viso.
« Ma perché non mi avete mai detto niente? » Sbottò, tirando su con il naso, mentre se lo puliva malamente con la manica della felpa.
« È stata colpa mia » Intervenne suo padre.
A Tooru sembrava invecchiato di colpo.
« Tua madre voleva parlartene fin da quando hai incontrato il tuo lupo bianco. Ma io ho insistito di aspettare che fossi tu a farlo » Tooru annuì, comprendendo molte cose.
Si asciugò gli occhi con la manica della felpa e fece un sospiro profondo.
Si sentiva leggero, adesso che sapeva.
Che sapeva di poter contare su qualcuno, di poterne parlare con qualcuno.
Non si era mai reso conto di quanto ne avesse disperatamente bisogno.
« Wakatoshi è un lupo » Dichiarò a voce alta, parlando a sé stesso « E non tornerà indietro » Da me. Ed era la prima volta che lo diceva ad alta voce, ammettendolo.
Fece un male cane, voleva piangere di nuovo. Rischiò di farlo, ma Allison gli strinse una mano e si guardarono, e Tooru le sorrise tra le lacrime che volevano proprio uscire.
« E io non so più come essere felice »
Si portò le mani sulla fronte e gli scappò un altro singhiozzo, uno solo.
Era davvero un piagnucolone. Hajime aveva ragione, ma non lo avrebbe mai confessato.
« Tooru » Lo chiamò gentilmente sua madre, afferrandogli i polsi perché spostasse le mani dalla faccia. Tooru la guardò.
Lei gli sorrise gentilmente, poi allungò inaspettatamente una mano verso il suo collo e tirò fuori la collana della nonna, che oscillò sulla sua felpa degli alieni extralarge.
Tooru la toccò automaticamente.
« Tua nonna mi ha confessato una cosa prima di morire » Jennifer lo guardò negli occhi, sorridendogli in una strana espressione satura di tristezza.
Lui era piuttosto certo di avere gli occhi sgranati.
« La collana. Aveva scoperto che non era solo un semplice simbolo d'amore »Il suo cuore cominciò a battere furiosamente « Ricordi che la nonna viaggiava molto, vero? » Si limitò ad annuire « Viaggiava in cerca di un modo per riportare tuo nonno Joe indietro »
Gli confessò sua madre, con voce mesta. Tooru era senza parole.
« Durante uno dei suoi ultimi viaggi, prima che si ammalasse, si era imbattuta in un altro branco, uno di quelli grossi e fiorenti del Nord America. Lì aveva parlato con una vecchia saggia, lei le aveva raccontato la vera storia di queste collane » Jennifer toccò il lupo a sua volta, sorridendo appena, forse ripensando al padre che non aveva mai avuto « Sono amuleti, Tooru. Antichi amuleti che servono a riportare indietro l'uomo. Ora, non ti racconterò tutta la storia, magari un'altra volta. Tua nonna voleva usarla per Joe, ma lui non è mai più tornato a trovarla, se non il giorno in cui è morta »
Tooru sentì qualcosa muoversi nel suo stomaco: la speranza.
Quella speranza a cui si era aggrappato e che aveva lasciato andare a fatica.
« Allora l'ha data a te, perché sapeva che ne avresti avuto bisogno. Quando eri neonato, ebbe un sogno premonitore su di te, ma allora ... io non le volevo credere » Jennifer lasciò andare il ciondolo della collana e si tirò indietro, guardandolo con solennità e occhi lucidi.
« Quella collana era per Joe, Tooru. Ma tu l'hai portata addosso per undici anni ... non volevo darti false speranze, ma ... voglio che ci provi. Vai lì fuori, trova il tuo compagno e riportalo indietro. Non avere rimpianti. Mai » Tooru non aveva bisogno di sentirsi dire altro.
Prima che sua madre finisse di parlare era già in piedi e stringeva la collana con forza.


Corse fuori, verso il bosco, senza riflettere.
Senza sapere che cosa sarebbe successo.
Corse, mosso da una nuova speranza.

 
***


Non si era mai spinto tanto dentro il bosco.
Non conosceva affatto quei luoghi, e non avrebbe saputo come tornare indietro.
Sua madre aveva dovuto saperlo quando aveva deciso di lasciarlo andare.
Tooru non aveva pensato a quanto fosse buio tra quelle fronde, a come la luce del sole passasse appena, al freddo feroce.
Si strinse nella felpa, strofinando con forza le braccia per cercare un po' di calore.
Le temperature non erano ancora nemmeno miti e lui era uscito senza cappotto.
Il bosco era ricco di rumori - alcuni poco rassicuranti - e Tooru avanzava cercando di non inciampare in mezzo alle radici, con il fiatone, il respiro condensato e i denti che battevano. Era leggermente spaventato, ma non voleva fermarsi, anche se non sapeva esattamente dove stesse andando o cosa fare. Ad un certo punto, distratto dal rumore di qualche uccello, sollevò lo sguardo di scatto, verso le fronde, e non vide la radice.
Sentì il terreno mancargli sotto i piedi e cadde con le ginocchia a terra, attutendo l'impatto con i palmi delle mani, che nel terriccio si graffiarono dolorosamente.
« Ahia » Mormorò, esalando un respiro.
Chiuse per un attimo gli occhi, tentando di ritrovare un minimo di calma e razionalità.
Non sapeva dove fosse Wakatoshi. Non ne aveva la minima idea.
Gli venne in mente solo un modo per tentare, e non era sicuro che avrebbe funzionato.
Non era sicuro se sarebbe stato sufficiente a sovrastare il lupo che era in lui.
Ad ogni modo, ci provò. Affondò le mani nella terra, tenne gli occhi chiusi e lo chiamò.
Wakatoshi. Wakatoshi, sono qui.
Sono qui. Vieni. Vieni, ti prego.
Non successe nulla all'inizio.
Tooru insistette, continuando a chiamarlo nella sua mente, attraverso quel legame che si era andato a rafforzare nel tempo.
Poi sentì il suono di un ramo spezzato, un ringhiare basso e gutturale, di gola.
Aprì gli occhi di scatto e lo vide immediatamente. Era impossibile non notarlo nel verde fitto della vegetazione. Una maestosa creatura dal pelo candido.
Wakatoshi era in posizione di attacco e gli ringhiava contro, pronto ad azzannarlo.
Eppure era venuto. Lo aveva sentito.
Tooru trattenne il fiato. Non lo vedeva da ... non ricordava, esattamente.
Provò sollievo, uno strano sollievo, anche se non lo aveva riconosciuto.
Wakatoshi era ancora vivo. E stava bene.
Anche se il lupo aveva preso il sopravvento sulla sua razionalità umana, stava bene.
Tooru gli sorrise con labbra tremanti.
« Ehi, ciao. Mi - mi sei mancato »La sua voce era molto incerta, tremolante.
Sollevò una mano per portarsela al collo e slegare la collana, Wakatoshi gli ringhiò subito contro insospettito dal movimento. Tooru si immobilizzò.
« Tranquillo, non voglio far niente di male »
Con le dita sudate e tremanti slacciò il gancetto tentando di non muoversi troppo.
La collana cadde in avanti e lui la tenne ferma con la stessa mano che aveva usato per aprirla, stringendola nel pugno lentamente.
« Voglio solo accarezzarti ... posso? »
Allungò una mano verso di lui, come per invitarlo ad avvicinarsi.
Wakatoshi fece un balzo in avanti. Fu inaspettato. Gli saltò addosso e Tooru strillò, ritrovandosi steso sul terreno ghiacciato, con due delle sue zampe premute sul petto e le zanne affilate che gli ringhiavano a pochi centimetri dal collo.
Strinse la collana nel pugno della mano.
« Wakatoshi, sono io. Tooru »Tentò, con un filo di voce appena.
Non aveva mai avuto paura dei lupi, ma in quel momento era spaventato. Lo era moltissimo.
Perché non aveva idea di quello che faceva.
E sarebbe stato ironico morire in quel modo, per mano della persona che amava.
La collana era di Joe, avrebbe anche potuto non funzionare affatto. Un buco nell'acqua.
Inoltre, che cosa avrebbe provato Wakatoshi una volta tornato padrone della sua mente, nel sapere che era stato proprio lui ad ucciderlo in preda alla bestia?
Ne sarebbe stato devastato.
« Mi hai salvato undici anni fa » Il lupo ringhiò più forte contro il suo viso.
Tanto che Tooru fu costretto a chiudere gli occhi e contrarre la faccia.
Poi gli venne in mente qualcosa, un ricordo.
La posizione era simile, solo che Wakatoshi era seduto contro dei cuscini e lo guardava sottosopra. Lo aveva baciato al contrario.
I suoi occhi erano grigi e gentili, senza pupille dilatate.
I capelli scuri prendevano nel vuoto in avanti, Tooru aveva pensato di accarezzarli.
E gli aveva letto una poesia che lo aveva fatto piangere moltissimo.
Fu solo un'immagine, fulminea. Veloce.
Ci mise qualche istante per rendersi conto del silenzio improvviso.
Aprì gli occhi, sorpreso. Wakatoshi aveva smesso di ringhiargli contro.
Lo fissava sospetto, odorando il suo collo.
Appoggiò il muso umido dove vi era la cicatrice con il morso dei suoi denti umani.
Il simbolo del loro legame. Tooru capì.
Quell’ immagine era arrivata a lui tramite quella connessione tra di loro.
Decise di riprovarci. Con altre parole.
« Guarda, guardami » Mormorò.
Wakatoshi sollevò il muso e tornò a fissarlo.
Aveva le pupille dilatate, tutte nere.
Fece un passo indietro con le zampe, liberandolo dal suo peso. Tooru tentò di alzarsi, restando seduto nel terreno.
« Vieni e destami » Continuò, a voce bassa.
Le pupille di Wakatoshi si restrinsero.
Lo vide mettersi seduto davanti a lui con la schiena dritta, la coda che scattava a terra.
L'atteggiamento aggressivo scomparso.
Tooru allora sollevò le mani - che tremavano ancora - e gli toccò il fianco destro, sul collo.
Wakatoshi non reagì, lasciandolo fare. Tooru sollevò anche la mano sinistra, facendo passare il laccio della collana attorno al suo collo. Chiuse il gancetto.
« Perché io sono ancora qui » Appoggiò la fronte su quella di Wakatoshi.
Poi rise, ricordando qualcosa.
« Non denunciarmi per questo, eh! »
Gli sussurrò, prima di baciargliela, poi chiuse gli occhi, restando aggrappato al lupo.
Successe sotto le sue mani. Un miracolo.
Toccava una pelliccia calda, poi le sue mani strinsero della pelle nuda e bollente al tatto.
Un respiro caldo gli sfiorò l'orecchio. Un naso la guancia.
« Non ho intenzione di denunciarti, sai? Però potrei volerti baciare a mia volta »
Tooru scoppiò a ridere, incapace di aprire gli occhi, perché davvero non avrebbe voluto scoprire che si trattava solo di un sogno.
« Però devi guardarmi, Tooru »
Gli sussurrò quella voce familiare ad un passo dell'orecchio. Si fece coraggio.
Aprì prima un occhio, per sicurezza, poi l'altro. Wakatoshi era davanti a lui, nudo - come al solito - e gli sorrideva lievemente, con i canini che bucavano il labbro inferiore.
La collana di sua nonna gli pendeva al collo, folgorante di una strana luce opaca.
Ed era meravigliosamente umano. Tooru rise, sentendo altre lacrime bagnare gli occhi grandi ed espressivi, poi gli gettò le braccia al collo con foga.
« Wakatoshi! » Caddero all'indietro. Si ritrovò steso interamente su di lui, con una guancia appoggiata al suo petto, dove sentiva il cuore battere sereno.
Era caldo, come sempre, il suo odore di boschi e foglie lo avvolgeva e lui ... era felice.
Oddio, era così felice. Non si sentiva in quel modo da quella mattina nella neve.
Anche io sono molto felice.
Quel pensiero gli attraversò la mente.
Sorrise, stringendosi ancora più forte al corpo di Wakatoshi, anche se era nudo nella terra.
Non dovresti leggere le mie emozioni.
Lo rimproverò. Wakatoshi rise, Tooru sentì quel suono vibrare dritto dalla cassa toracica.
Sono molto rumorose, come te.
Ehi! Ti tiro il pacco se non la smetti!
Vorrei tu facessi un'altra cosa con il mio pacco, sinceramente. Con la bocca, magari?
Gli arrivò l'immagine dritta in mente.
Strillò, alzandosi a sedere di scatto, indignato.
Wakatoshi rise a pieni polmoni, mettendosi seduto a sua volta. Era incredibilmente a suo agio per essere uno totalmente nudo, con i capelli scombinati e pieni di erba e terra.
« Porco » Gli disse, guardandolo male.
Wakatoshi allungò una mano e gli bloccò il mento tra due dita, sorridendo famelico.
« Non è niente che non hai già fatto » Tooru avvampò immediatamente.
Gli scostò la mano malamente, guardando tutto tranne che i suoi occhi.
« Allora ci tengo a ricordarti che l'hai definita una prestazione mediocre. E ti avevo avvisato che non ci avevo mai provato prima! » Sbottò, incrociando le braccia al petto.
Wakatoshi rise di nuovo.
« Per questo, devi fare pratica »
Lo prese in giro, allungando le mani per abbracciarlo e tirarselo addosso.
Tooru protestò un po', tentando di respingerlo via, ma senza alcuna convinzione.
« Mi riprendo la collana » Lo minacciò, mentre Wakatoshi lo stringeva passandogli le braccia attorno alla vita e incastrando il mento nell'incavo del suo collo.
Gli baciò una guancia con affetto.
« Non lo faresti. Perché mi ami » Gli diede un altro bacio « E anche io ti amo »
Tooru si morse il labbro inferiore. Stava per piangere di nuovo.
« Credevo che non avrei mai più potuto sentirtelo dire. Davvero » Mormorò.
L'atmosfera tornò subito seria.
Avevano molte cose da raccontarsi, ma ci sarebbe stato il tempo.
« Eppure sono qui, contro ogni aspettativa. E solo perché tu sei fantastico, Tooru »
Wakatoshi lo baciò dietro l'orecchio. Tooru riusciva a sentire nitidamente quello che provava in quel momento: amore, gratitudine, gioia, serenità e anche desiderio. Quei sentimenti sembravano passare anche attraverso di lui, anche se era Wakatoshi a provarli.
« Ho avuto un aiutino » Si limitò a dire.
Gli avrebbe raccontato tutto, ma pian piano.
Fortunatamente, grazie a Joe e Linda, avevano tutta la vita davanti per farlo.
Mano nella mano. Insieme.
« Andiamo allo chalet » Disse a Wakatoshi. Lui annuì, aiutandolo ad alzarsi in piedi mentre faceva altrettanto con fare aggraziato. Tooru lo guardò.
« Dovrebbe essere vicino, no? » Wakatoshi annuì, sollevando un sopracciglio.
« Cosa ti sta passando nella mente? » Tooru fece spallucce, intrecciando le mani dietro la schiena mentre prendeva ad oscillare sul posto e arrossire violentemente.
« Un bagno caldo insieme, magari? O che ne so ... potrei far pratica, tutto sommato. E quella cosa che volevi fare, forse potrei - bada bene, potrei - riconsiderarla e - EHI! »
Strepitò, ritrovandosi sollevato come un sacco di patate sulla spalla nuda di Wakatoshi. Da quella posizione gli vedeva chiaramente il fondoschiena sodo. Avvampò.
« Oddio, che fai?! Mettimi giù! » Urlò.
« Non esiste. Se poi cambi idea? »
Wakatoshi era tranquillo mentre camminava scalzo del bosco, per nulla preoccupato.
« Non cambio idea, lo giuro. Ma - »
« Goditi la vista del mio sedere »
« Wakatoshi! »
« So che ti piace »
« Si, ma - »


I loro battibecchi si persero nel bosco.


Al collo di Wakatoshi la collana brillò per l'ultima volta.

 
***


Il campanello di casa suonò una volta. Tooru sollevò lo sguardo dal tavolo addobbato a festa, sistemando la candela nel centrotavola, appena accesa.
« Devono essere loro, vai ad aprire! »
Lo incoraggiò sua madre, vestita elegante e tutta emozionata per l'occasione.
» È solo un pranzo della domenica, mamma. Non esagerare »
La redarguì Tooru, alzando gli occhi al cielo mentre le passava accanto.
Jennifer sorrise, osservando il lavoro finito con soddisfazione.
« Sto per conoscere ufficialmente il padre del tuo compagno. È una cosa seria! »
Annunciò, a voce troppo alta. Tutti i licantropi fuori dalla porta di casa dovevano aver sentito perfettamente. Tooru arrossì, borbottando cose senza senso.
Era stato in ansia tutta la settimana per quel maledetto pranzo.
Idea di sua madre, ovviamente, che aveva anche cucinato per un esercito, tutta la settimana.
Fece un respiro profondo, si rassettò e aprì la porta con un sorriso esagerato e teso.
« Benvenuti! » Esclamò, fissando i cinque uomini che ingombravano il portico di casa.
« Entrate pure » Si fece da parte, lasciandoli entrare in casa mentre salutavano cordiali e allegri. Occupando tutto lo spazio.
« Ma che piacere avervi qui, benvenuti in casa nostra! »
Intervenne suo padre, affacciandosi dalla portafinestra del giardino sul retro, reggendo tra le mani una tenaglia per girare la carne sul barbecue.
« Sono Renji! » Disse, porgendo la mano al padre di Wakatoshi.
« James » Si presentò quello, stringendo la stretta con vigore estremo. Poi mostrò un vino pregiato che aveva portato con sé, arrivò anche sua madre, e la scena si fece caotica.
Poi li raggiunse anche Hajime, che se n'era stato sul retro a giocare con Blue fino a quel momento. Tooru osservò quel caos con un sorriso appena accennato sulle labbra.
« James era euforico per questo pranzo » Gli bisbigliò una voce accanto all'orecchio.
« Anche i miei » Rispose, senza nemmeno sollevare lo sguardo, perché sapeva.
« Sarà una giornata memorabile, credo »
« Oh, lo sarà eccome »
Wakatoshi gli prese una mano con naturalezza e Tooru ricambiò la stretta.
Poi lo guardò, sorridendo felice.
Indossava ancora il giubbotto di pelle su una camicia nera tutta slacciata.
Si era phonato i capelli ed era bellissimo. Tooru guardò la collana che era stata sua adornargli il collo. Sollevò una mano per accarezzarla.
« Ehi, piccioncini! Muovete il culo! »
« Potete sbaciucchiarvi dopo » Si intromisero le voci di Satori e poi di Hajime.
Tooru e Wakatoshi risero, mentre il primo aiutava il secondo a togliere la giacca e appenderla sul gancio accanto alla porta.
« Ci tormenteranno tutto il giorno » Brontolò Tooru, sistemando meglio la giacca di Wakatoshi sul gancio strapieno, poiché era già caduta una volta.
« Noi potremmo fare lo stesso » Suggerì Wakatoshi e Tooru seguì il suo sguardo.
Hajime e Satori stavano battibeccando, entrambi in piedi accanto alla portafinestra. Litigavano su chi dovesse uscire per primo, ed erano ridicoli, perché Hajime sembrava un tappo, mentre Satori una pertica. E guardava il migliore amico di Tooru in un modo che ...
« Dio, non so come glielo dirò » Bofonchiò. Hajime aveva accettato a malapena l'idea dei licantropi - Tooru gliene aveva parlato poche settimane prima - figuriamoci se ...
« Beh, ma sono compagni. Lo capirà da solo, con il tempo. Non devi dirglielo tu »
Wakatoshi lo riportò al presente. Osservò ancora per un po' Hajime e Satori - quest'ultimo gli aveva messo una mano sulla spalla e adesso le stava prendendo di brutto.
« Se lo dici tu » Disse, scettico. Wakatoshi rise, prendendogli una mano.
« Andiamo, coraggio » Lo incitò.
Tooru gli sorrise, fiducioso.
« Andiamo, si »


Avevano una lunga strada ancora da percorrere.

 
Trick or treat, what would it be?
I walk alone, I'm everything
My ears can hear and my mouth can speak
My spirit talks, I know my soul believes


( Running With the Wolves - Aurora )

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Capitolo 26
*** 26. Live Streaming With the Mysterious Boyfriend ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: YouTuber

N° parole: 6068

Note: questa volta non è niente di che, e me ne scuso sinceramente. Oggi ho ricevuto una notizia terribile, non ho voglia di fare niente e mi dispiace anche per questo, perché prevedo che mi toglierà letteralmente la voglia di fare qualsiasi cosa per molto tempo …
Il setting non è ben definito, volutamente.
Doveva essere una cosa leggera, goliardica e carina. Doveva. Ma io la trovo terribile.
Ad ogni modo, buona lettura.











 
Live Streaming With the Mysterious Boyfriend


 
I could have my Gucci on (Gucci on)
I could wear my Louis Vuitton
But even with nothin' on
Bet I made you look (I made you look)




Tooru aveva programmato quella live su YouTube da settimane.
Ci aveva messo una vita per convincere Wakatoshi a prenderne parte, motivo per cui aveva pubblicizzato fino alla nausea la data e l'ora dell'evento su tutti i suoi social, vincendo l'entusiasmo dei suoi follower appassionati e fedeli.
Non si era aspettato tutto quel successo quando aveva cominciato a fare quei reels un po' sciocchi e divertenti sulla sua convivenza con Wakatoshi, durante il periodo pandemico che aveva fermato il mondo. Erano andati a vivere insieme da poco quando era successo, in un appartamento minuscolo da squattrinati.
Tooru aveva cominciato solo per noia.
Video dove si lamentava di lui scherzosamente, altri in cui faceva il romantico, altri ancora dove raccontava la loro storia. E pian piano era diventato un inaspettato successo, fino a trasformarsi in un vero e proprio lavoro, anche ben pagato.
Nei video, Wakatoshi non appariva mai direttamente - essendosi categoricamente rifiutato di prendere parte a quella follia -, motivo per cui era stato soprannominato The Mysterious Boyfriend.
I follower di Tooru erano sempre stati oltremodo curiosi su di lui, senza mai ottenere nessuna informazione o soddisfazione a riguardo.
Era capitato, recentemente, che una famosa casa di bellezza avesse richiesto una collaborazione con lui, inviandogli uno scatolone pieno di prodotti per la skincare.
Tooru - che era dannatamente e consapevolmente bello - avrebbe dovuto fare un po' di pubblicità alla sua maniera frizzante e vivace.
Quel lavoro lo aveva infatti portato a fare anche cose che non avrebbe mai pensato di essere in grado di fare, come sfilare, farsi fotografare ad eventi a cui era stato invitato, fare da modello o vendere un prodotto in maniera accattivante.
Era da tempo che cercava di convincere Wakatoshi a rivelare il suo volto - non si era fatto scrupoli sui mezzi da utilizzare per raggiungere il suo proposito - senza ottenere mai una risposta positiva.
Il suo bellissimo - quanto noioso - fidanzato, preferiva restare nell'anonimato.
Tooru aveva dovuti lagnarsi parecchio, con la sua scatola di prodotti costosi tra le braccia, per convincerlo finalmente a partecipare a quella live.
Wakatoshi lo aveva sorpreso.
Stiamo insieme da dieci anni, te lo devo.
Era stata la sospetta spiegazione che gli aveva fornito quando lo aveva interrogato su quell'improvviso cambio di idea. Wakatoshi era stato piuttosto fermo nella sua decisione, in passato, motivo per cui Tooru non poteva far finta di niente e trovare la cosa non sospetta. Tuttavia, non aveva insistito oltre, perché non aveva alcuna voglia di sfidare la miracolosa stella della fortuna.
Tuttavia, la sera della tanto attesa live - le nove di un venerdì invernale - Wakatoshi era in ritardo. Tooru - seduto davanti al tavolino basso del loro meraviglioso e moderno salotto, con il camino elettrico addobbato per Natale a fare da sfondo, i prodotti in bella mostra sistemati con cura e tutta l'attrezzatura pronta - rivolse uno sguardo nervoso all'arcata che divideva la zona giorno dalla zona notte della casa.
Il cellulare continuava a trillare rumorosamente, bombardato di notifiche e messaggi privati. Tooru lo raccolse e osservò con un brutto cipiglio l'orologio digitale sulla home - che aveva per sfondo una loro foto a Disneyland, davanti al castello - segnare le 20:58. Avrebbe già dovuto avere tutto pronto per collegarsi. Oscurò lo schermo all'arrivo dell'ennesima notifica e posò il cellulare a faccia in giù sul tavolino, nervoso.
Se ha deciso di tirarsi indietro questa è la volta buona che lo mollo!
Pensò adirato, del tutto intenzionato ad alzarsi per tirarlo fuori dal bagno tenendolo per un orecchio, come fosse un discolo.
Ma Wakatoshi apparve sotto l'arco proprio in quel momento, fermando i suoi propositi.
Indossava una tuta nera su una maglia a mezze maniche dello stesso colore, larga - la sua tenuta per andare a dormire - e un asciugamano ancora avvolto attorno al collo. I capelli - ancora umidi - erano tirati indietro sulla fronte da un mini-codino in stile samurai. Si grattò la pancia sotto la maglietta svogliato e sbadigliò, per poi ciabattare fino al frigorifero con tutta calma.
Tooru lo fissò allibito mentre apriva lo sportello, prendeva una birra e tirava via la linguetta con un gesto esperto, bevendone poi un sorso anche piuttosto generoso.
Incrociò le braccia al petto e sollevò un sopracciglio in un'espressione letale non appena i loro sguardi si incrociarono.
« Cosa? » Chiese Wakatoshi in tono neutro, con la solita espressione impassibile.
Tooru sentì la vena sulla tempia pulsare.
« Tu vuoi che io ti pianti, vero? Non può esserci altra spiegazione, altrimenti »
Wakatoshi estrasse il cellulare dalla tasca della tuta e ne osservò lo schermo per qualche secondo, poi tornò a fissare lui.
« Non sono ancora le nove. Guarda » E gli mostrò l'oggetto: 20:59
Tooru afferrò una delle sue pantofole pelose e gliela scagliò contro con foga, Wakatoshi girò appena in tempo il corpo, facendosi colpire sulla spalla ampia e allenata.
« Vieni subito qui e non farmi perdere altro tempo! » Gli abbaiò contro, isterico.
Wakatoshi fece un sospiro e lo raggiunse, lasciandosi cadere accanto a lui sul tappeto con una certa grazia, nonostante la mole. Tooru fissò la lattina di birra - ancora stretta nella sua mano - con una certa disapprovazione ben dipinta nello sguardo.
« Non posso nemmeno bere, adesso? »
« Non prima di una live! Vuoi per caso farti vedere brillo o ubriaco? »
Mentre parlava, rimproverandolo, Tooru tentò anche di sottrargli la lattina, ma Wakatoshi mosse la mano fuggendo alla sua presa varie volte.
« Non basta una sola lattina per rendermi brillo, Tooru. Lo sai. Ne bevo sempre una dopo il bagno serale, non capisco perché ora la cosa ti dia tanto fastidio »
Con l'affanno, Tooru smise di inseguire la lattina e si aggrappò con le mani al tavolino, fissandolo malissimo mentre beveva un altro sorso sereno e tranquillo.
In altre circostanze, in serate come quelle, quando Wakatoshi lasciava la gestione del suo ristorante a Satori per tornare a casa prima, Tooru gli faceva compagnia.
« Bagno che è durato una vita, tra l'altro! » Tornò a lamentarsi, trovando altri appigli che gli avrebbero permesso di rimproverarlo ancora per un po'.
Wakatoshi fece spallucce.
« Puzzavo di cucinato »
« Questo perché ti sei ostinato ad andare al ristorante lo stesso! Ti avevo detto di prenderti un giorno di riposo! » Sbraitò, proprio mentre una serie di trilli soffocati annunciarono l'arrivo di alcuni messaggi sul cellulare di Wakatoshi.
« È un ristorante di lusso, Tooru. Se non mantengo tutto sotto controllo lo standard cala. Lo sai » Gli rispose distrattamente, mentre armeggiava con una mano sola per rispondere ai messaggi.
Tooru avrebbe voluto strozzarlo con due mani bene avviluppate attorno al collo.
Si stava pentendo amaramente di avergli dato dieci anni della sua vita.
Wakatoshi aveva aperto quel ristorante con fatica e dopo una lunga gavetta.
Aveva lavorato sodo e solo da poco aveva ripreso piena attività, dopo anni davvero duri.
« Ma almeno stasera potevi tornare a casa un po' prima ... » Si lagnò.
Wakatoshi nemmeno gli rispose, troppo impegnato a chattare.
Tooru sollevò un sopracciglio, sbirciò lo schermo.
Lesse: Satori Tendou. Non ci vide più.
« Questo è confiscato! » Sbottò, strappandogli il cellulare di mano.
Lo infilò sotto il sedere e ci si sedette sopra.
Wakatoshi lo guardò impassibile.
« Ho chiesto a Satori di mandarmi degli aggiornamenti ogni tanto. Mi serve »
Tooru gli puntò in dito contro, minaccioso.
« Guai a te se durante la live mi chiedi di controllare il cellulare. Giuro che ti tolgo il sesso per i prossimi quattro anni! » Wakatoshi non disse niente. Si fissarono.
Tooru furioso e minaccioso, l'altro impassibile. Passò un minuto buono.
« Non posso vivere senza sesso con te per i prossimi quattro anni » Si arrese Wakatoshi.
Tooru fece un sorrisetto soddisfatto, incrociando le braccia al petto.
Sapeva che quella minaccia avrebbe funzionato. Nonostante fosse un uomo posato, anche Wakatoshi aveva delle debolezze. E anche dopo dieci anni insieme, il sesso per loro era ancora sorprendentemente divertente, innovativo e stimolante.
« Allora ti conviene dedicare la tua attenzione a me stasera. Posso essere io il tuo amato ristorante, per una volta! » Cominciò con tono dolce, per poi inacidirlo con il proseguire della frase e concludere del tutto nervoso.
« Non vedo come questo sia fattibile, Tooru. Anche se ci rifletto su, è anatomicamente impossibile - »
« Si si, ora basta! » Lo liquidò malamente, restituendogli il cellulare con una certa foga « Non cambierà mai. Dieci anni della mia vita! Dieci! » Continuò a brontolare, mentre cominciava ad inciarmare con il computer. Erano terribilmente in ritardo.
Sospirando, Wakatoshi spense il cellulare prima di metterlo in tasca sconsolato.
Tooru fece un respiro profondo, poi sorrise gioviale e allegro, guardando la telecamera.
Avviò la live. Appena un secondo e iniziarono ad arrivare una valanga di messaggi in chat. Tooru sgranò leggermente gli occhi.
Sei in ritardo di qualche minuto!
Come sempre sei bellissimo!
Buonasera bellezza! 😊
Dov'è il Mysterious Boyfriend?
Vogliamo vedere il tuo ragazzo! Coraggio!
Erano solo alcuni dei messaggi su cui riuscì a buttare l'occhio. Per poco non si mise a borbottare improperi davanti a tutti.
« Buonasera a voi! » Salutò invece gioviale, agitando la mano « Scusate il ritardo ma ... ci sono stati problemi tecnici » E rivolse uno sguardo minaccioso alla volta di Wakatoshi, che si trasformò in sdegnato quando lo vide bere ancora dalla lattina di birra. Gli rivolse una smorfia eloquente, del tipo: Posa quella cosa o ti ammazzo!, ma lui parve non cogliere il messaggio. Come sempre.
Rise in maniera isterica e tornò a guardare la telecamera, aveva un sorriso tirato.
« Oggi ho pensato ad una cosa carina per voi! Mi hanno inviato questo pacco fantastico dell'Haikyuu Beauty, pieno di prodotti fa-vo-lo-si! Li ho messi qui in bella vista per voi »
Picchiettò con le mani sul tavolino, per attirare l'attenzione sui prodotti.
Sentiva lo sguardo di Wakatoshi addosso, ancora intento a bere - il maledetto! -, e sapeva che se lo avesse ricambiato gli avrebbe trovato un'espressione neutra sul viso, ma con una luce particolare negli occhi. Wakatoshi non si faceva mai vedere nei reels o nei video che facevano insieme - né parlava -, ma non gli aveva mai negato il suo supporto, ne gli aveva mai detto che considerava la cosa stupida o sciocca. Anzi, era sempre stato lì a mantenere la telecamera o il cellulare, o ad indossare una maschera all'occasione, facendo commenti dopo il video e ridendo insieme a lui - seduti sul divano - quando veniva fuori qualche behind the scene divertente e sconclusionato.
Litigavano e battibeccavano tanto, ma Tooru amava quello sciocco bonaccione che si metteva a bere una birra prima di una live e non capiva mai le battute o i doppi sensi.
Il sorriso teso si distese in uno dolce.
Ohhh chi stai guardando così? 😏
Sei bellissimo, Tooruuuuu!
Sarà il Mysterious Boyfriend eh eh 🤭
« E siccome so che siete molto curiosi di vedere qualcuno » Calcò la parola e fece un sorrisetto accattivante « Ci facciamo questa bella chiacchierata mentre lo coccoliamo con un trattamento di skincare completo! » La chat impazzì.
Tooru ridacchiò, girandosi verso Wakatoshi. Lo guardava con la birra sospesa davanti alle labbra, bello rilassato contro il divano.
« Questo non me lo avevi detto » Disse.
Tooru lo prese per un braccio, sporgendosi verso di lui - uscendo in questo modo per metà dal riquadro della telecamera - e tirò.
Che voce virile!
Mamma mia, ma è un attore?
Tooru hai un culo pazzesco!
« Non mi aggrada leggere commenti del genere sul tuo fondoschiena, Tooru »
Mentre lo trascinava senza successo davanti alla telecamera, sudato e affannato, Tooru si domandò perché Wakatoshi avesse deciso di leggere la chat proprio in quel momento.
Ohhhh è un tipo geloso! Eh eh 😏
Beh lui può sicuramente bearsi di quel culo pazzesco!
Ma la sua voce? È orgasmica!
« Andiamo, non fare il timido! Fatti vedere! »
Tooru strattonò con troppa forza e - spinto dalla trazione - cadde all'indietro sul sedere, mentre Wakatoshi rimase esattamente dov'era. La chat prese a scorrere veloce.
Troppo per leggere i commenti scritti.
Steso sui cuscini che aveva sistemato a terra per sedersi sul tappeto peloso, Tooru guardò Wakatoshi con il labbro inferiore che tremava. Sollevò un dito minaccioso.
Quattro anni, Wakatoshi! Quattro!, mimò, con le lacrime agli occhi.
Il suo compagno sospirò, stanco. Appoggiò la birra sul tavolino - nella parte retrostante al computer - e si mosse sui cuscini, entrando nell'inquadratura della telecamera.
« Ciao » Salutò monocorde.
OH MIO DIO! 😍
Ma è un figo pazzesco!
Sarà un modello?
Non è tutta questa bellezza ...
Tooru poteva stare solo con uno così!
Mi sono appena innamorata! 😍
Wakatoshi ignorò i commenti e si sporse in avanti, afferrando Tooru per le braccia.
Avvolse le sue mani grandi, venose e calde attorno ai suoi avambracci e lo tirò su.
Fu troppo impetuoso. Tooru gli finì addosso e i loro nasi si scontrarono.
Ho caldo 🥵
Ma un bacio no? Uno piccino piccino
Awwwww
Il mio cuore non può reggere!
« Scusa, non so controllare la mia forza »Tooru sbatté le palpebre, perso in quegli occhi grigi caleidoscopici, e pensò che dopo dieci anni ancora gli apparivano straordinari.
Dimenticando per un momento la telecamera, gli prese il viso tra le mani e fece scontrare le loro fronti: « Non che mi dispiaccia finire tra le tue braccia, sai? »
Gli disse, sorridendo.
Wakatoshi sollevò un angolo delle labbra.
« Ci stanno guardando, Tooru »
Era vero, e per un momento lo aveva rimosso.
Avvampando visibilmente lasciò andare il volto di Wakatoshi e si girò verso la telecamera, cercando di non leggere troppo la chat che scorreva veloce piena di cuori, faccine innamorate e commenti sdolcinati.
« Bene, dopo questo piccolo preambolo fuori programma » Ridacchiò nervoso « Direi che possiamo cominciare. Fateci delle domande nel frattempo, mi raccomando, risponderemo a tutto! » Fece un sorriso accattivante, unendo le mani davanti al viso.
« Non proprio a tutto » Intervenne Wakatoshi, beccandosi immediatamente una gomitata nel fianco, data con maestria. Lo sentì produrre un suono gutturale, per poi prendere a massaggiare la parte lesa, mentre lui continuava a sorridere come una iena.
« Indossa questo, amore » Gli disse affabile, porgendogli un codino con le orecchie da coniglietto che avrebbe dovuto indossare per tirare i ciuffi di capelli via dalla fronte.
Wakatoshi lo prese con espressione impassibile, fissando le orecchie apatico.
Poi guardò Tooru, che sollevò un sopracciglio, come per sfidarlo a dire qualcosa. Non lo fece, e indossò l'elastico in silenzio.
Awww ma che carino! 😍
Come fa ad essere virile anche così ... 😒
Tooru allungò una mano sul tavolino, cercando con un dito il detergente, e lo prese tutto contento, canticchiando allegro.
« Cominciamo con il detergente. È al cocco, profuma tantissimo! Senti, Wakatoshi »
Se ne mise un po' sulle dita e lo mostrò all'altro, che annusò del tutto disinteressato.
« Non posso profumare di cocco » Disse.
Tooru fece un gesto vago della mano, come a voler scacciare via una brutta mosca.
« Puoi essere virile anche profumando di cocco. Coraggio »
E iniziò ad imbrattargli il volto di spuma bianca, sorridendo come un bambino con un nuovo giocattolo, mentre Wakatoshi sopportava stoicamente.
« Vediamo qualche domanda, nel frattempo, so che siete curiosi »
Fece l'occhiolino e rise, lanciando un'occhiata alla chat.
Quando vi siete conosciuti?
« Ah, questa mi piace! Anche se lo abbiamo già raccontato in qualche reels » Cominciò, strofinando le guance spigolose di Wakatoshi, che se ne stava seduto davanti a lui sui cuscini a gambe incrociate e schiena curva, del tutto paziente « Beh ... stiamo insieme da dieci anni ma ... ci conosciamo da quando ne avevamo circa dodici, giusto? »
Wakatoshi annuì, fissandolo attento.
« Tooru mi odiava » Spiattellò, senza perdere tempo.
L'altro rise nervosamente, rivolgendogli uno sguardo da: e stai zitto!
« Odiare è una parola grossa! Semplicemente ti trovavo ... prepotente, troppo schietto e saccente » Elencò Tooru mentre gli metteva sotto il naso una bacinella piena di acqua. Era stata calda, ma ormai doveva essersi fatta fredda.
Senza domandare a che cosa servisse, Wakatoshi immerse le mani nel liquido trasparente e si sciacquò malamente via la mousse detergente dalla faccia.
Tooru lo guardò male per tutto il tempo, mentre prendeva un panno morbido e pulito da passargli per asciugarsi.
« Mi odiavi. Appunto » Wakatoshi lo guardò con il volto impassibile e gocciolante.
Tooru gli gettò malamente addosso l'asciugamano, che l'altro prese al volto senza nemmeno battere ciglio.
« E ora sei l'amore della mia vita! Vedi com'è strano il mondo! »
Strepitò, afferrando l'esfoliante con troppa foga.
Ahahahahaha
Ma quindi siete tipo enemies to lovers 😍
E come vi siete messi insieme?
Lesse le domande mentre ne spruzzava una quantità eccessiva sulle dita.
« Sono stato insistente » Intervenne inaspettatamente Wakatoshi.
Aveva il volto tutto arrossato dopo esserselo strofinato con foga, e il codino con le orecchie da coniglio su un volto impassibile e serio.
Tooru smise presto di essere irritato.
« Mi sono innamorato di lui la prima volta che l'ho visto. E alla fine ha accettato di uscire con me » Continuò Wakatoshi, mentre Tooru cominciava a massaggiargli la fronte con delicatezza, seduto davanti a lui.
« Non è andata proprio così » Si intromise, prepotente « Io lo asfaltavo con le mie battute sagaci ogni volta che mi rivolgeva la parola. Non sapevo che quello era il suo modo di provarci con me. Se ne usciva con frasi tipo: " Avresti dovuto seguire il mio stesso corso universitario " oppure " Dovremmo lavorare insieme a questo progetto per prendere il massimo dei voti" con quella sua voce monocorde! Non capivo proprio e lo trovavo irritante come non mai! Una vera piaga! » Passò agli zigomi spigolosi, che massaggiò con eccessiva energia, spinto dal suo tono di voce vivace.
« Tooru, non puoi asfaltare una persona. Non sono una strada. Inoltre, non mi risulta nemmeno di essere una ferita putrescente » Intervenne Wakatoshi, del tutto serio. Tooru sospirò, pulendosi le mani su un panno.
« E adesso, dopo quasi dieci anni, mi domando perché io abbia accettato comunque di uscire con te quel giorno. Dovevo essere impazzito »
« Perché in realtà eri attratto da me » Disse Wakatoshi mentre si sciacquava di nuovo la faccia come se fosse un terreno da arare, senza grazia e con eccessiva forza.
« Beh, scusami eh! Te ne andavi in giro per l'università con quelle belle braccia toniche sempre da fuori! Tutti erano attratti da te! » Si lamentò, aprendo una bustina - che dimenticò di presentare - contenente una maschera per il viso. La tirò fuori con cura.
« Ma io vedevo solo te » Gli disse Wakatoshi senza vergogna, mentre gliela sistemata sul viso. Era gelatinosa e alla forma di anguria, con il bordo verde, la parte interna rossa e dei semini neri all'interno che non aveva idea di cosa fossero davvero.
Voleva ridere, ma le sue parole erano state troppo dolci e lo avevano fatto arrossire.
« Dai, smettila! » Disse civettuolo, portandosi le mani sulle guance accaldate mentre distoglieva lo sguardo come un bambino particolarmente imbarazzato.
Quelle braccia in effetti sono illegali!
La vedete la vena?!
Non è tutta sta forza eh ...
Anche io voglio toccareee quei bicipiti >w<
Che lavoro fai, Wakatoshi? Sei un personal trainer? Posso sapere il nome della palestra, nel caso ... 😏
« Sono un cuoco. Ho un ristorante di mia proprietà » Rispose Wakatoshi, impassibile, ignorando tutti i commenti che avevano fatto terribilmente irritare Tooru.
In effetti, quando aveva avuto la brillante idea di insistete perché l'altro si mostrasse, non aveva pensato che i suoi follower avrebbero potuto provarci con lui senza pudore.
Maschi o donne che fossero.
Era terribilmente fastidioso e inappropriato.
« E non un ristorante qualsiasi! » Si intromise con un certo tono di orgoglio nella voce, aggrappandosi al braccio di Wakatoshi, che lo guardò con un sopracciglio leggermente sollevato « Ma di lusso! Ha anche ottenuto tre stelle Michelin! »
« Non esagerare, Tooru » Lo riprese l'altro.
« Sei poco spaventoso con quella maschera all'anguria in faccia sai! »
Gli fece la linguaccia, come un bambino dispettoso.
Wakatoshi rimase impassibile. Ingenuo.
« E poi cosa c'è di male ad ammettere di essere i migliori in qualcosa? Sono orgoglioso di te e sai di essere il meglio sulla piazza, no? »
Gli disse compiaciuto, picchiettandolo con un dito sulla spalla.
Wakatoshi gli prese la mano e la strinse nella sua, schiacciandogli il pollice al centro del palmo. Era un punto sensibile per Tooru, quello, come una sorta di zona erogena.
Gli scese un brivido lungo la schiena fino al basso ventre e arricciò le dita dei piedi nei calzini rossi e verdi con le renne che aveva indossato per il tema natalizio della live.
« Lo so. Non amo le persone che hanno troppa confidenza nelle priorità capacità senza alcun tipo di fondamento o talento » Tooru trovò la voce profonda e bassa di Wakatoshi improvvisamente sexy, motivo per cui desiderò per un solo istante di mandare quella live su cui aveva lavorato per settimane a quel paese.
« E tu, Tooru, sei il migliore per me » Concluse Wakatoshi.
Tooru arrossì, distogliendo lo sguardo.
Li stavano guardando e in quel momento stavano flirtando come se fossero alle prime armi - e non avessero dieci anni di relazione alle spalle - sprigionando una tensione sessuale davvero disdicevole. Oltre ad apparire super arroganti.
Non che a Tooru dispiacesse, ma lui e Wakatoshi erano davvero diversi.
« Smettila » Gli disse, distogliendo lo sguardo da lui per fissare il pavimento alla sua destra « Lo sai che io non ho nessun talento naturale, è solo fatica e sudore »
Ridacchiò, leggendo di fretta la chat che scorreva velocemente piena di messaggi a luci rosse e faccine e domande strane. Wakatoshi gli baciò la mano, facendolo entrare in contatto con la maschera gelatinosa all'anguria. Era viscida.
Ohhh fa anche il baciamano! Ma è un signore!
Solo io ho sentito una tensione sessuale tale da fendere l'aria come un coltello?
No bro, era talmente forte che mi sono sentito in imbarazzo!
La cosa più importante, sganciate il nome del ristorante, grazie tante!
Già! Il nome il nome!
Prima che la conversazione potesse diventare troppo seria, Tooru si sporse in avanti verso la tastiera del computer e rise.
« Ve lo scrivo in chat. Mi raccomando, portate tanti amici e consigliatelo a tutti! »
Scrisse velocemente il nome del ristorante.
Wakatoshi stese una gamba sotto il tavolino e lo urtò con un ginocchio.
Tooru lo guardò.
Cosa?, mimò con le labbra, approfittando del fatto che in quel modo gli altri non lo vedessero in viso. Wakatoshi allungò una mano e la appoggiò sulla sua schiena con naturalezza, scrisse qualcosa: Verranno per provarci con me. Idiota.
Tooru spalancò la bocca: Ti stacco la testa, giuro. Ti ammazzo se fai il cascamorto!
Mimò, con tanto di gesto da taglio della testa.
Wakatoshi accennò un sorriso.
Ti amo, gli scrisse, da morire.
Tooru mise il broncio: Non pensare di cavartela così, so che sei un sottone con me. Ma ti amo anche io. Tanto. Tanto. Tanto.
« Potresti togliermi questa roba dalla faccia? Comincia a pizzicare »
Gli disse Wakatoshi a voce alta, interrompendo quel momento privato tra di loro.
« Si, vieni qui » Acconsentì Tooru. Gli rimosse la maschera, mostrando un viso tutto lucido e brillante. Battè le mani, entusiasta, mettendo una mano sotto al mento di Wakatoshi come se stesse vendendo un'opera d'arte molto bella.
« Guardate che pelle! Questi prodotti sono favolosi davvero! Ora applichiamo il tonico e poi il siero » Si mise all'opera, pasticciando sul suo viso mentre continuava a rispondere distrattamente ad alcune delle domande, allegro.
Come avessero reagito i loro genitori riguardo la loro relazione, e gli amici, se avessero intenzione di avere bambini in futuro, in che cosa si fosse laureato Tooru.
Chiacchierarono per un po', mentre Wakatoshi rispondeva ogni tanto, lasciandosi fare le peggiori torture pur di accontentarlo.
Mentre afferrava il tubetto per idratare le labbra - l'ultimo prodotto della lista - Tooru ripensò sorridendo alle parole che gli aveva rivolto Hajime una volta, molti anni prima, quando aveva cominciato ad uscire con Wakatoshi solamente da pochi mesi.
Erano ancora due sconosciuti e il loro rapporto davvero strano, tanto per cominciare non avevano nemmeno scopato ancora.
Quello ti venera, senti a me. Sta sotto un treno per te! Chiedigli di rotolarsi a terra e abbaiare ai tuoi piedi e lo farà! Tooru lo aveva trovato stupido ed estremo.
Wakatoshi gli sembrava un uomo pieno di orgoglio, difficile da piegare e poco incline all'affetto. Un po' fuori dal mondo, a dire il vero.
Aveva scoperto solo con il tempo che non era vero niente di tutto quello.
Era orgoglioso, ma non tanto quanto lui. Si faceva piegare se si trattava di andargli incontro, ed era molto romantico, anche se non lo faceva mai di proposito.
Wakatoshi compiva dei gesti di amore nei suoi confronti senza cercarli, lo faceva semplicemente perché gli veniva naturale metterlo davanti a qualsiasi cosa, anche il proprio benessere personale. Tooru non gli aveva chiesto di mettersi a terra ai suoi piedi e abbaiare, ma aveva capito che Wakatoshi lo avrebbe fatto per lui e che Hajime aveva ragione. Ci era voluto solo il tempo di stare insieme e conoscersi per capirlo.
Per capire la fortuna che aveva. Per quel motivo lo amava davvero, e tanto.
Ed era grato. Davvero tanto grato, di averlo.
Lo minacciava dicendogli che lo avrebbe lasciato almeno dieci volte al giorno, ma sapeva che senza di lui vivere sarebbe stato difficile. Sperava che Wakatoshi lo sapesse.
Che sentisse anche lui, anche solo un poco, l'amore che Tooru provava.
Anche dopo quei lunghi dieci anni insieme.
Pensò a tutto quello mentre gli metteva con attenzione il balsamo idratante sulle labbra screpolate e un sorriso dolce sbocciò sul suo volto. Wakatoshi sollevò un sopracciglio.
« Questo tienilo con te, che hai sempre le labbra screpolate, amore »
Gli uscì spontaneo, con affetto.
Non era una parola che usava spesso, e di sicuro non davanti a degli estranei.
Si guardarono negli occhi.
« Oops » Disse, sorridendo imbarazzato.
Wakatoshi prese il tubetto e lo infilò nella tasca della tuta, ubbidiente.
Tooru sapeva che lo avrebbe usato.
« Trovate il link del negozio online dell'Haikyuu Beauty nella mio bio di instagram. Mi raccomando, avete visto con i vostri occhi il risultato sul mio bellissimo fidanzato e non fatevi scappare la possibilità di uno sconto del dieci percento con il codice che vi ho messo anche nelle storie, Tooru111! Abbiamo ancora qualche minuto a disposizione, avete altre domande per noi? » Chiese giulivo, tornando a concentrarsi sul live streaming e sui suoi follower. Erano le dieci passate, ma erano collegati più di un milione di persone da tutto il mondo e la chat scorreva veloce. Vivace.
Capendo che sarebbe finita a breve, Wakatoshi gli si fece vicino, prestando totale attenzione ai messaggi che scorrevano. Tooru gli avrebbe concesso una cosa o due quella sera, nel loro letto, giusto perché se lo era meritato. Non aveva nemmeno toccato il cellulare o mostrato segni di impazienza perché la cosa finisse presto. E inoltre, aveva anche rinunciato alla sua birra. Forse anche più di una cosa o due, tutto sommato.
« Qual è la vostra posizione preferita quando scopate? »
Lesse Wakatoshi ad alta voce, riportandolo bruscamente al presente.
Tooru lo guardò con un sorriso freddato sulle labbra, totalmente incredulo per quello che aveva appena fatto. Orripilato.
« Beh, la mia direi il classico dogg- »
« Ma come siete curiosi! Prossima domanda! »
Intervenne Tooru con voce stridula, coprendo quella di Wakatoshi.
Con un sorriso forzato a trentadue denti gli diede una gomitata nello stomaco. Forte.
L'altro incassò il colpo con dignità.
Andò alla domanda successiva con fretta, la prima che gli capitò sott'occhio.
« Oh questa è per te, amore. Quanto ce l'hai lu- NON RISPONDERE! »
Scattò, schiacciando una mano sulla bocca di Wakatoshi con riflessi fulminei non appena lo vide formare le iniziali del numero venti con le labbra. Ridacchiò, isterico.
Chi cavolo si metteva a domandare ad una persona quanto lo avesse lungo da eccitato?
I suoi follower erano fuori di zucca.
« Vediamone un'altra » Arrancò, disperato.
Si stava pentendo di aver convinto Wakatoshi a fare quella cosa. Moltissimo.
Gli tolse la mano da davanti la bocca e lesse:
« Mi fai venire voglia di ses- OKAY! Direi che per stasera abbiamo finito! »
Gli pulsava una vena sulla tempia dalla rabbia mentre pronunciava quelle parole con voce isterica, un sorriso super forzato sulle labbra.
Questa maledetta baldracca! pensava nel frattempo, stritolando i pugni sulle cosce.
« Grazie a tutti per aver partecipato e - »
« No, non abbiamo ancora finito » Wakatoshi lo interruppe inaspettatamente.
Tooru si voltò a guardarlo con un'espressione di totale stupore dipinta sul volto.
Quello non era in programma.
« Che cosa vuoi dire, amore? » Chiese, la voce controllata, ma incerta, con un pizzico di panico nel fondo. Wakatoshi non rispose, impegnato a frugare nella tasca della tuta.
Poi estrasse un astuccio di velluto rosso.
Tooru sbattè le palpebre, lo stomaco fece una capriola e si contrasse.
Wakatoshi si rigirò la scatolina tra le dita, poi la strinse nel pugno e si piegò in avanti.
I loro occhi si incrociarono. Wakatoshi lo guardava con intensità e Tooru si portò inconsciamente una mano al petto, sul cuore che batteva impazzito.
Non poteva essere. Non stava succedendo.
Wakatoshi non aveva organizzato tutto pensando proprio di - « Tooru » Sussultò.
La scatolina si aprì, mostrando un anello a fascia d'oro bianco con una minuscola scia di diamanti che lo attraversava a onde.
« Non è possibile » Sussurrò, portandosi l'altra mano sulla bocca.
Le telecamere, i follower, la pubblicità, tutto sparì nell'arco di un secondo.
« Dieci anni sono tanti, lo so. Stiamo bene come siamo ora, ma mi chiedevo se ... se ti andasse di passare con me anche i prossimi trenta o magari quarant'anni »
Prima ancora che Wakatoshi finisse di parlare, Tooru si ritrovò ad annuire.
« Mi faresti l'onore di diventare mio mari- »
« Oddio si! Si, si, si! Certo che si! » Gli saltò addosso, letteralmente, aggrappandosi con entrambe le braccia attorno al suo collo. Era talmente felice ed emozionato che ci mise troppo impeto. Wakatoshi cadde all'indietro sul tappeto, trascinandoselo addosso.
Si guardarono, Tooru scoppiò a ridere, pieno di gioia e commozione. Non ci aveva mai pensato, nemmeno una sola volta, alla possibilità che Wakatoshi glielo chiedesse.
Ne lui aveva pensato di farlo. Dieci anni erano davvero tanti e Tooru aveva pensato che tutto sommato andasse bene stare insieme anche in quel modo per loro.
Avevano trentaquattro anni entrambi e stavano bene, avevano una routine insieme, delle abitudini. Andava bene.
Ma il matrimonio ... oddio l'idea lo faceva impazzire di felicità!
Allungò la mano verso Wakatoshi.
Lui comprese, tolse l'anello dalla scatolina e glielo infilò all'anulare della mano sinistra. Tooru si emozionò ancora di più.
« Oddio quando lo dirò a mia madre! Mi stava dando il tormento negli ultimi tempi! E ad Hajime! E Shouyou e Tobiuccio! Impazziranno, me lo sento! Devo organizzare tutto! Sarebbe carino farlo su una spiaggia, che ne pensi? E potremmo fare il ricevimento al tuo ristorante e - »
« Tooru » Wakatoshi gli prese la faccia tra le mani, schiacciandogli le guance.
Lui tacque, con gli occhi scintillanti di euforia.
« Respira. Con calma. Non dimenticare che abbiamo ospiti » Wakatoshi gli sorrise appena, facendo un cenno con la testa verso lo schermo del computer.
La live era ancora in corso, Tooru lo aveva dimenticato.
Un milione di persone avevano visto tutto.
Oh, sarebbe diventato virale.
Sarebbero finiti sui giornali, ne era certo. Sarebbe stato fantastico per la sua carriera.
Wakatoshi non poteva non saperlo.
Dopotutto, avrebbe potuto fare la proposta a telecamere spente ma ... non lo aveva fatto.
Ridacchiò, tirandosi a sedere, imbarazzato.
« Ahaha, hai ragione » Si grattò la nuca.
La chat era quasi intasata.
Congratulazioni!
Oddio piango fiumi di lacrime 😭
Ma che carini che sono!
Io ancora voglio sapere le dimensioni del pene di Wakatoshi, comunque.
Ma io 😍😍
Non ci credo non ci credo!
Voglio essere invitato al matrimonio!
« Grazie mille per gli auguri, davvero! »
Intervenne Tooru, asciugandosi una guancia mentre Wakatoshi si sistemava al sul fianco, poggiandogli il mento sulla spalla.
Tooru sollevò automaticamente una mano per accarezzarlo sulla guancia con affetto.
« Vi terremo aggiornati sui preparativi! » La sua voce era quasi squillante.
Wakatoshi lo baciò su una guancia, passandogli un braccio attorno al fianco.
« Buonanotte e alla prossima »
Salutò Tooru, agitando una mano, imitato poco dopo dal suo futuro marito.
Chiuse la live, la telecamera e chiuse il PC.
Rimasero solo loro, nell'intimità della loro casa, davanti al camino elettrico acceso e caldo, con l'albero di natale enorme - dorato e bianco - che illuminava tutto.
« Satori mi ha suggerito che farlo in pubblico sarebbe stato vantaggioso per te. Non ero molto convinto, ma alla fine ... » Wakatoshi pronunciò quelle parole mentre si sistemava con le gambe attorno a lui, stringendolo a se. Tooru rimirò l'anello al suo dito, appoggiandosi con la schiena contro il suo petto ampio - profumava di cocco.
« È per questo che hai acconsentito a partecipare alla live così all'improvviso? »
« Volevo chiederti di sposarmi, perciò si » L'anello gli calzava davvero benissimo.
« Ma per te farei qualsiasi cosa, Tooru. Voglio che tu lo sappia » Smise di guardare il gioiello e chiuse la mano a pugno, per prestare attenzione al suo fidanzato.
« Lo so, Wakatoshi. Lo so davvero. Sono tanto felice di sposarti anche per questo. So che non ci sarebbe nessun altro nella mia vita se perdessi te » Gli disse, in un raro moto di affetto in cui ammetteva quelle cose ad alta voce. Non se le dicevano così spesso.
E quando lo facevano aveva tutto un valore diverso. Era di più. Era sentito.
Wakatoshi lo abbracciò più forte.
« Non mi perderai » Disse con sicurezza.
Tooru avrebbe voluto dirgli che era solo un modo di dire, uno di quei pensieri negativi che ogni tanto venivano a fargli compagnia.
Ma non parlò per un po', si limitò a farsi coccolare da quell'abbraccio caldo.
« Ti amo, mysterious boyfriend »
Aggiunse alla fine, solo perché voleva dirglielo e se ne stava dimenticando.
« E ora puoi accendere il telefono se vuoi. E bere la tua birra. E toglierti il codino, anche se le orecchie da coniglietto ti donano » Sollevò lo sguardo per seguire il movimento della mano di Wakatoshi, che era andato a toccarsi le orecchie sulla testa.
« Volevo fare un'altra cosa » Lo informò.
Non si era tolto il codino che gli tirava i capelli indietro, mettendo in bella mostra la fronte ancora tutta lucida di skincare.
« Cosa - Ah! » Prima che potesse finire di parlare Tooru si ritrovò in piedi, sollevato da terra con una mossa agile tra le braccia di Wakatoshi. Era dannatamente atletico.
Agitò i piedi nel vuoto, mostrando ancora di più i calzini con le renne di natale.
« Ma che fai? » Chiese, viola in volto.
« La cosa che devo farti vedere è in camera da letto. Nel nostro letto. Sotto le coperte »
Gli fece sapere Wakatoshi, mentre scavalcava i cuscini per raggiungere il corridoio che portava nella zona notte di casa. Tooru rise, avvolgendogli le braccia attorno al collo, l'anello che gli faceva uno strano effetto sul dito, non essendo abituato a portarne.
« Capisco. Allora sono proprio curioso » Chiosò, sbattendo le ciglia.
Le loro voci e risate si persero nel corridoio.



