Lo sguardo

di Marc25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sguardo innamorato - il fumo uccide ***
Capitolo 2: *** Sguardo vuoto - Il cielo piange ***
Capitolo 3: *** Sguardo furioso - Un drink di troppo ***
Capitolo 4: *** Sguardo analitico - La squadra del cuore ***
Capitolo 5: *** Sguardo glaciale - Il bacio ***



Capitolo 1
*** Sguardo innamorato - il fumo uccide ***


Cap. 1 – Sguardo innamorato
Il fumo uccide
Pavia – Giugno 2022
Il calore della mano nella sua, una sensazione piacevole. Niente che non avesse già provato, ma con Francesco era diverso. Erano innamorati, sapeva quanto era stato difficile per il suo amato quel gesto, finalmente in un posto pubblico come la stazione.
Per Luca era un gesto normale, era un ragazzo che aveva avuto le sue esperienze, ma per la prima volta era davvero innamorato. Lui non sapeva che sguardo avesse ma sua madre gli diceva sempre che quando guardava Francesco era innamorato. Uno sguardo innamorato.
 
Erano decisamente diversi, si erano conosciuti nella biblioteca dell’università di Milano. La prima cosa che avevano fatto era stato guardarsi male, un classico. Lui era con un’amica e a un certo punto raccontò una cosa che gli era successa il giorno prima, aveva dato un po’ di enfasi al racconto, quindi aveva alzato la voce suscitando la risata dell’amica. Subito Francesco che era al tavolo accanto, da solo, disse: << Shh, silenzio, è un luogo di studio questo. >>
Luca lo guardò male, ma si accorse che da allora, il ragazzo accanto più volte aveva soffermato lo sguardo su di lui per il tempo che erano rimasti in biblioteca. Appena vide che Francesco si alzò col suo libro per andarsene lo seguì e lo fermò, vide che il ragazzo si girò, un po’ sorpreso e un po’ imbarazzato. Luca duramente gli chiese: << Perché mi fissavi? >>
<< No..n ti fiss..avo >> rispose insicuro e balbettante.
<< E invece si, non mentire, perché mi stavi fissando? >>
<< P…per…>
<< P…perché? >> fece Luca prendendo in giro il suo balbettare.
<< Perché sei bello. >> disse tutto d’un fiato Francesco che poi se ne andò via correndo, quasi scappando.
 
Qualche giorno dopo Luca vide Francesco per caso vicino al bar e lo chiamò alzando un po’ la voce: << Ehi, tu. >>
Francesco si girò titubante, << Si, proprio tu >>
Francesco ebbe la tentazione di fuggire di nuovo ma Luca lo raggiunse raggiante, sembrava che la vita gli sorridesse sempre, anche se era solo la seconda volta che lo vedeva.
<< Senti, scusa per l’altra volta, sono stato scortese. Che dici? Lo prendiamo un caffè insieme? Dai, offro io che al bar dell’università costa poco. >>
<< Va..be..ne. >> disse Francesco.
Ben presto Luca capì che il balbettare di Francesco era solo per l’imbarazzo e l’emozione che gli suscitava avere lui vicino.
Erano diversi, molto diversi, Francesco vestiva sempre con la camicia e sopra metteva maglioni quando era inverno e grazie al cielo niente sopra durante l’estate, in generale aveva un vestiario classico, quasi da vecchio però gli donava. Luca invece aveva sempre un vestiario giovanile, era discretamente attento ai capelli, ma sempre mantenendo capigliature moderne.
 
Presto diventarono amici e il gruppo universitario di amici veri aumentò. Ma fu un giorno in cui gli buttò le ultime gocce di una sua bottiglietta d’acqua in faccia che si innamorò. Un semplice gesto di togliersi gli occhiali con la faccia un po’imbronciata bastò.
Una sera Luca glie lo confessò. Francesco, da tempo innamorato, rimase spiazzato, ma quando Luca stava per tornare a casa lo prese per un braccio e lo baciò.
Era il 2019, a Pavia, la città dove vivevano entrambi.
La relazione divenne subito ufficiale tra amici e per la madre di Luca, ma per Francesco era più difficile dirlo a i suoi. Sapevano che era gay e non la avevano presa bene, una relazione ufficiale non la potevano reggere.
Luca lo capiva, accettava la reticenza di Francesco.  
La madre di Luca adorava Francesco, lo invitava spesso a cena, a volte lo faceva dormire in casa, in camera di Luca a patto che non andassero oltre baci e carezze. Ma i due erano al settimo cielo già così. Anche guardarlo dormire per Luca era bellissimo, poteva rimanere a guardarlo per ore. Per il resto l’auto di Luca serviva anche a quello, anche se raramente.
 
Capirono che era amore vero quando anche se a pochi km, non si potevano vedere, a causa del maledetto coronavirus. Il loro rapporto si rafforzò e l’atto più coraggioso di Francesco fu presentarlo ai genitori a fine 2021. Non furono per nulla entusiasti, e volevano cacciarlo di casa o almeno così minacciavano ma Francesco si laureò in medicina pochi mesi dopo, forse anche per quello non andarono mai fino in fondo e l’astio verso Luca si edulcorò notevolmente.
 
Gli occhi azzurri di Luca erano la cosa che più piaceva a Francesco, ciò che lo aveva colpito per prima e da quando aveva lo sguardo pieno di amore nei suoi confronti faceva fatica a distoglierli. In quei 3 anni pieni di amore pensavano che niente sarebbe cambiato e sarebbe probabilmente stato così se non ci fosse stata quella persona.
 
Luca che al contrario di Francesco non era ancora laureato, stava prendendo il treno per andare a Milano e dare finalmente l’ultimo tostissimo esame, in modo da dedicarsi al tirocinio in laboratorio che aveva già iniziato e che gli stava piacendo tantissimo. Tra l’altro aveva fatto amicizia con il dottorando che lo seguiva, Luca era colpito da quanti composti pericolosi potevano esistere ed era incredibile di come alcuni potessero essere utilizzati inconsapevolmente nella vita quotidiana ma il lavoro era fatto nella sicurezza assoluta.
 
Francesco adorava scompigliare i capelli di Luca suscitando in lui una reazione tra il divertito e lo stufato, ma più la prima senza dubbio. Lo fece anche qual giorno. Un bacio a stampo prima di salutarsi, quello fu l’inizio della fine ma loro non potevano neanche lontanamente immaginarlo.
<< Ehi, froci di merda! >> gridava una voce lontana da loro. Tutti si girarono verso l’uomo che gridava verso di loro. E anche verso i due ragazzi ma nessuno disse niente.
<< Venite qua che vi ammazzo come cani! >>
Luca voleva rispondere e andargli contro ma era già salito sul treno, poco dopo fischiò il capotreno.
<< Vai, non ti preoccupare. Ci sentiamo dopo. >> disse Francesco.
<< Stai attento. Ti prego. >>
<< Certo, mi conosci no? >> rispose il ragazzo che non partiva.
 
