Through the ages an Angel loves

di OmegaHolmes
(/viewuser.php?uid=219196)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Crowley. ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Adorava volare tra le stelle, le galassie, quell’insieme di meraviglia creata allo stato puro.

Si sentiva così felice di fronte a tutti quei colori, luci… non riusciva a credere di avere assistito alla prima creazione.

Da quel giorno lo sentiva, la sua vita era cambiata.

Era un giovane cherubino, pieno di entusiasmo per il proprio destino, colmo dell’amore del Creatore e di tutti quei nuovi progetti che lo attendevano.

Tutti gli angeli erano meravigliosi, unici ed intelligenti, ma nel cuore del giovane Aziraphale ce n’era uno in particolare: Starmaker.

Da quel loro primo incontro, non riusciva a smettere di pensare a quell’angelo così potente, così gentile e bello.

Tutti gli angeli erano belli, certo, era la loro natura celeste, ed ognuno di loro era affascinante a modo suo, ma quando scorgeva la chioma fulva, il cuore di Aziraphale perdeva un battito.

Dopo aver vagato per chissà quanto tempo, si ritrovò su una nuvola insieme ad altri angeli, per la maggior parte cherubini. Se ne stavano lì a parlare della Terra (che ancora non era stata creata), degli uomini e di tutte le creature che il Creatore stava progettando, quando una voce lo fece sussultare.

“Aziraphale! Ciao!” esclamò raggiante l’angelo dai capelli rossi, correndogli quasi incontro.

Tutti si voltarono ad osservare il biondo, facendolo arrossire fino alla punta delle orecchie: “Starmaker… c-ciao!” balbettò, stringendosi con forza le mani in grembo.

“Come stai?” continuò il fulvo, con un sorriso così luminoso da rapire chiunque con uno sguardo.

“Oh, bene, grazie! Stavo volando poco fa tra alcune delle tue costellazioni… e hai davvero fatto un buon lavoro!”

“Le hai viste?! Ti son piaciute! Sai, ho in mente un altro paio di modelli… qualcosa di un po’ più… d’effetto! Sono certo che piaceranno al Creatore!” sorrise, prendendo una pergamena: “Ecco, vedi? Poi le porgerò alcune domande a riguardo, ma non credo sarà un problema!”

Il fulvo si era avvicinato al viso dell’altro, per mostrargli con precisione i progetti, aumentando il rossore sugli zigomi paffuti del cherubino.

“Sono...sono davvero molto belli, ma…” gli occhi si rabbuiarono: “Non dovresti fare troppe domande… soprattutto di questi tempi, ho sentito delle strane voci in giro…” così dicendo abbassò il tono della voce, guardandosi attorno furtivo.

“Naaaah! Tu sei troppo ansioso mio caro Aziraphale! Non mi succederà nulla, te lo assicuro. Allora, ti hanno dato qualche nuovo compito?”

Aziraphale sorrise timidamente: “Ecco, a quanto pare… sarò il guardiano dell’Eden! Non è magnifico?”

Starmaker arricciò il naso, confuso: “Del...-che?”

“Oh non dirmi che non hai di nuovo letto i comunicati?”

“Beeeh… ero impegnato con i progetti…” disse, grattandosi la nuca.

Aziraphale prese un lungo respiro prima di iniziare a spiegare: “Allora, ti ricordi la Terra? Bene! Dopo averla creata, Lei creerà un giardino con tutte le creature più meravigliose per i primi due uomini. E saranno felici, per sempre!” rise battendo le mani, fiero del suo racconto.

“E perché ci vuole un guardiano? Che male potrà mai accadere?” chiese ancora confuso il fulvo.

Il sorriso scomparve dal viso del biondo: “Beh… non lo so, ma è un ruolo importante no?”

L’altro trasalì raggiante: “Oh sì, sì! Certo! Solo… sarà un peccato che tu sia laggiù mentre io mi trovo a fare stelle…” abbassò lo sguardo rattristato.

Aziraphale commosso, gli cinse con enfasi un braccio: “Oh caro! Non temere, verrò a trovarti e tu… potrai venire a trovare me! Non ci lasceremo mai, te lo prometto!”

Starmaker si sciolse in quel gesto, sorridendogli dolcemente: “ Lo spero, Aziraphale. Lo spero…”

 

I giorni però, iniziarono a farsi cupi.

Le voci di una rivolta degli angeli verso il Creatore si fecero sempre più imponenti e con loro la preoccupazione di Aziraphale crebbe terribilmente, perché era a conoscenza della popolarità di Starmaker e delle sue amicizie.

Ansioso vagava per le galassie, in cerca del suo amico dalla fulva chioma e quando lo vide insieme a Lucifero, Belzebub e altri angeli di rango superiore, si nascose dietro ad un asteroide per osservarli.

“Sono stanco…” iniziò Lucifero, verso gli altri angeli: “Dice di amarmi, ma non risponde mai alle mie domande. E io devo sapere, voglio sapere! E ora… vuole creare gli uomini… creature inferiori a noi, che noi dovremmo servire! Noi, che abbiamo creato tutto ciò che ci circonda!” la sua voce tuonò arrogante: “Unitevi a me, fratelli, e vi prometto un posto dove potremo essere liberi!”

Alcuni lo applaudirono, mentre Starmaker se ne stava in disparte, sospirando: “Non lo so… mi sembra un po’ eccessivo… capisco le domande, ma se gli umani sono un nostro compito, che male c’è? A me piace qui, mi piace il mio lavoro… certo, la Terra mi va a rovinare un po’ la simmetria delle Galassie, ma c’è tempo a sistemarla… io vorrei solo sapere di più sul suo Piano…” sbuffa, incrociando le braccia.

Lucifero sorrise: “Vieni con me e avrai tutte le risposte… ora è meglio andare ragazzi, la ribellione deve essere organizzata!”

 

Quando tutti se ne furono andati, lasciando Starmaker da solo a contare le stelle, Aziraphale si avvicinò volando velocemente, con il fiatone: “Dimmi… dimmi che la smetterai con questa follia!”

Il fulvo si voltò: “Ehi, ciao! Di cosa parli?”

“Ti ho visto poco fa, con… con… Lucifero e gli altri… è pericoloso, Starmaker, non mi piace l’aria che tira…ti prego…” quasi lo supplicò, posando una mano sull’avambraccio dell’altro che di tutta risposta sorrise: “Aziraphale, sei troppo ansioso… non accadrà nulla, io sono solo curioso, tutto qui. Non voglio rinnegarla…”

Il biondo iniziò a percepire uno strano presentimento dentro di sé: “Se ti accadesse qualcosa io… io non so con chi altro potrei parlare… tu sei il mio unico amico…”

Con dolcezza, il fulvo allungò una mano ad accarezzargli il viso soffice: “Non mi accadrà nulla, resterò sempre al tuo fianco, dovessi perdere tutte le piume delle mie ali! Vieni qui…” disse allargando le braccia, cingendolo con calore a sé, calmando il cuore del biondo per l’ennesima volta, lieto di avere trovato la sua metà.

Ogni angelo ne aveva un altro a cui era predestinato, dal cui amore nascevano altre creature celesti, ed in cuor suo sapeva che lo Starmaker era il suo, anche se il loro rapporto era ancora giovane.

Ma un giorno, ne era certo, avrebbero congiunto le loro labbra e la luce celeste si sarebbe sprigionata fino ad illuminare tutto l’universo con meravigliose stelle cadenti.

Peccato che quel giorno non giunse mai.

 

***

 

GIARDINO DELL’EDEN

 

Ci vollero anni prima che il cuore spezzato di Aziraphale si riprendesse dalla perdita del suo angelo, rovinato nella caduta dei traditori all’Inferno. Finché un bel giorno, non accadde l’impensabile: passeggiando tra i giardini dell’Eden, vegliando sulle creature al suo interno, non scorse una figura dalla tunica scura e lunghi capelli fulvi.

Colto alla sprovvista, si nascose dietro un albero per osservarlo con più attenzione, lasciando il proprio cuore scalpicciare tra paura ed eccitazione.

Chi era quella creatura dalle ali nere simile ad un angelo?

Il suo fisico longilineo camminava lentamente tra le piante, accarezzandone le foglie con delicatezza, come se fosse perso in qualche pensiero.

Aziraphale si sporse in avanti e per scorgere maggiormente quel viso, schiacciò per errore un rametto ai suoi piedi, facendo voltare di scatto la figura scura che sibilò nell’aria, simile ad un serpente, mettendo in mostra lo sguardo da rettile e la lingua biforcuta.

