Sky Above, Voice Within

di GLaDYS_Vakarian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando tutto andò storto ***
Capitolo 2: *** L'asta ***
Capitolo 3: *** John Hancock, al tuo servizio ***
Capitolo 4: *** L'accordo ***
Capitolo 5: *** Della gente, Per la gente ***
Capitolo 6: *** Poco San, molto Valentino ***
Capitolo 7: *** Salvalo ***
Capitolo 8: *** Nel vicolo ***
Capitolo 9: *** Una nuova speranza ***
Capitolo 10: *** Ti amo, Hancock ***
Capitolo 11: *** Ritorno a Boston ***
Capitolo 12: *** Resta con me ***



Capitolo 1
*** Quando tutto andò storto ***


Selina Vakarian, una Dama Sangue di Drago, un angelo sulla terra. Prima della Grande Guerra Nucleare faceva parte del corpo di difesa dell’umanità, il gruppo bellico di Sangue di Drago che i militari avevano battezzato “Vigilanti”. Selina è una ragazza emotiva, carismatica, gentile e sensibile, timida ma coraggiosa, con un passato tormentato ma con una gran voglia di scoprire nuovi luoghi e vivere nuove avventure.
Quando è arrivato il 23 ottobre 2077, il culmine del conflitto che ha segnato la fine della civiltà come la conosceva, il corpo militare dei Vigilanti ha smesso di esistere e lei, rimasta sola, si è presa sotto la propria ala protettiva il benessere dei sopravvissuti e dei bisognosi, aiutandoli a riorganizzarsi e a ricostruirsi una vita in un mondo strano e selvaggio. Ma la guerra… la guerra non cambia mai.
Selina è probabilmente l’ultimo membro dei Vigilanti rimasto in quel mondo di cenere. Ha viaggiato ovunque nei territori di quelli che una volta erano gli Stati Uniti d’America, giungendo infine nel Commonwealth del Massachusetts, troneggiato dalle rovine della vecchia città di Boston, i cui palazzi e i grattacieli diroccati sembrano ancora bucare il cielo.
Con l’esilio della comunità Ghoul dall’insediamento principale di Diamond City ad opera del Sindaco McDonough, Selina è riuscita a rintracciare molte delle famiglie di Ghoul rimaste senza riparo e derise dalla popolazione locale, portandole lontano e al sicuro dai pericoli della Zona Contaminata e aiutandole a fondare nuovi insediamenti per poter continuare a condurre una vita dignitosa e tranquilla. Coloro che sono stati aiutati la vedono come un angelo custode mandato dal cielo: rispettata, temuta, e amata. Tutti, nella Zona Contaminata, la conoscono come “Il Sangue di Drago del Commonwealth”.
Tra questi insediamenti che Selina ha fondato vi è Lo Slog, nome datogli dai mercanti delle carovane, una fattoria interamente gestita da Ghoul e nella quale ha stretto una carissima amicizia con una giovane donna di nome Holly. Tuttavia, una volta che un insediamento riesce a tenersi in piedi autonomamente, Selina parte per andare alla ricerca di nuovi bisognosi da aiutare, nuovi insediamenti da costruire o da migliorare, nuovi sopravvissuti e reietti da proteggere, nuovi luoghi da scoprire. Ma, ovviamente, non manca mai anche di tornare a far visita ai suoi vecchi amici.
 

 
Adorava i Ghoul. Non sapeva perché, ma le piacevano, e le piaceva aiutarli addirittura quasi più delle persone normali. Forse li adorava perché lei non era esattamente umana e quindi poteva capire benissimo come si sentivano, quando si è giudicati e disprezzati. Li amava proprio perché erano diversi, perché in qualche modo sapevano distinguersi in quel “barbaro mattatoio un tempo noto come umanità”, ed erano quella minoranza della popolazione rimasta che la facevano sentire accettata per com’era. “I Ghoul erano orrendi, si trasformavano in Ferali e uccidevano la gente, spaventavano i bambini”, insieme a tutte le altre solite e simpatiche cose che dicevano le persone normali su di loro (o “pelleliscia”, come le definivano i Ghoul). Sel sapeva che non erano niente di tutto questo, e ancora non riusciva a capacitarsi del perché venissero etichettati in quel modo, quale paura in realtà si potesse celare dietro: per lei i Ghoul continuavano a essere persone al pari di tutte. Quelle stesse persone che erano un tempo.
  Wiseman, allo Slog, le aveva detto che era vero quel che sentiva dire in giro dalla gente, di un incidente a Diamond City con dei feriti dopo che un Ghoul si era trasformato in Ferale, forse per colpa delle radiazioni o delle pessime condizioni di vita, e perciò il Sindaco aveva deciso di cacciarli tutti dall’insediamento così da poter tranquillizzare i cittadini. Ma quanti umani erano diventati improvvisamente violenti e avevano ucciso qualcuno? Era successo molte più volte di quanto lei stessa ricordasse.
  Sel voleva che le piccole colonie e le fattorie che aveva fondato o aiutato diventassero qualcosa di più di semplici rifugi per i Ghoul che non erano i benvenuti altrove; voleva che quegli insediamenti fossero un esempio di ciò che quelle persone potevano ancora riuscire a fare, quando si concentravano su qualcosa e lavoravano insieme. Voleva che la gente visitasse quei posti con il sorriso sul volto, per fare dei buoni affari e acquistare ottimi prodotti. In questo modo, avrebbe potuto convincerle a cambiare idea e a dare ai Ghoul una seconda possibilità… e, a quel punto, forse si sarebbero rese conto che non erano mostri. Per quanto riguardava lei, faceva semplicemente il suo lavoro. Nonostante fossero ricordati come le sentinelle dell’umanità, neanche la sua specie era generalmente ben vista in quella realtà post-apocalittica, forse perché le persone temevano la loro natura e il loro potere. Eppure, perfino i Sangue di Drago non erano riusciti a proteggere il mondo dalla guerra nucleare.
  Sel, ogni volta che guardava il panorama radioattivo in cui era immersa, od ogni volta che le capitava di scorgere una bella casa di campagna o un cottage in riva al lago, di rimirare quello che un tempo doveva essere stato un piacevole giardino dove poter fare delle lunghe passeggiate sotto il sole d’estate, o un parco dei divertimenti in cui trascorrere le vacanze insieme agli amici o alla famiglia, o trovare soltanto un triciclo arrugginito abbandonato in mezzo alla strada o in cima ad un mucchio di rifiuti in un covo di predoni, forse rimasto lì da allora o forse spostato da qualcuno, non faceva altro che chiedersi se in realtà i Vigilanti avessero fallito nel proprio dovere, in ciò per cui avevano prestato giuramento. O se semplicemente nessuno, proprio nessuno, poteva mai essere stato preparato ad un conflitto di quella portata.
  Ormai non aveva più importanza. Era inutile vivere con i sensi di colpa in un mondo che era finito, anche perché non c’era più nessuno che potesse propriamente additarla per non essere stati all’altezza delle aspettative, per non averli difesi come dovevano, per non aver fatto in modo di evitare quella catastrofe; forse perché con loro la popolazione si era sentita al sicuro da qualunque pericolo. Loro, il suo gruppo, alla fine erano stati solo dei militari, non dei politici. Non avevano voluto loro il conflitto, e non lo avevano chiesto. Perfino la sua stessa specie non c’era scampata: se proprio avrebbero voluto additare qualcuno, dovevano farlo contro chi aveva architettato tutto quell’orrore. Chissà cosa avevano imbastito, chissà a quale folle era venuto in mente di scatenare una guerra nucleare... e Sel ci aveva sempre capito poco di politica.
  I Sangue di Drago erano resistenti alle radiazioni, ma con quantità simili, ai tempi della caduta delle bombe, erano quasi tutti morti o erano diventati Ferali, esattamente come tutte le altre persone che erano rimaste senza rifugio. E pure i Divini lo sapevano, che ritrovarsi di fronte ad un Sangue di Drago in condizioni Ferali non era da augurare nemmeno al proprio peggior nemico; forse era più facile sopravvivere sparando ad un Deathclaw con una pistola ad acqua.
Per fortuna Sangue di Drago ce n’erano sempre stati pochi, e Sel sembrava essere l’unico sano di mente in circolazione da parecchio tempo. Tutti sapevano del Sangue di Drago giunto nel Commonwealth, e in molti, soprattutto i predoni, si tenevano alla larga dai luoghi che sapevano essere i territori solcati da lei. Manteneva le strade sicure per i mercanti che giungevano con le loro carovane e le loro merci nelle fattorie. Tramite essi si manteneva in contatto con gli insediamenti più grandi o con quelli principali, dove spesso non poteva mettere piede allo scoperto sotto la luce del sole perché altrimenti l’avrebbero cacciata. Non aveva più avuto una dimora fissa in cui stare da dopo il suo risveglio nel Vault, ma i suoi ritmi e le sue abitudini in continuo movimento che aveva condotto da allora, all’incirca dieci anni prima, alla fine stavano cominciando a cambiare.
  Quanti anni erano trascorsi dalla fine della guerra? Duecento, più o meno...? Duecentodieci, per l’esattezza. Cercava sempre di tenere il conto del tempo che passava, ma ormai, visto che si era ritrovata priva di qualunque apparecchio funzionante in cui poter controllare i giorni che le scorrevano davanti, il passo da reggere cominciava a diventare pesante. Si sentiva più isolata lei di un uomo disperso su una zattera in mezzo all’oceano. Tutti gli orologi pubblici che trovava in giro naturalmente erano fermi, per cui se per caso perdeva la cognizione del tempo doveva fare affidamento sui robot della RobCo. Industries in cui ogni tanto si imbatteva, oppure ai mercanti, per poi appuntarselo da qualche parte. Il suo Pip-Boy, quello che aveva utilizzato per uscire dal Vault, aveva smesso di funzionare da tempo e, non sapendolo riparare né avendo mai trovato nessuno che potesse essere in grado di farlo, lo aveva abbandonato per non portarsi appresso un peso inutile. A pensarci bene forse aveva sbagliato a buttarlo, ma tutto sommato era un apparecchio vecchio di almeno duecento anni se non di più. Era già stato un miracolo averlo trovato funzionante quando lo aveva sfilato dal braccio ridotto a un mucchio d’ossa di quel tizio della Vault-Tec all’ingresso del Vault.
  L’unica cosa di cui era certa e che più l’aiutava con la conta degli anni, era lo scorrere delle stagioni, che benché fosse divenuto impercettibile in quel clima desertico con il cielo quasi perennemente grigio, lei sapeva comunque riconoscerlo, a differenza degli umani: forse non sapeva in che mese si trovasse di preciso, se quello che stava vivendo fosse un giorno importante, qualche ricorrenza particolare, se il suo compleanno o il giorno della sua promozione nel corpo militare, ma almeno riusciva a percepire quando all’incirca era trascorso un anno. Il Commonwealth era una distesa di colline e di polvere, puntellato da un cimitero di alberi del medesimo colore della terra che non si capiva se erano solo addormentati o erano morti, e tormentato da frequenti tempeste radioattive, non assolutamente diverso dal resto degli Stati che aveva visitato, da Washington DC alla California. E pensare che un tempo il Massachusetts era una regione mite e tra le più rigogliose, con i suoi inverni freddi e nevosi e le sue estati calde e temporalesche, mentre adesso versava in una stagione perenne. Era una di quelle terre che Sel aveva sempre amato e vederla ridotta a quella maniera, così immobile, così secca, le faceva troppo male. Guardava un letto arido cosparso da montagne di rifiuti e immondizia, e la storia che raccontava di un fiume che ci scorreva la rattristava, pensando che quel fiume fosse morto. Perfino il cielo era come lei, triste e cupo: anche lui, sempre in movimento, non era più in grado di portarle conforto.
A volte, pensandoci troppo, le venivano i brividi e non desiderava altro che fuggire, poiché le sembrava di vedere i fantasmi della guerra.
~
Erano trascorsi già tre mesi da quando aveva conosciuto Nora. Quella ragazza l’aveva raccolta dal deserto silenzioso della Zona Contaminata quando si era ritrovata gravemente ferita e l’aveva guarita, offrendole cibo e un riparo. Era la prima volta da quando era uscita da quel Vault in California che Sel si vedeva un tetto stabile sopra la testa. Il padre di Nora era morto un paio d’anni prima e da allora lei si guadagnava da vivere lavorando da sola la terra e negoziando con le carovane. Aveva accolto Sel a braccia aperte perfino quando aveva appreso che era un Sangue di Drago e le aveva detto che per lei era diventata come una sorella; tanto che quando Sel si era vista ormai pronta a ripartire, la donna aveva insistito affinché restasse per un altro po’.
  Nora aveva da poco compiuto trent’anni e viveva in un cottage a due piani in riva al lago, appartato di alcune miglia anche dall’insediamento più vicino. Sel pensò che ai suoi tempi doveva essere stato un bellissimo posto: Nora e suo padre l’avevano trovato abbandonato e insieme l’avevano risistemato come meglio potevano, per renderlo abitabile e un rifugio abbastanza sicuro. Era il luogo perfetto per farsi una nuotata, se non fosse stato per l’acqua radioattiva a livelli quasi insostenibili e i nidi di Mirelurk. Sel non se l’era sentita di lasciarla sola in quella casa così isolata alla quale Nora era molto legata, per cui aveva deciso di fermarsi per qualche altra settimana. E aveva finito con l’iniziare a considerarla come una famiglia, così le settimane erano diventate mesi.
  Dovevano andare a prendere l’acqua potabile da una sorgente distante circa tre miglia e trattarla di nuovo prima di essere abbastanza pura. Sel preferiva andarci da sola, di solito in volo per fare prima – e almeno la sua presenza avrebbe anche fatto intimidire i possibili ostili nelle vicinanze. Periodicamente tracciava dei veri e propri volteggi intorno agli insediamenti con i quali era in contatto, nella forma ibrida o nella piena forma draconica, ruggendo per indicare che quelli erano i territori suoi. Gli echi di quegli agghiaccianti rombi potevano essere udibili fino a diverse miglia di distanza, e di solito i predoni non attaccavano le fattorie se sapevano che nei dintorni c’era una di quelle creature di pattuglia, anche una soltanto, e tanto meno decidevano di provare a saccheggiarlo.
  Sfidare l’ira di un Sangue di Drago non era mai un’idea saggia, soprattutto se il Sangue di Drago in questione era Ferale.
  Ogni tanto al cottage giungeva un carovaniere. Copriva principalmente la tratta degli insediamenti circoscritti nella zona periferica di Boston, da Bunker Hill fino a Covenant e più di rado verso nord, a Sanctuary Hills e a Sunshine Tidings Coop., dandogli così la possibilità di scambiare le loro risorse con del cibo un po’ più esotico, indumenti nuovi, munizioni e armi. Era un uomo anziano e simpatico, piuttosto mingherlino di nome Earl che si preoccupava costantemente per loro, appellandole come le “sue ragazze” e facendo sempre innervosire Nora, ma a Sel tutto sommato non dispiaceva. Sapeva che era un brav’uomo e che voleva solo badare a loro e tenerle al sicuro. Earl aveva perso le sue uniche due figlie in una sparatoria contro una banda di predoni ed era rimasto solo al mondo, per cui Sel non si meravigliò se nei loro confronti mostrava un certo atteggiamento paterno, vedendole così giovani. Peccato però che fosse un po’ troppo dipendente dall’alcol, e quando era completamente brillo aveva la pessima abitudine di farfugliare qualunque cosa gli passasse per la testa a chicchessia; una notte Earl aveva esagerato col bere più del necessario e aveva raccontato di un cottage isolato in riva a un lago sorvegliato da un Sangue di Drago, ad un tizio che faceva parte di una banda di predoni. Ma non predoni qualunque, quelli stavano facendo affari per catturare e vendere le persone come schiave. E, a quanto pareva, c’era anche un mercato apposito.
  Successe mentre Sel stava tornando dalla sorgente. Era un raro pomeriggio soleggiato, uno di quelli con il cielo completamente sereno, illuminato da una luce bronzea, per cui quella volta aveva deciso di andarci a piedi con l’intenzione di farsi una camminata. Erano settimane che non scorgeva l’ombra di un Gunner o di un qualsiasi altro tipo di intruso nei pressi della fattoria: i dintorni rimanevano immobili e silenziosi, senza neanche insospettirsi del fatto che in realtà la stavano spiando. E il silenzio, nella Zona Contaminata, poteva essere sia un amico sia un nemico.
  Trasportava i grossi secchi riempiti fino all’orlo agganciati ad un lungo palo di legno che teneva poggiato sulle spalle in modo da bilanciare il peso, pensando nel frattempo che metà di uno avrebbe dovuto usarlo nell’impianto di raffreddamento del vecchio generatore in cantina. La prima volta che Nora e suo padre avevano visto il cottage era in rovina, ma era stato riorganizzato e ricostruito, tanto che era diventato visibile anche da lontano.
  Lì per lì Sel non si accorse minimamente di nulla, e Nora la stava aspettando in veranda. Se non fosse stata completamente assorta nei propri pensieri, dando per scontato che tutto fosse tranquillo e che si stesse facendo solo un sacco di paranoie, i suoi sensi da predatrice l’avrebbero sicuramente avvertita per tempo. Ad essere sincera, era da qualche giorno che sentiva una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ma non ci aveva dato troppo peso. Un errore fatale.
Lasciò cadere i secchi a terra che si rovesciarono del loro contenuto, e portò le mani all’arco lungo che per sicurezza teneva riposto sulla schiena. Non aveva quasi più utilizzato le armi da fuoco da quando aveva smesso il suo servizio nell’esercito all’epoca della guerra, nonostante dimostrasse doti formidabili da cecchino oltre nell’uso dei fucili d’assalto e a pompa. Prediligeva le tradizionali armi da mischia, più silenziose e meno pesanti, ciò però non significava che le armi da fuoco non le piacessero, anzi. Ma preferiva comunque viaggiare leggera: le munizioni e i pezzi di ricambio ingombravano ed erano un peso. Per non parlare della manutenzione, il che era un ulteriore costo e tempo da perdere visto che non si portava appresso neanche troppi tappi, né si prendeva il disturbo di riciclare i rottami che trovava a giro, e neanche prendeva in considerazione la quantità di componenti di ricambio che poteva depredare dai predoni e dai Supermutanti che abbatteva. Inoltre avrebbe avuto bisogno di un banco da lavoro su cui poter lavorare.
No, aveva bisogno prima di tutto di un luogo fisso in cui stare per permettersi delle armi a dovere, non si era mai fidata ad ammucchiare e a nascondere le sue cose da qualche parte per poi tornare a prenderle quando le sarebbero servite, rischiando che venissero saccheggiate. Quel che trovava e che ogni tanto guadagnava le doveva bastare.
  Nora invece non era mai stata esattamente una tiratrice scelta, ma era abbastanza brava da tenere banditi, Mirelurk e altri parassiti lontano dalla casa. Vide la donna reagire alla sua espressione e impugnare prontamente il proprio fucile da caccia.
  Sel si avvicinò a lei: « Torna dentro, forse è soltanto un animale o un vagabondo in cerca di cibo »
   « Allora perché preoccuparsi di alzare la guardia? », borbottò Nora. « A meno che non sia ancora nei dintorni, potrebbe rovistare il posto mentre dormiamo… »
   « Meglio che vada a dare un’occhiata. Forse è di nuovo il caso di far capire a chiunque si aggiri nei paraggi che questo territorio non si tocca assolutamente »
   « Non ci andrai da sola. Questa calma non è normale… », Nora aveva immediatamente abbassato il tono della voce prima che le parole potessero esploderle fuori dalla bocca.
   « Sta’ tranquilla. Vedremo chi è tanto stupido da voler provare a passare sul cadavere di un Sangue di Drago », le sorrise. « Se è soltanto un vagabondo cercherò di capire cosa vuole e lo caccerò via. Se invece sono predoni, be’… allora li prenderò a pedate nel culo. Tu non uscire se non ti chiamo. »
  Nessuna delle due avrebbe mai immaginato che fossero saccheggiatori. Erano così lontane dall’area di Boston e dagli altri insediamenti… Si mostravano di rado tra la gente, perfino a Diamond City: Nora perché faceva più affidamento sulle carovane itineranti, non volendo lasciare incustodita la casa con il rischio che venisse occupata da qualcun altro, mentre Sel doveva sempre mantenere un basso profilo se non voleva essere sbattuta fuori a calci. Perfino nella forma umana era visibile che non era una persona normale: carnagione liscia e quasi bianca da sembrare alabastro, fisico tonico e armonioso, talmente perfetto da essere quasi surreale, era un’apparizione meravigliosa decisamente fuori luogo in un mondo post-apocalittico così sporco e decadente. Ma il tratto più esclusivo e ravvisabile erano i suoi occhi, due grosse iridi che sembravano fatte di oro liquido, limpide e magnetiche, contraddistinte da uno sguardo talmente acuto e tagliente da gelare perfino un Deathclaw. Per cui, ogni volta che capitava in città, Sel era costretta a coprirsi il viso con un grande cappuccio, una maschera antigas o almeno un paio di occhiali da sole. Di solito faceva tappa a Diamond City in cerca di provviste, risorse, cure mediche o incarichi vari che le facessero guadagnare qualche tappo.
Nora cominciò a protestare, ma Sel la zittì sibilando il suo nome in un tono che non ammetteva repliche. Le premette la fronte contro la propria e si allontanò con l’arco ancora in pugno, mettendosi a fare il giro del cottage. Sentiva una brutta sensazione all’intestino; anche se non era la prima volta che incontravano vagabondi o intrusi, quel giorno l’aria aveva un odore e un suono molto diversi. Aumentò la stretta attorno all’arma, la freccia era già incoccata, e iniziò a contare i secondi.
  Giunse un movimento da dietro i cespugli, ma dal momento che si era appena alzata una leggera brezza pensò che fossero soltanto i suoi nervi tesi. « Chi è tanto sciocco da far perdere la pazienza a un Sangue di Drago? Avanti, vieni fuori chiunque tu sia! », chiamò a gran voce. Il suo cuore divenne freddo e la sua bocca si prosciugò in un istante. Alzò l’arco e puntò la freccia verso i cespugli, quando udì un grido agghiacciante: era Nora.
  Subito si precipitò nella direzione che aveva appena percorso, verso l’ingresso principale del cottage, e con angoscia trovò l’amica tra le braccia di un uomo dall’aspetto ruvido, le mani le erano state bloccate dietro la schiena e un coltello da combattimento era premuto contro il suo collo. Dietro di lei comparvero altre due massicce figure che sbucarono dalla vegetazione morta, vestiti di abiti vecchi e sgualciti. Uno di essi teneva il viso nascosto dietro una maschera antigas.
   « Butta a terra le armi! », le ordinò il predone che tratteneva Nora. « Non provare neanche a trasformarti o a proferire Parola, o le apro la gola come una cerniera. »
  Sel iniziò ad agitarsi. Non avrebbe dovuto dargliela per vinta, ma se si fosse mossa in qualunque modo avrebbe rischiato di rimetterci la vita di Nora.
   « Sai, ho sentito parecchie cosette su di voi... ringraziando il vostro caro amico Earl. » Le diete uno strattone, facendola sussultare e gemere. « Forza, ho detto armi a terra. »
  « Sel, non dargli ascolto! Vattene via! », esclamò Nora non appena riprese fiato.
  « Ultima possibilità, mostriciattola. La tua amichetta qui ci frutterà che pochi spiccioli, ma un Sangue di Drago farà sicuramente più gola », continuò l’uomo senza prestarle attenzione. Non glielo avrebbe permesso. Nora era la sola cosa più vicina a una famiglia che aveva in quell’accidenti di mondo. 
  Vedendola ancora esitante, il predone spostò la punta del coltello dalla gola alla guancia del suo ostaggio, cominciando a premere e a disegnare un profondo taglio. Come il rosso vivo del sangue iniziò a colare e Nora si lamentò, Sel mollò immediatamente arco, frecce, pugnale e i tonfa foderati alla sua cintura di cuoio sul terreno irto di erba rinsecchita e radici esposte. Teneva lo sguardo arrabbiato sullo sconosciuto che di rimando le lanciò una risatina derisoria e divertita.
   « Su, avanti, non fare così. Non c’è nulla di personale. Ora lascia che Jack ti dia una controllata per vedere che tu non riserba altre sorpresine per noi… »
Il predone con la maschera antigas si avvicinò a lei, le prese le mani dietro la schiena e la costrinse a piegarsi sulle ginocchia, poi a stendersi a pancia sotto. Sel inclinò la testa in maniera da poter vedere Nora, che la ricambiò con occhi disperati, inondati di lacrime.
  Si sentiva furiosa e dispiaciuta per averla trascinata in quel casino, non avrebbe dovuto lasciarla sola mentre lei si allontanava, non se voleva proteggerla; si stava dannando solo per non essere mutata e averli stanati prima, anche se probabilmente non avrebbe fatto alcuna differenza… Quei predoni sapevano a cosa erano andati in contro, e per tendere un agguato simile dovevano essersi preparati adeguatamente e a lungo contro ogni evenienza, non importava quanto fossero stati sciocchi da averci provato. E lei era stata talmente stupida da esserci cascata.
  Sentiva le mani di quella canaglia scorrere veloci e ovunque, rufolando e tastando in cerca di pistole, coltelli o che altro di piccolo, e solo quando fu sicuro che era completamente disarmata la ritirò su sulle ginocchia.
  L’uomo che stava ancora trattenendo Nora la affidò alla custodia del compagno che gli stava accanto e si parò dinanzi al Sangue di Drago a terra. Sel non distolse mai lo sguardo da lui: se l’avessero uccisa o violentata prima di farlo, non gli avrebbe dato la soddisfazione di mostrargli paura. Perché non era così che si sentiva... lo scrutava impassibile, bruciante di odio.
   « Se pensi che abbia intenzione di ucciderti, ti sbagli. Un Sangue di Drago vivo e sano frutta dei buoni affari, venderti ci procurerà rifornimenti per almeno cinque mesi. Se poi decideranno di farti fuori, non è un problema nostro. » Si chinò, le afferrò il mento con le sue dita sporche e screpolate e cominciò a spostarle il viso da un lato all’altro per esaminarla più da vicino. « Sei bellissima contro ogni immaginazione. E sei ancora completamente intatta, nessun taglio, nessuna cicatrice, nessun occhio od orecchio mancante… Lo sai? Non sei il primo Sangue di Drago ancora in zucca che viene catturato e venduto sul mercato nero, ma abbiamo avuto più spesso a che fare con le tue sorelline radioattive. Per nostra fortuna i Ghoul Ferali Sangue di Drago sono piuttosto rari nel Commonwealth e per niente facili da rendere docili, né tanto più da abbattere. Vedi di non diventare come loro, o perderai notevolmente il tuo valore. »
  Sel assottigliò gli occhi.
   « Ascoltami: lei lasciarla stare. Hai voglia di divertirti? Sai del rapporto che abbiamo noi Sangue di Drago con il sesso, posso farti passare dei momenti che neanche nelle tue fantasie più sfrenate potresti immaginare... ma lei non toccarla », si mise a farfugliare, detestando il suono della propria stessa voce.
   « L’offerta mi alletta, dolcezza, ma non credo di avere il permesso per giocare con la merce. Uhm, tu dovresti essere Selina, quella che la gente chiama il Sangue di Drago del Commonwealth, vero? Sei quella che va in giro a massacrare quelli come noi e che aiuta i cosiddetti “buoni”. Hm! Alcuni di questi falliti credono che tu sia una specie di leggenda. Che tu venga direttamente da una fiaba... Ma sappiamo entrambi che non sei poi così lontana da un essere umano. E che sei debole. Sei qui per cosa? Per farti adorare dagli altri? Per dimostrare quanto puoi essere speciale?... » Il suo viso trapelò una perfidia amara, o forse era vendetta. « Comunque sia, spero tu non sia troppo affezionata al tuo nome. I Sangue di Drago sani sono più unici che rari, e per di più vengono rinominati ed usati come animaletti domestici dai loro proprietari, nella maniera che più preferiscono. Lo sapevi? Un bel collarino per tenerti sotto controllo ti starà bene »
   « Riedrich, questa si sta agitando troppo. Posso toglierla di mezzo? », borbottò interrompendolo uno dei compagni.
Nora stava cercando di liberarsi benché fosse fatica sprecata. Il predone che adesso Sel conosceva come Riedrich si voltò verso di loro e scosse brevemente la testa.
   « No, l’abbiamo già rovinata abbastanza. Dovremo vedere se ha bisogno di una sutura, prima di partire. »
Afferrò Sel per un braccio e la sollevò come se non avesse pesato nulla. Appariva come un’umana, con la sola differenza che possedeva forza e resistenza superiori alla norma, ma pesava quanto una piuma. Anche se in realtà le sue caratteristiche fisiche non le sarebbero servite poi a molto in quel momento, e ancor meno poteva sperare di ricorrere alla Voce per difendersi e provare a ribaltare la situazione, rischiando che uno di loro uccidesse Nora: erano in tre, ma non era sicura se altrove ce ne fossero nascosti degli altri di guardia.
   « Ora farete le brave, sì? E tu ragazza fallo, e vedrai che anche noi saremo gentili. »
La girò in malo modo e iniziò a slacciarle il kosode di seta color perla che indossava, poi le sfilò anche gli stivali di tessuto imbottito mentre Jack iniziava a fare lo stesso con Nora, togliendole le scarpe e i vestiti. Sel esclamò contrariata, ma Riedrich portò il viso ad un centimetro dal suo e le sibilò spazientito: « Abbiamo bisogno di controllare che non abbiate escoriazioni, malattie o eruzioni cutanee. Nulla di personale. »
  Era una situazione che andava oltre l’umiliazione. Anche se era un Sangue di Drago, possedeva pur sempre una dignità propria come tutte le altre persone. Mentre erano trattenute da Riedrich e il terzo predone che si scoprì chiamarsi Bobby, Jack controllò attentamente entrambe da cima a fondo, in ogni angolo dei loro corpi mezzi nudi e scostando pure il tessuto della biancheria intima. Sel si confortò nel fatto che almeno non fecero altro, ma le trattarono praticamente come se fossero bestiame.
Dopo aver esaminato ogni singolo centimetro della loro pelle riebbero i loro vestiti. Poi si ritrovarono con le mani legate. Jack entrò in casa e ricomparve pochi minuti dopo portando con sé quel poco che le due ragazze avevano potuto avere di valore e che era riuscito a trovare – fortuna che non si misero anche a chiedergli dove nascondessero un bottino più sostanzioso che comunque non avevano, evidentemente pensando che due ragazze semplici come loro non avrebbero potuto possedere chissà quali ricchezze.
Furono scortate ad un carro, nascosto a poca distanza tra gli alberi e trainato da un grosso bramino; se fosse andata in volo fino alla sorgente e poi tornata allo stesso modo come aveva fatto le volte precedenti, Sel quel carro lo avrebbe visto. Vennero sistemate a bordo l’una accanto all’altra, poi Riedrich iniettò qualcosa nel braccio di Selina: « Non ti preoccupare, è solo qualcosa per farti fare una lunga dormita. Non vogliamo certo che ti trasformi o che inizi ad Urlare… »
Il resto delle parole che pronunciò le si spense nelle orecchie e il suo viso gradualmente si offuscò, fino a scomparire in una fitta nebbia. Poi tutto divenne nero. L’ultima cosa che ricordava, era la voce di Nora che la chiamava e piangeva.
Era finita per lei. Era finita per entrambe.
 
 
 
Angolo dell’autrice:
 
Ciao a tutti! <3
 
Torno con una nuova storia, che in realtà non è tutta farina del mio sacco. Quindi vorrei ringraziare molto l’autrice originale della storia per avermi dato il permesso di pubblicarla; questo perché la mia storia è stata fortemente ispirata dalla sua serie che troverete al link che vi ho lasciato di seguito: https://archiveofourown.org/series/826914
Naturalmente la mia storia non si tratta di una semplice traduzione ma è un intero adattamento per la mia protagonista Selina, spero che lei vi piaccia <3
 
Ora, vorrei chiarire anche alcuni retroscena, dal momento che la mia Dovahkiin non è un normale Dovahkiin. Chi conosce l’universo di Mass Effect avrà notato alcuni elementi: il cognome di Sel è “Vakarian” (lo adoro per lei) e man mano che la storia va avanti ci saranno altri piccoli elementi familiari, questo perché ho ispirato molto la mia versione del Dovahkiin sulle Asari (i Sangue di Drago vivono molti secoli, durante i quali attraversano tre diverse fasi della vita – Dama, Matrona, Matriarca – proprio come le Asari). Ho immaginato i Sangue di Drago come una specie a sé composta da individui (femminili, come le Asari) che possono effettivamente trasformarsi in draghi, in parte o totalmente secondo le necessità. Ho creato una tradizione per questa razza, ma non ne parlerò in questa storia. Ci sono anche elementi giapponesi in Sel, dal momento che i draghi di Tamriel sono originari di Akavir, e Akavir è un reame orientale che ha molti elementi della cultura cinese/giapponese. Ed essendo io un’appassionata della cultura tradizionale giapponese, ho voluto rendere Sel una ragazza Akaviri con abitudini giapponesi.
 
Detto questo, ringrazio tutti coloro che leggeranno la mia storia e che la commenteranno. Miao <3

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Capitolo 2
*** L'asta ***


Non sapeva stabilirlo con certezza, ma dovevano essere passati almeno due o tre giorni dal rapimento. Sel si trovava ancora sotto le grinfie dei predoni, ma Nora… Lei l’aveva persa.
  Dopo che i tre uomini le avevano caricate sul carro che le avrebbe portate lontano dalla loro casa sul lago si erano risvegliate in una capanna, sperduta chissà dove, chiuse in una gabbia coperta di ruggine come bestie. Sel veniva costantemente sedata o intontita con dosi eccessive di tranquillanti e sonniferi per fare in modo che non potesse reagire, ma da quel poco che riuscì a vedere attraverso la sua vista perennemente appannata capì che dovevano trovarsi nel bel mezzo di un bosco, scorgendo gli arbusti dalle fessure nelle pareti di legno e lamiera; a giudicare dai discorsi dei predoni, non dovevano trovarsi molto lontani da Boston.
  La prima notte Nora l’aveva schiaffeggiata nel tentativo di rinsavirla, quando finalmente erano state liberate dai lacci. Sel non rispondeva e non si muoveva, ancora quasi priva di coscienza. Sentiva anche un vuoto allo stomaco, non capiva se era solo fame o erano i farmaci. Nora allora si era avvinghiata a lei, l’aveva abbracciata e aveva pianto ancora, non appena i predoni avevano lasciato la capanna.
   « Mi dispiace, Nora. Mi dispiace così tanto… », aveva biascicato Sel come poteva, con voce ovattata. « Non ho saputo che fare. Solo… non volevo che ti facessero del male »
   « Non importa, tesoro. Non avresti potuto fare niente... non ti hanno lasciato scelta », le aveva sussurrato Nora, stringendosela più forte al petto. Ma Sel mosse la testa come a volerla scuotere. « È solo colpa mia se adesso siamo finite qui. Non ho saputo proteggerti come invece avrei dovuto… Sono stata una perfetta idiota »
   « Quel che è stato ormai è stato, tesoro. Non incolparti per questo, gli sbagli li fanno tutti. Adesso siamo qui, e non possiamo tenerci al sicuro »
   « Non in questo modo dovrei sbagliare. Non nel Commonwealth », la corresse lei.
La guancia di Nora era ancora coperta di sangue secco, ma il taglio dovevano averglielo ricucito mentre erano ancora prive di sensi: Sel l’aveva guardata e aveva rabbrividito.
   « Non fa poi così male… », si era affrettata a rassicurarle l’amica, notando la sua reazione e alzando la mano per sfiorarsi la sutura. « Non pensavo nemmeno che l’avrebbero sistemata davvero, o almeno non così bene. Ma dobbiamo trovare il modo per andarcene da qui. »
Sel aveva annuito con fiacchezza e riabbassato lo sguardo, tornando a riposare. Nora, senza staccarsi da lei, era invece rimasta ad esaminare l’ambiente raffermo della capanna.
Si era lasciata andare in un lungo respiro nervoso. La sua vita era sempre stata un libro in cui c’era una sola pagina che si ripeteva all’infinito da quando si era ritrovata catapultata in quella realtà, ma se proprio avesse voluto che ci fosse stato un cambiamento, adesso era agli estremi. Stava succedendo davvero, o era finita in un film surreale?
“Idiota…”
   « Chiuso », aveva esalato delusa Nora. « Non vedo nemmeno niente che possa tornarci utile: niente che sporge, né qualcosa che potremmo utilizzare come-- »
  Un rumore improvviso e troppo assordante da sopportare le aveva fatte trasalire entrambe. Sel, per lo stato in cui si trovava, aveva sentito quel rumore molto più amplificato, come se avessero gettato una bomba sopra la capanna e aveva sentito il cuore rattrappirsi, sicura che avesse addirittura mancato qualche battito. E aveva girato la testa: era venuto dalle sbarre metalliche della gabbia. Riedrich aveva alzato una Swatter e l’aveva fatta scontrare con violenza contro di essa.
   « Sta’ zitta cagna! », aveva sputato. « Da adesso in poi ci sono alcune regole da seguire. Devi tenere la bocca chiusa. Non voglio sentir volare una mosca. Se ti sento, ti legherò di nuovo e ti metterò un tappo in quella cazzo di bocca. A meno che non ti dica di-- »
   « Fottiti! », aveva abbaiato Nora alzandosi in piedi. « Non farò una sola merda di quello che mi dirai! »
   « Vedo che sei anche piuttosto prepotente. Forse ti strapperò la lingua. Non influirà troppo sul tuo valore, ma potrebbe fare un gran punto di forza e magari raddoppiarti il prezzo. »
  Le labbra di Nora si erano subito serrate così forte che le erano sbiancate, ma i suoi occhi arrossati bruciavano di rabbia. Sel, ancora stesa sul metallo freddo della gabbia, teneva le palpebre a fessura e stava fissando Riedrich.
   « Adesso si ragiona. Quindi, come stavo dicendo… non dovete parlare, se non ve lo dico io. Avrete cibo e acqua. Bobby vi porterà anche qualcosa per ripulirvi. Se non ne avrete voglia, saremo felici di farlo noi. »
  Le labbra dell’uomo si erano stirate in un sorriso malvagio e Sel aveva sentito i capelli e qualunque altro pelo che aveva in corpo rizzarsi al solo pensiero. Né in cielo né in terra avrebbe voluto che l’avessero toccata di nuovo, e tanto meno che avessero messo le mani addosso a Nora.
   « Quindi, rilassatevi. Ho già un acquirente per te, capelli d’argento », aveva fatto un cenno a Nora. « Tu invece finirai all’asta. Devo dire però che è un peccato rinunciare a due bocconcini come voi… mi piacerebbe tenervi qui e avere po’ di svago, ma sapete com’è; al momento abbiamo bisogno più di scorte che di fica »
   « No!... », aveva esclamato Nora. Sel l’aveva afferrata subito per un braccio per tenerla buona, ma lei se l’era scrollato di dosso con facilità da quanto la stretta era debole. « Vi prego, lei lasciatela andare. Se lo farete vi prometto che farò la brava, così potrete raddoppiare il mio prezzo. Ve lo prometto! Ma lei lasciatela stare... », lo aveva implorato.
Ma Riedrich, in procinto di andarsene, si era girato di nuovo nella sua direzione, l’aveva guardata per un attimo e l’aveva derisa con una risata. « Oh, che scenetta commovente. Purtroppo non si può fare, abbiamo bisogno di tutti i tappi che otterremo da entrambe. Adesso fate le brave, intesi? »
  Ed era sparito in un attimo.
  Nora, abbattuta, si era lasciata cadere in ginocchio e aveva respirato profondamente. Poi aveva guardato Sel accanto a lei, in un modo che non le aveva mai visto; e quello sguardo l’aveva spaventata tanto più che pensare a ciò che i predoni gli avrebbero potuto fare. Era messa parecchio malconcia.
   « Sel… oh, Sel! Non so più che fare. Non c’è via d’uscita a quest’incubo. Non abbiamo armi, non possiamo fare niente… », aveva sussurrato, singhiozzando mentre tutto il suo corpo tremava. Si era rannicchiata con le gambe premute contro il torace, affondando il viso tra le ginocchia e piangendo sommessamente, intanto che Sel cercava di trascinarsi più vicina a lei per stringerle la mano che penzolava sul suo lato.
   « Non ho potuto proteggere mio padre quando si è ammalato due anni fa », l’aveva sentita poi continuare, sempre sussurrando, e piangendo. « Earl probabilmente è morto e sarà sicuramente divorato da qualche bastardo feroce in qualche canale di scolo. E adesso noi stiamo per essere vendute come schiave a dei pervertiti malati. Fino a quando non si stancheranno di noi… allora sì che ci faranno saltare in aria il cervello o ci daranno in pasto ai Ghoul Ferali, come sport o solo per divertimento... »
  Sel aveva aumentato come poteva la stretta sulla sua mano, ma se avesse potuto l’avrebbe presa e scossa per farla tornare a ragionare lucidamente. Così si era semplicemente messa a parlarle, cercando di far suonare ferma la propria voce. Ed era rimasta sorpresa di quanto le parole le fossero uscite calme, ma non poteva fare nulla per la fatica che le era costata pronunciarle. Soprattutto, a quanto erano sembrate vuote.
   « Andrà tutto bene, penseremo a qualcosa. A un certo punto dovranno trasferirci, e quello sarà il momento migliore per approfittarne e fuggire. »
  Ma Nora aveva scosso la testa. Aveva perso la speranza. Sel aveva sperato che ci fosse stata una possibilità almeno per lei: come Sangue di Drago, era sempre sembrata una creatura apparentemente invincibile, che non ci fosse stato nulla che non potesse fare, che non potesse esistere qualcosa che potesse piegarla. Aveva giurato di proteggere gli innocenti, ma in quel momento si sentiva rotta per aver tradito la fiducia della sua amica. Si sentiva inutile perché non poteva fare niente.
Non esisteva nessun tipo di perdono a quello che le stava facendo passare, Nora era volitiva e gentile e, semplicemente, una delle poche persone migliori che Sel avesse mai incontrato. Ed era stato il legame che aveva con lei ad averla tradita. Non che l’avrebbe lasciata morire se fosse stato altrimenti, ma era stata proprio Nora il suo tallone d’Achille.
   « È stata colpa mia », l’aveva costretta a guardarla. « Senza di me ora non saresti qui. Mi dispiace, troverò qualcosa, non siamo ancora morte… »
  Nora aveva allungato la mano e aveva accarezzato i suoi lunghi boccoli, scuri come le ombre del crepuscolo, che in quel momento erano sporchi di polvere e parzialmente ammassati insieme al fango.
  La mattina seguente avevano mangiato del cibo in scatola, bevuto acqua purificata e si erano date una ripulita. Sel, dopo aver ricevuto la sua dose quotidiana di sedativi, si era dovuta far aiutare facendosi lavare corpo e capelli dall’amica – Bobby si era perfino girato dall’altra parte commentando che le donne lo disgustavano –, ma non appena si erano completamente asciutte erano venuti per Nora. C’erano state urla e pianti mentre la donna cercava di serrare le dita a quelle inermi della compagna. Sel, prima di perdere di nuovo i sensi, aveva visto Riedrich, Bobby e altri due predoni che non aveva riconosciuto legarle i polsi con una fune, intanto che Jack si assicurava che il Sangue di Drago si addormentasse. Alla fine, l’avevano imbavagliata.
  L’ultima cosa che Sel era riuscita a biascicare prima di vederla sparire era stato uno strascicato « Ti troverò! », ma non era sicura che Nora l’avesse udito da quanto l’aveva detto basso. Poi la porta della capanna le si era richiusa davanti, così come l’ormai familiare buio. Era rimasta sola. Sola e tramortita, in quella capanna triste e spoglia che la guardava.
Prima che il mondo sfocasse in nero, Riedrich aveva camminato verso di lei, e Sel aveva sentito chiaramente che doveva averle sorriso. « Non preoccuparti, musetto. Appena domani il sole sarà tramontato ti porteremo in città… »
 
