Born in Hell

di Eristhestrange
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Per me si va nella Città Dolente ***
Capitolo 3: *** Per me si va nell'Eterno Dolore ***
Capitolo 4: *** Per me si va tra la Perduta Gente ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





PROLOGO

 

Ero sdraiata in un campo di margherite. 

Avevo cinque anni. 

Più che un sogno, pareva quasi come un ricordo risvegliatosi improvvisamente nella mia mente e ricomparso da chissà quale anfratto della mia memoria. 

Avevo appena finito di correre a perdifiato senza meta.  

Sentivo lo sguardo dolce di mia madre scrutarmi da lontano, mentre stavo col naso all’insù a guardare il cielo azzurro, oltre le nuvole, sperando di trovarci un qualche cosa di nuovo. 

 

Bastò un lieve rumore, come uno scricchiolio impercettibile, a farmi sussultare. 

Aprii gli occhi. 

Niente cielo azzurro, solo la penombra del soffitto. 

Mi misi seduta, ancora sotto le coperte, appoggiata allo schienale del letto, e accesi la luce. 

Sentii il cuore in gola, un brivido gelarmi il sangue nelle vene e quel freddo entrare fin nel profondo delle mie ossa e scavare, scavare ancora, come a volermi raggiungere l’anima. 

Non vedevo nitidamente l’ombra nell’angolo della stanza ma era davvero molto alta. 

Pensai a tutti i modi possibili per scappare: gettarmi dalla finestra, correre nella parte opposta, scagliargli contro qualcosa e cercare di ferirlo.  

Tutto vano. 

Non riuscivo a muovermi. 

Avevo paura, sì, ma non era soltanto questo. Quel brivido gelido mi aveva avvolta completamente, quasi ibernandomi nella posizione in cui stavo. 

Lentamente, la figura si avvicinò al mio letto e la paura cominciò ad inghiottirmi. 

Iniziai a gemere, le lacrime mi solcavano le guance e non riuscivo comunque a fare nulla, neanche ad alzare una mano o un braccio, e quell’immobilità mi rendeva ancora più fragile e spaventata. 

La luce inondò quel corpo così alto e mi ritrovai di fronte ad una figura che non mi sarei aspettata di vedere. Tutti i film che avevo visto nella mia vita dipingevano ladri, rapitori e stupratori in un modo quasi canonico, uomini di mezza età dall’aria asociale, poco curati e dallo sguardo maligno. 

Quello che avevo di fronte non ci somigliava affatto, anzi. 

Il suo viso era bello, pulito, dall’aria sardonica, i capelli erano lucenti, candidi, sembrava un angelo quello che avevo di fronte. Ma allora perché avevo ancora così paura?  

Si avvicinò ancora, il suo bel volto incorniciava un sorriso rassicurante, benevolo.  

Forse era la morte? Stavo morendo nel sonno? 

"Non devi avere paura di me, mio tesoro" 

" Che...che cosa ci fai qui? Perché sei in casa mia?"  

Non so in quale modo e con quale forza riuscii a pronunciare quelle parole. 

"Non hai motivo di essere spaventata" 

La voce che usciva dalle labbra rosee era suadente, tanto dolce da distendere l’anima, ma io ero ancora paralizzata dalla paura. 

" Chi...chi sei? " 

Si sporse verso di me, sorridendo benevolo "Io sono tuo padre, Vivian!" 

 

------- 

 

Mi chiamo Vivian, Vivian Decour. 

Ho 27 anni e nell’arco di questo tempo ho vissuto alti e bassi, come ogni essere umano qualsiasi. 

Mia madre, Josephine Decour, era una madre single e non è stato facile per lei crescermi. Proveniva da una famiglia dell’alta società londinese e quando si è scoperto della sua gravidanza ha deciso di tenermi, rinunciando a gran parte dei suoi benefici economici ottenendo comunque una buona uscita che ci avrebbe permesso di sostentarci. Oltre a questo, della mia famiglia da parte di madre non ho mai saputo nulla, né me n’è mai importato qualcosa a dire il vero.  

Lo stesso vale per mio padre, se non che di lui non ho mai conosciuto nemmeno il nome. 

Mia madre disse che sparì poco dopo il fatto, ma sono sempre stata sicura che non mi avesse mai detto tutta la verità. Non ho mai insistito comunque per saperla, perché in effetti non me n’era mai importato. Mia madre aveva deciso di rinunciare alla sua vita di lusso e sfarzi per crescermi: era l’unico essere umano di cui davvero mi importasse e che volevo avere vicino. 

Passai l’infanzia in campagna, dove mia madre aveva deciso di trasferirsi per stare lontana dalla società che l’aveva estromessa e per farmi crescere in un luogo più 'genuino'. 

Nonostante questo, non potevo continuare a vivere sulle sue spalle e appena potei mi trasferii a Londra per lavorare e mantenere i miei studi. Questa città mi ha riservato molte gioie: grandi amicizie, tanti luoghi da visitare, amori discontinui. In questo vortice di emozioni sono riuscita a laurearmi in Storia e ne ero molto soddisfatta, mi sono costruita quel traguardo da sola e anche mia madre ne era felice. 

Venne in città poche volte a trovarmi, del resto era sempre stata occupata con il suo orticello e soprattutto i suoi animali di cui doveva necessariamente prendersi cura. 

Il giorno della laurea era raggiante e davvero felice, andammo a prenderci una tazza di tè e una fetta di torta alle fragole, il nostro dolce preferito. 

Mi lasciò sola qualche mese più tardi, ma il suo ricordo è sempre indelebile e non mi svanirà mai. 

È stata una grande donna, una grande maestra, il mio faro, ma devo cavarmela da sola e questo lei me lo ha sempre insegnato, fin da bambina. Restavo sotto il suo sguardo, ma ero libera di agire, di prendermi le mie responsabilità. 

Ho ottenuto un lavoro presso il Victoria and Albert Museum. 

Un bellissimo lavoro. 

Ho accesso a tantissimo materiale storico, sono circondata da cimeli e ogni giorno mi sento soddisfatta della vita che ho costruito. 

'Porterò il tuo ricordo sempre nel mio cuore, mamma' 

Tengo la sua foto sulla mia scrivania, per ricordarmi quanto forte può essere l’essere umano e quanta bellezza si possa ancora trovare nel mondo. 

