HAIKYU - LA MIA CURA

di Kyulia03
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I. ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II. ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III. ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO IV. ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO V. ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO VI. ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO VII. ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO VIII. ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO IX. ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO X. ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO XI. ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO XII. ***
Capitolo 13: *** CAPITOLO XIII. ***
Capitolo 14: *** CAPITOLO XIV. ***
Capitolo 15: *** CAPITOLO XV. ***
Capitolo 16: *** CAPITOLO XVI. ***
Capitolo 17: *** CAPITOLO XVII. ***
Capitolo 18: *** CAPITOLO XVIII. ***
Capitolo 19: *** CAPITOLO XIX. ***
Capitolo 20: *** CAPITOLO XX. ***
Capitolo 21: *** CAPITOLO XXI? ***
Capitolo 22: *** CAPITOLO XXII. ***
Capitolo 23: *** CAPITOLO XXIII. ***
Capitolo 24: *** CAPITOLO XXIV. ***
Capitolo 25: *** CAPITOLO XXV. ***
Capitolo 26: *** CAPITOLO XXVI. ***
Capitolo 27: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I. ***


L'uomo osservó l'imponente edificio di fronte a lui e sospirò: doveva ancora capire come erano riusciti a convincerlo. Quel posto gli faceva venire i brividi solo a guardarlo. Era stato in molti luoghi simili prima d'ora, ma Haikyuu era diverso: in quell'ospedale, nessun dottore voleva mettere piede.
Giravano varie storie, sul fatto che tutti i pazienti lì ricoverati non potessero in alcun modo guarire, e sul fatto che tutti i dottori che avevano provato ad aiutarli erano andati fuori di testa.
Lui ovviamente non credeva a quelle storie, ma essere lì gli faceva comunque senso.
Dopo qualche minuto, si decise finalmente a suonare il campanello. Poco dopo la porta si aprì, rivelando un uomo poco più basso di lui, con i capelli neri e un paio di occhiali, che gli fece un sorriso.
- Lei è dottor Ukai vero? Sono felice di averla qui-. L'uomo riconobbe la voce come quella dell'uomo che aveva continuato a tempestarlo di chiamate nelle ultime settimane.
- Quindi deduco che lei sia il signor Takaeda, il proprietario di questo posto-.
- Esatto, sono io- Ittetsu gli porse la mano, che Ukai strinse con una certa riluttanza.
- Badi che non ho ancora accettato il lavoro, sono qui solo per esaminare la situazione: deciderò in seguito- affermó.
- Certo, capisco perfettamente; si accomodi- Ittetsu si fece da parte, permettendogli di entrare nella struttura.
Keishin rimase piuttosto sorpreso dall'interno: non somigliava a tutti gli ospedali in cui era stato fino a quel momento. Anzi sembrava quasi un posto allegro: le pareti erano dipinte di vari colori, e c'erano vari fiori che davano un odore quasi paradisiaco al luogo. Solo una cosa mancava: il rumore. Quel luogo era completamente silenzioso.
Mentre seguiva il proprietario lungo i corridoi di quell'edificio si guardò intorno, ma non vide anima viva.
- Scusi ma... Non ci lavora nessuno qui?- chiese. Ittetsu serrò le labbra, poi fece un sorriso triste.
- Penso lei conosca la fama di questo luogo: le persone non vengono a lavorarci volentieri. Ho qualcuno che mi aiuta a tenere pulito e a cucinare, ma vengono solo in orari stabiliti: di fatto, qui ci viviamo solamente io ed i ragazzi- gli spiegò l'altro. Intanto, erano arrivati davanti alla porta dell'ufficio di Takaeda: l'uomo la aprí, facendo accomodare l'altro al suo interno.
- Quanti pazienti ci sono qui?- chiese Keishin, mentre si sedeva davanti alla scrivania dell'altro, che si accomodò poco dopo di fronte a lui.
- Ventidue-. Il dottore aggrottò la fronte.
- Così pochi?- chiese. L'altro fece un sorriso triste.
- Pochi ma tosti. Queste sono le loro schede- gli passó un plico di fogli.
Il dottore scorse per un attimo i nomi dei ragazzi che avrebbe dovuto curare da quel momento in avanti... Sempre se avesse deciso di accettare quel ruolo.
- Hanno qualche regola qui?- chiede, continuando a sfogliare le varie schede.
- Ovviamente non possono uscire, ma in realtà non hanno mai chiesto di poterlo fare. Si sono organizzati turni di corvet; hanno tutti una propria stanza, ma sono liberi di dormire dove vogliono. Non ho dato loro troppe restrizioni. Passano molto tempo insieme, facendo normali attività da ragazzi: quando arrivano i vari dottori organizziamo i loro orari in base alle visite e alle terapie che essi propongono per loro, ma per il resto non fanno niente di speciale-.
- Al momento stanno seguendo qualche terapia?-.
- Nessuna-.
- Da quanto sono qui?-.
- Tutti da tre anni: da quando ho aperto, praticamente-. Il dottore annuí, pensieroso, e lesse un'altra scheda.
- Quanto spesso vedono persone esterne?-. Non udendo la risposta alla sua domanda, l'uomo alzó la testa, e vide che sul volto dell'altro si era dipinto nuovamente un sorriso triste.
- Non le vedono. All'inizio veniva qui qualche genitore, ma poi hanno smesso: non ne conosco il motivo però. Gli unici con cui entrano in contatto sono i dottori e quei pochi ragazzi che mi aiutano a cucinare o svolgere faccende simili- rispose. Ukai aggrottò la fronte.
- Mi faccia capire, praticamente sono tre anni che non vedono nessuno tranne loro stessi e lei?-.
- Esattamente-.
Il dottore si alzò mentre un dubbio si insinuava nella sua mente.
- Prima di prendere una decisione, vorrei vederli-.

Il dottore aprí la porta che separava la zona d'ingresso con la parte di struttura dedicata ai ragazzi... Che comprendeva quasi tutto l'edificio.
Il signor Takaeda non era voluto andare con lui; aveva affermato che sarebbe stato molto meglio se avesse visto tutto con i suoi occhi. Gli aveva però dato indicazione dei luoghi in cui era probabile si trovassero i pazienti.
Al secondo piano c'erano le camere dei ragazzi, e al terzo quello delle ragazze; ma il proprietario del luogo aveva affermato che raramente i giovani passavano le giornate in stanza, e che quindi era molto più probabile che li trovasse al primo piano.
Infatti, non appena superata la porta, il dottore aveva subito sentito una dolce melodia provenire da una porta non molto lontana.
La stanza era aperta, per cui l'uomo si era potuto sporgere senza problemi per vedere i ragazzi al suo interno. Sembrava una sala ricreazioni, dato che aveva dei computer, dei tavoli, alcuni giochi da tavolo impilati su un mobile e altre attività.
Vicino ad un muro c'era un pianoforte a coda, suonato da un ragazzo biondo. Ukai aveva sviluppato la capacità di riconoscere le persone al primo sguardo grazie al suo lavoro, per cui capí subito chi fosse il ragazzo, nonostante lo avesse visto solo in foto mentre sfogliava le schede: Tsukishima Kei, afefobia.
Alla fine del pianoforte, appoggiato allo strumento, c'era un ragazzo con le lentiggini ed i capelli di una strana tonalità verde. Yamaguchi Tadashi, disturbo post-traumatico.
Il pianoforte sembrava essere posizionato apposta in un angolo della stanza, in modo da essere lontano da tutti gli altri occupanti di essa.
- Wow, che figata! Voglio giocare anch'io!-. Una voce squillante richiamó la sua attenzione, facendogli spostare lo sguardo su un ragazzo dai capelli arancioni seduto ad un tavolo, intento a guardare un videogioco tra le mani di un ragazzo biondo... O almeno, tinto di biondo. Hinata Shoyo: bulimia. Kozume Kenma: anoressia.
Di fianco al mandarino c'era un ragazzo moro, che stava fissando il tavolo come se stesse cercando di concentrarsi su qualsiasi cosa tranne che sul mondo che lo circondava. Kageyama Tobio: disturbo ossessivo-compulsivo.
- Kenma, fai giocare anche Hinata-. Al tavolo dietro il terzetto, c'erano altri tre ragazzi, intenti a giocare a carte.
Il moro che aveva appena parlato si girò un attimo verso il biondo alle sue spalle, che alzò gli occhi al cielo prima di tornare a concentrarsi sul gioco che aveva in mano. Kuuro Tetsuro, dpdr: disturbo di depersonalizzazione-derealizzazione.
- Ho vinto!-. Il moro si voltò di scatto quando il ragazzo dai capelli bianchi e neri di fianco a lui alzò le braccia e fece un sorriso trionfante. Bokuto Koutaro: depressione.
- Cosa?! Ma non vale!- si lamentó Kuuro.
- Bokuto-san, tira fuori le carte che hai nascosto- il terzo ragazzo che giocava con loro parló con voce calma, alzando appena lo sguardo dalle carte che teneva in mano. Akashi Keiji, apatia.
- Sei cattivo Aghashi- si lamentó Bokuto, ma fece come gli era stato detto e mise sul tavolo alcune carte che si era nascosto sul grembo.
- Che barone!- esclamo Kuuro. Intanto, una nota del pianoforte stonó e Kageyama si alzò di scatto.
- Se devi suonare quando ci sono io, non sbagliare- sibilò, voltandosi verso il biondo al pianoforte.
- Allora dí a quei due di non urlare, mi deconcentrano- ribatté acido l'altro.
- Non è colpa nostra Tsukki!- esclamó Bokuto. Kageyama strinse i pugni e fece un passo verso il biondo, che sembró allarmarsi leggermente.
Velocemente, Yamaguchi si staccò dal pianoforte, camminando piano verso il biondo, mentre Hinata saltó in piedi e si mise davanti a Kageyama.
Gli disse qualcosa sottovoce e gli prese la mano, portandosela alla testa; il moro chiuse gli occhi ed iniziò ad accarezzargli i capelli, riuscendo così a calmarsi.
Il dottore notó in quel momento altri due ragazzi, che stavano rimanendo in disparte. Il più basso a sentire il litigio si era guardato intorno, quasi confuso. Yaku Morisuke, schizofrenia. Il più alto gli stava dicendo qualcosa, come per rassicurarlo; Haiba Lev, sintomi del parkinsonismo. La situazione sembrò calmarsi in poco tempo, anche se nessuno degli altri ragazzi intervenne.
Ukai decise che ne aveva viste abbastanza in quel gruppo, per il momento, e di continuare il giro.
Notó in quel momento che c'era alle sue spalle un'enorme vetrata, che gli permetteva di vedere il giardino interno di cui era provvista la struttura.
Seduto all'ombra di un albero, con la schiena contro la pianta e gli occhi chiusi, c'era un ragazzo moro. Kunimi Akira, disturbo del sonno.
Anche in quel momento non stava dormendo: il dottore lo capì quando lo vide scuotere la testa a qualcosa che aveva detto il ragazzo con i capelli a cipolla di fianco a lui. Kindaichi Yutaro, parafilia.
Ukai non poteva capire cosa si stessero dicendo, dato che erano troppo lontani, ma non voleva avvicinarsi: il suo obiettivo in quel momento era vedere i ragazzi. Poi avrebbe deciso cosa fare.
Ne vide altri due avvicinarsi: quello castano disse qualcosa, probabilmente in tono scherzoso, ma facendo così arrabbiare il moro al suo fianco, che gli tiró uno scappellotto. Oikawa Tooru, disturbo dissociativo d'identità; Iwaizumi Hajime, nevrastenia.
Il primo si voltò per lamentarsi con l'altro del colpo subito; mentre lo faceva notó il dottore, e gli rivolse un sorriso che all'uomo non sembrava per nulla rassicurante.
Tenendo d'occhio i ragazzi tramite la vetrata, che si estendeva per tutto il corridoio, Ukai continuò la sua camminata.
- Ancora! Ancora!-. Da una stanza poco più in là, provenivano altre voci. Il dottore si affacció anche a quella porta: era una palestra.
- Non dovresti correre così tanto-. A dargli le spalle c'era un ragazzo alto, con i capelli raccolti in un codino. Azumane Asahi: autolesionismo.
- Ma non sono stanco-. Il ragazzo si spostò appena, permettendo di fare vedere al dottore con chi stesse parlando: un ragazzo decisamente più basso di lui, castano, con un ciuffo biondo, che correva su un tapis-roulant. Nishinoya Yuu, iperattività.
- E poi loro non hanno ancora finito- il ragazzo indicò con un cenno del capo altre due figure non molto distanti da loro.
Sdraiato sotto un bilanciere, un ragazzo dai capelli pelati stava sollevando dei pesi. Tanaka Ryunosuke, nevrosi.
In piedi dietro di lui, come a tenerlo d'occhio, un ragazzo moro: Ennoshita Chikara, sindrome di Capgas.
Si allontanò anche da quella zona: ormai stava iniziando a capire. Per avere la conferma, gli mancava solo vedere gli ultimi quattro pazienti.
Li trovó in quella che era probabilmente la sala pranzo, intenti ad apparecchiare per il prossimo pasto.
Appena si affacció vide un ragazzo dai capelli grigi, che gli passo di fianco con aria pensierosa. Sugawara Koushi, sintomi della demenza.
Mentre metteva i piatti sulla tavola, si fermò un attimo.
- Daichi... Qual'era il posto di Kageyama?- chiamò ad un volume più alto del necessario un altro ragazzo che lo raggiunse in poco tempo. Sawamura Daichi: psicosi.
- Qui- il ragazzo indicò una sedia; l'altro gli sorrise in risposta e riprese ad apparecchiare.
- Abbiamo preparato tutto?- una ragazza dai capelli mori si avvicinò ai due ragazzi. Kyoko Shimizu: ansia. Dietro di lei, quasi attaccata al suo braccio, una ragazza bionda: Yachi Hitoka, agorafobia.
Con loro due, la lista era al completo. Ed il dottore non aveva più dubbi.
Rimase ancora un attimo a fissare quei quattro ragazzi, che stavano sistemando tutta la stanza in modo quasi impeccabile, prima di decidersi a voltarsi e tornare da dove era venuto.

- Se n'è accorto vero?-. Il propietario dell'ospedale aveva posto quella domanda senza neanche alzare lo sguardo dai fogli che aveva in mano.
- Si- rispose il dottore, entrando di nuovo nello studio.
Ittetsu fece un sorriso triste. Non era un dottore, ma ormai conosceva quei ragazzi da tre anni. Li aveva visti conoscersi, li aveva visti aiutarsi a vicenda, instaurare rapporti tra di loro e superare momenti difficili.
Eppure, non era riuscito ad aiutare nessuno di loro: erano ancora tutti lì. A furia di guardarli però, l'aveva capito. Non aveva mai osato esprimere il suo dubbio a nessuno, né ai ragazzi stessi, né agli aiutanti con cui ogni tanto scambiava qualche chiacchiera, né ai dottori che erano venuti nel corso degli anni. Però, questa volta sentiva di aver trovato l'uomo giusto, l'uomo che poteva davvero aiutare lui e tutti i suoi ragazzi; e sapeva che quell'uomo aveva capito, nonostante li avesse appena visti aveva compreso la situazione.
- Quei ragazzi...- Ittetsu alzò gli occhi, incontrando lo sguardo di Keishin, che annuì appena, come per confermare la sua tesi.
- Non hanno la minima intenzione di andarsene da qui-.

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Capitolo 2
*** CAPITOLO II. ***


L'uomo si portò la sigaretta alle labbra, rabbrividendo appena per l'aria fredda del mattino che entrava dalla finestra aperta della sua stanza. Ne aveva chiesta una che affacciasse sul giardino interno, in modo da poter tenere d'occhio i ragazzi che vi andavano; a quell'ora non c'era nessuno, erano tutti riuniti di sotto per la colazione, ma gli piaceva comunque la vista.
Aspirò un'altra volta e sentì qualcuno bussare alla porta.
- Arrivo!- appoggió la sigaretta nel posacenere e si allontanò dalla finestra. Afferrò la maglietta che aveva lasciato sullo schiena della sedia della scrivania vicino alla finestra e la indossò velocemente mentre apriva la porta, trovandosi davanti il volto sorridente di Takaeda.
- Buongiorno dottore! Le ho portato la colazione- lo informó, alzando il vassoio che aveva in mano.
- La ringrazio- Keishin prese in mano il vassoio e si scostó per permettere all'altro di entrare in camera.
- Si sta trovando bene qui?- gli chiese Ittetsu, mentre lui andava ad appoggiare il vassoio sulla scrivania.
- È un bel posto- commentò il dottore. Dopo aver visto i ragazzi, non aveva più avuto dubbi: voleva rimanere in quel luogo e provare ad aiutarli.
Non era mai stato uno di quegli psicologi che si limitava ad utilizzare le sue conoscenze per guarire i suoi pazienti; anche per questo non era voluto diventare psichiatria: l'ultima cosa che voleva fare era limitarsi a dare medicine a chi andava da lui senza aiutarlo veramente. Preferiva capire cosa ci fosse al fondamento dei problemi dei suoi pazienti, e cercare di risolverli alla radice.
Aveva visto fin troppe persone che sembravano guarite da una terapia e invece erano ricadute poco dopo nella stessa situazione, e questo perché i dottori avevano dato loro un modo per superare la malattia, senza però capire veramente a cosa fosse dovuta.
Era abbastanza spavaldo da pensare che per quei ragazzi, che ormai si erano costruiti ed abituati ad una vita in quel luogo, lui sarebbe potuto essere la persona che avrebbe potuto fare capire loro che c'era un mondo al di fuori da lì, ed aiutarli a tornarci.
Li aveva osservati per tre giorni, senza mai avvicinarsi troppo, per tastare il terreno. I ragazzi l'avevano notato, sapevano che era lì; ma lo trattavano come un ospite indipendente e la cui presenza era completamente indifferente.
Era certo che se avesse provato a parlarci la maggior parte gli avrebbero risposto tranquillamente, ma se non l'avesse fatto la situazione non sarebbe cambiata.
Dopo averli osservati per giorni però, era arrivato il momento di parlarci.
- Direttore, vorrei iniziare a vedere i ragazzi in privato- annunciò. L'uomo sorrise ed i suoi occhi si illuminarono appena.
- Avviserò i ragazzi. Vuole parlare con qualcuno in particolare?- gli chiese, cercando di contenere l'emozione; si era sentito molto sollevato quando il dottore aveva deciso di rimanere, fiducioso del fatto che aveva fatto la scelta giusta a chiamare proprio quell'uomo, nonostante la sua giovane età.
Al biondo non sfuggí la reazione dell'altro uomo e sorrise appena.
- Vorrei parlare con quelli più grandi prima- rispose; si diresse verso la scrivania e prese la lista con i turni che aveva pensato di utilizzare.
Pose il foglio ad dottore, che lo lesse velocemente.
- Perfetto; si ricorda la strada per lo studio?-. Il biondo annuì, ricordando la stanza che gli avevo mostrato l'uomo quando voi aveva annunciato che sarebbe rimasto.
- Allora la lascio alla sua colazione- il direttore si congedó ed il dottore si diresse alla scrivania, su cui aveva lasciato il vassoio.
Osservò la colazione, che gli sembrava più abbondante del giorno prima; il che era una fortuna, dato che sarebbe stata una giornata molto faticosa.

Il dottore osservó lo studio, situato dall'altra parte della struttura rispetto all'ingresso, appena fuori dalla porta che segnava il confine con la zona in cui vivevano i ragazzi, e sistemato di fianco all'infermeria.
Era una stanza grande: una scrivania, con dietro e a destra una libreria, seduto alla quale aveva deciso di accogliere i ragazzi. C'erano anche un divano e delle poltrone, che davano un'aria più comoda e confortevole, ma al momento non voleva ancora iniziare alcuna terapia, solo parlare, per cui ancora non intendeva adoperare quella zona.
Lo studio era provvisto anche di un caminetto, che gli donava un'aria molto confortevole. Il dottore si trovò a pensare che fosse il miglior studio in cui fosse mai stato.
Quando mancavano un paio di minuti all'inizio degli incontri, si alzò ed andò ad aprire la porta, per vedere se il ragazzo fosse già arrivato. La situazione che si trovò davanti lo lasció non poco sorpreso.
In quei giorni, aveva notato che i ragazzi non andavano mai in giro da soli, ma sempre almeno in coppia o anche in gruppi. Le coppie erano più o meno sempre le stesse; alcuni sembravano non avere problemi a cambiare compagni, mentre altri rimanevano sempre con gli stessi.
Che quei ragazzi fossero molto uniti non era certo un mistero. Ma non pensava che si sarebbe trovato davanti tutti i 9 nove ragazzi più grandi dell'istituto.
- Buongiorno a tutti-. I loro sguardi si puntarono su dì lui, come ad intimorirlo; ma non era certo una di quelle persone che si lasciava sconfiggere da un gruppo di ragazzini.
- Io sono il dottor Ukai, probabilmente mi avete visto in giro per l'istituto nei giorni scorsi. Vorrei parlare privatamente con ognuno di voi- si presentò.
I ragazzi si scambiarono degli sguardi d'intesa.
- Veramente, noi vorremmo entrare tutti insieme, o almeno a coppie- gli rispose Kuuro.
- Temo non sia possibile: le sedute sono personali- ribatté il dottore.
- Cerchi di capire, non vogliamo che nessuno di noi rimanga solo- gli disse Daichi.
- Non sarete soli, sarete dentro con me. Non vi preoccupate, è solo una chiacchierata di cinque minuti per conoscervi meglio- rispose Ukai, sicuro.
I ragazzi si guardarono, un po' a disagio.
- E va bene, inizio io- Sugawara fece un passo in avanti.
- Sicuro Suga?- gli chiese Asahi.
- È solo una chiacchierata no? E poi voi sarete qui fuori ad aspettarmi, giusto?- guardó gli amici, come a cercare una conferma, e tutti loro annuirono.
- Accomodati- il dottore gli fece cenno di entrare nella stanza; una volta che il ragazzo fu all'interno, il dottore chiuse la porta.

Koushi si guardò intorno: era stato varie volte in quello studio, ma ora sembrava quasi avere qualcosa di diverso.
- Ti senti a disagio Sugawara?- gli chiese il dottore, sedendosi di fronte a lui dall'altro lato della scrivania. Quella scelta lo sorpresa, si era seduto poche volte su quella sedia, aveva utilizzato più spesso il divano; però il dottore aveva parlato di una chiacchierata, non di una seduta, per cui la scelta fatta era stata la migliore.
- In realtà no- ammise. Nella sua mente, si ripeteva i nomi dei suoi amici: Daichi Sawamura. Asahi Azumane. Ryunosuke Tanaka. Yaku Morisuke...
- Da quanto tempo sei malato Sugawara?-. Il modo in cui il dottore ripeteva il suo nome, come per mantenere l'attenzione del ragazzo su di lui, gli fece capire che non si trovava davanti ad uno psicologo qualunque.
- Cinque anni, più o meno. La demenza mi è stata...- si fermò, non ricordandosi la parola che voleva dire. Shimizu Kyoko, Yuu Nishinoya, Chikara Ennoshita.
- Diagnosticata?-.
- Diagnosticata, esatto; avevo sedici anni-.
- Come hai preso la notizia?-.
- All'inizio ne sono stato sollevato. Mi sentivo spesso disorientato, anche compiere azioni normali mi risultava difficile. Avere una spiegazione mi ha sollevato, anche se ovviamente non è stato piacevole- rispose. Shoyo Hinata. Tobio Kageyama.
- Quali sono i sintomi che presenti più spesso?- chiese il dottore.
- Mi dimentico i dettagli e ogni tanto fatico a parlare o a muovermi come vorrei, e mi sento spesso disorientato-. Kei Tsukishima. Tadashi Yamaguchi.
- Niente comportamenti distruttivi e inadatti o disturbo di personalità?-.
- Del secondo non ho mai sofferto; dei primi mi capitava prima di arrivare qui-. Tetsuro Kuuro. Kenma Kozume.
- Quindi senti di essere migliorato?-.
- Non direi proprio migliorato... Ma ho trovato dei modi per contenermi-. Keiji Akashi, Koutaro Bokuto.
- Grazie ai tuoi amici? Ho notato che qui siete tutti molto legati-. Il ragazzo annuì e fece un piccolo sorriso.
- Abbiamo imparato a conoscerci ed aiutarci a vicenda; ormai sanno come comportarsi quando mi vedono spaesato o altro. Sono riuscito ad eliminare del tutto i comportamenti inadatti grazie al loro aiuto, ma per il resto sono ancora allo stato di prima- raccontò. Hitoka Yachi.
- Tu sai a cosa è dovuta la demenza?- gli chiese il dottore. Koushi annuì.
- A danni delle cellule celebrali, che non riescono più a comunicare tra di loro-. Tooru Oikawa.
- Tu hai subito un incidente qualche hanno fa giusto?-.
- Esatto; è da lì che sono iniziati i sintomi-. Hajime Iwaizumi.
- Però, dalle tue cartelle cliniche il tuo corpo non ha danni. Eppure la diagnosi non è stata cambiata-. Dalla demenza non si poteva guarire, ma era come se quel ragazzo avesse solamente i sintomi, non la malattia in sé.
- Lo so, ma purtroppo non so spiegarmelo- mormorò il ragazzo. Yutaro Kindaichi.
- Capisco. Ultima domanda: come ti trovi qui?-.
- Bene: mi piace il rapporto familiare che abbiamo instaurato. Certo è dura, qui tutti stiamo soffrendo; ma è meglio che soffrire da soli no?-. Akira Kunimi. Aveva finito i nomi dei suoi amici.
- Non posso darti torto. Be', ti ringrazio per aver parlato con me; puoi andare- affermò il dottore.
Il ragazzo si alzò, ma si fermò subito dopo, colto da un dubbio: si era alzato per uscire dalla stanza? Dov'era l'uscita?
- Sugawara, la porta marrone- con voce gentile, il dottore gli indicò l'uscita - fuori ci sono i tuoi amici-.
Sugawara si sentì rassicurato a quelle parole: aveva bisogno di vedere i suoi amici. Soprattutto lui.
- La ringrazio- con la velocità permessagli dal suo corpo, si affrettó ad uscire dalla stanza.

