Giorni di ordinaria follia

di Princess of the Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** He's watching you! ***
Capitolo 2: *** Problemi di Convivenza ***
Capitolo 3: *** Shooting star ***
Capitolo 4: *** Sali e scendi ***
Capitolo 5: *** Fuck the Cupcakes! ***
Capitolo 6: *** Il triangolo no! ***
Capitolo 7: *** Mathematik ***
Capitolo 8: *** Capelli e guai non mancan mai (parte 1) ***
Capitolo 9: *** Capelli e guai non mancan mai (parte 2) ***
Capitolo 10: *** Tanto va il gatto al pane... che si trova casa! ***
Capitolo 11: *** Un bel (?) pomeriggio al cinema ***
Capitolo 12: *** Evviva gli sposi pt 1 ***
Capitolo 13: *** Evviva gli sposi pt 2 ***
Capitolo 14: *** Buon vino, tavola lunga ***
Capitolo 15: *** Al sole di aprile li rimpiangerai ***
Capitolo 16: *** Miscellanea ***
Capitolo 17: *** Das Gefühl von allem (Il sentimento del tutto) ***
Capitolo 18: *** Das Gefühl von allem (Il sentimento del tutto) pt 2 ***
Capitolo 19: *** Chi fa la spia non è figlio di Maria ***
Capitolo 20: *** Miscellanea 2 ***
Capitolo 21: *** Il turbine ***
Capitolo 22: *** Incontri del 2p tipo ***
Capitolo 23: *** Incontri del 2p tipo - Parte II ***
Capitolo 24: *** Le vacanze unite ***
Capitolo 25: *** Romano e i gatti che non voleva ***
Capitolo 26: *** Natale 1991 ***
Capitolo 27: *** L'UPE va alla guerra ***



Capitolo 1
*** He's watching you! ***


Dopo tanti ripensamenti è finalmente nata! Una raccolta sul 2p!World - con l'aggiunta di qualche 1p ogni tanto.
E questo è la prima fic! E con chi potevo cominciare se non con gli unici 2p!maschi ufficiali della serie? Ebbene,si, sono proprio loro: l'Asse!!!

Prima che cominciate a leggere, però, devo fare alcune precisazioni:
1)2pTalia, per me, è una dimensione parallela;
2) Alcuni fatti storici accaduti 'da noi', nel 2p!World non sono accaduti (vedi, ad esempio le note finali)
3)2pGermania: su tumblur e simili ci sono moltissi account di roleplay di questo personaggio. io ne conosco un paio, tra cui quello più famoso e conosciuto. Prima che mi diciate qulcosa... Il mio modo di concepire 2pGermania è molto diverso da quello di questi blog; secondo me, lui è yandere: è gentile con tutti, e continuerà ad esserlo almeno fino a quando state ad una ventina di metri da Italia. Poi rischiate che vi salti addosso.
Ma capirete mano a mano che scrivo, tanto questa non sarà l'ultima comparsata ^^
Inoltre, anche la mia maniera di concepire il 2p!GerIta è molto diversa da quella 'canonica'... Capirete leggendo ^^

Inoltre, si accettano richieste! vedrò che posso fare, ok? ^^

Autore: Princess of the Rose
Titolo: He's watching you!
Genere: Comico
Avvertimenti: Shounen-ai


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Era una normale giornata nella nostra Terra parallela preferita. Il sole spendeva imponente  nel cielo estivo, accompagnato da piccole e deliziose nuvolette bianche, mentre  un timido vento fresco alleviava un caldo soffocante, dando un po’ di sollievo alla povera gente intenta nelle sue abituali mansioni.
Anche per le nazioni europee la giornata era piuttosto tranquilla, all’insegna dell’ habitué: Inghilterra cucinava del tortine infarcite di crema con gocce di cioccolato e lassativi che avrebbe donato a Spagna il quale, il giorno prima, aveva ‘accidentalmente’ distrutto la sua amata collezioni di CD dei Beatles; Sealand, assieme a Seborga, aveva ben pensato di fare uno scherzetto a Francia, pacificamente addormentato sul divano di casa sua: i due birbantelli, dopo essersi introdotti senza permesso nell’abitazione, avevano riempito di panna le mani del francese, e con una piuma ne stavano solleticando il volto, aspettando che gli venisse da grattarsi e, così facendo, si spalmasse addosso la dolce sostanza; Lituania era andato a trovare Polonia per la quarantottesima volta in quella mattinata, chiedendogli di andare a fare shopping, e per la quarantottesima volta il polacco lo aveva rispedito a casa sua con un calcio ben assestato nel deretano;  Svizzera, pavidamente adorabile, assisteva la sua amata sorellina adottiva Liechtenstein mentre essa si esercitava a mirare ad un bersaglio mobile – leggasi, lui stesso -; Russia era diviso tra il godersi le attenzioni della amorevole sorellina Bielorussia o rimanere terrorizzato dallo sguardo assassino di Ucraina, che lo accusava di star circuendo la più piccola di casa per i propri porci comodi; nel Nord dell’Europa era in atto una gara di Twister, e sembrava che Islanda, complice il suo fisico esile, stesse vincendo alla grande, contro un sempre più arrabbiato Finlandia e uno spensierato Norvegia, che non faceva altro che complimentarsi col suo lillebror per la sua flessibilità – Danimarca e Svezia si erano arresi da tempo, il primo perché colpito da una crisi esistenziale su quanto il dolore fisico della sua schiena poteva essere comparato al suo dolore interiore, il secondo perché poteva godere di una vista migliore del fondo-schiena del suo finlandese preferito.
 
Insomma, una normale e afosa giornata di ordinaria follia.
 
Anche per Italia Veneziano quella giornata risultava piuttosto noiosetta: il poverino, infatti, aveva esaurito tutte le cose da fare – tormentare Svizzera, andare a trovare Austria e Ungheria, piazzare dei fuochi d’artificio sotto il letto di Vaticano, insomma le solite cose-, e suo fratello, con la bella Belgio a fargli compagnia, sicuramente si stava godendo la giornata meglio di lui.
L’italiano sospirò mestamente, rigirandosi a pancia in su sul divano, cercando di rendere interessante  il libro che stava leggendo, uno scadente thriller riguardante un prete detective. Alla fine, però, ci rinunciò: buttò il libro dietro di sé,  e decise di farsi una meritata siesta pomeridiana dopo aver bevuto un po’ di sana aranciata. Si mise seduto e se ne versò un bicchiere dalla brocca posta su poggiapiedi, pensando che quel giorno non sarebbe accaduto nulla di divertente. Magari più tardi avrebbe potuto fare  una visitina a Bulgaria, tanto per divertirsi un po’.
<< Mein Lieber, come va?! >>
Italia sputò tutto il succo che aveva bevuto, prima di voltarsi verso la finestra, dove Germania che gli sorrideva allegramente, tenendo in mano un cestino da pic-nic.
<< Mein Lieber, che bello vederti! Sai, speravo proprio di trovarti in ca- >>
<< Che cazzo ci fai qui!? >> urlò l’italiano, estraendo dalla tasca il suo fido coltello e puntandolo verso il tedesco, che non perse il sorriso davanti a quell’adorabile – a suo dire - reazione.
<< Oh, be’, visto che è una così bella giornata e nessuno dei due aveva qualcosa da fare, ho pensato che saremmo potuti andare a fare un pic-nic. >> rispose soave l’altra nazione, salendo sulla finestra per poi saltare giù sul pavimento del salone.
<< Da quando tu ‘pensi’?! >>
<< Oh, mein Italien, io penso, sai? Penso soprattutto a te. >> disse Germania, sorridendo dolcemente. L’altro indietreggiò, inorridito
<< Smettila di sorridere, sei inquietante! >>
<< Come posso non sorridere quando vedo la persona più bella del mondo davanti a me? >>
Veneziano arrossì violentemente. << R-Razza di deficiente, smettila di dire idiozie! >> sbottò imbarazzato, per poi riporre il coltello nella tasca e dirigersi in cucina con il bicchiere sporco e la brocca col succo d’arancia.
<< Allora, ci vieni a far un pic-nic al parco con me? >> chiese speranzoso il tedesco, seguendo il suo amato come un fedele cagnolino.
<< No. >>
<< Possiamo andare nel tuo giardino. >>
<< Ne! >>
<< Vuoi andare nel mio? Però sarebbe un problema , perché lì c’è anche Preussen, e sai com’è fatto, poi inizia a rompere le scatole. Ma se te a va bene, va bene anche a me! >>
<< Non! >>
<< Non vuoi uscire? Allora mangiamo in cucina. Almeno è più semplice riscaldare la roba. >>
<<Nein! >>
Germania si rabbuiò un poco, provocando un lieve senso di colpa nell’italiano, il quale già stava pensando ad un modo per potersi scusare senza dirlo apertamente; ma pochi secondo dopo lo sguardo del tedesco tornò venerante. << Adoro quando parli il tedesco. >>
Italia urlò esasperato, per poi prendere la brocca e spaccarla in testa alla nazione teutonica la quale, nonostante il dolore nel punto colpito e il succo che gli bruciava gli occhi, non sembrò per nulla infastidito dal comportamento dell’italiano. << Sei così carino quando ti arrabbi, Italien. >>
<< Lasciami in pace, sottospecie di stalker! >> sbottò Veneziano, tornando nel salone. Germania sospirò mestamente, poggiando il cestino sul tavolo per poi inseguire il suo amato.
<< Andiamo Italien, facciamo qualcosa assieme! Siamo fidanzati ma non facciamo mai qualcosa da soli! >>
<< Da quand’è che il e te saremmo fidanzati? >> chiese infastidito l’italiano, buttandosi sul divano.
<< A dire il vero saremmo sposati, lieber. E da un bel po' di anni, da quando abbiamo fondato l’impero*. >> disse il tedesco, sedendosi vicino alla nazione latina, la quale mormorava qualcosa sul fatto che fosse ubriaco quando aveva firmato quel accordo. Germania gli sorrise, poggiando una mano sulla sua coscia e avvicinando il volto a quello dell’amato.
<< Non toccarmi e stammi lontano. >> sbottò Italia, spostandosi dal tedesco.
<< Non essere imbarazzato, amore. >>
<< Non sono imbarazzato! E non parlare in italiano, offendi le mie orecchie! >>
<< Voglio solo un bacio! >>
<< No! >>
<< Ma siamo sposati! >>
<< Solo per convenienza! 
>>
<< Ma tu mi ami! >>
<< Chi te l’ha detto?! >>
<< Tu. >>
Veneziano arrossì.
<< Be’, comunque sia, noi non siamo fidanzati per amore! >> precisò, allontanandosi di nuovo dal tedesco. << Noi siamo solo amici, chiaro Germania?! Amici. Freunden, o come si dica da te. >>
<< Ma siamo andati a letto insieme! >>
<< Siamo amici che ogni tanto vanno a letto assieme! >>
<< Solo ogni tanto? >> chiese il tedesco, guardando l’altro eloquentemente. Veneziano arrossì di nuovo.
<< Siamo amici che una volta a settimana- >>
<< Come minimo. >> aggiunse sornione il tedesco, sorridendogli maliziosamente.
<< … vanno a letto assieme. >> sibilò l’italiano, sussultando quando si accorse di aver raggiunto il bracciolo del divano, e di essere intrappolato tra il mobile e il corpo possente del tedesco, il quale gli sorrise dolcemente prima di avvicinare il volto al suo.
<< E perché non possiamo essere fidanzati di letto? >> chiese Germania, sfiorando delicatamente le labbra rosee dell’altro con le sue, alzandone la maglietta e sfiorando la morbida pelle del ventre. Veneziano sbuffò, evidentemente esasperato, ma aprì comunque la gambe affinché il tedesco potesse stare più comodo.
<< Sei un deficiente. >>
<< Il tuo deficiente. >>sussurrò il tedesco contro il suo collo, baciandolo piano e con devozione. Veneziano, suo malgrado, sorrise, affondando le mani nella chioma bionda dell’altro a carezzandogli la schiena, godendosi quelle piacevoli attenzioni.
<< Waku Waku! Waku Waku!** >>
I due si bloccarono si colpo, per poi voltarsi lentamente verso la finestra, dove trovarono Giappone che gli osservava da dietro il vetro addosso cui era appiccicato, il volto perfettamente inespressivo  se non fosse per il sangue che scendeva abbondante dal naso e il rossore sulle guance pallide.
Veneziano rimase immobile per qualche secondo, prima di urlare in maniera molto poco virile e lanciare la prima cosa che aveva tra le mani – Germania – contro quel perverso di un giapponese, per poi balzare in piedi e dirigersi verso camera sua, borbottando qualcosa sulla sua sfortuna - << Ma perché i miei migliori amici sono due stalker pervertiti!? Ma perché tutte a me?! >>
<< L-Lieber, aspettami! >>   esclamò Germania, staccandosi i frammenti di vetro dalla pelle e per poi saltare la finestra e raggiungere il suo ‘amico-fidanzato-sposo-non si sa bene cosa’ di letto.
<< Uff, stolti occidentali. >> mormorò Giappone, pulendosi il sangue dal viso e inseguendo i suoi due compagni, ignorando le occhiatacce della nazione tedesca, evidentemente infastidita per essere stata interrotta in un momento tanto intimo.
<< Mein süsse lieber, sei in camera tua? >>
<< Fottiti! >>
<< E’ in camera sua. >>
<< Non ho bisogno di un Kapitän offensichtlich,  Japan. >> sbottò irritato Germania, per poi entrare nella camera del suo amato senza nemmeno bussare – sperando che l’altro si stesse spogliando, va venne prontamente deluso quando lo vide seduto sul letto e con gli stessi vestiti di prima.
<< Non si chiede permesso? >> chiese Veneziano, senza staccare gli occhi dal computer che stava usando.
<< Siamo sposati, dobbiamo condividere tutto. >> rispose Germania con convinzione, cosa che fece venire i brividi alla nazione italica.
<< … Tu mi inquieti. >>
<< In senso buono? >>
<< Che c’è di benefico nell’inquietudine? >>
<< Japan, chiudi il becco. >>
Veneziano sospirò, per poi tornare a controllare la posta elettronica sul computer che teneva sul grembo. Ignorando i due pesi in più che si erano aggiunti sul letto, continuò a scorrere tra le centinaia di email che gli erano arrivato – così la prossima volta la controllava più spesso la posta elettronica.
Pubblicità. Pubblicità. Invito per il compleanno di America – cestinato . Pubblicità. Altra pubblicità. Bla bla bla.
<< Controlli i messaggi dell’amante? >> chiese scherzosamente Giappone, sbirciando lo schermo.
<< Eh, proprio. >> replicò ironicamente l’italiano, sbuffando infastidito quando anche Germania si intromise in quanto stava controllando. << Mai sentito parlare di privacy? >>
<< Sono tuo marito, mi senti in diritto di controllare che tu non mi stia mettendo le corna. >>
<< Ma perché questo discorso non lo fai anche a mio fratello o a Francia? Fino a prova contraria sei sposato anche con loro*. >>
<< Ma io considero te il mio unico sposo. >>
<< Sei una tortura! >>
Germania sorrise maliziosamente. << Quale tortura? Visti i tuoi gusti, potrei essere una tortura molto piace- >>
Veneziano, avendo pietà per se stesso e la sua sanità mentale, prese il suo fido coltello dalla tasca e lo conficcò nella coscia del tedesco, proprio a poca distanza dalle sue ‘wichtigen Regionen’.
Mentre la nazione teutonica, caduta sul pavimento, si contorceva nel dolore, Italia e Giappone continuavano a controllare la posta del primo, alla ricerca di qualcosa che non fosse pubblicità o notifiche dai social network .
<< Spazzatura. Spazzatura. Spazzatura. Dichiarazione d’amore da parte di Purosshia. Spazzatu- >>
<< WAS?! Io l’ammazzo quel deficiente di mio fratello! >> esclamò Germania, balzando in piedi.
<< Torna a contorcerti dal dolore! >> disse Veneziano, lanciando un secondo coltello – preso da sotto il cuscino – che andò a conficcarsi nella fronte del germanico, che tornò a terra con un forte mal di testa .
<< E’ divertente quando fa il geloso. >> commentò Giappone, sorridendo leggermente.
 << No, è solo un coglione. >> replicò Italia, continuando a scrollare la pagina della posta. << Oh, guarda, una mail da Paesi Bassi. >>
<< Ah, che dice il tuo secondo marito? >>
Veneziano grugnì qualcosa sulla stupidità del giapponese, per poi aprire l’email dell’olandese. << Mi ha inviato un gioco. >>
<< Un gioco? >>
<< Si. >>Perplesso, Italia lesse ad alta voce il messaggio allegato al file videoludico. << Lieve Marco, ti segnalo questo videogioco in seguito alle tue recenti manifestazioni di noia compulsiva. Se vuoi godertelo al meglio, usa lo schermo intero e le cuffie, gioca di sera e possibilmente con qualcuno, per aumentare il divertimento. Da solo credo moriresti. Con affetto, il tuo secondo marito, Nederland. >>
<< Che gioco è? >> chiese Germania, risedendosi sul letto vicino a Veneziano.
<< Credo sia dell’orrore. >> disse l’italiano, iniziando il download del file. << Sono due settimane che Olanda continua a mandarmi queste cose. Accidenti, non dovevo dirgli che recentemente, con il benessere economico e tutto il resto, non avevo nulla da fare. >>
<< Perché parlavi con lui? >>
<< Fatti un po’ di cazzi tuoi, no eh? Oh, ha finito. >> Veneziano cliccò due volte sulla nuova icona apparsa sul desktop: lo schermo divenne nero per una manciata di secondi, poi comparve, in biacco, una scritta strana quanto inquietante col nome del gioco.*
<< Ma che è? >>
<< E’ un videogioco dell’orrore. >>
<< Arigatou, meihaku senchou. >> disse ironicamente Giappone, osservando con interesse la foresta che si stava materializzando al posto dello sfondo nero. Germania gli lanciò un’occhiataccia.
<< Ci ho già giocato con mio fratello qualche settimana fa. >>
<< Ah davvero? Com’è? >>
Germania ci impiegò qualche istante a rispondere, soprattutto al ricordo delle reazioni posto-giocata. Non aveva mai sentito suo fratello urlare, e certamente non era un’esperienza che voleva ripetere.
<< Ehm… Particolare. >>
<< Be’, se è come gli altri che mi ha mandato, non credo che sarà così spaventoso. >> disse Veneziano, pigiando i vari tasti per verificare i movimenti del personaggio che stava controllando.
<< Doitsu-kun, tu ci hai già giocato, no? >>
<< Ehm…  si, l’ho anche finito. >>
<< Non ti azzardare a dirmi la soluzione. >> lo avvertì Italia, mettendo in pausa il gioco e prendendo dal comodino tre paia di cuffie e un condivisore, per poi porgere due degli apparecchi acustici alle due nazioni. << Sembra carino, e me lo voglio godere. >>
Germania si mise le cuffie, non proprio entusiasta di dover rigiocare a quel gioco. E poi, conoscendo la situazione psicologica dell’italiano, forse non era esattamente la migliore delle idee quella di farlo giocare proprio a questo gioco. Giappone avrebbe semplicemente fatto spallucce e se ne sarebbe andato, ma Veneziano, con molta probabilità, quella notte non avrebbe dormito, preda degli incubi, e sarebbe andato da suo fratello alla ricerca di un po’ di conforto, gli avrebbe raccontato cosa era successo e poi Romano avrebbe tentato di ucciderlo per non aver impedito al suo fratellino di giocare.
Il tedesco sospirò, già intento a fermare il suo sposo dall’avere una delle sue crisi, scatenata dalle sue stesse mani tra l’altro, quando un pensiero lo colpì. Sì, probabilmente Veneziano sarebbe andato dal fratello quella notte per dormire; a meno che…
<< Germania, ti ho detto mille volte di non sorridere, sei inquietante. >>
<< Es tut mir lied, lieber. >>
<< A chi scrivi? >>
<< Oh, al mio boss, sai com’è. >> disse la nazione germanica senza smettere di sorridere, per poi mandare l’SMS a Belgio – << Goditi tutta la serata con Romano, pago tutto io, basta che per non lo fai tornare a casa stanotte. >>, e Belgio non gli avrebbe mai negato un favore del genere, soprattutto se implicava il poter stare con suo bel italiano meridionale – e tornare  a guardare lo schermo del computer.
<< Che gli hai scritto? >>
<< Che stasera non torno a casa. Preferisco stare con te, Lieber. >>
<< Ma anche no! Io- oh, ho trovato una pagina. >>
Germania sorrise sornione quando sentì un debole musica partire dalle cuffie.
 
Ci sarà da divertirsi stasera….
 
Anche quella sera fu normale per le nazioni europee, mentre un vento leggero rendeva l’aria tiepida: Inghilterra era fermo in bagno da almeno cinque ore, perché Spagna, con un astuto inganno, era riuscito a rifilargli i pasticcini avvelenati; Francia si stava godendo un film in compagnia di Liechtenstein e Svizzera, mentre fuori dalla finestra Seborga e Sealand supplicavano pietà - << Non vogliamo morire in pasto ai coccodrilli, Francia. Aiuto!!!! Ci dispiace! Francia!!! >> - ; Russia aveva deciso di portare le sue sorelle a cena con Polonia e Lituania, nella speranza di poterle appioppare alle due nazioni dell’Est e poter passare da solo la serata in compagnia della sua amata vodka; i Nordici festeggiavano la vittoria di Islanda con un mega-party, con il festeggiato e suo fratello già ubriachi, Danimarca che affogava nel gin i dolori della sua misera esistenza, e Finlandia che cercava di sfuggire dalle attenzioni di un ubriaco e nudo Svezia.
Insomma, serate di ordinaria follia. Tranne che per Italia Veneziano.
 
<< G-Germania? >>
<< Ja, italien? >>
<< Ho sentito qualcuno al piano di sotto. >>
<< Non c’è nessuno Italien, ho controllato prima. Non ricordi che tu stesso hai chiuso tutte le finestre e tutte le porte? >>
<< Mi sento come se mi stessero osservando. >> si lamentò l’italiano, accoccolandosi contro la nazione teutonica in modo che nessuna parte del suo corpo fosse vicina al bordo del letto.
<< E’ solo suggestione, Italien. Il gioco di ha solo suggestionato. >>
<< F-Figurati s-se m-mi f-faccio s-suggestionare d-da u-uno s-stupido g-gioc- VE!!! >> esclamò Italia quando sentì il pavimento scricchiolare, buttandosi contro il petto del tedesco e stringendosi a lui con tutta la forza che aveva. Germania sorrise sornione, abbracciando l’esile corpo dell’italiano e baciandogli la testa.
<< Tranquillo Lieber. Nessuno ti farà del male finché ci sono io. >>
<< L’hai fatto apposta! >> esclamò Veneziano, lanciandogli un’occhiata sofferente mista a rabbia. << Sapevi che mi avrebbe fatto questo effetto! Perché non mi hai fermato?! >>
<< E io che ne potevo sapere? >>
<< Ci hai giocato, maledetto! >>
<< Non mi sembra. >>
<< L’hai detti tu, deficiente! >>
<< Davvero? Non ricordo. >>
<< Brutto stro- ve! Che cazzo è stato?! >> squittì la nazione mediterranea quando sentì un altro scricchiolio.
<< Non lo so. >> rispose il tedesco, anche se era ben consapevole che quei rumori erano provocati dal continuo muoversi dell’italiano su un letto non esattamente nuovo di zecca posto su un pavimento di legno. Ma perché dirglielo quando le sue adorabili reazioni gli facevano stare così vicini, con le mani di Veneziano che gli artigliavano la schiena in una maniera dolorosamente piacevole? E poi era così raro vederlo spaventato… Ed era così carino quando era spaventato…
Germania sorrise, stringendoselo ancora più addosso, assaporando il suo buon profumo di agrumi; passò una mano sotto la maglietta del pigiama dell’altro, carezzando ogni centimetro di pelle vellutata che poteva toccare, mentre passava le labbra sulle tempie e sulla fronte. Ah, come era bello il suo Italien, così morbido e profumato, come un'albicoccha ancora un poco acerba. Sehr köstilch-
<< Doitsu-kun, non sbavare sul cuscino, sei disgustoso.  >>
Le fantasie del tedesco andarono in frantumi quando sentì una voce tremante alle sue spalle. Infastidito, si voltò verso Giappone, che stringeva il cuscino al petto e osservava la coppia di nazioni davanti a lui con volto inespressivo, salvo per il forte tremore e l’inusuale pallore – era incredibile quanto spaventoso come la nazione nipponica riuscisse ad esprimere le emozioni avendo sempre la stessa vuota espressione sul volto.
<< E tu perché sei ancora in casa di Italien, Japan? >> chiese infastidito il tedesco, mentre vedeva sfumare la possibilità di passare da solo la serata con la sua nazione italica preferita.
Giappone non rispose alla domanda, mentre un lieve rossore imporporava le sue guance in un incredibile contrasto con la pelle chiara. In onore al suo orgoglio, non avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, che quel videogioco a cui avevano giocato tutto il pomeriggio lo aveva terrorizzato a morte.
<< Vi faccio compagnia. >> rispose invece, adocchiando la tremante figura di Italia. << Itaria-kun sembra essere rimasto traumatizzato. >>
<< Vaffanculo Giappo- VEEEE!!! >>urlò Veneziano quando sentì l’ennesimo scricchiolio, rintanandosi contro il petto di Germania, il quale sorrise estasiato da quella reazione prima di sbuffare infastidito quando la nazione nipponica gli si buttò contro la schiena, soccombendo per qualche secondo al terrore.
Sospirò mestamente, carezzando la schiena di Italia e tentando al col tempo di buttare Giappone dal letto con dei calci ben assestati.
 
Sarebbe stata una lunga notte di ordinaria follia.
 
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*Mio headcanon: l’Unione Europea, nel 2p!World, non esiste. Al suo posto c’è un impero Europeo. Come, da noi, Francia, Italia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio un bel giorno di sogno svegliati e hanno detto “Mah, ma perché non facciamo un’unione economica di vari stati?”, così nel 2p!World i suddetti stati un bel giorno si sono svegliati e hanno detto “Mah, ma perché non ci uniamo e andiamo a conquistare gli altri stati?”. Potrei fare un fic su questa cosa, che dite? La volete? XD
 
**E’ un’onomatopea giapponese che indica una forte eccitazione – non per forza intesa in senso sessuale XD.
 
 
Traduzioni:
 
Sloveno:
Ne = No
 
Francese:
Non = No
 
Tedesco:
Nein= No
 Mein süsse lieber = Mio dolce amore
Kapitän offensichtlich = Capitan Ovvio
Sehr kostlich = Letteralmente, sarebbe 'Così delizioso', con 'delizioso' inteso come sinonimo di 'adorabile'.

Giapponese:
 Arigatou, meihaku senchou = Grazie, Capitan Ovvio

Norvegese:
lillebror = fratellino

 

Fate doppio click qui sotto se volete sapere il nome del gioco:
*** Il gioco a cui hanno giocato è Slenderman. Se non amate gli horror… Per il vostro bene, NON GIOCATECI ç_ç
 
 
 
 
 (Non so se l’avete notato, ma Veneziano dice ‘no’ in tutte le lingue dei paesi con cui confina XD Chi l’ha notato? >>
 

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Capitolo 2
*** Problemi di Convivenza ***


Eccomi di nuovo qui! Con una piccola introspezione sulla vita di tutti i giorni del nostro Impero Europeo con protagonisti Italia Veneziano e Germania! Non è questa la fic che avevo in mente riguardo l'impero, ma, intanto, posto questa piccola storia ispiratami da una foto che ho visto du Facebook. Spero vi possa paicere ^^.

Autore: Princess of the Rose
Titolo: Problemi di Convivenza
Genere: Commedia
Avvertimenti: Shounen-ai (molto a senso unico qui XD) 

Enjoy!
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<< Andate a vivere insieme a Bruxelles! >>  avevano detto. << Sarà divertente! >> avevano detto. 

I loro boss dicevano tante cose, dalle cazzate più varie a piccole perle di saggezza; ma, a volte, sembrava che non pensassero minimamente alle conseguenze delle loro decisioni: come potevano sperare che sette persone, con gusti e interessi totalmente differenti tra loro, potessero andare a convivere dentro una villa che, per quanto bella e con tutte le comodità che si potessero desiderare,  sarebbe diventata inevitabilmente il campo di battaglia per la difesa delle proprie abitudini?
Inutili erano state le proteste, il cercare di farli ragionare, la promessa che sarebbero stati gentili e coccolosi con tutti e che non avrebbe più attentato alla loro vita: i loro boss erano stati irremovibili, e, alla fine, Belgio, Germania, Francia, i due fratelli Italia Romano e Italia Veneziano, Lussemburgo e Paesi Bassi erano stati gentilmente accompagnati all’enorme villone situato nel centro della capitale belga che, da quel momento, sarebbe diventato casa loro – leggasi anche come “Su ordine del loro capi, erano stati legati e imbavagliati e trascinati davanti all’edificio, dove poi li avevano scaricati ancora imbacuccati come delle salcicce, lasciandoli in balia delle condizioni atmosferiche e dei bisogni di vari esseri viventi per tre giorni”.

Insomma, le premesse e l’inizio di quella convivenza non erano stati dei migliori. Tuttavia, dopo due anni di coabitazione, nessuna delle sette nazioni in question poteva davvero lamentarsi di quella vita, visto che, anche se numerosi tra alti e bassi, tra di loro si era instaurato un feeling ogni giorno più forte  come l’impero che stavano costruendo con fatica e sacrifici: nessuno avrebbe scommesso un centesimo sul fatto che Veneziano avrebbe potuto convivere con Germania  senza che il fratello del primo tentasse di sparare al tedesco ogni volta che esso tentava di molestare l’italiano più piccolo, o che Francia avrebbe potuto stare vicino a Paesi Bassi senza iniziare ad insultarsi a vicenda, o che Belgio e Lussemburgo  non sarebbero stati costretti a fare da spartiacque tra cinque nazioni assetate di sangue. Eppure, era accaduto quello che Vaticano non aveva esitato e definire << Il miracolo più grande dalla nascita di Cristo! >>
La convivenza non era facile, ma nemmeno insopportabile: erano bastati accordi precisi, qualche piccolo favore dei boss alle nazioni che governavano, e tutto si risolveva sempre in meglio.

<< GERMANIA!!!! >>

Be’, quasi sempre: a volte, nemmeno la promessa di avere gratis tutta la nuova collezione del tuo stilista preferito, più pasta gratis per tre anni, poteva calmare la rabbia che scaturiva da certe cattive abitudini.

<< Ja, Lieber? >>

<< DOVE CAZZO SEI?! >>

<< In salotto, Lieber! >>

Italia Veneziano, armato di mestolo e scopa, si avviò a grandi passi verso la stanza principale del paino terra, dove trovò Germania intento ad una intensa sessione di poltronaggio davanti alla tv satellitare, con tanto di birra alla sua destra e popcorn alla sua sinistra. Veneziano ringhiò qualche bestemmia, per poi posizionarsi davanti al tedesco, il quale, vedendo la sua amata nazione che lo guardava con sguardo truce e che sembrava avere tutta l’intenzione di infilargli la scopa in posti dove non batteva il sole, non poté non sorridere, estasiato da tanta feroce bellezza.

<< Oh, Lieber, come sei bel- >>

<< Smettila con le cazzate! >> urlò Veneziano, evidentemente frustrato e arrabbiato come poche volte lo aveva visto. La nazione tedesca gli rivolse uno sguardo preoccupato.

<< E’ successo qualcosa di grave, Lieber? >>

<< Sbaglio, o ti avevo detto di fare una cosa stamattina? >>

Germania lo guardò perplesso per qualche secondo, per poi sussultare visibilmente quando ricordò quello a cui l’altro si stava riferendo.
<< Ah, si, il pulire la cucina. >>

<< Già! >> sbottò Veneziano, battendo il piede sul pavimento. << Ti avevo detto di pulire non solo la cucina, ma tutto il piano terra prima che io e Romano tornassimo dalla spesa! Ti avevo anche chiesto
di accendere il forno e mettere su le lasagne per pranzo! Quale di queste due cose hai fatto? >>

<< Ehm… > il tedesco si grattò debolmente la nuca, per poi ridacchiare nervosamente. << Nessuna. Be’, Lieber, teoricamente in cucina ci sono andato- >>

<< Dovevi pulirla la cucina, non andare a prender la birra e schifezze varie per poi inchiodarti sul divano! >>

<< E vabbè, mi sono dimenticato! >>

<< Ah, ti sei dimenticato! >> ripeté Veneziano, sorridendo in maniera inquietante, per poi impugnare la scopa con entrambe le mani, lasciando che il mestolo cadesse a terra. << Poverino, dovrò farti un promemoria, allora! >>

<< L-Lieber, c-che devi c-con quello? >>

<< Oh, non preoccuparti, amore! Adesso, per evitare che tu ti possa, in futuro, dimenticare di pulire casa, ti infilo questa bella scopa su per il c- >>

<< Ehiehiehi! Aspetta! Aspetta! V-va bene, scusa scusa! Es tut mi leid! Es tut mir Leid! Non lo faccio più! >> lo pregò il tedesco, nascondendosi dietro il divano. Veneziano inspirò profondamente, per poi abbassare la scopa.

<< Ogni volta sempre la stessa storia. >> disse, guardando la nazione germanica con esasperazione. << Tu non ti dimentichi di fare le cose! La verità è che sei  pigro, Germania! >>
Il tedesco sospirò, evitando di incontrare lo sguardo accusatorio dell’italiano.

<< Non sono pigro. >> pigolò debolmente, sussultando quando Italia gli rispose con veemenza.

<< Te fai sempre solo quello che ti pare! Per esempio, per rompermi le scatole ogni volta che qualcuno mi si avvicina, sei sempre pronto. Ma quando devi fare le mansioni di casa, trovi sempre qualche scusa! Ci siamo divisi i compiti, Germania, per poter convivere pacificamente! Ognuno deve fare il suo lavoro, e con ‘ognuno’ intendo anche te! >>

Veneziano aveva ragione, e Germania lo sapeva. Dopo il primo mese di convivenza, le sette nazioni europee erano giunte alla conclusione che, se non trovavano degli accordi, non avrebbero mai potuto vivere insieme senza che, ogni giorno, ci fosso un ferito; così, avevano deciso di spartirsi i compiti, a seconda delle capacità di ognuno di loro: salvo qualche eccezione ogni tanto, Belgio e Veneziano cucinavano, Romano e Paesi Bassi facevano la spesa, Lussemburgo si occupava delle finanze, e Francia e Germania erano gli addetti alle pulizie. L’unico difetto di questo piano eccellente era che affidare il compito di lavare i pavimenti e la casa in generale alle due nazioni più pigre d’Europa non era stata la migliore delle idee. Per ovviare al problema, si era deciso che ognuno avrebbe lavato la propria camera da letto, poi Francia si sarebbe occupato del primo piano e Germania del piano terra, e ogni week-end tutti si sarebbero occupato di aggiustare io giardino e lavare il terrazzo. A quel punto, la nazione teutonica non aveva più scuse per non fare la sua parte di lavoro. Peccato che non lo facesse comunque.

<< Lo so, lo so, Lieber. Più tardi pulisco, ok? Ora, posso vedere la partita? >>

Il sopracciglio di Veneziano ebbe un violento spasmo, e Germania intuì di non aver detto la cosa più intelligente in un momento come quello.

<< Ma allora quello che ho detto non ti è entrato in testa, razza di deficiente!? La partita la finisci di vedere un’altra volta! Va a lavare la cucina! Io non cucino in quel porcile, ci tengo alla mia salute, chiaro!? >>

<< Ma l’abbiamo lavata ieri. >>

<< La cucina e i bagno vanno lavati ogni giorno! Sono basi igieniche, maledizione! >>

Mentre Italia continuava a sbraitare sulla sua irresponsabilità e sui rischi di una cucina sporca, Germania cercava di vedere la partita di calcio sulla tv senza che l’altro se ne accorgesse. Anche se era piuttosto difficile concentrarsi  sul match quando aveva l’amabile figura di Veneziano davanti a sé: nonostante ogni poro di quest’ultimo urlasse una rabbia e frustrazione che avrebbe terrorizzato anche il più impavido degli eroi, il tedesco non poté non notare come i jeans gli fasciassero alla perfezione le gambe sode, o come la camicia lasciasse scoperta una piccola e invitante porzione di pelle sotto l’ombelico. E poi, quando era arrabbiato Veneziano diventava adorabile: le guance tonde di tingevano di una bella tonalità rosea, le labbra carnose mostravano dei denti bianchi come le perle, e gli occhi violetti diventavano più scuri e profondi.

Oh, ma che se ne faceva della partita quando aveva la nazione più sexy del mondo a pochi passi da sé!?

<< Rischiamo di prenderci qualcosa se non laviamo bene le cose, e io non voglio ritrovarmi con un verme nello stomaco, e- >>Veneziano si zittì di colpo, notando un certo cambiamento nello sguardo dell’altro che non gli piaceva affatto. << Germania? >>

<< Ja, Lieber? >>

<< Mi stai ascoltando? >>

<< Ja, Lieber. >> No, non lo stava ascoltando: era troppo concentrato sul quel collo bronzeo che non aspettava altro che essere ricoperto di baci per capire quello che diceva.

L’Italia del Nord si morse il labbro, inspirando a fondo per tentare di calmarsi.

<< Germania? >>

<< Ja, Lieber? >>

<< Che ore sono? >>

<< Ja, Lieber. >>
 

Qualche ora dopo…
 

<< Quindi, fammi capire: Italië ti ha fatto un occhio nero, spaccato una scopa sulla schiena e una bottiglia in testa perché…? >>

<< Niederlande, non me – Ahi! - lo ricordo. Quante volte te lo devo – Ouch! - dire? >>

<< Allemagne, il mio petit frére non attacca la gente senza motivo, per quanto abbia tendenze piuttosto… violente. >>

<< Credo centrassero – Ahi, sheisse! - le pulizie, o qualcosa di simile. >>

<< Pulizia di che? >>

<< Non lo so. >>

<< Ma te l’avrà detto. >>

<< Credo di si- ahi! >>

<< Come credi di si? >>

<< Ero più concentrato a vedere – verdammdt! - come gli stessero bene i jeans. Gli ho anche - Ahia! - fatto i complimenti, e lui per tutta risposta - Argh! -mi ha lanciato una bottiglia di birra in fronte! >>

<< … >>

<< … Allemagne. >>

<< Ja? >>

<< Non te la prendere ma… te lo sei meritato. >>

<< … Freinkreich, passami quella benda, va, che è meglio! >>


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Eccoci qui alla fine! Spero vi sia piaciuto!

Un piccolo sondaggio: la prssima storia la volete ancora comica, o qualcosa di più angst? Decidete voi!
Grazie a tutti i recensori e a tutti coloro che hanno messo la storia nelle seguite! Spero di non aver deluso nessuno!

Bye Bye!

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Capitolo 3
*** Shooting star ***


Angst sceglieste, e angst fu!

E' stata un parto questa fic: prima volevo fare una 2p!UsUk, solo che, tra il fatto che non sono esattamente nella mia OTPs TOP 10, e e che non trovavo ispirazione manco a pagarla oro, alla fine l'ho accantonata. Poi ho iniziato una sorta di 2p!FrUk, ma pure questa, più che angst, stava venendo drammatica, e la lascio per un'altra volta.

Accontentatevi della SRIXChibitalia versione 2p (la prissima, giuro, Italia non ci sarà XD Si nota poco che Veneziano è il mio personaggio preferito, eh? )

Autore: Princess of the Rose

Titolo: Shooting star

Genere: Angst, triste

Avvertimenti: Shounen-ai

 

Enjoy!

 

 

PS: Non so se può servire, ma quando la scrivero avevo sempre come sottofondo "Mad World" dall'OST del film Donie Darko. E' perfetta quando si vuole scrivere qualcosa di triste .-.




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C’era un ragazzo, a casa di Austria.


<< Uhm, uhm, I-Italien, uhm, >> mormorò piano, osservando con i grandi occhi viola la servetta dai capelli rossi che stava pulendo la sala da pranzo.


Era timido, molto timido. Ogni volta che incontrava qualcuno, che fosse uno sconosciuto o meno, non faceva che balbettare.

 

<< Si? >> chiese la – quello che lui pensava – bambina, voltandosi verso di lui.

<< Uhm, ecco. >> il bambino biondo spostò lo sguardo sul terreno, trovando di colpo estremamente interessante rispetto al bel volto paffuto dell’altra nazione. << Ecco, uhm- >>

<< Entro domani mattina, se non ti dispiace. >> sbottò Italia, interrompendo il suo lavoro e lanciandogli un’occhiata infastidita.

<< Uhm, ecco, mi chiedevo… T-Ti v-va, ehm… >>


Mi dava fastidio quel suo balbettare. Lo rendeva ancora più ridicolo di quanto non fosse già di per sé.

 

<< Ehm, t-ti v-va d-di v-venire a v-vedere l-le s-stelle c-cadenti c-con m-me? >> finì con un filo di voce, le guance tonde rosse come i capelli della bambina che aveva di fronte.

Italia gli riservò un’occhiata di sufficienza.

<< No. >>


Il suo nome…

 

Sacro Romano Impero sussultò a quella risposta imperiosa. Nascose gli occhi sotto la frangia e mormorando un << O-Ok, s-scusa il disturbo. >> se ne andò via. Italia lo osservò fino a quando attraversò la porta. Poi riprese a pulire come se nulla fosse.


… non voglio ricordarlo.

 

<< Ehi, Heiliegen Römischen Reiches! >>

L’interpellato sussultò visibilmente quando sentì il suo nome. Si voltò lentamente, e deglutì a fatica quando vide tre soldati semplici dietro di lui.

<< Come, va ragazzino? >>

<< Ehm, b-bene. >>


I soldati si prendevano gioco di lui. Non gli portavano il rispetto che avrebbero dovuto avere nei confronti di una nazione.

 

<< Sicuro? Sembri giù di corda ultimamente. >>.

<< Ehm, n-nein, i-io- >>

<< Ti ha risposto male la ragazza? >>

<< I-Io- I-Italien non è la mia- >>


Non aveva spina dorsale quel ragazzo. Era il rappresentante di un impero estremamente frammentato, per questo ha sempre mantenuto un aspetto bambinesco e una salute malaticcia. A volte mi chiedevo come riuscito anche solo ad invadere i mie territori senza rimanerci secco.

 

<< Quella ragazzina è un bel tipetto, eh? E’ una nazione anche lei, giusto? >>

<< J-Ja, p-però- >>

<< Dovresti trattarla come una serva, Reich. Una serva normale di certo non si permetterebbe di rispondere male al suo padrone. >>

<< M-Ma Italien- >>

<< Oh, ma forse non è lei il problema. Forse è il padrone che non sa farsi rispettare, eh? >>

I tre soldati risero di gusto mentre iniziava a spintonare la piccola nazione fino a farla cadere, il tutto senza smettere di ghignare.


Era un debole.

 

I soldati erano talmente impegnati a prendere in giro il piccolo impero che non si erano accorti dell’altra nazione che si stava avvicinando.


Austria mi aveva dato il compito di difenderlo.

Italia si avvicinò silenziosamente ai quattro, la scopa in una mano e un coltello nell’altra.


Io eseguivo semplicemente gli ordini.

 

Accadde tutti in pochi secondi: le risate vennero sostituite dalle urla, e della spavalderia dei soldati rimase ben poco.


Odiavo quegli ordini.

 

Mentre i tre soldati fuggivano via, terrorizzati da quella furia con le trecce rosse*, Sacro Romano Impero si era rialzato e si era timidamente avvicinato alla nazione latina, un sorriso grato sul volto paffuto.

<< D-Danke, Italien. >>

Italia gli rivolse un’occhiata di sufficienza, e il piccolo impero non poté non arrossire davanti a quelle splendide iridi violette che lo mettevano sempre in soggezione.

<< Non ringraziarmi. >> gli disse, avviandosi verso il maniero di Austria. << Eseguo solo gli ordini. >>


Odiavo lui.

 

<< Be’, però mi hai salvato lo stesso. >> disse allegramente la nazione germanica, aumentando il passo per stare vicino all’altra nazione. << Meriti tutti i miei riconoscimenti, no? >>

<< E’ inutile che mi lusinghi. >> disse Italia, puntando il coltello contro il collo dell’altro. << Mi hai conquistato, non mi hai domato! Alla prima occasione, giuro che te la facci pagare per quello che mi costringi a fare! >>


Lo odiavo con tutte le mie forze.

 

Sacro Romano Impero deglutì, impaurito da quel gesto improvviso. Poi, però, abituato a ben peggio, sorrise dolcemente alla nazione italica. << Be’, grazie lo stesso. >>


Lo odiavo, perché io ero come lui un tempo, sempre sorridente e sempre difeso da nazioni più forti. Ero come lui, prima che uccidessero mio nonno davanti ai miei occhi.

 

Italia rimase immobile per qualche secondo, per poi abbassare il coltello e riprendere a camminare. Sacro Romano Impero lo seguì in silenzio. Arrivati davanti al villa austriaca, i due fecero per separarsi.

<< Aspetta, Italien. >>

<< Che vuoi ancora? >> chiese scocciata la nazione italica, lanciandogli un’occhiata raggelante. Anche se intimidito, Sacro Romano Impero riuscì a donare all’amata un caldo sorriso.

<< Mi piacciono i tuoi capelli. >> disse sorridendo. << Dovresti farli crescere, sarebbero ancora più belli. >>

Italia sbarrò gli occhi, stupito, mentre osserva la nazione germanica arrossire e andarsene di corsa dentro il maniero. Dopo qualche secondo, si toccò le guance che, chissà per quale motivo, si erano fatte improvvisamente più calde.


Era stata Ungheria a dirmi di farmi crescere un poco i capelli, che mi avrebbero donato di più. Ai tempi di quell’episodio, li avevo lunghi poco sotto le spalle, ed ero solito raccoglierli in due trecce ben separate. Dopo quella volta, gli lasciai cresce fino a metà schiena.

 

<< Olaszorszàg, potresti portare questa minestra Szent Ròmai Birodalom, kérem? >> chiese Ungheria, abbassandosi al livello della nazione più piccola e porgendogli il vassoio con la minestra. Italia gonfiò le guance, infastidito.

<< Perché devo portargliela io? >>

<< Io ho da fare con Ausztria, e non mi fido di nessuno come te. E poi sono sicuro che Birodalom sarebbe più che felice di vederti. >> disse la maggiore, facendo l’occhiolino all’italiano, il quale arrossì lievemente prima di prendere il vassoio con la zuppa e portarlo a Sacro Romano Impero.


Più il tempo passava, più il Sacro Romano Impero si indeboliva. Era un controsenso, rispetto a quella che era stata la vita di tanti imperi prima di lui, ma sembrava che la sfortuna avesse deciso di accanirsi con particolare ferocia nei suoi confronti.

 

Anche se con un po’ di difficoltà, Italia riuscì ad aprire la porta e a tenere il vassoio con una sola mano senza rovesciare nulla. Chiuse l’uscio con un calcio, per poi avvicinarsi alla febbricitante nazione stesa sull’enorme letto, respirante a fatica e con un intenso rossore sulle guance messo in risalto dal volto pallido.

Italia sospirò, per poi poggiare il vassoio sul comodino e arrampicarsi sul letto. << Sacro Romano Impero, ti ho portato da mangiare. >>

Il piccolo impero aprì a fatica gli occhi viola, voltandosi verso la voce; gli ci volle qualche secondo per mettere a fuoco Italia.

<< Italian. >> sorrise debolmente, per poi mettersi seduto. << Mi hai portato il pranzo. >>

<< Te l’ho appena detto. >> rispose infastidito Veneziano, per poi scendere dal letto e prendere una piccolo tavolino,  che mise sul grembo dell’altra nazione; poi, dal vassoio, prese il piatto con la minestra e le posate, le mise davanti all’altro e si sedette vicino a lui. << Mangia su. >>

Sacro Romano Impero deglutì a fatica, per poi prendere il cucchiaio e immergerlo nella zuppa; lo tirò su con fatica, e un po’ del liquido straripò dalla posata, cadendo sulla camicia.

Italia sospirò. << Aspetta, ti stai sporcando tutto. >> disse, prendendo un fazzoletto e pulendogli la bocca; poi prese il cucchiaio, lo riempì con la minestra e la avvicinò alle labbra dell’altro. << Su, mangia. >>

<< N-Nein, n-non ho bisogno che mi imbocchi, Italien! >>

<< Muoviti a mangiare, non fare i capricci. >>

<< Non faccio i ca- UMF! >> Italia ne approfittò per infilargli il cucchiaio in bocca senza troppe cerimonia. Sacro Romano Impero alla fine, si arrese, e si lasciò imboccare tutta la minestra, non potendo non sentirsi umiliato dalla sua debolezza.

Ci volle una buona mezz’ora, ma alla fine nel piatto rimase solo qualche residuo della zuppa. Italia prese il piatto e il tavolino, per poi mettere il primo sul vassoio e il secondo per terra. << Hai bisogno di qualcos’altro? >>

Le guance del Sacro Romano Impero divennero ancora più rosse. << Be’, potresti stare v-vicino a-a m-me f-fino a q-quando n-non m-mi addormento? >>

CI fu qualche attimo di silenzio imbarazzante.

<< M-Ma ti sembrano richieste da fare? >> rispose la nazione italica, prendendo i vassoio e uscendo in fretta e furia fuori dalla camera dell’altra nazione, le guance rosse come i suoi capelli.


Guerre perpetue, isolamento, salute cagionevole, erano soltanto tre delle fatiche che aveva dovuto affrontare per sopravvivere in un continente belligerante da secoli.

 

<< Italien! >>

La nazione italica, seduta su un prato intenta a togliere i petali da un fiore, si voltò verso il giovane che gli veniva incontro sorridendo. Sospirò mestamente, dando nuovamente attenzione alla piccola margherita che aveva in mano.

<< Italien! >> disse Sacro Romano Impero, fermandosi vicino all’italiano e cercando di riprendere fiato. << Ti stavo cercando. Sai, volevo salutarti prima di partire. >>

<< Mh. >> fu la risposta dell’altro, per poi tornare a concentrarsi sul fiore.

<< Stavolta sarò via un bel po’. Spero di poter farla finita con Freinkreich una volta per tutte, stavolta. >>

<< Mh. >>

Il sorriso del Sacro Romano Impero scemò velocemente, sostituito da un cipiglio più mesto.

<< Allora… Auf wiedersehn, eh? >> disse, facendo per andarsene.

Italia sospirò, per poi voltarsi verso la nazione germanica.

<< Quanto starai via? >> chiese, e il suo cuore perse un battito quando vide gli occhi dell’altro brillare di felicità per quell’interessamento.

<< Ancora non lo so. Ma ti prometto che farò in fretta, ok? >

Italia fece spallucce. << Non mi mancherai. >>, osservando i tre petali rimasti sul fiore. << So che tornerai. In qualche modo riesci sempre a cavartela, no? >>

Sacro Romano Impero annuì. << Q-Quando tornerò, a-andremo a v-vedere le stelle cadenti insieme, promesso? >>

Italia gli rivolse un’occhiataccia, per poi sospirare esasperato.

<< Se proprio ci tieni. >>

La nazione germanica sorrise, entusiasta, per poi abbracciarlo con forza. << Vedrai, farò, in fretta! Tornerò entro l’anno, e poi- >>

<< Mollami maledizione! >> urlò Italia, staccandosi da quell’abbraccio e guardando l’altra nazione con puro odio negli occhi viola. << Possibile che non ti sappia far altro che far l’idiota con me!? >>

<< M-Ma io- >> balbettò l’altro, non comprendendo quella fuori improvvisa.

<< Io sono un tuo possedimento, e come tale dovresti trattarmi! >>

<< M-Ma perché? Io non voglio trattarti come una serva, io voglio trattarti come- >>

<< Come cosa? Come una moglie? Come un tuo pari? Ma per favore, tra nazioni certe cose non esistono! >>


Allora pensavo davvero quelle cose. Mio nonno trattava come suoi pari solo i suoi parenti, ed ero abituato a vederlo trattare male molti servi. Quando passai sotto il controllo di Austria, ero convinto che avrei ricevuto lo stesso trattamento. Invece,  nonostante vi lavorassi come servo, nessuno mi aveva mai picchiato. Austria mi trattava – e mi tratta tutt’ora – come un figlio, e Ungheria mi amava come un fratello. Sacro Romano Impero, nonostante fosse il mio padrone, si proclamava innamorato di me; voleva che lo sposassi, ma non mi costrinse mai a farlo, voleva che fosse una mia decisione. Tutta questa gentilezza, invece di rasserenarmi, mi spaventò ancora di più. Sembra assurdo, ma temevo che fosse solo una finta, una recita che mi facesse abbassare la guardia in modo da potermi annientare alla prima occasione. Ero rimasto sconvolto dalla morte di mio nonno, e anche tutt’ora faccio molta fatica a fidarmi della gente.

 

<< Tu sei solo un debole che non sa neanche stare sulle proprie gambe senza che ci sia qualcuno ad aiutarlo! Sei ridicolo!

<< Italien, ma io- >>

<< Tu cosa?! >>

Sacro Romano Impero abbassò lo sguardo, affranto; quando rialzò la testa aveva gli occhi lucidi e un sorriso triste ad adornare il volto ancora paffuto.

<< Non mi importa se mi tratti male. >> disse, per poi abbassarsi e prendere un piccola margherita; si avvicinò all’italiano e sistemò il fiore tra i capelli rossi dell’altro, per poi baciare con dolcezza la fronte.

<< Infondo è anche colpa mia se non ti fidi di me. Sono sempre stato troppo timido anche solo per parlarti. >> continuò, ridendo nervosamente. << Ma quando tornerò, e andremo a vedere insieme le stelle, farò in modo che tu ti possa fidare di me, ti mostrerò che non hai motivi per temermi. Ci sarà la pace quando tornerò. >>

Italia spalancò gli occhi, troppo stupito per poter dire qualunque cosa.

Sacro Romano Impero sorrise, per poi rubargli un bacio sulla bocca e correre via velocemente.


<< Ti ho amato sin dal 900. >>


Queste furono le ultime parole che sentii da lui. Ancora oggi, non so come andarono esattamente le cose – Francia non me lo ha mai voluto dire  - fatto sta che non andammo mai a vedere le stelle insieme, e non potei mai chiedergli scusa per quelle parole e per tutte le volte che l’avevo trattato male.

 

Seduto sul prato davanti al maniero di Austria, Italia si stava prendendo una pausa dal lavoro, strappando con delicatezza i petali da una margherita, la decima che aveva colto quella mattina.

<< Torna. >>

I petali cadevano lentamente sul grembiule e attorno a lui, ma non ci faceva molto caso.

<< Non torna. >>

Più il fiore rimaneva nudo, più il cuoricino della nazione batteva forte; deglutì debolmente mentre strappava un altro petalo.

<< Torna. >>

Ormai erano rimasti tre petali. Con mano tremante, ne tolse un altro.

<< Non torna. >>

Due petali. Il cuore di Italia perse un battito.

<< Torna. >>

Un solo petalo. Non torna.

Italia rimase a fissare la margherita con un solo petalo per un po’; il suo cuore, che fino a poco prima sembrava dovesse uscirsi dal petto, adesso sembrava quasi essere fermo. Un gelo improvviso si diffuse nel suo corpo, mentre buttava il fiore dietro di sé e ne prendeva un altro.

<< Forse con questo andrà meglio. >> si disse l’italiano, deglutendo a fatica, per poi iniziare di nuovo a strappare i petali, non badando alle lacrime che gli bagnavano le guance.


Non lo rividi mai più.

 

 

 

 

 

Il rispetto era uno dei pochi sentimenti che le nazioni potevano veramente provare senza venire influenzate dai pensieri del proprio popolo. Emozioni come il dolore altrui erano un cosa sacra, che ogni nazione si sentiva in dovere di rispettare. Italia Veneziano, nonostante tutto, non era un’eccezione.

Quel giorno, ogni anno, un legge non scritta vietava a Francia di andare a trovare i suoi fratellini italiani, imponeva a Romano di non fare domane sulle bottiglie di vino vuote che trovava per casa o sulle porte sbattute, e alle altre nazioni europee di visitare Venezia.


Personalmente, io non ho mai smesso di odiarlo per la sua debolezza: se avesse avuto un po’ più di spina dorsale, sono certo che sarebbe sopravvissuto.

 

Riempì l’ennesimo bicchiere di vino rosso della serata e lo buttò giù tutto d’un fiato, ignorando il giramenti di testa che lo colpiva ogni volta che quel liquido rubino finiva nel suo stomaco.


Sacro Romano Impero era debole da far schifo. Tanto debole da non saper mantenere nemmeno una stupida promessa.

 

Veneziano tossì un paio di volte, per poi buttare la bottiglia da qualche parte nella stanza quando si accorse che era vuota. Inspirò a fondo, per poi alzarsi dal divano e trascinarsi a fatica fino alla finestra, cercando di combattere la nausea e di non inciampare sugli oggetti sparsi per terra precedentemente in un impeto di rabbia– forse non avrebbe dovuto bere tutto quel vino a stomaco vuoto.


Quando Francia mi disse della sua scomparta, mi tagliai le trecce e le bruciai. Non so perché lo feci, sinceramente. Forse, era un modo per tagliare i legami col passato. Fu un gesto istintivo, più dettato dalla rabbia che da altro.

 

Contro la superficie fresca del vetro, il suo corpo in fiamme trovò un po’ di sollievo. Aprì la finestra, lasciando entrare l’aria di quella sera ancora calda d’estate. Si appoggiò contro l’inferriata del balcone, ammirando la laguna veneziana, con l’acqua che rifletteva lo splendore del cielo stellato. Se fosse stata una sera normale, probabilmente si sarebbe goduto quello spettacolo in tutta la sua magnificenza, come meritava.

Ma la normalità non era mai stata una caratteristica della sa vita.


I bambini non sanno amare. L’amore vero non è innocente come un bacio dato timidamente sulle labbra, o il regalare un fiore su cui sugelli una promessa.

L’amore vero fa schifo: ti fa diventare dipendente ad una persona, una persona che il più delle volte non merita nemmeno di allacciarti le scarpe. Che è in grado con poche parole di sconvolgere qualunque  tua certezza, di farti sorridere e piangere pochi secondi dopo. Questo è il vero amore. Non quelle cazzate che si sentono in tv o si leggono nei libri.

 

Italia inspirò a fondo, cercando un po’ di sollievo nell’aria fresca. Sentiva la bocca impastata, un sapore acido sulla lingua e la nausea sempre più forte. Tossì un paio di volte, per poi volgere lo sguardo verso il cielo. Per pochi istanti, riuscì a vedere la scia bianca di una stella cadente attraversare il cielo.


I bambini non sanno amare. Tuttavia, io non sono più un bambino da molto tempo.

 

Veneziano rimase a fissare il punto in cui era apparsa la scia per qualche minuto, perfettamente immobile. Poi inspirò a fondo, ignorando il mal di testa e il vino nel suo stomaco che voleva rivenire fuori.

<< Sei un bugiardo! >> urlò. << Tu e tutta la tua razza! Siete una massa di stupidi bugiardi! Vi odio tutti, tutti! Odio soprattutto te! >> le ginocchia gli cedettero; appena la fronte toccò il freddo metallo dell’ inferriata,  vomitò tutto il vino bevuto quel giorno sul pavimento del balcone.

<< Tu dovevi tornare. >> mormorò con voce rotta. << Tu dovevi tornare da me. Me lo hai promesso. Maledetto. Me lo hai promesso. >>

Scivolò con lentezza sul pavimento, evitando per miracolo la pozza di bile, sdraiandosi sulla parte opposta. Continuò a singhiozzare e a tossire,  mentre le palpebre si facevano pesanti. Sentì solo vagamente la porta della camera aprirsi, i passi veloci sul pavimento di legno e la voce preoccupata di suo fratello.


Sacro Romano Impero non tornò mai più da me. E’ semplicemente sparito, e con lui quel poco che era rimasto della mia sanità mentale.


Non so se lo amavo. So solo… Che ogni  giorno, ogni ora, ogni secondo… Mi manca da morire.







*Chibitalia con le trecce: su internet è famoso una scatch di cui il vestito di italia è rosso con un grembiule e un fazzoletto in testa bianchi, strappato in alcuni punti. Ne ho trovato un altro, in cui il vetito che indossa è marroncino chiaro, con il grembiule rosso, senza fazzoletto in testa e con le trecce rosse lunghe fino alla base della schiena. Tra i due, preferisco di gran lunga il secondo **, peccato non vi possa postare la fotoç_ç. Cercatela su pixiv, fa parte di una doujinshi con la tag dedicata ai 2p. Mi spiace non potervi dare il link, ma l'autrice non vuole e rispetto la sua scelta.















PPS: Peggior. Finale. Di. Sempre. ç_ç



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Capitolo 4
*** Sali e scendi ***


Avevo promesso che nella prossima shot non ci sarebbe stato Italia, ma voglio assolutamente rispettare la scadenza settimanale delle fic, e questa era già pronta da tempo. In teoria, la prossima doveva essere una UsUk, ma, tra l'ispirazione calante, e il fatto che sono molto lontani dall'essere il mio OTP (AsaKiku 4ever!), per scriverla ci sto mettendo molto più del previsto.

Dalla prossima settimana ci saranno dei grossi cambimaenti: inizia l'università, mia madre torna definitivamente, e io e il computer saremo separati molto più a lungo. Per questo, in questi giorni, sto cercando di buttare giù più idee possibili, sperando di rispettare le scadenze settimanali. Non primetto nulla, comunque.

Per quanto riguarda "La sottile arte di farsi gli affari propri": non prometto un aggiornamento veloce, perché mi sarà impossibile. Cercherò di postare il nuovo capitolo entro novembre, comunque (mi spiace dobbiate aspettare così tanto, ç_ç , ma prima non credo proprio di riuscire a scrivere l'ottavo capitolo.

 

Ora passiamo alla storia: come già detto, in questa fic è presente Italia. Quello su cui mi volevo concentrare è Austria: quello che vedete in questa shot è ispirato ad un blog che seguo con molto piacere su tumblr; fisicamente parlando, ha capelli neri e occhi gialli, mentre di carattere ha in comune con il suo 1p solo la passione per la musica (se tumblr mi facesse entrare nel mio maledetto blog, potrei linkarvelo ç_ç ). Inoltre, è molo protettivo nei confronti di Italia... Ma non dico altro: non sarà la sua ultima comparsata, quindi non anticiperò il resto ^^.

Inoltre, d'ora in poi metterò anche i nomi che ho scelto per i 2p nelle presentazioni! Ditemi come vi suonano!

 

Titolo: Sali e scendi (evviva i titoli idioti T_T)

Personaggi: Nord Italia (Marco Vargas); Austria (Franz Edelstein)

Paring: GerItaPru (accennato)

Genere: Triste, Malinconico

Avvertimenti: Shounen-ai (accennato); Triangolo (semore accennato)

 

Enjoy!

 

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Il suono del pianoforte risuonò con debolezza all’interno dell’elegante salone. Lo strumento non era scordato – lo aveva controllato appena due giorni fa  - ma il suono che sue corde riproducevano era lento, la distanza tra le note abbastanza lunga perché ognuna di esse si esaurisse nell’aria senza poter creare una musica vera e propria.

Normalmente,  un suono del genere sarebbe stato un insulto alle orecchie di Austria, ancora di più perché proveniente dal suo pianoforte nella sua casa da una persona che, a giudicare da come stava suonando, aveva molto poco orecchio. Normalmente, però. Perché il ragazzo che stava di là, premendo i tasti del pianoforte peggio di un novellino, aveva molti difetti, ma tra questi certo non figurava la mancanza del talento musicale.

Austria sospirò, versando il tè dentro due tazzine e dirigendosi nel salotto, dove trovò la causa di quel suono così poco piacevole: Italia era seduto sullo sgabello davanti allo strumento, il capo poggiato su una mano mentre l’altra pigiava pigramente  sulla tastiera. Anche se gli dava le spalle, l’austriaco riusciva a percepirne tutta la tristezza e la malinconia – bastava vederne la schiena, come essa fosse curvata leggermente di lato, la testa abbandonata sulla mano che la reggeva senza che facesse il minimo movimento; poteva sembrare un cadavere, per quando era immobile. Si avvicinò all’italiano con circospezione, poggiando il vassoio con il tè su un tavolino lì vicino; riempì due tazzine, e ne porse una ad Italia. << Tè con due cucchiaini di miele e un po’ di cannella, come piace a te. >>

Veneziano lanciò un’occhiata mesta prima alla tazzina, poi alla nazione che gliela stava porgendo. Senza dire una parola, tornò a suonare note a caso, senza prendere il tè.

<< Bevine un po’, sarai infreddolito. >> insistette l’austriaco, ma l’italiano si ostinava non rispondergli. Era da quella mattina, da quando aveva aperto al porta per poter andare ad un importante appuntamento con Svizzera e se lo era ritrovati davanti casa, zuppo di pioggia dalla testa ai piedi e con gli occhi rossi e gonfi di pianto che non spiccava parola. E questo non era da lui: che fosse felice o triste, arrabbiato e tranquillo, Italia aveva sempre e comunque qualcosa da dire.

<< Italia. >> provò a chiamarlo di nuovo nella sua lingua natia, ma tutto ciò che ottenne fu due note suonate nello stesso momento e totalmente stonate.

Austria sospirò, poggiando la tazzina sul vassoio e sorseggiando un po’ del proprio tè, decidendo di rispettare il silenzio della nazione più giovane, per il momento, cercando di non innervosirsi per quei suoni scoordinati che provenivano dal suo amato pianoforte.

Italia continuava a non spiccare parola, lo sguardo fisso sui tasti bianchi e neri senza però vederli davvero: i suoi occhi viola erano completamente privi di qualunque emozione. Che poteva essere successo di così grave da farlo stare così? Per quanto fosse il grado di comprendere i sentimenti della nazione più giovane meglio di chiunque altro, anche più del fratello forse, Austria non aveva ancora ricevuto il dono di saper leggere nel pensiero o di vedere nel passato. Se Italia non si decideva a dirgli che cosa stava succedendo, non poteva aiutarlo.

<< Ti ricordi >> disse l’austriaco, decidendo di provare a distrarlo dai suoi pensieri. << quando da piccolo dicevi che volevi toccare tutto i tasti del pianoforte nello stesso momento? >>

Italia non rispose, anche se, però, si era voltato verso di lui. Era un inizio, almeno.

<< Ogni volta che non ero in salone, ti sdraiavi sulla tastiera e cercavi di suonare tutti i tasti. Però eri troppo piccolo, e non ci riuscivi mai- poi iniziavi ad agitarti, e cadevi per terra, iniziavi a bestemmiare contro il pianoforte e te ne andavi prima che io arrivassi, dicendo che non ci avresti provato mai più. Ma il giorno dopo, puntualmente, ricominciavi da capo. >> Austria sorrise debolmente al ricordo, sfiorando la tastiera. << Eri buffo, sai? Avevi una tale voglia di crescere. >>

Gli occhi di Italia brillarono per qualche istante, forse ripensando ai tempi in cui era un servo nella casa dell’altra nazione; ma durò pochi secondi: i suoi occhi si adombrarono di nuovo di tristezza e, senza aver detto qualcosa anche stavolta, riprese a suonare il pianoforte.

Il sorriso di Austria scemò in pochi istanti. Si passò una mano tra i capelli, cercando di pensare ad un modo per poter far uscire l’italiano da quella forzata apatia.

<< Si tratta di Deutchland? >> chiese, e quando la mano del Settentrione si fermò a mezz’aria e gli occhi viola di spalancarono lievemente, comprese di averci azzeccato.

<< Avete litigato? >>

Italia abbassò la testa in modo che la frangia potesse nascondere i suoi occhi, e per qualche secondo non si mosse di un centimetro dalla sua posizione; poi pigiò debolmente i tasti di due note alte, e si voltò verso l’austriaco, il quale comprese subito a che gioco l’altro volesse giocare – l’avevano fatto tante volte quando Italia era piccolo, assieme ad Ungheria e a Sacro Romano Impero, per alleviare un po’ le rigide serali invernali. Più le note erano alte, e più ti avvicinavi alla risposta esatta; più le note erano basse e più ti allontanavi dalla soluzione.

Internamente, però, Austria non poté non provare preoccupazione mista a rabbia: che diavolo aveva fatto quel deficiente di un tedesco per ridurlo in quella maniera?

<< Avete litigato… di brutto? >>

Una nota alta.

<< Sempre per le solite cose? >>

Una nota bassa.

<< Quindi non centrano le questioni dell’impero, o di stato in generale? >>

Una nota alta.

Austria rifletté per qualche istante.

<< Centra Preussen per caso? >>

Italia si fermò per qualche istante, poi pigiò di nuovo una nota, la più alta. Austria sospirò.

<< Che è successo stavolta che ha scatenato la sua gelosia? >>

Il labbro dell’italiano tremò per qualche secondo, ma non rispose alla sua domanda. Lo sentì deglutire con forza, il respiro farsi rumoroso e irregolare.

<< Avete litigato a causa di Preussen? >>

Una nota alta.

<< E Preussen deve averci messo del suo. >>

Una nota bassa.

<< Non si è intromesso? Strano… Non era presente, eh? >>

Una nota alta.

<< Senti, Italien, sono stufo di questo gioco. Perché non mi dici cosa è successo? Non sono un indovino, non so come aiutarti se non mi dici il motivo per cui avete litigato. >>

<< Mi ha detto di amarmi. >> disse all’improvviso Italia, continuando a muovere le dita della mano sulla tastiera, stavolta formando una melodia vera e propria. << E mi ha detto che devo smetterla di vedere Prussia, di non dargli più corda e che se mi vede ancora un volta con lui sarà costretto a prendere ‘provvedimenti’. >>

La nazione austriaca lo guardò con un misto di preoccupazione e confusione. Non era certo la prima volta che Germania faceva certe uscite, e fino a quel momento Italia non sembrava essersene preoccupato molto. Doveva esserci dell’altro, per forza.

<< Poco prima, avevo parlato con Prussia. Anche lui mi ha detto di  amarmi e di lasciare stare suo fratello. >>

… Ah.

Austria espirò pesantemente, lanciando un’occhiata comprensiva al suo figliaccio, il quale si era di nuovo chiuso nel suo silenzio.

<< Dovresti lasciarli perdere. >> gli disse, ascoltando la triste melodia che le dita di Italia suonavano sul pianoforte. << Nessuno dei due ti merita davvero. >>

Veneziano gli lanciò un’occhiataccia, continuando ad eseguire sul pianoforte una musica lenta e mesta, assolutamente diversa da quelle che era di solito impersonare quando veniva a trovarlo – motivetti allegri, a volte cantati con quella bella voce bassa che lui stesso gli aveva insegnato a calibrare, tanti anni fa.

Austria lo osservò ancora per qualche secondo, per poi adocchiare le note che l’altro stava suonando. Le dita vagavano con sicurezza su note basse, scivolando con lentezza e naturalezza sulla tastiera; ma non c’era alcuna emozione in quella esecuzione: era solo un riprodurre meccanicamente delle melodie, come quando si impara a memoria una poesia e la si ripete senza però comprenderne il significato.

Non andava bene. Non era così che gli aveva insegnato a suonare.

Ebbe la tentazione di dargli uno schiaffo, nella speranza di far uscire l’italiano da quello stato catatonico in cui era caduto, ma si trattenne, conscio che non sarebbe servito a nulla. Glielo aveva detto tante volte di lasciare perdere sia Germania sia Prussia, che nessuno dei due era anche solo degno di calpestare lo stesso pavimento su cui camminava, che continuare a fare l’altalena tra le due nazioni germaniche  lo avrebbe solo che fatto soffrire. Oltre che a dargli consigli, del resto, non poteva far altro: per quanto lui lo vedesse ancora come il bambino che si divertiva a lanciare i coltelli ai soldati scansafatiche, Italia era ormai indipendente da lui sotto ogni punto di vista, e che, nonostante la cagionevole salute psichica, era riuscito a diventare un paese ricco e potente, che poteva difendersi benissimo da solo da qualunque male fisico. Purtroppo, per quello interiore, probabilmente nemmeno Dio avrebbe potuto fare qualcosa.

La nazione austriaca sfiorò i tasti del pianoforte che aveva davanti e, senza neanche pensarci, iniziò a premerne alcuni a caso.

Italia si fermò di colpo, lanciandogli un’occhiata interrogativa; lui continuò a suonare, eseguendo una piccola melodia dal ritmo veloce, ma dolce allo stesso tempo. Se le parole avevano smesso di funzionare, forse la musica poteva fare qualcosa.

Non disperarti per loro. Sono loro che sbagliano, che non capiscono che così facendo ti perderanno.

 Vicino a lui, Veneziano sospirò pesantemente, voltando il capo dall’altra parte. Austria si fermò per qualche attimo per poi riprendere a suonare, stavolta aumentando il ritmo.

Io ci sarò sempre per te e ti sosterrò sempre. Ma se non mi dici qual è il problema con quei due, io non so come aiutarti.

Sentì Italia sospirare; si voltò leggermente, e notò che la nazione mediterranea lo stava fissando con la coda dell’occhio. Dal suo sguardo, intuì che doveva aver riconosciuto la melodia, una musica da pianoforte da eseguire o da soli o a quattro mani: una parte dal ritmo dolce, l’altra dal ritmo più incalzante e duro. Una musica che esprime contemporaneamente la bellezza e il dolore dell’amore. Forse, anzi, certamente doveva aver capito quello che voleva dirgli.

Austria gli sorrise, continuando a suonare; e quando sentì anche l’altro spartito della melodia venire eseguito, il suo sorriso divenne più largo.

Si voltò verso l’altra nazione: Italia aveva gli occhi chiusi, ma le sue dita non commettevano il minimo errore sulla tastiera, continuando a suonare con fluidità e abilità eccellenti – non per niente, Austria stesso era stato suo maestro.

Continuarono a suonare in silenzio per qualche minuto; ad un certo punto, poi, Veneziano aprì gli occhi, voltandosi verso l’austriaco, che continuava a sorridergli teneramente. Lo sguardo dell’italiano rimase inespressivo per qualche attimo, prima di ammorbidirsi sensibilmente, le labbra piegate in un tremante sorriso.

<< Italien- >> provò a dire Austria, ma la reazione dell’altro lo lasciò talmente di stucco che non poté ne dire ne fare nulla: Veneziano interruppe di colpo l’esecuzione, per poi buttarsi contro il petto dell’altra nazione con tanta forza da farli cadere dallo sgabello.

La botta col pavimento fu piuttosto dolorosa, ma l’austriaco non se ne lamentò, troppo scioccato dal vedere la ora tremante nazione italica piangergli addosso, il volto nascosto nell’incavo del suo collo e le mani che gli artigliavano la camicia di seta, quasi strappandola.

<< I-Italien- >>

<< Li odio! >> lo interruppe l’italiano, senza scostarsi da lui. << Li odio! Li odio tutti e due! Vorrei che bruciassero all’inferno tra le peggiori torture! Vorrei che morissero tra atroci sofferenze. Vorrei che potessero provare una sola briciola di quello che sto passando! Stono stufo, Austria! Sono stufo di questi ultimatum! Perché? >> Italia alzò il volto, le iridi violette appannate dalle lacrime. << Perché me ne sono dovuto innamorare? Perché tutti quelli che amo mi fanno soffrire in questa maniera? Perché?! Perché!?! >>

Austria non seppe per quanto tempo rimasero sdraiati sul pavimento, con Veneziano che piangeva e chi si biasimava per la sua situazione sentimentale, e lui che lo abbracciava, carezzandogli la schiena in silenzio, incapace di dire qualunque cosa che non fossero i soliti << Non è colpa tua. >>, << Sono loro due che sbagliano. >> e simili: dopo un po’, Italia alzò di nuovo la testa, osservando le piccole macchie scure sulla camicia di seta dell’altra nazione.

<< Scusa. >> disse, alzandosi da sopra l’altro asciugandosi il volto rigato di lacrime.

<< Per cosa? >>

<< Ti ho rovinato la camicia. >>

<< Oh, questa? Oh, non è niente Italien. >>

<< Stavi uscendo vero? >> chiese l’italiano, notando solo in quel momento il completo elegante che l’altro stava indossando. << Scusa, ti ho fatto far tardi. Orma quello che dovevi incontrare se ne sarà andato. >>

Austria si guardò addosso, per poi sorridere con tenerezza all’altra nazione << No, tranquillo. Non dovevo andare da nessuna parte. Stavo solo… Controllando il mio guardaroba. >> mentì, cercando di risultare il più credibile possibile – non era mai stato un grande attore.

Italia annuì debolmente, ma non seppe dire se aveva creduto alla sua balla. Si avvicinò con delicatezza al suo volto, pulendolo dai residui di lacrime, per poi aiutarlo ad alzarsi e lo fece sedere sullo sgabello davanti al pianoforte.

All’improvviso, le note dell’inno d’Italia si diffusero nella stanza*.

Austria si voltò verso destra, dove notò il cellulare di Veneziano sul pavimento, poco distante da dove prima erano caduti – probabilmente, doveva essergli scivolato dalla tasca quando gli era saltato addosso. Prese l’apparecchio, e non poté non ringhiare debolmente quando notò il nome di Germania sullo schermo.