 

Ma allora perché dopo tanto amore e tanto sacrificio, qualcuno è riuscito ad entrare nel mio appartamento e rovinare tutto? 

'Un attimo...forse sto sognando! Ma certo, sto sognando, non c’è niente di vero in tutto questo!' 

"No, non stai sognando. Sono proprio qui" 

Come se mi avesse letta nel pensiero, in un attimo ritornai con la mente all’attimo che stavo vivendo. 

Era ancora lì? 

Provai ad alzarmi, ci riuscii. 

Rimasi con la schiena attaccata al muro, come a volermi proteggere, ma continuavo ad essere rivolta verso quella figura alta, vestita con una specie di tunica bianca. Passai le dita sul muro freddo: era così reale, troppo reale. 

"Dimmi chi sei, dimmi cosa vuoi. Vuoi del denaro? Ne ho poco ma prenditelo comunque, l’importante è che tu te ne vada" cercai di nascondere la paura nella mia voce, con scarsi risultati. 

L’uomo rise "Non potrebbe importarmi meno del denaro. Io sono qui per te!" 'Per me?' decisi di stare al gioco, vedere dove voleva andare a parare. 

"Se sei mio padre dimmi perché ti stai rifacendo vivo solo ora, non potevi semplicemente rimanertene dove sei stato fino ad adesso?" 'Domanda più che lecita, non che mi importi in ogni caso' pensai. Le classiche scuse non tardarono ad arrivare "È complicato da spiegare..." 

"Ammetto che è una cosa molto realistica da dire per un padre assente. Questo deve essere decisamente un incubo..." l’uomo continuava a sorridermi, come se fosse incurante di ciò che pensavo e dicevo. 

"Non mi hai lasciato finire. È complicato da spiegare, eppure lo capirai molto presto! Ma ora devi venire con me..." la sua voce era suadente, si rivolgeva a me con dolcezza. Improvvisamente mi sentii tentata di afferrare quella mano candida che mi tendeva dall’altra parte della stanza. Scrollai la testa cercando di rinsavire "Sei impazzito per caso? Credi davvero che me ne andrei con uno sconosciuto che piomba in casa mia nella notte dicendo di essere mio padre? Puoi scordartelo!". 

L’uomo scrollò la testa con lieve disappunto, senza tuttavia perdere quell’aria benevola che lo aveva connotato fin dall’inizio. 

"Mi dispiace tesoro, non hai il potere di decidere questo" 
"Non ho il potere? Non ho il potere?" iniziai a gridare, avevo perso la pazienza "Sparisci oppure i farò sparire io!" afferrai la forbice che avevo lasciato sulla sedia della mia camera la sera prima, era l’unico oggetto contundente che avessi a disposizione. 

Non appena le afferrai, qualcosa che non sapevo spiegare e che mai avevo provato prima, un potere, una forza, me le strappò di mano e in una frazione di secondo quell’arma improvvisata era passata da me al mio oppositore. 

Rimasi scioccata e mi sentii impotente. 

"Chi cazzo sei?" gli gridai contro, in lacrime: mi sentivo improvvisamente vuota, senza difese, sola, come non ero mai stata prima. 

Con la vista offuscata dal pianto riuscii a vedere sfocato quel volto angelico sempre più vicino al mio, che mi guardava e mi sorrideva, come aveva fatto fin dall’inizio. 

"Io sono Lucifero, la Stella del Mattino. Sono tuo padre e adesso verrai via con me" 



Nota dell'Autrice
Ciao a tutt*! Sono tornata dopo molto tempo (e si vede dalla quantità di volte che ho postato e cancellato questo testo perché non mi ricordo più come si usa il codice sorgente) ritrovando l'ispirazione per una fanfic! E' la prima volta che scrivo in prima persona, di solito mi piace fare il narratore onniscente ma cerco di vederlo come un esercizio personale! Spero che il Prologo abbia smosso la vostra curiosità! A presto!

 

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Capitolo 2
*** Per me si va nella Città Dolente ***






PER ME SI VA NELLA CITTA' DOLENTE



 

Mi risvegliai al caldo, sotto le coperte, con la testa sotto al cuscino ad obliare il resto del mondo. 

Non sapevo nemmeno che ore fossero ma non era un problema, quella mattina non sarei dovuta andare al lavoro. 

In fondo, era domenica. 

Richiusi gli occhi e cercai di riaddormentarmi. 

'Quel sogno assurdo non mi ha fatta riposare bene per niente' pensai, mentre cercavo di riprendere sonno. 

Mi girai e rigirai per qualche minuto prima di arrendermi al fatto che non mi sarei riposata oltre per quella giornata: mi levai il cuscino dalla faccia e sospirai al pensiero di aver lasciato i piatti da lavare la sera prima che tutt’ora non avevo voglia di sistemare. 

Non ci avevo fatto caso inizialmente, ero ancora così assonnata da non rendermi conto che non mi ero risvegliata nel mio letto. 

Non mi trovavo a casa mia. 

Mi alzai di scatto e mi guardai attorno terrorizzata. 

Il letto in cui mi trovavo era davvero enorme: come avevo fatto a non accorgermi che stavo dormendo in lenzuola di raso?  

Il legno di cui era fatto, nonché la fattura pregiata, lasciavano presagire che si trattasse di un letto antico. Mi trovavo in una stanza enorme, con alti finestroni dal vetro temprato incorniciati da ampie tende di velluto che lasciavano filtrare una fioca luce giallognola. 

Anche il resto del mobilio, compresi gli armadi e un massiccio scrittoio, sembravano essere antichi, ma nonostante i miei studi di storia non avrei saputo datarli. Tutto quello che mi circondava sembrava trovarsi fuori dal tempo, tutto tranne me, che ancora indossavo il mio pigiama rosa con fantasia a coniglietti. 

Camminai sul pavimento freddo di quella grande stanza: c’era una sola porta, ma non ebbi il coraggio di aprirla tanto ero spaventata. Mi avvicinai alle finestre ma non si potevano aprire e nemmeno era possibile guardarci attraverso. 

Dopo qualche minuto, speso a vagabondare senza meta attraverso la camera, ritornai impotente in quell’enorme letto e mi ficcai sotto le coperte di nuovo.  

Chiusi gli occhi e desiderai intensamente di risvegliarmi ma niente, ero ancora lì in quella stanza. 