 
When I do my walk, walk (oh)
I can guarantee your jaw will drop, drop (oh)
'Cause they don't make a lot of what I got, got (ah, ah)
Ladies if you feel me, this your bop, bop (bop-bop-bop)


( Made you look - Meghan Trainor )

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Capitolo 27
*** 27. Your Way - Prima Parte ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Omegaverse

N° parole: 15.313

Note: Questo prompt. Questo benedetto prompt!
Allora. Ho mai scritto un Omegaverse, prima? No. Ho seguito le regole del genere? No.
Ho scritto qualcosa di originale? No.
È già stato scritto di tutto e di più a riguardo? Si. Mi piace? Per niente!
Ma eccoci qui per forza di cose.
Mpreg, inutile dirlo. Ma diciamolo lo stesso, non si sa mai.
Meglio saperlo nel caso voleste skipparla, perché è praticamente la tematica principale di tutta la one-shot. Insomma, prendetela per quello che è: la storia di due persone che si fanno - accidentalmente - una famiglia. È stata un parto da scrivere - letteralmente.
Ovviamente facciamo finta che alcune cose siano possibili e altre lasciamole solo all'immaginazione. Non sono entrata nei dettagli ( per ragioni molto ovvie ).
Tutto quello che ho scritto è frutto di ricerche approfondite e esperienze - indirette - personali. Questo non vuol dire che io non possa aver scritto delle boiate, non ho mai partorito prima, ma almeno ci ho provato ad essere attendibile il più possibile.
Detto questo, anche questo prompt sarà diviso in due parti. Eccovi la prima!
Buona lettura.


TW - Accenni ad aborto, problemi di fertilità





 
Your Way
 

- Prima Parte -


 
Sarà difficile diventar grande
Prima che lo diventi anche tu
Tu che farai tutte quelle domande
Io fingerò di saperne di più




Lo scatolone pesava parecchio.
Era l'ultimo di una consegna abbastanza consistente, ma ormai Tooru aveva mal di schiena. Le uscite di quel mese erano state numerose e piene di edizioni speciali.
Appoggiò il peso eccessivo per terra, accanto allo scaffale designato, e fece un sospiro stanco, accovacciandosi a terra. Aveva solo trent'anni, ma gli acciacchi di un ottantenne.
Tirò fuori dalla giacca del cardigan il taglierino e trinciò a metà lo scotch, aprendo la scatola con poca grazia. La lista diceva che di libri lì dentro dovevano essercene venti - ne aveva ordinati tanti perché sapeva sarebbero andati a ruba - e cominciò a tirarli fuori, contandoli.
« Ehi Tooru! » Era arrivato a sette quando si sentì chiamare dalla stanza accanto, quella dedicata alla ludoteca. Sollevò lo sguardo e vide Shouyou affacciato sull'uscio, indossava ancora il grembiule con i gamberetti stilizzati - un suo regalo dei tempi dell'apertura - e stringeva nel pugno della mano dei pastelli rotti o troppo corti per essere utilizzati.
« Sono le sei, cosa ci fai ancora qui? » Gli chiese l'amico, e Tooru sussultò.
Automaticamente diede uno sguardo all'orologio da polso e vide che Shouyou aveva ragione, mancavano cinque minuti alle sei del pomeriggio. Imprecò tra i denti.
Il tempo gli era sfuggito di mano. Di nuovo.
« Non ho finito di sistemare questi » Dichiarò, sollevando uno dei libri dalla pila.
Shouyou fece un gesto vago della mano, come se stesse scacciando via una mosca molesta.
« Finisco io, tranquillo. Ci tenevi tanto ad organizzare questa cenetta. Quattro anni di matrimonio non si festeggiano tutti i giorni » Lo incoraggiò, gioviale come sempre.
Tooru sospirò, era davvero grato a Shouyou.
Se non fosse stato per lui, sarebbe finito alle otto di sera a fare le corse per tornare a casa con del misero cibo da asporto al seguito: ovvero quello che succedeva ogni giorno.
« Ti sono davvero grato per questo cambio di turno. Davvero tanto » Disse, alzandosi in piedi con una certa fatica - si massaggiò il collo dolorante nel processo.
« Sciocchezze! » Disse Shouyou, slacciandosi con una sola mano il nodo del grembiule « Ho già finito di pulire la ludoteca per domani, posso badare io al negozio »
Appese l'indumento ad un gancio all'interno della stanza, spense la luce e chiuse la porta, gettando le matite nella pattumiera.
« Ma non avevi appuntamento dal fioraio oggi pomeriggio? » Gli chiese Tooru, mentre raccattava la giacca dalla sedia, infilandola in fretta sulle spalle. Fuori faceva freddo.
« Ci ho mandato Tobio. Deve pur fare qualcosa per questo matrimonio, non posso organizzare tutto io! » Si lamentò Shouyou, già accovacciato davanti allo scaffale a contare i libri da sistemare dell'ultimo scatolone.
Tooru si avvolse lo sciarpone di lana rossa attorno al collo, nascondendo la bocca al calduccio.
« Hai ragione, lascialo sgobbare per bene a quel moccioso impertinente »
Shouyou annuì risoluto, infilando i libri nello scaffale con movimenti esperti e veloci.
« Quando ci siamo sposati io e Wakatoshi, l'unica cosa che ha fatto da solo è stato scegliersi l'abito. E ho dovuto lottare con sua madre e sua nonna per averla vinta su tutto! È stato l'inferno in terra! Motivo per cui dovrebbe baciare la strada su cui cammino »
Si lagnò come un bambino, mettendosi lo zainetto a tracolla. Vi aveva attaccato di recente, ad uno degli anelli di metallo, due pupazzetti di pezza fatti a mano che raffiguravano lui e Wakatoshi - comprati durante un viaggio all'estero - e fecero rumore, tintinnando tra loro.
« Tuo marito ti adora, andiamo! Non strapazzarlo troppo » Lo difese Shouyou.
Tooru si ritrovò a sorridere, sempre sorpreso di come le cose potessero cambiare nel tempo. Shouyou e Wakatoshi non erano sempre andati d'accordo, almeno non i primi tempi della loro amicizia. Shouyou aveva provato ad impedire che Tooru si mettesse con lui semplicemente perché lo trovava spaventoso e troppo serio.
Wakatoshi non lo poteva sopportare nemmeno da lontano per quel motivo.
Inoltre, lo trovava troppo esuberante.
Con il tempo - frequentandosi assiduamente - le cose erano migliorate. Ora si tolleravano.
O forse erano perfino amici, dopotutto.
« Preoccupati piuttosto che Tobio non scelga fiori neri per il vostro matrimonio! »
Gli rispose, raggiungendo la porta del negozio. Shouyou fece una faccia orripilata.
« Meglio se lo chiamo » Lo sentì borbottare.
Tooru rise, salutandolo nuovamente, e uscì fuori sulla strada, investito dal freddo gelido di Dicembre. Si sistemò meglio la sciarpa attorno al collo e prese a camminare svelto.

 
***


Erano passati sei anni da quando lui, Shouyou e Koushi avevano deciso di aprire insieme quella libreria - ludoteca. Era stata una decisione presa durante una sbornia colossale, in un momento della sua vita in cui tutto sembrava andare a rotoli.


Lui e Wakatoshi avevano litigato quella sera.
Stavano insieme da dieci anni - ne avevano quattordici quando si erano scambiati quel primo bacio impacciato - ed era capitato spesso. Bisticci continui.
Si erano anche lasciati una volta - tra la fine delle media e il primo anno di liceo - per tipo un paio di settimane. Periodo in cui aveva tormentato Hajime con i suoi melodrammi da cuore spezzato, perché era la fine del mondo. Ma quella sera avevano litigato di brutto.
Erano volate parole pesanti, come mai prima.
E in parte era stata solo colpa sua.


Tooru aveva perso il terzo lavoro di fila per via del suo secondo genere nell'arco di sei mesi.
Era nervoso, arrabbiato, deluso dalla vita.
E stava sfogando quel periodo nero sulle persone che amava, inconsciamente.
Non era il lavoro dei suoi sogni, nessuno tra quelli che aveva perso lo era, - faceva il cameriere in un ristorante -, ma gli serviva quello stipendio per vivere.
L'odore dei suoi feromoni era leggermente più intenso quel pomeriggio - si avvicinava il periodo del suo heat e lui e Wakatoshi non erano ancora compagni, all'epoca - e quel cliente aveva pensato bene di palpargli il sedere. Tooru aveva reagito schiaffandogli il vassoio che aveva in mano - vuoto - dietro la nuca.
Aveva un certo orgoglio maschile da mantenere e i porci gli facevano schifo.
Purtroppo - ma in maniera del tutto prevedibile - l'uomo colpito era un Alfa.
Non aveva avuto importanza quanto Tooru avesse provato a far sentire la sua voce, a spiegare che era stato molestato sessualmente, la risposta che aveva ottenuto dal suo datore di lavoro era stata la seguente: Sei un Omega, che cosa ti aspettavi? Dovresti essere solo grato che ti abbia dato un lavoro! Già ti assenti per una settimana ogni tre mesi! Almeno potresti farti toccare senza fare tante storie, no? A voi Omega piace!
Tooru aveva reagito male.
Ovviamente, il passo successivo era stato un licenziamento in tronco.
A casa se l'era presa con Wakatoshi.
Vivevano insieme da pochissimi mesi e stavano provando a vedere come potesse andare una convivenza tra loro. Ma era cominciato tutto storto.
Gli aveva detto di essere stato licenziato, nervoso e in lacrime per l'ingiustizia ricevuta, e quando Wakatoshi aveva ingenuamente pronunciato la parola "ancora" - ma senza nessuna cattiveria - Tooru era scattato.
Lo aveva accusato di non poter capire, di non essere mai stato discriminato in tutta la sua vita, di essere un maledetto Alfa che l'aveva vinta su tutto solo per via del suo genere.
Wakatoshi si era innervosito a sua volta.
Avevano discusso, poi alzato la voce.
E alla fine Tooru aveva esagerato, come sempre: « Anche per te devo starmene zitto e buono a farmi palpeggiare perché sono solo un Omega, vero? Utile solo per scopare e partorire figli sani e robusti, possibilmente Alfa, certo. I tuoi, magari. Anche tu pensi che siamo solo dei fragili animaletti da proteggere, in preda ai propri istinti sessuali. Che solo perché andiamo in heat sia lecito piegarci a novanta su qualsiasi superficie e scoparci a morte senza pensare che non è quello che vogliamo! Che siamo persone! »
Si era sfogato, e gli aveva detto quelle cose terribili, accusandolo di cose non vere.
Tooru sapeva che Wakatoshi era un Alfa atipico - era per quel motivo che ci stava insieme -, lo conosceva da quando erano solo due bambini. Sapeva bene come la pensava.
Non lo aveva mai toccato senza rispetto.
La loro prima volta - avevano diciassette anni entrambi - non era avvenuta durante un heat, tanto per cominciare. E il primo rapporto che avevano avuto durante un calore era stato anni dopo - quando se avevano ventidue.
Wakatoshi lo aveva sempre incoraggiato a fare e prendersi quello che voleva, nonostante fosse un Omega e la società gli remasse contro con cliché e stereotipi. Non si era mai intromesso nelle sue battaglie, ma le aveva sempre combattute al suo fianco.
Tooru era stato davvero ingiusto con lui.
Il problema risiedeva dentro di sé, dentro la consapevolezza - mai davvero affrontata - di non aver accettato del tutto il secondo genere che gli era capitato alla nascita.
Tooru era orgoglioso, era un uomo, aveva dei sogni e dei progetti. Per lui era stato già difficile venire a patti con quello che provava per Wakatoshi - l'Alfa perfetto che avrebbe tanto voluto essere -, con la sottomissione personale nei suoi confronti.
Dalla loro parte c'era stata la consapevolezza di essere cresciuti insieme, in quello.
Wakatoshi non era un Alfa tipico perché non gli aveva mai detto di non provare a fare qualcosa solo perché era un Omega, non gli aveva chiesto di stare insieme per via dei loro generi secondari. Non aveva mai usato la sua voce da Alfa su di lui e non gli aveva mai chiesto di trascorrere insieme il suo rut - era stato brutto per Tooru scoprire che lo trascorreva di nascosto da lui, soffrendo, pur di non domandargli niente -, e non aveva mai insistito per morderlo dietro la nuca prima del tempo. Tooru era sempre stato un Omega libero nella relazione con il suo Alfa e questo aveva influito anche sulla sua persona.
Motivo per cui sapeva di aver sbagliato.
Se ne era reso conto un millesimo di secondo dopo aver aperto bocca, quando Wakatoshi lo aveva guardato in maniera gelida e gli aveva detto: « A questo punto della nostra storia non so più per quale motivo stiamo ancora insieme, Tooru. Davvero »
Quelle parole lo avevano distrutto e spaventato allo stesso tempo.
Un panico feroce gli era nato nel petto.
Wakatoshi aveva preso la giacca, le chiavi di casa ed era andato via sbattendo la porta.


Tooru si era concesso cinque minuti prima di cedere totalmente al panico.
Non mi sta lasciando. No. Non esiste!
Aveva pensato per tutto il tempo mentre chiamava Satori, per capire se Wakatoshi fosse andato da lui a leccarsi le ferite. Ad una risposta negativa, lo aveva chiamato un paio di volte personalmente, ma era scattata la segreteria telefonica.
Allora gli aveva mandato un messaggio vocale: Wakatoshi dove sei andato? Perché non rispondi al telefono? Me l'hai staccato in faccia, ti rendi conto?! Fuori piove a dirotto e non hai nemmeno preso l'ombrello. Che cosa credi che direbbero tua madre e tua nonna se ti vedessero tornare a casa tua dopo solo sei mesi? Erano contrarie alla nostra convivenza. Hai idea di quello che mi direbbero dietro? Di come gongolerebbero? Già non mi sopportano! E oddio, solo il pensiero di quello che potrebbe dire mia madre mi fa inorridire! Non scappare, torna a casa e parliamone ... ti prego. Lo so che ... ho esagerato.
Era stato un messaggio lungo, sentito, ma Wakatoshi aveva visualizzato e ascoltato senza dargli nemmeno una risposta.
A quel punto Tooru si era infuriato di nuovo, lagnandosene con Shouyou e Koushi al telefono. Aveva fatto una video chiamata improvvisata, in lacrime, esordendo con un drammatico: Wakatoshi se n'è andato di casa!.
Si era lamentato a lungo, soffiando il moccio in un fazzoletto logoro, di come la sua vita stesse andando malissimo. Di quello che avrebbero detto le due megere, di come avrebbe buttato tutti i vestiti di Wakatoshi dal balcone, per poi pentirsene e piangere ancora di più.
Di come gli avesse dato dieci anni della sua vita e non meritasse di essere lasciato solo per un momento di debolezza. Si era dato una calmata solo quando aveva intravisto Daichi nello schermo di Koushi, per poi smetterla definitivamente quando si era accorto che seduto accanto a Shouyou, sul divano, se ne stava anche Tobio.
Aveva fatto una scenata, insomma.
A quel punto, Shouyou e Koushi lo avevano invitato a bere qualcosa insieme per consolarlo, perché era davvero a pezzi.


L'idea era nata in quell'occasione.
Mentre tutti e tre si lamentavano a voce alta del modo in cui venivano trattati per essere degli Omega sui loro posti di lavoro.
Koushi era un insegnante, e il dirigente scolastico della scuola dove lavorava gli aveva fatto delle avance, da lui rifiutate, motivo per cui adesso gli faceva mobbing.
Shouyou avrebbe dovuto svolgere mansioni diverse nell'ufficio in cui lavorava come segretario, secondo contratto, ma lo mettevano invece a pulire i bagni o lo mandavano a comprare il pranzo, o si inventavano modi stravaganti per farlo sentire inferiore e inutile.
Era nata come un gioco, ed era diventata una realtà, che avevano tirato su con sangue e sudore e fatica enorme. Piena di alti e bassi.
« Wakatoshi mi avrà anche mollato, sua madre e sua nonna si faranno una risata alle mie spalle, le maledette! Ma almeno avrò la mia ludoteca-libreria! »
Aveva biascicato a voce alta Tooru, totalmente brillo, alzando il bicchierino pieno di sakè alla volta di Shouyou e Koushi. Aveva poi buttato giù il liquido con un colpo secco, sentendolo bruciargli la gola e stomaco vuoto. Poi aveva tirato su con il naso, spalle curve, affossato nella felpa extra large di Wakatoshi che aveva indossato per sentire l'odore dei suoi feromoni al sandalo e alle spezie, nel tentativo fallito miseramente di calmarsi.
« Ma in realtà non voglio che mi molli, né che le due megere l'abbiano vinta! Non posso vivere senza di lui, comunque. E questa cosa della libreria-ludoteca non sarà mai un successo se non sarà li a supportarmi! » Si era lagnato, tirando di nuovo su con il naso pieno di moccio. Shouyou gli aveva dato un colpetto sulla mano, in modo affettuoso.
« Wakatoshi non ti ha mollato, ti ama »
« Non è vero! Gli ho detto delle cose orribili perché non so tenere la bocca chiusa e sono sicuro che adesso mi odi! » Si era asciugato gli occhi con le maniche della felpa.
Odiava le sbornie tristi. Koushi gli aveva rivolto un sorriso paziente.
« Non ti odia, invece » La sua voce era rassicurante come al solito. Dolce.
Tooru lo aveva guardato con gli occhi gonfi.
« E come lo sai? » Koushi aveva fatto un cenno con il mento, indicando dietro le sue spalle, tutto compiaciuto. Quando Tooru si era voltato a guardare la porta del bar, seguendo il suo sguardo, aveva trovato Wakatoshi sulla soglia.
Aveva i capelli umidi e le spalle della giacca bagnate.
Si erano guardati e Tooru aveva sentito tremare il labbro inferiore, poi era scoppiato a piangere come un bambino, rumorosamente. Maledetto alcol.
Koushi e Shouyou erano scoppiati a ridere. Wakatoshi invece lo aveva raggiunto e gli si era inginocchiato davanti, prendendogli una mano tra le sue, umide e calde insieme.
« Tooru » Lo aveva chiamato con la sua voce profonda « Sei un vero idiota »
Lui aveva smesso di singhiozzare e gli aveva stretto la mano nella sua.
« Lo so. Scusami. Non te ne andare. Non voglio dare soddisfazione a quella strega di tua madre e a quella befana di tua nonna! »
Si era lasciato scappare, del tutto privo dei freni inibitori a causa dell'alcol ingerito.
« Non me ne andrò, Tooru. Mai. Ma mia madre non è una strega. E mia nonna non è una befana. Credevo lo sapessi »
Era stata la risposta paziente.


Erano tornati a casa insieme.
Wakatoshi lo aveva portato a cavalcioni sulle spalle, perché barcollava, ma non prima di aver ringraziato Koushi e Shouyou per avergli mandato quel messaggio sul luogo del loro incontro - i traditori. Lungo il tragitto avevano parlato.
L'aria fresca e umida di pioggia gli aveva fatto passare la sbornia.
Si erano chiariti, e Wakatoshi aveva trovato l'idea della libreria-ludoteca ottima, gli aveva detto che lo avrebbe aiutato. E così era stato.
I tre Omega avevano aperto il loro negozio, lottando.
Lo stesso anno, Koushi e Daichi si erano sposati, e Tooru aveva cominciato a fantasticare a sua volta a riguardo. Due anni dopo era toccato a lui e Wakatoshi.

 
***


Vivevano nella mansarda all'ultimo piano di un complesso di edifici, in centro città.
Non avevano l'ascensore, motivo per cui Tooru doveva sempre arrivare al settimo piano - il loro - facendo le scale con le buste della spesa.
Gli unici lati positivi stavano nella vista che avevano sulla città, spettacolare.
Nel fatto che fossero soli su quel piano, senza vicini, e possedessero il terrazzo.
L'affitto, inoltre, era basso.
Tooru era davanti ai fornelli quando Wakatoshi rientrò a casa.
Si era fatto una doccia calda e messo dei vestiti comodi.
E aveva apparecchiato il kotatsu a lume di candela con impegno e dedizione.
Non avevano una vera cucina o un vero salotto, oppure un ingresso.
Si entrava direttamente sulla stanza, caotica e stipata di roba perché non c'era spazio.
Tooru sentì lo scatto della porta e distolse rapidamente lo sguardo dalla padella in cui stava soffriggendo degli ingredienti.
Wakatoshi si era appena chiuso l'uscio alle spalle e stava sfilando via le scarpe.
Indossava una giacca lunga su un completo elegante, perché quel giorno aveva avuto una riunione importante che era durata ore.
« Bentornato, amore » Lo salutò a voce alta, tornando a mantecare il cibo nella padella. Wakatoshi si affacciò nella minuscola stanza, appoggiandosi alla colonna che faceva da divisorio arrangiato con il salottino/ingresso. Aveva tolto il cappotto lungo e la giacca, e allentato la stretta della cravatta magenta attorno al collo.
I capelli pettinati con cura all'indietro si erano un po' scombinati, lasciando che qualche ciocca gli cadesse sulla fronte in maniera accattivante.
Tooru sentì il cuore strizzarsi nel petto. Stavano insieme da sedici anni, si conoscevano ancora da prima, ma per lui era sempre come se fosse la prima volta.
« Ciao » Lo salutò apatico, mentre si sfilava via del tutto la cravatta e cominciava ad arrotolarla distrattamente attorno alla mano « Sei tornato prima »
Tooru gli rivolse uno sguardo fugace prima di rispondere: « Shouyou mi ha fatto il piacere di chiudere lui il negozio, stasera » Era concentrato sui fornelli.
« Ma non eravate in difficoltà per via di Koushi? » Lo sbirciò di nuovo.
Wakatoshi aveva intrecciato le braccia sul torace.
« Beh, si. La sua assenza ci pesa, ovviamente, ma ha appena avuto un bambino, dopotutto. Deve recuperare. Noi ce la caviamo. Inoltre, nel caso non te lo ricordassi, oggi - »
« Me lo ricordo » Lo interruppe subito, questa volta mentre si slacciava i polsini della camicia ed entrava nella piccola cucina. Tooru percepì la sua presenza dietro di se e fu investito dal suo odore di dopobarba, spezie, sandalo e sudore pulito.
« Buon anniversario, Tooru » Lo strinse a se avvolgendogli le braccia attorno alla vita e gli diede un bacio sulla guancia. Tooru sorrise, compiaciuto.
Si erano sposati quel giorno di inizio Dicembre - il 3 - quattro anni prima.
Era stato il più felice della sua vita fino ad allora.
Lasciando andare la spatola nella padella per qualche secondo, sollevò la mano per accarezzargli la guancia. Wakatoshi seguì il movimento poggiandola sul palmo della sua mano morbida e calda. Tooru sorrise, poi voltò leggermente il viso e lo baciò a sua volta.
A quel punto, Wakatoshi gli diede un bacio a timbro sulle labbra, a tradimento e poi un altro. E un altro ancora.
Tooru rise, dandogli una leggera gomitata nel fianco, mentre tornava a controllare la cena.
« Vai a fare una doccia, tra poco è pronto » Gli disse, il divertimento nella voce.
Prima di andare via, Wakatoshi gli rubò un altro bacio dietro l'orecchio.


Tooru aveva preparato il kotatsu sul tappeto morbido, davanti al divano ammassato alla parete, proprio accanto alla portafinestra chiusa. Ci aveva messo impegno nel preparare la tavola, con tanto di candela accesa al centro, profumata alla vaniglia.
In casa si stava bene, al caldo, mentre fuori aveva ripreso a nevicare, ma non abbastanza forte da lasciare che la neve attecchisse. Ci sarebbe voluto un po' di tempo.
Mise il piatto davanti a Wakatoshi, sistemandosi di fronte a lui sul tappeto.
Si era fatto una doccia e aveva indossato la vecchia tuta con cui andava a dormire, per stare comodo. I capelli appena lavati gli cadevano sulla fronte in ciocche morbide.
Sembrava stanco, ma sereno.
« Hai preparato l'hayashi rice »
Notò immediatamente, osservando il contenuto del suo piatto.
Tooru fece un sorrisetto compiaciuto mentre afferrava un cucchiaio con lentezza.
« Oggi è un giorno speciale » Commentò.
Non amava tanto quel piatto, doveva ammetterlo. Era pesante, pieno di carne, funghi e cipolle, con una salsa che non alleggeriva per niente il tutto, aromatizzata al vino rosso.
Ma non glielo preparava spesso, e Wakatoshi non glielo chiedeva mai.
Lo mangiava per conto suo quando uscivano a cena fuori - dunque molto raramente.
Inoltre, Tooru non aveva sempre il tempo di mettersi a cucinare. Tornava a casa tardi, stanco, e il più delle volte preferiva comprare qualcosa di pronto lungo il tragitto.
Wakatoshi non era in grado nemmeno di cuocere un uovo sodo, motivo per cui nemmeno ci provava, ma non stava lì a pretendere che lui gli mettesse davanti il piatto come una brava mogliettina Omega.
Erano molte le volte in cui si attardava - di ritorno da lavoro - a compare qualcosa su sua richiesta, quando era troppo stanco anche solo per fermarsi due secondi per strada.
Wakatoshi prese un cucchiaio abbondante di riso e salsa e lo assaggiò con gusto, affamato. Tooru sorrise, osservandolo di sottecchi mentre spiluccava un boccone.
« Devo pensare che sia buono »
La sua voce aveva un tono noncurante, come se avesse posto la domanda casualmente.
« È buono » Confermò Wakatoshi quasi immediatamente, prendendo un altro boccone.
Gli dava sempre soddisfazione.
« La riunione è andata bene? » Chiese ancora Tooru, dopo aver bevuto un abbondante sorso d'acqua. Forse aveva un po' esagerato con il sale.
L'aria era impregnata di vaniglia e dell'odore dei loro feromoni: spezie e sandalo, muschio e iris. Un'atmosfera piacevole.
« Bene, si. Abbiamo terminato il progetto da presentare alla prossima gara »
Lo disse come se non fosse niente di che.
Tooru sbattè le palpebre, inghiottendo un altro piccolo boccone.
« Ma è fantastico! » Esclamò, portandosi una mano sulle labbra mentre parlava.
Wakatoshi era un architetto. Insieme ai suoi amici di sempre - Satori, Reon ed Eita - aveva aperto uno studio d'architettura dal nome Eagle.
Come Tooru, anche Wakatoshi si era costruito un nome da solo.
Ma non era stata un'impresa facile.
Sua madre e sua nonna non erano d'accordo con l'idea, avrebbero preferito che facesse la gavetta presso qualche firma importante fino a farsi un nome, ma in sicurezza.
Wakatoshi però desiderava aprire quello studio con i suoi amici, desiderava costruirsi un futuro da solo, con le proprie forze, perché era bravo e sapeva di poterlo fare.
A sua nonna non era piaciuta quella presa di posizione, motivo per cui gli aveva negato qualsiasi aiuto economico.
All'epoca - vivevano insieme da un anno - Wakatoshi faceva solo un lavoro part-time presso un locale notturno, dove serviva ai tavoli. Con quello si pagava l'affitto, le spese basiche di convivenza. Gli studi erano a carico della sua famiglia, che non aveva preso bene la questione della convivenza prima del matrimonio, e gli aveva chiaramente detto che non lo avrebbe aiutato con le spese della casa.
Wakatoshi non aveva i soldi per affiancare i suoi amici con l'idea dello studio.
Voleva rinunciare, ma Tooru - che non sopportava di vederlo in quello stato di sottomissione nei confronti delle due donne Alfa - si era messo in mezzo e aveva contattato suo padre Takashi senza dirglielo. Lui, Koushi e Shouyou avevano aperto il negozio da poco e le cose non avevano ancora ingranato la marcia.
Wakatoshi si era infuriato con Tooru quando lo aveva saputo, quando Takashi lo aveva contattato per dirgli che gli avrebbe dato lui i soldi necessari.
Era andato a stare da Satori per una settimana buona prima di tornare a casa con la coda tra le gambe - per gioia di Tooru, che lo aveva fatto dormire sul divano per un po'.
Avevano aperto lo studio, alla fine.
E quello era stato un periodo difficilissimo, per entrambi.
Tooru ancora ricordava le delusioni e i sacrifici iniziali, i conti sempre in rosso e le cene rimandate, le uscite evitate, le serate passate davanti alla televisione a mangiare del ramen in scatola accoccolati sotto ad una coperta.
Poi le cose erano andate sempre meglio, lentamente.
La libreria-ludoteca aveva cominciato ad avere delle entrate sempre più o meno fisse, attirando l'attenzione di quelle madri Omega che apprezzavano l'idea di lasciare i propri figli a persone dello stesso secondo genere. Lo studio aveva iniziato ad ingranare la marcia, fino a diventare un nome rinomato e importante. Affidabile.
Si erano sposati, quattro anni prima, con estrema soddisfazione per avercela fatta da soli.
E ora avevano una vita più o meno stabile, almeno per quanto riguardava il lato economico.
Per quel progetto in particolare, Wakatoshi aveva passato delle settimane piuttosto stressanti. Nottate passate allo studio, telefonate accese, momenti di crisi e scatti nervosi.
Tooru aveva sopportato con pazienza - per quanto gli fosse possibile con il carattere che si ritrovava- tentando contemporaneamente anche di supportarlo come meglio poteva.
« Vincerete sicuramente la gara »
Il tono della sua voce era sicura mentre pronunciava quelle parole.
« Sembri convinto » Fu la replica di Wakatoshi. Aveva finito il piatto, ripulendolo da cima a fondo, e ora sorseggiava del vino rosso dal bicchiere elegante.
Lui fece un sorrisetto, imitandolo nel bere.
« Lo sono. Sarà solo uno studio a vincere la gara, dopotutto » Lo guardò attraverso il bordo del bicchiere con sguardo astuto e intelligente, mentre sorseggiava lentamente.
Wakatoshi sollevò appena un sopracciglio. Erano parole sue, quelle, pronunciate tante volte senza malizia, quella che grondava dallo sguardo di Tooru invece.
Sei il migliore e lo sai. Vinci sempre tutto e te lo prendi senza chiedere. È per questo che ti amo e allo stesso tempo non ti sopporto!
Quello era il sotto testo alle sue parole.
« Posso dire con convinzione che la mia squadra è la migliore, si » Concesse alla fine.
Tooru bevve l'ultimo sorso di vino nel bicchiere e poi lo posò con eleganza sulla tovaglia, scoppiando in una risata sagace.
« Questo è il mio Alfa » Dichiarò, sollevando l'angolo della bocca in un sorrisetto astuto.
Poi indicò il suo piatto vuoto.
« Ne vuoi ancora? » Si riferiva all'hayashi rice, aveva esagerato con le dosi, come sempre, e ne era avanzato abbastanza per un'altra cena. Wakatoshi annuì, distratto.
Tooru ci mise pochi secondi per eseguire.
Quando tornò al kotatsu, suo marito gli stava versando altro vino rosso nel calice ampio.
« Ecco a te » Disse con affetto, perché gli faceva piacere vedere che aveva ritrovato l'appetito dopo un periodo stressante e teso.
« Grazie » Fu la replica apatica, distratta, mentre frugava con la mano nella tasca della tuta alla ricerca di qualcosa. Alla fine estrasse una busta bianca un po' stropicciata sotto lo sguardo curioso di Tooru, che aveva ripreso a bere, e gliela passò.
Lui la prese con circospezione, il bicchiere ancora sollevato davanti alla bocca.
Lo lasciò sul tavolo prima di aprire la busta. Non era sigillata o chiusa.
Ne estrasse due biglietti per una mostra sulla scienza e gli alieni che aveva detto di voler visitare qualche mese prima, distrattamente.
Sbattè le palpebre, incredulo, poi guardò Wakatoshi, che stava bevendo a sua volta.
« Volevi andarci, vero? »
« Allora mi stavi ascoltando quella volta! »
« Ti ascolto sempre, Tooru »
« Grazie, amore! »
Tooru saltò con le braccia allargate verso Wakatoshi, intenzionato ad abbracciarlo o ad aggrapparsi al suo collo per baciarlo. Ci mise troppo impeto e urtò con il fianco contro il kotatsu, spostandolo bruscamente di qualche centimetro.
Rovinò addosso a Wakatoshi come un sacco di patate, mentre la bottiglia di vino rosso sul tavolo oscillava pericolosamente, rovesciando gocce sul legno.
« Il tappeto! » Strillò come una gallina.
Con un movimento atletico, Wakatoshi si sporse in avanti e afferrò la bottiglia prima che precipitasse sulla candela accesa, evitando di fatto sia che il tappeto si sporcasse, sia che il tavolo prendesse fuoco. Ci furono alcuni secondi di silenzio.
I loro guardi si incrociarono - Tooru era disteso sulle sue gambe, con le braccia in avanti, la mano che ancora stringeva i biglietti.
« Ops » Farneticò, rosso in viso.
« Ti sei fatto male? » Fu la domanda pacata.
Tooru rimase in silenzio per un paio di secondi, come per sentire il suo corpo.
« Terribilmente » Ammise, con dignità.
Wakatoshi gli sollevò leggermente la maglietta per controllargli il fianco, la porzione di pelle diafana era rossa, in effetti. Ma non sarebbe uscito un livido, pareva.
« E non mi spogliare! » Lo riprese Tooru, tirandosi a sedere con fatica - non sapeva dove mettere le mani senza rendere la cosa imbarazzante dato che era finito con la faccia quasi sul pacco di suo marito.
« Non ti stavo spogliando. Non ancora. Vuoi del ghiaccio? » Tooru battè le palpebre.
Lo conosceva da vent'anni, ma diavolo, ancora si stupiva del modo in cui se ne usciva con certe frasi, come se niente fosse.
« No, non serve » Mormorò, aggiustandosi la felpa addosso. Faceva freddo, cavolo.
« Sono felice che il regalo ti sia piaciuto »
« Volevo darti un bacio! » Strepitò, ancora più rosso in faccia di prima.
Wakatoshi accennò un sorriso.
« Buon anniversario. Grazie per questi quattro anni come mio marito, Tooru »
Bastarono quelle parole perché tutto l'imbarazzo e l'orgoglio scivolassero via.
Tooru fece un sorriso dolce.
« E per altri cento così » Mormorò, avvicinandosi per un abbraccio.


A Tooru girava un po' la testa e aveva caldo, decisamente molto caldo.
Era sudato. E ancora non riusciva a controllare il respiro.
Non ricordava bene come fossero arrivati a quel punto.
Stavano ridendo, entrambi, e dicevano cose stupide, senza senso.
Ricordava che Wakatoshi aveva stappato la terza bottiglia di vino prima che le cose si facessero un po' confuse. Merda, avevano bevuto troppo.
Con l'affanno, il petto che si alzava e abbassava sempre più lentamente, trovando un ritmo, Tooru fissò il soffitto bianco a spiovente sulla sua testa.
« Sto morendo di caldo » Annunciò.
La voce era roca, come se avesse urlato parecchio. E in effetti, aveva urlato.
Il corpo bollente di Wakatoshi era ancora incollato al suo, anche se ora anche lui fissava il soffitto, rotolato sul tappeto al suo fianco. Tooru - aveva la faccia accaldata - lo sbirciò un secondo. Se ne stava con un braccio appoggiato sugli occhi, era nudo fino alla vita, con una porzione di pube ancora scoperta perché si era tirato su la tuta alla bell'e meglio, motivo per cui Tooru poteva vedergli distintamente la V atletica e un principio di peli.
Il torso era sudato e anche lui respirava a fatica. Quello era decisamente l'aspetto di una persona che aveva appena avuto un orgasmo bello intenso.
Merda, allora abbiamo davvero scopato.
Esaminando se stesso, si accorse di avere la felpa arrotolata fin sotto le ascelle.
La pancia era scoperta - motivo per cui stava morendo di freddo - e anche tutto il resto del suo corpo. Guardò il kotatsu alla sua sinistra.
Due bottiglie di vino erano vuote, una giaceva caduta sul tavolo, tra i resti della loro cena, la candela consumata e i pantaloni della tuta che aveva indossato prima di ... quello.
Chissà dove erano finite le sue mutande.
Quel dettaglio non lo ricordava.
Indossava ancora solo i calzini, Wakatoshi aveva avuto troppa fretta di togliergli l'essenziale per badare a quelli. Tooru non poteva farsene una colpa.
Avevano bevuto, vero, e quello aveva sciolto i freni inibitori di entrambi, ma aveva già in mente di fare l'amore con lui quella sera.
Non si toccavano da settimane.
Inoltre, Wakatoshi aveva passato il suo ultimo rut lontano da lui, per via del progetto.
Si era imbottito di inibitori ed era rimasto allo studio, alternandosi con casa di Satori - un Alfa come lui. A Tooru la cosa non era poi andata molto giù, ma comprendeva la scelta.
« Ehi, sei ancora vivo, vero? » La voce rimbombò nel silenzio della stanza.
Il cuore aveva smesso di battergli in gola.
Era umido in mezzo alle gambe, ma cercò di ignorare la faccenda. Come cercò di ignorare anche la sensazione fastidiosa di non aver concluso niente, almeno lui.
« Scusa, mi dispiace » Fu la risposta inattesa. Tooru voltò la testa di scatto verso Wakatoshi, sollevandosi appena su un gomito - la felpa gli ricadde sullo stomaco.
Aveva ancora il braccio sulla faccia.
« Ma di cosa ti stai scusan- »
« Credo sia stata colpa degli inibitori. Forse avevo ancora gli strascichi del rut addosso. Era da un po' che non lo passavo da solo » Quello era vero. Da quando si erano sposati non avevano mai passato un rut o un heat da soli. Era naturale trascorrerli insieme.
Ma Tooru ancora non aveva capito perché si stesse scusando con lui, era piuttosto sicuro di essere consenziente quando si erano ritrovati a fare l'amore su quel tappeto, dato che era stato lui il primo ad infilargli una mano gelata nei pantaloni della tuta - quel dettaglio stranamente lo ricordava benissimo. Ovviamente.
« Wakatoshi, non ricordo di aver - oh » Con l'intento di affrontarlo, per capire che cosa gli stesse succedendo, si era tirato su di scatto, mettendosi dritto sulle ginocchia.
Lo aveva sentito distintamente, colare tra le gambe. Quello non lo ricordava, ad esempio.
« Oh » Ripeté, mordendosi il labbro inferiore.
« Ero davvero tanto ubriaco, scusa » Lo raggiunse la voce monocorde di suo marito.
Abbassò lo sguardo su di lui, aveva spostato leggermente il braccio, rivelando gli occhi di quel colore indecifrabile. Erano lucidi, non mostravano l'imbarazzo che stava provando in quel momento, ma chiaramente non era ancora sobrio del tutto.
« Quanto - quanto è durato, esattamente? »
Domandò Tooru con cautela, cercando di non modulare troppo il tono della sua voce.
Wakatoshi fece un sospiro.
« Non ricordo bene. Sono venuto prima di accorgermene »
Cadde il silenzio. Tooru si mise seduto sui talloni, ignorando la sensazione spiacevole di umido tra i glutei o il tappeto, per cui tanto si era messo a strillare prima perché non si sporcasse - ci avevano fatto l'amore sopra, ormai era uno schifo.
Si morse il labbro inferiore con forza maggiore. Non doveva ridere. No.
Suo marito - un uomo di trent'anni con un certo orgoglio - gli aveva appena confessato di aver avuto una eiaculazione precoce a causa dell'alcol. L'ultima volta che era successo avevano diciassette anni, era la loro prima volta e non sapevano affatto quello che stavano facendo.
Tooru dovette dedurre che lui di fatto non fosse venuto affatto, ma quel momento non lo ricordava. Era troppo ubriaco, davvero.
La lucidità era tornata all'improvviso.
« Stai invecchiando, eh? »
Alla fine non riuscì a trattenersi.
Parlò, prendendolo in giro, e poi scoppiò a ridere senza controllo.
La parte sadica di lui - quella dell'Omega - ruggiva di soddisfazione nel vedere un Alfa in quelle condizioni. E lui ruggiva di soddisfazione nel vedere Wakatoshi tanto imbarazzato. Erano sempre stati un po' rivali nella loro relazione, fin dal principio.
« Tooru, smettila » Lo rimproverò l'altro, scostandoselo di dosso con un colpo secco.
Era tornato a coprirsi gli occhi.
Tooru ridacchiò ancora un po', poi smise, ma gli rimase il sorriso sulle labbra.
« Guarda che non è successo niente. Non facevamo sesso da un po', abbiamo bevuto troppo, domani mattina ce ne pentiremo perché non abbiamo più vent'anni e - »
« Tooru, ti sono venuto dentro. Non ricordo nemmeno l'ultima volta che l'ho fatto »
Le parole di Wakatoshi lo freddarono.
Tooru rimase per qualche istante in silenzio, il sorriso ancora congelato sulle labbra, ma incerto. Wakatoshi non lo ricordava perché non era mai successo.
Erano sempre stati molto attenti in quello.
Fin dalla primissima volta che avevano avuto un rapporto, anche se non erano esperti.
« Si, ma non sarà un problema ... » Iniziò a parlare, incerto e anche un po' isterico « Non sono in heat, tanto per cominciare. E lo sai che le possibilità di concepimento al di fuori del calore sono bassissime! » Wakatoshi spostò finalmente il braccio.
Aveva le guance ancora arrossate, se per via del caldo, dell'amplesso o dell'imbarazzo non era ben chiaro con quello sguardo impassibile.
« Non così basse nel caso di un Alfa e un Omega dominante. Ovvero il nostro caso »
Ci fu di nuovo silenzio. Tooru fece una smorfia. Non era mai capitato in tredici anni di rapporti, non sarebbe successo nemmeno in quel caso.
Non voleva farsi venire l'ansia per niente.
Wakatoshi lo stava stressando!
« Non è un problema, prenderò la pillola domani mattina »
Liquidò la faccenda, noncurante. Era una cosa che aveva già fatto in passato.
Alternavano i periodi, a volte prendeva lui la pillola anticoncezionale per qualche tempo, altre volte era Wakatoshi a prendere un inibitore oppure ad usare il convenzionale metodo contraccettivo del preservativo. Si stavano davvero stressando per niente.
Tooru sollevò lo sguardo sull'orologio da parete nella minuscola cucina, erano solo le dieci di notte. Il loro anniversario non era terminato e non voleva concluderlo con un discorso del genere. Di bambini o di gravidanze non ne avevano mai parlato, e stavano bene come stavano.
« Voglio offrirti la rivincita, piuttosto! » Sbottò, cambiando argomento, mentre gli si metteva a cavalcioni addosso con un movimento fluido ed elegante. Wakatoshi ebbe la reazione di mettersi seduto, ma Tooru gli spinse una mano sul petto, schiacciandolo di nuovo sul tappeto.
« Tooru, ti ho appena detto che non ho - »
« Non sei più tanto brillo, vero? Mi devi qualcosa, marito mio » Lo zittì.
Wakatoshi lo guardò per qualche secondo, si sfidarono prima che lui allungasse una mano, facendogliela passare dalla base della schiena sotto la felpa calda.
Un chiaro segno di resa.
Tooru sorrise come un gatto, compiaciuto per la vittoria ottenuta tanto facilmente.
« Su le braccia, Tooru. Se proprio mi devi stare seduto a cavalcioni addosso, allora ti voglio nudo » Una sferzata di feromoni alle spezie e al sandalo lo raggiunse intensa, Tooru era consapevole che anche i suoi dovevano essere aumentati di intensità.
Era normale, il corpo reagiva in quel modo per sedurre l'altro.
« Ai suoi ordini, maestà » Mormorò, leggermente ironico, mentre eseguiva l'ordine alzando le braccia sulla testa. Wakatoshi si mise seduto con un movimento del busto atletico, piegando i muscoli tesi dell'addome, mentre allungava le mani calde sulle sue braccia per aiutarlo a sfilare via la felpa, che finì da qualche parte a terra.


Tooru dimenticò di prendere la pillola il giorno successivo.
Si svegliò con un brutto mal di testa da sbornia, troppo impegnato a pensare al casino che regnava sovrano in casa mentre buttava giù un'aspirina con caffè amaro.


Dicembre fu un mese caotico.

 
***


Vomitare bel bagno privato della libreria-ludoteca non era il massimo.
Ma Tooru non poteva farci niente.
Prese un respiro profondo, reggendosi con una mano alle mattonelle gelide e stranamente scivolose, mentre con l'altra si massaggiava lo stomaco dolorante.
La nausea pareva essersi calmata, almeno un po'.
Fece un altro respiro, ispirando ed espirando dal naso e dalla bocca con calma.
La sua faccia nello specchio sul lavandino, quando la guardò, era terribile.
Pallido, o un po' giallognolo, forse.
Aprì l'acqua fresca, lasciandola scorrere, e si aggrappò con le mani al bordo del lavandino, i palmi scivolarono sulla porcellana. Si rese conto che erano sudate.
Passandone una sotto il getto forte dell'acqua si sciacquò il viso, poi il collo e fece l'ennesimo sospiro stanco. Andava meglio.
Sentì bussare alla porta chiusa, piano.
« Tooru, ehi, tutto bene? » La voce di Shouyou lo raggiunse ovattata.
Si passò il dorso di una mano sulla bocca, tamponando l'acqua, e andò alla porta aprendola lentamente. L'amico era lì fuori, evidentemente preoccupato.
« Tutto bene Shou, scusa » Lo rassicurò.
Il negozio era vuoto, apparentemente.
Fino a giusto pochi giorni prima era stato un vero delirio, tanto che Tooru non aveva nemmeno avuto il tempo di guardarsi allo specchio, ma dopo la tempesta era arrivata la calma. Raggiunsero il bancone caotico.
« Questi li metto via, meglio » Commentò Shouyou, raccogliendo un vassoio di dolcetti che aveva portato al negozio con l'intento di condividerli con Tooru.
Si era sentito male dopo aver dato un morso ad un éclair dall'aspetto gustoso, pieno di crema al cioccolato. Non gli era mai successo niente del genere, prima di allora.
« Mi dispiace, Shou. Temo di aver mangiato troppo nei giorni precedenti, il mio stomaco non ne può più. O forse ho preso qualche virus che sta girando di questi tempi »
Si sentiva ancora nauseato mentre osservava l'amico incartare di nuovo i dolci alla bell e meglio e metterli via. Eppure, le cose dolci gli piacevano.
« Capodanno lo hai passato dai tuoi, vero? »
« Si. Conosci mia madre, ha rimpinzato Wakatoshi di cibo come se io lo affamassi! Quella donna! Verrebbe da chiedersi chi sia davvero suo figlio qui! » Si lagnò.
Shouyou rise, spazzando via le briciole dal bancone con una mano.
« Dovresti essere felice che la tua famiglia vada tanto d'accordo con tuo marito »
Tooru sollevò un sopracciglio.
« È successo qualcosa a casa di Tobio? » Si impicciò immediatamente, sporgendosi lungo il bancone verso l'amico, evidentemente interessato. Hajime gli avrebbe tirato uno schiaffo dietro la nuca chiamandolo pettegolo, se lo avesse visto.
« No, lì mi adorano tutti! Sua madre mi ringrazia ancora oggi per essermelo preso, mentre sua sorella dice ogni volta di volermi fare una statua ... non so ancora bene come dovrei prendere la cosa, sai? » Tooru sghignazzò sotto i baffi, divertito.
« In effetti, mi domando anche io come fai a sopportare quel brutto muso »
Shouyou gli tirò addosso un pezzettino di carta che aveva recuperato dal bancone.
« Parli proprio tu, con quel marito che ti ritrovi eh?! » Strepitò, dando a Tooru l'impressione di avere a che fare proprio con un gamberetto irritato, come nei cartoni.
« Wakatoshi sa essere espressivo e passionale quando e dove serve »
Calcò su alcune parole apposta, usando un tono di voce seducente e malizioso intenzionalmente. Come si era aspettato, Shouyou fece una brutta smorfia.
« Che schifo, Tooru! » Strepitò.
Lui rise di nuovo, divertito da quel battibecco.
A quel punto, inaspettatamente, arrivò un'altra ondata di nausea.
Erano solo le dieci del mattino, dannazione!
Cogliendo Shouyou di sorpresa, si precipitò nuovamente nel bagno.
Sbattendo la porta con violenza fece appena in tempo a raggiungere la tinozza.
Non rigettò altro che succhi gastrici. Aveva già svuotato lo stomaco prima.
« Merda » Borbottò, cercando di respirare.
Vomitare non gli era mai piaciuto, faceva schifo: bruciava la gola, lo stomaco si contraeva dolorosamente e poi sembrava di avere in bocca un animale morto!
« Tooru, tu non stai bene »
Intervenne Shouyou, che quella volta era entrato nel bagno con lui. La voce impanicata.
« Ho preso un virus, me lo sento » Biascicò, mentre premeva lo scarico, il rumore assordante dell'acqua che veniva risucchiata ferì loro le orecchie « Vomito da un paio di giorni, a dire il vero » Confessò, raggiungendo il lavandino.
Il suo viso era davvero orribile.
Distolse lo sguardo e aprì il rubinetto, per la quinta volta quella mattina - era andato in bagno già tre volte, perché stranamente non riusciva più a trattenerla, nuova stranezza.
Prese a sciacquarsi il viso e la bocca.
« Mi hai fatto venire in mente l'ultima volta che è successo a me una cosa simile » Commentò Shouyou, appoggiandosi allo stipite della porta « Avevo la nausea e Tobio ha pensato aspettassi un bambino! Avresti dovuto vedere la sua faccia di panico, sembrava dire: Oh cazzo, ce l'ho messo io lì dentro! Ora mi fa ridere, se ci penso, ma all'epoca ... me la stavo facendo sotto dalla paura! Alla fine era solo influenza, ma l'idea di aspettare un bambino non ... mi ... »
Shouyou si interruppe, la voce che lentamente scemava, fino a spegnersi nella realizzazione delle sue stesse parole. Tooru fissava nel vuoto già da qualche secondo.
No, non poteva essere quello.
« Tooru, non è che tu ... » Provò Shouyou, con tatto, lasciando la frase in sospeso.
« Merda! » Esplose lui, portandosi una mano sulla fronte. L'anniversario, ne era certo.
Non aveva preso la pillola, probabilmente.
Era stata l'ultima volta che erano stati insieme - si stava terribilmente pentendo in quel momento di averlo invogliato a continuare per metà della notte - e dopo non avevano avuto nemmeno il tempo per guardarsi in faccia. Wakatoshi gli era venuto dentro, glielo aveva detto.
« No, sarà solo un virus » Si ostinò, scuotendo la testa, la voce isterica « Non ero in heat quella volta, non può essere » Prese a mordicchiarsi l'unghia del pollice.
« È stato un periodo stressante, ho le difese basse. Si, sarà questo »
Decretò, guardando il suo riflesso nello specchio con sguardo determinato.
« Tooru, non voglio smontare la tua teoria, ma hai la nausea ... e da quello che ho capito, tu e Wakatoshi avete ... recentemente. Il fatto che tu non fossi in heat è sorprendente, ma non garantisce niente. Potrebbe essere che tu sia effettivamente - »
« No, no, no! Mi rifiuto di crederlo! »
Quella negazione ostinata era infantile, lo sapeva, ma stava arrivando il panico.
Non aveva mai pensato di avere un bambino.
Lui e Wakatoshi non ne avevano parlato. Non gli aveva mai espresso il desiderio di volerne uno. Inoltre, solo il pensiero di una gravidanza lo terrorizzava.
Era un Omega, era vero, ma non aveva mai pensato che il suo dovere fosse quello.
Ed era sposato con un Alfa che non badava affatto a quelle cose e a quegli stereotipi.
Wakatoshi veniva da una famiglia di soli Alfa. Non lo aveva scelto per la sua dinamica.
Fare il genitore, inoltre ... gli tornò la nausea.
Si portò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi, aveva cominciato a girargli la testa.
« Hai solo un modo per accertartene, Tooru. Dammi due minuti, vado nella farmacia accanto e torno subito » Non fu abbastanza svelto.
Shouyou era veloce - lo era sempre stato - e corse via dal bagno prima che Tooru potesse fermarlo. Voleva dirgli di non compare quel maledetto test di gravidanza - non aveva dubbi che fosse andato a prenderne uno -, ma fece solo un sospiro, affacciandosi nel negozio ancora miracolosamente vuoto. Forse era meglio togliersi quel dente, dopotutto.
Se fosse stato negativo, almeno poi avrebbe potuto riderci sopra.


« Oh porca puttana! »
Imprecò Shouyou con voce emozionata.
Tooru ebbe solo la prontezza di aggrapparsi con una mano al bancone del negozio, mentre cadeva a sedere sullo sgabello. Aveva davanti tre test - Shouyou aveva un po' esagerato per eccesso di zelo - e tutti avevano quelle maledette due linee.
Non erano nemmeno sbiadite!
« Aspetti un bambino! Oddio, oddio! » Saltellò Shouyou sul posto, emozionatissimo.
Tooru valutò se tirargli un libro in testa.
« Cazzo » Gemette, coprendosi gli occhi con una mano. L'aveva fatta grossa.
« Non sei contento? » Indovinò Shouyou, come se davvero se ne fosse accorto solo in quel preciso momento. Tooru lo guardò male attraverso la fessura delle dita.
« Non era programmato, nel caso in cui la cosa ti fosse sfuggita » Brontolò.
Shouyou guardò i test sul bancone, inequivocabilmente positivi.
« Tu e Wakatoshi non volevate figli? » Tooru non seppe rispondere a quella domanda, così rimase in silenzio, ad annaspare con la bocca semi aperte.
Guardò Shouyou, che ricambiò.
Proprio in quel momento entrò qualcuno.
Tooru si affrettò a far sparire i test, che buttò nella propria borsa di pezza, veloce.
Non ci stava con la testa in quel momento.
« Facciamo così, Tooru. Va a casa » Lo colse di sorpresa Shouyou, sussurrando.
« Ci penso io al negozio. La ludoteca è ancora chiusa per le feste e i clienti saranno pochi. Coraggio, poi ci sentiamo »
E prima che Tooru potesse protestare, andò a servire le ragazze appena entrate.
Lui pensò che tutto sommato fosse meglio seguire quel consiglio, avrebbe fatto solo casini in quelle condizioni.