Asahi si sedette, cercando di non palesare il proprio disagio. Non era mai stato bravo a comunicare con le persone. Inoltre, quando era uscito dalla stanza del dottore Suga aveva lo sguardo che assumeva sempre quando stava affrontando un momento di confusione.
Non voleva dubitare del dottore, sapeva che era una cosa che capitava spesso e che probabilmente l'uomo non c'entrava, ma era comunque preoccupato per l'amico.
L'aveva lasciato nelle mani esperte di Daichi ed era entrato lui nello studio; glielo avevano lasciato fare perché sapevano che aveva una certa fretta di andarsene.
- Allora Azumane... Soffri di autolesionismo da quasi dieci anni ormai, giusto?- la voce del dottore lo fece sussultare leggermente. Gli sembra un uomo amichevole e severo allo stesso  tempo, per cui non sapeva bene come comportarsi con lui.
- Esatto- rispose.
- Parlare della tua condizione ti mette a disagio?-. Il ragazzo serrò leggermente le labbra.
- In confronto alle malattie dei miei amici, il mio è quasi un semplice capriccio- mormorò.
- Se pensi questo, come mai non riesci a guarire?-. Il ragazzo non seppe rispondere a quella domanda.
- Era una domanda retorica: se sei qui, significa che ne hai il diritto quanto loro. Se qualche dottore ti ha fatto credere che la tua malattia non valga niente, allora non dovrebbe essere definito psicologo. Il dolore si presenta in ogni essere umano in modo diverso, ma non per questo uno è più importante di un altro-. Asahi rimase sorpreso: il dottore aveva parlato in tono neutrale, come se fosse un pensiero perfettamente normale, ma aveva centrato in pieno il punto della situazione.
In tutti quegli anni, tutti gli psicologi con cui aveva parlato lo avevano trattato come un normale ragazzino che non sapeva come affrontare i problemi, nessuno aveva mai visto la sua come una malattia. Tanto che alla fine anche lui, che aveva sempre pensato di essere debole di carattere, aveva finito per convincersene.
- Non voglio chiederti le cause del tuo comportamento, le hai già dette ad altri dottori e sono tutte scritte qui- il dottore picchiettó il dito sulla cartella clinica che aveva sulla scrivania.
- Quello che vorrei sapere da te, è come ti faccia sentire soffrire di autolesionismo- affermò.
Il ragazzo lanciò uno sguardo alle sue braccia; indossava una felpa con le maniche lunghe, ma riusciva comunque ad intravedere il segno di un taglio.
Aveva iniziato a circa dieci anni: dopo essere stato insultato da alcuni ragazzi, per la frustrazione aveva tirato un pugno ad un sasso. Si era fatto male, ma invece che lamentarsi per il dolore aveva sentito una scarica dentro, come qualcosa che gli comunicava che era vivo.
Aveva continuato fino a rompersi la mano. Così, ogni volta che qualcuno lo insultava o veniva trattato male, tornava a casa e trovava nuovi modi per procurarsi dolore. Tirare pugni ai muri, poggiare la mano sulla teiera bollente... E quando, ad un'età fin troppo giovane, aveva iniziato a farsi la barba, avendo così delle lamette a disposizione, era diventato tutto ancora più semplice.
Quando la madre l'aveva scoperto, gli aveva dato del debole e minacciato di buttarlo fuori di casa se non fosse andato a farsi curare; aveva visitato vari psicologi, ma non aveva ancora trovato un motivo per smettere. Nulla che lo facesse sentire vivo senza farsi del male.
- Quando lo faccio, mi sento vivo. Per me non è un problema; l'unica cosa che mi dispiace è vedere le espressioni preoccupate dei miei amici. Penso che a volte temano che io possa superare il limite- sussurrò appena l'ultima frase, consapevole di quanto i suoi amici fossero preoccupati per lui. Non serviva a nulla dire loro che stava bene.
- Vorresti farlo? Vorresti morire?-. Il ragazzo scosse la testa.
- A volte forse; però quando mi... Faccio del male, è proprio per sentirmi vivo- spiegó. Il dottore sembrò pensarci un attimo.
- I tuoi amici ti hanno mai chiesto di smettere?- chiese il dottore.
- So che vorrebbero, me l'hanno fatto capire; ma non l'hanno mai detto esplicitamente- rispose il ragazzo.
- Capisco. Grazie per aver risposto alle mie domande: puoi andare- affermò, porgendogli la mano per salutarlo.
Nonostante l'ansia non gli fosse ancora passata del tutto, il ragazzo strinse la mano dell'uomo, prima di alzarsi e lasciare la stanza.
- Com'è andata?- gli chiese Suga, mentre Kyoko lo superava per entrare nella stanza.
- È un uomo gentile- mormorò il ragazzo.
- Ti accompagno- affermó l'altro, intuendo dove volesse andare.
- Sicuro?- gli chiede Asahi, guardando Daichi.
- Lo affido a te- gli rispose quest'ultimo.
- Non sono un bambino...- borbottó l'argentato.
- Rimani pure qui con Daichi, vado da solo- affermò Asahi. I due ragazzi lo guardarono con aria preoccupata.
- Sicuro?-.
- Tranquilli, non sarà lontano. Ci vediamo dopo- li salutó e, prima che potessero fermarlo, aprí la porta che conduceva alla zona adibita ai ragazzi.
Il primo luogo in cui controllò era la palestra. Vide in un angolo Tanaka ed Ennoshita, intenti a parlare tra loro, e capí che lui non poteva essere lì. Nonostante il ragazzino che stava cercando fosse il migliore amico di Tanaka, sapeva anche lui che in quei momenti era meglio lasciare lui ed Ennoshita da soli. Per cui, doveva essere con Hinata.
Riprese a camminare, finché non raggiunse la sala ricreazione.
- Asahi-san!-. Non appena aprí la porta, Nishinoya gli saltó in braccio. Non era per niente pensante, per cui non ebbe problemi ad afferrarlo.
Il più basso appoggió le mani sulle sue spalle mentre lui gliele metteva sulla schiena per sostenerlo.
- Finalmente sei tornato! Com'è andata? Raccontami tutti mentre usciamo: ho voglia di correre!- esclamò.
All'improvviso, tutta l'ansia di Asahi passo ed un sorriso dolce gli comparve sul volto nel vedere l'espressione felice dell'altro.
- Certo: andiamo-.

La ragazza strinse le mani tra loro, quasi infilandosi le unghie nella pelle per riuscire a mantenere un'espressione normale.
Non aveva mai voluto mostrare troppo le sue emozioni, ma i disturbi d'ansia che aveva le rendevano quel compito difficile.
- Hai avuto il primo attacco d'ansia alle medie vero?-. La ragazza alzó lo sguardo sul dottore, che aveva un'aria tranquilla mentre leggeva il foglio che aveva in mano.
- Si, prima di una gara di atletica-.
- Però ti sono stati diagnosticati i disturbi d'ansia quasi due anni dopo-.
- I miei genitori pensavano che fosse dovuto alla pressione della scuola e che, lasciando il club per concentrarmi solo sullo studio, i miei attacchi sarebbero passati da soli. Non è stato così-.
A Shimizu piaceva avere controllo nella sua vita, per questo aveva paura della domanda che gli facevano i dottori: cosa ti fa venire attacchi d'ansia?
Le faceva paura perché neanche lei sapeva rispondere. Sembravano arrivare a caso, non sempre nelle stesse situazioni, non sempre allo stesso modo... Ma la lasciavano sempre sconvolta.
- Qual'è la parte peggiore dei tuoi attacchi?- chiese invece il dottore. La ragazza non sapeva se essere più sorpresa o sollevata per quella domanda.
- Non riuscire a capirli- ammise. In tutti quegli anni di attacchi, non aveva mai imparato a prevederli o fermarli. E ciò le dava ancora più fastidio degli attacchi stessi.
- Ti dà fastidio stare in mezzo alle persone?- chiese il dottore.
- Non sono molto sociale, ma non mi dà fastidio- rispose.
- Ti faccio un'ultima domanda. Tu e Yachi Hitoka siete le uniche ragazze qui, e mi sembrate molto unite; avete mai avuto un attacco in contemporanea?-.
La ragazza ci pensó per un attimo. Ricordava di aver assistito molte volte Yachi durante le sue crisi, così come l'amica aveva fatto con lei; però...
- No, mai- ammise.
- Ti ringrazio; puoi andare-.
- Arrivederci- Kyoko si alzò ed uscì dalla stanza.

Daichi guardó nuovamente la porta; si sentiva nervoso per Suga, aveva capito che aveva avuto un attimo di smarrimento e temeva potesse peggiorare. Sapeva che era andato con Yaku ad accompagnare Kyoko da Yachi, per cui in realtà anche se fosse uscito subito non l'avrebbe trovato. Però...
- Tu sai di essere malato?-. Riportó l'attenzione sul dottore. Sapeva il motivo di quella domanda: uno dei sintomi della psicosi era non riconoscere di essere malati.
- Lo negavo fin quando non mi hanno portato qui, ma ora non ho problemi ad ammetterlo- ammise.
- In questi giorni vi ho osservati e... Mi sembra che tu ti prenda molto cura dei tuoi amici-.
- Sono uno dei più grandi; quando sono arrivato, ho visto Sugawara che si prendeva cura degli altri come se niente fosse. Ho pensato di aiutarlo e in poco tempo mi sono ritrovato a fare quasi da padre a tutti gli altri- raccontó, con un piccolo sorriso. Ricordava bene come era rimasto sorpreso da quel ragazzo sin dal primo giorno: nonostante facesse fatica a fare quasi tutto, cercava sempre di aiutare gli altri. Quando sapeva di star per avere qualche problema che poteva farli preoccupare, si isolava da tutti e affrontava le sue crisi da solo. Aiutarlo a Daichi era venuto quasi naturale... E grazie a lui aveva accettato finalmente la sua malattia.
Anche adesso, gli sembrava quasi di vederlo di fianco al dottore; ma il suo sorriso era diverso, il moro sapeva che non era lui ma solo un'allucinazione.
- Grazie, puoi andare-. Daichi rimase sorpreso dalle parole del dottore.
- Di già?- chiese, confuso.
- Come vi ho detto prima, questa è solo una chiacchierata per conoscervi e capire come siete fatti. Per adesso, non mi serve sapere altro- affermò lui.
Per qualche motivo, quella cosa fece sorridere Daichi.
- La ringrazio- il ragazzo si alzò, dirigendosi verso la porta.
Quando la aprì, si trovò davanti il volto sorridente di Sugawara; sembrava stremato, come se avesse corso.
- Si è messo a correre all'improvviso; potevi almeno avvisarmi!- si lamentó Yaku, di fianco a lui.
Suga non gli diede molta attenzione: aveva avuto voglia di vedere Daichi, e qualcosa gli diceva che non sarebbe rimasto molto dentro alla stanza. Così, una volta lasciata Kyoko con Yachi si era messo a correre per farsi trovare fuori dalla porta non appena il ragazzo fosse uscito.
- Andiamo a preparare la tavola, Daichi?-. Il moro sorrise; l'amico soffriva di problemi di memoria, e sapeva che diceva i nomi degli altri ogni volta che poteva per non dimenticarli. Il suo non lo aveva mai sbagliato.

- Benvenuto Iwaizumi; siediti pure-. Hajime fece come gli era stato detto, sedendosi di fronte al dottore.
- Cosa le interessa sapere?- chiese.
- Vedo che sei un ragazzo diretto. Allora ti farò subito una domanda: da quello che vedo tu, Oikawa Tooru, Kageyama Tobio, Kindaichi Yutaro e Kunimi Akira vi conoscevate già da prima di venire qui-. Non erano gli unici, ma erano il gruppo più vasto.
- Esatto-.
- Le vostre malattie si sono sviluppate insieme?- chiese il dottore. Hajime ci pensó un attimo.
- Non vedevo Kageyama dai tempi delle medie, quindi non ho idea di quando abbia sviluppato il suo disturbo, e ho notato che Kindaichi e Kunimi non stavano bene solo durante il Liceo, quindi non saprei dirle. Ma so che la mia malattia si è sviluppata poco dopo quella di Oikawa, si- confermó.
- Particolare, dato che la nevrastenia solitamente si presenta nelle persone dai 20 ai 40 anni. Invece tu l'hai sviluppata attorno ai dodici- commentò il dottore.
- Me lo dicono tutti-. Ma con un idiota come Toru vicino, chiunque sarebbe impazzito; questo Hajime non lo disse, ma lo pensó.
- So che hai rifiutato molti trattamenti che ti venivano proposti- continuò il dottore.
Hajime sentì i battiti del suo cuore iniziare ad aumentare: quell'uomo stava arrivando subito al centro del discorso, e a lui non piaceva che fosse stato in grado di inquadrarlo così bene.
- Erano inutili- rispose semplicemente.
- Quindi hai preferito venire rinchiuso?-.
- Dottore, dovrebbe saperlo bene che una persona nervosa non piace a nessuno. Con il mio disturbo non sarei andato molto lontano-. Si fissarono per un attimo: sapevano entrambi che c'era qualcos'altro.
Hajime aveva paura che il dottore gli facesse altre domande per arrivare a scoprirlo, ma non accadde.
- Grazie mille: puoi andare-. Hajime si alzò, sentendo che la sua pazienza stava per raggiungere il limite.
No, non poteva certo andarsene: aveva un compito, una persona che non poteva abbandonare. Non era importante se stava male a causa sua, era l'unico a poterlo aiutare e l'avrebbe fatto anche a costo di rimanere lì per sempre.
Aprì la porta, trovandosi di fronte Oikawa.
- Com'è andata, Iwa?- gli chiese l'amico.
- Niente di che- rispose lui, spostandosi per lasciarlo passare e cercando di non mostrare la sua irritazione verso il modo in cui l'aveva chiamato. Era già meglio di un altro.
Alla sua risposta, vide il ragazzo rilassarsi leggermente.
Cercando di non farsi notare Hajime lo squadró, cercando di vedere se avesse segni strani, ma sembrava tutto normale.
Continuó a fissarlo finché il castano non chiuse la porta alle sue spalle.

- Questa stanza è un po' impersonale- commentó Tooru, guardandosi intorno.
- Non ho avuto ancora tempo per arredarla- rispose il dottore, squadrando il ragazzo come a cercare di capirlo.
- Ho visto che ci ha osservati per un po': cercava qualcosa in particolare?- chiese il castano, accavallando le gambe. Questo confermó al dottore che parlare con lui non sarebbe stato semplice come con gli altri.
- Solo di capire come siete fatti- rispose. Solo? A Tooru venne quasi da ridere. Non era riuscito a capirlo il terapeuta che l'aveva seguito per anni, figuriamoci uno sconosciuto che l'aveva osservato per tre giorni.
Nessuno ti potrà mai capire.
- E cos'ha capito?- chiese, ignorando il fastidioso ronzio che sentiva nelle orecchie.
- Ancora niente di certo. Per questo volevo parlare con te-.
Tooru sentí la testa inizia a pulsargli, ma cercò di non darlo a vedere.
Il dottore però si accorse che stava muovendo nervosamente la gamba. Puntó lo sguardo in quello del ragazzo.
- Con chi sto parlando? Qual'è il tuo nome?- gli chiese. Il castano si accigliò, non capendo il senso di quella domanda.
- Oikawa...- avrebbe voluto dire il suo nome, ma qualcosa lo fermò. La sua lingua non rispondeva più ai suoi comandi. Avrebbe voluto farsi prendere dal panico, ma invece era straordinariamente calmo. E questo non andava bene, ma allo stesso tempo gli piaceva.
Vide la sua gamba fermarsi, segno del fatto che il nervosismo si stava scaricando da un'altra parte. E questo, non andava bene per niente.
- Oikawa Tooru-. Al richiamo del dottore, il ragazzo alzò di scatto gli occhi.
- Sto parlando con Oikawa Tooru. Giusto?-. Tooru avvertí la gamba tornare a muoversi e la sensazione di pace lasciarlo; d'un tratto, si sentì meglio.
- Esatto- confermó, facendo un piccolo sorriso.
- Qual'è il suo nome?- gli chiese il dottore, nonostante sapesse già la risposta.
- Non ne ho idea- ammise il ragazzo. Non sapeva praticamente nulla dell'altra persona che viveva dentro di lui; non gli lasciava sapere nulla.
- Hai un modo per tenerla d'occhio?- gli chiese il dottore. A Tooru sfuggì un sorriso.
- Ho Iwa-chan- affermó. Il dottore annuí: sapeva che trattenere ulteriormente quel ragazzo, soprattutto in quella condizione di bilico, non sarebbe servito a nulla.
- Allora puoi tornare da lui- decise.
- Arrivederci- Toru si alzò ed aprì la porta. Appoggiato alla parete di fronte ad essa, trovò Hajime a fissarlo.
Fece un sorriso.
- Andiamo a giocare, Iwa-chan?-. Sentendo il suo soprannome, il moro dovette trattenere un sorriso ed un sospiro di sollievo.
- Aspettavo te shittikawa- affermò. Oikawa inizio ad incamminarsi lungo il corridoio, certo che l'amico l'avrebbe seguito; e così fu.

- Ha una bella pettinatura! Non pensavo che alla sua età si potessero ancora tingere!- esclamò Koutaro.
- Ma che razza di discorso è...- borbottò il dottore, sorpreso e incuriosito dal ragazzo che aveva davanti. A vederlo, Bokuto Koutaro sembrava probabilmente il contrario di una persona depressa: ma non era raro che accadesse una cosa simile. Aveva notato che il ragazzo cercava di rimanere sempre allegro, soprattutto quando era con i suoi amici. Ma ogni tanto l'aveva visto con li sguardo fisso nel vuoto, o aggirararsi di notte per la struttura in compagnia di qualcun altro. Da quello che aveva potuto capire, Akashi Keiji era l'unico che lo aveva visto davvero in crisi. Il che suonava strano, dato che il ragazzo appena nominato soffriva di apatia.
Ma vedendo il carattere solare di Bokuto, Ukai aveva compreso quanto potesse essere ammaliante quel ragazzo.
- Quali sono i tuoi interessi?- gli chiese il dottore.
- Praticamente tutto e niente! Dipende dai momenti! Ah, però sono sempre interessato ad Akashi-. Il ragazzo perdeva spesso interesse per le cose che faceva, ma con Akashi si divertiva sempre in un modo o nell'altro. Anche con Kuuro, ma con Akashi si sentiva bene nonostante tutto.
Con lui il vuoto che sentiva nel petto, quello che anche adesso stava minacciando di risucchiarlo da dentro, si affievoliva.
- Da quanto tempo sai di essere depresso?- gli chiese il dottore.
- Ho i sintomi da sei anni circa, ma dato che pensavano fosse l'adolescenza non sono stato da un dottore finché quattro anni fa non ho tentato il suicidio-. Il dottore rimase sorpreso: solitamente per i pazienti era già un grande passo avanti ammettere di essere malati, ma comunque non era sicuro di come prendere una persona che parlava così tranquillamente di argomenti come il suicidio.
Dal suo canto, Koutaro non aveva problemi ad ammetterlo: era stato anche grazie a quel suo gesto se si trovava lì ora, e non aveva senso nasconderlo, soprattutto se la persona che glielo chiedeva voleva aiutare lui ed i suoi amici.
Inoltre, il vuoto si stava allargando nel suo petto, e rispondere alle domande gli avrebbe permesso di andarsene da lì più velocemente.
- Lo vorresti tentare di nuovo?- gli chiese il dottore.
- Ora no-. Sapevano entrambi che con "ora" intendeva quell'esatto momento, e non il periodo in cui si trovava. Koutaro conviveva con i suoi sbalzi d'umore da abbastanza tempo da sapere che la sua risposta sarebbe potuta cambiare da un momento all'altro. Ma non gli importava.
Il dottore vide la sua espressione cambiare: il sorriso rimase lo stesso, ma qualcosa nei suoi occhi si spense.
- Ti piace stare qui?- gli chiese quindi, cercando di riattivare l'interesse del giovane.
- C'è sempre qualcosa da fare- rispose lui, con un tono monotono e basso che poco si addiceva al ragazzo squillante che era entrato poco prima nel suo studio.
- Ne sono felice. Vai pure-.
- La ringrazio- Koutaro si alzò ed uscì dalla stanza.
- Yakkun, accompagno Bokuto- Tetsuro informò l'amico, che stava entrando nella stanza. Il bassetto annuì mentre chiudeva la porta alle sue spalle.
- Dove mi accompagni?- chiese Koutaro, non veramente interessato alla risposta.
- In un posto che ti piacerà-.
- Capisco-. A Tetsuro faceva male vederlo così; quando aveva conosciuto il ragazzo, era stato colpito subito dalla sua allegria. La prima volta che l'aveva visto cupo o in preda all'apatia ne era rimasto shockato. Forse non avrebbe dovuto dirlo proprio lui, che soffriva di derealizzazione, ma gli sembrava quasi che in quei momenti non fosse Bokuto.
Arrivarono davanti alla porta della stanza della ricreazione. In un angolo, Akashi stava disegnando su un foglio, ma alzò lo sguardo quando sentí Kenma chiamarlo. Il bassetto aveva visto gli amici alla porta, e non appena Keiji li aveva notati si era alzato per andare verso di lui.
Sentendo l'altro avvicinarsi, Koutaro alzò di scatto lo sguardo, che gli si illuminò.
- Aghashi!- esclamò con un sorriso. Il moro alzò lo sguardo al cielo, sentendo come il suo cognome veniva storpiato, ma non disse nulla.
- Andiamo?- chiese semplicemente. Koutaro annuì e seguì l'altro ragazzo al piano superiore, fino alla stanza del moro.
Keiji si sedette sul tatami, unico ornamento che aveva richiesto oltre al necessario per sistemare i suoi manga, con le gambe incrociate; Koutaro si sdraió, con la testa sulle sue gambe. Il moro iniziò ad accarezzargli i capelli mentre recitava le solite tre frasi che usava in quella situazione:

I campi e i monti
sono scomparsi sotto il manto nevoso.
È il nulla

Koutaro sorrise, avvertendo improvvisamente tutto il suo corpo rilassarsi. Ancora non sentiva l'allegria che desiderava invaderlo; ma almeno, il vuoto non era più lì.

Yaku cercò di tenere gli occhi fissi sul volto dell'uomo davanti a lui, per evitare che altre visioni lo distraessero. Il dottore lo aveva capito, infatti cercava di non muoversi mentre parlava con il ragazzo.
- Ti capitano spesso le allucinazioni?- gli chiese, più in tono incuriosito che indagatorio.
- Se non sono concentrato su qualcosa si- rispose il ragazzo. Non gli piaceva dover per forza fissare l'uomo, ma temeva che se non l'avesse fatto sarebbero iniziate quelle allucinazioni e non voleva. Aveva sempre ansia di confondere la verità con ciò che vedeva, e proprio per questo ci teneva a mantenersi concentrato.
- Hai dormito poco stanotte vero?-.
-

Si- ammise Yaku. Un altro sintomo della malattia: a volte lo interrompeva anche nel sonno.
- Da quanto tempo sai di soffrirne?-. Yaku si sforzò di ricordarlo, anche se non era molto semplice.
- Avevo delle allucinazioni già da bambino, ma si pensava fossero dovute ad una grande fantasia. Mi hanno diagnosticato la schizofrenia quattro anni fa-. In poche parole, aveva passato anni un preda ad allucinazioni, deliri e a fare fatica a parlare ed organizzarsi; quando non ne aveva potuto più, era andato da uno psicologo ed aveva scoperto la schizofrenia.
- Penso tu sappia che la tua malattia può portare anche a disturbi di depressione, ansia e rabbia incontrollata. Ne soffri vero?-. Yaku annuí.
- La depressione no, ma mi sono sempre arrabbiato con facilità e l'ansia... Be', non sempre è facile tenerla a bada- ammise.
- Non è mai semplice- mormorò il dottore, e Yaku non poté fare altro che essere d'accordo con lui.
D'un tratto, gli venne sonno.
- Ha dei tatuaggi?- mormorò, assottigliando lo sguardo dopo aver notato una strana macchia nera sul collo del dottore.
- No- ribattè Ukai, pacamente. Yaku sbattè gli occhi e la macchia scomparve.
- Vai pure Yaku, grazie: riposati-. Il ragazzo annuì e si alzò, uscendo dalla stanza.
Fuori, di fianco a Kuuro vide Lev e Kenma.
- Kuuro, mi sa che ho di nuovo le allucinazioni- mormorò.
- Cosa vedi?- gli chiese il ragazzo, avvicinandosi.
- Lev e Kenma-.
- Tranquillo Yaku-san, siamo qui per farti compagnia mentre Kuuro è dentro!- esclamò Lev, sorridendo. Gli faceva male quando l'amico non lo distingueva da un'allucinazione, ma sapeva che poteva accadere, soprattutto se non si aspettava la sua presenza.
- E parlano- sbuffò Yaku.
- Ha parlato solo lui- borbottò Kenma.
- Amico, sono reali- lo informó Tetsuro, con più calma possibile.
- Sono sorpreso che Yaku-san mi abbia visto dato quanto è basso!-. Dopo quella frase, Lev fu colpito da Yaku con un calcio.
- Si, sei reale: non potrei immaginarmi qualcosa di così fastidioso- borbottó il più basso, facendo ridere Tetsuro.
- Ci vediamo tra poco- affermò.
- Chi sarebbe il basso?- chiese Yaku, offeso, mentre il moro entrava nella stanza.