Vide Luca salire sul treno, avrebbe voluto vederlo allontanarsi ma non poteva, l’uomo era molto più vicino, lui corse via ma l’uomo lo seguiva continuando a insultarlo pesantemente.
<< Ehi, checca, la prossima volta mettiti la minigonna, pervertito frocio di merda. >>
Francesco iniziò a riprenderlo mentre correva, stava uscendo dalla stazione, eppure il tizio continuava a correre, a inseguirlo. La situazione sembrò peggiorare.
<< Vieni qua, che ti spacco il cellulare in faccia merda! >>
Anche l’indifferenza generale lo colpì e lo mortificò.
<< Mi stai registrando perché vuoi vederlo, eh, frocio? Vuoi che te lo mostro checca? >>
Francesco arrivò ad una fermata del bus ben fuori dalla stazione, ma l’uomo continuava a minacciarlo di morte.
<< Se vedo ancora in giro te o il tuo amichetto prendo la mazza da baseball e vi spappolo la testa a voi pervertiti, guardatevi le spalle malati. >>
Detto questo sputò in sua direzione e finalmente si allontanò.
 
Francesco per tutto il tragitto dell’autobus verso casa tremava e ogni volta che si girava gli pareva di vedere quell’uomo. Insulti omofobi così pesanti e gratuiti non li aveva mai subiti neanche a scuola da quei pochi che lo avevano intuito.
Tremante arrivò in casa, salutò in fretta e furia i suoi genitori e si chiuse in camera, aprì la finestra e cominciò a fumare, una delle peggiori abitudini del ragazzo. Ma la nicotina lo calmò. Verso le 18 ebbe notizie del suo amato, esame superato con un ottimo 28.
Gli scrisse: << Esame superato, 28!!! Ti amo. >>
<< Anche io. Congratulazioni, domani festeggiamo. >> rispose Francesco.
Si scrissero ancora per messaggio, ma Francesco non disse niente di ciò che gli era successo, alla domanda di Luca gli rispose che era finita là, quando il treno era partito.
Qualche ora dopo notò che erano finite le sigarette, perciò decise di uscire per comprarle. Il suo problema era, comprare le Winston o le Marlboro? Decise di optare per le seconde.
Scese di casa, fece ben tre isolati prima di trovare un distributore per le sigarette.
Vide in lontananza una macchina che si fermò di colpo. Da quella vettura gli parve che uscisse quell’uomo ma non poteva essere. Ma quando pian piano si avvicinò e quando un lampione illuminò la sua figura inconfondibile, lui iniziò a correre per tornare a casa.
<< Dove vai frocetto? >>  
Il pazzo aveva una mazza da baseball in mano, forse voleva davvero aprirgli la testa in due.
Era sempre più vicino.
<< Ehi, ricchione, questo è un segno del destino, vieni qua merdina! Se ti fai pestare, magari te lo faccio vedere prima di ucciderti. >>
Il destino lo aveva davvero messo sulla strada del suo assassino? Era ad un isolato da casa quando l’uomo che lo inseguiva vide un gruppo di ragazzi di 16-17 anni.
L’uomo gridò: << Ehi, ragazzi, quel frocio si avvicina a voi, fermatelo. >>
Pensava che i ragazzi che erano a pochi metri da lui avrebbero ignorato l’incitare dell’uomo, invece non lo fecero ma gli diedero retta. Loro si avvicinavano minacciosi da una parte, mentre l’uomo che lo inseguiva con la mazza veniva dall’ altra. L’unica cosa che poteva fare era attraversare la strada per andare al marciapiede opposto, ma poi dove sarebbe andato? Non ci pensò e per la prima e ultima volta nella sua vita non passò per le strisce pedonali né vide se stava passando una automobile, non aveva il tempo, lo avrebbero preso.
Una automobile a sostenuta velocità frenò troppo tardi e lo prese in pieno. Fece un volo di mezzo metro morendo sul colpo.
I ragazzi si dileguarono subito. La donna che lo aveva investito scese sconvolta dalla vettura, cercava di scuoterlo ma niente. Non vide che un uomo si allontanava soddisfatto per il risultato che aveva ottenuto.
 
La mattina seguente Luca si sentiva stranamente male, come se avesse perso qualcosa. Non aveva nessun sintomo di niente, a parte mancargli il respiro. La fatidica chiamata arrivò alle 8:12 di mattina, un orario che Luca non avrebbe più dimenticato. Sentì sua madre piangere, lui subito disse: << Cosa hai? Stai male? Vengo subito. >>
La madre gli disse solo la parola Francesco e a Luca cadde il telefono dalle mani. Si inginocchiò e i suoi occhi diventarono spenti, vuoti. Rimase in quella posizione per un’ora intera.

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Capitolo 2
*** Sguardo vuoto - Il cielo piange ***


Cap. 2 – Sguardo vuoto
Il cielo piange
“ Per essere felici serve innanzitutto immaginare di essere felici “. Questo era quello che aveva letto sulla quarta di copertina di un libro. Era quello che Luca aveva fatto in tutti quegli anni da quando conosceva Francesco. Era felice, lo sentiva ma non frenava mai la sua immaginazione su quello che poteva essere nel futuro. Si era immaginato tanti momenti felici che avrebbero potuto passare insieme. Ora tutto ciò che poteva essere non lo sarebbe mai stato e gli pareva di vedere quei momenti frantumarsi davanti ai suoi occhi come uno schermo che si rompe in mille pezzi, una finestra che va in frantumi.
Luca uscì dalla stanza quando l’amica che lo ospitava a Milano bussò preoccupata. Luca uscì con gli occhi lucidi.
<< Che succede? >> chiese l’amica.
<< Francesco è morto. >>
 
Il primo istinto di Luca dopo la terribile notizia era quello di partire e tornare a Pavia ma stava tergiversando. Il motivo era che a Pavia non ci sarebbe stato nessuno ad accoglierlo, a parte sua madre, non ci sarebbe più stato Francesco.
Sua madre lo richiamò: << Dove sei? Pensavo saresti tornato. >>
<< Si, anch’io pensavo ma non c’è la faccio. >>
<< Posso venirti a prendere se preferisci. >>
<< No, non mi importa, adesso mi muovo e torno. >>
La madre, Clara, era preoccupata per il tono della voce, avrebbe preferito sentirlo triste che apatico quale era. Sapeva che non era quello che provava ma comunque la rattristava.
<< Come è successo? >> chiese lui
 << È stato investito. Pare che lui non andasse sulle strisce pedonali e la macchina andava ad una velocità consentita. La donna alla guida ha subito prestato soccorso ma non so altro. >>
<< Francesco che non va sulle strisce pedonali? Che non guarda se non passa una macchina? No, non è possibile, non lo avrebbe mai fatto! >>
<< Lo so che è difficile da credere ma è così. >>
<< No, no, c’è qualcosa sotto…, adesso ti lascio, ci vediamo tra poco. >>
 
Mise nello zaino quel poco che aveva, saluto l’amica e prese il treno per tornare a Pavia.
 