~
 
Quella volta fu una dormita più lunga del solito, colta da strani sogni e da strane allucinazioni. A volte apriva di poco gli occhi, ma rimaneva in sospeso tra il sonno e la veglia; credeva di sentire qualcuno nella stanza che camminava o che le soffiava sui capelli, ma anche se ci fosse stato davvero lei non era in grado di reagire. Sentiva le braccia e le gambe paralizzati, senza che volessero rispondere alla sua volontà di muoversi. Riprese i sensi quando un barattolo di cibo e uno di acqua le caddero accanto all’altezza del viso. Era Bobby.
  Quella dose bastava giusto per evitare che deperisse, ma non era sufficiente per rimetterla in forze. Non poteva toccare cibo mentre in corpo le circolava ancora tutta quella droga, e il solo pensiero di mangiare le faceva salire la nausea benché lo stomaco brontolasse. A volte credeva di vedere delle cose strane o delle luci che si muovevano nella penombra della stanza, di udire cose che probabilmente non c’erano: “Questi strani fischi… è il rumore dei miei pensieri?...”
Se proprio non si muoveva la imboccavano loro; una volta aveva perfino provato a trinciare un dito a Bobby, ed era stata salvata solamente dalla considerazione che la “merce non si tocca”. Per quel poco che riusciva a stare sveglia continuava a premere la faccia tra le sbarre della gabbia, a chiudere gli occhi e concentrarsi solo sulla respirazione. “Tic-tac. Siamo dentro un orologio…”
In quei momenti si sentiva confortata almeno nel ricordare che Nora era ancora viva e che non era sola; rievocava il suo viso di fronte ai propri occhi, pregando i Divini affinché vegliassero su di lei. “Vi prego, tenetela al sicuro…” « Fah hin kogaan mu draal… », si metteva a cantilenare sussurrando. L’ultima volta che l’avevano lavata le avevano anche portato via tutti i suoi vestiti per sostituirli con altri più umili e dall’aspetto smesso, probabilmente saccheggiati da qualche parte, o a qualcuno.
  Durante il giorno la capanna diventava più luminosa. Più volte Sel si chiese come avrebbe potuto fare per togliersi da quel guaio mentre si trovava ancora in quello stato: neanche il Thu’um ormai era più tanto utile. Ma ogni volta, quando pensava al sangue che scorreva sul volto di Nora, sapeva che non poteva continuare a rimanere immobile, ma neanche fingere di essere drogata quando invece l’effetto era svanito poteva essere risolutivo, perché quei bastardi lo sapevano che avrebbe potuto sfruttare uno stratagemma simile. Si erano preparati bene, così che a periodi regolari le somministravano una nuova dose. Avrebbero potuto anche legarla, ma era evidente che non era necessario. Le corde tornavano solo quando avevano bisogno di aprire la gabbia. Qualunque scenario Sel vedesse, erano state entrambe catturate o erano rimaste uccise.
  Non aiutava. In realtà non era Nora che avevano voluto, ma lei. Nora era semplicemente stata il suo punto debole per catturarla ma anche un’opportunità in più. Doveva esserselo aspettato quando aveva deciso di fermarsi da lei, ma quel che era peggio, era che aveva acconsentito di continuare a farla vivere isolata in quel cottage... Ma alla fine, chi era lei per decidere dove le sarebbe piaciuto di più vivere?
  L’insediamento più vicino che avevano sarebbe stato certamente un luogo più sicuro e Sel era stata un’egoista. Aveva acconsentito alla sua richiesta solo perché voleva vivere da sola con lei, si era accorta che Nora nutriva dei sentimenti profondi nei suoi confronti. Ormai non aveva più importanza.
  Quando le ombre cominciarono ad alzarsi, una figura scura trapelò sotto la soglia della capanna: la porta si spalancò e qualcosa le cadde addosso, lanciato attraverso le sbarre. Arricciò il viso a contatto con il tessuto che le aveva solleticato il naso.
   « Vedi di cominciare a muoverti. Ce ne andiamo. »
Riedrich prese ad armeggiare al lucchetto intanto che Sel si sforzava a issarsi sulle mani e a mettersi seduta, poi l’uomo si avvicinò per legarle i polsi e le infilò indosso il lungo mantello che le aveva portato. Era di un tessuto ruvido che le raschiava la pelle, ma almeno non sembrava troppo sporco da avere le pulci; abbassò le mani e le nascose bene sotto i lembi. « Ti portiamo a Goodneighbor. Non appena avremo attraversato il cancello principale, abbassa la testa e rimani in silenzio, mi sono spiegato? Se ti verrà qualche idea strana, come metterti a urlare o a parlare con qualcuno, te la farò rimpiangere », mentre parlava le mostrava il  coltello, lo stesso col quale aveva tagliato la guancia a Nora. « È chiaro? »
  Lei guardò la punta della lama attraverso le fessure degli occhi, la testa dondolante. « Sì… » Tutto quello che stavano facendo era solo per spaventarla, non avrebbero mai potuto ucciderla, né ferirla. La trattavano in quel modo solo perché sapevano che in quel momento non poteva reagire, ma in realtà Sel fiutava la loro paura, sepolta sotto uno strato di arroganza e di falsa sicurezza.
   « Bene. Forza, adesso andiamo. »
L’afferrò per un braccio e attraversarono la stanza. Una volta fuori imboccarono un sentiero; era difficile per Sel vederlo chiaramente attraverso la penombra degli alberi, ma il carro che li aspettava aveva le lanterne già accese e Jack era seduto davanti. Sel e Riedrich salirono sul retro, anche se non era stato molto facile con lei mezza intontita, le mani legate e l’uomo aggrappatole addosso. Poi il predone le infilò la testa in un sacco di stoffa sporca e maleodorante, in modo che non potesse risalire al loro nascondiglio. “Come se il cappuccio largo del mantello che già ostruisce da solo non bastasse…”
  Le ruote scricchiolanti cominciarono a muoversi quando anche Bobby li raggiunse a bordo e Sel, nel buio, non riuscì più a tenere gli occhi aperti... non seppe per quanto tempo viaggiarono, ma scoprì che era notte quando Riedrich le diede una scossa per svegliarla.
  Le fu iniettato qualcosa, ma quella volta Sel percepì che era diverso: « Ecco, questo dovrebbe farti riprendere un po’ ma continuare a tenerti buona per almeno un paio d’ore. Dovrebbero bastare per completare il lavoro, dopodiché non sarai più un problema nostro. » Erano vicini a un ponte, ma dovettero abbandonare il carro per proseguire. Bobby rimase indietro con l’ordine di tornare a riprenderli il giorno seguente.
  Il ponte era lungo e malconcio, alcune parti dell’asfalto era crollate ma stava ancora in piedi. Sel avvertiva anche un odore come di acqua stagnante... era il Fiume Charles. Da lì si inoltrarono nel centro urbano deserto. A parte alcuni randagi e qualche Ferale avvizzito, la strada proseguì senza intoppi.
  Non era certo la prima volta che Sel vedeva le rovine di Boston, ma i suoi alti ed enormi grattacieli riuscivano a farle spalancare gli occhi ogni volta, anche se quella fu un po’ a stento. La gran parte di essi stava ancora in piedi, benché decadente; molti erano danneggiati o erano quasi accartocciati su sé stessi, c’erano macerie, automobili arrugginite e persino pezzi di edifici crollati o distesi qua e là sulle strade. Era una visione devastante, soprattutto conoscendo com’era stata la città prebellica. E ogni volta quel pensiero le infondeva una dolorosa tristezza.
Jack, di vedetta accanto a loro e con il fucile pronto contro qualunque minaccia, stava ancora tenendo nascosto il viso dietro la maschera antigas, il che l’aveva sempre lasciata perplessa. Non gliel’aveva mai vista togliere quando era in sua presenza... aveva paura dei fumi, per caso? Sel ebbe la propria risposta abbastanza presto, quando scorsero i cartelli vivaci e le insegne illuminate al neon che indicavano che l’ingresso di Goodneighbor era ormai dietro l’angolo.  Si sfilò la maschera e Riedrich ridacchiò quando sentì la ragazza irrigidirsi. Per lei era sempre stato inconcepibile che un Ghoul potesse darsi alla criminalità, anche se alla fine non poteva meravigliarsene.
   « Che c’è, non hai mai visto un Ghoul o cosa? » 
Jack si girò verso il compagno: « Tieniti la cagna vicino, non vogliamo che sappiano che stiamo facendo affari, qui. »
Riedrich tirò uno sbuffo infastidito, poi pose lo sguardo verso di lei. La studiò per un secondo e le tirò il cappuccio più giù sul viso per nasconderle meglio gli occhi, ricordandole ancora una volta che le stava tenendo la lama del coltello puntata contro la schiena, premendo leggermente attraverso il tessuto. « Non fiatare nemmeno. Se qualcuno ti parla, ignoralo e basta. »
  Lei non rispose e si lasciò strattonare per riprendere il passo. Presto si trovarono di fronte ad un’alta staccionata dall’aspetto piuttosto robusto, costituita da tavole di legno, lamiere e filo spinato che delineava i confini dell’insediamento e lo proteggeva dai pericoli esterni della città. Jack aprì la porta cigolante ed entrarono; il Ghoul per primo, Sel e Riedrich ad un passo dietro di lui.
  Anche se non riusciva a vedere bene riconobbe subito il posto. Nonostante il cappuccio e la vista ancora leggermente sfocata, uniti al buio che c’era, limitassero molto il suo campo visivo, Sel sapeva che erano finiti in una specie di minuscola piazza, con alcune botteghe ancora aperte e le persone che passavano. E che molte di esse erano Ghoul.
  La notte a Goodneighbor era rischiarata solamente dai lampioni che puntellavano le strade, dai lumi che le attraversavano da una parte all’altra a mo’ di addobbi festivi, dalle insegne al neon dei negozi e da poche vecchie lanterne storiche. L’aria era satura di fumo, droga e umido. L’irriconoscibile odore della malavita.
  Sel conosceva abbastanza bene quella cittadina, per cui sapeva anche che tipo di popolazione la frequentasse. A Goodneighbor c’era ristata diverse altre volte in passato, di solito per svolgere certi incarichi o per procurarsi le sostanze. Conosceva i giri più affidabili e più sicuri senza mai farsi notare, né tanto meno rivelando mai la propria identità. Ma nessuno, in quel momento, avrebbe potuto riconoscerla.
   « Ehi » chiamò una voce, attirando la sua attenzione.
Vide un Ghoul con un mitra tenuto nelle mani camminare rilassato verso di loro. Pareva lo sgherro di qualche gangster, vestiva un abito sporco a quadretti bianchi e azzurri, con cravatta blu e un borsalino del medesimo colore abbassato sulla fronte calva.
   « Siete qui per affari? », domandò.
   « Siamo solo di passaggio », gli rispose Jack con la medesima calma mostrata dalla guardia di quartiere. « Avevamo soltanto voglia di divertirci un po’ al Terzo Binario »
   « E… quello? », continuò l’uomo, indicando Sel in un breve cenno con la canna del mitra.
Jack e Riedrich la adocchiarono per un attimo.
   « Oh! È sua sorella, si sta riprendendo da un giro di Jet. Prima volta. Adesso la portiamo al pub e la facciamo divertire un po’… vero? », si affrettò a spiegare il Ghoul, cercando di essere il più naturale possibile.
  La guardia li scrutò uno per uno.
   « Bene. Non create problemi. O per lo meno non fatevi beccare… »
Ridacchiò della sua stessa battuta e li lasciò andare. Jack esalò un sospiro silenzioso e si girò verso il compagno, facendogli cenno di proseguire. Li guidò fino all’Hotel Rexford, nel quale Sel aveva pernottato poche altre volte. Era un albergo fatiscente che prima della guerra doveva essere stato piuttosto lussuoso, situato dall’altra parte della cittadina. Era ridotto a poco più di una topaia, bazzicato da clienti che cercavano un posto per smaltire la sbornia o farsi fino a svenire, ma un tempo era il centro di un fiorente mercato della droga; un tripudio di sostanze di altissimo livello, clienti stupendi e feste, molti anni prima che Sel giungesse nel Commonwealth. Era di proprietà di un certo Marowski, che adesso non faceva altro che starsene rintanato nel proprio ufficio a “disonorare la memoria dei suoi genitori”.
  Comunque fosse, benché le poche persone che ci lavoravano cercavano di mantenerlo come meglio potevano, l’hotel era sempre più comodo di una stuoia buttata per terra. Fecero il check-in, ignorando l’arroganza e la stizza dell’anziana receptionist, poi Sel venne condotta in una delle camere ai piani superiori e fu messa seduta su un letto a due piazze dall’aspetto poco igienico.
  Nel frattempo che lei cercava di capire l’ambiente e la situazione, i due predoni si cambiarono gli stracci che indossavano con degli abiti più eleganti e di colore uniforme, con giacca e cravatta. Si sentiva confusa, ma restava in silenzio senza fare domande. Le corde che le univano i polsi avevano scavato nella pelle e le stavano dando prurito, ma era ancora sopportabile.
   « Okay », sospirò infine Riedrich rivolgendosi a Jack. « Dovrebbero iniziare presto, giusto? »
   « Sì, probabilmente sono anche già lì. Patterson ha prenotato la stanza numero tre », affermò il Ghoul mentre finiva di sistemarsi il nodo alla cravatta, guardandosi allo specchio.
Riedrich per un attimo sembrò da un’altra parte. Dopodiché si girò, raggiunse Sel e la scrutò attentamente, a lungo.
   « Mi sembra che tu ti stia svegliando un po’ troppo, dolcezza… » Tirò fuori una siringa lunga e sottile dalla sacca che si era portato dietro, le scoprì un polso da sotto il bordo del mantello e le iniettò il solito liquido bluastro. Poi la costrinse di nuovo in piedi tirandola per il braccio.
  La mente di Sel vacillò per l’ennesima volta, ma non si sentiva di dover perdere i sensi. “Sa avere la delicatezza della mia grattugia”, grugnì irritata facendo anche una smorfia. Con tutto il liquido blu che il suo corpo era stato costretto ad assorbire in quei giorni, ormai doveva essere diventata un’aristocratica.
   « Come al solito, bocca chiusa e tutto andrà per il meglio. »
Scesero le scale, uscirono e svoltarono dietro l’angolo del grande edificio che si ergeva di fronte all’hotel, sull’altro lato della strada, dove s’insenava l’entrata della vecchia stazione della metropolitana sotto all’Ufficio Governativo. Sopra di essa, la familiare scritta al neon “Il Terzo Binario” scintillava con i suoi colori, illuminando i mattoni del breve passaggio. All’interno, di fianco alle scale che scendevano in profondità, stava di guardia un Ghoul alto e robusto, con i capelli grigi schiacciati sotto un elegante cappello e vestito con uno smoking pulito: come udì la porta muoversi, si alzò dalla poltrona sulla quale era comodamente seduto a leggersi una rivista, li guardò per alcuni istanti dall’alto in basso, annuì brevemente e li lasciò passare augurandogli una buona permanenza.
  Sel si morse la lingua. “Ham, ti prego, aiutami…”, pensò disperata.
  Non era cambiato nulla dall’ultima volta che vi era stata; come al solito il locale trasudava un caratteristico stile speakeasy, sotto una luce tenue per dargli quell’aria più soft oltre a nascondere la decadenza del tunnel in cui era stato allestito. Era un locale che offriva musica jazz, drink e buone probabilità di incontrare brutti ceffi. Su un palco, una donna strinta in uno sfavillante abito rosso si esibiva cantando e muovendosi sensualmente, diffondendo nella sala un’energia quasi mistica. Sel aveva amato la sua voce già subito la prima volta che l’aveva sentita, così elegante, così rilassante.
  Per un attimo si immaginò di poter perdere la presa di Riedrich, correre sul palco e gridare a tutti cosa stava succedendo, ciò che stava subendo, ma l’attimo passò e Sel venne trascinata in un breve corridoio con una porta chiusa sul fondo e sulla quale era scritto un grande “3” in vernice bianca. Jack vi si fermò di fronte e bussò piano. Alcune parole silenziose, e la porta si aprì.
  Si affrettarono in una saletta che all’apparenza sembrava essere stata una specie di area riservata ai dipendenti di quella che un tempo era la metropolitana, mentre adesso era piena di tavoli, piccoli e rotondi, divani e poltrone. I fumi di sigaro e sigarette serpeggiavano nell’aria chiusa e almeno una ventina di figure dall’aspetto vagamente losco erano occupate in conversazione, in piedi o sedute.
Sel cercò di fare marcia indietro con un debole passo, ma Riedrich la spinse in avanti finché non furono quasi al centro della stanza. Le chiacchiere basse si placarono e gli occhi dei presenti si fissarono sui nuovi arrivati. “Alla fine tutto andrà bene. E anche se non andrà bene… non è la fine” pensò Sel, cercando di infondersi un po’ di sicurezza.
  Un uomo dalla pelle vellutata e un borsalino bianco con fascia nera si diresse verso di loro per stringere la mano a Riedrich e dargli il benvenuto. Parvero intendersi con pochi brevi sguardi, prima di voltarsi e mostrare un grande sorriso sul volto:
   « Miei gentili signori, cominciamo? Vorrei innanzitutto ringraziare il nostro ospite, il signor Patterson, per l’incontro di stasera. Oggi i miei… colleghi – scandì quell’ultima parola con tono abbastanza circoscritto –, hanno portato un oggettino piuttosto interessante sui cui poter fare offerte. Diamogli un’occhiata più da vicino! »
  Jack tolse il mantello a Sel e sollevò la testa tenendosela stretta. Era ancora debole, ma non così tanto da essere assonnata, sforzandosi di non mancare della propria fierezza, né nello sguardo né nella postura. Nonostante la situazione. Nonostante l’umiliazione. Nonostante la stessero per pestare come si fa con gli zerbini. Era pur sempre il Sangue di Drago del Commonwealth.
  Non era spaventata, ma non era neanche poi tanto preoccupata: era semplicemente arrabbiata, ferita nell’orgoglio e bramosa di vendetta. Presto o tardi avrebbe potuto ribellarsi e fargliela pagare a quegli schiavisti, dal momento che non aveva più niente da proteggere, a parte sé stessa.
   « Quella che abbiamo qui non è una semplice giovane donna. Appare come un’umana, con i capelli color dell’ebano e la pelle di porcellana. Il tratto più interessante da osservare, come potete vedere, sono gli occhi: gialli e luminosi. Quella che avete di fronte non è una donna comune, signori miei... – fece una pausa ad effetto – È un Sangue di Drago. »
Dal pubblico si levarono brusii sbigottiti, ma anche preoccupati. « Come fate a tenerla qui? Non è pericolosa? », cominciò a replicare qualcuno.
White Fedora, come Sel lo aveva individuato tra sé, sorrise paziente.
   « Ovviamente, abbiamo preso delle precauzioni. Non c’è alcun pericolo, è del tutto inoffensiva. Non è Ferale, se è quello che temete, perché è una dei pochi Sangue di Drago ancora in circolazione a non aver perso il senno a causa delle radiazioni. Ma tornando a noi.
   « Nessuna cicatrice causata da vecchie battaglie o che indichi interventi chirurgici », proseguì. « Forte, resistente, adatta ai lavori manuali più estremi. Anche agricoli, se non vi viene nient’altro in mente. » Quell’ultimo commento sollevò alcune risate divertite. « Ottima per la difesa. Signori! Avete davanti a voi una merce davvero niente male... »
   « Dimostracelo », esclamò qualcun altro, interrompendolo. « Come facciamo a crederti sulla parola che ci stai vendendo un vero Sangue di Drago e non un Sintetico? »
White Fedora si vide costretto ad accettare la richiesta. Si girò verso Jack e gli fece segno di procedere.
Senza dire una parola, il Ghoul si mosse al suo ordine e da un alloggio interno della giacca tirò fuori un coltello da caccia e si mise a tagliuzzare i vestiti di Sel, la quale non provò neanche a ribellarsi da quanto si sentiva frastornata, ma il viso le divenne rovente e presto si ritrovò lì, completamente nuda, visto che le avevano portato via tutti i suoi indumenti.
  Sentì un vuoto improvviso allo stomaco. Quando si toccava il fondo, si poteva sempre scavare. Fu spinta a salire sul tavolo più grande presente, e quando volle cercare di rimanere accucciata, Jack si mosse di nuovo accanto a lei:
   « Alzati un attimo, o dovrò ricorrere a qualcos’altro per farti stare dritta. »
Lei allora si raddrizzò come meglio poteva, cercando di mantenere quell’orgoglio ormai abbattuto, rassegnata e pronta ad accogliere come una martire qualunque derisione. Parte del suo DNA era umano, e non poteva essere sbattuta come un trofeo o un oggetto da mostra di fronte a una platea di estranei. Il buio beato si librava attorno ai suoi occhi, aveva vergogna e un sincero pizzico di paura. Combatteva rimanendo priva di emozioni.
   « Trasformati », udì ordinarle White Fedora da qualche parte accanto.
Sel lo scrutò per una frazione di secondo, in silenzio. Poi chiuse gli occhi, e in un attimo il suo corpo mutò in una forma ibrida posta tra un’umana ed un rettile. Poteva anche sembrare un’arpia a una prima vista: il suo aspetto divenne più coriaceo, non era più gentile e innocente, ma aveva lasciato il posto a una creatura temibile e leggendaria, con i lineamenti duri e lievemente deperiti per incutere più spavento. Ma il suo sguardo, malvagio e attento, era ancora illuminato da quell’inconfondibile e delicato oro. Era strano credere che una creatura così spaventosa potesse incatenare a sé chi la guardava con occhi tanto profondi e solenni, belli come la luce del sole.
  Il suo nudo busto era al contempo sensuale, talmente perfetto da ammaliare gli uomini che erano presenti in sala, con seni non molto prosperosi che non intralciavano la sua frenetica attività fisica. Poggiava su due possenti zampe artigliate controbilanciate da una lunga e muscolosa coda, schermati da una carnagione dura e frastagliata in grado di resistere anche agli ambienti corrosivi; una sorta di “esoscheletro” protettivo costituito da squame, spuntoni e scaglie composte da materiali metallici, di un colore tendente a varie sfumature grigio argenteo, riflessi viola-caldo e azzurri come il ghiaccio, sulle squame e le scaglie più grandi. Era un’apparizione troppo fiera e troppo bella per trovarsi in quell’antro così sporco e decadente.
   « Quella che vedete è una creatura incredibilmente forte, capace di cacciare anche le prede più grosse. Le squame lucide e lisce indicano la sua giovane età e il suo buonissimo stato di salute. Quel che sappiamo dei Sangue di Drago, è che possiedono sensi altamente sviluppati rispetto ai normali esseri umani; una sensibilità olfattiva che gli permette di localizzare prede e nemici anche mentre sono in volo, a miglia di distanza dal suolo. Inoltre riescono a capire il mondo che li circonda tramite la prima ed attenta distinzione delle varie frequenze grazie a un udito sensibilissimo, capace di sopportare suoni e rumori forti senza riportare lesioni ai timpani. Insomma, avete di fronte una perfetta macchina e d’assalto un’ottima guardia del corpo! », White Fedora lanciò un sorriso smagliante al suo pubblico. « E, come potete vedere, nessun livido, nessuna ferita. È completamente intatta, per quel che ne sono stato informato. Diciamo dunque che potremo partire da un prezzo di… 100.000 tappi. » L’asta ebbe inizio, e si protese per tutto il tempo in cui Sel si trovò costretta in piedi sul tavolo come un soprammobile.
  Ascoltava basita ogni importo che ogni cliente era disposto a pagare pur di averla come raro oggetto da collezione, quando ad un certo punto White Fedora iniziò a parlare più forte: « Il Numero 2 offre 100.400 tappi, signori. Qualcuno offre di più? E lei, signore? Sembra che la desideri davvero! Che cosa…? 105.000? Signori, abbiamo 105.000 tappi dal Numero 5! Qualcuno vuole fare una maggiore offerta? Vi ricordo che questo tipo di articoli così di alta qualità non si trova spesso in vendita! Questo è l’unico ed autentico Sangue di Drago del Commonwealth!... »
  Il tempo sembrò non finire, finché qualcuno nel pubblico non gridò un rauco “120.000” e nessun altro parlò. White Fedora lo chiamò tre volte e l’asta giunse al proprio termine.
   « Venduta! Al Numero 19 per 120.000 tappi! Ora, un’anteprima dell’offerta che avrà luogo dopodomani. Abbiamo gli indumenti e l’equipaggiamento del Sangue di Drago qui presente, degli articoli da perfetti collezionisti straordinariamente unici nel loro genere oltre che di ottimissima fattura. Due Sintetici Gen 3 in condizioni eccellenti, un maschio e una femmina. Signore con il numero 19, posso chiederle di venire avanti, così possiamo concludere l’affare? »
  Venduta. La vita di Sel era stata venduta. Una parola che le avrebbe ronzato a lungo e incessantemente nella testa. Non ci poteva credere, era davvero stata venduta! Come altre della sua specie prima di lei, benché poche, da quel che aveva appreso con orrore dai discorsi che aveva sentito. Senza pure contare l’elenco a cui ammontavano tutte le altre persone, innocenti o no che fossero, che quei bastardi dovevano aver schiavizzato.
  Il solo pensiero le attorcigliava l’intestino. Non riusciva a immaginare cosa potesse essere successo a tutte le sue sorelle che erano state catturate e vendute, sane o Ferali, se erano qualcuno che lei aveva conosciuto prima della guerra o che aveva incontrato in quegli anni. Non riusciva a immaginare cosa avessero dovuto subire mentre erano tenute come schiave, né se erano ancora vive là fuori da qualche parte oppure se erano morte di stenti o erano state uccise.
  Vide Jack e Riedrich poco più distanti scambiarsi un cenno compiaciuto.
  Intanto che gli altri offerenti si rilassavano, si accendevano un sigaro o una sigaretta e continuavano a discutere o a contemplare (e indicare) l’aspetto ibrido di Sel, un uomo iniziò a farsi strada tra la folla. Riedrich allungò un braccio per aiutare la ragazza a scendere dal tavolo, ma prima di spostare un piede lei riassunse le sembianze umane, per non intralciare i movimenti e non ingombrare quello spazio già ristretto. Non era sicura di poter avere avuto il permesso per farlo, ma decise che avevano visto più che abbastanza. Centoventimila tappi. Se una come lei avesse proprio dovuto darsi un prezzo, a quella cifra si considerava praticamene regalata.
   « Ah, devo dire che ha davvero un buon occhio, signore mio », commentò White Fedora rivolto al suo cliente.
Il Numero 19, un Ghoul dallo sguardo cupo con un elegante abito nero, rispose all’entusiasmo dell’uomo e gli strinse la mano che gli aveva teso.
  Ma ancor prima che qualcuno dei presenti potesse rendersi conto di quel che stava per succedere, il Ghoul, invece di rilasciare la presa, si strattonò White Fedora addosso e Sel giurò di aver scorto un lampo argenteo tra di loro. L’uomo emise un suono sorpreso che in realtà non era stato proprio un grido, ma più simile al gemito strozzato che rilasciò quando si ritrovò l’intera lama di un pugnale affondata nello stomaco.
   « Diamo inizio alla festa, ragazzi! », ruggì il Ghoul, e in un istante la stanza cadde in un caos fatto di spari, urla e corpi che cadevano pesantemente.
  Sel si allontanò in fretta dal piccolo palco improvvisato per andare a ripararsi, strisciò sotto ad un tavolo addossato al muro e si rannicchiò nella speranza di rendersi il più invisibile possibile: l’effetto della droga non era ancora svanito, per cui non si sentiva in grado di approfittare della situazione per fuggire.
  L’infernale moltitudine di grida e di corpi che si accasciavano sul pavimento e sulle sedie si protrasse per pochissimi minuti, finché soltanto sette di loro non rimasero in piedi. Uno era il Numero 19, perfettamente incolume senza neanche un graffio; l’uomo che gli stava di fronte, invece, appariva gravemente ferito. Era Riedrich.
  Altri tre uomini, due Ghoul e uno normale, stavano puntando le loro mitragliatrici contro le ultime due figure rimaste presenti, intente ad alzare le mani sopra la testa con espressione arcigna. Nel disordine in cui la stanza versava, Sel individuò Jack sdraiato sulla schiena, a pochi metri di distanza da lei e la sua posa le fece capire che era morto.
   « Sei uno stupido, cazzo! », sbottò il Numero 19. Sembrò puntare quelle parole amare su un uomo con un completo bianco a righe azzurre, al quale il Ghoul si avvicinò con fare lento e minaccioso. « Marty “leccaculi” Patterson. Sapevo che stavi combinando qualcosa di losco in città, ma vendere la gente come schiava? Devi star perdendo un bel po’ di materia grigia in quel tuo cervello da ravanello per… Dannazione, è un’idea del cazzo! »
  Patterson cercò di ricomporsi, ma era evidente che se la stava facendo sotto. « Sei tu, Hancock? Ascolta, potremmo facilmente trovare un accordo » balbettò, ma venne costretto a zittirsi da uno degli uomini che gli puntava la bocca della canna del suo mitra alla tempia.
   « Pensi davvero che io voglia fare un accordo con una feccia come te? » La voce del Ghoul si abbassò talmente da risuonare quasi come un ringhio che gli raschiò tutta la gola, avanzando ancora di qualche passo. « Cazzo, pezzo di merda. Sarei più che felice di trasformare il tuo cervello in una melma viscida, ma per tua fortuna abbiamo bisogno di più informazioni su questo… tuo nuovo business »
   « Umpf! Questa città funzionava molto meglio finché c’era Vic. Ci sarà un nuovo Sindaco, un giorno! »
   « Amico. Guarda che è di me che stiamo parlando. Lascia che ti dica una cosa io… »
Mollò un pugno secco sulla guancia dell’uomo. Lui mancò d’equilibrio e rovinò a terra, schizzandosi di sangue la giacca pulita.
   « Chiama gli altri dal bar e porta questi stronzi al fresco », ordinò poi il Ghoul.
Uno degli uomini che sembravano essere al suo soldo si allontanò per andare ad aprire la porta e bussarci sopra un paio di colpi, che dovevano probabilmente essere un qualche tipo di segnale. Sel aveva già sperato che si fossero dimenticati di lei, così appena tutto sarebbe tornato tranquillo avrebbe potuto recuperare dei vestiti, liberarsi dei lacci che le bloccavano i polsi e andarsene da lì, ma il Ghoul girò la testa per affrontarla.
  Lei cercò di allontanarsi il più possibile e appiccicarsi contro il muro quando mosse i primi passi verso la sua direzione; aveva ucciso o catturato quegli schiavisti, ma ancora non sapeva esattamente da quale parte stesse, per quanto la riguardava. Per la strada raccolse il mantello che la ragazza aveva indossato per arrivare e Sel si puntò su un ginocchio per trovare equilibrio e una visuale migliore, cercando nel frattempo di coprirsi le parti intime.
  L’uomo distolse educatamente lo sguardo quando infine si chinò e le passò il mantello, anche se aveva già visto circa ogni centimetro del suo corpo, ma almeno dimostrò di averne rispetto. Con mani insicure Sel lo afferrò e se lo premette contro il petto.
   « Tutto bene, sorella? Mi spiace che sei finita in questa situazione. Vuoi che li tagli? » Le indicò le mani.
Sel esitò un momento, poi allungò lentamente le braccia verso di lui. Stavano ancora tremando senza che potesse averne il controllo, per cui l’uomo dovette sostenerla mentre tagliava le corde… ma il suo tocco era attento, non era aggressivo come quello dei predoni.
  Quando alla fine i lacci caddero sciolti sul pavimento, Sel sentì il sangue ricominciare a circolare adeguatamente, trasalì per la sensazione e rapidamente tirò indietro le mani per mantenere il tessuto premuto sulla pelle.
   « Grazie… », mormorò quasi in un soffio.
   « Sei ferita? »
Si concentrò su di lei mentre i suoi sgherri entravano nella stanza per scortare Patterson, Riedrich e l’altro schiavista fuori, insieme al resto dei presenti armati. Tra di loro Sel scorse che era arrivato anche Ham, il fedele e severo buttafuori del Terzo Binario.
   « No, credo di no. Ma non so se posso alzarmi… Penso che le mie gambe non siano ancora in grado di funzionare come dovrebbero »
   « Non preoccuparti, ti aiuterò io. »
La raggiunse con le braccia e lei immediatamente si rannicchiò ancora di più. Aspettò un momento, poi si allungò un altro poco e la prese delicatamente per le spalle, tirandola a sé per farla uscire da sotto il tavolo. Una volta in piedi le avvolse meglio il mantello indosso e se la strinse contro per darle un sostegno... Ma la verità, era che Sel non aveva più alcuna forza in corpo, non dopo aver vissuto quegli ultimi giorni sotto il costante effetto delle droghe e ridotta al minimo indispensabile per rimanere in vita.
  Iniziò così a scivolare di nuovo sul pavimento, e lui allora se la prese in braccio senza alcuno sforzo. La portò fuori dalla stanza e attraversò il pub divenuto improvvisamente silenzioso e vuoto, fino ad uscire all’aria aperta, in superficie.
Aveva cominciato a piovere.
   « Come ti chiami, sorella? »
Sel si asciugò il viso dalle gocciole d’acqua con un lembo della stoffa ruvida.
   « Selina. Mi chiamo Selina... ma tutti mi chiamano Sel. »
Lui abbassò lo sguardo per incontrare quello caldo di lei. I suoi occhi erano neri come la pece, privi di iridi e pupille evidenti, ma quel che più colpì Sel, era l’incredibile espressività di cui erano carichi.
E le sorrise. « Ciao, Sel. Io mi chiamo John Hancock. E sono l’umile Sindaco di Goodneighbor. »
 
 
 
Angolo dell’autrice:

Hancock è il mio personaggio preferito di Fallout: la primissima volta che l’ho incontrato mi ha fatto un’impressione molto… particolare. Mi è piaciuto fin da subito. Vedremo cosa avrà in serbo per Sel…

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Capitolo 3
*** John Hancock, al tuo servizio ***


Hancock la adagiò su un divano consunto e mandò via due uomini armati di guardia ai lati della porta. Sel mantenne serrate le dita sul tessuto del mantello, assicurandosi che non avesse un solo brandello di carne esposto. Il Ghoul si scusò con lei e si allontanò per qualche minuto, e mentre lui parlava, Sel ripensò a quanto era accaduto.
  I predoni che avevano rapito lei e Nora adesso erano lontani, morti o rinchiusi; conosceva Goodneighbor, e conosceva la reputazione del suo Sindaco – ovvero, quel tanto e poco che aveva raccolto dalle persone che aveva incontrato, e in genere erano notizie incoraggianti ma che comunque le facevano capire quanto Hancock fosse un uomo pericoloso, odiato e temuto da molti.
  Intanto si trovava lì, nel Vecchio Ufficio Governativo, salvata dal Ghoul protettore dei reietti. Al “dopo” ci avrebbe pensato a tempo debito. Da una parte la cosa la fece sorridere: era la seconda volta che veniva tratta in salvo da qualcuno che non fosse un militare, quando di solito era sempre stata lei a salvare gli altri.
  Hancock rientrò nel suo campo visivo, sistemandosi sulle spalle un lungo cappotto rosso; era una redingote dall’aspetto parecchio antiquato, sicuramente era sporca, in alcuni punti era stata addirittura rattoppata e mostrava diversi strappi e ricuciture varie affrettate. Portava anche qualcosa che assomigliava a una bandiera americana legata sui fianchi. O forse era una bandiera americana legata sui fianchi, e sulla testa indossava un elegante cappello a tricorno color fango opacizzato dal tempo.
  In altre parole, nell’insieme sembrava uscito dai tempi della Rivoluzione Americana, a parte quel particolare della bandiera, la camicia a balze lasciata aperta che lasciava intravedere il petto glabro usurato dalle radiazioni e gli addominali scolpiti che gli dava proprio quell’aria da “ribelle”. Ogni singolo dito delle sue mani, tranne i pollici, era ornato da un anello d’oro o d’argento, uno diverso dall’altro.
  Sel lo fissò e non poté trattenersi. « Hancock? » farfugliò, soffermandosi meglio sul suo abbigliamento. « John Hancock? Come quel… John Hancock, il Governatore del Massachusetts che per primo firmò la Dichiarazione d’Indipendenza e che fu il difensore del popolo? »
  Lui si fermò: uno sguardo sorpreso balenò sul suo volto emaciato, per poi sorridere. « Vedo che conosci molto bene la storia. Sì, potrei definirmi un suo fan… »
  Lei lo osservò ancora, debolmente ma incuriosita.
   « E sei… un Ghoul? », la domanda le uscì quasi involontaria.
Hancock sorrise di nuovo. Sembrava divertito. « Esatto. Ti piace il mio faccino? Penso che sia molto sexy. Una specie di Re degli Zombi. Le donne impazziscono. »
  Sel sembrò realizzare solo in quel momento il commento che gli aveva appena fatto. Aveva parlato senza pensare e chinò mortificata il capo. « Scusami, non avrei dovuto »
   « Puoi rilassarti, nessuno qui vuole farti del male », girò attorno alla scrivania e si sedette sulla vecchia sedia imbottita dietro di essa. « Così, sei tu quella che chiamano il Sangue di Drago del Commonwealth », continuò poi, in tono bonario e guardando verso la ragazza. « Non avrei mai voluto avere l’onore di conoscerti in una circostanza simile. Spero che quest’incidente non influenzi il tuo giudizio sulla nostra piccola comunità. So che probabilmente adesso non è il momento migliore, ma saresti in grado di dirmi tutto quello che sai o che ti ricordi di quei bastardi che volevano venderti? »
  Sel abbassò di nuovo lo sguardo e incontrò il tavolino da caffè che aveva di fronte. Vedendola esitante, Hancock parlò di nuovo.
   « So come ti senti, i tuoi dubbi sono comprensibili, specie se ti trovi davanti a uno come me. Ma ti prego e ti chiedo di fidarti di me. Potrei aiutarti. Ma tu vuoi aiutarmi…? »
  Si rese conto che aveva ragione. Per come stava messa non ce l’avrebbe fatta da sola a ritrovare Nora, inoltre aveva capito che Hancock stava dando la caccia a quella gente. Forse avrebbero potuto collaborare insieme.
  Fece un respiro profondo, attese alcuni attimi mentre radunava pensieri e ricordi e gli raccontò di lei e dell’amica che le avevano portato via, dei saccheggiatori che avevano invaso la loro casa un numero indefinito di giorni prima, a causa delle sue frequenti perdite di conoscenza. « Non so, forse si parla di… tre o quattro, forse cinque giorni al massimo. Non ne sono sicura, durante la prigionia ho completamente perso la cognizione del tempo. Ad essere sincera, mi sembra sia passata un’eternità... »
  Il suo fu un racconto breve, dal momento che non conosceva praticamente niente delle attività degli schiavisti, né l’ubicazione esatta del luogo in cui le avevano segregate. Hancock ascoltava interessato, poi gli disse che Bobby sarebbe dovuto tornare al ponte la mattina seguente. Non ricordava con precisione quale fosse il ponte in questione, così gli descrisse semplicemente la strada che avevano percorso per raggiungere Goodneighbor. Una volta che tornò il silenzio, Hancock le assicurò che per quel poco che aveva parlato aveva già il quadro completo del posto al quale si riferiva.
   « Mi rincresce veramente che tu abbia dovuto vivere un’esperienza simile », mormorò infine, dopo essersi preso una lunga pausa per riflettere sugli indizi che Sel gli aveva fornito. « Vedremo di ottenere qualche informazione riguardo la tua amica, ma non ti posso promettere niente. Se è stata venduta ieri mattina come dici tu, a quest’ora potrebbe essere ovunque, a Boston o nell’area circostante, o forse anche più lontano. I predoni sono dei fottuti stronzi, ma mai quanto quelli che vi hanno catturate. Gli schiavisti sono più organizzati e più furbi dei normali predoni e dei saccheggiatori che vedi spesso in giro, e probabilmente proteggeranno i propri alleati. Se hanno avuto i mezzi e il tempo per avvertire questo Bobby, potrebbe anche diffidare del silenzio radio e tenersi lontano dalla città. »
  Sel lo guardò, arricciando la fronte in un’espressione triste.
   « Ti prego, aiutami. Nora è l’unica famiglia che ho, non sono in grado di andare là fuori da sola per cercarla… », lo supplicò. « È solo colpa mia se è stata portata via! Le ho promesso che l’avrei ritrovata! Oh Azura... » Chinò la testa e posò le mani contro il petto, sentì la nausea salire e una lacrima fece capolino all’angolo di un occhio.
  Udì Hancock alzarsi dalla scrivania per avvicinarsi, e quando le si abbassò sopra per tranquillizzarla, lei lo afferrò debolmente per il colletto del cappotto, ancorandosi al suo salvatore.
   « Mi capisci? Le ho promesso che l’avrei trovata! Sono un Sangue di Drago, è il mio dovere proteggere gli altri, e farò qualsiasi cosa per riportarla a casa. Solo che adesso… per favore, aiutami a trovarla. »
  Si sentiva rotta come un vaso di ceramica caduto a terra. Tutto quello che aveva represso fino a quel momento finalmente cominciò a uscire: la paura, la rabbia, la frustrazione, l’umiliazione, tutte emozioni che lei si era sempre sforzata a negarsi, perché lei era un Sangue di Drago, e finché aveva aria nei polmoni rimaneva pur sempre una Vigilante. Era una paladina della giustizia e non poteva permettersi che paura o vergogna la ostacolassero. Ma quello che aveva sempre dimenticato, o semplicemente sottovalutato, era che per metà del suo essere continuava ad essere umana, e come tale provava anche quelle emozioni e non poteva farci niente. Poteva solo accettarlo... accettare le proprie debolezze. E in quel momento, mentre tremava come una foglia, si sentiva debole, messa in ginocchio e spoglia come non lo era mai stata prima in vita sua; sentiva più insicurezze che sicurezze. In quel momento, sarebbe stato facile per chiunque spezzarla in due. “Ed ecco finalmente svelato il segreto su come piegare un Sangue di Drago… La solita malinconia, il solito moralismo.”
  Hancock era in silenzio, ma dopo qualche attimo Sel sentì la sua mano premerle delicatamente sulla testa.
   « Ascoltami. Proveremo a vedere cosa possiamo ottenere da quei tre stronzi che abbiamo catturato stasera. Dopodiché… beh, dovremo constatare che cosa abbiamo nelle mani. Ad essere sincero, non sono sicuro di quanto siano ampie le loro attività sul commercio di schiavi, e dubito che Goodneighbor sia l’unico luogo d’incontro. Ma puoi stare certa su una cosa: qui dentro sei al sicuro. Se non hai un posto dove andare, puoi restare qui. »
 Sel annuì e lasciò cadere le mani sulle cosce. Hancock le fece un cenno di incoraggiamento e tornò alla scrivania. Mentre si accomodava sulla sedia si accese una sigaretta, inspirando profondamente per poi rilasciare una densa nube di fumo che si disperse nell’aria chiusa della stanza. La sua pelle appariva secca e strappata, rivelando un po’ di carne scura sotto.
Passarono attimi lunghi e silenziosi, poi il Ghoul sembrò ricordare qualcosa: « Ah. Ho chiesto a Fahrenheit di trovarti degli indumenti. Quelli al Terzo Binario non andavano bene. C’è una stanza in fondo al corridoio che non viene utilizzata, quindi puoi stare lì. Mi spiace di non poterti offrire di più per adesso. Hai fame? »
  Pensare al cibo mentre tutti quei giorni sotto droga stavano ancora scorrendo via dal suo organismo non era l’ideale, ma sapeva anche che avrebbe dovuto prendere qualcosa sotto i denti per aiutarsi a rimettere in sesto. Annuì lentamente e ringraziò.
  Trascorsero altri secondi, quieti ed imbarazzanti dal punto di vista di Sel. E nel mentre che lei rimuginava, non fece neanche caso che qualcuno aveva bussato alla porta.
  Nella stanza vide farsi largo una giovane rossa dall’aria acuta, avvolta in un completo in pelle da strada che le calzava a pennello, con sopra poche componenti di corazza in ferro agganciate su torace, avambracci e gambe dalle ginocchia in giù. La pelle del suo viso era visibilmente sporca, rovinata, mascherando dei lineamenti che erano troppo belli e raffinati per poter essere trascurati in quel modo. Aveva dei capelli lunghi fino al collo acconciati stile sidecut; rasati su metà testa e sistemati in un ciuffo pettinato da una parte che le davano un tipico aspetto da ragazzaccia. Trasportava una breve pila di oggetti che le ingombravano mani e braccia e che Sel si meravigliò molto nel rivedere: i suoi vestiti e le armi che i saccheggiatori le avevano sottratto quando l’avevano rapita.
   « Presumo che questa roba sia tua, non si trovano spesso cose come queste nel Commonwealth. Suppongo facessero parte del pacchetto sull’asta; li abbiamo trovati negli alloggi di Patterson »
   « Non avresti potuto scegliermi di meglio », le sorrise riconoscente Sel, affrettandosi a prendere in mano l’arco lungo che la donna le aveva porto, per guardarlo e controllare che non presentasse ammaccature. Aveva una forma aggraziata e il suo aspetto era raffinato, era rivestito di un materiale liscio ma che era molto resistente, di un dorato chiaro metallizzato, finemente inciso e che lo rendeva prezioso, quasi estraneo, come appartenente ad un mondo etereo.
   « A proposito, mi chiamo Fahrenheit. Piacere di conoscerti, Sangue di Drago »
   « Selina. Tanto piacere »
   « Sono sicura che, se deciderai di rimanere qui, ti troverai molto bene nella nostra piccola combriccola, cara Sangue di Drago. Adesso però sarà meglio che ti cambi quello straccio che hai indosso, che ne dici? »
Insieme a Hancock la accompagnarono nel suo alloggio, una camera piccina che pareva una bomboniera, ma aveva un letto ordinato e decente, una finestra polverosa che dava sulla strada e alcune candele quasi completamente consumate erano accese accanto a uno specchio rotto, appeso sopra a una bacinella in cui potersi sciacquare.
   « Esci, Hancock. » Fahrenheit lo spinse nel corridoio. « La aiuto a lavarsi e a vestirsi »
   « Non sei divertente... » Hancock sorrise, ma si voltò e chiuse la porta tra di loro.
Sel si tolse il mantello di dosso e lo mollò a terra, si trascinò alla bacinella e si diede per prima cosa una rinfrescata al viso. L’acqua era gelida, ma servì subito a farla riprendere.
   « Vieni, guarda cosa c’è qui… »
La voce di Fahrenheit attirò la sua attenzione. Con lo sguardo la seguì avvicinarsi a una vasca da bagno posta accanto a una stufa a legna, coperta in parte da un lenzuolo talmente grande che si raccoglieva sul pavimento. « Penso che ti serva molto più di una semplice sciacquata, almeno per toglierti di dosso tutta quella sporcizia e per lavare un po’ via anche questa brutta storia. Non ti pare? »
  Sel osservò incerta la vasca per diversi istanti, poi spostò gli occhi su Fahrenheit e le sorrise riconoscente. L’acqua era quasi tiepida e la stufa era spenta, ma era sempre meglio che averla trovata del tutto ghiacciata come quella nella bacinella; anche se, ad essere onesta, un po’ di tepore in quel momento non le sarebbe dispiaciuto.
  Mentre le strusciava la schiena con una spugna stando attenta a non sfiorare troppo lividi e graffi, Fahrenheit, per distrarla dai suoi pensieri quando nella stanza cadeva un silenzio opprimente, a momenti la intratteneva facendole qualche domanda o chiedendole qualche curiosità riguardo la sua vita. Sel in realtà non aveva molta voglia di parlare, più che altro avrebbe gradito semplicemente ascoltare per non cadere preda del rimuginamento in agguato nel silenzio; e appena la donna se ne rese conto, cominciò a raccontarle di Goodneighbor e delle persone che ci vivevano, degli occasionali scontri con i predoni e i Supermutanti che abitavano nei dintorni, nascosti nei palazzi e negli edifici diroccati. Da come si esprimeva era facile intuire che era una che non amava molto le storie lunghe o i giri di parole, le sue frasi erano concise e spesso andava subito al sodo della questione. La asciugò con un panno pulito e Sel poté finalmente rimettersi a proprio agio indossando i propri familiari e comodi vestiti.
  Per fortuna gli schiavisti non avevano gettato via niente, così ritrovò sia la biancheria intima, sia il kosode, sia gli stivali. Era certa che pure i beni appartenenti a un Sangue di Drago avrebbero potuto fruttare una fortuna sul mercato nero; i Sangue di Drago non si abbassavano praticamente mai ad articoli di scarsa qualità, per cui anche solo un fucile ordinario o un semplice vestito avrebbero potuto presentare delle personalizzazioni particolari dopo che erano passati nelle mani di una di loro. E ancor più valore tali oggetti avrebbero potuto acquisirlo se erano unici nel loro genere: questo perché la cultura Akaviri era sempre stata profondamente diversa da quella umana, per cui le loro merci così esotiche, con quel sapore orientale e l’accenno al “rispetto per la tradizione”, lo stile elegante talvolta misto al futuristico, avevano sempre avuto un valore ricercato oltre ad essere della migliore qualità, specie in quei tempi che non c’erano più Sangue di Drago a fabbricarle. Prima della guerra, spesso le persone spendevano un sacco di soldi su articoli di fattura Sangue di Drago per collezionismo o per passione, divenendo dei veri e propri seguaci della loro cultura e del loro stile di vita, affascinate nello scoprire quanto una specie che poteva essere tanto pericolosa potesse in realtà rivelarsi così sensibile, così solenne, così filosofica e spirituale. Per Sel era bello andare al tempio e scoprire che fra le sue sorelle c’erano anche molti umani in meditazione o in preghiera, che seguivano i loro riti, che si univano alle loro feste e alle loro cerimonie. Ciò che l’aveva sempre sorpresa, era lo scoprire quante persone ci fossero che non li temevano come invece facevano altre, che seguivano i loro usi e costumi al pari di una cultura qualunque, per passione, per rispetto o per semplice curiosità.
  Fahrenheit le aveva portato anche dei biscotti, qualche scatola di carne e dell’acqua purificata. Si sforzò a buttare giù alcuni bocconi, nonostante ogni morso le costasse un’immensa fatica, seguito dalla sensazione che ognuno di essi volesse tornare a galla.
   « Hancock me l’aveva detto che sospettava che Patterson gestisse dei pessimi affari in città », mormorò all’improvviso e arrabbiata Fahrenheit. « All’inizio non ci volevo neanche credere. Patterson è sempre stato uno stronzo viscido, ma pensare che avesse a che fare con il commercio di schiavi… Maledizione. Se ci fossi stata io laggiù, a quest’ora non avrebbe più una faccia con cui guardarsi allo specchio! »
Cercò di scaricarsi e con occhi preoccupati guardò la ragazza mordicchiare un biscotto. « Sei sicura di stare bene? »
  Sel alzò lo sguardo su di lei e provò a sorriderle, ma si rese subito conto di sfoggiare una smorfia più allarmante che rassicurante. « Sì, sono stati abbastanza attenti a come trattarmi. Ho soltanto qualche livido e qualche graffio, ma non mi hanno… toccata. Non in quel senso. Mi stavano “preservando” per il mio nuovo proprietario. »
Fece una pausa e sospirò.
   « Non riesco a smettere di pensare a Nora... Dovrei essere là fuori ora, a cercarla. Devo andarmene non appena mi rimetterò in sesto. »
  Fahrenheit scosse la testa. « Non sarebbe saggio. Ti ritroverai a brancolare nel buio senza sapere di preciso dove andare e con un manipolo di schiavisti a darti la caccia. Fidati di noi, e fidati di Hancock. Lo so a cosa pensi; la fiducia è un lusso piuttosto raro di questi tempi, ma sicuramente otterremo qualcosa da quei farabutti che abbiamo rinchiuso. »
  Sel annuì cercando di farsi vedere un po’ più convinta, e notando che la donna non aggiungeva altro prese la parola.
   « Tu invece che cosa fai qui? », le chiese.
   « Sono la guardia del corpo di Hancock. Ti ha detto che è il Sindaco di Goodneighbor? Di solito non manca mai di precisarlo. Abbiamo avuto qualche scontro in passato io e lui, ma ora lo ripago guardandogli le spalle e togliendo di mezzo chiunque non sia abbastanza sano di mente da cercare di fotterlo. Tutti se la fanno sotto quando si parla di lui, oppure lo adorano incondizionatamente. È un buon Sindaco… ma può anche sembrare una specie di cazzone. Tuttavia, è sempre leale e aiuta chiunque ne abbia bisogno. Ma punisce anche chi merita di essere punito. Quindi, ha molti nemici. »
  Seguì un breve silenzio, solo per vederla tirare fuori dalla tasca dei jeans attillati un pacchetto di sigarette. Ne prese una e la accese, inalando e sorridendo attraverso il fumo. « Finché stai dalla sua parte, non hai nulla da temere. E poiché adesso sei sotto la sua protezione, ogni guardia che lavora per suo conto che vedi ti terrà al sicuro. Date le circostanze, presto ti ritroverai sicuramente delle compagnie piuttosto spiacevoli alle calcagna. Qui potrai dormire bene e serena, se puoi. Se non puoi, posso darti qualcosa per aiutarti a rilassare. »
  Sel decise che per il momento ne aveva abbastanza di sostanze, per cui avrebbe cercato di prendere sonno da sola, considerato anche che non poteva nemmeno ricorrere ad altri rimedi un po’ meno chimici e che conosceva. Fahrenheit la stava pazientemente osservando mantenendo una posizione rilassata, con la schiena appoggiata contro il muro e il piede a cavallo sull’altro. Sembrava proprio il tipo da “prima sparo, e poi faccio le domande”; ma benché apparisse dura, traspirava la propria estrema fedeltà a Hancock e l’apprezzamento della fiducia altrui sopra ogni altra cosa in maniera impeccabile, tanto che Sel si meravigliò molto della sua persona e non poté fare a meno di ammirarla per questo.
   « Sto bene così, grazie. Davvero, grazie per... tutto quanto. Lo sai? Ne ho conosciuti moltissimi di Ghoul, ma non ne avevo mai visto uno così carismatico come lui. Dovrebbe essere amato da tutti, da come ne parli. »
  Lei mugolò attraverso le labbra chiuse. « Mh. Hancock non ha avuto un passato esattamente felice. Non è sempre stato un Ghoul. Pensa che soltanto fino a qualche anno fa aveva ancora la pelle perfettamente liscia. Ma questo dovrà raccontartelo lui, se vorrà… » Le sorrise di nuovo, spense la sigaretta non ancora finita nel posacenere sulla cassettiera accanto e si ricompose.
   « Adesso dovresti cercare di dormire un po’, ti farebbe bene. C’è una guardia qua fuori, se senti dei passi davanti alla porta è soltanto lui. Il bagno è dall’altra parte del corridoio, e sai già dov’è la stanza di Hancock. Io sarò a due porte alla tua sinistra. Perciò, se hai bisogno di qualsiasi cosa chiedi alla guardia, o vieni da me. Tutto chiaro? Domani andremo al mercato e ti procureremo tutto ciò di cui pensi aver bisogno: equipaggiamento, provviste, scarpe e altri vestiti »
   « Grazie, ma credo di potermela cavare. Non mi piace approfittarne, non voglio nulla in prestito » replicò Sel, sentendosi un po’ a disagio di fronte alla disponibilità che la donna le stava offrendo. Nessuno si era mai comportato in quel modo con lei, a parte Nora.
Ma Fahrenheit la scrutò perplessa per un attimo e scoppiò in una breve risata: « Spero tu stia scherzando. Qui siamo a Goodneighbor, non in quella combriccola di Diamond City. Dopo tutto quello che hai passato, è il minimo che possiamo fare per te. Considera pure questa città “la tua casa lontano da casa”. » Allungò le labbra in un ultimo e bonario sorriso. Poi la lasciò, chiudendo piano la porta dietro di sé.
  Sel era di nuovo sola.
  Mise giù il biscotto che ancora teneva in mano, mangiucchiato solo per metà, si avvicinò allo specchio sopra la bacinella e si guardò meglio. Quei giorni di prigionia li aveva sentiti: erano stati pochi, ma erano bastati a renderla più deperita. Per non parlare degli aloni scuri che sfoggiava sotto gli occhi, che benché fossero leggeri, sulla sua pelle pallida si notavano ancora di più. La cornea presentava delle striature iniettate di rosso, incupendo l’oro delle iridi.
  “Oh cavolo...” Ma non era ancora il momento di preoccuparsi. Prima si riposava a dovere, e poi avrebbe giudicato le proprie condizioni di salute.
  Sedette sul letto e si avvinghiò le braccia sulle spalle.
  Di nuovo avvertì una sensazione calda negli occhi, ma quella volta la respinse. Aveva pianto abbastanza per quel giorno, ora doveva tornare ad essere forte, per amor della cara Nora. Le lacrime non avevano mai aiutato nessuno a risolvere i problemi. Così si lasciò cadere sul materasso, chiudendo gli occhi esausti e sperando che i pensieri e i tormenti l’avrebbero lasciata in pace per un po’. E l’oscurità giunse più facilmente di quanto avesse osato sperare.
 