Ci provai molte volte, a risvegliarmi, prima di rendermi conto che ero già sveglia. 

Non avevo idea di quanto tempo fosse già passato, ma mi sembrarono secoli. 

Ripensai a tutto quello che era successo la notte precedente e cercai di ricordare le parole di 'mio padre'. 

Non aveva detto molto in effetti, se non di essere mio padre e di essere il diavolo in persona. 

'Chiamalo poco...' pensai fra me e me, quando improvvisamente sentii la porta aprirsi. Tirai fuori la testa da sotto le coperte, cercando di individuare chi o cosa fosse entrato. Anche se da lontano, riconobbi senza esitazione Lucifero. 

"Stai ancora dormendo?" la voce melliflua che lo aveva caratterizzato continuava a non darmi pace. 

"Sono sveglia da ore" risposi alzandomi dal letto "Che cosa significa tutto questo? Dove sono?" "Ti ho portata a casa, all’Inferno".  

Inizialmente non trovai parole per ribattere a quell’affermazione, ero straniata, non capivo ancora cosa mi stesse succedendo e il cuore mi stava esplodendo in petto "Vuol dire che sono morta?" mi uscì d’istinto. Lucifero ridacchiò "Assolutamente no. A meno che tu non abbia un incidente o dei brutti, brutti nemici, non puoi morire!" 

"Che significa che non posso morire?" 

"Sei stata generata da me. Anche se tua madre era umana, questo non significa che tu abbia preso tutto da lei. Avremo tempo di parlare di questa e altre faccende ma adesso ti prego vestiti, ti faccio fare un giro della casa!" mi sorrise, io invece non avevo decisamente voglia di ridere. 

"Mi hai letteralmente portata via dalla mia, di casa, non ho avuto tempo per farmi le valige" 
"I tuoi vestiti sono già negli armadi di questa stanza, quindi niente scuse". 

Avevo forse scelta? Direi di no. 

 

Dall’altro lato del tavolo esagonale, lo sguardo ammaliatore del mio ritrovato padre mi scrutava da dietro la tazza da tè, mentre io ero ancora impegnata a guardarmi attorno. 

Il 'giro della casa' era stata letteralmente una marcia forzata attraverso enormi sale che somigliavano talvolta ad antri cupi e oscuri, talvolta ad antiche cattedrali in rovina. Ovunque aleggiava un’aura di disperazione, orrore e terrore, eppure in qualche modo mi sentivo al sicuro, del resto rimanevo pur sempre la figlia di Lucifero. 

'La figlia di Lucifero...cristo santo' mi avrebbe fatto ridere, se non fosse stata l’amara verità. 

Dalle finestre non si riusciva mai a vedere nulla dell’esterno, solo quella cupa luce giallastra che avevo visto anche in camera mia.  

Solo una volta riuscii a scrutare l’esterno, mentre salivo lungo una rampa di scale a chiocciola ad arcate. Mi resi conto di essere orribilmente in alto rispetto al livello del suolo e, forse, era meglio così. 

Al di là di quelle mura non avrei voluto trovarmi. Il cielo era denso di un’aria greve, il suo colore era indefinibile. La terra era rossa e nera e brulicava di forme che non sapevo riconoscere, forme oscure e sinistre che dall’alto sembravano tante formiche in preda all’eccitazione, tutte raggruppate assieme in movimento. 

Distolsi rapidamente lo sguardo e continuai la salita. 

La Stella del Mattino sembrava percepire le mie emozioni, la mia paura e il mio disgusto, e ne sembrava quasi compiaciuto. 

 

"Non bevi?" mi chiese, interrompendo i miei pensieri. 

Sul tavolo era presente qualsiasi tipo di cibo potessi desiderare e una bella tazza di té stava proprio di fronte a me, ma non toccai nulla. 

"No, grazie" Lucifero mi sorrise, appoggiando la tazza sul piattino "Almeno non sei stupida..." gli sorrisi di rimando "La storia è cominciata con le leggende, del resto. Se mangio qualcosa negli Inferi, apparterrò per sempre ad essi, e quel che è certo è che non rimarrò qui". 

Mio padre asserì, senza lasciare la sua composta postura "Certo che no". 

Non me l’aspettavo. 

Pensavo mi avesse rapita per qualche ragione e che volesse tenermi prigioniera lì, magari farmi diventare regina dell’Inferno o qualcosa del genere. 

Sicuramente la mia espressione aveva tradito i miei pensieri, perché Lucifero li colse al volo "So che probabilmente ti aspettavi che ti avrei chiesto di rimanere qui per sempre, ma ho altri progetti per te" si alzò lentamente, camminando in direzione della finestra che dava direttamente sul nostro tavolino, si portò le mani dietro la schiena e fissò la luce con aria pensosa. 

"Sai, ho avuto molti figli dagli umani in realtà. Quasi tutti sono qui ora, all’Inferno. La cosa curiosa è che per migliaia e migliaia di anni non ho fatto che avere figli maschi. Quando conobbi tua madre, la trovai uno splendido essere umano. Emanava una meravigliosa luce. Tentai di corromperne la bontà, ma le cose hanno preso un’altra piega, la definirei un’affascinante eccezione. Immaginavo che saresti cresciuta in modo diverso, torturata dalla rabbia, dalla frustrazione, dal risentimento, speravo che prendessi la piega giusta, invece eccoti qui. Hai sogni, aspettative. Niente droga, niente alcol e..." si girò per darmi una rapida occhiata dall’alto in basso "...niente sesso, a quanto pare. Hai decisamente pochi vizi e peccati e sai perché? Perché Dio mi ha messo i bastoni fra le ruote. Di nuovo. Purtroppo per lui tu sei comunque mia figlia". 

Risi sommessamente "Dovrebbe essere una specie di...paternale?" Lucifero continuò a guardare la luce giallognola, sospirando "Alcuni tra i peggiori criminali e serial killer della storia erano figli miei, ti si potrebbe considerare un fallimento rispetto a loro. Anche l’unica figlia avuta prima di te, Lilith. Decisamente non potreste essere messe a confronto". 

"Lilith?" chiesi, alzandomi dalla sedia "Quella Lilith? La madre dei Demoni?". 

Ne avevo letto spesso: era un personaggio presente in molte religioni, ma in quella cristiana era considerata la moglie ribelle di Abramo, generatrice di mostri. 

Lo sentii sussurrare quel nome e improvvisamente lei comparve. 