<< Chi è? >> chiese Veneziano, senza muoversi dallo sgabello. Austria gli sorrise, cancellando la chiamata e restituendogli l’apparecchio..

<< Nessuno, un numero sconosciuto. >> gli disse, avvicinandosi a lui e scompigliandogli teneramente i capelli – dopo quello sfogo, Italia era talmente esausto che non aveva nemmeno la forza di insultarlo per quel gesto che odiava; un altro motivo per mettere le due nazioni germaniche nella sua personale lista nera.

<< Ti vado a preparare dell’altro tè, ok? >> disse l’austriaco, prendendo il vassoio con la teiera e le tazzine e dirigendosi in cucina.

Non poté non sorridere quando sentì un motivetto un po’ più allegro provenire dal pianoforte in salotto.

 

 

 

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*Headcanon: le nazione, come suoneria, hanno il proprio inno nazionale (Heta Hazard docet)

 

Il GerItaPru è mio OTP Threesome e, purtroppo per poi, non sarà l'ultima volta che lo vedrete! Mhwahahahahahahahahah!! (Ok, la smetto)


E rinnovo l'appello: se avete delle richieste, non esitate a chiederle, mi impegnerò per soddisfarvi! (ispirazione permettendo T_T)

 

Spero che la fic vi sia piaciuta!

La prossima sarà USUK, signori! Fan della coppia, avvicinatevi!

 

Alla prossima!!

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Capitolo 5
*** Fuck the Cupcakes! ***


Ave!

Eccoci qua con la quinta shot! UsUk, per i fan della coppia (tra i quali io non mi cataologo, ma vebbé)

Dopo due fic depressive, con l'onnipresente presenza di Italia (non ve lo toglierete di mezzo facilmente, vi avverto XD) ritorniamo a farci due risate, così magari qualcuno mi recensisce, 

Premessa: quello che leggerete nella prima parte è realmente accaduto! Era uno scherzo che io e due mie amiche abbiamo fatto ad un nostro conoscente il primo aprile dell'anno scorso XD. Tralasciamo sulle reazioni (anche se quella di America è abbastanza fedele XD), spero che vi possiate fare due risate!

 

Titolo: Fuck the Cupcakes!!

Genere: Commedia

Avvertimenti: Shounen-ai

Personaggi: Inghilterra (Oliver Kirkland); Stati Uniti d'America (Timothy F(erdinand) Jones); Francia (Jean Baptiste Bonnefoy)

 

Enjoy!

 

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<< Timothy~ >> trillò allegramente Inghilterra quando entrò nel soggiorno reggendo un vassoio con sopra tè e dolci di ogni tipo. << Guarda che ho preparato apposta per te, honey! >>

<< Oh, fuck, England! >> sbottò esasperato America, << Quante volte ti ho detto di non chiamarmi con quel nome! E’ orren- OUCH! >>

<< Tut tut, little one, non si dicono parolacce. >> disse dolcemente l’inglese dopo avergli dato uno scappellotto sulla nuca. << E poi il tuo nome è adorabile! L’ho scelto io, del resto! >>

L’americano si massaggiò la zona dolente, imprecando sottovoce, per poi adocchiare il vassoio pieno di leccornie che l’altro aveva portato: biscotti al cioccolato e vaniglia, la metà di una torta alle mele, e gli immancabili pasticcini dai mille colori.

<< Puoi scegliere quello che vuoi, dear! Le ho fatte apposta per te! E’ così raro che tu mi venga a trovare di questi tempi. >> disse Inghilterra, sedendosi vicino all’altro con un lieve rossore ad adornare le guance lentigginose. L’americano gli lanciò un’occhiataccia.

<< Ti credo! Io a quei pazzi dei tuoi padroni non mi ci avvicino nemmeno se mi danno gratis tutto il petrolio del mondo. >> sbottò America, rabbrividendo d’orrore al ricordo delle sette nazioni che lo avevano scacciato dall’Europa a calci nel sedere con la gentile promessa di fargli di peggio se si fosse di nuovo avvicinato ai loro territori.

A quelle parola, il sopracciglio di Inghilterra ebbe un violento spasmo.

<< F-France e gli altri non sono i miei padroni. >> disse, versandosi un po’ di tè con mani un poco tremanti dal nervosismo. << T-Ti ricordo che, r-rispetto ad altri, ho molta più autonomia. >>

<< Abiti comunque a casa loro la maggior parte dell’anno e ti fanno sgobbare come un cammello. >> replicò America, osservando con attenzione i vari dolciumi che aveva davanti, indeciso sul quale assaggiare.

<< M-Mi offro volontario. >> rispose imbarazzato, sorseggiando il liquido ambrato. << Germany e France non fanno mai nulla dalla mattina alla sera; io semplicemente li aiuto un poco. Abitano in una casa enorme del resto, da soli non ce la fanno a tenerla in ordine, poor things. >>

<< Uh-uh. >> America non lo degnava nemmeno di uno sguardo, troppo concentrato sui dolci. Inghilterra, anche se infastidito da quel comportamento irrispettoso, preferì non continuare un discorso che lo metteva ampiamente a disagio. Sorseggiò lentamente il tè caldo, per poi lanciare un’occhiata adorante alla nazione statunitense.

<< Comunque… Dimmi, come mai sei venuto a trovarmi? >>

<< Uhm, non avevo nulla da fare. >> rispose l’americano, scegliendo infine un pasticcino con glassa rosa e gocce di cioccolato. << Canada è da Ucraina, Mexico è andato da Panama; sapevo che eri tornato a casa per il week-end, e ho pensato di venirti a rompere un po’ le scatole. >>

<< Certo, le scatole! >> disse Inghilterra, arrossendo. Il suo piccolo America era semplicemente adorabile: troppo timido per potergli dire apertamente che voleva passare del tempo con lui. Oh, so cute!

<< Yup! Anche a scroccare un pasto gratis possibilmente. >>

<< Oh, Timothy! E’ un modo per elogiare la mia cucina? >> chiese l’inglese, sorridendogli con dolcezza.

<< No. Ma non cucini da schifo, e almeno è gratis. >> disse America, per poi dare un ampio morso al pasticcino, mentre la nazione britannica abbassava la testa, abbattuto da risposte così scarne.

<< Ehi, England, spero per te che non ci sia qualcosa di derivato da un animale, qui dentro. >> disse l’americano, voltandosi verso l’altra nazione con sguardo truce.

<< America, dear, so che sei vegetariano*. Non mi permetterei mai di cucinarti qualcosa che comprenda qualche parte di un piccolo e dolce animale. >> replicò indignato l’inglese – possibile che America avesse una tale bassa stima di lui da non pensare che fosse in grado di ricordarsi cose così basilari? Soprattutto visto e considerato che ‘‘l’ultima persona’’ che, per errore, gli aveva fatto mangiare della gelatina era stata ricoverata all’ospedale con varie contusioni e vari chiodi arrugginiti staccatisi dalla mazza ferrata dell’americano – tra parentesi, il povero Inghilterra aveva ancora le cicatrici.

L’americano sbuffò, per poi dare un altro morso al dolce. << Meglio così. *gnam* E’ davvero buono sai? *gnam* Potresti darmi *gnam*  la ricetta? >>

Inghilterra rise leggermente, avvicinandosi a lui. << America, un cuoco non dà mai le sue ricette. >> si voltò verso l’altro, senza smettere di sorridere. << Ma per te, dear, posso fare un’eccezione. >>

<< Uhm! Allora *gnam* parla *gnam*! >>

<< Be’, farina. >> sussurrò Inghilterra, avvicinandosi ancora di più, fino a far sfiorare le loro ginocchia.

<< *gnam* Farina. >>

<< Uova. >> avvicinò la bocca all’orecchio di America, il quale non si era minimamente accorto delle mosse dell’altro, concentrato come era sul buon sapore del dolce.

<< *gnam* Uova, sure! >>

<< Un po’ di gocce di cioccolato. >>

<< *gnam* Yes, e poi? >>

Il sorriso di Inghilterra si ampliò ancora di più, diventando decisamente inquietante.

<< I miei capelli. >>

Il boccone che aveva in bocca per poco non strozzò America. Quest’ultimo tossì violentemente per due minuti buoni, per poi voltarsi schifato verso l’inglese, e accorgendosi solo in quel momento della scarsità della distanza tra loro.

<< A-Are you kidding me?! >>

<< No, dear. >> disse la nazione britannica, senza smettere di sorridere. << E’ il minimo che possa fare for my love, yes? >>

<< F-For m- England, ancora con questa storia?! >> urlò esasperata la nazione americana, cercando di allontanarsi dall’altro, maledicendo la scarsa misura in larghezza del divano.

<< Ma, dear, io e te stiamo insieme, non ricordi? >> chiese l’inglese con aria sognante, mentre ripensava al dolce e passionale bacio che si erano scambiati la sera di qualche mese fa, dopo una festa a casa di Russia. La serata più bella della sua vita – anche se non si poteva dire lo stesso per l’altra nazione, visto che di quel giorno ricordava ben poco.

<< Io e te. Non. Stiamo. Insieme. Quante volte te lo devo ripetere, you jerk! >> disse America, premendo una mano sulla bocca dell’inglese per allontanarlo, ritirandola subito dopo quando quest’ultimo ne baciò il palmo con reverenza.

<< America, dear, so che è l’orgoglio a farti dire certe cose. >> disse Inghilterra, comprensivo, carezzandogli una guancia. << ma tranquillo, comprendo il tuo imbarazzo. Aspetterò che tu sia pronto per poter ufficializzare la nostra storia. Ma almeno nel privato potremmo coccolarci un poco l’uno con l’altro, non credi? >>

<< Io e non stiamo insieme! >> ripeté America. << Quella sera ero ubriaco! Drunk! Ti ho baciato perché ero ubriaco! >>

<< Ma In vino veritas, dear. >> disse Inghilterra, sorridendogli come un genitore al figlio che, ingenuamente, non comprendeva una nozione elementare; poi si tirò leggermente indietro << E va bene, se ti imbarazza tanto, vorrà dire che aspetterò anche per un po’ di coccole nel privato. Per adesso, mi basta poter aver messo una parte di me dentro di te. >>

America lo guardò confuso per qualche istante, per poi lanciare un’occhiata piena di orrore al pasticcino mezzo morsicato che ancora teneva in mano – e notando solo in quel momento un piccolo capello biondo sbucare dalla pasta frolla, messo in risalto dal contrasto con una goccia di cioccolato.

<< Do you feel me, America? >> chiese Inghilterra, sfiorando il ventre dell’altro con infinita dolcezza. << Mi senti dentro di te? >>

L’altro non rispose, troppo combattuto tra il trattenere i conati di vomito e il prendere la sua mazza chiodata e ridurre ad una poltiglia la nazione che lo aveva cresciuto .

<< Prenderò il tuo silenzio per un si! Del resto, chi tace acconsente. >> disse l’inglese, estasiato, per poi alzarsi dal divano. << Vado  a preparare dell’altro tè, ormai questo si è raffreddato. Serviti pure con gli altri dolci, visto che sono sicuro che saranno di tuo gradimento. >>

Rimasto solo nel soggiorno, America si ritrovò incapace di muovere anche solo un dito, sconvolto e disgustato com’era. Quella situazione era semplicemente assurda! La nazione che fino a qualche secolo prima aveva considerato al pari di un fratello, adesso si proclamava innamorata di lui per un bacio dato da ubriaco dopo una festa, lo ossessionava in ogni modo possibile, da telefonate la sera tarda ad agguati durante le riunioni, e, dulcis in fundo, gli serviva pasticcini contenenti i suoi capelli.

America ebbe l’improvviso bisogno di vomitare, ma anche stavolta non riuscì a trovare le forze per potersi alzare.

<< Ehi, America! >> Scozia, entrato in quel momento nella salotto, si buttò sul divano vicino all’altra nazione, sistemandosi l’asciugamano attorno alla vita e ghignando allegramente. << Allora, come va la vita? >>

L’americano non rispose, ancora sotto shock. Lo scozzese alzò un sopracciglio, perplesso.

<< Be’, che c’è? My little brother ti ha morso via la lingua in un bacio troppo passionale? >> chiese, divertito, scuotendo una mano davanti agli occhi dell’altro. << You know, sono sorpreso che England sia finito con te. Sono sempre stato convinto che si sarebbe messo con quell’altro idiota di un francese. >>

Anche stavolta America non replicò, e Scozia iniziò a stancarsi di quel persistente silenzio. Sbuffò infastidito, per poi adocchiare il dolce mezzo mangiato nella mano dell’altro.

<< Ha cucinato per te, uh? Oh, be’, se c’è una cosa che England sa fare quella è proprio cucinare. >> disse lo scozzese, prendendo un pasticcino dal piatto. << Sai, prima che France facesse tutta quella storia dell’impero, England cucinava spesso per lui. Quasi mi dispiace che non si sia messo con lui. France e England sarebbero  una bella coppia non trovi? Appena questa storia dell’impero sarà passata, potrei provare a farli riconciliare, che dici? >>

America, finalmente, si riscosse dalla sua stasi; lanciò un’occhiataccia alla nazione scozzese, intenta a mangiare uno dei dolci con gusto.

<< Lo sai >> disse l’americano, ghignando leggermente. < che stai mangiando i capelli di tuo fratello? >>

Scozia gli rivolse uno sguardo confuso, per poi rivolgerlo al pasticcino. Dopo qualche attimo, sputò tutto quanto aveva in bocca, dirigendosi in tutta fretta verso il bagno inveendo contro la stupidità del fratellino in una lingua che America non conosceva.

La nazione statunitense sorrise, dando un altro morso al pasticcino che aveva in mano, pentendosene subito dopo quando si ricordò che cosa conteneva. Non ci volle molto perché seguisse lo scozzese in bagno.

 

 

America sospirò a fondo, mentre usciva dalla finestra del bagno della casa di Inghilterra con solo le mutande addosso - con un po’ di fortuna, quello psicopatico di un britannico ci avrebbe impiegato una buona dozzina di minuti a capire che quello semisvenuto in bagno era Scozia con i suoi vestiti, abbastanza perché potesse allontanarsi senza essere inseguito da quel mangia pasticcini o da qualcuno dei suoi scagnozzi in giacca rossa e cappelli strambi.

Corse più in fretta che poté, ignorando i londinesi che osservavano quel giovanotto americano che correva mezzo nudo per le strade della città, voltandosi ogni tanto per controllare che nessuno lo stesse seguendo.

Arrivato nei pressi di un ponte sul Tamigi, America si fermò, massaggiandosi le braccia nel tentativo di riscaldarsi un poco. Sfortunatamente, aveva dimenticato il portafoglio all’interno della tasca dei jeans, quindi non poteva comprarsi nulla da poter vestire temporaneamente o da mangiare.

<< Oh, fuck! >> urlò esasperato lo statunitense, starnutendo con forza. << Potrebbe andarmi peggio?! >>

Quel giorno, America imparò che Madonna Sfortuna non va mai, per nessuno motivo, istigata a fare del suo meglio – o peggio, a seconda dei punti di vista: nel tempo di una decina di minuti, iniziò a piovere fittamente, creando numerose pozzanghere sul marciapiede e sulla carreggiata; un’auto a tutta velocità andò proprio sopra una delle pozze, creando uno schizzo d’acqua che prese in pieno la nazione americana; un’altra automobile gli passò vicino mentre uno dei passeggeri apriva il finestrino e buttava fuori una busta malchiusa - il cui contenuto era il suo pranzo mischiato a vari succhi gastrici – che gli finì in testa; una vecchietta lo prese a borsate, accusandolo di essere un maniaco che attentava all’innocenza delle sue due nipotine, e una pattuglia della polizia gli fece una multa per atti osceni in luogo pubblico. E come ciliegina sulla torta…

<< Amerique, che ci fai qui? >>

America sussultò visibilmente, per poi voltarsi lentamente verso Francia, che lo stava osservando con cipiglio annoiato e una sigaretta tenuta mollemente sulle labbra, al riparo sotto un ampio ombrello grigio.

<< F-France >> mormorò felicemente lo statunitense, per poi aprire le braccia per abbracciarlo. << c-che bello vederti, vecchio mio! >>

<< Oui, >> mormorò il francese , con cipiglio lievemente disgustato, per poi allontanarsi di qualche passo. << vorrei poter dire lo stesso, Amerique. >>

America si fermò a qualche passo dall’altro, guardandolo confuso mentre tutto il suo entusiasmo per quel fortuito incontro veniva sostituito dal timore. << P-Perché? >>

Francia diede un tiro alla sigarette, soffiò il fumo e lanciò un’occhiataccia alla nazione più giovane.

<< Mi sembrava di essere stato chiaro. >> disse, prendendo dalla tasca un guanto metallico e indossandolo. << Che ti avevamo detto sul venire nel nostro territorio, Amerique? >>

L’americano deglutì sonoramente, ricordando quanto accaduto mesi fa - aveva avuto lividi in posto che neanche pensava di avere - cercando istintivamente di prendere la sua mazza chiodata da dietro la schiena, solo per ricordarsi di averla lasciata a casa di Inghilterra - e di essere mezzo nudo, bagnato e sporco di fango dalla testa ai piedi e con del vomito a decorargli la chioma rosso scuro, poco lontano da una delle strade più frequentate di Londra.

<< Ehm, ecco- >> mormorò l’americano, vergognandosi un poco del suo aspetto non propriamente presentabile e intimorito da quel guanto metallico che avvolgeva la mano dell’altro.

<< Non dovevi più avvicinarti ai nostri confini. Ne tu, ne Russie. >> continuò Francia, avvicinandosi lentamente alla nazione più giovane. << Sapevi quali sarebbero state le conseguenze, non? Eppure sei qui. Dimmi, non ti sono bastate le botte dell’ultima volta? >>

<< W-Wait, France! >> lo pregò America, scivolando su una pozzanghera e cadendo sul marciapiede, per poi indietreggiare di qualche passo dal sempre più arrabbiato – e vagamente divertito - francese. << W-Wait, p-posso spiegare! I-Io non v-volevo d-disubbidirvi! >>

<< Ah no, uh? >> disse Francia con una calma apparente, mentre scrocchiava le dita della mano libera – l’altra era impegnata a tenere l’ombrello.

<< S-Sia mai! E-Ero solo v-venuto a t-trovare E-England, e- >>

<< Vraiment? >> chiese il francese, mentre il sopracciglio ebbe un leggero spasmo. America deglutì, sentendo di non aver detto la cosa giusta al momento giusto.

<< Be’, n-non p-posso? I-Infondo, E-England non fa così parte del vostro impero, no? >>

<< Amerique, tu non sei mai stato bravo in geografia politica, vero? >> disse Francia, dando l’ultimo tiro alla sigaretta prima di buttarla a terra e schiacciarla sotto la scarpa con una certa violenza. << Angleterre è un protettorato, Amerique. Più precisamente un mio protettorato. E io faccio parte di un impero. Ergo, Angleterre fa parte dell’impero. Sai questo che vuol dire? >>

La nazione statunitense deglutì pesantemente, sussultando quando si accorse di aver toccato con le spalle il cornicione del ponte e di non avere vie di fuga.

<< C-Che sono nei guai? >>

Francia sorrise senza allegria e con molta rabbia malcelata, mentre si scrocchiava le dita. << Bon, Amerique. Bon. >>

 

 

 

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*: headcanon: 2p!America è vegetariano.

Vi dirò: alla fine ho avuto pietà per America XD. All'inizio, dovevano essere Veneziano e Romano a menarlo mentre Francia rimaneva a guardare, ma avevo promesso che Veneziano non sarebbe comparso, e quest'idea è stata poi scartata; poi doveva comparire Inghilterra che se lo riportava a casa, ma pure questa l'ho scartata.

America non è mai stato nella mia top 10, ma mi sembrava esagerato pure per lui, poverino XD

Nella prossima fic: Romano!

 

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Capitolo 6
*** Il triangolo no! ***


Shot nb 5... done!

Ed ecco che viene mostrato il lato iperpotettivo di Romano - ispirato ad un blog su tumblr - un minima porzione del suo carattere. Mi piace, infondo, come sta venendo fuori ^^


Titolo: Il triangolo no!

Sottotitolo: Non l'avevo considerato! ( XD )

Personaggi: Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas); Germania (George Joseph Beilschmidt); Prussia (Wilhelm Freiderich Beilschmidt)

Paring: GerItaPru

Avvertimenti: Shounen-ai, triangolo, un po' di violenza.


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Si potevano dire tante cose di Italia Romano, e molte di queste cose si potevano considerare degli ottimi complimenti: era un bel ragazzo, con un fisico asciutto e slanciato, i capelli nerissimi, folti e morbidi al tatto, e gli occhi rossi in cui ti perdevi per quanto erano profondi e suggestivi; nonostante i problemi di vista, godeva di una mira eccellente, ed era un vero esperto per quanto riguarda le armi da fuoco; aveva un ottimo gusto per il vestiario, e non rinunciava mai a vestirsi in maniera elegante, anche se l’evento a cui doveva partecipare era informale.

Anche per il carattere non gli si poteva contestare nulla: era una persona calma e gentile, specialmente con le signore, e ogni suo gesto o parola era velato da una piccola vena di sarcasmo – evidenziato dalle sue labbra perennemente piegate in un ghigno che, a tratti, pareva quasi derisorio - che certo non faceva diminuire il suo fascino; movenze studiate, voce profonda, uno sguardo ammaliatore, e tutte le donne cadevano ai suoi piedi - soprattutto quando era accompagnato da un bicchiere di buon vino siciliano, perché era anche un esperto vinofilo.

Inoltre, era molto raro che si arrabbiasse, in quanto le cose che lo mandavano davvero in bestia erano molte poche, e il più delle volte preferiva liquidare tutto con un sorrisino e una battuta tagliente piuttosto che infervorarsi e iniziare un litigio senza fine.

C’erano, comunque,  tre argomenti che non dovevano mai essere toccati in sua presenza se non si voleva rischiare di ritrovarsi una rivoltella puntata contro: sua nonno, Spagna, e il suo fratellino.

Nominare suo nonno voleva dire rievocare in lui orrendi ricordi che si sovrapponevano inevitabilmente alla dolcezza della sua infanzia, e ciò provocava in lui scatti d’ira anche piuttosto violenti – e nessuno voleva vedere Romano quando era arrabbiato… Nessuno.

Mettere “Spagna” e “inserire-frase-offensiva-a-caso” nella stessa frase era la maniera migliore perché la nazione italica prendesse un mitra e iniziasse a sparare contro il malcapitato che aveva osato parlare.

Ma, più di tutto, era l’argomento “Veneziano” a farlo scattare sull’attenti, anche se, magari, non si stava offendendo il suo fratellino. Fin da quando erano piccoli, Romano era stato estremamente protettivo nei confronto dell’altro italiano: quando si erano incontrati la prima volta, non appena aveva visto quegli occhioni violetti, il volto pienotto e roseo perennemente imbronciato, e quel corpicino esile esile, era  istintivamente scattato in lui un senso di protezione, che non aveva fatto altro che aumentare nel tempo, specie quando l’Impero Romano era caduto davanti ai loro occhi ed erano stati separati con la forza per andare a vivere in due case diverse, lui con Spagna, e Veneziano con Austria.

Il picco lo aveva raggiunto quando, una volta riunificati, aveva scoperto che Veneziano soffriva di crisi di isteria causate, spesso, dagli incubi sulla morte del loro nonno e dalla scomparsa del suo primo amore, e che si manifestavano ogni qualvolta era sotto stress. Da allora, Romano si era ripromesso che non avrebbe mai permesso, a nessuno, di ferire di nuovo il suo fratellino, e che sarebbe rimasto per sempre insieme a lui.

Parlare di Veneziano, comunque, non era mai un buona idea, specie se non si metteva subito in chiaro  se quello che si voleva dire era  un complimento o un’offesa nei suoi confronti: nel primo caso, non succedeva nulla; nel secondo… Be’, andate a parlare con Turchia per maggiori informazioni.

C’era un’altra cosa che era in grado di farlo arrabbiare, anche se con una frequenza decisamente minore: l’argomento “nazioni germaniche”.

Non si poteva dire che Romano detestasse tutti i discendenti dell’antica nazione germanica – con Belgio, ad esempio, aveva un ottimo rapporto – ma neanche si poteva affermare che li sopportasse – del resto, suo nonno era morto proprio a causa di Germania Magna, e vedere le caratteristiche di quell’uomo sui suoi discendenti non poteva non dargli fastidio.

Tra tutti loro, ce ne era uno che riusciva a sopportare con estrema fatica: Germania.

Nonostante la nazione teutonica fosse decisamente un bellissimo ragazzo– cosa che gli facilitava il tolleralo - il suo comportamento nei confronti di Veneziano non poteva non impensierirlo. Insomma, sembrava essere a tutti gli effetti uno stalker, con tutti i suoi  << Mein süsse Lieber! >>> sdolcinati e urlati in qualunque momento della giornata, e suoi agguati alle riunioni in cui si gettava contro il suo fratellino tentando di baciarlo o abbracciarlo; per non parlare, poi, delle volte in cui si appostava davanti a casa loro chiedendogli di uscire – e a poco servivano le proteste e le minacce di morte di Veneziano, che puntualmente arrossiva come un pomodoro davanti a quel comportamento.

Erano cinquant’anni che quella storia andava avanti, e la pazienza di Romano stava giungendo verso il suo limite massimo, soprattutto ora che anche Prussia si era aggiunto alla lista dei suoi problemi: i rapporti con l’ex-nazione erano sempre stati abbastanza buoni, regolati da un silenzioso rispetto reciproco; ma da quando anche lui aveva iniziato a tormentare Veneziano con proposte di appuntamenti e agguati, la situazione era diventata insostenibile, soprattutto con il suo fratellino che, ogni volta che partecipava ad un evento in cui erano presenti anche Prussia e Germania, tornava a casa depresso e sul punto di piangere.

Aveva cercato di indagare sulla situazione, e aveva scoperto uno strano triangolo in corso tra Veneziano, Germania e Prussia, il che spiegava la crescente tensione tra i due fratelli tedeschi e la sofferenza del suo fratellino che, probabilmente, non sapeva chi dei due scegliere, poverino; soprattutto visto e considerato che i due dovevano mettergli addosso una forte responsabilità per quella situazione.

Nonostante la promessa di proteggerlo, Romano non si era sentito in diritto di intromettersi nella vita di Veneziano, quindi, salvo consolarlo e vezzeggiarlo nei momenti di tristezza, non aveva fatto nulla per cercare di migliorare la situazione. Del resto, non poteva certo andare dalle due nazioni teutoniche e minacciarli di lasciar in pace il suo fratellino; uno: perché non l’avrebbero mai fatto; due: Veneziano, senza quei due a tormentargli la vita, probabilmente sarebbe caduto in depressione – non capiva come fosse possibile, ma sospettava che il Settentrione non fosse indifferente a nessuno dei due tedeschi.

Quindi, anche se a malincuore, aveva deciso che il l’Italia del Nord vivesse la sua vita, decidendo lui cosa fare con le altre due nazioni.

Ma adesso…. Oh adesso…

<< N-Non è come sembra! >>

Adesso ci sarebbe scappato il morto. Romano era certo di questo, mentre osservava le tre nazioni che, rivestitesi alla bel e meglio, erano sedute sul divano nel salotto, dove li aveva trovati in atteggiamenti molto… intimi e compromettenti.

<< S-So che può sembrare strano, fratellone, m-ma ti assicuro c-che c’è una spiegazione l-logica per quanto hai visto. >> mormorò timidamente Veneziano, mentre cercava di allisciare le pieghe della sua camicia di seta. Germania e Prussia, ai lati dell’italiano, non potevano far altro che annuire imbarazzati.

Romano non perse il suo sorriso di cortesia, mentre carezzava la rivoltella nascosta dentro la tasca interna della giacca. << Certo che c’è una spiegazione, Vene. >>

<< M-Ma n-non è q-quella che pensi. >> provò a dire Prussia, mentre si grattava nervosamente la vecchia cicatrice che gli attraversava la guancia destra, le labbra e parte del mento, che puntualmente iniziava a prudergli ogni volta che era nervoso.

<< E quale sarebbe quella che penso? >> chiese l’italiano più grande.

<< Be’, ecco, non è che stavamo facendo… quello. >> disse Germania, cercando di non incrociare lo sguardo del Meridione, le guance rosse come un pomodoro maturo,

<< Quello cosa? >>

<< Be’ si…. Quello, quello! >>

<< Ah, certo. Quello quello. >> annuì il meridionale, mentre il sorriso iniziava a calare un poco.

<< F-Fratellone, io- >>

<< Certo che non stavate facendo quello >> lo interruppe Romano, << infondo, che altro possono fare due uomini al mio fratellino mentre hanno le mani dentro i suoi pantaloni? >>

<< V-Ve… >>

<< N-Non è come sembra! >> esclamò Prussia, irrigidendosi sul posto!

<< J-Ja! Ecco, noi… Gli stavamo… R-Ricucendo i pantaloni ecco. >> disse Germania, guadagnandosi uno sguardo tra il perplesso e l’esasperato dalle altre tre nazioni. Veneziano sbatté una mano contro la fronte, avvilito.

<< Ricucendogli i pantaloni. >>

<<…. Ja. >> disse Prussia, sorridendo tremate. << S-Si erano rotti, e allora- >>

<< Allora dovete essere davvero dei maghi della sartoria per saper ricucire senza ago e filo. >> disse l’italiano sorridendo, mentre Prussia lanciava un’occhiataccia a suo fratello per aver inventato una scusa così stupida.

<< F-Fratellone. >> mormorò Veneziano << n-non sei arrabbiato con me, vero? >>

Romano guardò il Settentrione con sguardo indecifrabile, per poi sorridere dolcemente. << Oh, Vene, ma certo che non sono arrabbiato con te. Del resto, sono sicuro che in tutta questa storia tu sia la sola vittima. >>

Le due nazione teutoniche lo guardarono, sbigottiti. Veneziano la vittima?

<< C-Che- >>

<< Ricapitoliamo. >> iniziò il Meridione, mentre su alzava e si dirigeva verso un piccolo armadietto vicino alla libreria. << Da qualcosa come vent’anni, voi due non fate altro che perseguitare il mio fratellino con il vostro… chiamiamolo ‘amore’ perché non mi vengono in mente termini migliori. Lo avete praticamente esasperato, vi siete approfittati della confusione dei suoi sentimenti, e fino a spingervi a questo. >> disse mentre apriva le ante del mobile e prendeva un enorme mitra assieme a una quarantina di ricariche, per poi voltarsi verso Germania e Prussia, i quali erano diventati più pallidi del divano bianco su cui erano seduti.

<< V-Ve, m-ma fratellone, n-non c’è b-bisogno di e-essere c-cos- >>

<< Vene, piccolo mio, va in camera tua. >>

<< M-Ma- >>

<< Non era una richiesta. >> disse Romano, puntando l’arma da fuoco verso le tre nazioni. Veneziano non perse tempo, e corse a rifugiarsi nella sua stanza, lasciando Prussia e Germania alla mercé dell’Italia Meridionale.

<< R-Romano, a-aspetta. >> mormorò l’ex-nazione, alzando le braccia in segno di resa. << T-Ti giuro c-che n-non ci stavamo a-approfittando di lui. >>

<< N-Non lo f-faremmo mai. >> aggiunse Germania, mentre cercava di diventare tutt’uno col divano. << Insomma, Italien era consenziente, e- >>

Una ventina di proiettili si riverso nello spazio dove prima era seduto Veneziano, e le due nazioni germaniche saltarono letteralmente sul posto, per poi osservare con crescente terrore Italia Romano che si avvicinava a loro, senza abbassare il mitra.

<< Germania. Prussia. >> la cosa più inquietante era che, in tutto questo, Romano non aveva mai smesso di sorridere in un modo apparentemente cortese. << Ditemi, voi sapete quale è la condizione psicologica di mio fratello, vero? >>

<< Ehm, ja. >> risposero i due in coro, aggrappandosi con forza al divano.

<< E sapete che, negli ultimi tempi, Veneziano non ha fatto altro che stare male a causa dei vostri capricci, si? >>

I due non replicarono, ma abbassarono lo sguardo, evidentemente dispiaciuti.

<< E’ stato davvero male per voi. >> continuò il meridionale. << A volte non sapevo nemmeno come poterlo consolare per quanto stava male. Sul serio, a volte avrei voluto tanto andare da voi e riempirvi di piombo. >>

I due deglutirono pesantemente, aspettandosi il peggio – sfortunatamente, non avevano nulla con cui difendersi da un attacco che consideravano ormai certo e molto doloroso. Perciò, rimasero molto sorpresi quando Romano abbassò l’arma.

<< Tuttavia, devo anche riconoscere che quando sta con voi due, Veneziano è decisamente più rilassato. Inoltre, visto lo spettacolino di poco fa, deduco che il suo miglioramento nelle ultime settimane sia dovuto all’appianarsi della situazione tra voi tre. Quindi, ecco cosa farò. >>

Romano posò le mani sulle spalle dei due dopo aver poggiato l’arma vicino ad un tavolino.

<< Vi do la mia benedizione. >>

<< Eh? >> Germania e Prussia spalancarono gli occhi, stupiti.

<< Vi do la mia benedizione. Se stare con voi due vuol dire rendere felice il mio fratellino… E sia. >>

<<… Davvero? >> chiese sospettoso Germania, non del tutto convinto. Romano gli sorrise.

<< Ovviamente. >>

<< Q-Quindi… Non sei arrabbiato con noi? >>

<< Non tanto. Del resto, stavate per fare sesso sul mio preziosissimo divano in pelle col mio innocente fratellino. Se lo avreste macchiato, vi avrei come minimo decapitati. >>

Le due nazione teutoniche rabbrividirono, per poi sospirare, un po’ sollevati. Certo, era strano che Romano fosse d’accordo con quella eccentrica relazione, però già il fatto che non avesse tentato di castrarli non appena li aveva visti era un buon passo. E poi, avrebbero potuto stare con Veneziano. Che poteva esserci di meglio?

Romano sorrise, per poi prendere il mitra e le cariche e riporli dentro l’armadietto da cui gli aveva presi

<< Ah un’ultima cosa. >>

Una ventata di proiettili si abbatté sulle due nazione, sfiorandole di pochissimi millimetri. I due fratelli si abbracciarono d’istinto, tramando come foglie al vento mentre Romano gli lanciava uno sguardo raggelante, reso ancora più espressivo dagli occhi rossi come il sangue. Per la prima nella serata, aveva perso il suo sorrisetto.

<< Se vedo una sola lacrima sulle guance di Marco, giuro che vi troverò anche se voi doveste nascondervi al polo Nord. E vi giuro, sulla buon’anima di mio nonno, che infilarvi questo mitra in posti dove non batte il sole sarà il minimo che io vi possa fare una volta che vi avrò fra le mani. Chiaro? >>

<< J-Jawohl! >> esclamarono i due in coro. Romano gli guardò seriamente ancora per qualche secondo, poi quel sorrisetto sghembo tornò ad addolcire il suo volto.

<< E ora sparite dalla mia vista, imbecilli! >>

I due non se lo fecero ripetere due volte, e corsero il più fretta che poterono fuori dalla casa degli italiani. Non senza prima salutare Veneziano, che stava affacciato alla finestra dal primo piano, con le loro classiche smancerie, gesto che gli costò una nuova ventata di mitraglia contro le loro regioni vitali.

Ma, per amore, sarebbero stati disposti anche a sopportare un cognato come Romano.


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.... E' più corta di quanto pensassi...


FIN! Più o meno... mi stanno venendo certe idee per questo trangolino XD

Spero che la shot sia di vostro gradimento.

Alla prossima!!


PS: Al 50% la prossima dovrebbe comprendere di nuovo Romano. Se no... mi inventerò qualcosa XD
Rinnovo comunque l'appello: si accettano richieste. Chiedete e vi sarà dato!

 

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Capitolo 7
*** Mathematik ***


Aggiornamento anticipato, in quanto la prossima settimana non credo di riuscire ad aggiornare, in quanto dovrò recuperare tutto quello che hanno fatto all'università in questa settimana in cui sono stata a casa malata (qualcosa come millemila pagine di storia medievale e moderna, più la ricerca di appunti decenti per Geografia politica ed economica T_T, più la ricerca delle diapositive di storia moderna. Povera me ç_ç)

In questa fic affronteremo due temi che mi riguardano da vicino:

1)Il mio amore per la matematica (da notare la forte ironia)

2)Il fratello maggiore che cerca di insegnare la matematica al fratello minore (come mi suona famialiare .-. )

Vediamo coem se la caveranno Prussie e Germania, va!

 

Titolo: Mathematik

Personaggi: Prussia (Wilhelm Freiderich Beilschmist); Germania (George Joseph Beilschmidt)

Genere: Commedia

Avvertimenti: Nessuno

 

Enjoy!

 

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<< Allora, West. >> disse Prussia, mostrando alla piccola e neonata nazione una serie di biglie colorate dopo essersi seduto vicino a lui. << Oggi, cercherò di insegnarti la matematica. >>

<< Mathematik? >> chiese incuriosito il bambino, per poi gonfiare le guance paffute in una smorfia contrariata. << Ich mag est nicht mathematik! >>

<< Oh andiamo, non l’abbiamo nemmeno iniziata, non puoi già dire che non ti piaccia! >> replicò il prussiano, per poi inspirare profondamente – una maniera per poter far durare di più la sua già scarsa pazienza - e posizionare dieci delle piccole sfere davanti all’altro. << Allora, quante sono queste? >>

Germania sbuffò sonoramente, per poi osservare attentamente quei minuscoli oggetti sferici e iniziare lentamente a contarli sottovoce, per evitare che suo fratello sentisse un eventuale errore e lo correggesse - odiava quando gli si facevano notare i suoi sbagli.

Prussia sospirò, per poi guardare fuori dalla finestra, dove riusciva ad intravedere un cielo azzurro e limpido, uno spettacolo raro per i rigidi inverni tedeschi. Gott, che voglia di uscire a fare quattro passi! Se solo Germania si fosse sbrigato ad imparare le sue lezioni!

Era incredibile quanto quel ragazzino fosse pigro e svogliato: cercare di fargli coniugare i verbi era un’impresa impossibile; tentare di insegnarli un’altra lingua nemmeno a parlarne; e l’unica volta che aveva provato a fargli leggere qualcosa – le fiabe dei Fratelli Grimm, quindi neanche una lettura tanto impegnativa – si era ritrovato un ragazzino in piena crisi da capricci e il libro sfondato sulla testa.

Infondo, però, un po’ poteva capirlo il suo bruderline, visto che neanche a lui piacevano quelle noiose lezioni sulle materie classiche e scientifiche, specie quando fuori c’era un sole che spaccava le pietre e che riscaldava un po’ quella fredda giornata, il tempo ideale per andare a giocare con la neve che ancora ricopriva le colline della campagna. E poi, era da tanto che entrambi non uscivano: avrebbe preferito mille volte portare il piccolo a cavallo per le campagne piuttosto che insegnarli a far di conto.

Tuttavia, Otto* era stato categorico: Germania aveva bisogno di una buona educazione per diventare una nazione potente, scaltra e abile, e chi meglio di Prussia poteva fargli da maestro – in realtà, gli altri fratelli** avevano scaricato tutta la fatica sulle spalle del prussiano solo perché questo era arrivato tardi alla riunione per decidere chi dovesse prendersi cura del piccolo regno e, si sa, chi tardi arriva, male alloggia - ?

<< Allora, bruderline, >> disse la nazione teutonica, ridestandosi dai suoi pensieri quando si accorse che l’altro aveva quasi finito di contare, << quante sono le biglie? >>

<< … Acht… Neun… Zehn… Zehn! Sono dieci. >>

<< Gut! Sono dieci biglie. >> Almeno sapeva contare senza sbagliare, era un inizio. << Allora, oggi ti insegnerò le addizioni e le sottrazioni, sei contento? >>

<< Nein!!! >>

<< … >> Oh be’, almeno era sincero. << Comunque, iniziamo con le addizioni. Adesso, io aggiungo un’altra biglia. >> detto questo, Prussia prese dalla tasca un’altra piccola sfera e la posizionò vicino alle altre. << Le addizioni consistono nell’aggiungere un numero ad un altro numero, che diventerà la somma dei due precedenti. In questo caso, abbiamo un biglia che si aggiunge ad altre dieci biglie. Quante biglie ci sono in totale? >>

Germania rifletté per qualche istante, per poi aiutarsi a contare usando le manine. << Undici? >>

<< …Esatto! >> esclamò Prussia, ammirato dalla velocità con cui il suo fratellino aveva assimilato le nozioni. << Bravo! Ora, e se io ne aggiungo altre due, quante biglie ci sono? >>

<< Uhm… Tredici. >>

<< Esatto! >> la nazione prussiana era sinceramente colpita. Se Germania avesse continuato così, forse avrebbero avuto abbastanza tempo per andare fuori a giocare un poco. Magari, avrebbe anche potuto insegnargli a cavalcare, visto che erano giorni che il più piccolo lo perseguitava con questa richiesta.

Germania arrossì lievemente, soddisfatto per i complimenti ricevuti, ancora più gratificanti per il fatto che venivano dal suo fratellone. Poi un’espressione contrariata si formò sul suo volto quando osservò con più attenzione le piccole sfere colorate allineate sul tavolo.

<< Bruder? >>

<< Ja? >>

<< Ma queste sono le mie biglie? >> chiese il più piccolo, lanciando un’occhiataccia al maggiore dei due, il quale la guardò perplessamente.

<< Ehm be’- >>

<< Credevo di averle perse! >> si lamentò Germania, mentre due lacrimoni  iniziavano a formarsi sotto i suoi grandi occhi viola. << Le ho cercate dappertutto! >>

<< Ehi, a-aspetta- >>

<< Erano un regalo di *sniff* Fräulein Ungarn! Herr Bismarck *sniff*  si è pure arrabbiato con me perché *sniff* le ho cercate anche *sniff* in camera sua! >>

<< M-Ma io- >>

<< Invece le avevi prese tu! Sie sind schlecht, bruder! >>

Pianto isterico tra tre, due, un-

<< Ehi! Aspetta! Aspetta! N-Non piangere su! I-Io le ho s-solo r-rimesse al loro posto nel baule dei giocattoli, >> si giustificò il prussiano, ricordando quando, due giorni prima, era andato a svegliare il suo fratellino per andare a fare colazione e, nel buio che predominava nella stanza, non si era accorto delle biglie sparse sul pavimento, sulle quali era inciampato e per la cui causa per poco non si era rotto l’osso del collo, << e-erano dentro la scatoletta con le freccette! >>

Germania tirò sul naso, lanciando un’occhiata interrogativa a suo fratello.

<< L-La scatoletta c-con le freccette? >>

<< Si, quella con sopra disegnato il boschetto! Non le hai viste? >>

Dopo qualche attimo di silenzio, la piccola nazione arrossì di colpo, gonfiò le guance e voltò il capo dall’altra parte, ogni traccia di un possibile pianto isterico completamente scomparsa dal suo volto.

<< N-No, non c’erano! >> disse, incrociando le braccia davanti al petto.

<< …Non hai controllato, vero? >> chiese Prussia, e a giudicare da come il corpicino dell’altro si era teso, dedusse di averci azzeccato in pieno; sorrise esasperato, scompigliando i capelli biondo chiaro dell’altro. << Comunque, continuiamo con la lezione, dai. >>

Germania gli lanciò un’occhiataccia, per poi ritornare a dare attenzione alle biglie.

<< Allora visto che ha imparato così in fretta le addizioni, passiamo subito alle sottrazioni, >> disse il prussiano, per poi togliere una biglia dal mucchio, << in sostanza, il concetto è lo stesso delle addizioni, ma inverso: invece di aggiungere un numero, lo tolgo, come ho tolto la biglia. Ora, quante biglie hai? >>

Germania gli lanciò nuovamente un’occhiataccia, poi verso le palline di vetro, poi di nuovo verso di lui.

<< Andiamo, è facile, >> lo incoraggiò il maggiore, << dal tredici ne togli uno, rimane…? >>

<< Tredici! >>

<< … >> Forse quella cavalcata in campagna avrebbe dovuto attendere un altro po’. << Nein, bruderline. Se io tolgo una biglia dal mucchio rimango- >>

<< Tredici biglie! >>

<< Nein, ne rima- >>

<< Tredici biglie! >> urlò Germania, per poi mettersi in piedi sulla sedia e saltare addosso al fratello, tentando di prendere la piccola sfera di vetro che l’altro teneva in mano. << Non me ne ruberai altre! >>

<< M-Ma non te le ho rubate! Sei tu che non ti- AHI! Non tirarmi i capelli! Ugh, piccolo mostro!  Lasciami capelli! >>

Prussia, dopo vari graffi, pugnetti e pure un morso – certo che, per essere così piccolo, Germania aveva dei dentini davvero appuntiti – riuscì ad afferrare suo fratello per il colletto della camicia, a staccarlo dalla sua amata chioma biondiccia, e rimetterlo al suo posto.

<< Ascoltami bene, ragazzino, >> digrignò il prussiano, ansimando leggermente per la fatica, << adesso, tu mi dici quante maledette biglie rimangono dopo che ne ho levata una, chiaro!? Non ho intenzione di passare qui tutta la- >>

<< Te l’ho già detto, ne rimangono tredici! >>

<< Non possono rimanerne tredici! >>

<< Invece si! Poggia la mia biglia sul tavolo! >>

<< Prima dimmi quanto fa tredici biglie meno una biglia! >>

<< Fa tredici! >>

<< Non fa tredici! >>

<< Ja! >>

 << Nein! >>

<< Ja!! >>

<< Nein!! >>

<< JA!!! >>

<< NEIN!!! Oh verdammdt, West! Smettila di fare il testardo! >>

<< Sono tredici biglie. Le mie tredici biglie, e tu non me le puoi portare via! >> disse Germania, gonfiando le guance e incrociando le braccia davanti al petto, lanciandogli l’occhiata più raggelante che una nazione della sua età potesse fare.

Prussia sospirò. Non avrebbe potuto sopportare un intero pomeriggio in quella maniera!

<< Facciamo così: se tu fai il bravo, dopo ti insegno ad andare a cavallo. Ci stai? >>

Al sentire quella parole, la rabbia di Germania scemò in pochi istanti; speranzoso, si voltò verso il fratello. << Davvero? >>

<< Ja, però, fai il bravo, ok? Finiamo questa lezione e poi andiamo fuori. >>

Il più piccolo annuì con decisione, ma questo non rassicurò il prussiano, neanche un poco.

<< Allora, West. Se io prendo una biglia, quante biglie rimangono? >> chiese per l’ennesima volta.

<< Tredici. Perché io me la riprendo. >> e per l’ennesima volta, Germania gli diede la risposta sbagliata. Ma Prussia non era un tipo arrendevole: se il suo fratellino voleva giocare a chi era più testardo, be’, avrebbe trovato pane per i suoi denti!

<< Io nascondo la biglia. Quante bi- >>

<< Conosco il castello come le mie tasche, >> lo interruppe il più piccolo con fare da saputello, sorridendo furbescamente << quindi rimangono tredici, perché la ritroverò! >>

<< … >>

Calma Prussia. E’ un bambino. Solo un bambino. Un diavolo di bambino, ma comunque un bambino.

<< West, non fare finta di non capire. >> disse, molto lentamente, in modo da poter controllare le sue parole – non voleva che il suo fratellino sentisse delle parolacce: del resto, era così piccolo, ancora voleva conservarne l’innocenza - << Io tolgo una biglia. E te non puoi riprendertela in alcun modo, perché te lo impedirò. Quante. Biglie. Rimangono?! >>

Germania rimase in silenzio per qualche attimo, per poi sorridere il più innocentemente possibile.

<< Ovvio, ne rimarrebbero sempre tredici. Più il tuo cadavere. >>

<< … >>

 

 



Più tardi, quella sera…

<< Ho paura che mio fratello possa uccidermi. >> disse Prussia con voce incolore, per poi bere tutto di un fiato il liquore che aveva nel bicchiere.

<< Che te lo fa pensare, Prusse? >> chiese incuriosito Francia, mentre versava al suo amico teutonico dell’altro liquido alcolico. Spagna si limitò a voltarsi verso di loro, stranamente interessato.

<< A malapena sa contare, però già sa che se mi colpisce con qualcosa può farmi male. Ieri ha testato questa teoria cercando di infilarmi un coltello nel braccio. E oggi mi ha velatamente minacciato di morte. >> rispose, poggiando la testa su una mano e osservando con disinteresse il caos che regnava nel locale in cui si era dato appuntamento con i suoi due amici di vecchia data.

<< Tranquillo, mon amì! E’ troppo piccolo, probabilmente fa tutto questo con ingenuità. >> disse la nazione francese, sorseggiando il suo vino direttamente dalla bottiglia – e chi se ne frega delle buone maniere, no? – per poi dare un lungo tiro alla sigaretta che teneva tra le dita.

<< Non ne sarei così sicuro. Quella piccola peste è peggio del diavolo, ecco! >>

<< Prusia, è tuo fratello. >> disse Spagna con estrema calma, parlando per la prima volta in quella serata.

<< E con questo? >>

<< Pensi davvero che ti voglia morto? Ma dai! Non sa cosa vuol dire morire. Se lo sapesse, sono sicuro che al smetterebbe. >>

<< Prusse, Allemagne non ha neanche cinque anni! >> Francia non esitò a dar manforte allo spagnolo. << Ha tutto il tempo per evitare che diventi un tipo pericoloso, non? Anche se dubito fortemente che lo diventerà. >>

<< … Ma si, forse avete ragione. >> concluse Prussia, sorridendo, per poi bere un sorso di alcolico, decisamente sollevato. << Infondo, non può diventare uno psicopatico, maniaco, ossessivo, o chissà che altro, no? >>

 



Le ultime parole famose.




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Traduzioni:


Ich mag est nicht mathematik! = Odio la matematica

Fräulein Ungarn! = Signorina Ungheria

Sie sind schlecht, bruder! = Sei cattivo, fratellone!



*Otto Von Bismarck
: primo cancelliere nella storia della Germania, nonché importantissimo statista del XIX secolo. E' un personaggio che mi ha sempre fatto molta simpatia, e mi sono sempre immaginata come potesse essere il suo rapporto con Prussia XD. Non ci sarà un 2p!Bismarck, ma potrebbe ricomparire in futuro.

*I fratelli di Germania: prima che Prussia riunisse tutti quanti, il territorio che oggi forma la Germania era divido in tanti piccolo stati, staterelli, e città indipendenti, roba che lòa divisione dell'Italia prima dell'unificazione sembra una bazzeccola a confronto (basti pensare che si sono arrivati ad annoverare più di 300 stati indipendenti prima del 1871, anno dell'unificazione della Germania). Nelle strip, Himaruya ci ha fatto vedere che è stato Prussia ad prendere in mano la situazione e ad unificare tutti quanti; nel 2p, tutti hanno scaricato i problemi su 2p!Prussia XD. Logica inversa, insomma.


La prossima settimana l'aggiornamento non ci sarà, ma cercherò di recuperare. al 99% avrà come protagonista Romano (e il RomaBel, Lyu Chan sei avvisata XD).


Spero ce la shot vi sia piaciuta e, se vi va, lasciate un commentino-ino-ino, si? ^^


Bye Bye!

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Capitolo 8
*** Capelli e guai non mancan mai (parte 1) ***


Eccomi qui!

Allora, partiamo con un bel po' di spiegazioni:

1)Perdonate il ritardo, ma sono caduta in quello che fanno tutti gli studenti universitari: ho accumulato roba da studiare, e adesso  mi ritrovo con gli imminenti esoneri di storia contemporanea e geografia politica e senza aver studiato molto. Questi giorni sono serviti a cercare di recuperare un po' i programmi delle varie materie e, va da sé, il tempo per scrivere era poco. il che non è un bene: nonostante abbia completato una storia per un contest, ho la bellezza di 6 fanfiction da scrivere il prima possibili, tra i quali gli ultimi tre capitolo de "La sottile arte di farsi gli affari propri". E qui passiamo all'altro punto:

2)"la sottile arte di farsi gli affari propri" ha, ormai, la priorità assoluta! ho tutta la storia in mente, il problema è che, apparentemente, mi è impossibile riuscire a mettera su un foglio di Word! Quel poco tempo libero che non dedicherò allo studio sarà interamente dedicato a questa long. va da sè che la raccolta subirà dei fortissimi rallentamenti, e di quesot me ne dispiaccio parecchio.

3.1)La fic: l'ho divisa in due parti non tanto per la lunghezza ma perché avevo promesso la cadenza settimanale delle fic che, a quanto pare, non riesco a rispettare. La prima parte è questa; la seconda, tempo permettendo, arriverà tra altre due settimane.

3.2)Alcune precisazioni sulla fic:

- è collegata alla "Sottile arte di farsi gli affari propri", in quanto descrive quello che accade nel 2p!World tre-quattro mesi prima che la long-fic abbia inizio.

- tratta del mio OTP hetero hetaliano: il RomaBel. So che la coppia non è molto amata, ma inizate a farci l'abitudine: non sarà l'unica comparsa della coppia U_U

- la seconda parte credo verrà più lunga. E vi avviso: se credete che qui sono stata crudele con Romano... Non leggete l'altra parte XD

 

Titolo: Capelli e guai non mancan mai (parte 1)

Personaggi: Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas); Principato di Seborga (Marcello Vargas); OC! Città del Vaticano (Alessandro Medici-Vargas); OC!Repubblica di San Marino (Quirina Serravalle)

Paring: RomanoXBelgio

Genere: Commedia, Romantico

Avvertimenti: Het

 

Enjoy!

 

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Romano ispirò ed espirò profondamente, osservando prima la scatola con la tintura bionda per capelli, poi il rubinetto del lavandino che continuava a far scorrere acqua calda, poi di nuovo la scatola.

Era difficile. Molto difficile. Era la decisione più dura che avesse mai dovuto prendere nella sua vita.

Per molto tempo, Romano aveva odiato i germanici e la loro stirpe, non potendo guardare i loro tratti duri e loro colori chiari senza ripensare all’uomo che aveva ucciso suo nonno davanti agli occhi suoi e del suo fratellino tanti secoli fa, segnandoli per sempre; gli aveva evitati, combattuti solo se strettamente necessario, e reso il meno indispensabile possibile l’intrattenere con loro qualunque rapporto.

Eppure, da qualche tempo a quella parte, se sentiva la parola “germanico”, nel suo cuore non si accumulavano solo sentimenti spiacevoli, come la rabbia o la tristezza, ma anche un dolce calore e una gioia apparentemente inspiegabile.

E tutto questo aveva un nome, un piccolo, bellissimo, nome: Koninkrijk België.

L’italiano sospirò estasiato quando nella sua mente prese corpo la figura della nazione: il fisico formoso, le mani bianche e affusolate in grado di maneggiare con maestria qualunque arma da fuoco, i boccoli castani che cadevano dolcemente sulle spalle, il volto fine e delicato, la bocca rosata e la sua voce dolce, il sorriso affilato, e i suoi bellissimi occhi verde-acqua, limpidi come il fondo del mare.

Belgio, oh Belgio. Quanto era bella, la sua Belgio.

La sua Belgio che non sembrava, tuttavia, apprezzare le persone con i capelli scuri.

E qui veniamo al motivo per cui Romano stava ponderando se tingersi o meno la sua amata chioma corvina di un colore che detestava.

Ripensando a come era venuto a sapere dei gusti della nazione belga in fatto di capelli, però, ancora gli portava molti dubbi sia per quanto riguardava il suo stato di salute mentale, sia per pericolosità di quanto Paesi Bassi coltivava nel terrazzo della sorella – o, sarebbe meglio dire, di quella della magia di Inghilterra. Ma andiamo con ordine.

Tutto era iniziato due mesi fa: Belgio aveva organizzato una piccola festicciola per celebrare la firma dei nuovi trattati che avrebbero facilitato i commerci del continente europeo col resto del mondo, e aveva invitato una buona cinquantina di nazioni a casa sua, tra cui figuravano Romano, Inghilterra e Russia.

Il lettore si starà chiedendo perché evidenziare proprio queste tre nazioni tra le altre invitate: ebbene, capitò, ad un certo punto, che Inghilterra e Russia litigassero, in quanto il russo era deciso a non assaggiare i pasticcini dell’inglese, visto che in passato, dopo anche un solo morso, un buon numero di volte si era ritrovato a chiudersi in bagno in preda a forti dolori di pancia; ad Inghilterra, questo atteggiamento riottoso, dopo una giornata da dimenticare – tra gli eventi accadutigli:  Germania che lo aveva appeso per le mutande fuori dal Parlamento per aver salutato troppo calorosamente il suo Italia; un cane che lo aveva scambiato per una toilette; essersi preso in testa l’unico vaso che sporgeva dal terrazzo di Belgio; essersi strozzato con l’acqua davanti al suo America – aveva segnato il culmine della sua sopportazione, e aveva deciso di spedire Russia nel deserto del Sahara con la sua magia per farlo ‘sciogliere un poco’. L’inglese non aveva messo in conto che lo stress della giornata, più le tre bottiglie di birra bevute quella sera – è bene precisare che Inghilterra è quel tipo di persona dopo mezzo bicchiere di vino annacquato non si reggeva più in piedi per il resto della serata – la sua concentrazione non sarebbe stata al massimo, e che un eventuale incantesimo avrebbe rischiato di creare un disastro.

Risultato: Russia non andò nel deserto a sciogliere la sua rigidità; in compenso, avvenne un curioso quanto terrificante evento: se una delle nazioni specchiava su una qualunque superficie riflettente, quello che vedeva non era il suo aspetto, bensì quello di una persona che sembrava essergli incredibilmente somigliante. 
Insomma, come effetto secondario, per poco Inghilterra non fece venire un infarto a – letteralmente – mezzo mondo.

Per tutto il resto della serata quella specie di allucinazione non se ne andò, e si dovette aspettare la mattina seguente perché tutto tornasse alla normalità e far finire quell’incidente nel dimenticatoio. Ma, per Romano, il guaio era ormai fatto.


A metà serata, quando quello strano scherzo degli specchi era in pieno corso, gli capitò, mentre era in compagnia di Belgio, di passare davanti ad una finestra e osservare i loro riflessi modificati: un Romano dai capelli castani e dagli occhi dello stesso colore, e una Belgio bionda dagli occhi verdi, li restituirono uno sguardo tra l’intimorito e l’incuriosito.

<< P-Però, >> disse Romano, grattandosi nervosamente dietro la testa – un brivido gli percorse la schiena quando vide il suo riflesso fare lo stesso, << c-certo che è curioso, eh?  >>

<< Uh uh. >> rispose Belgio, stringendosi istintivamente al bracco della nazione mediterranea. << M-Molto curioso. >>

<< Be’, però… devo ammettere che bionda non sei male. >> disse, osservando il riflesso della belga, che faceva vagare nervosamente lo sguardo da destra a sinistra, come se li stesse guardando. << Anzi, il biondo ti dona parecchio. >>

Belgio si irrigidì, lanciando uno sguardo indecifrabile all’italiano. << P-Pensi che sarei più carina? >>

<< Sei già molto bella così come sei. >> precisò Romano, osservando lo speculare. << I capelli scuri ti donando decisamente di più. Non mi piacciono affatto le bionde. Mi ricordano troppo i germanici, e non mi stanno molto simpatici, sai? Anzi, se se ne potesse fare a meno sarebbe meglio. >>

Belgio abbassò lo sguardo a quelle parole, lasciando il braccio dell’italiano. << D-Davvero? >>

<< Be’ si. Sai, da picco- Belgio che hai? >> chiese Romano, notando solo in quel momento l’atteggiamento più mesto dell’altra, la quale aveva iniziato ad incamminarsi  verso la sala da pranzo.

La belga lanciò uno sguardo al suo riflesso, il quale sorrideva dolcemente verso l’altro Romano che, rosso come un pomodoro, se ne stava immobile a fissarla con sguardo imbarazzato e adorante. Si girò verso Romano, il suo Romano, sorridendogli debolmente.

<< Be’, anche il tuo speculare non è male. >> disse, riprendendo a camminare. << Solo che… >>

<< Che? >> chiese la nazione mediterranea, perplessa.

<< Non mi piacciono i ragazzi con i capelli castani. >> commentò Belgio, continuando a camminare senza aspettare l’Italia del Sud, che era rimasto imbambolato ad osservarla mentre si allontanava.


Ora, è da precisare che Romano non aveva i capelli castani, bensì neri, retaggio delle sue parziali origini arabe. Quindi, teoricamente, il commento di Belgio non avrebbe dovuto riguardarlo. Eppure, c’era stato un qualcosa nel tono di voce mesto e nello sguardo della belga che aveva profondamente colpito la nazione italica, come se, sotto sotto, quelle parole fossero rivolte anche – e soprattutto - a lui.

Ed eccome come l’Italia del Sud si era ritrovata chiusa in bagno, a far vagare nervosamente lo sguardo tra una scatola di tinta per capelli e l’acqua calda che stava lentamente riempiendo il lavandino.

Erano due mesi che Romano si tormentava con l’idea di aver in qualche modo offeso pesantemente Belgio . E il peggio era che non capiva  cosa avesse detto o fatto per averla fatta arrabbiare in quel modo – perché era dalla sera della festa che Belgio si comportava freddamente con lui, salutandolo senza quei caldi sorrisi che era solita donargli, o rivolgendogli la parola solo per il tempo necessario.

Romano aveva molti pregi: era un bel ragazzo, era sicuro di sé, aveva buon gusto e molto successo con le donne; era una nazione potente, un ottimo tiratore e rispettato e temuto da tutti. Eppure, il solo fatto che Belgio non fosse più gentile con lui era stato in grado di farlo ponderare su una decisione drastica come quella di tingersi i capelli di un colore che gli portava solo che brutti ricordi.

E perché avrebbe dovuto tingersi i capelli proprio biondi, poi? Magari, a Belgio piacevano i rossi, o le mèche, o addirittura i pelati! Se i biondi non le fossero piaciuti, sarebbe stato disposto a cambiare di nuovo per lei? Ne sarebbe davvero valsa la pena attuare cambiamenti così drastici solo per poter godere di nuovo del suo sorriso?

Romano sospirò, poco convinto. Fissò il riflesso dello specchio sopra il lavello: la carnagione olivastra del volto, gli occhi rossi e i suoi capelli neri come la pece. Non c’era nulla che non amasse di sé, in una maniera quasi vanesia. Eppure, un semplice commento di una ragazza era stato in grado di creare tutto quel trambusto.

I suoi pensieri vennero interrotti da un forte bussare e da una scocciata voce ancora impastata dal sonno.

<< Romano! >> urlò Veneziano. << E’ un’ora che stai chiuso lì dentro! Stai facendo l’amore con la vasca per caso? >>

<< Eh proprio! Io e la vasca non possiamo fare a meno l’uno dell’altra. E’ un’amante esigente, sai? >> ironizzò il Meridione, sorridendo quando sentì un forte sbuffo da oltre la porta.

<< Be’, dì alla vasca che potete continuare un’altra volta! Voglio farmi una doccia, maledizione! Ho un appuntamento con Giappone, sai che non gli piacciono i ritardi! >>

<< Si si, dammi solo cinque minuti. >> disse Romano, ascoltando  un altro sbuffo seguito dal passo veloce del suo fratellino mentre si allontanava. Sospirò nuovamente, per poi osservare la scatola nella sua mano.

Internamente, prese la sua decisione:

 

<< Ohi, Vene. >> San Marino sorrise dolcemente quando il Nord Italia entrò in cucina e si buttò su una sedia, sembrando quasi esausto nonostante si fosse appena alzato. La piccola nazione rise divertita, per poi mostrargli la moka appena presa dal fornellino. << Caffè? >>

<< Ti amo solo perché me lo hai offerto. >> rispose l’italiano, per poi sbadigliare sonoramente mentre la sanmarinese gli porse una tazzina piena di fumante caffè. Vaticano, seduto vicino a lui, continuò a sfogliare pigramente il giornale, mentre beveva qualche sorso del suo cappuccino.

<< Romano non ha ancora finito in bagno? >> chiese, senza distogliere lo sguardo dai fogli grigi.

<< No. Sta facendo l’amore con la vasca. >> sbottò Veneziano, ingurgitando il caffè in un solo sorso nel tentativo di darsi una svegliata, fallendo. Accidenti a Germania e alle sue telefonate notturne!

<< Ci sta mettendo più del previsto, stamattina, >> commentò Seborga mentre inzuppava un biscotto al cioccolato nel suo caffè-latte, << E’ un po’ di tempo che il fratellone si comporta in maniera strana. >>

<< E’ vero, >> convenne San Marino mentre prendeva posto vicino alla micro-nazione, sistemandosi dietro le spalle la chioma castana, << gli è successo qualcosa? >>

Veneziano non rispose, prendendo un biscotto e mordicchiandolo pigramente.

<< Non è buona educazione non rispondere ad una domanda, sai? >>

<< Vaticano, chiudi il becco! >>

Lo Stato della Chiesa sospirò mestamente, sistemandosi gli occhiali sul naso aquilino. << Siamo solo preoccupati per Romano. Non c’è bisogno di essere bruschi. >>

Veneziano sbuffò. << E’ dalla settimana scorsa che non fate che chiedermi sempre le stesse cose. Mi sono stufato, se permettete! >>

<< Io però continuo ad essere preoccupato per il fratellone, >> Seborga poggiò il mento sul tavolo, le labbra arricciate in una tenero broncio, << non è che sta male, vero? >>

<< Tsk, Romano malato! Ma non essere scemo, Seborga! >> disse Veneziano, versandosi un’altra tazzina di caffè e allungandola con il latte. << Se lui fosse malato, lo sarei pure io, no? Usa il cervello! >>

<< Ti fa male tutto quel caffè. Dopo diventi nervoso, più del solito. >> disse San Marino, preoccupata.

<< E’ solo la quarta tazzina. E non sono nervoso! >> replicò Veneziano, sorseggiando il caffè-latte con nonchalance, per poi aggiungere con rabbia: << Ma giuro che se Romano non esce da quel bagno entro dieci minuti, sfondo la porta e ce lo faccio annegare, nella vasca! >>

San Marino sospirò divertita, per poi prendere due biscotti e intingerli nel suo tè. << A che ora hai l’appuntamento con Giappone? >>

<< Alle nove e mezzo davanti al Colosseo. Devo fargli vedere degli scavi. >> rispose il Settentrione, per poi voltarsi verso Vaticano. << Ah, a proposito. Giappone voleva anche vedere la Cappella Sistina. Più tardi puoi firmarmi un permesso per saltare la fila? Non mi va di farmi tutta via della Conciliazione a passo di tartaruga. >>

Vaticano non rispose: la mano con la tazzina era rimasta a mezz’aria, l’altra lasciò scivolare il giornale sul tavolo; aveva gli occhi azzurri spalancati, la bocca aperta in un’espressione di muto orrore misto a sorpresa.

Incuriosite, le altre tre nazioni si voltarono nella direzione dove era fisso lo sguardo dello stato cattolico: Veneziano lasciò cadere la tazzina del caffè sul tavolo, la mascella di Seborga sfiorò terra per quanto era aperta dallo stupore, e San Marino sputò il sorso di tè bevuto poco prima.

Tutto questo clamore aveva un’unica causa: Italia Romano, il rappresentante del meridione del Sud del paese, tipico aspetto dell’uomo mediterraneo, aveva fatto il suo trionfale ingresso nella cucina con un sorridente << Buongiorno a tutti! >>,  mostrando un caldo sorriso e il suo nuovo completo di Versace, che comprendeva una camicia bianca, con sopra una cravatta rossa, e pantalone nero, in linea con la giacca che teneva sottobraccio. Nulla di anormale in questo; se non fosse per la biondissima chioma che aveva preso il posto dei suoi bellissimi capelli corvini.

Le quattro nazioni sedute al tavolo si scambiarono uno sguardo sconvolto, per poi tornare a fissarlo su Romano, che li osservava perplessamente senza perdere il sorriso cortese. << Allora, che c’è per colazione stamattina? >>

Accadde tutto in un attimo, il tempo per Vaticano e Veneziano di scambiarsi uno sguardo d’intesa: il Settentrione italiano prese il coltello per spalmare la nutella e se lo serrò tra i denti, per poi alzarsi e correre verso il fratello; velocemente, approfittando dello stupore dell’altro, si portò dietro di lui e lo buttò a terra, si mise seduto sulla sua schiena e lo afferrò sotto le ascelle, sollevandolo e tenendolo immobile.

<< C-Che- OUCH! Veneziano! Che stai combinando!? >> disse Romano, non accorgendosi di Vaticano che, armato di cucchiaio e tazza con caffè-latte, gli si era avvicinato con aria solenne. Seborga, nel frattempo, si era nascosto dietro San Marino.

<< Romanus. >> disse lo Stato della Chiesa, chiamandolo in latino. << Sei tu Romanus? >>

<< M-Ma che- Che storia è questa? Se è uno scherzo, non è affatto divertente! >> disse il Meridione, tentando di liberarsi dalla ferrea morsa del fratello, non riuscendoci.

<< Perché hai i capelli biondi? >> chiese Veneziano, prendendo il coltello e poggiandolo sul collo dell’altro.

<< Veneziano, attento! Mi sporchi la camicia! >> esclamò il meridionale, osservando con orrore la lama della sporca di nutella – e le macchie di nutella erano difficilissime da togliere, specie su una camicia come la sua.

<< Rispondimi! >>

<< Me li sono tinti. >>

<< E perché li hai tinti? >> chiese Vaticano, lo sguardo imperioso che celava perfettament euna certa nota di divertimento.

Romano gli lanciò un’occhiataccia.

<< Sono affari miei! Ora libera- >>

<< Mio fratello non si tingerebbe mai i capelli di biondo! >> disse il Settentrione, aumentando la forza della presa. << Non se li tingerebbe proprio i capelli! E’ troppo vanitoso per pensare di tingerseli! Perciò o sei un'altra persona o qualcuno ti ha fatto qualcosa! >>

<< V-Veneziano, non dire scemenze! Alzati, maledizione! >>

<< Romanus >> lo chiamò Vaticano con tono solenne, immergendo il cucchiaino nella tazzina. << Rispondi a Venetianus, ora! >>

<< Ma che vi siete bevuti questa mattina!? Mollami Veneziano! >>

L’Italia del Nord e Vaticano si scambiarono un altro sguardo d’intesa: lo stato cattolico prese il cucchiaino e lo scosse con forza, e alcune gocce marroncine andarono a posarsi contro il volto di Romano.

<< M-Ma che stai facendo, Vatica- >>

<< Esci da questo corpo! >> proclamò lo Stato della Chiesa, immergendo di nuovo il cucchiaino nel caffè-latte e ripetendo nell’operazione. << Esci da questo corpo! >>

<< M-Ma- AHI! >>
<< Non muoverti, demonio! >> urlò Veneziano, aumentando la forza della presa.

<< Esci da questo corpo! >>

<< Vaticano, smettila! >> esclamò Romano, infastidito dalle gocce che gli finivano negli occhi; il suo sguardo si posò poi sulla sua camicia, e notò le piccole macchioline marroncine sul tessuto candido. Il volto di Romano assunse lo stesso colore dell’indumento.

<< No! La camicia di Versace no! >> urlò, iniziando a dimenarsi con violenza. << La mia camicia nuova, no!!!!!! >>

<< Vade retro, Satana! >> urlò Vaticano, ripetendo l’esorcismo – se così si poteva chiamare – con il caffè-latte e il cucchiaino, improvvisati come strumenti purificatori. << Vade retro! Esci da quel corpo! Rinuncia a Satana, Italia Romano! Lascia che il Signore entri dentro di te! >>

<< No!!!! >> di disperò il meridionale, pensando ai soldi spesi per quell’indumento. << No! No!!!!! >>

<< Non sta funzionando, Vaticano! >> disse l’Italia Settentrionale, iniziando a trovare difficile il tenere fermo il fratello.

<< Mh! >> lo stato cattolico rifletté per qualche istante, per poi avvicinarsi a Romano e inginocchiarsi davanti a lui; immerse due dita nel caffè-latte e disegnò il segno della croce sulla fronte dell’italiano, mormorando una qualche preghiera esorcistica. << Esci da questo cristiano! Lascia che riporti la pecorella smarrita sulla buona strada! >>

<< Vaticano, fermo! Giuro che appena mi libero ve la faccio pagare per ogni centesimo speso per lquesto completo! >> disse Romano con voce roca – non era abituato ad urlare, visto che le sue corde vocali erano anche piuttosto sensibili - continuando ad agitarsi nella morsa ora più ferrea del fratellino.

Nel frattempo, San Marino e Seborga erano rimasti dietro il tavolo ad osservare la scena, il secondo nascosto dietro l’esile corpo della prima in cerca di protezione.

<< Sorellona? >>
<< Mh? >>

<< Che sta succedendo? Non capisco. >> mormorò la micro-nazione, sussultando nel momento in qui Romano lanciò un urlo disperato quando Vaticano lo benedisse versando tutto il caffè-latte - caldo - sulla sua testa, improvvisando una croce col cucchiaino e il coltello della nutella usato prima da Veneziano. << Perché Romano ha i capelli biondi? E perché Vaticano sta facendo un esorcismo col caffè-latte? >>

San Marino non rispose subito, osservando prima la disperazione dell’Italia del Sud e i sorrisini malcelati di Veneziano e dello Stato delle Chiesa. Poi sospirò, sorridendo leggermente.

<< Non cercare di capirli, Sebi. >> disse la nazione, carezzando dolcemente la chioma marroncina dell’altro. << Rischi di diventare scemo come loro. >>

 

 

Dopo essersi rifatto la doccia, cambiato la sua preziosissima camicia di Versace con una meno costosa – e meno bella -, tentato di dare una lezione a Veneziano e Vaticano senza sporcarsi di nuovo – fallendo, quindi era dovuto ritornare in camera sua e mettersene un’altra – Romano era finalmente pronto per rappresentare l’Italia al meeting che si sarebbe tenuto quel giorno nell’Urbe.

Arrivato davanti al palazzo del congresso, il Meridione inspirò a fondo, nervoso come lo era stato poche volte nella sua vita; ricontrollò per l’ennesima volta la chioma bionda fresca di tintura, sistemandosi i ciuffi fuori posto; infine, scese dalla macchina cercando di non far cadere preda del vento i numerosi fogli pieni di appunti sulla situazione finanziaria ed economica mondiale che gli sarebbero serviti quel giorno.

<< Avanti Romano. >> si disse l’italiano, mentre attraversava le enormi porte vetrate dell’edificio. << Andrà tutto bene. Sei bello, sei sexy, qualunque essere vivente ti muore dietro, sei un esperto di moda, sei un ottimo tiratore e adesso hai anche la tua nuova chioma bionda. Nulla può fermarti! >>.

Neanche era entrato nella sala riunioni, che subito gli occhi dei presenti si posarono su di lui; le reazioni furono diverse: Inghilterra sputò tutto il tè che aveva bevuto precedentemente, colpendo il povero Francia, la cui unica colpa era stata quella di sedersi davanti a lui; America si strozzò con l’hamburger di soia; Canada, che stava pulendo i suoi occhiali, li lasciò cadere a terra; la mascella di Spagna, dallo stupore, toccò terra, e destino simile toccò alle bocche di Germania e di Paesi Bassi; Cina e Corea lasciarono cadere le tazzine con dentro le tisane che stavano bevendo, e il cui contenuto – bollente, molto bollente – andò a finire sulle loro gambe; e le reazioni del resto delle nazioni non furono di molto diverse – con più o meno imprecazioni a seconda di cosa si erano versati addosso e quello che avevano rotto.

Romano si guardò intorno, leggermente intimorito, ma durò pochi istanti: subito sorrise educatamente, salutando tutti con un pacato: << Buongiorno a tutti. >> prima di mettersi seduto tra Spagna – che ancora non aveva chiuso la bocca – e uno sconvolto Australia, che si allontanò di qualche metro con cipiglio vagamente disgustato.

<< Buongiorno, Spagna. >> salutò la nazione italica, per poi sorridere al suo vecchio padrone. << Come va la vita? >>

<< T-Tu. >> mormorò sconvolto lo spagnolo, indicando la bionda chioma sulla testa del suo pupillo. << Q-Que… I tuoi capelli… >>

<< Uhm, oh, questi? >> chiese con nonchalance, tirandosi indietro la frangia. << Be’, mi andava di cambiare un po’ stile. >>

<< Ma tu… moro… tu… biondo… >>

Romano rivolse un’occhiata preoccupata alla nazione iberica, che continuava a mormorare frasi sconnesse senza di distogliere lo sguardo dai suoi capelli. Agitò una mano davanti agli occhi marroni dell’altro, cercando di farlo tornare in sé, ma la voce di Russia che annunciava l’imminente inizio del meeting lo costrinse a dedicare maggiore attenzione alle stime sulle crescita delle imposte statali.

Brevemente, cercò la famigliare chioma castana di Belgio tra le varie nazioni. La trovò mentre conversava sottovoce con Ungheria, sorridendo ogni tanto. Non sembrava aver notato il drastico cambiamento si suoi capelli.

Romano sbuffò, per poi sorridere malignamente. Non era certo detta l’ultima parola. Infondo, lo aveva già deciso: quel giorno non sarebbe tornato a casa senza aver riconquistato la sua amata nazione belga!




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Non ho la più pallid aidea di come potrebbe essere un preghiera esorcistica, quindi chiedo scusa in anticipo per la poca aderenza alla realtà ^^


Spero che questa prima parte vi sia piaciuta!