Sembrava una giornata come tutte le altre, anche se più di una volta il suo istinto lo portava al profilo di Francesco, voleva scrivergli su whatsapp o telefonargli. Non poteva. Quel giorno rimase chiuso nella propria stanza e ogni tanto andava in bagno per vomitare. La reazione emotiva non c’era stata ma quella fisiologica sì. Clara era sempre più preoccupata. Il suo sguardo era vuoto, lei conosceva lo sguardo del figlio e i suoi occhi non erano mai stati così inespressivi.
 
Il giorno dopo sembrava che il figlio stesse meglio. Dopo che fecero in silenzio colazione, vide suo figlio prepararsi e sembrava che volesse uscire ma Clara lo seguì e vide che era diretto verso il terrazzo, iniziò a temere il peggio.
Effettivamente il figlio era vicino al bordo del tetto. Correre verso di lui avrebbe potuto spaventarlo e essere controproducente, perciò decise di andare lentamente mentre il cuore le batteva a mille.
Quando Luca sentì la madre cingerlo tra le braccia da dietro, sorrise mestamente e toccò con una mano le mani che lo cingevano.
<< Non volevo buttarmi. Volevo solo vedere se con un alito di vento lo sentivo. >>
Luca si girò e l’abbracciò.
Dopo che si furono staccati dall’abbraccio lei gli disse: << Oggi c’è il funerale. >>
<< Io non vengo. >>
<< Cosa? Ma che dici? >>
<< Dovrei venire a vedere Francesco dentro una bara mentre viene messo sotto terra e fare finta di essere un amico qualunque? No, grazie. Francesco non è là. >>
<< Potresti pentirtene per tutta la vita. >>
<< Correrò il rischio. >>
A quel punto Luca abbandonò il terrazzo e non tornò subito a casa ma andò vicino a casa di Francesco nel punto dove si diceva fosse stato investito il suo ragazzo. Dopo alcuni minuti iniziò a piovere, anche il cielo piangeva, pensava Luca.
Sapeva che era un evento atmosferico casuale ovviamente e da non credente come il suo fidanzato, trovava quel funerale ancora più sbagliato. Ma credeva che in qualche modo c’era qualcosa dopo.
Si fece bagnare dalla pioggia, aveva solo una felpa col cappuccio ma alzava la testa verso il cielo. Alcuna gocce gli bagnarono le guance sotto gli occhi, non piangeva, non ci riusciva, non ancora. La pioggia lo aiutava.
Quando la famiglia di Francesco uscì di casa, fu normale per lui seguirli a distanza mentre il cielo piangeva sempre di più.

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Capitolo 3
*** Sguardo furioso - Un drink di troppo ***


Cap 3 – Sguardo furioso
Un drink di troppo
Il funerale era nelle vicinanze della casa di Pavia, la cerimonia era fuori, al cimitero. Nonostante la pioggia, il programma non era cambiato.
Lui seguiva da lontano, non gli interessavano le parole di un prete che neanche conosceva.
La pioggia si fece incessante, bagnando la sua felpa grigia e i suoi jeans in maniera tale da renderlo fradicio. Si avvicinò alla fine di tutto e fece delle condoglianze normali ai genitori come se fosse uno dei tanti conoscenti.
Quando stava per allontanarsi la madre lo prese per un braccio arrabbiata.
<< Vieni con me. >>
Si misero in macchina.
<< So che soffri, ma non sei l’unico. >>
<< Cosa vuoi? Sono venuto al funerale. >>
<< Avresti potuto avvicinarti prima, avresti potuto dare l’ultimo saluto a Francesco. >>
<< L’ultimo saluto a Francesco l’ho dato via messaggio, solo non sapevo che lo sarebbe stato. Il resto non conta. >>
La madre non rispose e disse solamente: << Sei fradicio, ti prenderai un raffreddore. >>
Luca scrollò le spalle e chiese: << Andiamo a casa? >>
Clara annuì.
 
Qualche giorno dopo:
Luca si era appena ripreso dal raffreddore ma nonostante questo non si alzava dal letto. Clara era preoccupata ma sapeva che era la fase critica.
Aveva detto al figlio che lei lo capiva meglio di chiunque altro ma Luca l’aveva ferita dicendole che quel bastardo del padre li aveva abbandonati, non era morto.
Subito dopo si era scusato ma Clara in fondo sapeva che aveva ragione.
Il citofono che suonò distolse Clara dai suoi pensieri.
<< Chi è? >>
<< Sono Agata, la madre di Francesco. >>
<< Ah, prego, salga pure. >>
<< Grazie, ma vorrei parlare con Luca un secondo, se potesse scendere lo preferirei. >>
<< Ok, lo chiamo subito. >>
 
Chiamò il figlio, e gli disse: << Stavolta prendi l’ombrello. >>
Luca annuì e prese il suo ombrello arcobaleno.
 
Mentre scendeva per le scale della sua casa dal terzo piano si chiedeva cosa volesse Agata. Che volesse dire che era colpa sua se era morto Francesco? Una sorte di punizione divina? O forse voleva dirgli che avrebbe dovuto trattenersi di più al funerale di qualche giorno prima? Comunque lui si aspettava che Agata, in qualche modo, lo avrebbe incolpato di qualcosa.
Quando aprì il portone del palazzo in cui era ubicata la sua casa, vide Agata sul medesimo marciapiede a pochi metri da lui con l’ombrello nero aperto, così come il vestito a lutto che indossava, che in realtà non era altro che un tailleur nero. Differente era il vestito del ragazzo che indossava una semplice giacchetta rossa che leggermente aperta lasciava intravedere la maglietta bianca semplice che indossava sotto, dalla vita in giù un paio di jeans.
<< Ciao Luca. >>
<< Salve signora. >>
<< Chiamami Agata, non te lo avevo già detto? >>
Luca a stento la guardava negli occhi e distoglieva spesso lo sguardo dalla donna.
<< Pensavo che viste le circostanze lei volesse che non la chiamassi per nome, anche perché la prima volta che me lo ha concesso sembrava che qualcuno la avesse costretta. >>
<< Hai ragione, mi sono comportata male con te. >>
Luca la guardò sorpreso, poi lei continuò: << L’ombrello è un simbolo per la lotta LGBT? >>
<< Cosa? No, ci sono 7 colori, potrebbe essere un simbolo per la pace ma è un semplice ombrello con i colori dell’arcobaleno che comprammo quando eravamo sotto la pioggia. >>
<< Tu e Francesco? >>
<< Si. …Come mai mi ha voluto vedere da sola? >>
<< Ho visto un video di Francesco. >>
Per un momento Luca pensava a video intimi che poteva aver fatto con il fidanzato ma semplicemente non ne avevano, non era una cosa che Francesco avrebbe mai fatto e non era una pratica che a Luca piaceva. Fece un sospiro di sollievo pensando a quello e chiese: << Che tipo di video? >>
<< Un video che ha fatto lo stesso giorno in cui è… >>
<< Ho capito. >>
<< Te lo faccio vedere ma non ti piacerà. >>
<< Vediamolo. >>
 