Se una volta era stata umana, ora ne aveva solo le vaghe fattezze. Nessun dipinto, nessun disegno tratto da qualche satanico grimorio avrebbe potuto dare l'idea di ciò che era Lilith. La sua pelle aveva il colore delle terre dell'inferno, i suoi occhi quello di quella luce che le finestre lasciavano trasparire all'interno del palazzo; il suo corpo era completamente nudo, ma le fattezze umane erano quasi irriconoscibili. 

"Mio signore, Re degli inferi, mi avete chiamata?" Quando quelle parole uscirono dalla bocca dai denti acuminati, suonarono cupe e profonde come se provenissero da una caverna. Lucifero sorrise benevolmente "Figlia mia, ti posso presentare tua sorella?" mi indicò con lo sguardo e lei si rivolse verso di me. I suoi capelli erano neri come il mare in tempesta e arrivavano quasi a toccare il pavimento. I suoi occhi gialli sembravano volermi scrutare nell’anima. 

Avevo paura, ma sapevo che non ero in pericolo. 

"Mia sorella dite? Allora sei tu Vivian…" camminava girandomi attorno come la luna intorno alla terra, scrutandomi, il suono della sua coda nera che strusciava sul pavimento accompagnava i suoi passi "Come…come sai il mio nome?" chiesi, quasi esitando a rivolgermi a quell’essere mostruoso.  

"Il mio Signore ha avvisato tutti i più potenti demoni dell’Inferno quando sei nata. Una femmina è un evento raro. Siamo solo io e te…" si avvicinò pericolosamente a me e con una mano artigliata fece per toccarmi.  

"Ferma!" intimò Lucifero, il suo tono imperativo fece sobbalzare anche me. Lilith ritrasse la mano all’istante e gli sorrise sottilmente "Perdonatemi mio Signore, mi sono lasciata trasportare…". La sensualità che portavano con sé quelle parole mi fece trasalire "Siamo sorelle!" esclamai con disgusto, anche se non avrei mai potuto ritenere quell’essere davvero un mio parente. 

Il demone cominciò a ridere, dapprima sommessamente, fino ad arrivare ad una risata smodata e lugubre. 

"Lilith non fa molto caso ai legami di parentela. Ha avuto molti figli dai suoi fratelli" mi spiegò Lucifero, disgustandomi nuovamente "Lilith cara, sei congedata" e dette quelle parole il demone sparí, ancora in preda alla sguaiata risata.  

Mi sollevò non avere più davanti agli occhi quella figura deforme. 

"Ma ora, passiamo alle cose importanti" cominciò, guardandomi negli occhi "tu non sai niente di come funzionano le cose, come quasi ogni umano. Ci sono molte cose a cui avete dato un nome ma che ritenete 'astratti', eppure sono tangibili sensazioni che provate lungo tutto il corso della vostra breve vita. Ebbene, per sette di queste esiste un regno, ognuno governato dal suo Re. Esse sono, per la precisione: Destino, Morte, Desiderio, Disperazione, Distruzione, Delirio e…Sogno". 

Lo guardai, confusa "Mi stai dicendo che esiste, che ne so, un regno della Distruzione?" "Esattamente. Ognuno di questi regni si interfaccia con il mondo umano a modo suo, e il suo Re ne governa l’andamento. Questi Sette Re sono tutti fratelli ed entrare nei loro reami è possibile solo grazie al loro lasciapassare, così come accade qui all’Inferno. Ti starai chiedendo perché ti sto mettendo al corrente di tutto questo ed il motivo è molto semplice: il più detestabile tra i Re, Sogno, mi deve un favore. Lo feci entrare negli Inferi per recuperare uno dei suoi Strumenti, nonostante non avesse nemmeno il diritto di affacciarsi al mio Reame. Se è riuscito ad acquistare di nuovo il suo potere lo deve anche a me, e questo gli costerà qualcosa!". 

Lucifero camminava lentamente lungo la stanza, cercavo di seguirlo con gli occhi e con il pensiero, ma era tutto troppo confuso. 

Reami, Re, favori, ma io…"…io cosa c’entro con tutto questo?". 

Mi guardò, il suo sguardo benevolo si fissò su di me "Tu sposerai il Re dei Sogni! Questo è il favore che gli chiederò!". 

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Capitolo 3
*** Per me si va nell'Eterno Dolore ***





PER ME SI VA NELL'ETERNO DOLORE


 

Non ero immune al fascino dell’amore. 

Avevo avuto le mie cotte alle superiori e durante il mio periodo universitario avevo avuto una relazione con Noah, un ragazzo che frequentava la mia stessa università. 

Eravamo stati insieme un paio di anni e poi alla fine ci eravamo stancati l’uno dell’altra. 

Non è finita male, siamo rimasti in buoni rapporti, ma da lì in avanti non sono più riuscita a trovare qualcuno e forse nemmeno mi interessava. 

Quello che mi importava era laureami e poi cercare di vivere una vita serena. 

Nella prima ero riuscita, nella seconda a quanto pare no. 

"Ma non hai detto che Sogno è quello che detesti di più?" 

"Detestabile non rende nemmeno l’idea. Sogno degli Eterni è una vera e propria seccatura" da dietro una colonna comparve quella che sembrava essere una donna dalla pelle scura e il volto sfigurato. 

"Dici bene, Sogno è proprio il peggiore" disse ridendo Lucifero ma io non stavo decisamente ridendo. 

"Ti pare una cosa su cui scherzare? E poi ti ricordo che potrei anche rifiutarmi di stare ai tuoi piani, non è una decisione che riguarda te!" 

"Non mi riguarda? Questo lo vedremo. Ad ogni modo saranno le Moire a decidere se potrai sposarti o meno e poi sta tranquilla...farò in modo che Sogno non possa sbarazzarsi di te" 

"SBARAZZARSI DI ME? Mi stai dicendo che potrebbe uccidermi? Ma perché lo stai facendo, cosa ci guadagni?" le cose stavano andando di male in peggio, l’unica cosa che mi veniva in mente era che dovevo uscire da quella situazione al più presto o sarei stata spacciata. 

"Te l’ho detto che è il peggiore degli Eterni e no, ovviamente non ti verrò a dire le mie ragioni, sappi solo che le ho e sono molto buone" 

"E se le Moire dicessero di no?" c’era in effetti anche questa possibilità da calcolare. 