E ora, "Sottile arte di farsi gli affari propri": A NOI!

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Capitolo 9
*** Capelli e guai non mancan mai (parte 2) ***


Fiuuuuu.... Finalmente è nata la seconda parte! Non è venuta esattamente come mi aspettavo, ma spero che vi possa strappare qualche risata ^^

Rinnovo, inoltre, l'avviso che la raccolta sarà rallentata fortemente fino alla fine de "La sottile arte di farsi gli affari propri"! Non sospesa, solo rallentata: ossia, niente aggiornamento settimanale.

Bene, ora, veniamo alla presentazioni, perché qui comaprirano una miriade di personaggi

 

Titolo: Capelli e guai non mancan mai (parte 2)

Personaggi: Italia Romano (Matteo Vargas); Belgio (Laura Magritte); Danimarca (Søren Densen); Paesi Bassi (Christian van Dyk); Italia Veneziano (Marco Vargas); Germania (George Joseph Beilschimidt); Inghilterra (Oliver Kirkland); Francia (Jean Baptiste Bonnefoy); Spagna (Francisco Carlo Carriedo)

Genere: Commedia, Romantico

Avvertimenti: Het

 

Enjoy!


PS: Il nome di Paesi Bassi è completamente, inventato da me (1!p Paesi Bassi di solito lo chiamo Kaspar); 'Laura' è un nome suggerito da Himaruya stesso come possibile nome di Belgio, mentre il suo cognome deriva René Magritte, uno dei più importanti pittori belgi; 'Søren' è il nome di Kirkegaard, il più famoso filosofo danese (e che ha pesantemente influenzato la caratterizzazione di 2p!Danimarca), mentre il cognome 'Densen' è stato suggerito da Himaruya come possibile cognome di Danimarca.

 

 

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Dopo due ore passate a vedere Russia e America che litigavano pure su quale fosse la giusta dose di zucchero da mettere nel caffè,  sopportato Germania che non faceva altro che chiedergli il motivo per cui Veneziano non fosse venuto – anche quando aveva iniziato a dare di matto perché il suo Lieber aveva un appuntamento con Giappone, a sua insaputa - e i vari sproloqui di varie nazioni in preda alla noia, era finalmente arrivata la prima ed unica pausa della giornata.

Romano inspirò a fondo, si ricontrollò la neo-bionda chioma e, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi, percorse a grandi falcate la poca distanza che lo separava dalla sua preda. Belgio, infatti, si trovava vicino ad una delle grandi vetrate della sala comune, e stava parlando amichevolmente con il solito depresso Danimarca.

<< Belgio, Danimarca, come va? >> chiese l’italiano una volta avvicinatosi a loro, ignorando la rabbia crescente per l’eccessiva – a suo dire – vicinanza tra le due nazioni. Belgio gli sorrise - un po’ forzatamente, gli parve - mentre Danimarca si limitò ad alzare il braccio in segno di saluto.<< Hej, Romano. >>

<< Allora, di cosa parlavate di bello? >>

<< Oh, nulla di speciale. Belgien mi stava consolando dalla tristezza per questa vita piena di dolore e paure che è di noi nazioni, e degli esseri umani in generale*. >> disse il danese, per poi sospirare pesantemente e bere un sorso del suo caffè. << Ma non parliamo di queste nostre tristi vite, oggi voglio essere allegro. Dimmi Romano, come mai questo cambiamento? >>

<< Ti riferisci ai miei capelli? >> chiese il Meridione, passandosi una mano nella folta chioma un tempo mora, e lanciando un’occhiata a Belgio, la quale lo stava osservando con un certo interesse. << Be’, avevo voglia di un cambiamento. E ho pensato che tingermi e capelli potesse esse- >>

<< Deve essere accaduto qualcosa di veramente grave per apportare un cambiamento di queste dimensioni. >> disse Danimarca, guardando Romano con un misto di preoccupazione e compassione.

<< Ma no! Mi andava solo di- >>

<< Non mentire, te lo si legge in faccia che hai avuto una brutta esperienza, come è logico che sia. La vita non ci riserva che brutte esperienze, del resto! Oh, Romano! Qualunque cosa che ti sia accaduto non ti abbattere! Certo, al dolore non possiamo sfuggire in alcun modo, ma non dobbiamo lasciarci sconfiggere! Se hai ritenuto necessario tingerti i capelli per superare i tuoi problemi, allora sappi che condivido la tua scelta. >>

<< … Grazie? >>

<< Du er velkommen! So di non essere una persona positiva, ma per qualunque cosa io sono qui, >> Danimarca poggiò le mani sulle spalle dell’italiano, fissando i suoi occhi neri in quelli dell’altro. << chiaro, Romano? >>

<< … Si. Grazie… Danimarca… >>

<< Godt, >> la nazione nordica sorrise debolmente, evidentemente soddisfatto per aver fatto una buona azione, << ora, vi prego di scusarmi, ma vedo che tra Finland e Sverige sta per scoppiare una rissa, e ho il dovere di fermarli prima che coinvolgano tutta la sala riunioni. >>

<< Certo. >> disse Romano con un sorriso un po’ titubante, salutandolo. Belgio sorrise al danese, per poi rivolgersi alla nazione italica.

<< Allora, Romano, >> disse, incrociando le mani dietro la schiena. << come mai questo cambiamento così radicale? Danimarca ha per caso ragione? >>

<< Be’, qualcosa è accaduto, ma non di così drammatico, >> rispose l’italiano, appoggiandosi al muro, rivolgendo il suo sorriso migliore all’altra nazione. << volevo cambiare un po’ stile, sai com’è. >>

<< Sempre al passo con la moda dell’ultimo momento, eh? >> disse la belga, ghignando leggermente. Tuttavia, Romano riusciva ad avvertire tutto il disagio dell’altra, come se la sua presenza le recasse… fastidio?

<< Detto così mi offendi. Sembro una sorta di pecora che si aggrega al gregge. >>

<< Sono dispiaciuta che tu abbia interpretato in questo modo le mie parole, >> mormorò Belgio abbassando lo sguardo, << volevo solo sottolineare la tua passione per la moda. Sei sempre stata una persona originale, e questo tuo nuovo stile nei capelli mi incuriosisce. Tutto qui. >>

Nel tono usato da Belgio si potevano cogliere moltissime sfumature: una certa stanchezza, più dovuta alla riunione che ad altro; un po’ di ironia, ma questa era una sua caratteristica tipica; anche un po’ di esasperazione. E fu quest’ultima nota che toccò profondamente Romano, il quale non poté non pensare di stare recando una seccatura all’altra nazione. Si sentì vagamente oltraggiato per questo.

<< Sicuro che la moda sia l’unico motivo per cui ti sei tinto i capelli? >> chiese Belgio, lanciandogli un’occhiata indecifrabile.

<< Assolutamente. >> disse l’italiano, per poi prendere dalla tasca delle monete e mostrarle alla belga. << Posso offrirti un caffè? >>

<< A dire il vero- >>

<< Romano? >>

Il sopracciglio dell’italiano ebbe un violento spasmo, mentre con tutta la calma possibile si voltava verso Germania, il quale, mal celando una rabbia crescente, gli stava porgendo il proprio telefono. << Italien ti vuole parlare. >>

<< …G-Grazie mille, Germania.  >> disse il Meridione, prendendo l’apparecchio telefonico e avvicinandolo all’orecchio. << Pronto, fratellino? Che è- >>

Mai come quel giorno si pentì di aver risposto ad un cellulare.

<< ITALIA ROMANO! PERCHE’ CAZZO NON RISPONDI AL MALEDETTO CELLULARE, PEZZO DI IDIOTA!?!?! >>

Veneziano, da piccolo, era un eccellente soprano. In quel momento, nonostante crescendo la voce gli si fosse abbassata notevolmente, stava dando prova delle sue antiche doti canore, e a farne le spese era il povero orecchio sinistro di Romano.

<< F-Fratellino, c-che è- >>

<< SONO DUE ORE CHE TI CHIAMO! PERCHE’ NON RISPONDEVI!?! >>

<< Ero in riunione, fratellino. E comunque, che cosa è succes- >> provò a dire, ma evidentemente, quel giorno doveva essere il “Interrompi Romano mentre parla-day”.

<< Hai lasciato un macello in bagno, stamattina! San Marino me ne sta mandando di tutti i colori, e Vaticano non mi ha firmato il permesso per saltare la fila, e mi sto facendo tutta la maledetta via della Conciliazione IN FILA!!! Tutto a causa tua! >>

<< E che vorresti da me? >>

<< Un minimo di scuse! Tu non capisci che vuol dire stare in fila, sotto il sole, con almeno quaranta gradi di temperatura, con Giappone che ti guarda malissimo e che sta per cadere a terra a causa del caldo! Senza contare il cazzo di vento che mi ha fatto volare il cappello, e per cui ho perso il posto in fila, quindi adesso la sto rifacendo dall’inizio! CHIEDIMI ALMENO SCUSA!!!!!! >>

<< Ok ok, mi spiace, ok? Ora scusa ma ho da fare, eh? Ci vediamo stasera. >>

<< Ci vediamo stasera?! Italia Romano, non azzardarti ad attaccarmi il telefono in fac- >>

Il Meridione, nonostante sapesse che una volta arrivato a casa avrebbe pagato caro quel gesto, premettere il tasto di fine chiamata e riconsegnò il cellulare a Germania, il quale, nero in volto, prese l’apparecchio e se lo infilò nella tasca con stizza, prima di voltarsi ed andarsene via. Brutta bestia la gelosia, specie se patologica come quella che affliggeva il tedesco.

Romano sospirò, per poi voltarsi verso Belgio… Solo per vedere che la nazione fiamminga se ne era andata!

L’italiano rimase a fissare il posto dove prima c’era la belga per qualche minuto, troppo allibito per poter fare qualunque cosa, mentre dentro di lui la rabbia ribolliva, alimentandosi con la delusione e un certo senso di pentimento per aver rovinato i suoi capelli con quel colore biondaccio che tanto odiava per una ragazza che gli aveva appena dato il due di picche. Si massaggiò le tempie, cercando di riprendere il controllo di sé. Del resto, aveva ancora tutta la mattinata davanti, ci sarebbero state altre occasioni per poter parlare con lei. Si, non doveva essere pessimista.

Con rinnovata fiducia, Romano iniziò a guardarsi intorno, cercando di individuare la sua preda che, evidentemente, doveva essere uscita dalla sala per prendere quel caffè che prima voleva offrirle.

Velocemente, si diresse verso le macchine di erogazione delle bevande, dove trovò la solita fila di nazioni in attesa di poter introdurre nel proprio organismo un po’ di caffeina che potesse tenerli svegli per le successive tre ore. La nazione italica si guardò attentamente intorno, ignorando gli sguardi incuriositi che erano rivolti alla sua chioma dorata.

<< Romano? >>

L’interpellato interruppe la sua ricerca per rivolgersi ad un apparentemente molto interessato Paesi Bassi.

<< Si, dimmi. >> disse, sorridendo educatamente all’altra nazione.

<< Hai per caso visto België? Dovevamo vederci nella pausa, ma non l’ho vista. >>

Ah, ecco perché Belgio era andata via! Allora non le stava dando fastidio: doveva solo fare  in fretta per vedersi col fratello! Ah, che sollievo!

<< No. A dire il vero la stavo cercando anche io, e speravo che mi potessi dire dove fosse. >>

La nazione olandese si portò una mano al mento, pensieroso. Dove poteva essere sua sorella? Dovevano discutere di argomenti anche piuttosto importanti, ed era strano che non si fosse presentata. O era in ‘quei giorni’ o doveva aver voglia di rimanere sola.

<< Be’, se la vedi, potresti dirle che l’aspetto davanti all’ingresso della sala comune, prima della fine della pausa? >>

<< Certo. >> Romano sorrise cortesemente, e fece subito per andarsene, ma l’olandese, non riuscendo a trattenere la propria curiosità, non poté non fargli la domanda che lo attanagliava da quando lo aveva visto entrare quella mattina.

<< Romano, ma che hai fatto ai capelli? Denemarken non fa che dire che ti è successo qualcosa di grave, che ti ha sconvolto al punto di farteli tingere. E’ vero? >> chiese con una nota di preoccupazione, poggiando una mano sulla spalla dell’altro.

<< Ma no, sai come è fatto Danimarca, tende sempre ad esagerare.  >>

<< Non hai niente, quindi? >>

<< No, nulla. >> se non si conta la sensazione di un cuore spezzato che lo attanagliava da settimane, si intende.

<< Sicuro? >>

<< Certo. >> rispose Romano, continuando a sorridere. Tuttavia, Olanda non sembrava affatto convinto da quella verità ma, intuendo che l’altro non volesse parlarne, decise di lasciar correre, per questa volta.

<< … Ok. Sappi comunque, che se hai bisogno di parlare- >>

<< Sto bene, >> ma perché tutti interpretavano una maledetta tinta come un atto autolesionistico!? << volevo solo cambiare un po’ stile, davvero. >>

<< Be’, non ti stanno male. Dovresti tingerti anche le sopracciglia, però. >>

<< Si, a quello ci penserò quando sarò a casa. Stamattina ho avuto alcuni… incidenti che mi hanno pesantemente rallentato, e non ho avuto tempo per sistemare anche le sopracciglia. Sarà la prima cosa che farà una volta tornato a casa. >>

Paesi Bassi annuì, per poi donargli un sorriso incoraggiante e allontanarsi, seguito dallo sguardo attento del Meridione che, una volta solo, sospirò pesantemente, massaggiandosi le tempie. Perfetto: conoscendo la loquacità di Danimarca, probabilmente tutti pensavano che avesse un qualche tipo di crollo psicologico in corso, a quest’ora. Semplicemente perfetto.

Romano inspirò a fondo, per poi voltarsi; per poco non gli venne un infarto quando si ritrovò davanti Inghilterra e Francia, il primo visibilmente preoccupato e con in mano un scatolina contenente biscotti con gocce di cioccolato, il secondo con la perenna smorfia smorta sul volto meno accentuata.

<< Romano, >> la nazione britannica gli porse con estrema gentilezza i dolci, sorridendogli comprensivo. << oh, Romano, sono così dispiaciuto. >>

<< Per cosa? >> chiese cautamente Romano, prendendo il piccolo contenitore.

<< Denmark ci ha detto tutto, >> continuò l’inglese, << abbiamo saputo delle tue condizioni, e sappi che farò tutto quello che è in mio potere per aiutarti! >>

<< … Inghilterra sono commosso, ma non ho bisogno di aiuto, te lo assicuro, non ho niente. >>

<< La solita frase che dicono tutti, >> disse Francia, poggiando una mano sulla spalla dell’italiano in un gesto quasi di empatia. << recentemente, non abbiamo avuto un gran rapporto, ma sappi che sono sempre pronto ad aiutare i miei fratellini. >>

<< Francia, ti assicuro che sto bene. >>

<< Sei molto tenero a dire questo per non farci preoccupare, Romano, >> Inghilterra sorrise dolcemente, << ma siamo seri, vogliamo aiutarti. Avanti, dicci quale è il problema. >>

<< Sul serio, non c’è nessun problema. E ora perdonatemi, ma devo assolutamente trovare Belgio, dobbiamo discutere di una cosa molto importante. >> disse l’italiano, fingendo un sorriso mentre scostava la mano di Francia dalla spalla. Quest’ultimo la guardò perplesso per qualche attimo, per poi sorridere furbescamente.

<< Ah, tout est clair, maintenant. >>

<< What? >> chiese ingenuamente Inghilterra, non capendo a cosa la nazione francese si stesse riferendo. Quest’ultimo ghignò divertito, per poi prendere per mano la nazione britannica e dirigersi verso America e Russia, apparentemente sul punto di far scoppiare un conflitto mondiale perché non sapevano decidersi su cosa fosse più buono tra il cappuccino e il caffè macchiato – tutto questo dopo aver augurato buona fortuna a Sud Italia; questi scosse la testa come tanti altri che stavano assistendo alla scena, avvilito dalla stupidità delle due nazioni considerate le più ‘forti del mondo’ – primeggiavano in quasi ogni campo: esportazioni, importazioni, armi, diplomazia, sistemi economici, stupidità; soprattutto stupidità.

Ma non era tempo di pensare a questo; Romano ricominciò la sua ricerca, tenendo sotto controllo l’orologio, il quale lo avvertiva che tra dieci minuti sarebbe ricominciata la riunione. Se avesse aspettato la fine del congresso, probabilmente non avrebbe avuto la possibilità di parlare con Belgio, visto che essa doveva tornare immediatamente a casa sua a causa di alcuni questioni interne assieme a Paesi Bassi; quindi, aveva quei pochi minuti rimastigli della pausa per riuscire a far pace.

Apparentemente, comunque, la nazione fiamminga non si trovava nella sala comune, e certo non poteva essersi allontanata dal palazzo con il rientro imminente; rimanevano da controllare il balcone all’ultimo piano e il giardino al piano terra. Conoscendola, tuttavia, probabilmente Belgio si trovava all’ultimo piano, intenta forse a fumare in solitudine - al massimo, poteva essere in compagnia di Ungheria, che poteva liquidare con una piccola bugia su quando Austria la stesse cercando, quindi non era affatto un problema.

Senza perdere tempo, si diresse verso l’ascensore, pensando di riuscire a fare prima per raggiungere la sua amata. Appunto, pensando.

<< Romano, proprio te cercavo! >> esordì Spagna, non appena la porte dell’ascensore si aprirono e poté vedere la sua ex-colonia in tutto il suo nuovo, biondo splendore. << io e te dobbiamo fare quattro chiacchiere. >>

<< Ehm, non ora, Spagna, >> disse l’italiano con voce un poco malferma – non poteva farci nulla, stare davanti alla nazione spagnola  gli dava sempre una strana sensazione di vertigine, un misto tra timore e rispetto che lo soffocava ogni volta che si trovava al cospetto del suo ex-padrone, << devo assolutamente trovare Belgio e- >>

<< Belgica può aspettare. >> disse l’altro con tono che non ammetteva repliche. Preso per mano il Meridione, che invano tentava di liberarsi, lo trascinò fino alla porta d’ingresso della sala riunioni, per poi fronteggiarlo inchiodando gli occhi grigio-verdi in quelli rossi dell’altro.

<< ¿Qué es esto? >> chiese, indicando i capelli tinti.

<< N-Nulla, >> rispose Romano, sentendosi improvvisamente messo in soggezione, come quando era piccolo e la nazione spagnola lo guardava dall’alto in basso dopo che aveva combinato un guaio. << volevo solo cambiare un po’, ecco tut- >>

<< Non rifilarmi certe cazzate. >> ecco, stava dicendo parolacce: brutto segno! << Ti conosco. Avanti, sputa il rospo! >>

<< Non è nulla, sul serio. >>

<< Romano… >> il tono di voce si era abbassato pericolosamente. Brutto segno.

<< Sul serio, non ho niente. >>

<< Romano… >> gli occhi dello spagnolo si assottigliarono, fino a farli diventare due lame grigie e inquietanti. Altro brutto segno.

<< Sto bene! >>

<< Matteo Vargas… >> ecco, lo aveva pure chiamato per nome. Si stava avvicinando il punto di non ritorno.

<< Cielo, Spagna! Sto bene, lo giuro! >>

<< Davvero? Dinamarca sembra pensarla diversamente. >>

Quel giorno, a forza di avere spasmi, il sopracciglio di Romano avrebbe preso vita propria. << Che cosa ha detto Danimarca? >>

<< Dice che sei in  depressione. >> rispose Spagna, non cogliendo la crescente irritazione del più giovane, << che ti è accaduto qualcosa di grave e che tingerti i capelli è stato un modo per poter dimenticare quanto accaduto. >>

<< … Be’, non è vero, >> rispose con calma l’italiano, un sorriso tremante sul colto bronzeo, << volevo solo vedere come stavo con i capelli tinti, ecco tutto. >>

<< Ah, quindi è un modo per seguire la moda. >> disse l’iberico, senza nascondere una certa nota di disgusto.

<< No, >> rispose Romano, sentendosi pesantemente offeso, << non centra nulla la moda! E ora, scusami, dovrei proprio and- >>

<< Un motivo deve esserci.  Uno non si alza la mattina e decide di tingersi i capelli così, tanto per. >> affermò Spagna, incrociando le braccia davanti al petto e osservando con crescente irritazione la sua ex-colonia. Quel giochetto dei “no” lo stava seriamente iniziando a stufare.

<< Per l’ultima volta, Spagna. Non ho nulla! E anche se avessi qualcosa, a te che importerebbe? >> chiese il Meridione, scuro in volto. Non gli piaceva la piega che stava prendendo quella situazione; e poi, doveva assolutamente trovare Belgio, mancavano ormai pochi minuti prima che ricominciasse la riunione.

<< Mi interessano gli affari delle mie proprietà. >> disse lo spagnolo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Romano, tuttavia, gli lanciò un’occhiata che chiunque altro avrebbe trovato raggelante.

<< Io non so più un tuo possedimento Spagna. >> disse il Meridione con voce bassa e ferma, gli occhi rossi emananti scintille.

<< Ufficialmente no. >> ammise l’iberico, senza tuttavia sembrare minimamente contrariato, << ma, nel bene e nel male, non ho mai smesso di influenzare i miei possedimenti, no? C’ho conta anche te. Nominalmente non lo sei più, è vero, ma alla resa dei conti, sei ancora totalmente dipendente da me**. >>

Durante questo piccolo discorso, Spagna aveva avvicinato il volto a quello di Romano, senza interrompere il contatto visivo nemmeno per un secondo. Normalmente, dopo un po’, l’italiano avrebbe abbassato lo sguardo, vagamente intimorito; quel giorno, però, Romano seppe fronteggiarlo a dovere, sfoderando un coraggio che non aveva mai avuto quando si trovava di fronte l’iberico.

<< Ti consiglio di leggerti un libro di storia, Spagna. Sono 151 anni che io non mi affido più a te nemmeno per errore. E ora, perdonami, ma non ho tempo per sentire i tuoi discorsi insensati riguardo diritti di proprietà che non hai più da molto tempo su di me, ho cose ben più importanti da fare. >>

Questa volta, fu il sopracciglio di Spagna ad avere uno spasmo, anche se lieve, e Romano intuì di aver appena sorpassato un limite che non doveva neanche sfiorare o anche solo vedere dal lontano. L’iberico fece per alzare una mano, ma la decisa presa sul suo polso gli impedì di prendere a schiaffi quell’indolente della sua ex-colonia.

<< Espagne, mon amì, >> disse Francia, ghignando leggermente, mentre abbassava il braccio dell’amico con un po’di difficoltà, << ti stavo cercando, sai? >>
<< Davvero? >> chiese perplesso lo spagnolo, sussultando leggermente quando due mani premettero con insistenza sulle sue scapole, in modo da poterlo voltare dalla parte opposta a Romano e spingerlo verso al sala riunioni.

<< Yes, Spain, >> disse Inghilterra, sorridendo cortesemente, mentre spintonava l’iberico, << abbiamo delle questioni molto importanti da dover discutere, sai? Fortuna che ti abbiamo trovato! >>

<< M-Ma- >>

<< Niente ma! Andiamo a prendere posto, su! >> disse Francia, per poi voltarsi verso Romano e fargli l’occhiolino. L’italiano annuì leggermente, per poi correre verso l’ascensore e premere con forza il tasto che lo avrebbe portato all’ultimo piano.

 

L’apparecchio saliva lentamente,  e la nazione italica si ritrovò ad essere sempre più nervosa, mentre osservava i numeri che indicavano il piano scorrere velocemente sul display.  Fino a quel momento non ci aveva pensato, ma come poteva chiederle scusa? Era certo di averla offesa, ma non sapeva neanche cosa avesse detto o fatto per farla arrabbiare: se fosse andato da lei e le avesse chiesto scusa senza però neanche sapere perché si stesse scusando, avrebbe solo che peggiorato la situazione, poco ma sicuro.

Romano si portò una mano al mento, riportando la memoria a quell’infausta serata di due mesi fa e ripercorrendola passo per passo in cerca di un possibile indizio che gli dicesse cosa avesse sbagliato; ma più ci rifletteva, e non riusciva a venirne a capo. Perfino per un donnaiolo come lui la mente femminile rimaneva un mistero insondabile.

Di colpo, vedere Belgio non gli sembrava più un’idea tanto appetibile – l’aveva vista arrabbiata una sola volta, e gli era bastato per tutta la vita!

Le porte metalliche si aprirono, mostrando la bellezza del terrazzo del palazzo del Congresso, che dava direttamente sulla parte antica di Roma.

L’Italia del Sud inspirò profondamente, per poi guardarsi intorno. Apparentemente, non c’era anima viva su quel terrazzo; si avvicinò all’ormai consunto filo metallico situato sopra il muretto e vi si appoggiò, un misto di sollievo e frustrazione ad appesantirgli il petto.

La riunione sarebbe ricominciata di lì a pochi minuti, non sarebbe mai riuscito a parlare con Belgio. Questo voleva dire come minimo un altro mese senza avere la ben che minima possibilità di chiarirsi e far pace; senza contare i suoi maledetti capelli, ormai biondi per almeno tre settimane senza alcuna possibilità di ritorno.

<< Maledizione! >> esclamò, dando un calcio ad una pietra lì vicino, << devo assolutamente parlarle! >>

<< Parlare a chi? >>

Romano sobbalzò leggermente, per poi voltarsi di scatto; il suo cuore si fermò per qualche istante, prima di tornare a battere furiosamente: davanti a lui, Belgio gli sorrideva carinamente, le mani dietro la schiena e l’aria più innocente del mondo sul volto chiaro.

<< … Con chi devi parlare? >> chiese la nazione fiamminga, avvicinandosi a lui lentamente; sembrava irritata, forse per essere stata disturbata in un momento di sana solitudine, ma anche piuttosto incuriosita da quell’atteggiamento anomalo che stava tenendo l’Italia del Sud quel giorno.

<< Ecco, >> dopo un primo attimo di smarrimento, Romano ritrovò la fiducia in se stesso e, sorridendo a sua volta,  intrecciò le braccia davanti al petto, << cercavo proprio te. E’ tutta la pausa che non fai che sfuggirmi. Credevo quasi che volessi evitarmi. >>

<< E’ vero. >>

L’italiano spalancò gli occhi, sorpreso, e anche un po’ ferito. Belgio non sorrideva più adesso, e si era appoggiata alla rete metallica vicino a lui, senza mai guardarlo direttamente in faccia. << Non mi andava di vederti. Anzi, mi sorprende che tu mi sia venuto a cercare. >>

<< E perché mai? >>

<< Credevo che… Non so… Che mi odiassi, o qualcosa del genere, >> disse la belga, iniziando a giocare con una ciocca dei suoi capelli castani; sembrava nervosa, << insomma, ci siamo parlati così poco negli ultimi tempi che pensavo che non mi volessi più vedere, ecco tutto. >>

Romano la guardò fisso per qualche istante, confuso. <<  E perché mai avresti dovuto pensare questo? Io e te siamo sempre andati d’accordo, no? >>

Belgio non rispose; sospirò pesantemente, per poi voltarsi verso la magnifica vista che Roma le offriva. << Romano, >> disse ad un certo punto, senza tuttavia guardare il suo interlocutore, << sii sincero, io ti piaccio? >>

Questa domanda colse l’italiano di sorpresa. << Perché me lo chiedi? >> domandò, avvicinandosi a lei.

<< Per favore, ho… Ho bisogno di saperlo, >> continuò Belgio, << io ti piaccio? O meglio… Mi hai mai voluto bene? >>

<< Che domande fai? Certo che ti voglio bene, insomma, >> Romano non poté fare a meno di arrossire un poco, << sei un po’ una sorella per me. >>

<< Una sorella? >> chiese la nazione fiamminga, aumentando inconsciamente la presta sul filo di ferro che teneva in mano. Il Meridione si sentì improvvisamente un po’ a disagio, percependo una sorta di pericolo imminente.

<< Be’, ecco- >>

<< No, va bene così. Grazie per essere stato sincero, Romano, >> Belgio gli rivolse un sorriso tirato, per poi incamminarsi verso l’ascensore. << adesso è meglio andare, ci aspettano altre tre ore di riunione e vorrei prendermi un caffè. Sei ancora disposto ad offrimene uno? >>

<< Aspetta, >> l’italiano le afferrò il polso, fermandola, << perché mi hai fatto questa domanda? >>

<< Niente, ero solo un po’ curiosa, >> rispose Belgio, cercando di liberare l’arto dalla stretta decisa ma gentile del Meridione. << insomma, dopo tutto, avevi detto che non ti piacevano le nazioni di stirpe germanica, quindi… >>

<< Si, e all- >> aspett… Era questo? Belgio l’aveva evitato per due mesi, ridotto al minimo le conversazioni, perché aveva detto che non gli piacevano i germanici? Romano si sentì fortemente oltraggiato per essere stato ignorato per un motivo così futile; ma poi si ricordò di un piccolo ma alquanto significante particolare che gli fece anche comprendere quale fosse stato il suo errore: Belgio, effettivamente, aveva sangue germanico nelle sue vene; dicendo che i germanici non gli piacevano, aveva implicitamente detto a Belgio che non gli piaceva.

Ma che assurdità! Certo che Belgio gli piaceva! Infondo, chi non avrebbe amato una nazione così arguta e sensuale, intelligente, materna, sensibile, dal sorriso più bello del mondo e gli occhi più splendenti del sole, bella e pericolosa come una rosa…

Detto così, però, sembrava quasi che Belgio gli-

<< Romano, tutto ok? >>

<< Eh? >>

<< Sei arrossito di colpo, >> disse la fiamminga, toccando col dorso della mano prima la fronte, poi il collo dell’italiano, << hai la febbre per caso? >>

<< Ehm, >> il rossore sulle guance del Meridione divenne più intenso, << n-no, sto bene. >>

<< Sicuro? >>

Belgio era abbastanza fredda con tutti, che fossero amici o meno, ed erano poche le persone a concedeva il suo vero sorriso. Romano andava oltre questo: con lui aveva sempre avuto un atteggiamento quasi materno, sempre dolce e amichevole. Era una qualità che aveva aiutato fortemente l’Italia del Sud nel periodo in cui era sotto il controllo di Spagna: era una delle poche persone che lo aveva fatto sentire amato, nonostante tutto.

<< Sto bene, >> disse l’italiano, sorridendo, per poi prendere la mano di Belgio e dare un piccolo bacio sulle nocche bianche, << e mi dispiace. >>

<< Per cosa? >>

<< Per quella cosa sui germanici. Quando ho detto quelle cose, non pensavo certo a te. E comunque, non avrei mai pensato che te la potessi prendere così tanto, >> anche se avrebbe dovuto immaginarlo, visto che la nazione belga era piuttosto famosa per la sua permalosità, << è vero: io ho un brutto rapporto con loro, ma è per una motivo che riguarda il mio passato. Tu non centri assolutamente niente, Belgio. Io non potrei mai odiarti. >>

<< Perché mi vuoi bene… Come una sorella? >> chiese la fiamminga, abbassando mestamente lo sguardo. Rimase sorpresa quando la mano ruvida di Romano le carezzò con dolcezza una guancia, mentre il braccio di questi le cingeva i fianchi, attirandola a sé, senza però rispondere alla sua domanda. Anche se un po’ indispettita da quell’atteggiamento, poggiò la fronte contro il petto dell’altro, abbracciandolo poi con delicatezza. Chissà perché, solo in quel momento si accorse effettivamente di quanto Romano fosse diventato grande. E dire che lo aveva praticamente visto crescere, fin da quando era piccolo e gli arrivava poco sotto il ginocchio; chi mai avrebbe pensato che quello scricciolo sarebbe diventato un così bell’uomo?

<< … Io non ti odio Romano. >> disse Belgio, stringendo un po’ la presa.

<< Lo so. >> rispose l’italiano, nascondendo abilmente la sensazione di liberazione da quel peso imponente sul petto che si portava appresso da settimane.

<< Allora cosa è successo? >>

<< Uhm? >>

<< Danemarken ha ragione, vero? Ti è successo qualcosa? >>

<< … >>

Nota bene: andare a fare una breve quanto intensa visitina a Danimarca dopo la riunione.

<< Non è successo nulla. Sai com’è fatto, no? Gli piace inventarsi storie per intristire la gente. >>

<< Quindi, >> continuò la fiamminga, senza alzare la testa dal suo petto, << non è stato a causa mia che ti sei tinto i capelli, vero? >>

<< N-No, >> rispose l’italiano, carezzandole piano la chioma castana, << te l’ho detto, volevo solo cambiare un poco. >>

<< … Sicuro? >>

<< Si, >> che Belgio si stesse sentendo in colpa?  << sono sicuro. >>

La belga sospirò brevemente, per poi sorridergli con dolcezza. << Sei un caro ragazzo, Romano. >>

<< Già, lo so. >> disse l’italiano, chiedendosi mentalmente se l’altra nazione avesse intuito l’ascendente che aveva su di lui; sarebbe stato un disastro se avesse saputo che bastavano poche parole per comandarlo come voleva! << Allora, torniamo dagli altri? >>

<< Een. >> rispose lei; tuttavia, nessuno dei due si mosse da quel caldo semi-abbraccio che li teneva uniti, trovandolo troppo piacevole per potervi rinunciare.

Il Meridione si ritrovò improvvisamente nervoso quando si accorse che il volto di Belgio era a poca distanza dal suo, tanto da poter notare ogni più piccolo particolare di quella bocca rosata, dei grandi occhi verde-acqua, delle guance e del nasino leggermente rossi causa del freddo, ricoperti da leggerissime lentiggine che conferivano un’aria ancora più dolce al suo volto, nonostante la profonda cicatrice sul ponte del naso.

Che poi, ‘dolce’ e ‘Belgio’ difficilmente potevano stare nella stessa frase senza aggiungerci ‘furbizia’ o ‘manipolazione’. Ma non c’era alcuna traccia di falsità sul volto della belga, Romano lo sapeva: Belgio poteva pure averlo visto crescere, ma lui l’aveva studiata attentamente, ogni suo gesto e ogni sua parola, tutto il tempo che avevano passato insieme. Sapeva distinguere perfettamente quando lei mentiva o diceva la verità.

Improvvisamente, seguendo un non meglio precisato istinto, avvicinò il volto a quello della nazione fiamminga, il cuore a mille e un forte rossore sulle guance. Belgio parve stupita da quel gesto, ma chiuse comunque gli occhi, socchiudendo piano la bocca e aspettando.

L’italiano poggiò le mai sui fianchi dell’altra, continuando ad avvicinarsi sempre più… Sempre più... Sempre più…

<< Matteo Vargas! >>

E ovviamente, Madonna Sfortuna non si fece attendere: uno Spagna furioso e ricoperto di salsa al caramello – il lettore non si faccia domande a riguardo, ne andrebbe della sua sanità mentale - fece il suo ingresso nel terrazzo, si avvicinò alla coppietta e, afferrando lui per il ciuffo che sbucava da sopra la fronte, e lei per un orecchio, li trascinò verso l’ascensore.

<< Siete in ritardo, idioti! Ormai stiamo aspettando solo voi per poter cominciare, e voi che fate? Vi mettete a pomiciare! Maldito sea! Romano, possibile che di tutto quello che ti ho insegnato tu non abbia capito un accidenti, eh? E  anche tu, Bélgica, a dargli pure manforte! >>

E a poco servirono le proteste: i due vennero ingloriosamente accompagnati fino alla sala riunioni e lì fatti riaccomodare ai loro posti, sotto lo sguardo perplesso e divertito dei presenti – sguardo che, dopo le occhiate infuocate di Romano e Belgio verso la piccola folla, divenne perplesso e spaventato.

 

Tre ore dopo di continue litigate e cose simili, finalmente, il meeting era finito, con grande gioia di tutti – soprattutto di Germania che, non appena era stato dato il permesso di congedarsi, si era precipitato fuori dalla porta travolgendo chiunque fosse sulla strada, sia che fossero Inghilterra e Francia che tentavano di stare in piedi reggendosi l’un l’altro dopo averle prese da Spagna, sia che fossero Russia e America intenti nell’ennesimo litigio, stavolta riguardante di quanti decimi di secondo di ritardo fosse stata data la fine della riunione.

Romano sospirò pesantemente, massaggiandosi la fronte ancora dolente mentre usciva dal palazzo del congresso. Alla fine non era neanche riuscito a salutare Belgio, visto che Spagna non aveva fatto altro che stargli appiccicato per tutto il tempo dopo che era rientrati, osservando che nessuno si avvicinasse alla sua muñeca preferita. Anche in quel momento, sentiva distintamente gli occhi scuri dello spagnolo addosso, che lo scrutavano attentamente da dietro un muretto per controllare che non desse troppa confidenza a qualcuno.

Il Meridione cercò di ignorare il suo ex padrone, mentre si guardava attorno alla ricerca di Belgio. Almeno poterla salutare da lontano: non era chiedere troppo. E poi, dopo quello che era quasi accaduto sul terrazzo…

Le sue guance si tinsero di un forte rossore.

<< Romano! >>

L’interpellato sussultò, per poi voltarsi verso nazione belga che gli veniva incontro di corsa, tentando di non far cadere i fogli che teneva in mano. Quando gli fu vicino, si tirò indietro i capelli castani,  mettendo il mostra il suo bel sorriso – e mandando il cuore dell’italiano a mille.

<< Ehi… >>

<< Stavi già andando via? >>

<< Si, infondo non ho altro da fare qui, quindi… Tu invece? Pensavo avessi fretta di andare. >>

<< Een, dovevo vedermi con mio fratello per discutere di alcune cose, ma alla fine non se ne è fatto più niente. >> rispose la belga, incamminandosi verso il parcheggio assieme all’altra nazione, << E tu, invece? Spanje sembrava piuttosto arrabbiato, non ti ha mollato per tutto il tempo. >>

<< Ehm si. >> Romano si guardò dietro le spalle, e rimase piacevolmente sorpreso quando trovò Paesi Bassi intento a fermare Spagna dall’avvicinarsi a loro due; lo sguardo delle due nazioni si incrociò per un breve momento, il tempo perché l’olandese gli facesse l’occhiolino e trascinasse l’iberico lontano da loro, non badando alle proteste di questi. Il Meridione sorrise, per poi rivolgersi di nuovo alla fiamminga. << Ma ha finalmente deciso di lasciarmi stare, per oggi. >>

<< Capisco. Senti, >> le guance di Belgio si fecero leggermente più rosse, << sei libero stasera? >>

<< Uh? >>

<< Si insomma… Io non ho nulla da fare e, bè, piuttosto che passare la serata in solitudine, si insomma… Pensavo che saremmo potuti, che so… Uscire insieme? >>

Romano la guardò stupito, per poi sorridere maliziosamente. << Strano, >> disse, cingendole la vita con un braccio, << di solito sono i ragazzi a fare la prima mossa. >>

<< Sai che non sono un tipo convenzionale. >>

<< Già. >> ed era una delle caratteristiche che più adorava di lei.

<< Be’, allora… Sei libero? >>

Proprio in quel momento, squillò il cellulare di Romano; quest’ultimo si scusò con Belgio per poi premere il tasto di risposta alla chiamata di Veneziano.

<< Vene, che- >>

<< FRATELLONE AIUTOOO!!!!!!!!!!!!! >> e addio anche all’orecchio destro, << Quando cazzo torni a casa?! >>

<< Che è successo? >> chiese il Meridione, leggermente preoccupato.

<< Vorrei saperlo io! Che diavolo ave- Germania, maledizione, togli le mani da miei pantaloni! Tanto non te lo do oggi! Romano, senti, per carità di Dio, vieni immedi- Germania, ti ho detto di lasciarmi in pa- Ah! No, non toccarmi lì! Fermo! – Romano, giuro che se non vieni qui entro cinque minuti io ti- Germania, non toccarmi il ciuffooo!!!! >> e lì cadde la telefonata.

Romano rimase immobile per qualche secondo, per poi abbassare lentamente il braccio e spingere il tasto di fine chiamata e rimettere il cellulare in tasca.

<< Tutto bene? >> chiese Belgio, sventolando una mano davanti ai suoi occhi, non potendo non rabbrividire non poco quando notò il volto dell’italiano inscurirsi dalla rabbia.

<< Benissimo, >> rispose questi, per poi sorridere in maniera decisamente inquietante mentre si avviava verso la macchina, << era solamente il mio adorato fratellino nei guai. >>

<< Che è successo? >>

<< …Meglio che non te lo dica. >>

<< C-Capisco, >> Belgio gli lanciò un’occhiata mesta ma comprensiva, << presumo, quindi, che tu non posso venire a cena con me, vero? >>

L’Italia del Sud rifletté: andare dal fratello e salvarlo dalle molestie per poi essere subire una rottura di scatole abnorme da parte di Veneziano – per non essere arrivato prima, per la fila in Vaticano, e Dio sa per che altro, suo fratello era sempre in grado di trovare un motivo per prendersela con lui – oppure passare una serata con Belgio all’insegna di un probabile romanticismo, anche se con l’incognita di Spagna alle calcagna?

<< … Bè, mio fratello sa cavarsela da solo. >> disse Romano, per poi aprire lo sportello del passeggero e invitare la belga a salire. << Allora, bella signorina, dove vuole che la porti stasera? >>

 

 

Quella sera, qualche ora più tardi, avvenne un fitto scambio di sms…

 

Messaggio da: Matteo

A: Fratellino

Fratellino, xdona il mio comportamento scorretto, so che adesso ce l’hai a morte cn me. Ma ti assicuro che saprò farmi xdonare. E poi ho passato una splendida serata con Belgio, ma ti racconterò tutto quando tornerò a casa, ok? ;)

Un bacio <3 il tuo fratellone adorato.

PS: dì a Germania che se trovo casa sporca quando torno gli toccherà pulire u_u

 

Messaggio da: Marco

A: Testa di cazzo

Ma vaffanculo!!!!!

PS: quando torni, mi dovrai dire morte e miracoli, stronzo!

 

Messaggio da: George

A: Lieber<3

Stai bene, Liebe? Non ti ho fatto troppo male vero? :( Eri così arrabbiato quando si siamo lasciati...

 

Messaggio da: Marco

A: Il coglione.

Vaffanculo anche a te!!!! E vieni ad aiutarmi a pulire, dopo.

 

Messaggio da: George

A: Lieber <3

Ceeerto, a pulire… ;)

 

Messaggio da: Marco

A: Il coglione

-.-’ Deficiente!!!!

 

Messaggio da: Francisco

A: Bambola prediletta

Io e te dobbiamo parlare! E subito!

 

Messaggio da: Matteo

A: Francisco

No! :3

 

Messaggio da: Christian

A: Laura

Tutto bene la serata?

 

Messaggio da: Laura

A : Christian

Een ^_^. Spero che Spanje non ti abbia creato troppi problemi.

 

Messaggio da: Christian

A: Laura

Nah, tranquilla. J Non dimenticare la tua promessa però: domani discutiamo di queste benedette tasse doganali, ok?

 

Messaggio da: Laura

A: Christian

Si si. Dank broer :3 !!!

 

Messaggio da: Christian

A: Laura

A domani, zus ^^.

 

Messaggio da: Oliver

A: France

Come ti senti?

 

Messaggio da: Jean Baptiste

A: Angleterre

Con le tutte ossa rotte T_T. Te lo avevo detto di non far arrabbiare Spagne!

 

Messaggio da: Oliver

A: France

Spain deve smetterla di fare il bullo con tutti è_é! E tu non devi assecondarlo.

 

Messaggio da: Jean Baptiste

A: Angleterre

T_T Mannaggia a te e al tuo senso di giustizia del cazzo! E poi io non assecondo mai Espagne in questo genre di cose.

 

Messaggio da: Oliver

A: France

̚̚̚̚ _̚  Ma se siete sempre stati pappa e ciccia voi due.

 

Messaggio da: Jean Baptiste

A: Angleterre

Geloso? ;)


Messaggio da: Oliver

A: France

è_é Nope! Figurati!




Insomma, serate di ordinaria follia.

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*La personalità di 2p!Danimarca è ispirata a quella di Søren Kirkegaard (detto Kirky), il più importante filosofo danese, considerato una sorta di padre dell’Essenzialismo e, soprattutto, famoso per la sua filosofia completamente abbandonata al volere di Dio e fortemente pessimista. A Wikipedia e libri di Filosofia per maggiori informazioni (da non leggere se siete già negativi di vostra natura, mi raccomando ^^’)

**Nel mio headcanon, 2p!Spagna non si è arreso all’idea di aver perso tutte le sue colonie – da lui considerate come una sorta di bambole. Pertanto, cerca sempre di influenzarne le scelte, e di essere presente, spesso in maniera invadente, nella loro vita. Romano, questo, non lo sopporta.


 

Eventuali abbreviazioni alla fine sono assolutamente volute ^^

 


 

Alla prossima!!!!

 

 

 

 


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Capitolo 10
*** Tanto va il gatto al pane... che si trova casa! ***


Titolo: Tanto va il gatto al pane... che si trova casa

Personaggi: Germania (George Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Commedia, Fluff

Avvertimenti: GerIta one-sided (ve lo ritrovere spesso XD) accennato.

Note aggiuntive: Ehehehe, guarda chi si rivede ^///^ Finalmente sono riuscita a finire la shot per la raccolta. Uff, che faticata, erano mesi che non riuscivo a buttare giù una riga, ma alla fine chi la dura la vince, ed eccola qua! 

Temo che l'idea dell'aggiornamente settimanale sia impossibile da eseguire, ma cercherò di impiegare meno tempo tra una pubblicazione e l'altra (ormai "La sottile arte di farsi gli affari propri" è bella che finita, e quella nuova mnon mi recherà alcun problema, spero)

Noto inoltre, con piacere, che sul fandom hanno iniziato a fioccare fic sui 2p ^^. Finalmente, anche sul fandom italiano sono approdati! Purtroppo, non ho avuto il tempo di leggerne alcuna, ma intendo recuperare il prima possibile.

Nel frattempo, rinnovo l'annuncio delle richieste (sto già lavorando ad alcune che mi sono state fatte).

 

Spero che la fic vi piaccia ^^.

 

Enjoy!

 

 

 

 

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Pioveva. Pioveva fittamente, tanto che a tratti era difficile perfino vedere la strada e dove si stava andando. Tuonava, anche, come da anni non tuonava. Mancava solo la grandine, e si sarebbe potuto tranquillamente parlare di tempesta perfetta.

Era una serata estiva, con un anomalo ed intensissimo freddo, e l’atmosfera stava dando il meglio di sé riproponendo il diluvio universale in scala ridotta sul Bruxelles: chi era il povero pazzo che poteva andare in giro con un tempo simile?

<< Gottverdammdt!!! >>

Il povero pazzo in questione era Germania, avventuratosi per le strade della capitale dell’Impero, con qualcosa come due dozzine di buste per mano (dentro cui c’era la cena di quella sera, o forse era meglio dire ex-cena, dopo la doccia subita poco prima), intento ad insultare il maledetto automobilista che non aveva rallentato quando era passato sopra una pozzanghera, schizzando di conseguenza l’acqua e colpendo il povero tedesco, inzuppandolo ancora di più di quanto non fosse già di per sé.

Irato, poggiò le buste a terra e controllò la sua giacca – nuova - macchiata di fango sui bordi inferiori, e neanche i suoi pantaloni – bianchi – erano stati risparmiati dalla crudele schizzata. Digrignò i denti, cercando di controllare la rabbia – e c’è da dire che non era una nazione famosa per la sua pazienza – e riprese in mano le buste, per poi riprendere a camminare, cercando di non intruppare o colpire gli altri poveri pazzi che per chissà quali motivi si erano ritrovati per strada con un tempo simile, e di non scivolare per terra a causa dell’asfalto bagnato e di altre pozzanghere particolarmente bastarde che nascondevano abilmente eventuali buche.

Se vi state chiedendo il motivo per cui questo povero cristo teutonico stesse in giro quando imperversava una tempesta di queste proporzioni, il motivo risiede nel fatto che l’Impero Europeo, quel giorno, era appena rientrato da un “interessantissimo”  meeting in Russia, e si erano accorti che avevano il frigorifero e la dispensa completamente vuoti, salvo numerose ragnatele e qualche simpatico ragnetto qua e là che per poco non avevano fatto venire un infarto a Romano. Assai poco inclini a mangiare insetti o aracnidi, i sette avevano deciso che la spesa andava fatta, anche urgentemente, e poco importava che fuori ci fosse un diluvio; per scegliere il sacrificio da immolare “per il giusto apporto di proteine e vitamine che si confà ad un gruppo di nazioni potenti e belle come noi” (testuali parole di Lussemburgo), si era deciso di tirare a sorte, estraendo dei bigliettini di varia lunghezza da una scatolina: chi avesse pescato il bigliettino più breve, sarebbe andato a fare la spesa.

Indovinate chi era stato a pescare l’infausto fogliettino…

<< Verdammdt! >> urlò Germania quando il piede prese in pieno una pozza profonda, per poi tirare giù tutti i santi del calendario nel tentativo di riprendersi la scarpa rimasta incastrata nella buca. E, giacché c’era, l’ennesimo automobilista incivile decise di passare su un’altra pozzanghera vicina alla nazione a tutta velocità.

Rimessa la scarpa, con i pantaloni che ormai di bianco avevano solo il ricordo, Germania riprese la sua marcia verso casa . << “Ma che prendi la macchina!” >> disse, scimmiottando Olanda, << “Sprechi solo benzina, il negozio è vicino per una nazione come te!” Si, a cinque chilometri di distanza, e senza contare i centinaia vicoletti che districano la strada! >>

Il poveretto, preda del nervosismo, diede un calcio a un sasso che, vuoi per il destino, vuoi perché aveva calcolato male la traiettoria e il dosaggio di forza impressa, andò a finire proprio contro il vetro di un negozio lì vicino, distruggendolo; inutile dire che dovette anche mettersi a correre a tutta velocità per evitare di essere preso di mira dal fucile del proprietario.

Quando, finalmente, mancava una sola traversa per arrivare finalmente a casa, Germania avrebbe tanto voluto mettersi in ginocchio e ringraziare il Signore, se avesse avuto ancora un minimo si sensibilità alle braccia e alle mani per potersi mettere a pregare. Finalmente contento per la prima volta quella sera, decise di affrettare il passo, pensando solo al calduccio del camino e, forse, anche alle coccole che Italia gli avrebbe riservato dopo quella giornataccia – di solito, nelle giornate piovose, diventava stranamente tenero con lui.

Pensate che le disavventure fossero finite per la nostra nazione germanica preferita?

STRAP!

Vi sbagliate.

Il desiderio di inginocchiarsi e ringraziare Dio che aveva provato poco fa andò a farsi benedire quando due buste della spesa si ruppero sotto il peso eccedente, spargendo sull’asfalto bagnato il loro contenuto. Il tedesco, tra un’imprecazione contro Olanda e un’altra contro i maledetti sacchetti che si rompevano nei momenti meno opportuni, si mise a raccogliere i vari prodotti, cercando di equilibrare il peso nelle altre buste per evitare di fare il bis: gli otto pacchetti di biscotti al cioccolato da una parte, la moka nuova – Veneziano e Romano lo avrebbero ucciso se l’avesse persa – in un'altra, le decine di penne che Lussemburgo aveva detto di comprargli urgentemente sparse nelle varie buste, la pasta, il latte, il burro, il pa- Dove era il pane? Ah, no, eccolo lì: la busta si era aperta, ma senza spargere le pagnotte sull’asfalto, per fortuna. Rimesse dentro il loro contenitore, Germania si accorse che all’appello mancava un filetto di pane, quello che le noci che tanto gli piaceva e che era riuscito a prendere dopo essere quasi venuto alle mani con una donna incinta e una vecchietta – a cui si era aggiunto mezzo negozio che era venuto in soccorso delle due signore.

Con l’ira che già rimontava, si guardò intorno, certo che la pagnotta fosse caduta a terra sull’asfalto bagnato e che quindi fosse ormai zuppa ed immangiabile. Quando la vide in bocca ad un gatto nero che camminava a passo sostenuto sotto la pioggia battente, evidentemente fiero di quel piccolo pasto improvvisato da poter gustare in santa pace nel suo rifugio, la sua rabbia schizzò alle stelle.

<< Verdammte katze! Torna qui col mio pane! >> esclamò il tedesco, dimentico delle altre buste, e iniziò a rincorrere il piccolo animale che, accortosi di essere stato beccato, si sbrigò a nascondersi in un vicoletto, cercando di sfuggire all’ira della nazione.

Svoltato l’angolo, Germania guardò attentamente l’oscuro vicolo, cercando di captare anche il più piccolo miagolio che gli potesse dire dove si fosse nascosto quell’infame di un gatto ladro; ma il gatto, oltre ad essere ladro, era anche molto silenzioso, e il manto scuro gli dava il vantaggio di mimetizzarsi nell’oscurità. Controllò ogni angolo del vicoletto e dietro i cassonetti, senza alcun risultato: del gatto non c’era traccia. Perfetto: era bagnato dalla testa a i piedi, con la cena quasi inservibile, e gli avevano anche fregato il suo pane preferito. Semplicemente perfetto.

Sconsolato, fece per uscire da quell’angusto spazio quando sentì un lieve miagolio provenire da uno dei cassonetti dell’immondizia. Perplesso, si avvicinò ad un grosso container grigio e, dopo essersi coperto bocca e naso con la sciarpa, alzò il coperchio: sette paia di piccoli occhi scintillanti si voltarono all’unisono verso di lui, allarmati da quello sconosciuto che aveva scoperto il loro nascondiglio segreto.

Germania sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di abituarsi all’oscurità del cassonetto, e rimase estremamente sorpreso quando vide sette piccoli gattini, tra cui il ladro, ammucchiati dentro una scatola di cartone, accerchiati da avanzi di cibo, tra cui il suo filetto di pane con le noci.

Il gatto ladro, dal pelo nerissimo e con svariate cicatrici sul corpo, si erse a difesa degli altri assieme ad un altro suo simile, bianco con delle chiazza biondicce sulle spalle e sulle zampe, anche lui con dei segni profondi sul muso e sui fianchi, posizionandosi davanti al gruppetto e soffiando contro l’intruso, il pelo ritto sulle schiena e lungo le zampe nonostante fossero completamente bagnati.

Uno degli altri cinque felini, il più piccolo, marroncino con delle chiazze bianche, si nascose dietro ad un altro suo compagno, dal pelo interamente marrone salvo per una zampa bianca.  Un altro gatto, anche lui bianco con delle chiazze scure che ricoprivano tutta la testa e la maggior parte della schiena, e con uno strano pelo che sbucava a sinistra del muso, cercò di alzarsi per poter collaborare alla difesa del territorio, ma ricadde sul cartone, troppo debole a causa di una dolorosa ferita alla coda; davanti a quest’ultimo, sulla difensiva, si pose un gatto estremamente simile a lui, differente sola per il pelo posizionato sul capo. Il settimo gatto, dal manto grigio e lunghissimo, si unì ai due in prima fila.

Germania li osservò esterrefatto. Non era un esperto, ma sapeva che i gatti non erano animali molto socievoli, e che spesso preferivano uno stile di vita solitario a quello in comunità; era strano trovare una colonia di felini che andasse così d’accordo, a giudicare da come si erano posti in difesa l’uno dell’altro. Ed era orrendo che fossero stati abbandonati in un cassonetto dell’immondizia da chissà quale imbecille.

Il tedesco rifletté per qualche istante sul da farsi, per poi allungare una mano ed afferrare velocemente per la collottola il gatto nero prima che gli altri potessero reagire, sollevandolo fino ad averlo all’altezza del viso. I due si guardarono per un lungo istante, sotto la vigilanza degli altri sei gatti pronti ad intervenire al minimo accenno di pericolo.

<< Hai preso il mio pane per sfamare loro, eh? >> chiese Germania al felino nero, che rispose soffiando minacciosamente e riprendendo ad agitarsi tentando di liberarsi. << Tranquillo, non ti farò del male. Anche se te lo meriteresti per avermi rubato quel pane. Non hai la minima idea della fatica che ho fatto per prenderlo. >> disse, rimproverandosi subito dopo - stava davvero parlando ad un gatto? Doveva essere la stanchezza a giocargli certi brutti scherzi.

Ripose il felino all’interno del cassonetto, si tolse la sciarpa e la usò per coprire i tre gatti rimasti dietro, facendo attenzione a non toccare la coda di quello ferito, il tutto sotto lo sguardo sospettoso degli altri quattro.

<< Se ti ribecco a rubare, non te la passerai liscia, chiaro? >> disse, rivolgendosi al gatto nero, il quale si limitò a girare la testa dall’altra parte, come se fosse stizzito da un gesto così generoso, per poi rivolgere la sua attenzione al suo compagno ferito.

Germania sbuffò, chiudendo lentamente il coperchio del secchione e ridirigendosi verso le buste della spesa. Doveva ammetterlo, gli dispiaceva lasciare lì quei gatti, ma non poteva certo portarseli a casa: Aster, Berlitz e Blackie non avrebbero certo fatto i salti di gioia a ritrovarsi nel territorio una specie animale a loro avversa per natura, e Romano avrebbe come minimo avuto un secondo infarto quel giorno – l’italiano non era esattamente un amante degli animali, e ancora gli riusciva difficile accettare di vivere con tre << Bestiacce pulciose! >> come chiamava i suoi poveri cani.

Il tedesco riprese le buste – che notò totalmente bagnate anche all’interno, ma rifiutò immediatamente l’idea di tornare al negozio di alimentari e prendere  qualcosa di commestibile con un tempo simile, preferendo di gran lunga rimanere a digiuno - e si diresse verso casa, senza però riuscire a non pensare a quei micetti abbandonati in maniera così crudele, specie a quello con la coda ferita. La sua parte amante degli animali voleva disperatamente prendere quelle povere creature e portarsele via, o almeno in posto migliore rispetto ad un cassonetto dell’immondizia; la parte più pigra voleva fortemente tornarsene al calduccio della sua abitazione, mollare la spesa a qualcuno e ficcarsi sotto il letto – possibilmente di Italia – e farsi una bella dormita.

Temporaneamente, la linea “Gioco dell’uva ognuno a casa sua” ebbe la meglio, e Germania si sbrigò a rifugiarsi sotto il portone della villa, appena in tempo per non essere investito dalla pioggia fattasi improvvisamente più fitta; fece per suonare il campanello, ma un urlo tremendo proveniente da dentro l’edificio fermò il suo dito a pochi centimetri dal pulsante. Rimase in ascolto per pochi attimi, il tempo di capire che quegli strilli provenivano da Veneziano, probabilmente colpito da una delle sue crisi; sospirò amaramente, ricacciando dentro l’abituale senso di impotenza e di rabbia, e decise di aspettare che quelle urla terminassero prima di provare a suonare – sapeva che, tanto, non gli avrebbe aperto nessuno in quel momento.

Si appoggiò contro una colonna, e osservò mestamente la pioggia battere ferocemente sulla strada; non un’anima viva in giro; chiuse gli occhi, rilassandosi col ticchettio costante delle gocce d’acqua. Dopo alcuni minuti, le urla di Veneziano si fermarono.

Negli ultimi tempi, le crisi di Italia era si erano fatte più frequenti. Romano diceva che la causa era, probabilmente, il periodo non proprio favorevole in economia, ma c’era sicuramente dell’altro: aveva notato che con l’avvicinarsi di agosto* il Settentrione diventava più irascibile del solito, e la sua isteria sembrava aggravarsi, per poi tornare alla solita frequenza non appena arrivava settembre. Come se nell’ottavo mese dell’anno Italia portasse una sorta di lutto, a giudicare anche dal suo carattere più malinconico e meno irriverente.

Gli venne in mente una sera molto simile a questa, di un’ottantina di anni fa; fu la volta in cui lui e Giappone vennero a conoscenza della malattia che affliggeva Italia, dopo aver assistito ad una sua crisi e averci quasi lasciato un occhio.

 

<< Forse dovremmo ripassare domani. >> mormorò Giappone, cercando di non farsi sentire da Veneziano, seduto sul letto della sua stanza , le gambe al petto e la testa poggiata sulle ginocchia, perfettamente immobile e con lo sguardo perso nel panorama che intravedeva fuori dalla finestra, una campagna scura e abbruttita dalla pioggia battente.

<< Nein. >>

<< Non ci parlerà tanto, >> disse la nazione asiatica, lanciando un’occhiata all’enorme cerotto che copriva quasi tutta la guancia sinistra di Germania, << temo che possa avere una ricaduta se vede quella ferita. >>

<< Non mi convincerai. Non me ne andrò fino a quando non avrà ricominciato a parlarmi. >> replicò rigidamente il tedesco, senza distogliere lo sguardo dall’amico. Giappone sospirò, commentando ironicamente: << Sei completamente cotto, ne Doitsu-kun? >>

<< Taci. E’ mio amico, è pertanto è mio dovere aiutarlo come posso. Vorrei ricordati che è anche amico tuo. Non sei preoccupato? >>

<< Mi ferisci dicendo certe cose. Mi accusi forse di non preoccuparmi della saluta di una persona a me cara? >>chiese il giapponese, il volto perfettamente inespressivo, al punto che se non fosse stato per la mano stretta a pugno malamente nascosta dietro il mantello viola della sua divisa, difficilmente si sarebbe potuto intuire che fosse arrabbiato. Germania, comunque, non gli rispose, continuando a fissare il suo amico italiano, sempre più preoccupato. Dov’era finito quel sorrisetto di sfida, l’irriverenza e la sfacciataggine di Italia? Quell’essere seduto come un automa sul letto, e che ostinatamente ignorava la loro presenza, sicuramente non poteva essere il suo alleato, quello che non perdeva occasione per fargli scherzi idioti o per farlo arrabbiare.

Quella specie di gioco del silenzio durava da ore ormai, ma né Germania ne Giappone, per quanto questi dicesse, erano intenzionati a lasciare quella stanza senza che Italia si fosse voltato verso di loro, o almeno li dicesse di andarsene via; ma il Settentrione si era chiuso in se stesso, e non sembrava affatto intenzionato ad interagire con loro in alcun modo.

Giappone inspirò profondamente, per poi alzarsi in piedi e dirigersi verso la porta: << Vado a prendere qualcosa da mangiare. Itaria-kun vuoi qualcosa? >>

L’italiano non gli rispose, e neanche distolse lo sguardo dalla finestra.

<< Bè, chi tace acconsente. Doitsu-kun, vieni anche tu. >>

<< M-Ma- >>
<< Vieni. Anche. Tu. >> il tono del giapponese, per quanto apatico, non ammetteva repliche, e Germania, anche se a malincuore, si costrinse a seguire l’altra nazione fino in cucina, dove presero un po’ di frutta e Giappone preparò una tisana per l’amico italiano.

<< Perché sono dovuto venire giù anche io? >>

<< Magari se lo lasciamo solo per qualche minuto Itaria-kun sarà più invogliato a parlare quando torneremo su. >>

Il tedesco annuì prima di addentare una mela rossa, incapace però di gustarsi il sapore di un frutto così ottimamente maturo e succoso a causa della preoccupazione. Rimasero in silenzio per molti minuti, incapaci di parlare di qualunque cosa che non fosse quanto accaduto quel pomeriggio: di quelle urla tremende che nessuno dei due aveva mai sentito sulla bocca di una nazione, delle lacrime che neanche pensavano Italia fosse capace di versare, di quel respiro affannoso, come se qualcosa lo stesse strozzando, e, soprattutto, di quell’espressione di puro terrore e sofferenza – e anche vergogna – che gli aveva totalmente presi in contropiede.

Nessuno dei due voleva tornare sull’argomento – anche perché ci sarebbe stato ben poco da dire – ma quel silenzio stava iniziando ad essere insopportabile. Infine, Germania sospirò amaramente, buttando il torsolo della mela nel cestino:<< Pensi che sia arrabbiato con noi? >>

<< Ya. >> mormorò l’altro, spegnendo la fiamma del fornello e prelevano il contenitore dell’acqua bollente, << E’ arrabbiato con se stesso, non con noi. >>

<< Cioè? >>

<< Ah, Doitsu-kun, si vede che sei giovane. Sei così duro a comprendere certi comportamenti. >>

Germania storse il naso vedendo quel sorrisino quasi di scherno sul volto dell’amico: << Mi stai offendendo? >>

<< Più o meno, >> replicò il giapponese mentre versava il liquido caldo dentro una tazza, filtrandolo prima dentro un passino contenente l’erba della tisana, << comunque sia, credo che Itaria-kun si senta ferito nell’orgoglio. Probabilmente, quelle crisi che ha non le vedono molte persone, e penso che neanche ci tenga a far sapere di soffrire di… Non so sinceramente cosa gli provochi quelle crisi, ma sono certo che non voglia farlo sapere in giro. >>

Germania rifletté su quelle parole, trovandole decisamente veritiere. Certo, era un sollievo sapere che Italia non ce l’aveva con lui, ma si domandava cosa gli provocasse quegli attacchi di isteria. Qualcosa del suo passato, forse? Salvo quanto era scritto sui libri di storia, effettivamente non sapeva molto della sua vita; era anche vero che non si conoscevano da tanto, e non aveva il diritto di fargli domande che sicuramente lo avrebbero messo a disagio, ma era così dannatamente preoccupato! E poi, era sicuro che sfogarsi un poco non avrebbe fatto altro che bene all’italiano; decise che, una volta salito su, avrebbe riprovato a parlargli.

Terminata la tisana, i due tornarono al piano di sopra, e bussarono alla porta della camera, senza ricevere risposta esattamente come sospettavano. I due si lanciarono un’occhiata d’intesa, per poi aprire la porta. Il letto di Veneziano era vuoto.

<< W-Was!? >>

<< Kuso! >>imprecò Giappone, per poi poggiare la tisana sul tavolo e correre sul corridoio, << dove pensa di andare quel baka nelle sue condizioni!? >>

<< Japan cerca Italien su questo piano, io controllo di sotto! >> urlò Germania, per poi precipitarsi sulle scale. Ci mancava solo quel colpo di testa per complicare ulteriormente quella stramba giornata; senza contare che se Romano fosse venuto a sapere di quella situazione, Dio solo sa cosa avrebbe fatto.

Rifletté su dove potesse essere andato Veneziano- non molto lontano, comunque – e si mise a cercare in tutte le stanze del piano inferiore, dal soggiorno fino alla cucina, trovandole tutte vuote. Giappone ancora non era sceso, ma sospettava che il suo amico nipponico non avrebbe trovato molta più fortuna di lui ai piani superiori. Era improbabile che si fosse nascosto da qualche parte,  ma se non era in casa voleva dire che era uscito? Di sera in mezzo ad una tempesta? Sarebbe stato stupido, ma Italia non era sicuramente nelle condizioni di pensare lucidamente in quel momento.

Sempre più preoccupato, Germania  prese un ombrello e uscì nel giardino nonostante la pioggia battente. L’esterno dell’abitazione del Settentrione non era molto grande, ma l’edificio si trovava nel bel mezzo della campagna romana; e se Veneziano avesse superato i cancelli e fosse uscito per andare chissà dove?

Germania imprecò sottovoce mentre si guardava intorno cercando di orientarsi nella fitta pioggia. Tempesta o meno, sarebbe andato fino in capo al mondo per cercare l’italiano.

Fortunatamente, non fu necessario, e la sua ricerca durò relativamente poco: trovò Veneziano sotto i rami spogli di un albero, probabilmente un pesco; era in ginocchio, rivolto verso il tronco della pianta e perfettamente immobile, senza un ombrello o una giacca che lo riparasse dalla pioggia – indossava solo il suo pigiama, ormai zuppo e del tutto attaccato al suo corpo. Notò anche che il corpo dell’italiano tremava leggermente, se per il freddo o per altro non avrebbe saputo dirlo.

Il tedesco sospirò di sollievo, si tolse la giacca e, silenziosamente, la poggiò sulle spalle della nazione mediterranea. Questi non sussultò, probabilmente aveva avvertito già da prima la sua presenza.

<< Ti ho cercato per tutta casa, >> urlò Germania per farsi sentire sopra il rumore della pioggia, chinandosi vicino all’amico << e, per la cronaca, Japan ti sta ancora cercando. >>

<< Um. >> fu la semplice replica dell’italiano; non alzò neanche lo sguardo. Germania sbuffò pesantemente, iniziando a sentirsi spazientito da quel comportamento.

<< Si può sapere che ti è saltato in mente? Perché sei uscito fuori con questa tempesta? >>

Italia rimase in silenzio, lo sguardo fisso sul terreno, e non sembrava nemmeno ascoltarlo. Solo allora Germania sentì un piccolo miagolio, flebilissimo sotto il rumore della pioggia battente, e notò un piccolo gatto bianco comodamente sdraiato sul grembo dell’italiano , avvolto in una copertina azzurra e con una zampina perfettamente fasciata.

<< L’ho sentito miagolare, mi sono affacciato e l’ho visto ferito, >> disse Veneziano, pronunciando le prima parole di senso compiuto di quella serata, << ho pensato di curarlo. >>

Germania sbatté le palpebre un paio di volte, stupito – sia per l’inaspettata sensibilità dell’amico, sia per il suo udito fine: come diavolo aveva fatto a sentirlo dalla finestra al primo piano, per di più col rumore della pioggia? -  per poi chinarsi per osservare meglio il piccolo animale, che riposava tranquillo tra le braccia di quell’inatteso salvatore. Non era esattamente un amante dei gatti, ma non poteva non trovare quella creaturina estremamente carina; inoltre, così serenamente sistemato sulle gambe dell’italiano formava una scenetta molto dolce, che gli donava una strana ma piacevolissima sensazione di calma.

<< Non sembri il tipo a cui piacciono gli animali, sono sorpreso. >> confessò, osservando la mano affusolata dell’altra nazione che accarezzava il pelo bagnato  del gatto con infinita dolcezza – dolcezza? Aveva veramente usato la parola “dolcezza” associandola ad Italia? - :<< Portiamolo dentro, almeno starete entrambi al caldo. >>

<< No, >> mormorò Italia, rabbuiandosi, << Romano non me lo lascerebbe mai tenere. A lui non piacciono gli animali. >>

<< Romano non c’è, però. Potre- >>

<< Se ne accorgerà al suo ritorno. Se ne accorge sempre, per chissà quale motivo. E poi neanche a Giappone piacciono gli animali, non vorrei che lo cacciasse. >> disse l’italiano, stringendo protettivamente a sé il gattino. Cadde il silenzio, anche se decisamente meno opprimente di quello che aveva troneggiato nella camera dell’italiano. Quest’ultimo sembrò immerso in qualche oscura riflessione per parecchi attimi, per poi sospirare e amaramente: << Sai, carezzare gli animali mi ha sempre calmato dopo… Dopo le mie crisi. Specie se sono gatti, mi rilassano molto. >>

Germania spalancò gli occhi, sorpreso da quella improvvisa, piccola confessione: << D-Davvero? >>

Italia annuì leggermente, per poi alzare lo sguardo verso l’amico, le iridi violette stranamente meste. << Io soffro… Soffro di i-isteria da… Non so nemmeno da quanto tempo, sinceramente, non me lo ricordo. La maggior parte delle volte  mi metto ad urlare, e se le cose vanno proprio male inizio a strapparmi i capelli, a graffiarmi, o a mordermi. Se c’è qualcuno con me, invece… >>

Non ebbe bisogno di continuare: il cerotto sulla guancia del tedesco completava la frase per lui.

Germania rifletté per qualche istante, per poi rimettersi in piedi e porgere la mano alla nazione mediterranea: << Comunque sia, non posso lasciarti qui. Ti prenderai un malanno sotto la pioggia. >>

<< Germania, sono una nazione, non mi posso ammala- >>

<< Ti sentiresti comunque male, e in guerra non puoi permetterti di star male. >> replicò il tedesco, per poi aggiungere con voce un poco più dolce, << Romano non credo tornerà prima di dopodomani, fino ad allora credo tu possa tenere quel gatto. >>

Veneziano lo guardò mestamente: << Ma Giappo- >>

<< Japan se ne farà una ragione. E’ solo un gatto, quante storie vuoi che faccia per un animaletto del genere? E poi è un tuo ospite, può lamentarsi solo fino ad un certo punto. >>

Italia rifletté per qualche istante, per poi afferrare con un po’ di titubanza la mano che gli era stata offerta e che usò come leva per sollevarsi; il movimento, però, destò il gatto tra  le sue braccia, che protestò con piccoli miagolii quel risveglio improvviso e affatto gradito.

<< Ops, scusa piccolino. >> disse dolcemente Veneziano, riprendendo subito a carezzare il pelo del felino per calmarlo; quelle coccole funzionarono quasi subito, e il micio si strofinò felicemente contro la sua mano prima di tornare a dormire, il tutto sotto lo sguardo stupefatto ed intenerito di Germania,

<< La zampa ha solo una piccola distorsione, un paio di giorni e sarà del tutto guarito, >> disse l’italiano mentre si incamminavano verso casa, << se trovo un animale ferito, di solito dopo averlo curato lo lascio libero, o lo affido ad una famiglia di fiducia. >>

<< Non è la prima volta che lo fai, quindi. >>

Veneziano scosse la testa, prima di sorridergli piano: << Sono sicuro che la figlia di sua Maestà sarà felice di avere un animaletto domestico così carino. >>

La nazione teutonica annuì distrattamente, del tutto incapace di distogliere lo sguardo da quella tenera scenetta: non aveva mai visto Italia sorridere così dolcemente; neanche pensava che Italia fosse capace di sorridere così.

<< Ah, e… G-Grazie,  >> continuò Veneziano, voltandosi dall’altra parte per non far vedere il rossore sulle guance, << p-per essere v-venuto a cercarmi. >>

L’altro lo guardò per qualche attimo, stupito, per poi sorridere, sistemare l’ombrello sotto il braccio in modo che non cadesse, e avvolgere un braccio attorno al collo dell’italiano, bloccandolo per poter strofinare con forza il pugno  della mano libera sul suo capo.

<< Di niente, mein freuden. E comunque, questo è per essere fuggito in quella maniera senza dirci nulla, Italien. >>

<< M-Mollami, deficiente! Mi fai male! Pensa al gatto, poi! Fermo, Germania!!! >>

<< Miao! >>

 

Germania sospirò amaramente, e si voltò verso il vicolo dove aveva trovato quei poveri gatti. Gli animali avevano sempre avuto un potere rilassante su Veneziano, per chissà quale motivo. Sapendo del male di cui soffriva l’altra nazione, quando aveva iniziato a convivere con lui e le altre nazioni aveva addestrato i suoi cani in modo che gli potessero tenere compagnia nel periodo post-crisi quando, per qualche motivo, si trovava a casa da solo; il Settentrione sembrava aver gradito grandemente quel gesto,  ma, effettivamente, qualunque traccia di isteria evaporava quasi immediatamente solo se tra le braccia aveva un gatto.

Italia. Piccolo, dolce, caro Italia, che non aveva meritato nulla di cattivo nella sua vita, ma che ne aveva passate di tutti i colori.  Il suo amato Italia, così forte all’esterno e fragile all’interno, l’amore della sua vita; ah, avrebbe fatto qualunque cosa per lui, letteralmente. Forse fu per questo che quando quell’idea lo colpì, non si sentì ne sorpreso ne spaventato: per quanto malsana e stupida, e logica avrebbe voluto che rifiutasse in pensiero simile, sapeva che, quando di mezzo c’era la nazione a lui più cara al mondo, nulla sarebbe stato in grado di fermarlo. Nemmeno il rischio di venire preso di mira da numerose pallottole.

 

 

 

 

<< Sono a casa. >>

<< Finalmente, >> esclamò Belgio, poggiando il libro che stava leggendo sul tavolino e alzandosi per andare ad accogliere Germania con una bella sgridata, << ma perché ci hai messo così tanto, si può sapere? Ti eri perso per ca- Oh? >>

<< Che succede? >> chiese Paesi Bassi avviandosi verso l’ingresso, allarmato dal tono eccessivamente acuto della sorella. La scena che si trovò davanti fu alquanto strana; Germania, completamente bagnato dalla testa ai piedi, senza giacca e sciarpa, e circondato da numerose buste della spesa, era fermo a gocciolare davanti alla porta, e Belgio stava osservando un qualcosa che si trovava sul suo braccio. Incuriosito, si avvicinò ai due, e rimase molto sorpreso quando vide sette piccole palle di pelo accartocciate nella giacca del tedesco, completamente bagnate anche loro: << M-Ma che- >>

<< Sono dei gattini, Hollande! >> esclamò estasiata la belga, per poi correre in cucina a prendere un panno con cui avvolse due dei piccoli felini, << guarda che amori, quanto sono piccoli! >>

<< Lo vedo. >> concordò l’olandese, carezzando la testolina di uno dei due micetti, intenerendosi quando questi si strofinò felicemente contro le sue dita << sembrano appena dei cuccioli. Ma dove li hai trovati? >>

<< Erano in un cassonetto dell’immondizia, >> rispose Germania, accuratamente evitando di raccontare il come li avesse trovati – aveva ancora una dignità, del resto, e sospettava che menzionare anche come si fosse fatto fregare il pane l’avrebbe inevitabilmente intaccata, << mi hanno fatto un po’ pena e- >>

<< Hai fatto bene a portarli qui. >> lo interruppe Belgio, sorridendo mentre coccolava i due gatti, che si guardavano confusamente attorno cercando di capire in che luogo si trovassero. Gli altri cinque, ancora in braccio a Germania, osservavano i loro compagni pronti ad intervenire.