Luca vide il video di quel giorno in stazione, un tizio, quello che già stava imprecando verso di loro prima che lui partisse, offendeva ripetutamente Francesco rincorrendolo e minacciandolo. A stento riusciva a guardarlo e stringeva con forza il manico dell’ombrello.
<< Perché me lo fa vedere? >> Chiese.
<< Ma non pensi anche tu che sia strano che un ragazzo attento come Francesco sia stato così spericolato da non passare sulle strisce pedonali proprio mentre una macchina passava? >>
<< Certo che lo è ma questo video è stato fatto di mattina. >>
<< E se avesse incontrato questo tizio anche di sera? >>
<< E lo avesse inseguito di sera tanto da spaventarlo e da farlo investire? Sa quante possibilità ci sono? >>
<< Poche ma… >>
<< Ma nella remota possibilità che fosse vero non abbiamo nessuna prova. >>
<< Lo so…ma se pubblicassi su internet questo video almeno questo bastardo sarebbe sputtanato. >>
<< Può farlo ma non conti sul mio sostegno. >>
<< Perché? >>
<< Può scrivere tutto quello che è successo anche prima del video, che ci stavamo dando la mano e poi con un bacio a stampo quel tipo ha dato di matto e ha iniziato a insultare Francesco. Ma in tal caso non legga i commenti. >>
<< Perché? In televisione siete semp… >>
<< Ha detto bene, in televisione, nelle serie tv, nei film, spesso sembra che il Mondo ci abbia finalmente accettato, qualcuno potrebbe dire anche troppo. Ma la televisione non è il Mondo reale. Nella realtà il 50 percento delle persone ci vede come qualcosa di marcio, di brutto, qualcuno direbbe anche da estirpare e i social in questo caso sono lo specchio della realtà. Ora capisce perché? >>
<< Ma non è giusto non fare niente. >>
<< Lo so. Signora Agata, lei può sempre passare per parlare con me, con mia madre, credo che lei sia l’unica che sta soffrendo più di me. Le prometto che la prossima volta mi sforzerò a darle del tu. >>
Agata fece un sorriso, annuì e se ne andò mestamente. Non pubblicò nessun video, né si fece vedere nei mesi successivi.
 
 
Settembre 2022 – un venerdì
Il tirocinio gli piaceva, il suo tutor era fantastico e riusciva a seguire più persone con grande capacità. Erano diventati molto amici, così Luca ne sapeva anche di più di altri su composti e non solo. Grazie a Federico, così si chiamava, riusciva a non pensare troppo a Francesco e a concentrarsi sul lavoro, anche se alcuni composti puzzavano da morire, questa era l’unica cosa che non piaceva a Luca.
<< Si fanno molti cosmetici anche con sostanze che prese da sole puzzano molto. >>
Luca disse: << Stento a crederlo. >>
Quella era una frase che diceva spesso quando Federico gli rivelava alcune cose.
Faceva sorridere Federico che gli rispose: << E invece è così, pensa che c’è ne sarebbero molti di più, se alcuni non fossero pericolosi, alcuni addirittura velenosi, soprattutto le sostanze che scatenano alcune erbe. Per fortuna ci sono anche numerosi antidoti. >>
<< Davvero? Quasi quasi la faccio su questo la tesi >>
<< Potresti ma non potremmo sperimentare molto, proprio per il pericolo. >>
<< Già, va bene ma mi informerò allora per curiosità. >>
<< Ok, basta che non trascuri il resto. >>
<< Tranquillo. Sai già che non lo farò. >>
<< Torni a Pavia per il week end? >>
<< Come sempre. >>
<< Ti fa ancora male? >>
<< Come non potrebbe. >>
<< Sai che io e Simona ti siamo sempre vicini, vero? >>
<< Si, anzi, salutami la tua ragazza che stamattina non l’ho vista. >>
<< Lo farò. Allora, fai buon viaggio. >>
<< Grazie. Ci vediamo lunedì. >>
 
 
Domenica
Tornato a Pavia quel week end Luca non riusciva a lenire la sua sofferenza. Da quando era morto Francesco, le rare volte che usciva di casa, metteva un berretto in testa. Forse lo faceva perché inconsciamente temeva di essere riconosciuto, come se tutti potessero riconoscerlo. E lui non voleva né la compassione di qualcuno che magari lo conosceva appena, né tanto meno attacchi per le sue tendenze sessuali, come era accaduto a Francesco tre mesi prima.
Quella domenica uscì e dopo una camminata neanche troppo lunga vide un bar, uno di quei bar che rimaneva aperto fino a notte fonda. Notò il televisore in alto, erano le 22:30, era sintonizzato su un canale pay per view, decise di entrare, non poteva saperlo ma quella decisione avrebbe cambiato la sua vita.
 
Luca si sedette al tavolo e ordinò un bicchiere di whisky. Era malinconico, la fase della tristezza intensa era passata, o almeno era quello di cui si convinceva.
Vide distrattamente un uomo con pochi capelli con una giacchetta rossa e dei pantaloni neri che imprecava con alcuni giocatori della sua squadra, il Milan.
Luca provava una certa simpatia per i rossoneri, campioni in carica, ma per quanto ne sapeva lui giocava ancora Maldini.
 
Il tizio esultò alla vittoria del Milan mentre tracannava bicchieri su bicchieri che il barista con solerzia gli riempiva a ogni sua richiesta.
Poi ci fu il notiziario, Luca aveva deciso che dopo i titoli se ne sarebbe andato ma ci fu una notizia su una ennesima aggressione su un presunto omosessuale, per fortuna il ragazzo non era in gravi condizioni.
<< Che faccia di merda, ma lo hai visto? >> chiedeva quel tizio al barista.
<< Se fosse per me tutti al muro e bum, li sparerei tutti. >> continuava.
<< Forse ha bevuto troppo. >> intervenne il barista.
<< Ahah, no, no, anzi se mi servi un ultimo bicchiere vi svelo un segreto. >>
Il barista non troppo convinto disse: << Ma che sia l’ultimo. >>
<< Giuro. >> disse euforico l’uomo.
Dopo aver tracannato anche quel bicchiere disse la fatidica frase: << Pensate che qualche mese fa, una mattina, ho inseguito uno di questi deviati insultandolo e minacciandolo alla stazione. E poi la sera mentre prendeva le sigarette lo ho inseguito con una mazza da baseball, guardate che gli avrei spaccato veramente la testa se l’avessi raggiunto ma mentre scappava un’auto lo ha investito ed è morto. Ahahahaha, è stato uno spasso. >>
Tutti erano un po’ raggelati ma non diedero molto peso ai deliri di un uomo ubriaco. Si ricordò a stento di pagare e se ne andò barcollando.
Nessuno diede peso alle parole dell’uomo tranne un ragazzo che lo aveva alla fine riconosciuto e che adesso lo guardava con uno sguardo furioso.