- Come sta Yaku?- gli chiese il dottore non appena si fu seduto.
- Ha incontrato qualcuno di troppo fastidioso per essere un'allucinazione- ridacchió Kuuro.
- Mi fa piacere-. Tetsuro sapeva di aver fatto bene a portarsi dietro Lev, dopo aver accompagnato Bokuto; non voleva lasciare solo Yaku, soprattutto sapendo quanto fossero forti le allucinazioni del ragazzo quando non aveva niente da fare.
Si era stupito però del fatto che avesse voluto andare anche Kenma. Si sentiva tranquillo a lasciarlo con gli altri: il pasto era passato da un po', e sapeva che il suo amico si trovava bene con Hinata. Il fatto che avesse deciso di andare con lui di sua spontanea volontà lo faceva preoccupare; non tanto per il bassino, che ero sicuro fosse in forma al momento, ma per sé stesso.
- La avviso che probabilmente sto per avere un attacco di depersonalizzazione- affermò.
- Riesci a capire quando stanno per arrivare?- gli chiese il dottore.
- Io no, ma Kenma sì-. Se l'aveva seguito, è perché aveva notato qualcosa di strano in lui.
- Voi due siete amici da tempo vero?- gli chiese il dottore. Tetsuro sorrise.
- Da quando avevo cinque anni-.
- Immagino sia dura per entrambi- mormorò il dottore. Ed entrambi sapevano che intendeva vedere l'altro in quelle condizioni.
Tetsuro annuì. Ricordava ancora il giorno in cui aveva iniziato a vedere Kenma dimagrire, e poi aveva scoperto che era diventato anoressico. Era stato ancora peggio di scoprire di avere il dpdr.
Il dottore era quasi certo che il ragazzo non avesse solo un disturbo dissociativo d'identità, ma che stesse sfociando anche in un disturbo di non-possessione. Anzi, era certo che anche il corvino avesse questo sospetto. Ed effettivamente era così: Tetsuro era sempre più spaventato da ciò che accadeva durante le sue depersonalizzazioni, così aveva iniziato a fare ricerche.
Non gli piaceva quello che aveva letto, ma non voleva spaventare i suoi amici e non ne aveva ancora parlato con nessuno.
- Provare a nascondere i tuoi timori non ti aiuta, lo sai vero?-. Tetsuro si stupì di come il dottore avesse capito subito quel particolare.
- Vorrei prima esserne sicuro- mormorò.
- Posso darti una mano, sono qui per questo- affermò il dottore. Tetsuro lo squadró per un attimo.
- Lei è diverso- commentò.
- Ti ringrazio-. Tetsuro sorrise a quella risposta.
- Vai pure: tra poco è ora di pranzo no?- gli fece notare il dottore.
- Va bene, la ringrazio- Tetsuro si alzò, salutò il dottore ed uscì.
Quando passò dalla porta, si sentì improvvisamente il corpo più leggero.
- Kenma- provò a chiamare, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono. Il suo corpo iniziò a muoversi lungo il corridoio, senza che lui riuscisse a fermarlo. Gli sembrava quasi di riuscire a vedersi mentre si allontanava, senza riuscire a fermarsi.
Non sentiva niente, vedeva solo sé stesso.
D'un tratto, avvertì qualcosa stringerlo e riconobbe il calore di un corpo umano che lo raggiungeva.
Si voltò, riuscendo finalmente a muoversi, e vide che Kenma lo stava abbracciando, il volto sepolto contro la sua schiena.
- Rimani con me- sussurrò.
Poco distanti, Yaku e Lev osservavano la scena con un sorriso triste in volto.
Tetsuro si girò, ricambiando l'abbraccio del più basso e ringraziando gli dei in tutte le lingue che conosceva per averlo messo sul suo cammino. Anzi, nella casa di fianco alla sua.
- Grazie per avermi riportato al tuo fianco- mormorò. Kenma arrossì, e proprio per questo premette ancora di più la testa contro il petto del moro, in modo che non vedesse il rossore sulle sue guance.
- Forza, torniamo dagli altri-.

Il dottore sentì qualcuno bussare alla porta dello studio, che venne poco dopo aperta da Takaeda.
- Com'è andata?-.
- Sarà dura- ammise Ukai.
- Però sono certa che lei ce la farà- affermo il proprietario del luogo. Il dottore sorrise.
- Può starne certo. Io aiuterò quei ragazzi-.

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Capitolo 3
*** CAPITOLO III. ***


Dopo la pausa pranzo, Ukai si sentiva pronto per rincominciare. Mentre mangiava aveva sistemato le cartelle che gli erano state fornite da Takaeda, aggiungendo le informazioni che aveva ottenuto parlando con i ragazzi quella mattina.
Adesso, era il momento di iniziare con quelli di un anno più piccoli rispetto ai precedenti.
Non si stupì quando, aprendo la porta del suo ufficio, notó che erano già tutti lì. Erano solo in cinque: Kenma e Akashi, in silenzio vicino alla porta; Nishinoya, Tanaka ed Ennoshita, vicini alla parete opposta a parlare.
Quando si affacció al corridoio, si voltarono tutti verso di lui.
- Buongiorno ragazzi, sono il dottor Ukai. Immagino che i vostri amici vi abbiano già parlato di come funziona- iniziò.
- Inizio io- affermò Keiji.
- Perfetto: allora entra pure-.

A Keiji non cambiava molto parlare con i dottori o meno: non che avesse tanto da fare comunque. Bokuto si era calmato ed era con Kuuro, per cui si sentiva a posto.
Sarebbe anche andato per ultimo, ma sapeva che Kenma non se ne sarebbe andato senza di lui e per correttezza non voleva farlo attendere troppo.
Inoltre Ennoshita per via della sua sindrome non rimaneva volentieri in mezzo alle persone, per cui se doveva aspettare era meglio che lo facesse con i suoi amici.
- Veniamo subito al sodo Akashi. Tu soffri di apatia giusto?-. Il ragazzo annuì alla domanda del dottore.
- Sulla tua cartella c'è scritto che ormai sono quasi cinque anni che non provi sentimenti. Ma io credo di poter affermare con abbastanza certezza che non è vero-. La frase non era quella che Akashi si aspettava, anche se non ne rimase sorpreso o altro.
Per via della sua espressione, era sempre stato definito "apatico": la gente spesso e volentieri aveva iniziato ad evitare di avere a che fare con lui, perché l'espressione che aveva faceva pensare che fosse una persona a cui non importava nulla degli altri. Un tempo ovviamente non era così, ma con il passare degli anni Akashi aveva iniziato ad ignorare le chiacchiere che sapevano esserci su di lui e a non provare più fastidio per quegli sconosciuti che lo giudicavano. E alla fine, aveva smesso di provare tutto.
- Cosa intende?- chiese.
- Bokuto Koutaro-. Keiji si accigliò alla risposta del dottore. Lui non se n'era reso conto, ma il dottore aveva notato qualcosa che cambiava negli occhi del ragazzo quando era insieme all'altro.
- Cosa c'entra Bokuto?- chiese Keiji.
- Cosa ne pensa lui della tua malattia?-. Il ragazzo non capiva il motivo di quella domanda, ma decise di rispondere comunque.
- Quando gliel'ho detto, mi ha risposto che a volte anche a lui capitava, per via della sua depressione. E che non gli importava se non sentivo niente, voleva essere comunque mio amico. Gli ho detto che un tempo mi sarebbe piaciuto scrivere manga, e mi ha consigliato di scriverne uno sulla storia dei ragazzi di questo posto perché poteva aiutarmi ad empatizzare- raccontó. Il suo tono variò impercettibilmente al ricordo, anche se lui non se ne accorse.
Aveva accolto il consiglio del ragazzo, pur non capendolo, ma almeno in quel modo si teneva occupato la maggior parte del tempo. E poteva aiutare persone come Sugawara, che avevano problemi con la memoria, a ricordare.
- Voglio dirti solo un'ultima cosa; non mi serve una risposta, basta che ci pensi. Quando sei con lui, senti qualcosa?-. La mente di Keiji iniziò subito a pensare ad una possibile risposta.
"Sentire", provare sentimenti, era qualcosa che non riusciva a fare da molto tempo. In quel luogo si trovava tranquillo perché nessuno lo giudicava per quello, ed era libero di fare come pareva senza venire continuamente ripreso come gli accadeva invece a casa sua.
Pur non sentendo niente, riconosceva comunque di star vivendo in un ambiente piacevole.
E se pensava a Bokuto... Be', Keiji doveva ammettere che con lui sentiva qualcosa. Non erano definibili veri e propri sentimenti, ma sentiva qualcosa smuoversi dentro di lui ogni volta che il ragazzo gli era vicino. Non si curava più di tanto delle persone che aveva intorno, ma non era riuscito ad ignorare la gioia che quel ragazzo sembrava trasmettere. Non che volesse ignorare le persone, semplicemente gli usciva naturale; tranne che con lui, con lui non riusciva. La cosa lo lasciava indifferente; ancora non provava nulla, ma negli anni aveva imparato a conoscere quel ragazzo ed era diventato l'unico in grado di curare i suoi attacchi peggiori di apatia o altri sintomi della sua depressione. Aveva iniziato perché non voleva che quel ragazzo passasse quello che stava passando lui: a Keiji andava bene essere apatico, non gli importava più di tanto, ma sentiva che Bokuto non era nato per quello. Era nato per portate gioia.
E pur non provando emozioni, Keiji era ancora in grado di riconoscere cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato.
- Akashi?-. Vedendo che erano un paio di minuti che rimaneva in silenzio dopo la sua domanda, il dottore richiamò l'attenzione del ragazzo.
Quest'ultimo alzò lo sguardo su di lui.
- Scusi; arrivederci- Keiji si alzò, salutó il dottore ed uscì dalla stanza.

Kenma si sentiva a disagio; si sentiva sempre a disagio insieme alle altre persone. Da quando era bambino era sempre stato solo o in compagnia di Kuuro; anche in classe aveva pochissimi amici. Sapeva che il dottore di fianco a lui gli avrebbe solo fatto qualche domanda, Kuuro gli aveva spiegato com'era andata: ma aveva comunque ansia a parlare con uno sconosciuto.
Per di più, non era un bel momento. Aveva appena mangiato, e temeva di aver esagerato. Era un pensiero che gli veniva sempre dopo i pasti. Sapeva che il suo amico Hinata vomitava quasi sempre, e anche lui un paio di volte si era trovato in quella situazione, ma gli faceva schifo e preferiva evitare... Quando riusciva. Quel giorno aveva visto Kuuro avere un momento di depersonalizzazione, e per non farlo preoccupare aveva provato a mangiare un pochino più del solito; solo che adesso sentiva come se nel suo corpo ci fosse stato qualcosa di sbagliato. Aveva bisogno di liberarsi.
- Stai tranquillo Kozume, ti tratterrò qui per poco. Posso sapere come mai hai iniziato a non mangiare?- gli chiese il dottore.
- Volevo mantenere la mia unica caratteristica- mormorò Kenma. Non era un ragazzo di molte parole, ed il dottore doveva averlo capito perché non chiese ulteriori e superflue spiegazioni.
A Kenma tutti avevano sempre fatto i complimenti per la sua magrezza; a lui non importava più di tanto il parere della gente. Finché non aveva iniziato a cambiare.
Giunto alle medie tutti facevano i complimenti a Kuuro per i muscoli che stava mettendo su, ed a scherzare con Kenma dicendo che se non avesse iniziato anche lui a fare sport sarebbe sparito dietro al suo amico.
Kenma voleva proprio questo: sparire. Non gli interessava nulla del mondo esterno, che continuava a dirgli cosa avrebbe potuto essere o dargli informazioni di cui non gli importava. Lui voleva giocare ai videogiochi e stare con Kuuro, nient'altro. E così, quando gli avevano dato l'opportunità di sparire, l'aveva colta al volo. Non aveva smesso di mangiare per diventare magro: aveva smesso di mangiare per smettere di esistere. E non era più riuscito a smettere.
- Ho notato che non fai molto movimento, al contrario della maggior parte delle persone con il tuo disturbo- commentò il dottore. Spesso gli anoressici, per mantenere ancora più la linea, facevano parecchio sport; Kenma muoveva spesso le mani ed i piedi, altro genere di movimenti compiuti spesso dalle persone anoressiche, ma lo aveva visto recarsi in palestra solo per accompagnare Kuuro, e rimaneva comunque in un angolo a giocare ai videogiochi.
- Non sono un amante dello sport. E poi non ne ho le forze- ammise. A volte anche camminare gli usciva faticoso. Sapeva che era per via del poco cibo che mangiava, perché anche al suo amico Hinata accadeva spesso; ma non gli importava più di tanto. Camminare non gli piaceva comunque. Finché aveva forza a sufficienza per giocare e stare con Kuuro ed i suoi pochi altri amici, gli andava bene.
Il dottore non era ovviamente a conoscenza di tutti i dettagli, ma ormai aveva compreso che il ragazzo non aveva sviluppato l'anoressia per una fissazione con il suo peso; e aveva anche capito che non sarebbe riuscito a farsi raccontare da lui tutta la storia, non ora almeno.
- Puoi andare Kozume, grazie per essere venuto- gli disse.
Il biondo annuí, si alzò ed uscì dalla stanza.
- Mi accompagni in bagno?- chiese ad Akashi, che annuì e lo seguì lungo il corridoio.
Se fosse stato Kuuro, probabilmente avrebbe visto su di lui uno sguardo preoccupato. Hinata lo avrebbe guardato allo stesso modo, nonostante lo capisse, e probabilmente sarebbe andato con lui per fare la stessa cosa.
Erano tre le persone con cui non gli pesava stare in quel posto, e Akashi era la terza. Non lo aveva mai detto ad alta voce perché gli pareva brutto, ma il fatto che Akashi non provasse nulla lo faceva sentire tranquillo perché non avrebbe tentato di fermarlo.
Keiji sapeva che era sbagliato, ma non gli sembrava giusto bloccare dei sentimenti che non conosceva. Così, si limitò ad accompagnare l'amico fino al bagno.
Fuori da esso c'erano Kuuro e Bokuto; nessuno dei due più piccoli fu sorpreso nel vedere che Kuuro sapeva perfettamente cos'avesse in mente il biondo.
Akashi si fermò fuori dal bagno, di fianco a Bokuto, mentre gli altri due entravano nella stanza.
Ignorando la presenza di Kuuro, Kenma si inginocchiò davanti ad una delle tazze; senza pensarci troppo, si infilò due dita in gola.
Sentì le mani dell'amico raccogliergli i capelli mentre il moro si inginocchiava di fianco a lui; gli mise una mano sulla spalla mentre lui iniziava a rimettere il poco che aveva mangiato a pranzo.
Tetsuro si sentiva responsabile per quello: sapeva che Kenma si era sforzato di mangiare per lui, ma preferiva di gran lunga quando mangiava poco che quando mangiava più di quanto volesse e poi rimetteva.
Vedere la persona a cui teneva più al mondo ridotta in quello stato gli faceva male. Ma sapeva che bloccare Kenma l'avrebbe fatto sentire peggio, per cui sentiva di non poter fare altro che rimanergli vicino.
Kenma, una volta finito di vomitare, praticamente si accasciò tra le braccia dell'amico, privo di ogni forza.
Tetsuro gli asciugò la bocca con un fazzoletto, poi tornò a stringere il più piccolo, come per tenerlo vicino a sé.
Quando c'era lui, sentiva di poter rimanere sé stesso in quel mondo. Avrebbe voluto che anche per l'altro fosse lo stesso; ma a Kenma, di sé stesso non importava nulla.

- Buongiorno dottore!- esclamò Ryu, entrando nello studio ed andando a sedersi di fronte all'uomo biondo.
- Sa che i suoi capelli sono una figata?- commentò.
- Ehm... Grazie- Ukai era certo di non aver mai ricevuto così tanti commenti sui suoi capelli dai suoi pazienti.
- Hai emicrania al momento?- gli chiese.
- Come l'ha capito?- il ragazzo era sorpreso. Con il tempo aveva imparato a tenere nascosti i sintomi più interiori della sua malattia, in modo da non fare preoccupare gli altri; non pensava che il dottore si sarebbe accorto in così poco tempo che si sentiva esplodere la testa.
- Hai fatto una smorfia quando hai chiuso la porta e tieni gli occhi più chiusi del normale- gli rispose uomo.
- Wow, è proprio bravo!-.
- Dovrei fare lo psicologo eh?- commentò il dottore, facendo ridere il ragazzo.
- Allora, cosa vuole sapere da me?- gli chiese.
- Ho notato che ti alleni spesso. Non è pericoloso?-.
- Molto: ma mi alleno proprio per diminuire i tremori e le debolezze muscolari. Devo tenermi in forze, o Kyoko non mi noterà mai!- esclamò il ragazzo, tirando su il braccio e gonfiando il tricipite.
Il dottore in effetti aveva notato che il ragazzo nutriva una particolare ammirazione nei confronti di Kyoko; ma questo solo quando c'era lei.
Tuttavia il dottore non volle specificare su questo punto: era ancora troppo presto.
- Be', l'importante è sentirsi in pace con sé stessi, no?- si limitò a commentare, certo che quella frase fosse giunta nel modo giusto alle orecchie del ragazzo.
Ryu dal suo canto non si era mai sentito in pace con sé stesso: da quando era nato aveva cercato di migliorare sempre di più in campo fisico, sapendo di non eccellere in quello mentale. Si era sempre sentito in qualche modo sbagliato, e aveva tentato di rimediare provando a diventare qualcuno. Eppure, lo stress accumulato, unito ad altre cause che il ragazzo evitava accuratamente di ricordare, lo avevano portato ad ammalarsi.
- Sei un ragazzo forte, Tanaka-. Per questo la frase del dottore lasciò piuttosto sorpreso il giovane.
- Be', mi alleno apposta- commentó.
- Non mi riferisco a quello. Sei molto unito con il ragazzo che ha la sindrome di Capgas no?-. Ryu annuì.
- Tutti voi qui dentro soffrite ed avete malattie per niente facili da affrontare, eppure vi aiutate a vicenda per non rimanere soli. E tu sei praticamente l'unico di cui un ragazzo che vive con il costante pensiero che tutti siano stati sostituiti da dei sosia si fida-. Il dottore, Ryu lo sapeva bene, non stava certo dicendo che la sindrome di Capgas sviluppata da Ennoshita fosse più grave di altre malattie di quel luogo.
L'uomo, come aveva detto ad Asahi, era fermamente convinto che tutti loro stessero soffrendo in egual misura, anche se in modi diversi.
Tuttavia, era decisamente più semplice stare vicino ad una persona che durante le sue crisi ti chiede una mano, che ad una che ti tratta come se fossi un sosia che ha rapito il suo migliore amico.
Però, da quello che aveva potuto vedere, Tanaka era l'unico di cui Ennoshita si fidasse.
Tuttavia, il ragazzo sembrava non rendersene conto.
- Io ed Ennoshita siamo buoni amici, è normale- affermò infatti. Passava molto tempo con il ragazzo, ma perché lui ascoltava sempre le sue paranoie e sembrava non giudicarlo mai.
Il dottore si trovò a pensare che il ragazzo di sottovalutava veramente troppo.
- Come ti sei sentito quando ti hanno diagnosticato la nevrosi?- gli chiese.
- Frustrato: non mi andava di avere problemi- ammise il pelato - però poi mi ci sono abituato. E questo è veramente un bel posto: posso praticamente fare tutto ciò che voglio e ho degli amici fantastici!- esclamò, allargando le braccia, come per abbracciare l'ambiente circostante.
Ignorò la testa che gli faceva ancora male, ma quando notó che le mani gli tremavano leggermente si affrettó a rimetterle in grembo, come per nasconderle. Un gesto che ad Ukai ovviamente non sfuggí.
- Vergognarci per ciò che siamo è il primo passo verso l'annientamento- affermò. Non sapeva cosa ci fosse nel passato del ragazzo, sulle cartelle c'era scritto semplicemente che alle medie aveva iniziato a manifestare i primi sintomi nevrotici, che con il passare degli anni erano diventati incontrollabili.
Ma il dottore aveva pensato subito che ci doveva essere sotto un motivo per cui un ragazzo con così tanta determinazione si era ammalato; soprattutto dato che la sua malattia era dovuto ad uno scontrarsi della propria volontà con un muro che le impedisce di esprimersi al meglio. Cosa che Tanaka sembrava non aver problemi a fare, almeno all'apparenza.
Ma parlandoci, Ukai aveva avuto la conferma che il ragazzo stesse effettivamente cercando di nascondere parti di sé, parti che erano probabilmente più importanti di quanto lui stesso pensasse.
- Non sono molto intelligente, non ho capito- ammise il ragazzo. Sapeva che la sua malattia in quanto mentale era nata da qualcosa dentro di lui; qualcosa che sentiva sbagliato. Qualcosa su cui non voleva indagare.
Ma la frase del dottore lo lasció sorpreso. Sentì il suo cuore accelerare i battiti mentre le mani iniziavano a sudare leggermente.
- Sono certo che capirai. Ora vai pure, i tuoi amici ti aspettano-.
Ryu fu grato delle sue parole: si alzò, salutó il dottore ed uscì dallo studio.
- Cambio!- con il suo solito sorriso, Nishinoya alzò la mano; Ryu sorrise e non esitò a battergli il cinque.
- Tocca a te amico!- affermò, mentre l'altro si chiudeva la porta alle spalle.
Ancora tremante, Ryu andrò verso Ennoshita.
- Com'è andata?- gli chiese quest'ultimo. Il rasato sentiva il suo sguardo indagatore addosso. Velocemente, si avvicinò all'altro, portò un dito davanti alla sua fronte e lo colpì.
- Ahia!- si lamentó Chikara, ma poi sorrise: era lui. Era vero.
- Quel dottore è in gamba. Non ho capito una parola di quello che ha detto, però mi sembra un figo!- esclamò, facendo ridere l'altro ragazzo.
Ryu sperava che quel dottore così particolare riuscisse ad aiutare i suoi amici. Allo stesso tempo però, sentiva come se una parte di lui fosse agitata all'idea che quell'uomo riuscisse a leggergli dentro così bene. Temeva che sarebbe riuscito, prima o poi, a scoprire un segreto su di lui che lui stesso aveva dimenticato.
E che ricordando, probabilmente, si sarebbe salvato: ma questo, lui non poteva saperlo.