Il guardiano si portò una mano alla bocca per soffocare lo sgomento nella consapevolezza di chi fosse quella creatura…

L’angelo caduto restò in ascolto per un paio di istanti prima di trasformarsi in un serpente dal manto lucente e scivolare via.

Aziraphale si accasciò al tronco, lasciandosi sfuggire un paio di lacrime: era lui, il suo angelo, che cosa gli avevano fatto ai suoi begli occhi?

Nonostante fosse felice di sapere che era vivo dopo la terribile guerra che li aveva coinvolti, una parte di sé sentiva il proprio cuore spezzarsi nella consapevolezza di aver perso per sempre la sua metà.

 

I giorni passarono, gli umani vennero creati ed Aziraphale fu lieto di vegliare su di loro.

Adorava tutto di quel giardino: i colori, i profumi, il venticello che soffiava la sera prima del tramonto, gli animali e quei magnifici frutti dai colori sgargianti.

Una sera, se ne stava seduto in riva al laghetto ad osservare i pesci nuotare in una danza di colori, quando un fruscio alle proprie spalle lo fece voltare, socchiudendo le labbra nel vederlo, in tutta la sua oscura bellezza camminare verso di lui: “Ciao…”

Nell’udire quella voce calda, per poco l’angelo non si strozzò con la propria saliva: “C-ciao…”

Il demone si avvicinò al bordo dell’acqua, immergendo un paio di dita: “Creature affascinanti i pesci… anche se non sono i miei preferiti.”

Aziraphale pareva incantato, teso come un tronco, incredulo che stesse realmente accadendo: “Q-quali sono… i tuoi preferiti?”

“Anatre.” disse serio, alzandosi per indicarne un paio più in là: “Mi piace il modo in cui scivolano sopra… come si chiama?”

“Acqua.”

“Sì, l’acqua…”

Aziraphale sorrise appena: “Piacciono anche a me… come ti chiami?” chiese, deglutendo.

Il demone sospirò, poi si trasformò in un serpente e scivolò via, senza rispondere.

 

Il giorno in cui tutto andò storto, Aziraphale temette seriamente per il suo ruolo.

Era colpa sua? Avrebbe dovuto contrastare il male cacciandolo via dall’Eden la prima volta che l’aveva incontrato?

Ma come poteva… come poteva cacciare via una creatura tanto meravigliosa sia da serpente che da angelo caduto…

Osservava le nubi all’orizzonte dalle alte mura, arrovellandosi le mani, chiedendosi se aver dato via la spada fosse stata una buona idea.

Il serpente scivolò lungo la parete, fino ad issarsi al suo fianco e tornare nella sua figura di demone.

“Beh, è stato un buco nell'acqua.”
Aziraphale trasalì: “Eh... scusa, cos'hai detto?”
“Ho appena detto che è stato un buco nell’acqua.”
“Oh! Sì, certo. È proprio vero.”
Il demone continuò: “Magari ha esagerato un po', era la loro prima violazione. Cosa c'è di sbagliato nel conoscere la differenza tra il bene e il male?”
L’angelo provò un brivido, che trattenne: “Beh, dev'essere particolarmente grave...?”
“Crawly.”
Aziraphale ebbe un tuffo al cuore, ecco il suo nuovo nome: “Crawly. Altrimenti... non li avresti indotti in tentazione.”
“Oh, mi è stato solo detto "vai e combina un guaio" sbuffò, dondolandosi appena.
“È ovvio, sei un demone. È il tuo lavoro.” aggiunse stizzito il biondo, che sospirò per addolcire la pillola: “Perchè venivi qui le altre volte?”

Il demone non rispose, fissando l’orizzonte: “Non è stata una gran trovata, la Sua. L'albero in mezzo al giardino con la scritta "non toccare", uh. Perché non metterlo sulla cima di una montagna? O sulla luna? Mi domando quale sia il Suo vero scopo.”

Aziraphale sospirò: “È meglio non speculare. Fa parte di un piano più grande, non spetta a noi comprenderlo. È ineffabile.”
“Il Grande Piano è ineffabile?”
“Esatto. Al di fuori della nostra comprensione e impossibile da esporre a parole.”

Un altro brivido, aveva di nuovo quegli occhi dorati incollati addosso.
“Tu non avevi una spada di fuoco?” gli chiese.
Aziraphale deglutì: “Ehm...”
“Si accendeva con niente, che fine ha fatto?L'hai persa, vero?”
“...L'ho data via.”
Il demone lo fissò sconvolto: “Che cosa?!”
“L'ho data via! Ci sono delle bestie feroci, là fuori farà freddo e lei è incinta, così ho detto loro "ecco una spada di fuoco, non ringraziatemi, e sparite prima che tramonti il sole". Spero solo di non aver fatto una cosa sbagliata...”
“Oh, tu sei un angelo, non puoi fare niente di sbagliato.” sorrise sghembo.
L’angelo tirò un sospiro di sollievo: “Oh... oh, grazie, oh, oh, grazie. Mi stavo preoccupando!”
“Anch'io sono preoccupato... e se avessi fatto la cosa giusta con la faccenda della mela? Un diavolo può creare dei guai facendo la cosa giusta? Ma non sarebbe buffo se avessimo fatto... io la cosa giusta e tu quella sbagliata?” rise appena, mettendo in mostra i denti.
Aziraphale, nel vederlo sorridere, rise a sua volta, prima di rendersi conto e urlare: “No! Non lo sarebbe affatto!”

***

Nota dell'autrice: Ecco il primo capitolo di questa nuova storia, che spero abbia stuzzicato la vostra curiosità. Ovviamente, la parte finale è il dialogo originale del libro, con una piccola modifica in un punto.
Buon Natale a tutti voi!

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


MESOPOTAMIA, IL GRANDE DILUVIO

 

La pioggia non cessava la sua caduta, battendo arrogante e scrosciante contro il legno spesso dell’arca. Aziraphale aveva contato più volte gli animali, per essere certo di non averne dimenticato nessuno, anche se… avevano perso un unicorno.

Il giro di perlustrazione richiedeva tutta la sua forza e la sua capacità di non patire il mare burrascoso, trovandosi spesso aggrappato a qualche colonna in legno per restare in equilibrio. Aveva compiuto un miracolo sugli animali per farli restare tranquilli, evitando così terribili inconvenienti.

Quando calò la notte, l’arca restò buia, con qualche timida lanterna appesa solo per permettere di vedere dove si mettevano i piedi.

Era certo di aver portato a termine il suo compito, quando delle risa di bambini attirarono la sua attenzione.

Nessun bambino era stato portato sull’imbarcazione, di questo era sicuro, forse erano le iene?

Stava per voltarsi e tornare insieme a Noè al piano superiore, quando lo stesso suono lo colpì più forte.

Incuriosito e con il fiato sospeso, percorse un lungo tragitto, continuando a seguire quella risonanza, sempre più confuso e preoccupato.

Intravide, in un angolo, tra un mucchietto di paglia, un piccolo gruppetto di bambini avvolti da un enorme serpente dal manto nero e lucente.

L’angelo balbettò nell’aria, conscio di riconoscere quel rettile ovunque.

“B-bontà divina… Crawley!” disse a bassa voce, guardandosi con aria furtiva in torno.

Il serpente si voltò ad osservarlo, sibilando con la punta della lingua: “Azzzziraphale… che ci fai qui?”

I bambini nel frattempo continuavano a giocare con la sua coda, ridacchiando di tanto in tanto.

“Beh…” iniziò l’angelo: “Dovevo controllare gli animali… è la mia missione…ma tu piuttosto! Sei impazzito?” quasi si strozzò con l’aria nei polmoni nel dirlo.

Il serpente sospirò prima di trasformarsi nel demone dai capelli fiammeggianti; con uno schiocco di dita, fece addormentare i bambini, per poi avvicinarsi silenzioso verso l’angelo: “Impazzito? Io? Piuttosto lo è Dio…”

“Non--!” lo fermò il biondo, chiedendo perdono al cielo per quelle parole.

“Vuoi darmi torto, angelo? Hai visto cosa ha fatto? Ha ucciso migliaia di persone, non potevo… non potevo lasciare che ciò accadesse a tutti i bambini… non sono molti, ma… sono gli unici che sono riuscito a prendere…” sospirò, osservando quelle testoline riposare sulla paglia.

Nell’osservare il profilo aquilino illuminato dalla luce calda della lanterna, il cuore di Aziraphale si sciolse nel ricordare il suo amico angelo, che un tempo aveva amato.

Anche se era un demone, quale anima malvagia avrebbe mai potuto fare un gesto tanto nobile?

