Finding Apollo for my trick gallery

di Marty_199
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 -L’urlo di Munch- ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 -Viandante in un mare di nebbia- ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 -Mangiatore di fagioli- ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 -L’urlo di Munch- ***


CAPITOLO 1

L’urlo di Munch – Christopher -

Se avesse potuto dipingere quel momento, era certo che nulla avrebbe potuto ritrarlo meglio dell’urlo di Munch. Doveva essere la terza volta che girava alla stessa volta stradale, girando intorno allo stesso palazzo, chi lo aveva visto doveva averlo preso per un idiota o per un ladro in avamposto. E non si sarebbe affatto sbagliato sulla prima.
Christopher aveva voglia di uccidere e di uccidersi. Come gli era venuto in mente di mentire? Anzi, come era venuto in mente ad Poppy di prendersi un maledetto virus intestinale in quel momento. La sua bugia non era troppo grande se solo tutto fosse andato secondo i suoi piani, non aveva affatto pensato ad un piano B, non ne aveva sentito il bisogno tutto sarebbe potuto andare bene almeno per la giornata che l’aspettava l’indomani.
Il semaforo scattò verde, Christopher rimase immobile con la freccia accesa che ticchettava, il clacson alle sue spalle lo fece sobbalzare. Si rimise in moto, spostandosi un ciuffo scuro da davanti il viso, il gel che doveva tenergli i capelli aveva ormai perso la sua presa. Era la quarta volta che si ritrova lì davanti, decise finalmente di accostare con le quattro frecce attive. La luce a neon del locale in cui doveva andare urlava a chilometri di distanza “sono un nightclub”. Da dove si era posizionato non aveva difficoltà ad osservare le persone che c’erano lì, e gli sembravano tutte molto normali, come lui, non sapeva che cosa si sarebbe dovuto aspettare.
«Sono un’idiota.»
Christopher sospirò. L’unica differenza era il modo in cui erano vestiti, alcune ragazze portavano gonne corte e magliette attillate, stivali dai tacchi alti e volti truccati, i ragazzi erano altrettanto in tiro. Christopher si osservò, la camicia bianca che indossava era lievemente stropicciata, i pantaloni beige non erano tanto male se solo non fossero stati tanto stirati tanto da cadere dritti con sotto ai piedi i mocassini lucidati, gli davano l’impressione del tocco da universitario riccone e snob. Si era levato la giacca con lo stemma dell’università e l’aveva buttata sui sedili dietro di lui, decise poi di sfilarsi anche la cravatta.
Si osservò allo specchietto del guidatore, quantomeno non aveva troppe occhiaie, si smosse poco i capelli scuri e prese un ulteriore respiro, sistemò la macchina nel parcheggio spegnendo le quattro frecce e decidendo di uscire.
È una cosa stupida.”
Non aveva mai avuto una ragazza come interesse amoroso, non ne aveva nemmeno mai avuto l’ardente desiderio. Ricordava che gli era piaciuta una ragazza in primo liceo ma non aveva mai approfondito l’argomento. Nella storia della sua famiglia era sempre stato un buono a nulla, quella non era che un’ulteriore macchia sulla sua esistenza, aveva diversi difetti che la sua famiglia non mancava di sottolineare, non era ancora pronto a rivelarne un altro, era stato in grado di trovare un modo per rimediare, per guadagnare un altro periodo di pace prima che la famiglia venisse a sapere tutto. Era il mondo che aveva deciso di odiarlo.
Mentre camminava verso l’entrata qualche ragazza gli lanciò diversi sguardi, come fecero diversi ragazzi. Era consapevole di essere piacente come ragazzo ma non doveva badare a loro in quel momento, con i ragazzi di solito era bravo a provarci. Non erano un problema ma nemmeno la soluzione alla sua problematica.
Che vergogna.”
Si passò una mano tra i capelli. Doveva solo essere in grado di passare una notte con una ragazza, non gli importava chi fosse, purché un minimo lo attraesse. Sapeva anche che vicino quel locale e al suo interno, c’era chi era disposto a certi servigi sotto pagamento. Aveva diverse amiche e non aveva nulla nei confronti del genere femminile, solo che non era mai stato capace di avere una relazione, d'altronde non ne aveva mai visto il motivo dato che ad attrarlo erano i ragazzi. Ma non aveva nemmeno mai pensato che
avrebbe preferito anche uno stile di vita fuori dallo schema della sua famiglia.

Christopher arrossì al pensiero, vergognandosi. Ma continuò a camminare tra i ragazzi all’entrata dirigendosi verso l’entrata e mettendosi in fila per attendere di poter entrare. Il suo pensiero non doveva essere tanto terribile, se fosse riuscito a passare una notte con una ragazza, sicuramente lo avrebbe smosso dall’avere un po' più di coraggio per riuscire a trovarne una con cui stabilire un rapporto... di qualche tipo, non aveva ancora idea di come gestire tutto, per quel momento gli sarebbe bastato riuscire per il giorno a venire. Doveva solo sciogliersi sotto quel punto di vista, ma non aveva tempo per farlo e doveva puntare alle maniere forti e dirette.
Poppy doveva avere un solo compito, gliene aveva dato uno solo e il virus si era messo di mezzo, ed eccolo lì, nel mezzo di un pub dalle luci sparate sulla folla, a primo impatto gli diedero un lieve fastidio. La musica alta sembrava fargli tremare le ossa, ma non era di certo abituato ad esserne immerso in quel modo, la voce di Katy Perry rimbalzava tra le pareti a tutto volume sulle note di “I Kissed a Girl”, troppo a tema, un’altra probabile presa in giro del mondo.
Il locale non era piccolo, nella parte centrale, la più ampia le persone intorno a lui ballavano scatenate, altre bevevano tenendo i drink in mano e non curandosi delle chiazze che lasciavano cadere a terra. Intorno dietro delle basse ringhiere erano posizionati tavolinetti bassi con poltrone dall’apparenza comoda, diversi ragazzi erano buttati sopra chiacchierando, strusciandosi o riprendo fiato. Alla sua sinistra intravide il bancone dove venivano serviti i drink, era illuminato da diversi led coperti da tutte le persone che vi erano intorno, o erano sedute sugli sgabelli posti dinanzi, dietro le bottiglie riflettevano le luci creando dei colori vivaci e interessanti. Decise di passare per primo da quel primo step. Si avviò verso il bancone tra diversi spintoni, arrivò lì aggrappandosi al bordo e chiedendosi come potesse essere divertente trovarsi nel mezzo di una folla più simile a una mandria di buoi imbufaliti che altro. Voltò lo sguardo verso quello che doveva essere il palco del locale si chiese che tipo di spettacoli facessero nelle serate dedicate oltre alle Drag Queen.
«Cosa prendi tesoro?»
Christopher voltò lo sguardo verso il barista, indossava una camicia aperta sul petto abbronzato, dei pantaloni attillati e del trucco sugli occhi, ciò che risaltò ai suoi occhi però fu la parrucca dai capelli viola che indossava.
Non lo faceva impazzire quel modo di parlare smielato, ma sorrise lo stesso, d’altronde era il suo lavoro. «Una frase un po' stereotipata.»
Il barista sorrise, aveva gli occhi scuri e mani piccole, Christopher gliele invidiò. Non doveva essere tanto grande, forse qualche anno in più di lui.
«Me lo impone il lavoro, ma per un ragazzo bello come te sono disposto ad usare le frasi che più ti aggradano.»
Christopher sorrise, «fammi quello che vuoi, purché sia forte.»
Il barista gli fece l’occhiolino e si mise a lavoro, era un ragazzo decisamente carino, non esattamente il suo tipo ma non gli sarebbe dispiaciuto provare a vedere se poteva essere in grado di portare avanti quella conversazione.
Non sono qui per questo.”
Doveva bere, lasciare che un minimo la musica lo potesse aiutare e molto probabilmente fare affidamento ai soldi che aveva nel portafoglio. Sospirò nuovamente, vergognandosi del suo stato.
Se non ci provo mai non arriverò da nessuna parte, la prima ragazza che vedo al bancone provo ad avvicinarmi.”
Il drink davanti a lui aveva un colorito azzurrino e non sapeva che cosa ci fosse dentro, aveva osservato il barman mentre faceva roteare le bottiglie e versava nel suo bicchiere per poi shakerare, ma era rimasto ipnotizzato dai suoi movimenti e non aveva prestato attenzione a ciò che gli veniva versato. Prese a berne diverse sorsate facendosi bruciare un poco la gola. Il barista rise, lo percepì farsi più vicino al suo viso per farsi sentire mentre parlava.
«Ne vuoi un altro? Sembri averne bisogno.»
Christopher sollevò le sopracciglia, «si nota così tanto?»
«Ho visto tipi messi peggio.»
Christopher non sapeva comunque se prenderlo come qualcosa di positivo o meno, ordinò un altro drink mentre la musica intorno a lui si faceva poco più offuscata, quel drink doveva essere davvero forte.
Voltandosi nuovamente verso la folla vide che diverse ragazzi e ragazze erano saliti sul palco o ballavano attaccati a dei pali, indossavano tutti pantaloni di pelle attillati, dei crops corti sopra che mettevano in mostra ventri piatti o muscoli scolpiti, con stampato il logo del locale. Sia donne che uomini ballavano flessuosi, attirando gli sguardi e dando spettacolo, Christopher sapeva che quel locale era ben conosciuto anche e soprattutto per quello, per l’inclusività che offriva, era frequentato da qualsiasi tipo di persona. Sapeva anche che molte volte gli uomini si vestivano da donne, e viceversa, il tutto per dare più divertimento, spettacolo e senso di libertà possibile.
Christopher aveva scelto quel luogo sperando che lo aiutasse con l’ambiente che si respirava, ma fino a quel momento non era riuscito a far altro che filtrare con il barista, non un ottimo inizio per la sua missione personale.
Si voltò nel momento in cui con la coda dell’occhio vide una ragazza avvicinarsi al bancone richiamando il barista con un gesto. I capelli erano biondi e lunghi, il volto semi coperto da essi sembrava avere dei tratti delicati. Indossava i vestiti del locale, doveva lavorare lì come ballerina. Poteva provarci, se lo era ripromesso un’ora fa e ancora non si era mosso.
Prese un ulteriore sorso dal drink e si voltò verso la ragazza, il barista la stava servendo in quel momento. Quando Christopher si girò dovette attirare la sua attenzione, perché lei si voltò nello stesso momento.
A prima vista non sapeva ben spiegarsi cosa, ma era certo di averla già vista da qualche parte. Eppure non poteva essere, non conosceva nessuna ragazza che potesse lavorare in quel luogo. La pelle era chiara e i lineamenti erano delicati, solo un poco spigolosi, non riusciva a capire di che colore fossero gli occhi, erano truccati con un lieve ombretto e una linea di trucco che li allungava, rendendoli più fini. Eppure più la osservava più era certo di averla conosciuta.
Quando la vide appena spalancare gli occhi si chiese se non avesse già sbagliato qualcosa, si era a malapena mosso. La ragazza prese il suo drink e fuggì tra la folla, Christopher rimase con le labbra dischiuse e l’inizio di un tentativo di dialogo tra le labbra. Si accigliò osservandola da dietro mentre si ributtava tra la folla. Aveva le gambe snelle ma muscolose, il torace un poco largo ma la vita era stretta, da quello che aveva potuto vedere il ventre era piatto con un filo di muscoli ben lavorati.
Mi sembra di aver già visto un fisico simile.”
Da quando frequentava l’università di economia aveva imparato a conoscere molti del suo corso, all’inizio erano decisamente troppi per poter ricordare i volti, ma con il tempo la difficoltà degli studi e il costo elevato della struttura avevano attuato la loro scrematura. Era riuscito a farsi il suo gruppo di amici ristretto e aveva iniziato a dare ascolto alle
voci di corridoio che si erano andate a creare dopo che nelle aule si era venuta a creare una certa conoscenza generale di chi frequentava. Anche all’università si andavano a creare delle piccole liste di chi poteva essere più popolare e messo sotto i riflettori di altri che a differenza si mischiavano tra la folla. E anche Christopher era riuscito a notare uno dei ragazzi più in vista nel suo corso, Gabriel.