- Buongiorno dottore!- Yu entrò quasi saltellando nello studio dell'uomo, ed iniziò a guardarsi intorno.
- Questo posto è incredibilmente tranquillo! Le dispiace se sto in piedi? Altrimenti temo non riuscirò a rispondere alle sue domande- ridacchió il ragazzo.
- Nessun problema- rispose Ukai. Non si stupì di aver visto una bella amicizia tra quel ragazzo e Tanaka, che doveva essere sicuramente motivato dall'energia di Nishinoya.
- Sa, per via di questa iperattività mi deconcentro facilmente... Ma che figa la sua tinta! È molto più cool di qualsiasi altro dottore sia mai venuto qui. Scusi mi ha chiesto qualcosa?-. A Nishinoya quell'uomo stava simpatico, soprattutto dopo aver visto come anche Asahi non si fosse agitato troppo dopo aver parlato con l'uomo, e anche a Tanaka sembrava aver fatto una buona impressione. E a lui piaceva conoscere persone nuove, quindi era felice di essere lì.
- Non ancora. Mi sembri a tuo agio con il tuo disturbo- commentò il dottore.
- Mi piace essere attivo! Certo ogni tanto vorrei avere più concentrazione, però non si può ottenere tutto dalla vita! Ho imparato a conviverci! Da quanto tempo si fa la tinta?-.
- Da quando ero ragazzo. Tu parli del tuo disturbo come se non ti causasse problemi, ma tutti quelli che sono qui si sono fatti ricoverare perché sentono di non poter avere una vita normale fuori dalla struttura o senza aiuto. Come mai sei voluto venire qui?-. Ukai sentiva di poter parlare schiettamente con quel ragazzo, non sembrava uno di quelli che se la prendeva per poco.
E in effetti, era raro vedere Nishinoya arrabbiato, soprattutto dato che per lui non era un problema parlare della sua condizione.
- Oh, è stato per via della morte di mio nonno. Lui diceva sempre che al mondo servono persone come me, sempre piene di energia, e che anche se non ero bravo nello studio avrei potuto fare tante cose. Quando non c'è stato più lui ad aiutarmi i miei genitori non sapevano più come trattenermi e mi hanno fatto visitare da molti psichiatri! Ho conosciuto tantissime persone! E molti altri pazienti anche. Mi divertivo quando organizzavano i rinfreschi... Come le sembra il cibo di questo posto?-.
- È molto buono. A te piace?-.
- Si! È uno dei motivi per cui ho deciso di venire qui: mi sembrava un bel posto!-.
- Come mai hai scelto questo istituto?-.
- I miei hanno deciso di provare a chiudermi in qualche istituto o clinica; se dovevano limitarmi, ho pensato di voler scegliere almeno il posto in cui sarebbe successo. Ho visto che stavano aprendo questo luogo, e ho pensato sarebbe stato divertente conoscere persone in un ambiente in cui erano tutti nuovi. Ed è stato così! Mi sono fatto tanti nuovi amici!-. Anche Yu si era reso conto che il dottore era riuscito a fargli concludere il discorso precedente senza fargli notare che l'aveva interrotto.
Yu gliene era grato: anche i suoi amici cercavano di non fargli notare quando cambiava discorso, però lui quando se ne accorgeva si sentiva in colpa. Invece quell'uomo lo aveva aiutato senza farlo sentire a disagio.
- Lei mi piace lo sa? Penso sia un bravo psicologo- affermò. Ad Ukai fece sorridere la somiglianza tra lui e Tanaka.
- C'è qualcuno con cui hai legato particolarmente?-.
- Tanaka è il mio migliore amico! E Hinata è sempre allegro! Adoro tutto i miei amici, anche se alcuni, come Tsukishima, sono un po' scontrosi. E poi c'è Asahi-san! Con lui mi trovo benissimo! Vuole sapere cosa ne penso della sua condizione?- chiese.
- Se me lo vuoi dire ti ascolto- affermò il dottore. Non lo diceva solo per assecondare il ragazzo, era veramente interessato a parlare con i suoi pazienti prima di iniziare un qualsiasi percorso di guarigione.
- Penso che ognuno affronta la vita a modo suo. Non vorrei che Asahi-san si facesse male; quindi troverò un modo per farlo sentire felice anche senza quello. Però non posso decidere della sua vita no?-. Ad Ukai sembrò un discorso estremamente maturo per un ragazzino, soprattutto dato il suo disturbo.
- Sono certo che sia fortunato ad averti conosciuto-. Yu non capì esattamente cosa intendesse; per lui era naturale stringere amicizia con gli altri, soprattutto se erano persone con cui doveva vivere. Pensava che il dottore parlasse di quello, del fatto che era bello avere amici; ma Ukai in realtà pensava proprio all'amicizia tra quei due ragazzi dai caratteri completamente opposti, che però avrebbe potuto aiutarli più di quanto lui stesso immaginava.
- È stato bello parlare con te; vai pure- lo autorizzó.
- Grazie mille! Spero di rivederla presto!- esclamò Yu, uscendo dalla stanza. Non vedeva l'ora di parlare con Tanaka della sua chiacchierata, e poi di correre da Asahi per andare un po' fuori con lui.
Il dottore si trovò a pensare che le parole appena pronunciate dal ragazzo fossero strane da dire ad un dottore.

Chikara odiava la sua condizione. E questo perché lui era sempre stato una persona tranquilla, con una socialità normale, una vita normale; insomma, si definiva totalmente normale.
Poi, una notte, un ladro si era introdotto in casa sua. Lui all'inizio, tornando, aveva pensato che i rumori fossero dovuti ad uno dei suoi genitori, finché non si era trovato un coltello puntato alla gola.
La storia era finita bene, perché il suo cagnolino, che tornato dalla passeggiata con il padrone aveva iniziato stranamente ad abbaiare, aveva azzannato la gamba dell'uomo, che era fuggito. Da quel giorno però, Chikara non era più riuscito a fidarsi di nessuno.
Dopo vari attacchi di panico e litigate con genitori e amici, gli era stata diagnosticata la sindrome di Capgas. Chikara sapeva quanto il suo sguardo potesse risultare ostile agli altri, e si odiava perché si era sentito sollevato quando i suoi amici si erano allontanati da lui. Anche in quel luogo, non riusciva a fidarsi veramente di nessuno. Accettava solo la compagnia di Tanaka: quel ragazzo era talmente imprevedibile, e le sensazioni che gli faceva provare talmente vere, che dubitava fortemente si trattasse di un qualche tipo di sosia. Con gli altri però, non riusciva a fidarsi. Quando si era trasferito ad Haikyuu, non aveva più provato quell'orribile sensazione di essere circondato da impostori, e per un attimo aveva pensato di essere guarito. Ma il dottore gli aveva consigliato di aspettare ad andarsene, perché la sindrome di Capgas ti fa credere che siano sosia persone che conosci e consideri amiche. Infatti, poco dopo erano iniziati i dubbi anche verso quei ragazzi con cui stava stringendo amicizia: era partito con Suga e Daichi, e si era espanso a tutti gli altri. Si era sentito stupido per aver abbassato la guardia in quel modo.
Quando era con Tanaka si sentiva più calmo, perché almeno sapeva di non essere solo, e per la maggior parte del tempo grazie al suo autocontrollo riusciva a stare in mezzo agli altri. Nei rarissimi momenti in cui il pelato non era al suo fianco, faceva in modo che con lui rimanessero Nishinoya o Suga. Non che Chikara riuscisse a fidarsi di loro, ma l'esuberanza di uno e la calma dell'altro riuscivano a farlo rimanere abbastanza tranquillo. Per un po'.
Mentre Nishinoya era dentro, Tanaka l'aveva rassicurato sull'incontro con il dottore. Chikara stava cercando di rimanere tranquillo: in effetti non conosceva quell'uomo, quindi non aveva motivo di pensare che fosse un sosia. Ma non ci sono mai certezze nella vita, soprattutto sulle persone.
- Allora Ennoshita; non ti farò domande personali, so che non ti fidi di me- inizió Ukai.
- Mi dispiace- mormorò il ragazzo. Ed era così: se quel dottore era quello vero, gli dispiaceva molto di non riuscire a comportarsi al meglio. Non voleva mostrare ostilità, ma era più forte di lui.
- Non preoccuparti. Se vuoi farmi tu qualche domanda, fai pure- gli rispose il dottore. Chikara ci pensó un attimo.
- Come posso fidarmi di loro?- chiese infine.
- Be', aiuta molto cercare dei segni distintivi nelle persone che ti stanno intorno. Qualcosa che solo gli originali possono avere, fare o dire-. Chikara non sembrava convinto.
- Un sosia è definito tale proprio perché è uguale all'originale. Come faccio a sapere che non hanno copiato anche quella caratteristica?- chiese.
- Non esiste niente di uguale a questo mondo. So che sei un ragazzo intelligente, riuscirai ad uscirne-. Molti dottori glielo avevano detto, ma lui a Chikara sembrò sincero.
- Grazie-.
- Vai pure-.
- Arrivederci- Chikara si alzò ed uscì dalla stanza.
- Allora, andata bene?- Tanaka gli diede una pacca sulla spalla talmente forte che quasi lo fece volare. Ma in questo modo si era fatto riconoscere.
- Si, tutto a posto- confermó il ragazzo.
- Allora andiamo!- esclamò Nishinoya, iniziando a correre lungo il corridoio, seguito dagli altri due.
Chikara sorrise: nonostante tutto, con loro si divertiva sempre. Anche se non fossero stati veri, era felice di averli conosciuti.

Il dottore rimase per un attimo immobile, cercando di raggruppare le informazioni che aveva ottenuto da quelle cinque sedute.
Tra poco sarebbero arrivati gli ultimi, per cui non aveva molto tempo.
Scosse la testa, decidendo di pensare a tutto una volta parlato anche con loro. Però... Stava iniziando ad inquadrare quei ragazzi. E più li conosceva, più aumentava il suo desiderio di aiutarli.

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Capitolo 4
*** CAPITOLO IV. ***


Gli otto più giovani arrivarono in ritardo; al dottore non diede particolarmente fastidio, ancora non aveva un rapporto con quei ragazzi. Ma loro si misero comunque a litigare.
- Ti avevo detto di muoverti, che diavolo stavi facendo ancora in stanza?- sbuffò Kindaichi.
- Dovevo cambiarmi la maglietta! E poi non siamo così in ritardo!- si difese Hinata.
- E poi non vi giudichiamo mai quando siete voi ad arrivare tardi ai pasti- aggiunse Lev.
- Quelli non hanno un orario!-.
- Ormai è successo, devi continuare a farne un dramma?- sbuffó Kageyama. Non che proteggere Hinata fosse la sua più grande passione, ma Kindaichi gli dava ancora più fastidio.
Dato quindi che Kunimi si rifiutava di intervenire in quelle discussione, Kindaichi si trovò da solo contro tre avversari. Aveva stretto una strana alleanza con Tsukishima, per via del fatto che entrambi adoravano insultare Hinata e, soprattutto, Kageyama, molto più irritabile del primo. Ma in quel momento il biondo era in disparte, intento ad ascoltare Yamaguchi che tentava di rassicurare Yachi.
- Ragazzi, per questa volta il ritardo non è un problema. Chi vuole iniziare?-.
- Io- Kunimi avrebbe fatto di tutto per evitare di stare a sentire ulteriormente quella sciocca discussione, perciò superó il gruppo ed entrò nello studio.
- Cercate di non litigare- il dottore ammoní i ragazzi prima di entrare a suo volta e chiudersi la porta alle spalle.

- È tanto che hai questo disturbo?- chiese Ukai. Akira rimase confuso da quella domanda: non avrebbe già dovuto saperlo dalla sua cartella clinica?
- Ho sempre avuto poca forza; i disturbi del sonno mi sono stati diagnosticati alle medie- mormorò. Aveva deciso di rispondere comunque perché chiedergli il perché di quella domanda avrebbe portato via più tempo, e non aveva voglia di rimanere troppo lí.
- Però sei stato ricoverato solo di recente- notó il dottore. Akira annuì.
- Quando ho iniziato ad addormentarmi di colpo, i miei genitori hanno pensato fosse troppo pericoloso- rispose.
- A te dà fastidio?-. Il ragazzo scrollò le spalle.
- Mi dà fastidio non riuscire a decidere quando dormire, ma per il resto è una buona scusa per non fare niente- non aveva neanche la forza o la voglia di mentire, non lo faceva praticamente mai. Ed il dottore sapeva bene che soffriva sia di insonnia, sia di attacchi di sonno diurni.
- Hai rifiutato molte terapie vero?-.
- Non funzionavano- ammise il ragazzo. Pastiglie, medicinali vari, stati di ipnosi... Non aveva funzionato niente. Aveva un metodo, che riusciva ad utilizzare ogni tanto, per dormire un pochino più tranquillo. Ma non poteva farlo da solo... Ed era doloroso. Non ci teneva a ricorrervi, se non era obbligato; anche perché nessuno lo sapeva. Neanche i dottori.
Ukai aveva compreso che il ragazzo nascondeva qualcosa; lo aveva notato in quei giorni, di come fosse sempre sull'attenti. Ma sapeva che non avrebbe ricevuto risposte per il momento.
Inoltre, vedeva gli occhi di Kunimi iniziare a chiudersi e le sue risposte si erano fatte più lente, come per indicare che il suo cervello stava cercando di riposare.
- Puoi andare, grazie per aver risposto- lo congedó quindi.
Con molta lentezza, Akira si alzò, salutó il dottore ed uscì dalla stanza.

Yutaro cercò di rimanere più fermo possibile. Era nervoso per via della discussione con Kageyama, ma muoversi quando non aveva il pieno controllo di sé non era mai una buona idea.
- Sono uno psicologo, non mi imbarazzeró per qualche gesto inadeguato dovuto ad un disturbo- lo informó il dottore. Yutaro sospirò ed appoggió le mani sulle gambe.
- È il primo a dirlo- ammise.
- Purtroppo, ci sono fin troppi dottori che pensano che la repressione sia una buona scelta- commentò Ukai; non gli sfuggì che la mano del ragazzo aveva iniziato a carezzare lentamente un lieve rialzo dei suoi pantaloni, ma non lo fece vedere. Il ragazzo si accorse comunque del suo gesto e provó a bloccarsi; sentí la sensazione spiacevole di qualcosa che non andava in lui e si strinse la gamba con l'altra mano, nel tentativo di distrarsi.
- Non posso certo farlo ogni volta che ne ho voglia- gli fece notare.
- No, ma smettere all'improvviso è la peggiore delle scelte. Bisogna riuscire a resistere con calma, poco alla volta, con obiettivi intermedi-.
- Come se non lo sapessi- sbuffò il ragazzo. Non voleva essere scontroso con il dottore, ma aveva già provato in molti modi a farsi passare quella sua mania, e non aveva funzionato niente.
- Preferisci uno psicologo che ti firmi un foglio che ti autorizza a segarti ogni volta che ne senti la necessità?-. La schiettezza del dottore sorprese il ragazzo; all'inizio pensó che fosse arrabbiato, ma aveva semplicemente detto ciò che pensava. E aveva anche ragione: Yutaro sapeva che non era colpa del dottore, non gli stava neanche antipatico. Ma aveva sbottato perché avrebbe voluto imparare a controllarsi.
Entrati nell'adolescenza, tutti i suoi amici avevano iniziato ad interessarsi a sesso e ragazze. Lui per un po' era rimasto indietro, e poi all'improvviso i suoi ormoni erano come scoppiati. Aveva iniziato a sentire sempre più bisogno di contatto fisico, e passava ore chiuso in stanza a fare "cose da adolescenti". Quando non gli era più bastato ed aveva rischiato di farsi beccare anche in pubblico, era andato da uno psicologo. Parafilia: un disturbo che non aveva mai sentito, e che lo faceva sentire costantemente a disagio in mezzo alle persone e con sé stesso. Più volte aveva rischiato quasi di saltare addosso a persone che conosceva. Nel corso degli ultimi tre anni, le sue mire si erano concentrate su una persona sola, ma la situazione non era cambiata.
- Passerà?- non riuscì a trattenersi dal chiedere.
- Tutto passa, ma devi essere tu a fare in modo che accada- rispose Ukai.
- Non dovrebbe essere lei a farmi guarire?-.
- Il mio compito è guidarti sulla giusta strada per aiutarti, ma devi essere tu il primo a capirti e a voler guarire-.
- Ma è ovvio che io voglia guarire!- strinse più forte il pugno. Il dottore non rispose, consapevole che qualsiasi cosa avesse detto in proposito avrebbe solo fatto irritare di più il ragazzo.
- Ed io farò di tutto per aiutarti. Ma ti chiedo, prima di lasciarti andare, di fare attenzione in questi giorni, di cercare di capire quali momenti ti senti peggio e quali invece non manifesti sintomi. Se noti qualcosa, riferiscimelo la prossima volta-. Yutaro non capì esattamente cosa significasse: era in quella situazione da anni, ma non aveva mai fatto particolarmente attenzione. Si limitava a cercare di fare durare a lungo i brevi momenti in cui il suo corpo non reclamava attenzioni. Per il resto, provava solo a non impazzire.
- Ci proverò- disse comunque, alzandosi ed uscendo dalla stanza.
Ignorò le occhiate dei suoi amici e prese Kunimi per mano.
- È stanco!-. Ignorò il commento di Lev: lo sapeva meglio di lui che l'amico era stanco. Ma se non gli diceva niente, allora voleva dire che aveva abbastanza forze.
Superata la porta per tornare nella loro parte di istituto, imboccó le scale e salì al secondo piano. Aprì la porta della stanza dell'altro, entrarono entrambi e la chiuse alle sue spalle.
Akira si trovò presto contro al muro, le labbra dell'amico sulle sue e le mani di Kindaichi che vagavano su tutto il suo corpo. Lo conosceva alla perfezione ormai, ma ogni volta non perdeva occasione per toccare ogni lembo della sua pelle.
Yutaro sentí il suo corpo farsi più teso, ancora più desideroso; ma la sua mente era più leggera, più libera. Sentiva di stare meglio. Avrebbe voluto farsi bastare quello, ma sapeva che se si fosse fermato sarebbe stato peggio dopo. Così, continuò a compiere quelle azioni che lo facevano sentire così bene... E che allo stesso tempo, gli facevano pensare di essere la persona troppo peggiore al mondo.
Akira dal canto suo era troppo stanco per fare qualsiasi cosa; sapeva che all'amico non importava, che gli bastava avere il suo corpo a disposizione. Certo, se gli avesse chiesto di fermarsi l'avrebbe fatto; ma non ne aveva motivo, e sapeva che poi Kindaichi sarebbe stato peggio. Così chiuse gli occhi, assecondando i desideri dell'altro. Non era così che avrebbe voluto che andasse. Ma almeno, sapeva che dopo sarebbe riuscito a dormire per un paio d'ore di fila.

Lev aveva le gambe lunghe, e proprio per questo ad una persona normale poteva sembrare che stesse andando ad una giusta andatura.
Ma il dottore capí subito che probabilmente il ragazzo sarebbe potuto andare ad una velocità decisamente maggiore, se non fosse stato affetto dai sintomi del parkinsonismo.
Proprio come per Sugawara, anche la malattia di Haiba derivava da un problema alle cellule celebrali. Tuttavia, come per l'altro ragazzo, anche il mezzo-russo davanti a lui aveva i sintomi nonostante il suo corpo stesse bene.
- Dottore, pensa che la mia altezza centri qualcosa?- chiese il ragazzo, appena si fu seduto.
- Cosa intendi?-.
- Be', la mia mente dovrebbe essere a posto. Magari faccio fatica a muovermi perché sono alto e i comandi arrivano in ritardo- spiegò il ragazzo. Il sorriso che aveva cercato di mantenere sul volto svanì non appena il dottore scorse lentamente la testa.
- Allora come mai?- mormorò. La cosa che gli dava più fastidio dei tremori e dei movimenti rallentati, era la paura che gli impedissero di arrivare in tempo. Di aiutare i suoi amici. Gli era già successo, una volta che Yaku aveva avuto una crisi: aveva rischiato di arrivare troppo tardi. E l'ultima cosa che desiderava era lasciarlo da solo, soprattutto in quei momenti.
Voleva essere indipendente, voleva essere libero, sia di vivere tranquillamente che di ospitare i suoi amici quando avevano bisogno di lui.
- A volte, può capitare che la mente umana, sentendo parlare di una malattia, si convinca di averne i sintomi. Con te pare sia successa una cosa simile: la malattia è non c'è, ma i sintomi si. Se sei stato affidato ad un ospedale psichiatrico è perché la tua mente è convinta inconsciamente che tu sia malato; ma il tuo corpo non c'entra con questo-. Il dottore era partito con una spiegazione medica, ma sapeva che non era quella la risposta che desiderava il ragazzo.
Si appoggiò alla scrivania.
- Hai spesso tremori?- gli chiese.
- Quando faccio qualcosa di difficile o mentre sono nervoso- rispose il ragazzo. Quando non riusciva a fare qualcosa, iniziavano a tremargli le mani e la sua velocità diminuiva. Ciò gli dava fastidio, perché aveva perso molte occasioni per fare qualcosa di divertente. E odiava dover dipendere dai suoi amici in alcune situazioni, nonostante loro si mostrassero sempre disponibili. Però desiderava riuscire ad aiutarli.
- Ti fa sentire in colpa vero?-. Lev annuì.
- Be', sono certo che i tuoi amici non lo considerino un peso-. Al ragazzo sfuggì un sorriso.
- Lo so. Però vorrei riuscire ad aiutarli senza impedimenti- ammise.
- Non c'è niente che possa davvero impedirci di aiutare qualcuno, finché siamo in vita- affermò il dottore.
- Sono certo che non sia così semplice- commentò Lev.
- Basta renderlo tale no?-. Il ragazzo non seppe bene cosa rispondere. In realtà era sempre stato una persona semplice, ma per qualche motivo era la sua vita a sembrargli fin troppo complicata.
Il dottore decise di lasciargli del tempo per metabolizzare le sue parole.
- Vai pure, così avrai tempo per pensarci- lo congedó.
- Grazie- Lev sorrise e si alzò, uscendo dalla stanza.
- Bakageyama, accompagno Lev dagli altri-. Il mezzo-russo sapeva che Hinata stava informando l'amico solo per non farlo preoccupare se non l'avesse trovato uscendo; quei due non si dicevano mai che si volevano bene o simili, ma se lo dimostravano soprattutto in quei momenti.
Kageyama infatti storse il naso.
- Col cavolo-. Sapevano tutti che la paura del moro era che Hinata decidesse di fare in giretto in bagno mentre era da solo, o che accadesse altro.
- Mi porto anche Yachi allora, così chiacchieriamo un po'!- esclamò l'arancione. La ragazza sussultó appena nel sentirsi chiamata in causa, ma annuì ed affiancó gli altri due.
Senza dire un'altra parola, Kageyama entrò nella stanza.
Lev sorrise: quei due erano proprio strani. Però era vero che era pieno di ottimi amici.

Tobio non poté fare a meno, una volta sedutosi sulla sedia, di iniziare a picchiettare il dito sulla scrivania. Entrare in contatto con le superfici che aveva davanti era una cosa che sentiva essergli necessaria, e quel lieve picchiettio era il suo modo per farlo.
- Le dà fastidio?- chiese, alzando lo sguardo sul dottore.
- Per niente. Allora Kageyama, quali sono le tue principali ossessioni?-. Il ragazzo non dovette pensarci molto prima di rispondere.
- Quando qualcuno fa qualcosa in mia presenza, deve farlo in modo perfetto o mi dà fastidio. Devo conoscere le superfici con cui entro a contatto ed il mio posto a tavola deve essere sistemato sempre allo stesso modo. A volte mi capita anche di provare fastidio per cose secondarie, ma queste sono quelle che meno controllo- elencò.
- Mi sembra di capire che più che ansia il tuo disturbo faccia crescere in te fastidio e ansia- commentò il dottore. Al contrario di altre malattie in cui i sintomi di manifestavano tutti più o meno allo stesso modo, i disturbi ossessivi-compulsivi variavano in base alla persona: ad alcuni davano fastidio certe cose e reagivano in un certo modo, altri avevano comportamenti completamente diversi.
Tobio annuì.
- Mi sembra di capire anche che tu sappia come rimanere calmo- commentò il dottore, indicando con un cenno del capo il dito del ragazzo, che ancora batteva sulla superficie davanti a lui.
- Mi piace avere controllo- ammise Tobio. Ogni volta che notava di avere nuovi fastidi, cercava un suo modo per tenerli a bada, come appunto il picchiettare sul tavolo, o il fatto che prima di mangiare dovesse toccare ogni stoviglia che conteneva il suo cibo, o che quando usciva da una stanza doveva essere sempre il primo o l'ultimo della fila.
- Però sei qui perché hai difficoltà a relazionarti con gli altri vero?-. Tobio strinse il pugno mentre annuiva. Finché riusciva a mantenere il controllo, poteva avere una vita normale.
Ma il comportamento umano era imprevedibile, e spesso non riusciva a trovare un modo per calmarsi prima di esplodere. Un litigio con il suo compagno delle medie Kidaichi era stato proprio il motivo per cui aveva cambiato scuola; il disturbo gli era stato diagnosticato poco dopo perché sua nonna, preoccupata dal litigio dei due ormai ex amici, aveva insistito che fosse portato da qualcuno in grado di giustificare ciò che neanche il ragazzo riusciva a capire. Ricordava solo che, durante ginnastica, i continui sbagli di Kunimi, suo compagno di squadra, avevano iniziato a dargli fin troppo fastidio e non era più riuscito a trattenersi, finendo per litigare con Kindaichi.
Ritrovarlo in quel luogo era stata una sorpresa: i due non si erano praticamente mai parlati, se non quando strettamente necessario. Kindaichi aveva ovviamente scoperto il motivo per cui Kageyama aveva avuto quello scatto d'ira, ma non ne aveva mai parlato con lui; l'altro dal canto suo si sentiva in colpa e voleva evitare di averci troppo a che fare. Tra i due era nato così un equilibrio che garantiva la loro convivenza senza però che dovessero per forza avere un rapporto.
- Da quando sei qui però non hai litigato con nessuno- fece notare il dottore.
- Ho trovato un metodo per mantenere la calma. Ma posso utilizzarlo solo in questo posto- ammise. Il dottore annuí. Tobio rimase sorpreso dal fatto che non gli avesse chiesto che genere di metodo fosse, ma i suoi senpai l'avevano avvisato che lo psicologo non era come tutti gli altri.
Dal canto suo, Ukai dubitava delle parole di Kageyama: dubitava che il suo metodo potesse essere utilizzato solo all'interno di quelle mura. Ma sapeva che era ancora presto per parlarne con il ragazzo.
- Vai pure Kageyama- gli disse quindi.
- Arrivederci- salutò il ragazzo. Appoggiò entrambe le mani sui braccioli della sedia, poi si alzò e si diresse verso la porta.
Fuori trovò Hinata che parlava con Yachi.
- Andata bene?- gli chiese il bassino, andando verso di lui.
Tobio sapeva che adesso sarebbe stato il suo turno di entrare, ma non resistette ed allungò un braccio, posandolo sulla testa dell'altro.
Hinata non si oppose, aspettando che l'amico si sentisse meglio prima di continuare la sua camminata ed entrare nello studio del dottore.
Tobio lo osservò fino all'ultimo. Hinata Shoyo era l'unica imperfezione che riusciva ad accettare nella sua vita. Perché era vero, quel ragazzino non era perfetto: era fin troppo magro, aveva una voce fin troppo squillante, era fin troppo allegro ed allo stesso tempo il suo corpo perdeva le forze fin troppo facilmente. E probabilmente, anche senza la sua condizione Hinata non sarebbe stato perfetto. Però Tobio riusciva ad accettare quell'imperfezione più di qualsiasi cosa perfetta che aveva nella sua vita.