“Oh Crawley, sei stato davver-”

“Non osare dire una parola!” ringhiò di scatto, spaventandolo leggermente: “Sono un demone, sono malvagio e l’ho fatto solo per fare un dispetto a Dio…”

Gli occhi celesti dell’angelo osservarono quelli fiammeggianti del demone, cercando la verità in quelle parole.

Sospirò, abbassando lo sguardo: “Ti porterò del cibo, appena riuscirò a reperirne… tienili nascosti e al caldo… verrò a cercarvi quando tutto sarà finito.”

Aziraphale voltò le spalle, incamminandosi verso la direzione da cui era giunto.

“Aziraphale!” lo richiamò ansioso il demone.

“Sì?”

“...non lo dirai ai tuoi, vero?”

Per un attimo parve tentennare, poi abbassò lo sguardo: “Non posso parlare di ciò che non ho visto.” e così dicendo quasi fuggì, con le lacrime pungenti ai bordi degli occhi: sarebbe diventato anche lui un demone se avesse continuato a dar retta a quel Crawley.

 

***

 

ROMA

 

Erano passati secoli dal loro ultimo incontro nel cercare di salvare Giobbe e la sua famiglia dalle loro disgrazie.

Da quella lunga notte insieme, Aziraphale aveva scoperto il potere dissuasivo del demone, capace di tentare con un incredibile perspicacia, inducendolo a mangiare il cibo degli umani!

Ora, quel demone non si chiamava più Crawly, bensì Crowley e se ne stava di fronte a lui a mangiare ostriche.

L’angelo era su di giri al semplice pensiero di poter mangiare ostriche in compagnia di qualcuno di familiare (nonostante ovviamente fosse il male assoluto, il nemico in persona, un male da annientare), conversando e sorseggiando vino allegramente.

“Alla fine lo hai assaggiato…” iniziò divertito Crowley, puntando con il dito la bottiglia di vino.

Un sospiro rassegnato uscì dalle labbra dell’angelo: “Beh, se voglio stare sulla Terra, devo adattarmi ai costumi degli uomini no? E di questi tempi c’è più vino che acqua in giro… allora, come ti sembrano?” chiese indicando i crostacei.

Il demone arricciò il naso: “Non fanno molto per me… ma non male.”

Di tutta risposta Aziraphale ne prese un paio, ingurgitandole con gusto: “Celestiali… davvero celestiali!”

“Credevo che la golosità fosse un peccato, angelo…” disse, con un lieve sorrisetto ed il mento poggiato sul dorso delle mani congiunte.

Uno sguardo colmo di insicurezza saettò dallo sguardo dell’angelo: “Avevi detto che gli angeli sono immuni…”

“Beh, sì, ma… devo ammettere che riesci sempre a stupirmi.”

“Lo prendo per un complimento!” esclamò, ripulendosi la bocca con soddisfazione: “Allora, adesso che si fa?”

Sorpreso il demone alzò le sopracciglia: “Da quando hai così tanta voglia della compagnia di un demone?”

“Da quando ho iniziato ad annoiarmi, credo… e poi non stiamo lavorando… giusto?”

“Beh, giusto. Tregua, mi piace. Allora… che ne dici delle terme?”

“Oh, non ci sono mai stato!” sorrise: “Sembra carino.”

Un sorriso malizioso si allargò sulle labbra del fulvo: “Oh ti piacerà un mondo.”

 

Giunti alle terme, l’angelo quasi rischiò un collasso per le temperature e l’umidità soffocante, mentre Crowley camminava a testa alta, con l’aria di uno che nel fuoco ci sguazza senza problemi.

“Non fa… un po’ caldo qui?” chiese annaspando il biondo, allargandosi l’accollatura della tunica.

“Certo, perché bisogna spogliarsi per stare qui… sai completamente nudi.” disse tranquillamente il fulvo, guardandosi attorno soddisfatto: “Lussuria allo stato puro questo posto!”

Aziraphale boccheggiò: “N-nudi? Io… io non credo di poterlo fare.”

Crowley si avvicinò, guardandolo di sottecchi: “Cos’è… hai paura, angelo?”

“No… certo che no.” rispose stizzito, lisciandosi il petto: “E’ che… i miei genitali non sono quelli che ci si aspetterebbe per la mia corporatura.”

Il demone per poco non si strozzò con la sua lingua: “Come scusa?”

“Ecco… potendo scegliere, ho dei genitali femminili. Sono più leggeri, puliti e meno sporgenti. Quindi… no, non posso spogliarmi.”

Il cervello impiegò alcuni istanti prima di metabolizzare quella risposta, poi alzò le spalle: “Beh, tieniti un telo in vita… nessuno ci farà caso.”

“Ne sei certo?”

“Nessuno lo noterà, tranquillo.”

 

Fu così, che un’ora dopo se ne stavano immersi tra le acque termali, avvolti dal calore naturale di quelle sorgenti salutari.

L’angelo se ne stava seduto in un angolo, a contemplare i piaceri del proprio corpo a contatto con l’acqua, mentre Crowley nuotava pigramente, godendosi la vasca vuota.

Lo sguardo di Aziraphale iniziò a soffermarsi sulla figura longilinea, sugli arti lunghi, sulle spalle larghe e sui muscoli tonici della schiena che risaltavano ad ogni movimento, mentre le scapole si aprivano e richiudevano ad ogni bracciata.

La parola lussuria iniziò ad echeggiare nella testa di Aziraphale, sentendosi sempre più rapito nell’osservare il fisico dell’altro, lasciando che la pressione sanguigna nel proprio cervello aumentasse ad ogni pulsazione.

Non era la prima volta che si ritrovava a studiarlo con attenzione, ed essendo un angelo non nutriva alcun impulso sessuale, ma di fronte alla bellezza tentatrice del fulvo, iniziava a cedere.

Con ampie bracciate a rana, Crowley si avvicinò a lui, osservandolo intensamente: “Qualcosa non va angelo?” chiese, andando a sedersi al suo fianco.

“N-no… perché?”

“Sembra che tu abbia visto un fantasma…”

“E’ il caldo!” esclamò, alzandosi di scatto per uscire dalla vasca: “E… e mi sono appena ricordato di… di una missione che devo fare… m-meglio che vada. E’-è stato bello, Crowley… a-a presto!” con l’affanno si allontanò verso i propri vestiti, chiedendo mentalmente perdono al suo Dio per i pensieri che aveva sviluppato.

 

***

 

INGHILTERRA, MEDIOEVO

 

Musica di liuti e cornamusa rimbombava nell’ampio androne del castello dai colori scuri e l’aria ammuffita. La luce zampillante del fuoco proiettava le lunghe figure degli ospiti sulle pareti, mentre Re Artù banchettava al proprio tavolo. Sir Aziraphale camminava a larghe falcate lungo la sala, osservando con interesse le mille sfumature degli abiti delle dame. Era così felice che finalmente avessero tenuto un ballo, dopo tutte quelle guerre!

Arrivato ad un lungo tavolo colmo di prelibatezze, prese un grappolo d’uva, iniziando a mangiarlo pigramente, battendo un piede a ritmo di musica.

Era vissuto abbastanza a lungo da conoscere ogni albero genealogico degli invitati a quella festa, restando sorpreso di scorgere una figura sconosciuta parlare con enfasi insieme alla moglie del Re, Ginevra: era un uomo alto, dal viso nascosto sotto un cappello a punta, avvolto in abiti neri ed una lunga treccia rossa che ricadeva sulla schiena.

Aziraphale assottigliò lo sguardo per poterlo mettere a fuoco, ma le figure in costante movimento di fronte a sé rendevano difficile individuare con certezza i lineamenti dell’uomo. Era di bell’aspetto, su questo non c’era dubbio ed anche il suo portamento aveva un qualcosa di regale se non quasi sensuale. Il modo in cui le sue gambe si allungavano avvolte dalle calzamaglia nere, le pieghe delle proprie braccia lungo il busto magro, tutto attirava l’attenzione dell’angelo.

Quando d’un tratto l’uomo misterioso si voltò verso di lui, mettendo in mostra un paio di occhiali tondi sulla punta del naso ed un sorriso furfante, il cuore dell’angelo sobbalzò nel riconoscere Crowley.

Si voltò di scatto appena lo vide avvicinarsi con la sua camminata suadente, continuando a mangiare l’ uva come se nulla fosse.

“Angelo… non sapevo ci fossi anche tu a questa festa.” iniziò il demone, circondando il biondo con la sua camminata serpentina.

“Beh, si da il caso che sia uno dei cavalieri della tavola rotonda.” proferì con serietà il biondo: “ E come tale debba servire il mio Re.”

Un’espressione divertita di dipinse sul viso del demone: “Aaaah, ma tu guarda, un cavaliere! Un vero peccato che tu non abbia la tua bella armatura stasera.”