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Capitolo 4
*** Sguardo analitico - La squadra del cuore ***


Cap 4 – Sguardo analitico
La squadra del cuore
Mentre guardava quell’uomo uscire strinse il bicchiere tra le sue mani con forza, per fortuna la pressione non era tale da romperlo.
Dopo qualche minuto si ricompose, voleva sapere qualcosa in più su quell’uomo.
Si tolse il cappello mostrando i suoi corti capelli neri mentre si avvicinava al barista. Sicuramente i suoi occhi colpivano chiunque.
<< Salve >> disse Luca timidamente
<< Buona sera, vuole per caso un altro drink? >>
<< No, solo un bicchiere d’acqua. >>
<< Ah, beh, è una richiesta insolita. >>
<< Già, lo capisco, anche se per alcuni dovrebbe essere obbligatorio. >> Disse Luca riferendosi in maniera poco velata a quello che ormai considerava l’assassino di Francesco.
<< Capisco a chi si riferisce. Ha ragione, da quando ho aperto questo bar, ogni domenica, lui è sempre cliente fisso, talvolta il sabato, insomma quando gioca il Milan che è la sua squadra del cuore. Purtroppo non ha pochi difetti e capirei se per colpa sua lei non volesse più venire. >>
<< No, invece credo che mi vedrà più spesso. >>
<< Davvero? Nonostante le assurdità che ha detto? >>
<< Proprio per quello. >> Disse Luca con una inflessione della voce differente, tra il divertito e il freddo.
Il barista pensò fosse solo una sua impressione e non gli diede peso. Dopo che Luca ebbe bevuto il suo bicchiere d’acqua si salutarono. Luca pensava che il barista fosse un bel tipo ma in quel momento pensava principalmente a ben altro.
 
Nelle settimane successive faceva come sempre avanti e indietro tra Milano e Pavia. Nei week end era sempre a Pavia e frequentemente era al bar di sera o il sabato o la domenica, sempre quando giocava il Milan. Puntualmente era presente quell’omofobo che scoprì chiamarsi Carlo, non sapeva ancora il cognome.
Carlo non era attento a chi lo circondava, quando era al bar pensava solo al Milan, non faceva caso al ragazzo che lo osservava e ascoltava tutto quello che diceva come se stesse ascoltando una lezione universitaria.
 
Luca imparava in fretta, oramai sapeva quale era la formazione titolare della squadra, sapeva quale era il modulo che l’allenatore usava di solito, aveva visto tutti i ruoli che i giocatori ricoprivano, sia i titolari che i panchinari e li aveva imparati a memoria. Sul suo PC ormai le ricerche principali che faceva erano due e una di queste era il Milan, l’altra riguardava per lo più erbe e sostanze chimiche.
Contestualmente alla sua ricerca aveva capito i moduli preferiti di Carlo, i giocatori che apprezzava di più e quali di meno. Aveva una piccola agenda su cui aveva segnato tutto, volta per volta. Ma soprattutto quell’uomo odiava l’attaccante principale della squadra, Giroud.
 
Una sera Carlo era seduto come al solito sullo sgabello vicino al bancone del barista. Luca che di solito si sedeva ad un tavolo abbastanza isolato, quella volta, si era seduto anch’egli su uno sgabello ma vicino a quei supporti in legno aderenti al muro. Era proprio dietro Carlo e non distolse mai lo sguardo da quell’uomo, finché lui non pagò, allora Luca si girò di spalle e dava l’impressione di stare bevendo qualcosa. Poco dopo Carlo uscì, Luca lo seguì.
 
In quel momento Luca malediceva sé stesso per avere una macchina vistosa, una Peugeot rossa. Quello che stava facendo era seguire a debita distanza il principale colpevole della morte del suo Francesco.
La macchina nera dell’uomo aveva come targa FX567IG, non avrebbe fatto nessuna fatica a riconoscerla, per qualunque evenienza.
Era sollevato: Carlo non poteva sospettare che qualcuno lo stesse seguendo. Quando la nuova Fiat 600 nera di Carlo, che era quasi paragonabile ad un SUV, parcheggiò, Luca fu lesto a parcheggiare dove c’era un passo carrabile a una distanza sicura ma vicina. Pregò che non passassero i vigili in quel momento, mentre osservava i passi di Carlo, che usò la chiave per aprire un portone a pochi passi da dove aveva parcheggiato la macchina. Prima di entrare Carlo girò la testa verso la sua direzione, era una casualità ma Luca per precauzione si abbassò per non farsi vedere, vide chiaramente che Carlo entrò subito dopo quel movimento involontario di girare la testa verso un punto alla propria destra o sinistra.
 
Notò un’altra cosa, quell’essere spregevole non aveva chiuso il portone. Uscì dalla propria autovettura, sperando ancora una volta che non passassero i vigili, ma non sapeva quante altre volte avrebbe avuto quell’occasione, se l’avrebbe avuta.
Quando entrò nell’androne del palazzo vide una grande scalinata piuttosto antica e quasi artistica, non era presente un usciere. Lo colpirono le cassette delle lettere, erano abbastanza classiche. Grigie e sottili e ognuna di esse aveva, come normale che fosse, i cognomi dei proprietari.
Decise di salire piano per piano per vedere se ci fosse in corrispondenza del campanello scritto il cognome e il nome di quel farabutto. C’erano i cognomi con scritto solo le inziali del nome e di C. ne trovò ben cinque sui cinque piani del palazzo. Si segnò sul proprio cellulare tutti i cognomi.
Poi scese e uscì, ritrovò la macchina dove l’aveva lasciata e come l’aveva lasciata. Partì subito, pronto a studiare le successive mosse.
 
Gli erano bastati pochi minuti e su internet aveva trovato persino la foto di quello che al momento era un disoccupato, si chiamava Carlo Gastani. Il problema ora era solo avvicinarlo, sapeva che era improbabile che lui si potesse ricordare di lui, in fondo lo aveva visto solo pochi secondi, quasi sempre di spalle ma aveva pensato anche a quello.
 