Lo aveva visto diverse volte durante le lezioni, molte delle quali si era ritrovato ad osservarlo da dietro o affianco. Aveva caratteristici capelli biondi e lunghi che portava quasi sempre legati. Da dietro senza vedere il suo volto, era certo che fosse uno di quelle persone che mettevano in difficoltà le persone, rendendogli difficile immaginare il volto coperto da una chioma considerata prettamente femminile, sarebbe potuto facilmente passare per una ragazza. Si erano ritrovati a sedere vicino in una aula studio, Christopher aveva avuto modo di studiare la sua particolare bellezza e si era sentito decisamente distratto, quel Gabriel aveva un che di particolare, riusciva a capire perché risaltasse tanto in mezzo a tutti. L’aveva sentito come aggettivo, androgino, e quel ragazzo ne era l’esempio perfetto, non era riuscito ad evitare di lanciargli diverse occhiate fino a che non aveva notato l’apparecchio che portava alle orecchie. Inizialmente aveva pensato a delle cuffiette, solo osservandolo meglio si era reso conto che era qualcos’altro, la domanda gli era sorta spontanea: era forse sordo? Non ricordava di averlo mai visto parlare o interagire molto, ma non lo seguiva nemmeno in modo così assiduo.
Christopher si accigliò nuovamente, chiedendosi il motivo di quei suoi pensieri. Ormai la ragazza era sparita tra la folla e la musica cominciava a dargli alla testa mischiata con l’alcool.
Capelli biondi, fisico confondibile, viso delicato…”
Ma che andava a pensare? Si stava inutilmente distraendo. L’indomani sarebbero venuti i suoi genitori a trovarlo e lui non aveva ancora una ragazza da presentargli. Era già abbastanza deludente che la sua mente tendesse all’arte più che ai calcoli, doveva dargli almeno un motivo per pensare che non fosse del tutto diverso dall’ideale che loro si erano creati.
Si scolò l’ultimo sorso di drink e si buttò nella folla.

***

Era stato tutto inutile, se lo sarebbe dovuto aspettare. Non era riuscito nemmeno ad andare con nessuna ragazza, non aveva nulla contro le donne che lavoravano lì, né era stato bloccato dalla loro professione, semplicemente non era stato in grado. Non era il suo ambiente, era stato un idiota a pensare che una sola notte avrebbe potuto ribaltare la sua esistenza e il suo modo di essere. Non si era mai sentito più stupido di così.
«Poco male, per domani mi inventerò una scusa.» sospirò. Guardò l’ora sul suo orologio, erano le tre di notte, l’indomani lo aspettava una giornata impegnativa e lui si era giocato anche le ore di sonno che gli sarebbero dovute essere utili per affrontarla.
Si fece largo tra le persone all’entrata, tra gli ubriachi e chi parlava a voce troppo alta riuscì finalmente a respirare un’aria un poco più pulita. La puzza di sudore e chiuso cominciava a dargli alla nausea, certamente anche lui non doveva avere chissà che profumo, era grato che nessuno lo aspettasse a casa, non lo avrebbe sentito puzzare di alcool e indossare vestiti stropicciati e zuppi.
Voleva solo trovare un punto dove riposare un po' prima di riprendere la macchina, era cosciente di non averne le forze in quel momento. Lì davanti la maggior parte dei ragazzi erano seduti a terra o sulle poche panchine presenti, ma non aveva alcuna intenzione di sedersi lì in mezzo da solo. Aggirò il locale poggiandosi alla parete più libera e interna a un vicoletto cieco, un poco nascosto dalla folla all’entrata. I palazzi intorno in confronto erano tutti silenziosi, si chiese come facesse la gente a vivere lì vicino, le strade erano frequentate solo da ragazzi da quello che poteva vedere, alcuni sedevano sugli scalini dei negozi chiusi, fumando e bevendo, altri camminavano per uscire o per entrare, alcuni sorretti da amici, altri ridevano in modo sguaiato.
L’odore dell’immondizia raggiunse lentamente le sue narici, doveva essere anche lui un poco ubriaco, non l’aveva sentita subito, era un poco stordito dall’odore di fumo che fino a quel momento aveva intasato il suo naso. Doveva essersi imbucato in una delle uscite sul retro del locale, una porta era appena socchiusa e sentiva la musica che veniva da dentro, in quel momento si accorse anche di una nuvola di fumo a poca distanza da lui e si voltò.
La ragazza era lì, poggiata al muro mentre fumava.
Capelli biondi, viso delicato, corpo muscoloso ma sottile.”
Si avvicinò con un passo, reggendosi con la mano al muro. La ragazza si voltò verso di lui, sollevando il sopracciglio biondo con la sigaretta tra le labbra sottili. C’era qualcosa nei suoi lineamenti, la mascella era un poco troppo squadrata, ma il viso nel complesso era delicato, gli occhi un poco lucidi. La mano che teneva la sigaretta era pallida e dalle dita lunghe e sottili, dovevano essere perfette per dipingere o suonare uno strumento. Le braccia erano sottili ma con muscoli asciutti, i pantaloni attillati alle gambe muscolose ma magre. I capelli biondi ricadevano sulle spalle morbidi e disordinati.
Eppure guardandola... non aveva il seno. Christopher scosse la testa, non tutte le ragazze avevano il seno. Certo era strano che la stoffa attillata mettesse in mostra un lieve rigonfiamento tra le sue gambe... come era strano che i suoi occhi fossero andati proprio lì. Christopher si accigliò nuovamente.
Capelli biondi, viso delicato, corpo muscoloso ma sottile... oddio.”
«Gabriel!»
Christopher vide il ragazzo...o la ragazza dinanzi a lui strabuzzare gli occhi. Erano di un azzurro intenso.
Era proprio lui, era identico seppur truccato abbastanza da mascherare i suoi lineamenti. Lo vide portarsi una mano all’orecchio, spostando una ciocca mentre lui continuava a parlare a vanvera: «Non ci posso credere, sei del mio corso! Sei tu!» Non sapeva dirsi perché quella cosa lo emozionasse così tanto, era decisamente inaspettata in una serata iniziata e finita male.
Il ragazzo buttò a terra la sigaretta, avvicinandosi a lui, «chi sei?»
Non leggeva panico nella sua voce, solo molta attenzione. Gli era sembrato che fosse poco lucido mentre fumava, ma in quel momento sembrava pienamente cosciente di sé.
«Christopher Mcallister.»
Il nome non sembrava avergli scosso nulla, si spostò una ciocca bionda dietro le spalle con lo sguardo confuso.
«Andiamo alla stessa Università, facoltà di economia... sei... abbiamo studiato nell’aula duecentoo... duecento sei vicini. Non, non che io ti abbia parlato ma...»
Gabriel porse l’orecchio verso di lui, con la fronte corrucciata. Una piccola scintilla di comprensione attraversò i suoi occhi, «eri il tipo vestito bene che mi fissava, ho provato
a interagire prestandoti una matita, ma poi mi sono alzato, non parlavi.»