“Piuttosto.” iniziò serio l’angelo, guardandolo negli occhi: “Che cosa ci fai tu qui?”

“Missione.”

“Missione?”

“Esatto, tentare un’anima, vecchia storia.”

“E chi per giunta?”

Crowley fece cenno negativo con il capo: “Segreto professionale.”

“Oh andiamo!” sbuffò l’angelo.

“Tu non accetti il mio accordo, io continuo il mio lavoro…” alzò le spalle non curante il fulvo, continuando a fissare la folla di fronte a sé.

“Mentire sul mio operato non è il mio stile, Crowley.” ribattè stizzito.

Gli occhi fiammeggianti si posarono sul viso angelico: “Sappiamo entrambi che non si tratterebbe di mentire… solo, omettere di non intralciarci.”

Aziraphale restò in silenzio ad osservare i reali ballare.

Con un movimento lento, il demone si avvicinò al suo orecchio, iniziando a sussurrare con voce calda: “Non trovi strano che ogni volta ci ritroviamo sullo stesso posto senza essere mai a conoscenza del piano dell’altro? E che ogni volta ci ritroviamo a fare delle scelte? Non sarebbe il nostro ruolo farle… dovremmo solo ubbidire… ma nemmeno tu ci riesci, angelo.” terminò, sottolineando l’ultima frase con un lieve schiocco della lingua.

“E va bene!” sbottò Aziraphale, disperato: “Ci sto…” si voltò a porgergli la mano: “Ora però mi dici che sei venuto a fare.”

Il demone sorrise, stringendola saldamente: “Temo tu non possa più fare molto… ormai la tentazione è affondata nell’animo della mia vittima.” e così dicendo fece cenno verso Ginevra che con dolcezza porse un libro al Cavaliere Lancillotto.

Aziraphale trattenne il fiato, sconvolto, mentre il demone sorrideva con gusto: “Galeotto fu il libro e chi lo scrisse, no?”

 

***

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


SPAGNA, XV SECOLO

 

Le strade deserte nella zona periferica della capitale odoravano di sterco d’equino a causa del gran numero di soldati che erano stati stipati in quella zona.

Leggermente inorridito da tutto quello spargimento di sangue dovuto all’Inquisizione Spagnola, Aziraphale cercò riparo per i suoi nervi in una cupa locanda, accerchiata da stalloni intenti a ruminare nelle stalle vicino.

Aperta la porta, una coltre di calore, odore acre di sudore e uomo lo colpì in pieno volto, ringraziando il cielo di non avere il necessario bisogno di respirare per sopravvivere.

Con timidezza, lo sguardo saettò fra quegli omoni rozzi intenti a bere vino e birra a secchiate, alla ricerca d’un tavolo libero.

Entrò, cercando di attirare l’attenzione della locandiera, ma questa era talmente indaffarata che quasi gli passò sui piedi, piena di bevande per i soldati.

L’angelo arricciò il naso, provando ancora, in vano. Decise di servirsi da solo, incamminandosi tra i tavoli colmi, in cerca del suo angolo di paradiso solitario.

Si stava ormai arrendendo a fare dietro front, quando scrutò in un angolo buio, un tavolo con un solo uomo, riversato sul tavolo, con la testa nascosta negli avambracci di fronte a sé. Al suo fianco una ventina di bottiglie di vino vuote, quasi stesse bevendo da giorni.

Nell’avvicinarsi con delicatezza, Aziraphale scorse lunghe ciocche rosse sul suo viso e un simbolo accanto al suo orecchio.

“...Crowley?” chiese insicuro, sfiorando la spalla dell’uomo con la punta delle dita: “Sei tu?”

Un verso gutturale fuoriuscì da quella figura singolare, che si alzò di pochi centimetri solo per scorgere chi l’avesse chiamato.

Quando entrambi constatarono chi fosse l’altro, un espressione di confusione si dipinse sui loro visi.

Aziraphale si mise a sedere di fronte a lui, con preoccupazione: “Mio caro Crowley… cosa ti ha portato a ridurti in questo stato?”

Il demone si tirò sù a fatica, scostandosi dal viso la lunga chioma, mettendo in mostra la pessima c’era: “… non lo sai che qui… qui è l’inferno?”

L’angelo corrugò la fronte: “… di cosa stai parlando?”

Crowley scoppiò a ridere, ma ben presto le sue risa si fecero amare, simili a gemiti di dolore: “… ho avuto… una promozione… per l’inquisizione Spagnola… peccato che io non sapessi nemmeno che cos’era questa roba spagnola … allora sono venuto a fare un giro qui… e…” un conato gli salì alla bocca, che fermò con un gesto secco, allarmando il biondo che con premura si protrasse in avanti per sostenerlo.

“Crowley…” sospirò con preoccupazione: “...sono così desolato che ti abbiano promosso proprio per questa barbaria… oggi sono riuscito a fare un paio di miracoli per salvarne alcuni, ma non ho potuto fare molto… caro, cosa ne dici di uscire da qui?”

“...no…” deglutì, prendendo un’altra bottiglia di vino: “Voglio bere… fino a...dimenticare ciò… che ho visto…”

“Ma così ti ucciderai! O meglio, discorporerai…”

“Beh… al diavolo… all’inferno… sono meno disgustosi…”

Una stretta di disperazione contrasse il cuore dell’angelo: “Ma io… come farei senza le nostre chiaccherate?”

Gli occhi fiammeggianti del demone si posarono sul viso dell’altro: “… vivresti benissimo… senza di me…”

“Beh certo sei un demone, ma… non sopporterei mandassero qualcun altro al tuo posto…” mugolò, abbassando lo sguardo.

Quelle parole parvero colpire il demone, tanto che decise di tornare sobrio, riducendosi ad una lieve sbornia.

“Va meglio?” chiese con un sorriso lieve l’angelo.

“...ngh… che ci fai tu qui? In questo buco dimenticato da Satana?”

Il biondo sospirò: “Avevo bisogno di calmare i miei nervi… e questa era l’unica locanda…”

“Che ne dici di andarcene insieme, da qualche parte?” propose il fulvo, facendo arrossire il biondo fino alla punta delle orecchie: “C-Crowley… i-io… i-io n-non…”

“Andiamo… questo posto è una feccia… torniamo in Inghilterra o andiamo in Francia…dove vuoi tu…”

Aziraphale voleva rifiutare, era pronto a farlo, anzi era convinto nel dirlo, ma quando osservò quel viso magro, dai grandi occhi dorati, le labbra socchiuse in una supplica e l’espressione triste, non riuscì a dire di no.

“Beh… magari potremmo mangiare delle Crepes a Parigi...”

 

***

 

VIENNA, XVIII SECOLO

 

Amava il ‘700! I vestiti, il cibo, l’eleganza, tutte quelle deliziose parrucche e la musica!

Aveva avuto finalmente una benedizione da compiere a Vienna, la città dei musicisti, ritrovandosi allegramente a passeggiare tra le strade della capitale austriaca in cerca di concerti a cui assistere, in quanto era tristemente conscio del destino di quei compositori, insomma non li avrebbe di certo uditi suonare in Paradiso, ed era un tale peccato!

Dopo aver acquistato un elegante parrucca candida ed un capotto davvero delizioso dai colori dorati, si era recato alla pasticceria più in voga della città per assaporare la famosa sacker.

Aziraphale era un guazzabuglio di emozioni euforiche al suo interno, eccitato come un bambino nel ricevere il suo primo giocattolo.

Forse, proprio a causa della sua incredibile gioia, la sua aura angelica era arrivata ai confini della Francia, attirando a sé non poche attenzioni indesiderate.

Crowley non era l’unico demone sulla terra e di quei tempi la Germania stava brulicando di servi degli inferi, ma per qualche strano motivo Aziraphale era ingenuamente certo che nessuno avrebbe mai potuto recargli alcun problema.

Così, quando allegramente si mise a passeggiare verso l’opera, nel calare della sera, non si rese conto dei due oscuri individui alle sue spalle, uno zoppicante e l’altro senza un braccio, intenti a seguirlo.

L’angelo, non conoscendo la città, si ritrovò a sbagliare strada, finendo in un vicolo lurido e scuro, accorgendosi troppo tardi di non essere solo.

“Ehi...Argur…” iniziò il zoppicante: “Hai visto cosa abbiamo qui? Un angioletto… non lo sai che questo non è posto adatto a te?”

Il biondo sospirò: “Vogliate scusarmi, non cerco guai, ho solo sbagliato strada, vi dispiacerebbe farmi passare?”