Le Moire. 

Anche di queste aveva spesso sentito parlare. 

La storia greca era costellata di dei, miti e leggende che era necessario sapere per poter indagare a fondo le vicende di quel popolo, fra questi miti vi erano anche le Moire. 

Si diceva che sapessero passato, presente e futuro e da come ne parlava Lucifero sembrava che in qualche modo il loro consenso fosse fondamentale. 

Forse non erano le Moire come le conoscevo? 

Del resto, molte cose si stavano rivelando come non avrei mai pensato. 

"Non diranno di no. Ma se lo faranno sarai costretta a stare qui, alla lunga diventeresti un demone come Lilith e i tuoi fratelli non saranno clementi con te" 

"Dunque...quand’è che mi sposo?" 

 

Non avevo più voglia di parlare, di ascoltare, in realtà non avevo voglia più di nulla, solo di svegliarmi dall’incubo in cui ero finita.  

Le Moire avevano la decisione in pugno e il mio fato era stato segnato. Avrei sposato Sogno degli Eterni o sarei rimasta all’inferno facendomi divorare da esso, diventando un demone. 

Mi chiusi in quella stanza, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla contro il re degli Inferi, volevo solo cercare di riprendere il controllo su almeno uno degli aspetti della mia vita.  

Ma come era potuto succedere? 

Avevo il mio lavoro, la mia casa, i miei sogni…tutto era morto la notte in cui Lucifero è venuto da me. 

Mi sdraiai sul letto, affondai la faccia nel cuscino e piansi, piansi fino a diventare esausta, piansi finché non mi addormentai. 

 

Ero sdraiata in un campo di margherite. 

Avevo cinque anni. 

Ancora fissavo il cielo azzurro davanti a me, cercando di indovinare le forme in mezzo alle nuvole.  

Un raggio di sole mi colpì il viso e mi coprii il volto con l’avambraccio prima di accorgermi che qualcuno mi stava facendo ombra. 

"Mamma?" chiesi, ancora leggermente accecata dal sole, ma a rispondermi fu una cupa voce maschile "Sei tu Vivian Decour?" al suono della voce sconosciuta mi alzai cercando di capire chi avessi davanti, ma la figura era in controluce e non ne scorgevo i dettagli. Mi voltai verso mia madre che mi osservava da lontano, seduta sotto ad un albero. Mi sorrideva e mi salutava. La salutai di rimando. Andava tutto bene. 

Mi voltai di nuovo verso la figura e risposi "Si, sono io, sono Vivian Decour!" e improvvisamente, mentre pronunciavo quelle parole, cominciai a crescere, fino ad assumere il mio aspetto presente.  

La figura in penombra si avvicinò. Un uomo dai capelli neri, vestito di nero e con un lungo soprabito mi si avvicinò. Sopra di lui volava in circolo un grosso corvo. La sua pelle era diafana, i suoi occhi che mi scrutavano con severità racchiudevano l’universo dentro di loro. 

"Non è il momento" gli dissi semplicemente "Voglio solo dormire serena per un po’". Pensavo che l’avvento della figura in nero avrebbe significato che il mio sogno stava prendendo una piega da incubo e dopo quello che avevo passato c’era più di una ragione perché questo avvenisse. Tuttavia, mi ero resa conto di essere in un sogno, quindi avevo la certezza di poter stravolgere le cose come volevo. D’altronde era la mia mente, no? 

"Io e te dobbiamo parlare" disse caustico. Gli voltai le spalle per andarmene e me lo ritrovai di nuovo davanti, il suo sguardo era rigido, severo, imperscrutabile. 

"Tu non lo sai ma sto avendo davvero delle pessime giornate quindi per favore trasformati in un coniglio o qualsiasi altra cosa e va’ via. Ci mancherebbe solo che avessi incubi quando la realtà è già un incubo…" mi voltai di nuovo per andarmene ma l’uomo ricomparve di fronte a me, sempre più vicino. 

"Ora tu mi ascolterai" a quell’ordine stentoreo il campo in cui mi trovavo e tutto quello che mi circondava si contorse come un serpente e si modificò a tal punto che in pochi istanti mi ritrovai in una sala del palazzo di Lucifero, all’Inferno. 

Era un posto che non mi aveva mostrato: una sala circolare dall’aspetto austero con un enorme affaccio sull’esterno. Dalla posizione in cui ero, dietro ad un muro, riuscivo a spiare le due persone che erano presenti al centro della stanza: una era Lucifero, l’altra era l’uomo che avevo appena visto nel mio sogno. 

Non sapendo se stessi ancora dormendo o se fossi veramente lì, nel dubbio rimasi nell’ombra e cercai di capire cosa stesse succedendo. 

"Non puoi sottrarti al giudizio delle Moire, Morfeo!" così aveva detto Lucifero. 

Quello, quindi, era Sogno degli Eterni? Ma se l’avevo appena incontrato...tutto era estremamente confuso, ma continuai ad ascoltare il loro dialogo. 

"La tua richiesta non è corretta, Stella del Mattino. Non posso sposare tua figlia, lei appartiene al tuo Reame, all’Inferno" 

"Ti sbagli, Sogno, lei non appartiene affatto al regno degli Inferi. È cresciuta nel mondo della Veglia ma nonostante questo possiede sangue immortale ed ella stessa lo è. Non è vincolata a nessun dominio, quindi può essere reclamata" 
'Reclamata? Ma che cazzo...' 

"Non sposerò tua figlia" 

"Non puoi sottrarti, sei obbligato dalla legge fra i reami. Io ti ho fatto un favore, posso chiedertene uno di eguale importanza. Per te non c’è cosa più importante dei tuoi Strumenti, per me non c’è cosa più importante dei miei figli..." 

'Certo, se lo ripeti forse diventerà realtà' 

"Parche, vi invoco umilmente per chiedervi giudizio!" 

A quelle parole pronunciate da Lucifero, apparvero in una coltre di fumo grigiastro tre figure che non riuscivo a distinguere bene dalla distanza dove mi trovavo, ma che dovevano essere senza ombra di dubbio le Parche. 

"Ci hai chiamate, Stella del Mattino, e noi rispondiamo con piacere alla tua supplica" dissero all’unisono. 