Christopher avrebbe voluto ridere, effettivamente quel giorno doveva essere sembrato molto molesto. Eppure era sorpreso, non aveva mai sentito la sua voce, aveva visto l’apparecchio all’orecchio e per un attimo aveva creduto che fosse sordo, eppure Christopher sentiva bene la sua voce, non era strana. Era molto bella.
«Già...scusa sai non sapevo che dire ero curioso-» un lieve conato lo scosse, si resse alla parete prendendo un respiro profondo per cercare di trattenerlo. Gabriel gli si avvicinò, protendendo le mani verso di lui per sorreggerlo giusto in tempo mentre il suo stomaco si svuotava a terra.
«Attento!»
Le sue braccia erano più esili delle sue, eppure riusciva a sostenerlo, Christopher si resse un poco alla parete per non pesare del tutto su Gabriel, lo sentiva tremare sotto di lui per lo sforzo di trattenerlo e si era chinato in avanti per tentare di reggersi in equilibrio e non rischiare di cadere con lui.
Che figura.”
Quando ebbe finito di liberarsi lo stomaco tossì e si sollevò aiutato da Gabriel, poggiandosi al muro. Il lieve giramento di testa gli diede le vertigini. Gabriel lo aiutò a poggiarsi per poi rimettersi dritto, senza mai smettere di guardarlo.
«Christopher giusto? Quanto hai bevuto?»
«Qualche drink.»
La luce del lampione era forte ma non gli dava più molto alla testa, oltre alla stanchezza sentiva che l’ebrezza dell’alcool si era spiaccicata a terra.
«Ti prendo l’acqua, aspetta qui.»
Sentì Gabriel rientrare nel locale e si voltò, non aveva mai avuto modo di parlarci, era vero, e lo aveva anche dato per sordo, eppure eccolo lì che lo aiutava dopo che lo aveva sorretto mentre vomitava. Conoscere le persone poteva essere un’esperienza interessante.
Quando lo vide tornare e offrirgli il bicchiere d’acqua bevve un sorso velocemente, «Grazie.» Prese un ulteriore sorso voltandosi un poco e dando le spalle a Gabriel per un momento, il tempo di sputare l’acqua sciacquandosi per quanto possibile la bocca, si passò la manica sulle labbra e dopo un respiro profondo si posò nuovamente con la testa al muro. Quando riaprì gli occhi lo vide dinanzi a sé un po' chinato in avanti per osservarlo meglio in volto, i capelli gli sfioravano il viso e lo incorniciavano perfettamente.
Era il ragazzo più bello che avesse mai visto. Nonostante il sudore gli avesse fatto colare il trucco e scompigliato i capelli, aveva una bellezza così particolare che non riuscì a trattenersi.
«Sei bellissimo, come uomo, come una donna, più di una donna quasi sai...» la gola secca lo portò a tossire, «Mi ricordi Apollo. Nelle sue rappresentazioni ti somiglia e...»
«Cosa?»
«Ma sì Apollo, il Dio, per esempio quello di Gustave Moreau, Apollo e le nove Muse. Dovresti…» ma che stava dicendo? Osservandolo era certo di aver intravisto un lieve rossore, ma non poteva esserne certo. Di sicuro stava facendo una figura barbina.
«Forse dovresti andare alla tua macchina...» la sua voce era più salda della sua, anche se sembrava a disagio. La luce del lampione creava sulla sua pelle sfumature rossastre che avrebbe voluto dipingere.
Christopher si sollevò dal muro con un verso di fastidio, non gli dispiaceva del tutto rimanere lì a straparlare di cose di cui a malapena si rendeva conto. Era certo di non aver detto nulla di brutto infondo, erano tutte cose belle e vere, le sentiva davvero.
«Ti aiuto ad arrivare alla macchina.»
Gabriel si mise al suo fianco ma non allungo il braccio per sorreggerlo, non invase il suo spazio ma poteva sentirlo al suo fianco che lo osservava pronto ad aiutarlo.
«Grazie.»
Improvvisamente era certo gli si fosse accesa una lampadina nel cervello, quella piccola e stupida idea che mai avrebbe avuto l’ardire di dire a voce se non fosse stato aiutato da quel poco di alcool ancora in circolo, ma allo stesso tempo era geniale, lo sapeva. La sua migliore amica non poteva aiutarlo, l’incontro con i suoi genitori era l’indomani e sapeva che suo padre sarebbe stato in grado di smascherarlo se avesse voluto. Doveva presentarsi con una ragazza per un solo giorno, e avrebbe potuto avere un altro periodo di pace per pensare ai suoi studi, sentirsi meno un fallimento e rinchiudersi in ciò che amava davvero.
Mentre camminava verso la macchina, con accanto Gabriel, decise di parlare, «Dammi una mano!»
Gabriel si voltò verso di lui, lo sguardo ancora confuso, si fece più vicino trattenendolo dal cadere quando aveva preso una buca che non aveva visto a terra. «Lo sto facendo, dimmi qual è la tua macchina.»
Christopher smosse la mano con un gesto di noncuranza, più lo guardava più ne era sicuro. Poteva funzionare. Non lo conosceva abbastanza da vergognarsi per chiederglielo, Gabriel lavorava in un posto simile e vestito in una maniera del tutto diversa da come si presentava in una università molto prestigiosa di economia, quindi doveva avere, magari, dei problemi di soldi? Quelli lui li aveva di sicuro, ed era stato sempre bravo a leggere le persone.
«No! Non la macchina! Diventa la mia ragazza!»
Anche in quel momento riuscì a sovrapporre lo sconcerto sul viso di Gabriel con l’espressione terrorizzata del soggetto del quadro di Munch, i suoi occhi erano sbarrati e le labbra spalancate. Subito dopo la sorpresa vide dipingersi sul suo volto la diffidenza, si allontanò di qualche passo.
«Aspetta! Cioè mi sono espresso male intendevo... mi serve una finta ragazza per un pomeriggio, ne va della mia vita.» Nell’ultima parte aggiunse un pizzico di drammaticità di troppo, ma sentiva di non star mentendo del tutto.
«A me non interessa, non ti conosco nemmeno! Ti ho visto sì e no due volte, se hai gusti particolari non ne voglio sapere nulla.»
Christopher scosse la testa, tenendo la voce alta per parlare. «Ti prego, prendilo come un lavoro, ti pagherò. Qui per...fare quello che fai ti pagano no? Sarà la stessa cosa. E io di soldi ne ho» non vide il minimo cenno di cedimento se non nel momento in cui mise quell’ultimo dettaglio. Lo sapeva, sapeva leggere le persone e le loro necessità, suo padre non faceva altro nel suo lavoro e nella vita in generale, leggere le persone, glielo aveva insegnato, lo odiava ma tornava sempre utile.
«Sono un ragazzo, che diavolo...» scosse la testa velocemente, «È assurdo, è quella la tua macchina?»
Continuarono a camminare ma Christopher non si perse d’animo. «Lo so, ma cazzo non so come fare» sussurrò con un gemito di frustrazione, era un’idea geniale ma era disposto a capire che fosse assurda e non di facile accettazione, «Senti non sono un compagno pervertito, mi serve solo un aiuto e trovarti qui... insomma-»
«Come?»
Lo vide farsi un passo più vicino, le ciocche bionde vennero spostate dietro l’orecchio e con nonchalance incrociò le braccia senza guardarlo troppo direttamente negli occhi, era già abbastanza umiliante chiederlo una volta, adesso doveva anche ripetere.
«Dicevo...non sono un pervertito, mi serve un-»
«Alza la voce. Non riesco a capire cosa dici.»
Christopher si accigliò, ma forse se doveva ripetere poteva anche voler dire che non era del tutto disinteressato alla proposta.
«Mi serve che fingi di essere la mia ragazza per un pomeriggio, davanti la mia famiglia. Ti darò tutte le indicazioni io e in cambio ti pagherò, il doppio di quanto prendi qui.»
Nessuno dei due avrebbe avuto da perderci nulla, il suo compagno di università non sarebbe andato a dire in giro una cosa del genere sapendo che lui avrebbe potuto dire a tutti dove lavorava. Era per quello che era fuggito al bancone? Doveva aver riconosciuto un volto familiare e si era allontanato anche senza accertarselo, quindi i suoi conti tornavano, non voleva che si sapesse. E lui non aveva alcuna intenzione o interesse a rivelarlo, ma avere una precauzione in più rendeva la situazione perfetta a suo gioco. Col tempo avrebbe potuto rifilare ai suoi la scusa dell’aver rotto con la sua presunta ragazza, non sarebbe stato il massimo, ma avrebbe tenuto alta la sua copertura e un poco più calma la sua vita.
«Sei così ubriaco? Forse dovresti riposare un altro po'.»
Christopher si rese conto che doveva convincere lui, tutti quei pensieri che si era fatto rendevano quella scelta ottima solo per lui.
«Sto parlando seriamente.» Riconobbe la sua macchina e ci si poggio appena, voltandosi verso Gabriel. «Mi serve una mano. Ascolta solo un momento, ne avrai da guadagnare anche tu.»
«È una richiesta assurda, anche se siamo dello stesso corso.»
Gabriel si fermò ad osservarlo a poca distanza, le braccia incrociate come a tenersi il più possibile a distanza, gli occhi svirgolarono verso il basso e Christopher ebbe il tempo per osservarlo, si chiedeva se non avesse freddo lì fermo con la pancia di fuori e le maniche corte. Riusciva ad immaginarselo nella parte, ma non lo aveva mai visto al di fuori del contesto universitario, le due immagini cozzavano nella sua testa. Era la terza a preoccuparlo di più.
Scoppiò a ridere senza riuscire a trattenersi.
Non posso credere che la mia mente stia già pensando a come dovrebbe vestire. Sono un vero idiota.”


ANGOLINO: ciao a tutti! Se avete finito questo primo bizzarro capitolo spero che vi sia piaciuto, è una storia senza troppe pretese ma a cui sono affezionata e spero che possa piacere, ho tanta voglia di far crescere questi due personaggi.
Grazie a tutti e spero che ve la godrete >.<
Un saluto a tutti.