I due demoni mostrarono le zanne sporche: “Credevi non ci saremmo resi conto della tua presenza? ...e ora verrai con noi… Belzebù ci darà una bella ricompensa per uno come te…”

Stizzito, Aziraphale continuò: “Si da il caso che io sia un Principato, di conseguenza sono intoccabile…”

Argur rise profondamente: “Sì, se sei a Londra, ma qui… sei fuori dalla tua area.”

Ed in quel momento, l’angelo si rese conto di aver commesso un passo falso. Improvvisamente spaventato, porse le mani avanti: “A-andiamo signori… eravate anche voi angeli un tempo… u-un po’ di… comprensione…”

I demoni lo spinsero contro al muro, pronti ad inferirgli il sigillo infernale, quando un fischio alle loro spalle li fece voltare.

“Ehi zucche vuote, cosa diavolo ci fare qui?” arrivò decisa la voce di Crowley, che con rabbia si avvicinò ai due demoni di rango inferiore: “Non sapete che quella è roba mia?”

“Lord Crowley… noi non sapevamo che-”

“Sta zitto razza d’imbecille!” ringhiò, andando a prenderne uno per il bavero della giacca: “Credi che tu possa pensare? Non è questo il tuo posto, non dovresti nemmeno essere in città… sono io nella sezione tentazioni e questo pennuto me lo sto lavorando da secoli, vuoi per caso far scoppiare un Guerra, imbecille?!”

“Ma Lord Belzebù--”

“Lord Belzebù ha assegnato a me questa missione… smammate prima che vi incenerisca… e non fate parola di quello che stavate facendo o vi farò tagliare la lingua!” li minacciò, puntandogli il dito contro.

I due demoni, intimoriti dalla rabbia del grande Crowley, si dileguarono nell’ombra lasciandoli soli.

Aziraphale stava per aprir bocca, quando l’altro si voltò di scatto: “Dimmi, ti sei bevuto il cervello?” ringhiò mostrando i canini appuntiti.

“Come prego?”

“Volevi farti ammazzare forse? Non puoi andartene in giro per il mondo senza copertura, angelo! La tua aura si sentiva a miglia di distanza!” disse, strozzando la voce per non urlare.

“Per l’amor del cielo, non era mia intenzione-”

“Se non fossi arrivato in tempo avresti fatto una fine molto molto dolorosa, e io-” la voce gli morì in gola, tradendo un lieve luccichio nello sguardo.

Gli occhi dell’angelo si sgranarono nel rivedere in quel momento la sua disperazione di molti secoli prima nella paura di perdere il suo Starmaker.

“Crowley…” mormorò con voce carezzevole, andando a posare una mano sul braccio dell’altro: “...mi dispiace… io non-”

“Non importa.” rispose secco il demone, facendo un passo indietro: “Dove devi andare?”

“Oh… io… all’opera, volevo andare a sentire Mozart…”

Il fulvo sospirò: “Seguimi…”

 

Per tutto il tragitto restarono in silenzio, mentre Aziraphale poteva scorgere i nervi tesi del collo dell’altro allungato verso l’avanti. Si prese anche del tempo necessario per osservare gli indumenti alla moda ed eleganti del fulvo, così perfetti sul suo corpo longilineo da renderlo un vero gentiluomo.

Giunti alle porte del teatro, Crowley lo salutò: “Bene, buona serata angelo.”

“A-aspetta!” lo richiamò il biondo, con timidezza: “P-perchè non… non ti lasci offrire il biglietto? Te lo devo, non fosse stato per te-”

“Non credo sia una buon idea, angelo.” sospirò tristemente, ancora arrabbiato.

“Per favore…” lo supplicò, guardandolo mestamente.

Crowley volse lo sguardo altrove, soppesando la proposta per alcuni istanti: “...e va bene.”

“Oh grazie, mio caro! Ti piacerà vedrai!”

Così dicendo s’incamminarono al suo interno, uno a fianco all’altro.

Aziraphale non si rese mai conto che Crowley stava tremando.

 

***

 

SOHO, 1941

 

Dopo il salvataggio dai Nazisti, lo spettacolo di magia nel West End e averla fatta franca con FurFur, angelo e demone avevano bevuto così tanto alcool, da ritrovarsi riversati uno nella propria poltrona e l’altro sul divano di stoffa, in maniche di camicia.

Aziraphale doveva ammetterlo, era decisamente su di giri, tutto quel brivido gli stava dando alla testa e non sapeva se era la vicinanza del demone o del vino in corpo.

Seduto nella sua poltrona, con la sua posizione composta, osservava il petto del fulvo alzarsi lentamente, avvolto in quella camicia grigio scuro e le bretelle dello stesso colore della cravatta. Crowley era intento a bere pigramente, perso nei suoi pensieri, mentre gli occhi dell’angelo non riuscivano a smettere di studiare quel corpo che per secoli l’aveva tentato. Doveva ammettere che gli indumenti degli anni ‘40 gli donavano particolarmente.

Più lo osservava, più desiderava toccarlo, sfiorarlo, essere abbracciato da quelle braccia sottili, ma forti. Non riusciva a smettere di pensare al forte sentimento che aveva provato poche ore prima nel vederlo giungere in chiesa, solo per salvarlo…

Ma che cos’era lui per quell’enigmatico demone dall’aria sempre indifferente?

Non erano amici, non erano nemici… che cos’erano?

O forse erano entrambi, ma non poteva ammetterlo a sé stesso…

“Crowley…” iniziò d’un tratto, alzandosi di scatto: “Che ne dici di mettere un po’ di musica?”

Il fulvo parve trasalire, alzandosi pigramente un un gomito: “Sì… ‘okay…”

Con un ridolino l’angelo scomparve alla ricerca del suo grammofono, suonando un vinile di musica swing in voga in quegli anni.

Nel frattempo Crowley si era alzato, andando a poggiarsi ad una delle colonne del negozio, fissando l’altro in mezzo alla stanza: “Non male…”

Aziraphale, forse troppo ubriaco, prese il boa bianco del teatro e con un ridolino andò ad infilarlo intorno al collo del demone: “Hai sempre un aria così imbronciata…” iniziò, tirandolo leggermente verso il centro della stanza: “Perchè non sorridi un po’?”

“...perchè dovrei?” deglutì rumorosamente il fulvo.

“Beh… il trucco è andato bene, FurFur non ci ha incastrato e… siamo insieme!”

Il sorriso luminoso dell’angelo parve bloccare il demone, i cui occhiali scuri scivolarono lungo la punta del naso.

A ritmo di musica Aziraphale continuò a muoversi attorno al demone, tenendolo vicino a sé tramite il boa.

“A-angelo… forse sarebbe meglio sé…” balbettò il fulvo, cercando di fermare l’altro prendendolo per le spalle.

Ma il biondo non si fermò, anzi si avvicinò ulteriormente, fino a che non avvolse le braccia intorno al collo dell’altro, affondando il viso nella sua spalla, respirando la forte colonia a pieni polmoni.

Aziraphale lo strinse a sé, con calore, come se per la prima volta tutto fosse tornato al suo posto.

Ciò che non sapeva, però, era che il cuore del demone stava quasi esplodendo nella sua cassa toracica, pietrificato di fronte a quello slancio d’affetto.

“A-angelo io…dovrei… a-andare…”

Come scottato da quella voce vicino al suo orecchio, il biondo indietreggiò quasi spaventato: “S-scusami, io… io non so cosa mi è preso, s-sarà stato tutto quello che-”

“N-no…” si schiarì la voce il demone: “N-no va bene… bene, sì…” si voltò a prendere la giacca, indossandola frettolosamente: “...a-allora… ngh… sì… ciao.”

“C-ciao… Crowley…”

Il demone scomparve e lui si sentì terribilmente solo.

 

***

 

LONDRA, 1999

 

Dal Diario di A. Z. Fell.

 

Caro diario,

Sono attanagliato dalla più terribile constatazione: mi manca Crowley.

Ciò crea in me sentimenti contrastanti che non riesco a domare!

Io sono un angelo, lui un demone, non dovrei nutrire nei suoi confronti alcuna stima reciproca, alcuna ammirazione, alcun affetto!

Eppure, nonostante io sia conscio di ciò, quanto profondamente batte il mio cuore al sol pensiero di lui.

Ultimamente ogni qualvolta che il telefono squilla, spero sia lui che mi chiama per propormi una cena…

Invece non mi offre nulla dal 1789…

Certo, potrei farlo io… ma per dirgli cosa?

Si prenderebbe gioco di me, ne son certo…

Ma quanto è profondo il desiderio che nutro per lui, l’’amore che non si è mai spento da quando eravamo angeli.