<< E rilassatevi un po’, voi! >> mormorò Germania, mentre poggiava a terra il cappotto per permettere a quattro di loro di uscire e di ambientarsi un poco, ma tenendo in braccio quello ferito.

<< Oh, ma guarda che amori! Sono tutti bagnati poveri- ma quello è ferito! >>

<< Ehm, ja. >> disse il tedesco, carezzando il gatto leso sotto lo sguardo infastidito e indagatore di quello nero con le cicatrici, lo stesso che gli aveva prima rubato il pane; stranamente, la nazione si sentì messa  un poco in suggestione, << d-dov’è Italien? >>

Belgio e Paesi Bassi si scambiarono un’occhiata addolorata, per poi sospirare all’unisono: << Ha avuto una crisi. >> rispose la belga, carezzando distrattamente il pelo dell’unica gatta del gruppo, << non so che cosa gliel’abbia causata, però. È con Romano al piano di sopra, credo stiano in bagno. >>

Germania annuì, e fece per avviarsi al piano superiore, ma il gatto nero si arpionò alla sua gamba per cercare di arrampicarsi e salvare il suo compagno che evidentemente aveva percepito in pericolo.

<< Che vuoi tu? >> disse infastidito, scrollando la gamba nell’inutile tentativo di staccarsi quel gatto di dosso.

<< Credo che non voglia che te ne vada, >> disse Paesi Bassi, non potendo non sorridere davanti all’ostinazione del felino, << e poi dove stai andando con quel gatto? Dammelo, che lo curo io. >>

<< Ehm, a dire il ve- >>

<< Ma che state combinando? Che ci fanno tutti questi gatti qui?! >>

<< Da dove sbucano loro? >>

<< France, Luxembourg, Allemagne è stato così gentile da volersi prendere cura di questi micetti abbandonati. Non è stato carino da parte sua? Chi avrebbe mai detto che uno così avesse un cuore così dolce? >>

Germania non sapeva se sentirsi lusingato o offeso dal commento di Belgio, ma la reazione non proprio entusiasta di Francia e Lussemburgo gli dava molto più da pensare.

<< Gatti? Ma non ti bastavano tre cani? Questo posto sta diventando peggio di uno zoo. >> di lamentò la nazione lussemburghese, storcendo il naso quando vide due gatti iniziare a giocare tra loro, bagnando tutto il pavimento.

<< Ma dai, che fastidio ti danno? >>

<< Che fastidio? Belgique, spero seriamente che tu non stia pensando di tenerli qui. >> disse Francia con tono basso, rabbrividendo al solo pensiero.

<< Perché no? >>

<< Non pensateci nemmeno! >> protestò Lussemburgo, iniziando ad elencare tutta una serie di motivi economici per cui mantenere sette gatti sarebbe stato controproducente, sotto lo sguardo sempre più confuso dei presenti.

<< … Luxemburg, sono dei gatti, non delle sanguisughe. >> disse Olanda, cercando di interrompere il discorso del fratello diventato ormai del tutto incomprensibile.

<< Non c’è poi molta differenza, visto che i gatti sono rinomati per essere degli animali opportunisti. >>

<< Ma dai, non dirmi che non ti fanno neanche un po’ di pena. >>

<< In questo momento non la stanno facendo neanche a me. >> mormorò Germania mentre scuoteva la gamba cercando di liberarsi dal felino saldamente attaccato ad essa.

<< Non credo che la smetterà se non metti giù il gatto che hai in braccio. >>

<< Non fare il saputello, Frankreich! >>

<< Ma guarda che carino. Sai che ti assomiglia, Allemagne? >>

<< Eh!? >>

<< Ma si, >> continuò la nazione belga, indicando il gatto tra le braccia del tedesco, il quale osservava il suo compagno nero con un’espressione di stanchezza ed esasperazione insieme , << guardali attentamente: sembrano la perfetta copia tua e di Italie quando inizi a fare l’iperprotettivo con lui. >>

<< Lo sai che ci avevo fatto caso anche io? >> disse Paesi Bassi, ridendo leggermente mentre il felino nero continuava la sua complicata arrampicata sulla gamba della nazione germanica, miagolando ferocemente, << Stesso sguardo infastidito e arrabbiato, stessa testardaggine, e lo sguardo del suo amichetto è lo stesso di Italië quando ti vede fare il geloso. >>

<< Esasperato e imbarazzato. >> commentò Francia, ghignando per quella scenetta. Accanto a lui, neanche Lussemburgo riuscì a sopprimere una risata lieve.

<< … Ah. Ah. Ah. Molto. Divertente. >> disse Germania, stizzito, mentre afferrava per la collottola il gatto nero per allontanarlo dai suoi pantaloni; esausto com’era, neanche si sprecò ad imprecare quando vide la stoffa dell’indumento cedere e strapparsi sotto gli artigli affilati dell’animale, creando un bel buco e una grassa risata per tutti i presenti.

<< Tu mi odi, vero? >> sussurrò al gatto dopo averlo sollevato fino al volto, incrociando il loro sguardi, entrambi estremamente astiosi, << Avanti, brutta palla di pelo. Lo so che mi odi. Prima mi freghi il pane, poi mi rovini i pantaloni. Che farai poi? Mi sfigurerai anche tu? Non è che perché hai sette vite puoi fare quel che ti pare, sai? >>

Il gatto gli soffiò sdegnosamente in faccia, quasi a ritenere quelle minacce mere parole al vento, e se Germania non avesse avuto l’altro gatto ferito tra le braccia, probabilmente non avrebbe esitato a fargliela pagare cara.

<< Oddio, siete identici, proprio uguali! >> esclamò Belgio tra le risate, e perfino gli altri gatti guardavano divertiti quello strano essere umano litigare con il loro compagno.

<< S-Stille! >>

<< Come mai tutte queste risa- Ma che avete combinato! >>

Tutti i presenti si voltarono all’unisono verso le scale, dove trovarono Romano, evidentemente disgustato per le pozze d’acqua e fango nell’atrio e per la presenza di sette gatti, Veneziano, che guardava confusamente la scena mentre cercava di fare un po’ di ordine nella sua mente stanca, e i tre cani di Germania, che non avevano perso tempo a lanciare occhiate ostili verso gli intrusi.

<< Oh, Vene! Stai un po’ meglio? >>

L’Italia del Nord ci impiegò qualche secondo a rispondere, un po’ per la stanchezza, un po’ per il suo spirito animalista che era rimasto incantato di fronte a quei piccoli mici: << Ehm, si Lussemburgo, ma- >>

<< Che. Ci. Fanno. Quei. Cosi. Qui? >> domandò l’Italia del Sud, rabbrividendo quando uno dei gatti, quello bianco con le macchie marroni e un pelo che sporgeva verso destra dalla fronte, fece per strusciarsi contro i suoi preziosissimi pantaloni del pigiama firmati, << Sciò, pussa via! >>

<< Romano, non trattarlo così! >> esclamò Veneziano, prendendo al volo il piccolo animale prima che suo fratello avesse la pessima idea di dargli un calcio, << vuole solo una carezza! >>

<< Scordatelo! Sai che odio gli animali! Già mi è difficile convivere con quelle tra bestiacce pulciose, non abbiamo bisogno anche di gatti sputa-palle-di-pelo qui. >>

I tre cani ringhiarono sommessamente sentendo quell’epiteto, già nervosi per la presenza dei gatti, ma ritornarono in silenzio quando Germania gli lanciò un’occhiata di avvertimento; Aster, il più grande sia di stazza che di età dei tre, si avvicinò circospetto a due dei gatti, uno dal pelo lungo e grigio, l’altro marroncino, li annusò brevemente e infine gli leccò, evidentemente dando il suo consenso. Anche gli altri due cani, alla fine, ingoiarono il fastidio, e si misero in angolo ad osservare i loro probabilmente nuovi coinquilini.

<< Aw, anche ad Aster piacciono! >> esclamò Belgio, intenerita, mentre stringeva al petto l’unica gatta del gruppo, dal pelo marrone e con la zampina anteriore completamente bianca – l’altro gatto, quello bianco con le chiazze marroncine, lo aveva preso in braccio Paesi Bassi.

<< Ma per favore! >> il volto di Lussemburgo tornò serio in pochi istanti non appena si prefigurò la possibilità che i gatti potessero veramente rimanere in casa – un inutile ed ennesimo spreco di soldi dal suo punto di vista.

<< Non possiamo tenerli! >> Francia non esitò a rincarare la dose, anche se la sua motivazione risiedeva nella sua insita pigrizia – tutti quegli animali richiedevano un’attenzione che lui non aveva alcuna voglia di dare.

<< Ma dai, Frankrijk! Non vorrai davvero farli tornare per strada! >>

<< Per strada no, ma trovargli una sistemazione alternativa direi che è d’obbligo. >>

Mentre Francia, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi discutevano su da farsi, Veneziano si avvicinò silenziosamente a Germania, osservando il piccolo gatto tra le sue braccia.

<< Germania? >>

<< Um? >>

<< Ma è ferito quello? >>

Il tedesco abbassò il braccio che teneva il gatto nero, liberò l’animale, e sfoderò il migliore dei suoi sorrisi per l’italiano: << Ecco, ja. Li ho portati qui anche per curare lui. Ha una piccola ferita sotto la coda, non credo sia grave. >>

<< Fammi vedere. >> disse l’italiano dopo aver poggiato il felino che aveva in braccio per terra, per poi prendere delicatamente l’altro e sollevargli la coda; il gatto miagolò dolorosamente, e subito prese a carezzarlo dietro le orecchie per calmarlo, sorridendogli piano: << Scusa piccolino. Per fortuna non è grave e non sembra neanche infetta. Però credo che sarebbe meglio disinfettarla e poi bendarla, che dici? >>

Il gatto miagolò debolmente, accoccolandosi contro il petto caldo dell’italiano una volta percepitene le buone intenzioni. La nazione italica lo grattò dolcemente dietro le orecchie, per poi portarlo in cucina per poter prendere il necessario per le medicazioni. Il tutto sotto lo sguardo sbigottito dei presenti – tranne di Germania, troppo intento a pensare a quanto fosse tremendamente carino il suo lieber.

<< Ah, ecco perché li hai portati qui. >> disse Romano, sorridendo esasperato.

<< Eh? >> la nazione germanica si voltò, fintamente confuso e sinceramente imbarazzato, verso i presenti-

<< Se non ti conoscessimo, >>  Francia scosse la testa, ghignando leggermente; poi il suo sguardò si spostò sul gatto dal lungo pelo grigio ai suoi piedi, che si era comodamente sdraiato vicino al suo piede e lo osservava con sufficienza mista ad aspettativa; infine, si chinò e prese a carezzargli la pancia, sorridendo leggermente quando l’animale prese a fare le fusa << oh bè, spero che tu sappia cosa vuol dire prendersi cura di un gatto. >>

<< Uh! >> Lussemburgo si voltò verso di lui, indignato, << Che vuol dire “spero che tu sappia”! Non avrai veramente intenzione di accettare di tenerli qui!? >>

<< Ma Luxembourg, >> Belgio alzo la gatta che aveva in braccio fino all’altezza del viso, ed entrambe gli riservarono lo sguardo più ‘carino-e-coccoloso’ del loro repertorio, << non ti fanno un po’ pena? >>

<< Neanche una goccia! Sono soldi sprecati, ecco cosa sono! >>

<< Ma dai, non pensare sempre ai soldi. >>

<< Holland! >>

<< Ugh, questa casa diventerà una zoo. >> si lamentò Romano, lanciando qualche occhiata verso la cucina per vedere cosa stesse facendo suo fratello, e sorprendendosi non poco quando lo trovò decisamente più calmo rispetto a prima, intento a curare la ferita del gatto.

<< Romano, dai! Non vedere solo il lato negativo. E poi i gatti sono animali molto indipendenti, non hanno bisogno delle stesse cure di una cane. >>

<< Lo so, Belgio, lo so. >> il Meridione sospirò pesantemente, per poi lanciare un’occhiataccia alla nazione teutonica, <<  Germania smettila di sbavare appresso mio fratello. >>

Il tedesco sussultò visibilmente, per poi voltarsi lentamente verso l’italiano, le guance leggermente rosee: << N-Non stavo sbavando. >>

<< Geen. >> disse ironicamente Paesi Bassi, mentre asciugava uno ad uno i gatti.

<< Dì un po’, Germania, non penserai veramente che regalando dei gatti a mio fratello ti guadagnerai il suo amore. >>
<< N-Non centra nulla questo, non stavolta, >> il tedesco si voltò verso Veneziano, osservando come quest’ultimo curava espertamente la ferita del gatto, sereno come poche volte lo aveva visto, << quando sono arrivato ho sentito Italien urlare per una crisi. Mi sono ricordato che quando si occupa di un animale si sente subito meglio, specie se sono gatti. E poi non mi andava di lasciarli dentro un cassonetto dell’immondizia! >>

<< Si si, certo, >> l’italiano sospirò, per poi alternare lo sguardo tra il gatto che cercava di ottenere la sua benevolenza strusciandosi contro la sua gamba e il suo sereno fratellino.

<< Perché non la mettiamo ai voti? La maggioranza vince. Allora, chi vota per tenere i gatti? >> disse Olanda prima di alzare il braccio, seguito da Belgio e da Germania. Romano rimase immobile per qualche istante, per poi alzare anche lui la mano: << Solo per mio fratello. >>

<< Bene, allo- >>

<< Fermi tutti! Il voto di Italien è unico, e ha votato solo Romano. Questo è un mezzo voto, non vale! >> protestò Lussemburgo, incrociando le braccia davanti al petto con stizza.

<< Non credo che Veneziano sia molto contrario all’idea, Luxembourg. >> disse Belgio, indicando il Settentrione mentre coccolava, beato, il gatto ferito tra le sue braccia.

<< Uhg! >>

<< Ma si, dai. Tanto sapevo che questa casa sarebbe diventata uno zoo fin da quando ho chiesto di sposarvi. >> disse Francia con un mezzo sorriso, per poi alzare la mano.

<< Frankreich, traditore! >> la nazione lussemburghese, dando dei piccoli pugnetti sulla schiena del francese, << solo perché sono il più piccolo di statura vi permettere di non ascoltare la mia opinione! Ricordatevi che sono io quello che amministra le finanze, qui! Vi taglio i viveri a tutti! >>

<< Luxemburg! >>

<< Luxemburg un cavolo, Holland! Anche io  mi devo far rispettar- uh? >> il lussemburghese sussultò quando sentì qualcosa di peloso strusciarsi contro la sua gamba; abbassò lo sguardo, e trovò il più piccolo dei sette gatti ai suoi piedi, che lo fissava con i suoi occhioni lucenti cercando di intenerirlo.

<< C-Che- >>

<< Oh, Luxemburg, guarda! Gli piaci! >> esclamò Belgio, osservando con un sorrisetto quella scenetta.

<< M-ma, >> la nazione lussemburghese sbatté le palpebre un paio di volta, incredulo, cercando di non farsi toccare da quegli occhietti lucenti, da “gattino  tanto bisognoso di coccole”: << oh, n-no, stammi lontano! Sono allergico alle cose carine, tsk! >>

Il gatto continuò a strusciarsi contro la sua gamba, alla ricerca di attenzioni, e il lussemburghese sentiva la sua resistenza sgretolarsi lentamente. La situazione peggiorò quando Francia, evidentemente stufo di quell’inutile atteggiamento restio, prese il micio per la collottola e glielo mise tra le braccia a forza. Il pelo del felino era ancora un po’ umido, e puzzava terribilmente, ma vedere quegli occhioni verdi così da vicino…

<< Ow, >> Lussemburgo lanciò un’occhiata avvilita alla nazione francese, << Frankreich, questo è barare… >>

<< Ok, direi che, all’unanimità, possiamo tenerli tutti e sette. >> disse Francia, ghignando leggermente mentre osservava la lotta interiore della nazione lussemburghese, indecisa tra il lasciarsi andare a coccole infinite verso il gatto o lasciarlo a terra e ignorarlo.

<< Che bello. >> commentò ironicamente il Sud Italia, per poi avvicinarsi alle buste della spesa e controllarne il contenuto, storcendo il naso quando vide che la maggior parte della roba si era bagnata con la pioggia, << Germania, questa dovrebbe essere la nostra cena? >>

Ma Germania non l’aveva neanche sentito, tanto la sua attenzione era per l’altro Italia; entrò in cucina, avvicinandosi cercando di non disturbare l’italiano, e si sedette accanto a lui, continuando ad ammirarlo incapace di staccare la vista da quella tenera scena.

<< Germania, la smetti di fissarmi? >> Veneziano gli lanciò un’occhiataccia, senza smettere di grattare dietro le orecchie il gatto che ancora aveva tra le braccia.

<< Sei così carino, lieber. >> sospirò estasiato il tedesco, sorridendo. La nazione mediterranea ebbe un brivido.

<< Non. Sorridere. >>

<< Ma come si fa a non sorridere vedendoti? Sei così carino quando carezzi gli animali. >>

<< Fai paura quando sorridi. Fai paura perfino al gatto. >> l’Italia del Nord si strinse al petto il micio, allontanandosi leggermente dall’altra nazione.

<< Andiamo, lieber. Non allontanarti da me. >>

<< Stammi lontano sottospecie di stalker! >>

<< Non sono uno stalker. Voglio solo starti vicino. E poi non potresti riservare un po’ di coccole anche a me? Non ho avuto una bella giornata. >>

<< No! >>

<< E dai. >> Germania avvicinò le loro sedie, cercando di incrociare i loro sguardi.

<< No. >>

<< Solo un pochino, almeno come ringraziamento per averli portati a casa. >>

Veneziano sospirò profondamente, lanciandogli un’occhiataccia – e arrossendo violentemente quando notò il volto dell’altro tremendamente vicino al suo: << S-Sparisci. >>

<< Solo un bacino. >> mormorò il tedesco, sporgendosi per poter catturare le labbra dell’italiano, ma un improvviso bruciore sul naso lo costrinse alla ritirata. Toccandosi il punto dolente, scoprì delle piccole tracce di sangue sulle dita, e guardando in basso notò il getto-ladro in piedi sul tavolo, che lo guardava in cagnesco – o in “gattesco”, che dir si voglia.

Germania sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo; poi, la rabbia montò in pochi istanti e, al grido di: << Bastard einer katze! >> fece per afferrarlo e stritolarlo tra le mani; ma Italia  prese il gatto prima di lui e lo portò al sicuro tra le sue braccia.

<< Non ti azzardare a fargli del male! >> esclamò l’italiano, lanciandogli la peggiore delle sue occhiatacce per poi grattare tornare ad osservare i due felini che aveva in braccio, intenerendosi quando vide quello nero sfregare il felicemente il  muso contro quello dell’altro, il quale rifuggiva con ben poca voglia quelle attenzione, limitandosi a voltarsi dall’altra parte.

Germania rimase a fissarli per qualche istante, immobile, per poi tornare a sedersi sbuffando pesantemente; ma il broncio si trasformò quasi subito in un mezzo sorriso quando vide l’espressione, rara e tremendamente bella, di pura calma e contentezza sul volto dell’altra nazione. Senza intenzioni moleste, avvicinò la sedia a quella del Settentrione, e passò un braccia dietro le sue spalle, limitandosi ad osservare i due gatti che giocherellavano tra loro in perfetto silenzio – e, con sua muta e somma gioia, Italia non lo respinse.

 

 

 

 

<< Germania!!! >>

L’interpellato sussultò vistosamente, voltandosi velocemente verso l’ingresso della cucina e trovandovi l’Italia del Sud, armata di tutto punto, e con un mitra mirato esattamente contro di lui.

<< Germania, nazione inutile quale tu sei, hai visto come diavolo è ridotta la cena di stasera? >>

Germania deglutì faticosamente, notando che anche Belgio, Francia, Paesi Bassi e Lussemburgo gli stavano riservando occhiate non proprio amichevoli: << Ehm, ecco… N-Non è colpa mia… P-Pioveva… >>

Romano non smise di sorridere, e tolse la sicura all’arma, mormorando con voce fintamente cortese: << Hai tempo per poter portare altre bestie pulciose dentro questa casa, ma non per poter mettere al sicuro la nostra cena?  Hai uno strano senso delle priorità. >>

<< M-Ma- I-Italien, digli qualcosa! >>  disse la nazione teutonica voltandosi, ma l’italiano, intuendo l’imminente pericolo, non aveva perso tempo a darsela a gambe levate assieme ai gatti. Germania, tremante, tornò ad guardare verso l’ingresso, e con suo sommo orrore scoprì che anche Olanda e Francia avevano deciso di unirsi all’italiano meridionale, anche loro ben equipaggiati.

<< Doveva essere un pasto degno di questo nome dopo quella sborra che Russie ci ha servito a casa sua! >> disse con voce incolore il francese, infilandosi i guanti metallici.

<< E invece rimarremo a digiuno di nuovo. >> Olanda passò il pollice sulla spada che impugnava, saggiandone l’affilatezza.

Germania deglutì, completamente immobile dalla paura.

<< Che hai da dire a tua discolpa? >> disse il Meridione, abbassando leggermente l’arma per puro gusto di sentire cosa l’altra nazione si sarebbe inventata per salvarsi la pelle.

<< …Es tut mir lied? >>

<< … >>

<< … >>

<< …Germania? >>

<< J-Ja? >>

Romano prese la mira: << Sei morto. >>

 

 

 

Traduzione:

Nota: il lussemburghese è una lingua effettivamente esistente, anche se da molti è considerata più un dialetto tedesco che una lingua vera e proprio. Non ho trovato un traduttore che avesse il lussemburghese, così ho deciso di usare il tedesco standard.

Nota2: Belgio, in questa fic, parla francese. In Belgio le lingue ufficiali sono il francese, l’olandese e il tedesco. Fin ora, ho sempre usato l’olandese per farla parlare, ma in questa fic ho fatto un’eccezione e ho usato il francese, per fare un esperimento e vedere quale tra le due lingue sarebbe stato meglio usare (il tedesco lo uso già abbondantemente per Germania, Austria, Svizzera, Prussia e Liechtenstein, non mi va di usarlo anche per Belgio XD ). Dopo questa fic, credo che tornerò all’olandese, XD, ma lascio qui il francese anche per avere la vostra opinione in merito.

Tedesco:

Verdammdte Katze = Gatto maledetto

Stille = Silenzio

Bastard einer katze! = Maledetto di un gatto!

 

Giapponese:

Ya = No

Kuso = Maledizione

 

Olandese

Geen = No



*giusto per rendere le cose motlo angst: indovinate quale nazione è scomparsa nel 1806, proprio ad agosto... 

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Capitolo 11
*** Un bel (?) pomeriggio al cinema ***


Titolo: Un bel (?) pomeriggio al cinema

Personaggi: Germania (George Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas)/ Danimarca (Søren Densen); Svezia (Ingmar Oxestierna); Norvegia (Bjørn Bondevik); Islanda (Emil Steilsson); Finlandia (Alvar Väinämönien)/Cina(Wang Li); Giappone (Hidekaz Honda); Taiwan; Corea del Sud (Im Jun Ho); Hong Kong

Ps: Si, i nomi adatti a 2p!Taiwan e 2p!Hong Kong li devo ancora trovare XD. Mi sto impegnando, ma per adesso non mi è uscito nulla di buono.

Per gli altri: Bjørn ed Emil sono nomi possibili rispettivamente di Norvegia e Islanda, scelti da Himaruya. Nel fandom, se non sbaglio, i più diffusi sono Lukas ed Erik, per questo non ho usato questi due nomi. Ingmar è il nome di un famoso regista svedese, mentre Alvar è il nome di un altrettanto famoso architetto finlandese. In Jun Ho è un nome che mi è stato suggerito da una mia amica che studia coreano; Li è uno dei nomi più diffusi in Cina.

Genere: Commedia

Note aggiuntive: Sfido chiunque dei lettori a dirmi che almeno una delle cose accadute nelle storie qui riportate non gli/le è mai accaduto XD. Sul serio, voglio vedere chi non ha mai beccato al cinema il gruppo rompiballe, ha fatto il cameriere o è stato tra i comodi, o non si è arrabbiato mentre il vostro vicino disturbava, magari stando al telefono.

Complice un video dei Nirkiop, posso assicurarvi che tutto questo mi è capitato… Purtroppo proprio tutto .-.

Va be’, non perdiamoci in mesti pensieri, questa fic è fatta per ridere!

 

 

Enjoy!

 

______________________________________________-

 

L'Europa...

 

 

<< Allora, aspettate un attimo, >> disse Paesi Bassi a bassa voce, per poi accostare il foglio ad un Francia esasperato, << il tipo con i baffi e la barba, no? Non il pirata, quell’altro; è il buono, no? >>

<< E allora? >> domandò la nazione francese, massaggiandosi le tempie stancamente, cercando di seguire il discorso dell’altra nazione senza perdere il filo della narrazione del film.

<< Perché sta combattendo il tizio in uniforme? >>

<< Perché il tizio in uniforme è il cattivo! >> rispose l’altro, finendo la pazienza.

<< Ma il cattivo non era il tipo coi tentacoli? >>

<< Lo sono entrambi! >>

<< Ah, certo, >> il sorriso di Olanda durò pochi attimi, il tempo per cui la confusione tornasse sul suo volto, << e allora anche il pirata è il cattivo. >>

<< No, il pirata è il buono! >>

<< Non è possibile, un buono non combatte con un altro buono! >>

<< In questo caso, oui! >>

<< Ma non ha senso! Scusa, se loro due sono i buoni non dovrebbero unirsi contro il cattivo? >>

<< Ma non hanno obbiettivi uguali! >>

<< E allora uno dei due deve essere cattivo! >> disse Olanda, sempre più incapace di capire quella trama così complicata - per lui.

<< Non, sono due buoni con obbiettivi diversi. >>

<< A dire il vero, >> si intromise Germania, sporgendosi fra i due dal sedile di dietro, << in questa storia nessuno è buono o cattivo. Ognuno combatte per i propri ideali, è inutile cercare un buono o un- >>

<< Allemagne, il pirata è il buono, il tizio con la barba e i baffi è buono, l’ex generale è il cattivo! >>

<< Ma a dire il vero- >>

<< È così e basta! >> disse Francia ad alta voce, guadagnandosi un’occhiataccia da quasi tutta la sala e numerosi << Sh! >>, tra cui quelli di Belgio, che gli sedeva accanto, e Veneziano, che stava vicino a Germania. Quest’ultimo, un po’ infastidito da quel comportamento scocciato da parte del francese, si rimise comodo sullo schienale della poltroncina, bevendo gli ultimi sorsi della sua birra.

<< È inutile, non riesco a capire questa trama. >> si lamentò Olanda, poggiando stancamente la testa sulla mano.

<< Holland, tu non hai mai capito le trame dei film, non si sa per quale motivo sei completamente incapace di comprenderle. >> disse Lussemburgo, lanciando un’occhiata infastidita al fratello. L’olandese gli riservò un mezzo sorriso che certo non nascondeva il fastidio per il suo fare saputello: << Luxi, non è colpa mia, preferisco di gran lunga i libri, almeno se ti distrai un attimo puoi rileggere il pezzo di storia che non hai capito. Coi film non puoi farlo, te li devi rivedere da capo. >>

<< Se è un DVD puoi farlo tranquillamente, basta mandare indietro il film di qualche scena, >> replicò Belgio, << e ora fai silenzio, voglio godermi questo film. >>

<< E visto che ci siamo, evitiamo di farci cacciare nuovamente dal cinema. >> disse Veneziano, lanciando un’occhiata eloquente a Germania, il quale sbuffò sonoramente.

<< Lieber, per l’ultima volta: è stato quel signore ad infastidirmi! Che ci posso fare se ero più alto di lui e lui non ci vedeva?! >>

<< Potevi spostarti invece di fare una rissa. Il cinema era mezzo vuoto. >>

<< Poteva chiedermelo gentilmente invece di darmi del frigido! >>

<< Certo, perché tu vai a letto spesso vero? >> commentò ironicamente Romano, insospettendosi però quando Veneziano, seduto alla sua sinistra, arrossì violentemente e Germania rivolse al suo fratellino un sorrisetto molto poco rassicurante.

<< E comunque, ha insultato anche te! Dovevo difenderti, nessuno da del mafioso a mio marito senza pagarne le conseguenze! >>

<< Che cavaliere senza macchia e senza paura abbiamo qui. >> disse l’Italia del Sud, ghignando leggermente verso il suo fratellino, il quale commento con un breve ma ironicamente efficace: << Che culo. >>

<< Romano, per favore, voglio vedere il film. >> disse Belgio, voltandosi verso i tre seduti dietro di lei; il Meridione le sorrise dolcemente, per poi dare finire la bustina di cracker  che stava mangiando, mentre Veneziano diede un dolorosissimo pizzicotto sulla gamba del tedesco prima di tornare a vedere lo schermo in pace.

Dopo qualche minuto di silenzio tra i sette, lo schermo si fece nero esattamente sul più bello, quando un pirata antropomorfo, il cattivo principale, scopriva l’assenza del suo cuore all’interno del cofanetto che gelosamente lo custodiva.

<< Ma che- c’è anche il secondo intermezzo? >> disse Belgio, sdegnata, << Il film dura un’ora e mezzo, e fanno a fare un terzo tempo? >>

<< Per aumentare la suspense >>, disse Lussemburgo prima di stiracchiarsi, mentre attorno loro molte persone si alzavano per sgranchirsi le gambe, mentre altri andavano a prendere qualcos’altro da mangiare per il terzo tempo – e, notarono i sette, parecchia gente non si risparmiava dal lanciare loro delle occhiate infastidite, quasi ostili.

<< Ma non ha senso, durerà pochissimi minuti! Che cinema del cavolo! >> disse la belga a bassa voce, vergognandosi un poco a causa di quegli sguardi di gente che, infondo, aveva tutto il diritto di sentirsi infastidita dai loro continui schiamazzi: era dall’inizio del film che non avevano fatto altro che parlottare tra loro, specie Olanda.

<< Però il film non è male, eh? >>

<< No, è davvero ben fatto. >>
<< Ma voi ci avete capito qualcosa della trama? >>

<< Hollande, per l’ultima volta, sei tu che dei film non ci capisci nulla, non il contrario. >>

Paesi Bassi lanciò un’occhiataccia verso Francia, ma il cipiglio mutò subito in un mezzo sorriso quando sentì lo stomaco di Lussemburgo iniziare a reclamare qualcosa di sostanzioso con cui riempirsi: << Ma che ora è? >>

<< Le dieci e  mezzo. >>

<< Le dieci e mezzo? Ci credo che sono affamato, non abbiamo neanche cenato, >> si lamentò il lussemburghese, per poi voltarsi verso gli altri, << ho una fame da lupi. Chi va a prendere qualcosa? >>

Il silenzio che seguì quella richiesta fu abbastanza eloquente per fargli capire che avrebbe fatto prima ad alzarsi e andare a prendersi la roba da solo: << Siete una massa di pigroni. >>

<< Sono troppo comodo per alzarmi. >> disse Romano, sistemandosi meglio che poté sulla poltroncina.

<< Non sei di grande aiuto, >> disse Lussemburgo, per alzarsi in piedi, << vi devo prendere qualcosa? >>

<< Nah, tutti quei popcorn mi hanno riempito. >> disse Veneziano, stiracchiandosi leggermente sul posto per poi ricadere pesantemente sullo schienale; Romano concordò col fratello con un cenno assonnato, poggiandosi contro il poggiatesta e chiudendo gli occhi.

<< Anche io sto bene. E poi non mi va di alzarmi, tra un po’ ricomincia il film. >>

<< Prima ho preso quella bibita gassata, sono veramente piena. >>

<< Io sto a apposto. >> disse Olanda, per poi prendere il portafoglio e passare qualche banconota al fratello per pagargli le cose da prendere.

<< Danke, >> esclamò allegramente il lussemburghese quando gli si presentò la possibilità di risparmiare i suoi soldi, << allora siete sicuri che non vi devo prendere nulla? >>

<< Al cento per cento! >>

<< …Ve bene, io vado, eh? >> disse Lussemburgo, per poi incamminarsi sulle scale a passo sostenuto, prima che gli altri potessero cambiare idea.

Doveva ammetterlo: andare a vedere un film nel giorno che i boss li avevano dato libero era sempre meglio che rimanere a casa a non fare niente – anche se la nazione lussemburghese aveva continuato a dire che aveva da << Compilare delle urgentissime carte riguardanti delle relazioni sul loro conto in banca, i costi per mantenere tutti gli animali di casa e gli stipendi di tutti i parlamentari dell’Impero >> - più una scusa inventata all’ultimo momento perché era un accanito asociale piuttosto che un vero impegno – prima che Paesi Bassi lo prendesse per la collottola e lo trascinasse fino al cinema ignorando le sue proteste.

Certo, anche se quel giorno la scelta di film da vedere non era esattamente numerosa e riguardevole – era pur sempre mercoledì sera - quello che stavano vedendo in quel momento, infondo, era abbastanza carino: non si vedeva tutti i giorni una storia così ben fatta su dei pirati, abbastanza storicamente accurata per quanto riguarda i costumi e l’ambientazione, e con dei personaggi così affascinanti, specie il protagonista: ironico e bastardo quanto basta per non farlo risultare antipatico; per non parlare poi di quanto era carina la sua bandana: magari fosse riuscito a trovarne una uguale!

Probabilmente, Lussemburgo stesso si sarebbe goduto meglio il film se suo fratello fosse stato zitto un momento, invece di condividere i suoi dubbi riguardanti la trama con tutti quanti; però, infondo, era stata una bella serata, un po’ di pace dopo giorni di stress.

Per di più, almeno per stavolta, non l’aveva trattato come una sorta di cameriere: approfittandosi del fatto che era piccolo di statura gli facevano sempre portare tutto quanto quando erano in gruppo, sia che fossero buste della spesa o le piante da piantare in giardino. Almeno, per questa volta, lo avevano rispetta-

<< Ah, Luxembuorg! >>

Sheisse.

<< Visto che vai, >>  Francia si voltò verso la nazione lussemburghese, a stento nascondendo un ghigno malevolo << mi prendi un po’ di patatine? >>

Lussemburgo digrignò i denti, annuendo lentamente: << Ja, credo che potrei- >>

<< Prendi anche i popcorn, per cortesia! >> esclamò Belgio, sorridendogli mentre giungeva le mano davanti al petto, come a cercare di farsi perdonare per quella richiesta dell’ultimo minuto.

<< Ehm- >>

<< Bier! >> esclamarono in coro Germania e Paesi Bassi, alzando la mano e senza neanche voltarsi. Lussemburgo sospirò amareggiato, per poi riprendere a camminare; neanche fece mezzo passo, però.

<< Lussemburgo, che per caso la fanno la pizza qui? >> chiese Romano, per poi abbassarsi quando l’altra nazione gli lanciò una scarpa, che gli sfiorò di poco la testa.

<< Era un si? >> chiese Veneziano.

<< Non ha detto di no. >>

<< Bè, chi tace acconsente. >> disse il Settentrione, per poi voltarsi, << Lussemburgo, prendi una fetta di pizza margherita per me, se no mi va bene un hot dog! >>

<< Anche a me! Anzi, se c’è prendimela con le alici! Altrimenti va bene un hot dog anche a me! >>

Lussemburgo sospirò sconsolato, conscio che sarebbe stato perfettamente inutile cercare di protestare. Certo, questo spiegava perché suo fratello gli avesse dato quei soldi: la logica del “io pago e tu porti tutta la roba” era decisamente infallibile. Fu tentato di prendere il cibo solo per sé, ma conoscendo il caratteraccio dei suoi coinquilini forse era il caso di rimanere in silenzio e accontentarli. Purtroppo

 

 

...i Nordici.... 

 

 

Il film, in sé, non aveva fatto paura. Certo, c’erano stati molti momenti in cui avevano tutti sussultato, molti avevano urlato dalla sorpresa, ma certo c’erano film dell’orrore decisamente migliori. L’atmosfera di una villa vittoriana, immersa in un giardino circondato da una lieve nebbia, e la fuga di una fanciulla da un pericolo rimasto ignoto fino al finale, il tutto a formare un film abbastanza decente per essere di seconda categoria. Ma il finale… Oh, che finale!

<< M-Ma- >> Islanda sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo, mentre i dialoghi  tra le due protagoniste proseguivano illuminando tutti i punti oscuri di quella trama semplice ma dal finale disarmate, sotto ogni punto di vista, << a-aspettate, volete davvero dire che fino a questo momento lei non era lei, ma era nel corpo dell’altra?! Si sono cambiate di corpo fin dall’inizio!? >>

Finlandia annuì lentamente, la mano piena di popcorn ferma a pochi centimetri dal volto.

<< Quindi, io fino a questo momento, ho tifato per la cattiva? >> Islanda ricadde sullo schienale, mentre alcune persone iniziavano già a versare le prima lacrime.

<< Che colpo da maestro. >> mormorò Norvegia, ammirando la genialità dell’autore di quel film; sentiva gli occhi pizzicare leggermente,  e uno strano groppo formarsi lentamente sulla gola, ma era certo che quelle che sentiva come lacrime pronte a sgorgare fossero dovute al troppo tempo trascorso a fissare lo schermo che al senso di totale smarrimento e meraviglia che quel finale a sorpresa gli donava.

<< Ma ora la tipa muore? >> chiese l’islandese, mentre cercava di prendere un po’ di patatine dalla confezione che Danimarca teneva in mano senza staccare gli occhi dal film.

<< Temo di si. >> rispose tristemente il danese, anche se infondo si aspettava un finale del genere – del resto per lui valeva il detto: “Sii sempre pessimista: sei avevi ragione eri preparato, se avevi torto sarà una piacevole sorpresa”, una filosofia un po’ macabra ma dagli effetti assicurati.

<< M-Ma no, cioè… Oh Gud, quello è il padre dell’altra? >> chiese Svezia con voce tremante, mordicchiando l’angolo del fazzoletto dal nervosismo.

<<  Che sta facendo con quel fucile? >> domandò Norvegia, mentre avvertiva un doloroso presentimento sul possibile ulteriore sviluppo della trama.

<< Non vorrà- >>

<< Oh Gud nej! Nej nej nej! >>

<< Ma non si accorge che quella è sua figlia! Non può- >> il rumore di tre spari che si susseguirono velocemente zittì Islanda del tutto, mentre il quintetto nordico assisteva ad una vera e propria tragedia, in ogni senso possibile. L’intera sala rimase in silenzio per qualche secondo, poi i primi singhiozzi iniziassero a diffondersi tra i presenti.

<< Oh no! >> mormorò Norvegia, mentre prendeva il fazzoletto dalla tasca per pulirsi il naso, << No, no! Fordi!? Oh gud fordi!? Perché è dovuto succedere? Oh gud! Non se lo meritava, perché suo padre ha dovuto farlo? >>

<< Norja chiudi il becco. >> disse Finlandia con voce del tutto incolore, anche se anche lui era chiaramente sull’orlo di scoppiare a piangere a dirotto come una fontana.

<< Ma come faccio a non piangere!? E’ così… Così… >>

<< Chiudi la fogna. >>

<< M-Men- >>

<< Norja, ti ficco questo ombrello in posti dove non batte il sole! >> esclamò il finlandese, per poi riprendere a bere a grandi sorsare il tè freddo che aveva nel bicchiere. Norvegia, di fronte a quella minaccia, si soffiò il naso sconsolatamente, ma a stento riuscì a trattenere una crisi di pianto quando i suoi occhi si posarono di nuovo sullo schermo, e ben presto fu costretto a prendere un nuovo fazzoletto, mentre quello vecchio si posò “accidentalmente” sulla giacca di Danimarca, malinconico come al solito, e colpevole di aver predetto il finale fin dall’inizio.

<< Ma perché è dovuta morire lei!? >>

<< Dai Sverige, non fare così! >>

<< Ma non hai visto che cosa è successo? >> disse Svezia quasi urlando, mentre usava un fazzoletto per asciugarsi le lacrime, << Era la fanciulla più buona di tutto il mondo, non si meritava un inganno e una fine così crudele! >>

<< Su, Sverige. >> Danimarca posò una mano sulla spalla dell’amico svedese, cercando di consolarlo, << Infondo è così che va la vita: ti fidi di una persona, al punto di accontentare anche un desiderio come quello di scambiarsi i corpi, ed inevitabilmente verrai tradito. Va così la vita. >>

Svezia sussultò, per poi gettarsi contro Finlandia – che stava cercando in ogni modo di mantenere un’espressione neutra nonostante la voglia di piangere – e lagnarsi contro il suo petto. << Finland, oh Finland, consolami! >>
<< Staccati, razza di accollo svedese! >>

<< Ti prego! Oddio che fine orrenda! Perché le è successo tutto questo! Poverina, nej! >>

<< S-Sverige, c-calmati. >> disse Norvegia, allontanandosi di un posto dall’altra nazione, decisamente impensierito dall’emotività dell’altro.

<< È solo un film. >> aggiunse Islanda, che comunque seguì l’esempio del fratello.

<< Nej, nej, >> Svezia si soffiò il naso senza staccare gli occhi lucidi dallo schermo; quando poi notò che la giovane strega, ancora nel corpo della sua vittima, rise malignamente per quella che, evidentemente, aveva trovato una scena divertente- il padre che inconsapevolmente si macchiava del delitto della propria figlia -l’atteggiamento della nazione nordica cambiò radicalmente nel giro di un secondo:  i suoi occhi grigi si scurirono di rabbia, e prima che i suoi amici potessero fermarlo, si alzò in piedi e iniziò ad urlare contro lo schermo: << Jävla slyna, come osi ridere!? Maledetta strega, meriteresti la forca! >>

<< E-Ehi Sverige, fermo! >> Danimarca cercò di riportate lo svedese sulla sedia, arrossendo leggermente quando si sentì addosso gli sguardi di tutta la sala, << Ci stanno guardando tutti, rimettiti seduti. >>

Ma ormai Svezia era entrato in modalità “Vichingo furioso”: già si stava prodigando per scavalcare le sedie e arrivare davanti al telo bianco dove veniva proiettato il film, e avrebbe raggiunto il suo obbiettivo se Islanda e Norvegia non fossero andati in soccorso  di Danimarca nel tenerlo al suo posto.

<< S-Sverige torna giù! >>

<< Muori, muori! >> urlava lo svedese, e nella sala già alcune persone iniziavano ad unirsi al suo coro, motivando i loro accompagnatori a fare altrettanto, trascinate dai sentimenti scatenati da quel finale.

<< F-Finland, >> Norvegia lanciò un’occhiata supplichevole all’amico, << fa qualcosa! >>
Finlandia sospirò pesantemente, per poi decidere di intervenire e risolvere la questione un volta per tutte: si alzò, si avvicinò alla nazione svedese, e diede un pugno ben mirato sulle sue “regioni vitali”, gesto che zittì al col tempo tutti i presenti . Svezia rimase immobile per qualche istante, la bocca aperta in una muta inespressività, prima di ricadere all’indietro sulla sedia.

<< Un metodo un po’ violento, >> disse Danimarca, risistemandosi al suo posto e prendendo i popcorn che aveva lasciato a terra, << ma sempre efficace. >>

<< E ora fate silenzio. >> mormorò Finlandia, tornando al suo posto, deciso a godersi almeno gli ultimi minuti del film. Sfortunatamente, una nuova crisi di pianto da parte di Norvegia mandò in fumo le sua speranza, il norvegese venne salvato dalla sua furia solo dalla luce di una lanternina puntata direttamente sul suo volto, che lo accecò per qualche istante.

<< Scusate signo- >> disse il supervisore del cinema, prima che la ua espressione neutra mutasse in una di sincero fastidio, << ancora voi a fare macello? Sarà la terza volta che mi costringete a venire qui! >>

<< Quarta. >> lo corresse Danimarca, guadagnandosi uno schiaffo sulla nuca da parte di Norvegia.

<< Quarta? Ah, ancora meglio! >>

<< Scusi, naiset, potrebbe fare un po’ di silenzio, vorrei vedermi il film! >> esclamò Finlandia, scocciato, prima di bere una lunga sorsata di gassosa. Tutti, attorno a lui, sussultarono leggermente.

Il supervisore sbatté le palpebre un paio di volte, instupidito da quell’atteggiamento irrispettoso; poi, le sue guance si colorarono di un rabbioso rosso accesso, e dalla tasca prese un blocco di foglietti per le multe e una penna, senza smettere di puntare la torcia contro il volto della nazione finlandese: << Come si permette di parlarmi in questo modo!? Non solo state disturbando il film fin dall’inizio, costringendomi a fare avanti e indietro dalla sala, ma adesso osa pure fare lo scontroso? Ora basta! >>

Finlandia inspirò lentamente, cercando di calmarsi, di non badare alla voce stridula del supervisore e di sentire gli ultimi dialoghi del film, inutilmente.

<< Avanti, nomi e cognomi! >>

<< No, aspetti dömur, andiamo, possiamo parlarne un attimo? >> chiese Islanda, sempre più rosso mano a mano che sguardi infastiditi o divertiti si posavano su di loro.

<< Si, fuori dal cinema! >>

<< Ma, ecco- >>

<< Fuori, su! >>

<< Ma no, dai, mancano pochi minuti! >>

<< Ho detto: fuo- >> il supervisore si interruppe quando notò l’ancora svenuto Svezia abbandonato sulla sedia, << il signore, lì, si sta sentendo male? >>

<< Eh? Oh no, ecco… È solo svenuto per l’emozione. >>

<< Ma non è stato Finland a colpirlo? >> disse ingenuamente Danimarca, prendendosi un’altra batosta da parte di Norvegia.

<< Ah, quindi anche una rissa, uh? >>

<< E-Ekki. >> Islanda cercò di farsi piccolo piccolo sul suo posto, vergognandosi enormemente. Il supervisore sbuffò sonoramente, mentre scriveva l’importo della multa e altre informazioni necessarie: << Adesso volete darmi i vostri nomi? >>

Alla fine, Finlandia non ce la fece più: si alzò di scatto, buttando a terra  i popcorn che aveva sul grembo, e fronteggiò il supervisore del cinema con occhi furenti: << Mi ascolti bene, io non ho speso dieci euro per un biglietto per vedere un film, più altre svariate dozzine in cibo-spazzatura, fatto una fila infinita per poi ritrovarmi in dei posti di merda, perché poi lei, o quel deficiente che fa finta di dormire mi rovinassero lo spettacolo! >>

<< Come si permette! Lei e i suoi amici, uscite immediatamente da qui prima che chiami la sicurezza! >>

Norvegia, Islanda  e Danimarca rimasero in silenzio, indecisi fino all’ultimo se intervenire o godersi lo spettacolo. Alla fine, optarono per la prima opzione; ma era ormai troppo tardi quando Norvegia si alzò e si avvicinò all’amico finlandese e al supervisore, cercando di mitigare la situazione.

<< Dai, Finland, non fare così. Adesso uscia- F-Finland? C-Che stai facendo? N-No, no! Finland, non taccare la sedia dal pavimento, no! No! Dovremo pagare i danni non ci pensi? E- Oh Gud, n-no! Non gettarla addosso al signore, no! Fermo Finland!!!> >

 

 

...l'Estremo Oriente

 

 

In radio c’è un pulcino. In radio c’è un pulcino.

E’ il pulcino Pio, il pulicino Pio, il pulcino Pio, il pulcino Pi-*


<< Rìběn >> Cina si voltò lentamente verso la nazione nipponica, un sopracciglio alzato in un’espressione di muto stupore misto ad esasperazione, << che. Cosa. Diavolo. È. Quello? >>

<< La suoneria viene da Itaria-kun. La trovavo orecchiabile. >> disse Giappone con la solita espressione neutra, mentre cercava prendeva il cellulare dalla tasca.

<< Non è quello- >>

<< Anche se le tue scelte in fatto di canzoni sono abbastanza discutibili, Rìběn. >> disse Taiwan, senza staccare lo sguardo dallo schermo, dove dei giovani ragazzi stavano ballando al ritmo di musica. Hong Kong e Corea del Sud annuirono leggermente, anche se aveva prestato pochissima attenzione alla conversazione.

<< …Dicevo, >> riprese Cina, ricacciando il fastidio per essere stato interrotto, << il cellulare andrebbe spento al cinema, o almeno messo sul  silenzioso. >>

<< Wakatta. >> mormorò la nazione nipponica mentre estraeva con fatica il telefonino dalla tasca dei pantaloni, aggrottando le sopracciglia quando vide chi lo stava chiamando – e ignorando la gente che stava dietro di lui,  accecata dalla luce del telefonino dopo tanto tempo passato al buio, e che gliene stava mandando di tutti i colori, << che vuole America-kun, adesso? >>

<< Non vorrai rispondergli, vero? >>

<< America-kun? >> disse Giappone a bassa voce dopo aver premuto il tasto di accettazione della chiamata, mettendo anche una mano sul microfono del cellulare per evitare di creare troppo rumore. << Che vuoi? Ya, sto al cinema... Sto al cinema! >>

<< Sh! >> dissero in coro Taiwan e Hong Kong, voltandosi verso il giapponese, che però gli ignorò bellamente, girandosi di lato.

<< Ya non pos- Non posso ora, ya! I- >>

<< Rìběn chiudi quel cellulare! >> sibilò Cina, sempre più nervoso – come se l’essere trascinato in un cinema il lunedì sera, a vedere un musical da quattro soldi dopo una fila interminabile tra ragazzine urlanti e in piena crisi ormonale non fossero già stati abbastanza da sopportare per i suoi poveri e vecchi nervi, adesso ci si metteva pure il ciarlare di America, perfettamente percepibile dal telefonino.

<< America-kun, possiamo parlarne dopo, ora non posso parlare. Sto al cinema ti ho detto! >>

Corea inspirò profondamente due volte, cercando di ignorare il ciarlare apatico dell’altra nazione; alla fine, non resistette più, e all’urlo di << Ilbon dai! >> prese dalle larghe maniche una serie di coltelli e si voltò verso la nazione giapponese, pronto a scatenare anche la quarta guerra mondiale* se fosse stato necessario; ma non ce ne fu bisogno: trovò Giappone già riverso scompostamente sul bracciolo, evidentemente intontito da un colpo ricevuto in testa –anche a giudicare dal bernoccolo che sbucava tra i capelli neri - mentre Cina si puliva le mani con un piccolo fazzoletto prima di scrocchiarsi le dita.

<<Xièxiè, Zhōngguó, >> disse Hong Kong senza neanche voltarsi, per poi ingurgitare una gran manciata di popcorn.

<< Ah, meglio così. >> Corea fece un mezzo sorriso, per poi tornare a guardarsi il film. << È un bel film, eh? >> commentò dopo qualche minuto, sporgendosi verso Taiwan.

<< È un musical come altri, nulla di che. La trama è anche un po’ banalotta. >> rispose quest’ultima, sorseggiando il tè verde. Corea annuì, suo malgrado concordando con quel giudizio.

<< Scusate, permesso. >>

La nazione coreana aggrottò leggermente le sopracciglia quando sentì una voce profonda interrompere per l’ennesima volta la sua visione del film. Si girò, pronto a dirne quattro al disturbatore, ma qualunque protesta gli morì in bocca quando vide un omone alto due metri e mezzo scendere le scale con le braccia piene di cibo spazzatura, seguito da una bambina mora, probabilmente sua figlia. Saggiamente, preferì rimanere al suo posto, ma quando vide l’omone sedersi proprio davanti a lui non riuscì a trattenere il suo disappunto.

<< Jeoju, ma perché davanti a me doveva mettersi proprio quello alto!? >>

<< Hánguó fai silenzio. >> disse Taiwan, sbuffando esasperata; ma Corea non le badò.

<< Perché a te tutte le fortune? Perché io davanti ho un gigante e te la ragazzina? >>

<< Hánguó zitto. >>

<< Daman, ora il film me lo vedo così! >> disse il coreano, sporgendosi fino a poggiare le testa contro quella della taiwanese e sistemandosi in modo da poter stare il più comodo possibile – e anche per poter lanciare qualche occhiata alla scollatura dell’altra nazione.

<< Hánguó, scansati. >>

<< Ani, io mi voglio vedere il film! >>

<< Hánguó scansati >> la voce di Taiwan stava diventando pericolosamente bassa, e Corea ebbe la pessima idea di ignorare anche questo ennesimo avvertimento.<< Non lo vedo se no! Dai, tanto manca poco, sopporta un po’.  >> disse per poi lanciare  “casualmente” uno sguardo sul petto della taiwanese, << Comunque, carino il reggiseno con le scimmiette, dove lo hai preso? >>

E fu così che un si formò un buco nel soffitto del cinema, mentre Corea del Sud provava la brezza dal volo ad alta quota privo di paracadute, un’esperienza che avrebbe goduto sicuramente meglio se non fosse stato per il lancinante dolore alla mascella dove Taiwan lo aveva colpito con un destro degno di un pugile dei pesi massimi.

 

 

 

 

 

*Effettivamente, una volta ho sentito il Pulcino Pio come suoneria di un cellulare di un turista giapponese XD, anche se eravamo in un bar in centro e non al cinema. Se non ce l'avesse detto il cameriere, credo che non avremmo mai realizzato di aver fatto scappare quel povero turista tanto eravamo rimaste a fissarlo pr lo stupore XD.

*Nel mio headcanon, nel 2p!World la terza guerra mondiale è scoppiata durante la crisi dei missili di Cuba. Paradossalmente, l’idea mi è stata suggerita da uno dei programmi meno educativi che la tv possa offrire XD. Non so se posso dire il nome del programma, quindi preferisco tacere, ma il l’ispirazione mi è venuta quando, in una puntata, mandavano in una un’ucronia dove al posto di Kennedy fu Nixon a salire al potere, e quest’ultimo si rivelò incapace di gestire la crisi, portando alla guerra.

Meno male che questa shot era comica XD

 

 

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Capitolo 12
*** Evviva gli sposi pt 1 ***


Titolo: Evviva gli sposi pt 1

Personaggi: Germania (George Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Drammatico

Avvertimenti: Al momento nessuno

Note aggiuntive: Non lo chiamerei proprio un ritorno.
Ormai sono stabile su Ao3 da un bel po' di tempo e scrivo prevalentemente in inglese. Ma di recente Hetalia mi ha intappolato di nuovo nella sua morsa, e mi è venuta l'ispirazione per tutti quei plot bunnies che sono anni che ho in mente e che non ho mai buttato giù.
Perciò eccoci qua.
Prim aparte perché sta storia è venuta lunga. Per chi si ricorda la raccolta, stavolta andiamo un po' più nello specifico sull'ucronia e vediamo come si è giunti all'Impero europeo.
Per chi fosse nuovo: si lo so che nel fandom internazionale la caratterizzazione dei personaggi 2p e i loro nomi sono diversi. No non ho intenzione di adattarmi.

Enjoy!

 



"Pardon?" mormorò Francia, sperando con tutto se stesso di aver sentito male. I suoi occhi vagavano tra il volto serio del suo capo e le sette piccole scatole di velluto rosso contenenti ognuna un anello dorato.

"Ha sentito bene," disse l'altro, per poi mostrare un foglio contenente le firme di altri cinque capi di stato, "Ho preferito dirglielo in privato adesso, prima che la notizia sia ufficializzata domani."

"M-Ma l'incontro-"

"E' una formalità, è già stato tutto deciso," il suo capo gli porse il foglio. Francia lo prese con mano tremante e cominciò a leggere tutti i punti del trattato, cercando di tenersi lucido nonostante il panico crescente. Quando i suoi occhi scorsero sull'ultima clausola sentì la gola seccarsi.

"U-Un esercito?"

"Non proprio un esercito, è un solo un piccolo contingente, una protezione extra da aggiungere a quanto offerto da Amerique," specificò il suo capo, intuendo cosa stesse passando nella testa della nazione1.

"Un esercito al di fuori del mio controllo."

"E di quello di Allemagne e di Italie, nonché di Belgieque, Holland e Luxembourg."

"J-Je ne comprends pas-"

"Senta monsieur France, è solo un'accortezza, nulla di cui preoccuparsi, non sarà mai usato contro di lei."

"E il Patto Atlantico?"

Il suo capo si prese qualche minuto prima di rispondere: "Questo contingente sarà in supporto al Patto Atlantico e non un suo sostituto ovviamente," disse come se si fosse preparato la risposta in precedenza, il che era probabile.

"Qui c'è scritto che servirà l'1% dei nostri Pil che si aggiunge al 2% che usiamo per il Patto Atlantico. Non so quanto Russie abbia piacere a sapere che alzeremo le spese militari," disse Francia, sperando che mostrare l'ovvio portasse il suo capo alla ragione. Questi si massaggiò le tempie, spazientito.

"Non è un nostro problema cosa pensa Russie."

"Che diavolo sta dicendo!?" Francia balzò in piedi, buttando la sedia per terra, "Questa è una follia!"

"Forse," ammise, facendo spallucce, "Ma mi creda, non abbiamo molte alternative."

"Amerique-"

"Non ci possiamo fidare," lo interruppe, porgendogli un plico di fogli, "Questa è una conversazione avvenuta tra i capi di Amerique e Angleterre che abbiamo intercettato e che abbiamo integrato ad una conversazione avvenuta tra il capo di Russie e *** che hanno intercettato i servizi segreti italiani l'anno scorso. Ti prego ardentemente di non dire a nessuno di quello che stai per leggere, chi di dovere è già stato informato."

Francia scorse velocemente il dossier, cogliendo qua e là parole e frasi - 'rappresaglia massiccia', 'armamento', 'budget per l'esercito quintuplicato'2 - che lo stava velocemente gettando nel panico. L'ultimo foglio conteneva una mappa del continente europeo con alcune delle capitali e maggiori città segnate in rosso e blu.

"C-Che cosa-" balbettò quando vide Parigi segnata in rosso assieme a Nancy, Djon e Reims.

"Destruction systématique", disse il suo capo, "Distruzione sistemica, è il grande piano di Amerique in caso scoppi la guerra con Russie, e viceversa. Quelli in rosso sono i principali obiettivi sovietici, quelli in blu quelli americani."

"Non capisco, perché non ne sapevo nulla? Prima ha parlato di Angleterre, vuol dire che lui sa di tutto questo? Perché non mi avrebbe detto niente?"

"Non lo so," ammise il suo capo, mostrando vulnerabilità e stanchezza per la prima volta quella sera, "So solo che quel plico di fogli è la prova che non possiamo fidarci troppo di Amerique e del suo capo. Non esiterebbe a colpire anche i noi, suoi alleati. Capisce adesso perché serve un esercito al fuori del Patto?"

Francia non sapeva come rispondere. Tornò a guardare la mappa, rabbrividendo quando vide la quantità di rosso nel territorio di Germania e di Paesi Bassi. Quelli erano tutti obiettivi di bombe atomiche...

"C'è un'altra clausola che lì non appare," aggiunse il suo capo prendendo il dossier dalle mani della nazione per poi gettarlo nel camino acceso, "Verrà creata anche un'agenzia di servizi segreti comune a tutti noi, di modo che possiamo controbilanciare lo spionaggio di Amerique e Russie. Inoltre, il budget per l'esercito è stato stanziato all'1% del Pil ma le annuncio già adesso che intendiamo alzarlo in futuro."

"Quella è follia," mormorò Francia, cercando di tenersi in piedi nonostante si sentisse sul punto di cedere.

"Concordo," disse il suo capo, sospirando, "Mi dispiace si sia arrivati a questo punto, monsieur France."

"E questi?" chiese, indicando le scatoline di velluto.

"Ah be', insomma, come dire," il suo capo cambiò improvvisamente umore, divenendo quasi... imbarazzato? "Forse non le piacerà l'idea, ma tutto questo non sarebbe possibile se non fossimo tutti sullo stesso piano no?"

"I-In che senso?" chiese, temendo altre rivelazioni.

"Vede, parlando con gli altri capi di stato, abbiamo pensato che quello di Roma potrebbe essere solo un inizio ecco," disse, estraendo uno degli anelli dalle scatoline e porgendoglielo, "C'è, come dire... una certa intesa che si è instaurata."

"Intesa?" Francia cominciò a sudare freddo mentre osservava il piccolo anello, notando le stelle impresse al suo interno.

"Visto che gli accordi sul carbone e l'acciaio hanno dato incredibili frutti ho proposto che Roma fosse il primo passo per creare una federazione di Stati," annunciò trionfante il suo capo con un piccolo sorriso.

Ci volle un minuto buono prima che la notizia si registrasse nel cervello di Francia: "P-Pardon?"

"Ho proposto che Roma fosse il primo passo per creare una federazione di Stati," ripeté il suo capo con inquietante entusiasmo, "L'idea è stata accolta con favore da tutti gli altri. Ci pensi, è un'idea magnifica. Una federazione di Stati con eguali diritti e doveri, sarebbe ottimo per aiutarci nella ricostruzione e per assicurarci maggiore sicurezza."

"Fédération..." mormorò, osservando l'anello con orrore crescente ora che comprendeva le sue implicazioni.

"Ovviamente non sarà un processo immediato, ci vorranno anni e dobbiamo sperare che le tensioni tra Amerique e Russie non degenerino, ecco perché Roma sarà il primo passo."

"P-Président non vorrà mica dire-"

"Per gli esseri come te sarebbe una promessa di matrimonio, vero? E siccome io e il capo di Italie abbiamo proposto idea ho pensato che sarebbe stato carino che fornissimo noi gli anelli di fidanzamento mentre Italie avrebbe ospitato l'evento.3"

Un vulcano sarebbe potuto esplodere e coprire il mondo con la sua cenere, un terremoto avrebbe potuto spaccare casa sua in quattro, un'onda anomala investirlo e trascinarlo negli abissi, e comunque Francia non si sarebbe accorto di nulla: il suo cervello aveva smesso di funzionare davanti a quell'ennesimo fulmine a ciel sereno.

"Q-Q-Q-Quoi?!" urlò indignato, prendendo il suo capo per le spalle e scuotendolo, "Lei sta scherzando vero?! N'est-ce pas? Mi dica che questo è tutto un elaborato scherzo!"

"Non," ribatté con tranquillità disarmante, "Domani vi scambierete le promesse di matrimonio dopo la firma degli accordi. Le nozze le celebrerete... Be', spero presto."

"Che diavolo vuol dire 'spero presto'?! Lei è pazzo! Ha la più pallida idea di cosa voglia dire per me sposare Italie? Veneziano e Romano non saranno mai d'accordo!"

"E Allemagne."

"Li considero dei fratelli più piccoli non posso- e-eh?"

"E Belgique, Holland et Luxembourg," aggiunse il suo capo con un sorriso sornione, "Domani vi scambierete le promesse di matrimonio in sei. O meglio sette, si, Italie sono in due."

Sept. Sette scatoline di velluto con dentro sette anelli d'oro per sette nazioni.

Sette promesse di matrimonio.

Sette.

Francia. Germania. Italia Veneziano e Italia Romano. Belgio. Paesi bassi. Lussemburgo.

Sette.

Non credeva ci fosse mai stato un precedente simile nella storia europea.

"Assolutamente no!" urlò rosso in volto per rabbia e imbarazzo, "Se lo scordi! Non ci penso nemmeno!"

"Non devi pensarci infatti, è già stato deciso" gli ricordò il suo capo indicando il foglio firmato.

"L-Lei non, io... bon sang questa è una follia!"

"Abbiamo anche deciso che d'ora in poi andrete a vivere a Bruxelles, abbiamo anche individuato la casa. Sa com'è, meglio convivere un poco prima di convolare a nozze."

Francia non sapeva cosa rispondere, allibito oltre ogni immaginazione. Mai, in più di duemila anni di vita, si era sentito così scioccato e impotente. Le gambe gli cedettero e cadde a terra. Aveva bisogno ardente di una sigaretta e di una bottiglia di calvados.

"M-Ma almeno lo avete detto anche agli altri?"

In quel momento fai confini francesi si sentirono urlare bestemmie in italiano, tedesco, fiammingo e, in lontananza, olandese.

"Credo glielo abbiano detto adesso. Ora vada a riposare monsieur France, domani sarà una lunga giornata. Prenda anche gli anelli, dovrà portarli lei domani," disse il suo capo con un tono che non ammetteva ulteriore appigli per una conversazione.

Francia si mise faticosamente in piedi e si incamminò verso l'uscita dell'Eliseo con in mano un'elegante scatola nera contenente quella che riteneva essere la sua imminente condanna a morte.







Il mattino dopo Francia si svegliò alle sette del mattino con la testa pesante e tanto sollievo: la conversazione con il suo boss era stata solo un brutto, orrendo sogno, probabile frutto del nervosismo che aleggiava in Europa in quegli anni difficili. Con la testa ovattata a causa della bottiglia di calvados ingurgitata la sera prima - perché aveva sentito il bisogno di bere in quel modo? - si alzò con lentezza dal letto con l'intento di andare a farsi una doccia. Quando i suoi occhi si posarono su una scatola nera sopra la propria scrivania, però, tutti i ricordi della sera precedente rivennero a galla con la violenza di un calcio tra le gambe assieme ad una fortissima nausea, e dovette correre a vomitare.

Una volta svuotato lo stomaco ricadde seduto vicino il water, respirando affannosamente e cercando di riacquistare un po' di lucidità nonostante il lancinante mal di testa.

Non era stato un sogno. Il suo capo aveva veramente deciso che si sarebbe dovuto sposare con altre sei nazioni col chiaro intento di creare una federazione di Stati in vista di un possibile conflitto tra America e Russia. Un brivido gli percorse la schiena al ricordo quella mappa, piena di obiettivi colorati di blu e rosso e sentì il bisogno impellente di dare nuovamente di stomaco. Riuscì a ricacciare dentro la nausea, ma il senso di angoscia non lo abbandonò.

Faticosamente si mise in piedi, si spogliò e si mise sotto il getto gelido della doccia, incapace di trovare un senso a tutta questa faccenda.

Neanche lui si fidava molto di America, a onor del vero. Sia lui che Russia avevano la stessa follia espansionistica negli occhi, il desiderio di confermare la propria supremazia. Quei due volevano la guerra e l'unica cosa che li stava frenando erano i loro capi, consci che un conflitto con il livello di avanzamento tecnologico raggiunto sarebbe stato il punto di non ritorno per l'umanità intera. Non che questo sembrasse importare molto alle due nazioni: Russia era terrorizzato dall'idea di essere invaso e si nascondeva perpetuamente dietro tutte le nazioni ai suoi confini, e America vedeva in ogni mossa sovietica una provocazione.

Il progetto delle Nazioni Unite era sostanzialmente morto da tempo, l'unica cosa che aveva impedito il conflitto aperto era stata la lungimiranza dei loro capi, ma per quanto avrebbero potuto continuare lo stallo?  In quest'ottica l'idea del suo capo, di un piccolo esercito su cui avrebbero potuto contare indipendentemente da America non sembrava cattiva. Anche la scelta dei partner, riflettendoci, non era lasciata al caso: Germania si stava ancora riprendendo dalla batosta dell'ultimo conflitto ma sapeva che non ci sarebbe voluto molto prima che la sua produzione industriale tornasse a regime; Veneziano e Romano vivevano al centro del Mediterraneo, una posizione strategica di gran valore e la loro flotta navale era ancora in buone condizioni; anche quella di Paesi Bassi non era messa male, e lui e Belgio e Lussemburgo erano stati i primi a sperimentare l'idea di un'area di mercato unita e a trarne sorprendenti benefici. Dal canto suo Francia poteva fornire energia con le sue centrali nucleari.

Apparentemente quella di una collaborazione in vista della creazione di una federazione vera e propria sembrava un'ottima idea. Apparentemente.

Poi Francia si ricordò con chi si sarebbe dovuto andare a sposare e per poco non vomitò nella doccia.

C'era forse un modo per impedire tutto questo? Magari mantenere la collaborazione senza però doversi promettere in matrimonio? Se fosse riuscito a convincere a togliere quella clausula sull'esercito forse...

Con rinnovato vigore, Francia finì di lavarsi, si vestì con il completo per le riunioni e preparò la valigia con tutto il necessario che gli sarebbe servito per il soggiorno in Italia.

Quando uscì di casa, lasciò la scatola con gli anelli sulla propria scrivania.







Alla stazione il suo capo lo attendeva assieme allo stuolo di collaboratori e traduttori e sembrava piuttosto irritato quando lo vide arrivare senza la scatola.

"Monsieur France, gli anelli?"

"Pardonnez-moi président, li ho dimenticati," disse Francia con un sorriso nervoso, facendo per salire sul vagone del treno prima che il suo capo lo fermasse prendendolo per un braccio.

"Monsieur France, la prego gentilmente di prendere questa faccenda in modo serio," disse, guardando la nazione dritto negli occhi. Francia non si sentì messo in soggezione: gli umani non gli facevano paura.

"Bien entendu, non si preoccupi, è stata solo... una dimenticanza," rispose con un sorriso di cortesia. Il suo capo lo squadrò per qualche istante prima di ricambiare il sorriso.

"Ma certo monsieur, sono cose che capitano. Ecco perché ho avuto l'accortezza di chiedere ad un'agente di andare a controllare che avesse preso gli anelli."

Francia rimase di stucco: "Pardon?"

"Ecco qua *** président," si avvicinò un agente vestito in borghese con in mano l'infima scatola nera, "Come richiesto."

"Excellent," disse il suo capo ringraziando l'agente prima di prendere gli anelli e porgerli a Francia, "Tutto risolto."

"Lei ha davvero mandato un agente a casa mia?" sibilò la nazione, indignato. Mai nessun umano si era spinto a tanto. Il suo capo fece spallucce.

"Mi comprenda, è una faccenda delicata questa, non possiamo permetterci errori," disse per poi avviarsi al vagone riservato al capo di stato, "si ricordi della mappa monsieur France. Sarò più facile gestire questa storia per lei se la tiene a mente."

Francia strinse i pugni, lanciando occhiate di fuoco a quell'insulso essere che era il suo capo. Poi prese la propria valigia con stizza e salì, sperando che in quella giornata di treno necessaria per arrivare a Roma gli avrebbe permesso di avere una qualche idea su come svincolarsi da quella situazione.







Il capo di stato francese arrivò alla stazione Termini di Roma nella tarda mattinata del 24 marzo del 1957 accolto dal suo collega italiano e da un folto gruppo di giornalisti locali e stranieri. La notizia dell'oggetto dell'accordo che sarebbe stato firmato il giorno dopo aveva cominciato a fare il giro del mondo già all'alba: oltre alla formazione di un'area economica esclusiva e ad un accordo per l'energia atomica si prevedeva anche il finanziamento di un contingente sovranazionale, del quale però non si sapeva ancora né come sarebbe stato formato né quali sarebbero stati i finanziamenti.

Francia guardò con disgusto il suo capo stringere la mano a quello di Italia, salutandosi come se fossero amici di vecchia data, per poi lanciare un'occhiata preoccupata a Veneziano, che si stava tenendo in disparte, il capo chino e i capelli rossi che nascondevano gli occhi. Non doveva aver preso bene neanche lui la notizia. Romano non c'era.

"Monsieur France cosa sta facendo lì? Venga su," lo intimò il suo capo, facendogli segno di avvicinarsi. Francia trattenne a stento un insulto e fece come gli era stato ordinato, tenendo in mano la scatola con gli anelli.

"Domani sarà una giornata speciale, un nuovo inizio per l'intero continente," annunciò il capo di Italia ai giornalisti con un largo sorriso, una mano sulla spalle del suo collega francese mentre l'altra prendeva per mano Veneziano e lo tirava vicino a sé con fin troppa forza, "Gli accordi sono frutto di mesi di attenti negoziati dove abbiamo gettato le basi per un'Europa più democratica e giusta dopo i disastri della guerra. Il nostro impegno per la pace è una promessa per le future generazioni."

"Siamo fiduciosi del futuro che verrà creato da questo accordo," gli diede manforte il capo di Francia, "Vi aspettiamo domani per festeggiare questo nuovo inizio."

I giornalisti si gettarono contro i capi di stato con domande e flesh di camere fotografiche, tenuti a malapena a bada dagli agenti. Nella foga un giornalista perse l'equilibrio e andò a sbattere contro la schiena di Veneziano prima di essere spinto indietro da un energumeno. Francia riuscì a prenderlo al volo e ad evitare una rovinosa caduta a terra.

"Tutto okay mon frére?" chiese, non rimanendo sorpreso quando Veneziano lo spinse via e dal suo sguardo carico di odio. Sotto gli occhi violetti c'erano profonde occhiaie, segno di mancanza di sonno.

"Non toccarmi," sibilò l'altra nazione per poi sistemarsi la giacca e tornare a seguire i due capi di stato.

"Non è stata una mia idea," ci tenne a precisare, "Il mio capo ha fatto tutto da solo."

"Lo spero per te. Romano è ancora meno entusiasta di me."

"Hai parlato con Allemagne?"

A quel nome lo sguardo dell'italiano si inscurì, e Francia intuì di non aver fatto la domanda giusta.

"Non mi interessa cosa fa quello stronzo," disse per poi accelerare il passo.

Francia sospirò.

Sarebbero state lunghe giornate quelle.


 

1: Quando venne firmato il Trattato di Roma del 1957 la collaborazione tra i sei paesi fondatori di quella che diverrà poi l'Unione Europea - Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo - era da intendersi su un piano economico e politico solo nei campi realtivi all'economia, potenzialmente in vista di una unificazione in federazione. Col tempo la proposta della creazione di un esercito europeo che risponda all'Unione e non ai singoli Stati - un punto fondamentale qualora si voglia creare una federazione vera e propria - venne portata avanti più volte ma non se ne è mai fatto nulla.
Nell'ucronia è invece uno dei punti salenti fin dall'inizio.

2: La dottrina della rappresaglia massiccia era la risposta che gli Stati Uniti intendevano dare all'Unione Sovietica e alle sue iniziative militari, e prevedeva la distruzioe totale dei principali centri urbani dell'Est Europa e della Cina qualora fosse stato necessario usare armamenti atomici. File declassificati di recente hanno mostrato le mappe con gli obiettivi che sarebbero dovuti essere colpiti qualora fosse stato conflitto aperto.

3: Ci sono due momenti improtanti che portarono all'instaurazione della Ceca: la creazione del BeNeLux - accorso economico di unione doganale tra Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo - e un trattato di simile calibro tra Francia e Italia avvenuto nello stesso periodo. Sono queste due iniziative che qualche anno dopo protarono alla dichiarazione dell'allore presidente della Germania Ovest Schumann che farà da fondamento per la Comunità del Carbone e dell'Acciaio.

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Capitolo 13
*** Evviva gli sposi pt 2 ***


Titolo: Evviva gli sposi pt 2

Personaggi: Germania (George Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Melanconico, Commedia

Avvertimenti: Vomito

Note aggiuntive: Ho buttato giù più di 3000 parole di fic in due ore ieri sera. Ma guarda te se avevo bisogno di Hetalia per sbloccarmi.
Comunque, ecco la parte due. La gioia continua a serpeeggiare tra i 2p. In più ci sono qui piccoli accenni ad eventi che saranno discussi in futuro. Spero vi piaccia.

Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza

Enjoy!


L'albergo in cui alloggiava Francia si trovava a pochi passi dal Campidoglio, dove il giorno dopo si sarebbe firmato l'accordo. Una mera formalità visto che era già stato tutto deciso dai loro capi, senza consultare nessuna delle nazioni prese in causa o i popoli che erano chiamati a rappresentare.

Francia si accese l'undicesima sigaretta da quando era arrivato all'albergo mentre osservava dal balcone il via vai di persone. Non ci era voluto molto per comprendere che fosse prigioniero in quella stanza: due agenti erano fermi davanti alla sua porta e gli impedivano di uscire, offrendosi di andare a fare qualunque commissione al suo posto; dal balcone aveva individuato almeno una dozzina di agenti in borghese che lo stavano osservando dai piccoli bar della via. Se si concentrava riusciva a sentire la presenza di Germania, Belgio, Paesi bassi e Lussemburgo nell'albergo, ma non avrebbe saputo dire dove si trovassero. Da una conversazione nell'atrio che era riuscito ad ascoltare al volo mentre faceva il check in aveva compreso che questa 'misura di sicurezza' si era resa necessaria dopo che Paesi bassi aveva tentato di scappare da Indonesia, venendo catturato al porto poco prima che la nave salpasse.

Non esattamente un buon inizio per il 'nuovo futuro per l'Europa' tanto decantato dai loro capi.

Spense la sigaretta sulla ringhiera e gettò il mozzicone di sotto incurante dei passanti, tornò dentro la stanza e si versò il quarto bicchiere di cognac della serata. Non avrebbe mai potuto anche solo lontanamente affrontare tutto questo da sobrio e se ciò voleva dire presentarsi ubriaco fradicio alla firma degli accordi... Be', se la sarebbe vista il suo capo visto che era così attento a queste cose.

Rabbioso si versò un quinto bicchiere che mandò giù in un sorso solo, ignorando il bruciore alla gola. Poi si gettò sul letto matrimoniale, fissando il soffitto.

Letto matrimoniale... Presto si sarebbe sposato, voleva dire che avrebbe condiviso il letto con altre sei persone? Avrebbero dovuto... Consumare? L'idea per poco non gli fece venire su tutto il cognac bevuto fino a quel momento. Che razza di incubo stava vivendo. A giudicare dalle ingiurie sentite la sera prima e da Veneziano, nessun altro pareva entusiasta all'idea. Non avrebbe mai potuto funzionare tra di loro, erano troppo diversi e ancora non scorreva buon sangue dalla guerra e perché doveva essere un suo problema se America e Russia volevano menarsi? Cosa c'entrava lui?