A Shoyo quello psicologo stava già simpatico; spesso lo sguardo dei dottori gli trasmetteva il pensiero "ma che ci fai qui? Sei magro, smettila di lamentarti e lasciami in pace". L'uomo che aveva davanti in quel momento invece sembrava tranquillo, non lo stava giudicando.
Inoltre, Kageyama gli aveva passato la mano tra i capelli solo due volte prima di lasciarlo andare, e ciò significava che il dottor Ukai non l'aveva infastidito più di tanto.
- Quanto spesso ti viene fame?- gli chiese l'uomo. Hinata ci pensó un attimo.
- Quando non sto facendo niente o quando vedo del cibo- affermò poi.
- Ti dà fastidio rimettere dopo ogni pasto?-. Quello che il dottore stava cercando di capire è se quello di Hinata fosse un impulso del suo corpo di liberarsi di qualcosa di troppo, oppure se il ragazzo fosse consapevole del motivo per cui lo faceva.
- Odio quando mi sporco, però poi mi sento sempre meglio ed in forze! Se non mangio mi sento debole, però poi mi viene sempre da mangiare troppo e mi fa male- rispose l'arancione.
Era iniziato tutto durante una festa in prima media. Aveva giocato talmente tanto che si era sentito stremato, così si era avvicinato al buffet per riprendere energie. Non ricordava come fosse successo, ma poi un ragazzino lo aveva accurato di starsi mangiando tutto. Si era sentito talmente male da dover correre in bagno a vomitare. Dal giorno dopo a scuola tutti avevano iniziato a prenderlo in giro e dirgli che se continuava a mangiare così sarebbe ingrassato. Aveva iniziato a sentirsi in colpa ogni volta che mangiava troppo e a vomitare. Stava meglio così.
- Ti vedi grasso Hinata?- gli chiese Ukai.
- No, sto riuscendo a mantenere un giusto peso- il ragazzino sorrise.
- Da quando sei qui qualcuno ti ha mai preso in giro?-.
- Tsukishima e Kindaichi lo fanno spesso, ma solo per scherzare. A volte anche Oikawa credo, ma faccio fatica a capire la sua ironia- ammise Shoyo. Lì sentiva di avere molti amici e di non essere giudicato da nessuno.
Inoltre con Kenma aveva sviluppato un'amicizia basata anche sul fatto che le loro malattie erano simili, e si erano spesso trovati nella stessa situazione. Ma erano rare le volte in cui rimaneva da solo con il biondo, perché non si allontanava mai troppo da Kageyama: non sapeva come, ma anche se il moro non lo ammetteva esplicitamente il suo unico modo per calmarsi quando una persona lo faceva irritare era Hinata. Il che sembrava non avere senso, dato che i due discutevano spesso ed avevano fatto le prime settimane ad insultarsi a vicenda. Poi una volta Kageyama aveva preso Hinata per i capelli, ed era rimasto sorpreso dalla loro morbidezza. Da allora, ogni volta che li accarezzava riusciva a calmarsi.
Shoyo dal canto suo aveva guadagnato qualcuno che era sempre al suo fianco, e che lo aiutava a riprendersi dopo le sue gite in bagno post-pranzo.
Il dottore, chiedendo ad Hinata se qualcuno lo prendesse in giro si stava in realtà riferendo al suo fisico; voleva capire quanta importanza desse il ragazzo alla sua malattia. E pareva che ad Hinata non importassero le ripercussioni che aveva su di lui. In poche parole, con il suo modo di curarsi stava in realtà completamente trascurando sé stesso.
- Ti ringrazio per avermi risposto, puoi andare- gli disse.
- Di già? È stato veloce! Ci vediamo dottore!-. Dopo quella frase, il dottore non si stupì neanche di averlo visto andare d'accordo con Nishinoya.

Yachi fece un respiro profondo. Hinata era andato prima di lei proprio per farle vedere che non c'era niente di cui avere paura.
- Se vuoi puoi ispezionare il luogo prima di iniziare- le concesse il dottore.
- Non serve- mormorò la ragazza. Aveva già controllato tutto: conosceva ogni stanza di "Haikyu" alla perfezione, ed era certa che nulla fosse cambiato dalla sua precedente visita lì. Inoltre sapere che Yamaguchi era lì fuori la tranquillizzava: lui e l'arancione erano i ragazzi con cui aveva più legato, dopo Kyoko, e si fidava di loro.
L'uomo davanti a lei però le metteva paura: capelli tinti, piercing e muscolatura imponente... Da quello che ne sapeva, poteva anche essere un rapitore o simili.
Il dottore aveva notato l'atteggiamento impaurito della ragazza, e cercò di evitare movimenti bruschi.
- Come hai iniziato a sospettare di essere malata?- le chiese, in tono più normale possibile.
- Durante un viaggio con mia madre... Mi sono persa in un'enorme vallata. Non riuscivo a trovare delle persone o un'uscita, ho iniziato a pensare che non me ne sarei più andata da lì e ho avuto un attacco di panico. Da allora rimanere sola o essere in spazi troppo ampi o sconosciuti mi fa venire ansia- raccontó la ragazza. Aveva paura di finire in situazioni da cui non sarebbe più riuscita ad uscire, e non voleva; sentiva di essere una ragazza debole, e che se si fosse trovata davanti un pericolo non avrebbe saputo come affrontarlo. Per questo evitava di infilarsi in situazioni che non conosceva.
- Stare in giardino ti causa ansia?- le chiese il dottore.
- Se sono con i miei amici e le porte sono aperte no- rispose la ragazza. Riusciva a stare sola solamente in ambienti molto piccoli e familiari, come la sua stanza. In realtà anche lì capitava raramente che stesse da sola: a volte capitava che Kyoko avesse attacchi d'ansia la notte per via di incubi, per cui la ragazza preferiva dormire con la sua amica per aiutarla. E a sua volta la maggiore accompagnava la bionda praticamente ovunque, soprattutto quando voleva uscire in giardino per prendere un po' d'aria o fare qualcosa di nuovo.
Yachi era veramente felice della compagnia dell'altra, sentiva di non poter desiderare una compagna migliore di lei.
- Le persone ti mettono ansia?- le chiese Ukai.
- Solo quando sembrano spaventose o non so chi siano-. La ragazza lo ammise tranquillamente perché, notando come l'uomo di fronte a lui fosse gentile, la sua ansia nei suoi confronti stava iniziando a scemare. Anzi, a dire la verità si sentiva leggermente in colpa per aver pensato male di quell'uomo, che in fin dei conti era lì solo per aiutarli.
Ukai stava iniziando a capire sempre meglio il modo in cui ragionavano quei ragazzi: gliene mancavano solo due.
- Grazie mille Yachi, vai pure- le disse.
- La ringrazio; passi una buona giornata- la ragazza si alzò ed uscì dalla stanza.

Kei fu grato al dottore di aver spostato la sedia leggermente più indietro, in modo da aumentare la distanza tra loro.
Aveva deciso di lasciare Yamaguchi con Yachi, per assicurarsi che l'amica stesse bene e anche perché sapeva che il ragazzo avrebbe avuto bisogno di lui una volta finita la sua chiacchierata. Un aiuto che, come sempre, non sarebbe riuscito a dargli appieno.
- Immagino ti abbiano già detto in molti che il tuo è un caso particolare- commentó il dottore. Kei annuì. L'afefobia portava disagio nel contatto umano, anche solo nel pensarlo, e in quasi tutti i casi la paura riguardava il sesso opposto. Kei invece non aveva mai avuto difficoltà con le ragazze... Be', non che avesse mai avuto esperienze. Ma con loro non si era mai sentito in ansia. Per metterla su un paragone, preferiva di gran lunga essere abbracciato da Yachi, per quanto odiasse gli abbracci, che essere sfiorato da Sugawara. E aveva scelto il ragazzo argentato proprio perché era uno dei pochi che non faticava a sopportare li dentro.
- È probabilmente dovuto al fatto che mio padre maltrattava mio fratello- Kei lo disse senza problemi, come per confermare al dottore che erano entrambi in possesso delle stesse informazioni e non serviva indagare quel lato della faccenda. Akiteru, il fratello di Kei, era sempre stato gentile con lui, un fratello maggiore impeccabile. Anche fin troppo. Loro padre era un uomo parecchio irascibile, quasi mai presente, ed ignorava completamente Kei. Quello che il ragazzo non sapeva era che il fratello sopportava tutti gli scleri e le follie dell'uomo a patto che quest'ultimo non toccasse il minore. Il biondo aveva infatti scoperto della cosa solo quando suo fratello era finito in ospedale; il padre, da ubriaco ovviamente, gli aveva raccontato tutto, per mettergli paura, per fargli capire che se Akiteru non fosse stato dimesso presto il suo prossimo bersaglio sarebbe stato proprio Kei. Non era mai successo, perché il padre era morto poco dopo. Il ragazzo non aveva mai riportato traumi di abusi o simili, e quando ripensava a quelle minacce non gli facevano ne caldo né freddo: dopotutto, suo fratello lo aveva sempre protetto. Non gli dava fastidio parlarne, non con uno psicologo almeno, proprio perché era una cosa che riguardava il fratello, e che lui ci teneva rimanesse fuori dalla sua situazione. Nonostante questo, era impossibile parlare della sua malattia senza menzionare quell'incidente: proprio dopo aver visto Akiteru in ospedale Kei non era più riuscito ad avvicinarsi al sesso maschile. Non sapeva esattamente cosa lo spaventasse, ma ogni volta che temeva che un ragazzo lo stesse per toccare il suo battito accelerava, sentiva la testa esplodere ed un senso di soffocamento invaderlo.
Alle persone che conosceva e di cui si fidava riusciva a stare vicino, anche se tutti sapevano che non dovevano avvicinarsi a lui senza avvisarlo, ma il pensiero di essere anche solo sfiorato dai suoi amici lo faceva sentire male.
Fortunatamente, il dottore non fece altre domande sull'argomento "maltrattamenti familiari".
- A toccare te stesso hai problemi?- gli chiese invece.
- Se parla di masturbazione, non sono solito ricorrervi-. Il dottore boccheggiò leggermente: aveva conosciuto tanti ragazzi schietti, ma questa non se l'aspettava.
- Non mi riferivo a quello, ma piuttosto se hai problemi a lavarti da solo o cose simili-. Il ragazzo si accigliò.
- Ho diciannove anni, non cinque- gli fece notare.
- Volevo solo essere sicuro che il tuo cervello non identificasse anche il tuo corpo come nemico- rispose il dottore. Kei annuì.
- Non ho mai avuto problemi in quel senso. Solo con gli altri- affermò.
- Capisco; questo è il primo ambiente in cui ti trovi a tuo agio?- gli chiese.
- Qui sanno come comportarsi- rispose lui semplicemente. All'inizio non era stato semplice, soprattutto con persone come Hinata e Nishinoya che non si facevano problemi ad invadere gli spazi altrui. Bokuto e Kuuro, per qualche motivo che ancora non comprendeva, sembravano tenerci particolarmente che lui si fidasse di loro, ed i primi tempi gli stavano sempre addosso. Con il tempo e l'aiuto di Yamaguchi, avevano capito come comportarsi per non fare sentire a disagio l'amico. Che comunque rinunciava spesso alla compagnia dei due ragazzi, secondo lui fin troppo casinisti, ma alla fine si era dovuto arrendere ed ogni tanto passava qualche ora con loro, mentre Yamaguchi era con Yachi o Hinata o entrambi. Sapere che il suo amico d'infanzia, sempre così timido e impaurito, aveva fatto amicizia con qualcuno lo faceva sorridere, e non voleva di certo essere lui ad impedirgli di stare con altre persone. Afefobia o meno non era mai stato molto bravo con i sentimenti, ed il suo modo di dimostrare all'amico che ci teneva a lui era anche spingerlo a superare il senso di solitudine che si era portato dietro da tempo.
- Tu e Yamaguchi siete arrivati qui insieme vero?-.
- Siamo arrivati tutti insieme appena ha aperto-. I due si fissarono per un attimo negli occhi, entrambi consapevoli del fatto che non fosse quello che il dottore intendeva con quella domanda.
- Capisco. Puoi andare Tsukishima- affermó. Il biondo si alzò, poi si voltò verso il dottore.
- So che non gliene parlerá adesso. Prima di farlo, la prego di informarmi- affermò. Il dottore lo fissò per un attimo.
- Vedrò cosa posso fare- disse infine. Kei annuì, auguró buona giornata ed uscì dalla stanza.
Probabilmente non sarebbe stato in grado di aiutare il suo migliore amico. Ma finché avesse potuto, l'avrebbe tenuto al sicuro.

- Buongiorno Yamaguchi- salutó il dottore appena il ragazzo entrò.
- Buongiorno- gli rispose Tadashi. Era una persona timida, però in quel momento si sentiva tranquillo. Non sapeva quali domande gli avrebbe fatto il dottore, ma lo sguardo che gli aveva lanciato Tsukki gli era sembrato rassicurante.
- Allora Yamaguchi, sei amico di Tsukishima da molto tempo vero?-. Al ragazzo sfuggì un piccolo sorriso.
- Lo conosco da quando andavamo alle elementari. Poi alle medie siamo finiti nella stessa classe ed abbiamo iniziato anche vari percorsi di terapia insieme- raccontó. Il suo trauma risaliva ai tempi in cui Tsukki aveva scoperto dei maltrattamenti del padre verso il fratello. Anche Ukai lo sapeva, ma non voleva parlare di quello: per esporre il trauma, ci sarebbe stato tempo. Al dottore quel giorno interessava capire quanto il ricordo del trauma fosse presente quotidianamente nella vita del ragazzo. Lo aveva visto sussultare per rumori forti, e mantenere una calma quasi irreale durante le discussioni, che sfociava in momenti di panico non appena tutto questo finiva.
Tadashi non era consapevole di ciò. Sapeva di aver vissuto una situazione molto spiacevole ma, come anche il dottore aveva potuto leggere dalla sua cartella, la sua mente aveva bloccato ogni ricordo inerente ad esso. Le terapie per cercare di ricordare non erano servite a nulla: ogni volta che gli veniva in mente qualcosa, il suo corpo reagiva facendogli venire un attacco di panico e lui dimenticava nuovamente tutto. Vivere normalmente era diventato impossibile perché ogni cosa che vedeva rischiava di fargli avere una crisi; quando Tsukishima gli aveva parlato dell'istituto in cui stava per trasferirsi, aveva impiegato poco a convincere la madre a farlo andare con lui.
Tadashi sapeva che il suo amico Tsukki conosceva il suo trauma, ma non voleva che gliene parlasse per paura di avere una crisi davanti a lui.
Al dottore in un primo momento era sembrato strano che la vicinanza proprio con Tsukishima non desse alcun fastidio al ragazzo, ma gli era bastato poco per capire che Yamaguchi era talmente legato all'amico che nulla avrebbe potuto farlo allontanare da lui, neanche il suo disturbo post-traumatico.
- Ho notato che ti piace molto sentirlo suonare-. Capire se c'era qualcosa che rilassava il ragazzo era fondamentale.
- È bravo vero? La sua musica è veramente rilassante e commovente- rispose Tadashi, con un pizzico d'orgoglio nella voce.
Tsukishima era sempre in giro con le cuffie, anche quando era in compagnia di Tadashi e non ascoltava musica le teneva al collo, come un salvagente da utilizzare in caso di necessità. Tadashi sapeva che quando l'amico indossava le cuffie non andava assolutamente disturbato. Dopo l'incidente con il padre, vedendo la sua difficoltà ad esprimere emozioni gli psicologi gli avevano consigliato un metodo che non implicasse l'utilizzo delle parole.
Più per dovere che per altro, Kei aveva rispolverato il vecchio pianoforte della madre ed aveva iniziato a suonare utilizzando i libri e qualche piccolo suggerimento da parte della donna, felice che il figlio avesse trovato qualcosa che lo teneva occupato oltre allo studio. Nonostante il biondo non fosse appassionato di pianoforte, Tadashi rimaneva colpito ogni volta dalle emozioni che l'amico suscitava in lui quando suonava. Avrebbe potuto passare ore ad ascoltarlo.
- Si vede che gli vuoi molto bene- commentó il dottore con un piccolo sorriso.
- Be' Tsukki è il mio migliore amico- rispose il ragazzo.
- Ti dà fastidio la sua condizione?-. Tadashi fece un sorriso triste.
- Mi dispiace per lui ovviamente, non è bello rischiare di avere un attacco di panico ogni volta che qualcuno ti si avvicina. Ma se mi sta chiedendo se mi dia fastidio non poterlo abbracciare o simili... Be', a me dispiace, ma Tsukki non era mai stato comunque molto affettivo, per cui alla fine non è cambiato poi tanto-. A Tadashi mancavano quei rari abbracci che l'amico gli dava al suo compleanno o in altre rare occasioni, ma sapeva che non era colpa dell'amico. Era rimasto stupito quando il biondo gli aveva proposto di dormire nella sua stanza, come quando facevamo da bambini; al contrario di allora non potevano utilizzare lo stesso letto, per cui avevano sistemato nella stanza del biondo un futon in cui dormivano a turno.
Tadashi conosceva l'amico da abbastanza tempo da riconoscere quali gesti facesse per dimostrare ad una persona che teneva a lei, e nonostante il desiderio che provava di essere avvolto ancora una volta nelle braccia del biondo non si lamentava e faceva tesoro di ogni suo gesto.
- Torna pure da lui Yamaguchi-.
- La ringrazio dottore; arrivederci- Tadashi sorrise, si alzò ed uscì dalla stanza. Fuori trovò i suoi amici ad aspettarlo, in rigoroso silenzio.
- Quel dottore è veramente simpatico, vero Tsukki?- commentò Tadashi, raggiungendoli.
- Taci Yamaguchi- rispose il biondo, voltandosi ed incamminandosi lungo il corridoio. Non voleva che i suoi amici vedessero il sospiro di sollievo che aveva rilasciato nel constatare che Yamaguchi stava bene.
Tadashi però conosceva l'amico e sapeva che era sollevato; guardò Yachi con un sorriso, e l'amica non poté fare a meno di pensare quanto il rapporto dei due fosse speciale.
Senza dire nulla, seguirono il biondo.

Keishin quasi saltó in piedi quando sentì qualcuno bussare: aveva chiuso gli occhi sono un attimo e si stava per addormentare.
- Avanti- disse, sfregandosi gli occhi per riprendersi. Takaeda entró nella stanza e gli sorrise.
- Allora, com'è andata?- gli chiese. Il dottore sospiró; appoggió i gomiti sulla scrivania, intrecciando le mani tra loro ed appoggiandoci sopra il mento.
- Sono tutti bravi ragazzi. Ma hanno perso completamente la concezione di una vita senza malattie- mormoró. Il direttore andò a sedersi di fronte a lui.
- Come pensa di agire?-. Keishin sospirò.
- È una situazione delicata. Domani voglio parlare con tutti loro insieme, ma ho bisogno di una notte di riposo per pensare al discorso da fare- ammise.
- Vuole che le porti la cena un po' prima oggi?- gli chiese il moro.
- Può portarmela qui? Vorrei controllare ancora delle cose-.
- Nessun problema- Ittetsu si alzò per lasciare un po' di pace al dottore. Mentre se ne andava, non poté fare a meno di sorridere vedendo come l'altro uomo si fosse già rimesso al lavoro.
Quando aveva deciso di aprire quel luogo, tutti i suoi amici gli avevano dato del pazzo, affermando che gestire un istituto già non era semplice, figurarsi uno pieno di ragazzi malati. Lui però sentiva di non avere carattere per fare da psicologo, professore o altro; voleva dare almeno un luogo a quei ragazzi, e ci era riuscito. Era il primo ad essere consapevole di quanto loro fossero speciali, e doveva ammettere che quello era il primo psicologo che gli sembrava davvero interessato a loro come persone e non come pazienti.
Forse, quell'uomo dell'aria tutt'altro che professionale sarebbe riuscito a fare breccia nei loro cuori e riportarli alla vita.

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Capitolo 5
*** CAPITOLO V. ***


Quando Keishin entrò nella sala da pranzo, dopo il pasto, sapeva già che parlare sarebbe stato difficile. Quei ragazzi vivevano tutti insieme, ma in condizioni diverse; scrivere un discorso che non facesse venire attacchi di panico a nessuno ma che allo stesso tempo fosse abbastanza forte era stata dura, ma confidava di esserci riuscito.
Ittetsu aveva chiesto apposta ai ragazzi di fermarsi di più in sala da pranzo perché Ukai voleva parlare con loro; su richiesta del dottore, anche lui era andato a sentire, posizionandosi vicino all'entrata della stanza insieme al biondo.
Sugawara gli offrì di sedersi con un sorriso, ma l'uomo preferí rimanere in piedi. Si sentiva agitato, non sapeva cosa sarebbe successo e sedersi lo avrebbe fatto solo stare peggio.
- Buongiorno a tutti- salutó Keishin, mentre chiudeva la porta alle sue spalle. Si preparò mentalmente a parlare mentre i ragazzi lo salutavano a loro volta.
- Come ben sapete, ieri ho parlato con ognuno di voi. I vostri casi sono diversi, ma ci sono delle cose che tutti e ventidue avete in comune- mentre parlava cercava di non guardare nessuno in particolare; sapeva già quali sarebbero state le loro reazioni.
- Voi qui vi siete costruiti una specie di vostro mondo, dove vivete solo voi. Vi siete abituati a non andare mai in giro da soli, ad aiutarvi a vicenda e come comportarvi con gli altri. Questo è ammirevole, ma così facendo vi state completamente dimenticando del fatto che avete già un mondo in cui vivere, e si chiama Terra. Nessuno vi vieta di stare bene qui; ma se volete davvero guarire, dovete riprendere i contatti con il mondo esterno- vide qualche espressione perplessa, ma non ci fece caso.
- L'impressione che date, è quella di esservi abituati a questa vita e di non voler più tornare a quella fuori dall'istituto. TUTTAVIA - alzò leggermente la voce, in modo da bloccare il chiacchiericcio che si stava diffondendo nella stanza - io sono qui per aiutarvi proprio in questo. Ma non posso essere d'aiuto a qualcuno che non vuole essere aiutato. Per cui, voglio lasciare a voi questa decisione: se verrete da me, preparatevi ad una vita più dura qui dentro. Non perché cambierà qualcosa in essa, ma perché cambierà il vostro modo di vederla. Sarà dura, ma vi aiuterò a guarire ed andare via da qui. Se invece riconoscete di voler rimanere, allora non dovete fare altro che ignorare la mia presenza. Vi lascio la giornata per pensarci: vi chiedo di decidere entro domani- detto questo, si voltò ed uscì dalla stanza.
Sentì il caos esplodere dietro di lui, ma lo ignorò e continuó a camminare. Sentì la porta aprirsi e qualcuno corrergli dietro.
- Aspetti!-. Rallentò leggermente il passo in modo che Ittetsu potesse raggiungerlo.
- Ascolti, è vero che le avevo dato carta bianca e che l'ho chiamata proprio per i suoi metodi diversi. Ma non pensa di essere stato un po' troppo estremo?- gli chiese il moro.
- Il primo passo per guarire è ammettere si essere malati. Nel loro caso non si tratta solo delle loro malattie, ma anche della convinzione che hanno sviluppato di poter vivere qui per sempre. Cosa che possono fare, ma non se vogliono guarire- si fermò e si voltò verso il direttore, che si arrestó a sua volta.
- Mi ha chiamato perchè aveva bisogno di qualcuno come me. Perciò si fidi delle mie parole: entro domani sera, quei ragazzi verranno tutti da me-.