Alle volte il solo guardarlo mi fa male alle ossa tanto vorrei poterlo toccare, accarezzare, stringere nelle mie braccia. Ammetto che ogni tanto ho ceduto, sfruttando la sua condizione da ubriaco per sorreggerlo a me o sfiorarlo con un palmo… ma le sue espressioni sono sempre così difficili da decifrare!

So che se mai venisse a conoscenza del mio affetto nei suoi confronti riderebbe di me… e io ne morirei.

Ma quanto lo amo, caro diario, tanto che a volte non faccio altro che pensare a tutte le volte che ci siamo incontrati…

E mi struggo per la mia condizione, chiedendo perdono ogni giorno al Creatore per questa mia folle debolezza.

Eppure so che lui, come me, siamo fatti della stessa luce, della stessa sostanza, dello stesso dolore.

Citando Cime Tempestose:

 

“Non gli dirò mai quanto lo amo, e non perché sia attraente, ma perché è per me più di quanto lo sia io stessa”.

 

A.Z Fell.

 

***

 

LONDRA, 2023

 

Travolto dalla stanchezza, si lasciò andare nella poltrona di velluto, sprofondando nel tessuto in un mesto sospiro.

Jim, al piano di sopra, dormiva nel suo letto singolo, russando con tanta enfasi da udirlo fino a sotto.

Con la punta dei polpastrelli si strinse la radice del naso, massaggiandola, cercando di alleviare quel tornado di pensieri senza soluzione nella sua mente.

Continuava a chiedersi come mai avesse perso la memoria, perché era nudo, perché avesse scelto di andare proprio nel suo negozio e perché Crowley fosse così ostinato ad odiare Gabriel.

Anche se forse l’ultimo punto lo intuiva…

Chiuse gli occhi, in cerca di calma, quando il tintinnio della porta d’entrata lo fece voltare.

“Ehi angelo…” lo salutò con calore il fulvo, entrando a grandi falcate con la sua suadente camminata dinoccolata.

“Crowley! Pensavo fossi tornato a casa…”

“Ngh…” non mi va di lasciarti da solo… con quello.” disse a bassa voce, poggiando gli occhiali sulla statua del cavallo all’entrata: “Ho comprato del cinese. Che ne dici?”

Gli occhi dell’angelo si illuminarono: “Oh meraviglioso! Avevo davvero voglia di un buon cibo cinese!” e così dicendo si alzò, andando a curiosare nel sacchetto pieno di portate dal profumo invitante.

Controllando il contenuto, intercettò lo sguardo carezzevole del demone che lo stava osservando con un lieve sorriso affettuoso. Aziraphale gli sorrise: “Mio caro, mi conosci davvero bene.”

“Solo il meglio per il mio angelo.”

A quelle parole le gote del biondo arrossirono di piacere, lasciando il fulvo a balbettare nella consapevolezza di cosa aveva detto.

“Oh Crowley sei così---”

“Sta zitto.” sgusciò via, andando a cercare un paio di bicchieri e posate.

 

Aziraphale doveva ammetterlo, avere Crowley attorno lo faceva sentire al sicuro.

Il suo modo di parlargli, quella sua postura seducente anche mentre mangiava, le piccole fossette che gli si formavano sotto gli zigomi ad ogni sorriso, tutto portava il biondo a considerarlo la sua casa.

Certo, la libreria era importante, lo era stata dal 1801, ma Crowley… c’era sempre stato.

Dopo aver mangiato due porzioni, Aziraphale si asciugò le labbra, gongolandosi appena: “Ti sono davvero molto grato per tutto ciò che stai facendo… l’aiuto che mi stai dando con Gab- Jim… non so cosa avrei fatto senza di te…”

Crowley restò immobile a fissarlo, con un espressione enigmatica, prima di sospirare e guardare altrove: “Ne riparleremo quando ne usciremo entrambi vivi da questa storia…”

“Sai oggi…” continuò civettuolo il biondo: “Maggie mi ha chiesto se stiamo insieme.”

“Chi?” chiese confuso il fulvo.

“Io e te.”

Un’altra espressione impassibile scese su quel viso, tanto che parve pietrificarsi.

“… Crowley?” lo guardò preoccupato l’angelo.

Il fulvo prese un lungo respiro: “aaaah… umani, vedono amore ovunque.”

Gli occhi del biondo si spensero appena: “Già… temo tu abbia ragione… sarebbe davvero assurdo se noi-”

“E poi noi siamo un angelo e un demone insomma non possiamo-”

“Sì, giusto, probabilmente esploderemmo--”

“Però loro non lo sanno quindi pensano-”

“C-certo… l’ho solo trovato… curioso…” terminò l’angelo, schiarendosi la voce.

Quando posò nuovamente lo sguardo sul viso di Crowley, lo ritrovò perso ad osservare il vuoto, con malinconia.

“Crowley… ti senti bene?” chiese preoccupato.

“…sarebbe così strano se capitasse…?”

“Che cosa?”

“Che un angelo e un demone si… si amassero…?” il suo sguardo restava perso nel vuoto, travolto dall’angoscia.

Aziraphale si agitò leggermente sulla sedia: “I-io… io credo che-”

“Non ha importanza!” esclamò il demone, alzandosi di scatto: “Bene, devo andare. Chiamami se Mr Smemorato si risveglia… notte angelo!”

Il biondo lo salutò con un sussurro, osservandolo scomparire oltre la porta del suo negozio, porgendosi altre mille domande.

 

***

 

Diario dal Paradiso, Giorno 52

 

Caro Diario,

credo di star perdendo la luce della ragione.

Lavorare in Paradiso mi sta mandando fuori di senno, credo di non aver mai faticato tanto in vita mia!

Tutte queste riunioni, discussioni, missioni, scadenze… mi sento esausto.

Ma non è questa la natura del mio esaurimento… è che mi manca.

Non riesco a smettere di pensare a lui, alle sue labbra sulle mie, al colore dei suoi occhi, al suo respiro contro la mia guancia, al suo profumo sempre presente in libreria… e ora…

Lui non ha scelto me. E’ scappato, come ogni volta, non capendo la difficoltà del mio gesto.

So che ho fatto la cosa giusta.

Il Paradiso è sempre la cosa giusta, no?

Devo aver fatto la cosa giusta…altrimenti…

Oh Crowley, quanto mi manchi… ma ti sto proteggendo, anche se non lo sai, io non smetto di amarti…

Solo… vorrei di più di ciò che ho.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Crowley. ***


LONDRA, 2024.

 

Lo sguardo fisso di fronte a sé, la campagna che scivolava veloce al suo passaggio, una musica rock in sottofondo che non stava realmente ascoltando.

Nella testa c’era il vuoto e la rabbia allo stesso tempo.

Con un gesto secco, travolto improvvisamente dalla collera, spense la radio.

Senza rendersene conto era finito a guidare nella M25, il suo grande lavoro di successo, continuando a girare come un idiota su sé stesso, in tondo.

Chissà, forse se l’avesse fatto per 666 volte avrebbe evocato Satana in persona, decidendo una volta per tutte di mettere fine a quel maledetto mondo e ad i suoi orribili sentimenti insieme.

Purtroppo la pazienza di Crowley resistette fino al 250° giro, decidendo di prendere la prima uscita disponibile e tornare a Londra.

Non sapeva esattamente quale punto della città, l’importante era arrivare in un bar, bere per giorni e tornare a fare quello che sapeva fare meglio: attaccare monete al marciapiede.

Ripensandoci, però, se un tempo quel pensiero lo travolgeva in un brivido di crudele piacere, ora non lo eccitava più.

Tutto aveva smesso di avere un senso da quando lui non c’era più.

Anche Londra sembrava più grigia, ed era un vero eufemismo dato che era la città più grigia che avesse mai visto.

La verità è che tutto ha smesso di brillare nella vita di Crowley dopo essersi reso conto di aver amato per seimila anni qualcuno che non l’aveva mai voluto davvero.

Uno sbuffo, l’auto che si ferma davanti al pub, stivali neri che grattano contro l’asfalto.

Si butta sul primo sgabello libero ed inizia ad ordinare qualsiasi cosa gli passi sotto al naso, il gusto non ha più alcuna importanza.

Seimila anni, continua a pensare.

Solo ora si rende conto di quanto è stupido, era convinto di avere sempre tutto in pugno, di essere come James Bond, indistruttibile, sempre sul pezzo, con il sorriso beffardo in viso, la battuta pronta.

Invece era il più grande idiota dell’universo ad aver creduto, per un misero secondo, che quella relazione potesse essere possibile.

L’aveva sognato così tante volte, sperando che potesse avverarsi solo dopo aver visto Gabriele e Belzebù.

Cazzo, pensò Belzebù, Lord “ti spacco il culo” c’è riuscito e io no.