 
***


Era seduto davanti al kotatsu quando Wakatoshi rientrò a casa.
Se ne stava al caldo, con le lunghe gambe infilate in una tuta sotto la coperta, una tazza di camomilla davanti per calmare i nervi.
Aveva provato a mangiare qualcosa, ma non era andata molto bene.
Si era ritrovato a vomitare tutto dopo solo un paio di bocconi. Stava stringendo la tazza tra le mani quando i loro sguardi si incrociarono, il fumo che saliva in volute nell'aria.
Wakatoshi aveva della neve tra i capelli e sul cappotto pesante, che si stava sciogliendo velocemente nell'ambiente caldo e accogliente. Posò le chiavi nella ciotola di ceramica sulla mezza isola della cucina e tolse il cappotto, apprendendolo al gancio.
« Ciao » Lo salutò apatico, mentre Tooru lo osservava compiere ogni movimento.
Posò una busta invitante sul ripiano di legno.
« Ciao » Ricambiò a voce bassa.
« Non mi aspettavo ti trovarti a casa »
Wakatoshi lo raggiunse, mettendosi seduto al suo fianco davanti al kotatsu.
Indossava un maglione di lana intrecciato nero, sotto cui spuntava il bordino della canottiera bianca a mezze maniche, aveva ancora il naso rosso per via del freddo, anche le sue mani erano screpolate e violacee.
« Sono rientrato prima » Ammise Tooru, posando la tazza della camomilla sul ripiano di legno del tavolo, senza lasciare la presa. Wakatoshi seguì quel movimento.
« È successo qualcosa al negozio? » Indagò. Qualcosa era successo, dopotutto, ma non sapeva bene come dirglielo, così distolse lo sguardo, facendo spallucce.
« Com'è andata la vostra uscita tra amici? »
Cambiò argomento, bevendo un sorso di camomilla prima che si freddasse.
L'odore dolce gli fece venire la nausea. Merda.
« Satori ha bevuto troppo, come sempre » Raccontò Wakatoshi con voce monocorde, intrecciando le mani davanti a sé sul tavolo.
Tooru ridacchiò, posando la tazza, non avrebbe bevuto altra camomilla.
« Stavate festeggiando la vittoria della gara, gli era concesso alzare un po' il gomito » Difese l'amico strambo di suo marito, portandosi le mani in grembo sotto la coperta, per scaldarle.
« Hajime non era d'accordo » Intervenne Wakatoshi, serio. Aveva steso anche lui le gambe sotto il kotatsu, i suoi jeans erano gelidi e si sentiva anche attraverso la stoffa della tuta.
Si intrecciarono tra loro, in una mossa abitudinaria, che sapeva di casa.
« Immagino » Commentò, ridacchiando.
« Mi ha rimproverato aspramente quando gliel'ho riportato a casa. Ha detto che non dovevo permettergli di arrivare a tanto. Non è stato molto piacevole »Tooru non ne dubitava.
Sapeva meglio di chiunque altro quanto fosse brutto farsi rimproverare da Hajime, era il suo migliore amico dopotutto. Ma quando Satori aveva deciso di provarci con lui, Tooru lo aveva avvisato, motivo per cui non provava pietà. Hajime era solo un Beta, mentre Satori un Alfa dominate, tuttavia, non era ben chiaro visto da fuori.
Poteva benissimo essere il contrario. Una coppia strana, senza dubbio.
E ora che vivevano insieme ...
Tooru tremava al pensiero di una loro futura progenie e - bloccò quei pensieri, mordendosi il labbro inferiore. Non era certo il momento di preoccuparsi dei figli altrui dato che ...
Wakatoshi si accorse di qualcosa, perché cercò con insistenza il suo sguardo.
Tooru decise di ricambiarlo, solo per non dargli troppa preoccupazione.
« Satori dormirà sul divano per un po' » Decretò, facendo un sorrisetto malevolo.
Vedere il migliore amico strambo di suo marito in difficoltà era sempre un piacere.
« Il divano è scomodo » Decretò Wakatoshi con la dignità di chi ne sapeva qualcosa.
Tooru fece fatica a non scoppiare a ridere.
« Vogliamo cenare? » Cambiò argomento suo marito, guardando l'orologio da polso.
Tooru annuì, muovendosi per alzarsi, Wakatoshi lo fermò posandogli una mano sul polso, aveva le mani ancora fredde.
« Faccio io, resta qui. Sembri stanco. Questa posso prenderla? »
Indicò la tazza ancora piena di camomilla, ormai fredda.
Tooru si limitò ad annuire, sorpreso.
Wakatoshi si alzò con la tazza in mano e andò nella loro minuscola cucina. Per un po' rimasero in silenzio, Tooru lo osservò mentre sistemava le tovagliette, i bicchieri, le bacchette, da bere. Poi afferrò la busta che aveva lasciato sul bancone e la scartò, rivelando diversi involucri e contenitori carini.
Li portò al tavolo e si mise seduto accanto a lui, sistemando tutto con cura e attenzione.
« Ti ho preso il sushi, dal tuo ristorante preferito. E i gyoza, ci sono anche i panini al latte. E la zuppa di miso, spero sia ancora calda »
Elencò Wakatoshi, aprendo ogni contenitore e involucro. Tooru aveva riconosciuto il marchio del ristorante sulla busta e sui piccoli contenitori.
Il sushi aveva un aspetto fantastico, era colorato e fresco, si vedeva.
La zuppa era ancora calda, usciva il fumo in volute. Tooru si portò una mano sulle labbra.
Aveva fame, terribilmente fame, ma il pesce crudo e gli odori ...
« Non hai appetito? » Distolse lo sguardo dal cibo per guardare Wakatoshi, aveva separato le bacchette e già le stringeva tra le dita, pronto ad afferrare da mangiare.
Tooru fece un respiro profondo.
« Ho fame, ma temo di non poterlo mangiare. È crudo »
Wakatoshi lo fissò per qualche secondo.
« Hai sempre mangiato pesce crudo » Notò. Tooru non poteva dargli torto.
Se n'era appena uscito con una frase davvero terribile. Non sapeva nemmeno se volevano tenerlo, quel bambino, e già stava lì a pensare che non poteva mangiare le cose crude.
Fece un respiro profondo e si voltò verso il divano, proprio dietro le sue spalle.
Trovò la sua borsa di pezza esattamente dove l'aveva lanciata quando era rientrato a casa, prima di buttarsi di getto sotto la doccia.
La prese e se la portò in grembo, frugandoci dentro sotto lo sguardo impassibile di Wakatoshi, che aveva posato le bacchette sul piatto ancora vuoto.
Trovò i tre test in fondo a tutto, non aveva avuto nemmeno la decenza di metterli in una bustina, ma ormai. Li prese e li appoggiò sul kotatsu, spingendoli verso Wakatoshi.
Lui li guardò per un secondo, senza reagire.
« Insomma, ricordo che Koushi non mangiava cose crude durante la gravidanza »
Iniziò a sproloquiare lui, in presa ad un principio evidente di panico interiore.
Alla parola 'gravidanza' Wakatoshi tornò a guardarlo, senza nemmeno sussultare.
« Oddio, non so quello che dico, davvero. Sono nel panico più totale ma - »
Si interruppe e fece un respiro profondo, portandosi le ginocchia al petto.
« Aspettiamo un bambino » Sbottò. E non avrebbe mai creduto di doverlo dire.
Ci fu silenzio per qualche secondo.
Wakatoshi guardò di nuovo i test sul tavolino, erano di tre tipi diversi - due tradizionali e uno più moderno - con le due striscette colorate.
« Mi dispiace, Wakatoshi. Ho dimenticato la pillola, quella volta. Non so come - »
Tooru fu preso dal panico e iniziò a parlare a raffica, ma non riuscì a dire molte parole.
« Avremo un bambino. Io e te » Lo interruppe l'altro, parlando per la prima volta.
Tooru si morse il labbro inferiore. Strinse le ginocchia al petto con più forza.
« Non ne abbiamo mai parlato, ma ... » Mormorò, tornando a guardarlo negli occhi.
« Lo vuoi, Tooru? » Wakatoshi lo precedette, spiazzandolo con quella domanda.
Tooru rimase in silenzio per qualche secondo, senza sapere cosa dire.
« Non lo so » Confessò alla fine « Sono un Omega e sapevo che sarebbe potuto succedere, ma tu non mi hai mai chiesto di farlo. Non ne abbiamo mai parlato e non ci ho mai ... pensato prima » Guardò Wakatoshi e si morse il labbro inferiore « La cosa mi terrorizza Wakatoshi. Moltissimo » Lui non perse tempo ad allungare una mano per cercare la sua, Tooru gliela concesse. Intrecciarono le dita tra loro.
« L'idea di avere un figlio con te mi rende davvero felice, Tooru » Gli confessò suo marito, facendogli sgranare gli occhi « Ma non ti chiederei mai di farlo per me. Non te l'ho mai chiesto perché volevo fossi tu a desiderarlo. Mi sarebbe andato bene anche essere solo io e te fino alla fine, se era quello che avresti voluto. Se è quello che vuoi »
Rimasero ancora una volta in silenzio.
Tooru guardò i test di gravidanza sul tavolo, aveva un bambino - o un embrione, per essere precisi - dentro di se, e non gli sembrava ancora del tutto reale, eppure la cosa lo stava mandando già fuori di testa. E Wakatoshi gli diceva di essere felice.
Voleva un figlio, ma non glielo aveva chiesto.
Era un Alfa davvero strano, suo marito.
Il migliore che esistesse sulla faccia della terra, a dire il vero.
« Beh, ormai è qui » Mormorò, posandosi una mano sulla pancia piatta come una tavola da serf. Era la prima volta che lo faceva, gli vennero le vertigini.
Gli occhi gli si riempirono di lacrime di paura.
« Se lo facciamo insieme, allora va bene » Wakatoshi accennò un sorriso, facendosi più vicino a lui, Tooru sentì qualche lacrima cadere sul volto e tirò su con il naso.
« Dio, la cosa mi terrorizza. Sarò una madre tremenda, lo so. Ma - »
Wakatoshi gli passò una mano dietro la nuca, tra i capelli, e fece scontrare le loro fronti.
« Saremo genitori » Lo interruppe.
Tooru guardò nei suoi occhi taglienti e bellissimi, e si ritrovò a pensare che sarebbe stato carino che il bambino li ereditasse. Era un pensiero così semplice. Spontaneo.
Non lo aveva mai fatto prima, eppure.
Gli era bastato che diventasse inaspettatamente reale perché arrivasse.
A volte, era davvero così semplice.
Non sapere di volere una cosa e poi scoprirsi spaventati, ma anche euforici a riguardo.
« Okay, si. Facciamolo » Acconsentì, ridendo mentre Wakatoshi gli asciugava le lacrime con i pollici, baciandogli il naso.
« Il prossimo anno sarà impegnativo, papà » Lo prese un po' in giro, per stemperare la tensione e la paura che provavano - evidentemente - entrambi.
La cosa gli era piovuta in testa, come una benedizione, speravano.
Wakatoshi sbattè le palpebre, emozionato.
« Si » Concesse, con solennità.
Tooru rise, tirando di nuovo su con il naso.
« Dio, sarà un disastro! »
« Si » Risero entrambi a quel punto.


Tooru non si aspettava di assistere a quella scena quando uscì dal bagno.
Aveva lasciato Wakatoshi che sistemava la cucina, fischiettando felicemente.
Lo trovò accovacciato davanti al kotatsu, con le maniche del maglione arrotolate fino ai gomiti. Aveva in mano uno dei test di gravidanza e osservava le due linee con un sorriso accennato ma dolce sulle labbra.
Tooru si aggrappò alla colonna, sbirciando, e sorrise intenerito da quella scena.
E proprio nel momento in cui aveva cominciato a dubitare della sua scelta, sopraffatto dalla paura, ecco che suo marito tornava a dargli serenità. Non lo aveva mai visto sorridere in quel modo. Ed era stato lui a provocare quella reazione.
Ho fatto la scelta giusta. Si. Pensò.
Si incamminò verso la camera da letto, sollevandosi appena la felpa della tuta che usava come pigiama durante l'inverno. Si guardò l'ombelico.
« Sei molto fortunato ad avere il papà che hai, sai Bon Bon? Molto fortunato! »


Fischiettò contento fino alla porta.

***


« Mamma, non urlare! Mi farai diventare sordo prima del tempo se fai cosi! »
Tooru allontanò malamente le mani di sua madre dal viso, rivolgendole una brutta occhiataccia esasperata.
« Ma credevo non sarebbe mai arrivato questo giorno! Caro, Tooru ci darà un nipotino! »
La donna ignorò completamente le sue lamentele, continuando ad urlare.
« Si, ho sentito, cara » Fu il commento pacato di suo padre, che aveva un sorriso paziente sulle labbra. Tooru fece una brutta smorfia, strappando violentemente con i denti una scorzetta d'arancia candita al cioccolato.
« Hai prenotato la visita ginecologica? Devi avere un'alimentazione corretta e - »
« Mamma, piantala! Non sono un bambino! So quello che devo fare, per l'amore del cielo, che pazienza che ci vuole! » Strepitò di nuovo, scacciando la donna per l'ennesima volta, che aveva tentato di aggiustargli il colletto della camicia mentre parlava.
Tooru era andato a trovare i suoi genitori esattamente il giorno successivo.
Quella mattina - durante il turno in negozio - aveva prenotato una visita ginecologica presso lo studio medico di un vecchio amico suo e di Wakatoshi, Kenjirou Shirabu.
Era programmata per la settimana prossima.
Ne aveva parlato anche con Shouyou, pregandolo di non dire niente a nessuno per il momento, nemmeno a Tobio. Lui e Wakatoshi volevano fosse una sorpresa.
« Non ti agitare, Tooru. Ormai non puoi più solo pensare a te stesso, hai un bambino nella pancia tesoro mio » Disse sua madre paziente, sorridendo radiosa mente gli spolverava il maglione sulle spalle. Come se non fosse una cosa spaventosa.
Tooru diede un altro morso alla scorzetta. Non era mai stato un grande amante dei canditi, ma parevano essere l'unico cibo a non provocargli un rigetto istantaneo.
« Credo che Tooru lo sappia, cara » Intervenne suo padre, che ancora sorrideva.
Lui gli rivolse uno sguardo riconoscente.
I suoi genitori - Haruki e Saeko - erano una bella coppia, unita, un Beta e una Omega.
Tutto quello che Tooru sapeva sull'amore lo doveva a loro. Mentre li osservava fare i piccioncini che parlavano, mezzo intenerito e mezzo infastidito, il cellulare sul tavolo si illuminò, catturando il suo sguardo.
Era appena arrivato un messaggio, di cui riusciva a leggere solamente tre parole dall'antreprima: Sono arrivato. Ti -
Era da parte di Wakatoshi. Lo aprì:


Sono arrivato. Ti aspetto in macchina, come mi hai chiesto. Ma sei sicuro che io non debba salire a salutare i tuoi genitori?

 
No, meglio di no.
Mia madre sta dando i numeri, non
ci lascerebbe più andare via. Meglio un'altra volta. Scendo.


Come preferisci. Ti ho preso i panini al latte.
 
Grazie ❤ Ti amo.


Anche io vi amo.


Tooru fece un sorriso enorme, spontaneo, mentre accarezzava con il pollice lo schermo luminoso. Poi chiuse il display, oscurandolo.
« Io vado! » Annunciò, alzandosi. Sua madre e suo padre lo guardarono.
« Di già? » Chiese lei, contrariata. Tooru afferrò la borsa di pezza distrattamente.
« Wakatoshi mi aspetta giù in macchina »
« Perché non l'hai fatto salire? » Interrogò immediatamente Saeko.
Tooru mise il broncio, mentre allungava di fretta la mano per afferrare un'altra scorzetta dalla ciotola in mezzo al tavolo.
« Perché andiamo di fretta » Liquidò.
« Ma - »
« Cara, Wakatoshi salirà un'altra volta. Hanno le loro cose da fare, su »
Tooru lanciò un bacio volante in direzione di suo padre, facendo in modo che sua madre - troppo distratta a mettere il broncio - non se ne accorgesse. Haruki gli fece l'occhiolino.
« Allora vado! » Annunciò allegro, rubando un'altra scorzetta prima di correre verso l'ingresso di casa. Sua madre lo seguì.
« Non dimenticare di dirlo a tua sorella! Sai com'è permalosa »
Lo istruì, mentre Tooru si infilava il cappotto pesante addosso.
« La chiamo più tardi » La rassicurò.
« E mandami un messaggio con la data - »
« Te lo mando dopo » La anticipò, avvolgendosi la sciarpa rossa di lana attorno al collo malamente. Andò verso la porta.
« Tooru! » Lo richiamò Saeko. Lui si voltò, spazientito, ma quando la guardò in faccia tutta la fretta svanì velocemente. Lei sorrideva, porgendogli una scatola di scorzette d'arancia candite al cioccolato ancora sigillata.
« Portala a casa, ho notato che a tuo figlio piacciono » Gli disse, insistendo perché la prendesse. Tooru si aggiustò la borsa di pezza sulla spalla e gliela tolse di mano.
« Grazie, mamma » Rispose con calma.
Lei si avvicinò - il suo profumo familiare di lavanda lo tranquillizzava - e gli aggiustò la sciarpa attorno al collo, coprendolo bene.
« Quando aspettavo te non facevo che mangiare quelle scorzette »
Gli confidò, mentre era intenta ad alzargli la lampo del cappotto fin sotto il collo.
« Davvero? » Chiese Tooru, un tono di genuina curiosità « Non lo sapevo »
Saeko annuì, picchiettandogli una mano sul petto, dove si trovava il cuore.
« Devi avere cura di te, Tooru. Sarà un viaggio lungo, ma alla fine ne varrà la pena »
Gli sorrise, allegra e vivace. Tooru le assomigliava - non solo per via del secondo genere ereditato da lei - ma fisicamente e caratterialmente.
« Davvero? » Mormorò, a voce bassa.
Saeko gli prese il viso tra le mani - quella volta non le scacciò - e annuì con forza.
« Quando avrai in braccio la tua creatura ogni paura o dubbio svaniranno, puoi starne certo. Da lì partirà tutta un'altra avventura » Gli baciò la fronte, un gesto davvero familiare.
« È che un po' mi fa paura. Io sono un Omega, e sono un uomo e - »
« E sei mio figlio » Lo interruppe lei.
Lo aveva detto con una tale fierezza. Gli venne da piangere, maledetti ormoni.
« E hai un compagno meraviglioso »
Tooru pensò a Wakatoshi, giù nella macchina.
Pensò al modo in cui aveva sorriso guardando il test di gravidanza.
« Si, hai ragione » Le sorrise a sua volta.
Saeko annuì di nuovo, risoluta.
« Ora va, non farlo aspettare. Ci vediamo per la visita ginecologica » Lo incitò.
Tooru salutò suo padre, poi andò via, portandosi dietro quella scatola di scorzette.

 
***


« Dio, fa che questa giornata passi in fretta, ti prego. Tipo, in un lampo » Tooru masticò quelle parole tra i denti, mentre scendeva dalla macchina, dal lato del passeggero.
Lo sguardo gli cadde proprio sul nome della targhetta appesa fuori al cancello: Ushijima.
Fece un sospiro profondo. Era inevitabile. Non sarebbe stato carino se Wakatoshi si fosse limitato a comunicare la notizia della gravidanza tramite telefono.
Anche se non sopportava la madre e la nonna di suo marito - la strega e la befana - Tooru doveva farsele andare bene. Erano pur sempre la famiglia di Wakatoshi, anche se da loro non aveva subito che umiliazioni e soprusi e offese varie.
« Ti senti bene, Tooru? » Guardò suo marito, mentre premeva un pulsante sulla chiave della macchina per chiuderla e aggirava il veicolo per raggiungerlo.
« Sto bene » Lo rassicurò.
Quando gli si affiancò, Wakatoshi gli porse il braccio. Tooru lo prese senza esitare.
Andiamo, pensò, dandosi la carica.
Come se stesse andando in guerra.


« Era ora, voglio ben dire! »
Fu la prima cosa che disse la nonna befana di Wakatoshi - Madame Satsuki -, continuando a bere impassibile dalla sua tazza di tè del servizio di porcellana cinese.
Tè che era stato Tooru a servire a tutti, tra le altre cose.
« Siete sposati da quattro anni. Sinceramente se lo si sarebbe aspettato da voi almeno qualche anno prima »
Continuò la vecchia, appoggiando la tazza nel piattino con tanto di mignolo alzato.
Tooru strinse i pugni delle mani sulle cosce, costringendosi a restare seduto dritto.
Non aveva toccato una sola goccia di tè, perché quell'intenso odore di menta piperita gli stava dando una nausea terribile.
O forse Bon Bon nella sua pancia già non sopportava le sue parenti Alfa.
« Nonna » Intervenne Wakatoshi seduto al suo fianco, e non disse altro.
La vecchia fece una brutta espressione contrariata, intrecciando le mani sul grembo.
« Io e tua madre stavamo cominciando a pensare che il tuo Omega avesse dei problemi a concepire. Il che sarebbe stato il colmo, davvero! » La madre di Wakatoshi, la strega - Sachiko - si mosse appena, mostrando solo quel minuscolo segno di imbarazzo.
Tooru fece un sorriso che non raggiunse gli occhi, era cordiale, ma estremamente freddo.
« Ci siamo solo presi del tempo per stare insieme come coppia, tutto qui »
Sentì gli occhi di Wakatoshi addosso, ma suo marito fu abbastanza intelligente da non dire niente. Le due avrebbero dato di matto se avessero saputo che quel bambino era solo capitato, e che probabilmente a Tooru non sarebbe mai venuto in mente di averne uno se non fosse stato per quell'incidente. Nemmeno Wakatoshi voleva andare ad impelagarsi nelle conseguenze che sarebbero nate da quella confessione.
« State insieme da sedici anni - per nostra disgrazia - quale altro tempo vi serviva?! »
Sbottò Satsuki, prendendo a sventolarsi con un ventaglio tutta agitata, come se fuori non stesse nevicando e facesse molto caldo.
« Da sposati, intendevo » Aggiunse Tooru. I loro sguardi si incrociarono, Satsuki lo guardò male da dietro il ventaglio, lui continuò a sorridere in modo falso.
Erano finiti i tempi in cui si ritrovava a piangere sulla spalla di Hajime per colpa loro.
Se voleva stare con Wakatoshi, loro facevano parte del pacchetto e Tooru aveva solo due opzioni a riguardo: farsi mangiare vivo oppure farsi crescere a sua volta le zanne.
Scegliere non era stato tanto difficile.
« Non avete mai pensato che potessi essere io ad avere problemi a concepire? »
Intervenne inaspettatamente Wakatoshi, facendo voltare tre paia di occhi nella sua direzione. Lui rimase impassibile. Tooru dovette sforzarsi per non scoppiare a ridere.
Non perché fosse impensabile - non si poteva mai dare nulla per scontato nella vita - ma perché per tredici anni di rapporti erano sempre stati attenti.
E l'unica volta che non lo erano stati, al primo colpo, aveva fatto centro.
E non aveva nemmeno dovuto annodarlo per riuscirci. In un certo senso, era ... sorprendente. Wakatoshi - che era un Alfa atipico - aveva dimostrato di essere sorprendentemente Alfa in quell'occasione. Ed era un controsenso ridicolo.
« Impossibile! » Sbottò sua nonna « Sei un Alfa. Di questa famiglia, tra l'altro! »
Sembrava davvero indignata dall'idea.
« Ma questo non vuol dire nie- »
« Perché non bevi il tuo tè, Tooru? »
L'intervento di Sachiko mise fine a quella conversazione incresciosa.
Tooru guardò la sua tazza di tè, ormai freddo.
Era cattiva educazione non berne nemmeno un sorso, lo sapeva.
Prese il manico di porcellana, la sollevò, se la portò alle labbra e fece una smorfia per l'odore intenso, deglutì nervosamente.
A quel punto, Wakatoshi gli mise una mano sulla bocca, impedendogli di bere.
Tooru sbattè le palpebre.
« Wakatoshi, sei impazzito?! » Strepitò sua nonna, chiudendo a scatto il ventaglio.
« Ha la nausea » Si limitò a rispondere lui, togliendogli con gentilezza la tazza dalle mani « Ma è troppo educato per dirlo » I loro sguardi si incrociarono e Tooru dovette combattere contro la voglia di arrossire come una scolaretta alla prima cotta.
Sachiko e Satsuki lo guardarono fisso, come se si fossero rese conto solo in quel momento che aspettava davvero un bambino. Da Wakatoshi, inoltre.
« Oh mi dispiace, caro. Non ci ho pensato. Vuoi che ti facciamo preparare altro? »
Tooru sbattè le palpebre, contemporaneamente scioccato e disgustato.
Sachiko sembrava quasi ... premurosa. E non lo era mai stata con lui. Mai.
« Un tè allo zenzero! » Intervenne brusca Satsuki, agitando il ventaglio « Quando tua madre aspettava te, Wakatoshi, era un vero toccasana per lei! Satsuki, provvedi! »
« Ah no! No, grazie. Davvero, non serve »
Tooru buttò le mani davanti, fermando entrambe le donne, che lo fissarono minacciose. Avevano lo stesso sguardo di Wakatoshi, quello di tutti i giorni.
« Stai mangiando come si deve, caro? »
Tooru provò un brivido freddo lungo la schiena nel sentire di nuovo quell'appellativo.
Stavano andando verso una brutta strada.
« Si, suocera » Rispose, cordiale ma freddo.
« Cosa sono queste formalità?! Stai portando in grembo l'erede degli Ushijima! Chiamala mamma, come una nuora che si rispetti! » Scattò Madame Satsuki.
Tooru fece un respiro profondo. Non avrebbe mai chiamato quella donna 'mamma'.
Prima di tutto perché non era una nuora, ma un genero, semmai.
E poi, aveva subito troppe angherie da parte loro perché le cose potessero cambiare nel giro di due secondi scarsi. Ma non disse nulla e si limitò a sorridere freddamente.
Wakatoshi gli prese una mano, inaspettatamente.
Un gesto che pareva casuale, ma che non lo era affatto.
« Le nausee sono molto forti? » Indagò Madame Satsuki, picchiando il ventaglio sul palmo della mano rugosa e curata.
« Abbastanza » Intervenne Wakatoshi. Le loro dita si intrecciarono sul grembo di Tooru.
Satsuki fece un cenno risoluto.
« Bene. È un Alfa, ne sono sicura! Un maschio Alfa! Tutti i bambini con quella dinamica che si rispettino fanno piangere le loro madri i primi mesi di gravidanza! »
Cadde qualche secondo di silenzio. Tooru irrigidì la mascella.
Quel commento era una frecciatina bella e buona.
« Mamma, non - »
« Ma potrebbe essere un Omega. Una bambina Omega, ad esempio »
Non riuscì a trattenersi, interruppe sua suocera Sachiko, sbottando con freddezza.
Lui e Madame Satsuki si sfidarono.
« Inaccettabile » Disse lei, tagliente.
Il problema che Tooru aveva con quella famiglia era tutto lì, dopotutto: il suo essere Omega.
Nella famiglia Ushijima erano tutti Alfa.
Ogni matrimonio contratto era tra Alfa dominanti, che fosse voluto o per contratto. Wakatoshi però aveva sposato un Omega.
Era l'unico della sua famiglia, tra cugini e parenti di secondo grado vari.
Sua nonna e sua madre non avevano mai davvero potuto perdonarglielo, motivo per cui avevano fatto di tutto perché Tooru lo lasciasse più di una volta.
Non era mai successo. Almeno, non per colpa loro.
« Ma io sono un Omega, signora. Il bambino potrebbe anche ereditare la mia dinamica »
Si intestardì, sapendo che avrebbe scatenato un putiferio bello e buono con quell'allusione.
Satsuki sbattè il ventaglio sul tavolo. Le tazze tremarono sui piattini di porcellana.
« I geni di Wakatoshi sono più forti »
« La genetica non funziona così »
« Wakatoshi, di qualcosa a tua moglie! »
« Sono suo marito! »
« Questo è inaccetta- »
« Lo amerei lo stesso »
Sia Tooru che Satsuki smisero di ringhiarsi contro, fissando Wakatoshi.
Lui guardava dritto di fronte a se, sereno.
« Che sia un Alfa, un Omega o un Beta non mi importa. Mi importa che sia sano, felice e amato. Tutto il resto non mi interessa » Tutto il rancore nel petto di Tooru si sciolse.
Rafforzò la stretta delle loro dita intrecciate e si portò l'altra mano sulla pancia.
Si ricordò perché lo stava facendo. Non pensava ancora a suo figlio come un'entità concreta, ma desiderava le stesse cose di Wakatoshi.
La vedevano allo stesso modo, anche in quel caso, senza prima esserselo detti a vicenda.
Lui sarebbe stato un disastro di madre, ma almeno quel bambino aveva Wakatoshi.
« Molto bene. Se tu vuoi continuare a - »
« È un pensiero molto nobile, figlio mio » Intervenne Sachiko, zittendo la madre.
Tooru sapeva che non era d'accordo con l'idea di Wakatoshi, ma apprezzò il tentativo della strega di stroncare una conversazione che si sarebbe ripresentata per tutto il periodo della gravidanza, finché quel bambino non sarebbe venuto al mondo, palesando la sua maledetta dinamica.
« Vogliamo tutti che questo bambino sia amato, coccolato e non gli manchi niente. Motivo per cui Tooru deve avere cura di sé stesso. Suggerirei dunque che lasciasse il lavoro e si trasferisse qui da noi, per cominciare » Eh, che cosa? Che cosa sta dicendo questa donna?
« Prenderemo appuntamento con un ginecologo di famiglia. Dovrai seguire una dieta accurata perché il bambino nasca forte e - »
« No! » Scattò, alzando la voce.
Sachiko si zittì, oltremodo oltraggiata.
« Non mi trasferirò da nessuna parte. Non mi separerò da mio marito e il ginecologo ce l'ho già! Grazie tante! E ho anche una madre a cui chiedere aiuto, sapete?! »
Gli girava un po' la testa quando ebbe finito di urlare le sue ragioni e i suoi diritti.
Sapeva che sarebbe andata a finire in quel modo.
« Sapevo che sarebbe stato irragionevole » Intervenne Madame Satsuki, facendo un sorrisetto sprezzante. Aveva ripreso a battersi il ventaglio costoso sul palmo.
« Scommetto che non ci permetterà di mettere becco su niente! Come se - »
« Voglio ben vedere! È nostro figlio! Decideremo io e Wakatoshi cosa è meglio per lui. Non sono fatti vostri! » Strillò, battendo una mano sul tavolo.
La vecchia si portò il ventaglio contro il petto indignata, come se fosse stata oltraggiata.
Guardò suo nipote.
« Gli permetti di parlarci così?! »
Wakatoshi non si scompose nemmeno.
« Siete state voi per prime ad essere irrispettose. Inoltre, mio marito mi trova d'accordo su tutto. Vorrei che faceste parte della vita di mio figlio, tu e la mamma, ma ogni decisione su questa gravidanza spetta a noi. Voi potete al massimo darci dei consigli, che saranno presi in considerazione o meno. Adesso, se volete scusarci, andiamo via. Abbiamo delle cose da fare » Non aspettò la risposta di sua madre e di sua nonna, tenendo stretta la mano di Tooru si alzò in piedi « Andiamo, forza » Lo incitò.
Totalmente catturato da lui, Tooru non aveva avuto la reazione pronta di alzarsi a sua volta.
Ubbidì senza aggiungere niente. Si sentiva già mortificato abbastanza.
« Sei una vergogna! » Sibilò sua nonna, livida. Wakatoshi fece un leggero inchino.
« Grazie per il tè. Vi farò avere una copia della prima ecografia »
Era abituato a quelle parole. Wakatoshi era nato e cresciuto in quell'ambiente e con quella mentalità, la sua fortuna era stata essere figlio anche di Takashi Utsui.
« Madre, nonna » Salutò, e senza aspettare una risposta se ne andò, tirandosi dietro Tooru, che non ebbe nemmeno il tempo di fare un inchino per salutare, da vero ipocrita.
Inciampò sui suoi passi tanta la fretta.
Sapeva che le due avrebbero messo il broncio per qualche giorno, ma poi sarebbero tornare alla carica peggio di prima. Sarebbe stata l'ennesima battaglia.
Proprio come per il matrimonio.
Tooru si portò una mano alla fronte, massaggiandosi una tempia.
Era già stanco.


Il viaggio di ritorno fu per lo più silenzioso.
Erano a metà strada quando Wakatoshi parlò per la prima volta.
« Ti senti bene? Sei taciturno » Tooru non distolse lo sguardo dalla strada fuori dal finestrino. Andavano spediti, senza troppo traffico, anche se erano in città.
Aveva un po' di nausea persistente.
« Sono solo stanco. È che ogni volta che le incontro, devo ricordarmi perché lo faccio »
Si rese conto solo dopo aver pronunciato quelle parole di cosa aveva realmente detto.
« Mi dispiace » Disse Wakatoshi, monocorde. Tooru lo guardò, sentendosi una vera merda. Gli toccò la mano che stava cambiando la marcia, era calda.
« Wakatoshi scusami. Io - »
« Non hai nulla di cui cui scusarti. Mia nonna e mia mamma possono essere spiacevoli »
Il suo tono non aveva inflessioni, ma sfilò via la mano da sotto la sua presa per portarla al volante. Di solito intrecciava le loro dita.
Tooru cercò di non restarci troppo male.
« Ma io non miglioro la situazione, lo so. Vorrei solo tu sapessi che per te posso sopportare qualsiasi cosa » Aveva un groppo in gola mentre pronunciava quelle parole, tornando a guardare fuori dal finestrino.
Erano quasi arrivati, ma la sua nausea stava terribilmente peggiorando.
Si fermarono ad un semaforo. Wakatoshi allungò una mano e con due dita gli accarezzò la guancia, richiamando la sua attenzione. Si guardarono.
« Lo so. Ti sono grato per questo » Tooru gli baciò il palmo, girandosi verso di lui.
Scattò il verde e ripresero a muoversi.
« Non ti chiederei mai di allontanarti da tua madre e da tua nonna » Ci tenne a precisare.
Svoltarono una curva. Lo stomaco si contrasse dolorosamente. Merda.
« So anche questo, Tooru. Vorrei solo che - »
« Ferma la macchina! »
« Tooru, cosa - »
« Ferma la dannata macchina! »
Wakatoshi accostò al cavalcavia, rallentando.
Tooru non diede nemmeno il tempo alla macchina di fermarsi del tutto, aprì la portiera e vomitò lì, sulla linea bianca della strada.
Si accorse solo distrattamente del rumore della portiera dal lato guidatore che veniva aperta e poi richiusa. Si ritrovò Wakatoshi davanti, inginocchiato davanti al suo vomito.
« Posso - »
« Levati da lì, fa schifo! »
Lo rimproverò, tamponandosi la bocca con il dorso della mano. Odiava le nausee, davvero.
Le odiava con tutto il cuore. Wakatoshi fece un sospiro.
« Non mi fa schifo. Vuoi scendere per prendere un po' d'aria? » Tooru scosse la testa, nervoso e scontroso con il mondo. Poi sussultò, tornando a guardare suo marito.
Wakatoshi aveva sollevato una mano, poggiandola sul suo ventre, sotto il cappotto aperto. Strofinò dolcemente.
« Fai il bravo, coraggio. Non rendere le cose troppo difficili alla mamma »
Tooru ci mise qualche secondo per capire che stava parlando con Bon Bon.
Provò una sensazione indecifrabile. Con una mano accarezzò il viso di Wakatoshi, che prese a guardarlo con un punto di domanda muto sul viso.
« Va meglio? » Ignorò la domanda.
« Ti amo, lo sai? Tantissimo »
Wakatoshi gli baciò il palmo.
« Si, l'ho intuito. Una volta o due »


« Ah ah, ma è meraviglioso! »
La voce di Takashi esplose dal microfono del cellulare, raggiungendo anche Tooru in cucina, che accennò un sorriso.
« Diventerò nonno! E il mio ragazzo sarà papà! Non potevate darmi notizia migliore! »
Takashi rise, la voce roca. Tooru prese la ciotola con i mandarini appena sbucciati e raggiunse Wakatoshi, seduto sul divano con il cellulare in video-chiamata.
Appoggiò il contenitore sul kotatsu, prendendo un agrume, e si mise seduto accanto al marito, rannicchiandosi al suo fianco con le ginocchia strette al petto.
« Ciao, Takashi » Salutò, entrando nell'inquadratura. Il viso familiare dell'uomo - simile a quello del figlio - si illuminò.
« Tooru, fatti vedere meglio! Meraviglioso e straordinario ragazzo! »
Wakatoshi gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo a se, mentre spostava il cellulare per migliorare l'inquadratura. Tooru mise in bocca uno spicchio di mandarino, mandando un bacio volante al suocero, facendolo ridere di gusto.
« Finalmente qualcuno che lo riconosce! »
« Anche io penso tu sia straordinario e meraviglioso »
Ci tenne a fargli sapere Wakatoshi, come un bambino geloso.
Tooru lo guardò e ridacchio, mangiando un altro spicchio: gli era venuta voglia di mangiare qualche mandarino a caso.
« Non essere geloso, figliolo »
Lo prese un po' in giro Takashi, ridendo forte.
Tooru aveva un ottimo rapporto con il padre di suo marito. Non lo vedevano spesso, viveva in un'altra nazione, ma era un Alfa atipico proprio come suo figlio.
La pecora nera di una famiglia di pecore bianche.
Per fortuna, Wakatoshi non si era mai allontanato da suo padre, nonostante fosse appena un bambino quando i suoi avevano divorziato.
« Non sono geloso » Fu la replica. Ma Wakatoshi lo era. Eccome se lo era.
Tooru sorrise tutto compiaciuto, osservando il marito con un ghignetto mentre metteva in bocca un altro spicchio succoso.
« La gravidanza ti sta stancando, Tooru? Ricordo che Sachiko era sempre stanca quando aspettava Wakatoshi »
« L'ho scoperto solo un paio di giorni fa. A parte le nausee e il sonno, per ora sto bene »
« Meglio così, meglio così. Voglio conoscere mio nipote o la mia nipotina il prima possibile, ma senza stress. Sarà un bambino bellissimo, me lo sento! »
Wakatoshi e Tooru sorrisero contemporaneamente. Takashi non aveva fatto accenno alla dinamica del bambino. Non era una cosa che gli sarebbe mai importata.
Parlarono in video-chiamata per almeno un'ora prima che si facesse tardi.
Fu una chiacchierata piacevole.

 
***


« Wakatoshi, calmati! » Tooru era esasperato.
Strinse una mano attorno al ginocchio del marito, bloccandone il movimento nervoso.
« Scusa » Fu la replica apatica.
Tooru lo sbirciò di sottecchi, lasciando la mano sul suo ginocchio. Erano nella sala d'attesa dello studio privato del ginecologo, di Kenjirou, per essere precisi.
Aveva una visita davanti, motivo per cui erano in attesa da qualche minuto.
L'ambiente era caldo e confortevole, pieno di piante verdi, poster sulla gravidanza e sulla prevenzione, poltrone e giornali per intrattenere.
Wakatoshi era seduto al suo fianco con le gambe spalancate, le braccia incrociate al petto e la testa reclinata all'indietro, posata contro la parete. Fissava il soffitto.
« Non essere troppo severo, Tooru. Ci sta essere un po' agitati in queste occasioni 》
La voce di sua madre Saeko lo distrasse.
La guardò, tutta sorridente mentre sfogliava una rivista di vestitini per neonati, gambe accavallate e tanto di leccata sul dito per girare le pagine. Grazie tante!
Fu la risposta acida che gli attraversò la mente. Tooru era agitato, ovviamente.
Andava al controllo ginecologico anche prima. In quanto Omega, era quasi costretto.
Ma mai avrebbe pensato di andarci per una gravidanza.
Inoltre, aveva cominciato a fare dei brutti pensieri da quella mattina.
E se in realtà non aspettava un bambino, ma era qualcos'altro, tipo una malattia?
E se il feto non avesse avuto battito?
E se fosse risultata una gravidanza extra uterina? Koushi ne aveva avute un paio - insieme a qualche aborto spontaneo - prima di mettere al mondo il suo bambino.
E se, e se, e se. Una marea di "se".
« Oh, ma guardate quanto è carina questa tutina! Non è adorabile? »
La voce di sua madre era alta un decibel di troppo quanto mise sotto il loro naso il giornale.
Picchiettava con l'unghia smaltata di rosso sulla pagina traslucida, indicando una tutina di jeans estiva che assomigliava tanto alla tuta da lavoro di un meccanico sexy.
« Mamma, Bon Bon non si vede nemmeno! Prima che possa entrare in una cosa simile ci vuole tempo, quindi non cominciare a comprare cose inutili! » Le smontò immediatamente l'entusiasmo, incrociando le braccia al petto « Inoltre, non vestirò mio figlio come un meccanico sexy! »
« Che guastafeste! » Si lamentò Saeko, riportando il giornale sulle sue ginocchia accavallate con un broncio familiare.
« Bon Bon? » Domandò invece Wakatoshi.
Tooru lo guardò, imbarazzato. Gli era scappato di bocca.
« Il bambino. Non ha un nome, così ... »
Lasciò correre la frase, grattandosi la nuca.
Proprio in quel momento, la porta dello studio si aprì e ne uscì una donna, che andò via di fretta, passando dalla segretaria. Si affacciò Kenjirou e li guardò.
« Wakatoshi, Tooru, potete entrare »


Il gel era maledettamente freddo e terribilmente appiccicoso.
Tooru cercava di non mostrarsi troppo infastidito mentre Kenjirou glielo spalmava abbondantemente sulla zona pelvica, sotto l'ombelico. Aveva la pelle d'oca.
La stanza era leggermente oscurata.
Tooru cercò di non guardare troppo lo schermo del macchinario quando Kenjirou afferrò quella specie di rullo e lo avvicinò alla zona interessata. Fissò il soffitto.
« Wakatoshi, non starmi con il fiato sul collo, per cortesia » Tornò a guardare Kenjirou.
« Scusami » Suo marito si fece indietro di qualche passo, lasciando l'amico lavorare.
Kenjirou era un medico Omega specializzato in gravidanze maschili per Alfa e Omega stessi. Il suo compagno era Eita, uno dei migliori amici di Wakatoshi, nonché socio dello studio d'architettura Eagle. Ovviamente, quando lo aveva chiamato per prenotare la visita, Tooru gli aveva chiesto di tenere la cosa riservata, per il momento.
Lui si era limitato a rispondergli: Sono un professionista. Rispetto il mio giuramento.
« Qui, questo puntino. Vedi? » Tooru tornò al presente, sbattendo le palpebre.
Non se ne era accorto, ma Kenjirou gli stava passando il rullo sui muscoli del ventre, premendo, e indicava lo schermo. Tooru guardò, ad occhi sgranati.
Lo vide, il puntino che indicava l'amico con il dito ricoperto dal guanto elastico blu.
« È il feto. Sembra perfettamente in salute »
« Oddio, che emozione! » Sentì bisbigliare sua madre, dal fondo scuro della stanza.
Ma Tooru aveva occhi solo per quel puntino.
Fino a quel momento non era stato del tutto reale, ma solo un'idea astratta: ora lo vedeva.
E fu travolto dal terrore più assoluto. Fu tentato di dire: Non so se lo posso fare!
Wakatoshi avrebbe capito, sicuramente.
« Quello è mio figlio? »Tooru trasalì, guardando suo marito.
Si pentì immediatamente di averlo pensato, non appena vide i suoi occhi, leggermente sgranati, fissare lo schermo. Mio figlio, aveva pronunciato quelle parole con una tale meraviglia e un tale possesso. Mordendosi le labbra, tornò a fissare il puntino minuscolo su quello schermo in bianco e nero di cui non capiva niente.
« Si. Tooru, sei di cinque settimane, appena entrato nel secondo mese di gestazione »
Tooru annuì, smarrito. Non riuscì a parlare né a dire niente.
Kenjirou gli rivolse un'occhiata veloce, poi guardò Wakatoshi, ma lui aveva occhi solo per quel minuscolo puntino nero. A quel punto armeggiò con qualcosa su quel macchinario complesso e si sentì un rumore improvviso, fortissimo.
Sembrava il battito velocissimo di un uccellino, amplificato.
Tooru vide sua mamma portarsi le mani alla bocca commossa, gli occhi pieni di lacrime.
Poi realizzò, più lento di quanto non fosse mai stato in vita sua nel capire qualcosa.
Era il cuore. Il cuore del feto. Il cuore di suo figlio, per la precisione.
E in quel momento si chiese di che cosa avesse esattamente avuto paura poco prima.
Non lo aveva cercato, ma lo voleva. Ormai lo voleva, nelle loro vite, quel caos.
Quella nuova persona che sarebbe arrivata, un estraneo che avrebbe portato scompiglio.
Una terza persona nella loro famiglia.
E fu strano, perché fu solo a quel punto che lo sentì. Il legame. Quel legame che ogni madre doveva provare nei confronti del proprio figlio. Quell'amore irrazionale.
Aveva sempre pensato che fosse una sciocchezza melensa ed esagerata.
Bene, in quel momento era melenso ed esagerato. Ma amava quel puntino nero.
« Ehi, ciao » Si ritrovò a mormorare, cercando di non piangere mentre allungava le dita tremanti della mano verso lo schermo. Guardò Wakatoshi e lo beccò mentre gli dava le spalle, passandosi un pollice della grande mano sotto gli occhi.


Kenjirou prescrisse un sacco di vitamine, esercizio fisico e una dieta specifica.
Gli disse che le gravidanze degli Omega uomini erano un po' più problematiche, motivo per cui doveva stare attento. E gli fece tantissime raccomandazioni, prima di congratularsi con loro da amico e fissargli la prossima visita.
Lasciarono lo studio medico che Tooru aveva ancora lo sguardo puntato sull'ecografia ad ultrasuoni, nella cartellina beige e anonima.
Passò un pollice sul puntino nero.
Sua madre stava blaterando tutta eccitata di vestitini, di come fosse passato troppo tempo da quando aveva avuto il primo e unico nipotino - Takeru - tra le braccia.
Né lui né Wakatoshi la stavano ascoltando.
« Bon Bon » Gli mormorò suo marito all'orecchio, passandogli un braccio sulle spalle mentre lo attirava a sé. Tooru distolse lo sguardo dell'ecografia per guardarlo in viso. Aveva la solita espressione, ma era serena, rilassata. Felice.
« Bon Bon » Confermò.

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Capitolo 28
*** 28. Your Way - Seconda Parte ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Omegaverse

N° parole: 18.390

Note: Ed eccoci qui anche con la seconda parte.
Occhio perché se non piace il genere potrebbe davvero dar fastidio!
Però mi lamento di meno della bruttezza di questa seconda parte, più o meno …
Mpreg- tematica principale.

TW - Accenni ad aborto, problemi di fertilità



 
Your Way


- Seconda Parte -




Diedero la notizia ufficiale della gravidanza ai loro amici un paio di settimane dopo, quando riuscirono ad organizzare una cena a cui tutti potessero partecipare senza impegni di lavoro di mezzo. Fu una scena surreale, da film.
Nel momento esatto in cui Wakatoshi pronunciò le seguenti parole con voce apatica: Io e Tooru avremo un bambino, il tavolo prima chiassoso si ammutolì di colpo.
Si ritrovarono diverse paia di occhi addosso.
Poi scoppiò il putiferio assoluto.
Hiroto - il bambino di appena tre mesi di Daichi e Koushi - rigurgitò il latte appena bevuto sulla faccia incredula di suo padre.
« Facciamone uno anche noi, Hajime! »
Strepitò Satori, eccentrico come al solito e già terribilmente brillo a causa della birra.
« Eh?! Al mondo non serve un'altra piaga come te! Non è abbastanza grande »
Fu la replica rabbiosa, con tanto di mano schiaffata in faccia all'altro, per allontanarlo da un palese tentativo di abbraccio affettuoso. Takahiro e Issei che se la ridevano grossa.
« Gwahh io lo sapevo già! »
Strepitò Shouyou pieno di gioia, scatenando in quel modo le ire funeste di Tobio.
« Shouyou, idiota! Perché non me l'hai detto? Tooru mi ha battuto di nuovo sul tempo! »
« Ma non sapevo fosse una gara! Ahia, non mi colpire, manesco che non sei altro! Sto per diventare tuo marito, non lo scordare! »
Koushi, che era seduto accanto a lui, gli gettò le braccia al collo con affetto.
Era ancora leggermente gonfio dopo la gravidanza, ma radioso come non mai.
« Congratulazioni, Tooru. Avevo pensato avessi un odore più dolce, ma non volevo fare domande indiscrete » Gli disse, dolce come sempre. Daichi invece si stava complimentando con Wakatoshi. Lui e Koushi erano gli unici ad avere già una prole nel loro gruppo di amici, e di certo nessuno pensava che i prossimi sarebbero stati -
« Non avrei mai detto che questo giorno sarebbe arrivato. Mi avete stupito, ragazzi »
Fu Eita a dar voce a quel pensiero comune.
Tooru si sentiva sopraffatto.
« Dobbiamo brindare » Li incoraggiò Reon.
La proposta fu accolta con entusiasmo. E Tooru si trovò in una situazione davvero imbarazzante quando - con uno scialbo bicchiere d'acqua in mano - tutti lo fissarono in attesa di una parola per festeggiare.
Gli piaceva essere al centro dell'attenzione, di solito, ma non in quel momento.
Così si impappinò, preso dall'imbarazzo e disse: « Brindiamo alle eiaculazioni precoci e al super sperma di mio marito! » Ed era troppo tardi quando se ne rese conto.
Wakatoshi lo fissò come se fosse diventato matto all'improvviso. Forse lo era.
Oh oh. Pensò Tooru, ricambiando lo sguardo mentre il viso cominciava ad assumere tonalità bordeaux. Si scolò il bicchiere in un colpo solo, dimenticando che fosse solo acqua.
Era di nuovo tornato il silenzio assoluto.
« E a chi si dimentica la pillola del giorno dopo » Fu la replica apatica e del tutto inaspettata di Wakatoshi, pronunciata come una palese frecciatina nei suoi confronti, con tanto di alzata di boccale di birra nella sua direzione e cenno della testa.
Il silenzio durò altri tre secondi esatti.
Poi scoppiò di nuovo il finimondo.


« Sono il tuo migliore amico, sopporto le tue cazzate da sempre e lo vengo a sapere in questo modo?! Dovresti vergognarti! »
Gli urlò Hajime nell'orecchio, molte ore più tardi, nel cuore della notte quasi.
Tooru, seduto in un angolo del divano della sua minuscola e confortevole mansarda, allontanò la cornetta dall'orecchio. Era mezzanotte passata, ma siccome il giorno successivo era domenica, lui e Wakatoshi avevano deciso di vedere un film insieme, anche se erano tornati a casa alle undici. A metà della visione, però, a lui era venuta una maledetta voglia di scorzette d'arancia al cioccolato. A casa non ne avevano più, motivo per cui Wakatoshi era sceso per andare a comprarne al supermercato aperto ventiquattro ore.
Hajime lo aveva chiamato proprio mentre Tooru aspettava che rientrasse a casa.
« Lo so, scusami. Non sono state settimane facili. Ho dovuto prima accettare la cosa, sai? L'idea del parto mi ha un po' mandato nel panico, e le mie suocere stanno cercando in tutti i modi di farmi uscire fuori di testa! » Si sfogò, sistemandosi il plaid attorno alle gambe allungate sul morbido divano. Hajime rimase in silenzio per qualche secondo.
« Non pensavo che volessi figli, Tooru. Sai, con la storia dell'Omega ... »
Tooru lo capiva. Hajime c'era quando da bambino veniva preso di mira dagli Alfa per il suo essere Omega. Quando piangeva disperatamente perché non voleva esserlo e l'idea di vivere solo per mettere al mondo dei figli lo distruggeva.
Quando aveva urlato di non volerne mai.
Quando aveva incontrato Wakatoshi, si era innamorato di lui e aveva cominciato a sentirsi dilaniato dentro. Incontrare Wakatoshi, però, era stato anche il principio della lunga strada che lo aveva condotto ad accettare se stesso.
Ad imparare a star bene con quello che era.
Wakatoshi gli aveva insegnato che non aveva importanza che fossero un Omega e un Alfa.
Perché prima di vedere qualsiasi dinamica aveva visto lui. Tooru gli doveva molto.
« Non lo pensavo nemmeno io, finché non è successo. Un figlio non pensavo proprio di volerlo. Mi sono spaventato quando l'ho scoperto, ma non l'ho presa male. Il Tooru bambino sarebbe certamente deluso da questo. Ma il Tooru di adesso è contento. E poi, quando ho sentito battere il suo cuore ... ho pensato che non fosse male »
Tooru sorrise alla stanza vuota mentre pronunciava quelle parole, perso nei pensieri.
« E poi non ho mai visto Wakatoshi tanto felice. L'idea di essere stato io a renderlo così mi da una certa soddisfazione »
Ci furono altri secondi di silenzio, poi: « Quando parli così sei disgustoso »
Tooru scoppiò a ridere, giocando distrattamente con una delle frange del plaid.
« E tu sei il solito rude » Altro silenzio.
Poi: « Vizierò tuo figlio fino alla morte. Sarò il suo zio preferito, sappilo Tooru »
Il suo sorriso si addolcì. Tooru aveva una sorella, parecchio più grande. Una Beta che aveva sposato un Beta e aveva avuto un figlio Beta - Takeru, il suo unico nipote.
Ma aveva anche un fratello, anche se non era di sangue.
« Non ti permetterò di viziare mio figlio, Hajimuccio! Già dovrò combattere con suo padre per questo! » Hajime fece per rispondere qualcosa, ma poi si interruppe.
Tooru sentì un lamento di sottofondo, una voce nasale cantilenante che conosceva.
« Vai a dormire, testa di cazzo! » Fu la risposta diplomatica di Hajime.
Qualche altro scambio di battuta a voce distante, lontano dalla cornetta, qualche altro insulto, poi un sospiro pesante: « L'idiota è ubriaco. Di nuovo. A volte mi domando perché ci sto insieme, davvero. Devo avere qualche problema anche io »
Tooru se lo era chiesto spesso anche lui.
« L'amore ci rende ciechi »
Si limitò a dire, facendo stizzire Hajime.
« E ora per colpa vostra va blaterando di volere un figlio. Un cazzo di figlio! »
Tooru rise di nuovo.
Non sapeva bene se dire ad Hajime che probabilmente Satori non stava scherzando.
Era difficile capire quando lo facesse o meno, ma in quel caso non poteva scherzare.
La loro era una di quelle copie considerate atipiche, un Alfa e un Beta uomini.
Il motivo per cui era difficile pensare che Satori scherzasse, era perché in quella coppia sarebbe stato lui - l'Alfa - a portare avanti la gravidanza. Non vi era altra scelta.
Hajime era un comune Beta. Non poteva.
Satori ne era consapevole e non avrebbe mai scherzato riferendosi a sé stesso, non era cosa da lui l'autoironia. Anche se sorgeva un minuscolo inconveniente, dato dal fatto che il tasso di fertilità in questi casi era davvero basso. Sia in caso di Alfa uomini che Alfa donne.
Ma Tooru decise di non entrare nell'argomento.
« Potresti pensarci »
Si limitò a dire, mentre veniva distratto dal rumore della porta di casa che si apriva. Non sentì la risposta di Hajime mentre vedeva Wakatoshi entrare con il suo agognato premio.
« Ehi, Hajime, ora devo andare. Ci sentiamo nei prossimi giorni. Si, si, ti chiamo, giuro »
Interruppe la conversazione.
Le scorzette all'arancia erano un richiamo troppo forte per resistervi.

 
***


Le settimane successive passarono veloci.
Piene di cambiamenti inevitabili.


Le nausee divennero importanti.
Tanto che lavorare fu davvero problematico, motivo per cui Koushi decise di tornare anche se ancora non avrebbe dovuto farlo.
Si portava Hiroto dietro, senza far sembrare che la cosa gli pesasse.
Da parte sua, Tooru era uno straccio.
Malediceva ogni istante della sua vita che lo aveva condotto a quel momento.
Una sera in cui stette particolarmente male, dopo essersi ostinato a lavorare fino all'ultimo secondo nonostante il vomito, Wakatoshi tornò a casa e lo trovò steso a pancia in giù sul divano, una bacinella accanto. Tooru, pallido, nauseato e sudato, aveva gli occhi chiusi quando lui gli si inginocchiò davanti, accarezzandogli la testa.
« Tuo figlio fa i capricci » Gli disse.
Ormai era chiaro che quando qualcosa non andasse Bon Bon diventava solamente figlio di Wakatoshi. Lui non se la prendeva mai.
« Mi dispiace. Posso fare qualcosa per te? »
Aveva la voce bassa, come se non volesse disturbarlo. Tooru aprì un occhio.
Wakatoshi aveva ancora il cappotto addosso.
« Tranquillo. Passerà » Lo rassicurò.
Chiuse di nuovo gli occhi e cercò di dormire.
Ad un certo punto doveva essersi appisolato, perché quando li riaprì trovò un'atmosfera totalmente diversa. Le luci erano soffuse, lui aveva addosso una coperta pesante, Wakatoshi era ai fornelli, vestito per casa, e la televisione accesa emanava un basso ronzio, ferma sul TG locale. Sul kotatsu se ne stava una tazza di tè coperta da un piattino, il filo della bustina a infusione attaccato alla ceramica per via della condensa. Le sue vitamine accanto.
Poteva fare schifo, poteva pentirsi mille volte al giorno di aver deciso di fare quella cosa, ma quando succedevano cose come quella, momenti quotidiani di inaspettata semplicità, ricordava sempre perché ne valesse la pena.


Le cose andarono avanti in quel modo per un po' di tempo.