~
 
   « Come sta? »
   « È a pezzi, ma cos’altro potresti aspettarti. » Fahrenheit si lasciò cadere sul divano e la nube di polvere che si alzò offuscò leggermente l’aria. « E tu? »
  Hancock si adagiò accanto a lei, sollevò gli stivali sul tavolino da caffè e fece un profondo respiro di getto. Poi si tolse il cappello e inclinò indietro la testa per guardare il soffitto, appoggiando la nuca sul bordo imbottito dello schienale.
  « Mi sento un damerino. »
Esalò una risata, breve e ironica, ma Fahrenheit poté chiaramente avvertire la rabbia nella sua voce. « Merda. ‘Fanculo Patterson… Quello stronzo leccaculi, lo scuoierò come un cazzo di cervo radioattivo non appena ci avrà fornito ogni dettaglio che ci serve »
   « E la prossima asta di cui stavano parlando? », chiese lei guardandolo.
   « Ho mandato alcuni dei nostri a tenere d’occhio l’hotel e tutti i check-in. Anche i ragazzi di guardia all’entrata sanno già cosa fare. Se stanno portando qui dei Sintetici, lo sapremo. »
Fahrenheit annuì. Poi si girò e riempì due bicchieri con del whisky, passandone uno a Hancock. « Hai in mente qualche tipo di programma per la nostra ospite? »
Il Ghoul si tracannò l’intero drink in gola e si rimise il tricorno sulla testa, sistemandolo un po’ più calato sulla fronte per pararsi gli occhi dalla luce delle candele, e assunse una posizione più rilassata.
   « Starà qui, per ora. Non penso abbia altro posto dove andare... È il Sangue di Drago del Commonwealth, “che viaggia in solitario ed è al servizio degli inermi”, ricordi? Per il momento è troppo pericoloso per lei uscire. Dubito davvero che troveremo la sua amica, ma non ha bisogno di sentirselo dire. Domattina recati da Kleo al Kill or Be Killed e prendi un po’ di armi da farle scegliere. Non può continuare a sopravvivere là fuori soltanto con un arco e un paio di pugnali per com’è messa ora. Non che io voglia mettere in dubbio il fatto suo… »
   « Consideralo fatto. Posso anche occuparmi di osservarla, se vuoi. » Finì il proprio drink e mollò il bicchiere sul tavolino, dopodiché aprì il cassetto sotto di esso e si mise a frugare in cerca di qualcosa. Presto trovò un inalatore di Jet e ne prese un colpo.
   « Nah, voglio farlo da solo », rispose lui, afferrando distrattamente l’inalatore che Fahrenheit gli stava offrendo.
   « Mi sento perfettamente stimolato da poter assumermene la responsabilità. Eh eh. Già mi piace... l’avevo capito »
   « Mi ha detto che ha conosciuto molti Ghoul. Quindi, suppongo non ci sia alcun problema... Ma tu sei convinto di poter essere davvero in grado di metterti nei suoi panni? », piegò le labbra in un sorrisetto malizioso e sentì la droga cominciare a entrarle in circolo.
   « Ah, stai zitta. »
Quando Hancock tacque, Fahrenheit pensò che si fosse addormentato, o che almeno stesse facendo un bel viaggio.
 
 
Angolo dell'autrice:

Rieccomi con un nuovo capitolo, in genere cerco di aggiornare ogni lunedì, ma con le vacanze ho deciso di prendermi una pausa anche nella scrittura... Dal prossimo capitolo vi anticipo, comunque, che probabilmente non pubblicherò più un capitolo a settimana, ma ogni due settimane; ci sono ancora alcune cose che ho bisogno di rivisitare, prima di pubblicare. Cercherò comunque di rispettare i tempi che mi sono prefissata. Intanto vi lascio a questo nuovo capitolo, spero che vi piaccia, spero che anche la storia vi piaccia, e ringrazio quell* che mi seguono. Lasciatemi un feedback, mi farebbe molto piacere sapere la vostra :) alla prossima! miao <3

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Capitolo 4
*** L'accordo ***


Anche se vide soltanto incubi, Sel riuscì a dormire fino a mezzogiorno. Doveva essere stata proprio sfinita; aprì a spiraglio le palpebre e guardò la luce che trapelava attraverso i vetri opachi della finestra illuminare i ciuffetti di polvere che si muovevano indisturbati nell’aria.
  Non poteva esserci niente di meglio di una buona notte di sonno in un letto caldo e accogliente, così comodo: nessuno era venuto a svegliarla, per cui immaginò che l’avessero lasciata riposare quanto voleva. Aveva solo un vago ricordo della porta che si apriva e si richiudeva con cautela una volta, ma non era sicura se l’avesse semplicemente sognato. Poi notò che le era stata accesa la stufa.
  Si era addormentata completamente vestita, così si sciacquò velocemente il viso alla bacinella e si diede una sistemata ai capelli per rendersi il più presentabile possibile, riordinando e organizzando nel frattempo i pensieri nella testa. Finalmente non era più una prigioniera, ed era al sicuro. O almeno... lo era più di prima. Ma non poteva dire lo stesso per Nora, che in quel momento era la sua principale preoccupazione.
  Studiò la propria immagine riflessa nello specchio. I suoi occhi erano tornati normali, dorati come stelle e vivi di una propria e sorprendente luminosità come erano sempre stati. Il rossore e gli aloni erano spariti.
  Non sapeva perché, ma qualcosa in quell’immagine le fece tornare alla mente il giorno in cui aveva conosciuto Nora, poco più di tre mesi fa. Forse non se n’era mai davvero resa conto, ma quella donna era riuscita ad aprirle il cuore e a capirla come nessun altro prima, oltre ad essere stata una manna dal cielo. Riusciva ancora a percepire il sapore di casa del cottage: non sapeva esattamente come descriverlo, ma era quell’odore buono e confortevole che fa sentire al sicuro.
  La prima volta che si era svegliata lì si era trovata stesa su un grosso divano country con una coperta addosso. Stava osservando un soffitto sconosciuto, dove in certe zone mancava della carta da parati a motivi floreali rosa su fondo verde, lasciando intravedere la superficie sottostante di legno.
   « Finalmente hai aperto gli occhi. Come ti senti? », le aveva chiesto una voce, suonando premurosa.
Sel aveva atteso che gli occhi mettessero meglio a fuoco e li aveva incrociati con quelli verde acqua di una donna che non doveva andare oltre la trentina. Le sue spalle erano coperte da dei fluenti capelli che parevano fili d’argento.
   « Dove... dove sono?... », aveva mormorato Sel, lentamente.
   « A casa mia. Per fortuna ti ho trovata mentre stavo andando alla sorgente a fare rifornimento, eri priva di sensi e perdevi parecchio sangue… Così ti ho portata qui e ti ho ricucita. Puoi stare tranquilla, è un posto sicuro. »
Sel aveva provato a muoversi, ma aveva ancora gli arti un po’ intorpiditi. Doveva essere rimasta incosciente per diverse ore.
   « Te la senti di mangiare qualcosa? », le aveva chiesto la sconosciuta.
Lei si era limitata ad annuire. Teneva già alcune scorte a portata di mano, cibo in scatola e cereali più che altro, evidentemente per non trovarsi impreparata al momento che Sel avrebbe ripreso conoscenza e darle subito qualcosa da farle mettere nello stomaco.
Così aveva aperto una scatola di Mele Dandy Boy e gliene aveva passata una.
   « A proposito, mi chiamo Nora. »
Sel aveva ingoiato un po’ a fatica quel piccolo boccone. « Sel. Da quanto è che sono qui? »
   « Tesoro, hai dormito per due giorni. Credevo fossi morta. »
Mh. Probabilmente non avrebbe nemmeno dovuto meravigliarsene.
   « Mi piace l’ironia dei ruoli invertiti della donzella che salva il drago. Perché tu lo sai che cosa sono, vero? » le aveva poi domandato Sel, non sapendo però prevedere la reazione della donna che aveva di fronte.
   « Sì che lo so... sei un angelo. »
Ed era rimasta sorpresa da quella risposta, per poi esalare una debole risata. « Oh, non sono esattamente un angelo di quelli che vengono dal Cielo, ma apprezzo comunque il paragone »
   « Francamente non ho mai creduto alle storie che mette in giro la gente. Che siete delle selvagge. Secondo me sono solo paranoici esaltati, a molti basta vedere un Ghoul Ferale per credere che tutti i Ghoul siano pericolosi, per cui preferisco vedere con i miei occhi prima di giudicare », aveva affermato Nora annuendo. « Alla fine non siete poi molto diverse da noi, dico bene? Come fanno degli occhi così belli a celare una luce malvagia? »
   « Be’, cosa ti fa credere che non l’abbiano davvero? Alla fine, sono solo una vagabonda della Zona. »
Nora si era girata verso di lei e l’aveva guardata alzando le spalle. « È una sensazione che ho. Mi ispiri fiducia. Lo so chi sei… tu proteggi la gente. Non sei una di quei soliti squilibrati che si aggirano per la Zona. E i Sangue di Drago sono molto rari da vedere da queste parti, specialmente quelli come te. » Era normale ciò che le aveva detto: neanche lei ne aveva incontrati poi molti durante quegli anni, se non quasi esclusivamente Ferali.
   « È una cosa che vale per tutti. Il Commonwealth ti stringe tra le sue spire, se glielo permetti. Credimi, ho visto uomini diventare mostri. Ma come possiamo biasimarli, dopotutto? Essere altruisti è una cosa diventata così rara… Soprattutto, è difficile avere qualcuno che ti voglia davvero bene senza che se ne approfitti per poi pugnalarti alla schiena », le aveva risposto Sel con uno sguardo amaro.
   « Uhm, è vero... Però gli angeli ti vogliono bene a prescindere. »
“Sei forte quando riesci a perdonare qualcuno che non merita di essere perdonato; quando riesci a sorridere ma in realtà vorresti piangere; quando vorresti solo vedere felice chi ami, anche se la vita ti ha portato via ciò che ti è più caro... La vita è dura, Sel, ma tu lo sei di più. Pensa solo a questo.”
  Aprì a spiraglio la porta e diede un’occhiata fuori. Come le aveva detto Fahrenheit, vide una guardia seduta su una sedia con le gambe accavallate, il mitra abbandonato accanto a sé sulla cassettiera. Spalancò di un altro poco l’anta, quel tanto da passarci, ed entrò con cautela nel corridoio. Quando l’uomo, un Ghoul dai lineamenti sporgenti, le rivolse la sua faccia da matto lei trasalì leggermente e poi chinò la testa in un saluto cortese. Lui la guardò per un momento, annuì e tornò a leggersi un fumetto.
  Quando fece ritorno dal bagno oltrepassò un’altra guardia e si portò verso l’ufficio di Hancock. Le porte erano aperte, ma lei esitò come lo vide occupato con due uomini armati, uno normale e l’altro Ghoul. Sembrava essere una discussione piuttosto irritata dal tono che ne fuoriusciva.
  Sel stava per fare un passo indietro con l’intenzione di tornarsene in camera, quando lui si girò e la vide. E, immediatamente, la rabbia impressa sul suo volto scomparve: « Ehilà, raggio di sole. Stavo giusto per venire a controllarti… per vedere se stavi ancora respirando. » Le sorrise bonariamente.
  Anche se era un Ghoul, Sel pensò che avesse un fascino davvero molto particolare: forse per il suo atteggiamento molto diretto, unito a quello che le aveva accennato Fahrenheit la sera prima.
    « Salute », gli rispose con un profondo inchino con il capo, sentendo le guance cominciare a scaldarsi.
Quel ragazzo l’aveva vista completamente nuda da umana. L’aveva vista piangere e disorientata. Sel non voleva davvero pensarci, ma in quel momento la sua mente era completamente sveglia e rinvigorita e aveva avuto il tempo di elaborare il tutto.
   « Mi spiace, non avevo assolutamente intenzione di interrompere. Torno nella mia stanza… »
Hancock agitò la mano e si sedette alla scrivania. « Nessun problema, avevamo comunque finito. Potete andare, ragazzi. Tu invece puoi entrare. »
  I due sgherri uscirono e chiusero le porte alle sue spalle.
  Sel era rimasta da sola con Hancock che la guardava. Dopo aver buttato un’occhiata fugace dietro di sé, mentre le due vecchie ante si univano tra loro con un rumore lieve, distolse lo sguardo dall’uomo che aveva seduto di fronte per mettersi a guardare in giro per la stanza, con un misto di curiosità ed evidente disagio.
   « Do per scontato che tu abbia dormito stanotte, almeno un po’. Come ti senti ora? »
   « Molto meglio, grazie. » Si morse il labbro. « Sindaco Hancock? Hai… hai parlato con quegli uomini che hai catturato? »
Hancock approfondì il proprio sorriso nel sentire come lei lo aveva appellato. « Non c’è bisogno di nessun “Sindaco Hancock”, raggio di sole. Non da te… » Ma subito dopo il sorriso svanì.
  Si alzò, girò attorno alla scrivania e vi si appoggiò a braccia conserte, prima di rispondere: « Comunque sì. Non voglio coinvolgerti più di quanto tu lo sia già, quindi ti riassumerò brevemente la faccenda. Come avevo già sospettato, Goodneighbor non è l’unico posto in cui questi schiavisti tengono aste. Hanno anche alcuni… “clienti” diretti, come adorano definire. Riguardo la tua amica… »
Vide Sel farsi più attenta. Hancock sembrò trattenere il respiro per un attimo, poi sospirò.
   « Ascolta. È stata venduta a qualcuno di importante tra le bande criminali del Commonwealth, per cui sono ben poche le tracce e gli indizi per poter risalire alla sua vera identità. Ma conosco una persona che potrebbe essere in grado di aiutarci, anche se non ci scommetterei troppo »
   « Di chi si tratta? » domandò lei, rimanendo apparentemente calma e al proprio posto, ma dentro di sé avrebbe voluto saltargli addosso dall’agitazione che le sue parole le scaturirono dentro. « Per favore, dimmelo. Sono certa che se Nora fosse stata al mio posto avrebbe fatto lo stesso. Farebbe qualunque cosa per trovarmi. Io sono… »
  Si fermò e si guardò attorno per assicurarsi che fossero davvero soli. Hancock fece un gesto verso uno dei due divani rossi che occupavano il centro della stanza, rivolti uno di fronte all’altro e separati dal tavolino dal caffè, poggiato su un grande tappeto ovale e scolorito, e lei andò a sedersi.
  Non voleva parlare troppo di sé in giro, temendo per la propria incolumità, ma sentiva di poter dire tutto a quell’uomo se voleva che l’aiutasse. « Ok, credo di doverti prima alcune spiegazioni, se vogliamo collaborare. Non so quanto ne sai sui Sangue di Drago, molte cose riguardo la mia specie si sono perse negli anni, ma prima della guerra le conoscevano tutti. Prima del conflitto nucleare, facevo parte di una task force di Sangue di Drago che erano stati educati e addestrati per essere i difensori dell’umanità, affiliati ai corpi militari. Eravamo considerati una sorta di marines; ci chiamavamo Vigilanti »
   « Ferma, aspetta », la interruppe subito Hancock, del tutto perplesso. « Mi stai dicendo che sei nata prima della guerra? »
  Sel sorrise e abbassò arrossendo lo sguardo. « Invero. Ho più di duecento anni… per l’esattezza duecento-trentacinque, ma per gli standard Sangue di Drago sono poco più che una ragazzina »
   « Cazzo », esclamò Hancock. « Non avevo mai conosciuto nessun Sangue di Drago prima di te. Credevo che quelli più vecchi lo fossero perché sono Ghoul. Quanto vivete? »
   « Beh... parecchi secoli, chi più chi meno. Purtroppo siamo abbastanza complicati. Abbiamo una cultura molto complessa, siamo molte cose insieme: siamo draghi, umani, dei mutaforma, abbiamo una prospettiva di vita che si potrebbe quasi definire “immortale”, abbiamo il potere di controllare il mondo fisico e quello spirituale. Abbiamo una discendenza divina, se vuoi credere a miti e leggende. Avevamo delle ambasciatrici, nella società umana »
   « Quindi, tu hai visto la vita prima che distruggessero tutto? E non sei neanche un Ghoul. Oh cazzo... “La Donna Fuori dal Tempo”. Sarebbe un titolo perfetto per un articolo di Piper. »
  Sel sorrise e si stirò un poco il tessuto liscio del kosode sulle cosce per togliere alcune pieghe. « Molte nei Vigilanti erano molto più vecchie ed esperte di me, c’erano Dame e Matrone, alcuni ufficiali erano perfino Matriarche. Io sono nata in una Cittadella, così si chiamavano le nostre città; fortezze d’avanguardia con quel gusto synthwave misto orientale che sembravano uscite da qualche serie sci-fi. Io però volevo vivere delle avventure, conoscere persone nuove e vedere posti nuovi. Non sentivo nemmeno tutto quell’attaccamento alle tradizioni come le mie sorelle, quindi un giorno decisi di salutare tutti e me ne andai.
   « Alla maggior parte dei Sangue di Drago piacevano i gruppi d’élite, anche quelli che erano nati dall’alleanza tra gli umani e la mia specie: corpi di sicurezza, agenti e forze speciali. Probabilmente potresti riuscire a immaginare il motivo per cui ci piacevano così tanto. Mio padre era stato un ufficiale dell’esercito americano; non lo vedevo quasi mai finché era in servizio, ma quando tornava a casa mi portava spesso a fare delle gite, passava molto tempo con me anche perché mia madre, oltre ad essere una Matriarca, era una donna abbastanza distaccata. E gli chiedevo di raccontarmi un sacco di storie. »
  Rimase in silenzio per un paio di secondi. « È morto in missione durante i conflitti precedenti alla caduta delle bombe. Mi aveva sempre affascinato come me ne parlava anche la mamma: quando ero piccola sognavo di essere come papà, di far parte della task force per uccidere i “cattivi” e aiutare la gente. Volevo essere un’eroina. Papà aveva visto la mia passione e mi aveva sempre detto che avevo davvero delle grandi potenzialità, così alla fine decisi di arruolarmi ed entrai nei Vigilanti. Era il 2060, dopo cinque anni di addestramento »
   « E l’arco e i tonfā? », le domandò incuriosito Hancock.
   « Semplicemente un hobby come tanti. Da piccola sono stata addestrata da una maestra di arti marziali che sapeva utilizzare anche una vasta gamma di armi bianche orientali, nella Cittadella in cui sono nata e cresciuta. Sono capace di maneggiare anche nunchaku, guāndāo e tantō. Ma ad ogni modo… dopo la caduta delle bombe, l’Ordine dei Vigilanti naturalmente si sciolse, ma io e la mia squadra... », deglutì come a voler sciogliere un nodo alla gola e aveva gli occhi visibilmente acquosi, « quelle che eravamo sopravvissute, continuammo ad operare per un altro po’ in maniera indipendente, per vedere se trovavamo ancora qualcuno a cui poter dare una mano. Già negli anni precedenti alla Grande Guerra affiancavamo spesso i soldati in armatura atomica, durante la Battaglia di Anchorage nel 2066 e poi nelle operazioni in Cina. La guerra si portò via l’intera civilizzazione, e io alla fine rimasi sola. Da allora ho viaggiato in lungo e in largo negli States, aiutando chiunque mi capitasse di incontrare. Non che nei primi anni dell’inverno nucleare ci siano state poi tante persone da aiutare... ma ogni tanto riuscivo a trovare un po’ di compagnia. Quando non avevano più bisogno di me, me ne andavo.
   « Alla fine, sono giunta qui, nel Commonwealth. Per diverso tempo ho vissuto nei dintorni di Boston, e ancora adesso capito a Diamond City o a Goodneighbor in cerca di informazioni varie e risorse. Ovviamente, con molta discrezione. A Diamond City neanche noi siamo accettate quanto i Ghoul. Non mi piace farmi vedere molto negli insediamenti grandi, ho sempre preferito non far sapere quando nei dintorni c’è un Sangue di Drago a piede libero per non allertare nessuno. Io alla fine pattuglio, vigilo. Ho tolto di mezzo diversi accampamenti di predoni e di Supermutanti nella Zona Contaminata, o chiunque altro abbia avuto bisogno di una bella strigliata. »
Sel accennò un altro sorriso, notando come Hancock la ricambiava, affascinato dall’interesse che quella ragazza dimostrava verso gli innocenti e i bisognosi. « Considera che è poco più di un anno che vago per il Commonwealth. Quando arrivai la prima volta a Diamond City mi dissero che McDonough aveva cacciato tutti i Ghoul dalla città, e nonostante fosse trascorso qualche anno da allora e io ancora non c’ero quando accadde, provai comunque a vedere se riuscivo a rintracciare qualcuno di quei poveri Ghoul innocenti che magari non era ancora morto. Lo so che forse potrebbe sembrare una cosa stupida, cercare delle persone disperse da anni e che probabilmente sarebbero state tutte morte o finite chissà dove, ma ho voluto provarci lo stesso. E come si suol dire, “chi cerca trova”, è una cosa in cui ho sempre fortemente creduto. Ed infatti, ne ritrovai diversi: molti di quei Ghoul si erano trasferiti a vivere come potevano in case isolate nella Zona, cercando di stare il più lontano possibile dagli insediamenti umani e dai predoni. Alcuni di loro avevano già provato a stabilirsi qui a Goodneighbor, ma erano venuti via perché non potevano adattarvisi, per colpa di quello stronzo tiranno del Sindaco di allora. Non lo so per quanto tempo sia rimasto al potere, ma se fosse stato per me quel farabutto sarebbe stato bello che morto non appena avevo visto la sua faccia la prima volta… ma non potevo mettere piede in città senza che mi sparassero addosso senza neanche darmi il benvenuto, e nemmeno potevo insediarmi qui con la forza commettendo una carneficina.
   « Tutto quello che potevo fare, era rintracciare quante più famiglie potevo per tentare di aiutarle a ricominciare da capo; dopo tanto tempo trascorso a vivere nell’isolamento e nella paura, le ho aiutate a riunirsi e a tenersi in piedi da sole, a fondare delle nuove colonie lontano dagli avamposti dei predoni, a tenerle nascoste e al sicuro. Non sopporto che veniate giudicati dalle altre persone e gettati nell’immondizia. È una merda che non reggo proprio… insomma, voi siete persone come tutti! »
Rifletté per un attimo, ripensando a quello che gli aveva appena confidato, con Hancock che ancora la guardava e la ascoltava, e sospirò. « Sicuramente ti avrò annoiato abbastanza con la mia passione per l’oratoria, perciò arrivo al punto. Un giorno mi sono fermata nei pressi di un lago con l’intenzione di fare una sosta, mentre ero in viaggio verso County Crossing. Quella volta però sono stata sorpresa da tre Assaultron di pattuglia che dovevano appartenere a una qualche banda di Gunner stanziata da quelle parti. Alcune unità di quegli stronzetti possiedono capacità stealth, e mi hanno attaccata prima che potessi rendermene conto. Ne sono uscita malconcia, ma per fortuna Nora mi ha trovata per la strada e mi ha portata a casa sua per curarmi.
   « Questo circa… tre mesi fa. Nora aveva perso suo padre e aveva bisogno di qualcuno che le stesse vicino, così ho accettato di rimanere a vivere con lei per un po’. E questo è stato fino a quando quegli schiavisti non ci hanno scoperte e catturate. E, be’… adesso sai la mia storia, raccontata da me », concluse, con un breve gesto teatrale.
  Hancock la guardava, senza quasi respirare.
   « Ed è una storia… davvero incredibile », mormorò stupefatto. « Di certo non ti sarai mai annoiata in tutti questi anni. Le storie che girano su di te dicono solo del “Sangue di Drago che viaggia per il Commonwealth, difendendo gli innocenti e punendo chiunque lo meriti”. Ma sentire tutto questo da te… Dannazione. Credo che avrò bisogno di un drink. »
Riempì due bicchieri con un liquido ambrato che Sel capì essere whisky e gliene offrì uno. Lei non era amante dell’alcol, ogni tanto beveva un po’ di birra giusto per assaporare qualcosa di diverso dalla solita acqua (a parte la Nuka-Cola che era praticamente l’amore della sua vita), ma lo accettò comunque per non mostrarsi scortese. Assaggiò un piccolo sorso quando invece Hancock aveva già svuotato il proprio.
   « Avrei dovuto convincerla a trasferirsi in un insediamento », sussurrò pensierosa, dopo qualche istante. « Ma lei era legata a quella casa. In fondo, era la casa dove aveva vissuto con suo padre, e la vista sul lago, la tranquillità… Non ho saputo dirle che invece sarebbe stato molto più sicuro per lei andare a vivere insieme ad altri »
   « Tu sei una persona buona, Sel. Hai fatto ciò che hai ritenuto giusto. Posso capire quanto tieni a lei, volevi semplicemente vederla felice e ci avresti messo tutta te stessa nel proteggerla »
   « Il mondo è troppo cambiato da dopo la guerra, soprattutto le persone. Nessun luogo è mai abbastanza sicuro. Nessuna persona è mai abbastanza meritevole di fiducia, sono sempre tutti pronti a pugnalarti alle spalle. E neanche il mio aiuto ancora basta a proteggere tutti gli innocenti, tutte quelle persone che vorrebbero solo vivere in pace e che invece sono costrette ad essere scacciate dalle loro case o in schiavitù. I Sangue di Drago si sono sempre dati un sacco di arie come creature invincibili, quando in realtà sono fragili esattamente quanto gli umani. Purtroppo perfino io possiedo quell’orgoglio, quando invece dovrei riconoscere le mie debolezze. Il problema è che lo faccio, ma non lo ammetto… »
   « Non vuoi semplicemente mostrarti debole per poter essere forte per gli altri », disse Hancock. « E questo non è né un bene né un male: di questi tempi c’è carenza di onestà e compassione, ma basti tu a compensare », le sorrise benevolmente. « Potrebbe essere un buon punto su cui riflettere. Stai dando un bellissimo contributo a rendere migliore la vita degli altri… Sono in tanti a rendere la vita difficile a chi lotta per sopravvivere, e non c’è nessun gusto a versare del sangue se la vittima non se lo merita. E nel Commonwealth lo meritano in tanti. » Hancock a quel punto si sporse verso di lei e appoggiò una mano sopra la sua rimasta libera, abbandonata sulle ginocchia.
   « Capisco quanto questo possa essere importante per te. Senti: questa persona che conosco è a Diamond City, di sicuro ne avrai già sentito parlare. È un detective, e sono sicuro che sarebbe molto interessato a questo caso. »
  Sel capì immediatamente a chi si stava riferendo.
   « Posso andare senza attirare l’attenzione », probabilmente fece brillare la speranza negli occhi vedendo Hancock che distoglieva lo sguardo e ritirava la mano. « E devo andarci il prima possibile. Più aspettiamo, più le tracce si raffreddano. » Si alzò frettolosamente in piedi, schizzandosi qualche goccia di whisky sulle dita.
   « Beh, non ti sbagli. Ma non ti permetterò di uscire da queste mura finché non ti sarai completamente ripresa e mi dimostrerai di essere in grado di sopravvivere là fuori, soprattutto dal momento che è meglio per te restare nascosta, di non usare il tuo potere per non attirare l’attenzione. »
  Socchiuse gli occhi per un secondo, poi il suo tono di voce suonò più severo; « Non ti ho salvata per mandarti in giro come esca per Deathclaw. Non fraintendermi, non dubito assolutamente delle tue capacità di sopravvivenza, tutto il contrario. Ma non sei ancora completamente in forze per cavartela da sola... da umana. Quante volte hai fatto a meno del tuo potere per poter sopravvivere? »
  Sel non rispose. Era ovvio che si fosse sempre affidata al suo potere per sfuggire alle situazioni più pericolose, era una cosa naturale per lei, era come dire a qualcuno di non usare le mani per mangiare o per difendersi. Non era sicura delle proprie complete capacità senza dover ricorrere alle abilità bestiali di cui era capace; ovvio che in certe condizioni, senza di esse, sarebbe stato più difficile per lei sopravvivere.
  Nella propria ansia lasciò praticamente cadere il bicchiere sul tavolino quando si chinò per posarlo, aprì la bocca ma la richiuse subito dopo. Odiava ammetterlo, ma Hancock aveva ragione: era ancora vulnerabile come una bambina appena nata.
   « Ad ogni modo, ho lasciato un messaggio alla sua segretaria », aggiunse il Ghoul. « A quanto sembra è già impegnato in un altro caso, ma dovrebbe tornare tra un paio di giorni. È meglio per lui raggiungerci. Fino ad allora, rimani qui. Se ne senti il bisogno puoi allenarti, così avrai l’occasione per dimostrarci personalmente di che pasta sei fatta... »
Sel avvertì di nuovo la frustrazione crescere e gli volse le spalle per nasconderlo. Lui non disse niente, ma dal suono di un accendino che scattava e dall’odore di fumo capì che si era acceso una sigaretta. Si girò, lentamente, e scoprì che la stava osservando.
  Rivide l’attimo in cui aveva pugnalato White Fedora senza alcuna pietà, lasciando cadere di peso il suo corpo sul pavimento, poi se l’era visto camminare contro, e allora si era chiesta se avesse fatto del male anche a lei approfittando delle sue condizioni. Non aveva mai conosciuto di persona il Sindaco di Goodneighbor prima di quella sera. E soltanto in quel momento, nell’osservarlo lì in piedi, in quel vecchio ufficio con la sigaretta fumante tra le dita a scrutarla attentamente, in attesa di una sua reazione, si rese conto di quanto Hancock fosse un personaggio assolutamente unico e terribile. Era particolarmente rigido verso i propri nemici e con coloro che infrangevano le regole della sua città, ma poteva rivelarsi un ottimo amico nei confronti di chi lo trattava con rispetto e verso chi, come lui, puniva i colpevoli e proteggeva gli innocenti. Sel ricordò anche che una volta qualcuno, parlando (forse un reietto con la testa pelata e gli occhiali da sole giù al Terzo Binario), le aveva detto che Hancock chiudeva un occhio perfino sulle attività dei Railroad a Goodneighbor, rendendo quindi la città un posto relativamente sicuro e un alleato prezioso. Era facile dedurre che Hancock fosse favorevole alla causa dei Railroad: erano dei combattenti per la libertà, disposti a rischiare la vita per sottrarre i Sintetici dalla tirannia dell’Istituto, oltre a fare la loro piccola parte nell’aiutare la popolazione.
  Già, l’Istituto. Il più grande mistero del Commonwealth. Nessuno sapeva chi o cosa fosse di preciso, ma il suo operato era ovunque, ed era questo che lo rendeva tanto temuto, dipinto come “l’uomo nero” di quei giorni. Volevi parlare di qualcosa di davvero spaventoso? Bastava parlare dell’Istituto e dei suoi Sintetici. Spesso i Sintetici, ovvero persone artificiali, che fabbricava venivano inviati dai loro laboratori segreti per svolgere il lavoro sporco delle menti che si celavano dietro. Il più delle volte sostituivano perfino una persona con un doppione Sintetico, un agente infiltrato di cui nessuno avrebbe sospettato nulla. Nessuno, a Diamond City o in qualunque altro insediamento, mancava di mettere in guardia contro University Point quando si parlava dell’Istituto: erano i resti del Massachusetts Bay University, un complesso universitario nonché sede di alcune delle menti più talentuose degli Stati Uniti, sebbene non esattamente ai livelli del CIT, che dopo la guerra erano stati trasformati in un fiorente villaggio di pescatori. L’intera città era stata epurata tempo prima, e tutti da allora se ne tenevano alla larga. Era meglio non sapere di cosa i Sintetici fossero capaci.
Ne esistevano due principali tipi a cui dover fare attenzione: il primo era ovviamente artificiale, con pelle che sembrava fatta di plastica e possibile scheletro in bella vista. Sel aveva visto diversi gruppi intenti a rastrellare il Commonwealth, uccidendo le persone e saccheggiando ciò che restava, ed erano sempre avvolti da corazze che non facevano mai intravedere il loro aspetto; solo dalla loro voce si intuiva che erano macchine e non umani. Il secondo tipo di Sintetici era invece quello più infido, con pelle, sangue, sorriso e aria colpevole come un qualsiasi essere umano. Era praticamente impossibile poterli distinguere dalle persone reali, ma bastava possedere un occhio attento per rendersi conto che qualcosa non quadrava nei loro comportamenti.  
  La piaga dei rapimenti veniva spesso ignorata nel Commonwealth, perché la gente preferiva fingere che non esistesse, forse perché erano troppo spaventati o troppo insensibili per andare a cercare una persona cara che era improvvisamente scomparsa. Crescendo nel Commonwealth, tutti erano consapevoli che, prima o poi, qualcuno veniva preso. Forse non qualcuno che conoscevi, ma sicuramente qualcuno. E la gente si limitava a dire “Beh, poteva andare peggio. Poteva essere ucciso dai predoni, dai Supermutanti o dai Ghoul Ferali”, e lasciava correre. Ma non tutti i problemi del Commonwealth erano dovuti all’Istituto, benché una possibilità ci fosse sempre.
  I Railroad erano gli unici che combattevano apertamente l’Istituto. Molti li ritenevano degli idioti e dei pazzi a voler rischiare tutto per dei Sintetici: Sintetici che tuttavia possedevano una personalità propria, con delle emozioni e dei sentimenti. Sel sentiva parlare spesso della loro organizzazione, del loro operato e di tutto il resto, ma le informazioni che aveva erano ancora molto frammentarie, ma non sembravano così male. Era sempre giusto aiutare le persone.
  Abbassò nuovamente gli occhi sul tavolino da caffè, e per la prima volta fece caso a un olonastro con sopra un’etichetta: “Entra nei Railroad”. Uno identico lo aveva ricevuto pure lei diverso tempo prima, quando era giunta che da poche settimane in Massachusetts. Se lo era ritrovato sul comodino quando si era svegliata una mattina a Sanctuary Hills. Apprezzava il lavoro che i Railroad stavano svolgendo, ma lei aveva deciso che non si sarebbe schierata apertamente con nessuna fazione del Commonwealth. Non ancora. Forse.
  Improvvisamente sembrava aver perso la capacità della parola, senza sapere di preciso cosa rispondergli. Hancock espirò una grossa nuvola grigia dalla bocca e dal naso ridotto a due fessure scheletriche. Le sorrise, ma era un sorriso leggermente storto.
   « Il mio carisma ti sta già conquistando? »
   « Cosa? », lo fissò confusa.
Rise per un attimo, risuonando come se stesse soffocando.
   « Non preoccuparti, è semplicemente una mia abitudine… » Afferrò la sigaretta tra l’indice e il medio, coprì un paio di passi e allungò l’altra mano verso la ragazza; « Voglio fare un patto con te. Promettimi di farmi vedere che sei forte e capace di rimanere viva da umana, senza dover ricorrere al tuo potere. Saresti in grado di farlo? In cambio ti prometto di aiutarti a trovare la tua amica e a controllare personalmente il tuo allenamento. Se vuoi essere “umana”, e non credo che sarà molto facile per te, nel Commonwealth bisogna saper maneggiare qualunque tipo di arma per poter sopravvivere. Hai detto che eri nell’esercito, quindi suppongo tu sappia maneggiarne una gran parte. O sbaglio? »
   « Sì, beh, ero stata addestrata per essere in prima linea, quindi con i fucili d’assalto e a pompa, ma so maneggiare bene anche quelli di precisione. Ero stata promossa al grado di Ricognitore. » Non afferrò la sua mano, non ancora.
   « A sentirti, sembra che soltanto io possa trarne beneficio, in un modo o nell’altro. »
Lo scrutò dritto negli occhi. Per un attimo Hancock sembrò sorpreso da quel suo sguardo luminoso e magnetico, ma poi sorrise in un modo ancor più ampio e lei intensificò il contatto visivo quasi con malizia. Era un tratto assolutamente caratteristico dei Sangue di Drago; affascinare per persuadere gli altri, ma da una parte dubitava che ci sarebbe riuscita anche con uno come Hancock.
  Le si avvicinò quasi insopportabilmente, e Sel non fece un passo indietro. Con il Ghoul in piedi proprio di fronte, per la prima volta si rese conto di quanto fosse alto e lei raggiungeva appena il suo mento. Ed era anche abbastanza vicina da osservare meglio la sua pelle deturpata… In realtà non era affatto male. Però doveva anche ammetterlo: Hancock possedeva un carisma innegabile, plasmato dalla sua audacia, fiducia e da un atteggiamento completamente disinteressato da ciò che la gente potesse pensare di lui.
   « Avevi qualcosa in mente? Che so, magari offrire un po’ di… calore a un povero e solitario Ghoul? »
Si piegò quanto bastava per poter contemplare l’oro che splendeva nei suoi grandi occhi. Sel invece si irrigidì nel vedere quei due pozzi profondi puntarla, quasi volessero trapassarla nell’anima; avrebbe potuto salvarla, ma traspariva anche una certa pericolosità.
   « Mi hai salvata solo nella speranza di questo? », mormorò.
Hancock si mise a ridere, raddrizzò le spalle e Sel si rilassò. « Onestamente, sono felice che tu me l’abbia chiesto. Come mi hai detto prima, stai parlando con qualcuno come te e non sopporti che veniamo discriminati. Questo mi dice più che abbastanza. Se vuoi davvero fare qualcosa per me in cambio, che ne dici della mia proposta: dopo che avremo trovato la tua amica, lavorerai come mio contatto a Diamond City. A volte ho dei rapporti commerciali con alcuni mercanti del posto, perciò avere qualcuno con un normale volto umano nella gestione degli affari sarebbe vantaggioso per me »
   « Ricordati che comunque anche io ho da prendere delle precauzioni » ribatté Sel, scrutandolo e poggiando le mani sui fianchi.
   « Però non quanto me, dolcezza. Sai già come fare, visto che ci sei già stata altre volte. Credi di essere in grado di fare questo per me? »
Sel ci pensò su, poi Hancock la vide muovere con determinazione la mano destra verso di lui.
   « Affare fatto. »
Gli occhi del Ghoul seguirono i suoi quando i loro palmi si unirono. Aveva la mano più grande di quella di Sel, ed era innaturalmente calda a dispetto della pelle cicatrizzata.
   « Siamo d’accordo, quindi. Va’ a sentire se Fahrenheit ha dei vestiti in più per te. Dopo andremo in uno dei magazzini: inizieremo subito, se ti senti in grado. »
  Sel a quel punto lo lasciò andare e si congedò per andare a cercare la sua guardia del corpo. Girò la testa verso la stanza e vide che Hancock la stava ancora fissando. Gli sorrise, prima di sparire nel corridoio.
 
~
 
Hancock guardò la porta richiudersi. Una volta che fu rimasto completamente solo si tolse il tricorno per poggiarlo sul piano della scrivania. Mentre lo posava, con l’altra mano afferrò una sigaretta nuova dalla tasca. L’accese, trasse un profondo respiro e guardò fuori dalla finestra; « Merda » sibilò tra i denti, ma notò che l’agitazione precedente era svanita. In realtà, si sentiva sollevato.
 