Fissa il bicchiere dal colore amaranto sotto il suo naso, rigirandoselo tra le dita.

E pensare che era certo di piacere ad Aziraphale, anzì aveva più volte dovuto trattenersi, perché era evidente che gli occhi dell’angelo si stessero trasformando a forma di cuore nel guardarlo, quello sguardo che non era mai mutato, né quand’era angelo né ora da demone.

Poi un bel giorno gli danno una promozione e addio, hasta la vista, goodnight, game over insert coin.

Tutto è finito.

E nemmeno un bacio e riuscito a trattenerlo.

Crowley abbassò il capo, stringendosi il ciuffo con forza tra le dita, chiedendosi perché aveva dovuto umiliarsi in quel modo.

Cos’avrei dovuto fare? Mettermi in ginocchio? Pregarlo? Supplicarlo? Incollargli le scarpe al suolo?

D’un tratto si rese conto che forse doveva iniziare a fare qualche lavoretto malvagio di quel tipo, magari mentre le persone stavano parlando o erano ferme sulla scala mobile…

Arricciò il naso, comprendendo che era davvero un’idea di merda.

Si sentiva perso, stupido, vecchio, solo, depresso, inutile, un demone in un corpo umano che non aveva più alcun fascino.

La vicinanza con Aziraphale lo aveva rammollito e ora ecco in che stato riversava.

Nel giro di un’ora di fronte a sé sfilavano una decina di bicchieri opachi, che osservava da sotto gli occhiali con malinconia.

Potrei rapirlo… continuò con il suo flusso di pensieri sono certo che nemmeno gli piace il Paradiso. Anzi, credo che prima o poi scapperà perché lo vorranno obbligare ad indossare vestiti diversi dai suoi… oppure impazzirà ad ascoltare tutta quella merda di “Tutti insieme appassionatamente”… potrei rapirlo e chiedere un riscatto a Metatron… anche se poi farei scoppiare una guerra… che palle.

 

La verità è che senza Aziraphale il mondo era diventato noioso. Nessuno da stuzzicare, spingere a fare qualcosa di male, nessuno da torturare con musica “be-pop”, nessuno da portare a magiare fuori…

Forse doveva diventare cattivo sul serio, un demone di tutto rispetto, ma non ne aveva voglia. Troppo impegno.

Lui e l’impegno non erano mai andati molto d’accordo, alla fine con poco sforzo le cose gli uscivano comunque bene.

Avrebbe dovuto tentare anime, progettare cose orribili, influenzare persone potenti ed era un lavoraccio che al solo pensiero lo nauseava.

La testa iniziò a ciondolare verso il bancone, fino a che non chiuse gli occhi e si addormentò russando rumorosamente.

 

***

 

Che strano, pensò iniziando a risvegliarsi, mi sento così felice.

Con un gesto secco alzò il capo dal bancone, guardandosi con aria confusa il proprio braccio, improvvisamente avvolto da abiti candidi.

“Ma che-?!” quasi urlò tirandosi sù di scatto, osservando le proprie mani con aria confusa. Iniziò a palparsi il corpo, cercando di capire chi gli avesse cambiato i vestiti! Lui odiava il bianco, anche se ora doveva ammettere che si sentiva meno ostile quasi-

Si alzò saltando giù dallo sgabello, buttandolo a terra, correndo nell’angusto bagno a grandi falcate in cerca di uno specchio.

Quando i suoi occhi si posarono sul suo riflesso, per poco non imprecò: “Cosa diav-” ma non ci riusciva, le parole malvagie non gli uscivano più dalla bocca, anche se non riusciva a smettere di balbettare parole sconnesse: i suoi occhi da rettile erano scomparsi, erano tornati i suoi occhi marroni, quelli di quando era--

Iniziò a toccarsi la faccia, tirandosela e contorcendosela per cercare di capire se fosse reale o meno, perché non poteva essere vero, giusto?

Cosa peggiore, iniziò a provare un infinità di sensazioni positive, piene di amore, fratellanza e… cosa diavolo erano quelle voci angeliche nella sua testa?

Iniziò a cercare il marchio sul suo viso, ma era scomparso.

Lui non era più un-

Qualcuno aprì la porta del bagno, facendolo sobbalzare.

Corse fuori dal locale, in cerca della sua Bentley e… anche lei era diventata bianca!

“Ma questo è un incubo…” ringhiò a denti stretti, saltando in auto.

Accese la radio e invece di udire le comunicazioni da parte dell’inferno, un suono d’arpa gli diede il benvenuto: “Ciao Crowley, ben tornato tra gli angeli!” squillò una voce femminile.

“Chi diav- Chi sei?! Cosa mi è successo? Perchè-- perché non riesco ad essere arrabbiato?!”

“Perchè sei di nuovo un angelo adesso! L’Arcangelo Supremo ti ha convocato. Ti aspettiamo!” e con un altro suono d’arpa la trasmissione terminò.

Crowley ringhiò, anche da angelo, lo voleva comunque uccidere.

 

Con aria truce salì sulle scale mobili che portavano al Paradiso.

Si sentiva strano e non riusciva a capire come mai: una parte di sé era come un agnellino appena nato che corre felice nei campi di margherite e l’altra era l’animo di un soldato in trincea sotto un cielo di granate.

Venne accolto con reverenza in Paradiso, nonostante il suo tono asciutto.

“Dov’è?” chiese diretto all’angelo della reception, che lo fissò confuso: “Dov’è Aziraphale?”

“Oh, lui è impegnato, sa è il capo, non credo che-”

“Crowley! Che bello vederti!” esultò alle spalle della ragazza una voce fin troppo familiare, che lo invitò con uno strano sorriso teso ad entrare: “Prego, vieni nel mio ufficio!”

Come era comparso con quei sui ricciolini candidi e gli abiti su misura, il cuore del fulvo era quasi caduto dal petto, sentendo le ginocchia cedere: invece aveva annuito, seguendolo a lunghi passi, ritrovando il proprio battito più veloce ad ogni affondo.

Il Paradiso era sempre il solito grande salone moderno, che attraversarono, fino a giungere ad una remota stanza con su scritto: “Ufficio del Principale”. Aziraphale scivolò al suo interno, facendogli cenno di seguirlo con ansia, chiudendosi frettolosamente la porta alle spalle con un paio di giri della toppa.

Appena la porta fu chiusa, Crowley esplose: “Fammi tornare immediatamente come ero. Come diavolo ti è venuto in mente di farmi questo?! Io stavo benissimo! Stavo incredibilmente bene senza di te e ora--- Oh dannazione, come si spengono queste voci angeliche che ho nella testa?” urlò, portandosi le mani ai capelli.

L’arcangelo lo osservava con aria colpevole: “Crowley, mi dispiace, sono così dispiaciuto, ma la situazione è più grave di quello che immagini e se mi lasci-”

“No. Non voglio sentire nessuna delle tue solite idee strampalate. Voglio tornare un demone. Cosa devo fare, mh? C’è ancora qualche pozza di zolfo nel quale tuffarmi? O-- o devo tentare qualcuno--”

“Crowley per l’amor del cielo sta zitto!” urlò senza fiato il biondo, lasciando l’altro a bocca aperta.

Con un paio di gesti secchi sul suo abito, Aziraphale si risistemò gli abiti, calmandosi: “Tu non sei realmente un angelo, sei ancora un po’ demone o… almeno credo. Ma ho dovuto farlo, perchè-”

“Cosa diav- cosa vuol dire che sono ancora un po’ demone?”

“Per diventare angelo dovresti fare un processo più lungo e avrei dovuto cancellarti la memoria-- ma non è questo il punto! Il punto è… è che Metatron voleva cancellarti dal Libro della Vita.”

Il volto del fulvo si fece confuso: “Perchè?”

Improvvisamente Aziraphale fu rivestito dal suo naturale imbarazzo: “E-ecco vedi io… io tengo un diario… e a quanto pare… Metatron l’ha trovato, l’ha letto e-- ma non ha importanza--” le guance del biondo si fecero sempre più rosse, facendo scoppiare in una sonora risata l’altro.

“Cosa c’è da ridere tanto?” ribattè offeso il biondo.

“Tu-- tu sei in Paradiso e hai un diario?!”

“I-io avevo bisogno di sfogarmi di--”

“Cosa hai scritto su quel diario, Aziraphale?”

Lo sguardo ceruleo si fece sfuggente: “Non ha importanza.”

“Deve averne se hai fatto infuriare a tal punto Mr Testa galleggiante.” sospirò, alzando le spalle.

I polpastrelli del biondo si torturarono fra loro per alcuni istanti, prima di sospirare: “H-ho scritto di te…”

“D-di me…?”