Verso la dodicesima settimana successe una cosa terribilmente spiacevole.
Era da qualche giorno che sua suocera Sachiko era tornata alla carica.
Lo chiamava con insistenza sul cellulare, anche più volte nel corso della giornata, cercando di convincerlo a prendersi un'aspettativa dal lavoro e trasferirsi a casa loro.
Tooru non vedeva il motivo per cui avrebbe dovuto farlo, ci teneva alla sua salute mentale, e inoltre, a parte le nausee - che si stavano lentamente placando -, la vescica sempre piena e il sonno persistente, non aveva altri fastidi. Stava bene.
Perciò, quando successe, pensò in modo infantile che fosse colpa di Sachiko e delle sue insistenze esagerate. La donna non aspettava altro, un passo falso.
Tooru stava sollevando una scatola di libri.
Non era la prima volta che lo faceva da quando aveva scoperto di aspettare un bambino, lo scatolo non era nemmeno troppo pesante, a dire il vero, ma Koushi lo vide e prese immediatamente a rimproverarlo.
« Non devi alzare questi pesi, Tooru! »
Aveva Hiroto in braccio, appoggiato mollemente sulla spalla, la testolina una matassa di capelli scuri. Stava cercando di fargli fare il ruttino, battendogli dolcemente la mano sulla spalla, perché gli aveva appena dato da mangiare.
Tooru gli rivolse un'occhiataccia.
Capiva perché Koushi fosse così sensibile sull'argomento. Avere Hiroto non era stato facile, nonostante lui e Daichi lo desiderassero moltissimo.
Koushi era un Omega recessivo, dopotutto.
Gli ci erano voluti tre aborti, due gravidanze extra uterine e molte siringhe e lacrime per averlo finalmente tra le sue braccia.
Era un'esperienza che Tooru non avrebbe mai augurato a nessuno, ma lui non era Koushi.
Perciò fece una smorfia, agitando la mano per scacciarlo via, come se fosse molesto.
« Non mettertici anche tu Koushi, per piacere! Mi basta mia suocera con il suo continuo blaterare, sembra un uccello del malaugurio. Non - ah »
Fu strano. Un dolore mai provato prima.
Arrivò nella zona lombare, come una pugnalata tirata all'improvviso e inaspettatamente.
Posò lo scatolo sul bancone, premendosi una mano sotto l'ombelico.
Contrasse il viso in una smorfia di dolore, poi fissò il vuoto.
Alla fine lo sentì scendere. Inequivocabile.
« Tooru, che c'è? Ehi » Allarmato, Koushi gli prese un braccio, scuotendolo appena.
Tooru lo fissò, occhi sgranati e lucidi.
« Penso di aver perso - » Non riuscì a finire di formulare la frase.
Koushi non gli disse: Te l'avevo detto.
E comunque, in quel momento Tooru non riusciva a pensare ad altro se non che fosse solamente colpa sua dopotutto.


Wakatoshi arrivò di corsa.
Quando spalancò la porta della stanza privata d'ospedale dove Kenjirou l'aveva fatto accomodare per quelle poche ore, lo fece con violenza. Tooru sussultò, voltandosi di scatto.
Wakatoshi aveva il fiatone e il cappotto aperto sul completo elegante.
Aveva lasciato il lavoro per raggiungerlo.
I suoi occhi solitamente inespressivi e taglienti erano spalancati, preoccupati.
Tooru si rizzò a sedere con la schiena dritta.
Aveva gli occhi ancora un po' gonfi perché aveva pianto parecchio.
« Mi ha chiamato Koushi. Mi ha detto di venire alla clinica privata. Mi ha detto - »
« Wakatoshi, respira. Respira » Lo interruppe, allungando le mani verso di lui.
L'altro fece come gli era stato detto, prese un respiro profondo. Tooru lo guardò.
Wakatoshi ricambiò lo sguardo.
« Bon Bon sta - »
« Sta bene » Lo rassicurò subito.
Sapeva che quella era la prima cosa che Wakatoshi aveva premura di sapere. Era stata anche la prima cosa che lui aveva voluto sapere, dopotutto: se lo avesse perso o meno.
« Ho sanguinato, ma non è successo niente di grave. Kenjirou dice che è comunque meglio prendere il congedo per gravidanza a rischio. Mi ha fatto una siringa e ... »
Non riuscì a finire di parlare, tornarono le lacrime. Si portò le mani sul viso.
« Merda. Ho avuto così tanta paura »
Wakatoshi fu al suo fianco in un secondo.
Anche lui aveva dovuto aver paura nel tragitto fino alla clinica privata dove lavorava Kenjirou.
Lo abbracciò, investendolo con i suoi feromoni alle spezie e al sandalo, per tranquillizzarlo. Funzionò, in parte.
« Scusami. Sono stato un incosciente. Quando ho visto il sangue ho creduto - Non credo che me lo sarei mai perdonato » Il problema era tutto lì: era colpa sua.
Wakatoshi scosse la testa, gli baciò una tempia con affetto.
« Non darti la colpa. Sono cose che capitano Tooru. Anche senza controllo »
Con gli occhi ancora offuscati dalle lacrime Tooru strinse i pugni attorno alla stoffa pesante del cappotto di suo marito.
« Tua madre me lo aveva detto, di non strafare. Cielo, quando lo verrà a sapere ... »
Gli venne mal di testa solamente al pensiero della brutta ramanzina che si sarebbe preso.
« Nessuno lo verrà a sapere. Non è successo niente. Tu e Bon Bon state bene. Non c'è necessità di avvisare né mia madre né la tua. Koushi e Shouyou non parleranno »
Lo rassicurò Wakatoshi, facendosi indietro per guardarlo in faccia, gli passò i pollici sugli zigomi bagnati, scacciando le lacrime.
« Ma si chiederanno come mai - »
« Diremo che hai preso il congedo per scelta tua personale. Non serve sapere altro »
Fu la ferma risposta. Decisiva.
Tooru annuì appena, poi gli poggiò la fronte sulla spalla e avvolse le braccia attorno alla pancia, forte. Wakatoshi gli baciò la tempia, mentre con una mano gli accarezzava la nuca, le dita tra i ricci castani. Poi gli sfiorò la ghiandola e il morso con la punta dei polpastrelli, piccoli cerchi fatti per tranquillizzarlo.
« Ho davvero avuto paura di perderlo »
Sussurrò alla fine, occhi chiusi.
« Ma sta bene. E non conta altro »
Rimasero abbracciati in quel modo a lungo.


Tooru smise di andare a lavoro.
Koushi e Shouyou furono adamantini a riguardo, dissero che avrebbero assunto qualcuno a lavorare part-time. Per Tooru non fu facile da accettare, ma il bene di suo figlio poteva venire prima di quello che gli andava fare o meno.


Aveva preso una strana abitudine da quando era venuto a conoscenza della gravidanza.
L'idea veniva da internet, a dire il vero.
Dai social media, che come avvoltoi avevano fiutato la sua condizione, cominciando a proporgli contenuti su bambini e affini.
Prese a scattarsi una fotografia di profilo davanti allo specchio del bagno, maglia su.
Ne aveva già fatte tre.
La prima la sera stessa in cui aveva scoperto di aspettare Bon Bon - in quella foto il suo girovita era piatto, quasi inesistente, il bel viso leggermente corrucciato.
La seconda il giorno della visita ginecologica e non era cambiato granché.
La terza nella settimana di inizio terzo mese.
La quarta la scattò intorno alla tredicesima settimana di gravidanza.
Fu a quel punto che cominciò a vedersi qualcosa.


Tooru se ne accorse quasi casualmente.
Era seduto sul letto della loro minuscola camera da letto, intento a piegare mutande, calzini e canottiere in una pila ordinata. Sul materasso, accanto agli indumenti, un piatto di fragole fuori stagione - probabilmente imbottite di chissà cosa - faceva bella mostra di sé.
Gli era venuta la voglia quel pomeriggio.
Sua sorella maggiore, che aveva quattordici anni più di lui, era andata a trovarlo e avevano passato il pomeriggio insieme. Era stata lei a procurargli le fragole prima di andare via, perché Wakatoshi aveva lavorato fino a tardi ed era tornato solo da poco.
Tooru ne addentò una distrattamente, mentre piegava un paio di boxer neri di Wakatoshi, non si accorse del succo rosso sangue che gli colava lungo il mento fino a quando non gli macchiò la felpa.
« Merda! » Imprecò, saltando in piedi mentre si tamponava il mento con le dita.
Fece un sospiro esasperato. Non aveva la minima idea di come rimuovere succo di fragola da un indumento, né se fosse possibile farlo. Si imbronciò.
Guardò la felpa attraverso lo specchio a figura intera nell'angolo della camera.
La macchia non era enorme, ma il tessuto aveva assorbito il liquido, ingrandendola.
Con un sospiro pesante se la sfilò, gettandola nella cesta dei panni sporchi, il freddo gli ghermì la pelle pallida, si strinse nelle spalle e si affrettò a prendere un maglione di lana.
Lo vide di profilo con la coda dell'occhio, nello specchio a figura intera, mentre si abbassava il maglione rosso sulla pancia.
Si fermò a metà del movimento, lasciando la zona interessata scoperta, di profilo.
Un leggero gonfiore, l'accenno di una curva.
La punzecchiò con il dito, poi ne tracciò la curva con il polpastrello. Sorrise.
« Ma ciao, sei timido » Mormorò, con quella vocetta fastidiosa che facevano tutti gli adulti quando vedevano un bambino carino.
« Comincia a vedersi »
Si voltò di scatto, con il cuore in gola, quando sentì quella voce alle sue spalle.
Era solo Wakatoshi, appena uscito dal bagno, che si frizionava i capelli umidi con un panno dietro la nuca. Tooru fece un sospiro, una mano ancora stretta attorno alla gola per lo spavento. Aggiustò il maglione sui fianchi.
« Si » Brontolò, rivolgendogli un'occhiataccia.
« Posso vedere meglio? »
Wakatoshi si era messo seduto sul letto nel frattempo, accanto ai panni piegati per bene.
L'asciugamano avvolto attorno al collo.
Tooru smise in fretta di essere irritato. I tratti del suo volto si addolcirono mentre alzava di nuovo il maglione e si metteva di profilo proprio di fronte a lui.
Gli piaceva essere guardato in quel modo: come se fosse una meraviglia.
Ma non si aspettava la sua mossa successiva. Non si aspettava le mani calde di Wakatoshi sui suoi fianchi, né la trazione in avanti né il contatto delle sue labbra morbide sul ventre: un bacio. Un bacio al bambino. Rimase rigido, con le mani sollevate.
« Ciao Bon Bon » Lo salutò con la sua voce seria. Tooru scoppiò a ridere passata la sorpresa. Era sempre strano sentire un uomo come Wakatoshi usare una simile parola, ma era anche dolce. Gli passò una mano nei capelli, dietro la nuca, mentre i suoi fianchi restavano bloccati ancora nella presa delle sue grosse mani.
« Non devi essere così serio, papà »
Lo prese in giro, con voce cantilenante.


Da quel momento Wakatoshi prese l'abitudine di baciargli o toccargli il ventre più spesso.
Alla quindicesima settimana seppero il sesso del bambino.
Non se lo fecero dire durante la visita.
Tooru era con sua madre e sua suocera in quell'occasione - Wakatoshi lavorava - e fu una vera e propria esperienza traumatica. Le donne litigarono, ovviamente.
Sua madre voleva sapere il sesso immediatamente, nello studio privato.
Sua suocera voleva aspettare, ma solo perché era del tutto intenzionata a fare un gender reveal con i fiocchi a villa Ushijima, invitando tutta la famiglia al seguito.
Tooru odiava entrambe le idee.
La prima, perché non voleva sapere il sesso del bambino senza che Wakatoshi fosse presente. La seconda, perché non voleva nessun gender reveal in generale.
Quando lo disse, le due donne si coalizzarono contro di lui di comune accordo: per sua madre era cattiveria, per sua suocera un vero e proprio egoista che voleva punirla.
Ne parlò con Wakatoshi quella sera, lamentandosi profusamente con lui.
Alla fine optarono per una via di mezzo che accontentasse entrambe le donne.
Organizzarono un sobrissimo gender reveal a casa loro, con pochi intimi tra amici e parenti - la mansarda era troppo piccola per tutti e usarono il terrazzo, anche se faceva freddo -, lasciando che fosse comunque Sachiko ad organizzarlo, e diedero a Saeko il compito di informare chi di dovere del sesso del bambino, motivo per cui era l'unica a conoscerlo.
Fu tutto sommato un momento piacevole, che Tooru avrebbe ricordato per sempre, e non solo per le numerose foto e i numerosi video girati. Non ci furono palloncini, né coriandoli pacchiani, o aerei con messaggi, o spettacoli assurdi di luci - li avevano vietati -, ma un semplice cupcake ripieno di crema, che tagliarono a metà con un coltello.
Satori aveva messo su un giro di scommesse sul sesso del bambino - scatenando le idee funeste di Hajime -, motivo per cui erano tutti eccitati. A quanto pareva perfino Sachiko vi aveva preso parte, e Takashi, nonostante fosse partecipe solo in video-chiamata.
La crema nel cupcake era azzurra: un maschio. Alfa! Ci aveva tenuto a puntualizzare la nonna befana Satsuki. Tooru e Wakatoshi ebbero modo di godere della meraviglia della scoperta solo più tardi, stesi nel loro letto, sotto il piumone caldo.
Fu in quell'occasione che scelsero il nome.


Intorno alla diciottesima settimana il bambino si mosse per la prima volta.
Tooru era particolarmente furioso quando successe.
Ce l'aveva con sua madre, e ce l'aveva con sua suocera, ovviamente.
Le due - che non erano mai andate particolarmente d'accordo - parevano essersi messe d'accordo per farlo impazzire.
Da quando avevano saputo il sesso del bambino si erano date alla pazza gioia.
Tooru non sapeva più dove mettere la roba che continuava ad arrivargli a casa.
Ormai detestava il povero corriere - quasi sempre lo stesso - che si era dovuto beccare la sua frustrazione ad ogni consegna.
Il bambino non era ancora nato e già possedeva una montagna di vestitini carini, calzini, giacchette, salopette, pantaloni, tutine, ciucci, biberon, bavaglini e pannolini.
Quella sera era arrivata un'altra consegna, doppia - manco le due si fossero messe d'accordo - che lo aveva davvero fatto uscire fuori dai gangheri. Sua madre gli aveva inviato un'altra serie di buste piene zeppe di completini e indumenti, sua suocera invece aveva inviato una cavolo di carrozzina portanfan! E come se già quella da sola non bastasse, ci aveva messo vicino un ovetto e una sdraietta per neonati con tanto di sonaglietti inclusi. Tooru era fuori di se.
Nel salotto-ingresso-cucina non avevano più spazio dove mettere le cose. Metà del divano era invaso dai vestiti del bambino - lavati e stirati di fresco proprio da Saeko, che andava da Tooru praticamente tutte le mattine -, gli scatoloni li avevano messi sotto la parete a spiovente, rendendo complicato l'accesso al terrazzo. Non potevano più camminare senza urtare qualcosa per via delle buste varie e dei giocattoli ammassati ancora negli scatoli.
« Tua madre ha superato il segno questa volta, Wakatoshi! »
Si sfogò con suo marito, mentre scacciava malamente una busta dal suo cammino.
Quella cadde e da dentro ne uscì un pigiamino per neonati con le papere.
« Ci credi che sono così piccoli quando nascono » Fu tuttavia la replica.
Tooru fece uno sbuffo da toro imbufalito e mise le mani sui fianchi. Wakatoshi aveva tra le mani una tutina minuscola, che da sola gli copriva tutto il palmo, sembrava incantato.
« Wakatoshi, non ignorarmi! » Lo riprese.
L'altro sollevò lo sguardo su di lui, illeggibile.
« Non ti sto ignorando, ma non posso farci nulla. Ho già detto a mia madre e a mia nonna di smetterla. Non ascoltano » E tornò a guardare la tutina, era azzurra.
Tooru fece una smorfia e lasciò perdere, andandosi a mettere seduto accanto a lui.
Muoversi stava cominciando a diventare più difficile, anche se non aveva messo su tanto peso come si sarebbe aspettato.
Kenjirou aveva detto che era per via del suo fisico, non avrebbe preso che pochi chili.
Tooru si era preoccupato, ma il ginecologo lo aveva rassicurato che non avrebbe compromesso una crescita sana del bambino. Inoltre, per lui sarebbe stato meglio.
« Ma vorrei che fossimo noi a comprare qualcosa a nostro figlio! Non lo so, tipo andare a fare shopping insieme come nei film! Di questo passo non potremmo farlo »
Si lagnò, afferrando una busta in cui se ne stava un peluche a forma di mezza luna.
« Ci servono ancora parecchie cose »
Gli ricordò Wakatoshi. Aveva piegato la tutina e ora era passato ad un paio di piccoli calzini bianchi che erano grandi quanto il suo pollice.
« E qui dentro non entra più niente! »
Brontolò lui, strizzandosi il peluche della mezza luna sorridente al petto, era morbido.
« A tal proposito, Tooru, stavo pensando una cosa » Wakatoshi attirò la sua attenzione.
Aveva messo da parte gli indumenti da neonato e intrecciato le dita nel vuoto.
Lo guardava, ma la sua espressione era come al solito totalmente illeggibile.
« Pensavo che dovremmo cambiare casa. Comprarne una più grande, magari. Questa andava bene per noi due, ma saremo in tre » Tooru aveva preso in considerazione l'idea.
La mansarda era troppo piccola perché potessero starci tutti e tre.
I primi tempi sarebbe anche potuto andar bene, ma il bambino non aveva una stanza e a lungo andare sarebbe diventato un problema.
Inoltre, salire le rampe di scale fino al settimo piano stava davvero diventando problematico.
Era consapevole di quelle cose e ci aveva pensato, dal primo momento, era solo che ...
In quel posto avevano tutti i loro ricordi più belli. Ci erano andati a vivere insieme che erano ancora due ragazzini, l'avevano trasformata nel loro nido a poco a poco, con estremo sacrificio. Tooru amava quella casa.
Come se avesse intuito il suo turbamento - in un rarissimo caso di empatia - Wakatoshi gli prese una mano, stringendola tra le sue.
« Lo so che non è facile accettare l'idea di lasciare questo posto. Ma avremo un bambino, Tooru. E creeremo altri ricordi con lui nella nuova casa, che diventerà nostra »
Wakatoshi aveva ragione, ovviamente.
Erano i ricordi che Tooru faceva fatica a lasciare, ma ne avrebbero creati di nuovi.
Avevano molto da fare nei tempi a venire.
Si portò una mano sotto il ventre.
« Ma si, hai ragione. Dovremmo farlo adesso, prima che mi diventi troppo difficile pensare ad un trasloco e tutto il resto »
Si arrese, guardando il suo salotto-cucina-ingresso come se fosse già l'ultima volta.
« Potrai arredare la stanza del bambino come vorrai. Andremo a fare shopping come nei film, se è quello che vuoi » Gli concesse Wakatoshi, Tooru gli rivolse un sorrisetto compiaciuto, fece per dire qualcosa e fu a quel punto che accadde: un colpo.
Non fu fortissimo, la sensazione era la stessa che avrebbe potuto provare se avesse avuto un movimento intestinale, ma lo lasciò senza fiato.
Strinse involontariamente la mano di Wakatoshi con forza e fissò il vuoto.
Poi lo sentì di nuovo, un movimento.
« Tooru, cosa - »
« Shhhh » Lo mise a tacere, emozionato, e gli premette la stessa mano che aveva stretto sotto l'ombelico, dove aveva sentito quella strana sensazione. Alcuni secondi di attesa ed ecco che successe di nuovo. Wakatoshi lo guardò, impassibile.
« Si muove » Disse l'ovvio, monocorde.
Tooru scoppiò a ridere, emozionato.
« Oddio, è come avere un verme nella pancia o un passaggio d'aria, non lo so! »
« Non paragonare nostro figlio ad un passaggio d'aria intestinale, Tooru »
« Si, ma - ahia! Questo era un calcio!? » Gli uscì una voce indignata e si fissò la pancia, nel punto in cui le loro mani intrecciate premevano, leggermente a sinistra, vicino al fianco.
« Deve essersi arrabbiato perché lo hai paragonato ad un verme o ad una scoreg - »
« Va bene, ho capito! Ho capito! Scusa, brutto marmocchio. Non lo dirò più »
Si lagnò, rivolgendo una brutta occhiataccia alla sua stessa pancia.
Al suo fianco, Wakatoshi sorrise.


Le settimane successive furono impegnative.
A metà Maggio - quando Tooru era entrato nella ventiquattresima settimana - Shouyou e Tobio si sposarono. Fu un bel giorno di sole.
La cerimonia si tenne all'aperto.
Fu commovente e divertente allo stesso tempo, quando Shouyou si impappinò con i voti e Tobio gli diede dell'idiota a voce alta.
Il ricevimento era in un bel posto.
Una tenuta piena di verde, vetri e una grossa piscina che da sola faceva la sua figura.
Tooru aveva male ai piedi, mal di schiena e bruciore di stomaco.
Tutti lo fermavano per toccare o congratularsi del bambino, sentirlo muovere.
Dalla prima volta che era successo, lui e Wakatoshi si erano resi conto che era un bambino tutto sommato tranquillo.
Si muoveva raramente, con colpetti leggeri.
Tooru non mangiò molto - nonostante le portate sembrassero non finire mai -, le nausee gli davano ancora fastidio ogni tanto, ma fu davvero una giornata piacevole.
Ballò con Wakatoshi un paio di volte, un lento, come avevano fatto al loro matrimonio.
Era contento per Shouyou e Tobio.
Sembravano felici e innamorati - stavano insieme dal secondo anno di liceo e anche loro avevano percorso una lunga strada prima di arrivare a quel punto.
Il momento migliore della serata arrivò quando Shouyou si decise a lanciare il minuscolo bouquet di fiori ornamentali che qualcuno gli aveva piazzato in mano a forza.
Tooru si era messo da parte, come tutte le persone con un anello già al dito, godendosi la scena dal suo tavolo mentre si abbuffava di dolci - il bambino sembrava amarli.
Shouyou tirò con troppa forza. Il bouquet schizzò in aria, colpì il soffitto e deviò su un tavolo vicino, atterrando dritto tra le gambe di Kei Tsukishima.
Il biondo non si era voluto alzare per partecipare a quella "sciocchezza" - come l'aveva definita lui stesso - eppure ci si era trovato coinvolto ugualmente.
Tooru aveva adorato la sua faccia in quel momento, come se avesse qualcosa di morto addosso - era la stessa che aveva fatto quando gli avevano messo tra le mani Hiroto.
« Kei, pare che qualcuno voglia farti sposare a tutti i costi » Gli aveva detto Tadashi, il suo amico Omega di sempre. Al suo fianco Hitoka, la sua compagna Omega, aveva riso.
« Oh oh, mi sa che dovrò scappare in Messico »
Era stato invece il commento sagace di Tetsuro, il compagno di Kei.
Erano due Alfa, due Alfa molto dominanti.
Tooru si era sempre chiesto come facessero a stare insieme, avevano entrambi un'indole mefistofelica, doveva ammetterlo - ce l'aveva anche lui -, ma le cose in comune finivano li.
Kei aveva messo il bouquet tra le braccia di Tadashi a forza, con un colpo secco, facendo impanicare l'amico. Poi aveva fatto un sorrisetto beffardo, aggiustandosi gli occhiali sul naso con un movimento aggraziato.
« Il giorno in cui deciderò di sposarti volontariamente sarò diventato idiota »
Era stato il commento pacato, micidiale.
Era andato via con grazia.
« Ehi Kei, che vuol dire? Kei! » Lo aveva inseguito Tetsuro.
Tooru si era goduto la scena mentre sorseggiava un deprimente bicchiere d'acqua come se fosse una pregiata coppa di champagne - che non aveva potuto bere per via del moccioso che aveva dentro.
« Non gongolare tanto, Tooru »
Lo aveva ripreso Wakatoshi, al suo fianco.
Si era sbottonato la camicia e anche i pantaloni, perché aveva mangiato troppo.
Era maledettamente sexy.
« Ma è stato divertente, lo devi ammettere »
Wakatoshi non rispose e lui ghignò.
Fu davvero una bella giornata.


Quella notte successe una cosa bellissima.
Tooru era nella vasca a fare un bagno caldo per rilassare i muscoli e i piedi doloranti.
Si guardava la pancia incantato.
« Tooru, vuoi - » Wakatoshi era entrato con discrezione, per vedere se avesse bisogno di aiuto ad uscire. Tooru lo aveva zittito.
Poi: « Guarda » Un mormorio.
Wakatoshi si era avvicinato, sedendosi sul bordo della vasca, e aveva guardato.
La minuscola impronta di un piede che premeva contro la pelle, quattro centimetri appena. Poi un movimento lungo la superficie, e infine una spina dorsale.
Era stato un momento unico. Emozionante.


Il trasloco avvenne durante la trentesima settimana. Non fu affatto una buona idea.
Tooru si era fatto decisamente più grosso.
Non aveva preso personalmente peso, ma la pancia era cresciuta tutta insieme.
Inoltre, non si vedeva più i piedi, piegarsi era diventato impossibile e aveva le caviglie terribilmente gonfie. Odiava tutto e tutti.
Fu davvero stressante.
In realtà non gli permisero di fare molto.
Il primo in assoluto fu Wakatoshi, Tooru non lo aveva mai visto tanto categorico prima di allora. Aveva chiamato i suoi amici perché aiutassero e si era occupato personalmente dei lavori in casa. Siccome avevano comprato una bifamiliare nella zona più periferica della città, ma comunque vicina al centro, Wakatoshi aveva fatto in modo che fosse come Tooru la voleva. Non l'avrebbero più lasciata.
Ed era bella grossa, almeno rispetto alla mansarda.
Era stato un bel cambiamento, e Tooru aveva versato qualche lacrima quando si erano chiusi la porta alle spalle e avevano consegnato le chiavi al proprietario.
Tutti avevano dato una mano a sistemare, ma una sola stanza Tooru aveva preteso per sé, incurante dei rimproveri di sua madre, sua suocera o della nonna di Wakatoshi: la cameretta di suo figlio. Si furono sistemati del tutto, effettivamente, quando lui era ormai entrato nella trentatreesima settimana di gravidanza.
Tooru non si era ambientato in fretta, anche se la nuova casa gli piaceva davvero.
Aveva una cucina grande, finalmente, un salotto dove ospitare persone, spazio.
Era tutto in ordine, e ogni cosa aveva il proprio posto, possedeva perfino un ripostiglio e due bagni. Ma era tutto nuovo.
Fu solamente i primi giorni, ma li passò in compagnia di sua madre, che andava a trovarlo per aiutarlo a sistemare, o in compagnia di sua sorella e suo nipote Takeru - che aveva ormai vent'anni -, o di Koushi e Hiroto, anche di Shouyou quando tornò dalla luna di miele alle Maldive tutto abbronzato.
« È normale, Tooru » Gli diceva sua madre ogni volta « Aspetta che nasca il bambino e questa casa si riempirà di rumore e di bei ricordi e non vorrai mai più lasciarla »
Tooru le credeva. E fu solo una fase.
Terminò la camera del suo bambino alla trentaquattresima settimana - al principio dell'ottavo mese di gravidanza, in pieno Agosto bollente.
Indossava una salopette di jeans premaman estiva, con una maglietta bianca a mezze maniche extralarge sotto. Aveva caldo, caldissimo, era sudato.
Il bambino pesava e scalciava, anche se non in maniera eccessiva, da farlo male - aveva sperimentato colpi dolorosi -, gli mancava un po' il respiro e aveva avuto anche dolori al basso ventre. Kenjirou le aveva chiamate contrazioni di Braxton-Hicks, ovvero preparatorie, sta di fatto che lui e Wakatoshi avevano dato di matto quando era successo la prima volta, in pieno trasloco. Era tutte quelle cose, ma era anche soddisfatto di sé stesso, con una mano sotto la pancia, sullo stipite della porta.
E fu così che lo trovò Wakatoshi.
« Tooru, ho tagliato l'anguria. Ne vuoi? » Anche lui era mezzo nudo, con una canotta nera aderente, un paio di pantaloncini e i piedi scalzi, si sudava senza fare niente.
Tra le mani reggeva un vassoio con la frutta.
« Si, ma prima vieni a vedere » Gli fece cenno di avvicinarsi, sorrideva.
Wakatoshi lo fece e gli si mise dietro.
Sul pavimento, Tooru aveva messo dei tappeti pelosi, azzurri. La culla - una di quelle carine con la tenda dietro - era sistemata in un angolo, rivolta dritta verso la porta.
Le pareti erano bianche, attraversate su due lati da un volo di rondini azzurre.
Vi era poi il fasciatoio, l'armadio, l'angolo dei giochi e quello con una bella poltrona di vimini rivolta alla finestra. Tooru l'aveva riempita di cuscini e coperte.
« Che te ne pare? » Chiese, tutto contento.
« È molto bella » Concesse Wakatoshi.
Quella camera finita rendeva tutto molto reale e imminente, per entrambi.
« E guarda che succede se spengo la luce! » Gli disse Tooru entusiasta, eseguendo.
Dappertutto si proiettarono stelle colorate dal soffitto, era stato Shouyou ad aiutarlo a mettercele, o forse era meglio dire che lui si era limitato a comandarlo mentre l'altro saliva sulla scala traballante. Erano luci soffuse, che non davano fastidio alla vista.
« Certo, le apprezzerà un po' più in là ... »
« Gli piaceranno, ne sono sicuro »
Tooru tornò a guardare Wakatoshi. Sudore gli imperlava la fronte.
Era in ferie, ma si sarebbe presto preso anche un congedo di paternità, almeno per le prime settimane dopo la nascita.
« Andiamo a mangiare una fettina di anguria in veranda, soffia un po' di brezza lì »
Lo invitò. Tooru gli prese la mano e scesero.
Wakatoshi aveva detto la verità.
Li l'aria era meno statica, più fresca. Si misero seduti sul dondolo, Tooru con le ginocchia tirate contro la pancia - per quanto gli fosse possibile - e Wakatoshi al suo fianco, entrambi con una fetta d'anguria ghiacciata in mano.
« Oggi tuo figlio è parecchio agitato » Gli fece sapere Tooru ad un certo punto, mentre si puliva il mento da una scia di succo appiccicoso e zuccheroso.
« Vorrà uscire » Wakatoshi gli posò una mano sulla pancia, per sentire.
« Non se ne parla, non prima di altre sei settimane almeno! »
Sbottò, e non solo perché non si sentiva affatto pronto, ma perché proprio non gli andava l'idea di un parto prematuro. Nemmeno un po'.
Troppo dramma. Davvero troppo.
« Vedi di restare dentro, tu! » Disse, premendosi un dito sulla pancia con forza, sul fianco « Non ho intenzione di - ahia! Brutto marmocchio insolente! »
Gli arrivò un altro calcio nello stesso punto e imprecò a voce alta.
La mano di Wakatoshi fu subito nella zona dove il bambino scalciava.
Fece pressione con il palmo bollente.
Faceva così caldo che Tooru fu tentato di allontanarlo malamente - come faceva di notte perché era una stufa vivente, anche con la pancia di mezzo -, se non fosse stato per il fatto che il bambino si calmò subito.
« Non prendere a calci tua madre »
La voce di Wakatoshi non assomigliava per niente ad un rimprovero, ma il bambino smise.
Tooru fece una risata incredula.
« Ascolti solo tuo padre eh? »
Rimasero in veranda a battibeccare su quella faccenda fino a quando non fu ora di cena.
Nel loro giardino le cicale cantavano.


Quando gli si ruppero le acque - durante la trentottesima settimana - Tooru era in un supermercato in compagnia di sua madre e di sua suocera.
Successe all'improvviso, nel reparto degli ortaggi, accanto ai peperoni.
Sua madre e Sachiko stavano discutendo.
Litigavano su quale tipo di melanzana fosse meglio acquistare, quale facesse meglio al bambino o meno. Tooru era annoiato.
Non aveva la forza per ribattere o intromettersi in quel bisticcio, per dire loro che una verdura valeva l'altra. Ormai camminava come una papera.
Il bambino pesava davvero, gli faceva male la schiena, non riusciva più a fare alcune cose basilari, come alzarsi dalla vasca, o mettere le scarpe, oppure chinarsi a prendere qualcosa. Era davvero insofferente.
Era l'inizio di Settembre, ma faceva ancora caldo. Si era fatto un'estate terribile. Atroce.
Afferrò un peperone, ma non guardò davvero.
Fece una smorfia quando una fitta al basso ventre lo colse alla sprovvista, negli ultimi giorno si erano fatte più frequenti. Lasciò perdere il peperone e si passò una mano nella parte bassa del ventre, massaggiando la zona dolorante.
« La frittura è tassativamente vietata »
Stava dicendo Sachiko con quel suo tono di pura disapprovazione che Tooru ben conosceva, avendolo sperimentato addosso.
« Non ha mai ucciso nessuno » Fu la replica di sua madre, noncurante.
« Potrei dissentire »
« Oh, non avevo dubbi a riguardo »
La fitta si fece un po' più forte, si aggrappò con la mano libera al carrello della spesa.
« La potete finire di - »
Non terminò mai la frase, cominciata a voce bassa, con un pizzico di irritazione evidente.
Il fatto è che pensò per un momento di essersela fatta addosso senza controllo.
Indossava una salopette blu extra large di stoffa, comoda e pratica, guardò in basso e vide la chiazza più scura e il pavimento bagnato. Ci mise qualche secondo per capire.
Non se l'era affatto fatta addosso, ma -
« E adesso mi verrai a dire che è tutta colpa di mio figlio se Wakatoshi vi ha proibito di trasferirvi a casa loro quando sarà nato il bambino! » Stava dicendo sua madre, proprio nel momento esatto in cui arrivò una contrazione. Tooru unì le labbra in una linea sottile.
Porca puttana, imprecò mentalmente.
Non ce la poteva fare. Non poteva.
Quelle contrazioni non erano nemmeno forti chissà quanto e già si sentiva morire ...
« Mio figlio si lascia influenzare »
« Tuo figlio è un santo! Non so come sia venuto fuori un uomo simile da - »
« Mi si sono rotte le acque »
Tooru interruppe il battibecco delle donne.
Saeko e Sachiko lo fissarono.
Erano ancora davanti ai peperoni, Tooru aveva perso sensibilità alla mano per quanto forte stava stringendo il manico del carrello.
La contrazione scemò lentamente.
« Tooru, caro, cosa hai - »
« Mi si sono rotte le acque! » Sbraitò a quel punto, totalmente impanicato, mentre le persone nel reparto ortaggi si voltavano.
« Il bambino sta per nascere! » Strillò sua madre, lasciando cadere a terra un sacco di patate, mentre si portava le mani in faccia come nel quadro dell'Urlo di Munch.
« Ma davvero?! » Fu la replica isterica di Tooru. Era assurdo, starsene fermo nella corsia di un supermercato con le gambe divaricate e la salopette bagnata come se se la fosse fatta sotto - nemmeno la ricordava l'ultima volta che aveva bagnato il letto.
Fu per quel motivo che adorò sua suocera, ma solo in quell'occasione.
« Dobbiamo andare, svelti » Sbottò quella, pratica, prendendo in mano la situazione.


Fu lungo e stancante. Dall'inizio alla fine.
Tooru ebbe come l'impressione che non finisse mai. Prima andarono a casa a prendere la borsa con il necessario - l'aveva preparata in anticipo -, mentre Sachiko si premurava di informare Wakatoshi e rimproverarlo aspramente di chissà cosa.
Forse era andato in panico, dopotutto.
Poi andarono alla clinica privata, dopo aver avvisato Kenjirou, che aveva dato l'okay perché venissero. Le contrazioni erano ancora molto distanti l'una dall'altra.
Tooru aveva fatto una serie di accertamenti.
Era nel bel mezzo di una contrazione particolarmente dolorosa quando arrivò Wakatoshi, un paio di ore più tardi. Tooru era aggrappato con le mani alle braccia di sua madre, seduto sul bordo del letto nella sua camera privata, con il camice addosso.
Non piangeva ancora, ma solo per orgoglio.
Un'infermiera gentile gli massaggiava la schiena, intimandogli di respirare come aveva imparato durante il corso pre-parto. Tooru era a tanto così dal mandarla a fanculo.
Fu a quel punto che si aprì la porta.
« Scusatemi, c'era un incidente per strada »
Wakatoshi cominciò a parlare ancora prima di entrare del tutto, affannato e stravolto.
Tooru gli rivolse una brutta occhiataccia.
« E poi sono caduto fuori al cortile dell'ospedale e - »
« Wakatoshi, ricomponiti » Lo rimproverò immediatamente Sachiko, seduta sulla poltrona in un angolo della stanza. Tooru aveva provato a farla cacciare, ma non ci era riuscito, aveva il sospetto che la strega volesse godersi la sua sofferenza.
Guardò suo marito - mentre la contrazione scemava - e si rese conto che aveva il cappotto e la chiappa destra dei pantaloni sporchi, e la mano era tutta graffiata di sangue sulle nocche.
Fece un sospiro.
« Fatti disinfettare, qui va tutto bene »
Voleva tranquillizzarlo, ma la sua voce era tesa. Wakatoshi fece un passo avanti.
« Ho fatto tutti i controlli, anche il tracciato. I movimenti del bambino sono normali. E le contrazioni ancora in fase iniziale, non si sta dilatando niente, non nascerà adesso, perciò vai Wakatoshi. Coraggio » Lo incalzò. Si guardarono e Tooru lesse in lui la preoccupazione e il senso di colpa, anche se la sua espressione non era tanto diversa dal solito.
Gli accennò un sorriso teso.
« Venga con me, faremo subito »
Lo incoraggiò l'infermiera - era una Beta - gentilmente. Wakatoshi la seguì.
Quando si fu allontanato Tooru ebbe un'altra contrazione dolorosa e gemette, mentre sua madre gli accarezzava la testa.


Durò tutta la sera e buona parte della notte.
Quando iniziò la fase del travaglio - con contrazioni tra i quaranta e sessanta secondi ogni cinque minuti -, lo fecero camminare, cambiare posizione, oscillare su una palla di gomma enorme, gli misero una boule dell'acqua calda sulla schiena.
Tooru sapeva che tutto quello serviva per facilitare la dilatazione, ma odiava ogni cosa.
Il dolore, le persone - non era mai la stessa - che venivano a controllare ogni tanto come procedeva, Kenjirou, il bambino, sua madre, Wakatoshi, sua suocera, la scelta di tenerlo.
Durante una delle oscillazioni sulla palla - erano le tre di notte - se la prese con Wakatoshi. Nella stanza, dietro il separé, Sachiko e sua madre si erano appisolate.
Nella camera c'erano solo loro e un infermiere.
Era un uomo adulto, Omega, che aveva partorito quattro bambini.
Durante una contrazione dolorosissima - ormai non nascondeva più le lacrime -, mentre oscillava ritmicamente, senza riuscire a respirare bene, Wakatoshi gli toccò la schiena.
Tooru era sudato, faceva schifo. E non sopportava di essere toccato.
Sapeva che Wakatoshi voleva essere d'aiuto, ma sbottò lo stesso: « Non mi toccare! Non mi devi toccare, vattene! Vattene! »
Lo scacciò via e poi fece un gemito di dolore, portandosi una mano sotto la pancia.
Wakatoshi allontanò la mano, ma rimase accovacciato a terra, accanto a lui.
« Non ce la faccio più » Decretò, parlando con l'infermiere, disperato « Tiratelo fuori. Non ce la faccio più! »
« Non ancora, Tooru. La dilatazione è di soli sei centimetri, devi avere un po' di pazienza, coraggio. Sei stato bravo fino ad ora » Tooru singhiozzò come un bambino.
« Ma siamo qui dentro da dodici ore! Fa malissimo! Voglio solo che esca! »
L'ultima parola gli uscì urlata per via del dolore, e di un'altra contrazione.
L'infermiere gli si inginocchiò davanti.
« Vuoi qualcosa da mangiare? Un biscotto? Della cioccolata? Che ne dici? »
« Nooo! » Si lagnò come un bambino.
Era certo che avrebbe vomitato se avesse assunto qualsiasi forma di cibo.
« Voglio l'epidurale! Lo voglio! »
« Tooru, sei allergico. Non si può »
Intervenne immediatamente Wakatoshi.
Non avrebbe dovuto farlo. Tooru se ne fregava di essere allergico, voleva solo qualcosa che alleviasse quel maledetto dolore. Qualsiasi cosa.
« Wakatoshi ti giuro che la prossima volta che mi vieni dentro ti taglio il cazzo! »
Strepitò, per poi accartocciarsi su se stesso.
« Preferirei di no, per favore » Fu la sua risposta tranquilla.
Avrebbe potuto dirgli che era stato lui a dimenticare la pillola, ma siccome Wakatoshi non era uno stronzo, non lo fece. Tooru però non aveva finito.
« Per te è facile parlare! Non sei tu ad avere questo moccioso dentro! Non sei tu a soffrire come un cane e a ed essere umiliato in questo modo! Ecco perché odio essere un Omega, perché sapevo che avrei fatto questa fine! Ora voglio solo che lo tirino fuori e basta! Non avrei mai dovuto farlo! » Strepitò, piangendo disperatamente.
Wakatoshi rimase in silenzio, senza toccarlo.
Quando la contrazione scemò, Tooru fece un respiro profondo e si rese conto di quello che aveva detto. Ma non chiese scusa.
Si asciugò il volto, sua madre produsse una sorta di grugnito nel sonno.
Tooru invidiava lei e sua suocera per il sonno pacifico.
« Ora ti faccio fare un bagno caldo, Tooru. Ti aiuterà a sentirti meglio »
Intervenne l'infermiere con voce serena, bassa.
Come se non avesse appena dato di matto.
Si vedeva che era abituato a quelle scenate.


Lo fecero mettere in una piscina di acqua calda.
Tooru si mise in posizione dritta, piegato sulle ginocchia, il busto in avanti, mentre Wakatoshi gli premeva le mani dietro la schiena nuda, sulla base.
Si sentiva meglio in quella posizione.
Non aveva chiesto un parto in acqua, ma forse avrebbe dovuto farlo. Se ne pentì.
« Ti senti meglio così? »Wakatoshi parlava a voce bassa.
Erano le quattro del mattino, la clinica era relativamente silenziosa.
Tooru voltò la testa per guardarlo, sembrava terribilmente stanco.
Era venuto di corsa dal lavoro, indossava ancora la camicia bianca elegante, ormai stropicciata e bagnata. Non aveva mangiato niente dall'ora di pranzo, era anche caduto.
La sua mano ormai era tutta un livido.
« Scusami per prima » Fu la risposta che gli uscì di bocca, mentre tornava a guardare avanti a sé la parete dipinta di rosa pesca.
« Non ti devi scusare » Fu la risposta immediata « Io non sarei mai stato in grado di fare quello che stai facendo tu, Tooru »
Strinse le mani attorno al bordo di plastica delle piscinetta, fissando gli schizzi d'acqua.
« E non sai quanto ti sia grato per quello che mi darai alla fine di questa lunga notte »
Staccò la mano destra e se la posò sul ventre.
Voleva conoscere suo figlio.
Era curioso e impaziente di vedere come era fatto. Non si era davvero pentito di averlo.
Lo disse a Wakatoshi: « Sono felice di essere arrivato fin qui. Con te. Se io fossi stato un Beta forse non avremmo mai potuto avere tutto questo, quindi non voglio lamentarmi troppo. Sono grato anche io. E non vedo l'ora di conoscere nostro figlio »
Parlò senza guardalo in faccia, perché un po' si vergognava. Wakatoshi però sapeva che era stato il dolore a parlare, lo capiva.
A quel punto arrivò l'ennesima contrazione.
Tooru si tese tutto, inarcando la schiena.
Quando Wakatoshi lo toccò, non lo respinse.


Il bambino venne al mondo alle sette del mattino. Puntuale.
Sedici ore di travaglio, tre chili e mezzo, sano, senza complicazioni.
Tooru lo ebbe subito tra le braccia, ancora sporco e attaccato al cordone ombelicale, che piangeva appena come se si stesse strozzando.
Il bambino gli si rannicchiò come una ranocchia al petto, gli avevano detto che doveva emettere feromoni per tranquillizzarlo e anche se distrutto, Tooru lo fece.
Nella sala parto erano presenti solo dottori e infermieri Omega.
Wakatoshi era l'unico Alfa a cui fosse stato permesso l'accesso - per gioia di Tooru, perché sua suocera si era imposta di assistere e invece era stata sbattuta fuori.
Tooru non sapeva bene cosa provare.
Gli ultimi istanti erano stati ... veloci.
E ora aveva quel peso leggero e bollente sul petto, ancora sporco di liquido amniotico.
Lo guardò, il visetto rivolto verso di lui.
Era rosso come un pomodoro, raggrinzito che pareva un vecchio, con pochi capelli castani sul capo: perfetto. Lo aveva fatto perfetto.
Gli toccò una guancia con il dito.
« Ehi, ciao. Ciao. Finalmente ti vedo. Sei parecchio bruttino, vero? Un mostriciattolo »
Il bambino non aveva aperto gli occhi.
Pareva dormire, avvolto dai suoi feromoni e da quelli di Wakatoshi, lì al suo fianco.
« Tooru » Lo riprese quest'ultimo. Lui rise, con la voce ancora roca e arsa.
Improvvisamente, come per magia, il dolore non lo ricordava più. Non c'era mai stato.
« Lo abbiamo fatto noi, Wakatoshi » Pareva meravigliato, incredulo. Lo era.
Wakatoshi allungò una mano e la mise aperta sulla schiena del bambino, Tooru sentì i suoi feromoni al sandalo e alle spezie e gli si strinse il cuore quando si rese conto che il palmo di quella mano che amava era grande quasi quanto il loro bambino.
« È nostro figlio » Replicò, Tooru distolse lo sguardo dal visetto estraneo per guardarlo.
Wakatoshi aveva occhi solo per la loro creatura, incantato e forse commosso.
Con la mano libera Tooru lo accarezzò.
« Si, nostro figlio. Ren. Ciao Ren » Avevano scelto il nome giusto, perché il loro bambino - era un Alfa, Tooru non aveva bisogno di chiedere per saperlo - profumava di fiori, i suoi piccoli feromoni che reagivano.
« Siamo la mamma - »
« - e il papà »
Ren aprì gli occhi, lentamente, come se fossero appiccicati con la colla.
Erano di un colore indefinito. Li guardò.
Fu una sensazione assoluta, totale. Unica.
« Grazie, Tooru » Wakatoshi lo baciò sulla tempia. Poi si strinsero tutti insieme.
Loro tre per la prima volta.


I giorni seguenti ci furono le visite.
Sua madre, suo padre, Sachiko e Madame Satsuki furono i primi a vedere il bambino.
Entrarono nella stanza privata di Tooru un paio di ore dopo la nascita, una volta che madre e figlio erano stati sistemati. Tooru lo aveva tra le braccia quando arrivarono.
Gli stava dando il latte, osservando con espressione incantata quelle labbra a forma di cuore che tiravano la tettina del biberon.
« Oh guarda, sono arrivati i nonni! » Aveva detto con una vocetta allegra.
Sua madre era entrata facendo chiasso e si era messa a piangere non appena li aveva visti. Tooru le aveva sorriso dolcemente.
« Oh figlio mio, che meraviglia! »
« Congratulazioni, bambino mio » Era stato il commento di suo padre.
A Tooru dispiaceva che Wakatoshi non fosse presente, ma lo aveva mandato a mangiare qualcosa - lui si era fatto un'abbuffata di sushi offerta dalla clinica - prima che svenisse.
« Un maschio Alfa! » Aveva invece decretato la nonna befana, sbattendo il bastone a terra con un colpo secco, un'espressione soddisfatta sul viso.
Tooru aveva fatto un sorriso teso, maledicendola interiormente.
Odiava avergliela data vinta, immensamente.
Sachiko invece aveva fatto una cosa inedita. Lo aveva accarezzato sulla testa, in un gesto quasi affettuoso, e gli aveva detto: « Sei stato bravo, Tooru »
Era rimasto sorpreso dal gesto in un primo momento, ma poi le aveva concesso un sorriso.
Il primo che non fosse forzato.
Tooru aveva lasciato che ognuno di loro tenesse in braccio il bambino - che dormì per tutto il tempo indisturbato -, fino a quando sua madre e Sachiko non iniziarono a bisticciare su chi lo avesse tenuto di più. A quel punto per fortuna tornò Wakatoshi.
Tooru gli piazzò subito Ren tra le braccia - lo divertiva troppo vedere quanto fosse impacciato e quanto fosse minuscolo contro il suo petto - e le attenzioni andarono a lui.


Poi fu il turno dei loro amici.
Daichi, Koushi, Shouyou e Tobio.
Poi vennero Takahiro e Issei, portandosi dietro un enorme peluche, che fecero arrabbiare Tooru perché dissero che Ren assomigliava a Wakatoshi.
Eita, che passò con Reon.
E poi Satori e Hajime. La loro visita fu un ostinato tentativo da parte del primo di convincere il secondo ad avere un figlio usando Ren.
Hajime aveva un debole per il bambino, cosa che Tooru adorò.
Se la rise per tutto il tempo, fino a quando non arrivò il momento di cambiargli il pannolino e Satori e Hajime trovarono improvvisamente qualcosa da dover fare.


Il terzo giorno tornarono a casa.

 
***


I primi mesi furono stressanti.
Tooru e Wakatoshi impararono presto a conoscere Ren. Era un bambino che piangeva poco, tendenzialmente poco espressivo - « Oh no, ha preso da Wakatoshi! » -, la notte non li faceva dormire, mangiava parecchio. Non sopportava stare in braccio alla nonna di Wakatoshi - Tooru era particolarmente soddisfatto di sé per quello -, e assomigliava chiaramente di più al padre, anche se quello venne fuori pian piano, con il tempo.
Vi erano giorni buoni e giorni cattivi.
Giorni in cui Tooru si sentiva bene e altri in cui scoppiava a piangere, disperato.
Sua madre e sua sorella erano lì ad aiutare.
La cosa più stancante erano le notti di veglia.
A volte Tooru si svegliava, verso le tre di notte, e trovava il lato del letto accanto al suo vuoto, le coperte sfatte. Scendeva in cucina e trovava sempre la luce soffusa sotto la cappa accesa, la formula del latte in polvere aperta sul bancone, un biberon vuoto, disordine, e Wakatoshi che passeggiava nel salotto con Ren appoggiato sulla spalla.
Riusciva a tenerlo con una mano sola per le gambette rannicchiate, mentre gli massaggiava la schiena invogliandolo a digerire il latte.
Tooru, nonostante fosse stanco e distrutto - anche se fisicamente stava reagendo molto bene al postpartum - rimaneva sempre un po', nascosto, per godersi quella scena.
In quei momenti era felice di aver partorito Ren, di aver reso padre l'uomo che amava.
Altre notti era lui ad alzarsi quando Ren non dormiva, sveglio come se avesse avuto una dose di caffeina direttamente in endovena. Lo prendeva e andava in cucina, gli preparava il latte e poi si sistemava con lui nella sua cameretta con le stelle luminose, accoccolato sulla sedia di vimini mentre gli dava il latte e gli cantava una canzoncina.
Ren lo guardava sempre mentre succhiava dal biberon, vorace, con quegli occhi taglienti, che ormai era chiaro a chi appartenessero.
Pareva fiducioso tra le sue braccia, come se sapesse che a stringerlo era chi lo aveva messo al mondo. In quel momento i suoi feromoni da neonato, ai fiori, riempivano la stanza in reazione a quelli di Tooru.
« Sei l'amore della mia vita » Gli bisbigliava lui nel silenzio della notte « Ma non lo dire a tuo padre, altrimenti diventa geloso »


Tooru aveva sempre pensato che amare Wakatoshi fosse il massimo che riuscisse a fare o esprimere. Ma non aveva ancora incontrato suo figlio.
Non sapeva che il cuore potesse raddoppiare l'amore come se niente fosse.


Portò per la prima volta Ren alla libreria quando aveva appena compiuto quattro mesi.
Aveva appena cominciato a svezzarlo.
Ad un anno esatto dal giorno in cui aveva scoperto di aspettarlo.
La vita era cambiata così velocemente in un tempo tanto breve.
Vestito nella sua tutina invernale, serio.
Ormai Tooru si era arreso al fatto che di lui avesse veramente poco, il colore dei capelli, la bocca, alcune espressioni. Ma finiva li.
Ren aveva cominciato a sorridere, ma lo faceva raramente e solo con loro - la prima volta che era successo, Tooru aveva saltellato nella stanza come un pazzo -, e a vedere distintamente.
Produceva anche dei versetti.
Suoni strani che Tooru non aveva mai trovato tanto adorabili prima di allora.
Shouyou impazzì quando lo vide nel suo passeggino, tutto bello imbacuccato.
« Ren, amore dello zio, vieni qui! » Il bambino rimase impassibile, continuando a succhiare il suo ciuccio di caucciù con una certa aggressività.
Non si scompose nemmeno quando Shouyou lo prese in braccio, spogliandolo perché in negozio faceva caldo. Tooru rise, andando al bancone.
Aveva deciso - d'accordo con Wakatoshi - che avrebbe ripreso a lavorare per qualche ora al giorno. Niente di impegnativo, ma il lavoro gli mancava terribilmente.
Koushi aveva messo Hiroto - ormai un fiero pargoletto di un anno e tre mesi - nella ludoteca, dove poteva prendersene cura mentre lavorava. Era una buona idea, e quando sarebbe stato il momento ...
« Me lo fai un sorriso, Ren? Uno solo? Si? »
Stava dicendo Shouyou con voce idiota.
Tooru sorrise intenerito. Era contento di vedere l'amico reagire in quel modo dopo la disgrazia che aveva avuto solo poche settimane prima.
Lui e Tobio avevano provato ad avere un bambino, ed era successo.
Una vera gioia il momento in cui lo avevano scoperto.
Alla seconda visita ginecologica, tuttavia, il feto non aveva più battito.
Era successo così, all'improvviso, senza un motivo preciso e apparente.
Cose che capitano, gli era stato detto.
Shouyou era un raggio di sole ed era andato avanti, ma Tooru non aveva la pretesa di sapere che cosa provasse dentro realmente.
Ne come l'avesse presa Tobio.
In quei momenti guardava Ren e si sentiva tanto fortunato che fosse andato tutto bene.
« Sta molto meglio » Gli disse Koushi, intuendo i suoi pensieri, spuntato dietro le sue spalle con quel suo fare silenzioso. Stava pulendo la ludoteca mentre Yuu - un piccoletto Omega energico e tutto fuoco - badava al negozio.
Era il lavoratore part-time che avevano assunto e deciso di tenere con loro.
In quel momento stava intrattenendo dei clienti convincendoli a compare un mucchio di libri con la sua aria frizzante.
« Temevo che Ren potesse rattristarlo »
Ammise, toccando il bancone con nostalgia.
« Ren è un amore di bambino. E Shouyou lo sa che quello che è successo è solo una disgrazia. Ma sicuramente ci vorrà tempo prima che lui e Tobio decidano di riprovarci »
Tooru non seppe che cosa aggiungere, così si limitò ad annuire.
Koushi poteva sicuramente capire Shouyou meglio di chiunque altro.
Lui e Wakatoshi non avevano nemmeno provato ad avere un figlio, era stato un incidente e Ren era lì, sano, forte, vivace. Non si era mai reso conto della sua fortuna.
Ma mentre osservava Shouyou fare il solletico sul pancino a Ren per strappargli un sorriso - ci riuscì - se ne rese conto.
Era davvero fortunato e grato.

 
***


Ren era innamorato perso di suo padre.
E quell'amore era del tutto ricambiato.
Tooru se ne rese conto con certezza una sera qualsiasi del suo quinto mese di vita.
Aveva appena fatto il bagno al bambino e lo stava vestendo in salotto, davanti al camino elettrico di ultima generazione - con le fiamme finte -, quando Wakatoshi rientrò a casa dal lavoro. Fuori nevicava parecchio.
« Ciao » Salutò dall'ingresso con voce monocorde. Ren, che come sempre se ne stava steso buono e paziente mentre Tooru lo riempiva di borotalco e baci sulla pancia - adorava il suo odore naturale da neonato - cominciò ad agitare in aria le braccia e su e giù le gambe.
Era palesemente eccitato. Tooru lo guardò interdetto mentre tentava di girare la testa verso il luogo da cui proveniva la voce di suo padre.
Non era ancora in grado di stare seduto dritto ne di muoversi o rotolare, ma ci stava mettendo tutto se stesso in quel momento. Tooru si lasciò scappare una risatina.
Finì di chiudere il minuscolo cardigan di lana formato neonati sul petto di Ren e lo prese in braccio, tenendolo dritto davanti alla propria faccia. Lui si mise un pugno in bocca.
« Chi credi che ti abbia portato in grembo per nove mesi eh? Mica ti agiti così quando senti la mia voce! » Gli disse. Ren continuò a succhiare il pugno.
Poi vide Wakatoshi entrare nel salotto con la coda dell'occhio, sotto l'arco.
Era stato in cantiere quel giorno e indossava abiti giornalieri, casual.
« Bentornato, amore » Lo salutò con un sorriso dolce, portandosi Ren contro il petto mentre lo reggeva con un solo braccio.
Wakatoshi si appoggiò allo stipite dell'arco incrociando le braccia al petto.
« Grazie. È andato tutto bene oggi? »
Tooru fece per rispondere, ma di nuovo, non appena sentita la voce del padre, Ren si agitò. Girò la testolina piena di sottili riccioli castani verso l'arco e prese a muovere di nuovo gli arti freneticamente. Per poi produrre un versetto acuto.
Aveva gli occhi caleidoscopici belli aperti. Wakatoshi si staccò dalla colonna dell'arcata ed entrò nella stanza, attratto da quel richiamo irresistibile.
« Nove mesi di disagio, sedici ore di travaglio e questo è il ringraziamento. Non mi assomigli nemmeno! Ormai è chiaro a chi va la tua lealtà » Borbottò Tooru guardando il figlio, che aveva tuttavia cominciato a spingere con il corpicino per andare in braccio al padre.
Wakatoshi si era messo seduto sul divano accanto a loro qualche secondo prima.
« Tooru, ha cinque mesi » Fu il suo commento mentre lo prendeva tra le braccia.
Ren strillò deliziato, seppellendosi con la faccia sul petto del padre.
« Profuma di buono » Aggiunse poi.
« Gli ho fatto il bagnetto poco fa » Commentò distrattamente Tooru mentre allungava una mano per infilare il ciuccio nella boccuccia a forma di cuore del figlio.
Ren cominciò subito a succhiare e lui osservò la suzione ritmica incantato.
Aveva sonno, sarebbe presto crollato.
Wakatoshi gli aveva posato una mano sulla schiena - da sola la copriva interamente - incoraggiando il pisolino serale. I primi tempi, Tooru era sempre terrorizzato di lasciarlo dormire nella culla da solo, aveva paura che soffocasse nel sonno.
Con il tempo la cosa era scemata lentamente.
« È innamorato di te » Mormorò, sorridendo intenerito mentre guardava Wakatoshi.
Ren era così piccolo contro il suo petto.
Lui gli accarezzò una guancia morbida con il pollice, Ren aveva chiuso gli occhi, il respiro profondo mentre dormiva beato.
« Ma sarai sempre tu la persona che amerà di più, Tooru » Lo sorprese Wakatoshi.
Guardò quei riccioli castani - l'unica cosa evidente che suo figlio aveva ereditato da lui - e pensò che fosse strano non sentirlo più muoversi dentro di sé.
« Tu sei sua madre. Lo hai messo al mondo. È una cosa che non dimenticherà mai »
Parlavano a voce bassa per non svegliarlo - sarebbe finita la pace e la serenità altrimenti.
Ren era un bambino tranquillo, ma sapeva davvero fare i capricci se privato del sonno, lo avevano imparato a loro spese.
Tooru si accoccolò contro Wakatoshi.
« Ti amo » Disse. Due parole molto semplici.
« Non lo sentivo da un po' »
« Nemmeno io »
« Ti amo » Fu la replica immediata.
Tooru rise a voce bassa e voltò la testa, Wakatoshi fece altrettanto e le loro labbra si sfiorarono, si respiravano a vicenda.
« Tooru » Lo chiamò Wakatoshi.
« Dimmi » Un sussurro appena.
« Credi che stanotte potremmo - »
Un dito sulle labbra per zittirlo, poi un bacio a timbro, uno sfioramento appena.
« Vedremo » Rispose enigmatico, alzandosi dal divano per andare in cucina.
Quando sbirciò indietro Wakatoshi lo fissava con un certo desiderio, Tooru rise.