Se vi può interessare nel frattempo sto scrivendo anche una storia fantasy (tanto per rendermi le cose complicate :D), "Il fuoco della Fenice" 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4067630&i=1 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 -Viandante in un mare di nebbia- ***


CAPITOLO 2

Viandante in un mare di nebbia-Christopher-

Non sapeva ancora bene come ma era riuscito a convincere Gabriel a rimanere quantomeno ad ascoltarlo. Era rimasto lì fermo dinanzi a lui, in attesa di una risposta. Christoper cominciava a percepire un lieve disagio che si era intensificato quando gli aveva chiesto se voleva sedersi nella sua auto per riposare o stare più al caldo e Gabriel gli aveva risposto che non sarebbe ancora entrato nella macchina di un ragazzo che gli aveva di punto in bianco appena offerto di essere la sua ragazza.
Christopher si poggiò con la schiena al cruscotto della sua macchina, tentando di ribadire quello che gli sembrava l’ovvio: «Tanto per iniziare non sono un maniaco.»
«Io non l’ho mai detto.»
Furbo, l’hai pensato sicuramente.”
L’aria più fredda della mattina cominciava a farsi sentire, Christopher incrociò le braccia. La musica del locale continuava a rimbombare a distanza.
«Va bene okay, anche la motivazione... ha senso.»
Gabriel si passò una mano tra i capelli, «continui a dirlo ma non mi spieghi ancora.»
Forse era l’alcool o la stanchezza, ma Christopher lo trovava già un poco irritante. Era anche vero che si era cacciato in quella situazione da solo. Prese un respiro profondo mentre sentiva i brividi sul corpo.
«Okay... la mia famiglia è facoltosa nel campo aziendale ed economico, persino alcuni giornali parlano di loro e mio padre è persino andato in vari programmi in Tv. Io sto studiando per prendere la sua stessa professione e...» si chiese perché avrebbe dovuto dirgli tutto, per un solo pomeriggio non c’era motivo che sapesse tutti i problemi della sua vita, «e non ti serve sapere altro a dire il vero, domani ci sarà una riunione della mia famiglia e loro si aspettano che io gli presenti la mia ragazza-»
«Che non hai.»
«Ovviamente» sussurrò con tensione crescente, ma non poteva biasimarlo. Tuttavia Gabriel continuò come se non lo avesse sentito.
«Perché credono che tu l’abbia?» Si accigliò osservandolo, anche sulle sue braccia cominciavano a scorrere brividi di freddo.
«Gliel’ho fatto credere io perché... non sono facilmente ben accetto nella mia famiglia, è una storia lunga e complicata, e a me serve copertura per un solo pomeriggio.»
«Perché l’hai chiesto a me? Mi conosci a malapena.»
«Proprio per questo.»
Gabriel si accigliò nuovamente, sfregandosi le mani sulle braccia.
«Siccome sei dell’università almeno ti conosco di vista, e poi anche per...per il tuo aspetto. Avevo un’amica a cui chiedere un aiuto per questa situazione ma si è ammalata ed era l’unica di cui mi sarei fidato tanto da portarla in questa situazione. E non ho altre amiche abbastanza fidate, non posso chiederlo ai miei amici, ma tu invece lavori qui quindi ho supposto che dei soldi ti servano» decise di andare dritto al punto, non voleva raccontargli tutto per convincerlo, bastava che gli desse la giusta motivazione. Era certo che anche Gabriel avesse capito cosa intendeva, perché il suo sguardo si fece poco più serio, gli occhi si assottigliarono.
«E io di soldi ne ho, ma non posso nemmeno permettermi di rischiare che qualcuno mi infastidisca con questa storia. In questo caso avremmo entrambi un motivo per non darci fastidio a vicenda.»
L’espressione di Gabriel rimase immutata per un momento, il trucco sul suo viso si era levato facendosi un poco più leggero, eppure Christopher non riusciva a non guardare i suoi occhi, sotto quella linea nera nonostante fosse notte e la luce del lampione giallastra non gli rendesse il giusto colore, sembravano risaltare il doppio ed essere più grandi.
«Non sai nemmeno quanto mi serve, potrei lavorare qui per piacere.»
Christopher annuì a quella risposta.
«All’università stai molto per i fatti puoi, non ti esponi, non mi sembravi il tipo. Forse sbaglio, se lo faccio ti chiedo scusa» non ricordava quando la situazione si fosse fatta più seria, si sentiva come davanti un contratto, doveva solo convincerlo a firmare.
Gabriel fece un lieve sorriso, abbassando gli occhi. «Mi va bene se mi dai il doppio di quanto prendo qui.»
Christopher sollevò lo sguardo, ancora sorpreso, «quindi va bene? Sei serio?»
«E questa reazione cos’è? Sei stato tu a parlarmene no? Hai uno strano modo di convincere le persone» nelle sue parole poteva leggere un leggero accenno di ironia, le labbra si incurvarono in un lieve sorriso, «forse vorrei pensarci un altro po' prima di risponderti.»
Christopher annuì, improvvisamente il fastidio che aveva provato fino a poco fa era svanito, aveva forse davvero trovato qualcuno che gli avrebbe risparmiato un sacco di seccature per un bel po' di tempo con un solo pomeriggio. Certo era consapevole che non fosse il massimo vendere il proprio aspetto per un pomeriggio, ma a dispetto di quello che poteva aver fatto intuire con quella velata piccola minaccia, lui non aveva alcuna intenzione di denigrarlo.
«Va bene, grazie. Se puoi fammelo sapere al più presto domani mattina.»
Gabriel annuì, poi rialzò lo sguardo diretto su di lui, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sempre se riesci a tornare a casa in queste condizioni.»
«Ah? Si certo. Troverò il modo.»
Christopher non si aspettò una proposta di passaggio, era certo che Gabriel avesse ancora il suo da fare e non era certo di sopportare altro tempo in sua compagnia dopo la richiesta che gli aveva fatto Voleva rimanere un po' per sé e pensare da solo. Con uno sguardo osservò l'apparecchio che intravide nell’orecchio di Gabriel, era curioso ma rimase in silenzio.
«Devo rientrare ora...»
Christopher annuì, ma non vedendolo muoversi sollevò un sopracciglio. Gabriel sciolse le braccia, lasciandole ricadere lungo i fianchi, la sua figura era così slanciata che Christopher ne rimase nuovamente affascinato, sarebbe stato facile ritrarlo e un piacere per gli occhi farlo.
«Dove ti contatto nel caso?»
«Sì giusto, sei nel gruppo dell’università?»
Gabriel annuì.
«Trovi lì il mio numero, ho la mia foto quindi mi riconosci.» Non se la sentiva di lasciargli o di chiedergli diretto il numero. In quel momento voleva solo sparire sotto le lenzuola del suo letto e non accendere mai più il telefono, che la risposta fosse no o sì avrebbero entrambi portato delle conseguenze da affrontare. Tutto perché non riusciva ad essere se stesso.
Gabriel non aggiunse altro, con un lieve cenno e un piccolo saluto si allontanò tornando verso l’entrata del locale. Christopher salì sulla sua auto e rimase seduto per un lungo momento. Non era così di solito, aveva un carattere del tutto diverso, quella situazione lo stava mettendo troppo sotto pressione.

***

La mattina dopo si era ritrovato nel suo letto, vestito con gli stessi abiti della sera prima e un lieve mal di testa martellante alle tempie. Christopher era alzato con un gemito di fastidio, grato che la sveglia non avesse suonato, richiuse gli occhi.
-Te lo farò sapere domani.-
-Ti verremo a trovare dopo l’ora di pranzo.-
Balzò giù dal letto in un attimo prendendo il telefono. Per fortuna era ancora prima mattina, il suo orologio biologico non lo aveva tradito nemmeno quel giorno. Erano le otto del mattino e aveva tutto il tempo di prepararsi.
Con un sospiro si alzò, levandosi la giacca e guardando il cellulare, aveva diversi messaggi ma due soli attirarono la sua attenzione:
-Sono Gabriel. Va bene.-
Christopher osservò il messaggio, gli aveva scritto alle sei del mattino, decisamente presto, non ci aveva dormito su.
-Perfetto, ci vediamo al Coffefree vicino l’università tra un’ora-
Si spogliò velocemente e si infilò nella doccia sperando di lavare via quegli ultimi rimasugli di sonno che si erano aggrappati a lui rendendogli pesanti le palpebre. Si vestì altrettanto velocemente e si osservò allo specchio, il lieve accenno di occhiaie avrebbe potuto ben nasconderle, sperava che con un riposo pomeridiano sarebbe riuscito a
levarsi quell’aria stanca che circondava le sue iridi scure, i capelli castani gocciolavano lungo le sue spalle, gli diete un’asciugata veloce per poi finire di prepararsi.

