Liberty Island

di Lilium125
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 0 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 0 ***


« Sono andati da quella parte! ».

Adrenalina, ansia, paura, eccitazione, esaltazione. 

Jadeson Callaghan non aveva mai provato tutte quelle emozioni differenti nello stesso  momento, tutte così intense e travolgenti che sembravano volergli uscire dal petto. I  polmoni sembrava non riuscissero a prendere abbastanza aria e i muscoli delle gambe  gli urlavano pietà, minacciando di cedere da un momento all’altro. 

Eppure il ragazzo non fermava la sua corsa per i vicoli sudici e polverosi del Mercato,  sorridendo divertito come non si era mai divertito in vita sua. 

Il suo sorriso, però, durò poco quando si ritrovò in un vicolo cieco. Con il respiro affannoso, la bocca secca e gli occhi verdi dilatati, Jade si guardava  intorno iniziando a sentire il panico. Saettava lo sguardo sulle pareti, cercando un  appiglio, una finestra, ma il muro che aveva davanti era troppo alto perché potesse  scavalcarlo da solo. 

In quel momento, la refurtiva che aveva sotto il braccio gli sembrò pesasse quintali e  il rimpianto di ciò che aveva appena fatto, fece capolino in quella matassa aggrovigliata  di sentimenti che stava provando. 

Il panico gli iniziò ad annebbiare la mente, impedendogli di trovare una soluzione e il  sentire le voci delle guardie che sembravano essere sempre più vicine non lo aiutava  per niente. 

Guardò di nuovo in alto, cercando di calcolare bene come avrebbe potuto saltare o  arrampicarsi, e le pupille gli si dilatarono così tanto che gli occhi divennero quasi tutti  neri. 

« Serve aiuto? ». 

Dall’alto del muro del vicolo, una ragazza dagli occhi blu come il cielo stagliato alle sue spalle lo guardava con un ghigno malizioso. 

« Dov’eri finita?! Sbrigati, stanno arrivando, dammi una mano! » ansimò Jade,  allungando un braccio in attesa che la ragazza lo afferrasse. Quest’ultima, però, teneva  gli occhi puntati su di lui, senza prendere la mano che si tendeva nella sua direzione.

« Dov’è la borsa? ».

« Cosa…? ».

« Passami prima la borsa, o potrebbe caderti mentre ti tiro su e tutto questo sarà stato  inutile ».

« Lead, cazzo… » soffiò Jade guardandosi alle spalle. Poteva sentire le voci delle guardie  farsi sempre più vicine: stavano girando in tondo, era quasi certo che si fossero divisi per trovarli più in fretta. 

I due si fissarono negli occhi per qualche istante. 

Jade non si fidava per nulla di quella ragazza, ma lei gli sorrise con dolcezza, tendendo la mano ancora di più. Era davvero bella; i capelli ricci dalla vistosa ricrescita castana sfuggivano disordinatamente al velo che li aveva coperti fino a quel momento,  svolazzando nel vento marino carico di salsedine, incorniciandole il viso abbronzato e lo sguardo d’oceano.

« Andiamo, damerino, fidati… » aggiunse con voce allegra, allargando il sorriso. Spinto dalla pressione di essere catturato e ignorando la presa in giro, Jade sfilò dalla testa la borsa con la refurtiva che portava a tracolla e la lanciò verso l’alto. La ragazza la afferrò al primo tentativo e  se la mise al sicuro a tracolla, poi rise. Aveva una risata limpida, dalla voce pulita, che  si sposava perfettamente con il suo bell’aspetto. 

Vista dalla prospettiva di Jadeson, la figura slanciata verso il cielo terso della sua giovane complice, in perfetto equilibrio sul muro, sembrava brillare di luce propria. Era come una stella. 

E Jadeson fu abbagliato dal suo splendore. 

« Addio, Jade il Damerino, salutami il Magistrato quando lo vedi! » e portandosi due dita alla fronte in segno di saluto irriverente, con un ultimo ghigno furbo Lead saltò giù dal muro.

Dalla parte opposta in cui si trovava Jade. 