Era stato spavaldo, provocante, ma tornare a fare l'amore con Wakatoshi fu più difficile di quanto avesse immaginato. Non era mai stato timido.
Gli piaceva il suo corpo, era atletico, flessuoso, aveva le forme giuste e le giuste morbidezze - era il corpo di un Omega dopotutto. Ma quella notte provò una vergogna inedita.
Non aveva preso troppo peso durante la gravidanza, a dire il vero era già tornato in forma, le smagliature sui fianchi erano l'unico segno del passaggio di una gravidanza.
Ma improvvisamente non voleva farsi vedere nudo da suo marito. Una cosa ridicola.
Insomma, Wakatoshi gli aveva infilato le mani nei pantaloni da quando avevano appena quindici anni! E Tooru aveva fatto lo stesso.
Fu strano, come se fosse di nuovo la prima volta. E forse, nemmeno quella volta si era sentito tanto in imbarazzo nel togliersi i vestiti di dosso. Ci volle un po' per ritrovare l'intimità di un tempo. Fare le cose piano e in silenzio per non svegliare il bambino, abituarsi a dei piccoli cambiamenti fisici e nel suo modo di provare piacere.
Wakatoshi fu bravo e attento.
Aveva passato gli ultimi rut imbottendosi di inibitori e quando a Tooru era tornato l'heat, non avevano potuto passarlo insieme perché lui non poteva ancora avere rapporti.
Era stato un vero inferno, come se lo avesse avuto per la prima volta - era da tanto che non faceva un nido con tutti quei vestiti.
Inoltre, avevano smesso di fare sesso circa intorno al settimo mese di gravidanza, quando Kenjirou glielo aveva proibito. Era passato un po' di tempo.
Ma non ci misero molto a farlo rientrare nella loro routine come un tempo.

 
***


« Ecco il mio bambino! »
Erano andati a prendere Takashi all'aeroporto.
Tooru sorrise quando lo vide zigzagare tra la calca di persone, un sorriso smagliante sul viso abbronzato e lo sguardo tutto per il suo nipotino.
Era la prima volta che si incontravano di persona da quando era nato.
Takashi non era riuscito a venire prima. Aveva visto Ren solo attraverso una serie costante di video-chiamate, che il giorno prima del suo ritorno aveva compiuto giusto sei mesi.
« Ren guarda chi c'è, il nonno! Salutato, coraggio. Ciao nonno! » Tooru gli prese una mano chiusa saldamente a pugno e la agitò nel vuoto, mentre Ren succhiava avidamente il suo ciuccio nuovo. Takashi allungò le mani.
« Vieni qui, ometto del nonno! »
Tooru glielo passò con un sorriso.
« Bentornato papà » Lo salutò Wakatoshi.
Takashi fece un cenno ad entrambi, ma era troppo occupato a guardare il bambino.
Lo teneva in braccio con un certo fare esperto, anche se doveva essere passato un po' di tempo dall'ultima volta che aveva avuto un neonato in braccio - Wakatoshi aveva 31 anni e andava per i 32. Ren, da parte sua, fissava il nonno per nulla turbato.
Tooru era diventato isterico quando si era reso conto che il bambino andava praticamente in braccio a chiunque senza fare storie - Wakatoshi, è tutta colpa tua! -, l'unica persona che non riusciva a sopportare era Madame Satsuki, la nonna di Wakatoshi.
Piangeva istantaneamente.
La vecchia lo aveva accusato, dicendo che era colpa sua, e Tooru non poteva darle torto, probabilmente gli aveva passato l'avversione nei suoi confronti geneticamente.
« Wakatoshi, ti assomiglia terribilmente! »
Disse Takashi, mentre osservava il nipote tenendolo sotto le braccia di fronte a sé.
Tooru fece una smorfia.
« Esatto » Brontolò, incrociando le braccia al petto. Takashi lo guardò e rise.
« Ha anche qualcosa di te Tooru »
Aggiunse, poi tornò a guardare il bambino e cominciò a sbaciucchiarlo dappertutto.
A quel punto Ren fece una cosa che non aveva ancora mai fatto prima: rise.
Rise in maniera forte, una risata da neonato. Incassò la testa nelle spalle e rise, tentando di afferrare le guance del nonno mentre il ciuccio cadeva pendendo sulla sua tutina.
Wakatoshi e Tooru si guardarono a bocca aperta. Ci avevano provato a farlo ridere, innumerevoli volte. Avevano ottenuto solo qualche sorriso sdentato ma amorevole.
La risata di Ren era meravigliosa.
« Sentitelo come ride! » Commentò Takashi, del tutto ignaro della novità che aveva scatenato. Assomigliava a Wakatoshi - anche nei feromoni -, e Ren doveva averlo percepito.
« Che succede? » Chiese poi, rendendosi conto dei loro sguardi scioccati.
« Sei incredibile, papà » Fu il commento di Wakatoshi, pronunciato con reverenza.
« Concordo in pieno » Gli diede man forte Tooru, annuendo due volte con il capo.
Takashi rise, senza capire del tutto.
« Andiamo a casa, coraggio » Li incoraggiò, sistemandosi Ren sotto un braccio, mentre con l'altra mano prendeva agile la valigia.


Passarono un paio di settimane davvero fantastiche insieme. Ren rise tantissimo.
E Tooru e Wakatoshi erano certi di non aver mai sentito suono più bello di quello in vita loro: la risata gioiosa del loro bambino.

 
***


I mesi successivi furono pieni di novità.
Ren imparò prima a girarsi sulla pancia e a muoversi con maggior consapevolezza, a stare seduto dritto nella sua area giochi.
Poi imparò come gattonare e a produrre suoni molto più articolati.
Ebbe anche la prima febbre della sua breve vita.


Tooru non si riteneva un genitore particolarmente paranoico e pignolo, ma scoprì invece di esserlo. In maniera grave. Ren era nato a Settembre, i primi mesi della sua vita li aveva passati nel periodo più freddo dell'anno e Tooru si era assicurato fino alla paranoia che fosse sempre ben coperto e sano come un pesce.
Prese la sua prima febbre in primavera.
Essendo un bambino per natura tranquillo, Tooru non se ne rese conto fino a quando non tornarono a casa. Aveva fatto il turno di mattina al negozio.
Ren aveva giocato buono nella sua area giochi, dietro il bancone, senza lamentarsi.
Aveva dormito, mangiato, tutto nella norma.
Tooru se ne accorse solo per caso.
Stavano giocando insieme - era una cosa che gli piaceva fare - nel suo recinto dei giochi.
Ad un certo punto Ren aveva gettonato verso di lui, poggiando la testolina sulla sua gamba stesa. Era un comportamento strano. Tooru aveva capito subito, quasi per istinto.
Lo aveva preso, gli aveva tastato la fronte con il mento, era bollente e scottava parecchio.
Gli aveva misurato la febbre e Ren aveva cominciato a lamentarsi. Non lo faceva mai.
In preda al panico della prima volta aveva chiamato Wakatoshi a lavoro.
« Tooru, ho dei clienti, non posso - »
« Ren ha la febbre alta. 38 e mezzo »
Lo aveva bloccato, senza nemmeno sentire quello che gli stava dicendo.
Wakatoshi era rimasto in silenzio per un po'.
« Aspetta » Gli aveva poi detto, attaccando.
Una ventina di minuti più tardi qualcuno aveva bussato alla porta di casa.
Era Tsutomu, il loro pediatra personale.
Aveva ricevuto una chiamata da Wakatoshi ed era arrivato il prima possibile.
Ren aveva solo una febbre dovuta alla fuoriuscita dei dentini da latte, niente di grave. Prescrisse una serie di medicinali e diede un mucchio di consigli.
Tooru passò tutto il pomeriggio steso sul letto con Ren a vegliare il suo sonno lamentoso e lacrimoso. Ripensò alle volte in cui era stato malato da bambino, alla preoccupazione di sua madre, che aveva sempre trovato soffocante.
Ora la capiva. Benissimo. Guardava Ren e voleva solo che stesse bene.
Glielo disse, a Saeko, quando lo chiamò più tardi, per sapere se avesse bisogno di qualcosa.
Le disse che le voleva bene e che ora capiva anche lui che cosa si provasse.
Wakatoshi rientrò a casa tardi.
Tooru si era addormentato, ma si svegliò immediatamente quando si sentì toccare la guancia da qualcosa di caldo.
Nella confusione tra la veglia e il risveglio fissò Wakatoshi con espressione corrucciata.
Poi ricordò di colpo e si voltò verso Ren.
Era sveglio, ancora al suo fianco, e si tirava i calzini dai piedini con le mani, senza tuttavia riuscire a sfilarli via del tutto. Non piangeva ne si lamentava più.
« Non ha febbre » Gli fece sapere Wakatoshi. Tooru tornò a guardarlo mentre accarezzava la fronte di Ren con le labbra.
Doveva essere rientrato a casa da qualche minuto, perché era vestito comodo.
« Ho controllato poco fa. Gli sto preparando da mangiare »
Tooru annuì, posando una mano sulla pancia di Ren, che lo guardò e sorrise, mostrando le gengive con i dentini che cominciavano ad uscire.
Metteva in bocca tutto quello che poteva.
« Scusa se ho attaccato in quel modo »
Aggiunse Wakatoshi, lui scosse la testa.
« Sono andato nel panico » Confessò.
« Anche io » Ammise l'altro, allungandosi sul letto per baciare Ren su un piedino - lui scalciò più forte di prima, eccitato.
« Stanotte voglio tenerlo qui » Disse Tooru.
Nel loro letto. Accanto a sé. Wakatoshi annuì.
« Certo, va bene » Acconsentì subito.


La prima parola di Ren fu papà.
Tooru la prese malissimo.
Era a dir poco indignato con suo figlio.
Era il giorno in cui compiva undici mesi di vita, in un caldo e afoso Agosto.
Tooru e Wakatoshi erano andati a fare una passeggiata in un museo vicino, nella speranza di trovare un po' di refrigerio tra le ampie pareti di quell'antica struttura.
Era una mostra di scultori da tutto il mondo.
Tooru non ne sapeva molto, ma era una di quelle rare occasioni in cui Wakatoshi parlava più di lui. Gli spiegava tutto e lui stava lì a guardarlo, più che ascoltarlo - avrebbe dimenticato tutto nell'arco di pochi minuti -, con un'espressione innamorata di orgoglio di cui Wakatoshi non si accorgeva mai.
« Ho qualcosa in faccia? » Gli domandava quando si rendeva conto del suo sguardo.
Tooru rideva, tornando a guardare il quadro o la scultura, come in quel caso, che aveva davanti dicendo: « No, continua pure » E Wakatoshi lo faceva, ignaro.
Si erano fermati nella zona ristoro - situata in un giardino ricoperto di alberi - per far mangiare il bambino. Ren era felice.
Non aveva fatto nemmeno un capriccio per tutto il tempo, seduto nel passeggino con la schiena dritta mentre osservava tutto con quei suoi occhi caleidoscopici.
Tooru si sentiva fortunato che avesse ereditato l'indole pacata di Wakatoshi.
Lui non era stato un bambino tranquillo.
Ren era un po' testardo quando si trattava di alcune cose - come suo padre -, ma nulla che Tooru non potesse gestite facilmente. Il bambino aveva iniziato a parlare parecchio negli ultimi tempi, locuzioni e lallazioni senza senso. Oltre ad aggrapparsi con una forza inaspettata a qualsiasi superficie piana che fosse a portata di mano - per somma gioia di Tooru. Si erano già verificati parecchi bernoccoli e capitomboli.
« Esatto, così. Bravo bambino, bravo. Mangia tutta la pappa e cresci forte! »
Lo incoraggiò Tooru pulendogli gli angoli della bocca con il cucchiaino di gomma, mentre Ren agitava le gambe e le braccia.
Non gli aveva mai nemmeno fatto storie con il cibo, mangiava tutto e voracemente.
« Sei un capolavoro tu, vero? Beh, ti ho fatto io dopotutto » Disse al bambino con quella voce sciocca che tutti gli adulti parevano tirare automaticamente fuori alla presenza di neonati o animali carini. Ren rise, producendosi in un gorgoglio di gioia.
Tooru si avvicinò per dargli un bacio sulla guancia e il bambino rise più forte, prendendogli il viso tra le manine mentre lui faceva scontrare i loro nasi strofinandoli.
« Di la verità Ren, la mamma è il tuo preferito vero? Vero? Perché non proviamo a dire mamma eh? Mam-ma! Mam-ma! » Ren lo guardò per un istante, i riccioli castani sulla testa che gli rimbalzavano sulla fronte mentre tentava di afferrargli la mascella con le dita a salsicciotto, poi rise di nuovo, mostrando i dentini da latte sul davanti.
Tooru sorrise, intenerito.
« Tu sei l'amore che non mi aspettavo »
Mormorò, spostando leggermente la faccia per baciargli una manina appiccicosa di pappa alla zucca e omogeneizzato di vitello. Fece una smorfia, non proprio buono.
« Andiamo Ren. Mam-ma. Mam-ma. Ma - »
« Scusa, c'era parecchia fila »
Si interruppe, sollevando lo sguardo su Wakatoshi, che si era appena avvicinato al tavolo reggendo un vassoio con il loro pranzo.
« Oh è tornato papà! » Disse Tooru con voce allegra, mentre era intento a fare posto sul tavolino spostando i vari contenitori e thermos.
« Pa-pa! Pa-pa! » Strillò Ren a quel punto.
Tooru si bloccò nel movimento di passare un fazzoletto pulito su una macchia di pappina dal tavolino, Wakatoshi con il vassoio posato solo per metà sulla superficie di metallo.
Si guardarono per un momento.
« No, non l'hai detto! »
Esplose a quel punto Tooru, fissando il figlio come se lo avesse tradito nel modo peggiore.
Ren continuò a giocare indisturbato con il pupazzetto di Bing legato alla carrozzina.
« Credo che lo abbia dett- »
« Fa silenzio tu! » Tooru posò il piattino sul tavolino con aria risoluta, afferrò il passeggino e lo posizionò davanti a sé, tra le sue gambe.
Guardò Ren, Ren guardò lui mentre masticava con un certo entusiasmo l'orecchio di Bing.
« Mam-ma, mam-ma. Coraggio Ren »Tooru lo incoraggiò con lo sguardo.
Ren sollevò gli occhi nella direzione di Wakatoshi, che stava sistemando il cibo senza prestare loro attenzione alcuna - uomo saggio - e allungò le braccia dicendo: « Pa-pa, pa-pa »
Tooru ebbe solo un istante di incredulità, poi afferrò il passeggino e lo girò verso Wakatoshi con un movimento brusco.
« Ecco, dagli tu da mangiare dato che continua a chiamarti! » Si arrabbiò come un bambino, incrociando le braccia al petto. Wakatoshi rimase a fissarlo con i coperti di plastica delle loro insalate - sporchi di salsa tzatziki - sospesi nel vuoto, poi guardò Ren.
Lui rise, strizzando Bing a morte tra le mani.
Tooru fece una brutta smorfia, quel pupazzo era disgustoso, sporco di pappina.
Doveva finire immediatamente in lavatrice!
« Pa-pa » Strillò, allungando le braccia.
Wakatoshi posò i coperchi sul vassoio e si allungò sul passeggino per sganciare il bambino e prenderlo in braccio.
« Non ci posso credere che la sua prima parola sia "papà" » Brontolò Tooru con ancora le braccia incrociate al petto, mentre osservava la scena « Sedici ore di travaglio! Sedici dannate ore e lui dice: " papà " »
« Presto dirà anche "mamma" » Lo rassicurò Wakatoshi mentre se lo sistemava tra le gambe, Ren fissava il vassoio con il loro pranzo incuriosito.
« Non darmi il contentino tu! E non dirmi che non sei felice che ti abbia appena chiamato papà! » Strepitò Tooru guardandolo male.
Wakatoshi aveva preso una forchetta e stava girando la sua insalata al salmone cotto.
Ren lo fissava- letteralmente - con la bava alla bocca che colava sul mento e sul bavaglino.
« Mi batte fortissimo il cuore, in realtà » Confessò come se niente fosse, innocente.
Tooru fu a tanto così da lasciarsi scappare un gemito di tenerezza per quella risposta.
L'incazzatura gli era un po' passata.
Mise un brutto broncio.
« Vedi che sei contento! » Mugugnó, meno convinto di fare la voce grossa rispetto a prima. Wakatoshi prese un pezzettino di salmone e lo diede al bambino, che aprì la bocca senza nemmeno valutare il cibo.
A giudicare dal modo in cui la aprì di nuovo il secondo successivo, sembrava aver gradito.
Wakatoshi accennò un sorriso, mentre gli dava serenamente altro salmone.
« Non credevo sarei mai diventato padre, perciò si, è bello sentirlo dire »
Guardò il figlio con aria vagamente innamorata - non era facile capirlo con lui -, mentre metteva in bocca tutti i rebbi della forchetta. Tooru rimase in silenzio per qualche secondo, era capitombolato, ma Wakatoshi non doveva saperlo.
« Smettila di dargli quel salmone che deve finire di mangiare la sua pappa! »
Lo strillò, per non far vedere che si stava terribilmente commuovendo.
« Oh, va bene » Si arrese subito Wakatoshi.
Tooru riprese il piatto con la sbobba di zucca, vitello e pastina e tentò di imboccare Ren.
Il bambino serrò le labbra, capriccioso.
« Pa-pa » Disse, alla ricerca di altro salmone. Tooru strinse il pugno attorno al manico di gomma del cucchiaino.
« Wakatoshi! » Strepitò.


Battibeccarono per tutto il tempo del pranzo. Ren non disse "mamma" nemmeno a pregarlo, almeno non prima che passassero un paio di settimane.
Quel giorno, Tooru pianse parecchio.

 
***


« Mi dici cosa c'è che non va? »
Tooru non riuscì a trattenere oltre la domanda. Ren dormiva nella sua culla da almeno un paio d'ore, in camera sua - Tooru poteva controllarlo attraverso il baby monitor.
Loro si erano accoccolati sul divano per vedere un film insieme, come non facevano da un po', il condizionatore aperto perché si moriva terribilmente di caldo.
Ma Wakatoshi aveva smesso di guardare il film da un po', la mente altrove.
In realtà, era stato distratto fin da quando era rientrato a casa, dopo essere uscito a cena fuori con il suo migliore amico. Tooru stoppò il film con il telecomando - un polpettone di tre ore che aveva scelto proprio Wakatoshi - e si voltò verso di lui, prendendogli una mano tra le sue.
« Sei distratto e pensieroso, credevi davvero che non me ne sarei accorto? » Insistette.
Wakatoshi intrecciò le dita delle loro mani e lo guardò.
Non erano solo compagni, ma si conoscevano da quando erano due bambini.
Si erano scontrati per divergenze di pensiero la prima volta che si erano parlati - avevano solo dodici anni - e poi si erano baciati che ne avevano quattordici e da allora non si erano più lasciati. Per nessuno dei due c'era mai stato nessun altro.
Qualcuno avrebbe detto che erano anime predestinate.
Loro non ci credevano. Quella roba era rara.
Erano stati prima amici, poi amanti, erano cresciuti insieme e quello che c'era tra loro era cresciuto di conseguenza. Tutto lì. Tooru riusciva a percepire - non avrebbe saputo spiegare come - quando Wakatoshi non stava bene emotivamente.
« Mi sono sentito in difficoltà, a cena » Ammise suo marito, spostando lo sguardo.
Tooru si fece attento.
« Hai litigato con Satori? » Indagò.
Gli sembrava una cosa assurda, ma comunque non del tutto improbabile.
« Si è messo a piangere » Fu la risposta che Tooru non si aspettava.
Non sapendo bene che cosa rispondere, rimase in silenzio. Wakatoshi tornò a guardarlo.
Era evidentemente in difficoltà.
« Gli ho fatto vedere un video di Ren che si tirava in piedi da solo e si è ... si è messo a piangere. Mi ha detto che vorrebbe vederlo »
Si grattò la nuca e puntò lo sguardo sulla scena del film bloccata a metà.
Tooru si morse il labbro inferiore.
Forse cominciava a capire qualcosa in più, qualcosa che Wakatoshi non era stato in grado di vedere e non per cattiveria, solo per eccessiva ingenuità emotiva.
« Non sapevo bene cosa fare, così gli ho passato un tovagliolo e si è messo a ridere »
Continuò suo marito, tormentato. Tooru fece un sospiro e accennò un sorriso.
« Invitalo domani da noi, a pranzo. Anzi, scrivo io ad Hajime tra poco » Lo istruì.
Wakatoshi tornò a guardarlo.
« Tu sai che cosa gli è preso? » Chiese.
Sembrava deluso da se stesso per non essere riuscito a capire cosa avesse il suo migliore amico. Per rassicurarlo Tooru prese ad accarezzargli le nocche della mano.
« È solo perché desidera una cosa che non riesce ad avere, amore mio »
Wakatoshi non chiese altro dopo quelle parole.


« Wakatoshi mi ha detto che ieri hai pianto »
Tooru affrontò l'argomento con il diretto interessato il pomeriggio successivo.
Satori stava giocando con Ren sul tappeto. Lui aveva appena portato un vassoio con qualcosa di fresco da bere e dei mochi al gelato in diversi gusti.
« Era preoccupato per te, non aveva capito il motivo » Si sentì in dovere di aggiungere quando Satori lo guardò, aveva una costruzione di gomma enorme tra le mani.
« Sempre il solito tonto » Commentò, mettendo su quel sorriso un po' pigro da folle.
« Non avrei dovuto piangere » Ammise poi.
Tooru gli passò un bicchiere pieno di tè freddo al matcha, con il ghiaccio.
Nel giardino i grilli finivano, e dalla veranda spalancata non passava nemmeno un po' di aria fresca. Era stata un'estate afosa.
« Ti confesso che ci sono rimasto quando me l'ha detto. Non mi sembri tipo da lacrime, se devo essere proprio sincero »
Satori prese il bicchiere e fece un cenno di ringraziamento con la testa, ma non bevve.
Era un tipo strano e Tooru non aveva mai saputo bene come classificarlo.
Non poteva definirlo un amico, ma era come un fratello per suo marito e il compagno di Hajime, motivo per cui lo considerava praticamente uno di famiglia ormai.
Che Satori lo volesse o meno.
« Sono in cura da Kenjirou da qualche mese ormai. Cura ormonale e quella roba lì, certe volte mi emoziono senza controllo »
Si giustificò, facendo spallucce, mentre riprendeva a giocare con Ren.
Tooru bevve un sorso del suo tè.
Lo sapeva quello, glielo aveva detto Hajime.
Alla fine aveva ceduto alla storia del bambino e avevano cominciato a provarci, ma senza molto successo, motivo per cui si erano rivolti a Kenjirou per un aiuto.
« Avrai saputo che Shouyou e Tobio avranno una bambina tra qualche mese »
La buttò lì, un po' così, come se niente fosse.
Satori si bloccò nel movimento di mettere un mattoncino sopra un altro, mentre Ren gli si arrampicava sulle gambe. Shouyou aveva dato la notizia generale a gravidanza abbastanza avanzata - Tooru e Koushi lo avevano saputo dal principio - per paura che anche quella volta non andasse bene. Era al termine del quarto mese.
« Si, ho saputo »
« Satori tu - »
« Sono andato da Kenjirou da solo, ieri. Hajime ha fatto tutti gli accertamenti e non è lui il problema, per cui ... »
« Sei tu » Concluse Tooru. Come temeva.
L'altro fece spallucce, prendendo Ren in braccio dopo aver posato il bicchiere sul tavolino. Prese un mochi e diede un morso.
« E vuoi sapere qual è la parte più divertente? Non c'entra niente il fatto che io sia un Alfa dominate e lui un Beta recessivo. È un problema mio e basta, solo che non lo sapevo. Perché se lo avessi saputo ... » Entrambi spostarono lo sguardo verso il giardino, dove Hajime e Wakatoshi stavano parlando di chissà cosa seduti sulle sdraio.
... non avrei mai promesso niente.
« Kenjirou mi ha detto ieri che possiamo provare in diversi modi, ma le possibilità di successo sono del 10% » Satori smise di parlare e guardò Ren, che si era messo seduto tranquillo e infilava il ditino nel ripieno di gelato del mochi al taro, portandolo poi alla bocca per mangiarlo. Tooru non si prese nemmeno la briga di intervenire, finché non metteva in bocca l'impasto gommoso del riso. Hajime rise forte, spensierato, attirando il suo sguardo.
Ricordò quella volta, quando erano bambini, lui aveva appena pianto, gridando di non volere mai dei figli, Hajime aveva invece risposto: Io ne voglio almeno tre!
Era figlio unico e diceva che non voleva che anche i suoi figli lo fossero.
« Hajime non lo sa » Indovinò.
Satori incrociò il suo sguardo.
« Non sapevo come » Ammise.
Non sapevo come dirglielo.
Tooru non aveva parole per consolarlo, non si sentiva nemmeno all'altezza.
Non credeva di averne il diritto, ecco.
Non credeva di poterlo fare dopo Ren, che era solo capitato e non lo aveva cercato volutamente e con assoluta disperazione.
Però disse ugualmente: « È pur sempre il 10%. E tu sei una persona testarda »
Satori fece un sorriso un po' pigro. Aprì la bocca per dire probabilmente qualcosa di sarcastico come suo solito, ma proprio in quel momento Ren decise che era arrivato il momento di mangiare la pasta di riso. Si spaventarono entrambi e buttarono le mani davanti, strillando - Tooru più di Satori. Ren scoppiò a piangere, terrorizzato.
Hajime e Wakatoshi si precipitarono dentro, allertati da quel baccano.
Si presero qualche rimprovero.
Quando andarono via, in tarda serata, Tooru si prese qualche secondo da parte con il suo migliore amico, e mentre lo salutava con un bacio su una guancia per accomiatarlo, gli strinse un braccio e gli disse: « Parla con Satori. Ti voglio bene »
Hajime non capì, sul momento.


Lo chiamò qualche giorno dopo.
Tooru sentì attraverso la cornetta i rumori del cantiere - era un operaio -, il passaggio di un'ambulanza.
« Me l'ha detto » Esordì, senza salutare.
Tooru era fuori la veranda con Wakatoshi, che giocava al cavalluccio con Ren.
La sua risata infantile riempiva gli spazi.
« Tooru »
« Dimmi, Hajime »
Wakatoshi disse qualcosa e Ren rise, buttando la testolina piena di ricci all'indietro.
« Ho fatto un po' di storie per la questione del bambino, però ... »
« Lo so » Silenzio sulla linea.
Wakatoshi prese la guancia di Ren con la bocca, come se volesse morderlo, e lui strillò, schiaffandogli una manina sulla faccia.
« Ho detto a Satori che saremmo andati a fare un viaggio, per allontanarci un po'. Partiamo tra un paio di giorni »
« Hai fatto bene »
« Beh, ci sentiamo. Grazie »
« Ti voglio bene »
« Anche io »
Chiuse la conversazione, il display del cellulare si oscurò, fissò il vuoto per un po'.
« Mama, mama! » Lo chiamò Ren.
Tooru lo guardò e sorrise, alzandosi dalla sedia per raggiungerli. Si mise seduto sulle gambe di Wakatoshi, che gli strinse la vita, mentre Ren chiedeva di andare in braccio a lui.
Si sentiva davvero fortunato e grato di quello che aveva. Davvero tanto.

***


Al primo compleanno di Ren organizzarono una festa tra amici e parenti, a casa loro.
La nonna di Wakatoshi si presentò con un regalo enorme, una di quelle macchine in miniatura per bambini. Una Ferrari.
E tuttavia questo non convinse Ren ad andare in braccio alla vecchia befana, con immensa soddisfazione di Tooru, che fu allegro per tutta la serata. Ren fu sommerso di regali.
Tooru lo vide poco. Passò la festa sballottato un po' dappertutto.
Con Shouyou ebbe una reazione curiosa che intenerì un po' tutti e mandò nel panico Tobio e Wakatoshi. Si accoccolò contro la pancia di Shouyou e prese ad accarezzarla piano.
Come se fosse consapevole della bambina.
Scherzando, Saeko disse: « Sarà la sua anima predestinata? »
Quella battuta innocente scatenò il caos totale.
Tobio andò nel pallone, sostenendo che nessun uomo o donna sarebbe mai stato o stata degna della sua bambina.
Wakatoshi era preoccupato per Ren, perché era troppo piccolo per quelle cose.
Takahiro e Issei ci marciarono sopra e Satori diede loro man forte, con un certo impeto.
Tooru se la rise alla grossa finché sua suocera non se ne uscì con un: « Forse ha solo il desiderio di un fratello o una sorella »
Quella maledetta strega che voleva rovinargli a tutti i costi l'umore! Ci mancò poco che non le facesse il dito medio con tanto di sorriso. In tutto questo baccano Ren rimase aggrappato alla pancia di Shouyou, continuando a dire: « Bebe »
Si convinse a staccarsi solo con la pappa.

***


Gli anni successivi passarono velocemente.


Tooru aveva sempre pensato che la famosa frase: Goditi ogni momento, perché crescono in fretta, fosse una brutta esagerazione, ma non era vero. Il tempo passò in fretta davvero.
A casa c'era una parete vuota nel salotto, che avevano lentamente cominciato a riempire di fotografie dopo essersi trasferiti. La prima era di Tooru all'ottavo mese di gravidanza con una salopette addosso, seduto sul dondolo della veranda, una fetta di anguria tra le mani, un bel sorriso e le lunghe gambe nude con le caviglie intrecciate.
La seconda raffigurava loro tre nella camera della clinica privata, il giorno in cui Ren era nato. E poi la foto con Madame Satsuki e nonna Sachiko, una con nonna Saeko e nonno Haruki e una con nonno Takashi. Quella del primo compleanno con mamma e papà, Ren che piangeva disperato davanti alle candeline, mentre Wakatoshi cercava di convincerlo che non c'era nulla di cui aver paura. La foto dei primi passi con le scarpette nuove da ginnastica.
Un'altra con mamma e papà all'acquario. Quella del secondo compleanno e poi del terzo.
Il primo giorno alla scuola materna - Tooru che piangeva con gli occhi rossi mentre Ren lo salutava tranquillo - con la cartella minuscola portata a mano.
E poi una sulle spalle di Wakatoshi, scattata dopo esse stati al cinema per la prima volta.
E quella del compleanno dei quattro anni.
Il quadro di un disegno della loro famiglia realizzato a scuola quell'anno - Ren sarebbe diventato un artista da adulto - e subito dopo quella dei cinque anni.
Nel mezzo vi erano stati tutti i cambiamenti.
I primi passi con le prime cadute, il ciuccio mangiato dalle formiche - era solo caffè - e le notti insonni che erano seguite. Le prime frasi sensate e i primi discorsi, il suono pacato e monocorde della sua voce. Imparare ad usare il vasino.
Socializzare con gli altri bambini, con il mondo esterno e con il proprio secondo genere.
I primi pensieri indipendenti, gli scorci della persona che sarebbe potuta diventare.
Le marachelle e i baci e le coccole e i discorsi. E le prime cadute e i primi dispiaceri.
Era tutto lì su quella parete bianca e in mezzo vi erano tutte quelle sfumature, gli anni che erano passati con uno schiocco di dita. Con l'avvicinarsi imminente dei suoi trentasette anni, Tooru guardava con nostalgia a quella parete, riempita per metà.
Ren avrebbe compiuto sei anni in tre mesi.
Nel corso del tempo il numero dei componenti della loro grande famiglia era aumentato notevolmente.
Koushi e Daichi avevano aggiunto un paio di graziosi gemelli alla collezione, oltre Hiroto.
Shouyou e Tobio avevano avuto Eri, un raggio di sole con la faccia imbronciata del padre.
Sorprendendo tutti in maniera scioccante, Takahiro e Issei si erano uniti al gruppo con una tripletta - non era stato divertente per Takahiro, per niente.
E infine, giusto un anno prima, era nato anche il bambino di Kenjirou ed Eita.


« Mamma, fa davvero caldo »
Ren pose quella frase, che avrebbe dovuto essere una chiara lamentela, con un tono monocorde. Era paziente, anche quando quello che stava facendo non gli piaceva.
Tooru inumidì con le labbra la punta del filo, facendolo poi passare attraverso la cruna dell'ago con facilità.
« Solo qualche minuto di pazienza, ho finito tesoro » Disse, mentre faceva il nodo.
Ren fece un sospiro. Aveva la fronte tutta imperlata di sudore e sicuramente gli ci sarebbe voluta una doccia fredda una volta uscito da quel costume.
Nel corso degli anni aveva perso la chioma riccia e ora portava i capelli come Wakatoshi.
Alcune ciocche gli cadevano bagnate sulla fronte, spuntando dalla spugna del costume.
« Non mi va di fare la recita, mamma »
Gli fece sapere Ren, mentre continuava a stare fermo immobile come gli aveva chiesto.
« Ma sei bravissimo nelle tue battute, amore. E sarà molto divertente, vedrai »
Lo incoraggiò, infilando l'ago nel bordo bianco del costume, poco sopra i piedi.
« Ma sono solo tre battute, e anche molto corte. Inoltre, faccio il fungo. Non voglio fare il fungo, non mi piace. Fa caldo » In effetti, era un ruolo piuttosto inusuale.
Tooru e Wakatoshi avevano dovuto trattenersi dal ridere quando Ren li aveva informati della cosa con espressione seria. Il costume che avevano fatto fare apposta per lui era davvero troppo lungo - Ren si portava alto, ma era nella media -, Tooru stava cercando di accorciarglielo, ma temeva di dover chiedere l'aiuto di sua madre.
« Devi essere fiero delle tue tre battute! »
« La maestra ha detto che non sono espressivo. Vuol dire che sono come papà? »
Tooru rischiò di pungersi con l'ago, imprecò.
« La maestra non capisce niente! »
« Io non penso sia una cosa brutta essere come papà. Lui è figo »
Tooru guardò Ren, che incrociò subito il suo sguardo, in cerca di una conferma. Era la copia del padre in tutto e per tutto, a parte il colore dei capelli e la forma delle labbra.
« Ma certo che non è una cosa brutta. Tuo padre è l'uomo migliore del mondo »
Ren accennò un timido sorriso e Tooru lo ricambiò, per poi pizzicargli il naso per scherzo. Amava immensamente quella creatura, non solo perché l'aveva fatta lui.
« Ci sarà anche Eri? Non voglio che mi veda vestito da fungo, mamma »
Le labbra di Tooru tremarono in una risata mal trattenuta di fronte al timore del figlio.
Eri aveva solo tre anni, ma da quando era nata lei e Ren erano stati inseparabili.
Nessuno voleva ammetterlo, ma forse ... la storia delle anime predestinate non era poi così improbabile. Ma quello lo avrebbe stabilito solamente il tempo.
« Vestito così stai benissimo e ad Eri piacerà tantissimo, vedrai » Lo incoraggiò.
Lui sembrava dubbioso, ma anche desideroso di credere a quelle parole.
« Lo credi davvero? »
« Si, lo credo davvero. Ora aspetta qui che vado a prendere una matita, fai attenzione agli aghi che ti pungono » Tooru si alzò da terra con fatica - di certo non era più un ragazzino - e andò nel corridoio per salire le scale. Non fece molta strada prima di scontrarsi con Wakatoshi, appena uscito dal suo studio personale.
Gli prese le spalle con forza prima che potesse cadere a terra o farsi male.
« Tooru, stai bene? » Chiese, preoccupato.
« Sto benissimo, a differenza di tuo figlio »
Gli fece sapere, ammiccando con un sorriso in direzione del salotto, dove Ren se ne stava buono a sudare nel suo costume da fungo. La rappresentazione era una versione per bambini di Sogno d'Una Notte di Mezza Estate di William Shakespeare.
Wakatoshi guardò a sua volta il bambino.
« Quel costume è terribile, Tooru » Affermò, ribadendo la sua idea per l'ennesima volta.
« Lo so, ma non è comunque adorabile? »
« Fa caldo e si sentirà male »
« Tra poco glielo tolgo, promesso »
Wakatoshi incrociò le braccia al petto.
Sapeva essere minaccioso quando voleva.
Tooru lo amava immensamente in quei momenti da padre super protettivo.
« Si è preoccupato che Eri potesse vederlo vestito in quel modo, era imbarazzato »
Gli fece sapere Tooru, deciso a marciare un po' sulla cosa, giusto perché gli piaceva fare il diavoletto insinuante ogni tanto.
Wakatoshi sollevò un sopracciglio.
« Tooru, ha cinque anni. Non mi piace questa cosa, per niente » Cominciò.
Lui alzò gli occhi al cielo e gli diede un colpetto affettuoso sulla spalla con la mano.
« Tranquillo, amore mio. Non verrà mica a dirti che l'ha messa incinta domani! Sono solo dei bambini, per quello c'è tempo » E fece un sorriso per nulla rassicurante.
Wakatoshi lo guardò come se avesse detto una brutta parolaccia o qualcosa di simile.
« Non sei divertente »
« E invece sono molto divertente. Mi ami anche per questo motivo, infatti »
Wakatoshi gli afferrò il dito con cui aveva continuato a punzecchiargli il petto mentre diceva quelle parole. Si fece vicino.
Tooru sollevò il viso per avere un bacio e invece: « Ren sta morendo di caldo Tooru »
Wakatoshi si fermò ad un passo dalle sue labbra e gli soffiò quelle parole a voce bassa.
Tooru sentì un brivido lungo la schiena prima che si allontanasse come se niente fosse.
Il suo heat era decisamente vicino.
Wakatoshi dovette sentire l'odore dei suoi feromoni farsi più intenso e provocante.
« Ora vado ... bastardo » Mormorò, spingendo Wakatoshi leggermente indietro.
L'altro fece un sorrisetto, il maledetto!
Poi guardarono entrambi Ren.
« Però è davvero carino » Concordò alla fine Wakatoshi, rendendo Tooru contento.
« Ahhh sono così felice di averlo messo al mondo! » Disse con una certa soddisfazione.
Wakatoshi ammorbidì l'espressione del viso.
« Si, abbiamo fatto una cosa niente male insieme » La sua voce era pregna d'amore.
Tooru ripensò al giorno in cui aveva scoperto di aspettarlo, al terrore che aveva provato.
Ren era arrivato inaspettatamente, solo perché avevano bevuto un po' troppo.
Tooru non lo avrebbe mai cercato volutamente. Lui era arrivato a rendere la loro famiglia completa, senza per questo farlo sentire inferiore in quanto Omega.
Era un uomo lavorativamente realizzato - la libreria-ludoteca andava talmente bene che stavano pensando di aprirne un' altra -, nessuno gli metteva più i piedi in testa e aveva una meravigliosa famiglia.
E un uomo accanto che non lo aveva mai trattato come un essere inferiore.
Il piccolo Tooru che piangeva sulle spalle di Hajime per essere un Omega, ne aveva fatta di strada. E ne aveva ancora molta da fare.
« Decisamente niente male »


La recita fu un successo.
Wakatoshi aveva portato la macchina per fare le riprese, quella professionale.
Ren aveva recitato le sue tre battute a voce alta, senza un briciolo di pathos, nel suo costume ingombrante da fungo.
Erano entrambi così tanto fieri di lui e delle sue scarsissime doti recitative.
Tooru lo chiese a Wakatoshi proprio durante il corso di quella recita, mentre maneggiava con la macchina per le riprese.
« Wakatoshi »
« Uhm? »
« Ne facciamo un altro? Un altro bambino »
Nel teatro semi buio, con solo le luci soffuse del palco, mentre i bambini strillavano con le loro vocette acute, facendo ridere tutti, Wakatoshi lo aveva guardato, gli occhi sorpresi.
Tooru aveva accennato un sorriso.
« Vorrei un altro bambino » Ammise.
Era da qualche mese che ci pensava. Sentiva di poterlo fare di nuovo, di volerlo.
Wakatoshi gli prese una mano.
« Si, mi piacerebbe averne un altro »
Si sorrisero a vicenda, prima di abbracciarsi.


Erano pronti per un'altra avventura.

 
***
 
Epilogo


« Wakatoshi afferra Kazuko! »
Strillò Tooru, scivolando sulla scia di acqua e sapone mentre inseguiva la figlia di due anni.
La bambina - nuda e bagnata - strillò deliziata quando il padre la afferrò di slancio.
Aveva i dritti capelli castano scuro tutti insaponati e una faccia decisamente da schiaffi mentre rideva divertita. Tooru si fermò sulla soglia del salotto e fece un sospiro stanco.
A quarant'anni non aveva più la forza fisica di fare certe cose.
« Brutta peste! » Disse alla figlia, che rise.
Wakatoshi fece un sospiro pesante.
« Kazuko, non devi scappare per casa nuda e ancora bagnata, capito? » Cercò di istruirla, per tutta risposta lei gli stampò un bacio pieno di sapone sulla guancia.
Tooru - seppure stanco - fece un sorriso. Kazuko era l'esatto opposto di Ren.
La sua gravidanza non era stata semplice, ma in compenso, era venuta al mondo con solo quattro ore di travaglio.
Assomigliava al fratello, per la gioia della nonna di Wakatoshi - quella novantenne decrepita ma terribilmente attiva - che aveva affermato la supremazia dei loro geni.
Ma Kazuko era una bambina Omega. E aveva il carattere di Tooru, senza dubbio.
La amavano tutti immensamente.
Sospirando, Tooru si avvicinò per avvolgerla nell'accappatoio, lei non protestò.
« Mi ricorda qualcuno con quel carattere »
Scherzò Hajime, lui e Satori erano andati a pranzo da loro quella mattina.
Tooru gli fece la linguaccia.
« Kazuko fa solo guai » Ci tenne invece a precisare Ren, sollevando lo sguardo dai compiti di matematica che stava terminando con l'aiuto del padre e dello zio.
« Satori? È annegato nella vasca? » Domandò Hajime, casualmente, e Tooru fece un sobbalzo come se avesse preso la scossa. Prima che Kazuko scappasse via ancora tutta insaponata, aveva lasciato Satori nel bagno alle prese con un -
« Ci sono due linee » Disse il diretto interessato, apparso sulla soglia del salotto alle loro spalle. Tutti lo fissarono.
« Ci sono due linee su questo coso » Agitò per aria il test di gravidanza.
Lo avevano fatto solo per provare, così.
Tooru ne aveva uno nel bagno, per evenienza, e quando Satori gli aveva detto di essere stanco negli ultimi tempi e nauseato, lui gli aveva suggerito di provare a farlo.
Senza metterci il pensiero, ma per essere sicuri.
Satori e Hajime ci avevano provato in tutti i modi i primi anni, fecondazione "in vivo", IVF, ICSI, ogni cosa possibile, ma niente aveva funzionato. Era stato solo uno strazio.
Alla fine avevano fatto domanda di adozione qualche anno prima, e ora erano in lista.
« Cazzo, aspetti un bambino! »
Strepitò Tooru correndo al suo fianco per vedere meglio il test. Satori sbattè le palpebre.
« Ho quarant'anni, Tooru »
« Si, ma aspetti un bambino Satori! »
Hajime si alzò di fretta da terra, andando poi ad urtare con lo stinco contro lo spigolo del tavolino dove Ren stava facendo i compiti. Imprecò mentre li raggiungeva zoppicando.
« Fa vedere! » Disse, strappando il test di gravidanza dalle mani del compagno.
« Si ma ho smesso le cure ormonali da anni! E Kenjirou aveva detto - »
« O cazzo, diventerò padre. Diventerò padre! Fermi tutti! » Lo interruppe Hajime, agitando il test di gravidanza per aria, poi si voltò di scatto verso Satori e lo prese di slancio, sollevandolo da terra « Ti amo, lo sai? Sei lo svitato folle cazzone amore della mia vita! »
Satori fece una brutta smorfia.
« Non me lo avevi mai detto »
Tooru rise, stringendo a se Kazuko, che osservava la scena incuriosita.
« Stanno bene? » Domandò invece Ren a voce bassa. Wakatoshi gli accarezzò la testa con una mano mentre diceva: « Si, hanno appena avuto una bella notizia »
Mentre si abbracciavano, Tooru incrociò lo sguardo di Satori e gli fece l'occhiolino.
« Il 10% » Disse. L'altro sorrise.


Satori e Hajime avrebbero poi avuto due gemelli. Entrambi femmine.
Nate sane - una Alfa e una Beta - per la gioia di mamma e papà.


Sulla parete era rimasto uno spazio vuoto, al centro, tra le foto di Ren e Kazuko.
Tooru e Wakatoshi avevano deciso di metterci una bella foto di famiglia.
Erano andati ad uno studio professionale per farsela scattare.
Vestiti di tutto punto, guardavano l'obiettivo con dei sorrisi accennati sulla faccia.
Kazuko - quattro anni - faceva fatica a starsene seduta buona sulle gambe di Tooru.
Ren - un fiero bambino di dieci anni - se ne stava invece composto con la schiena dritta.
« Wakatoshi » Bisbigliò Tooru. Lui gli strinse la mano per fargli capire che aveva sentito.
« Grazie per essere venuto troppo in fretta quella volta » Continuò a bisbigliare.
Qualche secondo di silenzio.
« E a te per aver dimenticato la pillola » Di nuovo silenzio, poi scoppiarono a ridere.
In quel momento venne scattata la foto.
Era la più spontanea che avessero mai fatto.


Tooru e Wakatoshi che ridevano, stringendo Ren e Kazuko, i loro due tesori preziosi, entrambi sorridenti e felici.

 
A modo tuo
Andrai
A modo tuo
Camminerai e cadrai, ti alzerai
Sempre a modo tuo


( Elisa - A modo tuo )

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Capitolo 29
*** 29. Little Madeleine. ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Library

N° parole: 16.723

Note: Con questo prompt potrei essere uscita - intenzionalmente (?) - fuori tema.
È scritto in prima persona, cosa inedita per me, perché non scrivevo qualcosa del genere da almeno una decina d’anni, e presenta tre tipi di Pov diversi: Wakatoshi, Tooru e Satori, alternati. Non è una storia felice, al contrario. Per questo motivo la segnalo ROSSA!
Solo per i temi che tratta, nulla di più.
E potrebbe anche essere un po' OOC ( ma anche molto più di un po', direi sicuramente )
Nel testo ho inserito una frase presa dalla canzone Ti porto a cena con me, di Giusy Ferrero. La riconoscerete perché è in corsivo.
Ha un finale molto aperto.
Ed è un altro esperimento, detto in breve.


TW - tentativo di suicidio, tematiche estremamente delicate, morte, angst, no happy ending, Fem!Oikawa, Fem!Hinata.





 
Little Madeleine
 
Era il viso consueto,
solo un poco più stanco.
E il vestito era quello di sempre.
E le scarpe erano quelle di sempre.


 
- Wakatoshi -


La prima volta che avevo posato lo sguardo su quella donna bellissima mi trovavo nella sala d'attesa di uno studio medico. Era seduta di fronte a me, rigida.
Mi avevano colpito quella sua dignità composta, il modo in cui stringeva le mani attorno al fazzoletto arrotolato sul grembo e il paio di occhiali da sole neri che indossava, nonostante fuori fosse buio e piovesse. Si era seduta proprio di fronte a me, come in uno specchio, e avevo avuto la sensazione che fossi io l'oggetto del suo interesse.
Che guardasse me attraverso quelle lenti opache.
E mi ero sentito strano, come se la mia testa fosse diventata improvvisamente leggera, un palloncino vuoto pieno d'aria. Non mi capitava spesso, negli ultimi tempi.
Prima era più forte, non la sapevo gestire, poi era sbiadita ed eccola invece che tornava: la sensazione. Era così che la chiamavo, non avrei saputo darle altro nome.
Ci conosciamo, forse?
Era sempre la prima frase che mi veniva in mente quando arrivava, quando guardavo qualcuno e non riuscivo a capire se avesse fatto parte della mia vita o meno.
Il problema era che non lo ricordavo.
Ci conosciamo, noi due?
La donna bellissima, di cui non riuscivo a vedere gli occhi in quella sala d'attesa, sembrava volermi tirare quelle parole dal petto con maggior prepotenza.
Forse era solo un'estranea, o un'anima affine, come mi aveva suggerito di pensarla Satori.
Ma ero sicuro che guardasse me.


Ci conosciamo, noi due?
Avrei davvero voluto chiederglielo già allora.


Perdita di memoria retrograda di tipo transitorio.
Il nome della condizione che mi era stata diagnosticata tre anni prima.
Era lunghissimo e ci avevo messo mesi per impararlo.
Una brutta cicatrice sul lato sinistro della fronte mi deturpava la pelle.
Partiva da lì e mi attraversava la testa per metà, nascosta dai capelli: trauma cranico.
Tre anni prima avevo avuto un terribile incidente stradale mentre andavo in vacanza.
Ma di quell'evento non ricordavo niente.
Né dove volessi andare, se accanto a me ci fosse qualcuno, se fosse stata colpa mia o meno. Non ricordavo nemmeno un dettaglio.
Se non solo delle vaghe sensazioni, come il sorriso di qualcuno, una risata, un tocco.
Vaneggiamenti. Satori li chiamava così.
Ero solo, mi ha detto. Non ero nemmeno fidanzato, o sposato.
Conducevo una noiosa vita da single, tra casa e lavoro.
Io ricordavo solo l'ospedale: la parte peggiore.
E quel vuoto di anni nella mia testa, che era come un buco nero.
Era stato un brutto periodo.
Ma era passato. Solo che, a volte, quella sensazione tornava.
E mi metteva a disagio.


« Le tue condizioni sono ottimali, Wakatoshi. Sei in perfetta forma fisica »
La voce di Tanji mi riportò al presente.
Lo studio medico era scuro, pieno di mobili antichi e pesanti, di scartoffie impilate che sapevano di vecchio: proprio come lui, che aveva passato l'età della pensione, ma non voleva saperne di ritirarsi.
Non saprei cosa farne della mia vita se me ne stessi con le mani in mano!
Mi ripeteva spesso, lamentandosi con me di altre persone insistenti, solo perché me ne stavo sempre zitto, senza sapere che cosa dirgli a riguardo. Spesso non capivo le situazioni, non sapevo che cosa fare, dire o come comportarmi. Ero fuori luogo.
« Ma non ricordo niente » Dissi, osservando il soffitto bianco e la greca fantasiosa.
La luce calda delle lampade da parete non riusciva a raggiungere posti così alti, facendoli sembrare ombrati e lontani. La mia voce risuonò atona, profonda.
« Ed è per questo che la tua amnesia retrograda è anche transitoria »
Nella voce di Tanji lessi un pizzico di esasperazione, mi voltai a guardarlo.
Il suo sguardo penetrante era fisso su di me.
Aveva le mani nodose intrecciate sulla scrivania, la schiena curva, sopracciglia aggrottate. Non capivo se fosse arrabbiato.
« È stata causata da un trauma, me lo avete detto. Come mi avete detto che potevo recuperare la memoria, ma ... io davvero non ricordo niente. Nemmeno un dettaglio »
Tanji fece un sospiro pesante.
Sciolse l'intreccio delle dita e le appoggiò a palmo aperto sul tavolo, fissandomi torvo.
« Sai che non ti racconterò niente »
Lo sapevo. Avevo già provato a chiedere.
Lo avevo fatto con Satori, con mia madre, con Tanji. Avevo provato a farmi dire quale fosse stato l'evento tanto traumatico che avevo voluto così disperatamente dimenticare.
Nessuno di loro era autorizzato a dirmelo.
Tanji aveva detto che mi avrebbe fatto male, che dovevo guarire spontaneamente.
Rimasi in silenzio, steso sul lettino.
La mia mente era proprio come quel soffitto: una landa bianca. I miei ricordi arrivavano alla fine del liceo e ricominciavano nella stanza di quell'ospedale. Ed era strano.
In mezzo non c'era niente. Nessuno.
Tanji sospirò di nuovo, io non lo guardai.
« Sei davvero sicuro che non ricordi proprio niente, Wakatoshi? » La sua voce sembrava stanca, e la mia risposta era sempre la stessa. Temevo non sarebbe mai cambiata.
« Niente » A quel punto Tanji si alzò.
Lo guardai, attirato dai movimenti. Fece il giro della scrivania, con le mani intrecciate dietro la schiena, e mi si mise seduto accanto, su una delle poltrone.
Lo fissai. Lui fece altrettanto.
« I ricordi non sono fatti solo di immagini, Wakatoshi. Il cervello è un organo complesso. In cinquant'anni di carriera per me è ancora un bel mistero, sai? »
Rimasi in silenzio ancora una volta.
« Esistono anche le memorie involontarie, ne hai mai sentito parlare? » Scossi la testa.
Tanji annuì, appoggiando la schiena contro l'imbottitura della poltrona, pensieroso.
« Sono ricordi che emergono inconsciamente dagli stimoli del nostro quotidiano »
Intrecciò le mani tra di loro davanti al viso, i gomiti sui braccioli.
Non avevo capito fino in fondo, e lui lo sapeva.
« L'altro giorno sono passato davanti ad una profumeria. Ho sentito un odore di rose familiare e mi è tornata in mente mia madre, senza un motivo apparente. Continuando a camminare ci ho riflettuto un po' su e sono stato minuti interi a domandarmi perché quel profumo avesse rievocato in me una tale nostalgia da farmi venire voglia di piangere come se fossi ancora un bambino » Tanji guardò di nuovo me, distogliendo lo sguardo da un punto molto lontano dentro di lui, perso nella memoria.
« Mia madre aveva una boccetta di profumo alla rose che metteva solo nelle occasioni speciali, tre gocce sui polsi e tre sul collo. Era qualcosa che non ricordavo, ma quell'odore ha rievocato in me l'immagine di mia madre e una profonda emozione. Riesci a capire cosa intendo, Wakatoshi? » Si, ora lo capivo.
Mi era successo qualche volta, ma non ci avevo mai prestato particolare attenzione.
Le memorie involontarie.
« Fu Marcel Proust a dare loro questo nome, ma sono anche conosciute come "le petite madeleine", il dolce francese » Tanji mi fece un sorrisetto da sopra le mani ancora intrecciate, sapeva bene che non capivo di che cosa stesse parlando.
Non del tutto almeno, ma in parte di certo.
« Dovresti leggere Alla ricerca del tempo perduto, non ti farebbe male »
Tornai a guardare il soffitto bianco: quasi vent'anni della mia vita da riscrivere da capo.
« Sono solo un impiegato » Tanji rise.
Lo guardai, perché non ne capivo il motivo.
Poi restammo in silenzio per qualche secondo, a guardarci. Infine lo chiese.
« Non credi di avere avuto delle memorie involontarie in questi tre anni? »
Non ne ero del tutto sicuro. Se mi sforzavo di ricordare qualcosa ... era come se la mia mente diventasse nera all'improvviso, come lo schermo di un televisore perfettamente funzionante che si spegneva senza preavviso sul più bello.
Era come cercare ... il nulla. Ed era brutto.
Quindi non ne ero davvero sicuro.
« Non so se fossero memorie involontarie » Confessai, tranquillo.
« Parlamene » Mi incoraggiò Tanji.
Ci pensai su per qualche secondo, cercando le parole adatte per spiegarmi.
Non ero mai stato bravo a parlare con gli altri.
« A volte ho delle sensazioni. Sono strane. Guardo la mia casa e penso che non sia la mia. Sento ridere un bambino e mi sembra chiami me. Cerco qualcuno nel letto che non c'è. O come il tocco caldo di una mano sul mio braccio quando mi sfiora il sole. Ma sono cose che non esistono nella mia vita. Suppongo che se avessi avuto qualcuno, allora sarebbe al mio fianco adesso »
Tornai a guardare Tanji, cercando in lui qualche risposta significativa ed esplicativa.
Ma si limitò a sorridermi in modo strano. Come se fosse ancora immerso nella nostalgia che il ricordo di sua madre aveva rievocato dentro di lui inconsciamente.
« Troverai la tua petite madeleine »
Fu tutto quello che mi disse e la nostra visita mensile finì lì.
Infruttuosa come sempre.