Avrebbe dovuto sistemare anche l’appartamento in cui era in affitto, molto semplice e modesto ma se i suoi avessero voluto salire avrebbe dovuto sistemare tutta la roba di pittura lasciata sul piccolo tavolino in salone e per la tela mezza dipinta avrebbe dovuto trovare spazio nel suo armadio. Meno gli ricordava della sua indole artistica più quelle ore sarebbero divenute sopportabili.
Per il resto era sempre molto pulito, giocava molto l’aver scelto un coinquilino altrettanto pulito anche se disordinato, non riusciva ancora a capire come una combinazione del genere riuscisse a coesistere. Per quei giorni sarebbe stato fuori per una settimana e anche quello poteva giocare a suo favore benché già ne sentisse un poco la mancanza.
Uscì di casa velocemente, raggiungendo in circa un quarto dora il luogo d’incontro, non aveva ancora idea di come avrebbe dovuto impostare il tutto, l’alcool l’aveva aiutato a trovare una soluzione a cui non avrebbe mai pensato, ora doveva essere lucido per affrontarla. Man mano che si avvicinava era certo di vedere intorno a sé la nebbia dell’indecisione che lo circondava, la sua mente era un alternarsi continuo di indecisione e presa di consapevolezza della scelta che stava portando avanti, se tutto fosse andato secondo i piani non ne avrebbe che guadagnato qualche mese di pausa, nulla per cui valesse la pena di rischiare così tanto se ci andava a pensare bene.
Ma non aveva ancora con sé le armi per affrontare i suoi genitori a viso aperto, questa volta era certo che la sua rivelazione avrebbe coinvolto tutta la famiglia e avrebbe rischiato uno scenario simile a quello che aveva vissuto quando aveva deciso che cosa era ciò che nella vita lo faceva sentire vivo. Era disposto a riviverla ma non ancora.
La nebbia si addensò ai lati dei suoi occhi ma Christoper la scacciò con un gesto, continuando a camminare verso il bar e a farsi strada in essa.
Gabriel lo raggiunse con un ritardo di soli dieci minuti, effettivamente Christoper non sapeva dove abitasse e quanto tempo gli ci volesse per muoversi. Era entrato dentro e si era seduto prendendosi un semplice caffè lungo.
Lo riconobbe immediatamente, i capelli erano legati in una coda bassa e i vestiti erano molto casual, dei jeans chiari e una maglietta a maniche lunghe scura, eppure la sua figura spiccava in ogni caso. Alzò un braccio per farsi riconoscere.
«Vuoi qualcosa?»
«Prenderò un caffè.»
Dopo l’arrivo della cameriera e dell’ordine portato a termine, gli occhi celesti di Gabriel si spostarono su di lui, osservandolo e attendendo. Non sembrava essere in imbarazzo. Forse Christopher doveva fare come lui, considerarla solo una questione occasionale che sarebbe tornata utile a tutti e due.
Voltò lo sguardo verso fuori, vedendo diverse macchine sfrecciale lungo la strada e il marciapiede cominciare ad affollarsi come ogni giornata della settimana. Il sole era alto e il vento freddo dell’inverno cominciava ad andarsi a sostituire con il tempo mite della primavera.
«Allora...» iniziò Christopher, «in realtà è molto semplice, devi solo fingere di essere la mia ragazza, certo dovrai...vestirti a modo e truccarti.»
«Quello non è un problema, so truccarmi come hai visto e ho i vestiti.»
Christopher si accigliò.
«Hai i vestiti?» Voleva dire che in quel locale vestiva davvero da ragazza per gli spettacoli? La sua domanda doveva leggerglisi in faccia.
«Ho una sorella minore, ben o male abbiamo la stessa taglia.»
«Ah, perfetto allora...»
Gabriel prese il suo caffè ringraziando la cameriera e sorseggiandolo piano a piccoli sorsi. Il caffè era molto carino e modesto, soliti tavolini in legno, un bancone con i dolciumi la mattina e i tramezzini nel pomeriggio, l’interno era spazioso e luminoso grazie alle grandi finestre. Era solito che molti di loro andassero lì nelle pause o dopo la fine delle lezioni, c’era anche chi vi studiava, per quello lo aveva scelto, tutti e due lo conoscevano ed era in un certo senso un territorio neutro.
«L’unica cosa...la mia voce. Posso vestire da donna, avere le movenze, per un pomeriggio posso farlo in modo più adeguato possibile, ma non so imitare una voce femminile.»
«Giusto, non ci avevo pensato...» Christopher si passò una mano tra i capelli disordinandoli un po'. Era un bel casino quello, che diavolo gli era venuto in mente? Aveva anche promesso dei soldi alla persona che aveva davanti e stava quasi per rimangiarsi tutto.
«Senti posso...posso fingere di essere muto.»
«Sei serio?»
«Ah?» Gabriel si sporse un po' verso di lui, con la luce del sole l'apparecchio nel suo orecchio luccicò per un momento, gli occhi di Christopher non poterono non farci caso.
«Dicevo, sei serio?»
Gabriel notò il suo sguardo, ma non fece nulla per nascondersi, effettivamente non ce ne sarebbe stato motivo, Christopher era solo curioso di sapere.
«Sì, conosco la lingua dei segni è praticamente la mia seconda lingua, mi basterà stare attento a non dare segnali in cui sembra che io senta.»
«Eviteresti anche le domande, così potrei dare la mia sola versione e tradurrei fintamente i tuoi segnali almeno anche per te sarebbe più facile.»
Gabriel annuì con un lieve sorriso, «così non mi servirà sapere altro.»
Christopher bevve in suo caffè, poteva davvero funzionare forse, era assurdo ma era certo che magari tra qualche anno ci avrebbe riso sopra, forse. Cominciava anche a provare una certa curiosità per Gabriel, avrebbe voluto chiedergli tante cose, perché aveva accettato, perché lavorava in un nightclub e perché necessitava di soldi se frequentava un’università dalla retta alta.
Ma non ne aveva alcun motivo e come lui non voleva ricevere troppe domande immaginava che nemmeno Gabriel le gradisse.
«Il mio nome è Gabriele comunque.»
Christopher sollevò la testa, poggiando il gomito sul tavolo e la testa sulla mano.
«Davvero?»
Il suo nuovo compagno di avventura annuì, era chiaro che stesse cercando di avere una piccola conversazione prima di parlare della questione dei soldi.
«Sì, mia madre è italiana, il mio nome è italiano, ma tutti tendono a modificarlo.» Fece spallucce con un lieve sorriso. Christopher sorrise di rimando, sentendo che quel piccolo particolare fosse abbastanza personale da fargli distendere i muscoli tesi. Finì il suo caffè e decise di prendere la parola.
«Okay allora Gabriele, quanto vuoi per questo pomeriggio?»
Gabriele accennò un sorriso, forse la sua pronuncia non doveva essere stata completamente giusta.
«Al locale mi pagano 700 al mese.» Christopher si accigliò, non era molto «è un part-time, non ho potuto chiedere di più.»
Si passò una mano tra i capelli facendo un veloce calcolo del compenso giornaliero, non poteva proporgli di meno o sarebbe stato del tutto inutile ma allo stesso tempo era consapevole che non poteva proporgli quanto il compenso di un mese, aveva molti soldi sulla sua carta grazie alla sua famiglia, ma non avrebbe saputo giustificare una spesa troppo onerosa e la richiesta di un incentivo in più dopo la stessa.
«Vediamo, per un pomeriggio 1.100 ti andrebbero bene?»
Questa volta fu Gabriele ad avere la faccia sorpresa. Con le dita prese a giocherellare con la bustina dello zucchero, Christopher notò che aveva delle unghie ben curate.
«Sei serio?»
«Che c’è? Sei stato tu ad accettare, hai uno strano modo di fare contrattazione.»
Gabriele rise appena, annuendo con la testa, «Hai ragione...è che non sapevo che cosa spettarmi.»
Christopher non sapeva bene che altro dire, supponeva che la proposta fatta fosse stata accettata e per lui sarebbe bastato mettere la scusa di una spesa onerosa e apparire superficiale agli occhi dei suoi genitori, ma aveva poca importanza.
Gabriele osservò l’orologio che portava al polso, «devo andare, tra poco inizia la lezione... »
«Sì certo, allora mandami poi la posizione di casa tua, ti verrò a prendere io verso le sei. A Meno che tu non voglia raggiungermi a casa…»
«No si… ti mando la via dopo» Gabriele si alzò guardandolo ancora un momento, come aspettandosi che lo avrebbe seguito, ed effettivamente aveva senso, Christopher avrebbe dovuto seguire le lezioni con lui.
«Pago io, non preoccuparti.»
Gabriele scosse la testa, lasciando una banconota sul tavolo, «il pagamento dopo il lavoro fatto, potrebbe saltare tutto e almeno così non avrò debiti.»
«Un debito di un caffè, insormontabile» scherzò Christopher, ma non si oppose e prese i soldi di Gabriele, salutandolo mentre si allontanava verso l’uscita. Si avvicinò alla cassa e pagò, era assurdo che stesse davvero portando avanti quella recita.
Tornò direttamente a casa, levandosi il giacchetto e buttandolo sul divano, odiava dover stare da solo e preferiva di gran lunga avere la fastidiosa presenza del suo coinquilino, sapere che qualcuno a casa ci sarebbe stato era un’idea che lo rassicurava sempre. Solitamente a casa dei suoi genitori rimaneva spesso solo.
Guardò l’orologio appeso nella modesta cucina del loro appartamento, aveva ancora tempo.
Tirò fuori dal cassetto della sua camera diversi pennelli e colori in acrilico, l’odore della pittura tanto forte gli fece storcere il naso e sorgere un sorriso sulle labbra, era stato amore subito anche quando era solo un bambino.
Aveva lasciato la vernice che componeva il suo dipinto a riposare per ventiquattro ore, erano ben sei mesi che lavorava allo stesso quadro e sperava di poter giungere alla fine, sentiva che ormai aveva ben poco da donare ancora su quella tela ed aveva in mente di trovare una nuova fonte di ispirazione, voleva provare a dipingere qualcosa di nuovo e sperava solo di trovare la giusta illuminazione prima di spostarsi all’accademia di arte che intendeva frequentare, avrebbe dovuto presentare dei suoi lavori e spiegarne la creazione e fino a quel momento sentiva che nessuna delle sue creazioni fossero adatte a quel ruolo.
Non voleva avere un blocco proprio in quel momento ma allo stesso tempo non voleva stressare la sua mente troppo da rischiare di causarlo, aveva ancora tempo.
Si spostò le ciocche di capelli scure indietro, sistemando lo sgabello davanti la tela poggiata sul supporto reggi quadro, prendendo il pennello tra le dita e cominciando a sistemare i colori sulla tavolozza posta in disordine sul tavolo, per il prossimo quadro avrebbe dovuto lavarla.
Mischiò il bianco della nebbia con il verde dell’acqua del lago che sotto i sili morbidi del suo pennello prendeva vita nuovamente mentre quell'effetto vaporoso che tanto amava si tornava ad animare sotto il suo tocco, avrebbe voluto poter sentire quella lieve brezza che smuoveva le onde sulla sua pelle, gli dava l’impressione che sarebbe stato un pomeriggio di Gennaio, aveva creato delle nuvole imponenti in grado di coprire il sole ma non i suoi raggi che tuttavia non raggiungevano comunque la superficie del lago, la nebbia faceva da scudo indesiderato separandoli.
Aveva odiato dover portare avanti quella parte del dipinto, ma l’effetto lo aveva decisamente soddisfatto e sorpreso, in un primo momento quando aveva deciso il protagonista del suo quadro non aveva minimamente pensato che la nebbia ne avrebbe dovuto far parte ma poi i suoi genitori avevano chiamato e la pesantezza di quella visita lo aveva colpito cominciando a far apparire agli angoli della sua vista puntini neri seguiti da una leggera foschia che si andava intensificando nei giorni, per tentare di esorcizzarla l’aveva portata all’interno del suo quadro e mai gli era sembrata più giusta.
Non aveva mai dipinto la nebbia e aveva seguito la tipologia di pennellata che aveva osservato nel quadro Caspar David Friedrich. Gli sembrava più che giusto, se lui aveva difficoltà a muoversi nella nebbia che era diventata la sua vita poteva almeno tentare di non sentirsi solo e di rivederla nei suoi quadri a invadere i suoi paesaggi.
Aveva portato avanti la sua passione per tutto il pomeriggio, era anche riuscito a distrarsi abbastanza da perdere la cognizione del tempo, non che fosse una buona cosa. Era sobbalzato al suono del suo telefono che aveva preso a squillare nel mezzo della bolla di pace che si era costruito.
Christopher posò il pennello, guadandosi le dita sporche di pittura fresca sopra e incrostata sotto.
«Merda...» senza pensarci si pulì la mano sui pantaloni afferrando il telefono dalla tasca e lasciando due impronte di pittura ne sporcassero la cover e lo schermo che brillava con sopra la scritta “che Dio ci aiuti”, era sua madre quindi.
«Pronto» incastrò il telefono tra l’orecchio e la spalla, prendendo a pulire i pennelli per evitare la solidificazione della pittura sulle spatole.
«Christopher, siamo quasi arrivati.»
«Bene.»
«Tuo padre vuole che gli ripeti la via dell’appartamento dove sei ora, ti passiamo a prendere.»
Christoper alzò gli occhi al cielo, «no devo passare a prendere… la mia ragazza.»
«Non è con te?»
«Aveva degli impegni nel pomeriggio, la passo a prendere ora, ci vediamo al ristorante dell’hotel.»
«Non fare tardi, tua nonna non lo sopporta e nemmeno tuo padre.»
Mia nonna?”
La sua mano si bloccò dallo strofinare i pennelli, Christopher corrucciò la fronte, «in quanti siete venuti?»
«Siamo noi e tua nonna, da quando sei venuto qui non sei tornato spesso a casa, voleva vederti.»
Il tono piccato di sua madre gli fece storcere la bocca. Christopher evitò di rispondere e di lasciar passare quella piccola provocazione. Sapeva che a nessuno dei suoi due genitori andavano giù le decisioni che aveva preso in questi ultimi due anni, non mancavano mai di farglielo sapere. Era abbastanza stanco da non voler replicare, aveva una sera intera per farlo.
«Va bene, ci vediamo stasera, finisco di prepararmi e arriviamo.» Non attese un ulteriore saluto, chiuse la chiamata sospirando subito dopo. Finì di pulire i pennelli e si spostò nuovamente in salone.
Sua madre aveva sempre amato i laghi, odiava il mare, la sabbia che gli si appiccicava addosso e il sale che rovinava la sua pelle. I pomeriggi che avevano passato insieme nella più completa tranquillità erano sempre stati ai laghi, non ricordava quali e dove, sapeva solo che ritrarne uno era un modo di immortalare quei momenti di cui si dimenticava spesso di avere nostalgia.
Si chiedeva cosa sarebbe successo se sua madre lo avesse visto, avrebbe colto le sfumature calde e quasi innaturali che aveva usato per la natura che lo circondava? Le nuvole scure che coprivano il cielo in contrasto con la tranquillità dell’acqua? E poi quella nebbia…
Non ne era certo.
Sapeva solo che sua madre forse non l’avrebbe mai visto, preferiva quello ad uno sguardo di sufficienza seguito da un mezzo complimento e un’espressione incapace di nascondere una malcelata delusione alla scelta di lasciare la promettente carriera di imprenditore al fianco di suo padre.
Quelli ormai erano i suoi laghi, non più i loro.