Questi stava ancora fissando il punto in cui la sua complice e traditrice era appena  sparita, quando il rumore di passi alle sue spalle si fece più forte. Jade non si mosse,  congelato da paura e incredulità al proprio posto, gli occhi ancora puntati in alto.

« Ti ho trovato… » gracchiò l’ufficiale, facendo finalmente trasalire il giovane che si  voltò lentamente, portando le mani in alto. 

Un colpo di pistola esplose inaspettato, il proiettile si conficcò proprio ai piedi di  Callaghan, che si schiacciò con la schiena contro la parete, terrorizzato. Se non fosse stato per la divisa rosso vermiglio con lo stemma di Liberty Island cucito sul petto proprio sotto il cognome Smith, Jade non avrebbe mai detto che quello davanti a lui fosse un poliziotto: impugnava la pistola con noncuranza, sul volto aveva un’espressione folle, invasata, che scintillava per i numerosi piercing sul sopracciglio,  sul naso, sul labbro inferiore. 

« Ho appena cambiato pistola, non mi ci trovo affatto bene con questa, è diversa sai? » Smith parlava gesticolando con la mano con cui impugnava l’arma, del tutto naturale,  come se stesse facendo un discorso con un amico davanti un caffè.

Un altro colpo partì, questa volta diretto sul muro a pochi centimetri dalla testa di Jade,  a cui per poco non cedettero le ginocchia dalla paura. 

« Che mira del cazzo! » rise l’ufficiale passandosi una mano tatuata tra i capelli, spostando il ciuffo tinto di blu che gli copriva l’occhio destro e puntando il suo sguardo da pazzo sul ragazzo. 

« Ora ci riprovo »

Un terzo colpo esplose e il proiettile finì di nuovo nel muro, esattamente tra le dita della  mano di Jadeson, che dovette raccogliere tutte le sue forze per rimanere immobile. Era sicuro che lo stesse facendo apposta. 

Quel poliziotto aveva la mira di un dannato cecchino e stava giocando con lui.

« Sono proprio un disastro, vero? Fammi provare da più vicino… » Smith si avvicinò  lentamente a Jade, continuando a minacciarlo con l’arma da fuoco, fino a puntargliela  sotto il mento, costringendolo ad alzare la testa. 

« Sei vestito da nobile, che ci fai nei bassifondi? Questa fogna non si addice ad un bel  faccino come il tuo… ma guardati, sembra che stai per fartela addosso »

Jade deglutì, sentendo la sensazione fredda del ferro che scorreva lungo la sua gola,  come in una carezza minacciosa.

« Se ti muovi anche solo di un millimetro, ti faccio saltare le cervella. Hai capito, sì? » ridacchiò divertito, come un gatto che gioca con la sua preda prima di ucciderla. Sembrava si stesse nutrendo della paura del giovane, che non poté fare a meno di  deglutire di nuovo, nella speranza di non vomitare. 

Il gesto non sfuggì al poliziotto che non sembrava aspettare altro. Inclinò la testa di  lato, l’espressione folle sembrava uscita direttamente da un racconto dell’orrore.

« Ti sei mosso ».

Il tutto successe troppo velocemente perché il cervello di Jade registrasse cosa fosse  successo. 

Il rumore metallico della pistola che veniva ricaricata, un tonfo sordo seguito da un  grugnito di dolore e il poliziotto finì a terra, la pistola un paio di metri più distante.

« Muoviti, idiota, salta! ».

Confuso e intorpidito per essere stato teso così a lungo, Jadeson guardò verso l’alto e  incrociò di nuovo il suo sguardo con quello della giovane complice dagli occhi di cielo,  che questa volta gli tendeva una mano. 

« Lead? ».

« Che cazzo hai da guardare? Fai presto, prima che si riprenda! ». 