La settimana successiva, appena tornato da Milano, il venerdì sera aveva un appuntamento col parrucchiere. Si fece biondo. La madre non capì quella scelta, lui che era molto particolare, bruno con gli occhi azzurri, le disse che gli andava di cambiare, ma il motivo era un altro, in quel modo era quasi impossibile che quell’uomo lo avrebbe riconosciuto.
Quella stessa sera gli arrivò un pacco, aveva ordinato da internet una bomboletta spray pochi giorni prima.
Stava rischiando, ne era consapevole, ma aveva preso quante più precauzioni possibili. Di notte uscì di casa senza farsi sentire dalla madre, aveva una felpa nera col cappuccio sopra la testa, erano le 4, andò con la macchina nella zona di Carlo Gastani e con la bomboletta di colore rosa scrisse a caratteri cubitali sull’automobile dell’uomo la parola “ Frocio “.
Nessuno lo aveva visto. Con un coltellino bucò la ruota anteriore sinistra della nuova Fiat 600, in maniera tale da sembrare che fosse stato un chiodo o qualcosa del genere.
Tornò a casa per poche ore e dicendo alla madre che aveva delle cose da fare per la tesi, tornò di mattina sul “ luogo del delitto “ pronto a godersi la scena.
 
Quando Carlo vide la sua macchina ridotto in quello stato andò in bestia. A lui, a lui avevano scritto Frocio sulla macchina. Lui sapeva chi era stato, suo fratello, gli aveva prestato 1000 euro mesi prima e ora ne pretendeva 1300, erano gli interessi, in fondo la banca ne avrebbe chieste altrettanti probabilmente. Lo aveva chiamato strozzino e se glielo avesse scritto sulla macchina si sarebbe incazzato ma suo fratello sapeva l’insulto che lui usava di frequente e che non avrebbe tollerato rivolto a lui.
Ma l’avrebbe pagata cara questa, pensò Carlo. Ma quel giorno la sfiga lo tormentava, dopo qualche km diretto alla stazione di servizio la macchina iniziò a sbandare, come se avesse bucato una ruota. Dopo aver imprecato in vari modi, accostò e scese dalla macchina, passò una motocicletta e i passeggeri: << Frocione! >>
Giurò che li avrebbe ammazzati se avesse potuto. Mentre guardava in direzione dei motocilisti sentì una voce: << Ha bisogno di una mano? >>
Si girò, vide un ragazzo su una Peugeot rossa. Lui non sapeva da dove partire per sostituire una ruota e voleva farlo al più presto, per cui gli chiese subito: << Tu sai sostituire una ruota? >>
<< Si, il tempo di trovare un posto nelle vicinanze e la aiuto. >>
<< Si, ma fai in fretta. >>
Carlo si pentì sul momento, probabilmente il ragazzo non lo avrebbe aiutato. Ma inaspettatamente il ragazzo tornò, lui si scusò: << Scusa, sono stato un po’ scorbutico. >>
<< Non lo avevo notato. >> disse Luca con un velato sarcasmo che lo stupido uomo non colse.
<< Sai, ero in direzione di una stazione di servizio per l’autolavaggio sperando che questa oscena scritta si cancelli, ci mancava solamente la ruota bucata. >>
<< Già, non deve essere bello essere additati come froci. >> disse Luca aspettando la reazione dell’uomo.
<< No, no, chi se lo merita, lo merita, ma proprio a me! Che se potessi li sparirei tutto e ti assicuro che non sto scherzando. >>
Luca strinse il pugno e mise tutta la sua forza di volontà per dire: << Sono pienamente d’accordo con lei. >>
Carlo rimase impressionato di come per quel ragazzo fosse semplice sostituire una ruota, era come se lo avesse fatto mille volte.
<< Ecco fatto. >> disse il ragazzo fiero di sé stesso.
<< Gr…grazie, sono senza parole. Come posso sdebitarmi? >>
<< Non c’è bisogno. >>
Luca stava per andare, avrebbe preso la macchina e sarebbe andato a casa se l’uomo non l’avesse fermato come aveva previsto.
<< Aspetta. >>
Il ragazzo fece un leggero sorriso e si girò
<< MI è venuta un’idea. >> disse l’uomo che continuò: << Conosco un bar dove trasmettono la partita del Milan, se vieni alle 18 ti offro un drink. >>
<< Va bene, accetto. Le do il numero, così mi manda la posizione del bar, ok? >>
<< Ah, già, certo. >>
Dopo, mentre si stavano salutando l’uomo lo fermò: << Non è che ci siamo già visti prima? >>
<< Non credo proprio. Non mi sembra di averla mai vista prima. >>
Quelle ultime 8 parole provocarono un brivido di freddo a Carlo ma l’uomo diede la colpa al vento abbastanza forte in quella giornata.
Non poteva immaginare ciò che avrebbe portato quell’invito al bar.   

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Capitolo 5
*** Sguardo glaciale - Il bacio ***


Cap 5 – Sguardo glaciale
Il bacio
Quella sera Luca precedette Carlo di qualche minuto. Il barista lo riconobbe e gli disse: << Ha cambiato pettinata? >>
<< Si, e anche colore, come avrà notato. Le devo chiedere un gran favore. >>
<< Ok, se posso. >>
<< Quando viene quel signore, Carlo, può fare finta di non avermi mai visto? O comunque non fare cenno al fatto di avermi già visto in nessun modo? >>
<< Certo che posso, anche se non ne vedo il motivo. Sicuro che voglia passare del tempo con quel tipo? >>
<< Sicuro? No. Lo definirei necessario. >>
<< Mi scusi se non la capisco. >>
 
Entrò Carlo e notò con sorpresa che il ragazzo biondo che lo aveva aiutato quel giorno era già al bar. Si avvicinò amichevole.
<< Ciao…Francesco, vero? >>
<< Si, Carlo. >>
<< Si ricorda il mio nome, vedo. >>
<< Io ricordo tutto. >>
Lo sguardo del ragazzo sembrava freddo e diretto a lui, ma Carlo sapeva che non era possibile.
<< Stanno dicendo le formazioni. >> disse l’uomo chiedendo una birra e dicendo: << Lei che drink vuole? >>
<< Mi davi del tu. Comunque una birra. >>
<< Bene, allora due birre. >>
Luca memore di tutte le convinzioni dell’uomo: << Sempre a mettere Giroud, ma tanto gli piace quello scarpone? >>
<< Non ci posso credere, allora non sono l’unico che lo pensa! >>
<< Scherzi? Chiunque abbia un paio d’occhi dovrebbe saperlo. >>
<< Già mi piaci ragazzino. Faccio un brindisi in tuo onore. >>
<< Alla salute! >>
 
Studiare il Milan nei minimi dettagli aveva comportato un certo attaccamento a quei colori da parte di Luca, che già simpatizzava per i rossoneri. Perciò quando quella sera il Milan segnò fu normale abbracciarsi con chi gli stava affianco per festeggiare, e per qualche secondo quell’abbraccio gli aveva dato un certo calore ma che subito dopo era tornato ad essere semplicemente l’abbraccio dell’assassino del suo fidanzato.
 