Le andai a sbattere contro mentre entravo nella hall con la reception. Fu inaspettato.
Io entravo e lei usciva, e ci scontrammo.
La presi per le braccia, poco sotto le spalle, in un gesto istintivo che non controllai.
E la riconobbi subito per via degli occhiali e del cappotto nero, e perché la trovavo bella.
« Mi scusi » Le dissi, lasciandola andare.
Il suo volto era affilato ed elegante e rievocava in me qualcosa di indefinito. Frustrante. Mi resi conto che stava piangendo, ma senza emettere rumore.
Non importa oppure Faccia più attenzione erano le risposte che mi aspettavo.
Lei invece si aggrappò con le mani al colletto del mio cappotto e mi appoggiò la fronte sul petto. Tremava un po'. Profumava di buono.
Aveva capelli folti e ondulati. Era alta. Magra.
E mi aveva colto alla sprovvista, perché era solo un'estranea e mi stava abbracciando.
« Mi perdoni ma ... ci conosciamo? » Le avevo domandato infine, per la prima volta.
Lei non aveva risposto subito.
Poi aveva scosso la testa, lasciando andare il mio cappotto anonimo e grigio, si era asciugata il viso e aveva guardato a terra, verso destra, ma non me.
« No. L'ho scambiata per qualcun'altro. Le chiedo sinceramente scusa »
Un mormorio appena con la sua voce roca ed era andata via.
L'avevo seguita con lo sguardo finché non era entrata nell'ambulatorio di ortopedia.


Le chiedo scusa, se ci conoscevamo ma non mi ricordo di lei. Davvero.
Mi fece venir voglia di dirle quelle parole.

 
***


Non amavo leggere.
Non lo facevo mai per puro piacere personale.
Tanji mi aveva incuriosito con la storia delle madeleine, ma non volevo spendere soldi per comprare qualcosa che forse avrei letto solo per metà.
Per quel motivo andai alla biblioteca di città.
Si trovava all'interno di un antico palazzo reale ottocentesco, ora sotto la custodia pubblica. Era antica e non ci ero mai stato prima, o almeno, non negli anni che ricordavo della mia vita. La hall era alta, i soffitti avevano dipinti fatti a mano e gli scaffali si alzavano per metri lungo le pareti, soffocanti.
Mi fermai davanti al bancone della reception, non sapevo bene che cosa fare.
La donna seduta dall'altra parte stava battendo a mano sulla tastiera di un computer datato, aveva i capelli dell'arancione più intenso che avessi mai visto. Per un istante mi fecero venire in mente qualcosa, una sensazione di déjà vu, ma non appena provai ad afferrarla quella sfumò via dalla mia presa. Come sempre.
« Mi servirebbe un'informazione » Dissi a voce bassa ma ferma, schiarendomi la gola.
La donna sollevò lo sguardo di scatto, sussultando leggermente. Era carina.
Aveva grandi occhi ambrati, particolari.
Mi sembrava di averli già visti da qualche parte e di aver pensato qualcosa a riguardo.
Mi fissò imbambolata per qualche secondo, poi aprì la bocca e: « Wa- » si fermò subito, producendo quel verso incomprensibile.
Poi la chiuse, si ricompose e intrecciò le mani davanti a sé, sul ripiano del bancone.
« Come posso aiutarla? » Non ebbi la prontezza di rispondere immediatamente.
Quella donna mi era parsa davvero strana.
« Cerco un libro. Alla ricerca del tempo perduto » Spiegai, sperando di aver ricordato il titolo corretto. Lei mi osservò per qualche secondo ancora con quegli occhi d'ambra familiari, poi spostò lo sguardo sullo schermo luminoso del computer. Fece una ricerca.
« Lo abbiamo a disposizione. Ha la tessera per prenderlo in prestito? »
Quella domanda mi colse completamente impreparato. Non avevo una tessera.
E nei ricordi che ancora possedevo non ero mai stato prima in una biblioteca.
Mi venne da pensare che forse avrei dovuto informarmi meglio prima di presentarmi lì con la mia richiesta. La donna parve accorgersi della mia difficoltà.
« Non è un problema se non ne ha una »
Fece un sorriso e sembrava una persona gentile.
Non lo capivo, ma quel sorriso mi sembrava intimo, personale.
Vaneggiamenti, Wakatoshi. Sono solo vaneggiamenti. Le persone importanti, che ti servono adesso per stare bene, sono tutte qui. Non arrovellarti oltre.
Mi tornarono in mente le parole di Satori.
« Può fornirmi un documento di riconoscimento e ne facciamo una subito, ci vorranno solo pochi minuti » Mi riscossi e annuii, infilando una mano nella tasca interna della giacca per estrarre il portafoglio, le consegnai la mia carta d'identità elettronica e attesi.
Lei fece qualcosa al computer, poi aprì un cassetto e prese un cartoncino di carta, ci scrisse su.
Me lo passò e io lo guardai: la tessera.
« I libri in prestito si possono tenere per trenta giorni, ne può prendere fino a cinque. Lo stesso vale per le riviste e i giornali »
Mi spiegò lei con gentilezza, mentre la fissavo forse con troppa insistenza.
« Se raggiunge la sezione Romanzi, in fondo a tutto, troverà la mia collega. Sta facendo l'inventario proprio lì, le darà una mano. Quando avrà fatto, torni pure da me »
Annuii, infilando la tessera nel portafoglio, insieme al documento d'identità.
La donna continuava a sorridermi, l'occhio mi cadde sul badge che aveva attorno al collo: Shouyou Hinata. Aggrottai le sopracciglia mentre riponevo distrattamente il portafoglio.
Noi ci conosciamo, Shouyou?
Ma non dissi niente, se non: « Grazie »
Mi allontanai di qualche passo, diretto verso le scale che mi avrebbero condotto all'interno della vera e propria struttura.
« Signor Wakatoshi » Mi sentii chiamare con urgenza e voltai automaticamente la testa, guardandomi indietro. La donna si era alzata in piedi e mi fissava, sporta contro il bancone: « Bentornato » Rimasi qualche secondo a fissarla, ricordandomi che conosceva il mio nome perché lo aveva appena letto sul mio documento d'identità - anche se pensai avesse una memoria fotografica per ricordarlo tanto bene -, poi le feci un cenno con il capo.
Non volevo farle notare il suo lapsus linguistico.
Bentornato, invece di benvenuto.
Ma lei continuò a sorridermi come se fossi un vecchio amico che non vedeva da tempo.


La sezione Romanzi era in fondo a tutto.
Avevo attraversato diverse sale silenziose e ampie, sature di scaffali, vetrate imponenti, soffitti dipinti, statue di eruditi e tavoli con poche persone immerse nella lettura.
Perfino un vecchio clavicembalo.
Trovai la collega che mi era stata indicata proprio tra gli scaffali di quella sezione.
Era di profilo e la riconobbi subito, inaspettatamente.
Non aveva gli occhiali da sole né il cappotto nero di velluto, ma la stessa matassa di mossi capelli castani che scendevano fino al fondo schiena.
Aveva infestato i miei pensieri negli ultimi giorni, quella creatura sconosciuta, con le sue lacrime e il suo profumo e il suo sguardo dietro le lenti scure.
E non avrei potuto non riconoscerla in quella coincidenza inaspettata che parlava di destino, nemmeno se mi fosse apparsa sotto altre sembianze.
Era alta, avvolta in un vestito a fiori blu elettrico, con un cardigan bianco sulle spalle e gli stivaletti marroni senza tacco.
Aveva delle belle gambe, delle belle forme.
Tutto esattamente come lo ricordavo.
Fece un movimento con la testa, picchiettando con la penna sulla cartellina che aveva davanti e a me sembrò di avere un déjà vu. Ero stato lì, con lei, altre mille volte.
Chissà quando nel passato o nel futuro, o in realtà non c'ero stato mai e quel gesto non lo avevo impresso nella mia memoria.
Non la conoscevo.
Eppure era la donna più bella che avessi mai visto, e lo pensai intensamente quando spostò quegli occhi intelligenti - lo sapevo per istinto - su di me.
Non ebbe nemmeno un sussulto, ma il mio cuore si.
« Oh » Disse, la voce crespa « Ciao »
Ciao, mio caro vecchio amico, è da così tanto tempo che non ci vediamo.
Era strano come una sola parola, così semplice e scontata, potesse avere una simile assonanza alle mie orecchie.
« Salve » Replicai, non sapendo bene cosa dirle. Avevo un po' perso le parole.
Lei si voltò interamente nella mia direzione, stringendo la cartellina rigida al petto.
Dio, se era bella. Così bella.
Avevo quarant'anni passati e mi sentii un ragazzino di nuovo.
Ed era strano, perché il periodo della mia adolescenza era tutto quello che ricordavo.
I primi anni di università erano nebulosi e sfocati, fatti solo di frammenti.
Poi le diapositive del film della mia vita si interrompevano bruscamente, trasmettendo in bianco e nero, per ripartire in un ospedale.
Non ricordavo di aver mai amato nessuno.
Satori mi aveva detto che non lo avevo fatto.
Solo frequentazioni terminate nell'arco di breve tempo. Incontri di una notte.
Ne avevo avuti alcuni anche in quei tre anni, nessuno che fosse durato troppo.
Sentivo sempre che mi mancava qualcosa.
Ma quella donna triste la volevo.
La volevo in modo diverso da come avessi mai voluto qualsiasi altra donna.
In modo diverso da come avessi mai desiderato qualsiasi cosa in vita mia.
Volevo conoscere la sua anima e non il suo corpo, volevo sapere chi fosse e scoprire come pensava. Volevo fare l'amore con lei con il pensiero e con le idee.
E quella consapevolezza mi colpì con una certa forza, perché una sensazione così forte di possesso non l'avevo mai provata prima.
« Ti posso aiutare? » La sua domanda mi riportò con i piedi per terra, e mi chiesi se non l'avessi guardata con troppa insistenza.
Non feci caso alla confidenza che utilizzò.
« Mi servirebbe un libro: Alla ricerca del tempo perduto » Le feci sapere.
Lei mi guardò per qualche secondo, aveva degli occhi scuri dal colore intenso, in cui mi sembrava di aver guardato mille volte dentro.
« È da questa parte, vieni con me » Si mosse e mi passò accanto - profumava di vaniglia e bergamotto, come ricordavo -, e mi tornò in mente la boccetta di un bagnoschiuma che non ricordavo di aver mai comprato. Costoso.
Quell'immagine mi stordì e ci misi qualche secondo per seguirla. Notai che zoppicava.
Non me n'ero accorto la prima volta.
Raggiungemmo lo scaffale con i romanzi di letteratura francese, il sole freddo ci investiva attraverso il vetro sporco della finestra.
« Ci siamo già incontrati »
Forse avevo cominciato quella conversazione nel modo sbagliato.
Non ero bravo con le persone. Non lo ero mai stato.
Né prima dell'incidente - per quel che ricordassi -, né dopo, e con la mia amnesia meno che mai. Lei - che stava ispezionando le costine dei libri con lo sguardo - si fermò, tornando a guardare me. Sembrava sorpresa, sospesa in una risposta.
« Si » Disse « Ci siamo già incontrati »
E mi sorrise. Non avevo mai visto un sorriso come quello. Era triste, era accennato.
E mi sembrò che lei non lo intendesse allo stesso modo di come lo intendevo io.
« Nella hall dello studio medico »
Specificai allora, e lei distese il sorriso.
Ed ebbi la certezza che quelle non fossero le parole che stava aspettando. Ma non avevo idea di cosa volesse sentirsi dire.
« Si » Distolse lo sguardo da me, tornando a cercare il libro giusto da darmi.
Inconsciamente mi feci un po' più vicino.
Lessi il nome sul badge che anche lei aveva attorno al collo: Tooru Oikawa.
Tooru, mi echeggiò nella mente, come se lo avessi tenuto riposto in un cassetto che si era aperto all'improvviso.
Come se lo avessi pronunciato altre volte.
« Ho bisogno di una mano » Mi riscosse.
La guardai, lei - Tooru, Tooru, Tooru, Tooru - indicava il libro in uno scaffale troppo alto per entrambi. Vedevo la costina azzurra e il titolo in nero e lo spessore notevole.
« Non ci arrivo » Notai. Lei rise lievemente, anche la sua risata era roca e rasposa.
« Lo so » Poi indicò uno scalino a tre piedi appoggiato contro il muro sotto la finestra.
« Puoi salire su quello e prenderlo tu? »
Era una richiesta insolita, ma non domandai.
Presi il tre piedi e ci salii sopra senza difficoltà alcuna, sfilai il libro con una mano.
Era vecchio, usato, puzzava di muffa.
« Mi sono rotta un ginocchio anni fa »
Mi spiegò mentre scendevo i gradini, osservando il retro del libro.
Le guardai le gambe, indossava le calze.
« Lo studio medico » Commentai allora, ricordando di averla vista entrare nell'ambulatorio di ortopedia.
« Si » Ammise lei, afferrando i miei pensieri, poi ci guardammo.
Non sapendo che altro dirle ispezionai il libro.
Era corposo, non ricordavo di aver mai letto nulla di tanto voluminoso di mia iniziativa.
Feci scorrere velocemente le pagine.
« Non ti è mai piaciuto leggere »
Sollevai lo sguardo, lei mi stava osservando.
« Come? » Chiesi, chiudendo il volume con una sola mano, di scatto.
« Mi hai dato quell'impressione »
Aggiunse lei, chiarendo il suo intervento.
Le sue parole mi erano sembrate quelle di una persona che mi conosceva bene.
Ma noi due eravamo solo due estranei che si parlavano per la prima volta.
Ne ero certo. Eppure ...
« Ci conosciamo noi due? »
Lo domandai lo stesso, di nuovo.
Lei non mi diede la risposta che mi sarei aspettato. Osservandomi con quegli occhi tristi, mi domandò: « Perché continui a chiedermelo? » E io non me lo aspettavo.
Come la prima volta, avrei potuto gestire una risposta come: L'ho scambiata per un'altra persona. Mi dispiace.
Sarebbe stato normale. Scontato. Ma quella donna - Tooru - mi aveva posto quella domanda come se stesse cercando una risposta specifica.
Come se bramasse qualcosa.
« Perché non posso immaginare di aver conosciuto una donna come te e di non ricordarlo »
E perché ho come la sensazione che tu sia appena uscita da uno dei cassetti della mia memoria impolverata. Lei mi guardò come se avessi detto qualcosa di totalmente inaspettato, non quello che si aspettava. Ma qualcosa di assurdo.
Mi guardò come se l'avessi ferita.
E io mi domandai se non avessi sbagliato.
Satori mi diceva che alcune volte non avrei dovuto aprire bocca. Che non sapevo leggere le situazioni e che non si poteva dire sempre tutto quello che si pensava.
Io non ne avevo mai capito il motivo.
Dicevo solamente quello che vedevo. O quello che sentivo.
Ma forse quella volta avevo fatto male.
« Una donna come me? » Chiese invece lei.
Mi scrutò, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Aveva delle belle mani.
Delle belle mani con una fede al dito.
« Sei molto bella » Le confessai, osservando l'anello infilato all'anulare della mano sinistra.
Era accompagnato da quella che doveva essere la fedina di fidanzamento.
« L'ho pensato anche all'ambulatorio »
« Allora chiedimi di uscire »
Tornai a guardarla, leggermente sorpreso.
« Non sai nemmeno il mio nome » Ammisi.
A lei però sembrava non importare nemmeno.
« Lo imparerò. Io sono Tooru »
Lo so. Ma non lo dissi.
Tooru non sapeva niente di me. Io non sapevo niente di lei. Avrei potuto farle del male, lei avrebbe potuto farne a me.
« Wakatoshi » Risposi invece.
Non sembrava importare a nessuno dei due.
« Ora chiedimi di uscire con te »
Insistette lei, quasi con urgenza.
Io le guardai di nuovo la fede al dito, le stava larga, sembrava che fosse sul punto di poterla perdere da un momento all'altro.
« Esci con me, Tooru. Per favore »
« Si. Si. Stacco tra qualche minuto »
Ero certo che se qualcuno avesse visto quella scena da fuori avrebbe potuto pensare che fossimo due matti. Che Tooru fosse una donna fuori di testa, una svitata disperata e io un povero idiota senza speranza. Non ci conoscevamo, eppure.
Eppure avevo come la sensazione che quella donna - Tooru -, fosse la persona che conoscevo meglio al mondo. Ripensai a Tanji, alle petite madeleine e guardai il libro che ancora stringevo tra le mani. Le memorie involontarie.
« Ti aspetto » Le dissi allora, a quella totale sconosciuta con una fede al dito di cui non mi importava, su cui non avevo ancora fatto domande. Ma ne avevo molte e gliele avrei fatte tutte, e Tooru avrebbe dovuto rispondere. Ad ognuna di quelle domande.
Perché volevo fargliele tutte, piano piano.
Volevo conoscerla intimamente e oltre.


Tornai da Shouyou Hinata con il libro.
Lei sorrise non appena mi vide.
Mentre segnava qualcosa al vecchio computer mi chiese: « Ha trovato la mia collega? »
Le sue unghie smaltate di rosa picchiettavano sulla tastiera rumorosamente.
« Si » Le risposi. Lei mi guardò da sopra lo schermo luminoso, gli occhi familiari.
« Bene » Si limitò a mormorare « Bene »

 
***


L'aria si era fatta frizzante.
Ci trovammo sul marciapiede affollato nel momento della sera in cui il cielo si tingeva di viola, cosparso di nuvole scure. Tooru era avvolta nello stesso cappotto nero in cui l'avevo vista la prima volta, con una sciarpa blu avvolta attorno al collo.
« Ho la macchina da quella parte » Le indicai lungo il marciapiede, verso il parcheggio sotterraneo in cui l'avevo lasciata prima di arrivare in Biblioteca.
Non eravamo vicini su quella strada, non ci sfioravamo nemmeno.
« Guidi la macchina? » Chiese lei e la guardai, non potevo evitare di notare la paura nel tono della sua voce. Gli occhi sgranati.
« Si. Ho la patente » Risposi.
Eravamo ancora fermi su quel marciapiede, davanti all'imponente entrata della Biblioteca.
« Ho pensato che potessimo cenare insieme al centro » Conoscevo un posto.
Ci andavo con Satori qualche volta, si mangiava bene, ma non sapevo se fosse adatto per un appuntamento.
Tooru si strinse una mano attorno al colletto del cappotto, come se tirasse vento.
« Guidi la macchina ... senza problemi? »
Mi chiese ancora, come se fosse rimasta fissa a quel punto lì. Era una strana domanda.
« Se ti stai riferendo alle mie prestazioni automobilistiche, sono nella media »
Lei non rispose e non si mosse nemmeno.
Rimase chiusa nel suo cappotto.
« Ho avuto un incidente, tre anni fa. Ma non lo ricordo, per cui non ho problemi a guidare. Ed è stato l'unico della mia vita » La informai, con voce serena. Lei ebbe come un sussulto, strinse la mano attorno al colletto fino a farsi sbiancare le nocche.
« Le macchine mi mettono a disagio »
Ammise alla fine, distogliendo lo sguardo dal mio. Io continuai a guardarla.
« Possiamo andare da qualche parte qui vicino, a piedi » Proposi allora.
Avevo già infilato una mano nella tasca del cappotto per stringere le chiavi nel mio pugno, ma lasciai la presa. Con l'altra stringevo ancora il libro sottobraccio.
Tooru scosse la testa, forzò un sorriso, con quelle rughe appena accennate attorno alle labbra prive di trucco.
« No, va bene. Posso fare un'eccezione »
« Il tragitto è di soli dieci minuti »
La rassicurai, cercando nuovamente le chiavi.
Lei annuì, muovendo il primo passo verso di me. Ci incamminammo insieme.


La sbirciai con la coda dell'occhio mentre mi immettevo nella strada trafficata.
Era seduta in modo rigido, schiacciata contro la portiera, quasi al margine del sedile.
La posizione era tesa, con una mano si teneva al gancio sulla sua testa, non aveva voluto indossare la cintura, scusandosi.
Pensai che forse non avrei dovuto forzarla.
Non che lo avessi fatto, ma forse non avrei dovuto lasciare che si sforzasse.
La macchina non era la stessa dell'incidente.
Quella si era accartocciata su se stessa, la parte retrostante non esisteva più. O almeno, così mi era stato raccontato. Era nuova e profumava di pulito, di asettico.
La usavo poco ed era impersonale, anonima.
Tooru osservava la strada di fronte a noi con espressione concentrata, tesa.
Andavamo a passa d'uomo per via del traffico consistente sulla strada principale.
Forse si era pentita di essere salita in macchina con me, uno sconosciuto.
« Ti piace il pesce? » Domandai.
Lei sussultò appena, senza distogliere lo sguardo dalla strada di fronte a se.
« Si » Rispose appena.
« Nel ristorante dove stiamo andando fanno un'ottima frittura »
Non ero bravo a fare conversazione. La guardai di nuovo.
Lei dovette sentirsi il mio sguardo addosso.
« Wakatoshi, ti prego, guarda la strada »
E mi sorprese. Mi sorprese davvero il modo in cui pronunciò il mio nome, il modo in cui impostò la frase, l'intonazione, la confidenza.
Strinsi le mani attorno al volante e tornai a guardare dritto di fronte a me.
Mi venne di nuovo una sensazione di déjà vu.
Guidai per un po' in silenzio, lentamente, tra il traffico. Ci stavamo mettendo ben più di dieci minuti, ma non correvamo con la macchina.
« Hai parlato di un incidente ... » Fu lei a spezzare il silenzio, qualche minuto più tardi.
Sorpreso, tornai a rivolgerle uno sguardo.
Non era qualcosa che nascondevo.
« Si. Tre anni fa. Stavo andando in vacanza da solo e ho avuto un incidente »
Misi la freccia e svoltai lentamente a destra, immettendomi in un vicolo secondario che avrebbe allungato la strada, ma almeno ci avrebbe risparmiato altro traffico seccante.
Tooru fece un respiro pesante. Roco.
Non ci avevo fatto molto caso fino a quel momento, ma la sua voce sembrava spezzata. Come se avesse le corde vocali rotte, vibranti, rovinate.
« Da solo ... » Mormorò.
« Non sono sposato. Non ho nessuno »
Le feci sapere, per poi rivolgere una velocissima occhiata alla fede che lei portava al dito, sulla mano stretta a pugno e sbiancata dalla tensione, sulla sua coscia.
« Nessuno eh? »
Il semaforo a pochi metri di fronte a noi scattò sul rosso, fermai la macchina.
Tooru chiuse gli occhi durante la frenata, come se stesse cercando di non vomitare.
Io la guardai. Era comunque bellissima.
« Soffro di perdita di memoria retrograda di tipo transitorio »
Nel silenzio dell'abitacolo buio, con il cielo che si era fatto scuro sulle nostre teste e le sole luci della città a illuminarci, la mia voce sembrò sorprendentemente forte.
Tooru aprì gli occhi, ma non mi guardò.
« Ho perso la memoria per via dell'incidente. Vent'anni circa della mia vita. Pensavo di dovertelo dire » Alcune delle donne che avevo frequentato in quei tre anni si erano scoraggiate alla notizia. E Satori mi aveva suggerito di non nasconderlo.
Ero sicuro che la mia vita non sarebbe cambiata molto se mi fosse tornata la memoria, ma "costruire una relazione sulla menzogna non va bene, Wakatoshi!"
« Non mi importa » Sussultai.
Tooru mi stava guardando e non riuscivo a decifrare il suo sguardo. Era malinconico.
« Voglio conoscere l'uomo che ho davanti adesso » E a quel punto mi sorrise appena.
Non avevo mai visto prima qualcuno sorridere senza mostrare alcun calore.
Io, ad esempio, non sorridevo quasi mai.
Scattò il verde, ripresi a guidare.
Tooru si tese di nuovo, tornando a guardare la strada. Successe poco prima di parcheggiare.
Eravamo arrivati a destinazione.
Ero concentrato. Ebbi come un flash.
Fu solamente un istante.
Mi sembrò di trovarmi su una strada soleggiata, d'estate, di guidare con il finestrino aperto e una mano fuori. Che alla radio passasse una canzone, e che qualcuno stesse cantando accanto a me. Una donna con una bella voce melodiosa.
Un bambino rideva nel sedile posteriore.
Durò il tempo in cui chiusi gli occhi e li riaprii, frenando bruscamente nel posto del parcheggio. La macchina oscillò.
Io rimasi con le mani aggrappate al volante.
Fissavo la parete con i rampicanti davanti a me, nel buio. Delle dita ruvide mi toccarono le nocche della mano destra.
« Wakatoshi ... »
« Il bambino! » Sbottai io, girandomi di scatto verso il sedile posteriore.
Ma ovviamente era vuoto, perché non c'era mai stato nessun bambino nella mia vita.
Mi passai una mano sulla fronte, aggrottando le sopracciglia - avevo mal di testa.
Al mio fianco, Tooru mi guardò come se fosse sul punto di mettersi a piangere.
Ma nei suoi occhi lessi anche terrore. Dovevo averla spaventata per niente.
« Scusami. Non so cosa ... »
Scossi di nuovo la testa, scacciando quelle sensazioni dalla mia mente.
Lasciai andare la presa sul manubrio - le dita formicolarono con il ritorno della circolazione del sangue -, e aprii lo sportello, lasciando entrare l'aria fredda della sera nell'abitacolo.
« Andiamo » Le intimai.
Non volevo indugiare troppo sull'accaduto.
Temevo che lei si sarebbe tirata indietro.
E non volevo, perché mi piaceva.
Sembrava una donna intelligente, interessante, arguta. Di quelle che sarebbero andate lontano se gliene avessero lasciato la possibilità. Inoltre, la sentivo mia.
Feci un bel respiro profondo quando misi i piedi a terra, osservando il cielo scuro, i lampioni nel parcheggio e il ristorante rumoroso con la sua attività frenetica.
Mi girai verso la macchina, credendo che anche lei fosse scesa, e invece era ancora seduta al suo posto. La luce interna la illuminava, accesa per via della portiera aperta. Tooru fissava il sedile posteriore con occhi spenti, ma quello era irrimediabilmente vuoto.
Non sapevo che cosa stesse cercando.
« Tooru » La chiamai, con voce ferma.
Lei mi fissò e per un momento non mi vide.
Poi parve mettermi a fuoco, i suoi occhi tornarono vivi, accennò quel sorriso spento.
« Arrivo » Scese dalla macchina.
E io non feci altre domande.


« Portami a casa tua »
Mi porse quella richiesta durante il viaggio di ritorno in macchina.
Era stata una cena piacevole. Avevamo parlato, molto, e riso qualche volta.
Ed era stato come se lo avessimo fatto da sempre, parlare e ridere insieme.
Anche se non ci conoscevamo. Almeno non in quella vita.
Distolsi lo sguardo dalla strada buia per rivolgerle una veloce occhiata.
Tooru non era meno tesa dell'andata, ma sembrava decisamente più rilassata di prima.
« Tooru, non so se - »
« Voglio venire a casa tua »
Non era quello che volevo da lei. Almeno non quella sera. Non subito.
Volevo fare le cose con calma, per una volta, e non volevo che lei pensasse -
« Voglio passare la notte con te » Strinsi le mani attorno al manubrio.
Mi stava rendendo le cose difficili.
« Non è quello che pretendo da te » Dissi.
La strada era buia, poco illuminata. La stavo riaccompagnando a casa, all'indirizzo che mi aveva dato - familiare -, io vivevo dalla parte totalmente opposta.
Se proprio voleva, non capivo perché non potesse essere da lei, e poi ripensai alla fede.
Non le avevo chiesto niente di quella.
Forse perché mi era mancato il coraggio.
« Lo so. Ma lo voglio. Tu no? Non mi trovi abbastanza attraente? »
« Tooru, sei la donna più bella su cui io abbia mai posato i miei occhi »
« Allora andiamo a casa tua. Adesso »


Feci retromarcia l'istante successivo.

***


Ci baciammo nell'ingresso di casa, con la porta che ancora si chiudeva alle nostre spalle.
Ci baciammo come due adulti che avevano una certa età. Una certa esperienza.
Ci baciammo come se lo avessimo già fatto. Incespicando sui passi mentre arrancavamo verso un letto, spogliandoci dei nostri vestiti un pezzo alla volta.
E ci toccammo come se sapessimo esattamente dove mettere le mani, dove posare le labbra, dove sfregare. Come se anche quella fosse un'abitudine.
Tooru era bellissima, nonostante la sua età.
Il suo corpo era una mappa di cicatrici che parlavano di un passato che non conoscevo.
Faceva l'amore con un certo impeto.
Faceva l'amore come se stesse per morire.
E fece morire me più volte nel corso della notte.
E mai una veglia mi era apparsa tanto breve, tanto intensa. Tanto significativa.
Durante uno dei nostri amplessi tentai di sfilarle via la fede dal dito.
Lei strinse la mano, chiuse il pugno, fermò le mia dita. Mi muovevo su di lei e avevo l'affanno, lei si muoveva sotto di me e aveva l'affanno. E mi sembrò di rivivere un altro déjà vu.
In un altro letto, in un'altra casa. Come era successo nella macchina.
Tooru tenne la fede per tutto il tempo.
E pianse tutte le volte che la toccai.
Non le chiesi mai il perché.


« Sono sposata »
Lo mormorò lei ad un certo punto della notte, mentre ci trovavamo tra la veglia e il sonno.
Era stesa su di me, interamente.
I suoi capelli mi solleticavano il mento, i suoi seni erano schiacciati sul mio petto.
Le nostre gambe sfregavano tra di loro.
Le lenzuola non coprivano i nostri corpi, aggrovigliate alla base del letto.
« E ho due figli » Tooru mormorava, disegnando con un dito l'aureola del mio pettorale sinistro. Io rimasi in silenzio. Avevo visto quell'anello dal primo momento.
« Ma loro non sono con me »
Spostai lo sguardo dal soffitto per guardare la sommità dei suoi capelli scombinati.
« Non sono con te? » Ripetei. Lei scosse la testa.
Aveva una voce sottile, minuscola, crespa.
« Mio marito è in un posto lontano, e lì ha portati con sé. Non posso raggiungerli »
Immaginai che fossero divorziati. O che si stessero separando.
Un po' come era successo ai miei genitori.
Immaginai che lei non avesse ancora lasciato andare, per via della fede.
Immaginai che io potessi essere un passatempo.
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.
« Dovranno mancarti molto » Lei sollevò la testa e poggiò il mento sul mio petto, sollevandosi leggermente per guardarmi negli occhi.
Alzai una mano e le accarezzai rudemente uno zigomo spigoloso.
« Tanto che a volte mi manca il fiato » Mormorò lei, toccandomi le labbra con le dita.
Anche nel buio della mia camera da letto asettica, con la sola luce della luna, riuscivo a vedere i suoi occhi tristi e distanti. Ora capivo: le mancava un pezzo di cuore.
Come a me mancavano vent'anni della mia vita. Ma non poteva essere la stessa cosa.
A lei mancava qualcosa che io non avrei mai potuto darle. Non ne avevo la presunzione.
Eravamo due estranei che si erano sfiorati appena.
« Posso fare qualcosa per aiutarti? »
La mia voce era forte e bassa anche nel silenzio delle ore che precedevano l'alba.
Fuori dalla finestra si sentivamo gli uccellini.
Tooru non mi diede una risposta, continuò a toccarmi le labbra e disse: « Sto facendo il possibile per riavere indietro almeno una parte. Anche solo una parte di quello che avevo »
E io rimasi in silenzio.
I suoi figli, pensai.
Per riavere indietro almeno loro, probabilmente. Chissà quale battaglia stava combattendo quella donna bellissima entrata nella mia vita solo dodici ore prima.
Io combattevo contro la mia memoria, lei contro dei fantasmi.
Non le dissi niente, e avvolsi le mie braccia attorno alle sue spalle, stringendola a me.


All'alba l'accompagnai sotto casa.
Mi guardò dal portone appena aperto, il respiro che le usciva condensato dalle labbra appena schiuse per via del freddo.
Mi sorrise e io alzai una mano per salutarla.


Da quel giorno diventammo amanti.

 
***


Avevo un noioso lavoro d'ufficio.
Me la cavavo. Ma non avevo sempre fatto quello, nella vita.
Ero un avvocato penalista, prima dell'incidente, uno di quelli che non perdevano mai, spietati. Senza scrupoli. Non ricordavo niente nemmeno di quello.
Avevo dovuto cambiare professione per necessità di cose. Imparare d'accapo.
I miei orari erano fissi, fastidiosi.
Ma non mi impedivano di incontrarmi con Tooru quando potevo.
Andavo a trovarla quasi tutti i giorni in Biblioteca.
Mi mettevo seduto al solito tavolo con Alla ricerca del tempo perduto tra le mani, leggevo qualche pagina cercando me stesso tra quelle righe e aspettavo che finisse il turno.
Poi andavamo via insieme. Passeggiavamo mano nella mano.
O andavamo a fare qualche commissione.
Cenavamo da qualche parte, o a casa mia, cucinando insieme.
Lei restava per la notte e facevamo l'amore.
Io le feci una copia delle chiavi, da tenere con sé per venire e andare via quando voleva.
E le comprai uno spazzolino di riserva, mentre lei dimenticava ogni volta qualcosa a casa mia, come un rossetto, una maglietta, una vestaglia, dei prodotti per il corpo.
Nel week end andavano spesso fuori città.
Tooru imparò a sopportare la mia guida.
E prima che ce ne rendessimo conto le stagioni erano mutate e noi con esse.
Quattro mesi e non ricordavo di aver mai vissuto tanto intensamente in vita mia.
Quattro mesi in cui imparai a conoscerla.


Tooru aveva delle abitudini e delle paure.
Le piaceva farsi le coccole alla fine di un rapporto, ad esempio, oppure mettere tre cucchiai di zucchero nel caffè, mangiare i panini al latte, che le massaggiassi i piedi.
E aveva paura delle macchine e delle vasche da bagno. A casa mia ne avevo una.
La prima volta che l'aveva vista le era venuto un attacco di panico violento.
Avevo scoperto quel giorno che ne soffriva.
E aveva paura quando mi allontanavo troppo.
La notte si svegliava in preda agli incubi.
Non chiamava mai i suoi figli davanti a me.
E qualche volta, nel week end, spariva da qualche parte senza dirmi dove andasse.
Io non le chiedevo mai niente.


Fare l'amore con lei era una cosa che mi piaceva. Non sempre era stato così.
Non tutte le volte, almeno.
Non con altre persone. Ma con Tooru mi piaceva. Era nella familiarità della cosa.
Era forse nell'amore che provavo per lei.
Era nel modo in cui mi toccava, con dolcezza, facendomi capire senza parole che anche lei mi amava. Era nella complicità.
Non lo facevamo sempre, ma quando succedeva non mi stancavo mai di guardarla.
Come quella sera.
A volte parlavamo, per ore e ore, nella notte.
Ero ancora tra le sue gambe, dentro di lei, che mi sfregava i fianchi con movimenti lenti.
Avevo il mento appoggiato tra i suoi seni e la guardavo, e lei guardava me, accarezzandomi con i polpastrelli delle dita alcune ciocche.
Con una mano le accarezzai la coscia fino a raggiungere il ginocchio, che strinsi nella presa della mia mano, sentendo la pelle liscia e granulosa al di sotto.
Mi aveva detto che se lo era rotto, spezzato.
Non aveva potuto camminare per mesi e si era operata cinque volte per riprendere almeno a zoppicare. Si stancava nell'arco di poche ore e ogni tanto doveva sedersi.
Quando era umido le faceva male.
Durante il sesso non potevamo fare alcune cose, altrimenti si sarebbe fatta male davvero.
Non mi aveva detto come se lo fosse rotto.
Non avevo chiesto. Forse da ragazza. Ma quello non era l'unico segno sul suo corpo.
Restando dentro di lei mi tirai a sedere.
Lei rimase calma, tranquilla sotto il mio sguardo attento, con le braccia rilassate oltre la testa e il busto che si alzava e abbassava a ritmo di un respiro sereno.
Le passai un dito in mezzo ai seni e percorsi il solco lasciato da quella che sembrava essere stata una brutta ferita da penetrazione.
Poco sotto l'ombelico, fino a sfiorare il taglio di un cesareo nella zona del pube.
« Hai molte cicatrici »
« Anche tu »
Tooru sollevò una mano e mi toccò la tempia, dove avevo il segno dell'operazione subita.
E poi lo zigomo, dove mi era rimasto il graffio di una scheggia di vetro del parabrezza.
E la coscia, dentro cui si era infilato qualcosa di metallico che non ricordavo cosa fosse.
Satori me lo aveva detto, forse.
Ma ebbi come l'impressione che non stessimo più parlando di qualcosa di fisico.
« Hai avuto un parto cesareo » Notai, accarezzandole di nuovo la cicatrice.
Dentro di lei si stava bene e sentivo che avrei avuto ancora poca resistenza prima di richiedere ancora una volta la sua attenzione.
Lei allungò un braccio e mi toccò la mano, lasciando le schiacciassi le dita proprio lì.
« Mi si ruppero le acque troppo presto e il bambino andò in sofferenza fetale »
Mi raccontò, guardandomi negli occhi.
Le nostre dita si erano intrecciate sulla sua cicatrice. La sua pelle era calda e sudata.
« Tuo marito si sarà spaventato »
« Ha dato un pugno nel muro e si è rotto una mano. Non è una persona emotiva, ma quella volta ebbe paura » Mi sembrava di poter capire quella reazione.
« Ma andò tutto bene. Lui nacque, era minuscolo, stette un po' in incubatrice ... »
« Un maschio? » Domandai.
Non sapevo spiegarmi perché, ma l'idea che avesse un figlio maschio mi rendeva ... felice.
Lei annuì, continuando a fissarmi.
« E il secondo? » Mi aveva detto di avere due figli. Distolse lo sguardo.
« Un altro maschio » Mormorò.
La vidi spostare distrattamente la mano libera sul ventre, sulla seconda cicatrice, quella da penetrazione accanto all'ombelico.
« Hai due maschi. Come si chiamano? »
Lei si morse il labbro inferiore, e mi resi conto che stava per mettersi a piangere.
Non avrei dovuto parlare dei suoi figli.
« Potremmo non parlarne? » Mormorò.
« Certo » Sussurrai, muovendomi nuovamente sopra di lei con dolcezza.
Tooru tornò a guardarmi con quegli occhi tristi che non avevo visto sorridere mai.
« Vuoi un figlio da me? » La domanda mi colse del tutto impreparato.
La guardai negli occhi, impassibile.
« Sei incinta? » Le domandai.
Avevamo entrambi quarantadue anni, nati nello stesso anno con un solo mese di differenza. Non eravamo giovani. Non sapevo se lei potesse o meno, non glielo avevo chiesto, e con la mia condizione non ci avevo mai pensato a dei figli.
Non sapevo se volerne o meno.
« No » Lei scosse la testa lentamente.
« Un figlio da te » Ripetei, solo per sentire come suonava detto ad alta voce.
« Potresti darmene uno? » Indagai, accarezzandole il ventre con le dita.
Lei scosse la testa, le lacrime che le cadevano sulle tempie, mentre si mordeva le labbra per non lasciarsi andare ai singhiozzi.
« No » Disse, la voce strozzata.
Io rimasi in silenzio, in attesa.
« Ho avuto un'isterectomia totale anni fa »
Si asciugò gli occhi con i palmi delle mani.
Non sapevo bene come prendere quella notizia. Non sapevo che cosa dirle.
« La seconda gravidanza ... scusami. Se vuoi un altro figlio da me non posso dartelo »
« Tooru, no » Si era schiacciata le mani sugli occhi e io gliele tolsi « Non voglio un figlio »
Lei mi fissò, lo sguardo annebbiato di lacrime.
« Non importa se non possiamo »
Le asciugai rudemente il viso con le dita troppo grandi delle mie mani.
Lei si tranquillizzò.
Poco dopo, facemmo di nuovo l'amore.


Qualche ora più tardi eravamo di nuovo svegli. Di nuovo pigri, nel week end appena cominciato, la luce dell'aurora che filtrava dai forellini della persiana abbassata.
« In questi tre anni hai avuto altre donne prima di me adesso? »
Anche quella domanda arrivò inattesa.
Ormai avevo imparato che con Tooru potevano succedere cose del genere.
Lei era strana. Io ero strano.
Avevamo fatto le cose con una velocità inedita, ma non lo trovavo sbagliato.
Sapevo che io ero per lei e lei era per me.
Ci eravamo solo incontrati un po' più tardi.
Io amavo Tooru e lei amava me, non c'era voluto davvero molto tempo per nessuno dei due. Ma a volte mi chiedevo se fosse normale quello che provavo, se fossi normale io.
Se fosse normale provare quell'ansia e quella smania di possesso ogni volta che la toccavo o la guardavo. Non volevo che nessun altro la sfiorasse, nemmeno suo marito.
Forse per lei era lo stesso.
Ma avevo il timore di scoprire che quel desiderio dentro di me provenisse da qualcosa di malato nel mio passato che non ricordavo. O non volevo ricordare.
« Qualcuna. Non molte »
Risposi distrattamente, osservando il soffitto familiare in penombra sopra la mia testa.
I movimenti alla mia destra mi riscossero. Guardai Tooru, si era voltata dall'altra parte e ora mi dava la schiena, le lenzuola che la coprivano fin sotto il seno.
Era l'alba e forse voleva dormire, dopotutto.
« Tu hai - »
« No » Mi interruppe « Solo mio marito »
Quella consapevolezza un po' mi sorprese: ero il primo uomo per lei dopo suo marito, il padre dei suoi figli. Mi allungai per toccarle una spalla: « Tooru, tu - » Lei mi scostò il braccio non appena la sfiorai e si mise a sedere sul materasso.
« Vado in bagno » Disse, tirandosi in piedi.
La osservai prima che sparisse oltre la porta.
Tornai ad osservare il soffitto, domandandomi che cosa significasse quello le avevamo e la fretta con cui lo avevamo avuto. Entrambi forse eravamo soli. Disperati.
Io non ricordavo chi ero.
Lei voleva solo dimenticare qualcosa.
Decisi di raggiungerla, per abbracciarla.
Mi accostai alla porta per bussare, ma non lo feci mai.
Un rumore catturò la mia attenzione. Era un suono strano, soffocato, come se qualcuno stesse gridando con un panno sulla bocca. Poi mi resi conto che era così.
Che a gridare era Tooru. Nel bagno.
Gridava e piangeva, soffocando le lacrime.
Feci per aprire la porta di scatto, ma ancora una volta mi fermai, attratto dall'arrivo di un messaggio sul cellulare di lei, abbandonato dalla sera precedente su una cesta di vimini.
Non avrei dovuto leggere, ma lo feci:


Hajime - Dove cazzo sei sparita?!


Aggrottai le sopracciglia.
Sullo sfondo dello schermo aveva una foto di se stessa con un infante tra le braccia, ma non potevo vederlo per via della notifica, apparsa proprio sulla sua faccia.
Hajime era il marito?
Quel nome mi sembrava familiare ...
Lui le parlava davvero in quel modo?
Successe come nella macchina, la prima sera che eravamo usciti insieme.
Arrivò all'improvviso, un'immagine estranea.
Il viso di un uomo che non riconoscevo, delle risate bonarie, una pacca sulla spalla.
E di nuovo la risata di un bambino.
Scossi la testa, cercando di cacciare via quelle immagini.
Mi misi a sedere sul cesto di vimini, le tempie tra le mani, il mal di testa.
Nel tempo che ci misi per riprendermi Tooru aveva smesso di gridare.
Nel bagno sentivo lo scrosciare dell'acqua nella doccia.
Non entrai e la lasciai in pace.
Non volevo sapere chi fosse Hajime.
Non volevo sapere perché urlasse.


Le giornate si erano fatte calde.
Tooru mi appariva bellissima nel suo abito floreale.
Eravamo andati a fare una delle nostre solite gite fuori porta.
Mi voltai nella sua direzione quando mi resi conto che era rimasta indietro.
Si manteneva con una mano al muro, mentre con l'altra massaggiava il ginocchio rovinato.
Io la guardai, lei mi guardò.
« Sediamoci, facciamo colazione »
Le allungai una mano, Tooru la prese.
Ci eravamo alzati molto presto per visitare il castello in cima alla montagna che sovrastava il paesino. La mia proposta non sarebbe risultata strana. E poi era una cosa nostra.
I primi tempi mi preoccupavo, poi avevo capito che a lei dava fastidio, così avevo smesso.
Ora facevamo in quel modo. Ci comportavamo come se niente fosse.
Il bar dove ci fermammo era grazioso, poco affollato. Io ordinai un caffè, Tooru una tisana.
Su un vassoio ci portarono anche un piattino di dolci da accompagnamento.
« Oh, le petite madeleine » Commentò Tooru, osservando un pasticcino alla forma di conchiglia allungata, mentre sorseggiava la sua tisana alle erbe.
« Le memorie involontarie » Mormorai io. Lei mi guardò, abbassando la tazza.
Io distolsi lo sguardo dal dolce e tornai a girare il mio caffè macchiato.
« Il mio neurologo. Mi ha parlato delle memorie involontarie il giorno in cui ci siano incontrati per la prima volta io e te » Le spiegai, bevendo un sorso.
Era buono, forte. Leggermente speziato.
Tooru appoggiò la tazza graziosa nel piattino.
« Le chiamò le petite madeleine, non sapevo ancora che cosa fossero »
« Alla ricerca del tempo perduto »
La osservai dal bordo della tazzina, lei mi sorrise, appoggiando il volto nei palmi delle mani. Aveva una ciocca di capelli fuori posto.
« Lo hai letto » Indovinai.
« Molti anni fa » Confermò « E ne hai avute, di memorie involontarie? »
Non conoscevo una risposta a quella domanda.
Se pensavo a quel pozzo nero dei miei ricordi mancanti, non trovavo niente.
Ma ultimamente ...
« Non lo so. Ma mi sono reso conto che ... da quando ti ho incontrata non mi importa più. Ho un'amnesia retrograda transitoria, potrei riavere indietro i miei ricordi, prima o poi. Forse non voglio ... prima si, lo volevo. Ma ora ... non mi importa più. Sto bene, con te »
Posai la tazzina vuota nel piattino.
Tooru mi guardava, e come sempre non riuscivo a capire che cosa stesse pensando.
Probabilmente per lei era lo stesso.
Avrei voluto chiederle perché stesse con un uomo senza memoria, senza passato.
Altre donne ne sarebbero state spaventate.
Ma lei no. Lei era rimasta subito.
Tanji mi aveva detto che avrei trovato la mia petite madeleine. Non mi importava più.
Avevo timore che il mio passato potesse allontanarmi da Tooru.
« Sono buone sai? Mangiane una » Disse lei alla fine, prendendone una dal vassoio.
Sembrava fresca, spugnosa.
Diede un morso da usignolo, poi la allungò nella mia direzione perché assaggiassi.
Io le afferrai il polso e diedi un morso generoso. Aveva ragione, era buona.
Quella petite madeleine era buona.


« Ho conosciuto una donna »
Lo confessai a Tanji qualche giorno dopo, nella solita visita mensile.
Non glielo aveva detto in quelle precedenti.
Lui non mi diede una risposta pronta, come al solito. Lo guardai dal lettino su cui ero sdraiato. Era seduto dietro la scrivania, con le mani intrecciate davanti a se e mi fissava.
« Una storia seria? » Domandò alla fine.
Io pensai a Tooru. Sapevo poche cose di lei.
Niente, in realtà. Della sua vita non sapevo niente, non ero mai stato nemmeno da lei.
« Si. Credo di si » Risposi, tornando a guardare il soffitto in penombra.
« Insomma, credo di amarla. Non mi ricordo di essermi mai sentito così prima. Lei è ... indescrivibile. Almeno, io non conosco le parole adatte. Non sono bravo con queste cose » Ancora una volta Tanji rimase in silenzio per più tempo di quanto non facesse di solito.
Allora tornai a cercare il suo sguardo. Sorrideva, forse un po' amaramente.
« È una cosa che non va bene? » Chiesi, incapace di capire quella sua espressione.
« No, è una cosa bella Wakatoshi. Stavo solo pensando ad una persona che mi è cara ... »
Tanji fece un sospiro e poi mosse la mano davanti al viso, come se stesse scacciando via un insetto « Lascia stare. Non è una cosa che ti riguarda. È una responsabilità di questo vecchio e delle sue scelte » Non risposi.
Non avevo idea di che cosa stesse parlando, in realtà. Tanji fece un respiro, pareva stanco.
« Mi domando ... cosa farai se ti tornerà la memoria? »
Era una cosa a cui avevo pensato, ma la sua domanda era strana.
« Non ho nessuno nella mia vita, me lo avete detto tu e Satori. Non dovrebbe cambiare molto ... no? » Cercai il suo sguardo.
Tanji non lo distolse, mi guardò.
« Hai ragione » Disse solo, massaggiandosi il ponte del naso con indice e pollice.
Non lo avevo mai visto in quello stato, prima.
Mi misi a sedere sul lettino con un movimento agile, pensando che forse fosse meglio che andassi via. Ero l'ultimo paziente ed erano le otto passate di sera.
« Sei stanco, torno a casa e ... »
Lui scosse la testa, facendomi segno di restare seduto dov'ero con un gesto secco.
« Resta, Wakatoshi. Non ho finito »
Feci come mi aveva ordinato, restai, in attesa.
« Lei sa della tua condizione? » Mi interrogò.
« Si. Ne è consapevole »
Tanji sollevò un sopracciglio.
« Non si è preoccupata? Non ti ha chiesto niente? »
C'era della sorpresa nel suo solito tono burbero. Intrecciò le dita sulla scrivania.
« No, se ti riferisci all'incidente, non mi ha chiesto i dettagli. Ha solo detto di voler conoscere l'uomo che sono adesso » Tanji rimase ancora una volta in silenzio.
« Sorprendente » Commentò semplicemente.
« Lei è ... una donna misteriosa, se vogliamo metterla così. È sposata »
« Come? »
« È sposata, con un uomo che non conosco. E ha due figli, ma non mi parla mai di loro. Credo che si stiano separando e lui le impedisca di vederli ... ho letto per sbaglio un messaggio che le ha mandato sul cellulare e sembrava un tipo violento, rude »
Raccontai quelle cose guardando le mie stesse mani intrecciate sulle gambe.
Non mi ero reso conto di aver bisogno di parlarne con un amico così tanto.
« Wakatoshi » Mi chiamò Tanji con voce ferma, lo guardai « Tu conosci la persona che hai accanto? Non ti starai cacciando in una brutta situazione? Nella tua condizione non va bene » Era un rimprovero quello.
Perfino io ero in grado di capirlo. Capivo fosse preoccupato.
Tanji era come un padre per me, quello che avevo perso - apparentemente - qualche anno prima del mio incidente.
Ma nemmeno quello ricordavo: il dolore immane e disumano di quella perdita.
Capivo le sue preoccupazioni.
Era vero, non conoscevo molti aspetti della vita di Tooru, ma ero sicuro di una cosa: il suo amore. Ero sicuro del suo amore.
« Va tutto bene, Tanji. So quello che faccio »
Lo tranquillizzai. Prima di annuire, lui mi guardò dritto negli occhi, io ressi il suo sguardo. Alla fine fece un altro sospiro e si massaggiò di nuovo gli occhi, annuendo.
Prese a sistemare le mie carte mediche.
« Tooru è - » Non riuscii a terminare la frase.
Tanji aveva fatto cadere qualcosa di pesante sulla sua scrivania, interrompendomi.
Mi fissava come se avesse visto un fantasma.
« Come si chiama la donna? »
Lo fissai.
« Tooru » Risposi dopo un po'.
Tanji fece silenzio per qualche secondo ancora, fissandomi con gli occhi vacui.
Poi si ricompose, mettendosi a sistemare la scrivania con movimenti lenti ma decisi.
« Un bel nome » Si limitò a dire.
Io lo osservai. Non sembrava diverso da prima che pronunciassi quel nome.
« La cono- »
« Parlane anche con Satori, lui vorrà saperlo. È il tuo migliore amico, dopotutto. E questa è una notizia importante » Mi interruppe lui, come se non mi avesse sentito parlare.
Io ci misi qualche secondo per rispondere.
« Si, lo farò »

 
- Tooru -


La mia vita era felice prima di quel giorno.
Avevo tutto quello che una persona potesse desiderare, o quanto meno, tutto quello che io potessi desiderare.
Poi c'era stato l'incidente. Un attimo.
Era stato un attimo, un istante appena.
In un secondo solo, un secondo appena, dove Wakatoshi aveva distolto lo sguardo dalla strada per sorridermi e tutto era cambiato.
Ci avevo pensato spesso a quel misero secondo. Ossessivamente.
Io ricordavo ogni singolo attimo di quel momento, come se fosse impresso a fuoco nella mia memoria. Nei miei incubi.
Era come se qualcuno si fosse preso gioco di noi. Io non potevo dimenticare.
Wakatoshi invece non ricordava niente.
C'erano stati giorni, i primi tempi, in cui lo guardavo con invidia. Con odio.
Vorrei essere al posto tuo!
Dovresti starci tu al posto mio!
Dovresti soffrire tu in questo modo!
Era stata la follia di un istante, la morsa del dolore che mi soffocava, la mente annebbiata.
La lucidità era arrivata lentamente, e con essa la consapevolezza che lui fosse ormai l'unica certezza del mio universo: il fulcro.
Eravamo solo io e lui.
Era diventato la mia unica ragione di vita.


Prima di quell'incidente la mia vita era come la fiamma splendente di una candela, era bastato uno schiocco di dita perché si spegnesse. Come se non avesse mai brillato.


Satori mi venne a cercare in Biblioteca.
Quel luogo non era solo il mio posto di lavoro, ma era anche il mio rifugio dal mondo.
Mi stavo preparando per il concorso pubblico riguardante quella posizione quando avevo conosciuto Wakatoshi, appena ventenne.
Lì dentro era cominciato tutto, per noi.
Era pieno di ricordi felici e io mi ci ero rifugiata come dentro ad un bel sogno, per sfuggire alla realtà. Anche quando lui - dimenticatosi di me e dei vent'anni di vita che avevamo trascorso insieme - aveva smesso di venire a prendermi finito il lavoro.
Wakatoshi era rimasto tra quelle pareti.
Tra le pagine dei libri ingialliti, seduto ai tavoli silenziosi, dietro gli angoli degli scaffali.
Ritrovarlo lì dopo lo spazio vuoto di quei dannati tre anni non mi aveva sorpresa.
Lui non se n'era mai andato dal mio cuore.


Sapevo che Satori sarebbe venuto a cercarmi.
Wakatoshi doveva avergli parlato di me, alla fine.
Mi sorprese scoprire che ci avesse messo così tanto per farlo.
Stavo sistemando alcuni libri che ci erano stati restituiti quando era arrivato.
Erano ordinati in file impilate su un carrello che mi portavo sempre dietro, comodo.
Ne stavo sistemando uno nel suo spazio, leggermente piegata in avanti, quando mi sentii afferrare con una certa violenza per il colletto del vestito che indossavo.
La stoffa, tirata all'indietro, mi premette contro la trachea, lasciandomi senza fiato.
Seguii la trazione del movimento inciampando nei miei piedi mentre indietreggiavo.
L'istante successivo un paio di mani mi sbatterono con violenza contro lo scaffale secolare, inchiodandomi.
Andai a sbattere con la nuca contro il legno, mi feci male le ossa sporgenti della schiena.
Una mano ruvida e grossa si strinse attorno al mio collo. Ma io rimasi tranquilla.
Non urlai nemmeno, nonostante la sorpresa.
« Tooru! » Ringhiò una voce familiare.
Satori aveva il viso pigro distorto dalla rabbia.
Avevo riconosciuto la sua stretta ancora prima di vederlo, perché non era la prima volta che mi afferrava in quel modo violento. Era successo anche tre anni prima, il giorno in cui lui e Tanji mi avevano detto che sarei dovuta uscire dalla vita di Wakatoshi.
Quel giorno non ero stata calma come in quel momento, avevo tirato un pugno a Satori sulla mascella: No, tu non puoi! Non puoi farmi questo! È mio marito! Mio marito!
La mia furia di allora, il mio dolore di allora, ogni cosa che avevo provato allora si era anestetizzato dentro di me. Hajime l'aveva chiamata rassegnazione.
« Che cazzo stai facendo?! Ti avevo pregata di non tornare nella sua vita, non ancora! »
Ruggì lui con violenza, scuotendomi forte.
Io mi limitai a guardarlo stanca.
« Sono passati tre anni, Satori. Tre. Wakatoshi non vuole ricordare. Non vuole ricordare me, Akihiko, il bambino a cui non siamo nemmeno riusciti a dare un nome. I barbiturici che ha inghiottito o la vasca da bagno. Ma io sono stanca. Così stanca »
Appoggiai le mani sul polso di Satori e lo avvolsi nelle mie mani ossute, senza avere nemmeno la forza di stringere.
« Lui non ricorda niente, ma io si. Io ricordo ogni cosa, Satori. Wakatoshi è la mia unica ragione di vita. Non posso più tollerare di non averlo con me, al mio fianco » Satori strinse il pugno attorno alla mia gola, soffocandomi per qualche secondo, ma poi lasciò andare.
Prese a camminare avanti e indietro come un'anima in pena, le mani sui fianchi, agitato.
Tu non hai più un marito.
Le parole di quel giorno mi risuonarono in testa come un martello pneumatico.
« Tooru, Tanji ti ha spiegato bene cosa può succedere se la memoria - »
« Lo so! » Lo interruppi, massaggiandomi il collo dolorante. Sospirai.
In quei tre anni io non avevo mai smesso di seguire Wakatoshi nell'ombra.
« Non gli ho detto niente e non lo farò. Ma voglio stare con lui. Mi basta stare con lui. Noi due siamo ancora sposati! Dei vostri imbrogli legali non mi interessa »
Satori si fermò, le mani sui fianchi, lo sguardo allucinato di un folle.
« L'ho fatto solo per il suo bene »
« Ora basta. Basta! Io e te abbiamo sempre avuto un concetto molto diverso di cosa fosse giusto fare per il suo bene »
Rimasi schiacciata contro lo scaffale e feci un sospiro, volevo massaggiarmi le tempie.
Avevo male al ginocchio, moltissimo.
Satori si prese il ponte del naso tra le dita.
« Se gli succede qualcosa - »
« Sta zitto, Satori. Zitto. Tu hai solo paura »
Lui mi guardò come se gli avessi letto nell'anima. La paura della verità.
A me invece tornarono in mente le parole che avevo lasciato scritto su un biglietto rosa, in un libro a casa di Wakatoshi.
Non sapevo se le avrebbe mai lette.