Smith, infatti, aveva una mano premuta sulla fronte sanguinante e si stava rialzando,  confuso e chiaramente incazzato, inveendo nel dialetto stretto di Liberty. Nonostante non si fidasse per niente della ragazza, Jade non ebbe altra scelta che stringere quella mano e farsi tirare su, scavalcando finalmente il muro. I due complici saltarono giù insieme appena in tempo, perché l’ennesimo colpo di pistola rimbombò per le strade del Mercato, a vuoto. 

« Avresti dovuto vedere la tua faccia! » rise piegata in due, battendosi una mano sulla  gamba dai pantaloni strappati. 

Jade avrebbe voluto riempirla di pugni e domande, avrebbe voluto chiederle perché lo  avesse lasciato con la merda fino al collo e perché poi fosse tornata, ma tutte quelle  parole gli si bloccarono in gola. 

Una voce autoritaria echeggiò nel vicolo, zittendo immediatamente la risata di Lead, la cui espressione mutò immediatamente: da divertita, ora era seria, guardinga, in  posizione di difesa. 

« In ginocchio entrambi e mani dietro la testa ».

Mmh no, aspetta, la sto raccontando male. Per raccontare questa storia, dobbiamo  tornare indietro di qualche settimana, a quando tutto è cominciato.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Atto I

Capitolo 1
 
Se la vita è fatta di cicli banali 
Se tutto si ripete, se tutto è già scritto 
Allora in cosa dovrei credere? 