Angolino 
Un grazie a tutti quelli che leggono
^^.



Se vi può interessare nel frattempo sto scrivendo anche una storia fantasy (tanto per rendermi le cose complicate :D), "Il fuoco della Fenice" 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4067630&i=1 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 -Mangiatore di fagioli- ***


CAPITOLO 3

Mangiatore di fagioli
Gabriel

Era tornato a casa abbastanza tardi, stordito dalla musica ma completamente sobrio, era stata in sé una serata più tranquilla di quello che si sarebbe aspettato. A fine mese gli sarebbe entrato lo stipendio e tanto bastava per portarlo avanti nonostante sentisse la stanchezza appesantire i suoi arti.
Certo non si sarebbe mai immaginato di incontrare un compagno della sua stessa università e che lo stesso gli avrebbe rivolto una richiesta tanto inaspettata quanto ambigua. Aveva scelto quel locale proprio perché lontano dal quartiere dell’università e da quello che credeva i ragazzi di quei quartieri avrebbero frequentato. Li aveva visti uscire la sera e non dubitava che bevessero e altro ma era quasi certo che difficilmente sarebbero venuti in quello. Aveva avuto ragione fino a quella sera.
Camminò velocemente verso la macchina, aprendola e lasciandosi scivolare sul sedile del guidatore, alzando il volume dell’apparecchio che portava all’orecchio, non poteva tenerlo a volume normale in quel locale. Accese il motore dopo essersi legato i capelli, le parole di quel Christoper continuavano a rimbombargli nella testa.
Lo aveva visto diverse volte nelle aule e nei corridoi, motivo per cui lo aveva riconosciuto subito ed era fuggito in un primo momento, lo aveva sempre osservato da lontano; vestiva bene, sembrava abbastanza popolare e aveva il suo bel gruppo di amici, studiava nella stessa aula almeno due volte a settimana e aveva una voce imponente. Lo aveva conosciuto così e riconosciuto nei giorni a venire, motivo per cui lo aveva osservato spesso.
Era così facile sentirlo parlare.
«Che dovrei fare...» sussurrò parcheggiando sotto casa. Non aveva idea di che cosa fare in quella situazione, la prima risposta che gli era venuta in mente da dare era un pieno e assoluto no, era troppo strano e improvviso perché potesse pensare di farlo, vestirsi e atteggiarsi come la ragazza di qualcuno, era vero che grazie al suo aspetto era stato preso a lavorare in quel night club, ma cominciava a credere che quello fosse decisamente esagerato, non aveva nemmeno voglia di vestirsi in modo ambiguo a lavoro per essere più attraente e misterioso, come diceva il suo capo, ma doveva sopportarlo in quanto quello era un lavoro con contratto che gli permetteva di pagarsi gli studi e di pagare le bollette con sua madre.
Salì le scale del palazzo in silenzio con la luce pallida a fargli da guida. Aprì piano la porta cercando di fare meno rumore possibile, non voleva certo svegliare sua madre, doveva essere sfinita per i turni lavorativi. Posò le chiavi sul comodino vicino l’entrata ed ignorò la foto del padre poggiata sullo scaffale della libreria in salone, più cercava di spostarla più sua madre si ostinava a tenerla lì. Aveva levato tutte le altre, rinchiudendole in uno scatolone sotto il letto ma non quella. Non riusciva a capire cosa ci fosse di speciale in quella foto ma non aveva voglia di chiederlo alla madre.
Si spostò verso la cucina, voltandosi e vedendo sul divano del salone sua sorella. Gabriele rimase sorpreso nel vederla lì e un piccolo sorriso gli colorò le labbra.
I capelli biondi sparsi sopra la federa, una copertina addosso e la luce del telefono che le illuminava il viso di una pallida luce bluastra. Abbassò il telefono puntando gli occhi castani su di lui. Gabriele la salutò e muovendo le dita delle mani le chiese se desiderava bere qualcosa.
Sara gli rispose con un semplice assenso e Gabriele si spostò in cucina, prendendo del latte caldo per la sorella e un succo per lui. Si spostò sul divano sedendosi al fianco di Sara che aveva piegato le gambe per fargli spazio. Gli porse il bicchiere bevendo poi in silenzio.
“Il doppio di quanto prendi qui.”
Era una buona occasione nonostante tutto.
Gabriele voltò nuovamente lo sguardo verso Sara, che sollevatasi seduta beveva il suo bicchiere di latte. Appena finito gli chiese con un cenno veloce delle mani cosa ci fosse che non andava.
Gabriele sorrise di nuovo, passandosi una mano sugli occhi.
«Perché sei sveglia? Resti quasi sempre a dormire a lavoro o dai tuoi colleghi.»
Sara fece spallucce, mentre gli rispondeva che semplicemente voleva dormire a casa. Gabriele era contento di rivederla lì con lui, da ben due anni passavano poco tempo insieme, Sara si rinchiudeva a lavoro e Gabriele era quasi certo che in parte tentasse di evitarlo o di non passare molto del suo tempo con lui, poteva chiamarla fase di ribellione o per meglio dire preferiva pensare che la motivazione fosse quella, non aveva ancora capito bene la situazione perché per quanto potesse sentirla un poco più lontana da sé, in quei momenti lei era sempre Sara, avrebbe potuto dirgli tutto ed era certo che lei sarebbe stata lì.
C’era qualcosa di cui dovevano parlare ma non era ancora arrivato il momento giusto. Motivo per cui sentì che spiegargli tutta la situazione non fosse l’idea migliore.
Si limitò a dirgli che aveva avuto una piccola offerta di lavoro limitata e che era indeciso se accettare o meno.
Le sopracciglia di Sara si contrassero, la sua espressione rimase uguale se non per un piccolo sbuffo. Le sue dita si mossero velocemente, i primi anni gli capitava di perdersi molte delle sue parole.
Gabriele sbuffò e le scompigliò i capelli, Sara si voltò dall'altra parte col broncio per poi girarsi nuovamente verso di lui, doveva per forza guardarlo per sapere la risposta.
«Certo che è legale.»
Sara fece spallucce, facendogli un cenno veloce del capo e finendo di interagire con lui per riprendere il cellulare in mano e riprendendo a giocare al suo videogioco. Se sue sorella gli diceva di riposarsi voleva dire che era tornato decisamente stanco da lavoro.
Gabriele la guardò per un istante poi si alzò dirigendosi verso il bagno per struccarsi. Aveva bisogno dei soldi quello era certo, da quando suo padre era finito in carcere aveva lasciato sulle loro spalle solo il peso della sua assenza e la presenza dei suoi debiti.
Lui doveva pagarsi gli studi e doveva aiutare sua madre con le bollette, con la spesa, con tutto quello che poteva. Da quando era piccolo si era preso cura di Sara, era grazie a lei se conosceva la lingua dei segni, era fondamentale per Gabriele che Sara potesse seguire la sua strada e da quando sua sorella aveva dimostrato una vera passione per il mondo video ludico era diventato fondamentale per lui che lei potesse farsi una carriera nel mondo della creazione di videogiochi e le avrebbe dato tutto il suo supporto. Forse era per questo che Sara si era allontanata da lui, non voleva aggredire i suoi spazi ma nulla avrebbe potuto tenerlo lontano dal darle una mano in qualsiasi momento.
E qualsiasi cosa Sara volesse pensare, la sua situazione e il suo apparecchio acustico insieme alle varie visite erano dei pozzi che inghiottivano i soldi che guadagnavano.
Gabriele si sciacquò il viso, levandosi con il sapone il trucco dal viso per poi passarsi la crema e sospirò. Forse gli conveniva mettere da parte i dubbi ed accettare, se anche non fosse andata bene lui non avrebbe avuto molto da perderci, stava imbrogliando delle persone ma non per sua scelta, doveva solo essere pagato per un semplice pomeriggio passato con addosso vestiti da donna in mezzo a degli sconosciuti, niente che gli fosse impossibile.
"Non sarebbe un comportamento simile a quello di mio padre? Diventerei come lui."
Gabriele scosse la testa, spogliandosi e indossando il leggero pigiama che attendeva sul termosifone. Sua madre non la smetteva mai di preoccuparsi per loro come fossero eterni bambini e lui non aveva il cuore di rinunciare a quelle piccole gentilezze. Gli piaceva pensare anche che sua sorella fosse lì per assicurarsi che sarebbe tornato a casa senza difficoltà, gli piaceva pensarlo ma non ne era sicuro.
"
È una bugia in cui io non c’entro nulla, non fa del male a nessuno, se la gestirà lui dopo. Ho bisogno di soldi extra, potremmo levarci gli ultimi debiti rimasti."
Come poteva rifiutare? Spense la luce del bagno, tornando nel salone. Sara era ancora lì, indossava la tuta e non il pigiama, era solita andare a dormire tardi e le era utile il fatto che lavorasse prettamente nel pomeriggio, poteva svegliarsi tardi senza problemi.
Gabriele si lasciò cadere sul divano in pelle nera con un sospiro, poggiando la testa indietro. Non aveva voglia di stare solo nella sua camera, era da un po' di tempo che non rimaneva vicino a sua sorella in quel modo silenzioso ma confortante, non aveva voglia di parlare o discutere, voleva solo rimanere lì sdraiato e chiudere gli occhi.
Sara gli toccò la gamba con il piede, richiamando la sua attenzione. Gabriele riaprì gli occhi e si voltò verso di lei, lo schermo del cellulare che aveva davanti gli mostrava la schermata iniziale di un videogioco che non aveva mai visto, il logo sulla sinistra era lo stesso dell’impresa per cui lavorava Sara.
«L’hai progettato tu?» Scandì il movimento delle labbra, Sara annuì con vigore. Aveva sempre amato i videogiochi ed era fenomenale nel programmarli. I sottotitoli per non udenti erano chiari e limpidi, rendendo il gioco immersivo per chiunque e accessibile anche a lei e ad altri. Gabriele era tanto fiero dei suoi progressi che sorrise spontaneamente, «mi piace, sembra un bel gioco. Mandamelo poi.»
Lo comunicò in entrambe le lingue, sperando che quella volta sua sorella non fingesse di non capire.
Gabriele rise alla sua risposta, effettivamente Sara non aveva tutti i torti, lui era una vera frana nei videogiochi ma lo divertivano comunque e avrebbe volentieri fatto parte di qualsiasi cosa creata dalla sua sorellina. Mentre Sara si portava il telefono davanti gli occhi Gabriele poggiò nuovamente la testa indietro chiudendo gli occhi. Non voleva dormire sul divano, solo stare tranquillo per un momento e quando arrivò il momento non si accorse nemmeno di star scivolando lentamente nel sonno.
Percepì la luce spegnersi e per ultimo sentì Sara allungare e poggiare le gambe sulle sue. Quella sensazione familiare gli permise di addormentarsi velocemente.
"
Devo accettare."