- Cosa farete?- Daichi si avvicinò ai suoi amici. Quando il dottore era uscito dalla stanza, era quasi scoppiato il caos: per fortuna, dato che persone come Yamaguchi e Kyoko non sopportavano i rumori forti, alla fine i ragazzi si erano divisi per andare a sfogare la loro frustrazione altrove.
Daichi era rimasto con Suga, Asahi, Nishinoya, Kyoko e Yachi.
- Non ne ho idea- ammise Asahi, lanciando uno sguardo anche a Nishinoya, che non stava prestando attenzione al discorso e si era messo a camminare per la stanza.
- Credo che il pensiero di tutti sia uguale. Guarire sarebbe bello ma... Ci accetteranno una volta usciti da qui?- mormoró Koushi, con un sorriso triste. Tutti quanti loro sapevano che non potevano vivere una vita normale per le loro malattie, e ne soffrivano; ma in loro si era insinuata la paura che anche se fossero riusciti ad uscirne, non si sarebbero mai trovati a proprio agio fuori. Ciò valeva soprattutto per persone come Asahi e Nishinoya: i loro disturbi non gli impedivano di vivere, ma le relazioni con gli altri erano diventate pressocchè impossibili dato il modo in cui tutti li giudicavano.
Sia Kyoko che Yachi da quando erano lì vivevano in una situazione molto più tranquilla, e per quanto avrebbero preferito non dover convivere con attacchi continui, l'idea di uscire da quella bolla sicura le spaventava.
Koushi dal canto suo avrebbe voluto smettere di vivere con la paura di dimenticarsi continuamente i nomi dei suoi amici, ma al tempo stesso aveva paura che andandosene li avrebbe persi. Lì aveva acquisito un ruolo quasi da madre, voleva bene a quei ragazzi, mentre all'esterno sentiva di non essere nessuno.
Daichi guardava tutti i suoi amici, capendo perfettamente come si sentissero. Lui era il primo a non riuscire a prendere una decisione. Sapeva che, se fosse uscito da lì, sarebbe stato perché non aveva più nulla da temere; ed allo stesso tempo, gli faceva paura pensare di andarsene e dover cambiare nuovamente la sua vita.
- Siamo grandi, ma siamo ancora dei ragazzi-. Era raro che Kyoko parlasse, per cui gli altri lasciarono che quelle parole riempissero la stanza. Anche Nishinoya la ascoltó, smettendo per un attimo di muoversi e fermandosi di fianco ad Asahi.
Lì dentro avevano tutti dai diciannove ai ventun anni; ma le loro vite si erano come fermate tre anni prima, quando erano entrati in quel luogo. A conti fatti, era come se per il mondo esterno loro fossero ancora degli adolescenti. E nessuno di loro sapeva se fosse pronto a riprendere a crescere.

- Ci vuoi andare vero?- chiese Ryu, appoggiando il peso e tirandosi su per guardare verso l'amico. Ennoshita aveva un sorriso quasi triste e lo sguardo basso.
- Io vorrei smetterla di dubitare di tutte le persone che ho intorno. Venendo qui la situazione non è cambiata, solo che ho meno persone di cui preoccuparmi: ma ogni volta che penso a quanto loro siano dei buoni amici, diventa più forte il pensiero che potrebbero starmi ingannando e non lo sopporto più. Io non voglio questo- mormorò.
Ryu annuì: conosceva l'amico, sapeva che non sopportava quel suo dubitare di tutto, ma non ne aveva il controllo. Così come lui non ne aveva sui dubbi che aveva su sé stesso.
- Mi mancherai, ma se ci riuscirai sarò molto felice per te- affermó con un sorriso.
- Non vuoi neanche provarci?- Chikara sapeva già come si sentiva l'altro, ma sperava comunque che avrebbe deciso di tentare.
- Il mondo esterno sembra volermi rifiutare. Qui almeno posso fare ciò che voglio- rispose Ryu, tornando sdraiato e preparandosi ad altri pesi. Vide le sue mani tremare leggermente e decise di aspettare.
Non aveva idea del motivo della sua nevrosi; sapeva che i sintomi si manifestavano quando una persona cercava di bloccare i suoi istinti e di reprimerli, ma non ricordava di aver mai fatto una cosa simile. Aveva sempre avuto una forte passione per l'allenamento, e non aveva passato un giorno della sua vita senza fare qualche attività. Per cui proprio non si spiegava il motivo per cui avesse contratto quel disturbo: la madre aveva dato la colpa al troppo stress, ma lui era certo di saperlo sopportare benissimo.
Si sentiva come se il mondo avesse cercato una scusa per farlo rinchiudere da qualche parte e dimenticarsi di lui. E non poteva certo andare contro il mondo, giusto?
- Ti andrebbe bene anche se rimanessi qui da solo?- mormorò Chikara.
- Se guarirete tutti arriveranno altri pazienti no? Al massimo, crescendo potrei diventare l'assistente di Takaeda! Avere qualcuno con un po' di carattere gli farebbe bene- ridacchiò.
- È un peccato, mi sarebbe piaciuto continuare ad essere tuo amico-. All'ammissione del moro, Ryu alzò lo sguardo per osservarlo senza doversi alzare.
- Con il tuo carattere, troverai sicuramente tanti altri amici- affermò. Le sue mani non volevano sapere di smetterla di tremare e stava iniziando a fargli male la testa; Chikara se ne accorse, ed infatti affiancò il ragazzo e gli prese le mani tra le sue come per rassicurarlo.
Ryu si mise a sedere, ma tenne lo sguardo basso.
- Nessuno di loro potrebbe mai essere come te. Non voglio obbligarti a provarci se non ti senti pronto, ma non voglio neanche abbandonarti senza averci provato-. Chikara era sicuro che Tanaka non avesse capito pienamente il senso delle sue parole, ma decise di continuare comunque.
- Promettimi almeno che ci penserai. Vorrei conoscerti in un mondo dove non devi continuamente mostrarmi di essere reale-.
Ryu annuì, non volendo deludere le aspettative dell'amico. Anche lui avrebbe voluto mantenere quel rapporto che avevano, che sapeva essere speciale, ma non sapeva come fare. Non sapeva come liberarsi di qualcosa che non capiva. Ma avrebbe voluto davvero essere amico di Ennoshita anche in un mondo che lo accettava.
- Ci penseró- decise quindi. Chikara sorrise, sollevato; dato che le mani di Tanaka avevamo smesso di tremare le lasciò andare, seppur con una certa riluttanza interiore.
Ryu, che era tornato a sentirsi bene, si sdraió e riprese i suoi esercizi.

- Uffa, non riusciró mai a superare sto livello!- si lamentó Shoyo.
- Mh-.
- Dovrò chiedere aiuto a Kenma-.
- Mh-.
- Bakageyama mi stai ascoltando?-.
- Mh-. Shoyo sbuffò, mise in pausa il videogioco e si voltò verso l'amico, che si stava fissando le mani.
Shoyo si guardò intorno, prese un pastello a cera da una scatola lí vicino e velocemente tracció una linea sulla guancia dell'altro.
- Ma che fai!- esclamò quello, voltandosi di scatto.
- Non mi ascoltavi, mi sentivo ignorato- si giustificò l'altro, appoggiando il pastello sul tavolo. Si leccó il pollice e poi lo sfregó sulla guancia dell'amico, sapendo che se guardandosi allo specchio avesse visto il segno si sarebbe potuto sentire male.
Tobio non poté fare a meno di chiedersi come mai non gli desse fastidio il gesto di quel ragazzino.
- Pensavi alle parole del dottore?- gli chiese il bassino, addolcendo il tono, e l'altro annuì.
- Vorresti provarci?- gli chiese nuovamente.
Tobio non lo sapeva. In quel posto stava bene, ma odiava dover dipendere da quel ragazzino; in realtà, odiava il fatto che non gli dispiacesse dipendere da lui.
- Noi siamo qui perché siamo malati; guarire dovrebbe essere il nostro desiderio. Però...-.
- Però qui nessuno ti giudica- concluse per lui Shoyo. Il ragazzo desiderava davvero smettere di avere quell'impulso che lo obbligava a mangiare tutto, e allo stesso tempo non mangiare niente. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, ma odiava i suoi sensi di colpa.
- Se andrai tu lo farò anch'io- affermò. Tobio rimase sorpreso da quell'affermazione.
- Quindi se io scegliessi di rimanere qui...-. A Shoyo sfuggì un piccolo sorriso.
- Non potresti farcela senza di me- affermó.
- Come se davvero potessi avere bisogno di un bokè come te- borbottó Tobio, ma entrambi sapevano che l'aveva detto solo per mantenere la sua aria da ragazzo indipendente.
- Tu non desideri guarire?- gli chiese. L'arancione riabbassò la mano.
- Mi piacerebbe riuscire a controllarmi. Mi va bene anche come sono però... Avevo dei sogni un tempo- mormorò. Neanche lui sapeva bene cosa volesse davvero; ma decise in quel momento, non sapeva neanche lui perché, che avrebbe seguito Kageyama.
Il moro, che fino a quel momento non sapeva esattamente cosa fare, prese la sua decisione. Aveva paura di tornare a vivere fuori, dove nessuno sembrava capire le sue manie. Non derivavano solo dal disturbo, era sempre stato un amante della perfezione, e anche prima che quello lo portasse quasi a impazzire aveva sempre avuto difficoltà a farsi comprendere. Lì nessuno lo giudicava, ma i suoi sentimenti non erano comunque cambiati: voleva vivere senza aver per forza bisogno di assicurarsi che fosse tutto come voleva lui, voleva conoscere le persone senza sentirsi in dovere di giudicarle, voleva semplicemente provare ad avere una vita normale. Una parte di lui gli diceva che quello non sarebbe stato possibile però. Perché anche senza il suo disturbo, lui non era capace di stare con le persone senza allontanarle, lo sapeva fin troppo bene. Anche se fosse uscito da lì, non sarebbe comunque riuscito a stare bene; quindi, forse, tanto valeva rimanere.
Ma la frase di Hinata aveva cambiato tutto. Tobio voleva che quel ragazzino non si sentisse in colpa per aver mangiato una fetta di torta in più, voleva non doverlo più vedere correre in bagno dopo i pasti per poi tornare a giocare con i suoi amici come se niente fosse, voleva non dover più stare attento a quello che l'altro faceva per paura che gli mancassero le forze dopo che aveva rimesso tutto. Avrebbe voluto vederlo sempre allegro invece, senza l'ansia di venire giudicato o di stare male. Voleva vederlo felice per davvero. Era certo che la felicità si addicesse a quel ragazzo molto più che a lui.
- Allora tra non molto potrai realizzarli- affermó. Shoyo per un attimo non capí, poi comprese che il ragazzo aveva deciso di provarci.
- Va bene- gli sorrise, non riuscendo a dire altro. Era sollevato dal fatto che l'amico potesse guarire, ma nella sua mente si era intanto insinuato un altro pensiero: "non avrà più bisogno di me". Anche se fossero usciti di lì insieme, Kageyama non avrebbe avuto motivo di continuare a stare vicino ad un ragazzino esaltato che aveva visto vomitare dopo ogni pasto per tre anni. Probabilmente l'unico motivo per cui era al suo fianco era che aveva bisogno di lui per guarire. E Shoyo pensava gli andasse bene, perché almeno c'era; ma aveva la certezza che, se non avesse avuto più bisogno di lui, non avrebbe avuto più motivo di stargli vicino. L'avrebbe abbandonato. E per qualche motivo, questo pensiero gli fece più male del pensiero di non guarire mai ma rimanere lì con lui.

Tadashi tenne gli occhi chiusi mentre ascoltava la melodia fuoriuscire dal pianoforte. Appena Hinata e Kageyama se n'erano andati, dopo una discussione di cui non conosceva l'argomento, Tsukki si era seduto al pianoforte. Non avrebbe ammesso neanche sotto tortura che aveva evitato di farlo prima per non disturbarti i due ed evitare di innervosire Kageyama, che già non gli sembrava in forma; ma Tadashi lo sospettava.
- Non dovresti farlo-. Aprì di scatto gli occhi quando il biondo smise di suonare per pronunciare quella frase.
- Che cosa?-.
- Andare da quello psicologo. Non dovresti-. Tadashi rimase piuttosto confuso dalle parole dell'amico.
- Perché?- gli chiese - tu lo farai-. La sua era un'affermazione. Come aveva detto più volte, Tsukki non era una persona affettuosa: ma sapeva quanto gli desse fastidio anche solo dover tenere la sedia più lontana a pranzo, o potersi mettere solamente vicino a Yachi o Kyoko. Così, anche se il biondo non aveva detto niente, Tadashi sapeva che voleva provare a guarire. Inoltre, passare la vita rinchiuso in una clinica psichiatrica non era il destino di Tsukki, lo sapeva bene: l'aveva visto studiare molto ed impegnarsi per potersi costruire un futuro, e nonostante si fosse abituato a vivere lì non dubitava che riempiangesse di non poter fare ciò che desiderava.
- Si- confermó infatti il biondo.
Tadashi fece un paio di passi in avanti, lentamente, per non allarmarlo.
- Tsukki, sei l'unico a conoscere il mio trauma, e mi sono sempre fidato di te. Ma se devo passare la vita rinchiuso qui mentre tu sarai là fuori, voglio almeno saperne il motivo- affermó.
Kei serrò le labbra: non voleva che l'amico pensasse che lo stava abbandonando, ma voleva ancora meno vederlo soffrire come sapeva sarebbe accaduto.
- Il tuo trauma è forte, lo sai, o non saresti qui. Non ti sto dicendo di passare la vita in questo posto, ma vorrei aiutarti a superarlo-. Tadashi continuava a non capire.
- Però guarendo te ne andrai prima che io possa farlo- gli fece notare.
- Voglio guarire quel tanto che basta per rimanere al tuo fianco-.
- In che senso? Sei al mio fianco anche ora- mormorò Tadashi.
- Yamaguchi, taci: sento il pensiero "mi vuole abbandonare" formularsi nella tua mente- sbuffò Kei.
- Scusami Tsukki- Tadashi sorrise leggermente, rassicurato dal fatto che l'amico aveva capito cosa stesse pensando. Poi tornó serio, guardandolo per incoraggiarlo a dargli una spiegazione.
Kei distolse lo sguardo.
- Adesso, se avessi bisogno, non potrei esserci davvero. Non completamente-. Questa volta, Tadashi capì cosa intendeva: e ne rimase felicemente sorpreso.
Kei lo osservò, cercando di capire la sua reazione. Yamaguchi era il suo migliore amico da anni, eppure non riusciva nemmeno a dargli una pacca sulla spalla. Sapeva che, una volta scoperto il motivo del suo trauma, l'amico avrebbe avuto bisogno di ben più di un abbraccio. E per quanto si trovasse bene con persone come Hinata e Yachi, che sicuramente gli sarebbero stati vicini, voleva essere lui a farlo stare bene ed aiutarlo. E sapeva che anche l'amico voleva lo stesso.
Tadashi si avvicinò ancora, e fece cenno a Tsukki di spostarsi più in là; senza capire, il ragazzo scivoló fino al termine dello sgabello, lasciandogli abbastanza spazio per sedersi. Tadashi rimase comunque mezzo giù dallo sgabello, in modo da non toccare per sbaglio l'amico.
Lui non aveva mai suonato, ma osservando Tsukki aveva imparato qualcosina.
- Vedi, io di solito sono questo- schacció le note Do e Sol. Kei comprese cosa intendeva: nell'accordo che aveva suonato mancava la terza, mancava una nota in mezzo. Così risultava quasi vuoto, incompleto.
- Quando succede qualcosa che mi ricorda il mio trauma, o quando provo a pensarci, divento questo- questa volta premette anche il fa, creando un accordo per niente armonico.
- E so che, probabilmente, quando scoprirò cos'è successo mi sentirò così- fece scendere anche il re, e con l'altra mano iniziò a premere tasti a caso. Un accordo duro da sentire accompagnato da continue e potenti emozioni che si susseguivano senza sosta.
- Ma quando sono con te- Kei sentí il cuore iniziare a battere più forte, ed era certo non si trattasse dell'afefobia - mi sento così- tolse nuovamente la sinistra dal pianoforte e schiacció con la destra il do, il mi e il sol. L'accordo di Do maggiore, l'accordo più semplice di tutti. L'accordo completo.
- È più bello sentire questo suono- Tadashi premette insieme tutte le note da Do a Sol - che questo vero?- lo fece di nuovo, ma escludendo il Mi. Una volta che il suono fu scemato, si voltò verso l'amico e sorrise.
- A me non importa se non riesci a toccarmi, mi basta sapere che ci sei. Da solo non potrei farcela, ma con te posso essere completo e so che supererò qualsiasi cosa. Se mi chiedi di aspettare lo farò Tsukki, mi fido di te- affermó.
Kei si sentì veramente sollevato nel vedere il sorriso dell'amico. Allungò la mano verso di lui, ma la bloccó quando la vide iniziare a tremare; Tadashi fece finta di non averlo notato e il biondo gliene fu grato.
- Grazie, Yamaguchi-.
- Prego, Tsukki-.

La mano di Lev tremó leggermente ed il ragazzo sbuffò.
- Lev, mi passi la biro verde?- Yaku allungò la mano verso l'amico, che guardó su tutto il tavolo, senza trovare l'oggetto richiesto.
- Non c'è verde- gli fece notare.
- Si invece, è lì vicino a Kuuro-. Lev sbattè le palpebre un paio di volte.
- Yaku-san... Kuuro-san non è qui-.
Yaku abbassò lo sguardo, cercando di ignorare l'immagine dell'amico moro che lo guardava.
Lev si alzò, andò verso il mobile dove tenevano gli oggetti di cancelleria, prese una biro verde e tornò da Yaku, porgendogli l'oggetto.
- Grazie- mormorò il più basso.
- Cosa stai facendo?- gli chiese Lev, nel tentativo di distrarlo.
- Le mie visioni più ricorrenti, magari possono aiutare il dottore- rispose.
- Immaginavo avresti deciso di farti curare, Yaku-san- commentò Lev.
- Tu no?- il più basso alzó la testa, guardando l'altro.
- Certo che lo farò! Voglio tornare ad avere una vita normale; chi non lo vuole qui?- esclamò l'altro. Lo desideravano entrambi: uscire da lì, rifarsi una vita senza il disagio provocatogli dalle loro malattia, sentirsi liberi.
Ma Yaku sapeva che non valeva per tutti.
- Alcuni dei nostri amici non si sentono accettati dalla società, temono di non riuscire comunque a rincominciare a vivere. Il dottore ha ragione: ci siamo abituati alla vita qui e temo che qualcuno non vorrà lasciarla così facilmente- gli spiegó.
- Io invece sono certo che ne usciremo tutti! Non vedo l'ora di stare con voi fuori da questo posto- affermó.
Yaku non aveva dubbi sul fatto che l'altro intendesse rimanere amico di tutte le persone che aveva conosciuto lì dentro. Non sapeva se fosse un progetto realizzabile, temeva che si sarebbero tutti divisi. Dopotutto si erano incontrati per via di una brutta situazione, e anche se avevano costruito dei bei rapporti sarebbe stato comprensibile se qualcuno avesse deciso di non vedere più gli altri per non doversi ricordare di quel periodo.
Yaku però, davanti al sorriso gioioso dell'altro, non riuscì ad esprimere i suoi timori.
Dopotutto, era certo che Lev non se ne sarebbe andato tanto facilmente. E questo a lui bastava.

- Ho deciso di farmi curare- l'affermazione di Kuuro non stupì Kenma. Sapeva che l'amico aveva sempre odiato quella sensazione di non riuscire a vivere a pieno, e che aveva sempre avuto molto progetti.
- E tu verrai con me- a quelle parole il biondo alzò di scatto la testa del suo videogioco, sorpreso. Bokuto invece se l'aspettava, infatti fece cenno ad Akashi di alzarsi e seguirlo fuori dalla camera da letto di Kuuro, in cui tutti e quattro si erano rintanati, in modo da lasciare i due a parlare da soli.
- Come scusa?- Kenma appoggiò il videogioco sul letto al suo fianco.
- Credevi davvero che ti avrei lasciato qui?- gli chiese il moro, alzandosi dalla sedia. Sapeva bene che all'amico la sua condizione non faceva ne caldo né freddo; ma a lui sì. A lui importava.
- Conoscendoti verrai comunque a farmi visita ogni giorno- borbottò il minore.
- Si, ma preferirei averti lì fuori al mio fianco- affermò Tetsuro. Kenma sospirò.
- Kuuro, sai bene che odio gli sforzi inutili. Non mi metterò a soffrire per guarire da una malattia che non mi cambia la vita-. A Tetsuro faceva molto male sapere che l'amico non si curava di sé stesso, ma decise che quello non era il momento per affrontare il discorso.
- Kenma, siamo sempre stati insieme da quando ci siamo conosciuti. Non ti lascerò in questo posto- affermó nuovamente, inginocchiandosi per portarsi all'altezza dell'altro.
Kenma abbassò lo sguardo: sapeva che, se l'avesse guardato negli occhi, non sarebbe riuscito a dirgli di no.
- Kuuro, sii realista: tu hai dei progetti, io l'unica cosa che sono bravo a fare è giocare ai videogiochi. Stare qui per me sarà molto meglio- mormorò.
- Volevi lavorare in quel settore no? Puoi ancora farlo. Ho dei progetti ma avrò bisogno di te per attuarli lí fuori-.
- Tu sei in gamba anche senza di me- mormorò Kenma. Kuuro era sempre riuscito a fare tutto, ai suoi occhi era una persona fantastica e non aveva di certo bisogno di qualcuno come lui.
Era buffo: Kenma aveva iniziato a fregarsene di sé stesso quando aveva capito di voler vivere solo di fianco a Kuuro; adesso però, stava iniziando a chiedersi se per il corvino non fosse meglio stare senza di lui. Era solo una zavorra, qualcuno che lo seguiva ovunque, senza un vero desiderio o scopo da realizzare, che dipendeva completamente da lui e che probabilmente gli dava anche più fastidio di quanto pensasse. Forse, quella sarebbe stata la situazione ideale per Kuuro di liberarsi di lui.
- Gattino, guardami-. Il cuore di Kenma perse un battito: Kuuro non lo chiamava gattino da anni ormai. Aveva smesso perché lui, per mantenere la sua aria da impassibile, gli aveva detto che era un soprannome stupido; se n'era sempre pentito, ma il suo orgoglio gli aveva impedito di ammetterlo.
Lentamente alzò lo sguardo, incontrando gli occhi di Kuuro; con quella luce, sembravano quasi neri. Un universo infinito in cui Kenma rischiava di perdersi senza volerlo, ma non si sarebbe opposto.
- Adesso dimmi davvero che preferiresti rimanere qui da solo, senza di me, piuttosto che rimanere al mio fianco e rischiare lì fuori-. Kenma avrebbe voluto dirgli che sarebbe stato meglio per entrambi se fosse rimasto lì, ma non poteva mentirgli mentre lo fissava negli occhi. Lo sapeva benissimo anche lui che senza Kuuro non sarebbe riuscito a vivere, neanche in quel posto.
- Per quanto mi riguarda, ti voglio al mio fianco- affermó il moro. Kenma si sentí improvvisamente in colpa per aver pensato che Kuuro avrebbe potuto abbandonarlo: quel ragazzo gli voleva davvero bene, era sempre rimasto con lui e non l'avrebbe di certo lasciato solo. Era un amico molto migliore di quanto lo fosse lui, che aveva dubitato persino di Kuuro.
- Anche io- riuscí ad ammettere.
Tetsuro sorrise, felice: se anche Kenma gli avesse mentito, dicendogli che voleva rimanere lì, allora sarebbe rimasto anche lui. Sapeva che realizzare i suoi progetti non gli avrebbe dato alcuna gioia se non avesse potuto parlarne con Kenma, vantarsi e venire preso in giro del suo migliore amico. Non sarebbe stato lo stesso senza di lui.
Tetsuro sapeva che Kenma aveva paura, e decise che sarebbe stato forte per entrambi: li avrebbe tirati fuori da lì, insieme, a qualsiasi costo.

- Tu cosa farai?- chiese Koutaro. Erano in piedi fuori dalla porta della stanza di Kuuro, appoggiati contro il muro, uno di fianco all'altro, in attesa del momento in cui sarebbero potuti rientrare.
- Per me è indifferente- rispose Keiji. Stare lí significava continuare la vita che stava conducendo in luogo dove poteva stare tranquillo; uscire significava provare qualcosa di nuovo in un mondo dove tutti lo avrebbero guardato male. Per lui, non c'era differenza.
- Io proverò ad uscirne- affermó il primo con un sorriso. A lui piaceva essere una persona allegra, era stanco di quei continui crolli emotivi, del vuoto che sentiva nel petto e dei momenti in cui non poteva essere felice come avrebbe voluto. Voleva tornare il ragazzo spensierato di una volta.
- Lo immaginavo- commentò Keiji.
- Sono certo che anche Kuuro lo farà, e si porterà dietro Kenma- continuó Koutaro.
- Probabile-. Koutaro aveva smesso di cercare reazioni da parte dell'amico quasi subito: gli bastava sapere di venire ascoltato quando parlava. Sapeva che, al momento giusto, Akashi avrebbe manifestato le sue emozioni, se lo sentiva.
- Vieni con noi? Così non ci dovremo separare. Mi dispiacerebbe molto non vederti più- ammise Koutaro, voltandosi verso il moro.
- Una volta che non avrai più la depressione non ti sarò più di alcun aiuto, Bokuto-san. Una persona come Kuuro ti sarà molto più utile per essere felice nella tua vita- Keiji si girò a sua volta. Non voleva essere cattivo o offendere, aveva solo detto ciò che pensava. Solitamente evitava di parlare, ma sapeva che Bokuto ci teneva a sapere cosa pensasse.
- Ti sbagli. Con Kuuro mi diverto molto, ma ho bisogno di qualcuno come te con cui posso sempre parlare e sfogarmi... E che mi riporti con i piedi per terra a volte. E poi Kuuro ha Kenma; e io ho te- affermó. Keiji non capì le parole dell'altro, ma non ci diede molto peso.
- Se pensi che potrò esserti utile, allora lo farò anch'io-. Koutaro fece un sorriso a trentadue denti.
- Evviva! Non vedo l'ora di portarti in tanti bei posti fuori da qui! Ci divertiremo molto insieme!- esclamò. Era da tempo che non pensava al mondo esterno, ma ora la prospettiva di andarci con Akashi lo riempiva di gioia. Non importava cos'avrebbe dovuto passare: aveva deciso di uscire da lì con lui, e così sarebbe stato.