<< Guarda, ha segnato Giroud. >> disse Luca aspettando la reazione del suo interlocutore.
<< Beh, mi pare il minimo, con un altro gioco e un altro attaccante andremmo meglio. >>
<< Già, non mi meraviglierei se fosse un frocio di merda. >> provocò Luca.
<< Beh, sarebbe davvero il colmo, cambierei squadra piuttosto. E tu? >>
<< Oh, sì, anch’io. >> menti Luca.
 
Passarono altri due mesi, Luca era certo di una cosa, Carlo lo considerava un amico che tifava per la stessa squadra e che la pensava nello stesso modo. Nonostante questo, passare del tempo con lui lo aveva convinto di una cosa, era una persona che non avrebbe fatto niente per gli altri, neanche aiutare un amico, senza avere un tornaconto personale perlomeno.
 
Quella sera…
Entrò nel bar come tutte le altre sere, ma non era una sera come le altre.
Non aveva molto tempo, quando si sedette sul suo solito sgabello accanto a Carlo.  Aveva il respiro affannato e la sudorazione era aumentata, il barman probabilmente se ne accorse ma fortunatamente non commentò, Carlo no. Era bene che fosse così, non aveva molto tempo.
Anche quella sera Carlo gli parlava, lui annuiva o dava risposte vaghe, la verità era che non lo ascoltava.
Un pensiero si annidò nella sua mente: “ Potrei lasciare tutto come sta, lasciare perdere, non andare fino in fondo. Potrei lasciare questo razzista nella sua patetica esistenza, quello che vedrà dopo allora sarebbe solo un brutto scherzo. Dopo di che non mi farò più vedere in questo bar. Ma devo decidere ora. Altrimenti chi ci rimetterà sarò solo io. “
Mentre aspettava la partita Carlo lesse una notizia di un telegiornale flash: << Due ragazzi omosessuali aggrediti in una stazione. >>
Luca rimase quasi congelato alla lettura di quella notizia che tanto gli ricordava la sua, quella del giorno in cui aveva perso Francesco.
Ma Carlo senza sapere in realtà con chi stesse parlando commentò quella sua “ prodezza “: << Mi ricordo la scorsa estate, vidi due froci che si tenevano per mano, uno purtroppo partì. Ma l’altro lo insultai pesantemente, come va fatto con loro. Ma la parte forte viene di sera, pensa che lo rincontrai nei pressi di casa mia, lo inseguii con una mazza da baseball che mi porto sempre dietro, dovevi vedere come si cacava addosso, ahaha. Poi ho messo in mezzo pure un gruppo di bulletti e insieme lo abbiamo inseguito finché per sfuggirci non ha visto la strada e bum, è stato investito, fu…soddisfacente. >>
Soddisfacente, quella parola rimbombò nella testa Luca per qualche secondo, tanto bastò per fargli prendere la decisione che sarebbe andato fino in fondo. Mentre Carlo era girato verso la TV, lui lo chiamò: << Carlo. >>
L’uomo girò la testa verso di lui, Luca prese con forza la nuca dell’uomo con una mano e lo baciò, un bacio intenso che durò qualche secondo, finché Carlo non riuscì a liberarsi.
<< Tu! SEI UN FROCIO DEVIATO DI MERDA!?! >>
Carlo tirò una testata forte a Luca che cadde dallo sgabello. A quel punto il ragazzo cominciò a ridere a crepapelle e Carlo gli tirò un calcio in pancia che smorzò la sua risata, che subito riprese.
Carlo voleva continuare a picchiare Luca, ma il barman lo bloccò e chiese a tutti gli avventori di andare a casa per quella sera e che le consumazioni erano offerte da lui.
Carlo incredulo si lamentò: << Se adesso difendi anche i finocchi non mi vedrai più in questo bar. >>
<< Non ti vedrà nessun bar. >> disse Luca tra una risata e l’altra.
Carlo la prese come una provocazione e spinse il barman per attaccare il ragazzo. Ma il giovane barman era più forte di lui e lo respinse dicendogli: << Se ne vada. >>
Carlo se ne andò con occhi pieni di odio ma gli occhi azzurri che lo fissavano ora che la risata era passata, erano di gran lunga più carichi dei suoi.
 
Il barman aiutò Luca a rialzarsi.
<< Come stai? >>
Luca con il dorso della mano si “ pulì “ il labbro, come per cancellare il disgusto di quel bacio e poi aggiunse: << Non potrei stare meglio. >>
<< Beh, sanguini dal naso e la tua fronte si sta gonfiando. E poi scusa se te lo dico ma è da prima che sei bianco come un cencio e sembri avere il respiro affannoso. Comunque ho un kit di sopravvivenza da qualche parte. >>
<< Ti ringrazio ma prima devo andare un attimo in bagno. >>
<< Vai pure. >>
 
Una volta in bagno Luca vide tutto annebbiato, a stento riusciva a camminare, il tempo stava per scadere.
 
Carlo era arrabbiatissimo, tutto si aspettava ma non di fare amicizia con un frocio. Se lo avesse rincontrato giurava a sé stesso che lo avrebbe picchiato a sangue. Quel barista lo aveva fermato ma non sarebbe successo di nuovo.
Guidava verso casa, non era lontana. Stava iniziando a sudare, probabilmente perché era sconvolto si disse.
Appena aperto il portone del palazzo vide un foglio sporgente dalla sua cassetta delle lettere, aprì il foglietto che era piegato in due e era scritto con caratteri dal computer: “ Ti è piaciuto l’ultimo bacio? “
Era ovvio di chi fosse il messaggio, Carlo infuriato strappò il foglio. Salì le scale e davanti alla porta vide una mazza da baseball con un fiocco sopra, come se fosse un regalo.
Lo toccò e capì, un flash, alla stazione c’erano due ragazzi, quello che era morto quella sera e l’altro era quel Francesco, come credeva che si chiamasse, solo che era bruno. Aveva pensato a tutto ma gliela avrebbe fatta pagare cara.
Prese le chiavi per aprire la porta ma continuava a sudare e sentiva il proprio respiro affannoso, non riusciva neanche ad aprire la porta.
Quando alla fine riuscì ad aprire la porta ma continuava a sudare e sentiva il suo respiro affannoso, non riusciva neanche ad aprire la porta.
Quando alla fine riuscì ad aprire la porta ma si diresse subito in cucina per bere un bicchiere d’acqua, il respiro affannoso non migliorò.
Ricevette un messaggio da un numero sconosciuto, era un video, il video di lui che inseguiva quel tizio alla stazione, si ricordò effettivamente che quel tipo lo aveva ripreso col cellulare. Una volta finito di visionarlo era come se quel video non fosse mai stato mandato, sparito.
 