 
 
Angolo dell’autrice:

Salve a tutt*!
Capitolo pronto, quindi ho deciso di pubblicarlo e rispettare i tempi del lunedì. Un piccolo appunto che ho dimenticato di menzionare: l’aspetto di Hancock non è completamente fedele a come lo vediamo nel gioco, ma ho preso ispirazione dai suoi concept, almeno per l’abbigliamento un po’ trasandato. E vi lascio anche un piccolo approfondimento sulla mia razza Sangue di Drago: Sel non ha menzionato il Vault a Hancock, gli ha lasciato intendere che vive dai tempi della guerra benché non sia un Ghoul, ma in ogni caso i Sangue di Drago vivono almeno fino a tremila anni, e ogni millennio è uno stadio vitale diverso (per questo si potrebbero definire quasi “immortali”), similmente alle Asari di Mass Effect. Ed essendo in parte creature divine, un’anziana Sangue di Drago non “muore” propriamente, semplicemente, quando sente che è giunta l’ora, si addormenta senza mai più svegliarsi.

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Capitolo 5
*** Della gente, Per la gente ***


Hancock aprì la porta del magazzino. Il legno era un po’ gonfio a causa dell’umido, per cui dovette dargli una botta buona con il ginocchio prima che si spalancasse. Sel avanzò all’interno fermandosi poco oltre l’ingresso, lasciando che gli occhi si abituassero alla penombra. L’aria era polverosa, velata da un tenue odore di chiuso e di muffa.
  Si era cambiata d’abiti, sostituendo i precedenti – per metterli a lavare – con un paio di jeans attillati e stivali in pelle, camicia bianca e un giubbino smanicato corto color verde bosco. Aveva raccolto i capelli in una treccia lunga e morbida che la faceva sembrare più giovane: Fahrenheit le aveva suggerito di tagliarli, considerando che sarebbe stato facile per qualcuno afferrarla tramite essi in un combattimento corpo a corpo, ma Sel al momento si era rifiutata di rinunciarvi. Forse era solo vanità, ma i suoi capelli corvini, lunghi e voluminosi, erano un tratto che lei adorava.
  Il magazzino appariva come se fosse stato dimenticato da diverso tempo. Era vecchio, lungo e stretto, con allestito un campo per il tiro a segno molto arrangiato. Quando lo vide, Sel deglutì e si rivolse verso Hancock. Quanti mesi erano che aveva più toccato un’arma da fuoco?
   « Aspetta », alzò le mani. « Non è che potrei prima mostrarti come uso l’arco, o un qualche tipo di lama? »
Lui la guardò divertito. « Pensi di poter respingere i proiettili con quelli? », disse. « Devi comportati da umana, riesci a capirlo? Una lama è una buona arma da mischia, ma per proteggerti adeguatamente avrai bisogno di un’arma da fuoco, meglio se una pistola. Leggera e non ingombrante. I fucili sono più pesanti e più visibili, hai bisogno di qualcosa che ti renda facile muoverti velocemente… »
   « Le pistole non rientravano come armi principali nella mia tipologia di addestramento. E poi mi tornano scomode... Sono troppo leggere e mi sento sbilanciata quando le impugno »
   « Bene, allora oggi sarà un giorno come un altro per imparare », decise Hancock, andando a recuperare una pistola a caso dal tavolo. Sel notò che sopra ce n’erano appoggiate di quattro tipi diversi e in realtà non le riconosceva, forse perché erano state modificate. Fece un passo indietro, come se quelle piccole e polverose armi avessero potuto saltarle addosso all’improvviso.
   « Qui », tese la pistola verso di lei. « Prova con questa. È una .44 con alcune migliorie, infligge pochi danni ai bersagli più grossi, ma è letale sulle persone. Ha un calcio da tiratore esperto, più grande e più comodo da impugnare, e guarda anche il caricatore… Questo la appesantisce un po’, quindi per il momento dovrebbe andare bene per te. La canna lunga che vedi può sembrare pesante, ma è appositamente forata per ridurne il peso. Comunque, nell’insieme è una pistola piuttosto pesante, se non ci sei abituata. Senti se ti ci trovi comoda… »
Sel avvertì l’angoscia iniziare a muoversi: non voleva toccarla finché c’era lui presente, non le andava di fare una figuraccia.
   « Coraggio. »
Le mise la pistola tra le mani senza prestare attenzione al suo leggero tremito. Sel era sicura che l’avrebbe immediatamente lasciata cadere a terra, invece con grande sorpresa le dita si arricciarono attorno all’impugnatura, formando una presa stretta.
   « Sono seria Hancock, non mi sento a mio agio adesso per poterlo fare », udì dire dalla propria voce, strisciante e con un volume più alto del normale.
  Lui le poggiò entrambe le mani sulle spalle e la trascinò dall’altra parte del poligono di tiro. La sostenne in posa, alzandole le braccia all’altezza degli occhi; « Con le pistole non è poi molto diverso dai fucili, sono sicuro che ti ci abituerai in fretta. Braccia dritte avanti a te. Rilassati… », mormorò. « Guarda l’obiettivo, traccia il percorso con lo sguardo. Poggia con attenzione il dito sul grilletto… »
  Sel adesso era in preda al panico. Il suo respiro era rapido e superfluo e la vista era sfocata. Udì soltanto debolmente ciò che Hancock le disse: « Ora stringi, non tirare… »
  Un forte botto echeggiò nella stanza chiusa. Tutto il corpo della ragazza risentì dello shock quando il proiettile fendette l’aria, quasi come avesse imbracciato un fucile a pompa. L’obiettivo, un barattolo di latta abbastanza alto che doveva essere stato uno di quelli da carne, in un attimo sembrò saltare da solo nel vuoto soprastante per poi ricadere sul pavimento con un chiassoso rumore metallico. Guardò la pistola che cominciava ad essere calda nelle sue mani mentre il battito del cuore era tutto ciò che poteva udire, battendole impazzito come un tamburo nelle orecchie.
  Hancock la lasciò andare e rise. Commentò qualcosa con voce eccitata ma Sel non lo capì. Stava ancora reggendo la pistola, oppure era la pistola a trattenere lei. Era trascorso poco tempo da quando era uscita dal Vault, quando vide una moltitudine di corpi davanti a sé, a un solo passo di distanza. C’era tanto rosso in terra...
   « È esattamente ciò di cui sto parlando! Ce l’hai nel sangue, Selina. E adesso che ci penso, forse sono stato un po’ troppo emozionato, vero?... Sel? »
Si voltò verso di lei, solo per vederle crollare le spalle. Sel poté solamente immaginare ciò che Hancock vide, perché fu immediatamente al suo fianco, afferrandola per le braccia per non farla cadere.
   « Prendi-- », gli sussurrò lei con voce secca. « Prendimi la pistola. Non posso… non mi lascia andare. » Una lacrima iniziò a inabissarsi sulla guancia sinistra, gli occhi immobili a puntare il vuoto.
   « Cazzo », lo udì grugnire, sfilandole via la pistola di mano. In realtà dovette usare un bel po’ di forza per aprirle le dita, e quando ci riuscì fece cadere lontano l’arma. Poi le prese il volto tra le mani e la fece voltare in modo che i loro occhi potessero incrociarsi.
  Scoprì che Sel aveva lo sguardo completamente perso: Hancock allora mosse le braccia fin dietro le spalle e se la attirò contro, portandola a una presa delicata. Forse disse qualcosa, ma lei era ancora troppo frastornata per capire cosa fosse; lasciò cadere le mani verso terra, come se quell’unica e misera arma le avesse risucchiato ogni energia, e appena ne riprese il controllo le alzò per aggrapparsi alla stoffa del cappotto di Hancock. Finalmente le lacrime iniziarono a uscire.
  Passarono minuti lunghi e silenziosi. Hancock continuava a non mollare, Sel invece era abbastanza tornata in sé da poter ascoltare le sue parole, basse e tranquille. « Va tutto bene? » Lei gli fece un piccolo cenno, ma poi scosse la testa.
   « Io… credo di no. Ogni tanto mi è capitato di utilizzare i fucili da cecchino raccogliendoli in giro, ma... c’è anche una cosa che devi sapere. Era… »
  Sospirò demoralizzata, raccogliendo ogni forza che poteva per cominciare a parlare. « Dopo quel giorno, dopo la guerra, eravamo sopravvissute soltanto io e altre due compagne di squadra. Si chiamavano Tess e Gwen. Le altre non ce l’avevano fatta. Continuammo ad assistere le persone e a fare ciò che potevamo per mantenere fede al nostro compito, ma alla fine… le vidi morire una dopo l’altra. Gwen era la mia migliore amica, la consideravo come una sorella, eravamo cresciute insieme nella Cittadella; ma si era allontanata da casa molto tempo prima di me per andare ad arruolarsi quando era cominciata la crisi mondiale per le risorse, e lei voleva rendersi utile in qualche modo. Diceva che unendo insieme le forze saremmo riusciti a far placare le tensioni e a riportare le cose com’erano prima. Lo credevo anch’io, ed era sempre quello che mi ripeteva anche mamma. Non volevo lasciare papà da solo, per questo non la seguii sin da subito. E quando poi ci siamo rincontrate, quando poi abbiamo iniziato a lavorare insieme e a guardarci le spalle a vicenda... il nostro legame col tempo divenne molto più saldo, molto più intimo. Una sera stavamo facendo un giro di ricognizione in una base militare abbandonata in cerca di provviste, e decidemmo di passare la notte lì.
   « Pensavamo di essere al sicuro, invece a nostre spese scoprimmo che quei bastardi si divertono di più ad uscire con il buio per cacciare: entrarono nella stanza dove stavamo dormendo, io mi ero svegliata perché li avevo sentiti arrivare e li vidi fiondarsi addosso a noi… Era un’orda di Ferali, e quando ci rendemmo conto di che cosa stava succedendo si stavano già divorando Tess. Non mi avevano ancora vista perché ero più indietro e al buio rispetto a loro, così mi allungai verso lo zaino e presi il fucile d’assalto. Ne eravamo circondate, ce n’erano anche alcuni che sembravano come carbonizzati, grossi e neri con gli occhietti gialli come lumini… cercai di toglierli di dosso a Gwen, ma lei mi intimò di andarmene mentre li teneva a bada. Non volevo lasciarla lì, ma lei insistette e mi disse che non sarebbe servito a niente se fossimo morte entrambe, così mi precipitai a rifugiarmi fuori.
   « Pensavo che mi avrebbe raggiunta in qualche modo, invece… invece sentii come un botto. Non era un tuono come se si fosse difesa con il Thu’um, ma era un’esplosione. Non lo credevo davvero, ma quando lei ancora non la vedevo tornare, andai a controllare cosa fosse successo… » Hancock trattenne il fiato, intuendo cosa volesse dire, ma lei scosse il capo.
   « No, però… c’era così tanto sangue e residui organici, e trovai Gwen a terra da una parte. Li aveva fatti saltare in aria sganciando delle bombe a frammentazione che era riuscita a recuperare dal suo zaino. Era gravemente ferita e aveva perso troppo sangue… non avevamo nulla per poter fare una trasfusione, non potevo trasportarla perché non ci sarebbe stato abbastanza tempo per farla arrivare viva all’accampamento più vicino, e non c’era più niente che potevamo fare, e lei stava soffrendo troppo… così mi passò la sua pistola e mi chiese di… »
  Hancock non disse niente, ma rafforzò la stretta su di lei. Sel si sentiva confortata dalla sua presenza, anche se tra sé stava riflettendo sul fatto che in quel momento si trovava nelle braccia di un uomo che aveva ucciso a sangue freddo un sacco di persone. Lei aveva sempre avuto un rapporto diverso con la morte, la viveva e la conosceva in modo diverso, ma allo stesso tempo in maniera simile a lui. 
   « Le pistole mi ricordano quella notte... ma quando ho l’occasione di utilizzarle, cerco sempre di dare sfogo a tutta la rabbia che ho dentro. A volte però questi momenti, come adesso, sono anche inevitabili. Voglio che quegli abomini prodotti dalla guerra soffrano, come stanno facendo soffrire chi li deve combattere ogni giorno per sopravvivere. La stessa guerra che ci ha regalato questo adorabile panorama di edifici distrutti e radiazioni nucleari ogni passo. E quale arma migliore per massacrarli ci può essere dello sfogo con il corpo a corpo e l’utilizzo delle lame? Le armi da fuoco mi sembrano ancora fin troppo “gentili”... Lo so che non è colpa loro se sono diventati così, ma mi sforzo anche a pensarli per ciò che sono adesso; li biasimo, ma li odio. Come odio tutto ciò che mi circonda. Ricordo pure la prima volta che ho ucciso dei predoni. Era la prima volta che uccidevo qualcuno che non fosse stato un nemico sul campo di guerra o un abominio radioattivo. Non ci dormii per diverse notti, mi chiedevo che diritto avevo avuto nel rubare la vita di qualcuno che cercava solo di sopravvivere, benché avesse minacciato una famiglia di coloni per portargli via tutto ciò che avevano… »
Hancock allentò la presa in maniera che potesse affrontarla. « Accidenti, lo hai fatto e basta. Quella testa di cazzo aveva cercato di fare del male a degli innocenti. Tu sei una fottuta eroina, Selina. Hai protetto te stessa e la vita di quelle persone. E non devi incolparti per aver abbandonato la tua amica... aveva ragione, non sarebbe servito a niente se foste morte tutte. »
Lei di nuovo scosse il capo.
   « Lo so. E lo so. Ma non avevo mai ucciso un civile prima di allora. Era il pensiero in sé di aver ucciso qualcuno al di fuori della guerra che mi fece riflettere davvero sulla questione. Quando ero nei marines sembrava diverso perché era tutta una questione di “uccidere il nemico” e “battersi per la giusta causa”, quando la stessa cosa poteva esserlo per i soldati che stavamo massacrando: anche loro avevano questi identici miei pensieri, queste mie stesse emozioni che provo adesso? Dal loro punto di vista, ero io il nemico. Anche loro avevano una famiglia da qualche parte che li aspettava, così come ce l’hanno anche molti predoni e criminali che uccidiamo ogni giorno. Ho scoperto che alcuni di loro tengono dei diari personali nei nascondigli che ho ripulito; sono mostri che torturano le persone e ne lasciano i corpi a marcire intorno ai loro covi, per scoraggiare chiunque abbia intenzione di avvicinarsi al loro territorio. Sono dei sociopatici, dei brutali assassini e ladri che hanno perso il concetto della civiltà come la intendiamo noi… ma sono pur sempre degli esseri umani, con emozioni e sentimenti.
   « Nessuno piangerebbe la morte di un predone, tranne i suoi compagni. Ma perfino loro hanno il timore di non riuscire ad arrivare alla fine della giornata, hanno amicizie e vite sentimentali all’interno della banda, non sono totalmente freddi e spietati come appaiono, stanno solo cercando di sopravvivere. Molti altri sì, sono solo sadici e crudeli. Ma è comunque giusto condannarli? Alla fine, si tratta solo di vendetta, o è davvero giustizia quella che stiamo facendo? A questo ci hai mai pensato, Hancock? Basta solo premere un grilletto. Puf! E te ne sei andato. Quando si parla di guerra, i primi tempi possono essere duri per molti soldati. »
   Per alcuni secondi calò un profondo silenzio, uno di quelli dove nessuno sapeva cosa poter altro dire. E fu Hancock a romperlo. « Non è più il mondo di prima, Sel: sopravvivere qui significa essere pazzi o pronti a tutto, e se le persone che incontri non ti danno scelta, be’… allora devi avere la fortuna di essere tu la prima a premere il grilletto. »
  Non aveva detto niente che Sel non avesse già sentito. Quelle cose se l’era dette perfino lei stessa quando aveva cercato di elaborare l’intera faccenda. Ma sentirlo dire da una persona come lui, da qualcuno che conosceva chiaramente la morte da vicino e la vedeva per quel che era, in qualche modo la colpì più profondamente di prima. Lei invece sentiva che uccidere e torturare a volte poteva essere più una valvola di sfogo oltre a un metodo di giustizia; Sel però non era nessuno per decidere a priori chi meritava di restare in vita o meno.
   « Le nostre squadre erano formate da Sangue di Drago che, oltre ad essere soldati, erano specializzati in una determinata branca, come la medicina, l’ingegneria, o la chimica. Tutte abilità che erano essenziali nelle nostre missioni. Io ho avuto giusto qualche nozione di ingegneria, ma rimango prettamente un soldato. Ma quando si trattava di abbassare le difese tecnologiche nemiche, dovevo aspettare che i Ricognitori Ingegneri della squadra completassero il lavoro prima di poter attaccare apertamente. All’inizio avrei preferito far parte di qualcosa di più tranquillo, tipo il reparto scientifico. Tra i medici non c’erano molti Sangue di Drago, ma i soldati umani feriti avevano piacere nel farsi confortare e curare da noi. Alla fine, ho dovuto scendere a patti con la morte... »
  Hancock la guardò ancora e sospirò. Appariva provato da ciò che lei aveva dovuto passare, ma sembrava comprendere anche il conflitto interiore che la divorava.
   « Forse è meglio se andiamo a metterci più comodi. È evidente che tu abbia avuto un’esperienza traumatica. Oltre ad esserti ritrovata all’improvviso in un mondo che è in qualche modo posto tra l’inferno e qualcos’altro di peggio, non deve assolutamente essere stata una passeggiata aver perso in quel modo le persone che amavi. Nessun altro avrebbe avuto una forza di volontà quanto la tua. Ma adesso lascia che ti racconti io la mia di storia. Diciamo che è l’argomento che preferisco. »
Sel annuì e si fece guidare da Hancock verso due sedie a pochi passi da loro.
   « Be’, tutto parte da Diamond City. Sai bene quanto me com’è ridotta la città. Prima di McDonough era un posto decente, un po’ più rigoroso rispetto a come sono abituato, ma non così terribile »
   « Diamond City non mi è mai sembrata esattamente un angolo di paradiso, e pensa che non l’ho neanche mai vista prima che esiliasse i Ghoul dalla città »
   « Già. E posso assicurarti che adesso è diventata un luogo pessimo »
   « Perché McDonough ha basato la sua campagna contro i Ghoul? » gli domandò, guardandolo in viso.
   « Perché pensava che così avrebbe vinto. C’è sempre stato un netto divario tra la gente che abita sugli spalti e quella che vive sul campo. E non credo che sia stato creato solo per questioni di panorama. McDonough ci ha marciato perché pensava che un numero sufficiente di stronzi degli spalti superiori l’avrebbe votato. E aveva ragione. Pensavo che io e lui avessimo avuto un’infanzia felice, ma poi ha deciso di farsi eleggere con la sua crociata anti-Ghoul, “L’umanità per McDonough”. E in un attimo vedi queste famiglie con figli allontanare individui che prima chiamavano vicini e sbatterli tra le rovine. Ricordo di essermi precipitato nel suo ufficio sopra gli spalti dopo il suo discorso inaugurale. Se ne stava lì, a guardare la città che si abbatteva sui Ghoul. Senza neanche girarsi, mi disse: “Ce l’ho fatta, John. Finalmente è mia”. Avrei voluto ucciderlo subito, ma poi ho pensato che non sarebbe cambiato niente. Provai a ragionarci… lo implorai di ritirare tutto. Disse che non poteva. Che non aveva niente contro i Ghoul, che stava solo facendo la volontà del popolo, e non poteva tradire gli elettori. Poi sorrise. Una smorfia abominevole che ricordo come fosse ieri… Da bambino non aveva mai sorriso così. Non lo riconoscevo più »
   « Tu e McDonough vi conoscete fin da piccoli? »
   « Oh sì. È mio fratello. »
A Sel si mozzò il fiato in gola nell’apprendere quella rivelazione. “McDonough”. Il suo nome reale, era John McDonough. Non lo avrebbe mai potuto neanche vagamente immaginare: il Sindaco di Goodneighbor e quello di Diamond City erano fratelli, eppure erano talmente diversi, sia nell’età che nel fisico. Dedusse quindi che Hancock doveva essere il minore dei due, il “fratellino”. Si incuriosì molto nel sapere come potesse apparire il suo volto prima che diventasse un Ghoul.
   « Lo so, è difficile continuare a crederlo perfino per me. Siamo cresciuti insieme in una baracca sulla riva. Lui era il classico fratellone, privilegiato, energico. Si divertiva a infilarmi pezzi di frutta marcia nella maglietta per poi schiacciarmeli sulla schiena. Ma non credevo che avrebbe fatto quelle cose a quei Ghoul... Quando mi è giunta voce che un Sintetico aveva preso il suo posto, ripensando a quella sera, la cosa poteva anche avere senso. Ma adesso non lo so… non so se crederci. Ho continuato a vederlo, ed era impossibile che l’avessero copiato in modo così perfetto, perfino quel suo atteggiamento stile “palo nel culo”. Ma ai tempi avevo un disperato bisogno di staccarmi da lui. Da lui, e quella città di merda. Non ero ancora un Ghoul, perciò non dovevo andarmene. Ma dopo quell’episodio, non potevo più stare in quello schifo di posto. »
  Sel lo guardò e si ricordò di quello che le aveva accennato Fahrenheit. « Quindi, non sono poi molti anni che sei un Ghoul. »
  Lui sorrise con modestia. « Sono arrivato qui circa… cos’era, dieci anni fa? La mia pelle era più vellutata ai tempi. Mentre ero impegnato a diventare il pilastro di questa comunità, cominciai a… sperimentare nuove dimensioni. Ero giovane. Ogni genere di droga, più strana era, meglio era. Poi, finalmente trovai questa droga radioattiva, sperimentale. Unica nel suo genere, una sola dose. Ragazzi… uno sballo leggendario. Ho dovuto scendere a patti con i suoi effetti collaterali, ma… a chi non piace l’immortalità? »
  Essere immortale era una parola piuttosto azzardata, in realtà. I Sangue di Drago possedevano una longevità di qualche millennio o anche più, mentre dei Ghoul si sapeva che invecchiavano molto, molto lentamente, con una prospettiva di vita di alcuni secoli, ancora non si sapeva fino a quanto potessero vivere. Colpa delle radiazioni? Nessuno lo sapeva. Ricordò di aver conosciuto diversi altri Ghoul prebellici: vivevano da più di duecento anni, ed erano ancora vispi come se fossero stati dei fanciulli.
   « Beh... Wow! Dire che ti piace il rischio è riduttivo, Hancock », sorrise Sel.
   « Una vita sola. Perché non giocarsi tutto? Per anni ho fatto tappa a Goodneighbor per procurarmi le droghe, e conoscevo le vie più sicure. Riuscii a rintracciare un paio di famiglie e a condurle laggiù, ma non riuscivano ad abituarsi allo stile di vita di Goodneighbor. Gli procuravo cibo per un paio di settimane, ma dopo un po’ sparivano. Quelli a Diamond City avevano firmato la loro condanna a morte e tutta la brava gente se ne stava lì, a guardare senza fare niente. Sentivo di essere l’unico a vedere l’autentico degrado della situazione, e non potevo far finta di niente »
   « Mi ricordo che qualcuna di quelle famiglie mi parlò di una persona generosa che aveva cercato di aiutarle. Capitavo qui di tanto in tanto per certi affari, a volte per portare via gente da quella topaia, e ogni volta dovevo entrare di notte o dai condotti più indiscreti, altrimenti sarebbe successo l’inferno. Poverini, chissà cos’hanno dovuto patire… »
   « Quel coglione di Vic », ringhiò Hancock. « Era un vero bastardo. Usava quelli come noi come suo salvadanaio personale. Aveva questo squadrone di energumeni per tenere la gente in riga. Ogni tanto allungava il guinzaglio e impartiva una bella lezione collettiva. Chi aveva una casa si chiudeva dentro a chiave, ma noi… Una sera, un reietto dice qualcosa a uno di loro. Lo hanno aperto sul marciapiede come una scatoletta di Carne Cram. E noi lì, a guardare senza fare niente… »
Nel suo successivo silenzio, Sel percepì la frustrazione che ancora lo tormentava.
   « Non avreste potuto fare niente, Hancock. Erano in tanti, non devi sentirti in colpa. Forse, avrebbero ucciso anche te », mormorò in tono dolce cercando di confortarlo.
Dall’espressione che aveva era evidente che per lui era uno sforzo immenso ricordare quell’esperienza, ciò che aveva vissuto a Diamond City e a Goodneighbor prima di diventare Sindaco. « Hai ragione, ma è stato comunque da autentici vigliacchi »
   « Non c’era proprio nessuno che avrebbe potuto aiutarvi? »
   « Chi può dirlo. Forse. Sicuramente, a quei tempi eravamo così spaventati che nessuno di noi riusciva a muovere un muscolo, figuriamoci chiedere aiuto. Mi sono sentito meno di niente. Dopo, mi sono fatto talmente tanto che ho perso il senso della realtà. Quando mi sono ripreso ero sul pavimento del Vecchio Ufficio Governativo. Davanti al vestito di John Hancock.
   « John Hancock, primo americano contrabbandiere e difensore della gente. Forse ero ancora un po’ fuori, ma quei vestiti mi parlavano; mi dicevano cosa dovevo fare. Così, ho rotto il vetro, li ho messi e ho cominciato una nuova vita. Come Hancock.
   « Sono rimasto pulito per un po’, mi sono organizzato e ho convinto Kleo, giù al mercato, a prestarmi un po’ di materiale. Ho messo insieme un gruppo di reietti e ci siamo diretti alle rovine per allenarci. Se gli uomini di Vic si fossero fatti vivi, avrebbero avuto pane per i loro denti »
   « Hai fatto bene. Vic non era neanche uno con cui si poteva ragionare. Un individuo simile capisce una sola cosa: la violenza. E la violenza merita violenza. »
Hancock sorrise d’accordo. « Sapevo che avresti capito. Poi, una notte ci siamo preparati. Gli abbiamo lasciato sguinzagliare i suoi bestioni e li abbiamo aspettati nascosti dietro le finestre e sui tetti del nostro nascondiglio. Non se ne sono accorti, non dovevamo sparare neanche un colpo. Non era necessario. Ma poi... cazzo, se l’abbiamo fatto. È stato un vero massacro. Dopo averli sistemati abbiamo raggiunto gli alloggi di Vic nell’Ufficio Governativo, gli abbiamo messo una corda al collo e l’abbiamo buttato dalla finestra. E io lì, con la pistola in mano e i vestiti di Hancock addosso, ad osservare gli abitanti di Goodneighbor radunati lì sotto. Dovevo dire qualcosa. E quando l’ho detto la prima volta, forse non l’hanno neanche capito: “Della gente, Per la gente”. È stato il mio discorso inaugurale. Quel giorno sono diventato il Sindaco di Goodneighbor. E da allora ho giurato che non sarei più rimasto a guardare. Mai più. Spero tu abbia capito che tipo di persona sono. Non voglio fare del male a nessuno che non lo meriti. Come fai anche tu. » Il Ghoul era rilassatamente seduto al fianco di Sel; una spessa linea scura e serpeggiante di fumo si levava dal suo sigaro acceso.
   « “Che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra” », citò la ragazza, lentamente.
   « Hm? », Hancock girò la testa per guardarla.
   « Il discorso di Abramo Lincoln nella Battaglia di Gettysburg, durante la Guerra di Secessione Americana. Mi è sempre piaciuto come Presidente. Hai preso ispirazione da lui per il tuo motto? », gli sorrise.
  Hancock si rimise il sigaro tra i denti e ghignò di rimando, rufolando intanto qualcosa nella tasca. « Chissà. Forse ero talmente fatto che i fantasmi mi avevano iniziato a parlare per davvero. »
Sel ridacchiò, quindi abbassò gli occhi sulle proprie mani. Avevano smesso di tremare ormai da diversi minuti. « Mi hai aiutata, di nuovo », notò.
   « Ricordo quando ho ucciso qualcuno per la prima volta. Ero intorno ai vent’anni. Dopo ho avuto bisogno di una bottiglia di bourbon per calmare i nervi. Quel farabutto aveva meritato tutto ciò che gli era accaduto, ma... anche io, ricordo di aver pensato a quale diritto avevo di porre fine alla vita di qualcuno – fu solo in quell’attimo, mentre ascoltava quelle parole, che Sel realizzò davvero quanto lei e Hancock fossero simili – Non penso di aver mai trovato la risposta. Tutto quello che so adesso, è che non esiterei se dovessi tirar fuori il mio fucile a doppia canna, il mio coltello o la mia pistola. Ma la differenza tra me e la maggior parte di altri, è che prima di premere il grilletto mi assicuro che la persona che ho dalla parte sbagliata della canna lo meriti davvero », Hancock guardò un attimo il moncone di sigaro che stringeva tra le dita e lo gettò via, prima di alzarsi in piedi.
Si voltò e tese una mano alla ragazza: « Non devi mai sentirti in colpa quando togli una vita per una giusta causa,   Sel. Se vuoi proteggere un innocente, di solito c’è qualcuno che deve perderla. Nel Commonwealth funziona così, e ormai dovresti saperlo anche tu. Finché continuerai a fare ciò che è giusto e difenderai i bisognosi mentre lo fai, io sarò lì con te per ricordartelo, se ne avrai bisogno. »
  L’effetto delle sue parole fu leggermente attenuato dal ricordo di lui mentre attaccava i presenti all’asta. Aveva avuto l’aspetto di un uomo che si stava divertendo molto, ma le faceva ancora sentire una piccola scossa che allo stesso tempo la spaventava e la emozionava. Gli prese la mano e lui la sollevò. Poi Hancock andò a raccogliere la pistola da terra e la rimise sul tavolo insieme alle altre.
Sel seguì ogni suo movimento, e a mente vuota osservò quelle piccole armi radunate ordinatamente assieme.
   « Per oggi direi che può bastare », decise. « Ti va di mangiare qualcosa? »
   « Sì, credo che questo potrei farlo », rispose lei sorridendo.
In quel momento qualcuno bussò alla porta e nella stanza si fece largo Fahrenheit, entrando come un treno senza che loro le diedero neanche il permesso.
   « Hancock », esclamò. « Ci sono notizie. Buone e cattive. »
Lui lanciò un’occhiata a Sel che gli stava accanto, poi fece un cenno con la testa in maniera che la donna potesse continuare.
   « Non ti piacerà », lo avvertì prima. « Abbiamo trovato Bobby, il predone grosso di cui ci ha parlato Selina. È arrivato al ponte dove lo stavamo aspettando. La cattiva notizia è che non voleva proprio saperne di essere catturato… Quindi uno dei nostri gli ha sparato, accidentalmente. Abbiamo dato un’occhiata al carro con cui è arrivato, ma oltre alle sue cose non c’era niente di utile. »
Il viso di Hancock si rabbuiò. « Chi gli ha sparato? », disse.
   « Non ha importanza. Abbiamo ricevuto anche un messaggio dall’ufficio di Valentine. Sta arrivando. »
Sel conosceva quel nome, aveva collaborato con lui diverse volte ma non lo conosceva bene. I loro rapporti erano stati sempre molto limitati, a scopo lavorativo e informativo. Hancock fece un respiro profondo, anche se dava l’impressione di voler picchiare qualcuno.
   « Bene. Ottimo. Ma ancora non farai fuori nessuno di quei tre stronzi chiusi in gabbia. Nick potrebbe essere in grado di estorcergli qualcosa », grugnì in tono aspro.
   « Hanno detto qualcosa? » domandò Sel a quel punto, impaziente, e Fahrenheit si voltò verso di lei.
   « Solo Patterson ci ha fornito alcune informazioni, ma la maggior parte le sapevamo già. Il fatto è che la loro attività è una grande rete che opera anche in altri luoghi. Ci ha dato alcuni nomi dei clienti che conosce, ma a quanto pare non hanno ancora mai fatto attivamente “shopping” richiedendo dei nuovi schiavi, al momento. Gli abbiamo chiesto anche della tua amica, ma il tizio che ti ha portata qui, Riedrich credo che si chiami, sostiene che l’hanno fatta scendere solo al punto d’incontro e che poi è stata portata da qualche parte più lontano. Da quel che ha lasciato intendere, si trova ancora nei dintorni di Boston. »
  Sel mise una smorfia irritata. Se quello che Fahrenheit le aveva appena detto corrispondeva al vero, allora Nora non si trovava troppo fuori dalla loro portata, altrimenti le possibilità sarebbero state meno, e allora l’unico modo per raggiungerla sarebbe stata la forza bruta. A quel punto sì che avrebbe potuto combinare un bel massacro.
   « Ad ogni modo, per come stanno ora le cose, con i nomi che Patterson e gli altri ci hanno fornito potremmo essere in grado di organizzare altre aste come trappola ed occuparci dei principali operatori della rete, ma non possiamo vedercela con l’intero paese.... » Fahrenheit diresse nuovamente le proprie parole a Hancock, « Non puoi salvare tutti. Quindi faremo del nostro meglio con ciò che abbiamo. »
Detto questo, si scusò per il disturbo e li lasciò soli. Hancock si mise le mani in tasca ed espirò turbato.
   « Sai, ha ragione » disse Sel, dopo che un momento fu passato e il silenzio era di nuovo piombato su di loro senza che lui avesse proferito parola.
  Il Ghoul le lanciò un’occhiata acuta ma ancora non rispose. Sel sapeva cosa stava provando e gliel’aveva detto lei, proprio lei, che tra i due era forse la prima che avrebbe dato la vita per poter salvare tutti; frustrazione per non essere in grado di poter fare di più. E poiché aveva la sensazione che fosse anche un uomo molto orgoglioso, per lui era ancora più difficile ammettere la sconfitta.
  Alla fine tirò fuori il solito pacchetto di sigarette dalla tasca, ne accese una e guardò la ragazza con un’espressione già più rilassata: « Sì, lo so. Mi dispiace per la tua amica… »
  Il cuore di Sel sapeva che non poteva diventare più stretto ogni volta che pensava a Nora, ma lei scosse la testa come a scacciare qualcosa e costrinse qualcos’altro in un sorriso rassicurante; « La troverò, Hancock. Dopotutto, sono il Sangue di Drago del Commonwealth. È il mio compito proteggere gli innocenti. Lo è sempre stato. Perché lo voglio e perché l’ho giurato. Dei Vigilanti io sono molto probabilmente l’unica superstite, e continuerò nel mio compito finché non cadrò sul campo. Troverò Nora e libererò anche tutti gli altri schiavi. Anche a costo di sciogliere tutti gli Urli di cui son capace per buttare giù qualunque stronzo mi si pari dinanzi per arrivare a lei. Non siamo ancora senza speranze e finché non la rivedrò, viva o morta, continuerò a cercarla. »
  Hancock la guardò e allungò un sorriso dolce sulla sua faccia da Ghoul, tanto che Sel si meravigliò nel vederlo da uno come lui. « Nora è davvero molto fortunata ad averti come amica. Lo sai? Tu e io siamo davvero molto simili, come ideologie e modi di fare. Di questi tempi è raro trovare qualcuno che non accetti passivamente la situazione; troppe brave persone che non vogliono sporcarsi le mani e troppi stronzi che invece se ne approfittano. So di essere un chiacchierone, ma avere qualcuno che vede il mondo per quello che è, e che vuole fare qualcosa… significa molto per me. Mi sento molto fortunato ad avere la tua amicizia. » “Amicizia”. Hancock, nonostante si conoscessero che da pochissime ore, l’aveva già appena definita una sua amica. Sel se ne sentì grata ed emozionata.
   « Quindi, è questo quello che siamo? Amici? »
   « Non è una parola che uso alla leggera. E anche se ancora ti conosco poco, sento di potermi fidare di te. Ma… », la sua espressione cambiò, facendosi adesso più maliziosa. « Ora che mi ci fai pensare, ho anche dei pensieri leggermente più impuri del solito. Forse dovremmo… metterli in pratica. Eh eh. E forse sarebbe anche il caso di cercare qualcosa da mettere sotto i denti. Che dici? Dopo di te... »
 
~

 
Dopo aver pranzato, Hancock le fece vedere Goodneighbor. La presentò a Kl-e-o e Daisy, i mercanti dei due principali negozi della città: il Kill or Be Killed e il Daisy’s Discounts.
  Man a mano che il tour proseguiva, Sel era sempre più impressionata e stupita da Hancock e da come le persone che incontravano reagivano a lui. E, naturalmente, da Goodneighbor stessa. Era la prima volta, da quando la conobbe appena un anno prima, che la visitava completamente allo scoperto sotto la brillante luce del sole, senza che lei si nascondesse. Goodneighbor era chiaramente una città di reietti e di criminali, gente che proveniva da ogni ceto sociale, accoglieva tutti coloro che erano abbastanza forti da rimanere liberi, dai robot ai Ghoul, fino ai boss della malavita e ai tossici. Ma la maggior parte di essi onorava le regole stabilite dal suo Sindaco; molti la definivano il buco più malfamato del Commonwealth, dove tutto quello che non era fissato a terra prima o poi passava di lì. L’unica legge vigente era rispettare gli altri o subirne le conseguenze. E poi c’era Hancock, ovviamente, sempre pronto a spaccare qualche testa se la gente non si comportava bene.
  La città possedeva addirittura il “Neighborhood Watch”, ovvero “l’amichevole ronda di quartiere” come alle guardie piaceva definirsi; un rigido sistema di sicurezza con guardie addette a far rispettare le regole, sbarazzandosi di coloro che non gli obbedivano. Mantenevano l’ordine a Goodneighbor, rispondendo ai furti e alla violenza con la violenza, ma i visitatori che si tenevano fuori dai guai non avevano nulla da temere da queste guardie locali. Erano composte unicamente dalle persone più fidate di Hancock, a capo delle quali c’era Fahrenheit. Uccidevano anche le spie dell’Istituto man mano che si rivelavano.
  Goodneighbor era un rifugio sicuro per vagabondi e altri che non sapevano dove altro andare: « Abbiamo messo insieme questo ridente paesino grazie ai reietti e i disadattati che non sarebbero mai stati accettati altrove. Fenomeni da baraccone, teste calde… Per questo li amo. Goodneighbor è della gente per la gente, capito? Tutti sono i benvenuti. Mi spiego meglio: non importa che tu sia un Ghoul, un Sangue di Drago, un Sintetico o perfino un Supermutante, basta che fai il bravo. Qui ognuno vive la sua vita, come gli pare. Nessuno giudica », raccontava nel frattempo Hancock tutto emozionato. « Vedrai, ti farai così tanti amici qui, che prima di quanto pensi ti sentirai come a casa… A patto di ricordarti chi è che comanda. »
Quando Sel considerò che anche molti altri insediamenti avrebbero dovuto prendere esempio da Goodneighbor, giurò di aver visto l’uomo emozionarsi ancor di più. Era davvero molto orgoglioso, e con una buona ragione per esserlo. E più Sel lo conosceva, più le piaceva la sua compagnia. Hancock parlava molto, probabilmente per distrarla dal pensare troppo a Nora o all’incidente nel magazzino. Non gli fece capire che si trovava d’accordo con lui, ma si sentiva sinceramente sollevata nell’avere così tante cose da vedere e ascoltare, così da potersi immergere in qualcosa di diverso dal solito anziché preoccuparsi. Una volta gli chiese addirittura se non avesse avuto nient’altro di più importante da fare che tenerle compagnia: Hancock sorrise, rispondendo semplicemente che era tutto incluso tra i suoi vantaggi da Sindaco.
  Superarono Il Terzo Binario ma non entrarono. Sel cominciò di nuovo a tremare nel ricordare il momento in cui, ancora nella forma umana, si trovava nuda di fronte ad un pubblico di sconosciuti e poi nella forma ibrida in piedi sul tavolo, come un qualunque animale da spettacolo. Ma cercò di sforzarsi a non pensarci.
   « Ehi, Sindaco Hancock! », chiamò ad un certo punto qualcuno, spingendo la ragazza a voltarsi.
Mentre Hancock si era scusato e si era allontanato un attimo da lei, Sel si mise a guardarsi intorno. Erano tornati nella piazza principale della città ed era pieno di gente, chi nei negozi, chi a sedere sulle panchine a leggersi qualcosa, chi in piedi a chiacchierare. Vide un uomo alto e pelato dai lineamenti spigolosi, le labbra carnose e la mascella coperta da una barbetta rasa appoggiato di schiena contro una parete verso i cancelli a fumarsi una sigaretta.
   « Ehi, tu! », esclamò non appena la notò. « Non ti ho mai vista prima. Sei nuova a Goodneighbor? Qui non si può girare senza... assicurazione »
   « Assicurazione?... », ripeté Sel, sospettosa.
   « Esatto. Una specie di protezione personale. Perché, la cosa ti crea qualche problema, per caso? »
   « A meno che non sia un’assicurazione contro gli imbecilli, non m’interessa », gli sorrise lei.
   « Dai, non fare così. Vedrai che ti piacerà quello che ho da offrire. Tu mi dai tutto quello che hai in tasca, altrimenti ti capiterà qualche “incidente”. Grossi e sanguinosi “incidenti”. »
Grugnì annoiata. « Faresti meglio a levati di mezzo, o sarai tu ad aver bisogno di un’assicurazione »
   « Ehi, ehi, calma... Facciamo che per ora la tua assicurazione è pagata, okay? Ma non sarò tanto gentile la prossima volta... »
Vennero interrotti dalla voce di Hancock che si avvicinò giungendo da dietro Sel: « Ehi, calmiamoci. Pausa, okay? Chi mette piede in città per la prima volta è nostro ospite. Smettila con le tue cazzate da strozzino... Questa ragazza è sotto la mia custodia »
   « E a te che importa? Non è una di noi », ribatté l’uomo.
  « Non hai rispetto per il tuo Sindaco, Finn? Ho detto di lasciarla stare »
  « Ti sei rammollito, Hancock. Adesso ti accontenti pure delle donzellette sperdute? »
  « A chi donzelletta sperduta?! », sibilò Sel avvicinandosi. « Guardami bene: per caso ti sembro una donzelletta sperduta, brutto coglione? »
L’uomo non sembrò riconoscere chi o cosa fosse, neanche osservando i suoi occhi. « Ascolta il tuo Sindaco, faresti davvero meglio ad avere un po’ più di rispetto »
   « E tu chi cazzo saresti, uh? » sputò infastidito l’uomo.
   « Qualcuno che oggi ti toccherà nel tuo posticino speciale... », gli rispose Sel addolcendo il tono e mollandogli subito dopo un calcio ben assestato nelle sue parti basse. Lui si accasciò a terra con un lamento, lasciando cadere la sigaretta per portandosi entrambe le mani in mezzo alle gambe.
  « Adesso levati dalle palle. »
Finn annuì con voce soffocata e cominciò ad allontanarsi. Sel udì Hancock ridere compiaciuto alle sue spalle.
   « Wo oh oh! Certo che tu arrivi in un nuovo posto e affermi subito la tua dominanza. Niente male, davvero niente male. Oh Finn, sai che mi hai spezzato il cuore?... », si avvicinò a una delle guardie di quartiere ai lati della piazza e gli sussurrò qualcosa.
Sel lo vide annuire e cominciare ad allontanarsi scortando Finn con sé.
   « Che cosa gli hai detto? », domandò quando fece ritorno da lei.
   « Solo di dargli una particolare “lezione”. Avrei dovuto farlo tempo fa... Peccato per Finn, mi mancherà al prossimo attacco dei Supermutanti. Ma... così è la vita », le fece l’occhiolino e la incoraggiò a riprendere la loro passeggiata.
   « Quando non mi sto allenando », disse Sel a un certo punto, « non è che potrei essere utile in qualche modo? Non posso uscire e non posso trasformarmi per andare a farmi un giro. Non voglio essere un disturbo o un peso morto. Sai, i Sangue di Drago non sanno stare con le mani in mano… »
  Lui acconsentì e le promise di pensare a qualcosa che avrebbe potuto fare. « Puoi anche farci vedere come te la cavi con i fucili, se te la senti, ma primo o poi dovrai anche avere una pistola », le lanciò un’occhiata e bevve un sorso di bourbon. Erano seduti nel suo ufficio e Sel stava cominciando ad annoiarsi. Il giorno si era trasformato in notte, sebbene i rumori della strada sembrassero diventare più forti man mano che giungeva l’imbrunire; suppose che la gente del posto fosse più nottambula degli uccelli notturni.
Annuì. Se doveva girare con discrezione era necessario che si portasse appresso armi che non attirassero l’attenzione, cosa che non avrebbe potuto fare con nessuna di quelle che usava abitualmente, per cui doveva superare il blocco del trauma. E non era neanche sicura su come avrebbe potuto fare.
   « Ti va di parlarmi dei Ricognitori? », mormorò a un certo punto la voce rauca di Hancock, giungendo dall’altra parte della stanza.
  Lei si girò e vide che la stava guardando con un sorriso gentile.
   « Certo. Che cosa vuoi sapere? »
   « Semplicemente che cosa erano di preciso »
   « Be’, nei marines il Ricognitore era un combattente Sangue di Drago potente di prima linea, in grado di combinare capacità militari d’assalto e di ricognizione. Nella mia squadra eravamo in cinque. Agivamo anche come tiratori e cecchini, essendo la “ricognizione” una tattica furtiva finalizzata all’esplorazione di un ambiente sconosciuto od ostile. Ci focalizzavamo spesso anche sull’abbattere i nemici con brutalità e rapidità una volta che le loro difese erano state abbassate, e quando le capacità stealth non erano necessarie »
   « Tutti i Ricognitori erano Sangue di Drago? »
   « Sì. Era un grado che riguardava esclusivamente noi. Costituivamo la primissima linea di difesa di tutte le squadre militari umane: eravamo gli scudi dell’esercito. Poi seguivano tutte le altre squadre militari Sangue di Drago e umane, fino ai mezzi pesanti. Eravamo temuti per il nostro stile di combattimento altamente rischioso, ma quasi del tutto invisibile e potenzialmente letale. Abbattevamo spesso i nostri bersagli da lontano o ci avvicinavamo a loro rapidamente ma furtivamente, eliminandoli a corto raggio con armi da taglio o da fuoco, come pugnali o armi silenziate. »
Hancock ridacchiò, emettendo uno sbuffetto dal naso. « Doveva essere divertente ai tempi. Chissà come sarebbe stato emozionante vedervi in azione… »
  Sel sorrise. « Non per vantarmi, ma lo era davvero. Mi piaceva quel che facevo. E in un certo senso… lo sto ancora facendo. Da quando sono finita qui, ho capito ciò che voglio veramente: uccidere chi se lo merita davvero, non solo per difesa o per necessità. »
  Hancock a quel punto abbandonò il bicchiere sulla scrivania per raggiungere la ragazza a sedere sul divano. Tirò fuori qualcosa dalla tasca della redingote: Sel notò che era un dispositivo non lontanamente simile a un inalatore per l’asma, ma aveva l’impugnatura completamente tinta di un vivido rosso cadmio con il boccaglio grigio. Lo osservò prenderne un colpo per poi sembrare rilassarsi.
   « Un giro? » Hancock sorrise tra un fumo denso e bianco quasi fosse stato vapore.
Lei glielo sfilò di mano e si mise ad osservarlo incuriosita. Non ci si era mai soffermata così attentamente prima: sembrava un oggetto così innocuo, ma sapeva molto bene di cosa si trattava.
   « Non ho mai fumato neanche il tabacco. Come ci si sente? »
Lui allungò le braccia dietro il divano e distolse l’attenzione per guardare in alto. I suoi occhi non sembravano molto nitidi come un attimo fa.
   « Sembra… come se fossi vivo. E leggero. Come se la realtà fosse lontana. »
Sentendo il bisogno improvviso di voler fare qualcosa che normalmente non avrebbe mai fatto, Sel infilò il boccaglio tra le labbra, prima che il cervello potesse ragionarci troppo e magari farle cambiare idea. Mantenne premuto il dito sul pulsante mentre inspirava e avvertì un’aria fredda invaderle i polmoni.
  Non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi, e si mise a tossire. Hancock, che si era messo a guardarla, divertito e deliziato, scoppiò in una fragorosa risata e le diede qualche pacca sulla schiena finché lei non riprese a respirare correttamente. Lasciò cadere l’inalatore sul tavolino da caffè e si accasciò all’indietro, aspettandosi di sentir colpire il tessuto morbido sulla schiena: con sua sorpresa le sembrò invece di muoversi al rallentatore, quasi si fosse mossa sott’acqua. Oppure come se qualcuno avesse lanciato il Rallenta Tempo senza che nessuno l’avesse udito. « Ohh… », mugolò chiudendo gli occhi. « Mi sento come se fossi sul fondo dell’oceano… »
  Sentì i cuscini sotto di lei muoversi, adattarsi alla forma delle sue curve. Il peso che le si trovava accanto si spostò e la fece dondolare leggermente. Riaprì gli occhi e vide Hancock osservarla da vicino:
   « Aspetta. Adesso migliora… » La prese tra le braccia e la sistemò più comoda sul divano, inclinandole la testa all’indietro per farla guardare verso il soffitto di legno. Le forme delle assi continuavano a cambiare, a ondulare e a sdoppiarsi come a vederle sotto le onde; notò che perfino i colori parevano più brillanti, sopra i lumi delle candele e dei monconi più deboli.
   « È sempre così? » chiese, rendendosi subito conto di come la propria voce suonò pigra.
   « Non sempre. Ma quando il viaggio promette bene, goditelo finché puoi »
   « Ah ah! Oh be’, dopo questo non c’è da stupirsi se in tanti adorano il Jet… »
Poteva capire perché era l’articolo più richiesto, mandava in orbita come nient’altro al mondo. Alcuni giuravano che li rendesse più veloci, per questo ne prendevano sempre un po’ prima di un combattimento. Hancock rimase lì con lei per un altro po’, poi si alzò e si portò dall’altra parte della stanza.
  Sel aggrottò leggermente la fronte, cercando di capire che cosa stesse facendo, ma l’innaturale sensazione che il divano la stesse delicatamente risucchiando le impediva qualsiasi movimento fluido. Non le importava: per la prima volta da quando i predoni l’avevano rapita non si sentiva debole… e non aveva preoccupazioni, nessuna paura. Udì un breve ronzio elettronico di sottofondo, seguito da una melodia classica suonata al pianoforte che avvolse la stanza in un caldo abbraccio. « Oh. Wow!... », sussurrò. Riaprì gli occhi e accennò le labbra, studiando le sensazioni che provava.
   « Lo so », concordò Hancock da qualche parte lì vicino.
Un attimo dopo le ricomparve di fronte e le offrì la mano. « Ti andrebbe di ballare con un vecchio Ghoul? »
Lei esalò una risatina breve: non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta che aveva ballato e assunse un’espressione dispiaciuta. « Scusa, ma non penso di riuscire ad alzarmi al momento. »
  Senza chiederglielo una seconda volta Hancock si chinò, le raccolse le mani e la aiutò a tirarsi su. Sel stava oscillando, o lo era il pavimento, ma almeno sapeva rimanere in piedi. Era ovvio che Hancock avesse più tolleranza al Jet rispetto a lei, per cui riusciva a muoversi più liberamente e a sostenerla senza perdere la propria capacità d’equilibrio.
  Si tirò la ragazza vicino: le mise la mano sinistra sulla propria spalla, facendo intanto scivolare l’altra dietro la sua vita sottile, quindi le afferrò la mano destra. Averlo così accanto l’avrebbe messa a disagio, ma valutando che il Jet la faceva sentire felice e spensierata non se ne curò affatto. Hancock iniziò a muoversi dondolando lentamente entrambi, così che Sel potesse tenere il passo. Lei non aveva mai ballato il valzer, neanche in maniera piuttosto improvvisata come in quel momento, per cui teneva gli occhi fissi sui piedi, incerta sui propri movimenti.
  La musica sembrava fluire attraverso di lei, Hancock la guardava, osservando come le sue sopracciglia si corrugavano e il modo in cui le sue labbra mostravano un leggero cipiglio. Trovava quella sua concentrazione assolutamente piacevole e accattivante, ma voleva che lei si divertisse davvero mentre ballavano ed era sotto l’effetto della droga.
   « È… incredibile », sorrise all’improvviso Sel. « Non ricordo quando ho ballato l’ultima volta, soprattutto dove. O se stavo ballando da sola o con qualcuno. Ad essere sincera, ho sempre preferito farlo da sola… La compagnia per queste cose mi ha sempre messa un po’ in imbarazzo. E… sai una cosa? Sono contenta che questo tipo di musica sia sopravvissuta fino ad oggi. Adoro la musica classica, soprattutto Mozart. »
  Vide Hancock fare un bel sorriso. Era una sua impressione, o era più vicino rispetto a un attimo prima? « Anche qualcosa di più jazz o blues non sarebbe male. Ma ora sono dell’umore giusto anche per questo… »
   « Sel »
   « Hm? » Non distolse ancora lo sguardo dal basso.
   « Stai andando molto bene. Adesso prova a non guardarti i piedi », sollecitò Hancock.
   « So che finirò a terra se lo farò », rispose lei, continuando a guardare i loro piedi che si muovevano.
Il Ghoul ridacchiò. « Avanti, prova. »
Finalmente Sel cedette e gli occhi vagarono verso di lui. Il suo sguardo era caldo e continuava a portare un piacevole sorriso. Era consapevole di quanto fossero vicini, e quell’espressione la fece struggere. E cominciò a sentirsi frastornata.
   « Hancock? »
   « Sì? »
   « Io… mi dispiace, puoi riportarmi sul divano? Sento che potrei crollare »
   « Non crollerai, perché ti sorreggo io. È solo una fase, presto andrà via », le assicurò lui, ma la aiutò comunque a sedersi.
Sel chiuse gli occhi per alcuni secondi e sollevò le mani per massaggiarli. Ma appena li riaprì e guardò su, il volto emaciato del Ghoul sembrò come appeso sopra di lei; aveva affondato il ginocchio sinistro sul divano e si stava appoggiando tenendo entrambi i palmi delle mani sul bordo della testiera. Il cuore di Sel ebbe un sussulto: la guardò negli occhi e le sorrise appena.
   « Vuoi sapere cos’altro c’è di bello quando stai volando? » La sua voce suonò più rauca e più bassa del solito. Lei non riuscì a pensare a niente con cui rispondere, così si limitò a restituirgli lo sguardo. Uno come Hancock avrebbe potuto spezzarle il collo, in quel preciso istante e senza quasi alcuno sforzo, quasi fosse stato un ramoscello.
  Per un attimo se ne sentì spaventata; c’era una vocina nella sua testa che le gridava che era pericoloso, che avrebbe dovuto alzarsi e correre il più lontano possibile da lui, ma rimase immobile. Lui alzò la mano e le sfiorò con attenzione i capelli.
  Quando erano rientrati nell’Ufficio Governativo quella sera se li era sciolti e si era cambiata di vestiti, mettendosi più comoda e rilassata indossando nuovamente i suoi vecchi abiti che erano stati ripuliti e asciugati. Le dita corsero tra le ciocche fluenti più e più volte, pettinandoli, e il suo sguardo si restrinse mentre osservava come le espressioni della ragazza mutavano…
  Sel non aveva ancora espresso nessun parere a riguardo, ma le labbra si separarono senza neanche pensarci… E in quel momento era all’oscuro delle proprie azioni, nonostante il corpo sembrasse in attesa di qualcosa. Quando però non fece alcuno sforzo per allontanarsi, la traccia di un ennesimo sorriso si disegnò sul volto del Ghoul: tolse allora la mano dalla sua chioma per andare ad accarezzarle delicatamente il collo, e quel tocco le causò alcuni piacevoli brividi. Passò qualche attimo, Hancock si accostò di più, schiacciandosi quasi contro di lei in modo che potesse avvertire il calore emanato dal suo corpo.
Il Jet che in precedenza le aveva riempito la testa con colori vivaci sembrava adesso amplificare a dismisura anche le sue sensazioni come se fosse stata nella forma bestiale, e Sel si sentì nel bel mezzo di una tempesta. Avvertiva il bisogno, la necessità cruda, innegabile, di avvicinarsi ancor più a lui… la tempesta si era abbattuta su di lei e purtroppo sapeva benissimo di cosa si trattava. Era lussuria. Ma cos’era invece per lui…? Solo qualcosa che il Jet aveva evocato?
   « Aspetta », biascicò.
La sua voce era uscita strana, un po’ attutita. O almeno così pensò, perché Hancock si era allontanato un attimo per guardarla. E la mente di Sel scivolò in pozzo nero, inghiottendola per intero.