***

La mattina seguente si era alzato con la sensazione di fastidio al collo e la consapevolezza che in camera non ci era mai arrivato, aveva dormito storto sul divano accanto ad Sara. Si voltò vedendola sdraiata scomposta a pancia in su, un braccio sopra la testa, il telefono accanto a lei e le gambe ancora allungate sulle sue, i capelli le coprivano parte del viso in un groviglio confusionario di nodi.
Gabriele sorrise, gli spostò con delicatezza le gambe attento a non svegliarla e si allungò verso il cellulare, erano le sei di mattina, sapeva che era presto ma se non gli avesse scritto ora temeva che non lo avrebbe più fatto.
-Va bene.-
Gli sembrava troppo freddo, cosa avrebbe dovuto scrivergli, ciao? Non aveva senso, avrebbero avuto tempo per parlarsi. Doveva solo dirgli che ci stava, aveva poco tempo quello stesso pomeriggio si sarebbe dovuto presentare.
-Sono Gabriele. Va bene.-
Inviò il messaggio e si spostò in cucina, bevve il suo succo e mangiò due fette biscottate, la luce da fuori era ancora lieve e illuminava abbastanza la cucina da non fargli accendere la luce. Voleva tenersi quella lieve pace per ancora alcuni secondi.
«Hai fatto tardi anche ieri.»
Gabriele sobbalzò, voltandosi verso l’arco della porta della cucina, sua madre si spostò verso il lavandino prendendo un bicchiere d’acqua. Le occhiaie sotto i suoi occhi erano abbastanza pronunciate, la coda si era sfatta nel sonno e le teneva a malapena i capelli ora più corti, il segno del cuscino rosso sulla guancia suggeriva che almeno doveva aver dormito in modo profondo.
«Al solito.»
Sua madre non approvava il tipo di lavoro che faceva, si preoccupava per gli orari e per il luogo in sé, ma Gabriele glielo aveva spiegato, l’orario notturno veniva pagato di più e lui non aveva intenzione di lasciare che sua madre dovesse spaccarsi la schiena con doppi turni in ospedale. Era bastata una sola volta, non si era più opposta, ma continuava a preoccuparsi. L’unica cosa che infastidiva Gabriele era che potesse perderci le ore di sonno che le servivano per riposare.
«Senti...questa sera sto fuori di nuovo.»
Gabriele si alzò posando il bicchiere nel lavandino, sua madre si voltò verso di lui con gli occhi castani preoccupati. Lei e sua sorella custodivano quel caldo marrone cioccolata che riusciva sempre a fargli percepire il calore dentro si sé, lui era l’unico ad aver preso l’azzurro intenso degli occhi di suo padre.
«Non ti faranno fare di nuovo il turno di notte, devi riposare.»
«Tranquilla non vado al locale. Un mio amico ha bisogno di un aiuto con un lavoretto, mi metterò da parte dei soldi extra.» Sciacquò il bicchiere. Sua madre si versò del latte nel bicchiere riscaldandolo nel microonde e preparando la sua cialda di caffè.
«Che lavoro?»
Gabriele fece spallucce, poggiando le braccia e la schiena al lavabo, «deve pitturare le pareti della casa dei suoi genitori, gli servono due mani in più.»
«Mi fa piacere, è un po' di tempo che non esci con i tuoi amici.» Sua madre si versò il caffè nel latte, sedendosi al piccolo tavolo della cucina. Sara nell’altra stanza si mosse con un verso di fastidio.
Gabriele si voltò verso il salone. Sapeva che era stupido, ma ogni volta che sentiva sua sorella emettere qualche suono dalle labbra, che fosse un verso o una parola stentata era attratto dalla sua voce, quando era piccolo se lo era chiesto molto spesso. Che voce avrebbe avuto sua sorella? Che intonazione? Acuta o profonda? Si era reso presto conto che erano domande stupide, senza senso, sua sorella aveva la sua lingua, la sua splendida mimica e lui aveva smesso di farsi domande.
Tuttavia non era capace di non voltarsi quando la sentiva.
«È tornata ieri sera?»
Sua madre annuì, «quella ragazza mi farà uscire fuori di testa, perché sta così tanto tempo fuori casa?»
Gabriele sorrise, grattandosi il collo. «Lasciala fare, si sta immergendo nel lavoro e si sta creando la sua indipendenza. Credo ne abbia tanto bisogno.»
Non era solo quello, ma avrebbe aspettato ancora per capire. Per adesso poteva solo starle accanto fino a che gli era possibile.
«Gabriele...»
Lui si voltò nuovamente verso sua madre che lo guardava in attesa, gli ricambiò uno sguardo confuso, «mi hai detto qualcosa?»
«Ti stavo chiedendo a che ora devi andare. Forse dovresti tornare dal medico e far controllare l’apparecchio, magari un altra visita all’udito sarebbe utile.»
«No, credo solo sia impostato basso, ora lo sistemo, andrò a fare la visita a fine mese. Ora vado a prepararmi.»
Sua madre annuì, Gabriele uscì dalla cucina portandosi la mano all’orecchio e levandosi l’apparecchio per sistemarne il volume e poggiarlo sulla mensola sopra il lavandino del bagno per buttarsi sotto la doccia.