Sudava freddo e sempre di più, non sapeva cosa gli stesse succedendo, iniziò ad avere in mente sempre quegli occhi che lo guardavano con odio. Decise di uscire, pensava che la situazione sarebbe migliorata o che avrebbe chiamato un medico.
 
Una volta in bagno Luca prese dalla tasca una boccetta e ne bevve il contenuto con foga. Dopo di che si tolse il sangue che gli era uscito dal naso a causa della testata di quel miserabile. Per fortuna il naso non era rotto. Si sciacquo la faccia più volte come a rendersi contò che ciò che aveva progettato e pensato era andato a compimento.
Si vide allo specchio ripensando a tutto.
 
Se era vero che la cronologia del suo computer era piena di ricerche che riguardavano la sua tesi, questa da quando conosceva Carlo erano state superate dalle ricerche sul Milan. Ma ancora di più erano state superate dal come fare un veleno, esattamente quello di cui gli aveva parlato Federico, il suo amico e tutor dell’università. Le ricerche erano state minuziose, tutto era stato studiato nei minimi particolari, era riuscito a trovare tutte le dosi per creare quella che poi era risultata essere una pomata. Era incredibile come anche sostanze di tutti i giorni come lo zucchero servissero per fare quel veleno. Per produrre l’antidoto erano serviti anche piccoli prelievi del suo sangue che aveva fatto da solo.
Una volta pronta la pomata e l’antidoto aspettò tutto il giorno a cui aveva pensato, nel frattempo aveva comprato un telefono a basso prezzo ma capace di mandare video in giorni e orari precisi e poi auto cancellarsi una volta che il ricevente li avesse visualizzati.
Aveva avuto dei dubbi e dei tentennamenti durante tutta l’elaborazione del piano. Ma il destino aveva voluto che lui incontrasse casualmente l’uomo che era stato praticamente l’assassino di Francesco, e non solo non provava alcun pentimento ma addirittura se ne vantava.
Quella sera aveva messo la pomata sulle labbra e anche su parte della lingua, era disgustosa ma si era ripromesso di dare a Carlo un ultimo bacio dolcemente mortale.
 
Si riprese da tutti quei pensieri e si ricompose per quanto possibile per tornare dal barista che giù lo aspettava con tutto un kit di sopravvivenza oltre a del ghiaccio. Luca sorrise.
 
 
Carlo, una volta uscito ebbe l’illusione di stare meglio ma poi, dopo poco tempo iniziò a barcollare, a vedere tutto offuscato, ad avere la sensazione che la gola si volesse chiudere e non riusciva a dire una parola. Alcune persone portarono l’attenzione a quell’uomo che si sentiva male ma nessuno riuscì a fermarlo in un suo attraversare la strada proprio mentre passava una macchina senza stare sulle strisce.
L’automobile anche se andava piano lo prese in pieno. Fece qualche ultimo respiro e poi morì, la strada era la stessa dove era morto Francesco.
 
Mentre il barman gli metteva il ghiaccio sulla parte gonfia della testa, Luca provò sollievo dopo un breve fastidio.
<< Non so se ringraziarti o meno. >>
<< Che intendi? >> chiese Luca
<< Forse ho perso un cliente pagante, però era una persona spiacevole quindi se non dovesse venire più non credo sia una grossa perdita. >>
<< Non lo è. E non verrà più. >>
<< Perché ne sei così sicuro? >>
<< Una sensazione. >> disse il ragazzo con uno sguardo che faceva accapponare la pelle ma che non era diretto a lui. In quel frangente il ragazzo guardava il vuoto.
 
Quello sguardo glaciale che aveva contraddistinto Luca da quando lo aveva visto quella sera sparì improvvisamente e si trasformò in uno sguardo di gratitudine e con una velata tristezza negli occhi. Il barista non poteva sapere che quello sguardo che faceva paura non sarebbe mai più tornato negli occhi di Luca.
 
Il barman gli mise un cerotto sulla testa.
Luca lo ringraziò: << Grazie. >>
Mentre se ne stava andando il barman gli disse: << Ah, comunque io mi chiamo Alessandro. >>
<< È stato un piacere, io sono Luca. >>
<< Pensavo avessi detto che ti chiamavi Francesco. >>
<< Lo ho detto. >>
Alessandro capì che molte cose di quel ragazzo dolce e inquietante allo stesso tempo non le avrebbe capite.
<< Ci rivedremo? >> gli chiese
<< Forse. >> rispose Luca.
 
La madre lo vide rientrare prima delle ultime serate ma era comunque preoccupata: << Me lo dici dove vai ogni sabato e domenica sera? >>
Fu la prima cosa che disse appena entrò poi vedendolo aggiunse: << Che ti sei fatto? >>
<< Niente ma, sono scivolato e un ragazzo mi ha aiutato. >>
<< Luca, che succede? >>
Luca prese le mani della madre tra le sue e la guardò negli occhi dicendole: << Ti prometto che nel prossimo week end non uscirò e vedrai che non dovrai più preoccuparti per me. >>
<< A me importa che prima o poi tu vada avanti Luca, solo quello. >>
Luca abbracciò la madre con forza, aveva le lacrime agli occhi ma le ritirò quando si staccò da quell’abbraccio.
 
Il giorno dopo Luca si svegliò abbastanza presto, aveva un forte mal di testa. Si chiedeva se la polizia di Pavia avesse dei poliziotti abbastanza intelligenti da capire quanto bastava per arrivare a lui e al suo computer. Il cellulare che aveva preso solo per mandare il video a Carlo era ridotto in mille pezzi in diversi cassonetti. Pensava fosse difficile che arrivassero a lui ma lo aveva messo in conto.
 
<< Ben svegliato, domani torni a Milano ma stai preparando la tesi? >>
<< Si, stai tranquilla, diciamo che ho un po’ rallentato ma da oggi mi rimetterò a posto. >>
<< Sarà meglio. Ti fa ancora male? >> disse la madre toccandogli la testa.
<< Molto meno. >> disse Luca mentendo.
 
Mentre facevano la colazione iniziò il telegiornale locale. La prima notizia fu la morte di Carlo Gastani, si parlava del problema di quella strada e del fatto che non ci fossero delle strisce pedonali, visto il secondo incidente nel giro di pochi mesi. Luca non riuscì a non ridere, rise incontrollabilmente, la madre lo guardò inquieta. Luca se ne andò nella sua stanza ancora ridendo.
 
Rideva ancora quando si stese sul letto. Il fatto che fosse stato investito nella stessa strada dove era stato travolto Francesco sembrava essere la perfetta chiusura del cerchio. Nessuno avrebbe indagato su niente.
Luca in quel momento, in quel frangente pensava che Francesco sarebbe stato fiero di lui…si, sarebbe stato fiero..sarebbe stato fiero…?
FINE

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