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Capitolo 6
*** Poco San, molto Valentino ***


Sbirciò attraverso una palpebra socchiusa. Era sdraiata a pancia sotto in un letto, nella stanza che riconobbe essere quella che le avevano prestato. Mosse le gambe e si spinse con le mani, fino a ritrovarsi seduta sulle gambe piegate. Era da sola.
  Mentre riordinava pensieri e ricordi guardò in basso: indossava ancora i suoi vestiti ma non i suoi stivali, che erano stati sfilati e poggiati ordinatamente accanto al letto. Senza neanche rendersene conto aveva trattenuto il respiro, rompendosi poi in un moto ondeggiante.
  Si studiò le mani abbandonate sopra le cosce, osservandone le linee sottili ed aggraziate, le vene in rilievo e le unghie curate, e si ricordò di aver ballato una sorta di valzer. Ricordava di essersi sentita felice e spensierata dopo tanto tempo, eppure provava una punta di vergogna. “Hancock. Si è appoggiato su di me…”
  Le guance le si accesero subito in una sensazione di caldo ardente. Le aveva anche chiesto qualcosa e lei non aveva saputo cosa rispondere. Poi se lo era visto tremendamente vicino, e lei lo aveva desiderato ancora più vicino… Avrebbe voluto che accadesse, così da implicare altro male al suo dolore. Ma dati i fatti in cui versava, nella propria stanza e completamente vestita, significava che non si era spinto oltre dopo che lei aveva perso i sensi. E ciò significava anche che qualcuno, e sempre sicuramente Hancock, l’aveva trasportata in quella stanza, l’aveva adagiata sul suo letto preoccupandosi anche di coprirla, e le aveva tolto gli stivali. Non aveva approfittato della situazione, benché ne avesse potuto.
  Annusò l’aria e si strofinò gli occhi. Era sollevata, ma per qualche strano motivo si sentiva anche un po’ confusa: perché Hancock l’aveva fatto? E perché lei desiderava che lo rifacesse? Lei era soltanto uno svago per lui? Ed era per questo che era così determinato nel sorvegliare il suo allenamento?...
   « Oh, stai zitta », si schiaffeggiò sulle tempie. « Non assillarti troppo. »
Sel non era estranea alle droghe. Ne aveva assunte alcune negli anni scorsi, di solito Mentats o Buffout, ma non poteva cominciare nemmeno ad immaginare gli effetti del Jet; se ci ripensava, le era sembrato fin troppo allarmante non essere in grado di pensare né di muoversi in maniera lucida, specialmente con una persona come Hancock nella medesima stanza. Ma tutto sommato, lo avrebbe rifatto. Non se ne sentiva per niente pentita.
Si alzò, andò alla bacinella e fissò la ragazza che la guardava dallo specchio. Non aveva nessun aspetto diverso da quello che aveva visto la sera precedente, se non avesse contato le strisciate rossastre sopra la guancia destra, dove la mano aveva premuto contro per tutta la notte. Si sciacquò il viso e si aggiustò velocemente i capelli raccogliendoli in una treccia che le ricadeva sulla spalla, anche se con qualche ciocca scomposta che però la faceva apparire più graziosa e disinvolta.
Tirò un respiro profondo. « Va bene, va bene. Va tutto bene, non è successo niente di irreparabile, non ho bisogno di mettere le mani avanti », cercò di convincersi. Si stava facendo fin troppe paranoie.
Un colpo improvviso alla porta la fece sobbalzare. Era stato freddo quel brivido? Lei non lo credeva affatto.
   « Sel? Sono Fahrenheit. Sei sveglia? »
Si rilassò nell’udire che era la voce della sua guardia del corpo. « Sì, entra. »
Lei fece capolino e la guardò con un accenno di divertimento negli occhi; « Ehilà, so che hai fatto un buon viaggio ieri sera. » Sogghignò al viso cremisi della ragazza che la ricambiava con aria imbarazzata e irritata. « Ho visto Hancock che ti portava in braccio nella tua stanza. Stavi borbottando qualcosa a proposito di un Arlecchino e sembravi esserti presa tutto il tempo del mondo. Cos’è un Arlecchino? »
  A quanto pareva il Jet aveva fatto più danni di quanti Sel ne avesse previsti. « È… soltanto un personaggio comico francese »
   « Mh. Be’, questo allora spiega perché ti sei divertita così tanto, immagino. Ad ogni modo, Hancock mi ha chiesto di venire a chiamarti. San Valentino è arrivato in città e ti stanno aspettando per unirti a loro »
   « Valentine? Il detective? », domandò d’impulso.
   « Il solo e unico. Faresti meglio a sbrigarti, se sei pronta. »
Lei annuì e si apprestò a seguire la donna nel corridoio, poi fino alle porte dell’ufficio di Hancock che in quel momento erano chiuse. Bussò con un paio di colpi di nocca, e non appena ci fu un “avanti” aprì mezz’anta. Ben presto Sel constatò che Fahrenheit non doveva essere inclusa in quell’incontro, visto che dopo averla fatta entrare rimase indietro.
Hancock stava offrendo una sigaretta ad un uomo con indosso un trench sbiadito e anche piuttosto malconcio, e aveva un borsalino calato sulla testa calva.
Non appena la vide, sfoggiò un grande sorriso. « Ehi, Sel. È bello rivederti, vecchia mattacchiona! », esclamò con la sua voce profonda.
Lei si avvicinò e chinò educatamente il capo in saluto, mentre l’uomo si metteva la sigaretta ancora spenta tra le labbra. « Salute, Nick. Lieta di rivederti anch’io »
   « Hancock mi ha raccontato cos’è successo. Sono venuto a darti una mano, se posso. »
Vedere Nick le faceva sempre un certo effetto, eppure un tale piacere, considerato che in realtà lo aveva incontrato di persona che pochissime volte. Sembrava un uomo, ma molti tratti della sua pelle glabra presentavano graffi, ammaccature e ferite gravi. La mano destra non aveva carne, ma una complessa struttura scheletrica in metallo. Due squarci su entrambi i lati del viso, di dissimile ampiezza, rivelavano componenti, circuiti, tubi metallici e in PVC sottostanti e i suoi occhi brillavano di un’inquietante luce gialla. Era un Sintetico, e a quanto si poteva constatare doveva essere parecchio vecchio.
   « Grazie per essere venuto »
   « Be’, prima o poi dovrò ricambiare il favore, no? » il suo sorriso era genuino. « Io e Hancock siamo amici di vecchia data, mi sorprende non te l’abbia accennato. »
  Sel spostò lo sguardo verso il Ghoul, che però non la stava contraccambiando. Sembrava vagamente perso sulle carte che aveva davanti. Poi si alzò dalla scrivania, andò ad accomodarsi su uno dei divani e li chiamò entrambi per andare a sedersi insieme a lui; quando Sel si avvicinò le fece segno di metterglisi accanto, ma neanche allora si degnò di guardarla in viso.
  Era pazzo? Perché se lo era, allora lo stava mascherando in maniera impeccabile. Insomma, la stava praticamente trattando in modo completamente neutrale, come se fosse un’estranea.
   « Bene, veniamo a noi », cominciò Nick. Si mise sul divano di fronte, dall’altra parte del tavolino da caffè che come al solito era ingombro di ninnoli di ogni genere, sporgendosi poi verso di loro con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Anche se era un Sintetico, il suo sguardo era caldo e confortante. « Hancock mi ha riferito solo i punti salienti della faccenda, quindi adesso sta a te darmi quante più informazioni puoi, come abbiamo sempre fatto. Dopo mi piacerebbe fare una chiacchierata anche con gli uomini che hai catturato, Hancock. »
Sel buttò un’altra occhiata sul Ghoul e lo vide annuire senza rispondere.
   « Parla pure », fece Valentine con gentilezza.
Di nuovo Sel raccontò quel che era successo, del cottage, degli schiavisti e di Nora. Poi di nuovo parlò di sé, anche se molto brevemente: Valentine non aveva mai saputo niente del suo passato, il loro rapporto si era sempre limitato a scopo lavorativo e non avevano mai avuto né il tempo né l’occasione per conoscersi in tal senso, ma erano comunque riusciti a costruire un ottimo rapporto d’amicizia.
Pochi minuti più tardi, quando ebbe terminato di dire l’ultima parola, Nick si accigliò e girò la testa per guardare il Sindaco di Goodneighbor che lo ricambiava con aria seria. Sembrava che nessuno conoscesse molto la natura dei Sangue di Drago, tanto da meravigliarsi nel sentire che lei viveva anche da molto tempo prima della guerra. Come se fosse stata il Ghoul meglio conservato che avessero mai visto.
   « Non metto in dubbio che sai il fatto tuo, hai più esperienza di chiunque altro sul campo. Il problema è che, se questo è un gruppo ampio e organizzato che gestisce l’intero sistema è impossibile fermarlo, a meno che tu non voglia commettere una carneficina di massa, Sel. Ma il modo per rimettersi in piedi lo trovano sempre. Possiamo strappare erba qua e là, ma con queste poche risorse che abbiamo ottenuto è inutile. C’è sempre qualcuno che spinge fuori dal buco che abbiamo fatto. »
  Le spalle di Sel si afflosciarono. Poteva capirlo, ma ancora non voleva crederci: solo fino a poco tempo fa era stata abbastanza ingenua da credere che una cosa come il commercio di schiavi non esistesse più, ma a quanto pareva le cose funzionavano ancora in quel modo per molti, visto che il profitto da ricavarne era sempre enorme.
  Con aria determinata sollevò la testa. « Ma non è tutto per niente. Se noi, o chiunque altro, riusciremo a salvare anche una sola persona dal rischio di essere venduta come schiava, allora vale la pena tentare » ringhiò, e Valentine annuì in approvazione.
   « Sono pienamente d’accordo. So che anche i Minutemen stanno lavorando per porre fine e prevenire la schiavitù, e pure i Railroad, ma hanno anche i loro problemi da risolvere. È inutile piangere su qualcosa che non possiamo ancora controllare completamente, ma dobbiamo concentrarci su ciò che possiamo fare al momento. Ho la descrizione della tua amica e posso affidarla a chiunque potrebbe essere in grado di collaborare »
   « Vi sarò grata per ogni più piccolo aiuto », replicò Sel cordialmente abbassando di nuovo la testa.
Valentine abbozzò un sorriso rassicurante, quindi tornò a rivolgersi a Hancock. « Molto bene. Adesso che ne dici di incontrare quei tuoi amichetti? »
   « Certo », acconsentì lui. Si alzò dal divano e finalmente alzò gli occhi verso Sel, per la prima volta da quando l’aveva vista quella mattina: « Rimani con Fahrenheit. Non voglio che ti avvicini a quella merda. »
Sel avvertì il sangue scaldarle il viso e si girò velocemente dall’altra parte in modo che potesse vederla solo di sfuggita. Avrebbe voluto unirsi anche lei all’interrogatorio, guardare quei bastardi in faccia e magari fargliela pagare almeno un minimo da parte sua per come avevano osato trattarla. Ma per quella volta, preferì attenersi agli ordini di Hancock.
   « Va bene. »
Lui richiamò la sua guardia del corpo che era rimasta in attesa nel corridoio, e insieme a Valentine scomparve ai piani inferiori dell’edificio.
 
~
 
   « Hai intenzione di allenarti oggi, dopo aver mangiato qualcosa? Sto morendo di fame! », Fahrenheit allungò le braccia in alto nell’aria. Si trovavano ancora nell’ufficio del Sindaco, e Sel aveva avuto bisogno di un minuto per calmarsi. « Hancock mi aveva chiesto di rimediare delle armi per te: ne ho trovate anche alcune da mischia davvero niente male, potrebbero figurare bene nel tuo arsenale »
   « Grazie, ma non credo di averne bisogno. » Per un attimo avvertì un rapido sollievo, ma si fece comunque coraggio.
   « Comunque ieri ho avuto un’idea. Hancock ha ragione, prima o poi dovrò abituarmi anche alle pistole. Così ho pensato ad un modo per superare il trauma, ma non ho ancora mai provato perché… be’, perché mi ha sempre fatto male. Sai come si smonta una pistola? »
  Fahrenheit ridacchiò di gusto.
   « Se lo so? Puoi scommetterci le chiappe! »
Sel sorrise e si guardò le mani, che avevano già cominciato a tremare leggermente senza che lei lo volesse. Vide il viso di Gwen davanti a lei, ma lo scacciò via. « Allora potresti farlo con me? Potresti prendere una pistola, smontarla, e farmi vedere come rimetterla insieme? È semplicemente un’idea, ma credo che osservando qualcuno maneggiarla ed utilizzarla in maniera diversa… »
Non sapeva decidere su come finire la frase. In tutta onestà non aveva la benché minima idea di come ciò che stava proponendo potesse tornarle utile, forse era anche la cosa più stupida che le potesse essere saltata in mente, ma almeno era un modo come un altro di non evitare l’argomento. Tornare a maneggiare a dovere un’arma e non in maniera occasionale, e soprattutto imparare ad abituarsi a una pistola per poi scoprire che erano le stesse armi di sempre avrebbe potuto farle capire che non doveva esserci per forza il viso di Gwen dall’altra parte della canna.
  Fahrenheit scrollò le spalle e si apprestò ad avviarsi verso la porta. « Mi sembra un ottimo piano. Forza, ho le chiavi del magazzino. Ma prima… colazione! »
 
~

“Sta funzionando! Per gli Dèi, sto tenendo una pistola!” Le sue mani tremavano come matte, ma almeno aveva ancora il controllo della propria mente. Fahrenheit aveva smontato una pistola da 10 mm e gliel’aveva messa di fronte a pezzi sparpagliati sul tavolo. C’era voluto un po’ prima che Sel potesse toccarla – che tra l’altro, era lo stesso identico modello che aveva utilizzato Gwen.
  Con calma la donna le aveva presentato una parte dopo l’altra, ne aveva spiegato lo scopo e poi le aveva permesso di assemblare il tutto, pezzo per pezzo. Le componenti erano le stesse identiche di tutte le altre armi da fuoco, ma in piccolo, e Sel aveva bisogno di vederle e di sentirle per familiarizzarci, verificare con i propri stessi occhi che non avevano niente di assolutamente alieno rispetto alle altre, che non c’era niente che potesse legarle a Gwen. Come se fosse ripartita da zero: ad un tratto si sentì come se fosse tornata all’accademia militare, quando il suo istruttore le mostrava i vari tipi di armi e ne illustrava ogni componente, così da imparare a smantellarle e riassemblarle in caso di riparazioni o modifiche. Dopo circa mezz’ora, era fatta. Sel stava reggendo tra le mani una pistola completamente assemblata da lei stessa. Non c’erano ancora proiettili inseriti e non voleva spingere la fortuna.
   « Ottimo lavoro. » Fahrenheit sbadigliò e ricadde all’indietro sul tavolo sul quale si era seduta. « Cavolo. È meglio che diventi più svelta, perché non lo farò più di un paio di volte… Ho una fame! »
  Sel doveva sorriderle, benché ancora non riuscisse a staccare gli occhi dall’arma alla quale stava apportando qualche ultimo ritocco.
   « Non devi aspettarmi. Posso continuare da sola se vuoi andare a riempirti un po’ lo stomaco. »
La donna alzò un po’ le gambe per darsi un contrappeso e si ritirò a sedere. Sembrava preoccupata. « Ne sei veramente sicura? Non credo sia una buona idea. Voglio dire… Hancock me l’ha detto cosa ti è successo quando hai maneggiando una di quelle l’ultima volta »
   « Va tutto bene, adesso. Vedi? E inoltre non è carica. Posso solo esercitarmi con la postura e armeggiarci un po’. Davvero, posso farcela, puoi stare tranquilla. »
Fahrenheit ci rifletté ancora per qualche breve attimo, incerta sul da farsi, ma Sel poté udire chiaramente il suo stomaco brontolare. Adesso che ci stava pensando, anche lei in realtà sentiva un po’ di vuoto nella pancia, ma non voleva fermarsi proprio adesso: era troppo emozionata dei propri progressi e voleva continuare a rafforzarsi di più.
   « Mi prometti di non iniziare una rivolta o di svenire e battere la testa? »
Sel alzò il pollice all’insù. « Contaci. »
Anche se Fahrenheit stava solo eseguendo ciò che Hancock le aveva ordinato, era bello sapere che qualcuno si stava prendendo cura di lei. Quella donna le ricordava un po’ Nora, nonostante non si somigliassero per niente. Ma erano entrambe vere combattenti, delle autentiche sopravvissute degne di tale significato.
   « Va bene. Allora torno presto, eh? Resta qui, mi raccomando. Non fare niente di avventato che ti passa per la testa con i tuoi… be’, lo sai, no? A dopo! »
  Pochi attimi dopo la stanza era ricaduta nel silenzio, c’erano solo alcuni rumori ovattati provenire dalla strada. Sel si sedette accanto al tavolo e pensò di tentennare tornando a smontare una seconda volta la pistola. Le mani stavano ancora tremando, armeggiavano sopra a un lago rosso con un volto familiare che la guardava con due iridi dorate vuote, ma più ci lavorava e si forzava a concentrarsi su ciò che stava facendo, più il suo corpo e la sua mente sembravano rilassarsi. Erano soltanto armi, non dovevano aver niente a che fare con tutto ciò.
Appena la pistola fu di nuovo completa, si alzò dallo sgabello e la pesò tra le mani. Non sembrava che la stesse trattenendo, né prese il controllo della sua coscienza: finalmente era qualcosa a cui lei era nuovamente a capo. Lanciò un’occhiata alle scatole di munizioni, ma si voltò rapidamente. Stava udendo già il suono secco rimbombarle nei timpani. Con ancora la pistola stretta nella mano attraversò la stanza fino a raggiungere il poligono di tiro arrangiato: qualcuno aveva raccolto la lattina che lei aveva abbattuto il giorno prima e l’aveva rimessa al suo posto, accanto ad altre tre in fila in piedi su un’asse di legno, a circa quindici o venti metri di distanza. Sollevò lentamente la 10 mm con entrambe le mani e puntò il primo barattolo, posizionando con attenzione l’indice sul grilletto.
  Ancora non si sentiva molto bilanciata, era come se le mancasse un contrappeso, ma presto avrebbe fatto l’abitudine anche a quello. Attese fino a quando il tremito non si placò un poco, che era durato abbastanza a lungo da farle già stancare le braccia; il che era tutto dire, per un Sangue di Drago, stancarsi con così poco, ma era tutta questione di nervi.
Sel non si mosse dalla propria posa, non ancora… voleva che sia il corpo sia la mente lo memorizzassero. Entrò in familiarità con il peso dell’arma, più leggero rispetto a spade e fucili. Puntò verso il barattolo dandosi la guida con il mirino luminoso e premette il grilletto. Non appena risuonò un clic  vuoto e insoddisfatto, Sel si gelò.
  Passò un minuto, poi un altro. La pistola non tentò di risucchiarla, le sue gambe la tenevano su come pali, ma non era sicura che si trovassero nelle loro normali condizioni. Ma quel che però contava, era che Sel era ancora lucida e in piedi, mantenendo dritta quell’arma così innocente con cui aveva appena non propriamente sparato.
  Alla fine del tunnel, si sentì abbastanza sollevata da spingerla sul tavolo e attirarsi entrambe le mani sulle labbra per sopprimere una risatina nervosa. “Per i Divini! Forse sta funzionando... non c’è nulla da temere.” Forse poteva davvero tornare a sparare liberamente, come le era sempre piaciuto, e lasciarsi tutto alle spalle per ricominciare. Sentiva il bisogno di fare qualcosa per sfogarsi. “Non Urlare. Non ora”, ma aveva bisogno di farlo.
Si girò verso i barattoli di latta e li guardò a lungo, sovrappensiero, con le mani poggiate sui fianchi, indecisa sul da farsi. “Poi li rimetterò al posto. Soltanto uno, che sarà mai…” Si posizionò ancora una volta davanti ai propri bersagli, quella volta senza alcuna arma tra le mani, rifletté ancora per un attimo su quell’idea, ma fu il suo corpo a decidere per lei.
  Si guardò indosso, osservando la pelle ora nuda e pallida del busto andare a fondersi con le squame argentee degli arti inferiori, sostituiti da due muscolose zampe da rettile. Si mise a far ondeggiare coda, testa e bacino in una sorta di danza e cacciò una risata liberatoria che risuonò quasi malvagia. « Che cosa darei per un po’ di libertà in questo momento… » Chiuse gli occhi e lo rivide.
  Accanto al sepolcro in cui riposava l’antico signore del tumulo, c’era un grande muro che si ergeva a semicerchio, abbracciando il sarcofago, e dal quale si sprigionava una luce azzurra quasi accecante, come un bagliore. Serpeggiava nell’aria e aveva tutta l’impressione di essere una sorta di energia. Ebbe una strana sensazione, era come se quella luce la chiamasse a sé. Veniva dai simboli di un qualche tipo di scrittura runica che riempiva quasi completamente la facciata del muro, incisa nella pietra scura, in una lingua a lei stranamente familiare ma del tutto incomprensibile, e soltanto una parola di essa emanava quell’energia.
Si avvicinò per vedere di cosa si trattasse, per scoprire quale fosse il suo significato… e non appena la sfiorò, la luce la avvolse e poi svanì, come assorbita dal suo stesso corpo. “Che stranissima sensazione.” Dentro di sé, per una qualche ragione, avvertiva una conoscenza sopita che non ricordava di aver mai acquisito prima. Sentiva di poter comprendere quella parola e di saperla pronunciare: “Fus”, pensò. Aveva una gran voglia di gridarla, ma in quel momento non ci riusciva proprio. Cosa c’era che la fermava? Cosa le mancava?
La parola le fece solo eco nel cuore. “Neh stin…”, echeggiò una voce imperiosa, roca e profonda. “Non potremo mai essere liberi.”
   « È un eroe, è un eroe dal cuore guerriero!  », iniziò a cantare Sel con tono grande e valoroso. « Ascoltate, ascoltate, è il Sangue di Drago!  »
  Guardò di nuovo verso i barattoli. Chiuse per una seconda volta gli occhi, gonfiò il petto e urlò: « Fus! », e un’onda d’aria si sprigionò da quell’unica parola, proiettando la sua voce in pura energia, andando a sollevare in aria e con forza tutte insieme le lattine e spingendo più lontano anche qualche frammento di pietra che giaceva a terra, scontrandosi contro la parete di mattoni che stava dietro. L’Urlo, nella sua forma più debole con la pronuncia di una sola delle sue tre Parole del Potere che lo componevano, rimbombò nella stanza come una folata e Sel sperò che non fosse stato udito all’esterno.
  Era sempre una bellissima sensazione, così liberatoria. Era come aver scaricato un peso incontenibile che si portava dentro da molto tempo; “Pensa a come la forza possa essere applicata senza sforzo. Immagina un sussurro che travolge tutto ciò che si metta sulla tua strada…” Si sentiva felice come una bambina.
  Corse a riprendere in mano la prima arma dal tavolo che le capitò sotto gli occhi, ridendo come una matta neanche avesse appena ingoiato cinque pasticche di Mentats o inalato un altro giro di Jet, e cominciò a spostarsela di mano in mano facendole fare dei piccoli balzi, solo per vedere come poteva tornare a maneggiarla. Non le piaceva ancora gestirla in quel modo, ma si sentiva entusiasta almeno per poterlo fare senza quel peso perennemente sulle spalle. Per quanto tempo aveva vissuto nel turbamento, nell’ansia e nel ricordo sconvolgente di quella sera, e tutto si stava risolvendo così, con poco?
   « Il suon della Voce, lo rende un Nord fiero! Udite, udite, è il Sangue di Drago! Dei nemici di Skyrim il fato è segnato! Attenti, attenti, è il Sangue di Drago! Rotta la tenebra, la leggenda è forte! Perché il Sangue di Drago non teme la mor–!  »
Non aveva udito la porta aprirsi dietro di lei, e si era bloccata non appena il tonfo lieve di quando si richiuse giunse alle sue spalle. Sentì i sudori freddi picchiettare sulla fronte: tornò umana e si girò subito indietro per affrontare Fahrenheit.
   « Non è successo niente, giuro! Adesso rimetto i barattoli al posto! E guarda… Riesco a farlo! Posso tenerla in mano senza farmi prendere dal panico… »
Ma la sua voce si spense, non appena realizzò che in realtà non era stata Fahrenheit ad entrare nel magazzino. Quello che venne sotto la luce fu Hancock.
   « Ho mandato Fahrenheit a sbrigare alcune commissioni per me. Non avrebbe dovuto lasciarti sola », brontolò.
   « Oh cavolo, si è sentito da fuori, vero? Perdonami, ma non ho potuto farne a meno. Te lo prometto, rimetto tutto al posto… Se dovessi aver rotto qualcosa, sono pronta a ripagartelo »
   « Sel, ma di che stai parlando? », Hancock sembrava divertito.
Lei lo guardò per un attimo e si calmò, anche se si sentiva un po’ stupida.
   « Davvero? Credevo… Oh. »
Il Ghoul abbassò lo sguardo sulla 10 mm che la ragazza si era precipitata a raccogliere quando era entrato. « Come ti senti a tenerla? »
  Sel era dolorosamente consapevole del fatto che le guance le erano passate dal cremisi al viola-rosso. Era una delle poche cose che le venivano fin troppo spontanee. « … Sto bene. Ho cercato di resettare la mia mente adottando un approccio diverso… sembra che stia funzionando. A furia di utilizzarle, non le collegherò più con quell’evento »
   « Ehi, ma è fantastico! »
Il sorriso di Hancock le estinse una parte della tensione. Lei gli restituì un sorrisetto timido e rimise la 10 mm al suo posto sul tavolo insieme alle altre.
   « Senti… Prima che torniamo da Nick, volevo parlare con te », continuò Hancock, ora con tono serio. Era qualcosa che Sel non gli aveva sentito spesso prima, per cui lo ricambiò perplessa. Lo vide incrociare le braccia sul petto e sospirare. « Riguardo ieri sera. Non avrei dovuto farlo. Era la tua prima volta con il Jet, e io non sono quel tipo d’uomo, che coglie la prima occasione e si approfitta di una donna. »
Le guance di Sel erano già infiammate; bruciavano talmente tanto che dovette concentrarsi nel cercare qualcosa con cui rispondere per placarle.
   « Ehi, va tutto bene, non hai bisogno di scusarti », mormorò tranquilla. « Ad ogni modo, ero talmente fuori ieri sera che ricordo a malapena qualcosa. » Ridacchiò, sforzandosi di sembrare allegra. « La prossima volta dovrei pensarci due volte prima di provare il Jet. »
Hancock scosse contrariato il capo. « No. Ti devo delle scuse. So che un Ghoul, anche uno col mio carisma, può essere… intimidatorio. Non molti vogliono vedere questo brutto muso da vicino, tranne che fare un passo oltre. Non succederà un’altra volta »
   « Io non penso tu sia brutto », scoppiò lei, così di getto ancor prima di pensarci. Ma era quello che pensava davvero.
In un primo momento Hancock sembrò sorpreso del suo sfogo, poi sorrise. « Be’, ma neanche sarei esattamente un Principe Azzurro. Comunque… va tutto bene tra noi? »
  Sel in realtà avrebbe voluto osare dire di più, ma come poteva confessargli che lo desiderava così tanto? Se avesse seguito il proprio istinto, non avrebbe certo esitato anche solo a flirtare apertamente con lui. Annuì accompagnando una blanda risposta « Meravigliosamente »
   « Bene. Tornando a Nick. Sta per andarsene e voleva vederti »
   « Va benissimo. »
Hancock a quel punto districò le braccia e si apprestò ad avviarsi alla porta. Sel lo imitò, e mentre guardava le sue spalle e gli stava dietro, si meravigliò dei propri sentimenti.
  Cos’era che sentiva? Perché si era irritata tanto quando si era scusato? Era felice che avesse dimostrato di essere un uomo di princìpi. “O almeno, di certi tipi di princìpi…” Allora perché si sentiva così delusa? Tutte quelle domande e anche di più la attaccarono da ogni direzione, ma non poté rispondere a nessuna di esse, non in quel momento. Così, per sfuggire alle perplessità e ai dubbi, mosse alcuni passi più rapidi da poter raggiungere l’altezza di Hancock.
   « Sel? », la chiamò il Ghoul poco dopo, e lei quasi trasalì.
   « Sì? », rispose.
   « Canti bene. Hai una bella voce. »
Quel commento la prese completamente alla sprovvista. Non riuscì a trattenere un sorriso smorzato.
   « Oh, ehm… Grazie. »
Seguirono alcuni secondi silenziosi, rotti dal rumore dei loro passi ora leggermente più rilassati. Fu Sel a parlare di nuovo.
   « Così, Nick se ne sta già andando? Peccato, è sempre stato sfuggente quel ragazzo... almeno, per come lo conosco io. Avremmo preso un caffè insieme soltanto una due volte o tre. Ma comunque. È riuscito ad estorcere qualcosa in più a quei tizi che hai in gattabuia? » Vedendolo di sfuggita mentre camminavano, Sel credette di averlo visto sogghignare, evidentemente divertito dal tono ironico con cui lei aveva pronunciato quella domanda.
   « No » rispose poi, dopo una breve pausa. « Sembra che abbiamo già ottenuto tutto quello che potevamo »
   « E adesso cos’hai intenzione di farci con loro? »
Lui si girò e la guardò con uno spaventoso ghigno che solcò il suo volto scheletrico da una guancia all’altra. E Sel rabbrividì.
   « Gli ho rinfacciato la loro stessa merda. Poi gli ho sparato alle palle prima di fargli saltare il cervello. »
Solo allora, non appena gli fu più vicina, Sel notò che la camicia ingiallita che indossava sotto la redingote, presentava delle macchie fresche di un rosso acceso sulle maniche. Hancock guardò di nuovo verso la ragazza quando notò che non stava più camminando insieme a lui, scoprendo come le sue palpebre era spalancate:
   « Andava fatto », giustificò duramente. « Hanno ottenuto esattamente quello che stavano cercando. E sono più che contento di essere stato io a darglielo. »
  Sel non rispose. Non era stato l’atto di Hancock in sé ad averla sconvolta, visto che lo avrebbe fatto pure lei al posto suo: era stata la sua espressione ad averla turbata. Oltre a quel ghigno, i suoi occhi avevano trapelato una rabbia sorda mista a un sadico divertimento. Aveva appena confessato di esserne contento, e sinceramente… lei lo aveva adorato.
  Giunsero alle porte di Goodneighbor, dove Nick Valentine li stava aspettando. « Stavo cominciando a credere che non ti avrei più rivista per salutarti » sorrise, alludendo a Sel. « Mi spiace di non essere stato utile quanto speravo. Hancock aveva già fatto un lavoro abbastanza approfondito con quei tizi. Anche se, in tutta onestà, avrei preferito organizzare un trasferimento per loro al carcere di Diamond City… », considerò scrutando verso Hancock.
Lui scrollò le spalle, chiaramente disinteressato dalla questione. « Ti ho risparmiato un paio di cellette », commentò.
   « Ed è proprio quello che hai fatto », rispose Nick, dando un po’ di acutezza nella voce. « Ad ogni modo, manterrò la mia promessa e terrò gli occhi aperti sulla tua amica, Sel. Manderò anche la sua descrizione ai miei contatti più fidati. Vediamo se qualcuno l’ha individuata o ha sentito qualcosa »
   « Mi spiace solo non poter averti detto di più », disse lei.
   « Beh, ho svolto lavori con meno indizi. “Facile” e “semplice” non fanno parte del mio vocabolario. Tuttavia, anche se non voglio che tu perda la speranza, devo farti capire che… »
   « Sì, lo so », ma dovette interromperlo lei. Non voleva sentirlo, nonostante sapesse esattamente cosa stava per dire. « Ma non posso fermarmi. Io voglio credere che sia viva. Devo, Nick. Non posso fermarmi soltanto di fronte a delle ipotesi. »
  Lo sguardo di Valentine era triste, ma continuò a sorriderle in maniera confortevole. Sollevò la mano metallica e la poggiò sulla spalla della ragazza: era la prima volta da quando lo conosceva che la toccava, dandole una leggera stretta. Sel scoprì che le piaceva quel tocco e desiderò che vi fosse rimasto più a lungo. Nick aveva sempre avuto un modo così piacevole di comportarsi e di parlare. Ma poi la lasciò andare e fece un cenno a Hancock, tirando all’insù le labbra.
   « Sta’ attento là fuori, Valentine. E porta qui il tuo culo di metallo più spesso », gli diede una pacca sulla schiena.
Valentine si pizzicò il bordo del cappello di feltro. « Ci vediamo in giro, Hancock. »
La porta arrugginita scricchiolò quando l’uomo la varcò, la sua giacca logora da detective trascinata dal vento.




Angolo dell'autrice:

Ciao a tutt*! Eccomi di nuovo!
Avevo previsto che avrei slittato di almeno un paio di settimane con la pubblicazione, e invece le settimane sono diventate mesi... e credo che per un po' sarà così. Ad ogni modo, spero che vi piaccia il nuovo capitolo <3 alla prossima! 