Yutaro osservó il ragazzo nel letto al suo fianco, che gli dava la schiena; dal modo in cui il suo petto si alzava ed abbassava in modo regolare, poteva dedurre che stesse dormendo. Non voleva svegliarlo, data la fatica che faceva a prendere sonno, così rimase immobile a fissarlo, come faceva ogni volta.
Fece vagare lo sguardo sulla pelle chiara dell'amico, studiandone ogni dettaglio e trattenendosi dal dargli un bacio sulla schiena o dall'abbracciarlo.
Sentì il suo corpo fremere e si maledí mentalmente, trattenendosi dal tirarsi un pugno. Avevano finito da appena due ore... Allora perché? Che fosse ancora nervoso per il discorso del dottore?
Sospirò e, cercando di non fare rumore, portó una mano al suo membro, muovendola lentamente nella speranza che gli passasse presto.
Akira, sentendo qualcuno sbuffare, si svegliò di soprassalto. Lentamente, si voltò.
- Non hai ancora finito?- mormorò, notando la mano dell'amico muoversi sotto alle coperte. Kindaichi non rispose. Akira sospirò e, cercando di trovare le forze dentro di lui, allungò una mano sotto le coperte, poggiandola su quella dell'amico.
- Se dobbiamo rifarlo fai tu, sono stanco- mormorò.
A quella frase Yutaro chiuse gli occhi, per non fare notare quanto fossero pieni di lacrime. Perché? Perché era costretto a fare tutto questo proprio a lui? Non era certo così che avrebbe voluto andasse! Avrebbe quasi preferito che l'amico l'avesse bloccato la prima volta; il suo disturbo si sarebbe manifestato molto più frequentemente, ma almeno non si sarebbe sentito così male.
- Mi farò curare- lo disse come se fosse stata una promessa. Smise di muovere la mano, lasciando che Kunimi continuasse, ed odiandosi per il sollievo che il suo corpo provava grazie ai movimenti dell'altro.
- Lo immaginavo-. Ad Akira quello faceva un po' paura. Non era felice che l'amico fosse continuamente costretto a dare sfogo ai suoi bisogni sessuali, ma temeva che guarendo avrebbero smesso del tutto. E non voleva. Sapeva che Kindaichi si sentiva in colpa, me non sapeva cosa dirgli per farlo stare meglio.
- Lo farai anche tu?- gli chiese il più alto, aprendo gli occhi. Doveva trovare un modo per chiedergli scusa, per rimediare a tutto il male che gli aveva fatto.
- Vorrei solo riuscire a dormire- mormorò Akira, iniziando a sentire il braccio stanco.
Yutaro se ne accorse e gli mise la mano sul braccio, come a dirgli che poteva fermarsi.
Akira lo fece, ma in compenso si avvicinò a lui e gli diede un bacio.
Yutaro serrò i pugni capendo che quello era il suo modo per dirgli che poteva farlo, per lui non c'era problema. Non avrebbe mai voluto usare l'amico in quel modo, ma sentiva di non avere il controllo del suo corpo. In un attimo infatti si ritrovò sopra di lui, pronto per fare la cosa che più gli dava sollievo ed allo stesso tempo che lo faceva sentire peggio al mondo.
Akira chiuse stancamente gli occhi per prepararsi a ciò che stava per succedere. Provò a concentrarsi su un unico pensiero: almeno, sarebbe riuscito a dormire un altro po'.

- Quel cavolo di Shittikawa- ringhió Hajime. Era andato in bagno due minuti, e quando era tornato in stanza non c'era più.
Sapeva benissimo che adorava stare in giardino, e stava andando proprio lì per prenderlo a sberle per essersene andato senza dirgli niente.
Lo vide da lontano fermo sotto un albero, che gli dava la schiena.
- Eccoti qui! Perché diamine te ne sei andato, eh Sh...- si bloccó. Quello che aveva davanti non era Toru. Aveva una postura troppo rilassata.
Serrò i pugni e riprese a camminare.
- Oikawa- lo chiamò, fermandosi pochi passi dietro di lui.
- Niente più Shittikawa?- la risata dell'altro fece imbestialire Hajime.
- Tu non sei lui- ringhió. Il castano si voltò.
- Che sguardo truce, Iwaizumi-. Il moro non aveva problemi ad odiare con tutto sé stesso la persona che aveva davanti. Il corpo poteva anche essere lo stesso, ma quello non era Toru Oikawa.
- Vattene Oikawa- ringhiò.
- È triste che mi chiami così, Iwaizumi- si lamentó. Hajime odiava quando quella voce lo chiamava per cognome. Per Toru lui era sempre stato Iwa-chan, dal primo momento. E per quanto fingesse che gli dava fastidio, odiava che quel tipo lo chiamasse Iwaizumi.
- Dovresti usare il nome che mi hai dato tu. Kirai... È molto bello non trovi?- fece un sorriso quasi sadico - significa odio giusto? Proprio come quello che tu provi per me-.
Hajime fece un altro passo verso di lui.
- Se sei qui per vietargli di accettare la cura, sappi che non lascerò che tu gli impedisca di guarire- ringhió. Era stato lui il primo a conoscere quel ragazzo, e lui l'avrebbe fatto sparire.
- Perché dovrei? Anzi, andiamo subito a parlare con il dottore!-. La risposta del castano lasció sorpreso Hajime.
- Cos'hai in mente?-. Kirai fece due passi in avanti, fermandosi di fronte ad Hajime. Si chinò verso il ragazzo, che rimase immobile, con uno sguardo di sfida negli occhi.
- Qualcosa che renderà questa storia molto divertente-.

Takaeda era rimasto con Ukai tutto il pomeriggio e anche tutto il giorno dopo. Alla fine, aveva fatto bene a fidarsi: tutti i ragazzi erano andati da lui.
I primi erano stati Yaku, Lev, Kuuro, Kenma, Bokuto e Akashi, seguiti poco dopo da Hinata e Kageyama. La mattina dopo si erano presentati Oikawa, Iwaizumi, Kindaichi e Kunimi, e poco prima di pranzo anche Tsukishima e Yamaguchi, che avevano spiegato al dottore la situazione del secondo in modo che potesse preparare una terapia che non lo portasse subito a ricordare. Dopo pranzo, il gruppo composto da Daichi, Sugawara, Asahi, Nishinoya, Kyoko e Yachi aveva deciso di provare. E quella sera, incoraggiato anche da Nishinoya, Tanaka aveva accompagnato Ennoshita e deciso di sottoporsi anche lui alla terapia.
- Alla fine aveva ragione dottore: sono venuti tutti- affermò Ittetsu.
- Sono ragazzi intelligenti e maturi, sapevo l'avrebbero fatto- commentó l'uomo, alzandosi dalla sua scrivania. Si ritrovò davanti l'altro, a pochi centimetri da lui, che gli sorrideva.
- Grazie- gli disse. Keishin sentí le guance leggermente calde.
- È il mio lavoro- mormoró.
- Dato che sta per iniziare un percorso con i ragazzi, che ne dice se le offro qualcosa da bere?- propose il più basso.
- Volentieri- rispose il biondo, seguendolo fuori dalla stanza. Alla fine, aveva fatto proprio bene ad accettare.

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Capitolo 6
*** CAPITOLO VI. ***


Keishin sbadiglió, cercando di tenere gli occhi aperti: non aveva praticamente dormito. Alla fine era rimasto sveglio per ore a chiacchierare con Takaeda, ignorando l'inevitabile scorrere del tempo. Il proprietario del luogo era affascinato dalle conoscenze del dottore e continuava a fargli domande; lui dal canto suo si era informato il più possibile sui ragazzi, rimanendo colpito dal modo in cui il moro dimostrasse di tenerci a loro.
Alla fine la serata gli era stata molto utile anche per decidere che tipo di terapia utilizzare con ognuno di loro, ma avrebbe preferito comunque se fosse riuscito a concedersi qualche ora in più di sonno.
Qualcuno bussò alla porta della sua stanza; si infilò una maglietta ed andrò ad aprire la porta.
- Buongiorno dottore- Ittetsunon riuscì a trattenere un piccolo sbadiglio mentre parlava, assumendo un'espressione adorabile.
- Buongiorno direttore- il biondo si spostò per lasciarlo entrare.
- Mi chiami pure Takaeda: dopo ieri sera mi farebbe strana tutta quella formalità- commentò l'uomo, andando ad appoggiare il vassoio sulla scrivania dell'altro, che intanto richiuse la porta.
- Non ha tutti i torti... Allora lei mi chiami pure Ukai. E dammi direttamente del tu- rispose. L'altro fece un piccolo sorriso.
- Volentieri. Noto che stamattina non ha... Non hai ancora firmato- commentó.
- Mi sono appena svegliato- ammise l'altro.
- Mi dispiace, è colpa mia: non avrei dovuto tenerti sveglio così tanto per parlare- si scusó Ittetsu.
- Non è stato un problema; anzi, mi ha aiutato a capire come fare con ognuno dei ragazzi- lo rassicuró il biondo.
- Ti senti pronto ad iniziare?-.
- Dopo una bella tazza di caffè lo sarò- affermó Keishin
- Allora ti lascio a fare colazione, così recuperi le forze!- Ittetsu fece un cenno di saluto e si diresse verso la porta.
- Takaeda- lo richiamò il dottore, facendolo voltare - se vuoi possiamo fare i pasti assieme d'ora in poi-. In quei giorni avevano mangiato ognuno nel proprio studio, impegnati nelle loro faccende. Ma Keishin temeva che sarebbe impazzito a parlare solo con i ragazzi; inoltre, nonostante fosse un tipo decisamente poco mattiniero, in quei giorni aveva notato che parlare con l'altro gli risultava piuttosto semplice. Era una compagnia piacevole e voleva approfittarne, dato che comunque doveva stare lì.
- Volentieri!- sorrise il direttore.
- Allora ci vediamo dopo a pranzo; buon lavoro dottore, metticela tutta- lo salutò prima di uscire.
Keishin non poté non pensare che quei ragazzi erano stati molto fortunati a trovare un luogo simile in cui rifugiarsi: con una persona come lui intorno, chiunque si sarebbe sentito rassicurato. Ed il dottore ora si sentiva più carico che mai per iniziare.

Yutaro aveva già tentato varie terapie e pensava di sapere cosa il dottore gli avrebbe detto di fare. Per questo rimase sconvolto dal foglio che l'uomo gli aveva messo davanti.
Guardò Kunimi, seduto sul divano di fianco a lui: anche l'altro ragazzo sembrava confuso dal foglio che aveva in mano.
- Mi scusi, questo... Cosa significa?- chiese, alzando lo sguardo sul dottore, seduto sulla poltrona di fronte a loro.
- Sono le vostre terapie. A te ho indicato i momenti in cui puoi svolgere atti sessuali, a Kunimi gli orari in cui provare a dormire. Sbaglio o, dopo che avete fatto sesso, riesci a dormire meglio?- fece notare.
Akira si irrigidí.
- Lei come sa che facciamo sesso?- Yutaro sentiva la rabbia crescere dentro di lui. Come aveva fatto quell'uomo a saperlo? Le uniche persone a cui l'avevano detto esplicitamente erano Oikawa e Iwaizumi, anche se erano certi che tutti gli altri lo sapessero; ma era sicuro che nessuno di loro avesse parlato.
- Basta osservarvi per capirlo. Quando le manie di Kindaichi diventano insopportabili sparite in una stanza per almeno tre ore, e dato che non penso che il corpo di Kunimi sia in grado di reggere così tanto ho dedotto che lui si addormenti dopo e riesca a dormire per un po'-.
I due non risposero: non potevano dire altro, il dottore aveva già compreso tutto. Per cui l'uomo continuó con la spiegazione della terapia.
- Farete sesso al pomeriggio, dopo pranzo, in modo che Kunimi si possa riposare, e prima di andare a letto. L'unica altra volta vi è concessa durante la notte, ma solo a patto che Kunimi si svegli da solo. So che sarà dura, ma Kunimi devi cercare di non provare a dormire durante il resto del giorno: un modo per battere l'insonnia è cercare di regolarizzare il sonno. Inoltre, a Kindaichi sarà vietato cedere ai suoi impulsi sessuali mentre tu stai dormendo-.
Entrambi i ragazzi capirono il motivo si quella regola: in quel modo, più Kunimi riusciva a dormire, più Kidaichi avrebbe imparato a controllarsi.
- Per il resto del giorno, per ora, potrai fare come vorrai- continuò Ukai.
- Scusi... Cos'è questa sessione di allenamento mattutino?- mormorò Kunimi.
- Servirà ad entrambi. Tu hai bisogno di riattivare il tuo corpo; ovviamente non ti dico di correre per tre ore di fila, all'inizio basta anche solo un po' di stretching, magari all'aperto. E tu, Kindaichi, devi trovare qualcosa che al momento sostituisca gli atti sessuali tenendo impegnato il tuo corpo. Inoltre così avrete qualcosa di certo da fare la mattina e ci saranno meno possibilità che non rispettiate i vostri orari- spiegò. I due ragazzi non potevano negare che avesse una sua logica. A vedere gli orari scritti sembrava una cosa folle, ma spiegata dal dottore era probabilmente la terapia migliore che avessero mai provato. Il dottore aveva anche scritto loro quali esercizi consigliava per iniziare.
- Ricordatevi che è importante che vi aiutate a vicenda: Kunimi, fai notare a Kindaichi quando sta compiendo qualche atto sessuale senza accorgersene. Kindaichi, tieni sveglio Kunimi durante gli orari in cui non deve dormire- continuó l'uomo. I due annuirono, ormai convinti ad ascoltare qualsiasi consiglio il dottore gli avrebbe dato.
- Un'ultima cosa. Soprattutto all'inizio, abituarsi sarà dura, ma è necessario per poter guarire. La cosa più importante è trovare un obiettivo che vi permetta di andare avanti. Trovate una buona motivazione, e sarete già a metà strada- affermó Keishin.
Yutaro conosceva già la sua motivazione: non voleva più fare del male al suo migliore amico. E ci sarebbe riuscito ad ogni costo.
- Se non avete domande, potete andare-. I due ragazzi si alzarono.
- Grazie dottore- gli disse Yutaro.
- Arrivederci- mormoró Akira, ed entrambi uscirono dalla stanza.
- Cosa vuoi fare?- chiese Yutaro.
Akira fissò il foglio che aveva in mano per un attimo.
- Andiamo in palestra- decise poi.
A Yutaro sfuggì un sorriso: anche prima che gli venisse diagnosticato il suo disturbo, non avrebbe mai pensato di sentire quella frase uscire dalla bocca dell'amico.
Così i due si avviarono insieme verso la palestra.

- Che bello, siamo entrati insieme!- esclamò Koutaro, sedendosi sul divano.
- Come mai questa scelta dottore?- chiese Keiji, accomodandosi anche lui. Ricordava molto bene che il dottore la volta precedente non aveva voluto lasciare entrare insieme le persone, per cui gli sembrava strano che adesso l'avesse addirittura posto come obbligo.
- Stando qui avete imparato a vivere insieme ed avete stretto legami molto forti. Isolarvi con terapie completamente diverse tra loro non sarebbe saggio; preferisco che vi aiutiate a vicenda- spiegò il dottore.
- Lei è veramente una brava persona!- esclamò Koutaro.
- Ti ringrazio. Allora Akashi, ci hai pensato?- chiese il dottore al moro.
Lui annuì: il dottore gli aveva chiesto la scorsa volta se provava qualcosa vicino a Bokuto, e lui in quei giorni aveva provato a starci attento.
- Non lo definirei esattamente provare sentimenti, ma qualcosa cambia- ammise.
- Come immaginavo-.
- Eh? Di cosa parlate?- chiese Koutaro, confuso.
- Bokuto, quanto spesso senti il vuoto?- gli chiese il dottore.
- È sempre qui- il ragazzo si indicò il petto - però cambiano le sue dimensioni-. Ukai annuí.
- Bokuto, tu sei diventato depresso quando le persone hanno iniziato a dirti che dovevi crescere, smetterla di essere sempre così allegro e simili vero?-.
- Esatto-. Koutaro non ricordava esattamente quando avesse iniziato a dare peso a tutte quelle voci; solo si era svegliato una mattina, con un enorme vuoto nel petto e senza voglia di sorridere. Più si sforzava di essere allego come al solito, più il vuoto si allargava. Nessuno sembrava capire quanto stesse male, gli facevano tutti i complimenti perché stava diventando più maturo: ma la sua non era maturità, solo non aveva più le forze di vivere. E aveva iniziato a pensare che anche se non ci fosse stato, agli altri non sarebbe cambiato nulla.
- E Akashi, hai sviluppato la tua apatia perché le persone ti accusavano di non provare sentimenti- riassunse il dottore.
- Si, è partito da lì-.
- Quindi, ricapitolando: abbiamo un ragazzo che farebbe amicizia anche con un sasso e vorrebbe poter essere sempre allegro e spensierato, ma sta male perché tutti gli dicono di crescere. Ed un altro ragazzo che si prende cura delle persone e cui basta avere qualcuno che non lo giudichi solo per la sua espressione e lo accetti per come è fatto-. Keiji annuì, mentre Koutaro assumeva un'espressione confusa.
- In poche parole, penso che la vostra amicizia potrà giovarvi più di qualsiasi chiacchierata con uno psicologo- affermò il dottore.
- Dottore, con tutto il rispetto, se fosse così semplice non pensa che ci sarebbe stato qualche cambiamento in questi tre anni?- fece notare Keiji, mentre dava una leggera gomitata a Bokuto, che stava iniziando a guardarsi intorno senza più prestare loro attenzione.
- Non è mai semplice. In questi anni le vostre malattie non sono migliorate, però avete trovato dei modi per superare i momenti peggiori no?-. Keiji annuì mentre Koutaro tornava a cercare di ascoltare il discorso.
- Voi fin'ora vi siete visti a vicenda come un modo per sopportare; dovete imparare ad essere un modo per superarle invece. Parlate tra di voi, cercate di comprendervi a vicenda il più possibile, aiutate l'altro a tornare libero di sentirsi sé stesso. Due come voi possono sicuramente riuscirci- affermò. E se ci aveva visto giusto, presto l'avrebbero capito anche loro.
- La sua teoria ha senso. E sicuramente provare qualcosa di diverso dalle solite terapie sarà una positivo- commentò Akashi.
- Non ho capito molto, ma significa che rimarrò tanto vicino ad Akashi vero?- Koutaro sorrise.
- Esatto- confermó Ukai.
- Evvai! Proviamoci Aghashi!- esclamò Koutaro. Il moro annuì.
- Va bene-.
- Naturalmente continuerò a vedervi e se aveste bisogno potrete venire a parlare con me- specificó il dottore - ma se non avete domande potete andare-.
- La ringrazio dottore- Keiji si alzò.
- Arrivederci!- lo salutó Koutaro in modo allegro, alzandosi a sua volta e seguendo l'amico fuori dalla stanza.

- Vi starete chiedendo come mai vi ho fatti chiamare insieme- affermò il dottore, mentre i quattro ragazzi sistemavano di fronte a lui.
- Immagino sia perché le nostre situazioni sono simili- mormorò Koushi. Ukai annuí.
- Sia Sawamura che Morosuke soffrono principalmente di deliri ed allucinazioni, oltre ad avere a volte difficoltà a costruire pensieri fluidi. Sugawara ed Haiba...- si fermò un attimo, cercando di capire come mettere giù la frase successiva.
- Sta per dire che alle nostre malattie non c'è una cura vero?- mormorò Suga.
- No, alla demenza e al parkinsonismo non c'è una cura- confermò il dottore.
Yaku si voltò preoccupato verso Lev, che rimase impassibile, mentre Daichi allungò una mano per stringere quella di Suga, che aveva ancora un sorriso triste in volto.
- Tuttavia, voi due non siete malati: il vostro cervello, fisicamente parlando, è a posto. Il vostro assomiglia di più ad un disturbo post-traumatico, perché il vostro cervello si è convinto di avere quelle malattie-.
- Quindi possono guarire, vero dottore?- chiese Daichi. Keishin fece un sorriso.
- Certo che possono-. I quattro ragazzi si rilassarono; Daichi fece per spostare la mano, ma Koushi gliela strinse più forte.
- Sugawara, tu hai sviluppato questi sintomi a seguito di un incidente stradale. Lev, tu dopo che un tuo amico si è fatto male a causa tua vero?-. Lev si irrigidí: non ne aveva mai parlato con nessuno, neanche lì. I dottori gli avevano sempre appioppato medicine, guardandolo meno degli altri data la sua situazione strana, e non aveva mai avuto bisogno di parlarne.
- Esatto- rispose Koushi, al posto di entrambi.
- Quello che voi dovete riuscire a fare è capire alla vostra mente che non siete malati. Vi sentite in colpa per quello che è successo e pensate di meritarvelo; il vostro compito - il dottore indicò Daichi e Yaku - sarà aiutarli a capire che non è così. Il vostro invece- indicò Sugawara e Lev - sarà aiutare i vostri amici a tenere a bada le loro emozioni. Le allucinazioni, che sono il principale sintomo di entrambi, derivano da qualcosa che noi vorremmo o qualcosa di cui, al contrario, odiamo la presenza. Dovrete fare in modo di farli seguire le loro emozioni senza che esse si manifestino- spiegó.
- Penso di avere capito- affermò Daichi.
- Ti toccherà sopportarmi ancora più di prima- lo avvisó Koushi con un sorriso. Un sorriso che, Daichi ne era certo, neanche la più fedele allucinazione sarebbe riuscita a riprodurre.
- Hey, perché mi abbandoni con lui?- si lamentó Yaku, indicando Lev.
- Perché lui potrebbe perderti, io sono abituato a guardare in basso- ribattè il mezzo-russo, guadagnandosi un pugno sul petto e facendo ridere gli altri due.
Keishin fece un piccolo sorriso: era felice di essere riuscito a farsi capire. Era certo che quei ragazzi sarebbero riusciti a guarirsi a vicenda: quello che gli serviva era solo una piccola spinta per capirlo.

- Allora Yamaguchi, dato che ancora non puoi iniziare una terapia, mi assisterai nell'aiutare Tsukishima- affermò il dottore.
- Volentieri- Tadashi fece un sorriso: era stato sorpreso quando il dottore l'aveva convocato comunque, ed era molto felice di quella notizia. Voleva essere d'aiuto al suo migliore amico il più possibile.
- Qual'è la terapia?- chiese Kei.
- Devi riabituarti lentamente al contatto fisico. Inizia con Yamaguchi, che è il ragazzo a cui sei più vicino. Prendetevi proprio dei momenti in cui vi mettete uno di fronte all'altro e provate ad avvicinarvi lentamente. Non fermarti al primo tremore, ma ovviamente non arrivare ad avere una crisi. Fatelo sempre in momento in cui ti senti bene e Yamaguchi, so che non lo faresti, ma non coglierlo di sorpresa o potresti peggiorare le cose- spiegò.
- Ricevuto- affermò Tadashi.
Kei annuì: riuscire ad aiutare davvero Yamaguchi era il suo principale obiettivo, e sapeva che così ci sarebbe riuscito.
Tadashi dal canto suo era felice ed orgoglioso di poter essere il principale aiuto del suo migliore amico, e ce l'avrebbe messa tutta per aiutarlo.
- In base a come andrai tu, poi parleremo di come aiutare Yamaguchi- affermó il dottore. Farlo adesso era inutile: entrambi i ragazzi dovevano concentrarsi sull'aiutare Tsukishima a guarire, in modo che lui poi potesse diventare il sostegno di Yamaguchi.
- Certo- mormorò il biondo.
- Se avrete bisogno di altro, venite pure da me; per ora è tutto-. I due ragazzi si alzarono.
- Passi una buona gironata dottore!- auguró Takashi.
- Arrivederci- salutò Kei, ed entrambi uscirono dalla stanza.