Ripensò alla mappa, a tutto quel rosso e a tutto quel blu, e lo stomaco gli andò in subbuglio.

Decise che tutto queto era colpa anche di America e di Russia, e che avrebbe trovato un modo per fargliela pagare. E cara anche.

Sentiva la testa farsi pesante ma non riuscì a prendere sonno. Stufo di rimanere sdraiato si rimise in piedi e si andò a sedere sul balcone, accendendosi un'altra sigaretta. Si stava annoiando a morte. Quasi gli pareva di sentire la voce di Inghilterra che lo rimproverava per tutte quelle sigarette e l'alcol. Francia diede un lungo tiro ed espirò violentemente, ripensando al dossier che aveva letto.

Inghilterra non gli avrebbe mai tenuto nascosto una cosa del genere di sua sponte, vero? Ci doveva essere un motivo se non gli aveva mai detto dei piani di America. I loro rapporti dopo la guerra erano stati eccellenti e fruttuosi, perché condividere le paranoie di quel ragazzino a scapito della loro amicizia? Ripensandoci, perché Inghilterra non era lì? Perché non era stato coinvolto anche lui in quel folle matrimonio? Se proprio doveva scegliere avrebbe preferito mille volte sposare Inghilterra che Germania, avrebbe avuto anche più senso. A quest'ora probabilmente sapeva dell'accordo e sel suo contenuto, chissà cosa ne pensava. Purtroppo non c'era modo di contattarlo, era certo che le linee telefoniche fossero sorvegliate.

Francia sbatte la nuca contro il muro, frustrato. Quando sentì qualcosa battere sulla sua fronte per poco non gli prese un infarto: si guardò attorno cercando cosa lo avesse colpito e trovò un piccolo foglio accartocciato vicino a sé. Lo prese e lo aprì, irrigidendosi quando riconobbe la calligrafia di Germania.

'Usa questo numero per chiamarmi col telefono dell'albergo, è l'unica linea non controllata al momento.'

Francia guardò in alto: dal balcone sopra il suo sporgeva la testa di Germania, che gli fece un breve cenno di saluto prima di rientrare in stanza. Imprecò sottovoce e si alzò, prese il telefono da vicino il letto e compose il numero indicatogli. Germania rispose dopo uno squillo.

"Frankreich?"

"Come fai a sapere che non è controllata?" chiese senza salutarlo - era troppo brillo per i convenevoli.

"Ho fatto qualche test," rispose la nazione tedesca, "Era l'unica maniera per parlare con Belgien e Niederlande, stiamo usando una delle linee interne dell'albergo, forse credono sia poco importante per questo non la tengono d'occhio al momento. Non parlerei troppo a lungo comunque."

Francia si massaggiò gli occhi: "Cosa c'è?"

Germania si concesse qualche attimo prima di rispondere: "Questa storia del matrimonio-"

"Non l'ho proposta io, hanno fatto tutto il mio capo e quello di Italie," si affrettò a precisare, non volendo alimentare alcun fraintendimento. Dall'altra parte del telefono sentì Germania sospirare, ma non seppe dire se per il sollievo o altro.

"Hai letto il dossier?"

"Oui," confermò. Si ricordò della quantità di obiettivi evidenziati in rosso sul territorio di Germania ed ebbe un po' di pietà per lui: quel ragazzo doveva essere terrorizzato.

"Non c'è alternativa, vero?"

"... Non lo so," Francia si mise seduto sul letto continuando a tenere in mano il telefono, "Io ho saputo tutto ieri sera e ci sono ancora molte cose che non mi sono chiare."

Sentì Germania maledire il proprio capo: "*** non vuole dirmi nulla."

"Non sei l'unico Allemagne. Belgique e Holland che dicono?"

"Stessa cosa."

"Luxembourg?"

"Non sono riuscito a contattarlo, non so in qualche camera sia. Belgien è in fondo al tuo corridoio, Niederlande è sopra di me."

"Veneziano e Romano presumo siano a casa propria" e altrettanto strettamente sorvegliati.

Al nome di Veneziano cadde il silenzio.

"Italien era alla stazione vero?" chiese Germania con voce più timida.

"Oui."

"Come... Come sta?"

Francia non seppe come rispondere. "Arrabbiato," disse infine. Infondo, non stava mentendo.

"Non sono sorpreso."

"Non è entusiasta neanche lui. E a quanto pare lo è ancora meno Romano."

Dall'altra parte del telefono sentì una risata priva di entusiasmo.

"Un tempo non so che avrei dato per sposare Italien."

"Posso immaginare."

"Non mi rivolge la parola da anni," disse con il tono di una semplice constatazione, senza autocommiserazione e accusa. Francia non se la sentì di consolarlo.

"Domani dovrà rivolgertela per forza," disse e lo sguardo andò in automatico alla famosa scatola nera.

"Dimmi che non hai comprato degli anelli."

"Li ha comprati il mio capo."

Germania rise, "La figlia di *** mi ha chiesto se ho bisogno di un abito da sposa, ha detto che è disposta a 'prestarmi' la sua sarta di fiducia."

"Mon dieu ci manca solo quello," Francia scosse la testa all'immagine delle altre sei nazioni vestiti con lunghi abiti bianchi.

"Se vuoi parlare con Belgien e Niederlande posso darti il loro numero di stanza."

"Non credo avrei molto da discutere con loro ma dammeli ugualmente per sicurezza."

"Se vuoi parlare con loro fallo adesso perché non so per quanto ancora questa linea sarà libera," precisò Germania prima di dargli le informazioni richieste. Poi cadde un pesante silenzio.

Francia non poté non sentirsi un po' consolato dal fatto di condividere quella misera situazione.

"Bruder mi ha sempre detto di stare lontano dai matrimoni," disse improvvisamente l'altra nazione, "Che sono solo sofferenza per esseri come noi."

Francia chiuse gli occhi; la sua mente gli diede l'immagine della mappa piena di segni blu sul territorio di Prussia.

"Non ha tutti i torti," disse, "Sarà per questo che sono un evento raro. Lo hai sentito di recente?"

"Nein," rispose con voce bassa, "Non... Non è raccomandato."

"Capisco," si aspettava un qualcosa del genere, "Be', credo che presto lo sentirai, non appena Russie saprà dell'ultima clausola probabilmente cercherà di usare Prusse per convincerti a fare un passo indietro."

Senti Germania fare un profondo respiro: "Stiamo giocando col fuoco Frankreich."

"Lo so."

"Tutto questo non ha senso."

"Concordo."

Germania sospirò di nuovo. Francia si ricordò che quel ragazzo aveva malapena appena un secolo di vita.

"Va a riposare, domani sarà una giornataccia," gli disse, desideroso di porre fine a quella conversazione.

"Guten nacht Frankreich," lo salutò prima di attaccare.

Francia dibatté se contattare Belgio o Paesi bassi ma preferì prendere la bottiglia di cognac e scolarsela tutta in un unico fiato, per poi buttarsi di nuovo sul letto sperando che l'alcol lo aiutasse a dormire.







Il mattino gli fece pentire amaramente di aver bevuto un'intera bottiglia di liquore a stomaco vuoto e aver fumato così tanto: la testa gli pulsava come se avesse un martello pneumatico che cercava di penetrare nel proprio cranio, sentiva la bocca pastosa e amara, gli occhi appiccicosi; il suo sonno doveva essere stato agitato perché oltre che a non essere per nulla riposato era anche sudato come se avesse corso una maratona. E la nausea. Oh la nausea!

Si alzò faticosamente e si trascinò fino in bagno, gettandosi sotto l'acqua gelida della doccia senza neanche svestirsi. Si pulì la bocca cercando di togliere il saporaccio e si strofinò il volto per svegliarsi, inutilmente. Si tolse la canottiera e i pantaloni e li buttò in un angolo, poi cercò di lavarsi come meglio poté. Una volta finito e davanti allo specchio, ancora non si sentiva in sé. Il suo riflesso gli restituì l'immagine di un uomo pallido e smagrito, i capelli castani bagnati e pieni di nodi, due profonde occhiaie sotto gli occhi viola, la barba incolta, labbra secche e martoriate segnate da una cicatrice verticale nell'angolo sinistro.

Francia era pezzi, nell'animo e nel corpo. Ricacciando in dietro la nausea, si asciugò e tornò in camera, vestendosi con il completo della giornata scelto dal suo capo, legò i capelli ancora umidi in una coda bassa e uscì sul balcone per fumare un'altra sigaretta, osservando con stanchezza Roma che si svegliava. Dalla sua posizione non poteva vdere il Campidoglio, ma la consapevolezza che dietro quelle case c'era il luogo dove presto avrebbe dovuto mettere l'anello al dito ad altre sei nazioni per poco gli fece dare di stomaco direttamente sulla strada.

Stava dando gli ultimi tiri alla sigaretta quando il suo capo entrò nella stanza con in mano un cornetto e cappuccino, alla vista dei quali sentì le proprie interiora annodarsi dolorosamente in rifiuto.

"Bonjour monsieur France," disse mentre guardala stanza in disordine con malcelato disgusto, "Ho portato la colazione."

"S-Sarei sceso io," disse, anche se non se la sentiva proprio di mangiare in quel momento.

"Non c'è tempo, ora mangi e attento a non sporcarsi," il suo capo gli porse colazione. Francia la prese senza alcun entusiasmo: quando addentò un angolo del cornetto fece un'enrome fatica deglutire.

"Darà gli anelli dopo la firma al Campidoglio. Conto sulla sua capacità di improvvisazione monsieur, purtroppo non c'era tempo per fare delle prove."

Francia mugugnò senza pensarci che il tempo lo avrebbero trovato che non avessero fatto tutto in segreto e in fretta e furia, ma il suo capo lo ignorò.
Quando uscì dalla stanza vide Belgio che si massaggiava le nocche e faceva lunghi respiri accanto al suo capo di stato e circondata da agenti, alcuni dei quali con occhi pesti e cerotti sul volto. Belgio gli riservò un'occhiata di sufficienza prima che trasalisse alla vista della scatola nera che aveva in mano.

"Bonjour Belgique," provò a salutarla, cercando di non far notare che stesse soffrendo di un mal di testa atroce. Belgio non ricambiò ne cercò di fare conversazione.

Quando scesero nell'atrio trovarono ad attenderli il ministro degli esteri italiano e Romano. Belgio si irrigidì alla sua vista ma mantenne un'espressione neutrale.

"Buongiorno," li salutò allegro il ministro, "Gli altri sono già partiti per il Campidoglio, abbiamo preferito farvi andare due per volta per questioni di sicurezza. Siete pronti?"

"Certamente," disse il capo di Francia per poi lanciare alla nazione un'occhiata di avvertimento. Francia si morse una guancia per trattenere una brutta battuta.

Romano li salutò distrattamente con un cenno del capo ma non alzò lo sguardo; quando il ministro gli diede una gomitata sul braccio si avvicinò per stringere la mano ai capi di stato e ad altre personalità importanti; quando si trovò davanti Francia e Belgio sembrò esitare prima di ripetere il gesto nel modo più educato e freddo possibile.

"Andiamo Italia Romano, dovresti essere più caloroso verso i tuoi futuri coniugi, almeno un baciamano" scherzò il ministro, ignorando come le tre nazioni si tesero a quelle parole, "Romano, Belgio e Francia andranno nella stessa macchina."

"Perfetto," disse il capo di Belgio prima di avvicinarsi alla nazione e sussurrarle qualcosa all'orecchio. Francia vide le mani di Belgio stringersi sulla gonna del vestito blu mentre annuiva meccanicamente a qualunque cosa le fosse stato riferito.

Poi vennero diretti alla loro macchina.






Il viaggio fino in Campidoglio fu breve e silenzioso. Romano guardava fuori dal finestrino e picchiettava la punta delle dita sul ginocchio; Belgio teneva lo sguardo basso e rimaneva immobile come una statua, i fini capelli castani a coprirle il volto; Francia preferì non intaccare quel precario equilibrio, più preoccupato a gestire la nausea e il mal di testa ogni volta che la macchina passava sopra una buca, le dita strette in modo spasmodico attorno alla scatola con gli anelli. Quel cornetto e quel cappuccino proprio non volevano saperne di essere digeriti.

Quando si fermarono il cuore gli balzò in gola mentre realizzava che non c'era più via di scampo da quella situazione.

"Francia stai bene?" la domanda di Romano lo colse di sorpresa.

"O-Oui, perché?" chiese mentre cominciava a sudare freddo e una fitta di dolore alla bocca dello stomaco per poco non lo fece piegare in due.

"Sei verde in faccia," disse Romano, guardandolo con un misto di preoccupazione e disgusto. Belgio si sporse leggermente e concordò con l'altra nazione.

"H-Ho dormito male," spiegò Francia mentre si allentava un poco la cravatta, trovando difficile respirare.

"Spero tu non stia avendo un attacco di panico adesso," Belgio prese un fazzoletto dalla propria borsa e asciugò il sudore sulla fronte del francese.

Un attacco di panico? Poteva star avendo un attacco di panico? Forse. Quel pensiero lo gettò ancora di più nello sconforto e non riuscì a trattenere un lamento quando un'altra fitta gli attraverso l'addome.

"Francia?" Romano si sporse forse per aiutarlo ma venne interrotto dall'aprirsi della portiera. Il flesh delle camere fotografiche li accecò per qualche istante mentre il fiume di domande dei giornalisti quasi sovrastava la voce dell'autista: "Siamo arrivati, prego signori e signora, da questa parte."

Francia guardò le ripide scale del Campidoglio con timore crescente, chiedendosi se sarebbe riuscito a salirle; uscito dalla macchina venne accolto, oltre che dalla stampa, da una folla in protesta.

"Non firmate l'accordo!", "Ci porterete alla guerra!", "Gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica non staranno a guardare!", "Ci ucciderete!" sbraitavano, alcuni piangevano, altri cercavano di sfondare le linee della polizia. Francia li guardava sbigottito, le fitte allo stomaco sempre più dolorose.

"Vedo che quest'idea è popolare." commentò ironica Belgio mentre si sistemava la gonna del vestito. Romano sospirò, per poi indicare la scalinata, "Andiamo. Francia, ti serve aiuto?"
"Non," mormorò a denti stretti, per poi iniziare a salire, ogni passo un'agnonia.







La riunione nel Palazzo dei Conservatori era una mera formalità, una pagliacciata per le cineprese. Tutto era già stato deciso dai loro capi e infatti la discussione attorno ai vari punti dell'accordo procedeva senza alcun inghippo.

Francia dovette fare uno sforzo enorme per tenere gli occhi aperti, la testa gli pulsava a ogni minimo rumore, da un foglio di carta allo strisciare delle sedie; quando si rese conto di star tremando accavallò le gambe e incrociò le dita sul ginocchio, ricacciando indietro la nausea che quel movimento aveva acuito. Guardò le sette scatoline di velluto sul tavolo davanti a sé ed ebbe il bisogno impellente di urlare.

Seduta vicino a lui Belgio gli lanciava occhiate preoccupate. Romano ogni tanto si voltava verso di lui. Paesi bassi teneva lo sguardo basso, stuzzicando ogni tanto il cerotto sulla guancia. Germania non aveva staccato un momento gli occhi da Veneziano, il quale stava facendo un ottimo lavoro ad ignorare l'esistenza di tutto e tutti, interagendo solo il minimo necessario. Lussemburgo tamburellava le dita sul tavolo e si guardava nervosamente intorno.

Che disastro.

Quando si giunse alla discussione dell'ultima clausola le sette nazioni si irrigidirono.

"Una spesa dell'1% del Pil per un contingente sovranazionale a supporto dell'impegno preso con il Patto Atlantico," disse il capo di Francia con parole scelte in modo accurato, "Le unità di terra del contingente saranno formate da un decimo del totale dei nostri rispettivi eserciti che non sono coinvolte nel Patto Atlantico, intendendo il Benelux come unica regione contribuente, mentre-"

Venne interrotto dal fitto vociare dei giornalisti, che subito insorsero con domande e richiedendo specificazioni.

"Un decimo?" mormorò Paesi bassi, pallido in volto mentre si voltava verso Francia e i fratelli Italia, "Che storia è questa?!"

"Non lo so," si affrettò a dire Romano, "Non ne sappiamo niente neanche noi!"

"Vi rendete conto di quanto è un decimo delle unità in queste condizioni? Sono più unità di quelle del Patto Atlantico!" sibilò Lussemburgo, guardandoli come se fosse l'unico a comprendere le implicazioni di una scelta del genere.

Veneziano si morse il labbro inferiore, le mani strette a pugno sul grembo. Germania lo guardò sconsolato, ma non gli rivolse la parola.

"Ne so quanto nei sai tu Lussemburgo," disse Romano prima di essere silenziato dagli inservienti del Campidoglio per lasciare che il capo di Francia continuasse a parlare.

Con crescente sgomento, Francia ascoltò il resto della discussione sulla clausola: oltre ad unità di terra erano previste anche la creazione di due flotte, una da stanziare nel Mediterraneo l'altra nel Mare del Nord, e di una flotta area che le cui basi sarebbero state distribuire inizialmente nel territorio di Germania e Paesi bassi - il tutto, come fu sottolineato più volte, in supporto al Patto Atlantico. Era impossibile che bastasse l'1% dei propri Pil per finanziare un progetto simile, e ricordò quanto gli aveva detto il suo capo: questo era solo l'inizio.

Ed era solo l'inizio perché di America e Russia non ci si poteva fidare.

Quando la discussione sull'ultima clausola ebbe termine Francia si sentì sul punto di svenire. Il momento si stava avvicinando e l'unica cosa che avrebbe voluto fare era scappare dal Campidoglio, raggiungere il ponte più vicino e gettarsi nel Tevere. Sentì le budella contorcersi quando i sei capi di stato firmarono l'accordo, scambiandosi sorrisi di intesa e pacche sulla spalla. Si voltò verso le altre sei nazioni, che lo guardavano con un misto di confusione e aspettativa, e si rese conto con orrore di non aver ancora digerito la colazione.

"Per sugellare questo lieto giorno, io e *** abbiamo pensato ad una cerimonia simbolica," disse il capo di Francia per poi fare cenno alle nazioni di avvicinarsi. I sette obbedirono, nervosi. Francia ebbe quasi un mancamento quando gli inservienti presero le scatoline di velluto e le aprirono, mostrando gli anelli alla stampa.

"Monsieur France, può iniziare quando vuole," disse il suo capo con un sorriso che non nascondeva la velata minaccia dietro il suo sguardo. Quando l'inserviente gli pose il primo degli anelli, ci volle un minuto buono prima che riuscisse a prenderlo con mani tremanti, più impegnato a ricacciare indietro la nausea e a non rimanere accecato dai flash delle fotocamere. Si voltò verso gli altri sei e il suo cervello ebbe un breve black out.

Se lo sguardo avesse potuto uccidere, quello di Veneziano sarebbe stato causa di una morte lenta e dolorosa.

"Signor Francia?" il capo di stato di Italia lo ridestò dai suoi pensieri, "Quando vuole."

"Ehm, oui," balbettò, i suoi vagavano tra le sei nazioni e ma in qualche modo tornavano sempre su Veneziano. Lo sguardo di quest'ultimo si fece ancora più duro.

"Ah, meneer Frankrijk deve essere molto emozionato," disse il capo di Paesi bassi provocando un riso generale e un forte rossore sulle guance della sua nazione.

"Eh lo capisco anche io ero molto emozionato quando mi dichiarai a mia moglie, chissà cosa avrei fatto se mi fossi dovuto dichiarare a sei persone diverse" replicò il capo di Francia, facendogli cenno di farsi avanti, lo sguardo emanante scintille.

"Signor Francia perché non inizia da noi," propose il capo di Italia, facendo impallidire Romano e Veneziano, "Iniziamo noi che ospitiamo l'evento e poi potremmo procedere in ordine alfabetico."

"Eccellente idea," concordò il capo di Francia per digrignare, "Monsieur France si muova."

"Inizi pure da Veneziano," disse il capo italiano spingendo il Settentrione davanti a Francia. Questi rimase immobile con in mano la scatolina di velluto, mentre dopo un breve attimo di sorpresa Veneziano era tornato a guardalo male. Sembrò tuttavia cacciare indietro qualunque pensiero negativo e con espressione ora neutra gli porse la mano sinistra. Francia notò le macchie di colore sotto le unghie curate e il blu del suo completo - ora che ci pensava, erano tutti e sette vestiti di blu.

Il tempo sembrò dilatarsi mentre sentiva l'acido risalire lungo l'addome fino alla gola e le tempie pulsare. Era perfettamente conscio di avere addosso lo sguardo geloso di Germania e rabbrividì al pensiero di cosa avrebbe potuto fargli non appena quella farsa fosse finita. Anche Romano lo stava guardando male anche se non nascondeva una certa preoccupazione. Sentì gli occhi pizzicare di fastidio e la gola formicolare.

"France, si muova," sibilò il suo capo ma il suono gli arrivò ovattato e lontano. Oh non...

Perfino Veneziano aveva iniziato a guardalo perplesso e un tantino preocupato.

"F-Fran-" si sentì chiamare ma ormai aveva perso la battaglia col proprio corpo: non riuscì a scansare Veneziano in tempo e gli vomitò addosso la colazione, quel poco del cognac che ancora non aveva digerito e vari succhi gastrici.

Nella sala dei Orazi e Curiazi calò il gelo, il silenzio interrotto solo dal flash delle fotocamere e dal tossire della nazione francese. Quest'ultimo si rimise faticosamente in posizione eretta, respirando con affanno, guardando ora la macchia brunastra sul completo di Veneziano ora l'anello caduto per terra, e si disse che non era assoutamente nelle condizioni per chinarsi a prenderlo e avere la certezza di rimanere in equilibrio.

Oltre all'odio negli occhi di Veneziano era ora presente anche il ribrezzo. Provò a scusarsi, ma riuscì appena a balbettare un "Je suis desolé," prima di perdere i sensi.







Quando riprese conoscenza la prima cosa percepita fu il dolore lancinante alla testa, una sensazione di bruciore allo stomaco, un sapore pastoso in bocca e la gola secca. Nonostante le palpebre pesanti Francia aprì gli occhi, ignorando quanto la luce gli facesse male e la prima cosa che vide fu il volto di Inghilterra a poca distanza dal suo.

"Ah ti sei svegliato," disse la nazione britannica mentre gli asciugava il sudore della fronte,

"A-Angleterre," disse Francia con voce roca mentre si guardava intorno cercando di capire dove fosse.

"Sei stato fuori gioco per un bel po', quante volte ti ho detto di non bere così tanto eh?" lo rimproverò con voce gentile, continuando a passare la pezza umida sul suo volto, non riuscendo a reprimere un ghigno divertito davanti ai lamenti dell'altra nazione.

"Forse hai ragione, devo smetterla di bere non puoi capire cosa ho sognato. Mi stavo per sposare, Angleterre, il mio capo mi voleva costringere, c'erano pure gli anelli, che incubo," disse Francia massaggiandosi gli occhi con la mano sinistra, insospettendosi quando l'amico/nemico di vecchia data non scoppiò a ridere davanti a quella idea ridicola. Inghilterra di morse un labbro, guardandolo a disagio.

"A-A tal proposito," mormorò, ma venne interrotto da una voce più profonda.

"Capisco che non sia la migliore delle situazioni ma almeno potevi evitare di cercare di renderci vedovi prima ancora di sposarci, Frankrijk," disse Paesi Bassi entrando nel suo campo visivo con un piccolo sorriso di condiscendenza.

Francia sbatté le palpebre, confuso e dolorante, e solo in quel momento si accorse del piccolo anello d'oro che circondava l'anulare della mano sinistra.

Non era stato un incubo: quegli ultimi due giorni erano realmente accaduti.

Era ben peggio di un incubo.

"Tieni, bevi un po' d'acqua," disse Inghilterra mettendolo seduto e porgendogli un bicchiere. Francia lo prese con mano tremante e ne ingurgitò il contenuto in un unico sorso, trovando un po' di sollievo per la sua povera gola.

"C-Che è successo?" chiese con timore, realizzando di essere nella propria camera di albergo: voltandosi verso le altre due nazioni notò solo in quel momento la presenza di Romano e Germania, vestiti in abiti più alla mano.

"Cosa non è successo," lo corresse il Meridione mentre tamburellava le dita sulla scrivania, "Dopo che hai vomitato anche l'anima contro il mio fratellino sei svenuto e Veneziano ha dovuto finire la... 'cerimonia,' chiamiamola così. Ti ha messo l'anello al dito prima che fossi portato via."

"Sei stato fuori gioco un giorno intero," aggiunse Germania, rimanendo poggiato vicino la porta, giocherellando con l'anello al dito, "Il tuo capo è un po'... alterato da quanto accaduto."

Francia chiuse gli occhi, prese un profondo respiro e si voltò verso Inghilterra: "Perché tu sei qui?"

L'inglese non sostenne il suo sguardo inquisitore: "Il mio capo ha voluto un incontro di emergenza con il tuo e quello di Italy."

"C'è anche Amerika," disse Paesi Bassi, "Ha detto che ha visto i filmati della cerimonia e che li manderà in diretta non appena tornerà a casa, nonché a mandarne una copia a tutta la sua popolazione."

"...Bien," disse Francia con stizza, massaggiandosi le tempie. Finalmente il mal di testa stava iniziando a retrocedere e poté analizzare meglio la situazione. Non gli erano sfuggite le occhiate inquisitorie che le altre tre nazioni stavano mandando all'inglese e non era difficile capire il perché: secondo il dossier, Inghilterra aveva volutamente tenuto nascosto informazioni vitali per la loro sicurezza. Questi sembrava aver intuito di non essere esattamente il benvenuto a giudicare dalle sue spalle tese e dall'accortezza a non incrociare lo sguardo di nessun altro.

"Prendi anche un'aspirina France, ti farà bene," gli disse con un sorriso che si fece più teso quando Francia non prese subito la piccola pasticca bianca dalla sua mano.

Ne seguì un assordante silenzio che venne interrotto solo da un bussare alla porta. Quando Germania aprì Veneziano lo sorpassò senza degnarlo neanche di uno sguardo, dirigendosi verso Francia.

"Sei sveglio," constatò, lanciando un'occhiata raggelante ad Inghilterra prima di tornare a focalizzarsi sul francese, "Gran bel numero hai fatto ieri. Il signor Gucci ti ringrazia per aver rovinato il suo completo."

Francia non gli rispose, i suoi occhi fissi sulla mano di Veneziano. L'oro dell'anello risaltava sulla sua pelle mediterranea.

"Vado ad avvisare il tuo capo che sei sveglio," disse Veneziano, infastidito dal fatto che la sua provocazione non fosse stata raccolta, per poi rivolgersi alle altre nazioni, "I vostri capi vi hanno chiesto di raggiungerli."

Romano e Paesi Bassi annuirono. Germania parve volergli parlare ma Veneziano lo ignorò e uscì dalla stanza a passo svelto; il tedesco sospirò mestamente e seguì le altre due nazioni a sguardo basso.

Rimasti soli, Francia non seppe che cosa dire per riempire il silenzio creatosi. Qualunque suo pensiero veniva sostituito dalla mappa del dossier e da tutto quel rosso che circondava le sue città.

Non c'era molto rosso sulla più grande delle isole britanniche.

"C-Credo che Italy intendesse anche me, meglio che vada a controllare" disse Inghilterra per poi alzarsi in piedi, "Vuoi che ti porti qualcosa quando ho finito?"

"Non," Francia osservò le borse sotto gli occhi azzurri dell'inglese, le sue mani leggermente tremanti, i muscoli tesi della schiena, il labbro inferiore martoriato; decise di offrirgli un appiglio: "Angleterre c'è qualcosa che devi dirmi?"

Inghilterra trasalì, la mano destra si strinse spasmodica attorno al braccio opposto: "W-What do you mean?"

"C'è qualcosa che devi dirmi?" ripeté, pregandolo silenziosamente di vuotare il sacco. L'Inghilterra che conosceva non avrebbe mai potuto tenere per sé informazioni come gli obiettivi di bombe atomiche.

"No," rispose l'altro con un tremante sorriso, "Ora scusami, ma devo sentire il mio capo."

"Oliver-" provò a chiamarlo col nome umano ma Inghilterra corse via dalla stanza sbattendo la porta. Francia ricadde sul letto e alzò la mano sinistra sopra il suo viso.

L'anello era toppo stretto, avrebbe dovuto farlo allargare.


 

Non vi preoccupate, prima o poi sti sette andranno d'accordo. Molto poi.
Sono indecisa se mettere un po' di angst o qualcosa di più divertente per il prossimo giro.

 

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Capitolo 14
*** Buon vino, tavola lunga ***


Titolo: Buon vino, tavola lunga

Personaggi: Stati Uniti d'Amercia (Timothy F. Jones), Lussemburgo (Sébastien Junker); Germania (George Joseph Beilschmidt); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas); Giappone (gli devo cambiare nome in vista di un'altra fic smh); Oc Vari

Genere: Commedia

Avvertimenti: Humor un po' più cattivo qui

Note aggiuntive: Quando mi sono divertita a scrivere sta storia non ne avete idea. Tutto all'insegna della legge di Murphy. Spero che riesca a strappare anche a voi una risata. Direi che la prossima one-shot la butto sull'angst.
Anche qua butto un po' della lore dell'ucronia, punti che saranno approfontidi altre storie successive. Ci saranno molti sbalzi temporali qua, perché le idee mi vengono mano a mano: se nella scorsa fic eracamo all'alba degli anni Sessanta qua siamo negli anni Ottanta. 

Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy!

 

23 giugno 1982

In vista del nuovo millennio le relazioni tra i diversi Stati si stanno normalizzando: il desiderio di pace e la minaccia radioattiva permettono di ingoiare i vecchi rancori e cercare nuovi punti d'incontro.

Ad inizio anno la prima ambasciata americana ha aperto a Bruxelles a dieci anni dall'ultimo conflitto, simboleggiando l'appianarsi dei rapporti tra gli Stati Uniti d'America e quella che presto sarà la Federazione Europea1.








Mentre salivano gli scalini dell'enorme villa nel centro di Bruxelles dove risiedevano le nazioni della quasi-Federazione Europea, America sentica tutto il nervosismo che trapelava dal suo capo e non ne capiva il motivo. L'ambasciatore statunitense si stava trovando bene e presto avrebbero aperto consolati nel resto della quasi-Federazione, con i quali erano anche tornati a mercanteggiare abbastanza regolarmente. Ogni volta che si trovava a dover passare per il loro territorio - tappa praticamente obbligata visto che si estendeva dal Mare del Nord fino al Mediterraneo - non era più costretto a farlo il più velocemente e silenziosamente possibile pregando di non essere notato e diventare il bersaglio per il fucile di Romano o di Paesi bassi. Alle riunioni erano cordiali con lui - dei mezzi sorrisi di condiscendenza erano meglio di occhiate raggelanti e sottili minacce di defenestrazione qualora si fosse avvicinato troppo. E perfino la cacciata a calci nel deretano degli anni Settanta aveva iniziato a scottare di meno, divenendo piano piano più una macchietta nel suo curriculum che motivo di vergogna e derisione.

A suo dire, quindi, non c'era ragione per tutto quel nervosismo. Rimase perciò interdetto quando giunti all'enorme porta di ingresso il suo capo gli afferrò il polso prima che potesse suonare per avvisare del loro arrivo e lo costrinse a voltarsi.

"United States of America, spero che lei sia consapevole della portata di questa sera," disse guardandolo fisso negli occhi. America non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto quando sentì il sudore delle mani dell'altro sulla propria pelle.

"Of course boss," disse sorridendo, indicando con un cenno della testa il pacco regalo nelle sue mani, "Non comprendo il motivo di questa-"

"United States of America," ripeté il suo capo, aumentando la stretta, "Non era scontato che ci invitassero questa sera, spero se ne renda conto."

America annuì. L'invito al compleanno di Lussemburgo era stata una sorpresa gradita per il suo capo ma che aveva lasciato la nazione del tutto indifferente, almeno fino a quando non era venuto fuori che Russia non ne aveva ricevuto uno. Il messaggio era chiaro: la quasi-Federazione, dopo un decennio di sostanziale chiusura, stava testando le acque per vedere quale dei suoi due avversari potesse diventare un partner ideale per il commercio e, forse, l'ambito militare. Russia e la sua sfera di influenza avevano sicuramente un appeal economico maggiore vista l'estenzione territoriale e il numero di potenziali consumatori, ma America aveva armi migliori e una popolazione che poteva permettersi di spendere di più. Era una questione di chi fra Russia e America fosse in grado di corteggiarli meglio e al momento il pendolo pendeva dalla parte di America. La cosa un pochino lo infastidiva: dopo essere stato gettato nell'Atlantico e aver perso il grosso della sua influenza nel resto del continente, America non si sentiva molto incline a fare la corte, si considerava derubato di un suo diritto dopo quello che aveva fatto durante il Secondo conflitto mondiale per aiutarli - dettagli che avesse tenuto nascosto piani militari importantissimi che avevano messo a rischio Paesi bassi e Germania, o il voltafaccia dell'ultimo minuto - ma i suoi boss lo avevano costretto ad ingoiare l'orgoglio e a capitolare. E, a onor del vero, i frutti avevano iniziato a vedersi.

"Non. Faccia. Figuracce," scandì il suo boss, puntellando il dito suo petto.

America trasalì, indignato.

"C-Che significa?!"

"Non faccia il finto tonto," disse, "Non faccia alcun accenno alla guerra. Niente discorsi sulla conquista del mondo. Niente battute sul matrimonio. Non ceda ad alcuna provocazione. Stia al suo posto anzi: non si allontani e faccia parlare solo me, chiaro?"

"W-What?!" per una volta America era senza parole, "B-Boss, come si permette!? Io faccio quel-"

"Not today!" esclamò scuotendo le sue spalle, "Questa serata è troppo importante per essere rovinata dalle sue pagliacciate! Non permetterò che questi scemi cadano nelle braccia di Russia, chiaro?"

America digrignò i denti: "Non vuole far figuracce però li chiama scemi."

Il suo capo lo guardò male per poi lasciarlo andare e sistemarsi la giacca: "Segua le mie indicazioni, America, e vedrà che ne benifeceremo tutti. Ora suoni quel campanello."

America sbuffò ma fece come richiesto. Pochi istanti dopo Spagna aprì la porta, squadrandoli con i suoi occhi rossi prima di accoglierli.

"Bienvenidos," disse senza entusiasmo, prendendo il pacco che America aveva in mano, "Da questa parte, la festa è già cominciata."

"Chiedo scusa per il ritardo, c'era traffico," disse il presidente americano con un sorriso di cortesia. Spagna fece spallucce, chiaramente disinteressato, e li guidò verso il salone principale.

"Deve essere bella la vita da cameriere qui eh?" disse America notando l'abito di eccellente fattura che indossava la nazione iberica. Questi gli lanciò un'occhiata raggelante.

"Q-Quello che United States intendeva dire è vi trova in ottima forma mr Spain," si affrettò a dire il suo capo dando ad America una dolorosa gomitata sul fianco che quasi lo fece piegare.

Spagna non rispose, limitandosi a guardarli male mentre continuava a camminare. Una volta giunti al salone America non riuscì a trattenere un fischio di apprezzamento: una piacevole luce soffusa illuminava l'enorme stanza finemente decorata, brulicante di parlamentari della Federazione e delle loro famiglie, mentre la musica dance che tanto andava di moda in quel momento faceva scatenare bambini e bambine sulla pista da ballo sotto l'occhio attento di Austria e quello più sonnolento di Polonia. Individuò qualche altra nazione in giro per la sala, non solo quelle che erano state occupate dalla Federazione dopo la sua cacciata: Germania, Italia del Nord e Giappone erano seduti ad un tavolo intenti a confabulare tra di loro, lanciando occhiate giudicanti ai presenti come delle vecchie comari; Paesi bassi stava cercando di flirtare con Portogallo senza successo; Danimarca era in un angolo circondato da un'aria lugubre, forse intento una delle sue rinomate crisi esistenziali in cui aveva intrappolato Cina (America si irrigidì alla sua vista: non si aspettava avessero invitato anche lui, tanto meno che questi avesse accettato l'invito) e Norvegia, contagiandoli col suo pessimo umore; in un altro angolo Inghilterra si guardava nervosamente attorno torturandosi le unghie.
Ai lati erano disposti dei ricchi buffet con davanti piccole code di persone in attesa di essere servite, e subito i suoi occhi caddero sul tavolo che serviva alcolici, che divenne il suo obiettivo immediato non appena fosse stato in grado di allontanarsi dal suo capo.

"Willkommen."

America, sovrappensiero, sobbalzò quando Lussemburgo venne ad accoglierli assieme alla propria capa. Un poco imbarazzato, si affrettò a ricomporsi e a stringere le mani che gli vennero offerte.

"Hey man, happy birthday," disse senza trasporto, guadagnandosi un'altra gomitata nel fianco.

"Danke," rispose il lussemburghese con sorriso diplomatico.

"Perdonate il ritardo, siamo rimasti intrappolati nel traffico."

"Non si preoccupi herr *** avevamo appena cominciato," disse la presidente del Consiglio d'Europa, facendo cenno ad un inserviente perché offrisse dei calici di champagne agli ospiti, "Spero che potremmo parlare di affari e altre... questioni domani, è giusto che Luxemburg si goda questa serata."

"Naturalmente miss *** ," concordò il presidente americano prendendo il calice offerto ad America e ridandolo all'inserviente, ignorando l'occhiata di fuoco dell'altro "Vi porto i saluti di mia moglie, è rimasta in albergo perché la piccola si è sentita male, non è abituata a viaggiare ancora."

"Se servisse un medico non esitate a chiedere herr *** ," disse Lussemburgo per poi alzare il calice, "Be', a me."

"A te Luxemburg," disse la presidente prima di bere il calice in un unico sorso, sotto lo sguardo sbigottito dei due americani, "Se lo champagne non fosse di vostro gradimento abbiamo anche dei vini italiani e francesi, gentile regalo dei miei colleghi."

"Il capo di Italien è un esperto viticoltore, li ha scelti lui di persona," disse Lussemburgo per poi aggiungere sottovoce, "Non diteglielo, ma abbiamo anche le birre, sono nascoste sotto i tavoli, qualora voleste quelle chiedete a Österreich."

America annuì, e il suo occhio cadde inevitabilmente sulla mano sinistra dell'altra nazione dove capeggiava un'elegante fede d'oro.

"Well, com'è la vita da promessi sposi?" chiese prima di ricordarsi delle indicazioni del proprio capo. L'atmosfera, da cordiale, subito divenne più tesa: la presidente guardò preoccupata Lussemburgo, il quale ora stringeva il calice che aveva in mano con fin troppa forza; il suo capo gli diede un'altra gomitata nel fianco.

"G-Gut," disse la nazione mentre un lieve tremore si impossessava del suo corpo, "D-Dall'ultimo incidente sono passate ben settantadue ore, facciamo progressi."

"S-Settantadue ore?"

"Facciamo progressi," ripeté la nazione, prendendo un altro calice di champagne da un inserviente che passa di lì e bevendolo tutto d'un fiato. Un'ulteriore degenerazione della situazione venne bloccata dall'arrivo di una ragazzina che prima abbracciò Lussemburgo, salutandolo con un timido "Alles Gute zum Geburtstag Luxemburg," per poi rivolgersi alla presidente del Consiglio chiedendole qualcosa in tedesco. L'altra annuì e le sorrise teneramente, carezzando i capelli della piccola prima che questa corresse via, tornando sulla pista da ballo.

"È sua figlia?"

"Si, mi ha chiesto se poteva andare a dormire dalle sue amiche dopo la festa."

"Deve somigliare molto al padre," osservò America, che subito intuì di aver detto qualcosa di sbagliato quando tutti si irrigidirono. La presidente si morse una guancia e prese un profondo respiro prima di rivolgergli un sorriso teso.

"Si lo so."

"Em, n-non era un'offesa eh," si affrettò a dire, sentendosi addosso lo sguardo adirato del suo presidente, "L-Lei è una bellissima donna e ha u-una bella bambina, sono certo che suo marito sia il padre più f-felice del mondo."

"Si, mio marito era molto felice," sibilò lei. Quell'enfasi sull' 'era' e lo sguardo triste di Lussemburgo lo insospettirono.

"America," disse il suo capo calpestandogli un piede, "Come ti ho già detto, miss *** è una vedova di guerra."

... Ah.

"Si, mio marito combatté sul fronte occidentale dopo i fatti di Sicilia," precisò la presidente mantenendo un dignitoso contegno e un sorriso diplomatico.

... Ah.

"Um, s-so-"

"Frau *** sono arrivati altri ospiti," si affrettò a dire Lussemburgo prendendo la sua capa  per mano e tirandola verso l'ingresso della sala, "Scusateci."

"No no no prego prego," disse il presidente americano con una risata nervosa, spingendo il proprio piede su quello della propria nazione.

"A domani herr *** ," disse la presidente del Consiglio prima di seguire Lussemburgo, il quale lanciò ad America un'occhiataccia prima di voltarsi e tornare a sorridere per i nuovi arrivati.

"United States of America," digrignò il suo capo prendendolo per un orecchio, "Cosa ti avevo detto?!"

"N-Non è colpa mia, che ne potevo sapere che l'ho resa io vedova?! Non me lo ha detto!" si lamentò la nazione cercando di liberarsi.

"Te l'ho detto sull'aereo ma tu sicuramenti pensavi al campionato di basket vero?" disse il presidente dando all'orecchio un ultimo strattone prima di lasciarlo andare, "Non allontanarti da me e tieni la bocca chiusa d'ora in poi, chiaro?"

America si massaggiò il lobo dolorante, mormorando qualche imprecazione contro il suo capo che venne prontamente ignorata.

I due si avvicinarono al buffet per prendere qualcosa da mangiare. Mentre facevano la fila America si sentì improvvisamente osservato: si guardò attorno e trovò Italia del Nord e Giappone intenti a fissarlo con sguardi indecifrabili. Dopo qualche attimo Giappone mormorò qualcosa senza staccare gli occhi da lui che provocò una grassa risata in Veneziano. Gli venne il sospetto che lo stessero prendendo in giro e la cosa lo innervosì non poco. Senza che il presidente lo notasse marciò verso le due nazioni, le quali non si sentirono per nulla intimorite quando se lo trovarono davanti.

"Hello," li salutò con un sorriso teso, poggiando le mani sul tavolo, "Ho visto che vi divertivate e ho pensato di venire a farmi quattro risate anche io."

Italia e Giappone si scambiarono uno sguardo di intesa.

"Konnichiwa Amerika-kun, ti trovo bene," disse Giappone, sorseggiando il proprio vino.

"Vi trovo bene anche io. Che facevate, rievocavate i bei vecchi tempi?" chiese, ghignando quando i due persero un poco del loro sorriso.

"A dire il vero discutevamo delle... 'scelte peculiari' in fatto di stile di alcuni dei presenti," disse Veneziano, squadrandolo dalla testa ai piedi, le labbra piegate in un lieve sorriso. Il sopracciglio di America ebbe un leggero spasmo.

"Interesting," digrignò, "Sentiamo un po' quali sono queste 'scelte peculiari'."

Veneziano e Giappone si scambiarono un'altra occhiata.

"Be', certo c'è da ammirare il gusto vintage di alcune persone," disse l'italiano indicando con un cenno della testa la sua cravatta, "È dall'ante guerra che non vedevo quei disegni. Il primo ante guerra intendo."

Giappone soffocò una risata in uno sbuffo per poi bere un altro sorso di vino. America strinse le mani a pugno, le guance leggermente rosse.

"Suppongo che tu sia esperto di cose vintage Italy. Quanti sono quest'anno? Mille e quanti?"

"1970 e qualche cosa," disse Veneziano, per nulla infastidito dal dire la propria età.

"Happy birthday, anche se in ritardo." disse tra i denti.

"Thank you, America, ti auguro di arrivarci alla mia età. Ce ne sono di cose da vedere al mondo."

"Non ne dubito."

"Per esempio, non sai quante volte ho visto persone e nazioni dire 'Voglio diventare come tuo nonno'. Tu sei il primo che vedo che intendeva il vestiario però," disse Veneziano guardando la sua giaccia. Giappone si morse il labbro per nascondere un ghigno.

"Sempre pronto a battute di spirito eh Italy? Vedo che Japan apprezza," disse America, voltandosi verso la nazione asiatica, "Eh Japan? Da quanto tempo non ti facevi certe risate eh?"

"Ho sempre trovato l'umoriso di Itaria-kun gradevole, si," confermò, "Oltretutto, mi fido del suo gusto estetico."

"Ma che cosa carina," America scosse la testa, tamburellando le dita sul tavolo, "Dì un po', il 'gusto estetico' include anche nazioni di poco più di cento anni da portarsi a letto?"

Veneziano inclinò il capo, serio: "Prego?"

"Be' sai com'è, immagino che avere Vatican in casa porti a certe 'scelte peculiari' in campo amoroso" disse America, orgoglioso di essere riuscito a cancellare quel ghigno sghembo dalla faccia delle due nazioni.

Veneziano lo fissò per qualche istante, inespressivo: "No, non direi. Però include l'essere onesti con i tuoi alleati."

"Be', non c'è niente di più onesto nell'ammettere che sia un pochino strano che una nazione di più di mille anni si lasci corteggiare da uno che ha fatto cent'anni l'altro ieri."

"Se vogliamo metterla su questi termini è certo curioso che tu dica questo quando hai cercato di sedurre la nazione che ti ha cresciuto per il tuo tornaconto personale," disse Veneziano, sorridendo di nuovo. Giappone nascose la bocca dietro la mano.

"Sono certo che tu sia conscio che il calcolo politico porti a scelte difficili."

"Non saprei, neanche nei momenti più bui ho mai sognato di scoparmi mio fratello."

Giappone non riuscì a trattenere una risata questa volta: "Oltretutto, Amerika-kun, non userei l'argomentazione dell'età a tuo favore. Hai cercato di portarmi a letto ben sapendo che avevo mille anni più di te, e tu stesso hai cercato di sedurre nazioni ben più giovani di Doitsu-kun."

"Come ho detto, calcolo politico," sibilò America, pentitosi di non essersi portato dietro la sua fida mazza chiodata, "È una cosa a cui tu, Italy, e anche Belgium dovreste essere avvezzi, no?"

Veneziano poggiò i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani intrecciate, guardandolo con divertimento: "Elabora."

"Oh, lo sai cosa intendo."

"No, elabora."

"Come se non lo sapesse tutto il mondo che tu e Belgium aprite le gambe per chiunque sia disposto a commerciare con la vostra patetica unione2," disse con veleno nella voce, sperando di ferire e umiliare la nazione latina.

Questi, tuttavia, non perse un millimetro del suo ghigno. Giappone soffocò una risata nell'ennesimo sorso di vino.

Un brivido gelido percorse la schiena di America.

"Germany è dietro di me vero?" chiese, ma nessuna delle due nazione confermò o negò il suo sospetto.

Quando si voltò per poco non ebbe un colpo apoplettico quando vide Germania, gli occhi violacei emananti scintille, in mano bicchiere di vetro che sembrava avere tutta l'intenzione di usare come martello contro la sua testa.

"H-H-H-Hey v-vecchio mio," balbettò, poggiando una mano tremante sul braccio del tedesco in segno di saluto, "C-C-C-Come va la v-v-vita? Q-Q-Quanto h-hai a-a-ascoltato?"

Germania non gli rispose. Come facessero i suoi occhi a non riflettere la luce quando era arrabbiato era un mistero e, assieme, segno che doveva darsela a gambe levate il prima possibile.

"I-I-Io s-stavo g-giusto a-andando v-v-via," continuo mentre un formicolio fastidioso si diffuse lungo tutto il collo e la nuca, costringendolo a grattarsi. Era talmente nel panico che neanche riuscì a sentirsi infastidito quando sentì le risate di Italia del Nord e Giappone da dietro di lui.

"S-S-S-Sempre i-in f-formissima t-tu e i tuoi m-mariti e m-m-moglie eh? M-Mi raccomando," disse, dando all'altro una spinta giocosa sulla spalla dell'altro che provocò una  fuoriuscita della birra contenuta nel bicchiere che teneva in mano, "S-S-Sorry, v-vado a p-prendertene un'altra?"

Germania guardò la birra caduta a terra, poi tornò a guardare America con ancora più ira e ribrezzo di prima, mentre il vetro del bicchiere si incrinò leggermente.
Dietro di lui Veneziano e Giappone non si stavano più trattenendo dal ridere; alcune delle persone attorno a loro avevano cominciato a far caso alla scena, unendosi alle due nazioni o scuotendo la testa in disapprovazione.

"America!" mai fu più contento di vedere il suo capo come in quel momento, "Dannato idi- hello mr Germany, spero che America non vi abbia dato fastidio."

Ancora una volta Germania non rispose, limitandosi a lanciare occhiate intimidatorie. Avvertimenti che il presidente colse subito, scusandosi con le tre nazioni e trascinando via America per l'altro orecchio.

"Tu vuoi scatenare un incidente diplomatico stasera!" disse una volta che erano ben distanti da Germania, "Dimmelo che vuoi causare un incidente diplomatico, su!"

"Boss ha frainteso-" provò a dire ma un'altra tirata all'orecchio lo fece zittire.

"Silenzio! Non ti azzardare ad allontanarti mai più, chiaro!? Giuro che ti costringo ad una dieta carnivora se non la fai finita!" lo minacciò, incamminandosi verso il tavolo degli alcolici - aveva assoluto bisogno di bere qualcosa.

"N-No, poveri animali!"

"Povero me altro che poveri animali!" borbottò, poi prese un profondo respiro e rivolse un sorriso di cortesia alla giovane inserviente dietro il tavolo, "Hello young lady, cosa mi consiglia di buono?"

"Ci penso io signorina."

America trasalì quando sentì la voce di Italia del Sud. Se lo trovò accanto poco dopo con in mano un calice di vino rosso e sfoggiante il più bello dei suoi sorrisi di circostanza.

"Buonasera signor *** , ha mai assaggiato la Rosa del Golfo?"

"Rosa del Golfo?"

"Un vino rosato direttamente  da Otranto, una delle nostre nuove produzioni," spiegò il Meridione, versando un bicchiere al presidente statunitense prima di rivolgersi ad America, "Vuoi?"

Quest'ultimo guardò brevemente il suo capo, vide il suo sguardo di disapprovazione, e per pura ripicca annuì vigorosamente. Quando portò il calice vicino al viso, tuttavia, gli venne il mal di testa solo a sentirne l'odore fruttato.

"Un rosato ottimo per accompagnare piatti di pesce e carni leggere," disse Romano - America storse il naso in disapprovazione - "Qualora foste interessati sono sicuro farebbe un figurone sulle tavole delle vostre coste."

Il presidente americano annuì distrattamente, intendo a gustarsi il sapore del vino. America ponderò qualche minuto sul se chiedere la domanda che voleva fare o meno, prima di dirsi che non c'era nulla di male.

"Hey Italy, non è che hai una cannuccia?" disse proprio quando la musica si abbassò di volume per qualche attimo, proprio al momento giusto per far si che tutti e tutte sentissero quello che aveva detto.

Calò il gelo. America si sentì molto osservato e molto vulnerabile, e notò solo in quel momento, a pochi passi da lui, Francia, Belgio, e i capi di stato italiano e francese guardalo con puro sgomento e orrore.

"P-Presidént?" Belgio toccò piano la spalla del capo di Italia quando lo sentì respirare affannosamente, afferrandolo al volo assieme a Francia quando le sua gambe cedettero sotto il peso dell'indignazione mentre attorno a loro accorrevano i soccorsi.

"P-Prego?" Romano ignorò quanto stava accadendo al suo capo e cercò di tenere su un sorriso di cortesia ma era evidentemente oltraggiato anche lui. Il presidente statunitense pregò silenziosamente America di tacere, supplica che venne ignorata.

"Be', come lo bevo se no?" chiese, ingenuo, non comprendendo il motivo per cui tutti trasalirono a quelle parole.

"Presidént!" sentì dire da Francia, ormai nel panico, dopo che il capo di Italia diede un ultimo, sofferto rantolo prima di perdere i sensi, mentre il suo collega francese gli faceva il massaggio cardiaco e respiro bocca a bocca.






Le baiser de l'union, 'Il bacio dell'unione' intitolarono il giorno dopo i giornali sopra la foto del presidente francese chino su quello italiano mentre la loro collega olandese, accorsa dopo, usava un fazzoletto per fare aria allo svenuto. Nelle colonne accanto le opinioni su quanto accaduto erano le più disparate, da chi parlava di un complotto da parte degli americani per rendere più vulnerabile l'Italia e quindi la futura Federazione a chi commentava quella che era un'evidente figuraccia accompagnata da insulti all'intelligenza degli statunitensi, passando per chi chiedeva il boicottaggio dei prodotti d'Oltreoceano, commenti su come nulla di ciò sarebbe accaduto se fosse stata invitata la Russia, e lodi alla delegazione cinese che aveva prontamente chiamato un'ambulanza e salvato una vita.

America, sconsolato, alternava lo sguardo tra il petto di pollo e i broccoli che aveva nel piatto della colazione e il suo presidente, buttato su una sedia dopo che tutti gli appuntamenti della giornata erano stati cancellati, mentre sua moglie gli massaggiava le spalle ipertese. Davanti a lui la figlia del presidente disegnava spensierata su alcuni fogli.

"B-Boss per favore, non posso-" provò a protestare, ma bastò un'occhiata perentoria per far morire sulla bocca qualunque altra parola Mentalmente chiese scusa al pollo che era stato immolato per quella vendetta e tagliò la fetta di carne in piccoli pezzi, er poi inforchettarne uno assieme ad un broccolo, sentendo lo stomaco annodarsi.

"Uff, neanche io faccio così' tante storie per le verdure," lo canzonò la piccola, scuotendo la testa davanti la sua reticenza.

America prese un profondo respiro e mandò giù il boccone.


 

1. Uno potrebbe giustamente pensare che dieci anni siano pochi per una riappacificazione,specie dopo un conflitto nucleare. La scelta di non far passare neanche una generazione deriva da un problema cronico del continente europeo che è ha ne ha fortemente influenzato la storia nel mondo reale: la mancanza di risorse. L'Europa e i suoi stati non sono in grado di essere autosufficienti in molti campi, ciò ha portato ad eventi come la colonizzazione e, in tempi recenti, a fare affidamento da paesi extra-europei per settori come l'energia. Nell'ucronia la mancanza di risorse costringe ad un riavvicinamento ad una delle due superpotenze.

2. La macchina del fango è stata una delle armi più importanti della Guerra fredda, manipolare la verità o mentire spudoratamente era fondamentale per poter avere il sostegno della popolazione. Immagino che 2p!America non si faccia molti problemi a sparlare delle nazionic he non gli piacciono, elenco che al momento include anche l'allegro gruppetto.

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Capitolo 15
*** Al sole di aprile li rimpiangerai ***


Titolo: Al sole di aprile li rimpiangerai

Personaggi: Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Inghinlterra (Oliver Kirkland); Scozia (Cinàed Kirkland)

Genere: Angst

Coppie: accenni FrUk e UsUk

Avvertimenti: Menzione di guerre

Note aggiuntive: Damoje de angst pesante daje. Sto torturando troppo Francia devo daje na gioia ogni tanto - non oggi, ma in futuro magari.
Qua abbiamo un altro po' della lore dell'ucronia: Napoleone ha effettivamente fondato una dinastia ma nessuno dei suoi successori ha avuto il suo stesso successo; questo cambia un po' di cose in Europa, come vedremo poi. E parleremo un altro po' del conflitto degli anni Sessanta e dei perché di determinate dinamiche.

Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy!

 


I moti del 1848-1849 portarono all'abdicazione del 're autriaco' Napoleone II e alla salita di suo zio, Napoleone III, nel 1852. Nell'arco di tempo che intercorse tra questi due sovrani la Francia venne gettata in un caos paragonabile soltanto alla rivoluzione del 1789.







"Non ho mai capito perché continui a cucinarmi cose," disse Francia senza muoversi dalla sua posizione, sdraiato sul divano e con un braccio a coprirgli gli occhi.

Inghilterra sbuffò, tirandolo per l'altra mano fino a metterlo in posizione seduta: "Se non fosse per me saresti capace di morire di fame."

"Guarda che mangio."

"Il vino non conta," replicò, guardando con disapprovazione le varie bottiglie di liquore sparse nel soggiorno.

"Se è per questo nemmeno quelle tortine che fai sempre," disse Francia con più stizza di quanto avrebbe voluto. Per farsi perdonare si mise meglio seduto sul divano, prese il piatto con dentro la zuppa di cipolle e cominciò a mangiarla lentamente. Questo bastò per togliere il broncio dal viso di Inghilterra.

"Mi chiedo che direbbero i tuoi capi se sapessero che sai cucinare piatti di casa mia."

"I tuoi piatti sono molto apprezzati a corte," disse, giocherellando con l'orlo della camicia.

"Che è diverso dal venire a sapere che the Kingdom of Great Britain cucina piatti francesi per non far morire il suo nemico giurato di fame."

Le guance dell'inglese si colorarono leggermente di rosso, mettendo in risalto le lentiggini: "Be', di un nemico c'è sempre bisogno in qualche modo, right?"

Francia fece spallucce, continuando a mangiare in silenzio. Una volta terminato il piatto mangiò qualche tozzo di pane per pulirsi la bocca e afferrò una bottiglie di vino; prima che potesse bere direttamente da essa Inghilterra gliela strappò di mano.

"Angleterre..."

"Nope," Inghilterra scorse verso il bracciolo del divano, muovendo la bottiglia fuori dalla portata dell'altra nazione, "Direi che hai bevuto abbastanza per oggi."

"Angleterre andiamo," Francia gli si buttò addosso, facendogli perdere la presa sulla bottiglia che cadde a terra in mille pezzi. L'odore fruttato del vino accompagnò il sospiro sconsolato di Francia, che rimase praticamente sdraiato su Inghilterra senza muoversi, la fronte poggiata nell'incavo del suo collo.

"F-France?" Inghilterra si sentì avvampare, cercando di muovere via da sé l'altra nazione, "Pesi."

Il francese mugugnò qualcosa di incomprensibile, senza muoversi di un millimetro.

"Che hai detto?"

"Ho detto di non dirmi che sono grasso," rispose, iniziando a giocherellare col colletto della camicia dell'altro. Ad Inghilterra non sembrava avesse detto quello ma preferì non indagare.

"Non ho detto che sei grasso, ho detto che pesi."

"È la stessa cosa."

"No non lo è, rimettiti seduto dai, devi finire di mangiare," disse, sbuffando quando Francia rimase al suo posto. Poggiò la testa contro il bracciolo del divano, osservando il soffitto ingiallito. Aveva visto il suo vecchio amico/nemico in condizioni ben peggiori eppure aveva la sensazione che ci fosse qualcosa di diverso nel modo in cui Francia stava rispondendo a questa crisi. Era sempre stato molto indolente nei confronti dei cambiamenti dei suoi regnanti, limitandosi ad adattarsi alle nuove situazioni senza particolare entusiasmo. Neanche quel comandante corso autoincoronatosi imperatore era stata un'eccezione. Sembrava, però, che questo ennesimo cambio di regime in pochi decenni lo avesse particolarmente afflitto.

"Oliver," Inghilterra rimase sorpreso dal sentire il proprio nome umano - solo nazioni vicine usavano chiamarsi per nome; potevano lui e Francia considerarsi vicini? Non era la prima volta che succedeva - "Perché sai sempre di zucchero?"

"I-In che senso?"

"Odori di zucchero," sentì il naso dell'altro muoversi lungo il collo, la barba incolta gli pizzicava la pelle, "Non ho mai capito perché."

"M-Ma che domande sono?!" chiese; col cuore che gli batteva all'impazzata riuscì a trovare la forza per spingerlo via e rimettersi seduto, lanciandogli un'occhiataccia la cui ferocia fu smorzata dal furente rossore sulle sue gote. Qualunque ulteriore protesta gli si smorzò nella gola quando incrociò gli occhi di Francia, leggermente lucidi e che lo guardavano con una intensità che mai gli aveva visto. Si accorse che i loro volti erano anche molto vicini e sentì le guance avvampare ancora di più.

Dopo qualche attimo di stallo, la tensione nelle spalle della nazione francese si sciolse e gli cadde di nuovo addosso, la fronte calda poggiata contro il suo petto; Inghilterra si ritrovò stretto in un debole abbraccio, e non seppe cosa fare quando sentì la camicia bagnarsi di lacrime se non ricambiare il gesto e lasciare che Francia metabolizzasse così qualunque pensiero lo stesse tormentando.


 


1953: la firma dei trattati di Roma porta a un aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Russia*

Inghilterra continuava a rileggere la prima riga del trattato senza tuttavia riuscire a comprendere davvero quanto era stampato sul foglio, la sua mente fissa sull'unica informazione che era riuscita a registrare: Francia si stava per sposare.

"Non capisco," mormorò, alzando lo sguardo verso il suo capo, intento ad accendersi un sigaro, "C-Che dovrebbe significa-"

"E' un modo per far arrabbiare America e Russia, ecco cos'è," disse sprezzante il primo ministro, "Domani andremo a Roma a discuterne, ci sarà anche *** ."

Che voleva dire che ci sarebbe stato anche America, ma questo non fece accelerare il battito del suo cuore come accadeva di solito. Con un nodo allo stomaco sempre più stretto, Inghilterra poggiò il foglio sulla scrivania e iniziò a stuzzicarsi le cuticole: "P-Perché non sono stato coinvolto anche io?" chiese infine. I rapporti con Francia erano eccellenti, fosse dipeso da lui lo avrebbe sicuramente coinvolto, no? Che la sua esclusione fosse stata una condizione posta da un'altra delle nazioni coinvolte? Germania forse? No, era troppo malconcio per poter avere una qualche reale influenza. Paesi bassi? Era possibile che ritenesse che un suo coinvolgimento avrebbe potuto danneggiare il commercio nei suoi porti? Già era un'ipotesi più plausibile e forse era stato lui a proporre di aggiungere Veneziano e Romano al suo posto. Sicuramente Francia aveva protestato, ma Paesi bassi aveva il sostegno di suo fratello e sua sorella e figurarsi se Germania avrebbe mai rinunciato alla possibilità di stare vicino al suo liebe. Si, doveva essere andata così.

"Sono io che mi sono opposto," rispose il suo capo prendendolo in contropiede, "Non abbiamo bisogno di essere coinvolti in questa... union, ci metterebbe solo nei guai con America."

"B-But-"

"Mi creda mister England, è meglio così, la nostra economia si sta riprendendo adesso, accettare di collaborare con France e quegli altri ci porterebbe solo rogne. No, ho ben altro in mente, molto meglio di un'alleanza che non supererà la prova del tempo."

Inghilterra non sapeva cosa dire. I suoi occhi caddero sull'ultima clausola del trattato, quella riguardante la creazione di un esercito comune che avrebbe 'affiancato' il Patto Atlantico. Una vera e propria follia.

"Passando ad altro, sono arrivate le armi promesse da America," disse, dando un lungo tiro al sigaro, gustandosi il sapore del tabacco, "Perciò si rallegri, la nostra sicurezza è garantita."

"Ancora non capisco perché mi ha detto di non dire nulla a France, siamo alleati dopotutto no?"

Il primo ministro gli lanciò un'occhiataccia, come a rimproverarlo per aver posto una domanda per lui sciocca: "Mister England la priorità è la nostra sicurezza, la sua sicurezza, non quella del continente. America avrà le sue ragioni per non volerli coinvolgere e visto questo trattato penso anche di comprenderlo."

"Si ma-"

"Mister England, non ci pensi troppo a questa storia, si fidi di me e le garantisco che andrà tutto bene. Ora vada a riposare, l'aereo domani partirà presto."

Inghilterra avrebbe voluto protestare ma il tono definitivo dell'altro lo fece desistere. Mesto, uscì dall'ufficio del suo capo e si diresse verso casa sua con un vortice di pensieri in testa che non lo fece dormire la notte.







Il giorno dopo la discussione tra il suo capo e i suoi colleghi fu accesa e piena di velate minacce.

Inghilterra rimase in silenzio tutto il tempo, si sforzava di tenere gli occhi fissi sul tavolo e di non guardare la mano di Germania, seduto alla sua destra, dove capeggiava una brillante fede d'oro identica a quella di Francia - e di Veneziano, seduto davanti a lui che non aveva smesso di lanciargli occhiate raggelanti; di Romano, vicino al fratello, che si era limitato a salutarlo con un accenno del capo per poi procedere ad ignorare la sua presenza; di Paesi bassi, vicino alla finestra, che invece non gli aveva staccato gli occhi di dosso da quanto era entrato; e di Belgio e Lussemburgo, gli unici assenti oltre a Francia, che certo non lo avevano salutato calorosamente quando lo avevano visto.

Quella sera, mentre faceva l'amore con America, il suo pensiero era ancora fisso su quelle dannate fedi. Quando America gli chiese cosa avesse non gli rispose; una volta che si era addormentato, morse il cuscino per non urlare e si fece un'altra notte insonne.

Riuscì a rasserenarsi solo quando si ricordò quanto il suo capo gli aveva detto: quell'alleanza non sarebbe durata a lungo, si sarebbe sciolta prima che Francia arrivasse alle nozze. Decise che non aveva tempo di indagare sul perché quel pensiero lo calmasse, e continuò i preparativi per il conflitto imminente.

 


4 agosto 1970. Fine dei quello che sarà ricordato come il Terzo conflitto mondiale. 1/5 dell'umanità è stato spazzato via, e si deve procedere alla ricostruzione, con la bonifica dalle zone radioattive causate dalle testate nucleari come assoluta priorità.

 


11 aprile 1971. A seguito degli accordi di Glasgow, l'esercito britannico viene smantellato e le isole Britanniche vengono poste sotto protettorato della Francia - Federazione Europea a partire dal 1993. Qualunque base americana su territorio britannico deve essere evacuata entro un mese.



A riempire i silenzi nella sala del Consiglio era il ticchettio della pioggia primaverile, ma l'unica cosa che Inghilterra riusciva a sentire era un costante fischio. Era da quando Londra era stata bombardata che soffriva di acufene, un sintomo che non accennava a placarsi e che gli rendeva difficile concentrarsi sui suoi compiti o sulle conversazioni.

Era quindi con molta fatica che era riuscito a seguire la discussione attorno agli accordi di pace e quasi avrebbe preferito essere completamente sordo. Vicino a lui la sua sovrana annuiva solennemente alle condizioni che sarebbero presto state imposte; il suo capo, l'autore della scommessa che avevano perso e che li aveva gettati in quella situazione, teneva il capo chino e le mani ammanettate sul lungo tavolo.

Al lato opposto il ministro degli esteri francese elencava i punti salienti dell'accordo con voce monotona, accompagnato dal suono della tastiera della macchina da scrivere della dattilografa. Francia era in piedi vicino ad una delle grande finestre e sembrava più interessato alla campagna inglese che alla conversazione che stava avvenendo.

Non aveva mai guardato Inghilterra da quando era entrato.

"Ci impegneremo ad aiutarvi nella ricostruzione," disse il ministro porgendo alla sovrana il foglio dell'accordo, "Ma suppongo siate consapevole, vostre majesté, che lasciarvi con un esercito funzionante  è fuori discussione. Fortunatamente siamo riusciti a raggiungere un compromesso vantaggioso per voi, e abbiamo deciso di lasciarvi parte della flotta e delle unità di terra. Tenete a mente che non è stato facile, c'era molta opposizione a riguardo."

Inghilterra rabbrividì. Lasciato senza alcun tipo di difesa, alla mercé di Francia e... dei suoi promessi? A giudicare da come parlava il ministro quella follia della federazione era ancora un'idea in cui qualcuno credeva.

"È troppo poco," protestò debolmente il capo di Inghilterra, "Come ci difenderemo in caso di ritorsioni da parte di America? E se Russia-"

"Francamente, *** , sia Amerique che Russie sono troppo malconci per tentare qualcosa. Ma anche qualora volessero è nostro impegno proteggervi," disse il ministro, accondiscendente, "E poi questo riguarda solo voi inglesi. Écosse ha già dichiarato che collaborerà alla difesa delle isole britanniche con ogni mezzo a loro disposizione."

Ed ecco il premio per aver lasciato che le navi di Paesi bassi e di Italia attraccassero sulle sue coste, permettendo un attacco a tenaglia che lo aveva lasciato spacciato: con Germania e Francia a spingere da sud, e Italia e Paesi Bassi e Scozia da Nord, Inghilterra aveva potuto fare ben poco anche con le armi che America gli aveva fornito. Se il suo capo si fosse arreso prima forse sarebbe riuscito a risparmiare alla povera Londra un altro bombardamento.

La sovrana lesse l'accordo un'ultima volta, prendendo respiri sempre più profondi. Inghilterra avrebbe voluto abbracciarla mentre prendeva la stilografica e poneva la sua firma, dirle che non era colpa sua se il suo capo aveva puntato sul cavallo sbagliato.

Quando la stilografica venne posata sul tavolo ara fatto.

Inghilterra era ufficialmente protettorato di Francia.







Poco dopo la firma la riunione durò giusto il tempo di completare le ultime formalità.

Quando Francia zoppicò verso l'uscita della sala assieme al suo capo Inghilterra lo seguì. Nessuno provò a fermarlo.

"Jean!" lo chiamò col suo nome umano, innervosendosi quando vide il francese tendersi, "P-Possiamo parlare?"

Francia non si voltò: mormorò qualcosa al ministro, che fece spallucce e intimò ai suoi collaboratori di seguirlo. La porta della sala venne chiusa pochi attimi prima che la sovrana scoppiasse a piangere, impedendo ai suoi singhiozzi di uscire.

"Jean," iniziò Inghilterra, non sapendo però come continuare. Erano giorni che avrebbe voluto parlargli e adesso che lo aveva davanti le parole gli sfuggivano.

Francia si voltò verso di lui: teneva il grosso del peso sulla gamba sinistra, quella buona, e bende pulite fasciavano la mano e l'occhio destri; l'occhio che lo stava fissando era una tempesta carica di odio e delusione.

Inghilterra deglutì a fatica.

"C-Come-" avrebbe voluto accertarsi della sua saluta ma Francia lo afferrò per la gola con la mano sana lo sbatté contro il muro.

"Lo sai che Italie voleva usare una testata nucleare su Londra?" sibilò il francese, imprimendo nelle sue dita tutta la forza che gli era rimasta, "Una bella bomba atomica per ricambiare quella che tu e Amerique avete lanciato sulla Sicilia poco dopo che ci avete traditi."

"J-Jean," Inghilterra provò a scansare quella mano dalla sua gola ma la presa era ferrea.

"Lo sai quante volte ti ho difeso quando Belgique e Holland ti accusavano di star facendo il doppio gioco?" disse Francia rabbioso, sbattendolo di nuovo contro il muro, "Ti ho difeso anche quando i razzi che hanno colpito Allemagne sono partiti da casa tua, perché non volevo credere che fossi così infame da mentirmi in faccia!"

Inghilterra tossì, iniziando a trovare difficoltà a respirare.

"Ero sicuro che Amerique ti stesse costringendo ma no, a quanto pare Royaume-Uni ha fatto tutto di sua sponte!" Francia sottolineò ogni parla sbattendolo contro il muro per poi lasciarlo andare. Inghilterra scivoltò a terra e sentì del sangue colare dalla nuca.

Francia respirava affannosamente, le mani strette a pugno: "Pourquoi?" chiese infine con voce spezzata, "Perché tutto questo?"

Il dolore alla testa aveva reso più doloroso l'acufene.

"It was you," mormorò, lanciando all'altra nazione un'occhiataccia, "Tu e quegli altri sei, siete stati voi a causare tutto questo. Se non avessi intenzione di sposarli-"

Francia lo afferrò per la collottola e lo sollevò, avvicinando i loro volti.

"Devasti isole e coste e la colpa sarebbe mia?!"

"Aveva ragione America a non fidarsi di voi," disse l'inglese, cercando di rimanere cosciente nonostante il dolore. "Mi accusi di averti mentito, ma tu non mi hai detto né della vostra rete di spionaggio né di quanto effettivamente avete finanziato quel vostro esercito."

Era stato quando avevano visto l'artiglieria anti-area e anti-nucleare in dotazione a Paesi bassi e Germania che aveva intuito che avevano mentito a tutto il mondo: non era assolutamente possibile che l'1% del Pil di sei nazione fosse sufficiente a finanziare quella tecnologia.

Le labbra di Francia si piegarono in una smorfia di disgusto.

"Visto come è andata abbiamo fatto bene a non dirvi nulla," disse spintonandolo via, trattenendo un lamento alla scarica di dolore causata da quel movimento. Quella vista fece sparire la rabbia, lasciando soltanto un vortice di tristezza e vergogna.

"Jean, per favore," non sapeva come continuare la frase. Perdonami? Comprendimi? Lo avresti fatto anche tu nelle mie condizioni? Il fischio alle orecchie si fece più intenso.

"Oliver," sussultò sentendosi chiamare col nome umano, "Ormai quel che è fatto è fatto. Ti anticipo già che è previsto che tu venga a stare a Bruxelles almeno sei mesi l'anno, a iniziare da giugno prossimo, inizia a prepararti."

Inghilterra non seppe cosa dire: "P-Perché sei mesi? Mi avete occupato, dovrei trasfermi da voi."

"Vista la tua 'posizione', ho ritenuto opportuno che la tua presenza fosse più necessaria qua, in vista dell'attuazione del trattato, sarai comunque sotto il comando di Écosse quindi non pensare sia un trattamento di favore" disse Francia con voce incolore.

Inghilterra rimase sbigottito. Avrebbe potuto anche non pensarlo ma quello era un trattamento di favore: il conquistatore aveva sempre imposto che i conquistati e le conquistate stessero nella sua casa tutto il tempo, salvo emergenze. Non ricordava nemmeno un precedente simile.

"E che ne pensano di tuoi promessi di questo?" chiese con cautela. Non era assolutamente plausibile che gli altri accettassero una scelta del genere, soprattutto Italia e Germania.

"Sei un mio protettorato, decido io. Loro si adatteranno. Non metto bocca nei loro affari privati e loro non mettono bocca nei miei," rispose senza guardarlo negli occhi.

Nella realtà era probabile che ci fossero state discussioni molto accese. E perché tutto questo? Solo per aiutarlo? Dopo tutto quanto era accaduto?

"Jean," si avvicinò, cercando di posare una mano sul suo braccio, ma Francia gli afferrò il polso. L'anello sul suo dito era freddo contro la sua pelle.

"Non farmi pentire, Oliver, non più di quanto hai già fatto." lo avvisò, per poi lasciarlo e andarsene via.

Inghilterra rimase immobile, metabolizzando quanto appena accaduto. Si portò il braccio al petto e si morse una guancia. Il punto in cui Francia lo aveva toccato bruciava.







La ricostruzione procedeva bene: dove era stato possibile era stata data degna sepoltura ai morti, i cantieri lavoravano giorno e notte per rimettere in sicurezza gli edifici o farne di nuovi, e Londra era tornata in una sorta di dolorosa routine.

Francia e i suoi promessi avevano mantenuto la parola ma questo non rallegrava Inghilterra anzi: sentiva un fastidio sempre più forte e pregnante ogni volta che il suo sguardo andava oltre la Manica. Presto sarebbe dovuto partire per Bruxelles per prestare servizio - strinse i pugni al pensiero di come si era ridotto - presso casa di Francia e di quegli altri sei, e non sapeva che cosa aspettarsi.

Portogallo era venuto a trovarlo una volta, dopo la firma degli accordi di Glasgow, e gli era parso in buona salute per quanto potesse esserlo una nazione appena uscita da una guerra devastante: lo aveva rassicurato che a Bruxelles non si stava male, ne Francia ne gli altri rinfacciavo l'occupazione e sostanzialmente si facevano gli affari loro la maggior parte del tempo. Inghilterra non si era sentito rincuorato da quelle parole perché la sua situazione era diversa da quella della nazione lusitana: l'aver nascosto gli armamenti di America in vista del conflitto nucleare lo aveva si messo al sicuro dai sovietici ma gli era costata la fiducia dei suoi alleati nel continente. Una scommessa fatta dal suo capo che si era rivelata perdente nel momento in cui era venuto fuori che quell'esercito 'in supporto al Patto Atlantico' era molto più equipaggiato e addestrato di quanto dichiarato ufficialmente, mentre la pazienza delle sei nazioni e dei loro capi si era rivelata più corta del previsto.

Rabbrividì al pensiero di cosa Veneziano avrebbe potuto infliggergli per quanto accaduto a Germania e Romano, o cosa questi ultimi due gli avrebbero fatto una volta che si fossero ripresi. C'era la possibilità che Francia lo avrebbe difeso? Aveva già fatto tanto per lui, più di quanto si sarebbe mai aspettato. Poteva permettersi di sperare in un ulteriore aiuto?

"A penny for your thoughts?" lo canzonò Scozia, ridestandolo dai sui pensieri. Inghilterra riprese a mescolare il suo tè nero, permettendo alle quattro zollette di zucchero di sciogliersi per bene, maledicendo la mano tremante. Di fronte a lui suo fratello era in gran forma: quasi intoccato dal grosso della battaglia, lui e Irlanda erano stati lautamente ricompensati per il loro ruolo nell'invasione delle isole Britanniche con accordi economici di favore e un'alleanza militare.