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Capitolo 7
*** Salvalo ***


Erano trascorsi cinque giorni da quando Valentine se n’era andato, poi altri due da quando Sel aveva finalmente ripreso a sparare regolarmente, anche con le pistole. Hancock era stato lì con lei, interpretando il ruolo di un papà orgoglioso come nel giorno in cui la sua bambina aveva imparato ad andare in bicicletta senza l’aiuto delle ruotine di sostegno. Eppure, con ogni giorno trascorso, i pensieri di Sel si erano fatti sempre più confusi.
  Hancock sembrava aver preso un po’ più le distanze tra loro, chiedendo di solito a Fahrenheit di aiutarla e di seguirla con il suo allenamento e le poche volte che Sel lo vedeva si comportava come se nulla lo preoccupasse realmente. Certo, stava ancora lavorando con durezza per smantellare il traffico di schiavi, ma non sembrava essere quello il suo unico problema.
  I suoi uomini erano riusciti a salvare in tempo i due Sintetici Gen 3 di cui avevano sentito parlare all’asta nei giorni addietro e che gli schiavisti avevano cercato di contrabbandare a Goodneighbor. I Sintetici in questione erano stati poi consegnati alla fazione segreta dei Railroad, in accordo con Hancock, promettendo di accudirli e di portarli in salvo mentre invece gli incursori erano stati interrogati ed eliminati quando non avevano fornito nulla di nuovo. E inoltre Hancock aveva mantenuto la sua promessa nel trovarle qualcosa da fare per tenersi occupata; così, quando ce n’era bisogno, Sel lavorava come assistente al Daisy’s Discounts, aiutando la proprietaria a mantenere in ordine il magazzino e a gestire il negozio quando era intenta a riorganizzare l’inventario.
  Daisy era meravigliosa, così spontanea e loquace, era una di quelle persone che facevano mettere subito a proprio agio e che davano l’impressione di conoscerle da sempre. Era una Ghoul di quasi duecentosettant’anni: a differenza di poche altre persone, lei non era stata inclusa nel programma di “salvataggio” della Vault-Tec e per cui si era ritrovata abbandonata in superficie, con le radiazioni a colpirla incessantemente e che l’avevano lentamente trasformata in Ghoul. Parlando insieme scoprirono che entrambe avevano una passione per la lettura, così Daisy le raccontò di quando da bambina trascorreva molto tempo nella Biblioteca Pubblica di Boston.
  Poco a poco, Sel cominciò a sentirsi a casa. E forse, quella volta, aveva davvero trovato in Goodneighbor il proprio luogo ideale. Daisy trovava in Sel una piacevole compagnia oltre che un’assistente fantastica per la bottega, mentre Sel aveva finalmente trovato il metodo più adatto per sfruttare in parte le proprie capacità fisiche: trasportava al meglio scatole e scatoloni per riporle in magazzino, teneva lontani i parassiti dall’edificio e trascorreva il tempo in una forma più diversa dalla solita routine. Tanto nessuno, a Goodneighbor, faceva caso al fatto che adesso sembrava una strana creatura umanoide con tratti misti rettiliani, uscita da chissà quale racconto di fantascienza. Al massimo riceveva qualche commento eccitato o qualche complimento. Soltanto una volta una reietta le aveva detto sarcastica: « Ma guarda, l’ennesimo fenomeno da baraccone che non sapeva dove andare. E adesso abbiamo pure il Sangue di Drago del Commonwealth tra di noi. », tuttavia con intenzioni bonarie. Ma Sel non l’aveva comunque presa bene, non le piaceva sentirsi definire “fenomeno da baraccone”, se l’era già sentito dire un sacco di altre volte e mai con fini amichevoli.
   « Non chiamarmi in quel modo. Non lo fare mai più », le aveva ringhiato offesa. « Io non sono un qualche scherzo della natura, o di un qualche laboratorio sperimentale… »
  La donna aveva alzato le braccia. « Ehi amica, tranquilla, era soltanto un complimento. Nessuno vuole giudicare nessuno. Qui sei la benvenuta, Sangue di Drago », le aveva risposto con calma per poi togliere il disturbo.
  Quel pomeriggio Sel era nel magazzino di Hancock. Mostrò a Fahrenheit come utilizzare l’arco, bersagliò un manichino con i tonfa e sparò a delle lattine, il tutto sotto l’occhio vigile della donna. Stava migliorando in fretta nell’uso delle pistole, e Fahrenheit le era stata di grande aiuto con la propria esperienza.
   « Penso che dovresti provare anche con qualcos’altro », considerò infine, quando Sel caricò per l’ennesima volta la .44 modificata con una nuova serie di proiettili. « Da quanto tempo non spari con i fucili? »
  Sel ci ragionò su, facendo mente locale. « Be’, ecco… mi è capitato di sparare con delle armi raccolte in giro, forse l’ultima volta è stato alcuni mesi fa. Non so quanto potrei essere arrugginita, ma di sicuro so cavarmela ancora con quelli di precisione. » Vide Fahrenheit reggere un fucile lungo e sottile, in maniera che Sel potesse vederlo da diverse angolazioni. « Be’… wow. Un fucile da caccia a canna lunga », esclamò.
   « Già. Ha un caricatore grande, ma questa è soltanto una modalità base. Per rincominciare e tornare a tuo agio credo che possa adattarsi perfettamente a te. Ha una buona gamma e precisione, ma il rinculo è ancora molto pesante »
   « Nessun problema. Posso fare un tentativo. »
Posò la pistola e raccolse l’arma che le passò Fahrenheit. Avvertì il cambio di peso, ma per la forza che Sel possedeva, superiore a quella umana, continuava a sembrare piuttosto leggero.
  Mentre si apprestava a collaudare il fucile, vennero interrotte da Hancock che entrò nel magazzino con un’aria a cavallo tra il seccato e il rilassato. Salutò entrambe e si rivolse alla sua guardia del corpo: « Ho bisogno che tu raduni degli uomini e controlli sulle attività di Bobbi Senzanaso. Penso che stia combinando qualcosa, e questa volta ho la sensazione che finalmente farà qualcosa di più stupido delle altre. »
Continuarono a scambiarsi parole per qualche altro minuto, poi lei annuì, esortò alla ragazza di “mettersi comoda” con il suo nuovo fucile e sparì.
Sel in realtà si sentiva parecchio nervosa; era passato qualche giorno dall’ultima volta che era rimasta da sola con il Sindaco di Goodneighbor, ed era ancora troppo persa nel capire ciò che provava di preciso nei suoi confronti per potercisi sentire a proprio agio. Si era ritrovata spesso a pensare a lui, ma averlo lì vicino, in quel momento, le fece anche rendere conto di quanto le mancasse la sua compagnia.
Hancock si accese un mozzicone di sigaretta e si avvicinò a lei, sorridendole rilassato mentre se lo teneva tra le dita.
   « Un fucile, eh? Ricordo che mi hai detto di saperli usare »
   « Sì, ma ad essere sincera ormai è stato un po’ tempo fa. Non sono sicura delle mie capacità in questo momento, dovrei solo riprenderci la mano. Fahrenheit mi ha suggerito che dovrei provare. Essendo Ricognitore, quando dovevo utilizzare delle armi da fuoco di solito mi affidavano armi un po’ più pesanti. Con questo, non voglio certo lamentarmi »
   « Fammi un po’ vedere… », Hancock afferrò il fucile che lei timidamente gli passò e si mise ad esaminarlo, con la sigaretta che pendeva dall’angolo bocca. Sel studiò la linea grigia di fumo che si agitava verso l’alto ed evitava il suo tricorno.
   « È messo abbastanza bene », osservò il Ghoul dopo alcuni istanti. « Ed è già carico. Dài, ti aiuto a provare. »
Senza aspettare la sua risposta le restituì l’arma, scartò la sigaretta ed entrarono insieme nel poligono di tiro. Sel lo sollevò e appoggiò l’occhio sul mirino. L’impugnatura e la posizione erano ancora ottime, e se lo fosse stato anche la mira non avrebbe avuto difficoltà a riprenderci presto l’abitudine.
   « Qui », ordinò Hancock dietro di lei. Prima che Sel ne accorgesse, fu talmente vicino alla sua schiena che se si fosse spostata di un pollice si sarebbe praticamente ritrovata appoggiata contro il suo petto. « Fai attenzione, se sposti il calcio anche di poco potresti spezzarti la clavicola »
   « Lo so » rispose Sel, sicura e apparentemente tranquilla. Non le andava di fare ulteriori figuracce. « Era così che tiravamo, come cecchini. Massima stabilità e precisione. Se sbagliavamo, almeno ce ne ricordavamo. » Udì Hancock emettere un lieve risolino, poi lo vide portare le mani in avanti, sopra quelle della ragazza.
  “Merda.” Il cuore di Sel batteva talmente forte che presto le avrebbe potuto sfondare lo sterno. Le sue mani cominciarono a tremare, e non era per l’arma.
   « Stai bene? O vuoi smettere? », fece Hancock.
Non si era mosso, ma Sel sentì chiaramente la sua voce profonda e roca proprio accanto all’orecchio. Inghiottì e si costrinse a far rimanere le proprie mani ferme e concentrate. Non aiutò molto. « No, sto bene. Voglio farlo », rispose.
   « Ok, allora continuiamo. Mi raccomando, guancia salda contro il calcio. Ti aiuterò con il rinculo appena arriverà, se dovesse servire. Ora… obiettivo. »
Era un po’ disorientante impugnare nuovamente un fucile in quel modo dopo tanto tempo, figurarsi farlo con Hancock mentre era praticamente tutt’intorno a lei. Aveva dei buonissimi motivi per rendersi nervosa, non si preoccupava affatto del rinculo, piuttosto si sentiva un po’ limitata ma cercò di seguire il suo esempio; si ricordò di quando si era ritrovata in quella medesima posizione la prima volta che aveva sparato con un fucile, solo che al posto di Hancock c’era stato il suo istruttore.
   « Quando ce l’hai, fai un respiro leggero, fallo uscire e… stringi. »
Il momento in cui schiacciò il grilletto e il proiettile colpì il muro di mattoni dietro i barattoli di latta fu solo una frazione di secondo, ma la mente di Sel registrò tutto ciò che accadde nello stesso identico istante. L’improvviso colpo del calcio contro la sua spalla la sorprese, non se lo ricordava così violento, nonostante avesse cercato di esservi preparata. O forse era l’arma a non possedere un calcio sufficientemente stabile per come era abituata lei. Le spinse tutto il busto contro il petto di Hancock e lui aumentò la presa sulle sue mani dandole un supporto, pronto anche a sfilare via il fucile se necessario. Sel avvertì l’effetto del rinculo ovunque, dalle dita dei piedi alle punte delle mani. Le procurò un leggero colpo di adrenalina che iniziò a circolarle nelle vene e la fece rimanere quasi senza fiato. Erano mesi che non si sentiva così e ne rimase eccitata.
   « Tutto bene? », Sel poté chiaramente sentire il sorriso nella sua voce anche se non poteva vederlo.
   « … Alla grande. Wow. Che cosa mi ero dimenticata », gemette, la voce incrinata dall’emozione. Cercò comunque di mantenere un tono fermo, senza lasciar trapelare troppo il nervosismo.
   « Sei ancora bravissima, Sel. Guarda… » Spostò avanti lo sguardo dove lui puntava il dito e vide che il proiettile aveva mancato di un pollice il barattolo. « Ti riabituerai al rinculo in fretta, devi solo continuare ad esercitarti. » Le stava ancora aggrappato addosso e ciò le stava causando un grande imbarazzo… ma doveva anche ammettere che le piaceva.
   « È strano. Sento le braccia che si stanno già affaticando », mormorò. In realtà sapeva molto bene qual era il motivo.
Passati alcuni secondi, forse per esitazione, Hancock scoppiò a ridere e finalmente la lasciò andare. Sel abbassò le braccia e con meraviglia scoprì quanto si erano indolenzite nel sorreggere il fucile, sia per il tremito prolungato sia per la sorpresa dell’aggressività del rinculo.
   « In realtà ero venuto a vedere come stavi. E poi avevo in programma di andare a sbronzarmi un po’ al Terzo Binario. Penso che un Sindaco se lo meriti, ogni tanto »
   « Oh sì, il locale anche dove… »
   « Sì. Non so quante altre volte ci sei stata, ma posso assicurarti che è un buon posto, non avevano la minima idea di cosa stesse succedendo », si affrettò ad aggiungere per rassicurarla, poi pescò una sigaretta nuova dalla tasca.
   « Sì, ci sono stata poche altre volte. » Andò a riporre il fucile da caccia su uno dei tavoli addossati alle pareti e si strofinò la spalla leggermente dolorante per massaggiarla. Si sentiva come se avesse avuto bisogno di un drink per tirarsi su. Fosse stato birra o idromele, tanto meglio. « Posso venire con te? », gli propose.
  Se ripensava alla sua infanzia, alla sua vita nella colonia e poi nell’esercito, sembrava qualcosa di più simile a una storia che aveva letto in qualche libro.
  Hancock soffiò una nuvola di fumo e sorrise, prima di rispondere. « Come potrei dire di no a un bocconcino come te? »
 
~
 
Dopo aver chiuso il magazzino si diressero alla vecchia stazione della metropolitana. Il cielo parzialmente grigio era tinto dei bei colori caldi del tramonto. Il Terzo Binario non sembrava più sinistro come Sel lo aveva visto l’ultima volta, quando ce l’avevano portata gli schiavisti; ancor prima di cominciare a scendere le scale udì la melodiosa voce della cantante jazz diffondersi nel tunnel. Ogni volta era un suono che scaldava il cuore, distinto da quell’accenno sensuale.
  Il locale era già affollato. Sintetici, Ghoul e umani erano seduti attorno al bar o sparsi per tutta la sala che un tempo aveva ospitato una delle postazioni per chi aspettava l’arrivo del treno. Era immerso in una luce ombrosa, ma c’erano abbastanza candele e lampadine al neon che ne illuminavano l’aria nebbiosa, aromatizzata dalle ceneri dei sigari e delle sigarette, dai liquori, dai vecchi divani e dalla sporcizia, dal sudore e da un sottotono di arrugginito. Era uguale a sempre, in poche parole.
  Hancock scambiò qualche parola col vecchio Whitechapel Charlie, il Mister Handy scorbutico e brontolone che gestiva il locale (e che, apparentemente, lavorava anche per Hancock e teneva d’occhio la situazione). Dopo averci condiviso alcune risate ruggenti si fece passare una bottiglia di whisky dal bancone. « Vuoi qualcos’altro? », il robot si voltò a guardare Sel. « Il whisky qui è decente. »
Forse non l’aveva riconosciuta, o forse stava ancora semplicemente al suo gioco. « Hai ancora l’idromele? », gli chiese.
Charlie la zittì con i suoi sensori visivi, si girò e afferrò una bottiglia dall’aspetto vago da un ripiano in alto dello scaffale. « Abbiamo birra. E se non ti piace la birra, allora non ti piace niente… Ecco qui, dolcezza. Ci conosciamo, per caso? »
Sel abbozzò un sorriso smorzato. « Forse. »
Charlie ridacchiò brevemente e le offrì la bottiglia. « Non vieni spesso, eh? Sappi comunque che qui la birra ha sempre lo stesso sapore. Di merda. »
   « Quanto ti devo? »
Il robot grugnì. « I tuoi soldi non sono accetti, qui. Il signor Hancock beve gratis, va bene? Ora, se vuoi scusarmi, ho altre faccende da sbrigare », borbottò, tornando poi ad occuparsi degli altri clienti.
  Si sedettero ad un tavolo appartato e Hancock versò da bere a entrambi. O meglio: riempì il bicchiere di Sel fino all’orlo, mentre lui si attaccò direttamente alla bottiglia.
   « Quindi, non stavi scherzando quando hai detto che ti avrebbero fatto pressione », considerò divertita Sel dopo che ebbe buttato giù il primo sorso.
  Hancock le sorrise, ma si vedeva che il suo era un sorriso stanco. Si reggeva distrattamente la testa tenendo il gomito appoggiato sul piano del tavolo, la guancia nel palmo. « Non sempre è divertente essere Sindaco. » Ma subito si lasciò andare in uno sbuffo sarcastico. « Cazzo, non è vero. È divertente. Ma è anche stancante affrontare tutti i giorni i coglioni di cui ti ritrovi circondato. E adesso credo anche che qualcuno, che ha serbato rancore nei miei confronti per anni, abbia finalmente perso la testa... Ma per te questa storia è già abbastanza, per adesso. Raccontami del mondo prebellico. »
  Sel buttò un’occhiata attorno, ma sembrava che nessuno fosse interessato a volerli disturbare. Inoltre la bella voce della cantante e la musica erano sufficienti a creare una piccola bolla sopra di loro. Così cominciò a parlare di com’era la vita delle persone di allora; gli raccontò di come appariva il mondo, verde e tranquillo, gli disse di come funzionavano le automobili, gli parlò degli svariati tipi di lavori che c’erano, dell’andamento normale delle scuole. Gli parlò anche della Cittadella, la sua casa natia, e gli accennò qualche avventura vissuta mentre era ancora una Vigilante, nonostante Nora le avesse sempre sconsigliato di parlarne ad altri a meno che non fossero dettagli indispensabili.
   « Mh... krosis. Alla fine, era una vita noiosa dove non succedeva mai nulla di interessante », esalò una risatina nervosa e di mortificazione per essere stata così logorroica. « Ma io la amavo »
   « A me sembra un’utopia », grugnì Hancock mentre si raddrizzava sul sedile per stirare la schiena. « È difficile pensare che qualcosa del genere sia mai esistito, qui. »
Sel non poté fare a meno che trovarsi d’accordo. « L’America del 2077 era una terra con una tecnologia incredibilmente avanzata... e un tessuto civile terribilmente deteriorato. Le persone normali sognavano solo una cosa: una vita pacifica e tranquilla. Quello che hanno ottenuto è stata la catastrofe nucleare. Oggi devi essere sempre in movimento, se vuoi sopravvivere. E di certo è un qualcosa che ti tiene la mente perennemente occupata. I problemi di allora non ci sono più, e a ripensarci adesso erano davvero così superflui. Ma mi manca il mondo prima della guerra. La pace. Il verde. I colori... il pulito. Non c’era niente che tu prendessi in mano per poi vedertelo frantumare sotto le mani. »
La sua voce venne sotterrata da un chiassoso applauso con tanto di fischi, facendole capire che l’orchestra aveva terminato di suonare.
   « Proprio così, Goodneighbor! Sono io la vostra star, huh. Una pausa veloce e torniamo subito », annunciò la cantante.
  Hancock intensificò lo sguardo e allungò le labbra in un sorriso più dolce. « Mi piace come ne parli. Lo senti ancora molto tuo, vero? »
  Sel sospirò e posò lo sguardo sul bicchiere ancora a metà. « È passato tanto tempo, e ho vissuto ogni singolo giorno da allora. Ma è come se non se ne fosse mai andato veramente… »
   « Nostalgia di casa, eh? Certo, non posso biasimarti. Ma adesso che sei qui, come lo trovi il Commonwealth rispetto alla tua vecchia vita? », le domandò a quel punto Hancock, interessato.
  Lei ci rifletté per un attimo prima di rispondere. « Non si possono paragonare. Il mondo qua fuori? Hah! Non è neanche lontanamente simile a quello che ho lasciato… »
  Un’ombra improvvisa la coprì, facendole rialzare lo sguardo per affrontare un’affascinante donna con straordinari tratti sottili e classici, ferma in piedi accanto al loro tavolo. Aveva i capelli lisci di un nero opaco, lunghi fino ad accarezzarle le spalle. L’abito rosso che indossava sembrava dipinto su di lei e le risaltava le curve.
   « Ah, John Hancock. Avevo iniziato a pensare che ti fossi dimenticato di me », ridacchiò con evidente modestia.
Sel la riconobbe.
   « Tu sei Magnolia? Sei incredibile » disse, con tono quasi struggente. « Adoro il jazz. »
La donna le rivolse un sorriso raffinato e stese elegantemente la mano snella verso di lei.
   « Oh, grazie. Faccio del mio meglio, splendore. Goodneighbor ispira un certo tipo di musica. Ma tu hai dei bellissimi capelli! Come fili d’ebano… », cinguettò. Sel le prese la mano con un tocco leggero, come se avesse retto un preziosissimo fiore, sfiorandola poi sulle dita con le labbra.
   « … Mh, l’arte della seduzione e il fascino dei Sangue di Drago è inconfondibile. E leggendario. Mi fa piacere che ti piaccia il mio canto »
   « Non avevo mai sentito quei brani. Chi li ha scritti? »
   « Io », disse Magnolia con la sua voce velata. « Canto solo pezzi originali. Salvo qualche eccezione. C’è anche qualcos’altro di speciale in te, vero? Non dirmelo, fammi indovinare... Ah, ho capito. Sono le tue mani. Si muovono anche quando non pensi, vero? E vedo che sai anche usarle molto bene. » Ridacchiò ancora. « Hai anche il classico atteggiamento di chi sa di essere a un livello superiore... C’è qualcosa di così irresistibile nell’intelligenza, non credi? Hancock, non mi avevi ancora detto di quanto fosse splendida e adorabile la tua protetta. »
Lui si appoggiò allo schienale, arricciò le dita attorno all’altra mano che la donna aveva ora allungato nella sua direzione e la baciò brevemente.
   « Come potrei farlo, quando la tua bellezza supera ogni cosa mai vista », sorrise e guardò Sel. « Senza offesa, dolcezza. La nostra Magnolia ama solo essere lodata, ma lo sa che esagero sempre »
   « Oh, ma smettila! » Magnolia fece finta di mettere il broncio e gli diede una leggera pacca sulla spalla. « Allora, cosa porta una donna come te in questa parte della città? »
   « Beh... La musica! », sorrise Sel.
   « Oh, l’arte dell’adulazione », ridacchiò Magnolia per un attimo. « Credo che tu e io andremo molto d’accordo. E adesso scommetto che tocca a me rispondere alle domande, giusto? »
   « Se non hai nulla in contrario, ovviamente. Come sei finita qui a Goodneighbor? »
   « Oh, splendore. Sono arrivata qui come un usignolo, sospinto da un forte vento e con un’ala ferita... Questo posto aveva un palco, io avevo bisogno di cantare, e Whitechapel Charlie aveva bisogno di clienti. Ed eccoci qua »
   « Immagino che Charlie sia qui da molto tempo... »
   « Non parla spesso del suo passato, huh » ridacchiò. « E neanche io. Forse è per questo che andiamo d’accordo. Lo conosci? Se ancora non lo hai fatto, dovresti. Ma prima ordina da bere. Gli piace parlare di affari dopo qualche drink. C’è altro che vuoi chiedermi? »
   « Sono semplicemente curiosa. Chi eri prima di tutto questo? »
Magnolia ridacchiò con modestia. « Vuoi davvero saperlo? È tutto nelle canzoni. C’è tutta me stessa » rispose, con un tono tanto velato da suonare misterioso.
  Sel deglutì e rimase in silenzio, mentre Hancock e la donna si mettevano a parlare con piacere. Guardando nel proprio bicchiere, non poté fare a meno di sentirsi un po’… gelosa? Era davvero quello che era?
  Era stata così presa alla sprovvista da quella consapevolezza da rimanerne profondamente turbata, tanto che si alzò, si scusò e salì in bagno. Si chiuse la porta alle spalle e guardò verso i tre cubicoli rimasti – il quarto era solo un cumulo di macerie che nessuno si era occupato di togliere o di riparare. Si avvicinò a uno dei lavandini e si riflesse nello specchio.
Si guardò bene. Sì, era sempre la stessa vecchia immagine che vedeva e conosceva da prima della guerra. Ma allo stesso tempo, era anche un’immagine diversa: da nessuna parte si avvicinava alla faccia che aveva visto ogni giorno da quando era uscita dal Vault. I suoi occhi erano più guardinghi, quasi si avvicinavano a quelli da predatrice che mostrava quando era nella forma ibrida. Quegli occhi che una volta parlavano tanto e che poi si erano spenti col passare del tempo. In quel momento, a Sel parve che quegli occhi potessero di nuovo raccontare qualcosa, e nel suo cuore la scintilla di speranza si fece più viva. La sua pelle si stava sempre più screpolando, irrigidendo, scolpendo, anche se a uno sguardo esterno era ancora a livelli praticamente nulli.
  Notando dell’acqua pulita in un secchio appoggiato accanto al lavandino si sciacquò il viso, e si rese conto che ci impiegò un attimo di più affinché i suoi occhi si adattassero. “Wow. Soltanto una settimana a Goodneighbor e sto già perdendo lo smalto…”
  Non era sbronza. Le ci sarebbero volute almeno tre bottiglie piene di liquore forte anziché tre miseri bicchieri di birra e whisky per poter cominciare ad essere brilla, rispetto agli umani. Non si accorse neanche della porta alla sua destra che si apriva, da tanto era presa dal filo dei propri pensieri.
  Lasciò spazio alla focosa e seducente figura di Magnolia. I suoi occhi blu e quelli della ragazza dal sangue di drago si incatenarono attraverso lo specchio, poi la donna le fece un mezzo sorriso e avanzò verso di lei muovendosi con eleganza.
   « Sei in forma, eh? » Tirò fuori un rossetto dalla sua borsetta e incominciò ad applicarlo con tratti elaborati sulle labbra sottili. « Hancock ti adora davvero molto, lo sai? Lo conosco piuttosto bene. Perciò posso capire quando gli piace ciò che vede »
   « Tu e lui siete molto intimi? Sei, come dire, la sua... amante? », le domandò Sel, così di getto.
Magnolia le lanciò un’occhiata smarrita, in un primo momento, poi scoppiò in una risata. La sua voce echeggiò nell’intera stanza. « Ah, tesoro! Siamo troppo simili per poterci rendere felici gli altri… » Abbassò la mano e si volse verso Sel con un sorriso disarmante. « È un vecchio, caro amico. Perciò… non hai nulla di cui preoccuparti. »
Quando le guance di Sel si tinsero di cremisi lei ridacchiò di nuovo, chiaramente deliziata dalla sua reazione.
   « Ohh, ma che visetto adorabile... Avevo ragione, allora! »
   « Cosa? » Sel girò perplessa la testa verso di lei, e quel gesto fece scaturire risate ancor più acute nella donna. Magnolia finì di sistemarsi il rossetto e lo ripose nella borsetta. « Sei una ragazza così dolce per essere un Sangue di Drago. E così innocente... Sei innamorata di lui, vero? »
Se fosse stato possibile, il volto di Sel avrebbe anche potuto incendiarsi da quanto scottava, intanto che cercava di trovare qualcosa con cui difendersi.
   « Io?… Io non lo sono… », cominciò a balbettare, ma poi la sua espressione si fece allo stesso tempo agitata e interrogativa nel prendere coscienza di ciò che aveva appena inteso Magnolia. « … Lo sono? »
Lei le poggiò una mano sulla spalla, e Sel alzò lo sguardo per guardarla: il sorriso che la investì era sinceramente caldo. E in quel momento, mentre erano così vicine, notò anche che c’era qualcosa di diverso nei suoi occhi… e capì che era un Sintetico. Uno ben fatto, di quelli organici di terza generazione e probabilmente lei neanche lo sapeva, ma Sel era abbastanza attenta da riconoscere che la sua luce non era ancora abbastanza umana. « Temo di sì. E sono molto felice per lui, perché esiste qualcuno che riesce a vedere oltre quel suo rude aspetto da Ghoul. Molte donne lo trovano irresistibile, attraente, ma alla fine non possono gestite l’intero pacchetto. Lui... è troppo per loro. Spero con tutto il cuore che tu dimostrerai di essere diversa da quel tipo di donna. »
  Vide Sel aprire la bocca, ma non trovando ancora nulla con cui controbattere la richiuse quasi subito dopo. Doveva essere sembrata un pesce rosso. Quella donna era davvero disarmante.
  Magnolia si passò le dita tra i capelli e si aggiustò il vestito. « Sarei contenta anche solo se finalmente avesse trovato qualcuno che lo salvi », aggiunse.
   « Cosa? », si accigliò ancora Sel. « Che intendi? »
Ma non ottenne alcuna risposta. Magnolia si limitò ad alzare le spalle, quindi si girò e con tutta calma tornò verso la porta, mettendo con eleganza i piedi uno avanti all’altro, echeggiando con i tacchi sulle mattonelle. Si fermò solo una volta, voltando leggermente indietro la testa per far sì che Sel potesse scorgerle i lineamenti raffinati del profilo.
   « Lo sai cosa intendo. Lui è Hancock, e tu il Sangue di Drago. Ha bisogno di te più di quanto tu abbia bisogno di lui. Ha bisogno di un rifugio sicuro, e tu ne sei la detentrice. » Dopo aver pronunciato quelle parole, si girò un po’ di più per mandarle un bacio alla “Jessica Rabbit” e la lasciò sola.
Sel versava in uno stato confusionale più di quanto non lo fosse prima di entrare in quella stanza, e come neanche lo era mai stata in vita sua fino a quel momento. E pensare che era venuta nel bagno per cercare di schiarirsi le idee, mentre adesso si sentiva terrorizzata perfino solo a pensare di dover tornare di sotto.




Angolo dell'autrice:

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Capitolo 8
*** Nel vicolo ***


Dovette farsi coraggio per tornare al bar. Sbirciò nella sala, nascosta dietro una colonna in fondo alle scale, e scorse Hancock ancora seduto al loro posto che si era messo a conversare con un Ghoul con una coppola verde. Si stava torturando un poco le mani dal nervosismo, poi si decise a muovere prendendosi anche parecchio tempo.
  Quando la vide avvicinarsi, fece un cenno all’uomo per fargli notare di essere sulla sua strada e allungò gli angoli della bocca per formare un sorriso felice. « Ehi, sei tornata. Stavo pensato di mandare qualcuno a vedere se per caso eri svenuta là dentro. »
Sel notò che la bottiglia di whisky mancava poco nell’essere vuota.
   « No, sono stata brava... »
Si risedette di fronte a lui sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e allungò la mano con l’intenzione di ingoiare il resto di quello che le rimaneva nel bicchiere. Ma Hancock fu più veloce e glielo riempì di nuovo. Sel alzò uno sguardo a metà tra la sprovvista e il divertito su di lui, e insieme scoppiarono a ridere. Magnolia era tornata sul palco e aveva ripreso a cantare, riaccendendo la sala con lo scorrevole jazz.
 
Took a walk out in The Fens,
had a talk with a man about some chems
He asked me what’s your flavor
I said I need a favor
I’m a little short on caps but I’m a good good neighbor…
 
Sel stava cominciando a calmarsi, ma le parole di Magnolia echeggiavano ancora nella sua testa.
Aveva affermato che era innamorata di Hancock. “Ma è davvero amore, o è soltanto un istintivo bisogno lussurioso?”, rifletté poi. Non poteva completamente escludere quella seconda ipotesi. Sel non era estranea all’amore, ma l’amore che aveva sempre vissuto non era amore romantico, quello che faceva sentire le farfalle nello stomaco. Nella sua vecchia vita aveva frequentato molte persone, Sangue di Drago e umani, che il più delle volte non erano state altro che semplici avventure. Non si era mai innamorata di nessuno, e francamente si riteneva una persona che difficilmente poteva perdersi in un sentimento simile; questo perché forse non sapeva come si sarebbe potuta sentire, o se lo sarebbe mai stata, cosa avrebbe potuto provare dentro di sé, se avrebbe sentito anche lei le farfalle nello stomaco oppure no, o se semplicemente non aveva ancora trovato la persona giusta che le facesse aprire il cuore in quel modo.
Ciò però non significava che non ci avesse mai pensato: si era domandata spesso come ci si sentisse quando si è innamorati, era una di quelle cose su cui si ritrovava molte volte a meditare. Tutti quelli che si erano innamorati di lei li aveva respinti, o forse si era solo trattato del sovente amore platonico, ammirazione, desiderio, venerazione, stima. Forse adesso aveva finalmente scoperto di poter riuscire ad amare in modo romantico qualcuno, e forse quello stesso qualcuno amava lei… Allora perché se ne sentiva così turbata?
  Guardò l’orologio appeso sopra al bancone e vide che si stava facendo tardi. O era ancora presto, a seconda di come voleva metterla. Aveva buttato giù un bel po’ di alcol, ma non poteva ancora dire che era giunto il momento di fermarsi per questioni di lucidità: la sua vista era perfettamente chiara, ciò di cui che al limite avrebbe potuto risentire era la stanchezza accumulata durante la giornata.
  Mentre era immersa nei propri dubbi, la stanza sembrò estraniarsi e la voce di Hancock si stava in qualche modo offuscando; a un certo punto lui dovette notare la sua distrazione, si sporse in avanti e la scrutò, aggrottando anche le sopracciglia prive di peluria.
   « Cosa fai lì da sola? Non ti mangerò. Vieni a sederti qui accanto a me. »
Lei provò a rifiutare, ma il Ghoul insistette picchiando anche una pacca sul posto vuoto che aveva al fianco, fino a quando Sel non cedette.
   « Bene... » sospirò, alzandosi per cambiare postazione.
Non appena gli fu accanto lui non perse tempo ad allungarle il braccio dietro, facendolo scorrere in modo che potesse posare la mano sulla sua spalla più esterna. « Scusa » disse, ma in realtà non ne sembrò neanche lontanamente dispiaciuto. « Mi piace rilassarmi in questo modo. »
  Forse Hancock si sentiva anche immerso nel più totale relax in quella posizione, ma non lei. Quando almeno tre canzoni trascorsero e Magnolia si prese una pausa, le spalle di Sel si erano irrigidite da quanto erano tese; se ne stava seduta tutta composta, con schiena dritta e le mani infilate tra le cosce, a pregare che il tempo scorresse alla svelta. Poi finalmente Whitechapel Charlie annunciò di essere in chiusura, e Sel se ne sentì salvata.
   « Aww, andiamo! Di già? », protestò Hancock.
   « Conosci le regole, Sindaco », rispose Charlie avvicinandosi. « Me l’hai detto tu stesso »
   « Sì, sì », agitò la mano e cercò di sollevarsi, ma di nuovo crollò sul sedile e ridacchiò brevemente, prendendo in giro le proprie stesse condizioni. « Merda… Mi dai una mano, vero? » Quasi come avesse appena ricevuto un ordine, Sel si alzò in piedi e si girò con l’intenzione di allungare le braccia verso l’uomo, ma lui la afferrò per una mano.
   « Forza », lo spronò. Con un piccolo sforzo riuscì a farlo alzare e se lo appoggiò addosso, prendendogli il braccio per farselo passare intorno alle spalle. « Puoi camminare? », gli chiese prima di partire.
Lui annuì sotto il tricorno.
   « Bene. Siamo già a metà dell’opera. »
Non appena ebbero messo piede fuori dal locale in cima alle scale, superarono il buttafuori Ham che gli chiese se avessero avuto bisogno di aiuto, ma Sel rifiutò gentilmente. Hancock cacciò un sospiro che però parve di più un ringhio, « Maledizione… ne avevo proprio bisogno. » La sua voce suonò ancor più profonda. « Sono felice che tu sia venuta »
   « Anch’io. »
Ma Sel, in realtà, lo aveva accompagnato solo in parte con la propria attenzione: aveva bisogno di focalizzarsi sulla loro strada. Fuori era notte fonda, e la maggior parte delle luci erano spente. Erano stati lasciati soltanto i minimi lumi necessari per mostrare il percorso tra gli edifici e il quartiere era silenzioso. Per fortuna l’Ufficio Governativo non era lontano, gli bastava solo svoltare dietro l’angolo. L’aria era carica d’umido e in cielo le stelle non si vedevano; doveva essere nuvoloso. Hancock aveva un peso notevole, ma per Sel non era affatto un problema. Era sobria, forte e stava in piedi. Superarono due guardie armate ai lati dell’entrata del pub, le quali gli lanciarono uno sguardo e fecero un cenno rilassato.
  Erano in prossimità della porta del vecchio edificio, quando Sel si sentì improvvisamente spingere in un vicolo stretto e a malapena illuminato. Da alcune grate insenate nel marciapiede fuoriuscivano dei vapori caldi, probabilmente provenienti dai generatori o dai sistemi di riscaldamento. Successe così in fretta che non capì di preciso cosa fosse accaduto, ritrovandosi semplicemente tra un muro e il corpo imponente dell’uomo: Hancock le premette le braccia su entrambi i lati del viso, in modo tale che vi fosse intrappolata. Era talmente sorpresa e disorientata da non pensare minimamente né di gridare né tanto meno reagire.
  Hancock avvicinò spaventosamente il viso a quello di lei, e Sel non poté fare altro che allargare ancor più gli occhi, che in quel momento stavano splendendo come lumi nella fioca luce dei pochi lampioni accesi. Il cuore aveva preso a battere più forte e il suo respiro era affannato.
   « Tu non sei sbronza, vero? » mormorò, sorridendo lievemente. Sembrava tormentato… e stanco. « Selina... So cosa sembro. So che nessuna donna vorrebbe mai svegliarsi la mattina accanto a un mostro come me. E so di aver detto che non sono un uomo che si approfitta di qualcuno. Ma adesso… non so se riuscirò a fermarmi, Selina. »
Quelle parole le fecero esplodere una tempesta di farfalle nella pancia, che pian piano volarono spargendosi in ogni angolo del suo corpo. Prima ancora che se ne accorgesse, Sel aveva sollevato le mani, e con cura aveva affondato le dita nel bordo della redingote che gli incorniciava il petto in parte scoperto. Lui buttò un’occhiata breve a quella stretta, per poi tornare a posare gli occhi su quelli dorati di lei.
  Gentilmente ma con forza le tuffò la mano tra i capelli, stringendola per la nuca e guidandola a piegare lentamente la testa di lato. E quando per la prima volta le premette le labbra ruvide e sottili contro il collo, Sel avvertì un lampo di scintille finissime come fili: le scintille si scontrarono con le farfalle, e alla fine si fusero insieme. “È amore o lussuria questo? Oppure qualcos’altro?...”
   « Ah... », gemette in silenzio, chiudendo gli occhi.
Lo sentì darle una lenta e sensuale leccata sulla pelle, poi risalire, languidamente. Il suo cappello scivolò e cadde. Hancock fece un altro passo in avanti, così che il suo corpo fosse completamente aderente a quello di lei, senza lasciare lacune. E Sel, all’istante, poté anche percepire il suo bisogno: le era stato schiacciato contro il ventre e l’aveva fatta sussultare. Perché in quel momento si sentiva così impacciata?
  Il viso non le stava più scottando, visto che il calore adesso si stava accendendo da tutt’altra parte. Hancock le avvolse una mano attorno alla vita, si mosse contro di lei, massaggiandosi e stringendo la presa. La mente di Sel vorticava e lei voleva soltanto di più; strinse i denti e spostò le mani, che dal colletto della redingote si posarono con delicatezza sulle sue guance, spingendolo a dover alzare la testa e a guardarla per bene. A guardare i suoi occhi lucidi e brillanti come le stelle.
Deglutì e cercò di rincorrere ogni pensiero confuso, il che in quel momento si rivelò un’impresa piuttosto difficile. Sel lo desiderava talmente tanto da sentirsi addirittura disperata; avrebbe potuto dire che Hancock sarebbe stato in grado di leggere qualunque cosa da quelle iridi che ardevano quasi febbrilmente, e di questo lei ne era cosciente. E lo stesso identico bagliore, Sel lo scoprì con meraviglia anche in quelli neri di Hancock.
  Il Ghoul non poté fare a meno di sorridere teneramente insieme a lei, ma era ansimante, dando l’impressione che fosse sollevato e felice di poter farla apparire in quel modo.
   « Hancock… », sussurrò Sel, supplicandolo. Non era suonato lussurioso, era bramoso ma dolce. E non avrebbe potuto resistere un attimo di più. Ormai si era rassegnata all’idea di essere pronta a buttar via ogni pudore e modestia: c’era una sola cosa che voleva, ed era proprio lì di fronte a lei.
  Hancock, dal canto suo, sembrò stare per pronunciare qualcosa, una cosa che però non arrivò mai... perché il terreno sotto i loro piedi tremò inaspettatamente. In un primo momento Sel pensò di esserselo immaginato, ma quando si rese conto che anche Hancock aveva barcollato e aveva dovuto prendere sostegno dal muro, considerò la possibilità di una grossa scossa sismica. In tal caso, non era sicura se fosse stata in grado di gestirla con la propria Voce ed evitare che Goodneighbor sprofondasse.
   « Che cazzo– », esclamò il Ghoul, ed entrambi abbassarono lo sguardo sul marciapiede. La terra non si mosse una seconda volta, ma avevano potuto chiaramente udire il boato giungere dal profondo.
   « Cos’è stato? Un terremoto?... » Sel era senza fiato e aveva ancora le guance arrossate.
Udirono dei passi giungere a corsa verso di loro e vennero quasi incontrati da tre guardie di quartiere che si stavano dirigendo all’altro lato del vicolo.
   « Sindaco Hancock! », uno di loro li scorse nella penombra e si fermarono.
  « Cos’è stato? », chiese il Ghoul.
  « Bobbi Senzanaso. Fahrenheit ha scoperto il suo ultimo piano. Sta cercando di entrare nel magazzino di Freight Depot dal sottosuolo. »
  Era la prima volta che Sel vedeva Hancock talmente sorpreso. Poi lo vide cominciare a sghignazzare, sempre in modo più graduale, finché il vicolo non echeggiò delle sue fragorose risate. Poteva passare uscito di testa da tanto si sbellicava.
   « Dovrei passare il comando a lei. Quella donna ha le palle. Peccato però che non sia intelligente neanche la metà di quanto creda di essere… » Si asciugò gli occhi e agitò la mano verso i suoi scagnozzi. « Suppongo che Fahrenheit sia già sul posto. Lei sa benissimo come trattare con Bobbi. Voi tre potete seguirla attraverso il tunnel, renderlo sicuro se dovesse averne bisogno e poi sigillarlo. Non voglio nulla che vada a vivere là sotto per poi iniziare a riemergere dal posto di Bobbi. »
  I tre uomini annuirono e li superarono riprendendo a corsetta il passo.
  Li osservarono allontanarsi e girare dietro l’angolo. Non appena se ne furono andati, Hancock si piegò sulla propria postura e si coprì la faccia con l’altra mano. « Merda. È incredibile... »
  Sel lo osservò per un istante, quindi si chinò a raccogliere il suo cappello. Le sue guance erano ancora calde e si sentiva imbarazzata. « Hancock, io… » iniziò, ma lui subito la fermò con un semplice gesto della mano.
  Sollevò lo sguardo verso di lei e raccolse stancamente il tricorno dalle sue mani: « Per quel che ne so » disse, con voce roca e raddrizzandosi, « se non fosse stato per loro non mi sarei fermato. Ma… neanche tu hai provato a fermarmi. Quindi, posso accettare il fatto che tu, almeno in parte, condivida i miei stessi… pensieri più impuri del solito? »
  Sel lo scrutò mentre lui, di nuovo e lentamente, si chinava su di lei, tenendo la mano poggiata contro la superficie del muro per sorreggersi.
   « Penso… », la sua bocca era secca. “Penso di essermi innamorata di te.” Ormai doveva riconoscerlo, e ammetterlo. « Penso che tu sia ubriaco », concluse la frase. « E penso anche di essere stanca. Oggi è stata una lunga giornata… » “Vorrei tanto dirti come mi sento. Ma ancora non posso, perché non so se mi vedi solo come il tuo giocattolo. E soprattutto, non quando sei a malapena in condizioni di stare in piedi...”
   « Beh quello », le mostrò uno dei suoi più affascinanti sorrisi. « Posso affermarlo. »
Sel gli sorrise a sua volta e gli offrì ancora la propria spalla, sulla quale Hancock accettò volentieri il sostegno e insieme tornarono a casa. In qualche modo riuscirono a salire le strette scale rotonde del salone principale senza inciampare.
   « Adesso dovrei metterti a letto. Dove dormi? »
Hancock trapelò un sorrisetto furbo. « Che cosa? E qui ho pensato che mi stessi scortando fino alla tua camera per approfittarti di un povero Ghoul… »
   « Il tuo ufficio andrà più che bene. Ci sei? »
   « Ci sono. »
Lo accompagnò davanti alle porte del suo ufficio, delle quali ne era stata lasciata aperta una sola anta. Hancock si aggrappò alla cornice con la mano libera, ma non lasciò ancora andare la presa sulle spalle di Sel. Invece se la tirò più vicino, si tolse il tricorno e affondò la faccia tra i capelli della ragazza, stringendosela soltanto, senza spingersi in altro. Profumavano di muschio.
Sel deglutì, ma non mosse un muscolo.
   « Resta con me ancora per un po’. Non a letto. Solo… pochi minuti. Fino a quando non mi addormento » disse, mormorando con calma. Qualcosa nella sua voce però la spaventò; per la prima volta dopo tanti anni, Sel si sentì terribilmente sola.
   « Certamente », gli rispose.
Entrarono insieme nella stanza, e mentre lui barcollava su uno dei divani rossi, Sel chiuse piano la porta. Gettò il cappello sul tavolino da caffè e si buttò praticamente sui cuscini, con gli stivali poggiati sull’altro bracciolo.
Sel si stava lentamente rilassando, la testa cominciava a martellarle dal sonno. Raggiunse il bancone e si versò un bicchiere di acqua purificata. Dopo averne bevuto qualche sorso, lo riempì di nuovo e lo portò a Hancock.
   « Vuoi un po’ d’acqua? »
   « Nah. Sto bene », mormorò Hancock dietro le palpebre chiuse.
Sel decise comunque di lasciare il bicchiere alla sua portata e si sedette sul bordo del tavolino, accanto a lui. Ben presto udì i suoi respiri farsi più profondi, accompagnati anche da un lieve russare. Lei invece di andarsene continuò a guardarlo, esaminandolo. Per quanto lo osservasse, il volto macabro di quell’uomo continuava a trascinarla verso di sé; sembrava spaventoso, ma anche quello di qualcuno che aveva sempre voluto vedere. Si piegò silenziosamente in avanti, e non poté trattenersi: appoggiandosi con cautela sul bordo del divano, lasciò che le labbra morbide sfiorassero la sua guancia. Poi si ritirò con abbastanza fretta, temendo di svegliarlo, ma l’espressione del Ghoul non cambiò minimamente.
  Tirando un sospiro triste si alzò, e senza fare alcun rumore si avviò verso la propria stanza. Le guardie armate erano sempre vigili, qualcuna si era messa a sonnecchiare o a leggere qualcosa, un libro, una rivista o un fumetto. Sel diede loro la buonanotte a bassa voce – sembrarono sorpresi dal suo gesto ma ricambiarono di buon gradimento – e andò in camera. Si tolse kosode, reggiseno e stivali per infilarsi una maglietta e si infilò sotto le coperte.
  Quando spense la luce e chiuse gli occhi, rivide Hancock. La stava di nuovo trattenendo contro il muro, e di nuovo stava tirando la lingua sul suo collo, verso il lobo dell’orecchio. Si rese conto che stava già respirando con più pesantezza, e non poté resistere nel far scivolare le mani sotto la maglietta.
  Le fece scorrere lentamente e delicatamente sull’addome, sui seni, poi una andò verso il basso, fino a quando non trovò il centro in fiamme. La sua mente intanto stava correndo. Invece di scuotere il terreno, come purtroppo era successo nella realtà, Hancock premette con forza le labbra sulle sue. Le mani di Sel erano diventate quelle del Ghoul, e stavano accarezzando in maniera dolcemente seduttiva le sue curve, tanto da farla rabbrividire. Non aveva avuto bisogno di molto, eccitata come lo era stata per tutto il tempo; la sua schiena si inarcò leggermente, mentre lei si mordeva il labbro inferiore con i canini lunghi dell’arcata superiore e cercava di non emettere alcun suono troppo forte, quando giunta all’apice sentì l’ondata esplodere e investirla. Sentì il seno tendersi, i capezzoli turgidi stringevano la pelle.
  Deglutì e si concentrò nell’emettere respiri tremanti che pian piano si fecero sempre più calmi. La sua mente era vuota. Poi si rannicchiò in posizione fetale e si assopì. O crollò, non ne fu sicura.