***

Si era incontrato al bar con Christopher giusto in tempo per poi andare a lezione, ecco un’altra cosa che non avrebbe mai creduto gli sarebbe tornata utile per una situazione del genere, la lingua dei segni. E non era certo di come avrebbero fatto a capirsi tra di loro nel mentre, magari si sarebbero accordati in serata.
Durante la materia di economia aziendale non riuscì a prestare l’attenzione dovuta al professore, prendeva appunti in modo automatico senza ben capire che cosa stava scrivendo, odiava studiare in quel modo ma non riusciva a non pensare che quella sera davvero avrebbe indossato i vestiti di sua sorella davanti dei sconosciuti che l’avrebbero creduto essere la nuova ragazza del loro figlio.
"
Come posso prestare attenzione ai bilanci? L’unico bilancio che mi viene in mente è quanto 50% di stronzata sto facendo e se il restante 50% di guadagno valga la pena. E sicuramente sto sbagliando, è più un 70% - 30%."
Sospirò prendendo a disegnare in modo fin troppo dettagliato la curva di guadagno sul grafico, poggiò la testa sulla mano dopo aver allentato l’elastico che gli stringeva i capelli. Non riusciva ancora ad inquadrare quel Christopher, lo aveva osservato per un po' ma vederlo così da vicino era diverso. Aveva un accenno di barba che doveva levarsi molto spesso, non sapeva immaginarselo con, aveva un viso molto bello e squadrato, gli occhi erano più chiari di quanto gli erano sembrati da lontano, non castano scuro ma chiaro come fossero costantemente illuminati dal sole, i capelli castani gli cadevano bene sul viso con il taglio che aveva, gli davano un’aria molto sbarazzina e libera.
La lezione del professore non era altro che una cantilena di sottofondo ai suoi pensieri, scandita dal rumore dei tasti dei vari computer di chi prendeva appunti in modo digitale e dalle penne che passavano la punta sui quaderni. Christopher non era venuto a lezione, effettivamente se ci pensava era un bel po' di tempo che non lo intravedeva nelle aule, o nella 206.
Era davvero inutile l’essere venuto a lezione quel pomeriggio.
Subito dopo la fine di quelle due ore si alzò velocemente, raggruppando le sue cose nello zaino e dirigendosi verso l’uscita. Ricordava come i primi giorni si era sentito sperduto tra quei corridoi ampi e pieni di studenti già avviati ai corsi, tante aule da perderne il conto e ben quattro piani su cui erano distribuite, si era sentito del tutto perso. La segreteria all'entrata l’aveva visto talmente tante volte che ormai lo salutavano ogni volta che lo vedevano, anche perché molte volte era dovuto entrare dentro per poter sentire le indicazioni, prima di entrare nell’università non aveva mai pensato che quei corridoi potessero essere tanto chiassosi da rendergli complicato sentire. Tuttavia si era trovato molto meglio che al liceo, non aveva dovuto dire dinanzi a tutta l’aula e a tutti i suoi professori della sua lieve disabilità e delle sue necessità, gli era bastato sedersi ai posti davanti e scoprire che quasi tutti i professori usavano i microfoni per spiegare, poteva perdersi qualche parola ma trovava sempre il modo di recuperare.
Scese i gradini d’entrata attraversando il giardino e uscendo dal complesso universitario, passando vicino i dormitori. Tirò fuori il telefonino guardando l’orario, erano le quattro del pomeriggio, doveva cominciare a prepararsi. Perse la metro e appena arrivato a casa poggiò lo zaino nella sua camera. Sua madre era fuori e molto probabilmente anche sua sorella doveva essere andata a lavoro.
«Che diavolo dovrei indossare…»
Da ciò che so, sono abbastanza facoltosi...mia sorella avrà qualcosa di adeguato?”
Si spostò nella camera di sua sorella, era abbastanza ordinata da quando sua madre la puliva. I poster dei videogiochi coloravano le pareti giallo ocra, la scrivania era piena di matite colorate con cui buttava giù le bozze delle trame dei suoi progetti. L’armadio era posto di fianco al letto rifatto, quando lo aprì si ritrovò davanti una bella sfilza di jeans, camicie, felpe e poche gonne in pelle, effettivamente più che un vestito una gonna con un maglione sopra sarebbero stati più adeguati, il vestito troppo stretto al suo corpo avrebbe reso complesso nascondere le sue forme troppo maschili.
Prese una gonna in pelle nera lunga fino alle ginocchia e un maglione non troppo pesante ma abbastanza largo da farlo stare tranquillo.
Calze, mi servono le calze e...oddio anche il reggiseno?”
Si sarebbe visto dal maglione? Non lo sapeva, gli conveniva provarlo e decidere poi. Chiuse l’armadio spostandosi verso i cassetti sotto. Aprì il primo, mutande, lo richiuse immediatamente appena intravide il pizzo.
«Merda, che situazione.» Sospirò e aprì quello sotto con solo canottiere e reggiseni, ne prese uno piccolo, per sua fortuna aveva il busto abbastanza stretto.
Un rumore lo distrasse e quando voltò lo sguardo gli prese un infarto. Sara lo guardava dalla porta con un sopracciglio alzato, la domanda dipinta in volto. Spostò gli occhi dal suo viso ai vestiti che teneva sul braccio.
Gabriele avrebbe voluto sotterrarsi.
«Mi serve...per un amica, per stasera.»
Sara si corrucciò, poco convinta. Non aveva nemmeno bisogno della lingua dei segni per capire la domanda che aveva dipinta sul viso.
Gabriele le rispose nuovamente facendole leggere il labiale, le sue mani sembravano essere pietrificate. Per una volta che aveva sperato che sua sorella fosse davvero fuori casa, lei era rimasta.
«Sono più belli dei suoi, te li riporto domani, se succede qualcosa te li ricompro okay? Ora devo...devo andare.»
I suoi occhi castani si fecero attenti. Maledizione, non faceva mai domande. Proprio quella sera che avrebbero potuto parlare un po' di più Gabriele voleva solo sparire sotto terra.
«Il lavoro per amici che ti ho detto. Ti spiego un altra volta okay?»
Sara fece spallucce, trattenendo quella scintilla di curiosità che aveva negli occhi. Ma il suo sguardo parlava chiaro, solo per il momento, non sarebbe fuggito per molto. Avrebbe almeno avuto tempo per inventarsi una scusa credibile.
Adesso però non posso certo mettermi a provarli qui, non mi deve vedere vestito così o non avrò più pace.”
Gabriele prese il suo telefonino, ci pensò un momento prima di premere il tasto della chiamata. A malapena si conoscevano ma per la situazione che avevano tirato su era d'obbligo che certi imbarazzi venissero sorvolati.
Pensa hai soldi...mi servono.”
Gli rispose al terzo squillo. «Pronto?»
«Sono Gabriele...»
«Sì...» gli sembrava di aver udito per un momento un punto di domanda e di confusione.
«Non posso vestirmi a casa mia. Non sono solo.»
«Ah, capisco, beh potrei venirti a prendere puoi...prepararti qui.»
Faticava a trovare le parole ed effettivamente anche Gabriele non era a suo agio, per sua fortuna il lavoro che aveva fatto in quegli anni lo aveva un po' sciolto. Certo non abbastanza da farsi vedere vestito da donna dalla sorella, non aveva alcuna voglia di rispondere alle sue domande ed aveva il timore che se avesse saputo che lo faceva solo per un altro lavoro e non per piacere personale quella lontananza tra loro si sarebbe accentuata.
«Sì, va bene.» Gli disse il suo indirizzo e guardò l’orario subito dopo aver chiuso la chiamata, entrò nella sua camera e recuperò una busta in cui mettere i vestiti, per fortuna possedeva già dei trucchi suoi necessari per il locale dove lavorava, non avrebbe saputo come spiegare anche quella sparizione alla sorella.
Quando sentì il campanello suonare si avviò alla porta dopo aver salutato sua sorella e aver lasciato un biglietto per sua madre. Si legò i capelli in una bassa coda e indossò il giacchetto. Riconobbe subito la macchina, era la stessa della prima sera, una fiat rossa lucida e perfettamente curata. Avrebbe voluto una macchina anche lui, gli avrebbe reso più facile ogni giornata.
Bussò al finestrino e Christopher gli aprì. Era vestito in modo elegante, indossava una camicia color pSara e pantaloni beige accuratamente stirati, i capelli mori erano sistemati e pettinati e l’accenno di barba era sparito. Gli sorrise leggermente e piccole fossette si crearono sulle sue guance.
Gabriele entrò e si mise seduto al suo fianco e lo salutò.
«Mi dispiace per l’improvvisata ma c’era mia sorella...non mi sembrava il caso.»
«A no, figurati. L’incontro è tra due ore.»
«Sarò pronto, sono abituato a vestirmi velocemente.»
Subito dopo il discorso sembrò morire, Christopher sorrise quasi divertito e partì immediatamente. Gabriele sentì nascere dentro di sé una sensazione di nervoso misto all’imbarazzo. La città cominciava ad avvicinarsi verso l’imbrunire e i lampioni cominciarono ad accendersi lungo la strada, la solita nuvolona uggiosa e grigia copriva il cielo di Londra preannunciando la pioggia della sera.
«Nel frattempo posso insegnarti qualcosa sulla lingua dei segni.»
«È una buona idea, non ne so nulla. Avevo pensato di improvvisare la traduzione.»
Gabriele nascose un sorriso guardando fuori il finestrino, era sicuro che sarebbe finita così, forse alla fine tutto l’impegno della serata sarebbe stato il non sbottare a ridere davanti a tutti.
 

Angolino 
Un grazie a tutti quelli che leggono
^^.



Se vi può interessare nel frattempo sto scrivendo anche una storia fantasy (tanto per rendermi le cose complicate :D), "Il fuoco della Fenice" 
https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=4067630&i=1 

 

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