Stavamo andando in vacanza quel giorno infausto.
Due settimane al mare, niente di nuovo.
Akihiko era legato nel seggiolino, dormiva.
Il bambino nel mio grembo - ero di cinque mesi - si muoveva agitato.
Lo avevo detto a Wakatoshi, mentre mi accarezzavo la pancia per cercare di calmarlo, pigra. Avevo sonno.
Lui mi aveva sorriso, e si era voltato a guardarmi per un solo secondo. Solo uno.
Il cervo era spuntato dal nulla.
Io avevo gridato, Wakatoshi sterzato.
Poi non ricordavo bene. La macchina si era ribaltata su se stessa, aveva rotolato fino a schiantarsi contro il guard rail, che aveva trascinato con sé giù per il dirupo.
Di quel momento io ricordo solo il casino.
Il mio corpo sballottato, le botte, gli scossoni.
Akihiko era morto sul colpo, incastrato sul retro accartocciato della macchina, ma noi ancora non lo sapevamo. Io avevo il ginocchio spezzato a metà, ma non sentivo ancora il dolore forte.
Le mie mani sporche di sangue scivolavano sulla sbarra di metallo del guard rail che mi si era conficcata nelle budella, poco sotto l'ombelico.
I soccorsi erano arrivati dopo ore.
Wakatoshi non aveva perso la memoria in quel momento, come gli era stato raccontato.
In modo del tutto fortuito, lui non aveva riportato ferite gravi in quell'occasione, solo un pezzo di metallo conficcato nella coscia e qualche taglio da detrito sul corpo.
Era successo mesi dopo.
Io non camminavo ancora senza stampelle, distrutta. A malapena sopravvivevo.
Lui era un uomo senza anima.
Non avevamo avuto modo di affrontare il lutto, non ce n'era stato il tempo.
Avevo provato una volta a cercare lo sguardo di Wakatoshi, a cercare la sua anima in quegli occhi vuoti, vacui. Nella mia sofferenza di madre, di moglie, di donna lo avevo cercato.
Mi sentivo dilaniata, estraniata dal mondo, senza un pezzo di corpo, straziata e lo avevo cercato. Avevo cercato l'unico amore che mi rimaneva, ma non lo avevo trovato in quegli occhi. Wakatoshi era morto con le nostre creature, con quelle che non avremmo mai avuto, e lo avevo capito, il giorno in cui mi aveva detto quelle parole che mi avrebbero perseguitata per sempre guardandomi dritto negli occhi: Ho ucciso i miei figli.
E io non avevo saputo rispondergli.
Non avevo saputo cosa dirgli. Cosa dire a me.
Così non avevo detto niente e quella era stata la fine. Wakatoshi non parlava, non esternava mai niente, i sentimenti erano creature sconosciute per lui, li soffocava.
Io avrei dovuto saperlo meglio di chiunque altro. Avrei davvero dovuto saperlo.
Quel giorno la casa era silenziosa.
E io ero entrata nel bagno zoppicando sulle mie stampelle solo per caso.
L'acqua rossa era stata la prima cosa che avevo notato.
Il corpo ammollo in una posizione innaturale la seconda.
Wakatoshi non si era tagliato le vene, come avevo pensato mentre un grido strozzato e disperato mi lasciava la gola.
Wakatoshi aveva assunto dei farmaci, poi era scivolato nella vasca mentre perdeva conoscenza e aveva sbattuto la testa sul bordo di porcellana, violentemente.
Di quel momento io ricordavo le mie urla, che sembravano non finire mai.
Hajime - che era da noi - precipitarsi nel bagno e sollevare con fatica il corpo di Wakatoshi fuori dall'acqua.
Le mie mani sporche di sangue tra i suoi capelli bagnati mentre gridavo e gridavo.


Non eravamo stati capaci di andare avanti.
Non eravamo stati capaci di accettare.
Non eravamo stati capaci di aiutarci.
Non eravamo stati capaci di ascoltare.


E alla fine non era rimasto nemmeno il tempo per aggiustare le cose: perdita di memoria retrograda di tipo transitorio.


Ricordavo ancora quando Tanji me ne aveva parlato per la prima volta, nel suo studio.
Non è una condizione permanente, Tooru.
Wakatoshi ha avuto un trauma cranico senza dubbio, ma l'emorragia è rientrata bene.
Potrà recuperare la memoria, prima o poi.
Io lo avevo ascoltato, senza ascoltare davvero. Ero morta. Ero morta dentro.
Ma temo che sarà un processo lungo e doloroso. Temo che lui non voglia ricordare.
Al posto suo nemmeno io avrei voluto.
Nemmeno io avrei voluto quei ricordi.
Anche io avrei voluto dimenticare tutto.
E poi me lo avevano chiesto, di uscire dalla sua vita. Se mi avesse visto, se avesse ricordato tutto forzatamente, le conseguenze sarebbero potute essere disastrose per lui.
Io mi ero opposta. Mi ero opposta così ferocemente: È mio marito. Mio marito!
La mia vita, tutta la mia vita.
Akihiko e il secondo bambino senza nome ormai erano dentro di lui. Lui era tutto.
Wakatoshi li aveva portati con sé da qualche parte e io volevo raggiungerli.
Quella era stata la prima occasione in cui Satori aveva alzato le mani su di me con forza: Wakatoshi ha cercato di uccidersi, Tooru! Lo capisci quello che ha fatto?!
Il punto era proprio che lo capivo.
Wakatoshi aveva cercato di ammazzarsi come se non avesse ancora me, come se la sua vita fosse finita e di me non gli importasse. Come se io non fossi un motivo sufficiente per continuare a respirare.
Io avrei vissuto negli incubi di quel momento per sempre. Nella possibilità che se avesse ricordato avrebbe potuto rifarlo, era solo per quel motivo che avevo concesso la resa.
E per tre anni lo avevo seguito in silenzio.


Ma quel silenzio era finito.
Avevo un conto con il passato, e l'avrei pagato io. Lo stavo pagando io.
Wakatoshi era tutto quello che volevo indietro. Tutto quello che mi rimaneva.
Tutto quello per cui avevo continuato a sopravvivere. A respirare.
Tutto.

 
- Wakatoshi -


La notte avevo cominciato a fare sogni strani.
Sogni di un'altra persona.
Non ne avevo parlato con nessuno.
Dopotutto, non avrei saputo come spiegare quella sensazione, la sensazione di vivere nei panni di qualcun altro e al contempo sentire che fosse tutto così reale.
Era il principio dell'estate di quell'anno.
Con il senno di poi, pensai che fosse stato il destino stesso a darmi una scossa.
Avevo dormito e dimenticato a lungo, e forse era arrivato il momento di prendermi le mie responsabilità. Io non avevo idea all'epoca.
Non ero un lettore, come avevo detto.
Ma possedevo pochi libri in giro per casa.
Quello che urtai con la gamba era poggiato sullo spigolo del tavolino in salotto.
Cadde a terra e si aprì a metà, dal suo interno uscì un foglietto di carta rosa che non ricordavo di aver mai visto prima.
La casa era sporca e in disordine, come sempre.
Volevo pulire, ma quel foglietto mi distrasse. Con un piccolo sforzo mi inginocchiai a terra e lo raccolsi - era caduto a faccia in giù -, la carta era ruvida e doppia.
Non riconobbi la calligrafia, ma leggendo sapevo - per istinto - chi avesse scritto:


Ti porto a cena con me.
Ho un conto aperto con il passato, che pagherò io, perché il tuo futuro non sia un inganno.


Mi misi a sedere a terra, sul tappeto.
Lessi e rilessi senza capire.
Alla fine presi il cellulare dalla tasca retrostante dei jeans, il numero era il primo nel registro delle chiamate in entrata.
Squillò solo due volte prima di sentire la sua voce: « Wakatoshi, amore »
Mi nacque un sorriso accennato sul volto, spontaneo. Mi piaceva essere chiamato così.
« Dove sei? » Le domandai, diretto.
Sentivo dei rumori in sottofondo, poco chiari.
« A casa. Sto cucinando. Ti va di fare qualcosa? » Guardai di nuovo il bigliettino.
« Sto venendo da te » Le annunciai.
Si sentì lo schianto di qualcosa in soffondo, come di una pentola o una padella, metallico.
« Ma - »
« Sarò lì in pochi minuti »
Chiusi la comunicazione senza darle il tempo di rispondere.
Non mi importava se da lei ci fosse il marito quel giorno, non mi importava scoprire che mi aveva mentito, magari. Pochi minuti dopo ero per strada, diretto verso la macchina, il foglietto nella tasca posteriore dei jeans, insieme al cellulare.


Tooru era nervosa quando mi aprì la porta di casa.
Rimase sulla soglia e mi guardò come se temesse qualcosa da me, una reazione.
Scrutava il mio volto con aria preoccupata.
« Ehi. Perché sei venuto così - »
Aveva cominciato a parlare, nervosa, con la porta ben chiusa dietro le sue spalle e io non la feci finire. Le presi il viso tra le mani e la baciai con dolcezza.
Tooru trattenne il respiro, colta di sorpresa.
Indietreggiando appena urtò la porta, che si aprì lentamente, rivelando un ambiente ampio. Non so perché, ma mi distrasse. Separandomi da lei mi guardai attorno.
« Wakatoshi » Tooru mi toccò una guancia. Tornai a guardarla, passandole il pollice della mano sinistra tra le rughe di preoccupazione in mezzo alle sopracciglia.
« Scusami, è che questo ambiente ... »
Non terminai la frase, scuotendo la testa.
« Questo ambiente cosa? » Insistette lei.
Nei suoi occhi lessi l'urgenza di una risposta che mi sorprese davvero.
« Mi sembrava familiare. Tutto qui »
Lei si fece indietro, abbassando lo sguardo.
Indossava un vestito largo, per casa, azzurro.
I capelli erano semi raccolti dietro la nuca in una sorta di crocchia leggera, allentata appena.
Io chiusi la porta di casa alle spalle.
Sembrava sola, gli unici rumori venivano dal giardino e dall'estate fuori che sbocciava.
« Scusa che sono piombato qui da te »
« È successo qualcosa? »
Tooru si grattò un braccio, in imbarazzo, mentre io entravo nel salotto ampio, elegante.
« No, io - » Estrassi il bigliettino mentre parlavo, prima di essere interrotto dal rumore di un cellulare che squillava violentemente.
« Scusami, ma devo rispondere » Tooru si morse il labbro inferiore mentre osservava lo schermo luminoso, preoccupata, nervosa.
« Fai pure » Le concessi, senza domandare chi fosse. Senza domandare niente.
Lei annuì e si incamminò verso il corridoio, in quella che doveva essere la zona notte della casa. Rispose prima di chiudersi la porta scorrevole alle spalle.
« Che cosa vuoi, Hajime? No, ti ho .... »
Non sentii altro. Scrutai ancora una volta il bigliettino tra le mie mani, aprendolo perché lo avevo piegato in due parti.
Che cosa vuol dire?
Ero andato fin lì solamente per chiederglielo.
Solo nel salotto, mi guardai intorno curioso, ma non troppo.
La prima cosa di cui mi resi conto, con sorpresa e forse anche con vergognosa gelosia, fu della presenza di suo marito ancora dappertutto.
Non sarebbe stato facile intuirlo, eppure ...
Nella libreria da parete, incassata al muro, se ne stavano oggetti e libri inequivocabili.
Mi avvicinai: volumi di giurisprudenza, libri di legge, di diritto.
Anche una laurea, da quello che vedevo, chiusa in una cartellina trasparente tutta graffiata.
Non riuscivo a leggere niente, e non la toccai per scoprire se il nome di suo marito fosse davvero "Hajime". Ero geloso, ma non tanto da violare la sua privacy personale.
Nel giardino vedevo degli attrezzi e degli abiti maschili, appesi nel capanno con la porta aperta. Mi mossi appena, affacciandomi nella cucina moderna e confusionaria.
Una tazza era capovolta sul ripiano del lavandino, una padella spenta stava sul fornello e sul tagliere una cipolla tritata a metà. Del sugo, un coltello abbandonato.
Anche la cucina mi era familiare, in modo strano. Feci un sospiro e raggiunsi di nuovo il salotto, mettendomi seduto sul divano davanti alla libreria.
Il televisore enorme era spento, lo schermo nero che rifletteva la luce del giardino.
Lo sguardo mi cadde sul tavolino, sul telecomando moderno, su una rivista del cucito, una candela viola mezza consumata, il centrotavola con dentro dei fiori secchi e una piccola fotografia messa a faccia in giù.
Mi venne spontaneo farlo.
Allungare una mano e sollevare la foto, pensando che fosse caduta o qualcosa del genere.
Un gesto automatico, che non aveva la malizia della curiosità.
Avevo sempre pensato che nella vita ci fossero dei momenti, dei momenti in cui tutto smetteva di scorrere. Dei momenti in cui tutto cambiava.
Momenti in cui ci si guardava indietro e nulla sarebbe più stato come prima.
Io non ne avevo idea quando sollevai la foto.
Non avevo idea che sarebbe stato uno di quei momenti.
La guardai, semplicemente.
Era una foto di famiglia, nulla di complicato.
C'era Tooru, bellissima, con un sorriso che non le avevo mai visto in viso, vivo.
Era incinta, ma di pochi mesi, si vedeva.
E c'ero io, che le poggiavo la fronte sulla tempia sorridendo appena, più giovane di come non fossi in quel momento nel presente.
E avevo in braccio un bambino, che assomigliava a me e a Tooru.
Presi la foto e la portai davanti al viso, toccando con il pollice la faccia del bambino.
Akihiko.
Gli avevo dato io quel nome, quando era nato d'urgenza e avevo potuto stringerlo tra le braccia solo dopo mesi, con la mano rotta, perché l'avevo tirata nel muro per la rabbia e la preoccupazione.
Ero io. Per tutto quel tempo Tooru aveva parlato di me.
Mi tornarono in mente le parole di Tanji: Esistono anche le memorie involontarie, ne hai mai sentito parlare?
Sono ricordi che emergono inconsciamente dagli stimoli del nostro quotidiano.
Troverai la tua petite madeleine.
E io l'avevo trovata, in quella casa - la mia casa - e in quella foto.


La mia memoria involontaria.

 
- Tooru -


Non riuscivo a concentrarmi sulle parole di Hajime dall'altra parte del telefono.
Il pensiero che Wakatoshi si trovasse da solo nell'altra stanza mi terrorizzava.
Avevo avuto solo poco tempo per mettere via le cose più pericolose, come la sua laurea in giurisprudenza, la foto del nostro matrimonio, la sua tazza, che non avevo mai buttato.
Almeno, mi tranquillizzava sapere che non avrebbe messo piede nella zona notte della casa, perché lì non avevo avuto la forza di toccare niente.
I suoi vestiti, la stanza di Akihiko, le tutine e i giocattoli per il bambino che non era nato vivo.
Avevo lasciato tutto fermo e immobile, come se non fosse mai cambiato niente. Come se stessi ancora aspettando il ritorno a casa di qualcuno o qualcosa che non sarebbe mai tornato.
Ero andata da uno psicologo i primi tempi dopo il tentativo di suicidio di Wakatoshi.
Ci ero andata per un paio di mesi, ma in me il rifiuto era troppo forte, e alla fine non ero riuscita a farmi aiutare. Akihiko dormiva ancora nella sua culla, al sicuro nella sua stanza, il secondo bambino a volte si muoveva ancora nel mio ventre.
Wakatoshi mi dormiva accanto, nel letto.
« ... stai esagerando. Mi ascolti, Tooru? »
La voce di Hajime mi rombò nelle orecchie.
No, non lo stavo ascoltando. Da un po' di tempo, ormai. Da mesi non lo ascoltavo.
« Si, si, ti ascolto Hajime. Si » Il mio sguardo tormentato era fisso sulla porta chiusa della camera da letto, mentre mi mordevo nervosamente l'unghia del pollice.
Volevo tornare da Wakatoshi.
Nella cornetta Hajime sospirò, esasperato.
« Va bene. Ti lascio andare, ci vediamo domani. Io e Nana ti aspettiamo a cena ... »
« Uhm, va bene. Si, a domani » Chiusi la chiamata e gettai il cellulare sul letto senza nemmeno aspettare che lo schermo si oscurasse.
Mi precipitai in soggiorno, ripensando al motivo per cui avevo tanto insistito a non far venire mai Wakatoshi in quella casa. La nostra casa.
Era troppo piena di ricordi.
Troppo piena di memorie. Di reliquie.
Una tomba della nostra felicità, un mausoleo di cui mi ero presa cura per tre anni.
« Wakatoshi, scusami, io - » La voce mi morì in gola.
Il salotto era vuoto, esattamente come lo era stato prima che arrivasse a farmi visita.
Ma alcune cose erano fuori posto.
La porta di casa era socchiusa, ed ero piuttosto sicura che fosse stata chiusa.
Sul divano vi era invece una fotografia che avrebbe dovuto trovarsi sul tavolino, malamente capovolta dalla fretta. Barcollando mi avvicinai, ma non ebbi il coraggio di prenderla.
La conoscevo a memoria. Era stata scattata una settimana prima che la nostra vita cambiasse per sempre e ineluttabilmente.
Mi portai una mano tremante alla bocca, il panico che mi cresceva nel petto.
Wakatoshi? Il colore scarlatto dell'acqua.
Wakatoshi! La sua mano che sporgeva pendente dal bordo della vasca.
WAKATOSHI! Le goccioline d'acqua che cadevano ritmicamente dalla punta delle dite.
Mi si serrò la gola, non potevo respirare.
Non riuscivo a respirare. Soffocavo.
Mi accasciai sul tappeto, appoggiandomi al bracciolo del divano, una mano attorno alla gola mentre cercavo di non morire.
« Ha-Hajime » Rantolai, piangendo.
Hajime! HAJIMEEEEE!
Il passato e il presente si confondevano.
Quel giorno mi ero lacerata le corde vocali.
Avevo gridato così tanto che me le ero lacerate, e poi non avevo più potuto parlare per mesi e alla fine la mia voce non era nemmeno più la stessa di prima.
Fu a quel punto che mi accorsi del fogliettino rosa, caduto tra le pieghe del tappeto.
Lo riconobbi immediatamente, era stato piegato in due parti. Con dita tremanti mi sporsi in avanti e lo afferrai, sapendo perfettamente che cosa vi avrei trovato scritto dentro.
« Wakatoshi » Rantolai, stringendo il pugno della mano attorno al foglio di carta, che si accartocciò fin quasi a sparire.


Quel conto con il passato era troppo salato.
Anche per me.

 
- Satori -


Nella vita avevo molti rimpianti.
E lungo la strada due o tre decisioni sbagliate.
Avevo temuto a lungo l'arrivo di quel giorno. Lo avevo aspettato. Eppure non ero pronto.
Non lo sarei mai stato davvero.
Perché sapevo. Sapevo che Wakatoshi sarebbe venuto da me per delle spiegazioni.
La cosa però mi colse di sorpresa.
Non sospettai niente.
Wakatoshi non sapeva farle quelle cose di nascosto, non era tipo da sotterfugi.
Io andai al nostro solito bar con l'aria spensierata che mi contraddistingueva.
Con il senno di poi, Wakatoshi non lo aveva fatto di nascosto.
Aveva mandato un messaggio a me, e poi ne aveva mandato uno a Tanji, probabilmente.
Solo che era strano, di solito non veniva da lui.
Un invito del genere era più cosa da me.
Compresi che qualcosa non andava solo quando mi imbattei nel vecchio neurologo, mio complice nella montagna di bugie che avevo costruito ad arte in quei tre anni per il mio migliore amico. Io e Tanji cercammo di attraversare la porta del bar nello stesso momento.
Ci fissammo, del tutto sorpresi.
« Satori » Mi salutò lui, dandomi una pacca amichevole sulla spalla.
« Tanji, cosa fai qui? » La sua voce era burbera come al solito e così il suo tocco.
« Devo incontrare Wakatoshi »
« Anche io » Ci guardammo di nuovo.
Era passata l'ora di pranzo da qualche tempo.
Nella tasca del pantalone il cellulare prese a vibrare, lo presi e guardai lo schermo.
Il nome Tooru lampeggiava ininterrotto.
Non risposi, chiusi la chiamata.
Wakatoshi era seduto ad un tavolo appartato.
Fissava la scatoletta piena di zucchero come se fosse ipnotizzato, le mani nelle tasche dei jeans e le gambe divaricate sotto il tavolo.
« Ohi Wakatoshi, ciao » Lo salutai allegro.
Lui sollevò appena lo sguardo su me e Tanji mentre ci mettevamo seduti davanti a lui.
« Inaspettato da parte tua questo invito » Disse il vecchio, sollevando le maniche del maglioncino leggero che indossava, nonostante fosse appena cominciata l'estate.
« Mi sono preso la briga di ordinare »
Fu il suo commento, mentre ci osservava.
« Hai fatto bene, amico » Risposi.
Lo schermo del suo cellulare, appoggiato sul tavolino a faccia in su, prese ad illuminarsi e vibrare contemporaneamente: Tooru.
Wakatoshi osservò senza fare niente.
« Non rispondi? » Domandò Tanji.
Wakatoshi distolse lo sguardo per concentrarsi nuovamente su di noi.
« Chiamerò mia moglie più tardi » Il mio cervello ci mise qualche secondo a realizzare le sue parole, e probabilmente anche quello di Tanji.
Quando sollevai lo sguardo di scatto, occhi sgranati, non ebbi modo di dire niente, perché arrivò un cameriere con un vassoio.
Due caffè macchiati, un ginseng e un piatto di quelle che sembravano delle petite madeleine.
« Wakatoshi - » Cominciai, non appena l'uomo se ne fu andato, lasciandoci soli di nuovo.
Lui mi interruppe.
« Non avevo mai mangiato una madeleine prima. Non ho mai amato i dolci, è stata Tooru a farmene provare una »
« Ragazzo - » Provò Tanji.
Wakatoshi interruppe anche lui.
« Voglio solo guardarvi negli occhi mentre mi spiegate perché avete pensato di mentirmi. Voglio guardarvi negli occhi mentre ascolto le vostre stupide ragioni »
Wakatoshi non stava urlando mentre diceva quelle parole e mi guardava negli occhi.
Ma ci conoscevamo dal liceo e sapevo che era arrabbiato, furioso, nervoso.
Aveva ritrovato la memoria.
Era assurdo.
Non riuscivo a pensare al fatto che ce l'avesse con me, perché non capivo come si sentisse. Cosa stesse provando.
Una volta lasciato quel tavolo avrebbe provato ad ammazzarsi di nuovo?
Ancora mi ricordavo del sangue ... scossi la testa. Come facevo a spiegargli che tutte le decisioni sbagliate le avevo prese solo perché fondate sul terrore e sulla paura?
Come potevo spiegargli che avrei preferito saperlo smemorato per sempre, piuttosto che vivere con il terrore che lo rifacesse?
« L'ho fatto per il tuo bene »
Mormorai alla fine, abbassando lo sguardo sul caffè macchiato che non avrei mai bevuto.
« Mi hai detto che non avevo nessuno nella mia vita per il mio bene » Ripeté Wakatoshi con voce atona « Mi hai fatto credere di essere una persona normale, con un passato comune, per il mio bene » Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non trovai le parole.
Si, l'ho fatto. Ho costretto Tooru ad uscire dalla tua vita perché non volevo ricordassi.
Non volevo che rivivessi quell'inferno.
La colpa. Il dolore. Meglio l'oblio, piuttosto.
« È stato per mia volontà, Wakatoshi »
Intervenne Tanji, arrivando in mio soccorso.
Wakatoshi spostò quel suo sguardo mostruoso su di lui. Freddo. Vuoto.
Tutto quello che non era stato in quei tre anni.
« Ho chiesto io a Satori di mentirti. Se avessi saputo la verità, tutta la verità - non mi riferisco alla natura dell'incidente -, avresti potuto subire un trauma peggiore di prima. Volevo che tu ricordassi gradualmente »
Non è vero, pensai. Non era stata un'idea di Tanji.
Almeno, non quella di far uscire Tooru dalla sua vita. Ero stato io a chiederglielo.
Perché avevo sempre creduto che fosse lei la causa di tutte le sofferenze del mio migliore amico. Mio fratello non di sangue.
Me l'ero presa con lei e la volevo fuori.
Tooru, che mi aveva chiamato poco prima per avvisarmi, probabilmente.
« Ma non ho ricordato niente. Finché Tooru non è rientrata nella mia vita »
Lo stroncò Wakatoshi, tornando a guardare me. Io mi passai una mano nel colletto della camicia, tirando leggermente la stoffa.
Mi sentivo soffocare in quel bar grazioso.
« Siete stati voi ad allontanarla? »
« Wakatoshi, tu non eri in grado! » Intervenni con urgenza, quasi in lacrime « Hai tentato di ucciderti! Questo te lo ricordi?! »
« Satori » Mi rimproverò Tanji, prendendomi una braccio con la sua mano rugosa ma ferma. Wakatoshi mi fissò atono.
« Me lo ricordo » Si limitò a rispondere.
Io strinsi il pugno della mano destra.
« Non volevo che lo rifacessi di nuovo! »
« E in che modo Tooru avrebbe potuto influire sulla cosa? Averla al mio fianco anche in questi tre anni, così che fosse più facile »
« Tu non capisci! » Sbraitai, attirando lo sguardo di qualche curioso all'interno del locale « Tooru non poteva starti accanto! Con quel gesto tu l'hai distrutta! Ha gridato così tanto che si è lacerata le corde vocali, era fuori di testa, Wakatoshi! Matta! Tu - »
« Satori! » Scattò Tanji e io tacqui.
Ero un disastro annunciato. Un mostro.
Lo ero davvero, come mi dicevano quando era solo un bambino. Un mostro incompreso.
Incapace di provare amore o empatia.
Feci un sospiro e mi portai un pugno della mano in fronte, premendo con forza.
« Eppure è stata lei a cercarmi. Mi ha cercato, perché aveva bisogno di me. Senza dirmi niente, senza chiedere »
Spostai il pugno e guardai Wakatoshi, arreso.
« Abbiamo pensato solo al vostro bene ... » Mormorai di nuovo, ma non ne ero convinto.
Non sapevo nemmeno quello che dicevo.
« Satori » Mi chiamò Wakatoshi e io sollevai la testa di scatto « Che cosa hai provato ogni volta che ti venivo a dire che andavo a letto con una donna diversa sapendo che Tooru era da qualche parte a piangere i nostri figli, me, da sola? »
Il cellulare di Wakatoshi, sul tavolino, prese di nuovo a squillare.
Lui non lo guardò nemmeno, mentre io mi sentivo un po' morire di vergogna dentro.
« Hai provato un po' di senso di colpa? »
« Wakato - » Lui ebbe uno scatto nervoso, che mi zittì.
Buttò a terra il piatto con le petite madeleine.
Al bar tutti si voltarono a guardarci, i camerieri si fermarono, sorpresi.
Io deglutii.
« Dove sono? » Trasalii quando lui parlò di nuovo. Non capivo che cosa intendesse.
« Chi - » Provai a balbettare.
« I miei bambini. Dove sono? »
Non risposi, non ce la feci. Non potevo.
« Al cimitero fuori città. Tooru li ha fatti seppellire lì » Fu Tanji ad intervenire, sereno.
Wakatoshi non aggiunse altro, si alzò.
Prese il telefono e proprio mentre si avvicinava il cameriere - palesemente in difficoltà -, se ne andò passandoci accanto.
Io tentai di fermarlo, ma mi mancò la voce.


Avevo molti rimpianti nella vita e lungo la strada due o tre decisioni sbagliate.
Prese tutte per amore.


Sperai solo che lungo quella strada qualcuno potesse perdonarmi. Chiunque.

 
- Wakatoshi -


Erano insieme, nella stessa lapide.
Tooru aveva scelto un bel colore, marmo bianco, con qualche venatura di grigio e nero.
Circondata dal verde degli alberi e dai colori dei fiori circostanti. Avevo sempre pensato fosse una sorta di contraddizione la pace che emanavano quei posti.
Per chi restava vi era solo il dolore, eppure.
Osservai il nome di mio figlio e la data troppo breve della sua esistenza, davvero troppo breve perché potesse essere accettata. E quella ancora più breve di suo fratello, che nemmeno era venuto al mondo.
Era strano il modo in cui i ricordi erano tornati ad occupare quegli spazi vuoti della mia mente. Avevo sempre immaginato quelle scene da film, dove avrei rivissuto un trauma terribile, sarei crollato sul pavimento con la testa tra le mani.
Non era stato affatto così.
Era stato piuttosto come chiudere e riaprire gli occhi. Prima non c'era niente, poi tutto.
E stavo ancora ricordando, lentamente.
Ricordavo alcune cose mentre le vedevo o le pensavo, per puro caso.
Per esempio, mi ricordai di come avessimo avuto paura di non poter avere un altro figlio.
Akihiko aveva solo due anni quando avevamo cominciato a provarci.
Il suo parto era stato difficile, lui era vivo per miracolo e anche Tooru.
L'idea di rivivere quell'incubo ci terrorizzava, ma volevamo un altro bambino.
E lui era arrivato un anno dopo, con gioia.
Avevamo appena scoperto il sesso: maschio.
Io volevo una bambina.
Tooru mi aveva detto che il terzo tentativo sarebbe stato quello buono.
La lapide era pulita, curata, i fiori freschi.
Questo sabato non ci sono, ho un impegno.
Mi tornarono in mente le parole di Tooru, quelle che mi aveva rivolto qualche volta in questi mesi in cui si eravamo frequentati.
Allora non lo sapevo. Non ricordavo ancora.
Lei veniva qui. Qui, dai nostri figli.
Tooru. La mia Tooru. Mia moglie.
Mi misi a sedere sul bordo della lapide, fredda.
Allungai le dita tremanti verso il nome di mio figlio, lo accarezzai appena.
Avevo voluto dimenticarmi di loro.
Avevo voluto dimenticare tutto.
Non volevo ricordare. Ero scappato.
Ma ora ricordavo tutto. Ogni cosa.


Mi ero distratto per un secondo, solo un secondo.
Il cervo era spuntato sulla strada inaspettatamente, per scansarlo avevo sterzato e la macchina si era ribaltata. La caduta mi era sembrata infinita.
I vetri mi avevano tagliato in più punti, avevo un pezzo di metallo conficcato nella coscia, zoppicavo, ma stavo relativamente bene.
Scesi dalla macchina fumante, lo ricordo.
Mi girava la testa, sentivo il corpo in fiamme.
Ma avevo chiamato Tooru e non mi aveva risposto, e Akihiko non piangeva.
Non riuscivo nemmeno a vederlo, perché il tettuccio della macchina si era sfondato.
« Tooru » Avevo chiamato, spalancando la portiera dal suo lato del passeggero.
Lei mi aveva guardato, ma non riusciva a parlare. Almeno era viva, avevo pensato.
I suoi occhi intelligenti, grandi, bellissimi erano spalancati dal terrore, pieni di lacrime.
Avevo visto la sbarra conficcata nel suo ventre, le sue mani scivolose che la stringevano, il sangue che le colava dappertutto. Mi avevano ceduto le gambe.
Mi ero aggrappato alla portiera per non cadere.
« Va - va tutto bene. Chiamo i soccorsi »
Le avevo detto, cercando il cellulare nella tasca dei pantaloni, lei piangeva. Forte.
Il cellulare era solo graffiato, prendeva.
Avevo chiamato, stringendole la mano sporca di sangue fresco, inginocchiato nell'erba.
La macchina era rotolata alla fine di un dirupo. Non sapevo dove.
Dall'altro, qualcuno che ci aveva visto cadere gridava, chiamava.
Ma io stringevo solo la mano di Tooru, cercando di spiegare quello che ci era successo.
« A-Aki- Akihiko » Aveva rantolato lei.
Io mi ero precipitato dietro, avevo cercato di farmi strada, ma non ci riuscivo.
La gamba bruciava, il corpo bruciava, gli occhi.
« Akihiko! Akihiko, sono papà! Akihiko! »
Lui non si era lamentato, non aveva risposto.
Io ero caduto nella disperazione.
Zoppicando ero tornato da Tooru.
Lei aveva chiuso gli occhi, la testa rovesciata all'indietro, come se stesse dormendo.
Aveva perso molto sangue.
« Tooru! Tooru no! Sveglia! » Le avevo preso il viso tra le mani, l'avevo scossa violentemente. Lei aveva sollevato le palpebre a fatica, febbricitante.
Si era portata una mano lenta e tremante sotto il ventre.
« Non lo sento » Aveva mormorato e io sapevo.
Sapevo che stava parlando del bambino, del suo corpo.
L'avevo stretta tra le braccia, senza farle male. Lei era scoppiata di nuovo a piangere.
I soccorsi erano arrivati dopo ore.


Ricordo tutto il resto in maniera confusa.
Le cure mediche, le urla, la gente che arrivava di corsa. Io che mi agitavo per raggiungere Akihiko e Tooru. La notizia del decesso del bambino, quella della isterectomia di Tooru.
Il suo ginocchio distrutto.


Ci avevo provato. Davvero.
Ci avevo provato a non farmi spezzare dal senso di colpa. Ci avevo provato.
Ci avevo provato ad aiutare Tooru quando non mangiava, non parlava, e non si muoveva.
L'avevo presa di peso e ci avevo provato.
Non mi ero lamentato, ci avevo provato.
Fino a quando poi non ci avevo provato più.
Ho ucciso i miei figli.
Era il pensiero fisso nell'angolo della mia mente. Ero stato io. Mi ero distratto io.
Guidavo io quella macchina. Ero io.
Dovevo esserci io sottoterra, non loro.
Ero io. Io. Io. IO. IO. IO.
Non avevo pensato a Tooru quando lo avevo fatto. Non avevo pensato a lei.
Avevo pensato a me e a come fare per uscirne fuori.
Per lasciarmi quella sofferenza alle spalle, quella colpa, perché non sapevo come avrei potuto sopravvivere.
Non avevo pensato a lei mentre ingerivo quelle pillole, in piedi nella vasca da bagno.
Doveva essere successo a quel punto.
Dovevo aver perso la memoria allora.


« Non ho pensato a vostra madre »
Mormorai, tornando al presente.
« Lei sarebbe dovuta essere il mio unico pensiero, ma ho preferito dimenticarla. Dimenticare voi » Tolsi le dita dalle fredde incisioni nel marmo, strinsi il pugno.
« Lei però non mi ha dimenticato. Anche quando sarebbe stato più semplice lasciare andare ... » E quello mi scaldava il cuore.
Era l'unica cosa che mi dava pace.


Ho un conto aperto con il passato, che pagherò io, perché il tuo futuro non sia un inganno.


Ero andato per chiederle delle spiegazioni, ma ormai non ne avevo più bisogno.
« È ora di tornare a casa »

 
- Tooru -


Wakatoshi mi aveva chiamata prima che potessi davvero uscire fuori di testa.
Ero in Biblioteca, a piangere disperata tra le braccia di Shouyou.
Lo avevo cercato, ovviamente, andando fin dove le mie gambe potevano portarmi.
Il ginocchio mi stava dando il tormento.
La sua voce al telefono mi era apparsa serena. Ero corsa a casa, zoppicando.
E mi trovavo ormai di fronte a quella porta aperta - Wakatoshi doveva essersi ricordato dove tenevamo il paio di chiavi di riserva, che io non avevo mai toccato.
Entrai senza esitazione, con il fiatone.
Lui era seduto sul divano, con la foto tra le mani. Mi fermai, una mano sul cuore.
« Wakatoshi » Lo chiamai, distrutta.
Lui sollevò lo sguardo. Mi guardava in un modo ... avevo davanti un uomo consapevole.
Avevo davanti di nuovo mio marito.
« Tooru » Mi chiamò semplicemente, e mai sentire il mio nome dalla sua bocca, pronunciato in quel modo, mi aveva toccato così tanto il cuore.
Presi un respiro profondo e mi resi conto che non respiravo tanto liberamente da anni.
Da quando avevo preso la sua testa insanguinata tra le mani e mi ero imbrattata tutta del suo sangue. Mi avvicinai al divano zoppicando, e mi misi seduta sul bracciolo, accanto a lui.
Entrambi guardammo la fotografia della nostra famiglia felice, quella famiglia che non avevamo più. Noi eravamo gli unici pezzi rimasti, quelli rotti e malandati.
Intrecciai le mani tra le cosce, tra le pieghe del vestito che non avevo nemmeno cambiato quando ero uscita a cercarlo.
Dovevo sembrare una pazza. Forse lo ero.
Forse lo ero diventata tra quella caduta nel vuoto e quella vasca scarlatta.
Wakatoshi posò la foto accanto a se, sul divano, poi si chinò nella mia direzione e seppellì la testa nel mio grembo.
Io non esitai nemmeno a liberare una mano e passargliela tra i capelli a me familiari.
« Perché non mi hai lasciato perdere? »
Mormorò, e la sua voce mi vibrò dentro.
« Perché non mi hai lasciato indietro dopo quello che ho fatto? »
« Perché la nostra vita era bella. E non volevo perderla per quel solo istante di immenso dolore » Sorrisi appena, amaramente, mentre gli accarezzavo la testa in modo rassicurante « E poi, tu sei ancora qui. Noi due siamo ancora qui »
Ed era semplice, era poca cosa. Era banale.
Avrei potuto avere mille ragioni per voler morire: Wakatoshi era l'unica per cui vivevo.
Era l'unica per cui non ero impazzita.
« Scusami, amore. Mi sono arreso » Lui aveva la voce soffocata mentre pronunciava quelle parole, io mi chinai in avanti per baciargli la testa. Lo strinsi.
« Si è solo interrotta la strada, abbiamo ancora tempo » Sussurrai, cullandolo come se fosse un bambino « Abbiamo ancora tempo per ricominciare da dove ci siano fermati: piangere i nostri figli insieme » Wakatoshi annuì contro il mio grembo e non parlammo oltre.
Non aggiungemmo parole.
Rimanemmo così per un po', abbracciati.
A piangere insieme, perché lo avevamo fatto poco.



 
Puoi affacciarti un poco alla quieta finestra,
e guardare in silenzio il giardino nel buio.
Allora quando piangevi c’era la sua voce serena;
e allora quando ridevi c’era il suo riso sommesso.


( Natalia Ginzburg - Memoria )

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Capitolo 30
*** 30. Red Roses ***


“Questa storia partecipa al Writober di Fanwriter.it”

Prompt: Band

N° parole: 11.444

Note: sono tornata! (non so quanto questo sia un bene). Lo so, ci ho messo davvero una vita per decidermi a scrivere questo prompt. Però vediamo almeno il lato positivo, non essendo una long, ma una raccolta di one-shot, nessuno è rimasto in sospeso! *come arrampicarsi sugli specchi con arte*.
La seguente storia, come avevo già anticipato sulla pagina Instagram (effe9_5), è ispirata (oppure un omaggio, come preferite) all’opera manga/anime Nana di Ai Yazawa. Per chi non lo sapesse, adoro lei e tutte le sue opere. Con un prompt come questo non potevo che cogliere la palla al balzo.
All’inizio avevo un’idea diversa per questa one-shot, lo ammetto. Un’idea che ho dovuto cambiare in corso d’opera, perché altrimenti il racconto sarebbe stato davvero troppo lungo e due parti non sarebbero bastate (e non volevo andare oltre quelle). Così ho eliminato dei personaggi, delle interazioni e mi sono limitata allo stretto necessario. Ci sono rimasta male, ma pazienza. Avrò altre occasioni.
Per chi ha letto Nana, o ha visto l’anime, sarà facile riconoscere delle scene, le battute, alcuni elementi, le atmosfere.
Tutto ciò che è diverso rispetto all’opera originale è voluto per motivi di trama. Ultima cosa, ma non meno importante.
La canzone riportata nella one-shot: Promise, di Laufey. È cantata da una donna nella sua versione originale, ma nella storia la prestiamo a Tooru, che è un uomo.
Vi metto qui il link di una cover bellissima che a mio avviso può rendere benissimo come ho immaginato una versione cantata da lui:
https://www.youtube.com/watch?v=2KADPjQuOZk
Detto questo, buona lettura ^^

 

 
 
Red Roses
 
 
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you
 
 
 
 
~ Presente ~
 
 
Tooru non avrebbe dovuto accettare di accompagnare Shouyou a quel concerto.
Quando il gamberetto si era presentato da lui con gli occhi brillanti di gioia, implorando che lo accompagnasse in quella che aveva definito: “una bellissima avventura tra coinquilini”, sapeva che la sua incapacità di dire no avrebbe portato a quella terribile sensazione che provava nel petto proprio in quel momento. La sensazione di voler scappare da quello che sarebbe venuto, dai propri pensieri, o dai propri sentimenti.
O peggio ancora, dai ricordi che aveva disperatamente tentato di soffocare da qualche parte dentro la sua testa. E tentava di non pensare a tutto quello mentre era seduto al tavolo imbandito di quella famiglia felice, ospite per la notte.
Il concerto dei Golden Eagle - la band del momento per cui l'amico impazziva -, si sarebbe tenuto proprio nella sua città natale, motivo per cui Tooru era stato trascinato fin lì dopo un lungo viaggio in treno. Era un ambiente piacevole, doveva ammetterlo.
 Nulla che lui - abbandonato dalla madre quando era solo un bambino di pochi anni - avesse mai avuto. Una famiglia qualsiasi, con pregi e difetti, composta da un padre, una madre e una sorella minore. Una di quelle da pubblicità o telefilm, in cui si dimostrava il proprio affetto prendendosi in giro e facendo sentire gli ospiti bene accetti con risate e gesti gentili. E tra quelle risate e quell'affetto poteva quasi fingere di sentirsi parte integrante di quel momento, di sentirsi parte di qualcuno.
Poteva sempre sorridere e far finta che da qualche parte poco distante, tra le luci di una città che non conosceva, non ci fosse la persona che aveva più amato e odiato nella sua breve e intensa vita. E che la sola idea di rivederla lo terrorizzasse più di qualsiasi cosa lo avesse mai terrorizzato prima di allora.
 
Tooru aveva conosciuto Shouyou su un treno, durante una bufera di neve che aveva interrotto il circolo del convoglio per delle ore.
Scappavano entrambi dal passato, quella buia sera di tempesta, soli e stanchi.
Erano diventati amici in quel momento, senza saperlo. Poi si erano ritrovati a condividere un appartamento, la propria vita, e alla fine se ne erano finalmente resi conto.
Tooru avrebbe mentito se non avesse ammesso che Shouyou era stato come un faro nel mare in tempesta della sua vita.
Aveva rinunciato alla musica - la sua unica ragione di esistere, l'unico talento ricevuto -, quando era partito lasciando indietro i suoi amici, i membri della sua vecchia band. Rompendo promesse fatte e rinunciando a desideri di rivalsa.
Era partito solo con sé stesso e l'idea di fare tutto senza di loro.
Poi gli altri lo avevano seguito, e Shouyou aveva fatto da collante tra loro. 
Tooru era tornato a cantare. E la vita non era poi così male, dopotutto, da quando quel gamberetto ne era entrato a far parte.
 
«Ho sistemato i futon »
Tooru smise di osservare distrattamente la neve che cadeva lenta fuori dalla finestra della camera di Shouyou. L'amico che se ne stava in attesa sul pavimento, di fronte ai loro letti sistemati con cura e pronti per essere usati. Indossava già il suo pigiama a quadretti arancione e lo osservava nervoso.
Era da tutta la sera che lo era. O meglio, da quando erano partiti da Tokyo quella mattina.
«Grazie» Rispose semplicemente, toccando con una mano la stoffa morbida.
Nel loro appartamento sgangherato dormiva su un materasso senza testiera del letto, perché troppo pigro per ordinarne una.
Qualche secondo di silenzio di troppo, poi: «Mi dispiace tanto, Tooru» Shouyou si morse il labbro inferiore, spuntando fuori parole che forse teneva dentro già da un po’ di giorni «Ti ho costretto a venire al concerto nonostante tu …» E poi si interruppe di nuovo, arrossendo. Tooru - che non si era aspettato proprio quelle parole -, non rimase nemmeno troppo sorpreso. Aveva percepito qualcosa di strano in lui.
Si stava solo domandando quando avrebbe sputato il rospo, e quale fosse la causa.
Ora che lo sapeva, si rendeva conto che essendo ormai alla vigilia del concerto Shouyou non aveva più resistito.
«Hajime te lo ha detto» Indovinò. Non era arrabbiato. Non era nemmeno deluso.
Era invece piuttosto certo di non essere stato un buon amico per non aver detto niente prima. Ma tutto sommato non avrebbe saputo come, senza sembrare un grande bugiardo o una persona un po’ folle. E poi doveva aspettarselo, era da giorni che Hajime lo minacciava con frasi simili. Shouyou abbassò lo sguardo e lui sospirò.
«Sto bene, Shouyou. Davvero» Allungò una mano per toccare quella dell'altro in un gesto rassicurante, ma Shouyou scattò in una delle sue improvvise invettive.
«Ma ti ho costretto! Insomma, ancora faccio fatica a credere che tu - Se avessi saputo che avevi una storia con - Starai ancora soffrendo, e io ti ho praticamente obbligato a venire qui per il suo concerto. E così domani sarai obbligato a -».
«A vedere Wakatoshi, si».
Tooru lo interruppe, sorridendo leggermente di fronte alla percepibile difficoltà che aveva l'amico nel pronunciare il nome di uno dei membri della band più famosa del paese. 
Shouyou tacque, fissandolo con dolore. Si mordeva le labbra, e aveva gli occhi lucidi e le sopracciglia aggrottate, i pugni delle mani appoggiati con fare teso sul futon.
Tooru poteva capire quella reazione. Chissà che cosa gli aveva raccontato Hajime.
Una storia strappalacrime, probabilmente. E di lacrime, in effetti, ne aveva versate molte, non voleva fingere che non fosse così. Ma non voleva che Shouyou percepisse il suo terrore o il suo dolore, né che si sentisse in colpa quando non avrebbe dovuto.
«Ma va tutto bene, Shouyou. Non avrei accettato di venire altrimenti».
Riuscì a toccargli la mano quella volta, un buffetto affettuoso sul dorso.
Shouyou non cambiò espressione.
«Perché non me l'hai detto prima?».
Tooru ci mise qualche minuto per rispondere a quella domanda che, ormai, si era aspettato di ricevere. Avrebbe potuto dire che non sapeva come spiegargli di aver avuto una storia d'amore durata due anni con il chitarrista più famoso del loro paese.
Che non sapeva come spiegargli di conoscere anche gli altri componenti del gruppo, perché erano cresciuti insieme. Di avere dei trascorsi con loro. Oppure avrebbe potuto semplicemente dire di non averci pensato, e di volerlo tenere per sé.
«Perché è passato» Disse invece. Perché è tutto finito. Come un sogno.
Shouyou non parlò per un po’. Tooru poteva capire come si sentisse in quel momento. Non aveva fatto altro che blaterare dei Golden Eagle e del suo amore per Atsumu - il bassista del gruppo - fin dal primo momento in cui si erano conosciuti, su quel treno bloccato dalla neve sui binari. Anche in quel momento, se guardava la sua camera da bambino, quella band era ovunque, come nel loro appartamento.
Poster di vecchi dischi, CD, figurine, pagine di giornali. Atsumu, Satori, Tetsurou e Wakatoshi - i Golden Eagle - erano dappertutto. Come sui cartelloni lungo le strade, o nelle gallerie d'attesa della metro.
Tooru avrebbe dovuto spiegargli che ci era abituato, e che Wakatoshi non era mai davvero uscito dalla sua vita, poiché incrociava i suoi occhi un po’ dappertutto.
E che non gli aveva fatto del male con quel suo continuo parlarne, perché era abituato anche a quello. Alla distanza.
«Ma comunque …» Brontolò Shouyou. Tooru sorrise, sospirando.
Poi si infilò nel suo futon caldo, sotto lo sguardo sorpreso dell'altro, e gli fece cenno di accomodarsi accanto a lui. Si sentiva rilassato e stranamente sereno.
«Stenditi accanto a me Shouyou. Vuoi che ti racconti la nostra storia?» L'altro si sistemò di fretta sotto le coperte e annuì con convinzione, gli occhi grandi e sgranati.
Tooru sorrise di nuovo. Gli era venuto spontaneo proporre una cosa simile, raccontare quella storia come se fosse una favola della buona notte, mentre erano viso a viso in quella sera nevosa che moriva lentamente con la luce intensa della luna.
Strinse la mano di Shouyou nella sua e parlò.
 
Gli risultò facile, come se stesse scrivendo la canzone di qualcun'altro.

 
***
 

~ Quattro anni prima ~
 
Tooru era appena stato espulso da scuola. Al suo terzo e ultimo anno, prima del diploma. La cosa in realtà non lo aveva turbato tanto. Non facevano altro che giudicarlo a causa del suo aspetto da sempre, sarebbe stata solo questione di tempo prima che trovassero una scusa per cacciarlo, vera o falsa che fosse. Sapevano tutti che era attratto dagli uomini, non lo aveva nascosto, perché avrebbe dovuto?
Voleva essere sé stesso, senza nascondersi, poco importava cosa pensassero gli altri.
Voleva amare un uomo, mettere lo smalto nero, avere dei piercing e dei tatuaggi, cantare e truccarsi gli occhi, erano cose che gli piacevano, per cui non doveva dar conto a nessuno di chi voleva essere e come. Ma quel suo modo di fare era certamente stato il pretesto per cacciare lui e quel professore di matematica pervertito che metteva le mani addosso alle sue studentesse. Solo perché erano usciti insieme dal bagno degli uomini un pomeriggio, Tooru era stato accusato di aver avuto una relazione di natura sessuale con lui, ed ecco fatto, fuori entrambi senza pensarci due volte.
Poco importava sentire la sua versione dei fatti o accertarsi che il tutto fosse vero - cosa che non era, perché quel porco schifoso non avrebbe mai messo le mani addosso ad un uomo, né Tooru lo avrebbe mai permesso.
Ma ad ogni modo la scuola gli stava stretta, la odiava. E sua nonna comunque non avrebbe detto niente, era severa con lui, ma non le importava di certe cose.
Va a lavorare e porta i soldi a casa! gli avrebbe detto una cosa simile, tutt'al più.
Non si guardò nemmeno indietro mentre andava via fischiettando una melodia, la cartella sulla spalla.
«Tooru! Ehi, aspetta!»
Una mano pesante e grande gli strinse la spalla con forza, arrestando i suoi passi.
Aveva riconosciuto la voce di Tobio ancora prima di voltarsi e trovarselo lì piegato in due con l'affanno, la mano libera sul ginocchio.
«Te ne vai così? Senza salutare e accettando questa terribile ingiustizia?!».
Tooru fece un sospiro e si voltò.
«È proprio per questo motivo che non ti ho salutato. Perché avresti fatto la lagna».
Tobio mise subito il broncio, era bravo in quello.
Sapeva aggrottare benissimo le sopracciglia e sembrare minaccioso.
Non erano proprio amici, ma quasi.
Tooru era stato gentile con lui una volta, quando lo aveva beccato ad esercitarsi con la chitarra sul tetto della scuola - dove era proibito andare - e gli aveva dato dei consigli musicali, e aveva cantato per lui una canzone. Da quel momento, Tobio lo aveva seguito un po’ dappertutto come un cagnolino molesto.
Aveva un grande talento con la chitarra e con le dita, sarebbe andato lontano, ma Tooru era troppo orgoglioso e invidioso per dirglielo, motivo per cui un po’ lo teneva a distanza. Non funzionava mai con Tobio, era talmente stupido da non comprendere come funzionassero certe interazioni sociali.
Ma per natura, Tooru stava sempre un po’ alla larga da tutti.
Era stato abbandonato da bambino, e anche se non ricordava niente, doveva comunque essere stato un trauma. E quel trauma doveva aver avuto un impatto su di lui, che fosse riuscito a vederne i risultati o meno. La poca comprensione che avevano gli altri nei suoi confronti, o la mancanza di fiducia da parte sua, doveva nascere da lì.
«Non mi sto lagnando! Trovo solo che non sia giusto tu sia stato accusato di una cosa che non hai assolutamente fatto!».
«E chi te lo dice?» Lo provocò immediatamente, cogliendo la palla al balzo.
Tobio lo guardò con occhi da pesce lesso.
«Mi hai detto che sei vergine. E che non hai mai fatto niente di simile prima. E poi so che non faresti mai una cosa del genere».
«Ti ho detto troppe cose di me» Sbuffò, riprendendo a camminare come se nulla fosse. Tobio gli stette subito dietro.
«Tooru, dai. Non puoi accettarlo!».
«Tobio, frena. Non me ne frega niente. E non fregherà nemmeno a mia nonna, tranquillo. Mi metterò a lavorare». Si fermò di nuovo e guardò l'amico - nemico.
Non voleva la morale, né il discorso su quanto fosse ingiusto quello che gli stava capitando. Inoltre, intendeva ogni parola. Tobio fece di nuovo il broncio.
«Non ci vedremo più». Ah, ecco il punto.
Tooru fece un altro sospiro e un altro sorrisetto. Gli diede un buffetto sulla guancia.
«Ci vedremo, tranquillo. Verrò a casa tua».
«No, aspetta. Vediamoci già stasera!». Tobio lo afferrò di nuovo per la spalla.
Tooru cominciava a trovarlo fastidioso, oltre che estremamente doloroso.
«Senti già la mia mancanza, moccioso?». La voce gli uscì un po’ forzata, come la stretta che ci mise per allontanare la mano dell'altro dal suo braccio.
Tobio scosse la testa con frustrazione, come se non avesse colto la velata presa in giro - mista ad irritazione - nelle sue parole.
«No. Ma stasera suona lui! Devi assolutamente venire a sentirlo!».
Tooru sollevò un sopracciglio, nervoso.
«Lui chi? » Sbottò, senza più nascondere la sua irritazione nei confronti dell'altro.
«Il chitarrista migliore di sempre. Suona nei magazzini del porto, ci viene un botto di gente! È un mio amico, ti piacerà, vedrai!». Tobio sembrava entusiasta. Tooru lo guardò con sospetto, era stato vago, ma non aveva motivo di preoccuparsi più di tanto, lo sapeva. Tobio sapeva spiegare le cose come un bambino delle materne, ovvero male.
«Va bene, va bene. Vengo. Se è l'unico modo che ho per farti stare buono!».
Lo accontentò, per nulla contento.
Tobio gridò: «Si!», con tanto di pugno della vittoria. Tooru alzò gli occhi al cielo.
«Ti vengo a prendere io!». Gli gridò dietro il minore, mentre lui prendeva di nuovo a camminare per allontanarsi. Tooru gli fece il segno del pollice senza nemmeno guardarlo.
 
Non aveva idea di quanto quell'invito avrebbe cambiato per sempre la sua vita.