"Stai pensando alla tua nuova vita da cameriere?" chiese Scozia, derisorio, prima di bere un lungo sorso del proprio tè. Normalmente Inghilterra non avrebbe esitato a tirargli un orecchio e riprenderlo per la sua sfrontatezza. Adesso, non aveva la forza neanche per controbattere.

"Sono stato a Bruxelles, non si sta male, ti troverai bene, il clima è abbastanza simile" continuò, "Certo, avrei preferito averti fuori dai piedi tutto l'anno, ma mi accontento volentieri di sei mesi."

Inghilterra gli lanciò un'occhiataccia.

"Non guardarmi così, Oliver-"

"Non chiamarmi per nome Cinàed," ribatté, stringendo i pugni, "Come diavolo ti è venuto in mente-"

"Oh andiamo, sei stato tu il primo a pugnalare alle spalle qualcuno, saresti un ipocrita a rinfacciarmelo," Scozia sorseggiò un altro po' di tè, per nulla alterato dall'uso del suo nome umano, "Non mi pare che abbia mai tenuto nascosto la volontà di andarmene da casa tua, ho semplicemente colto la palla al balzo."

"Non avrei mai permesso a qualcuno di ferire te o gli altri."

"Tsk, dillo a Merfyn."

Inghilterra trasalì al nome di Galles: "C-Come sta?"

Scozia alzò un sopracciglio. "Si sta riprendendo," rispose, poggiando la tazzina vuota sul tavolo, "Comprenderai che ci vuole un po' per riprendersi da tutto quello che gli hanno lanciato, compreso quello che doveva prendere te. Sai com'è, le armi di Americae te le sei tenute tutte per te."

L'inglese assottigliò le labbra, le dita strette attorno il manico della propria tazzina.

"Non... Non ho mai voluto nulla di tutto questo," disse infine, sentendosi sconfitto come mai nella vita.

Scozia fece spallucce: "Ci mancherebbe pure. Americae l'hai sentito più?"

Scosse la testa, mortificato.

"Be', se ti richiama ricordati che la tua sbandata ti è costata la libertà," disse, per poi fermare un'inserviente per chiedere il conto, "Comunque, da quanto mi ha detto il mio capo, questa cosa dei sei mesi durerà fino a quanto non si saranno calmate le acque nel continente, il fronte orientale è ancora aperto e poi hanno da definire bene gli accordi con i paesi occupati e tutto quello che riguarda il loro matrimonio."

Inghilterra sospirò: "Unione, non matrimonio. Neanche si sa se si sposeranno alla fine."

"Non 'se', 'quando'," precisò, ghignando quando vide confusione sul volto del fratello, "C'mon, credi davvero faranno saltare le nozze dopo tutto quello che è successo? Dopo che si sono presi metà continente assieme? Le hanno solo rimandate finché non finiranno con Roushie, ma è ormai deciso non si torna indietro."

Inghilterra non replicò: con mano leggermente tremante alzò la tazzina e bevve un lungo sorso dell'ormai freddo tè. Che Francia concludesse il matrimonio era la logica conclusione, perché si sentiva preso così alla sprovvista? Perché il suo stomaco si stava annodando al solo pensiero?

Scozia pagò interamente il conto, si alzò e arruffò i capelli dell'altro: "Non pensarci troppo, Oliver. Fraunce ti tratterà bene, molto meglio di come tu abbia trattato il tuo stesso sangue perlomeno. E poi, dovresti esssere abituato a fargli da mangiare, no?"

"Scot- Cinàed, io-"

Scozia lo interruppe alzando la mano e uscì dal piccolo bar, soddisfatto come poche volte lo aveva visto in vita sua.

Inghilterra strinse la tazzina fino a creparla.

 

Mai na gioia è l parola d'ordine qua
 

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Capitolo 16
*** Miscellanea ***


Titolo: Miscellanea

Personaggi: Nord Italia (Marco Vargas/Feliciano Vargas); Sud Italia (Matteo Vargas/Lovino Vargas); Lussemburgo (Sebastien Junker); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Austria (Franz Eldelstein); Paesi Bassi (Christian van Dyk); Inghilterra (Oliver Kirkland)

Genere: Commedia, punta di angst nella seconda fic

Coppie: Nessuna

Avvertimenti: Nessuno

Note aggiuntive: Queste sono fic troppo brevi per postarle in modo a sé stante e che non hanno motivo di essere più lunghe di quanto siano già. Pubblico così perché non so se riuscirò a finire la prossima fic entro la settimana prossima, visto che il week end sono fuori e ho articoli da scrivere, e si è rivelata più ostica del previsto - manca giusto la parte che collega tutta la storia alla parte finale, ma è dura, un po' mi dispiace vedere sti cristiani soffrire in sta maniera lmao.

Le fic sono scollegate tra di loro, possono essere lette anche da sole. E si la prima è ispirata ai Ferragnez e all'episodio del caffé macchiato lol.

Menzione speciale all'ultima fic, che è stata ispirata dal week end calcistico di qualche settiman va (dovevo postarla al posto di Buon vino, tavola lunga ma mi sono sbagliata ops.) e che ha il cameo dei nostri Feliciano e Lovino! Non sarà l'unico cameo delle nazioni a noi familiari.

Ditemi che ne pensate, se vi vanno bene anche fic più brevi come capitoli a se stanti o va bene fare una miscellanea ogni tanto.

Ho deciso che il mio obiettivo con questa raccolta è arrivare a 30 capitoli. Quindi sono a metà strada lol.

Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy!

 



Con la convivenza quella della lingua era una delle prime questioni che era stata affrontata: nel corso del tempo erano stati finanziati corsi delle lingue parlate nella federazione - francese, italiano, tedesco, olandese e fiammingo - che avevano riscosso un discreto successo anche nella popolazione comune, non coinvolta nei centri di potere e nell'amministrazione.

Per quanto riguarda le nazioni, tuttavia, la stessa questione era un pochino più complessa: non c'era alcun problema a parlare le lingue e dialetti interni ad esse o quelle dei Paesi confinanti, ma quando si trattava di lingue geograficamente distanti le difficoltà erano un po' più marcate.

Lussemburgo parlava tranquillamente olandese e fiammingo e di suo sapeva un po' di francese, ma l'italiano era una lingua che mai avrebbe pensato di dover imparare. Inizialmente era fiducioso che non gli sarebbe servito molto tempo per padroneggiarlo, rassicurato dal ministro della cultura italiano sulla facilità della sua lingua. L'apertura del libro di grammatica distrusse il 20% delle sue speranze; il restante 80% si schiantò contro la diversità dialettale della penisola che rese inutile tutto il vocabolario che aveva memorizzato.

Non poteva non essere un po' invidioso di Veneziano e Romano: il primo, fortemente influenzato dalle repubbliche marinare del nord, parlava moltissime lingue, mentre il secondo ancora si ricordava olandese e fiammingo dall'epoca in cui abitava assieme a Paesi bassi e Belgio a casa di Spagna (e se il suo olandese era magari un po' acciaccato, le 'lezioni private' di Belgio avevano certamente migliorato il suo fiammingo.)

Nonostante ciò, Lussemburgo ci teneva a comunicare con loro nella loro lingua madre, sia per rispetto nei loro confronti, sia per curiosità nel sapere cosa urlassero di preciso ogni volta che Germania cercava si approcciarsi al Settentrione - al suo attuale livello riusciva solo a distinguere i nomi di alcuni santi - e sia perché non gli andava di sentirsi escluso visto che era l'unico a non saper parlare perfettamente italiano - Francia ci confinava, Paesi bassi lo sapeva per questioni commerciali di molto antecedenti la storia della Federazione, Germania lo aveva imparato sperando di far colpo su Veneziano (inutilmente) e Belgio aveva ricevuto 'lezioni private' da Romano.

Quel freddo pomeriggio sembrava l'occasone ideale per testare le nozioni appena imparate: seduti sul divano in salotto Veneziano stava leggendo un libro mentre Romano guardava una telenovela, entrambi tenuti al caldo da una coperta di lana; Francia era appallottolato sulla poltrona affianco alla loro, in dormiveglia, chiuso a riccio dentro un'altra coperta.

Niente di meglio di un buon caffè per scaldarli.

Lussemburgo prese un profondo respiro e si sporse dalla cucina: "Volere voi un caffé?" chiese, sperando il forte accento non rendesse incomprensibili le sue parole.

I tre alzarono lo sguardo verso di lui, inizialmente confusi.

"Perché no?" disse Romano, facendo per alzarsi.

"No no no, io faccio, io," si affrettò a dire, indicandosi. Aveva imparato a farlo sia alla francese che con la moka ed era ormai abbastanza fiducioso nelle proprie capacità da sapere di poterlo preparare senza incorrere nell'ira delle tre nazioni, molto affezionate a quella bevanda calda e al modo in cui essa era preparata.

Romano e Veneziano si scambiarono un'occhiata, poi il primo tornò al calduccio sotto la coperta: "Va bene, fallo tu."

"Puoi farmi un té?" chiese Francia in italiano, sbiascicando un po' le parole a causa della sonnolenza.

"Certo!"

Lussemburgo si mise subito al lavoro. Mise sul fuoco l'acqua per il tè, poi preparò la moka: riempì la caldaia fino alla valvola di sicurezza, versò il caffe macinato nel filtro fino a creare una piccola montagnola senza pressare - esattamente come il Sud Italia gli aveva insegnato, con voce melliflua e una lupara puntata contro - e chiuse il tutto, per poi mettere sul fuoco anche quello. Mentre aspettava, preparò due bicchierini e due tazze - visto che c'era, si sarebbe scaldato anche lui.

"Quale tè?" chiese a Francia mentre metteva un cucchiaino di zucchero nel bicchierino di Veneziano - Romano lo prendeva sempre amaro.

"Nero va bene," gli rispose dal salotto.

'Nero' era 'schwarz' giusto? Controllò velocemente sul dizionario, per poi prendere due bustine di tè nero e metterle dentro le tazze, aggiungendo nella sua anche un cucchiaio di miele.

Dopo qualche minuto l'acqua sfiorò il bollore: tolse il pentolino dal fuoco e ne versò il contenuto dentro le tazze, coprendole con due tovaglioli.

"Um, lascia qualche minuto, così finisce di, um," disse mentre porgeva la tazza calda a Francia, non sapendo come finire la frase in italiano.

"Infondere?" lo aiutò il francese, sorridendo leggermente quando l'altro annuì, ripetendo la parola un pio di volte mentre tornava in cucina.

La moka, intanto aveva terminato il suo lavoro, diffondendo l'odore del caffè in tutta la stanza. Velocemente ne versò un po' nei due bicchierini, attento a non scottarsi.

"Lussemburgo, lo puoi fare macchiato a me per favore?"

L'interpellato si irrigidì.

"Eh?" chiese, sporgendosi dalla cucina.

"Se puoi farmelo macchiato," precisò Veneziano con un piccolo sorriso.

Lussemburgo si morse la guancia, confuso, voltandosi verso il fornello. 'Macchiato' non voleva dire 'fleck'? Che intendeva dire Italia? Aveva fosse paura che la cucina fosse sporca? Non aveva costretto Germania a pulirla stamattina? Oh, aspetta: forse credeva avesse macchiato col caffè o il tè il fornello? Poteva essere, del resto era risaputo che la sporcizia lo irritava non poco.

"No, qua è pulito," lo rassicurò mostrando il pollice all'insù.

Rimase molto perplesso quando Francia sputò il tè e Veneziano e Romano scoppiarono a ridere.





 






"Austria, faccio da solo."

"Sciocchezze," replicò continuando a sistemare i bicchieri e le tazze, "Sono o non sono occupato ora? Lascia fare a me."

Veneziano sospirò, poggiandosi contro il mobile della cucina evidentemente a disagio. Austria sorrise.

"Sai, come nazione, non sono proprio entusiasta di tutto questo," disse, cogliendo l'irrigidimento dell'altro, "Prima l'impero che ho costruito crolla rovinosamente, poi tutta quella storia con l'Anschluss, poi due guerre, poi l'occupazione. Non è stato molto generoso questo secolo con me."

Sistemò l'ultimo bicchiere e si voltò verso Veneziano, i suoi occhi violetti fissi sulla punta della scarpe per non far vedere il proprio nervosismo. Un atteggiamento che non era cambiato da quando era uno scricciolo che gli superava appena il ginocchio.

"Come Franz però, sono molto orgoglioso di te Marco, sei cresciuto davvero bene," disse scompigliandogli i capelli. Veneziano si morse una guancia, le mani si chiusero a pungo; non sollevò la testa, ma il rossore sulle guance era evidente.

"La data per le nozze l'avete fissata alla fine?"

"No ancora no, il presidente vuole assicurarsi che la situazione con Russia si sia assestata prima di procedere," spiegò Veneziano.

"Be', dopo quel tuo colpaccio con Poland probabile ci vorrà un po'," Austria rise quando sentì l'italiano sbuffare sonoramente.

"Per l'ultima volta, me lo ha lanciato addosso, che avrei dovuto fare? Ridarglielo?" lamentò, buttandosi su una delle sedie della cucina.

"Be'..."

"O andiamo, se qualcuno ti lancia una ciabatta tu non gliela ridai per fartela lanciare di nuovo no?" disse, sbuffando di nuovo quando la risposta alla sua argomentazione fu una risata, "E dire che mi ero pure presentato con l'armistizio in mano."

"Sono sicuro che prima o poi accetterà," disse, sistemando gli stracci sugli appositi appendini, "C'è altro da fare?"

Veneziano scosse la testa, senza guardalo. Austria sospirò.

"Italien per favore."

"Mi fa strano, okay?" sbottò infine, "Non sono abituato a dare io gli ordini."

"Mi pare che non sia un problema con Deutchland o sbaglio?"

"Ma è diverso con lui! È lui che è scemo," disse, sprezzante.

"Probabile, ma non è questo il punto. Considerami più un supporto o un aiuto che un cameriere," disse Austria, sedendosi vicino a lui.

Veneziano fu per argomentare ma vennero interrotti dall'ingresso di Inghilterra, che portava in mano un servizio da té regalato da India.

"Dove lo metto questo?" chiese con voce bassa, senza incrociare lo sguardo delle altre nazioni.

Austria si irrigidì quando vide un'ombra calare sugli occhi del Settentrione.

"Mettilo qua, ora ci penso io," disse con voce ora più imperiosa, incrociando le braccia davanti al petto, "Impara a fare le cose più in fretta Inghilterra, non posso starti appresso tutto il tempo."

Austria vide la nazione britannica prendere dei brevi e profondi respiri mentre faceva come ordinato.

"Fai anche un po' di tè per me e Austria visto che ci sei," aggiunse, sembrando trarre godimento nel modo mesto e rigido con cui Inghilterra eseguì anche quella richiesta.

Austria si morse il labbro, cercando di sentirsi dispiaciuto e infastidito dal sadismo di Veneziano. Poi ripensò alle condizioni in cui Romano e Germania ancora versavano, e non riuscì a trovare un'oncia di pietà.






 





"Niederlande, Deutchland  e Veneziano ti ammazzeranno se ti vedono qui," Lussemburgo cercò di avvertire suo fratello, sospirando quando questi lo ignorò e  scoperchiò una delle macchina di lusso di proprietà dei loro consorti.

"Sciocchezze," disse Paesi bassi, sprezzante, chinandosi per carezzare i cerchioni della Maserati, "Non possono farmi del male se non sanno niente."

"Niederlande, tu non sai guidare," gli ricordò Lussemburgo, guardando con crescente panico l'altra nazione mentre andava a prendere le chiavi della macchina.

"Io so guidare, Luxemburg."

"Non puoi comparare le biciclette alle macchine!"

"So guidare anche le macchine!" protestò, arrossendo, per poi sorridere contento come un bambino quando trovò le chiavi della Maserati.

"Niederlande ti scongiuro, non farlo," Lussemburgo gli si aggrappò alla vita, cercando di trattenerlo.

"Voglio solo fare un giro dell'isolato," Paesi bassi si scrollò di dosso il fratello e si chiuse velocemente nella macchina, inserì le chiavi e un brivido gli attraversò la schiena quando sentì il motore ruggire, sovrastando Lussemburgo che batteva sul finestrino.

"Christian!" provò a chiamarlo col nome umano ma Paesi bassi aveva già ingranato la marcia e fatto partire l'auto. Gli prese un mini infarto quando sfiorò di poco il muro dell'uscita del garage, sperando che suo fratello sapesse cosa stesse facendo.








"E ora passiamo alla cronaca. È stata ritrovata nella Senne la Maserati che ha seminato il panico oggi nelle strade di Bruxelles, del guidatore non c'è traccia, ci colleghiamo con la nostra inviata per avere le ultime novità a riguardo, prego ***."

"Si, buonasera a tutte e a tutti, per fortuna non ci sono stati ne morti ne feriti, solo tanto spavento e un po' di esasperazione per la Maserati che vedete qua dietro di me. I danni che vedete sono stati causati non dalla caduta nel fiume ma secondo le autorità da dei parcheggi fatti male e da delle botte date a dei pali che corrispondono all'abbattimnto di alcuni semafori nel Quartiere marittimo. Attualmente la polizia indaga per furto, disturbo della quiete pubblica e altri reati di natura colposa-"

Belgio prese un profondo respiro, cercando di trattenere le risate, stingendosi il cellulare al petto mentre Paesi bassi, zuppo dalla testa ai piedi, fissava la televisione in salotto con un'espressioen indecifrabile.

Lussemburgo, seduto sul divano, si teneva la testa tra le mani, blaterando su quando fosse grato che Veneziano, Germania e Francia fossero dall'altra parte dell'oceano e Romano fosse da Spagna e non a casa perché questo voleva dire avere tempo di scappare da Australia e mettersi in salvo dall'ira dei due fratelli Italia.

"Nederland," Belgio, con voce tremante, si avvicinò al fratello e gli porse il proprio cellulare, "Tuo marito ti vuole parlare."

Paesi bassi, bianco in volto e con un'espressione funerea, poggiò il telefono contro l'orecchio, impiegandoci un minuto buono prima di riuscire a far uscire dalla bocca un debole: "H-Hallo-"

Ripensandoci, non ci sarebbe stato bisogno del telefono: le urla di Italia del Nord attraversarono l'Atlantico senza alcuna difficoltà.







(Ci vollero la forza combinata di Germania, Francia e Lussemburgo - che non era riuscito a scappare in Australia - per evitare che Veneziano lo stritolasse quando tornarono tre giorni dopo.)



(Paesi bassi non riuscì comunque ad evitare il fucile di Romano.)







 







SPECIAL

Roma - Empoli 7-0

Inter - Milan 5-1


La fatica che dovette fare Matteo per non scoppiare a ridere sguaiatamente era paragonabile a quelle del leggendario Ercole, richiedeva tutto il suo autocontrollo e possibilmente l'intercessione dei suoi antenati. Non riuscì comunque a reprimere un sorrisetto guardando i suoi cugini saltare e ballare in giro per il soggiorno in un'insolita dimostrazione di reciproco affetto - quasi mai Lovino ricambiava gli abbracci di Feliciano - mentre Marco rimaneva seduto sul divano a fissare lo schermo della televisione col broncio più adorabile e comico che avesse mai visto sul suo viso.

La causa di tutto questo risiedeva nel derby milanese appena concluso e che aveva visto una vittoria schiacciante per l'Inter e una sconfitta inspiegabilmente umiliante per il Milan - la Roma, che aveva giocato poco prima, aveva stravinto contro l'Empoli per la gioia di Lovino.

"Abbiamo vinto, abbiamo vinto," ripetevano i suoi cugini mentre le loro sciarpe nero-blu e giallo-rosso si muovevano a tempo con i loro salti. Quando Marco si morse la guancia, probabilmente per trattenere un impropero, Matteo si impietosì un poco, continuando a trovare quella situazione ilare oltre ogni modo.

"Andiamo, non si può vincere sempre," gli disse, poggiando una mano sulla sua spalla Quando Marco gli lanciò un'occhiataccia mentalmente ringraziò che lo sguardo non potesse uccidere.

Dalla televisione i commentatori continuavano a parlare della partita con sgomento e incredulità, spingendo ancora di più il dito nella piaga.

"Ehi Marco," disse ad un certo punto Lovino, troppo inebriato dalla vittoria della Roma per poter sentire il solito terrore che lo attanagliava ogni volta che si doveva rivolgere al cugino, "Come avevi detto prima? La vostra migliore difesa sono gli attaccanti dell'Inter?"

Marco non gli rispose, limitandosi a guardarlo male. Normalmente questo avrebbe fatto tremare Lovino ma era troppo pompato di serotonina per dare retta al suo istinto di sopravvivenza.

"Ve, sono così contento," rincarò la dose Feliciano, strusciando la guancia contro la sciarpa morbida, "Che ottimo inizio di campionato."

"Dai, vi rifarete la prossima volta," canzonò Lovino, talmente fuori di sé dalla gioia di poter rinfacciare qualcosa al suo odiato parente che si permise di fare una cosa che in altri scenari mai avrebbe anche solo sognato: diede una pacca sulla spalla a Marco.

Questi guardò la mano colpevole e poi il suo proprietario con ira palpabile.

"Non fare così fratellino," disse Matteo, intuendo che la situazione stesse velocemente degenerando, "Sono le regole della tifoseria, stacce."

"Esatto, stacce," gongolò Lovino, dandogli una pacca più forte.

Oh be, Matteo ci aveva provato a salvarlo.

L'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento in Lovino un attimo prima che Marco potesse afferrarlo per il collo, e guidò le sue gambe affinché potesse correre via prima che l'altro gli mettesse le mani addosso. Feliciano andò nel panico mentre suo fratello e suo cugino si rincorrevano per la stanza, i suoi lamenti sovrastati dalle bestemmie in veneziano di Marco e dalle suppliche di misericordia in un misto di romanesco e napoletano da parte di Lovino.

Matteo, il più silenziosamente che poté, fece un video che avrebbe poi mandato a Laura.

Era per scene come queste che valeva la pena seguire il calcio.






 

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Capitolo 17
*** Das Gefühl von allem (Il sentimento del tutto) ***


Titolo: Das Gefühl von allem (Il sentimento del tutto)

Personaggi: Germania (Georg Joseph Beilschmidt); Italia Veneziano (Marco Vargas)

Genere: Angst., Guerra, Malinconico

Coppie: GerIta

Avvertimenti: Guerra

Note aggiuntive: Damoje de angst pesante daje pt 2.
A sto giro je damo de GerIta potente, una delle mie Otp più longeve che ormai son più di 10 anni che shippo religiosamente e a cui sono affezioanta in tutte le sue forme 2p compresa. Non so perché mi è sempre stato facile scrivere Germania, e la sua versione 2p non è molto diversa.
A sto giro l'ho dovuta dividere in due perché era partita come una cosa da 1000 parole  adesso ho superato le 4000. Non so quando la parte due verrà postata, idealmente la settimana prossima, ma al momento mi sto dedicanto ad una FraIta che avevo in testa da tempo - se avete letto Centoquarantaquattro anni vergine, sapete lol - e voglio buttarla giù prima che l'ispirazione vada via. 
Il titolo è un riferimento alla teoria dell'amore di Hegel, il filosofo a cui ho rubato il nome per Germania e Prussia - lunga storia lasciate perdere un giorno la racconterò su tumblr forse lol

Spero che questa storia sia di vostro gradimento.


Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy!




 


Era stato naturale come respirare, logico come bere un bicchiere d'acqua per dissetarsi, inebriante come il senso di sazietà dopo un lauto pasto: Italia del Nord lo aveva atterrato dopo avergli teso un agguato, premuto la lama di un coltello contro la sua carotide, usando tutto il peso del suo corpo caldo e un po' smagrito per tenerlo fermo, e nel momento in cui aveva incrociato i suoi occhi violetti emananti scintille Germania aveva compreso di essersi innamorato e che mai avrebbe amato nessun altro.

Era certo stato un primo incontro un po' atipico il loro, nelle foreste delle montagne al confine con l'impero Austro-Ungarico - il tutto perché Ungheria, contro il parere dell'imperatore e di Austria, aveva tentato di spingersi più in là del dovuto e arrivare fino al fiume Po in un paese che era rimasto fino a quel momento completamente neutrale1 - ma qualcosa dentro di lui lo spingeva a vederci un segno del destino, una parte recondita del proprio sé a cui non era mai riuscito a dare un nome e che si era risvegliata quando i suoi occhi si erano posati sulla nazione mediterranea.

Quel giorno Italia lo aveva guardato con rabbia, poi con confusione e sgomento; poi gli aveva tirato un pugno nella tempia, intontendolo per fuggire via.
Si erano incontrati di nuovo soltanto dopo la fine della guerra, ma nel frattempo Germania era riuscito a raccogliere tutte le informazioni che poteva sul conto della nazione mediterranea: sulla sua storia, sui suoi rapporti con le altre nazioni - Austria era sembrato molto sospettoso e disturbato dal suo improvviso interesse ma almeno gli aveva risposto al contrario di Prussia, che si era limitato ad abbassare la testa e ad andarsene lamentandosi di quanto fosse stato ingannato - sulle sue condizioni; quando gli era stato ordinato di instaurare delle relazioni con lui aveva colto la palla al balzo e felice come una Pasqua si era presentato a casa sua con un mazzo di fiori e avrebbe tentato un approccio se non fosse che Italia gli aveva sbattuto la porta in faccia non appena lo aveva riconosciuto.

Non che questo lo avesse fatto desistere dal suo tentativo: a quello ci aveva pensato l'Italia del Sud puntandogli una lupara in faccia e minacciandolo di fargli esplodere la testa se non se ne fosse andato.

Quel primo fallimento non lo aveva fatto demordere; e guarda un po' il caso anche il capo di Italia voleva che i loro rapporti fossero migliori: a quel punto erano stati praticamente costretti a passare del tempo assieme, che fosse ad eventi ufficiali o in altri momenti. Ci era voluto un po' prima che l'italiano si ammorbidisse e lo facesse entrare nella sua cerchia, senza tuttavia mai smettere di respingere il suo corteggiamento - cosa che non aveva mai, mai affievolito i suoi sentimenti.

Italia Veneziano lo affascinava e attraeva come una calamita, gli era impossibile staccare gli occhi da lui quando se lo ritrovava vicino e avrebbe potuto scrivere paragrafi su paragrafi sui suoi capelli rossi come il fuoco, sulle lievi lentiggini sul volto a forma di cuore, sulla pelle mediterranea che profumava sempre di buono, sul fisico slanciato. E sui suoi occhi poi, *oh i suoi occhi*: quelle bellissime iridi violette con delle piccole punte dorate, quanto erano belli e quanto erano espressivi, da come si assottigliavano quando gli rivolgeva la parola a come si illuminavano alla vista di qualche animale carino o del suo piatto preferito; da come, ogni tanto, si facessero leggermente vacui quando la sua mente era occupata da pesanti pensieri a come seguissero i muscoli della bocca quando sorrideva davvero. Scoprire l'animo fragile nascosto sotto una corazza di tagliente ironia aveva solo che rafforzato il suo amore - ed era stato quando non era fuggito via o aveva usato la sua danneggiata psiche come arma di ricatto che Veneziano, finalmente, si era aperto con lui.  

Quella bella nazione mediterranea era il motivo principale per cui gli anni che seguirono la Prima guerra erano diventati un ricordo piacevole: aveva trovato il suo primo e unico amore, si era rimesso in piedi dopo quel disastroso conflitto, ed era riuscito a smarcarsi abbastanza da Prussia per poter fare amicizia con altre nazioni - salvo quando gli davano l'impressione di essere fin troppo amichevoli con Italia, almeno per i suoi gusti. Non sapeva dire se fosse felice, sentiva il malcontento che serpeggiava tra la gente che formava il suo essere che premeva contro un senso di serenità e pace che mai più provò nella sua vita.

Prima che tutto precipitasse Italia gli rubò un bacio, dentro una vecchia cascina abbandonata dove avevano trovato rifugio dopo che erano stati colti dalla pioggia mentre passeggiavano, un freddo pomeriggio di metà febbraio. Erano completamente zuppi, il temporale aveva rifrescato ancora di più l'aria e non c'era nulla con cui riscaldarsi, e le labbra di Marco erano calde e morbide e la sua bocca sapeva di caffè, e calde e morbide erano anche le sue mani quando le aveva poggiate sulle sue guance per tirarlo vero il basso. Quel giorno, col cuore in subbuglio e il l'ira della sua gente respinta in un angolino della sua mente, comprese che differenza ci fosse tra Germania e Georg Joseph Beilschmidt.







E poi, l'ingenuità della sua giovane età si scontrò con la dura realtà sull'incapacità degli esseri umani di imparare dai loro errori e con la loro spiccata capacità di essere crudeli quando si dà loro carta bianca.







Il giorno prima che Russia lo portasse via, reso onesto dai fumi dell'alcol, Prussia gli confessò che mai  c'era stata guerra che più gli avesse fatto paura come quelle avvenute in quell'ultimo secolo prima del nuovo millennio. Germania non aveva neanche cento anni e non seppe come replicare.

Adesso che di guerra ne era scoppiata una terza sentiva di aver vissuto la vita di una nazione millenaria, e aveva compreso il perché così tanti esseri come lui fossero disillusi: non sapeva dire se fosse stupidità ma c'era una certa ingenuità, che faceva quasi tenerezza, nel modo in cui una generazione di esseri umani si convinceva di essere diversa dai suoi predecessori, che i propri errori fossero assolutamente diversi da quelli di chi era venuto prima e che se si fossero buttati nel baratro questa volta  sarebbe finita in modo diverso.

Solo che adesso c'erano le bombe atomiche.

E cazzo se facevano male.

Da quando era iniziato il conflitto se ne era beccate tre e solo perché i sistemi anti-nucleari avevano funzionato. A essere onesti quelle era riuscito ad incassarle abbastanza bene: aveva visto i dossier e i report, sapeva che la sua terra sarebbe stato il campo di battaglia principale, si era preparato allo scenario peggiore; il dolore era stato a dir poco atroce ma non inaspettato.

I problemi erano sorti quanto America aveva deciso  da un giorno all'altro che lui era un nemico, e si ritrovò schiacciato su due fronti. A quello il suo corpo non aveva retto.

Quando si era svegliato il suo capo gli aveva detto che era rimasto in coma per due mesi, nei quali il famoso 'esercito in sostegno al Patto Atlantico' era riuscito a riequilibrare le sorti della battaglia. Germania era un po' dispiaciuto del fatto di essersi perso così tanto, di non aver potuto contribuire, ma si era reso subito conto di non essere nelle condizione per fare alcunché.

Ci vollero altri due mesi prima che riuscisse a rimanere in piedi da solo. Ogni tanto gli giungevano lettere e telegrammi dagli altri - non telefonate, non era sicuro. Una di queste, con suo sommo sgomento e commozione, era da parte di Prussia, e Dio solo sa come era riuscito a mandargliela e a che costo: a modo suo, burbero e mai del tutto diretto quando si trattava di mostrare affetto o preoccupazione, suo fratello aveva rassicurato della sua salute e gli chiedeva un modo comunicargli che stesse bene - ci volle un po' per organizzarsi, ma far esplodere di piccoli ordigni al confine seguendo il codice Morse dovrebbe aver funzionato. Fu l'unica lettera per il resto del conflitto.

Italia non gli scrisse mai né rispose alle sue lettere. Sapeva che era impegnato sul fronte orientale con Paesi bassi perché il suo capo glielo aveva detto dopo settimane di supplice, cedendo nonostante il timore che la sua nazione decisesse di andare al fronte nonostante fosse ancora ferito.

Germania non aveva mai biasimato Italia per i suoi silenzi e la sua freddezza, anche se facevano male. Quello che era accaduto durante la Seconda guerra, quello che la sua gente aveva fatto, era stato...

Represse un lamento di dolore quando il camion passò sopra una buca, portandosi una mano sul fianco. Il tenente davanti a lui lo guardava preoccupato.

"Herr Deutchland, forse è il caso che torni-" bastò una sua occhiataccia per zittirlo.

Si, lo sapeva che era una follia quello che stava facendo: non si era ripreso, a malapena riusciva a stare in piedi e mettersi in viaggio rischiava di riaprirgli le ferite specie quelle causate dalle atomiche; ma quando aveva saputo che Italia e Paesi bassi erano riusciti a riprendersi i suoi territori fino ai confini pre-guerra che avrebbe dovuto fare? Rimanersene in casa mentre i suoi promessi sposi facevano tutto il lavoro? No, almeno ringraziarli fisicamente era il minimo, aveva detto al suo capo nella lettera che gli aveva lasciato sulla scrivania prima di partire, ci avrebbe pensato in un secondo momento a trovare il modo di partecipare fisicamernte alle battaglie.

Fuori dal camion si iniziavano a sentire i canti di vittoria dei soldati, un misto di tedesco, italiano e olandese che mai avrebbe pensato di sentire in vita sua.

"S-Siamo arrivati," disse il capitano alla guida prima di affrettarsi a scendere per aprire le porte posteriori e aiutare la nazione ad uscire. Questi rifiutò l'aiuto, stringendo i denti quando sentì i punti delle ferite sul ventre tendersi. Si guardò attorno: il sole aveva iniziato a tramontare ed era stato acceso un grande falò attorno al quale si stavano radunando i soldati per bere e danzare. Quando iniziò a sentire la testa pesante Germania si rese conto di star cominciando ad accusare la stanchezza per il lungo viaggio, ma non poteva ancora riposarsi: doveva trovare Italia, prima, assicurarsi che stesse bene.

Il tenente che lo aveva accompagnato gli fu sibito vicino quando le ginocchia gli cedettero.

"Herr Deutchland per favore, c'è un ospedale da campo in una villa qua vicino,  vada-"

Ancora una volta fu un semplice sguardo a smorzare le sue parole.

I soldati, nel frattempo, si erano accorti della sua presenza; i suoi connazionali lo guardavano preoccupati e sorpresi, gli italiani e gli olandesi si tenevano a debita distanza. Nessun sapeva cosa fare, non si aspettavano la sua presenza e un po' gli dispiacque aver rovinato l'aria di festa. Era giusto che celebrassero quella vittoria che fino a qualche mese prima sembrava pura utopia. Deglutì saliva e dolore e si rimise in posizione eretta.

"Signor Germania," a parlare era stato un italiano, dalle insigne vide che era un generale, "Ci perdoni questa accoglienza, non vi aspettavamo, faccio radunare subito i-"

"Dov'è Italien?" lo interruppe, maledicendosi quando si rese conto di star respirando a fatica.

Il generale italiano rimase in stallo qualche attimo, poi si girò e ordino a due soldati di andare ad avvisare Italia e Paesi bassi del suo arrivo.

"Si segga, prego," disse. indicando un tronco su cui erano seduti un gruppo misto di soldati che subito si alzarono per fargli spazio. Germania gli ringraziò con un cenno della mano ma non si sedette.

"Sto bene," disse, ma nessuno dei presenti sembrava convinto.

"Signor Germania, perdoni la mia insistenza, ma la prego di sedersi," disse il generale, muovendosi come a volerlo spingere verso il tronco ma fermandosi all'ultimo minuto - scelta saggia.

"Sto bene," ripeté, "Ho solo... Solo... Devo..."

Guardò in basso e notò una piccola macchia rossa iniziare ad espandersi sulla camicia. I punti si erano riaperti. Verdammdt.

Il tenente urlò di chiamare uno dei medici del campo per poi sostenerlo assieme al generale quando le gambe gli cedettero di nuovo.

"Signor Germania venga si sie-"

"A-Avete ripreso i miei territori," mormorò mentre veniva trascinato e fatto sedere sul troco, rivolgendosi al generale, "Danke. Danke shön."

Il generale parve sorpreso da quel ringraziamento e subito scosse la testa.

"Non c'è motivo signor Germania, siete venuti in nostro soccorso quando hanno bombardato la Sicilia. Lei, Paesi Bassi, Francia, tutti gli altri, avete mantenuto la parola data a Roma ed è giusto che mantenessimo la nostra quando Russia vi ha invaso."

Parlava come se fosse scontato ma Germania sapeva che non lo era, non dopo quello che era accaduto durante la Seconda guerra.

"Se volete ringraziare qualcuno ringraziate i soldati, hanno fatto loro il lavoro," disse il generale con una umiltà atipica per chi ricopriva la sua posizione.

"Herr ***  ha condotto le operazioni per la ripresa dell'altopiano," intervenne il tenente, "È stato in grado di coordinare tre eserciti e organizzare i piani di attacco."

"Mio padre andò a lavorare a Rotterdam e mi portò con sé, lì ho imparato un po' di olandese e ho conosciuto il loro popolo, il tedesco l'ho imparato da mia madre che era bavarese," spiegò il generale, arrossendo un poco davanti lo sguardo sorpreso della nazione, "Non è stato difficile, signor Germania. Ho imparato tempo fa un po' di divertimento mette tutti d'accordo e aiuta a tenere uniti anche le persone più diverse."

"Non sia modesto herr *** dobbiamo ringraziare solo lei per la ripresa dell'altopiano," disse il tenente mentre i soldati vicini a loro annuivano in accordo, guardando con palpabile ammirazione il generale che si stava grattando la nuca in imbarazzo.

Germania non sapeva cosa dire. Il fatto che tre eserciti così diversi tra loro fossero riusciti ad andare d'accordo era già di per sé un miracolo, figurarsi le vittorie che erano riusciti ad ottenere fino a quel momento.  Fece per ringraziare il generale ancora una volta ma venne interrotto da una fitta di dolore al ventre: la macchia di sangue si era ulteriormente allargata.

Il tenente urlò di nuovo di andare a chiamare un medico, mentre il generale lo aiutava a stare seduto; Germania a malapenma registrò la mano ruvida che gli toccò la fronte.

"Signor Germania ma voi scottate!" trasalì il generale, cercando di metterlo sdraiato sul troco.

"N-Nein ich-" balbettò, venendo interrotto da un'altra fitta, ben peggiore della prima.

"Duitsland che diavolo ci fai qua?!"

La voce di Paesi bassi gli arrivò un po' ovattata; aprì a fatica gli occhi e dietro la nazione olandese trovò Veneziano, con un cerotto sulla guancia e una mano bendata ma in sostanziale salute, che lo guardava con orrore e sgomento.

Si alzò di scatto in piedi. Avrebbe voluto dirgli tante cose in quel momento.

Grazie per avermi aiutato.

Perdonami per aver versato ancora sangue sulla tua terra.

Hai ragione, gli esseri umani sono stupidi.

Ti amo tanto.

Ti ho amato sin dal Novecento.

Perse i sensi prima che potesse fare qualunque cosa.







Germania rimase febbricitante per una settimana intera, alternando il sonno a brevi momenti di delirio. Se non fosse stato una nazione una febbre così alta per un periodo così lungo avrebbe destato preoccupazione nei dottori, che comunque gli somministrarono medicine per tenere sotto controllo la febbre e, quando queste non fecero più effetto, aiutarlo a fargli fare dei bagni di acqua ghiacciata avendo accortezza di non strappare di nuovo i punti.

Quando ritrovò la lucidità non ricordava nulla di tutto questo, ne di essere stato portato alla villa dove avevano allestito l'ospedale da campo ne del fatto che Veneziano non si era allontanato da lui un istante, vegliandolo personalmente.  

Lo vide seduto su una consunta poltrona poco lontano dal suo letto, intento a leggere un libro, le occhiaie sotto i suoi occhi più pronunciate del solito. Si accorse che era sveglio quando Germania provò a chiamarlo, la sua bocca talmente secca e pastosa che invece del suo nome venne fuori una specie di rantolo. Veneziano poggiò il libro sul bracciolo e si alzò, avvicinandosi lentamente a lui. Tentennando, gli scostò la frangia dalla fonte per sentire la temperatura - la mano era fresca e piacevole contro la sua pelle ancora calda - poi spostò la mano sulla guancia carezzando col pollice la cicatrice. Germania vi poggiò contro il capo, trovando sollievo in quel gesto di affetto.

"Ti si è abbassata la febbre," disse per poi sporsi verso il comodino, versare un po' di acqua dalla brocca in un bicchiere e portarla alle sue labbra, facendolo bere a piccoli sorsi, "Te l'ho mai detto che sei una grandissima testa di cazzo?"

Molte, molte volte. E più volte Germania era anche stato incline a dargli ragione.

Veneziano posò il bicchiere sul comodino. La sua mano non aveva mai lasciato la sua guancia anche se questo gli rendeva un po' difficoltosi i movimenti.

"Sei un vero idiota," lo insultò di nuovo senza però alcun veleno nella voce, come se fosse una semplice constatazione, "Che pensavi di fare? Combattere?"

Germania non ce la fece a rispondere; raccogliendo tutte le forze che aveva alzò una mano e la posò su quella di Veneziano, stringendola per quanto poteva. L'altro, dopo un attimo di sorpresa, riprese a carezzargli la cicatrice, un'espressione indecifrabile sul volto.

Poi ritirò la mano, e qualunque protesta da parte del tedesco venne fermata da un bacio sulla fronte.

"Dormi un altro po', ti porto la cena dopo," disse Veneziano rimboccandogli le coperte per poi uscire dalla stanza.

Germania ubbidì.




 

1. In questa timeline l'Italia è rimasta completamente neutrale durante il primo confliutto, ricoprendo un ruolo simile a quello della Spagna nello stesso periodo, con l'unica idfferenza che con la sua posizione geografica poteva rifornire entrambi gli schiermenti con le armi. Mi piace pensare che ci sia una una dimensione dove sto paese non è stato trascinato allo sbaraglio ad ogni possibile bivio, e questo è uno di quelli.

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Capitolo 18
*** Das Gefühl von allem (Il sentimento del tutto) pt 2 ***


Titolo: Das Gefühl von allem (Il sentimento del tutto) pt 2

Personaggi: Germania (Georg Joseph Beilschmidt); Italia Veneziano (Marco Vargas); Prussia (Wilhelm Freiderich Beilschmist); Paesi Bassi: (Christian von Dyk)

Genere: Angst., Guerra, Malinconico

Coppie: GerIta

Avvertimenti: Guerra

Note aggiuntive: Damoje de angst pesante daje pt 2.
È stato un po' difficile scrivere questa seconda parte da un punto di vista emozionale. Non saranno nominati espliciti episodi storici che sono accaduti anche in questa ucronia, ma è abbastanza intuibile a cosa mi riferisca. Non credo ci sarà bisogno did edicare precise storie a questo genrre di eventi, basta accennarli.
Sono tutto sommato soddisfatta? No, ma non mi viene in mente cosa altro poter aggiugnere. C'è molto di non detto nel rapporto tra Germania e Veneziano che approfondirò in seguito. Vi lascioc on una piccola scena extra alla fine.
Comunque ho notto che in sta raccola la gente sviene che manco Dante nella Divina Commedia lol. Dovrò rimediare.
Il prossimo capitolo non so quando riuscrò a metterlo, visto che ho parecchio da fare - già è tanto che sono riuscita a finire questa seconda parte così presto lol, ma ho ancora parecchie idee per questa raccolta e voglio tirarle fuori in qualche modo.

Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy!


 


Con la febbre i sogni avevano il rumore di treni in partenza e di urla di madri disperate. Germania non aveva alcuna pretesa che la notte gli offrisse ristoro ma gli incubi resero più lenta la sua guarigione: ogni tanto la febbre si alzava ed era costretto a fare un bagno ghiacciato essendo questo l'unico metodo in grado abbassargli la temperatura corporea. Avrebbe preferito che quel ghiaccio fosse usato per i soldati, alla fine era una nazione si sarebbe ripreso prima o poi ma i dottori erano stati irremovibili. Purtroppo non era più in uno stato delirante come la prima settimana: affrontare quel processo da lucido era un'esperienza a dir poco infernale.

Veneziano era sempre rimasto al suo fianco: quando era sommerso nell'acqua ghiacciata era dietro di lui a tenergli la testa e tamponargli il viso con un panno bagnato, gli parlava in tedesco con un forte accento austriaco e gli diceva che andava tutto bene e di resistere per un po', lo consolava per quel tremore incontrollabile che gli faceva battere i denti e sentire debole, incurante di come si ritrovasse sempre zuppo anche lui; poi aiutava gli infermieri a farlo uscire e ad avvolgerlo in calde coperte prima di rimetterlo a letto, avendo l'accortezza di non riaprire le ferite sul ventre. Rimaneva con lui finché non si addormentava, poi tornava ai suoi doveri fino all'ora dei pasti, che consumava in sua compagnia per assicurarsi che mangiasse - ogni tanto veniva anche Paesi bassi, anche se era ancora arrabbiato per il fatto che li avesse raggiunti al fronte. Quando non c'era bisogno di quelle immersioni Veneziano passava meno tempo con lui, limitandosi ad aggiornarlo sull'andamento del conflitto - che, contro ogni previsione, era ormai in loro favore - e Germania aveva quindi molto tempo per immegersi nei propri pensieri e sensi di colpa.

Il suo capo era a dir poco furioso ma non lo forzò a tornare a Bonn, sia perché non era nelle condizioni per viaggiare sia perché era in un posto ormai sicuro, saldamente nelle mani dell'Unione. Si limitò a raccomandargli di non dare retta ad altri colpi di testa e a promettergli una 'lunga' chiacchierata una volta che la situazione si fosse normalizzata.

Tre settimane dopo il suo arrivo la febbre aveva, finalmente, smesso di alzarsi al punto da richiedere altri bagni ghiacciati; contemporaneamente, i loro capi avevano iniziato i preparativi per il cessate il fuoco.

"Vogliono chiedere l'armistizio," disse una sera Veneziano entrando nella sua stanza, buttandosi subito sul divano vicino al suo letto e gettando un braccio sopra i propri occhi, evidentemente esausto, "Io e *** andremo dopodomani, sperando che Russia accetti."

"Se non ha altra gente da mandare al macello non credo abbia molta scelta1," disse Germania, rimasto  poggiato contro la testiera del letto dopo che gli infermieri gli avevano cambiato le bende. La ferita sul ventre non accennava a volersi richiudere, ma non ne era sorpreso: Giappone, che aveva subito quegli stessi danni anni prima, gli aveva detto che ci sarebbe voluto almeno un decennio prima che si richiudessero del tutto, lasciando l'ennesima cicatrice sul suo corpo.

Veneziano non si mosse dalla sua posizione, facendo profondi respiri e rimanendo in rigido silenzio. Germania si morse una guancia. Avrebbe voluto chiedergli perdono per quanto accaduto nella Seconda guerra ma non voleva rischiare di mandare all'aria quel fragile equilibrio che si era creato tra loro: sapeva che non appena avesse anche solo accennato a quanto accaduto l'italiano si sarebbe arrabbiato e se ne sarebbe andato, rifiutandosi di nuovo di rivolgergli la parola.  Perciò non disse nulla, guardando dalla finestra il sole tramontare dietro montagne che era convinto non avrebbe più rivisto.

"6 maggio 1527," disse all'improvviso Italia, senza muoversi e senza guardarlo, "Fu il giorno che i lanzichenecchi iniziarono a saccheggiare Roma. Gli ci vollero sei mesi per raggiungerla, e in quei sei mesi distrussero qualunque cosa incontrarono sul loro cammino. Uccisero, stuprarono donne e bambini e anche i vecchi se non c'era di meglio. Ero a Roma quando la assaltarono."

Germania si voltò verso l'altra nazione, sbalordito e non sapendo cosa dire. Sapeva del Sacco di Roma, uno degli episodi più truci della storia della capitale d'Italia, ma sentire di quegli eventi dalla bocca di qualcuno che li aveva visti gli mise in prospettiva quanto grande fosse la differenza di età tra lui e Veneziano.

"Prima ancora ho visto Toscana, Lombardia e gli altri distruggersi e distruggermi per secoli. Prima ancora ho visto mio nonno morire," continuò, massaggiandosi gli occhi, "Poi Francia ti saprà dire che è successo quando quel suo comandante corso è venuto da me. Non c'è stato secolo che non mi abbia in qualche modo distrutto, non avevo chissà che speranze neanche per questo ad essere sinceri."

Germania abbassò lo sguardo sulle proprie mani, strette a pugno sopra le lenzuola. Sentiva gli occhi di Veneziano addosso e non ebbe il coraggio di incrociarli.

"Quando il mio vecchio capo fece quello che fece io non ero d'accordo, provai pure a dirglielo ma quello che voglio non è mai importato. Quello che vogliamo noi non conta mai, conta sempre e solo quello che vogliono gli umani. Ed ecco perché adesso sono promesso sposo ad una persona che odio."

Sentì distintamente il suo cuore creparsi prima di andare in mille pezzi. Si maledisse quando vide le mani tremare, non volendo mostrarsi così emotivo davanti a Veneziano. Era inutile che stesse male per quelle parole, sapeva di meritarsele, eppure il dolore era soffocante, gli pizzicava gli occhi minacciando di farli lacrimare. Si morse la guancia a sangue per controllarsi, ingoiò la vergogna e alzò lo sguardo. L'espressione sul volto di Italia era indecifrabile.

"Es tut mir leid," disse, sincero, sentendo un peso invisibile sulle spalle che lo affaticava.

Dopo qualche istante di silenzio, Veneziano si alzò e si sedette sul bordo del letto, guardandolo ora con pietà.

"Lo so," disse, carezzandogli una mano tremante. Germania avrebbe voluto rifuggire quel contattato ma non ebbe la forza di ritrarsi.

"Ma non ci si fa nulla con le scuse vero?" chiese, maledicendo la sua voce malferma.

"No, Germania, no. Purtroppo, per noi le scuse sono inutili."

Annuì, chiedendosi quanto minuscolo fosse quel peso che sentiva sulle spalle se comparato a quello che portava una nazione millenaria come Italia. Quest'ultimo gli sollevò il mento con tocco gentile, costringendolo a guardarlo negli occhi.

"Gli esseri umani non cambieranno mai," disse, col tono di voce che si riservava ad un bambino quando gli si doveva dire una dura e dolorosa verità, "Quando lo capirai e accetterai, saprai come gestire queste cose. Perché capiteranno di nuovo Germania, non è stata la prima volta e non sarà l'ultima."

Trasalì: "M-Ma io-"

"Tu non potrai mai fare niente, non potrai mai decidere ma solo obbedire."

"I-Italien io avrei potuto... "

"Georg," Veneziano gli afferrò il volto, carezzandogli le guance, afflitto come mai lo aveva mai visto, "Non li potrai mai, mai, fermare."

"M-ma tutti quei morti, io avrei-"

Veneziano lo zittì scuotendo la testa e lo abbracciò. Germania si irrigidì per qualche istante, poi i peso sulle sue spalle andò in frantumi e scoppiò a piangere, nascondendo il volto nell'incavo del collo dell'altro e stringendoselo contro. Veneziano non si ritirò e lo cullò piano, carezzandogli la schiena e i capelli, lasciandolo che tirasse fuori tutta quella rabbia e tutta quella tristezza che da anni gravava su di lui.







Non ricordava quando si era addormentato: Germania si svegliò quando Paesi bassi entrò nella stanza assieme a un infermiere con in mano i vassoi della loro cena. Chiuse gli occhi prima che si rendessero conto che si era svegliato.

"Come sta?" chiese l'olandese a bassa voce, seguito dal suono dei vassoi poggiati sul tavolo.

"Meglio," rispose Veneziano. Sentì delle dita giocare con i suoi capelli e della stoffa ruvida contro la sua guancia che non poteva essere la federa del cuscino.

"Ma guardatevi, quanto siete carini." disse Paesi bassi. Una mano gli sfiorò la fronte, "Gli si è alzata la febbre di nuovo."

Sentì la mano che era sulla sua testa spostarsi sulla fronte. "Non credo ci sia da preoccuparsi, era  inevitabile, si è un po' sfogato."

"Capisco. Io vado a letto, se serve fammi chiamare, okay?" disse l'altro prima di andarsene via. Il suono della porta che si chiudeva significava che lui e Italia erano di nuovo soli.

"Germania," Veneziano lo chiamò, picchiettandolo sulla guancia, "So che sei sveglio, idiota."

L'interpellato sbuffò, mettendosi faticosamente seduto - e rendendosi conto con un po' di imabrazzo che fino a quel momento era stato il grembo della nazione italica a fargli da cuscino.

"Che ore sono?" chiese con voce roca. Aveva la gola secca e la bocca pastosa, e la colonna vertebrale gli scrocchiò dolorosamente quando provò a stiracchiarsi; ma non si sentiva così calmo da tempo. Fuori dalla finestra era buio pesto.

"Ora di cena," disse Veneziano prima di alzarsi e prendere un piatto dal vassoio assieme ad un cucchiaio. Germania fece un suono lamentoso alla vista della fumante minestra di verdure. Che avrebbe dato per avere del cibo con un minimo di consistenza.

"Non fare il bambino su," lo rimproverò Italia, rimettendosi seduto sul letto e dando una breve girata alla zuppa prima di portarne un cucchiaio pieno alle labbra della nazione germanica. Questi arrossì.

"I-Italien non ho bisogno che mi imbocchi!"

"Muoviti a mangiare e non fare i capricci."

"Io non faccio i capri- UMF!" Veneziano ne approfittò per imboccarlo senza troppe cerimonie, ridendo all'espressione indignata dell'altro, "C-Ce la faccio da solo!"

L'italiano fece spallucce e gli portò un'altra cucchiaiata di zuppa alle labbra. Germania sospirò ma decise di lasciarsi imboccare, le guance in fiamme un po' per la febbre un po' per l'imbarazzo.

"Non dovresti mangiare anche tu?"

"Mangio dopo, tranquillo," replicò. Gli occhi di Germania caddero in automatico sui polsi sottili dell'altra nazione.

"Ma tu mangi si?" chiese, squadrandolo.

Veneziano sbuffò: "Mi spieghi perché siete tutti convinti che io e Romano non mangiamo? Eppure non mi sembra che ci facciamo problemi a mangiare davanti a voi."

"Vorrei capire come fate a rimanere così magri," disse, non riuscendo a non sentirsi un po' invidioso. Da quando era caduto in coma aveva perso massa muscolare, chissà quando sarebbe potuto tornare fare esercizio come prima.

"Costituzione mediterranea," gli rispose con un sorrisetto divertito. Finirono il resto della zuppa in un silenzio che, per la prima volta dopo anni, non era teso o imbarazzato; anzi, un po' gli ricordava i tempi pre-guerra.

Veneziano sospirò quando Germania pretese che mangiasse l'altro piatto di minestra davanti a lui ma lo accontentò, consumando il pasto assieme ad un po' di pane dopo aver sbucciato e tagliato una mela per il tedesco.

"Mi dispiace per la... Be', tutta questa storia del matrimonio," disse all'improvviso, ripensando alla conversazione avvenuta quel pomeriggio.

Veneziano finì di masticare un tozzo di pane prima di rispondere: "Ho come l'impressione tu non sia stato così dispaiciuto."

"In che senso?"

Lo guardò eloquente: "Non venirmi a dire che non hai fatto i salti di gioia quando ti hanno detto che mi avresti sposato."

Germania arrossì: "Mica sposo solo te."

"Conoscendoti il tuo cervello avrà registrato solo la parte dove ti sposavi con me e ha cancellato tutto il resto"

Arrossì, non potendo negare quella verità.

"Frankreich mi ha detto che tu eri abbastanza arrabbiato invece."

Al nome di Francia Veneziano si rabbuiò: "Be', nessuno di noi era esattamente entusiasta, no?"

"Deve essere brutto però se... Se devi sposare qualcuno che odi," disse Germania, abbassando lo sguardo. Sussultò quando una mela lo colpì in testa: "Ahia! Perché lo hai fatto?!"

Veneziano non gli rispose: prese la mela caduta per terra e la sbucciò, per poi dividerla in spicchi.

"Non sei te che odio Germania," disse, portando un pezzo del frutto alle labbra dell'altra nazione, "Non cominciare a farti le fisime per quello che ho detto prima."

Germania si lasciò imboccare di nuovo, non sapendo se fosse il caso di sentirsi speranzoso: "Q-Quindi..."

"Spesso sei fastidioso come dito nel culo e Dio solo sa quante te ne darei quando fai lo scemo, ma non ti odio," disse, dandogli un buffetto sulla fronte.

Germania simorse il labbro: "Be', le dita-"

"Finisci quella frase e giuro ti taglio la lingua," sibilò e il tedesco tacque, sapendo che quella minaccia non era un iperbole.

Veneziano gli diede metà della mela prima di mangiare la propria parte, per poi alzarsi e impilare i piatti e i vassoi. Poi gli tornò vicino e gli sentì la fronte con una mano.

"Non dovrebbe salirti la febbre nella notte, ma riposati per bene." gli disse, aiutandolo a coricarsi e rimboccandogli le coperte. Germania ripensò a quando era Prussia a fare quel gesto, quelle rare volte in cui era stato male quando era piccolo, sbuffando e imprecando ma avendo sempre cura che stesse comodo e che prendesse tutte le medicine. Al pensiero di suo fratello sentì lo stomaco annodarsi. Parte dei territori ad est era stata ripresa, era possibile che...

"Germania non pensare," disse Veneziano, passandogli una mano tra i capelli, "Dormi e riposati."

"Va bene liebe," disse, irrigidendosi quando si rese conto di aver chiamato l'italiano 'amore' in automatico - quando tempo era che non lo diceva? Aveva forse rovinato i progressi fatti usando quel nomignolo?

Veneziano, tuttavia, non lo rimproverò: scosse la testa, esasperato e divertito assieme, e gli diede un bacio sulla fronte.

"Certe abitudini non cambiano eh?"

Germania avrebbe voluto rispondere, ma si sentì improvvisamente stanco e sonnolento. Veneziano rimase al suo fianco, carezzandogli i capelli finché non si addormentò.







Russia accettò l'armistizio tre mesi dopo, nel pieno dell'estate. Gli accordi di pace arrivarono l'anno dopo.

Germania alla fine era riuscito a fare poco o nulla, ma non era troppo dispiaciuto: i suoi concittadini si erano fatti valere e Italia e Paesi bassi si erano occupati di tutto. Il suo capo li aveva voluti a Berlino per celebrare la ripresa della città e del territorio ad est.

La notizia che si sarebbe presto riunito a suo fratello non l'aveva del tutto elaborata fino a quando non se lo era trovato davanti, molto malconcio e molto smagrito ma vivo. Vivo. Vivo e burbero come era sempre stato. Germania si ricordò di quando era piccolo e Prussia lo costringeva a lunghe passeggiate in campagna perché "Fa bene alla costituzione!"; quando alla fine lo pregava di portarlo a casa sulle spalle Prussia gli diceva che ormai era grande, pesava troppo e non intendeva viziarlo oltre però poi alla fine cedeva sempre, lo avvertiva che la prossima volta non sarebbe stato altrettanto generoso e se lo sistemava sulla schiena, iniziando a camminare solo quando era sicuro che la presa di suo fratello fosse salda; per il piccolo Germania non c'era luogo più sicuro al mondo che aggrapparsi alle spalle larghe di Prussia mentre lo portava a casa.

Forse era per la nostalgia, o la stanchezza di quei lunghi anni di quell'ennesima guerra, ma quando abbracciò Prussia scoppiò a piangere, cercando rifugio tra le sue braccia nonostante fosse più alto e largo di lui, cosa che suo fratello gli fece notate con voce stanca e infastidita, senza tuttavia allontanarlo o lasciarlo andare.

Veneziano e Paesi bassi gli sorrisero prima di uscire dall'ufficio del capo di stato tedesco per lasciare loro un po' di privacy.

"Hochzeit," disse Prussia rigirandosi la fede tra le dita dopo che Germania si era calmato, "Ti hanno davvero incastrato in un matrimonio."

"Non sto così male," disse Germania con voce roca mentre si rinfilava l'anello. Erano seduti per terra, le schiene poggiate contro una consunta scrivania, perché dopo quel pianto nessuno dei due aveva la forza di alzarsi e andare a prendere le sedie.

Prussia lo guardò da capo a piedi prima di commentare: "Hai perso un sacco di peso dall'ultima volta che ti ho visto, un bravo consorte si assicurerebbe che mangi bene, figurarsi sei."

"Ho preso tre bombe atomiche bruder," gli ricordò con un mezzo sorriso. Prussia si rabbuiò.

"Ci ho provato a fermarlo," gli disse dopo una breve pausa, le mani strette a pungo, "Russland e il suo capo non hanno sentito ragioni."

"Be', almeno erano solo tre."

"Non sarebbe dovuta essere neanche una," sbottò. Conoscendolo, probabilmente si vergognava di non essere riuscito ad impedire quanto accaduto.

"Non li puoi fermare, gli umani," disse Germania, rammentando le parole di Veneziano mesi prima.

Prussia lo guardò a lungo per poi sospirare, malinconico: "No, non puoi. Parlando d'altro, questo matrimonio, devo entrare a farne parte anche io?"

Era una cosa di ancora non aveva discusso con gli altri. La situazione di Veneziano e Romano era molto particolare, ora che era di nuovo unito lui e Prussia sarebbero diventati come loro? Due incarnazioni per uno stesso paese?

"Vuoi?" chiese, poggiando il mento sui ginocchi.

"Cosa?"

"Sposarti anche tu."

Prussia fece una smorfia di disgusto: "Nah, non ci penso nemmeno."

"Però-"

"West, non è come con Veneziano e Romano," disse, poggiandosi contro la scrivania, "Io ho smesso di essere una nazione quando sei nato te, e non sono diventato una provincia come gli altri. Ho rappresentato la Germania Est per necessità ma non sono te."

Germania sentì un groppo alla gola: "Q-Quindi..."

Prussia fece spallucce: "Tieniti pure i tuoi mariti e tua moglie, non posso e non voglio immischiarmi. Per adesso mi godrò la vita."

Il 'finché potrò' rimase non detto, ma era chiaro e forte. Germania si morse una guancia, non sapendo cosa fare di queste nuove informazioni, come affrontare la prospettiva avrebbe potuto perdere di nuovo suo fratello.

"Cinque mariti e una moglie," ripeté Prussia, scuotendo la testa, "Non credo si mai vista una cosa del genere. Vatican che ha detto?"

"Non è molto entusiasta, ma credo la poligamia vada bene quando si è Stati."

Prussia annuì, poi gli diede una pacca sulla spalla: "Be', con sei consorti non ti dispiacerà condividerne uno no?"

A Germania non piaceva dove suo fratello stava andando a parare: "Bruder*."

Il suo avvetimento venne ignorato.

"Italien è single vero?"

"È il mio promesso sposo."

"I matrimoni sono cosa relativa tra nazioni," disse, rimettendosi in piedi con rinnovato vigore, "Chissà se è interessato ad un affare extra coniuga-"

Germania gli diede un pugno in testa prima che potesse finire la frase.







(Alla fine Prussia rimase a guardare casa a Germania mentre questi viveva a Bruxelles. I suoi tentativi di approccio a Veneziano vennero accolti con un gentile rifiuto da parte di questi e da qualunque cosa Germania avesse tra le mani da poter lanciare addosso al fratello. Non di rado si aggiungeva anche la lupara di Romano.)







Omake


Qualche anno dopo....


"Georg Joseph Beilschmidt."

Dire che fosse calato il gelo era un eufemismo: tutti si erano paralizzati al suono di quelle parole come se avessero puntato contro un fucile pronto a sparare al minimo sollevamento del torace durante il respiro.

Veneziano dovette quasi sudare per reprimere un ghigno alla vista di quanto aver pronunciato il nome umano di Germania aveva causato: l'interpellato aveva quasi fatto cadere la padella che stava asciugando e che adesso stava usando a mo di scudo contro il suo petto, il volto ancora più pallido del solito mentre, probabilmente, ripensava a quanto fatto nella giornata per aver meritato un simile richiamo. Francia si era bloccato con la mano alzata e il bicchiere di vino a pochi centimetri alla labbra, e si era lentamente voltato verso di lui con un'espressione di puro disagio; altrettanto lentamente Paesi bassi aveva chiuso il rubinetto dell'acqua e si stava allontanando da Germania, prendendo un padellino  da usare eventualmente come arma di difesa. Belgio era rimasta immobile al suo posto sulla sedia, le mani strette sul grembo e si guardava attorno cercando vie di fuga. Lussemburgo poggiò la polpetta che stava mangiando sul piatto con mano tremante. Romano, al contrario di tutti, sembava deliziato da quanto udito, poggiando il mento sulle mani pronto a godersi la scena.

"J-Ja?" balbettò Germania, stringendo la padella.

"Georg Joseph Beilschmidt," ripeté Veneziano senza stavolta riuscire a reprimere un ghigno, specie quando vide il tedesco deglutire a fatica.

"C-Che ho fatto?" chiese quest'ultimo, andando indietro con la mentre di anni per cercare il motivo dell'uso del suo nome.

"Lo sai cosa hai fatto, Georg Joseph Beilschmidt," disse, mordendosi un labbro per trattenere una risata.

"Non," esclamò Francia, prendendo il bicchiere e la bottiglia di vino e alzandosi per defilarsi, imitato ben presto da tutti gli altri, "Non voglio sapere niente, non voglio entrarci, affari vostri, adieu."

"Auguri," disse Paesi bassi dando una pacca sulla spalla ad un sempre più  terrorizzato Germania prima di dirigersi nella sua stanza sempre armato di padellino, seguito da Lussemburgo che ci stava portando appresso il piatto con le polpette e la birra.

"Aspetta voglio vedere come finisce," si lamentò Romano mentre Belgio lo trascinava via dalla cucina con tutta la sedia.

Rimasti soli, Germania cercò di appiattirsi contro il mobile del lavandino quando Veneziano gli si avvicinò come un gatto alla sua preda, il cuore che gli batteva all'impazzata sia per la paura che per amore. Quando c'era meno di una manciata di centimetri e una padella a porsi tra di loro, Veneziano gli afferrò la testa e lo spinse in basso, coinvolgendolo in un bacio che gli fece venire il latte alle ginocchia: confuso e anche un po' eccitato, non porse alcuna resistenza alla lingua dell'italiano, e un brivido gli percorse il corpo quando la unghie dell'altro grattarono piano i lobi delle orecchie.

Prima che potesse poggiare la padella sul mobile e approfondire quell'atto passionale, Veneziano si staccò fissandolo negli occhi con un'intensità che gli aveva visto raramente addosso.

"Georg Joseph Beilschimidt," mormorò a poca distanza dalla sue labbra "Ti amo."

Germania rimase immobile a metabolizzare quanto appena ascoltato, la paura che veniva lentamente sostituita dalla meraviglia con la stessa velocità con cui il rossore dalle sue guance si stava ampliando al viso e al collo.

Veneziano rise, gli diede un altro bacio e uscì dalla cucina con un sorriso civettuolo.

Germania scivolò lentamente contro il mobile fino a sedersi sul pavimento, abbracciando la padella al petto, felice e un po' intontito.

 

1. Militarmente parlando il mandare al macello centinaia di persone è stata la strategia vincente per gran parte della storia russa. Questa stessa strategia si è rivelata meno efficace di fronte ad armi ingrado di falciare via vite con pochi colpi.
 

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Capitolo 19
*** Chi fa la spia non è figlio di Maria ***


Titolo: Chi fa la spia non è figlio di Maria

Personaggi: Stati Uniti d'Amercia (Timothy F. Jones); Russia (Aleksej Braginski); Lussemburgo (Sébastien Junker); Germania (George Joseph Beilschmidt); Francia (Jean Baptiste Bonnefoy)

Coppie: Accennate: GerIta, RomaBel, UsUk, LussemburgoSorpresa (:3)

 

Genere: Commedia

Avvertimenti: America usa un sonnifero per far addormentare i cani di Germania. Non è propriamente violenza sugli animali ma ho messo comunque l'avviso

Note aggiuntive: Doveva essere una cosa da 1000 parole. Ne sono venute fuori 5000 - e non ho potuto dividerla in due parti perché non avrebbe avuto senso.

Doveva essere incentrata solo su Russia e America e Lussemburgo, ci ho messo di mezzo un po' di lore dell'ucronia.

Tra questo e la vita reale ci ho impiegato un po' a pubblicare. Sarà un periodo molto intenso per me e purtroppo nn credo riuscirò a rispettare la cadenza settimanale almeno fino a dicemenbre. Non sarà abbandanta più, sia chiaro, ho ancora tante storielle in mente, ma mi vedo costretta a rallentare un pochino.

Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy!




 


11 febbraio 2000. Il gioco per computer The Sims arriva nella Federazione Europea, riscuotendo un enorme successo.



Non era esatto dire che America e la Federazione europea fossero alleati, era più un tollerarsi a vicenda: la Federazione lo considerava un partner commerciale migliore di Russia, più affidabile e soprattutto più digeribile per la popolazione durante le campagna elettorali - anche se i ricordi dei bombardamenti in Sicilia e Normandia erano ancora molto vivi, le testate atomiche lanciate dai sovietici avevano lasciato un'impressione e odio maggiori. Da parte sua, America necessitava di tenersi buoni il più possibile i sette della Federazione per poter attraversare il Mediterraneo senza ulteriori pedaggi - già il fatto che fosse costretto a far fermare le sue navi nei porti del Sud Italia lo irritava non poco - ed evitare che la loro influenza sui paesi un tempo parte del Commonwealth di Inghilterra fosse usata contro di lui1.

Non c'era quindi alcuna fiducia alla base dei loro rapporti e difficilmente avrebbe potuto esserci dopo il Terzo conflitto. Pertanto, non si sentiva assolutamente in colpa a spiarli, un'attività in cui indugiava abitualmente da anni senza mai essere scoperto.

Per sua fortuna la villa di Bruxelles era enorme e difficile da tenere d'occhio 24/7 anche con l'aiuto delle nazioni che avevano occupato durante il Terzo conflitto, che comunque dormivano in un palazzetto posto fuori dalla villa - principalmente perché i sette paesi della Federazioni tenevano molto alla propria privacy e preferivano non avere ulteriori coinquilini. Era perciò senza troppe difficoltà che era riuscito ad intrufolarsi nel giardino e ad arrampicarsi su un albero di albicocche che dava direttamente sulla cucina, nascosto dal fitto fogliame e armato di un cannocchiale di ultima generazione. Peccato non avesse modo di sapere cosa si stessero dicendo, ma le sue ultime cimici erano state scoperte e distrutte - gli piangeva il cuore a pensare alla fatica che aveva fatto per impiantarle, un impegno spalmanto in più di un anno di visite diplomatiche e feste private andato in fumo a causa dei cani di Germania (fortuna che Russia era stato incolpato al posto suo, anche se avevano sfiorato un grave incidente diplomatico).

Dalla finestra vedeva Veneziano intento a lavare dei piatti mentre Romano gli asciugava, parlando in maniera abbastanza amicabile di chissà cosa anche se ogni tanto Veneziano lanciava delle occhiatacce al fratello a cui questi rispondeva con una sgrullata di spalle. Se solo avesse saputo leggere il labiale! A un certo punto Romano di voltò come se fosse stato chiamato,  posò sul lavello la pentola che stava asciugando e se ne andò lasciando Veneziano a continuare il lavoro. Questi non rimase solo per molto tempo, tuttavia: poco dopo gli si avvicinò Germania, che gli avvolse le braccia attorno alla vita e se lo tirò contro, affondando il viso nel suo collo. Veneziano usò un cucchiaio di legno per dargli un colpo in testa, ma non lo cacciò via né si ritirò, continuando a lavare le stoviglie e lasciandole a Romano per l'asciugatura quando sarebbe tornato.

America arricciò il naso quando vide Germania mettere le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni dell'italiano, il quale sussultò leggermente prima di dargli una seconda cucchiaiata in testa; ancora una volta, però, non lo allontanò e anzi piegò il collo di modo da dare più spazio al tedesco, che stava cospargendo quel lembo di pelle di baci. America non riusciva a capire se quei due stessero insieme e la cosa lo irritava non poco: in pubblico Veneziano respingeva tutti gli approcci di Germania ma in privato li aveva visti amoreggiare più volte; anzi, spesso era il Settentrione a flirtare apertamente quando era certo di non essere osservato. Quale poteva essere il motivo per tenere nascosta una relazione con una persona con cui si era sposati? Aveva una teoria e una ciavatta mirata contro la nuca di Germania pareva dargli ragione: il motivo di quella segretezza era con ogni probabilità Romano, che certo non aveva mai nascosto la sua antipatia per la nazione germanica e tutto quello che aveva a che fare col Nord Europa in generale - ad eccezione di Belgio. Infatti, il Meridione riapparve poco dopo lanciando occhiate di fuoco a quello era anche marito suo; Germania si allontanò velocemente, massaggiandosi la nuca, mentre Veneziano sospirava esasperato. Rimasti soli i due fratelli Italia iniziarono a bisticciare in modo abbastanza evidente. God che avrebbe dato per poter sapere cosa si stessero dicendo.

Dopo un quarto d'ora i due avevano finito di lavare le stoviglie, l'atmosfera amichevole di prima ormai completamente andata; Veneziano finì di pulire il lavello mentre Romano puliva al volo il tavolo, poi i due uscirono dalla cucina. Non c'erano particolari eventi quella sera quindi tempo un'ora e i sette si sarebbero ritirati nelle proprie stanze. Il momento ideale per poter esplorare la villa indisturbato a patto di avere l'accortezza di non fare rumore. I cani di Germania erano già stati sistemati con dei croccantini imbevuti di sonnifero - gli piangeva il cuore ogni volta che doveva farlo ma il suo hobby era più importante - e dormivano beati nella loro cuccia in giardino.

La porta sul retro si aprì e America subito si nascose meglio dentro il fogliame: Austria e Polonia uscirono assieme, parlando delle ultime partite del campionato di calcio, seguiti da Spagna, evidentemente di cattivo umore, e Portogallo e Inghilterra, intenti a chiacchierare di quanto fosse strano che Lussemburgo fosse rimasto chiuso in camera sua tutto il giorno. La vista della nazione inglese gli strinse lo stomaco: non era esatto dire che si evitassero ma erano decenni che i rapporti tra loro si limitavano alla fredda diplomazia; Inghilterra era tenuto sotto stretta sorveglianza in quanto protettorato e comunque non aveva mai fatto molto per parlargli. America non si sentiva in colpa per come era andata a finire tra di loro, non era un suo problema se Inghilterra era stato così ingenuo da non comprendere di star venendo usato. Certo a volte doveva ripeterselo più volte per esserne convinto anche lui, ma quelli erano dettagli insignificanti. Perciò, ignorò il crescente fastidio nel vedere quanto vicini fossero Inghilterra e Portogallo mentre parlavano e si concentrò di nuovo sulla villa. Dalla sua posizione poteva vedere dentro la camera di Belgio e in quella di Paesi bassi. Ghignò quando vide la nazione olandese entrare in camera sua con solo un asciugamano addosso per poi buttarsi dritto sul letto, e sperò ardentemente che anche Belgio fosse appena uscita dalla doccia. La sua attenzione però venne catturata dall'aprirsi di nuovo della porta sul retro: Francia chiamò Inghilterra sé, il quale si scambiò un'occhiata dubbiosa con Portogallo prima di fare come richiesto. Fortunatametne erano abbastanza vicini perché America potesse sentirli e subito tese le orecchie,

"Angleterre, Veneziano ti ha fatto qualcosa?" chiese Francia, squadrando l'altro alla ricerca di qualche segno di quanto appena affermato.

Oh.

"N-No perché me lo chiedi?" chiese l'inglese, mesto come mai America lo aveva visto.

"Ho notato che ti dà ordini molto più spesso che agli altri," disse Francia, per poi stringere la spalla di Inghilterra, "Dimmelo se non ti tratta bene, ci parlerò."

Inghilterra rimase in silenzio per qualche attimo, poi si rabbuiò, stringendo i pugni: "France a che gioco stai giocando?"

Francia sembrò sorpreso da quelle parole.: "A-Angleterre-"

"Che cosa vuol dire tutto questo?" Inghilterra sembrava sul punto di esplodere, "Mi avete tolto quasi tutto il mio esercito e la flotta, mi avete reso completamente dipendente da Scotland, sono costretto ad importare i vostri prodotti a scapito dei miei, ma la tua preoccupazione è se Veneziano mi insulta?"

Francia sembrava non sapere cosa dire e onestamente anche America era nella stessa situazione. Non aveva mai ritenuto importante prestare attenzione alle nazioni assoggettate alla Federazione, sapeva dei fastidi legati all'occupazione ma non credeva che ci fosse ancora così tanto risentimento visti i buoni risultati in campo economico.

Inghilterra, rosso in volto forse per l'umiliazione forse per la rabbia o entrambe le cose, prese un profondo respiro e si calmò: "Veneziano mi tratta come tratta tutti gli altri, ne più ne meno, è forse solo un po' più... pretende un po' di più da me."

Francia lo osservò per un lungo istante, chiuse gli occhi come se stesse contando e gli diede un'altra pacca sulla spalle "Bien, mi fa piacere che non ti stia bullizzando."

Inghilterra strinse di nuovo i pugni e sorrise fintamente: "Ovvio che no, ora se non ti dispiace sono un po' stanco, vorrei andare a riposarmi."

Francia lo congedò con un cenno del capo ma la sua espressione divenne subito più dura quando Inghilterra si voltò per andare nel proprio alloggio. America notò con un certo fastidio che Portogallo era rimasto ad aspettarlo, per poi subito tempestarlo di domande che dalla sua posizione non risuciva a sentire.

Quanto aveva appena udito, tuttavia, era oro colato. Dissapori nella Federazione su come trattavano i territori occupati? Territori dove c'era un risentimento crescente verso l'occupazione? Doveva assolutamente tenerle a mente, gli sarebbero sicuramente tornate utili in futuro.