Il sole stava tramontando, portando con sé tutto il suo calore. 
Il giovane dai capelli neri lo vedeva morire oltre l’immensa distesa d’acqua di fronte a sé, oltre il paesaggio di case, oltre la Torre, dipingendo tutto di rosa e oro. Aveva passato un’altra giornata a studiare, non se n’era neanche accorto. Si stiracchiò e si stropicciò gli occhi stanchi, posando la matita e il taccuino, richiudendo i pesanti libri dalle mille informazioni e chiudendo le tende. In fine, salì sulla stretta scala a chiocciola per andare sul soppalco di quella stanza, su cui c’era il suo letto. La sua stanza era piccola, ma era esattamente come la voleva lui: minimalista ma elegante.
Si raggomitolò sotto le coperte, nascondendo il viso sotto il cuscino per non essere disturbato dalla luce che penetrava rossiccia dalla finestra, sospirando profondamente, soddisfatto per aver concluso un’altra giornata. 
Gli sembrò di aver appena chiuso gli occhi, quando si sentì scuotere una spalla con delicatezza. 
« Milord, è ora di fare colazione ».
Jade aveva sempre odiato quella voce, ma mai come quella mattina. Intontito dal sonno, desiderando soltanto prendere a calci il servo dai capelli castani e ordinatamente acconciati in una stretta coda di cavallo, gli lanciò un’occhiata omicida – a cui il domestico era abituato – da sotto il cuscino, prima di uscire da sotto le coperte e passarsi una mano nei lunghi capelli neri. 
« Sparisci dalla mia vista » biascicò stropicciandosi gli occhi, ma non aveva fatto in tempo a finire la frase che Uriel aveva già sceso la scala a chiocciola, aprendo le finestre per far entrare meglio la luce del sole. Si era messo a rassettare la stanza come se il suo giovane padrone non fosse presente. 
Indispettito, Jadeson scese con un balzo dal soppalco, atterrando agilmente sul pavimento in legno, che cigolò appena sotto il suo peso. 
« Ho detto- ».
« Ho preparato i vestiti per l’occasione speciale, spero siano di tuo gradimento, Milord » continuò a raccogliere le penne e i fogli sparsi sul pavimento, muovendosi senza emettere alcun rumore, come se non avesse peso. Muoveva le sue mani nascoste da guanti bianchi con una delicatezza straordinaria, come se tutto ciò che toccasse fosse fatto di cristallo. 
Era insopportabilmente affascinante, quasi ipnotico da guardare. 
E Jadeson lo odiava. 
Un forte schiocco riempì la stanza, la guancia pallida del domestico si colorò di rosso, la mano del giovane nobile pulsò dolorante.
Jade non si spiegava perché disprezzasse così visceralmente quel servo, ma non riusciva a fidarsi dei suoi occhi grandi e scuri, sempre attenti. Non si fidava del suo atteggiamento servile quando era in sua presenza o in quella di suo padre.
« Non osare mai più interrompermi mentre sto parlando. E adesso vattene ».
I due si scambiarono uno sguardo intenso e, negli occhi dell’altro, Callaghan poté giurare di vedere del rancore per un solo istante, rancore che mutò immediatamente in ubbidienza. 
« Chiedo perdono, Milord. Ti prego di affrettarti per la colazione, tuo padre ti sta aspettando ».
E dopo aver fatto un inchino docile, il servo uscì immediatamente dalla stanza, sempre con il suo passo estremamente silenzioso. 
Jadeson si guardò la mano con cui lo aveva appena colpito, che ancora formicolava, sentendo il senso di colpa mescolarsi alla rabbia che aveva dentro, così afferrò i vestiti stirati di fresco dalla scrivania e si vestì, cercando di non pensare a cosa fosse appena successo. 
Doveva calmarsi, quello era un giorno importante, non voleva fosse rovinato a causa della servitù. 
Fece un bagno rapido, si vestì in abiti neri ed eleganti e legò al colletto della camicia il prezioso nastro rosso simbolo degli aristocratici. Si acconciò i lunghi capelli in una coda bassa e disordinata, incorniciando il bel viso con ciocche ribelli, e finalmente uscì dalla stanza a testa alta. 
Attraversò l’intera casa per giungere all’enorme terrazza, da cui si poteva vedere l’intera isola: Liberty Island, l’immensa piattaforma artificiale galleggiante circondata dall’oceano infinito. 
La meravigliosa vista panoramica, però, fu disturbata dalla presenza di Uriel, che stava in piedi accanto a Richard Callaghan, seduto a capotavola. Il servo aveva la schiena leggermente incurvata in avanti, per ascoltare le direttive del suo padrone, annuendo di tanto in tanto. 
Il giovane non degnò neanche di uno sguardo la propria madre, che sedeva imbambolata dall’altro lato del tavolo; una serva la imboccava con dolcezza, asciugando di tanto in tanto la saliva che le scivolava sul mento. 
« Padre » salutò stizzito Jadeson, prendendo posto accanto all’uomo, che gli rivolse un sorriso frettoloso ma gentile, incoronato da baffi grigi. 
« Ben svegliato, hai dormito bene? Sei pronto per l’esame? » chiese, ma senza attendere la risposta Richard ritornò col proprio sguardo sul suo fedele governante, che gli stava porgendo dei fogli. 
Jadeson si rialzò, senza aver toccato alcuna delle prelibatezze esibite sul tavolo, cercando con tutto se stesso di contenere la rabbia che lo stava facendo bruciare.