"Morfeo, sei stato chiamato a rendere il favore che spetta al Re degli Inferi" una dietro l’altra, cominciarono a parlare con voci che sembravano provenire da un’altra dimensione. 
"Re degli Inferi, tu pretendi che l’Eterno si unisca alla tua ultima figlia" 

"È così, o Moira, in cambio del suo Elmo ritrovato, pretendo questa unione da lui!" quindi ero stata scambiata per un elmo. Non nego che quando lo venni a sapere una certa disperazione mi colpì. Ero sul punto di uscire allo scoperto quando "Hai il nostro consenso, Lucifero" pronunciarono all’unisono. 

Spalancai gli occhi, il mio cuore saltò un battito. 

In quel momento sentivo che il mio destino era stato deciso ed io ero impotente. Mi tenni forte al muro al quale ero appoggiata, chiusi gli occhi e tentai di controllare il mio respiro affannato. 

"La figlia dell’Angelo Caduto sarà la Regina dei Sogni" 

"Regina dei Sogni?" sentii Morfeo ripetere, come se non si aspettasse una cosa del genere. 

"Così è stato deciso e questo è irrevocabile. Unisciti alla figlia immortale o cedi il tuo regno alla Stella del Mattino" 

A quelle parole, le Moire sparirono così come erano venute ed io, ad uno sbattere di ciglia, mi trovai di nuovo nel mio campo di margherite. 

 

 

"Questo è ciò che è successo. Il nostro fato sembra essersi intrecciato, Vivian" 

Lo fissai. Ero senza parole. Avevo appena visto i suoi ricordi quindi? Il mio respiro era ancora affannato e il cuore sembrava volermi uscire dal petto. 

'Calma e sangue freddo' provai a dirmi, per quanto potesse contare. Respirai profondamente. 

"Ascoltami. So quello che potrai pensare ma io non ho nessuna intenzione di metterti i bastoni fra le ruote, intralciarti o fare qualsiasi altra cosa che ti infastidisca. Ti giuro che non è stata un’idea mia! Lucifero...cioè...insomma mio padre mi ha portata all’Inferno contro la mia volontà! Io non avevo nemmeno idea di cosa volesse!" mi coprii il volto con le mani per la disperazione e mi lasciai cadere all’indietro con la schiena sul morbido campo fiorito, incurante della figura nera che troneggiava davanti a me come una gigantesca ombra.  

Lucifero mi aveva detto che Morfeo era il peggiore degli Eterni, sentivo in qualche modo il bisogno di giustificarmi per evitare di subire qualche altra crudeltá. 

"Non preoccuparti" sbuffò, mentre io ero ancora intenta a disperarmi sul prato "So che non c’entri nulla con tutto questo". 

Mi tirai su, sedendomi sull’erba e osservandolo dal basso. 

Lo fissai.  

Mi fissò. 

Passarono così degli interminabili secondi prima che interrompessi il silenzio con un gran bel sospiro di sollievo.  

"Sono felice di sentirtelo dire perché, sarò sincera, essere la figlia di Satana credo renda il compito di credermi molto difficile" mi alzai e gli tesi una mano "Comunque io sono Vivian". Ci mise qualche secondo prima di stringermi la mano di rimando "Mi chiamano in molti modi: Sogno, Morfeo, Oneiros..."  

"Ti va bene se ti chiamo Sogno?" 

"Puoi chiamarmi come vuoi" 

"Bene! Benissimo...allora, immagino che questa situazione non vada bene nemmeno a te giusto?" 

"È decisamente scomoda" 

"Dobbiamo trovare un modo per uscirne. Hai qualche idea?" 

"È tutto inutile. Non ci sono scappatoie al contratto" 

Alzai un sopracciglio "Contratto?" in effetti, come funzionavano le cose? Del resto, non mi trovavo più nel mio mondo ma ancora tendevo a dimenticarlo. 

"Il contratto ci vincola con un’Unione che è difficile spezzare. Lo chiamano matrimonio per farla facile, ma non è propriamente come tra gli umani. L’unico modo possibile per sciogliere il contratto sarebbe la morte ma io non posso morire e tu... tu sei immortale ma sei vulnerabile. Se qualcuno ti ferisse a morte sarei libero dal contratto" 

'Non uccidermi, non uccidermi' pensai in quel momento e probabilmente il mio interlocutore lo percepì "Se te lo stai chiedendo, non ho intenzione di farti ammazzare" sospirai di sollievo "ma di certo Lucifero vuole unirci per ottenere qualcosa, qualcosa di cui immagino si sia ben guardato dal parlarti". 

"Puoi dirlo. Non sono riuscita a capire il perché di questa sua decisione ma essendo il Diavolo non credo ci sia niente di buono in tutto questo". 

Mi spremetti le meningi: era ora di mettere a frutto le mie conoscenze e cercare qualche cavillo. 

Mi misi a camminare su e giù per il campo di margherite che sembrava infinito, mentre Sogno mi osservava con aria interrogativa. 

Le mie conoscenze storiche sarebbero potute tornare utili. 

Pensai a tutti i matrimoni famosi che mi venivano in mente: il metodo 'Enrico VIII' era fuori questione in ogni sua declinazione. 

Improvvisamente si accese una lampadina.  

Mi voltai di scatto verso Sogno, il corvo che prima volteggiava sopra la sua testa si era ora appollaiato sulla sua spalla. 

"Hai parlato di contratto! Ma se questo non fosse mai stato valido?" 

Mi osservò con sguardo interrogativo e anche il suo corvo in qualche modo sembrava incuriosito da ciò che dicevo "I vostri contratti ricalcano quelli umani giusto?". 

"Direi che è viceversa. Abbiamo stabilito noi le regole dell’unione che poi gli umani hanno declinato secondo le loro esigenze" i miei occhi si illuminarono "Meglio ancora!" "Che stai cercando di dire?" "Intendo dire che se il matrimonio non viene consumato è da ritenersi non valido quando uno dei due interessati lo contesta e così il vincolo viene sciolto!". 

Il corvo gracchiò "Pensi che potrebbe funzionare, capo?" trattenni a stento un grido "Tu...tu parli?" "Mi chiamo Matthew e sì, parlo" mi rispose dalla spalla di Sogno, mentre questo sembrava assorto nei suoi pensieri. 

Davvero mi stavo ancora sorprendendo di qualcosa? Un corvo che parla era la minore delle assurdità che avevo vissuto fino a quel momento. 