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Capitolo 9
*** Una nuova speranza ***


Per le strade di Goodneighbor non si faceva altro che vociferare su come la famigerata Bobbi Senzanaso avesse tentato di scavare un impressionante sistema di tunnel sotto la città, sfruttando i passaggi della metro e delle fogne per arrivare a svaligiare uno dei magazzini appartati del Sindaco sotto il suo stesso naso. Nessuno sano di mente avrebbe mai provato a derubare Hancock: quello non era uno che lasciava correre, pensò Sel tra sé. Aveva sempre sentito molti pareri riguardo alla sua figura, dicevano che credeva di essere invincibile, per cui Bobbi aveva voluto dimostrargli che invece non lo era. Ora la donna sembrava sparita, “dispersa”; in altre parole, Fahrenheit si era occupata di lei.
  Anche se era passata ormai una settimana da quella notte, dalla stessa trascorsa al Terzo Binario, Sel si sentiva ancora persa su come poter affrontare l’uomo: il coraggio e la spensieratezza del momento se n’erano andati per lasciare il posto alla vecchia e familiare timidezza.
  Hancock, dal canto suo, non sembrava ricordare molto di quel che era accaduto, nel vicolo umido e semibuio e poi nell’Ufficio Governativo. Quando lei aveva provato ad accennargli qualcosa la mattina seguente si era limitato a riderci sopra e aveva esclamato un « Sono certo che tu e Magnolia andrete molto d’accordo. Ha un fascino davvero irresistibile. »
  Quindi erano di nuovo in piazza, anche se soltanto in parte. Ciò che Magnolia l’aveva aiutata a realizzare, di essere innamorata del Sindaco di Goodneighbor, le aveva svegliato qualcosa nell’inconscio. Suppose che fosse stato piantato lì ben prima che la donna gliene parlasse, e che adesso, finalmente, era spuntato fuori come un bocciolo e aveva richiesto la sua attenzione. Ciononostante, entrambi continuavano a portare avanti le loro vite quotidiane come al solito. Sel aiutava Daisy quando ne aveva bisogno, alcune volte tenendo lontani i ratti-talpa dal negozio, così almeno aveva anche un ulteriore modo per svagarsi. Altre volte si allenava ai tiri al bersaglio con l’arco, eseguiva kata con i tonfa, si esercitava nelle proprie capacità con le armi da fuoco, faceva un salto al pub e prendeva qualcosa da bere, anche solo una Nuka-Cola fresca.
  A meno che non si trattasse delle armi da taglio, Fahrenheit entrava di tanto in tanto nel magazzino per controllarla, ma tutto sommato la donna era contenta di come lei si era rinvigorita nel riacquisire l’abitudine ad usare i fucili e nell’imparare a maneggiare le pistole, leggere e pesanti. In quei giorni le erano stati perfino affidati alcuni compiti di guardia all’interno del quartiere, che il più delle volte Sel aveva svolto nella forma ibrida per scoraggiare maggiormente i malintenzionati. Alcune volte da sola, altre in compagnia di un’altra sentinella.
Quel pomeriggio si trovava nel pieno della pratica con un fucile d’assalto militare solo per puro passatempo, non avendo nient’altro di urgente da fare, quando la venne a chiamare Fahrenheit che irruppe all’improvviso nella stanza e si precipitò nel poligono di tiro.
Distolse l’attenzione dal mirino e si voltò per guardarla, sorpresa dal fatto che fosse così frettolosa:
   « Sel » ansimò, il viso e il collo imperlati dal sudore, « Abbiamo ricevuto un messaggio dall’Agenzia Valentine. Un corriere di Diamond City l’ha appena lasciato a Hancock. Ha pensato che dovresti esserci anche tu. »
  Lei lasciò quasi cadere il fucile a terra. Si raddrizzò in piedi e si girò verso la donna mentre teneva ancora la grossa arma serrata in riposo tra le mani.
   « Meglio che tu vada. »
Non se lo fece ripetere due volte. Mollò il fucile a Fahrenheit, le espresse la propria gratitudine e si precipitò fuori. Non dovette nemmeno bussare, visto che le porte erano già spalancate: Hancock le fece cenno di entrare e, con un’espressione indecifrabile incisa sul suo volto scheletrico, le passò un pezzo di carta pergamena.
  Lei lo prese e iniziò a leggerlo in silenzio, con Hancock davanti a lei seduto dietro alla sua scrivania, ad osservare come cambiavano i suoi lineamenti. Si sentiva talmente emozionata che il sangue le batteva forte nelle vene e le offuscò parzialmente la vista.
   « È stato trovato? » fece, quando ebbe scorso solo che le prime righe. « Il tipo che l’ha comprata, intendo »
   « Sì, ma era già morto. »
Sel alzò gli occhi e guardò accigliata il Ghoul. « Morto? Che è successo? », aggrottò la fronte.
  Hancock afferrò tra le dita la sigaretta che stava fumando e si grattò il mento. « Da quel che abbiamo capito era morto da pochi giorni. Alcuni degli schiavi che lavoravano per lui si sono ribellati e lo hanno ucciso insieme ai suoi scagnozzi. C’erano anche dei corpi confermati di alcuni schiavi, ma nessuno di loro corrispondeva alla descrizione della tua amica »
   « Hanno trovato qualcuno ancora vivo? »
   « No. Ma, ti ripeto, non c’è ancora nessuna traccia di Nora. Non voglio darti false speranze, ma è possibile che sia riuscita a fuggire dalla fattoria prima o dopo la rivolta. »
  Sel realizzò di aver accartocciato irritatamente il foglio tra le mani nel mentre che Hancock parlava. Aprì i pugni e provò a raddrizzare le dita insieme alle proprie emozioni, lasciando che la pallina di carta color avorio abbandonasse il palmo della mano e finisse sulle assi scheggiate del pavimento.
  « Il cottage », sussurrò dopo alcuni attimi, e Hancock la guardò incuriosito. « Forse è tornata là. Non sa dove cercarmi, quindi sarebbe un’opzione naturale per lei »
   « E dov’è questo cottage? »
   « Beh, ecco… non te lo so spiegare con precisione. Se riesci a procurarmi una mappa posso fartelo vedere. Conosco l’area circostante, quindi se è abbastanza precisa sarebbe possibile per me individuarlo. »
  Lui ci pensò un po’ su.
   « Mi sembra che abbiamo alcune vecchie mappe nella cantina di uno dei magazzini. Manderò qualcuno a prenderle. Se riesci a indicarci la strada, Fahrenheit potrà andare a dare un’occhiata »
   « No », esclamò contrariata Sel. « Devo andarci io. Stiamo parlando di qualcosa di strettamente personale: se Nora è laggiù voglio vederla io stessa, o si spaventerebbe. »
Nel sentire quelle parole, l’espressione del Ghoul si rabbuiò. « Non sei ancora pronta per uscire », mormorò.
Sel stava cominciando a seccarsi.
   « Oh andiamo, sono un Sangue di Drago! Sono abbastanza in grado di cavarmela anche senza trasformarmi. Sono sopravvissuta là fuori, da sola, per tanti anni! Se mi fai prendere in prestito qualche arma e armatura, troverò la mia strada », si mise a protestare.
  Ma Hancock scattò in piedi dalla scrivania e coprì alcuni rapidi passi verso di lei. Pareva talmente furioso che Sel quasi barcollò all’indietro, ma rimase ferma sul posto, piantata nella propria posizione dritta e composta degna della guerriera che era. Per un attimo ebbe una scarica intimorita, ma poi ricordò di essere perfettamente in grado di difendersi se fosse stato necessario.
   « No », ringhiò il Ghoul. « Non posso permettertelo »
   « Abbassa il tono con me, ti ricordo che stai parlando a un Sangue di Drago. Non ti auguro minimamente di farmi irritare… »
   « Abbiamo un accordo, io e te! » Hancock alzò di più il tono della voce. Sel non gliel’aveva mai sentito prima; non avrebbe potuto immaginare quanto quella condizione avrebbe potuto farlo andare in collera. « Mi hai promesso di restare qui, allenarti e rimanere viva. Ti stai tirando indietro? »
  Lei non si lasciò intimidire e sostenne il suo sguardo, mantenendo un’espressione decisa. Non aveva veramente intenzione di fargli del male e mai glielo avrebbe fatto. E sapeva che lo stesso era da parte sua.
   « E tu, allora? Mi avevi promesso di sorvegliare personalmente il mio allenamento, di assistere ai miei kata, ma non mi sembra di averti visto spesso durante quest’ultimi giorni. »
Vide Hancock battere accigliato le palpebre. Stava ancora elaborando la sua reazione, poi Sel continuò.
   « Non mi sto tirando indietro. Non vengo meno alle mie promesse. E di certo non ho intenzione di andare là fuori a morire, ma in questo caso ho un’opportunità da prendere. Sono davvero fiduciosa nel ritrovare Nora. E la troverò, Hancock, con o senza il tuo aiuto, anche a rischio di far saltare la mia copertura e ritrovarmi tutti gli schiavisti del Commonwealth alle calcagna. Ma questo non significa che mi renda meno grata per tutto ciò che tu, Fahrenheit, Nick e chiunque altro abbiate fatto per me. Non c’è bisogno che te lo rammenti. » Sorrise, calmandosi anche nella voce.
  Hancock si limitò a scrutarla in silenzio. Il suo viso era illeggibile, e per un attimo Sel temette che si sarebbe solo arrabbiato di più e che l’avrebbe sbattuta fuori, ma poi lo vide sospirare e voltarle le spalle.
   « Va bene. Se riuscirai a trovare il tuo cottage dalle nostre mappe… io verrò con te », decise infine.
Sel non credeva di aver capito bene. « Tu… vuoi lasciare Goodneighbor? Non pensi di aver bisogno qui? » gli disse, ma Hancock tornò a guardarla, si prese le braccia e sorrise.
   « Ehi. Il Sindaco è sempre il Sindaco, che risieda in città o meno. Goodneighbor può sopravvivere per un paio di giorni senza che io me ne stia appollaiato sul trono. E poi, me ne sono già andato altre volte. Mi mantiene onesto. Non posso lasciare che il potere mi dia alla testa, non è per questo che sono a capo di Goodneighbor. E tu sei anche il tipo di guaio che piace a me. »
  Il sorriso divenne più lieve, e più amaro. Sel, per la prima volta da quando aveva sentito le lacrime farle capolino, si lasciò andare in un respiro liberatorio. « Grazie… », ripose con voce ovattata. Hancock posò la mano sulla sua guancia e lei alzò lo sguardo. Non le era più stato talmente vicino da quella sera al Terzo Binario. Il suo sorriso ancora impresso era leggermente storto, ma era gentile.
   « A proposito, hai ragione. Non sono stato in giro tanto quanto ti avevo promesso. E ti prego di perdonarmi. Diciamo che, adesso che verrò con te, compenserò le mie assenze passate. »
Sel annuì e poggiò una mano su quella ruvida del Ghoul. E non riuscì più a fermare le lacrime che finalmente si riversarono a bagnarle le guance.
 
~
 
Uno degli sgherri di Hancock portò un’intera scatola di mappe ingiallite fin nell’ufficio. Molte di esse erano talmente vecchie che cominciarono a sgretolarsi al solo tocco leggero di Sel; cercò di trattare quei fogli sottili il più delicatamente possibile, raddrizzandoli e mettendo dei pesi agli angoli per mantenerli stesi. La maggior parte di esse riguardava l’intero stato del Massachusetts, ma erano troppo generiche, fino a che, a furia di cercare e di rufolare, non ne trovò un paio leggermente in condizioni migliori rispetto al resto del mucchio. Una raffigurava la città di Boston, ma l’altra aveva anche dei terreni segnati. Trascorse quasi l’intera giornata a controllarle da sola, come volle insistere, con Hancock e Fahrenheit che le tenevano compagnia ed osservavano come attentamente le studiava, rimanendo però in disparte, seduti sui divani o in poltrona per non metterle disagio o disturbarla.
Sel aveva viaggiato quasi ovunque nel Commonwealth, ma il più delle volte aveva contemplato il paesaggio arido solo di sfuggita, o quando si trovava in volo. Altre volte si era spostata a piedi, per cui anche solo delle descrizioni generiche le sarebbero tornate sufficienti. Si sentiva nostalgica nell’esplorare quelle vecchie carte: tanti insediamenti e tante strade non c’erano più da decenni.
   « Mi sa che i Supermutanti stanno diventando un po’ troppo audaci. Forse dovremmo radunare un po’ di gente per farne fuori qualcuno? », sentiva parlare nel frattempo Hancock con Fahrenheit.
   « Non credo sia il caso. Il terreno giocherebbe a loro vantaggio, e poi i nostri combattenti sono disorganizzati. Quando non devono difendere le loro case, disciplina e morale spariscono »
   « E allora? Ci limitiamo a resistere? Non è nel mio stile », ringhiò Hancock.
   « L’unica cosa che “non è nel tuo stile” è perdere, Hancock. Fidati di me, continuiamo a stare sulla difensiva. Restiamo sulle mura del castello, e vedrai che i Mutanti usciranno allo scoperto »
   « Così potremo farli fuori senza correre rischi... sì, mi piace... »
Tramite le mappe poté distinguere molte aree che altrimenti da terra si sarebbe orientata con più difficoltà, o su cui ci si era soffermata minimamente: c’erano dei posti che ormai conosceva piuttosto bene, ma altri non ancora abbastanza. Non era la prima volta che da Boston doveva raggiungere il cottage, ma doveva contare che quella volta doveva farlo a piedi, nascosta il più possibile, e in compagnia.
   « Ancora non riesco a capire come fai a non ricordare come trovare la casa », commentò una volta Fahrenheit e Sel se ne vergognò un po’.
   « Se tu iniziassi ad abituarti a viaggiare in aria come me, mi capiresti. E comunque lo so dove si trova »
   « Ah sì? Pensavo che i draghi avessero un buonissimo senso dell’orientamento », ironizzò la donna.
   « E pensi bene. E poi ricordati che dobbiamo arrivarci per terra, non per aria, quindi dobbiamo studiarci un percorso sicuro da seguire. Tutto sommato… scommetto tutti i miei tappi che si trova affacciato su uno di questi laghi quaggiù. »
  Indicò un punto a nord-ovest. Segnava all’incirca la posizione della fattoria più vicina, quindi bastava contare qualche miglio verso i laghi e calcolò un rapido percorso sicuro per poter ritrovare il cottage. Si immaginò di mettersi in riva al lago o di guardarlo dal cielo; « Ok. Perfetto. So come arrivarci. Da qui sono poche ore di camminata. Quando possiamo partire? »
Hancock misurò di nuovo la mappa con le dita mentre Fahrenheit rispondeva per lui, « È tardi, perciò suggerisco di farvi un buon sonno e partire con calma domattina presto. » Su quello non poteva darle torto, ma anche se a Sel piaceva spostarsi con il favore delle tenebre, non si augurava di ritrovarsi ad affrontare le creature che uscivano di notte, senza contare che quella volta c’era anche in gioco l’incolumità di un’altra persona. « Dovremmo anche prepararti delle armi e una corazza. E dirò a qualcuno di procurarvi delle scorte, cibo e acqua. Se sarete fortunati, dovreste raggiungere il cottage entro la mattinata. La distanza approssimativa è inferiore a sole dieci miglia, ma ci sono alcune aree che sarebbe meglio raggiraste. »
  “Perché non la smettono di trattarmi come se non avessi la minima esperienza? A differenza loro sono in giro da… Be’, ormai dovrei conoscere le pericolosità della Zona Contaminata anche meglio.”  Trascorse il resto del tempo prima di cena a raccogliere in compagnia di Fahrenheit tutto l’occorrente di cui avrebbero avuto bisogno durante il viaggio, con Daisy che si rivelò una risorsa preziosa. Da lei Sel prese un nuovo set di vestiti e alcune corazze di cuoio per arti e torace.
   « Sei come una figlia per me, Selina », gracchiò la Ghoul. « Ma questi sono soltanto in prestito. Riportali qui intatti, e ti lascerò riprenderli in futuro »
   « Che ne dici di quel fucile laggiù? », propose Fahrenheit, puntando col dito un fucile di precisione riposto su un ripiano in alto. « Sembra che sia più o meno uno di quelli che hai sempre usato, e ha un margine aggiuntivo con un’impugnatura più comoda. Potrebbe fare al caso tuo »
   « Mh, non saprei… », esitò Sel, incerta sul da farsi.
Ma Fahrenheit a quanto pare aveva già stabilito di assumersi la decisione al posto suo. « Lo prendiamo. Mettilo sulla lista di Hancock. »
La Ghoul armeggiò per qualche secondo con quadernino e penna, prima di posare di nuovo l’attenzione su di loro.
   « E anche questo è sistemato. Vi spedirò a breve anche qualche scorta di munizioni in più. » Daisy si allungò fino alla mensola più alta dello scaffale e consegnò il fucile a Sel. A giudicare dall’aspetto sembrava proprio uno di quelli militari che aveva già utilizzato nell’esercito, e con la conoscenza sulle armi lunghe che possedeva riconobbe che era anche abbastanza ottimo.
  Trasportarono il tutto in un borsone fino in camera di Sel e lo posarono da una parte sul pavimento. Fahrenheit si raddrizzò sospirando e si tolse il sudore dalla fronte con la manica della camicia che portava sotto la giacca, poi si voltò a guardare l’amica.
   « Sei assolutamente sicura di volerlo fare? » Il suo tono preoccupato era chiaro.
Lei spostò gli occhi verso il borsone appoggiato contro la parete e sembrò assentarsi per qualche istante. « Sì. Guarda che sono perfettamente capace di difendermi là fuori come un’umana, anche senza ricorrere al mio potere. E ho un equipaggiamento più che adeguato, direi. »
Provò a sorriderle, ma la donna scosse contrariata la testa.
   « Se sono mesi che non spari a qualcosa di vivo non sarà ancora così facile, te ne rendi conto? Potresti aver ripreso la mano nel colpire cose immobili, ma che mi dici delle creature, soprattutto quelle veloci? Ghoul Ferali? Supermutanti? Persone?... »
   « Sono certa che si rivelerà un buon allenamento e una buona occasione per riprenderci l’abitudine. Se ti fa sentire più sicura, ho risparato anche a qualche ratto-talpa nel magazzino di Daisy. Se non ora, quando potrei rincominciare? Se è per la mia sopravvivenza o per proteggere qualcuno… credo di poterlo fare anche con qualcosa di più grande e più pericoloso. »
  Fahrenheit a quel punto ridacchiò, assunse un’espressione quasi divertita e buttò lo sguardo sul pavimento, i pugni poggiati sui fianchi corazzati, e Sel dedusse che in qualche modo le sue parole e la sua fermezza dovevano averla convinta, almeno un pochino.
   « In ogni caso, non preoccuparti », rispose. « Hancock è il miglior compagno con cui viaggiare. Certo, è impulsivo, pieno di brutti scherzi, sempre eccitato… Ma è un uomo di parola. Ti porterà là e tornerà vivo. Tu pensa a proteggere te stessa, non fare nulla di avventato. »
  Dopo cena Sel si ritirò in camera e provò a riposare per qualche ora. Senza però riuscirci. Sentiva che era l’ultima cosa al mondo che avrebbe dovuto fare in quel momento; era troppo ansiosa per rilassarsi, ma soprattutto, si sentì colta da un’immensa e spaventosa consapevolezza: avrebbe viaggiato con Hancock. Loro due da soli, nessun altro. Si girò a pancia sopra e alzò le mani per coprirsi il viso.
  “Certo, è impulsivo, pieno di brutti scherzi, sempre eccitato...”  Fahrenheit aveva ragione. Hancock era esattamente tutto ciò che le aveva detto e molto altro ancora. Era un uomo incredibilmente carismatico e teneva ben stretti i suoi ideali. Non esitava a ricorrere alla violenza se la situazione lo richiedeva. Era pericoloso e spietato contro i suoi nemici, ma si batteva con tutta l’anima per gli innocenti e per coloro che ne avevano bisogno. Era una persona parecchio tosta, aveva lo spirito di un leader, di un condottiero, non di un boss.
  Eppure, non era sempre stato così. Lei e Hancock erano simili sotto molteplici punti di vista, o forse erano perfettamente uguali, due spiriti affini, o forse in realtà erano molto diversi. Sel aveva visto un ulteriore suo lato che le apparteneva: sotto quella maschera fredda e severa, sapeva essere incredibilmente gentile. Aveva ascoltato la sua storia e il suo sfogo, e l’aveva aiutata ad affrontare i fantasmi del suo passato. E lei lo amava. In quegli ultimi giorni l’aveva finalmente pienamente ammesso. Non avrebbe potuto decidere se esserne arrabbiata, triste o felice… lei era un Sangue di Drago, ed era la persona più improbabile con cui poter costruire una relazione, perfino per un Ghoul. Perciò, avrebbe dovuto spingere via o abbracciare la cosa? Ancora non sapeva neanche cosa provasse di preciso Hancock nei suoi confronti, tranne che l’aveva corteggiata più volte; solo che ognuna di quelle volte era sempre stato o sarcastico o fatto o sbronzo, poi Sel aveva avuto l’impressione di essersi spinto oltre. Solo Magnolia le aveva confidato che a Hancock lei “piaceva” e la “adorava”. Ma cosa significava, veramente?
  Sel non aveva il coraggio di affrontare l’argomento con lui, non se la sentiva ancora, aveva troppa paura della sua risposta. E anche se lo avesse fatto… probabilmente non avrebbe saputo da dove cominciare. Potevano chiamarla vigliacca se volevano, ma lei preferiva tenerselo come amico piuttosto che confessargli i propri sentimenti, per poi vedersi delusa nello scoprire che lui, in fin dei conti, la vedeva solo come una persona fastidiosa con cui divertirsi e basta. E magari, considerarla tale anche per la fama così “promiscua” che riguardava proprio la natura Sangue di Drago.
Ringhiò per la frustrazione. “Basta così, adesso. Smettila. Non hai alcuna prova che le cose stiano così, ti stai solo facendo un sacco di pippe mentali!” Nora doveva essere la sua primissima preoccupazione. “Perciò… dacci un taglio, cuore. E anche tu, cervello.”

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Capitolo 10
*** Ti amo, Hancock ***


La porta cigolò dietro di loro mentre Hancock la richiudeva. Per la prima volta dopo tanti giorni, Sel era fuori da Goodneighbor e quel giorno splendeva un bel sole. Ci era arrivata che era una prigioniera, ma adesso si trovava di nuovo immersa tra le rovine aperte di Boston da libera.
  Si era tolta il kosode, sostituito da un’uniforme militare che aveva preso in prestito da Daisy con allacciate sopra alcune componenti corazzate che le proteggevano torace, gambe e braccia. Il fucile di precisione a canna lunga pendeva sulla sua spalla sinistra, mentre a tracolla portava la sacca con i pochi viveri che aveva scelto. Al cinturino in pelle agganciato in vita c’era un fodero con inserito un pugnale da caccia, insieme ad altri scomparti pieni di munizioni e una pistola da 10 mm di riserva. Hancock aveva invece optato di portare con sé solo un fucile a canne mozze e il suo inseparabile coltello da combattimento, nascosto da qualche parte sotto la redingote.
Si voltò per guardarla. « Pronta? », le chiese.
   « Per quanto pronta possa essere », rispose Sel. E diedero inizio al loro viaggio.
Boston era malandata esattamente come ricordava, anche se la luce del mattino rivelava molti più danni di quelli che si vedevano durante la notte. Di solito preferiva lasciare che si alzassero le ombre quando le capitava di andare a Goodneighbor o a Diamond City; il buio la rendeva molto meno visibile sia ai pericoli sia alle persone, ma neanche il giorno portava buoni incontri, per cui Sel giungeva di notte negli insediamenti principali per poi sbrigare con calma i propri affari. Come bestia per gran parte del DNA era in grado di non dormire per qualche giorno, così poteva svolgere le proprie attività in continua veglia senza risentire eccessivamente della stanchezza.
  Le vetture rottamate e abbandonate per le strade e sui ponti erano una visione che la avviliva sempre. Cumuli enormi di rifiuti e macerie erano ammucchiati ai piedi degli edifici e dei palazzi. C’erano anche ossa umane, grandi e piccole, sparse ovunque: quei corpi erano ancora lì dai tempi della guerra e nessuno, negli anni, si era mai preso la briga di seppellirli.
  Non parlarono molto finché si trovavano nel cuore della città, tranne per scambiarsi poche indicazioni; avevano solo cercato di muoversi in fretta e in silenzio. Hancock si meravigliò di quanto Sel riuscisse a spostarsi quasi come un fantasma, ma gli stivali con i quali si era ritrovata non riuscivano a garantirle una buonissima copertura, rumorosi com’erano. Inoltre era abituata ai suoi imbottiti di stoffa impermeabilizzata, che camminando non sembrava neanche di averli ai piedi. Per chiunque altro poteva essere stancante il dover rimanere in costante all’erta, sforzandosi di ascoltare, tenere sempre d’occhio vigile su ciò che lo circondava, e se anche una sola volta avesse abbassato la guardia, probabilmente sarebbe potuto cadere in qualche trappola o finire per diventare lo spuntino di qualcuno. Ma i sensi di Sel erano più sviluppati, più allenati di un normale essere umano, pure se non era nella forma bestiale, e il fatto di essere in allerta, sempre vigile, sempre attenta, era istintivo e naturale per lei. Non poté tuttavia scuotersi di dosso la sensazione che Hancock si stesse comportando come se qualcosa lo irritasse o lo tenesse di cattivo umore.
  Riuscirono a superare un gruppo di Ferali raccolti nell’angolo di un cimitero monumentale, piccolo e alberato con le lapidi sparse qua e là, e a nascondersi prontamente quando la loro strada si incrociò con quella di due Supermutanti e il loro segugio di pattuglia, occupati a frugare in un negozio vuoto. Per loro fortuna erano talmente rumorosi da essere abbastanza facili da udire anche in lontananza. Non era raro imbattersi nei Mutanti, soprattutto nel Commonwealth, che per qualche ragione sembrava essere un’oasi piuttosto gradita per loro; neanche nel Deserto del Nevada, o nel Mojave, Sel ne aveva mai visti così tanti. Quelli del Commonwealth, a differenza dei loro cugini della Costa Occidentale, non erano molto amichevoli e inoltre erano molto meno intelligenti, ma più forti. Di solito quando li incontrava faceva in modo di evitarli, ma altre volte si divertiva anche a giocare al “gatto col topo”, o rimanendo semplicemente furtiva facendo un po’ di tiro al segno con l’arco o con un fucile da cecchino trovato per caso.
  Ma ogni volta che li vedeva, si meravigliava sempre di come quei bestioni potevano essere nati dalla mutazione degli esseri umani, grandi com’erano. Era stato il VEF, il Virus a Evoluzione Forzata, a ridurli in quel modo: da una cosa così piccola ne era scaturita un’altra così grossa. Nonostante Sel vivesse nel mondo post-apocalittico ormai da diversi anni, ancora non si era del tutto abituata alle aberrazioni che lo infestavano.
  Un cane selvatico attraversò la strada proprio mentre si apprestavano ad attraversare uno dei ponti sul fiume per raggiungere la periferia. Gli venne in contro, sbavante e feroce, e prima che Sel potesse fare qualunque cosa, Hancock la spinse indietro e sfoderò il coltello mentre nell’altra mano impugnava già il fucile a canne mozze.
  Quando il cane fece per balzargli addosso spinse la canna in avanti per tenersi lontane le fauci; nello stesso momento, in un battito di ciglia, guidò il coltello nel collo glabro della bestia. Il cane non perse la presa, non ancora, ma iniziò a contorcersi e a strattonare le zampe posteriori. Bastarono pochi altri attimi prima che la smettesse di muoversi, e rovinò sull’asfalto crepato.
  Hancock raccolse un vecchio giornale che era nei dintorni, pulì la lama del coltello e lo rimise al suo posto sotto la redingote. « Non so di preciso quali siano le tue tattiche, ma io preferisco evitare di usare le armi da fuoco, qui » mormorò, senza però guardarla e suonando un po’ irritato. « Potrebbero anche salvarti da ciò che ti sta attaccando, ma è probabile che attireranno dieci Ferali o qualcos’altro di peggio. Stai bene? »
   « Sì, lo penso anch’io… le poche volte che mi è capitato mi è sempre andata bene. Comunque sì, sto bene ed era una situazione che avrei potuto gestire anche da sola », ribatté Sel con evidente risentimento, ma Hancock sembrò non farci caso, o semplicemente lasciò perdere.
  Proseguirono nella loro traversata. Senza neanche rendersene conto avevano abbandonato il centro urbano e Sel notò che i palazzi più alti erano lontani, alle loro spalle. Passarono di fronte a case, villette, distributori di benzina e altri edifici solitari della periferia, dove si avvertiva un’aria diversa rispetto a quella della città, era molto più silenziosa e desolata.
  Incontrarono anche alcune persone, ma non erano ostili: la maggior parte di esse erano coloni in cerca di un luogo in cui vivere o erano dirette a Diamond City, altre erano carovanieri. Nessuno notò o riconobbe Sel, perché si era calata un cappuccio sulla testa per non far attirare l’attenzione su di sé quando li aveva visti avvicinarsi. Molti evitarono anche di guardare Hancock, il che la rese triste… anche lui era un essere umano, nonostante il suo aspetto. Ma a Hancock, per quel che Sel poté notare, non gliene importava molto; anzi, sembrava davvero non fare caso alle persone che gli passavano accanto, quando all’improvviso un mercante si fermò, bloccò Sel e si mise a parlare con lei.
  Probabilmente era sulla quarantina, aveva il viso sporco puntellato da una leggera peluria, e le chiese se fosse nei guai, riguardandosi dall’uomo che camminava a qualche passo più avanti. Sel suppose che lo aveva fatto perché l’aveva vista in compagnia di un Ghoul.
  Si tirò il tessuto del cappuccio più giù sulla fronte per non fargli notare il colore che avevano i suoi occhi. Ma non ci volle molto prima che Hancock le accorse accanto, posandole una mano sulla spalla: « Non lo è. Ma se è un problema ciò che stai cercando, te lo darò volentieri. »
Il mercante barcollò all’indietro e con una mano raggiunse qualcosa che teneva in tasca.
   « No, aspetta! », intervenne subito Sel. « Sto bene, davvero. È un mio caro amico e mi sta aiutando. »
Il mercante buttò un’occhiata su Hancock con aria chiaramente disgustata; « Be’, se lo dici tu. Dovresti fare attenzione però, potrebbe diventare Ferale in qualsiasi momento. »
Sel emise un respiro sconvolto e sentì il sangue ribollirle nelle vene. Non aveva alcun diritto nel rivolgersi a Hancock in quel modo.
   « Perché aspettare? Guarda che posso farlo anche adesso… » Gli occhi del Ghoul lampeggiarono di rabbia e allora il carovaniere tirò fuori una pistola piccola, ma ancora non la sollevò. Hancock invece impugnò il coltello.
   « Smettetela! », Sel si interpose tra di loro e fece in modo che il Ghoul la guardasse. « Per favore » Ammorbidì la voce e girò la testa per guardare anche il mercante. « Starò bene. E probabilmente dovresti tornare sulla buona strada anche tu » disse, l’espressione immobile e il tono avvolto da un’aura pacata, benché non riuscì completamente a coprire una punta glaciale.
  Doveva essere un tipo molto ignorante, o molto stupido, per essersi comportato in maniera così scortese quando aveva visto che Hancock era pronto a strappargli un braccio, ma Sel non voleva che quello straniero venisse ferito o ucciso per questo.
  Il mercante ripose in fretta la pistola, afferrò per le briglie il bramino che aveva con sé e li superò senza guardare ulteriormente nessuno dei due, né aggiunse altro. Sel lo seguì per un po’ con lo sguardo, fino a quando non notò che Hancock, alle sue spalle, la fissava.
  Si voltò verso di lui e si riabbassò il cappuccio.
   « Uno come lui non vale il nostro tempo », giustificò alzando le spalle. « Probabilmente era solo un cretino. Lo so che hai un brutto carattere, ma di solito a certi commenti ci ridi sopra o la butti sull’ironia. Oggi invece è da quando abbiamo lasciato Goodneighbor che sei rimasto stranamente silenzioso o irritato, o entrambe le cose. Potresti dirmi cosa c’è che non va? »
  Per un attimo fu come se si stessero radunando delle nubi temporalesche attorno a lui. Poi Hancock si limitò a sospirare anziché rispondere, si girò e riprese a camminare.
   « Credo sia trascorso un po’ troppo tempo dall’ultima volta che sono stato fuori. Questi stronzi riescono a farmi irritare più facilmente di quanto ricordassi », borbottò. « Be’, non dovremmo essere lontani, ormai. Continuiamo. »
  Non sembrò intenzionato a voler aggiungere altro, per cui Sel si limitò ad affrettarsi a seguirlo.
  Il silenzio ripiombò violento tra loro. Era spossante trovarsi lì con lui e non sentirlo parlare; e quando una situazione si metteva in quel modo, era difficile per Sel pensare a qualunque cosa da dire per rompere il ghiaccio. Controllava spesso la mappa per capire dove si trovassero: c’erano quasi.
   « Hancock, fermati un attimo », esclamò all’improvviso mentre stavano superando una piccola baracca. « Questa me la ricordo. Non così vicino, ma… da qualche parte lassù potrei orientarmi meglio. » Indicò una collina.
  Si arrampicarono fin sulla cima e Sel si mise a guardarsi intorno. La brezza le scompigliava con grazia i capelli lunghi e le scuoteva il cappuccio che le sbucava da sotto la corazza.
   « Ok, allora. Io di solito sorvolo anche questa zona… Non ci sono mai venuta a piedi, quindi se fossi lassù l’insediamento dovrebbe essere… – seguì in aria il percorso col dito – in quella direzione. »
Dovette costringersi parecchio a non precipitarsi giù a corsa, con Hancock che teneva sott’occhio l’ambiente selvaggio in cui erano immersi. Camminarono per circa altri dieci o quindici minuti, finché il Ghoul non venne attratto dal respiro emozionato che Sel si lasciò sfuggire dalle labbra: proprio lì, sotto ai loro piedi, c’era il lago. Era completamente impercettibile dalla strada, per via delle linee collinari che avevano appena attraversato. Sel cercò di scorgere qualunque movimento potesse provenire da laggiù, ma non poteva ancora dire con certezza se c’era qualcuno, dalla distanza in cui si trovavano. Imbracciò il fucile di precisione e accostò l’occhio al mirino per fare un rapido sopralluogo. Sembrava deserto.
   « Sel. » Hancock la afferrò per il braccio prima che lei potesse fare un solo movimento per avvicinarsi. « Fai attenzione. »
  Lei annuì e riportò gli occhi sulla casa.
  Con estrema cautela tracciarono gli ultimi metri che li separavano dalla valle cosparsa da tronchi d’alberi dormienti. La porta era semiaperta e il portico era circondato da foglie secche e ramoscelli. Sembrava triste e abbandonata, come l’animo abbattuto di Sel.
   « Resta qui, vado a dare un’occhiata. Se qualcosa ti viene in contro, sai cosa fare », disse Hancock per poi lasciarla, allontanandosi con il fucile a canne mozze ancora pronto tra le mani.
  Nell’attesa Sel si mise a sedere sullo scalino del portico.
  Si sentiva inquieta; le sembrò di rivivere una situazione fin troppo familiare e si morse il labbro, costringendosi a non mutare forma.
  Alzò il fucile di precisione e caricò un colpo per sicurezza, ma i dintorni rimasero fermi e indisturbati. Venne attirata solo da un rumore proveniente dall’alto e scorse Hancock scrutare attraverso una finestra sporca del piano superiore, per poi svanire di nuovo all’interno.
  Continuò a mordersi il labbro nel trattenersi dal richiamarlo, affondando intensamente i canini nella carne che presto giurò di poter assaggiare il sapore del sangue. Trascorsero almeno un altro paio di minuti prima di vederlo riapparire sulla soglia e salutarla, e si alzò in piedi.
   « Vuota », annunciò mentre si appoggiava il fucile sulla spalla. « E sembrerebbe che nessuno sia più venuto da quando vi hanno portate via. »
  Sel parve trattenere il respiro. Dall’impeto che si fece prendere quasi saltò i pochi gradini del portico, entrò in casa e posò il fucile di precisione sul tavolo della cucina, per poi dedicarsi ad un’altra rapida escursione.
  Hancock aveva ragione. La casa versava in uno stato tale come se nessuno l’avesse più abitata da allora, sembrava che niente vi avesse rovistato, forse i predoni lo avevano già fatto da tempo, e niente li stava aspettando. Serrò le labbra con irritazione e provò ad elaborare la propria delusione. Hancock la raggiunse, si portò dietro di lei e le strinse le spalle. « Sapevo che era una mossa azzardata, ma se solo tu mi permettessi di essere me stessa… », sospirò rassegnata.
Per poi aggiungere, dopo che alcuni attimi furono passati e quando fu sicura che la sua voce sarebbe potuta uscire calma e senza vacillare: « Ma sapevo anche che sarebbe stato un duro colpo. Voglio dire… non sono più tornata per tutto questo tempo, quindi... perché dovrebbe essersi trovata qui? Quando non sa neanche dove potrei essere finita e se la casa avrebbe continuato ad essere sicura. Dovrei fare un salto all’insediamento qua vicino, forse ha chiesto aiuto laggiù »
   « Sei sicura di volerlo fare? »
   « Devo anche vedere se stanno tutti bene, Hancock. Devo. »
Il Ghoul non rispose, per cui Sel non sapeva dire se fosse d’accordo o meno. Quindi si girò per affrontarlo, liberandosi della sua presa. « So che dovremmo tornare a Goodneighbor il prima possibile, ma… possiamo passare la notte qui, andare all’insediamento domani mattina e tornare nel pomeriggio. O andare oggi all’insediamento così da tornare domani mattina, come preferisci. Mi piacerebbe dare a Nora la possibilità di raggiungerci. Se non si dovesse presentare, le lascerò un biglietto. Così, se mai dovesse tornare, saprà dove trovarmi. »
  Hancock buttò alcune occhiate attorno e annuì. « Sicuro. Perché no. Potrei anche approfittarne per farmi una piccola pausa chimica. »
~
 
Ripulirono la maggior parte della casa da foglie e polvere, mobili ed altri oggetti frantumati. C’erano ancora dei barattoli di cibo lasciati nel seminterrato, così Sel li prese e li portò in cucina. Quando giunse il crepuscolo accesero il camino e diverse candele, non appena constatarono che il generatore era andato.
  Avrebbe potuto anche essere un posto accogliente, ma qualcosa ancora non quadrava: Hancock era troppo tranquillo. Si assicurò che la casa non rappresentasse davvero alcun pericolo, facendo un sopralluogo nei campi circostanti e sulle rive del lago, nel caso qualcosa avesse fatto il nido nei dintorni, ma alla fine si sedette sul divano in salotto e poggiò i piedi sul tavolino da caffè per riposarsi. Più tardi continuò ad occupare il proprio tempo aggirandosi per la casa e raccogliendo oggetti vari per ispezionarli.
  C’era sicuramente qualcosa che lo stava infastidendo, altrimenti sarebbe stato più vispo e avrebbe cercato di distrarre Sel raccontandole storie e magari facendo qualche battuta com’era suo solito. “Festa” e “sballo” erano due sinonimi perfetti per descrivere Hancock, e non il contrario; il malumore non gli si addiceva, significava che qualcosa, e anche di importante, non andava. Ma qualunque fosse il motivo, il suo umore stava rendendo Sel goffa e imbarazzata, facendola comportare in maniera più timida e distaccata come non poteva evitare.
   « Hancock… » Spiccicò la bocca solo quando entrambi si trovarono seduti al tavolo in cucina, a bere in silenzio il whisky che lei aveva portato dalla cantina. « Sei ancora arrabbiato per quel mercante? »
   « Uh? » Alzò la testa e la scrutò confuso. « Quale mercante? »
“Ok, quindi non è per quello”, constatò Sel.
   « Va… va tutto bene? A me sembra che ci sia qualcosa ti stia turbando », provò allora, preoccupata ma anche un po’ esitante, allungandosi appena verso di lui per guardarlo meglio mentre se ne stava seduta a capotavola con le mani infilate tra le cosce. Si era tolta le componenti di armatura e l’aveva lasciate in salotto insieme al resto del loro equipaggiamento per potersi muovere più liberamente.
Lui stirò le labbra in un sorriso leggero, ma non ricambiò la sua attenzione.
   « Cosa potrebbe darmi fastidio? Eccomi qui, in un cottage isolato in compagnia di una bellissima donna e un drink in mano. L’unica cosa che potrebbe rendere perfetto questo momento sarebbe un giro di Jet. »
  Sel lo scrutò per un attimo. « Hancock, per una volta, sii onesto. Lo so che c’è qualcosa che ti turba, ormai ti conosco, e vederti così mi fa male », incalzò.
  Forse non avrebbe voluto essere così precipitosa, né sembrare irritata benché avesse usato un tono morbido e caldo, ma c’erano i suoi sentimenti in ballo. Era ovvio che Hancock le stava nascondendo qualcosa, e poco sfuggiva all’intuito di un Sangue di Drago. Soprattutto, era doloroso appurare che il Ghoul non si fidava abbastanza di lei da farglielo sapere.
Il sorriso dell’uomo svanì, per poi trangugiare un altro grande sorso di liquore dal bicchiere.
   « Hai ragione. »
Lo mollò che era praticamente giunto sul fondo e si alzò spostando rumorosamente la sedia. Si avvicinò alla finestra e incrociò le braccia sul petto. Fuori era buio, per cui tutto ciò che vide fu soltanto il suo stesso riflesso impresso nel vetro che lo fissava. E quello di Sel, che stava seduta al tavolo a pochi metri di distanza.
   « Parla, ti ascolto. Che cosa c’è? », cercò di spronarlo, con la stessa calma e gentilezza che la caratterizzava.
La risposta giunse dopo qualche teso istante.
   « Tu. »
Si voltò e si appoggiò di schiena al bordo della finestra.
Sel lo ricambiò perplessa, senza comprendere esattamente il senso della sua risposta, né riuscendo a leggere la sua espressione: non era arrabbiato, ma dava l’impressione che lo fosse. Deglutì nervosa, non sapendo di preciso come reagire.
   « Non capisco che intendi. Dici perché sono voluta venire qui? Mi dispiace, ma te l’ho detto che credevo di… »
   « No. Perché vuoi che sia onesto. Lo vuoi davvero? »
   « Ehm. Beh, certamente. Ma mi sembra anche normale. Scusa, non capisco cosa… »
Non poté terminare la frase. Inaspettatamente, Hancock aveva coperto la distanza che li separava con pochi passi, l’aveva fatta alzare in piedi, le aveva avvolto le braccia attorno e le aveva affondato il viso tra i capelli. Era incredibile come quella ragazza profumasse sempre di muschio.
A lei per un attimo sembrò di rivivere la medesima situazione nel vicolo. E perse il fiato.
   « … Hancock? »
   « Non posso lavorare, lo sai. Non riesco a dormire senza vedere il tuo viso... il momento migliore delle mie giornate è vederti e sentire la tua voce. Come sto andando in quanto a onestà? »
  Gli occhi di Sel si spalancarono meravigliati. “Ma è serio?...” Sollevò le mani, che durante quei lunghissimi secondi avevano penzolato inerti tra i loro corpi, solo per poterlo afferrare per le spalle e allontanarlo con gentilezza così da poterlo guardare, e nei suoi occhi neri lesse tutta la sincerità del mondo come non aveva mai visto.
Cercò di abbozzare un sorriso.
   « Hancock… io ti amo. Sono innamorata di te. »
Non voleva, ma la tensione finalmente abbattuta e la sensazione di sollievo nell’essersi liberata di quel peso la travolsero talmente che si lasciò andare, e le lacrime cominciarono a scivolare senza che lei potesse controllarle.
  Abbassò la testa e pianse, in silenzio, tirando solo su con il naso. Hancock si portò poco più indietro per guardarla meglio in viso e Sel scoprì che era riuscita a sorprenderlo.
  Trascorso poi anche quell’istante, una luce molto più decisa si accese nei suoi occhi: « Mi ami? » le chiese, in tono esigente e roco.
  Tutto ciò che Sel poté fare per dargli una risposta fu annuire e asciugarsi gli occhi con il dorso della mano, anche se le lacrime non sembravano saperne di smettere di uscire.
  Non le importava della possibilità di rimanere ferita, voleva solo fargli sapere come si era sentita durante quei giorni per essersene resa conto. Non importava se Hancock voleva soltanto divertirsi e vivere una semplice avventura per poi dimenticarsi di lei; si sarebbe rassegnata all’idea che sarebbe tornata a considerare la cosa come aveva sempre fatto, quando era ancora nella Cittadella e poi nell’esercito, dove le avventure sessuali tra i suoi simili erano praticamente la norma. Era stanca, aveva bisogno di andare avanti e preoccuparsi meno di certe cose. Quello che sarebbe successo, sarebbe successo e basta.
Non si era neanche resa conto che le stava sfiorando il collo con la mano. Rialzando gli occhi vide il viso scheletrico del Ghoul farsi sempre più vicino, ma ancora non la baciò… si mise invece a stuzzicarle il lobo dell’orecchio, e ancor prima che lei potesse davvero realizzare ciò che le stava facendo, Hancock le passò con delicatezza la punta della lingua sulla guancia solcata dalle lacrime, baciandone la pelle arrossata.
Poi di nuovo si tirò a qualche pollice di distanza per continuare a contemplare il suo viso scolpito, prima di decidersi a premere la bocca sopra quella morbida di Sel.
Hancock sembrò attendere una sua qualche reazione, e quando lei rispose al bacio aprendo anche le labbra, accettandolo e stringendo la presa sul bordo della sua redingote, fu come se in lui fosse scattato qualcosa, e non si trattenne più.
 
*missing moment*


  Trascorsero alcuni secondi di silenzio, disturbati dai loro respiri affannati. Hancock la fece sistemare in una posizione più rilassata, ma senza farla andare via: la avvolse con le braccia e le premette il viso contro il collo, riempiendosi le narici dell’odore dei suoi capelli e della sua pelle.
  Ancora muschio. Quel suo dolce profumo di muschio. Era davvero il suo odore... Sembrava che la stesse inalando, beandosene.
  Entrambi erano leggermente sudati, accaldati, stavano lì a coccolarsi e a cullarsi tra le coperte del letto grande, Sel sentiva anche qualcosa che stava gocciolando lentamente tra le proprie gambe, ma non se ne preoccupò. Rimasero in quella posizione a lungo, come se non avessero più voluto separarsi per paura che la magia si rompesse. E quando poi Hancock ricadde sul materasso e se la tirò a sé, la fece sdraiare sulla schiena e si sistemò per bene accanto a lei, appoggiando la testa sul palmo per poter osservare meglio la propria compagna. Con la mano libera le accarezzava la guancia in un sorriso rilassato.
   « Sei sicura di voler amarmi? », le chiese tranquillamente.
Sel sorrise. Le sue guance erano ancora tinte di un bel cremisi acceso. « Non è una questione di volerlo o no, lo faccio e basta. Ti preoccupa ancora il fatto che sei un Ghoul? Be’, decido io di chi innamorarmi, e quella persona sei tu. A meno che non sia un problema per te… »
   « Eh eh. Assolutamente, dolcezza. Ma non credo tu voglia davvero svegliarti ogni mattina accanto a un mostro come me. Non lo augurerei a nessuno »
   « Guarda che poi io mi fido, Hancock. O non dovrei? », disse lei con ironico nervosismo.
   « Non ho ancora architettato un piano di fuga, se è questo che intendi. È qui che voglio stare, ora. Eh eh. Sono i momenti come questo che mi fanno capire che il karma è una stronzata. Perché nessuno come me dovrebbe essere così fortunato. »
  Sel ridacchiò, poi fece una breve pausa. « Senti. Alla fine… a te sembrerà strano perché… lo sai, ma non credere che invece per me sia più semplice. Io sono un Sangue di Drago, maledizione. Lo capisco se… »
  Hancock non la lasciò finire di parlare. Semplicemente, si abbassò e le diede un bacio lungo ed intenso, uno di quelli autentici che valevano più delle parole.
  « Essere qui con te, è la cosa più bella che mi sia mai capitata. Ti amo, Selina » mormorò quando si separò, proprio accanto al suo orecchio, e quelle parole le fecero battere forte il cuore.
Le passò la mano dai seni fino al fianco, solleticandola e strisciando sempre più in basso. Buttò anche un’occhiata alla luce che veniva da fuori: « È ancora presto. Penso che dovremmo continuare a discutere sull’argomento… per vedere se siamo d’accordo »
   « D’accordo su cosa? » rispose perplessa lei, iniziando già ad avere la pelle d’oca.
   « A proposito di te. Al fatto che ti sei appena unita a questo matto… »
Sel emise un sorriso smorzato. « Mi piacerebbe davvero molto, Hancock »
   « Ah sì? Provalo, allora… »
Sogghignò e fece scivolare la mano ancora più in basso.
~
 
Non dormì molto quella notte, ma almeno riposò profondamente. Hancock aveva voluto “discutere” con lei sulla loro nuova relazione per ben altre due volte; quando si svegliò e guardò fuori, la mattina era già diventata mezzogiorno. Si sentiva come se la zona tra le sue gambe fosse stata sottoposta a una lezione prolungata di yoga, e aveva addirittura fatto del suo meglio. Era assurdo: neanche nella colonia avrebbe scopato così tanto in così poco tempo.
  Si girò a guardare Hancock che stava ancora dormendo; si era addormentata sul suo braccio ed era certa che doveva essersi parecchio intorpidito. Si morse il labbro, “Ops…”
  Nel sonno il Ghoul si era gettato l’altro sugli occhi, coprendoli dalla fredda e inquietante luce che filtrava dalle finestre opacizzate dalla polvere. Non si era svegliato nemmeno quando si era sistemata in una posizione più comoda per poterlo osservare meglio, e da vicino.
  Sel non poteva credere che adesso Hancock sapeva come si sentiva. E lui la amava davvero: sentiva il cuore volerle esplodere in petto a quella sensazione. Quando Hancock le aveva sussurrato quelle due parole, così semplici eppure così potenti, si era limitata a sorridere e a rimanere abbracciata a lui, ma dentro di sé aveva esultato.
  Mentre Hancock continuava indisturbato a dormire, Sel volle soffermarsi a contemplare la sua pelle con le dita. La droga radioattiva che lo aveva mutato aveva fatto il proprio lavoro molto tempo prima, e in maniera piuttosto accurata: in alcune zone la cute sembrava una spessa pergamena, altre volte era come essere stata bruciata e cicatrizzata dal fuoco o da un acido. Il naso, come in tutti i Ghoul, era inesistente, lasciando intravedere solamente la struttura scheletrica.
Era stato doloroso? Non era sicura di volerglielo chiedere. Le radiazioni subite nel tempo stavano lentamente cambiando anche lei; in quanto parte del suo DNA era di bestia, Sel possedeva una pelle più raffinata ma più resistente rispetto agli umani che la schermava dagli agenti climatici, ma ancora non la rendeva invulnerabile all’esposizione prolungata a quelli più aggressivi. E non poteva, non voleva vivere per sempre unicamente nella forma draconica per difendersi; presto o tardi, anche lei avrebbe dovuto fare i conti con il cambiamento. Forse sarebbe diventata un Ghoul, come molti altri Sangue di Drago prima di lei che erano stati colpiti direttamente dalle esplosioni nucleari.
  Mentre lasciava che le proprie dita solcassero il suo petto nudo, notò qualcosa muoversi. Si rese conto che Hancock aveva smesso di emettere quel lieve e tranquillo russare e aveva aperto lo sguardo. Il suo braccio era ancora adagiato sulla sua fronte, ma un accenno di sorriso gli stava incorniciando la bocca sottile.
  Intravedere i suoi occhi neri puntati dai riflessi della luce sotto alla penombra dell’arto era una visione decisamente disturbante.
   « Mm. ‘Giorno, raggio di sole. Lo sai? Non mi lamento se comincerai a prendere l’abitudine di svegliarmi in questo modo. »
  Sel sorrise mentre lui la scrutava da sotto il braccio.
   « Buongiorno », sussurrò.
   « Ma guardati! Forse sto ancora sognando. »
Lei si allungò per poterlo baciare, invece Hancock la abbracciò e le si buttò sopra.