Tornò ad osservare la camera di Belgio, la gioia per vedere che era entrata sostituita dalla delusione di vedere anche Romano. Certo, che ipocrita il Meridione: faceva fuoco e fiamme perché il fratello, forse, stava in una relazione con una nazione germanica eppure lui stesso stava assieme ad una di loro. Che questo creasse dissapori tra i due fratelli Italia?  

Quella giornata di spionaggio si stava rivelando molto più proficua del previsto.ù

Si voltò per assicurarsi che Inghilterra e gli altri fossero entrati nei propri alloggi, poi scese dall'albero, cogliendo anche un paio di albicocche visto che c'era, e si avvicinò alla porta secondaria; dalla tasca prese un coltellino svizzero modificato con tutto l'occorrente per scassinare serrature e il più silenziosamente possibile aprì la porta, accolto dal silenzio e dal buio del salone piccolo.

Come previsto, erano tutti nelle proprie stanze. A passo felpato iniziò a rovistare in giro annotando mentalmente tutto quello che trovava, da riviste su macchine sportive alla quantità spropositata di caffè nella dispensa, dal numero delle bottiglie di vino e di birra fino al contenuto del frigorifero - dove vide moltissime verdure, tutte sicuramente coltivate nell'orto che Romano aveva insistito a mettere nel giardino e quindi sicuramente di alta qualità e saporite. Fu quasi tentato di rubarne qualcuna ma si trattenne, non poteva permettersi che notassero anche il minimo granello di polvere fuori posto.

Finita la sua ispezione si diresse verso il salone grande: per raggiungerlo doveva passare per un lungo corridoio dove c'era anche la scala che portava al piano di sopra, dove c'erano le stanze da letto, e doveva quindi essere assolutamente attento a non fare il ben che minimo suono. Si guardò attorno un'ultima volta prima di proseguire poi guardò l'orologio: erano le 22:30, aveva un'altra ora per darsi all'esplorazione prima che il sonnifero che aveva dato ai cani di Germania smettesse di fare effetto.

Felice come una Pasqua si incamminò verso la propria meta, poggiandosi al muro e tendendo l'altra mano in avanti per orientarsi nel buio pesto del corridoio e non rischiare di inciampare in qualche cosa.

Arrivato alle scale, però, due voci colsero la sua attenzione: si sporse e tese l'orecchio.

"Ti devo ricordare le basi della Constitution che hai firmato, Veneziano?" era la voce di Francia, e sembrava anche piuttosto irritato. America sentì uno sbuffo esasperato.

"Perché ogni volta che c'è di mezzo Inghilterra tiri in ballo la Costituzione?" chiese, infastidito. America non poteva vederli e non voleva rischiare sporgendosi oltre, ma riusciva ad immaginarsi facilmente la scena: Italia del Nord a braccia a conserte e imbronciato e Francia che si massaggiava la fronte con una mano su un fianco

"Ti ricordo i tuoi doveri."

"I miei doveri sono solo verso Inghilterra?"

"Sono verso tutti, non dovresti avere atteggiamenti diversi. Ho chiuso entrambi gli occhi sul favoritismo che hai verso Austriche e Pologne, ma c'è un limite al bullizzare le persone Italie."

America sentì un altro sospiro.

"Mi critichi tanto per il mio 'favoritismo' però mi sembra che tu ne abbia in abbondanza per Inghilterra. E non mi pare che io citi la Costituzione ogni volta che prendi le sue difese."

Francia non rispose subito, forse preso in contropiede.

"È-È diverso-"

"Ah certo, io che prendo un tè con Austria o scambio quattro chiacchiere con Polonia è 'favoritismo', tu che permetti ad Inghilterra di tornarsene a casa per metà anno e deleghi il grosso delle sue faccende ad altri no-"

"Non dovrei delegare nulla se tu non lo caricassi di lavoro!"

"Gliene dò tanto perché già so che gliene toglierai sempre un po'."

"Veneziano."

Quello era un avvertimento. America fu tentato di giocarsi la prorpia fortuna e sporsi per vedere quello che si prospettava essere un bagno di sangue. Sentì Veneziano prendere un profondo respiro.

"Francia, non riuscirai mai a farmi andare a genio Inghilterra. Forse tra qualche decennio ma non adesso."

"Non ti deve andare a genio devi solo rispettare la promessa che abbiamo nella Constitution di aiutare il continente a rimettersi in piedi."

"Non ho rispetto per i traditori."

"Da che pulpito, devo ricordarti che è successo durante la Seconda guerra?"

Nessuno dei due disse altro per svariati secondi, ne parve che stessero volando schiaffi o pugni.

"No, ma mi ricordo chi ha quasi reso zoppo mio fratello e mandato in coma nostro marito per due mesi," ringhiò il Settentrione, "E vorrei ricordati che la sua sbandata per America ti è quasi costata un occhio."

Seguì il rumore di passi che si allontanavano; sentì Francia prendere dei profondi respiri e colpire un muro prima che se ne andasse anche lui.

America poteva a malapena contenere l'eccitazione, già stava pianificando come poter usare a proprio vantaggio quanto appena ascoltato. Felice come non mai, aspettò di sentire il suono delle porte che si aprivano e chiudevano prima di proseguire verso il salone. Una volta arrivato, utilizzò la piccola lanternina nel proprio orologio per farsi un po' di luce e si guardò attorno. Il salone opposto alla cucina era quello privato della Federazione e non era mai usato per feste o eventi: davanti ad una televisione di ultima generazione stavano due grossi divani a tre posti e altre due poltrone di pelle nera, con un tavolino rettangolare al centro; ai lati c'erano due grosse librerie piene zeppe dei capolavori letterari storici e moderni dei paesi che formavano la Federazione e squisite decorazioni provenienti dalle diverse regioni e province; la luce della luna entrava da una porta finestra, lasciata aperta, che dava sulla parte del giardino dedita allo svago, con una piscina e un campo di un gioco chiamato 'bocce' che America non aveva mai compreso come funzionasse, nonché la grande cuccia che ospitava i cani di Germania.

Rimase un po' deluso quando non vide nulla di interessante, e fece per uscire dalla porta finestra quando lo scricchiolare del legno lo paralizzò sul posto. Non era stato lui a muoversi. Col cuore in gola si voltò e per poco non saltò in aria urlando quando si ritrovò davanti Russia, il quale non riuscì a non farsi sfuggire un urletto alla vista del suo contemporaneo nemico.

"Che diavolo ci fai qua tu?!" urlò-sibilò America, stringendo una mano sul petto per calmare i battiti del proprio cuore.

"Che ci fai tu qui!" ribatté il russo, cercando di farsi piccolo piccolo nonostante la mole.

"Come diavolo sei- Perché- Oh Jesus," America cadde in ginocchio, continuando a tenere una mano sul cuore; spense poi la lucetta dell'orologio e gli lanciò un'occhata di fuoco: "Sei l'ultima persona che avrei voluto vedere."

"Il sentimento è reciproco," replicò Russia, ricambiando quello sguardo cagnesco poi ghignare tremante:"Pensavo foste alleati, non dovreste fidarvi l'uno dell'altro? Perché gli spii?"

"Se glielo dirai dovrai poi spiegargli come lo hai scoperto." lo incalzò, sperando di usare il timore innato che risiedeva nel russo per zittirlo. Questi, tuttavia, si limitò a sgrullare le spalle.

"Sanno già che gli spio, come io so che loro spiano me. Spiano anche te se è per questo."

"Tsk as if, sono troppo furbo per farmi spiare."

Russia alzò un sopracciglio, evidentemente non convinto. Suo malgrado America si sentì offeso da quella poca considerazione: erano nemici giurati da decenni, possibile che non avesse ancora compreso che quello intelligente era lui? Bastava guardare alla reale ragione per cui l'altro si trovava lì.

"Sei qui per vedere se ti attaccheranno?" chiese, ghignando quando Russia si irrigidì. Bingo.

"Non sono affari tuoi Amerika," replicò, rosso involto.

"Tu sai che nessuno vuole invaderti, vero?"

"Disse quello che ha cercato di invadermi da Alyaska."

"Hai cercato di prenderti Hawaii, mica potevo stare con le mani in mano."

"Se ti fossi tenuto fuori dagli affari di Kuba."

"Mi costruisci impianti missilistici in giardino e dovrei stare a guardare?"

"Be, da."

"Lo vedi che sei proprio scemo? Come quando hai lanciato Poland addosso ad Italy e poi hai piagnucolato in giro dicendo che te lo aveva rubato."

Russia trasalì: "Italya mi ha derubato!"

"No dude, sei tu che sei scemo!"

"Non era una cessione!"

"E allora non lanci nazioni agli altri e poi mettere su un piagnisteo perché non te le ridanno! Ma chi è così idiota da ridarti una nazione quando tu gliela lanci addosso!?"

I due stavano iniziando a parlare a voce fin troppo alta e subito si zittirono, continuando a guardarsi male. Lo scricchiolare delle scale li fece impallidire; si accostarono al muro vicino la porta e si sporsero abbastanza per vedere Paesi bassi accendere le luci del corridoio e dirigersi verso la cucina; uscì poco dopo con una birra e un pacchetto di patatine in mano. Prima di risalire verso la sua stanza però si bloccò e si voltò verso il salone. America e Russia andarono nel panico. Stava venendo verso la loro direzione! E se li avesse scoperti non ci avrebbe impiegato molto ad avvisare gli altri.

Russia si guardò attorno e notò una piccola porta vicino la finestra, lo stanzino che la Federazione usava per tenere la lavatrice e tutto l'occorente per lavati panni e pavimenti. Afferrò America per un braccio e vi si fiondò dentro, avendo accortezza di chiudere velocemente la porta cercando di non fare troppo rumore, rimanendo completamente al buio. Pochi istanti dopo la luce nel salone venne accesa; sentirono Paesi bassi muoversi  per qualche minuto, e sperarono ardentemente che non si dirigesse verso lo stanzino; le loro preghiere si rivelarono vane quando l'ombra dell'olandere passò sotto la fessura tra la porta e il pavimento.

"Nienderland? Ci sei tu in salone?" la voce di Germania era lontana, probabilmente era nel corridoio.

"Ah ja, mi sembrava di aver visto qualcosa muoversi."

"Sarà Aster che è venuto a bere."

"Non c'è Aster qua."

"Sarà già uscito."

La voce era ora più vicina: Germania era entrato in salone.

"Aster, komm her" esclamò per poi dire preoccupato, "Che strano, non risponde."

"Si sarà addormentato di nuovo."

"Forse è il caso che vada a controllare."

America per poco non ebbe un infarto. Se Germania avesse scoperto che aveva drogato i suoi cani non ci sarebbe stata bomba atomica che lo avrebbe fermato dal mettergli le mani addosso.

"Ma no dai, non disturbarlo, oggi ha giocato tanto sarà sicuramente stanco."

Seguì quello che per America e Russia fu un tesissimo silenzio.

"Ja, probabile, non stava male a cena."

Sentirono il rumore di una busta di patatine aprirsi, "Vuoi una?"

"Nein danke."

"Hai assaggiato la birra che ha portato Oostenrijk?"

"Nein non ancora com'è?"

"Molto buona, prendine una bottiglia ora che torni su."

"Ja, una birra ci sta sempre bene."

"Concordo."

Finalmente le due nazioni si allontanarono; poco dopo la luce del salone venne spenta. Dovette passare almeno un'ora per avere la certezza che tutti fossero nelle proprie stanze, poi i due tornassero a respirare normalmente. Solo allora America si accorse di essere stretto contro il petto ampio e caldo della nazione slava, che teneva le braccia attorno a lui per tenerlo fermo. Imbarazzato e sentendosi un po' umiliato, sibilò: "Don't touch me!" prima di spingerlo via. Preso di sprovvista e incapace di vedere attorno a sé, Russia si aggrappò alla prima cosa che riuscì a toccare: i fili della lavatrice, attaccati ad una presa sul muro ad altezza d'uomo, invece di staccarsi si ruppero quasi subito, incapaci di reggere il suo peso. Seguì un brevissimo flash e il rumore di uno scatto che non piacque a nessuno dei due.

"Cosa hai fatto?" chiese America, iniziando a sudare freddo mentre accendeva la lanternina del proprio orologio per assestare i danni causati dall'altra nazione.

"Cosa io ho fatto? Cosa tu mi hai fatto fare!" protestò Russia, rimettendosi in piedi, massaggiandosi un ginocchio.

"Sei peggio di un elefante in una cristalleria!"

"Ma mi hai spinto!"

"Grande e grosso come sei non dovresti fare spionaggio!"

"Mi hai appena detto che sono grasso?" sibilò Russia cambiando atteggiamento da timido ad irato; America era però ormai abituato ai repentini cambiamenti d'umore del suo acerrimo nemico - l'essere continuamente in tensione per la paura di venire invaso da qualche parte non faceva certo bene alla sua salute mentale.

"Be' magro non sei, dovresti prendere esempio da me, tutta quella carne ti ha fatto ingrassare!"

"Magrolino come sei mi sorprende tu sia riuscito a combattere nell'ultima guerra," replicò Russia, giocherellando con i fili che aveva in mano come se stesse pensando ad un modo per avvolgerli attorno al suo collo. America prese dalla tasca il coltellino svizzero, per sicurezza. Impegnati com'erano a tenersi d'occhio, non sentirono le voci provenienti dal piano di sopra.

Udirono un secondo scatto.

"Che diavolo sta succedendo?"

"Sarà saltata la corrente e ora è tornata."

"Wow, che grande capacità intuitiva Russia," disse America, ironico, ghignando quando l'altro lo guardò di nuovo male.

"Vuoi fare a botte Amerika?"

"Ti devo una rivincita per Korea."

"Strano, mi sembra che fossi io a doverti una rivincita per V'yetnam."

Al nome di Vietnam America si irrigidì. La sua più grande sconfitta nel Terzo conflitto, un'umiliazone che il russo non esitava a rinfacciargli ogni volta che discutevano - ossia ogni volta che si incontravano.

"Al contrario tuo non ho paura di spaccarti la faccia."

"Io non ho paura, ci tengo ai miei territori."

"Ma se ti nascondi sotto la gonna delle tue sorelle ogni volta che qualcuno ti guarda."

Russia si inscurì ancora di più: "Tieni fuori Ukraina e Belarus da questa storia."

"Oh oh, guarda l'orsetto come si sta incazzando," lo canzonò.

Russia si morse il labbro, per poi ghignare in modo poco rassicurante, "Sono molto belli i nei che Kanada ha sulla schiena."

America sbatté le palpebre, perplesso da quel repentino cambio di argomento; quando però registrò quella frase impallidì: "W-What?"

"Sai no, quelli vicino alla spina dorsale, quelli a forma di cerchio come il lago Manicouagan."

Sentì la rabbia montare e afferrò Russia per il bavero della maglietta: "Cosa stai insinuando Russia?!"

L'interpellaro perse un po' della sua intraprendenza ma non il ghigno, anche se adesso era un po' tremante: "H-Ho solo fatto un complimento a tuo fratello."

"Non fare il finto tonto, you damn bastard."

"Non sto-"

Di colpo la porta dello stanzino si aprì e Russia e America saltarono sul posto dallo spavento: Lussemburgo li guardava con l'espressione più tetra che gli avessero mai visto sul volto, con occhi iniettati di sangue e un inquietante pallore in viso.

"Voi," sibilò, osservando i cavi della lavatrice ancora in mano a Russia "Siete stati voi a far saltare la  corrente."

America e Russia si scambiarono una breve occhiata, ora più calmi: Lussemburgo non era un combattente non poteva far loro dei danni seri come avrebbero potuto Germania o Francia,

"Sedici ore," sibilò Lussemburgo alzando una- da quando Lussemburgo aveva un mazza chiodata?! "Ho passato sedici ore a ricostruire questa casa su the Sims per far abitare i miei sette sims,"

"S-Sims?" chiese America, non capendo cosa c'entrasse quel gioco uscito qualche mese fa col fatto di averli beccati in flagrante in casa sua.

"Non avevo salvato," proseguì Lussemburgo, sembrava non li sentisse spiritato come era, "Sedici ore della mia vita buttate al vento, stavo per riuscire a far sposare il mio Sims con quello di Frankreich!"

"F-Frantsiya?" chiese Russia, perplesso, ma evidentemente doveva aver detto la cosa sbagliata perché Lussemburgo alzò la mazza chiodata, "Avete la più pallida idea di cosa significhi mettere assieme sette Sims senza poterli far stare assieme contemporaneamente?!"

America e Russia si scambiarono uno sguardo di sorprendente intesa: non sarebbe certo stato difficile per due come loro atterrare Lussemburgo e scappare via, anche a costo di essere beccati dagli altri sei. Erano quindi pronti a saltargli addosso ma avevano sottovalutato la preparazione del lussemburghese: con un'agilità imprevista prese una boccetta di cannella dalla tasca e ne lanciò il contenuto in faccia alle due nazioni che, temporaneamente accecate e ora costrette a tossire, poterono poco quando la mazza chiodata scese su di loro.







Il mattino seguente Francia si svegliò di malavoglia. La discussione con Veneziano gli aveva lasciato addosso un nervosismo che non lo aveva fatto dormire quasi tutta la notte e per passare il tempo aveva attaccato le cuffie alla televisione e si era visto quasi tutta la filmografia di Jeanne Moreau. Si era addormentato attorno alle cinque del mattino nella scena clue di *Les amants* e si era svegliato quattro ore dopo. Fortunatamente era domenica e non c'erano impegni istituzionali a cui doveva attendere. Avrebbe dormito di più se non fosse stato per la propria vescica; una volta fatto in bagno decise di mangiare qualcosa e cercare di rendersi produttivo,

Quando uscì dalla propria camera la prima cosa che vide fu Germania uscire dalla stanza di Veneziano e Romano a passo felpato, il collo ricoperto di succhiotti e l'espressione sbigottita e intimorita in faccia una volta realizzato di essere stato beccato in flagrante. Francia si voltò verso la camera di Belgio, dove sapeva che c'era anche Romano, poi tornò a guardare il tedesco consapevole di avere al momento un'arma di ricatto che avrebbe sicuramente reso più interessante quella mattinata.

"Non, è troppo presto," disse infine, facendo tirare all'altro un sospiro di sollievo, "Non voglio sapere nulla finché non prendo un caffè."

Germania si grattò la nuca, in imbarazzo, per poi seguirlo al piano di sotto.,

"Vado a vedere come sta Aster, ieri sera mi è sembrato strano." gli spiegò. Francia alzò un sopracciglio, non riuscendo a non essere un po' preoccupato per quel cane verso cui si era alla fine affezionato anche lui. Quando arrivarono alla fine delle scale, però, il suono di una sedia che struscia per terra catturò la loro attenzione. Proveniva sal salotto grande. Perplessi e un pochino preoccupati, si sporsero nella sala e rimasero di stucco: America e Russia erano legati e imbavagliati a due sedie con due vistosi bernoccoli sulla testa, e stavano cercando di trascinarsi vero la porta-finestra con tutta la sedia; Lussemburgo - crollato dopo essersi sfogato sulle due nazioni - stava dormendo su uno dei grossi divani stringendo al petto la mazza chiodata.

Francia si chiese se stesse ancora dormendo e se quanto stesse vedendo fosse un sogno. America e Russia si bloccarono quando si accorsero della loro presenza, guardandoli con gli occhi sbarrati.

"Io... Io ho bisogno di un caffé" ripeté il francese, massaggiandosi gli occhi. Germania si avvicinò ai due e tolse loro il bavaglio.ù

"Voglio sapere?" chiese, minaccioso; i due scuoterono la testa, "Immaginavo."

"È stato tutto un grosso equivoco, se ci liberi posso spiega-" provò a dire America ma Germania gli rimise il bavaglio per poi, con suo sommo orrore, uscire in giardino e dirigersi verso la cuccia dei cani. Però, aspetta: a quest'ora il sonnifero aveva sicuramente smesso di fare effetto e le tre bestiole si erano certo riprese., Un po' più calmo, sussultò quando notò lo sguardo impaurito di Russia. Ora che ci pensava, se anche lui era solito venire a spiarli in casa sicuramente anche lui aveva dovuto pensare ad un modo per prendersi cura del problema dei cani di Germania. E a parte il sonnifero, non c'erano altri modi per tenerli a bada; voleva forse dire che quei poveri cani avevano in corpo una dose doppia di sonnifero?

Francia si accorse del panico dei due e fece per chiedergli cosa stessero facendo quando Germania rientrò in casa furioso e con in mano la pala dell'orto.

"Amerika, Russland," ringhiò, scuro in volto, "Per caso c'entrate voi due col fatto che i miei cani stanno male in questo momento?!"

Il terrore negli occhi delle due nazioni fu una risposta più che sufficiente.

Francia sospirò, rendendosi conto di aver fatto un errore madornale ad alzarsi quella mattina e che era troppo da sopportare venti minuti dopo che ci si era appena svegliato.

"Io torno a letto," annunciò, anche se nessuno lo stava ascoltando, ignorando le grida soffocate di America e Russia quando Germania si avventò su di loro.

Lussemburgo, beato lui, non si svegliò nonostante tutto quel chiasso.







Un breve black out coinvolse tutti i territori della Federazione a la notte tra il 21 e il 22 agosto del 2000. La causa fu trovata in un improvviso incremento dell'uso dell'energia elettrica, che inizialmente fu ricondotto a The Sims, un gioco che ebbe grande successo nella Federazione e giocato soprattutto la sera. Fu teorizzato che i sistemi elettrici della Federazione, abbastanza vetusti, non furono in grado di reggere la corrente necessaria per l'utilizzo simultaneo di tutti quei computer, e questo avrebbe causato un black out. Solo qualche giorno dopo un ingegnere lussemburghese scoprì che la causa era stata una curiosa e inquietante coincidenza fra l'attività di spionaggio russa e quella americana. Quello che passò alla storia come lo scandalo di The Sims portò ad un raffreddamento dei rapporti fra la Federazione europea con gli Stati Uniti e la Federazione Russa, e un'ondata di simpatia internazionale per gli europei che ebbe forti ripercussioni sulla reputazione delle due superpotenze. Lo scandalo provocò anche il riavvicinamento dei paesi della Federazione tra di loro e con i territori occupati
Anni dopo, lo scandalo di The Sims divenne un proficuo meme, che la casa di sviluppo del gioco onorò con una expansion pack apposita.



 

1: Il Commonwealth è un'alleanza principalmente di tipo econominco che il Regno Unito istitutì con le sue ex colonie come controaltare alle iniziative per l'Integrazione europea nel continente. Nell'ucronia, con l'esercito smantellato e l'influenza di INghilterra fortemente ridotta, ho pensato che la l'Unione/Federazione, messi malissimo anche loro a seguito del Terzo conflitto, avevano ben poco interesse cercare di tenersi quei territori per sé e, facendosi passare per "liberatori", abbiano essenzialmente reso completamente indipendenti i paesi asiatici e africani che componevano il Commonwealth. Ovviamente non c'era alcuna bontà in questa decisione, tuttavia la scelta di instaurare rapporti economici invece che imporli si rivelò di successo, garantendo loro una forte influnza in quei territori nonostante il processo di decolonizzazione - non senza controversie. Non so se dedicherò un capitolo alla questione, non ho tempo di ristudiarmi tutto per farne venir fuori una cosa decente ^^'

 

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Capitolo 20
*** Miscellanea 2 ***


Titolo: Miscellanea

Personaggi: Paesi Bassi (Christian van Dyk); Italia Romano (Matteo Vargas); Seborga (Marcello Vargas); Sealand (Anthony Kirkland); Stati Uniti d'America (Timothy F. Jones); Canada (Lorenz Williams)

Genere: Commedia

Coppie: lievi accenni Nedmano nella prima fic e RusCan e NedCan nella terza

Avvertimenti: Nessuno

Note aggiuntive: Alla fine ci sono riuscita a postare qualcosa sta settimana. Come per la prima miscellanea si tratta di storie troppo brevi per essere postate singolarmente ma che non hanno abbastanza materiale per essere eplorato. C'è la mia musa ispiratrice che mi sta spingendo verso strade pericolose come indica la prima fic di questa miscellanea ma sto cercando di resistere - non poso fare na poly a 7 non posso fa na poly a 7, se me lo ripeto abbastanza musa si zittirà prima o poi.

Spero che queste brevi storielle siano di vostro gradimento e vi strappino una risata.

Enjoy!


 


Il cervello di Paesi bassi non riusciva ad elaborare quanto stava vedendo, o la sensazione proveniente dalle sue mani.

Si stava dirigendo in camera sua quando aveva incrociato Romano provenire dalla parte opposta. Si era spostato a sinistra per farlo passare e contemporaneamente l'altro si era spostato nella stessa direzione. Allora l'olandese si era spostato a destra, cosa che aveva fatto anche Romano. Dopo un altro paio di tentativi di quel buffo valzer, Paesi bassi aveva afferrato la vita dell'italiano per tenerlo fermo e si era spostato a sinistra. Solo che non riusciva più a togliere la mani.

Romano quel giorno indossava un ampio maglione bianco, soffice come una nuvola, che nascondeva gran parte delle forme del suo corpo. Quando Paesi bassi lo aveva afferrato le sue mani si erano strette attorno alla sua vita. Una vita sottile. Molto sottile. Se avesse allungato i pollici probabilmente si sarebbero toccati. Era sempre stata così sottile la vita di Romano? O erano le sue mani ad essere grandi? Del resto c'era una bella spanna di differenza in altezza tra lui e la nazione mediterranea, forse era tutta una questione di prospettiva e illusione ottica. Una presa più salda su quei fianchi e chissà cosa avrebbe potuto fare...

"Paesi bassi?" la voce di Romano lo ridestò dai suoi pensieri. Con orrore si accorse di avere le guance in fiamme.

"E-Eh?"

"Tutto okay?" gli chiese, guardandolo con curiosità. Che avesse capito che genere di pensieri lo stessero assillando? Notò per la prima volta quanto gli occhi dell'altro fossero rossi, c'era ben poco del rosa che era invece presente nelle iridi di Veneziano. Chissà se anche la vita del Settentrione era così sottile, perfetta da afferrare...

"E-Excuus um... I-Io-" balbettò, incapace di comprendere cosa gli fosse preso, per poi correre in camera sua, ignaro dello sguardo incuriosito di Romano.


 



Lo status di micronazione garantiva dei vantaggi interessanti rispetto all'essere una nazione vera e propria ma di piccole dimensioni: una maggiore libertà di scelte e movimento, la tendenza a passare inosservati, un rapporto più pacato con gli umani. Il problema è che mancava tutto il corollario di forza e prestigio che l'essere una nazione comportava. Per questo il desiderio di indipendenza tendeva ad essere particolarmente forte in loro, ancora di più di quello di una nazione assogettata.

Seborga non era un'eccezione: Veneziano e Romano lo trattavano bene, non poteva lamentarsi, ma oh se anelava al giorno in cui avrebbe potuto presenziare per contro proprio ai meeting delle nazione come Principato di Seborga. Purtroppo, da quando i suoi tutori/fratelli si erano sposati le possibilità di diventare indipendente si erano drasticamente ridotte, pertanto doveva accontentarsi del suo status per il tempo a venire almeno fino a quando anche il tempo della Federazione europea sarebbe venuto.

Se ci arrivava a vedere quel giorno.

Perché, al momento, era forse un po' ne guai: erano le tre di notte, il suo telefono era morto da almeno un paio d'ore, lui era ancora in giro per strada e Veneziano e Romano gli avevano gentilmente intimato di tornare a casa entro la mezzanotte.

Ops.

Se i suoi tutori/fratelli gli avessero permesso di spiegarsi avrebbe raccontato loro che la colpa non era la sua, che lui e Sealand avevano perso la cognizione del tempo a causa di Wy e che un ritardo di tre ore non era così grave in estate, specie in quel piccolo paese di montagna dove Romano aveva una delle sue proprietà e dove tutti si conoscevano e perfino ai bambini era permesso stare alzati fino a tardi a giocare e perché diavolo lui doveva rientrare a mezzanotte?!

"Seborga!" Sealand doveva correre per riuscire a stare al passo delle sue lunghe gambe, "Per favore va piano, non voglio perdermi!"

"Corri!" gli intimò, tirando un sospiro di sollievo quando vide le mura della villa del suo tutore/fratello più grande. Oltre a Romano e Veneziano erano presenti anche i loro consorti ed era perciò abbastanza sicuro che i due fratelli Italia fossero stati tenuti impegnati da Belgio (verso cui Seborga non provava chissà che simpatia, era sempre molto fredda con lui) e Germania (lui invece lo terrorizzava, per la sua enorme stazza e per il suo stalkerare Veneziano ogni volta che era libero.)

(A dire il vero l'unico coniuge che sopportava era Paesi bassi, e solo perché gli passava sottotavolo una certa erbetta rilassante - cosa che Romano e Veneziano non dovevano assolutamente venire a sapere.)+

Arrivati al portone Seborga si frugò nelle tasche per prendere la chiave, poi sbiancò.

"C-Che c'è?" gli chiese Sealand, osservandolo preoccupato mentre dalle tasche dei pantaloni prendeva un fazzoletto usato, due monete da pochi centesimi, la cartaccia di una merendina ma non le chiavi. Seborga deglutì a fatica, guardò il cancello poi il suo amico poi di nuovo il cancello, e la sua mente gli diede chiara l'immagine delle chiavi lasciate sul materassino gonfiabile che usava come letto.

Si era scordato le chiavi.

Era chiuso fuori casa assieme a Sealand tre ore dopo il suo coprifuoco.

Oh no.

"Non dirmi che non hai le chiavi," gli disse l'altra micronazione, iniziando a sudare freddo.

"Niente panico, nanerottolo!" replicò, ignorando l'esclamazione indignata dell'altro e correndo verso il muro, "Vieni qui e aiutami."

"Che devi fare?" Sealand era esasperato.

"Mi arrampico e poi ti tiro su, forza," lo incitò, sospirando quando l'altro rimase fermo al uso posto. Al diavolo Sealand!

"Seborga fa piano, non voglio che England passi di guai a causa mia!" disse, osservando con perplessità Seborga mentre prendeva la rincorsa per cercare di afferrare il bordo del muretto. Inutilmente: nonostante la sua altezza le dita scivolavano a lui si ritrovava con i piedi per terra.

"Inghilterra starà bene, basta mi aiuti, tanto Veneziano e Romano staranno dormendo a quest'ora."

"Come fai ad esserne così certo?"

"Con Germania e Belgio qua avranno scopato tutta la sera," disse con nonchalance, sgrullando le spalle davanti l'imbarazzo di Sealand, "Andiamo, hai più di cinquant'anni, puoi sentirle queste cose."

"Seborga!"

"Vuoi aiutarmi o no!?"

Sealand nascose il volto dietro le mani. borbottando qualcosa sull'indecenza dell'altra micronazione. Questi, esasperato, riprese i suoi tentativi di arrampicata, imprecando quando le dita scivolarono di nuovo. Ma perché Romano aveva fatto i muri così ripidi dannazione!

"Che ti serve una mano?"

"Ah finalmente ti sei deciso," esclamò, voltandosi verso colui che aveva parlato. Il suo cervello ci impiegò qualche secondo a registrare che chi aveva davanti non era Sealand ma Veneziano, che lo guardava con un piccolo sorriso e poggiato comodamente contro il muro. Furono quei pochi secondi che gli impedirono di scappare: il Settentrione lo afferò per il ciuffo che sbucava dalla sua fronte e iniziò a tirarlo verso il cancello.

"Ti sembra questa l'ora di tornare Seborga?" gli ringhiò nell'orecchio, senza più sorridere e insensibili ai lamenti di dolore dell'altro, "Neanche ti degni di rispondere al telefono!"

"M-Mi si è s-scaricato!" si giustificò, notando solo in quel momento anche la presenza di Romano e Inghilterra, quest'ultimo dietro Sealand.

"Hai offerto un gran bello spettacolo," disse Romano una volta che l'avevano raggiunto, indicando le telecamere di sicurezza; poi afferrò Seborga per un orecchio, il suo tono calmo che contrastava con la presa ferrea delle dita, "Sei conscio di essere in guai seri signorino?"

Seborga deglutì, poi incrociò gli occhi lucidi di Sealand. Veneziano seguì la direzione del suo sguardo, e si voltò verso l'altra micronazione, il quale subito incassò la testa nelle spalle nel tentativo di farsi pià piccolo: "Per caso c'entri tu con questo ritardo?"

Seborga imprecò mentalmente. Non poteva permettere che il suo tutore/fratello usasse questa storia per fare il bullo con Sealand e  Inghilterra - che era sempre gentile con lui e faceva finta di non vedere quando rubava qualcuno dei biscotti o tortine che aveva appena sfornato.

"È colpa mia," si affrettò a dire, scostando Romano afferrando il braccio di Veneziano, "M-Mi si è scaricato il telefono e non ho visto l'ora, sono stato io ad insistere a stare fuori."

Il Settentrione lo guardò da sopra la spalla, rimanendo in silenzio. Il Meridione gli pose una mano sulla spalla, stringendo piano.

"Be', son cose che capitano quando si è giovani," disse, scambiandosi uno sguardo di intesa col fratello. Uno sguardo dove avvenne un'intera conversazione.

Seborga un po' invidiava quella complicità.

Veneziano sembrò riflettere per qualche istante, lanciò un'ultima occhiataccia a Sealand e Inghilterra e si incamminò verso la villa, senza proferire parole.

Seborga sospirò sollevato, felice di aver evitato lo scontro. Non riuscì a frenare un impropero quando Romano lo riafferrò per un orecchio.

"Non pensare di essertela cavata," gli disse, sorridendogli in modo inquietante per poi tirarlo verso casa, "Sei in punizione, non uscirai per almeno una settimana e dovrai pulire i piatti a pranzo e a cena."

"M-Ma abbiamo la lavastovi-" un doloroso strattone non gli fece finire la frase e segnò la fine della conversazione.






Inghilterra e Sealand erano rimasti indietro. Una volta che i tre fratelli italiani erano rientrati, Sealand si voltò verso la nazione e avvolse le esili braccia attorno alla sua vita.

"England I'm sorry," disse, lamentoso, "Ci ho provato a venire prima ma Seborga non voleva sentire ragioni."

Inghilterra sospirò, carezzandogli la testa, "It's alright Sealand."

"No, non è okay, non voglio che passi dei guai con Italy, ti bullizza sempre," disse, guardando l'altro con occhi lucidi di lacrime Inghilterra si morse una guancia, non potendo negare quell'affermazione.  Vero era che col nuovo millennio lo tormentava di meno, ma non aveva mai realmente smesso di avercela con lui per quanto accaduto nella Terza guerra.

"Non preoccuparti per me," disse, poggiando le mani sulle sue spalle, "Piuttosto preoccupati per te."

"Uh?" la confusione per quella affermazione venne sostituita dal panico quando vide gli occhi di Inghilterra inscurirsi di rabbia; non fece in tempo ad allontanarsi che il suo orecchio subì lo stesso destino di quello di Seborga.

"È tardi anche per te mister," disse Inghilterra, tirandolo dentro la villa prima di chiudere il cancello, "Sono stato in pensiero finché tu e Seborga non avete iniziato a fare i clown qua davanti! Hai un telefono, usalo!"

"I-I'm sorry-" pigolò, deglutendo quando dalla finestra vide la ramanzina che Seborga si stava prendendo dai suoi fratelli. Non sapeva chi dei due stesse peggio.




____________




Canada si tolse gli occhiali e si massaggiò gli occhi: "Mi hai fatto venire qua a casa tua in fretta e furia per questa stronza-"

"Non è una stronzata!" sbraitò America afferrando il fratello per le spalle e scuotendolo, "Come diavolo ti è venuto in mente di andare a letto con Russia!? Come hai potuto tradirmi così!?"

"E mollami!" Canada gli diede uno spintone per poi risistemarsi la giacca stropicciata, "È stata una sveltina America, niente di che."

"Una sveltina?!" America si mise le mani nei capelli, iniziando a camminare avanti e indietro nel salone, "Mio fratello, sangue del mio sangue, ha avuto una sveltina col mio peggior nemico e sarebbe nulla di che?!"

Canada sospirò, per poi ghignare malignamente: "Da che pulpito viene la predica, come dovrei prenderla il fatto che mio fratello si è scopato la nazione che ci ha cresciuto?"

"Smettetela di rinfacciarmelo!" urlò, rosso in volto, afferrando la sua fidata mazza chiodata "Questa me la paghi Canada, non ti permetterò di smerdarmi davanti a tutti ulteriormente!"

Con molta calma, la nazione canadese afferrò il bastone da hockey e si alzò in piedi, pronto a fronteggiare il fratello. Fu molto stupito quando America, invece di aggredirlo, si mise su un ginocchio e tirò fuori una scatola di velluto rosso dalla tasca della giacca.

"C-Che-"

"Republic of Canada," disse America aprendo la scatolina e rivelando un anello dorato con sopra una decorazione a forma di maglietta di hockey, "Se vuoi farti perdonare per avermi tradito con Russia, accetta di sposarmi!"

Canada rimase immobile, sbattendo le palpebre mentre focalizzava l'anello e le sue implicazioni, "W-What-"

"Me lo devi, è l'unico modo per farti perdonare," disse America mentre si alzava e prendeva il gioiello dalla scatolina, "Fatti mettere questo anello al dito e diventa un tutt'uno con me!"

Canada era senza parole: "Ti sei drogato prima di chiamarmi per caso?" disse indietreggiando quando l'altro gli si avvicinò armato di mazza e anello.

"Sono perfettamente lucido!" replicò, sorridendo in modo inquietante, "Me lo devi Canada, se mi hai mai voluto bene-"

"Ma chi ti caga?!" esclamò, correndo verso la porta ma America gli balzò addosso e lo atterrò, afferrandogli un braccio.

"Fatti sposare," disse America, cercando di infilare l'anello nel dito del fratello, "Se quel bastardo di France si è potuto fre un cazzo di harem posso anche io."

"M-Ma che stai blaterando?!" Canada riuscì a liberarsi con uno strattone e ad assestargli una ginocchiata sul fianco, "America levati!"

"Non capisci, si stanno sposando tutti in questo mondo, Nigeria lo ha chiesto ai suoi vicini e anche Brasil si sta preparando1, Mexico mi ha già detto di no, non posso rimanere indietro non dopo che ho scoperto che mio fratello se la fa col mio nemico."

"America-"

"Lorenz Williams, fatti sposare e basta dannazione."

"Non chiamarmi per nome!" urlò Canada, riuscendo infine a liberarsi spingendo via l'altro con un piede, per poi rimettersi in piedi, "Sei impazzito!?"

America scosse la testa, guardando l'anello caduto per terra con una mestizia che lo sorprese. Poi alzò lo sguardo e ghignò malignamente.

"Non dirmi che speri ancora che France ti adotti in qualche modo."

Canada strinse i pugni, emanando fuoco dagli occhi. Bingo.

"È dura essere una repubblica eh? Niente England da cui correre a piang-" fu interrotto da un diretto contro la bocca.

"Non. Nominare. England," ringhiò Canada, tenendo il fratello per il bavero della maglietta, digrignando i denti davanti al ghigno sanguinante di America.

"Touched a nerve uh?"

Canada prese un profondo respiro per poi lasciare America e rimettersi dritto, sistemandosi di nuovo la giacca. Prese da terra il bastone da hockey e si diresse verso la porta.

"Canada-"
"Se ti interessa tanto con chi vado a letto," disse, voltandosi verso il fratello con un finto sorriso allegro, "Mi sono scopato anche Netherland."

Il tempo che ci mise America a registrare nel cervello quella nuova informazione Canada lo usò per fuggire via da casa sua, ridendo quando lo sentì sbraitare ancora più forte.


 


1. Similmente a come da noi l'Unione europea ha fatto da ispirazione per progetti simili in America Latina e Africa, mi immagino che in questa tl, visto che la Federazione è resistita alla prova del tempo, più paesi vogliano fare la stessa cosa e quindi "sposarsi".

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Capitolo 21
*** Il turbine ***


Titolo:Il turbine

Personaggi: Spagna (Alejandro Fernandez Carriedo); Nord Italia (Marco Vargas); Inghilterra (Oliver Kirkland); Francia (Jean Baptiste Bonnefoy); Federazione Europea

Genere: Malinconico, riflessivo

Coppie: GerIta nella seconda fic; Poly!Federazione europea accennato nelle ultime due nun ce credo che l'ho fatto davvero T_T

Avvertimenti: Forse la poly nelle ultime due?

Note aggiuntive: Questa sarà probabilmente l'ultima fic prima di una breve pausa, ho parecchio da fare in questo periodo e il capitolo dedicato ad Olanda è bello lunghetto e richiede più lavoro del previsto, ma spero riuscirà a strapparvi qualche risata.,
Intanto sto esplorando il sito di Lande di fandom e ho trovato questa bella tabella sulle emozioni che mi ha ispirata. Non escludo di fare un secondo round un giorno.
Spero che questa Miscellanea atipica sia di vostreo gradimento, e potete trovarmi su tumblr o ao3 per ogni evenienza.!

Enjoy!




Backmasking: The instinctive tendency to see someone as you knew them in their youth.

Spagna ricorda molto poco di Roma ma sa che la sua morte non lo ha sconvolto più di tanto, forse perché non era presente o forse perché non gliene è mai importato molto di lui. Sicuramente non c'era stato quel mutismo selettivo in cui Romano ha versato per secoli dopo la sua dipartita e a vederlo oggi nessuno direbbe che quella parlantina è un fenomeno recente.

Non riesce a conciliare il ricordo dello scricciolo che passava il tempo libero a fissare il vuoto, con cui ha dovuto inventare un intero sistema di gesti per poter comunicare, e il giovane uomo sicuro di sé che adesso lo comanda e che fa fatica a stare zitto per più di qualche minuto. Vorrebbe essere come Austria e accettare che il suo protetto è semplicemente cresciuto, è diventato indipendente e ha fatto le sue scelte, ma non ci riesce. Neanche il suo lato più umano riesce a staccarsi dai ricordi di un bambino che, in silenzio, gli gesticola che non vuole dormire da solo.

Il giorno prima del matrimonio, mentre conversano di altro, Spagna gli parla anche con le mani e gli chiede: "Sei felice?" e gli offre una via di fuga - un modo lo avrebbe trovato.

Romano non risponde subito, sgrulla le spalle e mentre gli parla del viaggio di nozze in Sardegna con le mani segna: "In fondo, si."

Di fronte a quello i ricordi possono poco.





Jouska: A hypothetical conversation that you compulsively play out in your head.

"Non posso aspettare un morto."

Inizia più o meno così il discorso a senso unico che ha in testa, perché i morti non possono parlare. Poi prosegue tra "È passato tanto, troppo tempo.", "Ormai sono indipendente.", una qualche versione di "Ti amerò sempre."
Ogni tanto Sacro Romano Impero lo guarda comprensivo, altre volte è triste altre volte è arrabbiato. Alla fine però capisce sempre, lo accetta.

Non c'è mai stato fino a quel momento un: "Ma mi sono innamorato di nuovo."

Veneziano è onesto con sé stesso, ha vissuto troppo per raccontarsi cazzate; gli basta, ogni tanto, indugiare nei 'se' e nei 'chissà', chiedersi i 'forse' e viaggiare con la mente in ipotetici scenari fatti di passeggiate a cavallo, allenamenti con il fioretto, e di un baci che non erano addii.

Forse dovrebbe essere più sorpreso quando, da un giorno all'altro, il suo cuore prende a battere più velocemente quando pensa a Germania e le sue guance si fanno più calde.

E un sonnolento pomeriggio, sdraiati su un prato, quando per scherzo Germania gli mette una margherita tra i capelli e le sue dita indugiano più del dovuto sulla sua guancia e il sole illumina il suo sguardo innamorato e il suo sorriso adorante, i battiti del suo cuore vanno fuori controllo e ah. Ecco.

Ci vorranno comunque anni prima che "Mi sono innamorato di nuovo" entri a far parte di quella fitta conversazione immaginaria con Sacro Romano Impero. Prima che ci venga a patti una volta per tutti, e gli inizi di agosto smettano di fare male.





Rubatosis: The unsettling awareness of your own heartbeat.

"È stato raggiunto l'accordo sulla Costituzione ed è ora ufficiale: la Federazione europea diventerà una entità a tutti gli effetti, ci colleghiamo subito in diretta da Bruxelles, a te *** "

"Si, buonasera a tutte e a tutti, è stato raggiunto poco fa l'accordo tra i paesi dell Federazione europea sull'amministrazione territoriale che come sapete era l'ultimo grande nodo di disaccordo e che per mesi ha arrestato i lavori del parlamento europeo. È arrivata a poco fa la notizia che il parlamento tedesco e quello olandese hanno rettificato la Costituzione, che vuol dire che la disputa è stata superata! Per quanto ne sappiamo-"

Ba-bum

La voce del giornalista viene  rimpiazzata dal suono del suo cuore che, furioso, batte contro la sua cassa toracica. A Inghilterra neanche giunge il rumore del bicchiere che va in frantumi, o il richiamo ironico di Scozia. Solo il suono del sangue che viene pompato nel suo corpo a velocità anomala.

Ba-bum Ba-bum

"Non se, ma quando."
Le parole di suo fratello gli rimbombano in testa, spietate. La crudeltà di chi già sa, ha sempre saputo, e che si è goduto lo spettacolo assaporando l'arrivo della scena clue di quella bizzarra commedia.

Ba-bum Ba-bum Ba-bum

Le gambe gli cedono davanti a quella notizia che fa ormai sfumare il sogno di una completa indipendenza per chissà quanto tempo.

Ba-bum Ba-bum Ba-bum

Che ne sarà di lui?

Ba-bum Ba-bum Ba-bum

Che ne sarà della sua gente?
Ba-bum Ba-bum Ba-bum

Come ha potuto ridursi così?

Ba-bum Ba-bum Ba-bum

Perché non io?


Ba-bum Ba-bum Ba-bum






Énouement: The bittersweetness of having arrived in the future, seeing how things turn out, but not being able to tell your past self.

Francia è certo che l'unico motivo per cui non è morto è perché non è umano: se fosse stato semplicemente Jean Baptiste Bonnefoy sarebbe già passato a miglior vita secoli fa, ucciso dall'alcol o da qualche guerra. Quante volte ha maledetto la sua esistenza? Quell'immortalità che gli ha fatto seppellire migliaia di persone che, in qualche modo, ha amato e che avrebbe voluto raggiungere? Quegli esseri umani che persistono nel loro andare avanti, nel mantenerlo in vita in nome di ideali per cui sono disposti anche a morire? Quante volte le sue speranze di un mondo migliore si sono infrante contro la cruda realtà del tempo e di tragedie che si ripetono all'infinito?

Non gli piace rivivere nel passato e reputa inutile pensare al futuro, si limita a vivere in un presente verso cui non ripone alcuna illusione. Non può e non vuole sperare in niente, si fa trascinare dal flusso della storia.

È per questo che odia e ama quel 'eppure' che ha iniziato a insinuarsi nei suoi pensieri. Quello che viene fuori quando torna a casa dopo una faticosa giornata e non ci sono più il divano e tutte le bottiglie di vino che poteva stomacare prima di star male ad aspettarlo.

Oggi tornare a casa vuol dire venire atterrato da tre cani contenti di vederlo, scodinzolando per una carezza prima che Germania li richiami e lo aiuti ad alzarsi; trovare a tavola sempre un pasto caldo e solo un bicchiere di vino perché Veneziano e Lussemburgo non vogliono che ne beva troppo; Belgio che lo rimprovera perché ha di nuovo lasciato gli asciugamani per terra per poi venire sottoposto ad un interrogatorio camuffato sulla sua salute; vuol dire avere sempre a disposizione del pane caldo fatto in casa perché a Romano quello comprato non piace e preferisce farlo lui - e per lui Francia e Germania hanno fatto un forno a legna in giardino l'estate scorsa, perfetto per sfornare qualunque impasto, e da allora almeno una volta a settimana Romano fa di sua mano la pizza per tutti; trovare Paesi bassi sveglio fino a tarda notte perché non riesce a dormire bene se non sa dove son tutti in ogni momento: vuol dire tornare a casa e non sentire più silenzio tombale, ma sempre improperi e risate.

Francia ripensa al sé di un secolo fa, stanco e disperato e che mai avrebbe immaginato tutto questo, e vorrebbe dirgli di resistere un altro po' perché anche se sa che non durerà per sempre quel presente vale la pena di essere vissuto.





Chrysalism: The amniotic tranquility of being indoors during a thunderstorm.

Non è il tuono o il rumore della pioggia battente, né la televisione lasciata accesa: Lussemburgo si sveglia da solo, perfettamente riposato come non gli capitava da tempo, tenuto al caldo da una coperta di lana e con la spalla di Francia a fargli da cuscino.

Perché la spalla di Francia gli sta facendo da cuscino?

Si guarda attorno, assonnato, ricordando che si era deciso di vedere un film quella sera che si era rivelato più noioso del previsto: il salone è al buio, illuminato solo dalla luce della televisione; sul uno dei divani grandi Veneziano dorme col capo poggiato sulla gamba di Romano e Germania a fargli ulteriore coperta; Romano ha gli occhi chiusi e la testa poggiata sullo schienale e Belgio gli dorme sulla spalla. Sente un peso sul fianco e vi trova Paesi bassi raggomitolato; Francia è seduto e non si è destato quando si è spostato.

Si sono tutti addormentati vedendo il film mentre fuori viene giù il finimondo.

Come è possibile?

Una nazione ha istinti più simili a quello di un animale selvatico che di un uomo, non possono mai riposarsi perché il pericolo è sempre dietro l'angolo. Eppure Lussemburgo si sente tranquillo, non c'è urgenza o bisogno di rimproverarsi per essersi lasciato andare. Si è mai sentito così?

Un tuono più forte fa svegliare Romano con un lieve sobbalzo: Lussemburgo lo osserva mentre si guarda attorno cercando di focalizzare la situazione; guarda in basso e sbuffa quando vede in che posizione sono Germania e Veneziano, ma invece di arrabbiarsi sistema meglio la coperta sulle spalle del tedesco, dà un'occhiata a Belgio per assicurarsi sia comoda, e si rimette a vedere la televisione, giocherellando con i capelli di suo fratello.

Lussemburgo non gli fa notare che si è svegliato e che ha assistito alla scena: cullato dalla pioggia che batte sulle vetrate del salone e dal calore di due corpi, decide di approfittare di quel senso di pace e chiude di nuovo gli occhi.

 

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Capitolo 22
*** Incontri del 2p tipo ***


Titolo: incontri del 2p tipo

Personaggi (1p | 2p): Inghilterra (Arthur Kirkland | Oliver Kirkland): Scozia (Cìnead Kirkland); Francia (Francis Bonnefoy | Jean Baptiste Bonnefoy); Nord Italia (Feliciano Vargas | Marco Vargas); Sud Italia (Lovino Vargas | Matteo Vargas); Germania (Ludwig Beilschmidt | Georg Joseph Beilschmidt); Lussemburgo (Hansel Junker | Sébastien Junker); Paesi bassi (Larden von Dyk | Christian von Dyk); Belgio (Isabello Magritte | Laura Magritte); Danimarca ( Mathias Densen | Søren Densen); Svezia ( Berwals Oxestierna | Ingmar Oxestierna); Norvegia (Emil Bondexik | Bjørn Bondevik); Islanda (Eiks Steilsson | Emil Steilsson); Finlandia (Timo Väinämönien | Alvar Väinämönien)/Cina(Wang Yao | Wang Li); Giappone (Kiku Honda | Hidekaz Honda); Taiwan; Corea del Sud (Im Young Soo | Im Jun Ho); Hong Kong (Kuang Ka Lung )

Genere: Commedia

Coppie: Poly accennato alla fine

Avvertimenti: Demenzialità all'ennesima potenza

Note aggiuntive: Ehilà, eccomi con l'aggiornamento. Continuo ad avere un botto da fare, pertanto continuo a non poter aggiornare una volta a settimana come vorrei. Ma non ho alcuna intenzione di abbandonare questa raccolta, h detto che sarei arrivata a 30 e a 30 arriverò!
A sto giro entriamo nel pieno della demenziale atmosfera hetalica, e spero riuscirà a strapparvi qualche risata questa carrellat di casi umani personaggi!  sto giro ci sono anche gli 1p, quindi userò i nomi umani. Fate rifermineto all'into per vedere chi è chi e non confordervi, ho cercato di fare del mio meglio per rendere tutto chiaro comunque.
Avrei voluto mettere anche Spagna e Prussia ma non mi è venuto in mente nulla per loro, toccherà per forza fare un secondo round.
Buona lettura, e ci vediamo il prima possibile.

Enjoy

 


XX.XX.20XX: per qualche motivo, si è aperto un varco interdimensionale. Visto che non si è richiuso, le due dimensioni comunicanti decidono di intraprendere relazioni diplomatiche.







'Sia chiaro stupid frog non mi interessa cosa stiate facendo in quella sciocca European Union, ormai me ne sono andato, e non sono affatto preoccupato per voi!'

'Che c'è Angleterre?'

Arthur fissò il telefono, sbigottito. Si sarebbe aspettato una risposta sarcastica da Francis, qualche insinuazione sul suo buon cuore a cui avrebbe risposto per le rime. Non una risposta così lapidaria.

'Come sta andando?' decise di chiedere, considerandola la risposta più diplomatica  che potesse dare.

'Male'.

Oh.

'Why?'

'Non ho mai visto delle nazioni più stressate di così'

Stava per rispondergli quando venne interrotto da una voce familiare e straniera assieme.

"Qualche problema?" chiese Cìnead, le labbra piegate in un ghigno divertito. Arthur imprecò mentalmente, riponendo subito il telefono nella tasca.

"N-Nessuno," disse per poi guardare il suo alter ego, seduto accanto allo Scozia dell'altra dimensione con la testa bassa e spalle cascanti. Sentì montare la rabbia a vedere sé stesso in una posizione così... umiliante.

"Good," Cìnead bevve un altro sorso del proprio tè per poi dare una gomitata nel fianco a Oliver, che subito drizzò la schiena, e porgere dei fogli ad Arthur, "Dicevamo, per quell'acciaio..."







"Fratellone metti via il telefono."


"Un attimo."

"Fratellone, niente attimo per favore, già ci odiano, evitiamo di farci rimproverare perché li filmiamo di nascosto-"

"Ah, zitto un po', se non fai casino non se ne accorgono."

Francia alzò il capo per vedere cosa stesse succedendo lungo il tavolo: Lovino teneva il telefono puntato contro i loro alter ego - una frase che mai avrebbe pensato di pronunciare in vita sua - mentre Feliciano, mortificato, cercava di farglielo mettere via. Vicino questi c'era Ludwig, seduto in modo rigido, che dall'inizio della seduta che avrebbe dovuto chiarire i rapporti tra Unione europea e Federazione europea non aveva staccato per un momento gli occhi dalle sette nazioni della Federazione con il suo solito cipiglio severo che lo faceva apparire più arrabbiato di quanto fosse in realtà.

Isabelle, Larsen e Hansel erano seduto qualche fila dietro di loro, ed era certo che la loro espressione non fosse di molto diversa dalla loro, un misto di nervosismo, curiosità e forse anche vergogna. La vergogna era certamente quella che sentiva lui mentre guardava quei sette scorrere tra tutti i report che descrivevano la situazione dell'Unione europea: inizialmente erano stati professionali, non tradendo alcuna emozione ma più leggevano e più la maschera si sgretolava lasciando il posto allo sgomento più puro. Era più di un'ora che Sébastien pigiava su una calcolatrice, quasi abbaiando a chiunque lo distraesse dai suoi conti; Marco e Laura parlottolavano a loro e ogni tanto li guardavano con occhiate indecifrabili; Jean Baptiste si teneva la testa tra le mani e sembrava stesse avendo una crisi esistenziale; Georg ormai non nascondeva più l'incredulità mentre leggeva i rapporti sull'energia; Christian e Matteo, rimasti senza nulla da fare, guardavano preoccupati i loro consorti.

Consorti. Perché erano sposati. Erano una Federazione e si erano perciò sposati. In sette. Mon. Dieu.

"Mon frère, che devi fare con quel telefono?" chiese infine, incuriosito.

"Fatti gli affari tuoi bastardo mangia rane e non guardarmi che se no mi fai scoprire," replicò Lovino senza distogliere lo sguardo dalle sette nazioni, "Tsk, guarda che pariolino è quello."

"Fratellone!"

"È vero, guarda quanto se la tira!"

"Fratellone per favore, già ci odiano-"

"Guarda che se ci odiano è solo colpa del bastardo mangia rane qua"

Francis incassò la testa nelle spalle assieme alla colpa. Del resto era vero: i rapporti con la Federazione erano iniziati male, forse nel peggiore dei modi. Aveva provato a fare amicizia con l'Italia del Nord dell'altra dimensione - leggasi anche: ci aveva provato spudoratamente come suo solito - e si era ritrovato in poco tempo una mano italica stampata sulla guancia e un occhio pesto per mano germanica. Se chiudeva gli occhi ancora sentiva il dolore.

"Neanche li conosciamo e abbiamo già rischiato l'incidente diplomatico," disse Ludwig, lanciandogli un'occhata esasperata.

"A mia discolpa, quel Allemagne è fin troppo geloso."

"Ci hai provato con suo marito."

"Meh, i matrimoni sono cosa relativa tra nazioni, e poi quel Italie lo respinge sempre, che ne potevo sapere."

Ludwig preferì far cadere il discorso, tornando ad osservare le sette nazioni. Francis notò che più passava il tempo più il tedesco sembrava stesse cercando di scivolare sotto il tavolo.

"Okay, dovremmo esserci quasi."

"Fratellone, ti prego,"

"Zitto un po',"

Francis si sporse leggermnte e notò che la telecamera del telefono di Lovino era fissa su Georg, il quale era evidetemente sempre più sconvolto da quanto stava leggendo, cosa che il Meridione sembrava trovare ilare.

"Fratellone, non puoi umiliare così Germa-"

"Italien ti prego," lo supplicò Ludwig, venendo prontamente ignorato.

"In che senso umiliare?"

"Ve," Feliciano sembrava imbarazzato, "Vuole filmare il momento in cui Georg leggerà delle centrali di carbone a casa di Germania."

Francis sbatté le palpebre, guardò le chiazze rosse che avevano iniziato ad apparire sul volto di Ludwig e il ghigno maligno di Lovino. Ora che ci pensava, la Federazioni usava solo centrali nucleari. Può essere che...

La risata soffocata di Lovino lo distolse dal suo pensiero: attraverso la telecamenra del telefono vide Georg far cadere i fogli del report, guardare a bocca aperta Ludwig, per poi sbattere la test sul tavolo sotto lo sguardo preoccupato dei coniugi.

"Lo sapevo," gongolò Lovino, salvando il video e riponendo il telefono in tasca.

Ludwig, il volto ormai ridotto ad un semaforo rosso, imitò il suo alter ego, ignorando Feliciano che gli diceva di non preoccuparsi.







"Hey, European Federation!"

Le sette occhiatacce che gli vennero lanciate quasi fecero traballare la sua sicurezza, ma Alfred si riprese subito: era un eroe dopotutto, e un eroe non può permettersi nemmeno pochi attimi di dubbio!

"Ho appena saputo delle vostre malefatte," proseguì, "Sappiate che non vi permetterò di fare i vostri porci comodi in questa dimensione! Parola di United States of America farò quel che posso per fermarvi!"

Le sette nazioni si guardarono a vicenda qualche attimo prima di tornare a prestargli attenzione.

"O... Okay?" disse Jean, notando la ridente figura di Timothy poco dietro di loro.

"Bene, sono contento che ci siamo capiti subito!" Alfred sorrise, soddisfatto della propria buona azione quotidiana, per poi sedersi al tavolo dove la Federazione stava pranzando senza essere invitato, "Now, the other U.S.A mi ha già spiegato tutto e penso si possa risolvere senza venire alle maniere forti. Lasciate libero Canada e nessuno si farà male"

Si era immaginato timore reverenziale, suppliche per essere risparmiati, ammirazione per la sua forza e sicurezza.

Sospiri esasperati e bestemmie non erano la reazione che aspettava di avere.

"Ti ha detto questo il nostro Amerika?" chiese Christian, stringendo il prorpio bicchiere.

"Certo, e vi avviso che mi ha già spiegato ogni cosa , è inutile che mentiate!" esclamò, non riuscendo a nascondere la sua crescente confusione.

"Canada ha un trattato economico di favore," spiegò Sébastien, "I suoi cittadini e cittadine possono entrare e uscire senza visti e i suoi prodotti circolare senza sovrattasse, non è occupato."

"Non è quello che mi è stato riferito."

"Ovvio," digrignò Jean, massaggiandosi le tempie.

"Lasciate andare Canada e nessuno si farà male!" ripeté, iniziando a sentirsi un po' offeso. Non era nel copione che andasse così.

"Canada non è prigioniero di nessuno, Amerika è solo arrabbiato perché ha rifiutato la sua proposta di matrimonio in favore del trattato con noi," precisò Laura, cercando di mantenere un'aria amichevole; doveva star fallendo a giudicare da come Alfred la guardava guardingo.

"Timothy mi aveva già detto che lo avreste detto," ribatté, provando in quella frase la conferma dei suoi sospetti. Si stavano ovviamente approfittando del fatto che somigliassero ai sui sottopo- alleati per poterlo abbindolare con le loro menzogne! Erano ovviamente consci del suo buon cuore e generosità e stavano cercando di trarne vantaggio per tenersi i loro ostaggi, ma per fortuna Timothy lo aveva preparato! Ah, che esseri ignobili! Meno male che non ci era cascato!

Gli altri fecero per replicare ma vennero interrotti dall'arrivo di un'altra nazione.

"Quale si voi è Severnaya Italiya?" chiese Ivan, individuando il suo obiettivo quando Marco si lasciò sfuggire una bestemmia, "Sono qui per-"

"Se sei qua per Polonia giuro ribalto questo tavolo," sibilò Marco, guardando male il russo, il quale non sembrò preso per nulla in contropiede, continuando a sorridere gentilmente.

"È proprio per quello che sono qui, sono felice che possiamo risparmiarci inutili fronzoli," disse, sedendosi dall'altro lato del tavolo.

"Non vi abbiamo invitato a sederv-"

"Italya per favore, restituisci Pol'sha a Alëšenka, da?" fu la richiesta di Ivan, interrompendo Matteo.

"Dì ad 'Alëšenka' che la prossima volta può evitare di tirare le nazioni addosso agli altri," replicò Marco, stizzito. Quella reazione sorprese un poco Ivan, abituato com'era al carattere pavido di Feliciano.

"Hey dude, non so se te ne sei accorto ma stavamo negoziando la liberazione di ostaggi qui," disse Alfred, ignorando l'ennesima correzione sul fatto che Canada non fosse un ostaggio.

"Immagino che tipo di negoziazioni," replicò il russo, continaundo a mantenere il proprio sorriso anche se un'aura oscura aveva cominciato ad aleggiargli attorno.

"Ah be', tu che vieni a parlare di restituzioni di territori qui è il colmo," disse Alfred, sgranchendosi le dita.

"Aiuto il mio alter go, da?"

"L'eroe aiuterà anche lui se me lo chiede!"

"Stiamo freschi allora."

"Da te è sempre fresco dude."

"Sai che intendevo Amerika"

Durante questo scambio di battute, Matteo fece silenziosamente segno agli altri di alzarsi e andarsene. Questi concordarono e, lentamente, per non far distogliere l'attenzione di Alfred e Ivan dal loro scambio di battute, si alzarono e si defilarono.







"Ed è per questo che preferisco la sicurezza del pessimismo al dubbio della speranza," Søren finì il suo monologo con un sospiro sconsolato, posò la birra sul tavolo, e guardò Berwald e Timo con imbarazzo, "Perdonatemi, ho parlato a sproposito e vi ho probabilmente annoiato."

"E-Ei, nessun problema," balbetto Timo, non sapendo come sentirsi dopo quella conversazione a senso unico, salvo per un profondo senso di disperazione sull'inutilità della vita. Attorno a loro chi aveva ascoltato non era in condizioni migliori, ordinando gli alcolici più forti che il pub vicino al Palazzo del congresso avesse da offrire per dimenticare quanto udito.

"A volte mi lascio prendere la mano," disse Søren, emettendo un altro sospiro per poi alzarsi, "Perdonate la mia maleducazione ma vedo che il mio Finland sta per venire alle mani col vostro Danmark e devo fermali, con permesso."

"P-Prego," disse, sentendosi un po' in colpa al sollievo che provò quando il danese si alzò dal tavolo. Si girò verso Berwald e per poco non gli prese un colpo.

"R-Ruotsi tutto okay?" gli chiese, sussultando quando lo svedese mugugnò qualcosa di incomprensibile prima di sporsi e finire con la testa sul suo grembo, gli occhi sbarrati. A quanto pare non era stato l'unico a sentirsi afflitto dal monologo di Søren.

"Avete parlato con Danmark vedo," Bjørn si sedette davanti a loro, sorridente ma evidentemente dispiaciuto, "Perdonatelo, non è sempre così- No, lo è sempre, ma sa essere anche meglio di così."

"C-Certo," disse Timo, carezzando i capelli di Berwald per cercare di consolarlo.

Bjørn sorrise loro, ", da quanto tempo state insieme?"

"Ah, noi non stiamo insieme," lo corresse Timo, non notando l'irrigidimento del corpo di Berwald. Bjørn non sembrò convinto.

"Ah, deve essere come da noi, sai al nostro Finland non va di dirlo in giro."

"E-Ei io-"

"Sai che in teoria ci saremmo dovuti sposare noi nordici?"

"E-Eh?!"

A quelle parole Berwald si rimise subito seduto, talmente sconvolto da quella rivelazione da non riuscire a mantenere la sua solita espressione neutrale.

"Eh già," disse, parlando di un potenziale matrimonio tra nazioni come se fosse una cosa di tutti i giorni, "Purtroppo la Føderasjon si è presa Danmark prima che potessimo finalizzare e Finland si è rifiutato quindi alla fine non se ne è fatto nulla."

"I-In che senso si sono presi Tanska?!"

"Be', sapete che c'è stata una Terza guerra da noi, nei? Poco dopo la fine lo hanno occupato perché pensavano Amerika lo stesse usando per scavalcarli per andare in Est Europa. Che era vero, ma Danmark ha detto che non se ne era mai accorto."

"T-Tanska è una nazione occupata!?" Timo era senza parole. Gli sembrava strano però:  Søren si muoveva liberamente e nessuno della Federazione sembrava troppo preoccupato a riguardo.

"È una storia lunga, è un tipo particolare di occupazione la sua, si assicurano solo che non venga usato come ponte per scavalcarli ma per il resto fa quello che vuole," spiegò il norvegese, per poi sospirare, "Ah, mi sarebbe piaciuto sposarli però, sapete i matrimoni vanno un po' di moda da noi, ormai stanno tutti cercando un marito o una moglie. Ho provato a chiedere a Sverige ma mi ha rifiutato, vuole sposare prima Finland."

"S-Sposare?!" Timo cominciava a sudare freddo, faceva fatica a registrare tutte quelle informazioni. La luce che attraverso gli occhi di Bjørn non gli piacque per niente.

"Sentite, non è che cercate un terzo voi? So che non siete sposati ma vi assicuro che come terzo incomodo non sono male."

Dannato sesto senso per i disastri.

"H-Herra Norja, n-non credo che-"

"Finland ha già un marito," sbottò Berwald, parlando in modo chiaro per la prima volta quella sera. Bjørn sbatté le palpebre, perplesso: "Ma Finland non aveva detto-"

"Non è mio marito," si affrettò a dire Timo, guardando male lo svedese, "Specie dopo un certo contest canoro."

Berwald arrossì: "F-Finland-"

Timo lo ignorò e si alzò, si avvicinò al bancone del bar e sussurrò qualcosa all'orecchio dell'inserviente. Questi annuì e andò alle casse che stavano riproducendo della musica jazz, pigiò qualcosa sul tablet, e le dolci note della tromba si silenziarono, sostituite da della musica elettronica e da una voce maschile che cantava in finlandese.

Bjørn, confuso, vide Berwald poggiare la testa sul tavolo, sconsolato, mentre gli europei e le europee attorno a loro urlavano con vigore "Cha cha cha!" durante il ritornello della canzone.







In fondo a quella stessa sala Yao, Kiku e Young Soo erano seduti allo stesso tavolo con davanti i rispettivi alcoli nazionali, brilli ma in silenzio a fissare il vuoto, senza alcun battibecco o battutaccia da scambiarsi.

"C-Che è successo qui?" chiese Erik cercando di farsi sentire sopra la musica proveniente dalle casse. Ka Lung sospirò, imbarazzato ed esasperato.

"Il Cina dell'altra dimensione non guarda i drama, quell'altro Giappone odia gli anime e quell'altro Corea non ascolta kpop," disse, cercando di non farsi sentire dai diretti interessati: "Hanno detto che sono attività infantili e ci sono rimasti male."

"Oh," Erik annuì. "Da quanto tempo stanno-"

"Due ore, hanno finito il sedicesimo giro di alcolici," disse, facendo sussultare l'islandese.

"S-Sedici?!"

"Ci sono rimasti molto male."

"Immagino," Erik lanciò un'occhiata a Lukas, che stava cercando di impedire a Mathias di venire alle mani con Alvar, trattenuto a sua volta da Søren, mentre Timo si era tolto la maglietta e stava urlando nel microfono "Cha cha cha" mentre la piccola folla attorno a lui invocava il nome di quello che sarebbe dovuto essere il vincitore di un certo contest canoro, e non seppe dire quale dei tre spettacoli fosse il peggiore.







Quando Arthur aveva sentito i rumori nello stanzino aveva i suoi sospetti: quando aprì la porta e vide dentro Larsen e Ludwig, ancora vestiti e pallidi in volto, però, si rese conto di aver toppato alla grande.

"Chiudi la porta!" Ludwig lo afferrò per un braccio e li chiuse di nuovo dentro, intimandogli di fare silenzio.

"C-Che state facendo?" chiese Arthur, stizzito dall'essere stato trattato in quel modo.

I due si scambiarono un'occhiata, evidentemente combattuti sul rispondere o meno.

"Hai presente quelli dell'altra dimensione?" disse Larsen.

"So?"

"Hai presente la Federatie? Be', a quanto pare l'idea è piaciuta al capo di Frankrijk e a Frankrijk stesso." spiegò, massaggiandosi gli occhi. Arthur sbatté le palpebre, perplesso,.

"W-What-"

"È tutto il giorno che ci rincorre con degli anelli e dei fiori," disse Ludwig, esasperato, "Non riusciamo a lavorare perché appena ci vede ci fa proposte di matrimonio."

L'inglese pregò di aver sentito male.

"M-Matrimonio?!" urlò, maledicendo Larsen quando questi gli schiaffò una mano sulla bocca per zittirlo. Seguì un tesissimo silenzio, poi la porta di aprì di nuovo: la Belgio dell'altra dimensione li guardò con cipiglio annoiato prima di sorridere, maliziosa.

"Oh, è questo che si fa nel tempo libero qui?" chiese, ridendo quando i tre arrossirono furiosamente.

"F-Frau Belgie, chiuda la porta per favore!" la supplicò Ludwig, ma il sorriso di Laura divenne ancora più affilato. Prese il telefono dalla tasca e scrisse velocemente un messaggio prima di riporlo via.

"F-Frau Belgie-"

"Oh tranquillo herr Duitsland, sono una donna sposata non mi scandalizzo per qualche scappatella," disse Laura. Ludwig arrossì ancora di più: "S-Scappatella?!"

"Be' ho saputo della lieta notizia proprio poco fa," aggiunse, "Gefeliciteerd per le imminenti nozze, se serve qualche consiglio non esitate a chiedere."

"N-Noi non abbiamo accettato!" esclamò Larsen, sussultando quando Arthur gli morse la mano per liberarsi, "Hey!"

"You damn bastards!" sibilò Arthur, gli occhi fiammeggianti di rabbia, "E così fate le cose alle mie spalle eh?"

Ludwig e Larsen si scambiarono un'occhiata perplessa.

"Ah, avrei dovuto immaginarlo! Tipico, fare le cose senza consultare, sono proprio contento di aver lasciato la vostra stupida unione!" disse l'inglese, stizzito e rosso in volto.

"Ma di che diavolo parli!?"

"Non fare il finto tonto Germany, sappi che impedirò le nozze con ogni mezzo a mia disposizione!" promise, incrociando le braccia davanti al petto in modo definitivo.

Ludwig fece per replicare ma ci ripensò all'ultimo minuto, massaggiandosi le tempie pulsanti. Quando avrebbe voluto una birra.

"Ve Germania!"

Il familiare richiamo gli diede una scarica di adrenalina che cacciò via qualunque dolore; l'interpellato uscì dallo stanzino - ignorando l'avviso di Larsen sul fatto che fosse probabilmente una trappola - e vide Feliciano e Lovino abbracciato l'un l'altro messi al muro da Francia, armato di scatola con anelli e fiori, che li guardava con un'espressione perversa che non gli aveva visto in volto da decenni.

"Mon petits frères, accettare l'amore del vostro grand frère," disse la nazione francese; in risposa Lovino e Feliciano tentarono di diventare un tutt'uno col muro dietro di loro.

"Stai lontano da Italien!" esclamò Ludwig, temporaneamente dimentico del motivo per cui si stava nascondendo; prima che potesse avvicinarsi, però, fu battuto sul tempo da Arthur, che si gettò addosso a Francis facendo cadere fiori e anelli per terra.

"Dannata rana, che è questa storia che ti vuoi sposare!?" urlò, mettendosi a cavalcioni su di lui e scuotendolo per le spalle, "Se pensi che tornerò nella vostra stupida unione solo perché mi chiederai di sposarti sei uno sciocco!"

Francis si ridestò dalla sua modalità perversa e guardò Arthur confuso: "S-Sposarti?"

"Of course! non fare il finto tonto, lo so che hai un anello anche per me!" disse l'inglese, stizzito.

"A-Anglettere je suis desolè, io non ho un anello per te," disse, per poi sorridere maliziosamente quando, per pochi attimi, vide la delusione negli occhi dell'altro, "Ma se vuoi posso rimedi- Ah!"

"Damn french frog!" strillò Arthur mettendogli le mani al collo e stringendo con forza, lasciando la presa solo quando Francis gli fece il solletico sotto le ascelle e ribaltò le loro posizioni. I due cominciarono ad azzuffarsi in mezzo al corridoio, e Ludwig ne approfittò per prendere Feliciano e Lovino e portarli via, tornando davanti allo stanzino dove Larsen si stava stringendo il ponte del naso dall'esasperazione e Laura sembrava più che divertita da quanto appena viso. Si sentì un po' irritato da questo ultimo particolare.

"Andiamocene, ne avranno ancora per molto," disse, guardando malamente la nazione belga mentre questa faceva un piccolo inchino e se ne andava dalla parte opposta alla loro. Notò solo allora la presenza di Marco, semi nascosto dietro l'entrata del corridoio; era sicuramente stato lui a indirizzare Feliciano e Lovino nella loro fuga verso la posizione di Laura, e ebbe conferma della sua teoria quando i due si diedero il cinque ridendo.

Che atteggiamento infantile, lo avrebbe sicuramente sottolineato alla prossima riunione.








Omake

"Sapete," Sébastien tirò su col naso, il dito che girava attorno al bordo dell'ottavo boccale di birra che si era scolato quella sera, "Non volevo sposarvi."

"Ma non l'avrei mai detto," replicò Marco, massaggiandosi gli occhi mentre i bicchieri di grappa cominciavano a fare effetto.

"C'era qualcuno che voleva questo matrimo- Duitsland taci!" disse Laura lanciando un'occhiatacci al diretto interessato, che mestamente riabbassò la mano, "Non avresti mai sposato solo Veneziano!"

"Sono solo un uomo innamorato," si lamentò Georg, trasalendo indignato quando ricevette sguardi esasperati.

"Non è quello," Sébastien guardò i suoi coniugi con due grossi lacrimoni agli occhi, "Pensavo che fosse un errore, che non avrebbe mai funzionato tra di noi."

"Definisci funzionare," disse Christian, sorseggiando la sua birra.

"Non questa Europäesch Unioun," esclamò e un brivido scosse la schiena degli altri sei.

Già, l'Unione europea. L'equivalente della Federazione europea in questa dimensione. Cristo che disastro era se comparato a quando loro sette avevano creato nel corso del loro matrimonio.

"Pensavo che il peggio fossero Veneziano e Romano che spendevano troppo, o Frankreich che lascia gli asciugamani sporchi in giro dopo che si è lavato, o Deutchland che continua a portare a casa animali, o Niederlande che in qualche modo distrugge tutti gli elettrodomestici, o Belgie e il suo continuare ad ordinare cibo perché non le va di cucinare e per questo continua a sforare il budget mensile."

"Ma hey abbiamo anche dei difetti," ironizzò Matteo, carezzando il capo bruno della nazione belga poggiato contro il suo petto quando la sentì pronta ad insultare il fratello

"Quello che voglio dire è," Sébastien non riusciva più a trattenere i singhiozzi, che quello stato fosse dovuto alle forti emozioni della giornata al Parlamento europeo o ai litri di birra era difficile dirlo, "Sono così contento di avervi sposato!"