"Potrebbe funzionare" mi disse infine, osservandomi. 

Mi avvicinai a lui, che ancora sembrava rimuginare su quello che avevo appena detto "Scusami se te lo chiedo..." posò su di me i suoi occhi neri. Continuai, un po’ in imbarazzo "...non è che potresti portarmi del cibo quando verrai?" "Del...cibo?" la sua voce suonò piuttosto interdetta, sicuramente non si aspettava una simile richiesta. 

"Non mangio da quando sono bloccata all’Inferno" 

"Capisco, non hai mangiato il cibo degli Inferi. Sei stata brava a non cadere nel tranello..." 

"Si d’accordo ma ora ho decisamente fame e non so quanto a lungo potrò resistere!" 

"Avrò il permesso di entrare all’Inferno quando verrò per...sposarti" 

"E allora sposami domani! Così finalmente potrò mangiare!" 

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Capitolo 4
*** Per me si va tra la Perduta Gente ***





PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE

 
Ad essere sincera, non me lo ero mai immaginata il mio matrimonio. Non era una cosa che nel mio mondo (ormai avevo iniziato ad autodefinirlo in questo modo) mi sarebbe interessato fare. Una convivenza forse era ciò che di meglio potevo auspicare a me stessa, ma non era mai stata una priorità. Avevo tante altre cose che volevo fare nella vita prima di avere una relazione stabile. 
Adesso invece mi trovavo davanti all’armadio a mettere qualcosa di improvvisato per il mio matrimonio e se non fosse stata una situazione disperata, forse mi avrebbe fatto ridere. 
‘Ci scherzerò su quando tutto sarà finito’ pensai.  
Ma sarebbe veramente finito? 
Se era come avevano detto Lucifero e Sogno, dovevo essere una creatura immortale e quindi destinata a vivere potenzialmente per l’eternità.  
Una volta tornata nel mio mondo, cosa avrei dovuto fare? 
Cercai di scacciare i pensieri meno piacevoli dalla mia mente e ricontrollai i miei vestiti. 
Alla fine, scelsi un abito nero elegante, lo avevo comprato per una cena di lavoro e le mie colleghe avevano detto che mi stava molto bene. 
‘Giá…il mio lavoro...’ avevo ottenuto con molto impegno quella posizione al Victoria and Albert, mia madre ne andava molto fiera. Non avevo avuto nemmeno modo di contattarli, chissà cosa stavano pensando, e cosa pensasse la gente che mi conosceva.  
Non so per quanto ero stata assente dalla mia normale vita, il tempo all’Inferno sembrava scorrere in un modo tutto suo, o forse era solo una mia impressione. Sicuramente qualche mia amica e i colleghi di lavoro mi avranno data per dispersa. 
Cosa avrei dovuto fare una volta tornata? Come avrei spiegato quell’assenza? 
‘Un problema alla volta…’ pensai mentre mi vestito. 
Mi osservai nel lungo specchio ovale posto alla parete: avevo occhiaie che non potevo coprire e i segni del fatto che non stavo mangiando cominciavano a farsi avanti, mi sentivo sempre più stanca ed affaticata. 
Finii di sistemarmi alla meglio, come potevo. 
Ero in ansia, emaciata, pallida, avevo una fame da lupi e sentivo che le cose avrebbero potuto prendere una brutta piega, forse peggiore di come già non stava andando, eppure non potevo scappare da nessuna parte. 
Me ne stavo seduta sul letto già pronta da quelle che mi erano sembrate interminabili ore, prima che qualcuno bussasse alla mia porta. 
"Sei pronta?" riconobbi la voce della ragazza sfregiata dalla pelle scura "Da ore" risposi. 
Aprì la porta e mi osservò avvicinarmi, guardandomi dall’alto in basso con quello che a tutti gli effetti era uno sguardo di disapprovazione. 
Mi guidò nella stanza che avevo visto nei ricordi di Sogno.  
Una grande stanza circolare aperta, circondata da colonne nere. 
Al centro del pavimento a scacchi stava Lucifero, vestito di una lunga veste rosso scarlatto, rivolto verso il grande affaccio aperto sull’esterno. 
Si voltò non appena misi piede dentro la stanza, scortata dalla donna sfigurata. 
"Sei qui" il suo sguardo dal sorriso benevolente si trasformò presto in disappunto "Ti sembra un vestito da sposa?" "Ti sembra che abbia avuto tempo o voglia di fare compere?" risposi svogliatamente. 
Al Diavolo bastò uno sbuffo e un’occhiata fulminea per rendere il mio semplice tubino un elegante, lungo abito nero.  
"Cosí va meglio, non sei neanche tanto male" annuì con soddisfazione, mentre ero ancora intenta a girarmi attorno per capire da dove fosse uscito quell’abito a sirena dalla lunga coda di organza. 
“Quasi dimenticavo...senza questo non funziona” a quelle parole la mia vista si offuscò leggermente. Un lungo velo nero ora copriva interamente il mio viso: riuscivo a vedere attraverso di esso anche se in modo poco nitido, mentre chi mi guardava sicuramente non sarebbe riuscito a riconoscere il mio viso. 
"È ora di far entrare lo sposo!" disse con malcelata ironia mentre la tensione dentro di me cominciava a salire e il mio battito accelerava.  
"Vedi di non fare cazzate" mi ammonì, ma cosa avrei potuto fare o dire? Per me non c’era via di scampo, ero come un topo in trappola. 
Mi voltai in tempo per vedere le porte della sala aprirsi e mostrare la figura che avevo da poco incontrato nei miei sogni. 
Lo aspettavo al centro della sala e man mano che lo vedevo avvicinarsi ne riconoscevo la fisionomia, nonostante la mia vista fosse intralciata dal velo che portavo. Non sembrava avere niente di diverso dall’ultima volta, nemmeno aveva cambiato abito. 
‘Almeno siamo coordinati’ pensai dando un’altra sbirciata alla coda del mio vestito. 
Appena dopo di lui, anche il suo corvo era entrato nella sala svolazzando per poi appoggiarsi alla spalla di Morfeo. 
"Ben arrivato, Sogno" Lucifero aprì le braccia con falsa benevolenza mentre gli andava incontro e come tutta risposta ricevette una severa occhiata da parte del suo ospite. In quella situazione dovevo sembrare semplicemente una specie di statua nera al centro della stanza: non avevo idea di cosa fare, di come muovermi, di cosa mi stesse per succedere.  
"Finiamola coi convenevoli. Facciamolo subito" disse Morfeo, caustico, ricambiato dal solito affabile sorriso "Siamo impazienti non è vero?" "Risparmia il fiato e cominciamo". 
Io ero ancora lì impalata al centro della stanza; Lucifero mi venne incontro facendo svolazzare la sua veste rossa e mi prese le mani. Da dietro il velo riuscivo a scorgere i suoi occhi di ghiaccio fissi su di me: il suo sorriso poteva significare benevolenza, ma i suoi occhi tradivano la malvagità che vi albergava dietro. 
Le mani che trattenevano le mie non emanavano alcun calore, erano fredde, senza sangue, senza vita. 
Mi venne in mente mia madre in quel momento ma scacciai il pensiero giù per la gola assieme alle lacrime.  
"Questa è la figlia che vuoi darmi?" nel frattempo Sogno si era avvicinato e si trovava esattamente di fronte a noi, il corvo era svolazzato su una colonna della sala, com in attesa. 
"Questa è Vivian. Io, Lucifero, la cedo a te" dopo quelle parole, pose la mia mano destra in quella di Sogno, tenendo ancora stretta l’altra. 
La sua mano era diversa, non era fredda e vuota come quella della Stella del Mattino. Questo, in qualche modo, mi rassicurò, per quanto meglio potessi stare in quel momento. In ogni istante di quella bizzarra cerimonia mi sentivo come se avessi il cuore in gola; avevo una fottuta paura di tutto ciò che mi circondava, delle figure che a malapena riconoscevo, di tutto quello che si muoveva e respirava tutto attorno. Eppure, ero lì, alla mercé dei presenti, perché, diciamocelo, cos’altro avrei potuto fare contro chiunque in quel momento? 
Sogno si avvicinò a me e con la mano libera sollevò lentamente il velo che portavo: i nostri sguardi si incrociarono. Potevo considerarla la prima volta che lo guardavo negli occhi davvero? O valeva quella del mio sogno? Qualcosa nei suoi occhi che ora riuscivo a vedere chiaramente senza l’impiccio del velo mi diceva nascondessero qualcosa di misterioso e al contempo estremamente pericoloso.  
In pochi secondi distolse lo sguardo da me e io tornai a fissare le due mani che mi tenevano. In quel momento facevo da ponte tra lui e Satana. 
"È questa Vivian? La figlia che prometti?" chiese di nuovo. Ebbi un sussulto quando pronunciò il suo nome, Lucifero guardò me, sorridendo, poi lui "È lei" affermò stentoreo. 
 