 
*missing moment*



Angolo dell'autrice:

Salve a tutt*!Dal momento che la storia ha iniziato a virare sull'hot ho deciso di separare le parti erotiche e raggrupparle a parte: dove nel capitolo ci sarà scritto *missing moment* si tratta di una censura che riconduce alla serie "Sky Above, Voice Within: Missing Moments", dove potrete, per l'appunto, trovare i momenti più "piccanti" della storia.
Questa era la mia idea iniziale. Buona lettura e alla prossima!

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Capitolo 11
*** Ritorno a Boston ***


Strinse i capelli fra le mani, cercando di far sgocciolare via il più possibile l’acqua. Era in piedi fuori dalla casa, sotto una piccola veranda recintata volta verso il lago che Nora e suo padre avevano costruito come camera appartata dove potersi lavare, disponendo di una vasca da bagno con tanto di cassettoni e mensole. Sel aveva una temperatura corporea un po’ più alta rispetto agli umani, per cui non risentiva dei brividi dovuti alle gocce d’acqua a contatto con la brezza e che lentamente si inabissavano sulla sua pelle. Inoltre l’aria era calda per gran parte dell’anno nel Commonwealth, con inverni quasi praticamente nulli. Per fortuna anche quel giorno aveva portato il sole con sé, e le acque del lago erano tranquille.
Dopo essersi vestita gettò l’asciugamano inumidito sul bordo della vasca e rientrò nel soggiorno, dove Hancock era intento a radunare le loro cose. Sorrise quando la vide. « Non dovremmo rimanere per un’altra notte? Per caso? A me non dispiacerebbe affatto, lo giuro. »
Sel gli sorrise di rimando. « Forse a te non dispiacerebbe, ma ho i miei dubbi su Fahrenheit. » Si girò verso di lui e gli lanciò un asciugamano pulito. « E inoltre… se Nick dovesse avere qualche notizia su Nora, voglio essere dove può trovarmi. »
Hancock annuì, poi la guardò più intensamente e le si avvicinò. La accarezzò sulla guancia, mutando il suo sorriso in uno più gentile. Lei girò di poco la testa e gli baciò il palmo. « Faresti meglio ad andare a darti una sciacquata anche tu, adesso. Così possiamo partire e prendercela comoda », gli suggerì. « Io nel frattempo riordino un po’ qui e scrivo un messaggio per Nora, in caso dovesse tornare. »
Quando Hancock tornò alcuni minuti più tardi, già rivestito di tutto punto e si apprestarono a partire, Sel lasciò il biglietto in bella vista sul tavolo della cucina, dove Nora sarebbe stata in grado di trovarlo subito quando sarebbe entrata nella casa; sapeva che avrebbe potuto leggerlo anche chiunque altro, ma era un rischio che erano disposti a correre. Aveva l’armatura di cuoio sistemata indosso, ed era pronta a fare ritorno a Goodneighbor.
« Sicura di voler tornare indietro? Non vuoi neanche passare dall’insediamento? » disse Hancock, questa volta con espressione seria.
Lei, che si era portata già a qualche passo più avanti, si voltò il tanto che bastava per poterlo guardare: « Sì. È inutile rimanere qui quando ci sono possibilità migliori di sentire qualche buona notizia a Goodneighbor » rispose, e appoggiò il fucile sulla spalla. Fecero in modo di chiudere il posto più che poterono, così che nessun animale errante avrebbe potuto penetrare all’interno.
Quella volta l’atmosfera era molto diversa: Hancock camminava proprio a fianco a Sel e ogni tanto le sfiorava la mano con la propria. E ogni volta Sel avvertiva un salto di gioia nel petto; guardandolo, non poté fare a meno di meravigliarsi del fatto che lei, o meglio, che loro condividessero la medesima emozione. Inoltre non poteva non pensare a cosa quell’amore avrebbe significato per loro e quali sorprese, piacevoli o spiacevoli che fossero, avrebbe portato con sé.
La zona rurale era silenziosa, c’erano dei minuscoli sciami di mosche mutanti e zanzare che ronzavano in lontananza, ma non ebbero nessun problema a evitarli. Fu quando stavano per raggiungere il centro urbano di Boston che incontrarono molta più attività: Hancock si occupò di alcuni topolini e insieme attirarono lontano un branco di bastardi feroci. I guai più grossi bussarono non appena rimasero sorpresi da una mandria di Ghoul Ferali che sbucarono dalla boscaglia incolta di un piccolo parco, altri si unirono strisciando da sotto un furgone, attirati dai richiami dei loro simili, che presero a correre anche loro verso i due intrusi. Erano rimasti nascosti nel fango e nella vegetazione talmente bene che Sel e Hancock non avevano potuto scorgerli per tempo sotto alla torbida melma, benché Sel avesse avuto un presentimento e si era fatta più guardinga. Hancock spinse la compagna al riparo dietro a una macchina parcheggiata e impugnò il fucile a canne mozze; erano ancora in periferia, per cui avrebbero potuto anche permettersi di sparare qualche colpo.
Sel capì subito che erano in troppi per lui da solo, così si apprestò a coprirlo da cecchino, utilizzando il cofano dell’auto come copertura e sostegno per il fucile di precisione. Hancock scoppiò un paio di proiettili in testa a due di essi quando questi si lanciarono nella sua direzione, con gli altri al seguito a qualche metro più in là.
« Alla tua sinistra! », gridò Sel a un certo punto, e Hancock si voltò in tempo per vederne uno giungere da un vicolo e atterrarlo in fretta.
Mentre lui si occupava di quel gruppetto che man mano si avvicinava sparpagliatamente, dandogli così modo di occuparsi di uno o due per volta, Sel mirò a un Ferale avvizzito che era appena emerso da sotto il furgone. Scuoteva un po’ la testa, e il colpo fermo e preciso di Sel lo prese al collo. Era la prima volta dopo molti mesi che sparava di nuovo a un bersaglio vivente che non fosse un ratto, e non si sentiva per niente insicura. O almeno non per quello, perché il problema si rivelò in bel altro.
Il Ferale strillò quando il sangue cominciò a scorrere veloce, e fu in quel momento che Sel fece la cosa peggiore che le potesse saltare in mente: bloccarsi. La strada e il furgone svanirono, davanti ai suoi occhi stavano solo il sangue, i Ghoul e i visi sfigurati di Tess e Gwen. Di sottofondo sentiva Hancock continuare a sparare contro gli altri mostri barcollanti, ma lei non sembrava trovarsi lì. Stava osservando ipnotizzata il Ghoul che si dimenava a terra e lei aveva una strana voglia nel petto. Cominciò ad avvertire un’insolita salivazione, leggermente più intensa, lo sguardo si fece più feroce e digrignò sommessamente i denti… non aveva bisogno delle armi, voleva sfogarsi, fargliela pagare ancora, non sarebbe mai stato abbastanza.
« Sel! Levati da lì! », gridò qualcuno.
Il Ferale si rimise in piedi benché con difficoltà e riprese a riavvicinarsi a lei, incurante del fatto di essere ferito. Stava ancora sanguinando, e Sel poteva sentirne l’odore. Puzzava di putrefazione e di ruggine.
« Sel! Per l’amor del Cielo, puoi farlo! »
Quella voce la confuse. Sicuramente sapeva a chi apparteneva… era qualcuno che amava. Qualcuno che era stato con lei nei giorni passati, aiutandola, vegliando su lei, e poi… “ ’Giorno, raggio di sole ”.
Strinse la presa del fucile, la nebbia si stava rapidamente ritirando, e il Ferale era a soli tre metri di distanza.

 
~


Il tempo sembrò scorrere a rilento. Non sapeva se era stato il colpo di adrenalina o altro, ma alzò il fucile in una frazione di secondo. Il Ferale era ormai a due passi di tiro quando premette il grilletto, non aveva avuto neanche bisogno di prendere la mira.
Fu come in uno di quegli horror americani di serie B. La testa della creatura esplose in mille pezzi, schizzando materia organica viscida e sanguinolenta ovunque; per un orribile breve attimo, a Sel parve che il Ferale stesse continuando a muoversi verso di lei, prima di crollare in avanti e picchiare contro il cofano rugginoso della macchina, dietro al quale lei si riparò prontamente per evitare che la macchiasse addosso.
Quando si rialzò e guardò in giro poté scorgere uno dei bulbi oculari gialli giacere sull’asfalto, rivolto verso il vuoto, la calotta cranica era frantumata e spalancata con gli interni ridotti in poltiglia. Non le erano mai piaciuti quegli spettacoli.
« Non è ancora finita », esclamò Hancock balzando accanto a lei. Aveva alcune strisce di sangue sul lato sinistro del viso, e anche la redingote ed i pantaloni erano schizzati.
Sel dovette fare uno sforzo immane per non soccombere sui propri istinti selvatici e sulla propria sete di vendetta; non poteva concederselo, non in quel momento. Un altro Ferale si stava precipitando verso di loro, proprio sulla medesima scia di quello precedente. Quella volta Sel non si fece annebbiare: puntò la canna del fucile di precisione e gli piantò un buco perfetto in mezzo alla fronte. Il Ghoul barcollò all’indietro e rovinò di schiena sulla strada, con le gambe goffamente oscillanti.
Hancock stava poco dietro a lei, a sparare proiettili che volavano a destra e a manca. Si fidava davvero di quella ragazza, a tal punto da affrontare qualunque cosa provenisse dalla sua direzione: lei lo capì, e la cosa la rese immensamente felice. Sparò ad altri due Ferali ancora, poi dovette ricaricare. Aveva una buona scorta di munizioni nella sua borsa appesa alla cintura: pescò un caricatore nuovo e lo sostituì con quello esaurito.
Un Ferale era ancora in piedi e stava avanzando zoppicante verso di loro. Videro che era già ferito, probabilmente da poco tempo prima che Sel e Hancock lo incontrassero: aveva del sangue secco su una gamba, fuoriuscito attraverso poche fibre muscolari del ginocchio. A vederlo bene sembrava che un tempo fosse una donna, ma i vestiti laceri erano talmente fangosi che Sel non poteva esserne pienamente sicura, ma credeva di poter scorgere dei tratti più sottili con un accenno di curve sul petto. Alzò il fucile ancora una volta, accostò l’occhio al mirino e spinse il grilletto. Ma…
“Eh?!”
Nessun botto echeggiò nell’aria. Probabilmente si era bloccato qualcosa nel meccanismo interno, e Sel non aveva tempo per capire di cosa si trattasse. “Fucile di merda…”
Il Ferale aveva accelerato il passo non appena l’aveva individuata, e anche se non poteva usare adeguatamente la gamba ferita si muoveva in una maniera innaturalmente rapida, senza curarsi del dolore che poteva causargli. Sel imprecò e lo stordì mollandogli un colpo caricato con l’impugnatura dell’arma, così che potesse fermarlo prima che la azzannasse alla spalla.
Lo colpì ancora, quella volta allo stomaco con il ginocchio, e il mostro si accasciò con un grottesco rantolo. Poi Sel alzò un’altra volta il piede e lo spinse via con un calcio. A quel punto comparve Hancock, che le stese il braccio sinistro sul petto cingendola per le spalle, l’altro braccio era serrato attorno al fucile a canne mozze che sbucava proprio accanto alla testa di Sel, e uno scoppio andò a scavarsi la strada nel cranio della creatura.
L’ultimo Ferale si accasciò con un tonfo disgustoso e umido, poi tutto ciò che Sel riuscì a sentire furono le proprie orecchie che risuonavano degli spari e del vento che tirava, facendo scomparire foglie morte e spazzatura. Lasciò andare un respiro per scaricarsi.
« Sei ancora con me? » fece Hancock, ancora alle sue spalle.
« Sì… mi dispiace. Ti ringrazio » rispose lei, e non poté fare a meno di sentirsi delusa dal proprio comportamento.
Pensava di essere ormai perfettamente in grado di poter controllare i propri bisogni più selvaggi e le proprie emozioni, ma almeno se si fosse trasformata sarebbe stato più facile salvare entrambi anziché rischiare di finire uccisi. E in realtà era vero: non passava giorno che Sel non fosse tentata di assecondare la propria natura. Ma se in qualche modo ne sentiva il bisogno, non era per fare del male a qualcuno. Era semplicemente una valvola di sfogo, un tratto comune per chiunque.
« Tu invece stai bene? » aggiunse, girandosi verso il Ghoul.
« Sto bene. »
Hancock aumentò la presa sulle sue spalle e si premette la schiena della ragazza contro il petto. Sel ascoltò ogni suo respiro sopra i capelli quando le parlò: « Ti passerà. Non sei sola. »
Era convinta che si fosse paralizzata solo per quel trauma. Si voltò verso di lui, lasciando cadere il fucile a terra e gli poggiò una mano dietro la nuca.
Quando premette le labbra sulle sue, Hancock le cinse la vita con l’altro braccio, rinfoderò il fucile e le afferrò delicatamente i capelli. I residui ancora freschi di sangue sulla sua guancia si copiarono sulla pelle alabastro di Sel.
Non gliene poteva importare di meno se si trovavano all’aperto, in mezzo alla strada, in pieno giorno e circondati dai corpi dei Ferali abbattuti; Sel si rese conto di essere quasi completamente immersa nell’abisso della propria psiche e cercò qualunque appiglio potesse aiutarla a tornare al presente.
Sorrise e le scostò alcune ciocche ribelli dal viso. « Tesoro, mi fai sentire come se potessi morire da uomo più felice del mondo, anche se un Supermutante dovesse saltarmi addosso e sventrarmi in questo preciso istante. Pensavo che solo il Jet potesse farlo, ma il nostro rapporto mi fa sentire meglio delle droghe... oh, forse sto un po’ esagerando. »
Sel esalò una risata breve ma divertita. « Oh Hancock, è una delle cose più romantiche che abbia mai sentito. »
A quel punto Sel percepì l’aria apprestarsi a cambiare e decise che era giunto il momento di rimettersi in moto. Senza dire un’altra parola si separò da Hancock ed esaminò il fucile di precisione dopo averlo raccolto da terra. Si assicurò che il caricatore fosse al proprio posto, tirò la leva di ricarica e la rilasciò. « Forse era inceppato », disse, mentre se lo rimetteva in spalla. « Adesso dovrebbe funzionare »
« Se non dovesse farlo e qualcosa ci viene contro, resta dietro di me, non usare il tuo potere. Mi sono spiegato? », disse Hancock. « Pronta per continuare? »
« Pronta »
« Sarebbe meglio se scegliessimo un percorso alternativo. Quei Ferali non erano lì quando ci siamo passati ieri, quindi è probabile che facciano parte di un gruppo molto più grande che si è diretto qui, o che si siano sparsi e stiano ancora nei paraggi. Non siamo lontani da Goodneighbor, ma è meglio prevenire che curare », osservò Hancock.
Sel annuì e si avvicinò a lui. « Va bene. Fai strada. »
Lui la guardò intensamente negli occhi e sorrise, ma sembrava triste. La fermò e le grattò via con cura un po’ sangue secco dalla guancia. Una volta rimasto contento del risultato, si chinò e la baciò. Ma invece del desiderio, la riempì di calore. Le labbra di Sel parevano fragili, in parte, in fondo, quello era l’effetto che aveva su di lei. Hancock lo notò e sorrise.
« Sapevo che il mio carisma avrebbe funzionato anche su di te, alla fine »
« Oh, davvero? », ridacchiò lei. « Nah, mi sono innamorata di te solo perché sei il Sindaco »
Il suo sorriso si accentuò. « Non dubitare mai del potere della divisa né dello status, amore »
« Mh, me ne ricorderò per quando sarò Matriarca. »
Gli fece l’occhiolino.

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Capitolo 12
*** Resta con me ***


Attraversarono il medesimo ponte dell’andata per raggiungere il centro urbano. Era stato l’unico più vicino che avevano avuto a disposizione per evitare di compiere giri più larghi, scartando anche i ponti che erano rimasti sollevati o erano in parte crollati, e quindi inagibili, a meno che non avessero voluto attraversare l’altra metà del fiume a nuoto.
Come Hancock aveva predetto, videro alcuni Ghoul Ferali barcollare confusamente in giro per le strade cosparse di macerie e rottami, o intenti a cibarsi di carcasse, ma per loro fortuna non erano così tanti come aveva temuto. Erano abbastanza facili da evitare e, dal momento che c’erano degli edifici praticamente demoliti, arrampicarsi sui tetti e rimanere nascosti fu una vera passeggiata, almeno finché le creature non si sarebbero allontanate. Sel fece del proprio meglio per tenere il passo insieme al compagno; a volte Hancock si muoveva più lentamente e lei ne approfittava per colmare il tratto che li separava. Cercarono di spostarsi più alla svelta che poterono, visto che la giornata si stava già tingendo di un colore più ambrato mentre il sole si preparava a tramontare; ma dalla sua posizione e dall’intensità della luce, Sel dedusse che avevano ancora un paio d’ore buone prima dell’imbrunire. Inoltre rassicurò Hancock dicendo che se per qualche motivo non fossero riusciti a rincasare per tempo, si sarebbero affidati alle sue abilità furtive per evitare i pericoli notturni.
  Stavano scendendo da un’enorme pila di macerie, auto distrutte e ogni altro genere di roba ormai irriconoscibile, quando Sel afferrò all’improvviso Hancock per un braccio e lo indusse a fermarsi: « Aspetta, shhh! » gli sussurrò, mettendosi in ascolto. « Si è mosso… si è mosso qualcosa… Lo senti? »
Bastarono pochi altri passi e lo udì anche Hancock. Riecheggiava da pochi isolati distanti, proprio lungo la strada. Sel provò a identificare l’origine del rumore, ma non corrispondeva né ai Supermutanti, né ai Ferali, né ai cani selvatici.
  « Che cos’è? » chiese.
Hancock corrugò la fronte, ascoltò ancora, poi guardò Sel. « Potrei giurare che è uno Yao Guai »
  « Ma… di solito non si tengono lontani dalla città? » rispose lei, perplessa.
  « Infatti. »
Gli Yao Guai. Erano stati i discendenti di coloro che erano stati confinati nei campi di prigionia cinesi prima della guerra ad avergli dato questo nome. Sel li conosceva benissimo: terrificanti orsi bruni mutati, grandi e pericolosi, di solito erano innocui se venivano mantenute le distanze o non provocati. Ma se invece erano anche soltanto malati, attaccavano tutto ciò che vedevano. Per fortuna non sembrava che nel Commonwealth ce ne fossero molti, rari com’erano.
Fecero per raggirare la fonte di quei suoni, che ormai ricordavano chiaramente i rugli di un orso. Hancock fece segno che non dovevano parlare più del necessario; Sel alzò il pollice all’insù, si assicurò che la cinghia del fucile di precisione fosse ben stretta al torace e iniziarono ad avanzare più silenziosamente, accucciati, cercando di non disturbare qualsiasi cosa avessero di fronte nonostante ancora non la vedessero. I versi erano adesso spaventosamente vicini; dopo aver attraversato un paio di strade strette ricoperte di detriti poterono finalmente vederlo: un’enorme e massiccia bestia, con lunghi artigli e chiazze di pelliccia scura sparse sul corpo.
  La maggior parte della pelle era completamente spoglia, ricoperta soltanto da graffi e vecchie ferite di varie entità, oltre a quelle che a prima vista sembravano cicatrici da ustioni. Sel notò che aveva anche dei tagli freschi. Il lato destro del muso e la spalla erano coperti di sangue rosso acceso che stava ancora sgorgando dagli squarci aperti, riversandosi sul marciapiede incrinato, ma l’orso non sembrava minimamente badarci. In realtà era distratto da qualcos’altro e non si era reso conto di essere osservato.
Si trovavano ancora a una distanza di sicurezza, ma i cumuli più grandi di spazzatura e le macerie offrivano un ottimo nascondiglio per potersi avvicinare ancora. Sel ebbe un presentimento.
  « Aspetta » sussurrò, picchiettando sulla schiena di Hancock prima che potesse spostarsi ulteriormente. « Credo ci sia qualcuno nei guai. »
  Si voltò per guardare dove lei stava indicando: lo Yao Guai si muoveva avanti e indietro, in un angolo di quello che una volta sembrava essere stato un fast food. Le finestre erano sbarrate con delle assi di legno e qualcosa doveva essere stato spinto dall’interno, di fronte all’unica porta presente per poterla bloccare. I movimenti della bestia erano chiaramente irritati ed emetteva ringhi e sbuffi che suonavano frustrati; ogni tanto si alzava perfino in posizione eretta per dare alcune zampate a tavoli e finestre. Qualunque cosa ci fosse dentro, l’orso la voleva a tutti i costi. Sel aguzzò la vista e gli altri sensi per scrutare l’ambiente circostante, in cerca di qualcosa o qualcuno.
  « Forse alcuni Ferali sono rimasti intrappolati all’interno », mormorò Hancock, chiaramente desideroso di allontanarsi prima che l’animale potesse scoprirli.
  « Riuscirei a sentirlo se fossero Ferali. Non riesco neanche a individuare alcun movimento tra le assi, o qualunque cosa sia stata utilizzata per barricare la porta... »
La mascella di Hancock si irrigidì. Sel poteva quasi vederlo emettere bolle dalla sua testa pensante… “Devo riportare Selina a casa, sana e salva. Ma se invece avesse ragione e c’è qualcuno lì fuori nella merda? Siamo solo in due, lei è bene che non usi i suoi poteri in piena città, e neanche sappiamo ancora se il suo fucile sia utilizzabile, per lo più.”
  « Guarda… » Sel indicò un edificio di tre piani, a poca distanza da loro ma più a ridosso dell’orso. Le scale antincendio salivano zigzagando lungo la parete. « Potremmo arrampicarci da lì e sparargli da una posizione sopraelevata. Non può salire le scale, quindi saremo al sicuro. »
  Hancock ci rifletté per un attimo, poi annuì concordando. « È un rischio, ma hai ragione. Sembra proprio che un povero coglione si sia scontrato con l’orso e poi sia stato messo alle strette là dentro. Tu rimani qui, al riparo e al sicuro. Me ne occupo io. »
Ovviamente, Sel lo fulminò con gli occhi. « Non se ne parla », sibilò tra i denti, cercando di alzare il minimo indispensabile il volume della voce. « Se stai andando, vengo »
  « Sel, non discutere »
  « No, ma per una volta, dammi ascolto! Verrò con te e ti aiuterò, che tu lo voglia o no. »
Lui parve voler continuare a protestare, Sel che si preparava a controbattere; ma alla fine, Hancock abbassò semplicemente lo sguardo e si lasciò sfuggire un sospiro sconfitto. « Sembra che non abbia senso cercare di farti cambiare idea, vero? Va bene »
  « Se l’orso ci scopre prima di arrivare alle scale, la colpa è tua. Guarda se puoi salire da qualche parte. »
Il fragore prodotto dalla bestia intenta a cercare di distruggere le assi li avvolse una seconda volta.
  « Vieni », Hancock aprì per primo la strada e lei lo seguì.
Man a mano che si avvicinavano, Sel era sempre più fiduciosa e sicura che ci fosse davvero qualcuno di umano intrappolato all’interno di quel vecchio e deprimente locale mezzo demolito. E quando la sua visuale divenne più chiara, scorse una camicia bianca, sporca e lacerata, lasciata appesa a una delle assi sporgenti che ostruivano le finestre, e ogni dubbio residuo fu spolverato via.
Forse la persona che era stata presa di mira dall’orso l’aveva messa lì per chiamare aiuto, quando non c’era stato più altro che avrebbe potuto inventare.
  « Appena arriviamo alla scala », sibilò Hancock, « preparati a correre in caso di pericolo. »
La scala non era lontana, ma sapere che lo Yao Guai era a pochi balzi con Hancock accanto non era rassicurante, inoltre sembrava che si stessero trattenendo lì da ore. Ma sarebbero usciti da quella situazione vivi entrambi: Sel sapeva che se qualcosa fosse andato storto sarebbe stata costretta a mutare per sperare di abbattere l’orso e proteggere Hancock. Ormai era tardi per i ripensamenti, soprattutto adesso che aveva appurato che c’era qualcuno da salvare. Si ritrovarono così accucciati proprio sotto alla scala antincendio.
  « Qui », indicò il Ghoul. « Vai prima tu »
  « Hancock » Se l’orso si fosse girato proprio in quel momento e li avesse visti, non ci sarebbe stato tempo per lui per mettersi in salvo quando lei invece era già salita.
  « Ho detto vai. »
Si chinò e le avvolse le braccia sotto i glutei per sollevarla, in modo da poterle far raggiungere il primo gradino che si protendeva verso di loro. Appena constatò che la presa era salda, Sel si trascinò fin sopra la grata, si mantenne in equilibrio e si mise a camminare verso la seconda rampa. Per fortuna il metallo non cigolava più del dovuto, nonostante la fragilità dovuta alla ruggine. Hancock riuscì a raggiungerla saltando abbastanza in alto senza alcun sostegno e si arrampicò fino a lei. Giunti in cima, Sel imbracciò il fucile di precisione e accostò l’occhio al mirino per controllare la zona sottostante.
  Hancock, anche lui pronto con il fucile a canne mozze, esaminò rapidamente la situazione; « Mh, potrei avere una traiettoria migliore se si avvicinasse ancora un po’… tu hai più possibilità di attirarlo fuori. Appena te la senti, io ci sono. Non ci ha ancora notati. »
  Sel gli rispose con un cenno e si aggiustò meglio nella propria posizione, il ginocchio poggiato giù contro la grata metallica e l’altro piegato all’insù. Fece scorrere la canna del fucile tra i sostegni in ferro del parapetto della balconata per appoggiarsi e aiutarsi a rimanere in equilibrio, poi prese la mira.
  Non era sicura se fosse stata davvero una buona idea, ma tra pochi secondi avrebbero scoperto se il suo piano avrebbe funzionato: lo Yao Guai stava ancora battendo a destra e a manca, cercando in ogni modo di capire dove colpire con gli enormi artigli. L’indice sinistro di Sel trovò il grilletto, ma ancora esitò a spingere. Inspirò profondamente e trattenne il respiro.
  Un suono secco, ammortizzato dal silenziatore che aveva montato prima che si inoltrassero nel centro urbano, le ronzò nelle orecchie e vide lo Yao Guai trasalire. Qualche attimo dopo, cacciò un lamento di agonia. All’inizio Sel non capì di preciso dove lo aveva colpito, finché il sangue non cominciò a colare da sopra una spalla; il proiettile si era insenato tra le scapole, ma la bestia era ancora in piedi. E prima che potesse capire dove i due aggressori si trovavano, Sel sparò un secondo colpo, con la fermezza e la precisione di una tiratrice esperta.
  Quella volta si inabissò dietro il ginocchio sinistro: la zampa cedette e la bestia barcollò all’indietro. A quel punto l’orso alzò la testa e la girò verso di loro. Era ancora lontano, ma Sel dal mirino poté vedere la sua rabbia furiosa pervadergli gli occhi. Caricò verso di loro a una velocità impressionante nonostante le sue condizioni; Sel mirò di nuovo e lasciò il colpo, ma con l’orso in movimento rapido il proiettile andò a finire da qualche parte sul marciapiede.
Digrignò irritata i denti. Anche se era ferito era capace di muoversi come se nulla fosse, ma Sel non si fece accapponare la pelle per quello: l’unica paura che poteva avere, era per l’incolumità di Hancock.
  « Cazzo! » esclamò il Ghoul, iniziando a sua volta a sparare a raffica e a ricaricare per arrestare la corsa della bestia. Pure lui ebbe qualche difficoltà a colpirlo, malgrado l’obbiettivo fosse grosso e massiccio. Non appena l’orso raggiunse le scale antincendio allungò la zampa, afferrò la prima grata e tirò verso di sé con furia. Sel ritirò il fucile dalla ringhiera, si sporse e provò a mirare tra le sbarre, ma per la pessima visuale che aveva nel migliore dei casi avrebbe potuto colpire solo il suo enorme deretano.
  I colpi fendevano a vuoto l’aria, l’orso continuava imperterrito a tirare, quando un suono decisamente inquietante giunse dal basso e Sel si voltò a guardare… Le chiusure arrugginite e le cinghie pericolanti si stavano allentando, la griglia del pavimento cominciava a tremare e a incrinarsi. « Per gli Dei, sta per cedere! Hancock, veloce sul tetto! » gridò a pieni polmoni e facendo per prepararsi a muovere, ma subito si sentì afferrare saldamente da qualcosa per la mano.
Il suono del metallo che si arrendeva alla forza smisurata dello Yao Guai, che si piegava e si scontrava tra sé divenne sempre più forte, e prima che potessero anche solo iniziare a salire più in alto, tutto intorno a loro precipitò e si trasformò in frantumi.
 
~

Il buio... “Ancora buio... Perché fa tutto male? La mia testa, il mio petto… e qualcosa sta uscendo dal mio braccio.” Ricordava l’improvvisa sensazione di essere senza peso, dopo che il pavimento si era disintegrato di nuovo sotto i suoi piedi. La presa di Hancock era improvvisamente scomparsa, come se qualcosa o qualcuno lo avesse trascinato via. Poi era stata inghiottita dall’oscurità. Non aveva avuto nemmeno la possibilità di gridare... Quando finalmente sembrava di nuovo poggiare su una superficie stabile, aveva forzato gli occhi ad aprirsi e a rimanere tali.
  Si era ritrovata stesa a pancia sotto. Tutto davanti a lei era annebbiato e poco chiaro, aveva battuto la testa e non riusciva a mettere a fuoco. “Fanculo! Cazzo. Cazzo. Cazzo. Porca puttana… Forse ho una commozione cerebrale. O peggio, sto sanguinando dal cervello…” Ma con un’osservazione più lunga ed attenta, con sollievo realizzò che il mondo appariva sfocato solo a causa della polvere densa e grigia che si era alzata dopo che la scala si era abbattuta al suolo, trascinandosi dietro una parte del muro. Con attenzione sollevò il braccio e si toccò la testa. Era integra, nessun pezzo esposto o mancante.
  Si girò allora sulla schiena aiutandosi con le braccia, abbassò lo sguardo e agitò le dita dei piedi per spostarli all’indietro all’interno degli stivali, quindi riuscì a sollevare testa e busto. Tutto sembrava essere al proprio posto, perfino la sua schiena; l’unica impresa era respirare, che sembrava come essere infilzata da mille aghi tra le costole. E un fluido viscido, di un raffinato cremisi, sembrava aprirsi la strada dall’avambraccio destro, ma considerato che non sgorgava come da una manichetta antincendio, la ferita non aveva reciso alcuna arteria… o almeno, così Sel voleva credere. Sollevò di nuovo la testa e si mise a esplorare i dintorni. Ascoltando il silenzio aleggiare intorno constatò che l’orso non doveva ancora essere uscito dalle macerie, altrimenti sarebbe stata già morta.
  Il posto era un vero disastro, più di quanto lo era prima: c’erano frammenti di scala e intonaco ovunque, ma la maggior parte di essi era crollata vicino alla parete sulla quale fino a qualche minuto prima lei e Hancock erano stati appesi. Solo non appena la polvere cominciò a diradarsi e a scendere lo scorse, un’enorme sagoma ombrosa distesa a una ventina di metri, ma non era immobile. Forse qualcosa lo aveva colpito, o finalmente aveva cominciato a risentire delle ferite. Comunque fosse, stava cercando di rialzarsi.
  Gli occhi di Sel iniziarono a lacrimare, irritati dalla polvere. Saettavano ovunque in cerca di Hancock, con il panico e l’angoscia che le stringevano il cuore. Non riusciva a vederlo da nessuna parte. « … Hancock? » cercò di urlare, ma dalle sue labbra uscì a malapena un respiro flebile.
  Lo Yao Guai stava poggiato sulle quattro zampe. Era fortemente oscillante, rintontito dalla frana che lo aveva quasi sepolto, le voltò le spalle e andò lentamente a trascinarsi da qualche altra parte, annaspando l’aria. Sel pensò che doveva essersi reso conto che le sue ferite erano troppo gravi e che stava quindi cercando di fuggire, ma poi dietro i suoi arti grossi come pilastri comparì la figura distesa di Hancock.
  La gola di Sel era secca come se qualcuno la stesse soffocando. Faceva male, ma prese un respiro profondo e si sforzò come poté: « Hancock! Hancock! Hancock ti scongiuro, svegliati! » gridò a pieni polmoni.
Attraverso la distorsione densa delle lacrime e della nube che si affievoliva, perdendosi nell’aria o adagiandosi al suolo, lo vide muoversi. “È vivo! È vivo!”
  « John Hancock! » gridò ancora. Non importava il dolore che si spezzava nel petto, non importava se lo Yao Guai l’avesse scoperta. « Alzati! Corri! »
Il Ghoul si mosse un po’ di più, ma sempre troppo debolmente e l’orso era sempre più vicino. Sel provò a cercare il fucile di precisione, ma presto si rese conto che doveva essere disperso chissà dove. E non poteva contare su una 10 mm contro un orso di quella portata.
  Si sforzò allora ad alzarsi in piedi, puntandosi sulle gambe traballanti. Anche se in quel momento sarebbe stato doloroso, in un attimo mutò d’aspetto, sfogando in un ringhio. Poi ringhiò una seconda volta e lo Yao Guai si voltò, quando ormai era praticamente sopra Hancock, attirato da quei richiami supremi. Non appena i raggi bruciati del sole la colpirono, illuminarono una creatura spaventosamente bella e arrabbiata. La fatica si era attenuata e guardò con ira la bestia selvaggia che aveva di fronte. In quel momento non le importava se avesse attirato altri pericoli celati nei dintorni; ogni precauzione fu dimenticata, poiché l’uomo che amava era in pericolo e lei era troppo furiosa. Cacciò un terzo ringhio, più lungo e più minaccioso, mosse avanti un passo verso l’orso, assumendo una posizione di guardia e avvertimento, come un animale che reclamava il proprio territorio. L’orso, ruggente e ritto in piedi sulle zampe posteriori, era ingenuamente pronto a sfidare la collera della creatura. Dietro di lui si vedeva Hancock aver ripreso coscienza e impugnare il coltello; stringeva i denti mentre una sottile scia rosso scuro colava dall’angolo bocca.
  « Sivaasse minok Dovah Sos, zu’u los hin In. Hi mey wah krif zey? »
Con i suoi due metri di altezza la creatura cominciò a muoversi, ringhiando e sbuffando verso l’orso che lentamente si era riabbassato e aveva iniziato a ritirarsi, lontano da Hancock. Sel, eretta sulle grandi zampe squamate, scrutava la bestia con uno spettrale sguardo illuminato d’oro, gli occhi contornati di nero; avrebbe superato perfino un Deathclaw in quanto a ira e spaventosità. Lo Yao Guai emetteva continui versi frustrati e di sottomissione, facendole capire che si sarebbe allontanato, ma Sel non avrebbe comunque potuto lasciarlo libero, rischiando che tornasse o che fosse una minaccia per qualcun altro.
  Sulla propria strada individuò il fucile a doppia canna di Hancock abbandonato sull’asfalto: si chinò e lo raccolse, puntò verso l’orso e lasciò andare il fiato per scaricare la tensione. Nel frattempo aveva raggiunto il compagno e gli si era posizionata sopra per pararlo, la lunga coda avvolta quasi attorno per fargli da barriera.
  Per un terribile attimo Sel pensò che l’animale ci avrebbe ripensato e l’avrebbe attaccata, o che avesse mollato una fatale zampata a Hancock. Caricò e premette il grilletto. L’intero orso sobbalzò quando il colpo secco lo colpì in mezzo agli occhi; prima che le sue spalle si afflosciassero, gli arti posteriori cedettero e l’enorme carcassa ricadde a terra con un pesante tonfo, schiacciando tutto quello che poteva trovarsi sotto con la sua imponente stazza. Quando infine il silenzio tornò sovrano, rotto soltanto dal pensate respirare di Sel, più simile a una prolungata serie di placati ringhi, ci fu un grugnito e un’imprecazione e Hancock si alzò in piedi, vacillando leggermente e aiutato a mantenersi in equilibrio dalla compagna. Era ricoperto di polvere e il suo cappello era sparito, ma a parte quell’unica linea di sangue che dalla sua bocca spariva fin sotto il mento, sembrava essere atterrato meglio di lei.
  Sel riassunse la forma umana e subito si sentì come se una frana di detriti rocciosi l’avesse appena investita. Si accasciò lasciando cadere di peso il fucile, respirando a malapena. Il dolore stava iniziando a tornare, e quella volta fu in peggio.
  « Sel! » udì gridare da Hancock, che subito le fu sopra.
Lei si appoggiò alla sua spalla e iniziò a singhiozzare.
  « Stai ferma, bloccherò l’emorragia… Cazzo, stai perdendo tanto sangue! » la sua voce profonda e roca apparì talmente preoccupata da farla piangere ancora più forte; lo sentiva lavorare sul suo avambraccio, avvolgendoci stretto qualcosa di sottile e morbido attorno. Abbassò lo sguardo e scoprì con angoscia che l’arto era completamente tinto di un bellissimo ma inquietante cremisi.
  « Un po’... », mormorò. « Hancock, m-mi dispiace… »
  « Devi parlare con me, tesoro. Hai altre ferite? »
Lei si sforzò di fare qualche respiro e calmarsi. « Non lo so. Solo… il torace » rispose.
  « Puoi respirare? »
  « Sì »
  « Va bene. Adesso controlliamo, eh? »
Per alcuni secondi la premette delicatamente su tutto il petto e la gabbia toracica con mani e dita, applicando leggere pressioni su ogni osso, su ogni costola.
  « Non credo tu abbia costole rotte », osservò infine, e la sua voce rivelò un grande sollievo. « Qualcos’altro? La testa?... »
  « … No, penso che sia a posto. Hancock… ma tu... stai bene? »
Avrebbe voluto allungare una mano e toccarlo, assicurarsi che non avesse nulla di fratturato, qualche ferita o qualche emorragia interna di cui non si era minimamente accorto, o che non voleva ammettere perché voleva prima assicurarsi che lei fosse fuori pericolo. Hancock rimase in silenzio per un momento, poi la sollevò prendendola di peso tra le braccia, ma ancora non si alzò in piedi.
Solo in quel momento Sel si rese conto  di quanto fosse preoccupato, da tanto tremava.
  « Quando sono diventato così dannatamente fortunato? » sussurrò, soffiandole tra i capelli.
Le lacrime le rigavano ancora le guance e lo shock poco a poco stava scemando. Ciò significava che anche il dolore stava peggiorando ogni attimo che passava, e ogni pulsazione sulle braccia dava l’impressione che qualcuno la stesse colpendo con un ferro rovente, ma Sel raccolse con favore la sensazione. Era la sensazione di essere viva.
  « Merda. Hai perso troppo sangue… », mormorò allarmato il Ghoul, appena vide le tracce tingere l’asfalto dietro di loro.
Sel invece non osò voltarsi.
  Udirono una voce chiamare, lontana e ovattata: « Ehi? C’è qualcuno là fuori? » Hancock sollevò la testa e si misero entrambi in ascolto. « L’orso è morto? Se è così e sei ancora vivo, ti dobbiamo un grande favore. » Era una donna che gridava dalla direzione del fast food.
Hancock si girò per guardare di nuovo Sel e lei annuì.
  « Siamo qui! » rispose. « Ma la mia amica qui è ferita. Avete qualcosa per poterla curare? Stimpak? Sacche di sangue? »
  « Mi spiace, niente Stimpak. Ma sangue sì. Portala qui! »
Hancock serrò con molta attenzione l’amata tra le braccia e a quel punto di alzò. La sua espressione si contrasse, evidentemente a causa di alcuni lividi riportati dalla brutta caduta, poi si assicurò che Sel fosse ancora cosciente.
  « Tesoro? Resta con me, mi raccomando... »
Una donna arrivò a corsa verso di loro non appena riuscì a vederli bene. « Be’, almeno non assomigliate né a saccheggiatori né a predoni » notò, poi spostò lo sguardo su quello dorato e debole di Sel.
  Attraverso gli occhi ridotti a fessure strette, Sel vide che era una ragazza castana e carina con grandi occhi nocciola, nonostante i capelli un po’ disordinati facessero intuire che non doveva farsi un bagno da molto tempo. Portava un fucile da combattimento a canna lunga con baionetta appeso dietro la schiena.
  « Forza. La mia amica sta aspettando dentro, ma dovremmo spostarci al sicuro da qualche altra parte, nel caso tutto il baccano di prima abbia disturbato qualcos’altro... » Si voltò e si allontanò a corsetta, facendogli capire che voleva essere seguita.
  Hancock non attese un secondo di più e le andò subito dietro. Sel intanto si lasciò andare, premendo la guancia nell’incavo del suo collo e pensando, con un lieve sorriso, che non le sarebbe per niente dispiaciuto se Hancock avesse iniziato a trasportarla in quel modo un po’ più spesso. Ben presto fu come se tutto il calore che aveva in corpo defluisse, e cominciò ad avere dei brividi.
  « … H-Hancock? »
Lui abbassò lo sguardo, e dalla sua espressione drasticamente allarmata, Sel immaginò che avesse appena scoperto qualcosa che non gli piaceva assolutamente. Respirò tra i denti. « Sel!? Dio, resta con me, amore!... Non chiudere gli occhi. Devi restare sveglia! »
Ma le sue palpebre erano fin troppo pesanti e stavano per cedere. « Ti amo, Hancock… » sussurrò a fatica. La lingua era troppo rigida per potersi muovere liberamente e formulare meglio le parole.
  « Ti amo anch’io, raggio di sole, ma devi restare sveglia! Siamo quasi arrivati… », ribatté il Ghoul, stringendo la presa su di lei come a tenerla ancorata a sé.
  « Huh? È tutto apposto! Hanno ucciso lo stronzo », udirono esclamare dalla sconosciuta, sparita all’interno dell’edificio.
La porta adesso era aperta e Sel, benché avesse gli occhi ormai quasi chiusi, riuscì a scorgere alcuni tavoli e diverse assi di legno che dovevano essere serviti per barricarla.
Poi la donna ricomparve dopo pochi secondi, accompagnata da un’altra al seguito. Anche se la testa girava e la vista già annebbiata aveva iniziato a ottenebrarsi, Sel riuscì a distinguere i lunghi capelli argentei raccolti in una sorta di chignon o crocchia alta molto arrangiata. Quando si avvicinarono la donna si impuntò di colpo, come se si fosse appena trovata di fronte a un fantasma, o comunque a qualcosa di assolutamente inaspettato.
  « Sel?! … Oh mio Dio, Sel!! »
In un attimo le fu accanto e le sue mani scorsero su entrambi i lati della sua testa polverosa. Il viso era a pochi centimetri dal suo e Sel poté riconoscerne gli occhi verde-azzurro, la leggera spruzzata di lentiggini sul naso.
  « N-Nora?... », riuscì a sussurrare a fatica, anche se non fu sicura se ne uscì soltanto un respiro confuso, prima di ricadere tra le braccia di Hancock e prima che il mondo si oscurasse, persa nel dolce vuoto che separava dolore e mente.
 
 
Angolo dell’autrice:

Buonsalve a tutt* e felice anno nuovo!
Dopo un bel po’ di tempo sono tornata con un nuovo capito. E, che dire…
Allora, innanzitutto ho deciso di ripubblicare l’intera storia (note comprese così com’erano) perché ho fatto un account nuovo: quello di prima aveva ancora il mio nome vecchio e non lo potevo più patire, non mi apparteneva più, quindi, nonostante gli svariati tentativi e richieste per farlo cambiare senza dover perdere i contenuti, ho deciso di fare un account nuovo e ciaone… quindi abbiate pazienza.
Detto questo, niente, spero che il nuovo capitolo vi piaccia! ^________^ datemi un feedback, mi farebbe molto piacere. Alla prossima! miao <3

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