« Ripensandoci, forse è meglio se vado a prepararmi, sono già in ritardo » pronunciò nervoso. 
Richard gli rivolse un altro dei suoi sorrisi sbrigativi, annuendo in segno di aver capito, prima di tornare a programmare la propria giornata col suo maggiordomo. Nessuno dei due guardò il giovane allontanarsi, nessuno dei due si preoccupò del fatto che Jadeson non fosse affatto in ritardo, solo la madre emise un verso indistinto,
gutturale, non è dato sapere se fosse rivolto al figlio – se mai l’avesse riconosciuto – o alla propria serva. 
Quando il sole gli baciò il viso, fu come ricevere una carezza dopo tanto tempo. Aveva quasi dimenticato la sensazione di pizzicore e calore sulla propria pelle d’alabastro. La famiglia Callaghan disponeva della ricchezza e della fama necessarie per vivere nell’imponente Palazzo di Liberty, di conseguenza Jadeson non amava particolarmente uscire. 
Nel Palazzo, infatti, dimoravano le famiglie più ricche e importanti dell’intera isola, per non menzionare il fatto che tutti gli uffici fondamentali fossero al suo interno; la centrale di polizia, il tribunale, la scuola, l’ospedale, per citarne solo alcuni. Il giovane studioso, perciò, non aveva mai avuto bisogno di uscire al di fuori da quelle mura, che lo proteggevano e in cui non doveva mescolarsi con la plebe, che viveva nel villaggio. 
Erano rare le volte in cui Jadeson si era avventurato fuori, ma senza mai allontanarsi troppo, perché più ci si allontanava dal Palazzo, più le zone diventavano malfamate.
E il giovane Callaghan non voleva avere nulla a che fare con quella gentaglia, anzi. Avrebbe conseguito la sua laurea, sarebbe diventato avvocato già a ventidue anni e avrebbe ripulito come si deve la città, rendendola un piccolo paradiso. Suo padre sarebbe stato orgoglioso di lui e finalmente gli avrebbe dato le attenzioni che meritava. 
Addolcito dal calore del sole e ricaricato di energie da quei pensieri, decise di rientrare a Palazzo per andare a sostenere l’ultimo esame. 
Purtroppo, però, delle grida attirarono la sua attenzione. 
Avrebbe potuto farsi gli affari suoi, ma la sua ambizione – unita alla sua naturale curiosità – lo fecero voltare verso una scena che in quelle zone altolocate non si vedeva spesso. 
Accanto a lui, sfrecciò una persona. 
Correva così velocemente che a stento riuscì a vederla infilarsi in un vicolo strettissimo tra i piccoli edifici accanto all’imponente Palazzo. Dietro di lui, la fonte delle grida si manifestò, rivelando due poliziotti che correvano in direzione del fuggitivo. Tuttavia, due agenti corsero nella direzione sbagliata, perdendo di vista il criminale. 
Ma Callaghan lo aveva visto. 
E aveva tempo a sufficienza per agire. 
Spinto più dall’istinto che dalla logica, Jadeson corse nel viottolo in cui si era infilata quella persona, di cui era riuscito a malapena a distinguerne il colore scuro dei vestiti. A metà del lungo vicolo scurito dall’ombra del Palazzo, si fermò per guardarsi intorno. Gli occhi non erano ancora abituati a guardare nell’ombra, così che si accorse che qualcuno era alle sue spalle solo quando un tonfo lo fece voltare di scatto.
Da Dio solo sa dove, una ragazza era atterrata dietro Callaghan, che fece istintivamente un passo indietro nel vedersi puntare contro un coltello. 
« Un damerino? » chiese ridacchiando ed abbassando subito quello che in realtà si rivelò essere un pugnale a serramanico, mettendolo in tasca. Riccioli biondi dalla vistosa ricrescita scura sfuggivano ad un velo nero che le copriva il capo, ricadendole sul viso abbronzato e dallo sguardo ribelle. Una cicatrice mal celata da un piercing le tagliava a metà il sopracciglio destro. 
La sua posa, i suoi vestiti, il suo ghigno divertito e fiero, tutto in quella giovane urlava che fosse un animale selvatico impossibile da addomesticare. 
Jadeson fu così colpito che per un attimo rimase senza parole; quella ragazza era certamente più giovane di lui, eppure quegli occhi d’oceano sembravano aver vissuto dieci vite in più. 
Jade si riscosse quando l’altra iniziò ad arrampicarsi come un gatto sul muro del vicolo, da cui sembrava non ci fossero appigli. 
« Dove credi di andare? Torna giù! Ti farò arrestare, razza di criminale! » urlò Jadeson, scattando in avanti e riuscendo ad afferrare la caviglia della più giovane, che diede uno strattone e riuscì a liberarsi, facendo un balzo. Si aggrappò ad una finestra e da lì saltò ancora più in alto, con un’agilità che Callaghan non aveva mai visto, arrivando fino al tetto dell’edificio. 
La criminale rise di nuovo e il vento le scompigliò i capelli e fece svolazzare i vestiti.
« E per cosa esattamente? ».
« Ehi! » la voce di Jadeson si perse nel vicolo, perché a ragazza gli fece l’occhiolino e poi sparì dalla sua vista, saltando via per i tetti delle case e dei negozi, lasciandolo con le labbra socchiuse per l’incredulità e un senso di frustrazione bruciante nel petto. 

 

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