"Io, Sogno degli Eterni, la accetto come mia"  
 
Lucifero lasciò la mia mano sinistra e la mise in quella opposta di Sogno. 
Dalle mani affusolate che ora erano libere fece poi apparire un nastro rosso con il quale avvolse le nostre, congiunte. 
 
"Le Moire hanno dichiarato il vostro Fato. Io, Lucifero, lo sigillo" 
 
A quelle parole, il nastro rosso si dissolse magicamente 
‘È fatta?’ pensai ‘Sono davvero “sposata”?’ 
Lo avevo osservato per tutto il tempo e non mi era sembrato affatto soddisfatto. Ai suoi occhi dovevo parere uguale, se non peggio. 
"Potete anche separarvi adesso, non c’è bisogno che stiate così tutto il giorno" all’unisono, come richiamati alla realtà da quelle parole, ci lasciammo le mani. 
"Addio, Lucifero. Vivian, seguimi" Morfeo non aveva aspettato neanche una frazione di secondo per accomiatarsi, aveva decisamente fretta di uscire da lì e non lo biasimavo, ma Lucifero lo fermò "Aspetta. Non posso dartela senza la sua dote" . 
‘La mia dote?’ 
Non sapevo cosa fosse la storia della dote, non me ne aveva nemmeno accennato ma sicuramente non potevo aspettarmi un set di piatti o un centrotavola. 
Si avvicinò a me e senza preavviso mi mise un dito sulla fronte “Cosa cazz” ebbi il tempo di dire, prima che ritraesse l’indice affusolato. 
“Che cosa mi hai fatto?” chiesi spaventata. Mi sentii tirare per un braccio, mi voltai ed era Sogno che mi guardava preoccupato.  
“Che cosa mi è successo?” gli chiesi sull’orlo della disperazione. Cosa poteva avermi fatto il Diavolo in persona? Qualsiasi cosa. 
“I tuoi occhi…” mi rispose “I tuoi occhi sono azzurri”. 
I miei occhi? Azzurri? Io avevo sempre avuto gli occhi color nocciola. 
“Ti ho regalato la Visione dell’Immortale, un giorno mi ringrazierai. E comunque stai meglio così” disse quasi con noncuranza Lucifero, per poi voltarsi verso l’apertura sull’esterno della sala.  
“Cos’è la Visione dell’Immortale?” Chiesi con lo sconcerto nella voce, ma Morfeo non aveva ancora lasciato il mio braccio “Dobbiamo andare via ora, te lo spiegherò più tardi. Prima usciamo di qui e meglio sarà, credimi”. 
“Andate pure” disse Lucifero dandoci le spalle “Con voi ho finito”. 
Quelle erano le sue ultime parole? Davvero? Dopo avermi rapita, fatta sposare e forse anche maledetta o non sapevo cosa. 
“Grazie per la tua accoglienza di merda. Fai veramente schifo come genitore” quelle parole mi uscirono più che spontanee mentre uscivo dalla porta principale accompagnata da Sogno e dal suo corvo in volo sopra le nostre teste, reggendomi la gonna lunga con le mani. 
“Non tornerò mai più qui” dissi decisa mentre attraversavamo i corridoi del castello a passo spedito, seguendo il corvo.  
“Spero che non sarà necessario” mi rispose, infilandosi una mano nella tasca interna del cappotto ed estraendo un sacchetto bianco che prontamente mi passò. 
Lo presi, mentre ancora camminavo, e lo aprii. 
“O mio dio! Sono croissants!” Forse fu per il fatto che me ne stavo andando dall’inferno, forse per l’adrenalina, forse per tutte le difficoltà e i pensieri che mi avevano attraversato il cervello in quei giorni, forse solo per la fame, ma piansi mentre addentavo quella sfoglia croccante. 
 

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