 

 
***
 

I magazzini del porto li conoscevano tutti.
Era una zona particolare - ci facevano anche il mercato -, e Tooru non c'era mai stato di notte. Era tutto illuminato a giorno e soprattutto pieno di vita. Tooru guardò Tobio mentre entravano in un magazzino in particolare, affollato di giovani che bevevano e chiacchieravano allegramente appoggiati a dei barili di latta convertiti in tavolini.
«Come conosci un posto del genere?».
Era una cosa troppo sospetta se veniva da quell'ingenuotto di Tobiuccio.
Tooru temeva frequentasse gente pericolosa.
«Lo conosco tramite Hajime».
«Hajime?».
«Si, quello con cui sto formando la band!».
«Ah si, si …». Tooru liquidò in fretta la questione.
Tobio aveva quell’idea malsana da qualche settimana e pareva aver trovato un folle batterista - Tooru conosceva Hajime di vista, ci aveva scambiato giusto due parole - che lo assecondasse in quella follia, ma non voleva essere coinvolto, per cui tacque a riguardo.
Il magazzino dentro era … particolare.
Non aveva altro che pilastri di cemento, un ring da pugilato al centro - a cui erano state tolte le delimitazioni - come palcoscenico, e una sorta di bar improvvisato a cui Tooru non avrebbe mai attinto niente.
«È stato Hajime a presentarmi Wakatoshi. Devi sentirlo Tooru, è un genio».
Smettendo di guardarsi attorno con aria incuriosita, Tooru si concentrò sull'amico.
Sembrava euforico, ed era un'emozione strana per un tipo di carattere come quello di Tobio. Lui, d'altro canto, era scettico a riguardo. L'unico genio che conosceva era essenzialmente se stesso e, forse, Tobio.
«Cosa avrebbe di così speciale?».
Si fermarono nei pressi di una colonna portante, quasi sotto il palco improvvisato.
La gente aumentava gradualmente, il posto diventava caldo e affollato, i rumori molesti, con la musica di sottofondo caotica.
Tooru - che non era mai davvero stato in un posto simile perché sua nonna, donna estremamente severa su alcuni aspetti, non voleva - cominciava a provare disagio insieme al pizzico di trasgressione provata.
«Devi sentire per capirlo». Tobio, come al solito molto esaustivo, guardava il palco tutto accigliato. Tooru avrebbe voluto tirargli uno scappellotto dietro la nuca, ma si trattenne.
«Puoi dirmi altro su questo Wakatoshi?».
Dato che mi sono preso la briga di venire fin qui, litigando furiosamente con mia nonna …
«È stato abbandonato appena nato. Lo hanno gettato nei cassonetti del porto».
Tooru si girò di scatto e guardò Tobio, che parlava con serenità, braccia conserte mentre continuava ad osservare il palco.
Una cosa in comune, più o meno, fu il pensiero che gli attraversò la mente, consapevole che quel tizio gli sembrava improvvisamente molto interessante.
«Lo hanno trovato i pescatori, la gente di qui, insomma, e lo hanno cresciuto. Fin da neonato ha vissuto qui. La sua casa è uno di questi magazzini abbandonati, sai?».
Tooru si guardò di nuovo intorno, pensando che tutto sommato dovesse essere figo vivere in un posto del genere tutto da solo.
Aveva solo diciassette anni, ma nella sua situazione non faceva alcuna differenza.
«E la musica?». Chiese, tornando a fissare Tobio con una certa intensità.
«Uno dei pescatori che lo hanno cresciuto trovò una vecchia chitarra un po’ rotta e gliela diede. Wakatoshi ha imparato a suonarla senza aiuti, da solo. La riparò con i soldi di alcuni lavoretti … è un genio, te l'ho detto!». Insistette Tobio. Tooru rimase per qualche secondo a riflettere. Quel tipo era un po’ come lui, sicuramente.
Anche lui abbandonato da genitori che non lo volevano, con un talento innato per la musica. Tooru avrebbe dovuto provare affinità emotiva, ma non era quello il sentimento che gli stava nascendo dentro.
Mentre se ne stava distratto, cercando di comprendere perché provasse tanta rabbia, non si accorse di come tutto si fosse fatto improvvisamente silenzioso.
Poi, inaspettatamente, il riff di una chitarra.
Tooru sentì un brivido lungo tutta la spina dorsale e sollevò la testa di scatto, puntando gli occhi sul palcoscenico.
Erano solo tre persone, che stavano facendo musica prevalentemente strumentale, ma i suoi occhi lo trovarono senza bisogno di domandare niente a Tobio.
Era come una stella cometa in un cielo di stelle comuni.
La giacca di pelle sul petto nudo, con gli addominali scolpiti pieni di giochi d'ombra creati dalle luci, jeans stracciati. Un volto bellissimo e pieno di piercing.
Era magnetico. Tooru non aveva mai trovato un uomo tanto bello prima di allora, e non aveva mai provato nemmeno tanta rabbia nello stesso momento in cui si rendeva conto di essere incredibilmente attratto da lui e dalla sua musica. Da tutto quello che era.
Senza rendersene conto aggrottò le sopracciglia mentre Wakatoshi si voltava lentamente, facendo un cenno con la mano al pubblico.
Aveva gli occhi bassi e non sorrideva, ma quando si voltò e li aprì, taglienti e di un colore indecifrabile, Tooru sentì una trazione nella bocca dello stomaco.
Si guardarono. Furono pochi secondi.
Ma si guardarono.
E per Tooru nulla fu più lo stesso.
 
La sera del giorno in cui fu espulso da scuola, vestito come mai prima d'ora, ed emozionato per quell'avventura trasgressiva, conobbe Wakatoshi.
 
Fuori nevicava.

 
***
 

Tooru trovò lavoro in un negozio di musica.
Un posto che amava, in un ambiente che amava.
E i mesi successivi trascorsero in quel modo, lavoro, casa e ogni tanto Tobio.
La scuola non gli mancava mai, anche se con la nonna le cose non andavano bene, perché a differenza di quanto aveva pensato, se l'era presa davvero a male per la questione dell'espulsione. O meglio, il motivo. Da parte sua, Tooru non aveva mai smentito niente, lasciando che le cose tra loro restassero in cattivi termini.
Era proprio a lavoro, in un momento morto di una calda giornata estiva, con le cuffie nelle orecchie e la musica a tutto volume, che Tobio gli inviò un messaggio.
 
Vieni a casa mia domani mattina. Hai il giorno libero, no? Ti aspetto. Ciao.
 
Nulla più di quello. Come se nemmeno si aspettasse una risposta da parte sua.
Tooru fu tentato in un primo momento di fare il bambino capriccioso e negarsi, ma era da giorni che non vedeva Tobio o non faceva altro che stare a casa o a lavoro.
Inoltre, non riusciva a togliersi dalla testa quel Wakatoshi da mesi.
Ogni volta che pensava a lui provava un'invidia terribile mista a gelosia, e una frase nella mente gli sussurrava sempre: sono più bravo io. Era nervoso.
E si sentiva sciocco, perché si era preso una bruttissima cotta - odio per un tizio che nemmeno conosceva e con cui non aveva mai nemmeno parlato.
Si erano solo guardati per un po’ con irritazione e frustrazione repressa.
Andare da Tobio poteva essere un ottimo modo per distrarsi e togliersi quella roba di mente una volta per tutte. Così lo fece.
 
La madre dell'amico lo accompagnò fino alla porta della sua cameretta, dove Tooru riusciva a sentire le voci e le risate anche attraverso il legno socchiuso.
Era nervoso anche già prima di entrare, perché Tobio non gli aveva detto che avrebbe avuto ospiti a casa e la cosa non gli piaceva. Lo metteva terribilmente a disagio.
Appoggiò la mano sull'uscio e spinse leggermente, aprendo piano.
La prima cosa che sentì fu la propria voce uscire dall'altoparlante di un apparecchio tecnologico, stava cantando.
Poi vide i tre ragazzi seduti attorno ad un kotatsu, rilassati sui loro comodi posti.
Tobio che gli dava le spalle e mostrava un vecchio video a Wakatoshi, proteso verso di lui. Hajime sulla destra che cercava una sigaretta nel pacchetto mezzo sfondato.
«Lo vedi quanto è bravo?! Sarebbe perfetto, no?». Stava dicendo Tobio con uno strano entusiasmo nella voce, anche se non si leggeva affatto nella sua espressione.
Wakatoshi non disse nulla, sul suo volto non si leggeva niente, pareva stranamente immobile e Tooru sentì le sopracciglia aggrottarsi automaticamente.
Stavano parlando di lui, dopotutto.
Perché quella reazione impassibile?
«Sei sicuro che sia affidabile?». La domanda arrivò da Hajime, che era riuscito ad accendersi la sigaretta, e stava fumando in un ambiente perfettamente chiuso.
Ma quanti anni hai?!, pensò Tooru indignato.
«Tooru sarebbe il cantante perfetto per la nostra band!».
«Ehi!» Esplose lui senza riflettere. A quel punto, tre paia di occhi si voltarono a guardarlo, ma furono solamente quelli di Wakatoshi ad attirarlo come una calamita.
«Ehi, Tooru! Sei venuto? » lo salutò invece Tobio, che non si era accorto di nulla «Vuoi cantare nella nostra band? L'abbiamo creata giusto ieri! Ci chiameremo i Red Roses, come il bar in cui è nata! Che ne dici?». Lui non rispose, continuando a tenere lo sguardo fisso in quello di Wakatoshi mentre la sua voce riecheggiava nel video ancora in movimento tra le mani di Tobio. Ci furono alcuni minuti di silenzio.
Quello sguardo addosso lo fece arrossire.
«Sono passato perché pensavo … non importa» scattò alla fine, troppo esposto a quella situazione «Ne ho approfittato per portarti il CD che mi hai prestato, ecco. Grazie».
Lo tirò fuori dalla borsa di pezza che portava a tracolla e lo appoggiò sul tavolino, poi andò via senza guardare nessuno negli occhi.
«Ehi Tooru, aspetta!». La voce di Tobio lo inseguì, ma lui stava correndo via.
Correva davvero, con i polmoni in fiamme. Sentiva dentro una strana tempesta.
Aveva quasi raggiunto l'altro lato della strada, quando sentì il foulard che aveva messo attorno al collo scivolare sulla pelle. Lo toccò automaticamente, sentendolo sfuggire dalle dita. A quel punto si voltò di scatto e Wakatoshi era dietro di lui, con l'affanno a sua volta, e il suo foulard stretto nel pugno della mano piena di anelli.
«Tooru» lo chiamò per la prima volta con una voce profonda e monocorde, facendo muovere quella tempesta dentro di lui come un mare agitato «ti prego, diventa il cantante della mia band!».
 
La tempesta nel suo cuore gridava forte, forte, forte, ma con quelle parole le emozioni dentro di lui si trasformarono in voce.
 
Da quel pomeriggio d'estate divennero la band dei Red Roses.

 
***
 

Erano uno strano assortimento.
Quattro soggetti con un carattere particolare.
Ma funzionavano bene, in un modo strano, non solo sul palco ma anche tra di loro.
Un mese dopo aver formato la band, la nonna di Tooru morì inaspettatamente, lasciando che le cose tra di loro non si aggiustassero mai.
Fu un periodo difficile, strano.
Se non fosse stato per Tobio, Hajime e Wakatoshi non avrebbe saputo come fare.
Si era sempre sentito un po’ solo, era un bambino abbandonato dopotutto, e sua nonna aveva di certo fatto del suo meglio, ma non era una donna affettuosa.
Però era pur sempre l'unica famiglia che aveva.
La band fu una salvezza per lui.
Divenne un po’ come una famiglia, quella che non aveva mai davvero avuto.
Facevano concerti un po’ ovunque, nei magazzini, nei locali di seconda mano, in quelli un po’ più rinomati, per strada.
Furono giorni felici, nonostante la malinconia.
Hajime divenne un buon amico, inaspettatamente. Tobio era sempre lì per lui, quel moccioso talentuoso e irritante. Con Wakatoshi invece era diverso.
Vi era desiderio tra di loro. Attrazione. Innegabile attrazione.
E rivalità, anche quella del tutto innegabile. E amicizia, e complicità.
Quando cantava, finalmente libero di esprimere se stesso, Tooru scherzava con lui sul palco. Gli strizzava l'occhio, recitava delle frasi guardandolo con un sorrisetto.
E alla fine di ogni concerto se ne andavano via insieme abbracciati, ricoperti di regali dei loro fan, con Hajime e Tobio che li prendevano in giro. Quelle passeggiate erano le migliori, nel cuore della notte, tra i muri conosciuti e le loro risate spensierate.
Sotto il braccio di Wakatoshi sulla sua schiena, con il suo profumo di spezie e sandalo nel naso, Tooru si sentiva al sicuro. E quando i loro sguardi si incrociavano in quell'abbraccio, il suo pieno di lacrime causate dalle risate e quello di Wakatoshi impassibile per natura, provava uno strano calore nel petto. Amore, tenerezza.
Vi si aggrappò come un disperato.
 
La prima volta che andò a letto con Wakatoshi fu ad un anno esatto di distanza dal concerto al magazzino. Nevicava, come allora.
Avevano appena concluso con successo un concerto, ed euforici e adrenalinici, se n'erano andati mano nella mano sui frangiflutti innevati, e dove avevano fatto un po’ di baldoria chiassosa. Poi si erano messi a sedere sul muretto bagnato di neve, con i vestiti di pelle troppo leggeri per proteggerli dal gelo, e avevano cominciato a sbirciare nelle buste con i regali dei fan.
«Oh guarda, una torta!». Tooru ne aveva trovata una ancora nel cartone, intatta.
Era ricoperta di panna e fragole, e aveva una scritta con la glassa rossa che diceva: Merry Xmas Tooru, anche se era passato da qualche giorno ormai. Tooru ci immerse un dito dentro, osservando la cremosa panna bianca formare delle onde.
Wakatoshi lo osservò, seduto al suo fianco ma dalla parte opposta rispetto alla sua.
«Potrebbe essere avvelenata». Se ne uscì inaspettatamente, con una serietà disarmante. Tooru, che stava per mettersi il dito in bocca, si immobilizzò. Ormai aveva capito che Wakatoshi non aveva il senso dell'umorismo, motivo per cui non stava scherzando.
Era tremendamente serio … «Forse l'ha preparata una mia fan. Forse è gelosa di una nostra possibile relazione e ha pensato di farti fuori in questo modo» ... e tremendamente arrogante. Tooru sollevò un sopracciglio, cercando di ignorare la serietà dietro quella dichiarazione. Allungò il dito verso di lui, sorridendo con aria stizzita.
«Assaggia tu allora!» sbottò irritato, spingendo il dito in direzione di Wakatoshi, che lo guardava impassibile come sempre, con quegli occhi taglienti «Non voglio morire per una colpa che non ho commesso!». Calò il silenzio per qualche secondo mentre si osservavano ostinati. Alla fine, Wakatoshi allungò una mano e gli afferrò il polso, proprio nel momento in cui lui stava per abbassare il dito ancora sporco di panna.
Lo tirò lievemente in avanti e Tooru ebbe l'impressione che avrebbe davvero assaggiato lui per primo, ma all'ultimo secondo lo vide alzare il viso.
E prima che se ne rendesse conto lo stava baciando, lì, sul muretto dei frangiflutti, con la neve che si muoveva intorno a loro agitata dal vento.
 
Fu tutto così improvviso che Tooru dimenticò persino di chiudere gli occhi, come aveva desiderato fare per il suo primo bacio.
Wakatoshi si allontanò appena, restando comunque molto vicino al suo viso.
«Ecco, adesso sei davvero colpevole. Puoi morire senza sentirti in colpa».
E si mise il suo dito in bocca, assaggiando la panna.
Tooru lo osservò allibito mentre stringeva la sua mano inerte nella propria, leccandosi le labbra sicuramente zuccherose. Quando Wakatoshi tornò a guardarlo pensò che ormai non gli importasse nemmeno più tanto di morire. E quando gli avvolse le braccia attorno alle spalle per baciarlo di nuovo, pensò di volere solo lui, tanto, tanto, tanto da morire.
Lo voleva da quel giorno nel magazzino, così quella stessa sera fece l'amore con lui proprio lì dove i loro sguardi si erano incontrati per la prima volta.
 
Non era mai stato di nessuno, prima di allora.
Appartenere a qualcuno lo rendeva felice.

 
***
 

Andarono subito a vivere insieme.
Non aveva senso non farlo, dopotutto. Entrambi erano soli, avevano un lavoro part-time che pagava poco, e volevano vivere di musica. 
Si trasferirono nel magazzino convertito in appartamento in cui viveva Wakatoshi, nel posto in cui era stato gettato via e allevato.
Fuori dalla porta di casa misero una targhetta con su scritto: Wakatoshi e Tooru.
Lui si fece il tatuaggio di una piccola aquila stilizzata sul braccio sinistro quando scoprì che era l'animale guida di Wakatoshi. E per il suo ventesimo compleanno gli regalò una collana a lucchetto con l’iniziale del suo nome sopra: T.
 
Wakatoshi gli aveva regalato la gioia di cantare con passione, con amore, gli aveva insegnato a suonare la chitarra mentre vivevano insieme e il piacere di vivere.
Di essere libero come non lo era mai stato.
 
Furono pochi mesi, ma furono felici.
 
Finì tutto una sera d'inverno dell'anno successivo.
Avevano avuto un concerto, come sempre. E come sempre, in sere come quelle, si erano infilati entrambi nella minuscola vasca da bagno per lavarsi insieme.
L'acqua aveva bagnato il pavimento e il sapone era eccessivo come al solito.
Wakatoshi si era tirato i capelli umidi all’indietro e lo osservava con una mano appoggiata al viso, pensieroso.
«Ti ricordi quando ci siamo incontrati?».
Tooru gli porse la domanda mentre giocava con le bolle nella vasca, le loro gambe si sfioravano, perfettamente incastrate sotto l'acqua ormai tiepida e un po’ torbida.
«Indossavi una giacca di pelle rossa».
Lo sorprese Wakatoshi, con un dettaglio che Tooru non credeva si sarebbe ricordato.
Aveva litigato con la nonna quella notte, per l'espulsione da scuola, perché lei aveva davvero creduto che avesse fatto una cosa simile. Si era messo quei vestiti che tanto amava - e lei tanto disprezzata - per la prima volta in vita sua e lo aveva fatto per farle un dispetto, ma si era sentito libero.
«Non credevo lo ricordassi». Ammise.
Wakatoshi allungò una mano per spostare una ciocca di capelli umidi dalla sua fronte.
«Eri il ragazzo più irritante di tutto il pubblico, mi fissavi ostile. Mi sei rimasto impresso nella mente per mesi».
Tooru gli scostò la mano e fece un broncio nervoso, aggrottando le sopracciglia.
«Quella sera avevo litigato con la nonna. Ero nervoso, e tu mi sembravi solo uno sbruffone!»
«Tu mi sei piaciuto fin dal principio».
Wakatoshi lo afferrò per un polso e se lo trascinò addosso, facendolo sedere tra le sue gambe, stretto tra le sue braccia. Rimasero in silenzio per qualche secondo.
Erano stati abbandonati entrambi da bambini. Soli per tutta la vita, avevano dovuto cavarsela come meglio potevano. Wakatoshi non aveva mai raccontato molto del suo passato, ma non sembrava mai turbato quando diceva di essere stato gettato nei cassonetti con il cordone ombelicale ancora fresco. Sapevano tutto l'uno dell'altro.
Ad un certo punto di quel silenzio, in un momento così intimo e abituale tra loro, Tooru si voltò, mettendosi a cavalcioni su di lui e lo baciò.
Facevano sempre l'amore nella vasca troppo stretta per contenere entrambi.
In momenti come quelli Tooru provava quasi sempre una strana sensazione, mentre era tra le sue braccia e si muoveva su di lui. Una sensazione soffocante che strisciava come un serpente sotto la sua pelle, una sensazione che lo faceva oscillare in preda all'ansia.
Ogni giorno vissuto con Wakatoshi gli sembrava come un sogno impossibile, e lui era un po’ come il sole, luminoso, radioso e lontanissimo.
L'antica invidia che aveva provato la prima volta tornava a tormentarlo.
Non sei niente senza di lui, bisbigliava quella voce nella sua mente, perfida, cattiva.
E Tooru pensava, mentre si lasciava travolgere dal desiderio, che quel sole non lo avrebbe mai raggiunto. Ma scoprire di avere ragione significò anche la fine del mondo.
 
«Vorrei farlo in un posto più grande la prossima volta».
Tooru si allacciò l'accappatoio in vita e fece un sospiro, la stanchezza del concerto stava cominciando a gravare su di lui. Era tutto indolenzito.
«La vasca è piuttosto stretta, hai ragione».
«Parlavo del concerto!». Guardò Wakatoshi con una brutta occhiataccia, ancora rilassato nella vasca da bagno troppo stretta per due.
«Oh» si passò una mano tra i capelli bagnati «Allora provate a trovarne uno».
Tooru smise di frizionare i capelli in un panno. Poi si mise seduto sul letto.
«Parli come se la cosa non riguardasse anche te». Wakatoshi lo guardò dalla vasca.
Non disse niente in un primo momento, poi si alzò, uscendo grondante d'acqua, e si avvolse un panno attorno alla vita. Tooru grattò il tatuaggio sul braccio distrattamente, seguendo ogni suo movimento.
«Per caso c'entra qualcosa quello di cui stavate parlando tu e Hajime prima?».
Li aveva visti discutere alla fine del concerto.
Non stavano proprio litigando, ma la conversazione sembrava tremendamente seria. L'avevano interrotta non appena si erano accorti di lui. Tooru non aveva voluto dargli troppa importanza, ma forse … forse la paranoia che provava non era poi così insensata. Wakatoshi gli si fermò davanti - costringendolo ad alzare lo sguardo per guardarlo - e gli passò una mano nei capelli.
«Hajime si preoccupa troppo».
Non è quello che ti ho chiesto, pensò Tooru, lasciandosi accarezzare.
«Ho capito, chiederò a lui direttamente. Mi dice sempre tutto».
«Tooru».
«Uhm?».
«Cosa significherebbe per te smettere di cantare?». La domanda lo colse di sorpresa.
Wakatoshi sembrava ancora più serio di quanto non lo fosse solitamente.
«Perché me lo chiedi?». Una strana ansia stava crescendo dentro di lui, ma non voleva stare a sentirla. La voleva soffocare.
«Immaginavo solo una vita diversa, in cui tu non canti. Come sarebbe per te?».
Tooru la trovava una domanda un po’ crudele.
Cantava ancora prima di conoscerlo, lo faceva da sempre.
Scriveva i suoi testi e cantava, era solo un talento. Non era un genio, né aveva una voce particolarmente riconoscibile, ma cantare era parte di lui.
Non lo aveva mai fatto per Wakatoshi. Con lui aveva solo imparato la vera gioia di farlo per qualcosa, per qualcuno, con qualcuno al proprio fianco che capisse.
«Sarebbe come morire». Tooru disse solo la verità, quello che sentiva dentro.
Non aveva idea delle ripercussioni che avrebbero avuto quelle parole.
«Lo immaginavo». Wakatoshi si chinò in avanti e gli diede un bacio sulla fronte, allora Tooru lo abbracciò stretto, dando sfogo all'ansia in quel gesto. Poi se lo trascinò addosso, dove finirono stesi sul materasso del loro letto che occupava mezzo magazzino.
La loro casa era una stanza unica, con la cucina separata dalla camera da letto - bagno con un paravento. Si baciarono, poi Tooru se lo strinse al petto. Calarono alcuni secondi di silenzio, abbastanza intenso da sentire la neve che infuriava oltre la saracinesca abbassata.
«Tooru». Wakatoshi lo chiamò, sollevando appena la testa con i capelli ancora umidi.
Tooru gli aggiustò una ciocca un po’ ondulata dietro l'orecchio, per poi accarezzarlo mentre aspettava che continuasse a parlare.
«Io andrò a Tokyo …» non comprese immediatamente «… quindi sentiti libero di vivere come preferisci».
 
Quella fu la fine del mondo.
Arrivò in quel modo, silenziosamente, in una notte di neve tempestosa qualsiasi.
Tooru non ebbe nemmeno la prontezza di reagire, rimase a guardarlo come se non avesse capito, gli occhi appena sgranati.
 
Wakatoshi non sorrideva spesso. Quella volta lo fece.
Le labbra appena sollevate per ricordargli per sempre quel
momento.

 
***
 

«Andrai a Tokyo insieme a lui, vero?».
Tooru era a lavoro quando Tobio entrò come un tornado nel piccolo negozio.
Posò le mani sul bancone con violenza e lo guardò fisso, accigliato e immusonito.
Completamente impreparato da quel benvenuto, Tooru lo fissò con una cuffietta tra le dita per alcuni secondi, domandandosi se fosse impazzito.
Ma no, quella reazione era tipica di Tobio. Senza preamboli, un uragano caotico.
Fece un sospiro e tolse definitivamente le cuffie, stoppando la musica sul cellulare.
«Quindi sei qui per questo». Sospirò.
Wakatoshi andava a Tokyo per debuttare con i Golden Eagle, una band delle loro parti che aveva avuto parecchio successo. Tooru ne conosceva i componenti, ma sapeva bene che Wakatoshi ed Hajime ci avevano avuto a che fare spesso.
Atsumu, Satori e Tetsurou gli avevano chiesto di debuttare con loro, poiché non avevano un chitarrista. E Wakatoshi, che non aveva fatto altro che puntare alla vetta da sempre, aveva accettato senza nemmeno guardarsi indietro.
Ma forse quello non era del tutto corretto. Tooru lo aveva compreso lentamente. Wakatoshi gli aveva fatto quella domanda sulla musica perché la risposta avrebbe determinato sicuramente la sua decisione.
Vuoi venire a Tokyo con me? Sarebbe stata quella, la domanda, se Tooru non avesse risposto che senza musica sarebbe stato come morire per lui. Ed era chiaro che per seguirlo avrebbe dovuto abbandonare la sua voce, il suo sogno di cantare.
Wakatoshi non sarebbe mai stato abbastanza egoista da chiederglielo.
Sentiti libero di vivere come preferisci. Così gli aveva dato la scelta di restare e continuare a cantare, senza che si sentisse in colpa per questo. Era quasi crudele.
«Sappi che se vai a Tokyo vengo con te!».
«Non dire sciocchezze!». Tooru lo guardò male, come se Tobio fosse un bambino capriccioso. La faccia era quella, dopotutto.
«Dico sul serio! Cerchiamo un nuovo chitarrista a Tokyo e vediamo anche noi dove possiamo arrivare! Se i Red Roses dovessero cambiare cantante adesso, non credo che me la sentirei ancora di suonare!» Tooru rimase per un attimo allibito di fronte l'accorata invettiva dell'amico «Anche Hajime è d'accordo con me! Non vuole suonare con nessuno che non sia tu». E mentre l'amico parlava gli occhi gli si riempirono di quelle lacrime che non aveva ancora versato da quella notte.
«Non dirmele tu …». Mormorò, portandosi entrambi i pugni chiusi delle mani sulla fronte mentre dava sfogo ad un pianto che aveva trattenuto a lungo.
le parole che avrei voluto sentirmi dire da Wakatoshi nonostante tutto, non dirmele tu!
«Resto qui, Tobio. Non vado a Tokyo». Disse invece, tirando su con il naso.
Non piangeva dal funerale della nonna, era passato troppo tempo perché quella sensazione umida potesse piacergli.
«Ma perché?! Non vuoi stare con Wakatoshi? Guarda che ti ama davvero!».
Tobio alzò di nuovo la voce.
«Lo so!». Sbottò Tooru a sua volta, poi distolse lo sguardo mentre si asciugava il volto congestionato con una certa stizza.
«Per lui non saresti un fastidio, Tooru». Tobio abbassò il tono di voce, come se si fosse reso conto solamente in quel momento che aveva pianto davanti a lui.
«Ma dovrei stare a casa senza far niente, ad aspettarlo tutti i giorni come se fossi una specie di mogliettina … non fa per me, Tobio. Non voglio vivere così. Voglio vivere della mia musica. Migliorarmi e convincermi che posso farcela a diventare qualcuno anche senza di lui. Wakatoshi lo sa …». Per questo non mi ha chiesto di andare con lui, ma quello non lo disse. Era nel profondo del suo cuore, quel punto annerito dall'invidia e dall'orgoglio. Quella punta di fastidio che aveva provato la prima volta che aveva ascoltato la sua musica geniale e posato gli occhi su di lui. Sperava solo che Wakatoshi non la vedesse, ma forse non era stato così bravo da nasconderla nel profondo di sé.
«Sto bene! Davvero!». Prese le mani di Tobio con foga e lo guardò negli occhi.
Mal sopportava quel moccioso maledettamente talentuoso, tanto che a volte si sentiva inferiore perfino a lui, ma gli voleva bene. Era stato lui a dargli la band.
«Migliorerò, lo prometto. E quando saremo pronti andremo a Tokyo anche noi. Fino ad allora, dovrai sopportarmi qui».
Tobio resse il suo sguardo per qualche altro secondo, accigliato, poi fece un sospiro.
«Diventeremo i migliori!». Commentò.
E Tooru rise, asciugando i residui di lacrime.
 
Se non fosse stato per Shouyou, avrebbe infranto quella promessa.


 
***
 

Ci aveva pensato a lungo, per giorni, nella vasca da bagno ormai solo sua.
Aveva pensato a tutto quello che Wakatoshi aveva fatto per lui. La band, la chitarra, la casa insieme, i giorni felici. La voglia di vivere che gli aveva donato.
E poi aveva pensato a tutto quello che lui non aveva fatto per Wakatoshi.
Aveva pensato che forse sarebbe stato felice anche senza musica, senza il suo sogno.
Stare lì a casa ad aspettarlo, dargli una specie di famiglia dove l'uno sarebbe sempre stato il rifugio dell'altro. Per due come loro, che non avevano mai avuto niente di simile, poteva valere molto più di qualsiasi sogno irrealizzabile.
 
Eppure non lo aveva fatto.
Non era andato a Tokyo con Wakatoshi.
Era troppo egoista e troppo invidioso per riuscirci. Per fare qualcosa per lui.
 
Il giorno della sua partenza erano andati tutti.
Hajime, Tobio. La loro band l'ultima volta insieme sui binari di quel treno in partenza.
Wakatoshi aveva sulla spalla solo la chitarra, bene avvolta e protetta nel suo fodero.
«Porti solo quella?». Fu la domanda ingenua di Tobio, lì accanto ad Hajime.
Tooru invece era ancora stretto a Wakatoshi, che gli aveva poggiato un braccio sulla spalla. Non si sarebbero lasciati con animosità, avevano fatto la propria scelta.
«Ha spedito le sue cose a Tokyo giorni fa».
Intervenne con voce gioviale, prima che potesse farlo Wakatoshi.
«Non ti farò più da schiavo eh?».
Tobio aveva la voce un po’ tirata, ma sforzava un sorriso spaventoso sulle labbra.
«Il tuo assistente patirà parecchio». Fu invece il commento di Hajime.
Il loro modo di salutare, senza addii strappalacrime o arrivederci menzogneri.
«Coraggio Wakatoshi, il treno sta per partire».
Intervenne a quel punto Tooru, per non prolungare troppo quella sofferenza.
Cadde un silenzio di qualche secondo in cui si guardarono per un istante - Tobio pareva quasi sul punto di mettersi a piangere. Wakatoshi frugò nella tasca della giacca di pelle e ne estrasse un plettro tutto rovinato. Lo passò a Tobio, che lo prese in silenzio stringendolo nel pugno della mano.
Senza aggiungere altro, con il braccio ancora stretto attorno alla sua spalla, salì sul treno portandosi dietro Tooru. Rimasero sull'ingresso, stretti in quel modo.
Si guardarono per un istante, trovare le parole non serviva, non in quel caso.
Tooru si alzò sulla punta dei piedi e lo baciò, tentando di memorizzare il suo profumo di spezie e sandalo, o la forma delle sue spalle o il freddo ruvido della sua giacca di pelle.
Sentì le lacrime premere dietro gli occhi, il fischio del treno suonò fonte nell'aria.
Si staccò velocemente, e prima che potesse farsi vedere, scese dal treno.
Cadde sulle ginocchia, strinse forte le palpebre.
Non vide Tobio che seguiva il treno, per poi fermarsi quando si accorse che anche Wakatoshi non stava trattenendo le lacrime. Non vide Hajime dargli le spalle.
Rimase lì, a piangere quell'addio.
 
E dopo un anno e tre mesi, all'inizio di una primavera ancora spruzzata di neve, la loro storia finì.


 
***
 
~ Presente ~
 
non ci siamo detti addio a parole, ma sapevamo entrambi che la nostra storia avrebbe avuto fine in quel momento. Perché stare insieme senza potersi abbracciare non aveva senso … Vivere senza di lui i primi tempi era soffocante per me, e ci sono state più volte in cui mi sono pentito … soprattutto nelle notti di neve come questa, ad esempio. Mi trovavo a sperare che qualcun altro fosse lì a riscaldarlo. E così dopo un anno e qualche mese, quando ho compiuto vent'anni, mi sono regalato un biglietto per Tokyo. E il resto della storia la sai già …
 
Shouyou ripensava ancora alle parole di Tooru della notte precedente mentre sedevano entrambi sul pullman che li avrebbe portati al concerto.
 Credeva ancora che fosse una storia incredibile. Allo stesso modo in cui non riusciva a frenare la colpa che provava, o quel desiderio struggente di far sì che potessero ritrovarsi.
Shouyou non aveva saputo molto di Tooru fino alla sera precedente, e ora lo capiva.
Sembrava una storia inventata, la sua.
Gli piacevano i Golden Eagle dal giorno del loro debutto, come a molte altre persone.
Ma essendo personalità pubbliche e di successo, tendevano a sembrare distanti, lontane.
Irreali, in un certo senso. Ci si dimenticava a volte di avere a che fare con persone, persone con un passato comune prima che diventassero qualcuno.
E mai come mentre Tooru parlava, Wakatoshi dei Golden Eagle gli era sembrato umano.
 
Il concerto si teneva in un posto chiuso.
Una platea enorme, senza più biglietti a disposizione. Shouyou aveva dovuto comprarli quasi un anno prima, e si era guadagnato la prima fila. Avrebbe dovuto andarci con il suo fidanzato, ma lo aveva tradito giusto qualche settimana prima.
Era stato un episodio che aveva avvicinato moltissimo lui e Tooru - ci era mancato tanto così che riempisse il suo ex di botte proprio fuori il locale dove lavorava, il giorno in cui Shouyou aveva scoperto malamente del suo tradimento con un altro collega.
Aveva chiesto a Tooru di accompagnarlo, insistendo anche con un certo fervore, senza sapere niente. Lo aveva costretto ad accettare, senza immaginare il dolore che avrebbe provato nell'intraprendere quel viaggio nel passato.
In piedi davanti al suo posto, nel silenzio di una platea che aspettava l'entrata in scena della band, Shouyou guardava il profilo del suo amico nella penombra, desiderando che Wakatoshi potesse accorgersi di lui tra la folla. Sperando in una sorta di miracolo.
E quando calò il buio e si accesero le luci sul palco, e i Golden Eagle apparvero sulla scena cominciando l'ultimo singolo del nuovo album, e vide Tooru illuminato appena, perso a guardare Wakatoshi con nostalgia, una lacrima che gli solcava la guancia, allora pregò perché quel suo desiderio si avverasse.
Pregò perché Wakatoshi potesse in qualche modo percepire il suo desiderio.
Perché Tooru potesse ritrovare la sua felicità, e non aveva mai pregato tanto prima di allora. Nemmeno per se stesso.

 
***
 

Era la pausa prima del bis, quello che il pubblico aveva chiesto insistentemente, ma che era già in programma perché sapevano tutti che sarebbe stato richiesto.
Wakatoshi era nel suo camerino, solo.
Appoggiato allo schienale della ballerina, scorreva la rubrica telefonica alla ricerca di un numero che non chiamava da un po’. Fuori non sembrava provare niente, dentro si sentiva una tempesta. Trovò il nome della persona interessata, telefonò. Tre squilli.
«Il concerto è finito? ». La voce di Hajime.
«Non ancora. Manca il bis» rispose con serenità, quella che non stava provando affatto in quel momento «Hajime, Tooru è venuto al concerto?». Andò subito al dunque. Ci furono pochi secondi di silenzio.
«Te ne sei accorto, allora». Wakatoshi guardò le dita tremanti della propria mano, quella con cui faceva gli accordi, la sinistra.
«Ho sbagliato un pezzo quando l'ho visto. Ho dovuto cambiare arrangiamento».
Confessò, solo per sentire la risata roca e divertita di Hajime nell'orecchio.
Avrebbe voluto dirgli che non lo trovava divertente, ma non avrebbe saputo come. Rivedere Tooru era stato come ricevere un pugno nello stomaco.
Non sbagliava mai a suonare.
«Perché non scendi dal palco e lo abbracci con trasporto? Sarebbe una scena commovente, non credi? ». Di sottofondo Wakatoshi sentì il rumore del traffico della strada, un clacson. Delle voci femminili.
«Non lo posso fare, ho il concerto». A volte Hajime diceva delle cose davvero strane.
Lo sentì sospirare nella cornetta.
Spam. Qualcuno bussò con violenza alla porta del suo camerino.
«Wakatoshi, esci! Dobbiamo fare il bis!». Riconobbe la voce di Atsumu, il bassista.
«Arrivo». Rispose con calma.
«Vai, se devi. Ti giro il numero del coinquilino di Tooru, così potrai contattarlo e parlare con lui. Quello sbadato ha dimenticato il suo a Tokyo, scarico».
Parlò Hajime attraverso la cornetta.
Wakatoshi strinse il pugno tremante della mano, che portò sulla fronte.
«Lascia stare, Hajime. Non ho il diritto di contattarlo, nessun diritto».
«Ehi, Wakatoshi … sono stanco di questa storia. Non sono disposto ad appoggiarti più. Se non hai intenzione di vedere Tooru … allora sappi che questa è la volta buona che me lo prendo io».
«WAKATOSHI!». Sbraitò Atsumu fuori dalla porta, senza pazienza, ma lui aveva già avuto un sussulto prima. Fissò lo schermo luminoso del cellulare con la chiamata ancora in corso. Lo riportò all'orecchio.
«Dammi quel numero».

 
***
 

I made a promise, to distance myself
Took a flight, through aurora skies
Honestly, I didn't think about
How we didn't say goodbye
Just “see you very soon”.
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you.
 
So I didn't call you
For sixteen long days
And I should get a cigarette
For so much restraint
No matter how long I resist temptation
I will always lose
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you
 
I've done the math
There's no solution
We'll never last
Why can't I let go of this?
 
Shouyou accarezzò con i polpastrelli il foglio di carta abbandonato sul pavimento accanto al futon di Tooru. La penna era ancora lì con il tappo tolto, accanto ad un rigo cancellato con ferocia. Shouyou conosceva quella canzone. Tooru l'aveva cantata una volta sul tavolo della loro cucina, proprio agli inizi della loro conoscenza.
Shouyou ricordava ancora l'emozione che aveva provato quella volta.
Il modo in cui il suo coinquilino aveva improvvisato un testo su una base appena ricevuta da un membro della sua band. Aveva pensato che Tooru fosse un genio.
Ma il testo di quella canzone si interrompeva lì, senza un finale. Pieno di cancellature.
Adesso che lo rileggeva, inginocchiato lì accanto con i capelli ancora umidi dal bagno recente, quelle parole avevano tutto un altro sapore. Tutto un altro senso.
Shouyou guardò la porta socchiusa del bagno, dove sapeva trovarsi l'amico in quel preciso momento. Gli era sembrato che in un paio di occasioni, durante il concerto, Wakatoshi avesse posato lo sguardo su di loro. Ma solo prima del bis.
Durante il ripetersi di alcune canzoni il chitarrista era stato impeccabile, concentrato, e Shouyou si era rassegnato al fatto che era solo frutto del suo desiderio disperato.
Wakatoshi era una star, impossibile da raggiungere.
E Le sue speranze solo una sciocchezza da ragazzino romantico.
Fece un sospiro e lasciò perdere il testo stropicciato su cui Tooru lavorava da tempo.
Non aveva avuto il coraggio di chiedergli come si sentisse, ma aveva il presentimento che Tooru comunque non glielo avrebbe detto.
Aveva già pianto davanti a lui, si era già lasciato troppo andare.
Lo schermo del suo cellulare - messo in carica lì accanto al futon - si illuminò per l'arrivo di un messaggio, catturando la sua attenzione.
Era da parte di un numero sconosciuto. Aggrottando le sopracciglia, lo aprì.
Ci mancò poco che l'apparecchio non gli cadesse di mano.
 
Sono Wakatoshi. Hajime mi ha dato il tuo numero. Avrei bisogno di parlare con Tooru, so che era al concerto stasera. Questo è l'indirizzo dell'hotel in cui mi trovo e il numero della mia stanza. Di a Tooru che lo aspetto se vorrà venire.
 
Con il cuore che gli esplodeva nel petto in modo violento, Shouyou si precipitò nel bagno aprendo malamente la porta. Tooru sussultò appena, guardandolo di traverso. Era rilassato nella vasca, con i capelli bagnati tirati tutti all'indietro.
«Hai l'abitudine di entrare in bagno quando sai che è già occupato?».
Lo rimproverò, l'espressione infastidita.
Shouyou liquidò la cosa senza provare nemmeno imbarazzo a riguardo.
Si mise in ginocchio davanti alla vasca e gli spinse il cellulare in faccia.
«Guarda, Tooru. Guarda!». Strepitò.
L'amico gli strappò l'oggetto di mano e lesse, con le sopracciglia che si aggrottarono a mano a mano che diventava consapevole.
Shouyou lo osservava con gli occhi sgranati dal bordo della vasca, sembrava quasi un cagnolino impaurito in attesa della reazione del suo padrone. Alla fine, Tooru fece un sospiro pesante e si prese il ponte del naso tra indice e pollice, massaggiandolo.
«Puoi chiamare Hajime?». Gli chiese.
Shouyou eseguì velocemente con mani tremanti, agitato come se toccasse a lui fare direttamente quella telefonata. Trovò Hajime tra i contatti in rubrica.
Quando era entrato a far parte della vita di Tooru, gli altri si erano aggregati inevitabilmente, come se fossero tutti parte dello stesso pacchetto - prendi uno, ne hai tre in regalo. Ma Shouyou non aveva molta confidenza con Hajime, andava d'accordo - per modo di dire - solo con Tobio.
E ora che conosceva la storia di Tooru e della loro band, anche lui gli appariva diverso.
Ma non era la sua storia quella.
Passò il cellulare a Tooru mentre squillava.
L'amico se lo portò all'orecchio con aria serena, facendo attenzione a non farlo cadere accidentalmente nell'acqua tiepida.
«Ehi, Shouyou ». La voce burbera di Hajime lo raggiunse anche attraverso la cornetta.
«Ehi un corno, Hajime! Come cazzo ti è venuto in mente di dare il numero di Shouyou a Wakatoshi eh?». Tooru scattò a sedere nella vasca, facendolo trasalire con quel tono di voce alta che sapeva tanto di rimprovero. Era palesemente infastidito dalla situazione.
«Ha chiamato? ». Hajime sembrava calmo, invece, per nulla impressionato dalla collera evidente del vocalist della sua band. Shouyou sentiva appena le sue parole dalla cornetta leggermente spostata dell'orecchio bagnato di Tooru.
«No» sospirò l'amico «Ha mandato un messaggio dei suoi, criptico e colpevole».
«Che diavolo aspetta dell'idiota? La provocazione non è servita a niente?».
Shouyou vide Tooru aggrottare le sopracciglia nel sentire quelle parole, si passò una mano tra i capelli bagnati.
«Non dovevi provocarlo, Hajime! Cosa gli hai - anzi, no. Non mi interessa. Io e Wakatoshi non abbiamo niente da dirci comunque, quindi non andrò da lui».
Shouyou sentì il cuore sprofondare nel petto.
Perché no? se lo lasciò quasi sfuggire di bocca, aggrappandosi con maggior forza al bordo della vasca da bagno. Non ti arrendere così, Tooru!
«Se non vuoi più avere niente a che fare con lui, diglielo direttamente. Hai ancora la chiave del vostro magazzino, no? Portargliela e falla finita, Tooru. Wakatoshi è ossessionato da un uomo che non può avere. Quindi sei tu a dover chiudere questa storia ». Tooru rimase in silenzio per qualche secondo, osservando l'acqua torbida di bagnoschiuma rosa.
Shouyou notò che le rughe sulla sua fronte non si erano appianate mentre rifletteva sulle dure parole del suo batterista.
«Va bene, ho capito». Mormorò alla fine, poi agganciò senza nemmeno salutare.
Rimasero in silenzio per qualche secondo.
Shouyou temeva che solo il battito del suo cuore si sentisse. Era quasi assordante.
«Posso mandare un messaggio, Sho?».
La voce di Tooru sembrava un filo teso.
Annuì veementemente, senza trovare le parole per rispondergli con slancio.
Sbirciò lo schermo mentre scriveva:
 
Sono Tooru. Arrivo da te a breve. Devo parlarti di un paio di cose.
 
«Potresti prestarmi questo cellulare mentre vado da lui? Per l'indirizzo, sai?».
Shouyou distolse lo sguardo dallo schermo e trovò l'amico a fissarlo, con una strana espressione di disperazione e timore.
«Ma certo». Mormorò.
«Grazie». Replicò Tooru, per poi stringere le ginocchia al petto e seppellirvi la fronte contro, nel tentativo di tranquillizzarsi.
Rimasero così per un po’.
 
Fa che vada tutto bene, ti prego!
Fa che Tooru sia felice.
 
Shouyou non aveva altro pensiero che quello.

 
***
 

L'hotel in cui alloggiava Wakatoshi era il migliore del centro cittadino, e non ci voleva molto considerato quanto fosse piccolo.
Tooru si fermò all'ingresso, osservando con fare annoiato il mucchio di fan che si erano ammassati proprio lì fuori nella speranza di poter incontrare uno dei loro idoli.
Guardò la chiave dell'appartamento che stringeva nel pugno della mano.
Una di quelle chiavi un po’ vecchie, d'ottone.
Quando Wakatoshi se n'era andato a Tokyo, e lui era rimasto indietro, gli aveva lasciato ogni cosa. Il magazzino, la vasca da bagno troppo stretta, il tatuaggio sul braccio.
La brutta sensazione di non poterlo mai raggiungere. La rivalità che provava per lui.
Tooru non aveva lasciato andare nemmeno una sola di quelle cose nel tempo in cui non si erano più visti e la vita aveva fatto il proprio corso. Hajime aveva ragione, se voleva chiudere con Wakatoshi doveva lasciare andare tutto quella sera.
Strinse la chiave nel pugno e fece un sorrisetto amaro.
Si era preparato all'idea di doverlo rivedere dal vivo quando aveva accettato l'insistente invito di Shouyou, ma non aveva immaginato tutto quello.
La vita era davvero una brutta puttana.
Entrò nel lussuoso atrio deserto e, dopo aver riposto la chiave in tasca, tirò fuori il cellulare di Shouyou. Il messaggio diceva che la stanza era al piano 28, una suite.
Tooru rispose il telefono nella tasca del giubbotto di pelle e si avviò all'ascensore, evitando di passare davanti alla reception.
Non voleva domande scomode o inutili.
Ma quando arrivò al piano destinato, dopo un viaggio in quello spazio chiuso che sembrava essere durato una vita intera, si scontrò direttamente con un tizio in smoking nero che aveva tutta l'aria di essere uno della sicurezza. Merda, imprecò dentro di sé.
Il corridoio era lussuoso, così come l'unica porta visibile ai suoi occhi.
Maledetto idiota, potevi dirmelo che avevi tutto il piano solo per te!
«Lei dove crede di andare?». La guardia del corpo aveva una voce profonda e intimidatoria, in perfetta combo con il suo corpo massiccio. Tooru doveva ammettere che possedeva tutte le caratteristiche perfette per svolgere l'impiego.
«Senta, so che le sembrerà assurdo, ma ho appuntamento con il signor Ushijima».
Sospirò, sentendosi uno sciocco mentre pronunciava quelle parole che sapeva sarebbero state totalmente inutili. Era una causa persa.
Solo uno stupido lo avrebbe fatto passare così facilmente.
Tooru avrebbe dovuto lavorarci sopra, se fosse riuscito a pronunciare qualche altra parola prima di essere cacciato via a calci nel sedere. Avevano organizzato male la cosa.
«Si, certo. Se ne vada immediatamente, prima che chiami la polizia».
L'energumeno lo afferrò malamente per il braccio, come Tooru si era aspettato, spingendolo con una certa energia verso l'ascensore da cui era appena uscito.
Rischiò di inciampare mentre tentò di voltarsi nuovamente e spiegarsi.
«Ascolti, posso farle vedere il numero di cellulare da cui ho ricevuto il messaggio, e potrebbe verificare che -».
«Scordatelo! Li conosco quelli come te! Tutti fan fuori di testa di questi tempi!»
Non sono un cazzo di fan! Tooru avrebbe voluto gridarle quelle parole, prendendo il tizio a testate, ma la presa sul suo braccio faceva male, e doveva lottare per non cadere a causa degli strattoni.
«Ehi, la vuoi piantare di -».
«Questo ragazzo l'ho invitato io».
Tooru fu investito da un familiare profumo di spezie e sandalo.
Sentì una presenza alle sue spalle, poi una mano callosa e calda scivolò lungo il suo braccio, allontanando quella della guardia.
L'energumeno pareva in difficoltà.
«Chiuda un occhio». Disse ancora Wakatoshi, caldo e vivo proprio dietro di lui.
Tooru sentì il cuore battere forte nel petto e desiderò ardentemente che non fosse così.
Non cedere, non cedere! non poteva cedere solo per quel misero ed effimero contatto.
Wakatoshi non diede il tempo alla guardia del corpo di rispondere, né a Tooru di capire che cosa stesse succedendo.
Si ritrovò ad incespicare lungo il corridoio, osservando la nuca familiare di Wakatoshi, mentre lo tirava velocemente verso la porta della sua suite megagalattica.
Prima che potesse prendere un respiro, Tooru vi si ritrovò dentro, nella penombra appena di un lume acceso. Il cuore che pompava violento dentro di lui era l'unico rumore che riusciva a sentire. Osservò Wakatoshi chiudere la porta e provò un forte disagio.
Lo sapevo, non sono pronto, lo aveva pensato anche prima, rannicchiato nella vasca a casa di Shouyou.
«Che sorveglianza» la buttò lì, nel tentativo di stemperare un po’ la situazione e farsi forza «Mi spiace, forse non sarei dovuto venire …». A quel punto, Wakatoshi si voltò a guardarlo. Nei suoi occhi - in cui Tooru si ritrovò paralizzato - vi lesse una disperazione che non aveva mai visto prima. Sarebbe voluto scappare seduta stante, ma non ci riuscì. Wakatoshi lo strinse con un tale possesso, che entrambi indietreggiarono fino ad urtare contro un mobile dall'aspetto costoso.
Tooru fu pervaso dal suo profumo, calore, dalla familiarità di quel contatto.
Qualcosa si contorse dentro di lui.
«Wakatoshi …» lo colpì sul petto con un pugno, poi tentò di spostarlo «Lasciami andare! Non ho nessuna intenzione di - sono venuto solo per -».
«Quanto mi sei mancato, Tooru …». Scivolarono a terra, nel momento esatto in cui bastarono quelle semplici parole per farlo crollare come uno sciocco senza forza.
Serrando gli occhi per trattenere le lacrime che salirono impetuose, Tooru si strinse forte a Wakatoshi, anche lui come un disperato.
«Lo sapevo …» pianse «… non sarei dovuto venire …».
 
Il bacio che seguì aveva il sapore delle loro lacrime.
Delle notti d'inverno passate distanti. Dell'illusione di poter ricominciare.
 
Di lui che ripensava alle parole di quella sera.
Sarebbe come morire.
Sentiti libero di vivere come preferisci.
E le trasformava nella sua mente in: “andiamo a Tokyo e vediamo cosa possiamo fare per stare ancora insieme senza rinunciare alla musica, senza odiarci, senza rinunciare a noi” Quello che avrebbero dovuto dirsi, potuto dirsi, se non fossero stati troppo giovani. Quelle parole Tooru le immaginò in quel momento.
 
Gli diedero pace. Pace, dopo molto tempo. 

 
***
 

Wakatoshi si svegliò qualche ora più tardi nel grosso letto della camera che lo ospitava per quella notte. Prima di aprire gli occhi aveva provato la sensazione di avere qualcuno tra le braccia, ma in quel letto enorme, con le lenzuola di seta sfatte, c'era solo lui, nudo.
Lasciami andare! Non ho nessuna intenzione … le parole di Tooru gli rimbombarono nella mente. Si mise a sedere sul letto, accarezzando con il palmo pieno di calli il posto ancora caldo accanto al suo.
Aveva colto la provocazione di Hajime, ma doveva aspettarselo che nulla sarebbe cambiato. Lo aveva avuto solo per quella notte, era stato solo un inciampo, un errore. Tooru non lo aveva seguito a Tokyo, aveva preferito il suo sogno a lui.
Wakatoshi lo aveva rispettato, senza trovare il coraggio di domandargli di ripensarci, o di trovare insieme una soluzione che potesse andare.
E nulla di ciò che li aveva allontanati era cambiato, dopotutto. 
Nemmeno le infinite notti insonni in cui aveva lottato con i suoi sensi di colpa, con la sensazione di essere un traditore della peggior specie.
Di aver rovinato tutto per la musica, la chitarra, la sua fedele compagna.
Si portò un pugno sulla fronte, immaginando - con il cuore a pezzi - Tooru che tornava a casa del suo amico in un taxi notturno.
Poi sentì un rumore strano. Di acqua smossa.
Si alzò in fretta dal letto e andò nel bagno. Una stanza enorme con una vasca immensa.
E lui era lì, immerso nell'acqua bollente. Gli dava le spalle, tutto intento a staccare i petali di alcune rose rosse ricevute dai fan e lasciarle cadere senza cura attorno a sé.
Il suo cuore provò un profondo sollievo. Si avvicinò.
Accortosi della sua presenza, Tooru sollevò lo sguardo e gli sorrise con una strana tenerezza. Wakatoshi si chinò per baciarlo lievemente, poi entrò nell'acqua e se lo strinse addosso nel silenzio della notte. Entrambi stavano pensando alla vecchia vasca del loro magazzino, dove a malapena riuscivano a stare seduti.
«Un bel cambiamento, vero?».
Tooru ridacchiò delle sue parole, dando voce a quel pensiero. Il vibrare familiare della sua voce melodiosa contro il petto lo rese nostalgico. Se lo strinse un po’ di più contro, appoggiando il mento sulla sua spalla.
«La vasca del nostro appartamento era stretta, ma io mi ci trovavo più a mio agio».
Era diventato un musicista di successo, ma tutti i soldi ricevuti in cambio non avevano cambiato nulla di quello che era: un neonato abbandonato nella spazzatura, che non era mai stato amato da nessuno prima di Tooru.
«Sai, quel posto adesso è vuoto. Dovremmo sbarazzarcene».
Lo so, ma non lo disse. Hajime gli aveva detto tutto, ogni cosa. Ogni passo della vita di Tooru. Ma non voleva rovinare il momento con quella confessione.
«Preferirei di no. È la nostra casa. Vorrei che ci tornassimo un giorno, quando saremo vecchi, per viverci insieme di nuovo».
Tooru voltò leggermente la testa nella sua direzione, incrociando il suo sguardo.
Era bellissimo, con quei piercing sul volto spigoloso, gli occhi grandi da cerbiatto.
Lo avevano attirato fin dal primissimo momento.
«Lascia decidere a me se voglio invecchiare con te». Fu la risposta.
Wakatoshi non disse niente, si limitò a baciargli la spalla, quella sinistra.
Tooru continuò a riversare costosi petali di rosa nell'acqua, che galleggiavano solitari.
Averlo lì, anche se non come prima, era un sollievo di cui non si era nemmeno reso conto di aver bisogno prima di allora.
«Wakatoshi, senti …». Guardò la nuca di Tooru, i suoi capelli umidi, le spalle delicate.
La pelle attraversata da piccoli nei. Aspettò.
«Dici sul serio?».
«A cosa ti riferisci?». Tooru si allontanò appena, continuando a dargli le spalle leggermente incassate mentre parlava.
«Come sai, sono una persona molto orgogliosa. Non tornerò a vivere con te a partire da oggi ma, sai … mi piacerebbe che ci vedessimo così, qualche volta. Come stasera. Stare insieme, fare l'amore e parlare dei nostri problemi …» la voce gli si inclinò appena mentre prendeva un respiro «E poi un giorno, quando sarò vecchio e avrò dimenticato l'orgoglio … e mi sarò stancato di cantare, o quando non proverò più questa sensazione di inferiorità … potrò tornare a vivere anche io nel vecchio appartamento … insieme a te? ». Le spalle gli tremarono, scosse da un pianto silenzioso. Wakatoshi non rispose, si limitò ad abbracciarlo di nuovo, baciandogli una tempia con amore.
 
Quella notte trovò la pace. La pace, dopo molto tempo.

 
***
 

Shouyou si svegliò di soprassalto nella notte.
La sua camera da letto era buia, ma dalla persiana del balcone filtrava la luce della luna. Non era in grado di capire che cosa lo avesse svegliato, esattamente.
Si era addormentato di colpo, mentre aspettava invano che succedesse qualcosa.
Senza cellulare era davvero frustrante starsene ad attendere, fuori dal mondo.
Guardò la stanza familiare e il cuore gli balzò nel petto.
Tooru dormiva nel futon accanto. Sembrava rilassato, profumava di spezie e sandalo. Shouyou non aveva idea di quando fosse rientrato, non aveva sentito niente.
Si mise a sedere sul futon, mezzo stordito, e la mano urtò qualcosa poco sopra la testa di Tooru, sul pavimento. Una penna. E un foglio.
Li riconobbe entrambi, e si rese conto che Tooru si era addormentato scrivendo, poiché il tappo era ancora tolto. Shouyou avvicinò il testo alla luce della luna.
 
So I broke my promise
I called you last night
I shouldn't have, I wouldn't have
If it weren't for the sight of a boy
Who looked just like you
Standing out on Melrose Avenue
 
It hurts to be something
It's worse to be nothing with you,
 
Aveva terminato la canzone, finalmente.
Una canzone lunga quasi due anni.
Shouyou sorrise, riponendo il foglio dove l'aveva trovato, e osservò l'amico.
 
Quella notte fece un sogno. Non ne ricordava esattamente il contenuto, ma era sicuro fosse un sogno pervaso di tepore, e di una piacevole sensazione di felicità.
 
 
 
No matter how long I resist temptation
I will always lose
 
(Promise - Laufey)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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