“S-sì… ho scritto che… che mi mancavi-- che volevo… non ha davvero importanza!”

“In tutta questa assurda storia mi sembra la parte più importante dopo-- dopo quello che è successo. Motivo per cui non dovrei nemmeno parlarti, ora.” puntualizzò seccato.

“I-io… io ho scritto che mi mancava tutto di te, c-con tutto i-intendo anche…” e con timidezza mimò le loro labbra, facendo torcere lo stomaco del fulvo.

Aziraphale continuò: “E… così ho scoperto che voleva cancellarti. Ma dato che sono l’Arcangelo Supremo, ho il potere di gestire a mia volta il Libro… così ho fatto l’unica mossa possibile per salvarti. Lo so che non ti piace, ma non ho avuto un’idea migliore di questa.”

Crowley attese alcuni istanti prima di sbuffare: “Quindi Metatron non lo sa, giusto?”

“Beh-- credo lo scoprirà a breve…ma ora sei al sicuro!” esultò leggermente il biondo.

“Che cosa aspetti che ti dica? Grazie?”

Il viso dell’altro si rabbuiò: “No, ma--”

“Io me ne torno sulla Terra. Ecco cosa. Non mi importa cosa sono adesso, non mi importa se volete cancellarmi dalla faccia della Terra, o dell’universo, nessuno ha diritto di scegliere per me senza il mio consenso. Sono stufo, ecco cosa fanno qui in Paradiso, ecco cosa ho sempre odiato e continuerò, anche se una parte di me è tremendamente felice senza che io possa farci nulla!” urlò a denti stretti, con le vene del collo gonfie per lo sforzo.

Improvvisamente Aziraphale parve prendere fuoco, avvicinandosi pericolosamente al profilo dell’altro: “A te non potrà interessare, ma a me sì.” disse con voce strozzata, gli occhi ridotti ad un lago di commozione.

Crowley socchiuse le labbra, percependo le vertigini per la vicinanza, incredulo di star osservando ancora quegli occhi dal colore unico: “Ang-”

“Io non ho avuto altra scelta e mi dispiace di averti fatto questo, ma non osare ma più dire una cosa simile. Possibile che tu non capisca quanto-”

 

Due colpi alla porta li fecero sobbalzare: “Avanti!” esclamò, allontanandosi il biondo.

Poco dopo la porta si aprì portando al suo interno l’anziano Metatron: “Salve Aziraphale.” disse con freddezza, che si trasformò in sorpresa nello scorgere il fulvo: “Allora… alla fine ha… accettato.” parlò lentamente, con una punta di confusione.

Aziraphale sorrise gioiosamente: “Esatto! Alla fine ha scelto la luce! E ora ho il mio secondo in comando!” ridacchiò, spostando il suo sguardo tra i due uomini, pregando con tutto il cuore che Crowley stesse al gioco.

Il fulvo sorrise con dolcezza: “E’ per me un onore essere nuovamente nella luce e poter udire le voci celesti. Grazie Metatron per questa possibilità.”

L’anziano annuì: “Sì… bene… allora-”

“Abbiamo molto lavoro da sbrigare, Signore. Forse potremmo incontrarci più tardi per la riunione? Dovrei fare un salto alla Libreria di Muriel, controllare che tutto sia a posto.” restò immobile, sperando di non dare spazio alla sua agitazione.

Lo guardo di Metatron si assottigliò: “Certo. Ma non stare troppo sulla Terra.”

Il biondo annuì ed appena furono di nuovo soli, si poggiò sulle proprie ginocchia in cerca di fiato: “Dobbiamo trovare un modo per uscire da questa storia, illesi.”

“Io non ho intenzione di aiutarti.” ribattè il fulvo, incrociando le braccia al petto: “Anche se devo ammettere che un po’ di potere quassù non mi dispiace. Hai una bella scrivania…Un vero peccato doverla perdere per uno come me, non credi? Ah, no aspetta… non la perderai. Perchè sono io che me ne vado.” e così dicendo si avviò verso la porta, venendo prontamente fermato dal biondo.

“Anthony J. Crowley. Ora la smetti di fare il bambino e mi ascolti.” scandì serio, spingendolo contro la porta: “Lo so, sono stato scorretto, ti ho spezzato il cuore, ma ho spezzato anche il mio. E se non mi aiuti, sarà la fine di tutto. Tutto!”

“E chi ti dice che io non lo voglia?” soffiò divertito il fulvo, fissandolo negli occhi: anche senza lo sguardo da serpente restavano ipnotici.

“Perchè ti conosco abbastanza bene da sapere cosa vuoi davvero. Ed è lo stesso che voglio io.”

“E cos’è che vuoi?”,

Aziraphale sospirò, fremendo in una scossa di paura: “Avere un posto tutto nostro ed essere felici insieme.”

Crowley dovette richiamare tutta la sua forza per non crollare in un pianto disperato, restando invece contro quella porta fredda a guardare gli occhi dell’altro: “Allora… hai deciso di rendermi come volevi? Un angelo?”

“No… non è per questo che l’ho fatto! I-io ti volevo proteggere!”

“Beh, ti dirò una cosa, puoi proteggere qualcuno anche per sei mila anni, finirà comunque per l’abbandonarti.” sputò fuori con amarezza.

“Crowley…” sussurrò dolcemente, alzando una mano ad accarezzargli il viso: “Io… ti ho sempre voluto per ciò che eri…”

“Eppure nemmeno riesci a dirlo… nemmeno riesci a dire che mi ami.” deglutì amaramente il fulvo, contratto dal dolore: “Perchè non l’hai mai fatto… ed alla fine--”

“Ma Crowley, io ti amo! Ti amo da-- sempre! Tu sei la mia metà!”

“Non ti credo…” mormorò con dolore il fulvo: “Non credo più a nulla di-”

Con delicatezza il biondo si era allungato a posargli un dolce bacio a fior di labbra, un tocco lieve, gentile, tremante di paura.

Crowley chiuse gli occhi, afflitto dal proprio dolore e dal piacere che stava provando nel baciare ancora quelle labbra.

Le dita dell’arcangelo erano andate ad intrecciarsi tra i suoi capelli fiammeggianti e le sue mani posate sui fianchi del biondo lo tiravano con forza verso di sé. Erano corpo a corpo, entrambi i volti umidi dal pianto, entrambi con il disperato bisogno di più affetto.

Le labbra si schiusero, iniziando a cercarsi con lentezza, tra sospiri, piccoli gemiti e troppo bisogno di sentirsi più vicini.

Le loro lingue iniziarono ad intrecciarsi, approfondendo il contatto fino a quando entrambi non si ritrovarono troppo su di giri.

Crowley lo spinse indietro: “Angelo… tu-”

“Hai ancora lo stesso sapore.” sorrise dolcemente il biondo.

“Voglio tornare ad essere un demone.”

“Lo sarai, te lo prometto. Aiutami e farò tutto quello che vuoi.”

Il fulvo sospirò, abbracciando con dolcezza il suo angelo: era stata una lunga giornata e sperava davvero prima o poi potesse finire.

 

Ehi amico.” un voce in lontananza, Aziraphale tra le sue braccia stava scomparendo, portandolo in uno stato di disperazione.

Crowley iniziò a correre verso la figura del biondo che si allontanava, piano piano avvolto dal buio, poi…

“Ehi! Ehi!” continuò la voce “Il bar tra poco chiude!”

Il demone sgranò gli occhi, ritrovandosi dolorante, con la bocca che colava su un bancone in legno massiccio in un pub.

Era un sogno, un maledetto sogno, si osservò le mani e fu lieto di vedere che era ancora un demone. Ma Aziraphale non c’era, non l’amava, non gli aveva detto che sarebbero stati insieme per sempre.

Tirò fuori il portafoglio, sbattè un paio di banconote sul bancone e scivolò fuori, nella notte.

Le suole grattarono nuovamente sull’asfalto, cercando con confusione le chiavi nella tasca dei jeans. La Bentley si aprì, lui si sedette ed una ventata di vaniglia e cioccolata lo travolse, confuso si voltò a guardare il lato del passeggero: un sorriso gentile, due occhi celesti.

 

Ciao, caro.”

***

Nota dell'autrice: Eccoci alla fine di questa storia. Spero vi sia piaciuta, anche se so che è stata molto strana come questo ultimo capitolo. Ma era un'idea che avevo da tempo e ammetto che sarebbe divertente se accadesse davvero (anche se vivo per il Crowley demone).
Come sempre, grazie per chi legge e per chi recensisce. Se stai passando un brutto momento nella tua vita, spero passi presto e che leggere queste storie possa alleviare le tue giornate. 
A presto!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4071334