I sei guardarono la nazione lussemburghese piangere disperato sul proprio boccale di birra con un enorme gocciolone dietro la testa, ma poco dopo il loro sguardo andò sulle fedi attorno ai propri anulari, il simbolo di quello che ancora percepivano come un peso ma non più insostenibile come un tempo.

E un po' compresero quello che Sébastien voleva dire.

"Vi voglio tano bene!" continuò gettandosi addosso a Jean, il quale riuscì a stento a tenersi sulla sedia, trasalendo e arrossendo quando si rese conto di quanto fossero vicini i loro volti.

"Luxembourg per cortesia!" urlò attirando l'attenzione dell'intero locale per sua somma vergogna, "Staccatemelo di dosso-"

"Frankreich ich liebe dich-" sbiaschicò, strofinando la guancia contro la barba della naziona francese, il quale stava ormai andando nel panico. Quando chiese di nuovo aiuto trovò gli altri cinque piegati in due dal ridere e Laura intenta a filmarli col proprio telefono.

"Giuro chiedo il divorzio!"

"Frankreich je t'aime, ti voglio bene! Anche a voi altri, vi amo a tutti!"

"Luxembourg tu sei ubriaco!"

"Ja lo so, domani mi pentirò di tutto questo," disse con improvvisa lucidità, poggiando la testa sulla spalla del francese, "Ma ho bisogno di togliermi questo peso da-" si interruppe, e nel giro di pochi secondi il suo viso da pallido divenne verde.

Jean si rassegnò, limitandosi a sospirare quando Sébastien gli vomitò addosso.

"Karma," si limitò a dire Marco, ridendo quando Jean lo guardò esasperato.  



 

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Capitolo 23
*** Incontri del 2p tipo - Parte II ***


Titolo: Incontri del 2p tipo Parte II

Personaggi (1p | 2p): Prussia (Gilbet Beilschmidt | Wilhelm Beilschmidt);  Nord Italia (Feliciano Vargas | Marco Vargas); Canada ( Matthew Williams | Lorenza Williams); Germania (Ludwig Beilschmidt | Georg Joseph Beilschmidt);

Genere: Commedia, Malinconico

Coppie: GerIta

Avvertimenti: Un po' meno demenzialità di prima

Note aggiuntive: Nulla mi ha ispirato per Spagna, quindi niente interazion con lui. In compenso abbiamo un Gilbert abbastanza confuso, piccolo ancielo. Spagna ce lo giochiamo per la fic Spamano, daje.
Questo sarà con ogni probabilità l'uòtimo update prima di dicembre: ho un botto di roba da fare e il tempo per scrivere è veramente poco - la fic con Olanda è in stallo quindi penso mi dedichero alla Spamano.
Ricompariranno gli 1p in futuro? Penso che ci sarà una terza parte, ma non saranno il modo con cui la raccolta si chiuderà - quel capitolo sarà dedicato ad un certo matrimonio... - del resto sono stata la prima a farsi più di una risata scrivendo queste sotrie lol. Spero strapperà una risata anche a voi.

Enjoy!



 



XX.XX.20XX 22:35
-Mood of the day: Confuso -

Caro diario,

questa storia delle dimensioni parallele mi aveva eccitato all'inizio, ma più passa il tempo più mi rendo conto che forse non è stata tutta sta gran cosa stabilire relazioni diplomatiche con questi tizi.

Il mio alter ego non è affatto magnifico, sembra abbia una scopa nel culo peggio di quel damerino di Österreich, come può il magnifico me essere un tale perdente nelle altre dimensioni?! Oh per no parlare poi del suo caratteraccio, ugh! Così timorato di Dio, così scontroso, così altezzoso, così poco magnifico! Ma devo ritenermi fortunato perché se il Preussen dell'altra dimensione fosse stato anche un minimo come l'altro West mi sarei sparato. Povero il mio bruder, che essere rozzo ha come controparte! Penso che la sua ossessione per l'altro Italien rivaleggi quella di Belarus per Russland per quanto è inquietante. E l'altro Italien, Gott come è potuto accadere?! Quel Italien è così scorbutico e insolente, tutto il contrario di quanto è carino e coccoloso il mio, di Italien. Poi cos'è questa storia del matrimonio?! Sposati in sette, quando mai si è visto, nemmeno Österreich nei suoi tempi migliori è stato bigamo, figurarsi prendersi sei consorti! E Frankreich! Come gli è venuto in mente di andare a chiedere la mano di West senza consultarmi! Non si fa così! Non che avrei approvato, sia chiaro, ma è il minimo che mi chieda il permesso, sono il suo fratello maggiore e tutore! Ho l'impressione che il Frankreich dell'altra dimensione non mi avrebbe mancato di rispetto in questo modo! Anche se è così indolente che mi fa arrabbiare. Alla fine preferisco il nostro di Frankreich, ma dovrà impegnarsi per farsi perdonare per questa storia del matrimonio, specie per come ha trattato il mio Veneziano e Romano - anche se non ho capito cosa c'entri l'altra Belgie con questa storia, ma comunque.

L'unico che mi piace fino ad adesso è quell'altro Österreich, lui si che sa stare al mondo! È sempre cortese con tutti e ascolta un sacco di musica diversa! Chi mai l'avrebbe detto che sarei riuscito ad andare d'accordo con un austriaco?

Non ho avuto modo di incontrare l'altra Ungarn, però, da quanto ho capito l'altro Russland tiene mezzo est Europa al guinzaglio. Chissà se è anche lei un maschiaccio come la mia di Ungarn. Devo poi indagare su questa storia del lancio di Poland sembra divertente ksesesese.

Ho appena riletto quanto ho scritto e mi è venuto il mal di testa. Ugh che situazione poco magnifica!








Ludwig non sopportava il suo alter ego. Avrebbe voluto poter usare termini meno forti per descrivere la relazione tra lui e Georg, ma non ce ne erano. Tra l'altro sospettava che l'antipatia fosse reciproca, specie dopo il fiasco che era stato l'incontro bilaterale tra Unione europea e la Federazione. Non credeva di aver mai conosciuto qualcuno di meno compatibile: Georg era un casinista, inopportuno, completamente ossessionato dall'Italia della sua dimensione, poco paziente, poco professionale, poco attento, poco influente e lo aveva già detto che era l'essere più caotico che avesse mai visto?

E no, Feliciano, non è vero che: "Georg sei tu da ubriaco ve", danke shon!

"Mein liebe!"

Ecco, appunto.

Con vago disgusto Ludwig osservò Marco accasciarsi sul tavolo dall'esasperazione mentre Georg gli si avvicinava con un sorriso a trentadue denti e un'espressione trasognata - Ludwig pregò che mai il suo volto avrebbe assunto quell'espressione.

"Mein liebe, amore mio, ti ho cercato dappertutto."

"Immagino," disse Marco con voce incolore, rimettendosi seduto composto.

"La tua vista mi allieta le giornate."

"Vorrei poter dire lo stesso."

Ludwig non riusciva a capire come il suo alter ego non fosse minimamente toccato da quell'atteggiamento scontroso.

"Ne hai ancora per molto?"

"Si."
"Allora ti aspetto."

"Guarda che la capa voleva parlarti."

"Può aspettare."

"Germania, vai dalla capa per favore." Ludwig vide una vena cominciare a pulsare sulla fronte di Marco quando Georg lo abbracciò da dietro e posò il mento sulla sua spalla.

"Possiamo andarci assieme dopo."

"Germania."

Che brutto effetto sentire un tono così minaccioso con la voce di Feliciano. In quel momento i suoi occhi si posarono sulla fede sulla mano sinistra di Georg e di Marco e ricacciò subito nei meandri della sua mente il ricordo di quel disgraziato giorno di San Valentino e di un cameriere omofobo.

Sussultò quando Marco si alzò improvvisamente in piedi, si liberò dalla stretta di Georg e gli mollò un pugno sulla testa con una forza inaspettata per uno così mingherlino, per poi marciare verso la macchinetta del caffè. Massaggiandosi il bernoccolo, Georg si mise seduto al post del suo amato liebe senza tuttavia perdere un centimetro del suo sorriso adorante.

"Non è bellissimo quando è arrabbiato?"

Ludwig non sapeva se fosse una domanda retorica e preferì non rispondere.

"Io e Italien stavamo discutendo di cose importanti," disse invece, infastidito da quella interruzione.

"Puoi dirle anche a me, sono suo marito dopotutto," replicò Georg mentre adocchiava i fogli con l'oggetto della loro discussione.

"Sono cose importanti che non dovrebbero essere divulgate a terzi."

L'atmosfera si fece improvvisamente gelida; il modo in cui Georg lo guardò lo fece scattare sull'attenti.

"Ah si?" chiese, prendendo uno dei fogli e leggendolo velocemente, "E sentiamo, cosa mai dovresti dire a mio marito che non posso sapere?"

"I-Io non intendevo in quel senso," si affrettò a precisare, reprimendo l'istinto che gli diceva di andarsene o prepararsi al peggio.

"Sia io che Italien siamo la Föderation, non vedo il motivo di questa segretezza."

"N-Non c'è alcuna segretezza!"

"Se non devono essere divulgate a terzi devono essere mantenute segrete," disse, ritorcendogli contro le sue stesse parole. Ludwig imprecò mentalmente, non capendo il perché di quel improvviso cambio d'umore.

"Si ma-"

"Georg!"

Un secondo pugno colpì l'altra nazione sulla testa, e di colpo quell'atmosfera tesa si dissolse.

"Smettila di fare il geloso, stavamo parlando di economia," disse Marco, posando la merendina che si era preso alle macchinette sul tavolo, "Alzati dai, prima finiamo prima possiamo andare da *** "

Georg non si mosse dalla sua posizione, continuando a massaggiarsi la testa dolorante ma trovando comunque la forza di ghignare malizioso.

"Penso di stare benissimo dove sono," disse per poi poggiarsi contro il poggia schiena e aprire le gambe, un chiaro invito ad usarle come sedia. Ludwig dovette reprime un conato di vomito.

Marco prese un profondo respirò, si avvicinò ad un altro tavolo, prese una sedia, tornò da Ludwig e Georg e piantò la sedia sopra il piede di quest'ultimo prima di sedersi, ignorando i lamenti di dolore del consorte.

"Ignoralo, tanto abbaia ma non morde," disse, per poi dare delle piccole pacche sulla testa di Georg come a consolarlo, "Dove eravamo?"







L'odore del caffè e quello dolce dello sciroppo d'acero stuzzicavano piacevolmente il suo olfatto, ma il fatto che sapeva di non essere a casa rovina un po' quella sensazione. Quella Ottawa era uguale alla sua ad una prima occhiata ma i piccoli particolari - i muri puliti, le strade ordinate, le persone più cortesi - rendevano chiaro il fatto che quella terra così familiare fosse per lui straniera. I paradossi dei viaggi interdimensionali.

"I'm sorry spero che vada a bene non avevo molto altro per la colazione," mormorò Matthew mentre si sedeva al lato opposto del tavolo, lo sguardo basso e il sorriso di cortesia tremante. Lorenz ammirava il suo cercare di mantenere un certo contegno, probabilmente al suo posto sarebbe già caduto vittima di una crisi di nervi: l'incontro bilaterale si sarebbe dovuto tenere inizialmente a Toronto, ma era stato spostato nella capitale dopo che il capo di Lorenz aveva dovuto ammettere che la loro, di Toronto, erano più di cinquant'anni che non c'era più, vittima di un esperimento nucleare durante la Terza guerra. A quel punto era sembrato indelicato iniziare il summit nella città più popolosa del Canada, e Matthew non sembrava ancora in grado di elaborare quella notizia.

A Lorenz dispiaceva, ma non era colpa sua se la sua dimensione era un tale disastro da quel punto di vista.

"No, figurati, anzi ti ringrazio per aver cucinato per me," rispose, cercando di trovare la forza di ricambiare quel debole sorriso: era ospite a casa d'altri e Matthew si era impegnato per offrigli un pasto con quanto aveva nella sua residenza di Ottawa - risiedeva a Toronto quando non lavorava, perciò non aveva molto lì a disposizione specie se c'era una bocca in più da sfamare - mostrarsi grato era il minimo che potesse fare. Non ci riuscì: non era abituato a sorridere.

"Spero che ti piaccia."

"L'odore è buono," disse, maledicendo la propria inabilità a comunicare normalmente con le persone. Che razza di risposte stava dando?!

Matthew non perse un millimetro del suo sorriso, annuendo senza risultare infastidito da quella goffaggine.

Iniziarono a mangiare in silenzio. Le frittelle dolci ricoperte di sciroppo d'acero erano deliziose e Lorenz le mangiò con la sua solita voracità, realizzando solo in un secondo momento di star probabilmente facendo figura del maleducato senza alcuna maniera a tavola. Afferrò un tovagliolo e si ripulì il viso, scusandosi con la bocca ancora piena, arrossendo quando dei pezzetti di frittella finirono sul tavolo.

"Tranquillo, vuol dire che ho cucinato bene," rispose Matthew, servendogli dell'altro caffè.

"S-Scusami."

"Non ce ne è motivo, vuoi del latte?"

"N-No thank you."

Matthew annuì, per poi guardarlo preoccupato: "Senti, ieri ho parlato con America, il mio America, Alfred. Mi ha detto una cosa che ti riguarda."

Lorenza aveva già intuito di cosa stesse parlando, e sentì la vena sul suo collo pulsare mentre la rabbia iniziava a montare: "Cioe?"

"Alfred mi ha detto che sei... Ehm, occupato," disse, per poi mordersi il labbro, "Che la European Federation ti-"

"È falso," si affrettò a dire, mangiando un'altra frittella, "Immagino che glielo abbia detto il mio America."

"Um..."

"Timothy è arrabbiato perché mi sono rifiutato di sposarlo," spiegò, ignorando il modo in cui l'altro trasalì a quella notizia, "Con France e gli altri ho un accordo commerciale, nulla di più."

"O-Oh," Matthew sembrava ancora più scosso, non aveva toccato quasi nulla del proprio cibo, "Q-Qundi-"

"I miei cittatidini e cittadini entrano senza visto nei loro territori e viceversa, e non pago sovratasse per i miei prodotti. Tutto qui," disse per poi bere un sorso di caffè, "Siccome non faccio come dice Ame- Timothy, allora sono una nazione occupata."

"C-Capisco," mormorò, stuzzicando con una forchetta la propria porzione di frittelle. L'orsetto bianco al suo fianco, vedendolo stranamente poco incline a mangiare il suo piatto preferito, iniziò a punzecchiarlo con una zampa nel tentativo di capire cosa gli passasse per la testa.

"Dimmi Kumajirou, vuoi un po' di frittelle anche tu?"

"Non stai mangiando," osservò l'orsetto.

"Ah um, n-non ho molta fame ho mangiato molto a cena ieri."

"Ma hai saltato la ce-" Matthew si affrettò a chiudere il muso di Kumajirou per poi voltarsi verso Lorenz, imbarazzato.

"N-Non fare caso a quello che dice, ogni tanto straparla," si giustificò, mantenendo salda la presa sull'animale che cercava di liberarsi.

"Anche il mio ogni tanto non sa stare zitto," disse Lorenz, osservando Kumajirou con curiosità.

"Oh hai un animale da compagnia anche tu?"

Lorenz annuì: "È... Come dire, un po' diverso dal tuo."

Diverso che piuttosto che un tenero orsacchiotto il suo Kumajirou era più simile ad un vero orso bianco, anche nell'indole. Ma era meglio che questo Matthew non lo sapesse, sembrava sconvolto ogni volta che veniva a scoprire cose nuove riguardo la sua dimensione: era la prima volta che vedeva i suoi occhi brillare in quel modo.

"Oh, mi piacerebbe conoscerlo un giorno."

Lorenz trasalì: "Um... O-Okay?"

Matthew gli sorrise e stavolta prese anche lui a mangiare le frittelle, gustandosi il suo amato sciroppo d'acero.

"Ma tu chi sei?" chiese all'improvviso Kumajirou, rovinando la lieva atmosfera.

"S-Sono Canada" rispose Matthew, mesto. Lorenz non seppe come reagire a quella scena e preferì tacere.

"T-Tu parli anche francese immagino," disse, cercando di cambiare argomento. Doveva aver scelto quello sbagliato a giudicare dall'aria ancora più triste che circondò Matthew.

"O-Oui," rispose, "S-Sono stato cresciuto da France per un po'."

Oh.

"Moi aussi," disse Lorenz, mentre sentiva un familiare groppo formarsi nella sua gola.

"Non ho ancora avuto modo di studiare la vostra storia ma so che il vostro America non è diventato indipendende nel 1776," disse Matthew, sperando di non star tirando fuori un argomento delicato per l'altra nazione.

Lorenz scosse la testa: "France aiuto England a gestire la situazione e ci amministrarono insieme per qualche anno. Poi ci fu la rivoluzione da France e io passai sotto England," spiegò, la voce piena di nostalgia per quella decade che ricordava come la più felice della sua vita.

"America ottenne l'indipendenzqa nel 1789?"

"Nel 1812," lo corresse, "Approfittò del fatto che England si era indebolito a causa di quel generale corso a capo di France e tagliò i ponti con lui."

Sia Matthew che Kumajirou ascoltarono quella valanga di informazioni a bocca aperta.

"Come ha fatto a diventare così forte? In genere una colonia rimane debole a lungo dopo l'indipendenza."

Ci erano volute decadi prima che Alfred diventasse una superpotenza,

"Timothy aveva dei privilegi che le altre colonie non avevano," spiegò, "England investì molto su di lui. Forse troppo. Lo rese molto forte, credo non pensasse che si sarebbe rivoltato un'altra volta contro di lui."

Lo sguardo di Matthew si adombrò. Si chiese se una cosa simile fosse avvenuta anche in questa dimensione.

"Capisco," disse. La fame doveva essergli passata di nuovo perché non toccò più le sue frittelle.

Lorenz non seppe che altro dire, e per evitare di peggiorare la situazione preferì mantenere quell'imabrazzante silenzio.






Quando Feliciano si era seduto vicino al suo alter ego non aveva bene in mente che cosa dire o fare. Come suo solito, aveva agito senza pensarci troppo su: lo aveva visto dondolarsi su un'altalena nel parco vicino al centro congressi e aveva deciso di fargli compagnia. Certo, l'occhiataccia che gli era stata lanciata lo aveva intimorito, ma Marco non gli aveva detto di andarsene via, pertanto lo aveva considerato un silenzioso assenso alla sua presenza.

Soltanto che poi era calato un silenzio imbarazzante: Marco non sembrava voler iniziare alcuna conversazione, e Feliciano riusciva a pensare solo ad un'unica domanda da chiedere, domanda che però poteva risultare inopportuna e Marco non gli aveva dato l'impresisone di essere un tipo molto paziente.

Dopo qualche minuto passato a sentire soltanto il rumore rugginoso dell'altalena, Feliciano non riuscì più a trattenersi: "Come avete fatto a sposarvi in sette?"
Il sopracciglio di Marco ebbe un lieve spasmo e le sue mani si strinsero a pungo. Feliciano deglutì ma ricacciò dentro l'istinto di correre via - cosa che fu particolarmente difficile quando gli occhi violetti dell'altro si fissarono nei suoi.

"Sei venuto fino a qua a fare il palo come un idiota per dieci minuti solo per farmi una domanda del cazzo?" chiese con una proprietà di linguaggio che rivaleggiava quella di Lovino.

"E-Ero solo curioso," balbettò, sentendosi messo in soggezione. Non era abituato a vedere il proprio volto così contrito e teso.

Marco lo guardò a lungo, per poi sospirare e tornare a guardare un luogo non meglio precisato davanti a sé. "Non lo abbiamo voluto noi," disse, "Hanno fatto tutto i nostri capi. Noi siamo stati informati a fatto compiuto."

Feliciano rimase stupito e un po' dispiaciuto da quella risposta. Non che si fosse aspettato una storia d'amore degna del mondo delle favole - non gli sembrava ci fosse molto amore tra le sette nazioni che componevano la Federazione - però aveva sperato che ci fosse stato almeno un comune accordo. A quanto pare le nazioni non poteva sfuggire ai capricci degli uomini neanche in altri mondi.

"Se stai per dire che ti dispiace giuro ti prendo a calci," lo minacciò Marco, ma la sua rabbia si mutò in perplessità quando vide Feliciano aggrapparsi alla catena dell'altalena, terrorizzato "Che diavolo-"

"P-Perdonami n-non farmi del male," implorò, vergognandosi un poco quando l'altro roteò gli occhi e si portò una mano alla fronte per l'esasperazione. La sua attenzione venne catturata  dall'anulare, dove capeggiavano una fede d'oro e un brillante d'argento.

"S-Sono molto belli," disse in automatico; Marco seguì il suo sguardo, e la sua espressione si indurì di nuovo.

"Grazie," sbottò, riportando la mano sul grembo e giocherellando con quei gioielli.

Feliciano, ancora una volta, non seppe resistere alla propria curiosità: "Posso vederlo?"

Marco, però, sembrava si aspettasse una richiesta simile: dopo un attimo di tentennamento si tolse la fede e gliela porse. Feliciano la prese delicatamente e se la rigirò tra le dita, ammirando la brillantezza del metallo e le sette piccole stelle incise all'interno. Ebbe l'impulso di indossarlo ma stavolta riuscì a trattenersi.

"È molto bello," commentò, sentendosi tutto d'un tratto inspiegabilmente malinconico, "Da quanto siete sposati?"

"Trentun anni," rispose l'altra nazione, guardandolo con curiosità.

Feliciano gli ridiede la fede ed indicò l'altro anello, "E quello?"

Marco si irrigidì, il suo pollice andò subito a posarsi sul brillante, "Non sono affari tuoi,"

"Ve, scusami."

L'altra nazione non rimise la fede, tenendola in mano mentre carezzava quello che ancora aveva al dito. "Non stai con nessuno tu?" chiese infine, senza guardarlo negli occhi.

Feliciano rimase sorpreso da quella domanda: "Um no, non sono mia stato... sposato," disse mentre il suo pensiero andò automaticamente a quel primo amore che tanto lo aveva segnato.

"Non intendo quello, intendo... Non hai un amante?"

Feliciano inclinò il capo, perplesso: "Intendi un essere umano?"

Marco gli lanciò un'occhiataccia che lo fece trasalire: "Mi stai prendendo per il culo per caso?"

"V-Ve io-"

"Una nazione, Feliciano, qualcun altro come noi," precisò infine.

Scosse la testa. Marco sembrò dispiaciuto da quella risposta: "Capisco."

"Ve, te l'ha regalata una nazione quell'anello?" chiese.

Marco non disse nulla, ma la risposta era ovvia e Feliciano pensava anche di sapere chi fosse suddetta nazione. Qualche giorno prima si era trovato davanti una scena che lo aveva lasciato un po' straniato: davanti ad una delle grandi finestre di un corridoio laterale da cui entrava la luce dell'inizio del tramonto Georg e Marco si stavano abbracciando in un modo particolarmente intenso; Georg se lo teneva stretto addosso con una braccio attorno alla vita e una mano sulla nuca, il volto premuto contro i suoi capelli rossi, e si stava dondolando piano come a cullare l'altra nazione, che stava con la testa poggiata contro il suo petto e gli occhi chiusi, un lieve tremore a scuotergli il corpo. Feliciano ebbe l'impressione che non avrebbe dovuto assistere a quella scena e si era quindi defilato in fretta e furia, ma non era riuscito a togliersela dalla testa. La sera l'aveva riprodotta su alcuni schizzi, cercando di ricreare il modo in cui la luce del tramonto creava un alone aranciastro attorno alle due nazioni; si era bloccato quando si era reso conto che più che le nazioni dell'altra dimensione quello che aveva disegnata sembravano più lui e Ludwig. Ludwig l'aveva abbracciato in modo simile solo due volte: quando si erano rivisti negli anni Cinquanta e quando il muro di Berlino era crollato; tuttavia, la differenza tra l'abbraccio nei suoi ricordi e quello del disegno era palpabile: quello tra lui e Ludwig era un abbraccio tra amici, due persone che si volevano bene; quella di Georg era la stretta di una persona innamorata che si fa ancora per il suo amato.

Probabilmente, se avesse chiesto avrebbe negato - anche se non ne sapeva ne comprendeva il motivo - ma Feliciano era relativamente sicuro del fatto che Marco e Georg stessero assieme al di là del loro matrimonio, poco importa quante volte Marco respingesse le avance del tedesco o si mostrasse infastidito dalla sua eccessiva gelosia.

Questo tipo di amore non aveva mai un lieto fine per esseri come loro.

Quando Marco si alzò dall'altalena si irrigidì.

"Ti aspettano," gli disse, indicanto con un movimento del capo dietro di lui. Feliciano si voltò e fu sorpreso di vedere Ludwig, in piedi davanti l'entrata del parco, che li guardava con curiosità. Quando si accorse di essere stato visto accennò un saluto con la mano.

"Ve, Germania arrivo," gli urlò saltando in piedi con rinnovato entusiasmo che si estinse come una fiamma contro il vento quando si voltò e vide come  Marco lo stava guardando: non proprio fastidio ma neanche l'esasperazione di prima, sembrava quasi... nostalgia?

"Ci vediamo domani," gli disse accennando un sorriso prima incamminarsi verso l'uscita. Quando fu vicino a Germania sorrise anche lui per poi allotanarsi. Feliciano non capiva come quel sorriso non raggiugesse mai i suoi occhi.

"Italien, tutto okay, ti ha detto qualcosa?"

Sussultò: non si era accorto che Ludwig si era avvicinato.

"N-No ve, gli ho chiesto di vedere gli anelli," disse, inclinando il capo quando un rossore si spanse sulle guance del suo amico.

"N-Non parliamo di anelli per favore," lo pregò, nascondendo l'imbarazzo in un colpo di tosse che coprì con una mano. Feliciano notò che i muscoli del braccio erano visibili anche sotto la giacca del completo che indossava, e gli venne di nuovo in mente il modo con cui le braccia di Georg, molto simili a quelle di Ludwig, avevano stretto Marco in quel corridoio.

Farsi ancora per la persona amata. Chissà quanto Marco si sentiva al sicuro tra quelle braccia. Avrebbe mai potuto ambire a sentire una simile sensazione?

"Feli, tutto okay?"

"Ve si si," Feliciano gli sorrise, ignorando lo sguardo preoccupato dell'altro, "Andiamo a cena fuori stasera?"

Ludwig fece come per dire qualcosa ma si trattenne; arrossendo, accondentì: "Offro io."

"Ve, grazie Ludi!" gli disse saltandogli addosso. Sentì un brivido lungo la schiena quando le braccia di Ludwig gli circondarono la vita per afferrarlo al volo, una stretta impacciata ma salda e sicura. E un po' si rincuorò.






Un mondo dove quel boom tanto temuto non c'era stato.

Un mondo dove non era sposato.

Un mondo dove Germania non lo stalkerava tutto il tempo dichiarando al mondo il suo amore.

Marco si rigirò l'anello che Georg gli aveva regalato tra le dita: era perfetto per il suo anulare, d'argento, con un brillante violetto con spruzzate di oro come i suoi occhi. Dentro c'era inciso '14.02.1993', il primo San Valentino da quando si erano messi assieme. Georg voleva che avesse un pegno del suo amore, un qualcosa che simboleggiasse il loro rapporto al di fuori del matrimonio, dell'essere incarnazioni di nazioni. Qualcosa che fosse solo di Marco e Georg e di nessun altro.

Era rimasto a bocca aperta quando il tedesco gli aveva mostrato la scatolina con dentro l'anello, si era sentito un po' sciocco quando aveva sentito il labbro tremare e gli occhi pizzicare, e si era chiesto se un essere umano normale si sentisse così quando era fatta una proposta di matrimonio e l'anello scivolava sul suo anulare fino alla base, col cuore che batteva all'impazzata e brividi che ricoprivano tutto il corpo e al testa leggera e la voglia di ridere e piangere assieme. Travolto da quei sentimenti contrastanti, Marco aveva nascosto il viso contro il petto nudo di Georg e lo aveva maledetto perché avevano appena finito di fare l'amore e necessitavano di una doccia e l'anello si sarebbe rovinato con l'acqua e Georg se lo era stretto contro ridendo finché non aveva finito i suoi improperi, poi lo aveva baciato e avevano fatto l'amore di nuovo senza mai lasciare la sua mano sinistra.

Ed erano durati, contro le aspettative di molti e i malauguri di Matteo - che per quanto non approvasse mai si era comunque messo in mezzo - e faceva strano vedere un mondo dove non si amavano ma rimanevano solo amici - anche se, doveva ammetterlo, Feliciano e Ludwig avevano una strana definizione di amicizia. Quando lo aveva saputo gli si era stretto lo stomaco e aveva quasi avuto una crisi delle sue e menomale Georg lo aveva subito preso da parte e se lo era stretto contro, rassicurandolo e mantenendolo lucido.

Gli capitava molte volte di perdersi nei 'se' ma mai uno di quei 'se' si era concretrizzato in quel modo.

Marco poggiò il capo contro il muro, respirando l'aria calda della doccia mentre l'acqua gli scorreva lungo il viso.,

Un mondo dove quel boom tanto temuto non c'era stato e non doveva combattere con il fallout di quella guerra era anche il mondo dove non si era mai sposato e aveva costurito con lacrime e sangue una potenza regionale. E, per quanto fosse smielato, un mondo dove Germania non lo amava non era un mondo dove lui voleva vivere.

Si sfregò la faccia, si alzò in piedi dal pavimento della doccia e chiuse l'acqua; senza asciugarsi indossò al volo una canotta di Georg e i boxer, per poi rientrare nella stanza di albergo, trovano la nazione germanica sdraiata sul letto intento a leggere un libro.

"Ci hai messo tanto," gli disse Georg quando si accorse della sua presenza; quando non ricevette risposta si mise seduto e lo guardò preoccupato, "Tutto okay liebe?"

Marco inclinò il capo. Georg aveva i capelli arruffati dal cuscino e i segni della federa sulla guancia, il pigiama gli stava troppo largo e intravedeva parte del suo petto possente dal colletto e da solo occupava la maggior parte del letto a una piazza e mezzo. Era bello, e tutto suo.

"Si, ho riflettuto su un po' di cose," disse mentre si avvicinava, poggiò la fede nunziale sul comodino, vicino a quella del tedesco, e si mise seduto accanto a lui.

"Su che?" chiese, tirandoselo contro.

"Niente di che," Marco fece spalluce, baciando via il broncio che si era formato sulle labbra dell'altro.

"Liebe, non dovresti nascondermi le cose."

"Non ho nulla da nascondere," replicò, carezzandogli al guancia segnata. Georg gli prese quella mano e pose un bacio sull'anello: "Se posso aiutarti..."

"Fai fin troppo onestamente," ammise, poggiando la fronte calda sulla sua spalla. Georg lo strinse ancora di più-

"Non è mai troppo, non per te," gli sussurrò, e Marco sorrise contro il suo collo prima lasciare una scia di baci, fino a risalire al mento e all'orecchio.

"Fai l'amore con me," disse, e rise quando Georg lo ribaltò e se lo mise sotto, spogliandolo e spogliandosi per poi fare come richiesto.

 

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Capitolo 24
*** Le vacanze unite ***


Titolo: Le vacanze unite

Personaggi: Germania (Georg Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Commedia

Avvertimenti: Nessuno

Note aggiuntive: questo è un piccolo capitolo transitorio in attesa dello speciale di Natale, che spero di far uscire per tempo. Gli eventi che vedete qua scritti sono ispirati a fatti reali e ho avuto il permesso di rimaneggiarli per la fic, lol. Le avventure dei paesini di montagna.
Purtroppo ancora non potrò tornare a postare settimanalmente, tra roba nella vita reale e il bingo a cui sto parteciopando su Ao3 - ci saranno anche fic su Hetalia, ma in inglese se vi interessa.

Spero questa fic vi strappi una risata.

Enjoy.

 



Una vacanza sembrava l'ideale per aiutarli a rafforzare il loro rapporto in vista delle future nozze - una data ancora non concordata ma che pendeva sulle teste delle sette nazioni come una spada di Democle a cui ognuno di loro reagiva alla sua maniera: chi bestemmiando, chi ripensando a tutta la propria vita cercando di capire come si fosse arrivati a quel momento, chi sperando che gli altri si sarebbero fatti da parte per coronare la propria personale fantasia amorosa, chi fumando una certa erbetta per rilassarsi, chi sommergendosi nel lavoro, chi facendo shopping provocando imprecazioni in quello che si sommergeva di lavoro perché gli faceva sballare tutti i conti.

E fino a quel momento, c'era da ammetterlo, era tutto filato liscio in quella piccola vacanza nonostante qualche intoppo: avevano affittato una piccola casa a due piani in un borgo montano di poche anime a 900m di altezza; le stanze, piccole ma confortevoli, erano state divise senza che ci fossero stati chissà che litigi - salvo un'unica ma efficace minaccia di castrazione da parte di Romano nei confronti di Germania quando questi si era offerto di condividere la camera con Veneziano (leggasi anche come: era entrato di soppiatto in suddetta stanza facendo prendere un colpo a Veneziano per ripararsi dalle schippettate del fucile di Romano) - le piste da sci funzionavano a pieno regime, le persone erano ospitali, il cibo buono e saziante. Qualche sera fa, guidati dalle bottiglie di vino che avevano accompagnato la cena, si erano lasciati andare ad una battaglia a suon di palle di neve che li aveva lasciati bagnati, infreddoliti, divertiti e rilassati come non accadeva da anni - più tardi quella sera, Veneziano aveva addirittura accettato la sua proposita di coccolarsi un poco per scaldarsi quando si erano infilati nel letto, senza neanche provare a respingerlo, evento che aveva pompato Germania di seratonina e portato ad una piacevole conclusione della giornata.

Purtroppo, poco dopo la fortuna aveva deciso di girare, ed ecco spiegato il motivo per cui lui e Italia del Nord stavano bussando di casa in casa a chiedere in prestito una scala.

Il motivo?

"Io non ci voglio credere," ripeté per la millesima volta Romano mentre per la millesima volta cercava di infilare la chiave nella serratura, senza successo, "Io non ci voglio credere che hai lasciato la chiave dentro quando siamo usciti, non ci credo."

Dalla parte opposta della via Paesi bassi, rosso in volto dall'ubriachezza, rideva sguaiatamente mentre Lussemburgo incassava la testa nelle spalle, le guance più rosse di quelle del fratello.

"Beato te che ridi," si lamentò Romano, dando un calcio alla porta e quasi perdendo l'equilibrio - aveva davvero esagerato col vino quella sera.

"Meglio riderci su che piangere," disse Belgio, leggermente brilla anche lei, mentre cercava di rimettere in piedi i suoi fratelli, senza successo.

"Non faremmo prima a chiamare i vigili del fuoco?" chiese Francia, alzando lo sguardo al cielo, "Penso stia per piovere."

"Spiegaglielo te ai vigili del fuoco che il banchiere qua si è scordato la chiave dentro la porta prima di uscire." disse Romano, imprecando contro la serratura prima di arrendersi.

Lussemburgo sospirò: "Ho detto che mi dispiace."

"Fa caldo o sono io?" Paesi bassi si mise improvvisamente in piedi, serio, facendosi aria con una mano mentre con l'altra si apriva la giacca.

"Non cominciare a spogliarti, Holland" lo avvisò sua sorella, bloccandolo la sua mano prima che aprisse del tutto la cerniera.

"Ma che ci deve fare Veneziano con la scala?"

"Lascia perdere," rispose Romano mentre si avvicinava per aiutare i suoi presto consorti - ancora faticava ad associare quella parola ai suoi coinquilini - ad alzarsi.
Una volta in piedi, però, Lussemburgo ondeggiò pericolosamente avanti e indietro, e di avvinghiò di conseguenza a Francia il quale, non esattamente sobrio anche lui, a malapena riuscì a reggersi.

"L-Luxembourg riprenditi per favore," lo pregò il francese, sospirando quando l'altra nazione si accoccolò contro il suo collo come risposta nonostante questo lo costringesse a stare piegato in avanti in una posizione scomoda - era molto pià alto di lui, dopotutto.

"Frankreich profumi di buono," mormorò Lussemburgo con aria trasognata, guadagnandosi sguardi perplessi da parte degli altri tre.

"Ragazzi per favore non ce la faccio a reggerlo," si lamentò Francia, sentendosi privo di forze sia per il vino consumato che per la serata passata ad arrabbiarsi con le carte che lo avevano fatto perdere in continuazione contro gli altri sei a scala quaranta. Quando Lussemburgo alla fine ubbidì fu anche il momento in cui i pantaloni di Francia decisero, per qualche motivo legato a strane congiunzioni astrali, di cedere. Nel maldestro tentativo di reggere sia Lussemburgo e i propri pantaloni, Francia fece un passo indietro e scivolò sul terreno bagnato dalla neve, cadendo rovinosamente a terra e rimanendo in mutande e con l'altra nazione a schiacciarlo.

Tutto questo mentre la pioggia aveva deciso di iniziare a cadere proprio in quel esatto momento.

Paesi bassi quasi si sentì male dal ridere mentre Belgio e Romano si scambiavano un'occhiata esasperate.

Francia, troppo esausto per sentirsi imbarazzato, cercò di scostare Lussemburgo - la cui risposta a tutto quello era stata abbracciare la nazione francese e mugugnare qualcosa contro il suo petto su quanto fosse bello compilare le tasse se significava poter stare vicino a Francia - e mettersi seduto, bloccandosi quando vide Veneziano e Germania guardarlo con un'espressione indecifrabile e con una scala sotto il braccio dell'italiano.

"Non voglio sapere," disse Veneziano, scuotendo la testa mentre si avvicinava alla casa. Germania non lo seguì, limitandosi a guardarlo con timore e preoccupazione.

"Che devi fare con quella?" chiese Romano, sentendosi subito più lucido quando i suoi sensi da fratello maggiore gli indicavano un imminente disastro in cui sarebbe rimasto coinvolto il Settentrione se non fosse intervenuto .

"Tranquillo," disse Veneziano mentre poggiava la scala sul muro, sotto la finestra della camera di Paesi bassi e Lussemburgo.

"Tranquillo fece una brutta fine."

"Non essere drammatico, ringrazia piuttosto la maledetta abitudine di Paesi bassi di non chiudere le finestre."

"Che c'entro io?" chiese l'olandese, confuso, mentre Lussemburgo imprecava, "Allora è colpa tua se la camera è sempre fredda dummkopft!" e Francia di lamentava di non riuscire a respirare bene e di avere freddo alle gambe.

Tutti sussultarono quando Veneziano iniziò ad arrampicarsi sulla scala.

"Vene no!" Romano afferrò il fratello per una gamba bloccandolo, "Sei impazzito, scendi subito!"

"Se vuoi rimanere qua fuori a gelarti il culo stanotte fai pure, io vado al calduccio," replicò l'altro, cercando di cacciare via il Meridione con dei piccoli calci.

"Vene, sei troppo brillo per usare una scala!"

L'interpellato lanciò al fratello un'occhiataccia: "Roma per favore, sono il Veneto, la mia gente cresce a grappa e aperol sprits, pensi davvero che qualche bicchiere di vino mi faccia qualcosa?" disse, indignato, continuando ad usare la scala dopo essere riuscito a liberarsi dalla morsa del Meridione, "Tra tutti voi sono quello che regge meglio l'alcol."

Romano si voltò verso Germania, indicando Veneziano con le braccia: "Vuoi fare quacolsa tu?"

"Ci ho provato a dirgli che era una pessima idea," disse mesto, alzando le mani, "Non ha voluto sentire ragioni."

Romano bestemmiò: "Ma perché non pongo fine alle tue sofferenze?"

"Ci servono le sue industrie," disse Belgio, scrollando le spalle all'occhiataccia di Germania.

"Danke, eh."

"Prego Duitsland."

"Me lo ricorderò la prossima volta che ti riparo le strade."

"Quelle me le ripareranno i tuoi cittadini per venire a bere da me," disse la nazione belga, ghignango.

"W-Was?! Che vai dicendo?!"

"La mia birra è migliore della tua," Belgio ghignò, ignorando il sussulto dei suoi fratelli e di Francia. Quello di chi avesse la birra migliore era sempre stato oggetto di forte contesa tra lei e Germania, il quale infatto trasalì dall'indignazione.

"C-Come osi!" esclamò, stringendo i pugni.

"È vero, lo sanno tutti, giusto Romano?" chiese, rivolgendosi al Meridione facendo gli occhi dolci.

Di norma Germania non gli faceva paura, ma in quel momento non aveva con sé la propria lupara e l'occhiata raggelante del tedesco era un chiaro invito a scegliere bene le prossime parole che avrebbe detto con molta attenzione. Non volendo neanche litigare con Belgio, però, preferì una risposta democristiana: "Preferisco il vino."

"Romano!" lo chiamò Belgio, indignata dal mancato supporto, mentre Germania si voltò dall'altra parte stizzito.

"Qualcuno vuole aiutarmi?!" urlò Francia, esasperato, imprecando quando Paesi bassi gli cadde addosso cercando di fare quanto gli era stato richiesto.

Nel frattempo Veneziano, alternando imprecazioni e nominando invano il Signore, era riuscito ad aprire la finestra della camera di Lussembrugo e Paesi bassi e si era infilato dentro.

"Voglio sapere perché sai scassinare le finestre?" chiese Belgio, ridendo quando la risposta di Veneziano fu un dito medio.

Dopo qualche minuto il silenzio venne riempito dal rumore di una chiave che girava nella serratura, e il Settentrione aprì la porta, "Prego eh?" disse, facendo un piccolo inchino prima di rientrare. Germania afferrò Paesi bassi e Lussemburgo per la collottola ed entrò in casa, mentre Romano e Belgio aiutavano Francia a rialzarsi e a rivestirsi.







(Quella sera Belgio si rifiutò di far dormire Romano nel suo letto, costringendolo ad andare a dormire da Veneziano. Germania dovette di conseguenza andare a dormire sul divano, non volendo finire la serata a fare da mirino per una lupara.
Il giorno dopo Lussemburgo fece finta di non ricordarsi delle cose che aveva detto a Francia, né questi indagò oltre. Paesi bassi preferì ignorare quella tensione utilizzando le sue amate erbette.)

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Capitolo 25
*** Romano e i gatti che non voleva ***


Titolo: Romano e i gatti che non voleva

Personaggi: Germania (Georg Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Commedia

Avvertimenti: Nessuno

Note aggiuntive: La maritombola continua portarmi piccole gioie. Seguito spirituale di "Tanto va il gatto etc", questa piccola fic è un antipasto per lo speciale di natale. Che non sarà così fluffoso come sta fic, quindi ridiamo finché possiamo.


Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

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Maritombola 14 - Prompt 34: Gatto

 



"Questa casa è diventata uno zoo."

"Se lo ripeti un'altra volta giuro ti faccio ingoiare questa palla di pelo," lo minacciò Veneziano mentre con un fazzoletto prendeva da terra quanto appena vomitato da uno dei gatti che avevano adottato qualche giorno prima.

Romano si girò dall'altra parte, stizzito: "Invece di ringraziarmi che non ho protestato per avere quegli affari in casa-"

"Veramente hai protestato."
"Dicevo, invece di ringraziarmi mi minacci quando semplicemente faccio notare che quello che sarebbe inevitabilmente successo sta succedendo?" disse il Meridione, ricambiando l'occhiataccia del gatto nero seduto sul bancone della cucina, il quale si rilassò solo quando Veneziano prese a carezzarlo, strusciandosi felice contro la sua mano.

"Guarda che se li trattassi meglio non ti graffierebbero. I gatti sono molto intelligenti e non fanno finta di niente quando si trovano davanti qualcuno di ostile," ribatté l'altro mentre prendeva il gatto in nero in braccio per continuare le coccole.

Romano sgrullò le spalle, guardando con malcelato disgusto due dei gattini, l'unica gatta del gruppo e quello col ciuffetto sulla fronte, appollaiati l'uno sull'altro sulla finestra a godersi il sole.

"Romano."

"Le cose che fai per amore fraterno," disse l'interpellato, drammatico, prima di uscire dalla cucina.

Veneziano scosse la testa esasperato, per poi rivolgersi al gatto che aveva in braccio: "Vedrai, ci farà l'abitudine."

Il gatto nero si limitò a miagolare e ad accolarsi contro il suo petto.






Un mese dopo...





"Hey, bento-"

"Levati!" Romano scansò Germania con malagrazia mentre si fiondava in casa tenendo in mano un pacchetto incartato. Germania non  fu toccato più di tanto da quell'atteggiamento, più concentrato sul suo liebe e sul quel pacco che il Meridione teneva in mano.

"Che cos'è?" chiese a Veneziano quando questi entrò trascinandosi appresso le valige del loro breve soggiorno di lavoro a Roma e gli scatoloni di cibo che le regioni avevano loro rifilato prima di partire - come sempre accadeva perché, a detta loro, Veneziano e Romano morivano di fame lì su in nord Europa ed erano troppo sciupati.

"Lascia perdere e aiutami," sibilò l'italiano, sospirando di sollievo quando Germania prese gli scatoloni senza alcuna fatica.

"Qui micio micio micio," sentirono la voce di Romano dal giardino; quando si affacciarono il Meridione era circondato dai gatti di casa che allegramente si strusciavano contro le sue gambe, senza recargli fastidio alcuno.

"Eccovi qua belli di papà!" disse, adorante, carezzando le piccole testoline e sorridendo alle fusa che ricevette in cambio, "Guardate che vi ho portato?"

Aprì il piccolo pacco e tirò fuori della carne già tagliata a striscioline, alla cui vista i gatti iniziarono a miagolare sonoramente.

"Belli miei, ora papà vi da da mangiare, tranquilli," disse mentre si dirigeva verso le loro ciotole, con un voce di svariati toni più alti che Germania mai gli aveva sentito. Quest'ultimo si voltò verso Veneziano con un'espressione interrogativa: "W-Was-"

"È voluto andare a Salerno per prendere la carne di maiale salernitano," rispose, scuotendo la testa, "Perché i 'belli di papà' non possono mangiare carne in scatola come i normali gatti, no no. Fino a Salerno a prendere il taglio di maiale apposito siamo dovuti andare."

"È per quello che avete fatto tardi?" chiese Belgio, sbucando dal corridoio.

Veneziano annui con un'espressione tra l'infastidito e il divertito: "Salerno momenti chiama il manicomio quando Romano gli ha detto che la carne era per i gatti."

I tre rimasero a guardare il Meridione seduto per terra, non curante della terra che gli sporcava i pantaloni firmati, mentre dava da mangiare ai gatti con il sorriso più adorante che gli avessero mai visto in volto.

Germania era impressionato: "Meno male che i gatti non li voleva."

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Capitolo 26
*** Natale 1991 ***


Titolo: Natale 1991

Personaggi: Bielorussia (Darya Aslovskaya); Ucraina (Olga Kovalenko); Austria (Franz Eldelstein); Polonia (Tomash Łukasiewicz); Portogallo (Alfonso Sousa); Spagna (Francisco Carlos Carriedo); Stati Uniti d'America (Timothy F. Jones); Canada (Lorenz Williams); Germania (Georg Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Introspettivo, Malinconico

Avvertimenti: Nessuno

Note aggiuntive: Ecco qua lo speciale di Natale. Tra Maritombola e impegni nella vita reale non credo riuscirò ancora a tornare agli update settimanali - e tra l'altro mi sa supererò i 30 capitoli, con tutte le idee che ho in testa ._. Facciamo che arrivo a 35, via.
Spero che lo speciale natalizio vi piaccia!


Se vi va, sono su tumblr per ogni evenienza.

Enjoy

 


23.12.1991, ore 22:47 (orario di Mosca)

Bielorussia alternava nervosamente lo sguardo tra le mani sul proprio grembo e la sorella, intenta a fumare la ventesima sigaretta della serata - inutile era stato pregarla di smettere: lo sguardo di Ucraina era stato glaciale e l'aveva zittita in poco tempo.

Avrebbe voluto rientrare in casa per riscaldarsi ma non le andava proprio di affrontare suo fratello: avrebbe preferito infreddolirsi vicino a Ucraina che parlare con Russia in quel momento.

Si respirava un'aria strana da quando c'era stato quel repentino cambio di regime: in pochi giorni il comunismo non c'era più, un intero sistema politico cancellato come una spugna cancella le scritte di una lavagna; al suo posto non il capitalismo tanto odiato, ma una sua forma più digeribile per  una popolazione a cui era stato insegnato ad odiarlo fino all'altro ieri. Idealmente dovrebbe essere una transizione lunga che permettesse di reggere gli inevitabili colpi economici e sociali; nella realtà non ci stava capendo più nulla nessuno.

Solo due cose erano certe: Russia non li avrebbe mai lasciati andare del tutto e si era già preparato un accordo militare per tenerseli stretti in vista dell'inevitabile disfacimento del sistema; e l'Unione europea, con il loro rifiuto ad espandere la loro influenza ad est, li aveva praticamente sbattuto la porta in faccia. L'unica alternativa a Russia rimanevano quindi America, che però era lontano e che doveva comunque passare per l'Unione per raggiungerli, e Cina, che era ancora più lontano di America e al Vecchio continente era completamente disinteressato.

Una situazione critica in cui la scelta pareva una mera illusione: l'unica decisione che potevano prendere era per chi avrebbe fatto meno danni con la sua ingombrante presenza.

"Bilorusʹ," la voce di Ucraina era roca per il fumo e la ridestò dai suoi pensieri con un piccolo sussulto.

"D-Da?"

"Ti stai congelando, torna dentro," disse, spegnendo la sigaretta sul cornicione.

"N-Niet sto bene," rispose, sfregando le mani rosse per il freddo. Ucraina le lanciò un'occhiataccia, poi sospirò e tornò nel soggiorno. Bielorussia, un po' dispiaciuta, la seguì a capo chino.

Al piano superiore c'erano solo loro: gli altri erano tutti riuniti nel salone grande in attesa di sapere come sarebbe andata la votazione in Germania e Paesi bassi per la ratifica della Costituzione che avrebbe reso l'Unione una Federazione a tutti gli effetti. Era uno degli eventi più attesi dell'anno, perché su quella ratifica Francia e gli altri si sarebbero probabilmente giocati il matrimonio. Ucraina, però, non aveva voluto seguire quella maratona e si era ritirata a fumare; Bielorussia, stanca per tutti quei cambiamenti frenetici, le era andata appresso senza proferire parola. Nessuna delle due si era fatta illusioni come il loro fratello: l'Unione non sarebbe mai saltata del tutto, e se questo non era l'anno della Federazione lo sarebbe stato il prossimo. Forse anche Russia se ne rendeva conto, quando il terrore di essere invaso non minava la sua lucidità.

"Siastra, vuoi che ti prepari qualcosa, non hai mangiato quasi nulla oggi," disse Bielorussia dopo aver chiuso la finestra.

"Sto bene così."

"Ukraina-"

"Sto bene così," ripeté, sedendosi sul divano e incrociando le gambe.

"Ukraina ti prego-"

"Darya," Bielorussia sussultò all'uso del suo nome umano,"ti ho detto che sto bene così, non far finta di preoccuparti."

"C-Cos-"

"Devi pensare più a te stessa," disse Ucraina, giocherellando con i bottoni della camicia di seta che indossava, "Siamo state abbandonate da tutto e da tutti, possiamo contare solo su noi stesse e onestamente non so quanto posso contare su di te."

Bielorussia strinse la gonna del suo abito e si morse un labbro. Non voleva affrontare quella conversazione.

"Ukraina ti scongiuro, io non voglio tutto questo, io-"

"Darya, non siamo esseri umani, le tue favolette sulla famiglia perfetta questo sono, favolette," disse Ucraina, ignorando l'espressione ferita dell'altra, "Non voglio rimanere qui in eterno, me ne voglio andare e un modo lo troverò."

Un desiderio condiviso anche da Bielorussia, che tuttavia non pareva realizzabile nel breve periodo.

"Non voglio che tu venga isolata di nuovo," disse, sedendosi vicino la sorella, "Non dico che dovete andare d'amore e d'accordo, però neanche tutto questo."

Erano anni ormai che Ucraina e Russia non si parlavano: Ucraina non gli aveva mai perdonato quell'ingerenza che sentiva le aveva tarpato le ali, e Russia era troppo paranoico per vedere che si era alienato le sorelle. Bielorussia ci aveva sofferto molto, più volte aveva dannato la sua esistenza di nazione che sembrava non portarle mai alcuna soddisfazione, solo miseria,.

"Quando mi chiederà scusa potremmo iniziare a parlarne," disse Ucraina, lo sguardo duro. Sapevano entrambe non sarebbe mai successo: se c'era una cosa in cui lei e Russia si somigliavano era un orgoglio smisurato.

Bielorussia sospirò e poggiò la testa sulla spalla dell'altra, ignorando il freddo pungente nella stanza.

"Andrai da Kanada a per il loro Natale?" chiese. Russia non sapeva che il suo vecchio compare di letto se la faceva con sua sorella, un segreto che Ucraina intendeva tenersi stretto ancora per un po', giusto perché l'onta di essere riuscita a fargliela sotto il naso si depositasse per bene.

"Penso di si," disse, carezzando la testa della sorella in un raro gesto di affetto - era sempre stata una donna molto anaffettiva, specie dopo quel secolo di guerre.

Il silenzio in cui rimasero dopo quella breve conversazioni fu interrotto da esclamazioni concitate, seguito dal rumore di passi: Lituania aprì la porta poco dopo,

"È passata," disse, pallido in volto, "Vokietija e Nyderlandai hanno ratificato."

Bielorussia si rimise seduta composta, e Ucraina sospirò. Nessuna delle due era sorpresa.

"Pensi avremo un invito per il matrimonio?" chiese Ucraina poco prima che i telefoni di casa iniziassero a squillare insistentemente e Russia sbattesse la porta della sua camera, chiudendosi dentro a chiave.







23.12.1991, ore 20:01 (orario di Bruxelles)


Austria si tolse gli occhiali e si massaggiò gli occhi, sentendosi incredibilmente stanco. Era la viglia di Natale, avrebbe dovuto essere a passeggiare tra i mercatini invece che stare in una fredda stanza del Parlamento europeo a discutere di un futuro che non si prospettava ne roseo ne buio. Avrebbe preferito mille volte la certezza della tragedia a questa situazione.

"Quello delle regioni a statuto speciale era l'ultimo grande blocco," disse Danimarca, il volto poggiato sulle mani e gomiti sulle ginocchia mentre fissava lo schermo dove una giornalista stava dando notizie in tempo reale davanti al parlamento olandese, "Non credevo l'avrebbero superato."

La Costituzione che avrebbe segnato il passaggio da Unione a Federazione aveva seriamente rischiato di far saltare l'intero progetto politico: c'erano molte regioni autonome nei territori della presto Federazione, non poche che ambivano a una totale indipendenza; dove Germania e Paesi bassi volevano mantenere un regime più morbido nei loro confronti Francia e Belgio erano categorici nel tenersele strette e non dare loro alcuna chance per una possibile autonomia; dopo un anno di discussioni e di stallo alla fine l'aveva spuntata la proposta di Veneziano e Romano: creare regioni a statuto speciale, che riconoscessero le unicità regionali senza però svincolarle dal controllo di uno stato centrale. Germania e Paesi bassi erano stati reticenti, temendo fosse una proposta troppo stringente per i loro territori che rischiava di creare nuove tensioni, ma alla fine avevano ceduto. La Costituzione sarebbe quindi entrata in vigore l'anno seguente in coincidenza con l'inizio per la campagna elettorale per le prime elezioni della Federazione. Una volta avvenute ci sarebbero state le cerimonie ufficiali, compreso quel famigerato matrimonio.
Cosa tutto questo significasse per loro era abbastanza ovvio: l'attuale capa di Stato dell'Unione aveva loro offerto un processo di totale affrancamento dalle loro istituzioni, senza chiedere nulla in cambio neanche per tutto quello che era stato investito nella loro economia dopo la guerra. Questo perché era perfettamente consapevole che nessuno si sarebbe affrancato: la scelta era rimanere con l'Unione e conservare un minimo di autonomia, o andarsene e finire subito nelle grinfie di America e Russia. Era come scegliere tra le catene e una bestia pronta a divorarti; non era una scelta.

"Quanto odio tutto questo," si lamentò Portogallo, scuotendo la testa. Vicino a lui Spagna emanava scintille dagli occhi e faceva profondi respiri mentre continuava a fissare la televisione.

"Se posso dire la mia," disse Polonia, parlando per la prima volta da quando quella piccola riunione era inziata, "Non mi sembra una situazione così tragica, Fidatevi, poteva e può andarvi peggio."

"La fai facile tu, te eri contento quando ti hanno messo le basi militari dentro casa," replicò Portogallo, acido. Polonia fece spallucce.

"Sono realista, quelle basi sono una assicurazione alla mia difesa. Lo sono anche per voi è per questo."

"Sono una minaccia."

"Mi hanno tenuto al sicuro, questo mi basta," disse il polacco, indolente. Portogallo scosse la testa e si voltò verso Spagna: "Tu non dici nulla?"

"C'è qualcosa da dire?" chiese l'interpellato senza staccare lo sguardo dallo schermo, "Sono sottoposto delle mie stesse proprietà, e la cosa non mi va giù."

"Romano non è-"

"Polen non ha torto," lo interruppe Austria per evitare una scenata, ignorando l'occhiataccia del portoghese, "Alla fine non mi pare ci sia molta scelta. Stiamo prosperando e siamo in salute, questo ci dovrebbe bastare no?"

"La fai facile tu, mica hai dovuto rinunciare al tuo impero perché se no quegli altri sei non potevano giocare al 'liberatore'," disse Portogallo sprezzante, le mani strette a pungo, "Per non parlare di come dirottano tutto quello che viene dall'Atlantico verso Romano o Holanda. Sarei molto più prospero se i miei porti funzionassero come dovrebbero."

"Non parliamo di porti," disse Danimarca, mesto, "Almeno non hai navi da guerra a pattugliare le tue coste."

"Ancora devo capire come hai fatto a non notare *America* che ti passava sotto la finestra," borbottò Portogallo, che quella sera ne aveva proprio per tutti.

"Non è colpa mia, ero un po' giù in quel periodo."

"Infatti adesso sei l'apice della felicità,"

Austria sospirò, non aveva le forze per porre fine a quel battibecco. Guardò la televisione e vide che la diretta era stata spostata davanti al Parlamento europeo.

"Abbiamo le prime dichiarazioni da parte dei capi di stato degli altri paesi. Il presidente degli Stati Uniti si è congratulato e ha affermato che questo è un nuovo inizio per il continente, sottolineando però che i vecchi amici non vanno dimenticati. Su toni simili è stato il messaggio del presidente russo. Congratulazioni meno cariche di avvertimenti arrivano dall'Africa e dall'Asia, infatti-"

Smise di ascoltare, trovando nelle parole del reporter la non scelta che gli si prospettava davanti.

Nella stanza nessuno spiccò più parola.







23.12.1991 ore 14:30 (orario di Washington)

Canada evitò per un soffio il vaso contro la sua fronte, e si voltò verso il presidente degli Stati Uniti e il suo entourage, seminascosto dietro la porta della stanza ovale.

"La scongiuro," scandì il presidente, indicando suo fratello, il quale stava distruggendo la stanza in un impeto d'ira - che solo Canada avrebbe potuto fermare, motivo per cui era stato chiamato in fretta e furia.

"Neanche più le mazzette funzionano", sbraitò America mentre lanciava le penne una ad una contro il muro, "Che diavolo li paghiamo a fare quei politici se poi fanno passare le leggi senza dire nulla?!"

Informazione interessante. Canada se la annotò mentalmente, certo che gli sarebbe tornata utile, per poi prepararsi a placcare suo fratello.

"Dannato France è tutta colpa sua e del suo harem," digrignò, afferrando una sedia e lanciandola contro il divano. Canada ne approfittò per lanciarsi contro di lui e bloccarlo a terra; solo allora America parve accorgersi della sua presenza, e subito si agitò per liberarsi.

"Mollami, dannato traditore!"

"Datti una calmata, stai spaventando tutti," disse Canada, per poi annusare l'alito del fratello, "Quanto diavolo hai bevuto!?"

America non gli rispose, con uno strattone liberò un braccio e diresse un gancio contro la guancia dell'altra nazione, il quale però parò facilmente quel colpo tremolante per lo stato di ubriachezza; si voltò poi verso il presidente ed esclamò: "Chiuda la porta ci penso io!"

"Tu!" urlò America, guardando malamente il proprio capo, il quale trasalì davanti a quel rimprovero "È tutta colpa tua, tua e delle tue politiche concilianti!"

"Chiuda la porta!" urlò Canada, bloccando il fratello a terra mentre l'entourage del presidente faceva come era stato loro ordinato,

"Lasciami Canada! Non puoi capire!" America, non riuscendo a svincolarsi, si accasciò a terra, gli occhi lucidi, "Non è ancora arrivata la mia ora, non di già!"

"Di che diavolo stai parlando!?" Canada mantenne salda la presa ma si spostò di modo da poter vedere il fratello negli occhi. Fu sorpreso quando sentì America mentenere a stento un singhiozzo - l'alcol doveva aver di molto abbattuto il suo orgoglio e lucidità per ridurlo così.

"Se quelli si sposano posso dire addio alla mia influenza sull'Europa," si lamentò, "Ho fatto di tutto per impedirglielo, ho diffuso menzogne, fake news, cercato d farli litigare, corrotto i loro politici, pure quel colpo di stato da Italy l'altro anno. Ma niente si sposeranno e io mi toccherà stare alle loro condizioni e io non voglio!"

"Stai facendo questo bordello per dei capricci!?"

"Non sono capricci. Sono United States of America! Sono una superpotenza non puoi capire queste cose eri una patetica colonietta fino a ieri!"

"America-"

"Ma che ne parlo con te, mentre ci facevamo la guerra sei andato a spassartela con Russia e ora te la fai con Ukraine- Oh non guardarmi così, certo che lo sapevo che state assieme! Se non è Russia è la sorella, goddamit!"

"Timothy, calmati!"

"No Lorenz non mi calmo! Mio fratello se la fa con i mei nemici o cerca di farsi adottare da loro, sono stufo!" confessò infine, reso onesto dall'alcol. America colpì con la testa il pavimento un paio di volte, prima di proseguire: "Perché nessuno ha voluto sposarmi? Non voglio fare come Russia, volevo lasciare che gli altri decidessero. Mi hanno tutti detto di no, perché?"

Canada si morse il labbro, non sapendo cosa dire. Non si aspettava quel risvolto.

"Timothy, senti," disse, lottando contro la sua naturale riluttanza a mostrare affetto, "Sei troppo ubriaco, domani ti pentirai di quanto mi stai dicendo."

America gli rispose con un singhiozzo, senza guardarlo negli occhi.

"Ti porto a casa adesso, così ti fai passare la sbornia. E non parleremo più di questa conversazione." disse. Provò ad allentare la presa e una volta certo che America non si sarebbe ribellato si mise in ginocchio, afferrò le braccia dell'altro e lo tirò a sé per poterselo mettere sulle spalle; poi si alzò e si diresse verso la porta. Quando la aprì il capo di suo fratello era pallido in volto, e sbiancò ulteriormente quando vide in che condizioni era il suo ufficio,.

"Oh che disastro," lamentò, passandosi le mani nei radi capelli, condividendo lo stato d'animo dei suoi collaboratori.,

"Lo porto a casa, non credo sarà disponibile domani."

"Si si certo," il capo di America sospirò, "La ringraizo *Mr. Canada*. Mi dispiace averla disturbata a Natale. Prometto che prenderò seri provvedimenti"

"Si figuri, non ce ne è bisogno," Canada fece spallucce, per poi incamminarsi verso l'uscita. Senza farsi vedere si mise una mano in tasca dei pantaloni e spense il registratore. America non mosse un muscolo per tutto il tragitto.







24.12.1991, ore 20:51 (ora di Bruxelles.)

Agli applausi seguì il rumore dei bicchieri che battevano l'uno contro l'altro e dello spumante che veniva versato a fiumi. Era appena stato annunciato che la Costituzione sarebbe stata ratificata simbolicamente a febbraio dopo l'insediamento del governo che sarebbe nato dalle elezioni del mese precedente. Il primo governo di quella che presto sarebbe diventata una Federazione, e non più un'Unione.

Il che voleva dire...

"Congratulazioni per il matrimonio," disse quella che sarebbe presto diventata l'ultima presidente dell'Unione europea, alzando il calice verso si loro.

Francia mostrò un sorriso stanco, non osando voltarsi per vedere la reazione degli altri. Non sapeva come avrebbe dovuto reagire a quel nuovo sviluppo, che era conscio sarebbe arrivato prima o poi; più che altro lo sorprendeva l'assenza di tensione. Realizzò con vago orrore di essere ormai pronto alle nozze.

" *** vi illustrerà i dettagli della cerimonia nei prossimi giorni," disse la presidente prima di sorseggiare un po' del proprio spumante.

Francia si rabbuiò. Figurarsi se avrebbero avuto voce in capitolo su una cosa che li riguardava direttamente. Non avrebbe dovuto essere sorpreso.

"Non capisco come mai non si sia ricandidata frau *** " chiese Lussemburgo, dando voce al dubbio che tutti condividevano.

La prima ministra sgrullò le spalle: "Ho ormai i miei anni, penso che sia il momento giusto per ritirarmi. Siete in buone mani dopotutto."

"La sua esperienza sarebbe preziosa però," disse Belgio alla sua concittadina.

"Se servirà sarò ben felice di aiutare, ma ho proprio bisogno di riposarmi," rispose la capa con un piccolo sorriso prima di congedarsi.

Francia la guardò allontanarsi con un po' di tristezza. Era una brava donna e una brava politica, era un vero peccato che non intendesse avere un ruolo nella Federazione.

"Be', questo matrimonio sa da fare alla fine," disse Romano, sorseggiando il proprio spumante.

"Non siate troppo entusiasti eh, mi raccomando."

"Meh, sai che c'è Niederland? Non è una così cattiva idea alla fine no?" disse Lussemburgo, "Stiamo bene, l'economia va alla grande, presto avremo una moneta unica, siamo ben difesi. Possiamo davvero lamentarci?"

"Concordo," Paesi bassi annuì, per poi stiracchiarsi un poco e dare una gomitata sul finco di Belgio, "tanto più della metà qua è più che felice di sposarsi no?"

Veneziano, Romano, Germania e Belgio arrossirono, e quest'ultima subito diede uno calcio sullo stinco del fratello che non riuscì a parare il colpo in tempo. Francia si sorprese a sorridere davanti a quel piccolo battibecco. Lussemburgo non aveva torto: alla fine era andato tutto bene, e quella fede sul suo anulare non sembrava più una corda al collo pronta a togliergli il fiato.

Istintivamente si girò verso la folla e non fu sorpreso di trovare Inghilterra a fissarlo. L'inglese era quello che aveva preso la notizia della ratifica peggio di tutti: le occhiaie sotto i suoi occhi erano più marcate del solito, le unghie delle mani ridotte all'osso, il suo aspetto era trasandato nonostante avesse cercato di presentarsi alla festa al meglio. Nello sguardo che si scambiarono avvenne un'intera conversazione.

"Francia?"

Francia sussultò quando Veneziano gli poggiò una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.

"Q-Quoi?"

"Vogliono fare un brindisi davanti ai giornalisti vieni," gli disse, indicando gli altri che già si erano avvicinati alla loro capa.

Francia annuì e gli sorrise, poi si voltò di nuovo verso Inghilterra; lo vide esitare, alzare e abbassare le mani, poi sospirare.

Un'altra volta, concordarono silenziosamente. Francia sospirò e si avvicino ai suoi presto consorti, pronto per quel nuovo inizio.






Il Natale del 1991 è considerato un momento di svolta per la politica mondiale: l'Unione sovietica, dopo una gravissima crisi interna causata dal collasso del sistema comunista, viene succeduta dagli accordi di Mosca, che impegnano le ora ex Repubbliche sovietiche in accordi economici e militari.
Gli Stati Uniti consolidano la loro influenza nei due continenti americani, e in Africa prendono via le trattative per l'Unione dei paesi Nordafricani e della Federazione del Centrafrica.
L'Europa è ancora sostanzialmente divisa in due: il blocco est deve scegliere se guardare al vecchio padrone sovietico o agli Stati Uniti come modello di sviluppo, dopo che l'Unione europea ha dichiarato di non avere la benché minima intenzione di espandersi ad est.
E proprio riguardo l'Unione europea che c'è il cambiamento più importante: a seguito del superamento dello stallo sulla Costituzione, a gennaio dell'anno prossimo si terranno le prime elezione di quella che è diventerà a tutti gli effetti una Federazione con la firma della Costituzione a Maastricht a febbraio 1992.


 

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Capitolo 27
*** L'UPE va alla guerra ***


Titolo: L'UPE va alla guerra

Personaggi: Austria (Franz Eldelstein); Polonia (Tomash Łukasiewicz); Portogallo (Alfonso Sousa); Spagna (Francisco Carlos Carriedo); Germania (Georg Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas); Danimarca (Søren Densen); Inghilterra (Oliver Kirkland).

Genere: Commedia nera

Avvertimenti: Nessuno

Note aggiuntive: Ehilà, quanto tempo. Speravate/Pensavate avessi abbandoanto la fic eh? No,è solo che la vita reale si è mezza in mezzo di prepoteza e dovevo portare avanti altri progettini. Quindi ancora niente aggiornamenti settimanali, ma il prossimo arriverà a giugno e sarà bello sostanzioso. Per quanto riguarda quanto manca alla fine: certamente arriverò fino a 30, da lì in poi mi metto nelle mani della mia musa ispiratrice lol.
Spero questo capitolo vi piaccia, e alla prossima!

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I paesi posti sotto occupazione dall'Unione vennero rinominati UPE (Unione dei Paesi Europei, distinto dall'Unione Europea che diventerà poi la Federazione) ed erano a tutti gli effetti dei protettorati: entità statati quasi autonome prive però di una difesa. L'Unione mostrò un atteggiamento ambivalente nei confronti dell'UPE: da un lato un grande livello di tolleranza verso i governi locali e le loro scelte; dall'altro un'incredibile brutalità qualora queste scelte entrassero in contrasto con gli interessi dell'Unione.

Poco prima dell'avvento della Costituzione e il passaggio da Unione a Federazione, l'UPE avanzò delle richieste per poter aumentare il proprio livello di autonomia.








"Belgium?" mormora piano Inghilterra, torturandosi le unghie delle mani e cercando di mettercela tutta per mantenere il controllo della propria voce.

Belgio non si volta, continuando a tagliare a quadretti la metà di una melanzana; Polonia, accanto a lei, interrompe lo sbucciare le carote per osservare la scena. Sul fornello c'è una grossa padella dentro cui stanno cuocendo le fette di una cipolla e dell'aglio.

"Belgium?" la chiama di nuovo, non volendo avvicinarsi troppo senza qualcosa con cui difendersi - il coltello che l'altra nazione sta usando sembra molto, molto affilato.

Belgio non alza lo sguardo dal suo lavoro ma emette un piccolo suono che segnala il fatto che gli sta prestando attenzione. Inghilterra vorrebbe si voltasse per quello che sta per dire, ma dovrà accontentarsi.

"S-Senti Belgium, stavo pensando," dice, grattandosi il collo in un gesto nervoso, "Ho um... A casa mia no? Ecco si parlava dell'occupazione no? Dell'UPE no? Ecco, come dire... C-C'è un po' di malcontento."

Belgio non reagisce: finito con la melanzana prende una zucchina dal lavandino e inizia a tagliarla a rondelle.

Inghilterra deglutisce a fatica e maledice il proprio primo ministro per la missione che gli ha affidato: "I-Insomma ecco... V-Visto che c'è questo malcontento il mio capo mi ha chiesto di chiedervi se era fattibile la possibilità di un affrancamen-"

Si interrompe al suono del coltello conficcato dentro il tagliere di legno, mentre metà della zucchina vola via a causa dell'impatto e finisce ai suoi piedi: Belgio si è infine voltata verso di lui e il suo sguardo è un chiaro invito a continuare a parlare qualora avesse desiderio che parti del suo corpo facessero la stessa fine di quella povera verdura.

Polonia si morde il labbro per trattenere una risata.

Inghilterra inizia a sudare freddo: "Ah ma che sbadato," dice con una risata nervosa, "M-Mi sa che ho dimenticato i ferri da maglia sul fuoco, v-vado a toglierli subito."

Detto ciò si affretta ad uscire dalla cucina, sentendosi oltremodo umiliato.






Portogallo è consapevole del peso della missione che gli è stata affidata e non ha intenzione di fallire.

"Italia, Alemania," dice, sventolando il foglio con tutte le richieste dei paesi dell'UPE firmate dai rispettivi capi, "Vi devo parlare."

Veneziano, seduto sulla poltrona del salone con le gambe piegate sotto il sedere, solleva la testa dal libro che sta leggendo e lo guarda con ovvio disinteresse; Germania neanche si degna di aprire gli occhi, comodamente sdraiato sul divano grande.

Portogallo appena trattiene un'imprecazione.

"Le cose devono cambiare," dichiara, avvicinandosi alla finestra del salone e appiccicando il foglio al vetro con un po' di nastro adesivo,"Queste sono le nostre richieste, le lascio qui così quando tornano gli altri le potranno vedere! Non abbiamo intenzione di cedere, abbiamo già organizzato con i nostri capi delle prote-"

"Se hai lasciato tracce di colla sul vetro te le faccio levare con la lingua," lo interrompe Veneziano, lo sguardo violetto glaciale. Germania ha aperto un occhio e si è voltato verso di lui.

Portogallo trema leggermente ma si fa coraggio: non deve cedere, non può, ne va dell'orgoglio dell'UPE!

"O-Okay lo metto qui," dice, staccando il foglio - fortunatamente non ci sono residui dal nastro adesivo sul vetro - e posizionandolo sulla cornice in legno. Veneziano lo guarda ancora più male di prima, non spicca una parola. Germania ride, silenzioso.

"Lo butto," dice infine, accartocciando il foglio, "T-Tanto non era niente di importante."

Mesto, batte in ritirata in cucina, andando quasi a sbattere contro un nervoso Inghilterra.






"Pretendiamo più autonomia decisionale da voi! Non siamo i vostri servetti che potete comandare a piacimento! Siamo nazioni, abbiamo una nostra volontà che va rispettata e dovete farlo in nome di quei valori che sono alla base della vostra stessa Costitution!"

Tono deciso, discorso articolato e appassionante, che tocca tutti i punti di una possibile discussione: Spagna è tutto sommato orgoglioso di sé alla fine del proprio monologo, e si volta verso Danimarca: "Come sono andato?"

"Sei nei tempi," dice l'altro con il suo solito tono triste, fermando il piccolo cronometro che tiene in mano "Ma sono pessimista sul fatto che possa funzionare."

"Tu sei sempre pessimista non conti," dice Spagna, guardando il divano dove sono posizionate le foto dei sette che compongono l'Unione Europea e maledicendo il disagio che sente anche solo vedendoli in quel modo. Li hanno proprio traumatizzati per bene, quei maledetti bastardi.

"Sai come sono fatto, preferisco essere pronto per il peggio e avere una piacevole sorpresa piuttosto che essere speranzoso e rimanere deluso."

Spagna gli lancia un'occhiataccia per poi sistemare la foto di Romano che era caduta di lato, rimettendola dritta vicino a quella del fratello. Certo fa uno strano effetto sentirsi così davanti ad un semplice pezzo di carta con sopra l'immagine della sua vecchia proprietà, una consapevolezza che non fa altro che alimentare la sua rabbia montante.

"Riproviamo," dice, prendendo un profondo respiro e combattendo il timore che sente con tutto sé stesso.

In quel momento la porta del soggiorno si apre: Spagna afferra Danimarca e lo butta sul divano per nascondere le foto, ignorando il suo singulto di dolore quando le cornici si rompono e i pezzi di vetro si conficcano nel corpo del povero danese, per poi sedersi sull'estremità, reprimendo un'imprecazione quando centra in pieno la foto di Romano e il suo sedere segue il destino di Danimarca.

Ed è proprio Romano a entrare in salone, fresco di ritorno dal supermercato assieme ad Austria, guardandoli con sguardo interrogativo. Spagna e Danimarca rimangono il più impassibili possibile.

"Che state facendo?" chiee l'italiano, alzando un sopracciglio.

"Niente, ci riposavamo un secondo," risponde prontamente Spagna, cercando di rimanere immobile.

Romano non sembra convinto: "Avete fatto quello che vi ho detto?"

"Ja."
"Si."

Replicano i due in coro.

"La spazzatura l'avete buttata?"

"Ja."

"Si."

"La lavastoviglie l'avete svuotata?"

"Ja."

"Si."

"Il pavimento l'avete lavato?"

"Ja."

"Si."

"E avete fatto spazio per la spesa?"

I due annuiscono.

Romano ancora non sembra convinto ma rilassa le spalle: "Ci sarebbe da stendere la lavatrice e mettere su i lenzuoli."

"Facciamo subito," dice Spagna con un sorriso forzato mentre Danimarca annuisce.

Romano si dirige in cucina; Austria li guarda perplesso prima di seguirlo con in mano diverse buste della spesa.

Spagna prende un profondo e lentamente, molto lentamente, si alza, digrignando i denti al rumore che fanno i pezzi di vetro che cadono a terra.

Danimarca impallidisce: "Mi sa abbiamo macchiato il divano," dice, osservando le piccole chiazze di sangue sul tessuto di pelle nera.

Spagna inspira lentamente: "Odio tutto questo."

 

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