- Mi sembri più tranquilla oggi Yachi- commentò il dottore mentre le due ragazze si accomodavano. La bionda arrossì appena, sentendosi in colpa per la poca fiducia che aveva mostrato la volta precedente verso l'uomo.
- Quando c'è Kyoko mi sento più calma- ammise la ragazza.
- È probabilmente dovuto al fatto che è una persona di cui ti fidi. Tra l'altro, Shimizu la volta scorsa mi ha raccontato che voi due non avete mai avuto un attacco insieme-.
Hitoka annuì, e anche Kyoko. La mora era una ragazza che parlava poco, ma con la bionda le veniva facile aprirsi. Per questo non aveva avuto problemi a raccontarle della domanda che le aveva fatto l'uomo.
E Hitoka era più che felice di avere quel privilegio: sentiva anche lei di aver trovato una persona di cui potersi fidare davvero.
- È per questo che ci ha chiamate insieme?- chiese Kyoko. Sugawara gli aveva raccontato brevemente la tecnica che aveva deciso di utilizzare con loro il dottore, per cui la ragazza non era rimasta sorpresa quando l'uomo l'aveva fatta entrare insieme all'amica.
- Esatto: immagino che abbiate già parlato con i vostri amici dei miei metodi-. Entrambe le ragazze annuirono.
- Bene, così sarà più facile. Yachi, voglio che aiuti Shimizu a capire cosa le faccia venire attacchi d'ansia per imparare ad anticiparli. Da quello che so il tuo disturbo, Shimizu, è iniziato per via delle troppe aspettative che sia di che gli altri riponevate su te stessa. Potrebbe essere che le situazioni in cui sento di avere la responsabilità di qualcosa ti facciamo sentire male. Yachi, il tuo altro compito sarà aiutarla a non affrontare tutte le responsabilità da sola in modo che la paura di deludere gli altri non la sovrasti- spiegò il dottore.
Hitoka annuì: l'avrebbe fatto più che volentieri.
- Lasci fare a me- si voltò verso l'amica e le sorrise; anche Kyoko fece un piccolo sorriso.
- Per quanto riguarda te Shimizu: finché Yachi è qui dentro, è dura che il suo disturbo si manifesti veramente. Dovresti, magari anche chiedendo aiuto agli altri, aiutarla ad abituarsi a stare in mezzo alla folla. Falla stare anche tanto in giardino, deve abituarsi agli spazi più aperti. Una volta che in quei momenti non avrà problemi e che fu starai meglio, chiederò il permesso per portarvi fuori- riprese l'uomo.
- Va bene- accettó Kyoko.
Hitoka solitamente si sentiva male solo a pensare di stare in mezzo alla folla, ma in quel momento era tranquilla; sentiva che, se ci fosse stata Kyoko al suo fianco, in qualche modo sarebbe andato tutto bene.

L'uomo guardò fuori dalla finestra e vide una figura uscire nel giardinetto interno. La osservò portare le braccia al cielo, come per stiracchiarsi, e gli spuntó in sorriso: il dottore doveva stare lavorando veramente tanto.
Era sempre più convinto di aver fatto bene a chiamarlo: i suoi metodi non erano come quelli di tutti gli altri. Lui non voleva essere solo uno psicologo, voleva essere anche un genitore che insegnava ai suoi ragazzi come camminare sulle proprie gambe ed aiutarsi a vicenda.
In fondo, quello era anche l'obiettivo di Ittetsu: solo che lui aveva dei limiti. Era felice di essere riuscito a dare una casa a dei ragazzi bisognosi, ma si era sempre sentito in colpa per non aver potuto fare altro. Adesso invece era più tranquillo: sentiva che riunire quei ragazzi lì era stata la scelta migliore.
Non li poteva aiutare davvero, ma almeno aveva fatto qualcosa per loro. Sperava che non se ne sarebbero dimenticati.
Vide l'uomo biondo voltarsi ed alzare lo sguardo verso la finestra. Ittetsu pensava non avesse notato che lo stava fissando, dato che erano ad una bella distanza, ma quando il dottore gli fece un cenno di saluto capí che si sbagliava.
Arrossendo leggermente per essere stato beccato, si alzò dalla scrivania e si avvicinò alla finestra.
- Come sta andando?- gli chiese. Cercò di non urlare, dato che sapeva che avrebbe potuto disturbare alcuni ragazzi, ma parlò a voce abbastanza alta da essere udito dall'altro uomo.
- Stanno reagendo tutti molto bene; sono a più di metà del lavoro- gli rispose. Ittetsu sorrise.
- Ne sono felice- affermò. Keishin guardó l'orologio che aveva al polso.
- Devi rientrare: di vediamo a cena!- lo salutò.
- Certo, a dopo!-.
Keishin entrò, sentendo le sue forze rinnovarsi: dopo quella breve chiacchierata, era pronto per rincominciare.

- Come sta dottore? Mi sembra in forma! Anche se l'ho vista tornare tardi nella sua stanza!- commentó Yu, sorridendo. L'uomo spalancó la bocca.
- E tu come lo sai?!-.
- Oh, Nishinoya a volte la notte ha bisogno di muoversi o non riesce a dormire- spiegó Asahi.
- Esatto! Siete rimasti nello studio di Takaeda fino a tardi vero? Che avete combinato?- il ragazzo fece uno sguardo ammiccante.
- Parlato di voi, nient'altro! Che vorresti insinuare?-.
Asahi, vedendoli bisticciare in quel modo, non poté fare a meno di sorridere.
- Nishinoya, le faccende private del dottore non sono affare nostro- gli fece notare.
- Però è divertente- ridacchiò il più basso.
- Siamo pronti per iniziare, dottore- affermò Asahi. L'uomo annuì.
- Nishinoya, per la tua iperattività, so che è difficile ma devi riuscire a importi del limiti-.
- Che genere di limiti?-. Il dottore gli passò un foglio.
- Per un po', questo sarà il tuo programma giornaliero. Potrai allenarti un certo numero di ore al giorno, per altre dovrai fare un'attività che ti tenga impegnata anche la mente. Da una certa ora della notte ti sarà proibito andare in giro. Azumane, tu dovrai aiutarlo a rispettare questa tabella e a non distrarsi-.
- E io cosa dovrò fare per lui?- chiese Nishinoya, che stava iniziando ad essere interessato alla discussione.
- Azumane, quante volte al giorno ti procuri lesioni?-.
- Ecco io...-.
- Si rifà i tagli sulle braccia ogni volta che passano, tira pugni al muro quando non riesce a fare qualcosa, se vede una pentola bollente vi appoggia la mano e prima di ogni pasto o quando dobbiamo unirci tutti insieme si stringe il collo fin quasi a soffocare-. Sia Asahi che Keishin rimasero molto sorpresi: il secondo perché era la prima volta che vedeva un'aria così seria sul volto di Nishinoya, il primo perché non si aspettava che il ragazzo si ricordasse così bene tutto quello che lui faceva ormai senza pensarci.
Yu tenne lo sguardo fisso sul dottore, in attesa di capire cosa potesse fare per aiutare l'amico, ignorando lo sguardo di quest'ultimo. In quegli anni aveva imparato quasi a memoria i gesti del ragazzo, anche se non era mai riuscito a fermarlo. Adesso intendeva rimediare.
- Capisco...- mormorò il dottore, iniziando a scrivere qualcosa su un foglio, che poi passó ad Asahi.
- Come per ogni cosa, è importante smettere con pazienza, costanza e senza avere fretta. Inizia diminuendo pian piano; Nishinoya, obbligalo a seguire queste indicazioni. Inoltre, fagli notare ogni volta che si sta facendo qualche lesione, anche solamente infilandosi le unghie nelle mani o cose simili. E aiutalo a trovare un motivo per cui valga la pena vivere senza farsi del male- spiegó Ukai. Asahi ascoltó il discorso, sempre tenendo però lo sguardo su Nishinoya, che ancora teneva lo sguardo fisso ed aveva un'aria severa.
Quando il dottore finì di parlare, sorrise.
- Agli ordini! Pronto ad iniziare, Asahi-san?- si voltò verso l'amico, che annuì.
- Vedrai, troverò un modo per farti tornare la voglia di provare!-.

- È bello che siamo qui tutti insieme!- commentò Shoyo, sedendosi tra Kageyama e Kenma. Kuuro si mise sul bracciolo del divano di fianco al biondo.
- È perché le malattie di Kenma e Hinata sono simili vero? Vuole ripetere la situazione che ha creato con il gruppo di Yaku- commentó Kuuro.
- Esattamente. Partiamo proprio da voi due, Hinata e Kozume. Per entrambi, ho preparato delle diete da seguire. Hinata, evita di mangiare fuori pasto e vomita massimo due volte al giorno, per ora. Kageyama, tienilo d'occhio tu-. Tobio vide l'amico stringere in pugni mentre annuiva. Sapeva che per lui sarebbe stato difficile: in realtà, non credeva neanche che avrebbe voluto cambiare la sua condizione. Ma il più basso sembrava determinato, e lui avrebbe fatto di tutto per aiutarlo.
- Kozume, oltre a seguire la dieta dovresti cercare di limitare i micromovimenti di mani e piedi agli orari che ti ho scritto sul foglio. Kuuro, aiutalo ovviamente. E anche tu, cerca di vomitare il meno possibile. Le diete che vi ho scritto sono fatte apposta per riportare lentamente il vostro corpo ad abituarsi ad assimilare la giusta quantità di cibo- spiegó. Sia Kenma che Kuuro annuirono.
- Ora, passiamo a Kageyama. Vorrei concentrarmi innanzitutto sul problema che hai nel relazionarti con gli altri, dovuto alla tua fissa della perfezione. Hinata, vorrei che tu lo aiutassi partendo da piccole cose; deve imparare a mantenere la calma e abituarsi alle cose fastidiose ed agli errori. Lo conosci meglio di me, quindi saprai sicuramente cosa lo fa innevrosire: aiutalo a riacquisire il controllo di sé stesso- riprese.
- Conti su di me!- esclamò Hinata, sorridendo e voltandosi verso Kageyama.
- Anche tu: conta su di me. Chiaro Bakageyama?-.
- Non chiamarmi così- borbottó il moro, ma in fondo era grato di avere il piccoletto al suo fianco.
- Ed infine, parliamo di Kuuro- il dottore spostò l'attenzione sul più grande, che annuì.
- So che Kozume può prevedere la tua derealizzazione e fermarla, la maggior parte delle volte-.
- Esatto- confermó il moro.
- Hai mai avuto momenti in cui non riuscivi a riconoscerti allo specchio o le persone intorno a te?-. Tetsuro serrò le labbra.
- Qualche volta-. Quando aveva scoperto della malattia di Kenma gli era successo la prima volta; le successive, molto rare, erano accadute sempre quando il bassino aveva avuto dei problemi.
Non lo specificó, ma il dottore lo capì dai suoi occhi e dallo sguardo di Kenma che si abbassò improvvisamente.
- Conosci le cause dei momenti in cui derealizzi?- gli chiese.
- No- ammise il ragazzo.
- Allora il vostro obiettivo principale sarà scoprirle. E intanto, Kuuro: la derealizzazione accade quando si sente che c'è qualcosa che non va nella propria vita e si vorrebbe cambiare, o lasciarla. Trovate un motivo per rimanere voi stessi; aiutatevi a trovarlo- parlava con tutti i ragazzi, non solo più con Kuuro e Kenma, e loro lo capirono.
E alla fine, tutti cercavano qualcosa per cui valesse la pena uscire da lì. Qualcosa che non sapevano di aver già trovato.

- Non mi sembri molto felice di essere qui, Tanaka- commentò il dottore.
- È che... Non sono molto convinto che qualcosa potrebbe funzionare. Però i miei amici mi hanno fatto notare che tentare non costa nulla quindi...- mormorò.
- Ennoshita-.
- Agli ordini-.
Ryu non capì finché non sentí la mano dell'amico colpire la sua nuca.
- Ahia!- si lamentó.
- Tu esci da qui con me chiaro? Non ammetto repliche- affermó Chikara, lanciandogli uno sguardo che non ammetteva repliche.
Ryu annuì, stupito dalla decisione dell'amico. Si sentì in colpa: sapeva che per lui era molto importante riuscire a guarire, e probabilmente il poco entusiasmo che lui stava dimostrando non lo aiutava. Per cui, sorrise.
- Ci dia ordini dottore!- esclamò, voltandosi di nuovo verso l'uomo, che fece un piccolo sorriso.
- Ennoshita, tu devi innanzitutto capire come mai pensi che una persona potrebbe tradirti o essere un sosia. Ti lascerò una lista di esercizi di fiducia da fare per rincominciare a fidarti delle persone, poco alla volta; ovviamente tu Tanaka dovrai stargli vicino per dargli sicurezza- spiegó il dottore.
Entrambi i ragazzi annuirono.
- Per Tanaka...- il dottore fece un respiro profondo - ami qualcuno?-. La domanda lasciò sorpresi entrambi.
- Kyoko-san è fantastica!- esclamò il pelato con un sorriso; che sparí non appena vide l'espressione seria del dottore.
- No, non amo nessuno-. Sentì le sue mani iniziare a tremare leggermente ed una fitta trapassargli la testa.
- Chiudi gli occhi- mormoró Chikara, prendendogli le mani tra le sue e lanciando uno sguardo preoccupato al dottore.
- Tanaka. Ti affido solo un compito-. Nonostante il mal di testa, Ryu aprì gli occhi e fissò il dottore.
- Sfogati. Prenditi un momento per buttare fuori tutti i tuoi pensieri. Smetti di rifiutare qualsiasi parte di te tu stia rifiutando. Nessuno ti giudicherà qui. Hai di fianco a te un amico disposto a tutto per aiutarti: non avere paura-.
Ryu annuì flebilmente ed il dottore spostò lo sguardo su Ennoshita.
- Portalo pure fuori per calmarsi- gli disse. Il ragazzo annuì, aiutò l'amico ad alzarsi ed insieme uscirono dalla stanza. Chikara abbracciò l'amico, che ancora non smetteva di tremare.
- Va tutto bene; non dobbiamo parlarne adesso se non vuoi. Sono qui, va bene?-.
Ryu annuì e provo a convincersene: andava tutto bene. Lì era al sicuro.
Alla fine, riuscì a calmarsi.
- Grazie- mormoró, guardando l'amico, che gli fece un sorriso.
- Vuoi andare in palestra?- gli chiese lui. Il ragazzo annuì e seguì Ennoshita lungo il corridoio.

- Buongiorno dottore, come sta?- chiese Oikawa, sedendosi.
Al dottore bastò uno sguardo per capire che c'era qualcosa che non andava: Iwaizumi era molto più nervoso di altre volte, anche se cercava di nasconderlo, ed Oikawa aveva una strana ombra negli occhi.
- Come ti chiami?- gli chiese. Oikawa sbatté le palpebre, fingendo un'aria confusa.
- Cosa intende? Io sono...-.
- Kirai. Kirai Oikawa- intervenne Hajime. Il castano sorrise.
- Iwaizumi mi ha scelto proprio un bel nome vero? Si vede che ci tiene a questo corpo- commentò, quasi ridendo.
- Taci; volevo solo impedirti di usare il suo nome- sibiló Hajime. Kirai stava prendendo il controllo troppo spesso negli ultimi tempi, e non andava per niente bene. Era peggiorato anche il suo nervosismo.
- Vorrei parlare con Oikawa Toru- affermò il dottore.
- Lei sa che qualsiasi cosa dirà lui la saprò anch'io vero?- commentó il castano.
- Si, ma voglio che senta anche lui la terapia che voglio utilizzare con Iwaizumi. Finché non l'avrò fatto non potró lasciarvi uscire- affermò. Kirai sorrise.
- Mi piace il suo temperamento; spero di rivederla presto- chiuse gli occhi.
Quando li riaprí si guardò intorno, confuso; Ukai trattenne un sospiro di sollievo.
- Iwa-chan, quando siamo arrivati qui?- chiese Toru, voltandosi verso il moro.
Hajime dovette quasi trattenere le lacrime nel vedere che il suo amico era tornato.
- Siamo appena arrivati; il dottore stava per parlarci delle terapie- gli spiegó.
- Oh; prego dottore, ci illumini!- esclamò il castano, guardando Ukai e sorridendo.
Hajime però sapeva che non stava bene; sapeva che l'amico odiava che l'altro avesse così tanto controllo su di lui, odiava non sapere cosa faceva quando l'altro prendeva il controllo, odiava la disgustosa sensazione di essere completamente inferiore ed impotente in confronto all'altro.
Hajime lo sapeva, e lo sapeva anche il dottore; ma avevano anche capito entrambi che Toru non era pronto per parlarne, e non volevano di certo forzarlo.
- Iwaizumi, devi imparare a controllare le tue emozioni per evitare scatti improvvisi d'ira o d'ansia. Parti con metodi semplici, come contare prima di parlare o agire; Oikawa, voglio chiederti di tenerlo d'occhio e di fargli notare ogni volta che perde il controllo senza motivi validi. Inoltre, ti darò da fare alcuni esercizi in palestra per sfogarsi da ripetere ogni giorno per sentirti meglio- spiegò.
- Va bene- acconsentí Hajime.
- Oikawa... La tua seconda personalità è probabilmente nata nel tentativo di compensare le tue insicurezze. Devi imparare, nei momenti in cui provi emozioni negative o troppo forti, a controllarle, un po' come Iwaizumi, per dargli meno campo libero. Hai un ragazzo che è sempre al tuo fianco, sfogati con lui quando hai bisogno e fatti aiutare a combatterlo-.
Toru sentì un po' di paura crescere dentro di lui: sapeva che Kirai era più forte. In tutti quegli anni era cresciuto, e aveva acquisito sempre più controllo: respingerlo non sarebbe stato così semplice.
- Lo farà- affermò Hajime. Toru lo guardó, sorpreso, ed il moro si voltò verso di lui.
- Lo faremo-.
A Toru sfuggì un sorriso.
- E se lo dice Iwa-chan, ce la faremo per forza!- esclamò.
Il dottore sorrise.
- Finché rimarrete insieme, sono certo che sarà così-.

- Andata bene con tutti i ragazzi?- chiese Ittetsu, mettendosi un bocca un pezzo di carne.
- Hanno accettato tutti le terapie che ho proposto loro: adesso bisogna vedere come andrà- commentò il dottore.
- Sono certo che le tue terapie funzioneranno- affermó il primo.
Keishin annuí, ma non gli sembrava molto convinto.
- Cosa succede dot... Ukai?- gli chiese il direttore. Il biondo sospirò e spostó lo sguardo verso la finestra.
- La maggior parte dei disturbi e delle malattie si sviluppano per via di vari disturbi post-traumatici, o in generale per traumi che rimangono da quando siamo bambini. Io voglio che quei ragazzi ricordino e accettino quei traumi: i miei consigli e le mie terapie non serviranno se non ci riusciranno. Anche per questo ho insistito perché si aiutassero a vicenda. Il modo migliore per stare bene, per stare davvero bene, è riconoscere i propri traumi e sconfiggerli-.
- Teme che non ci riescano?- chiese Ittetsu.
- So che possono riuscirci. Ma accettare i propri traumi è difficile, e quei ragazzi non sono più abituati ad affrontare praticamente nulla. Dovranno superare crisi molto pesanti e momenti in cui saranno vicini ad arrendersi. Preparati, sarà dura anche per te vederli soffrire- mormoró, riportando lo sguardo sull'uomo davanti a lui.
- Non devi preoccuparti per me: sapevo a cosa andavo incontro quando ho aperto questo luogo. Anzi, se avrai bisogno di qualcuno con ho parlare, non esitare a cercarmi: a volte le persone sottovalutano il fatto che spesso chi aiuta è il primo ad aver bisogno di aiuto- affermò. Ukai ormai si era abituato alla gentilezza di Takaeda, ma rimase comunque sorpreso da quella frase.
- Allora la stessa cosa vale per lei- affermó; l'altro arrossì.
- Vuole un po' di birra?- chiese, nel tentativo di distogliere l'attenzione del dottore dal discorso.
Keishin sapeva benissimo qual'era l'intento di Takaeda, e lo lasciò fare, annuendo in risposta alla sua domanda. Dopotutto non era un suo paziente, era un suo amico; non avrebbe indagato nella sua vita se l'altro non l'avesse voluto. Gli era sorta la curiosità però, e non potè fare a meno di osservare l'uomo mentre si voltava per prendergli la lattina di birra. Sapeva che l'altro l'aveva notato dal modo in cui le sue guance diventavano sempre più rosse, ma non desistè per questo.
Quell'uomo lo incuriosiva in modo diverso da tutte le persone che aveva incontrato nella sua vita, e sperava che un giorno avrebbe potuto sapere di più su di lui.
Sapeva però che quel momento era ancora lontano: per cui, per quella sera, si limitò ad accettare la lattina che l'altro gli offriva e passare una piacevole serata con lui.

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Capitolo 7
*** CAPITOLO VII. ***


Ittetsu sbirciò della sala da pranzo, non trovando niente di diverso dal solito. Il dottore lo aveva avvisato che probabilmente, dopo i primi giorni, i ragazzi avrebbero iniziato a manifestare qualche sintomo, come in una dipendenza. Infatti, dopo lo smarrimento iniziale la mente ed il corpo avrebbero iniziato a provare a respingere la terapia. Se loro fossero riusciti a superare quei giorni, allora sarebbe stato tutto più semplice.
Guardandoli da lontano, tutti i ragazzi sembravano stare bene; ma in effetti, davanti a lui erano sempre sembrati stare bene.
Ma Ittetsu sapeva perfettamente che i momenti peggiori sono quelli in cui nessuno ti osserva.

- Asahi-san, ti prego calmati- Yu strappò la lametta dalle mani dell'amico.
- Nishinoya, ridammela- gli impose quest'ultimo, voltandosi verso di lui con aria seria.
- No: le tue braccia stanno già sanguinando-. In quei giorni, Yu aveva fatto come gli era stato detto: aveva tenuto Asahi lontano dalla cucina, e aiutava lui ad apparecchiare o cucinare, dato che era nei lavori che gli aveva dato da fare il dottore per imparare a mantenere la concentrazione su cose semplici. Aveva fatto notare all'amico ogni volta che si torturava le mani, ed ora stava cercando di evitare che si riempisse nuovamente di tagli. Sembrava stesse funzionando. Ma quella mattina, Asahi ad un certo punto era come impazzito; finita la colazione era corso nel bagno della sua camera, e quando Nishinoya l'aveva raggiunto aveva visto due lunghi tagli sulle sue braccia, da cui usciva sangue.
- Non è abbastanza! Ti prego...-.
- Si che lo è-.
- Non è vero, non puoi capire! Ho bisogno del dolore!-.
- Perché?-.
- Perché è l'unico modo in cui capisco di essere vivo!-.
Yu non seppe come rispondere a quella frase. Sapeva il motivo per cui Asahi aveva iniziato a farsi del male, ma non ne avevano mai parlato in quel modo.
Il più grande del canto suo sentiva di star perdendo il controllo: aveva l'impressione che tutto attorno a lui stesse perdendo di significato. Parlava e scherzava con i suoi amici, ma allo stesso tempo avvertiva una strana sensazione farsi strada dentro di lui. Sentiva addosso sguardi di persone che non erano lì, e ogni volta che vedeva gli altri divertirsi anche mentre non c'era cresceva in lui la consapevolezza di essere inutile, che anche se non ci fosse stato non sarebbe cambiato nulla.
- Tu sei vivo, Asahi-san: sei vivo, e sei qui con tutti noi. Non hai bisogno di farti del male- Yu addolcì il tono, pur rimanendo pronto a reagire ad un eventuale nuovo scatto dell'altro.
- Non è vero, non puoi capire. Io non servo a niente: non ho capacità particolari, non so aiutare le persone, non so proteggere nessuno. Vengo costantemente giudicato per il mio aspetto, faccio paura alle persone che non mi conoscono e quelle che mi conoscono pensano sia un buono a nulla. Io non servo a niente, a nessuno importa davvero di me-. La sua mente aveva come cancellato gli ultimi tre anni, riportandolo al periodo della sua vita in cui nessuno lo aveva accettato, a quando farsi del male era diventato l'unico modo per non farla finita. Perché lui non voleva farla finita, voleva ancora provarci; ma aveva bisogno di sapere che ne valeva la pena. Aveva bisogno di soffrire per sentirsi vivo.
- Questo è l'unico modo che ho per continuare a vivere. Ti prego Nishinoya, dammi quella lametta- allungò una mano verso l'alto. Il più basso arretró di un passo ed appoggió la lametta sul suo polso. Asahi sbarrò gli occhi.
- Cosa stai facendo?!-. Yu fece un sorriso triste.
- Adesso capisci cosa provo ogni volta- sussurrò, alzando lo sguardo su di lui.
- Se vuoi parlare di non essere accettati, be' eccomi qui. Da quando ero bambino ho sempre amato muovermi: si lamentavano tutti del fatto che fossi sempre attivo e di come rompevo loro le scatole perché giocassero con me. I miei genitori mi facevano continue ramanzine sul fatto che non dovevo disturbare gli altri bambini, e li vedevo scusarsi perennemente con i genitori degli altri per qualcosa che non capivo: io volevo semplicemente avere qualcuno con cui giocare. Mio nonno è stato l'unico ad assecondarmi: nonostante la sua età, trovava sempre il modo di stare con me e farmi fare qualcosa insieme a lui. E così, sono cresciuto con dei genitori che mi chiedevano continuamente di smettere di essere sbagliato; non ho mai avuto veri amici perché più cercavo di essere socievole più loro si allontanavano con la scusa di non riuscire a stare al mio passo, che era solo un modo per dire "sei troppo scalmanato per stare con noi". L'unica cosa che desideravo era avere qualcuno con cui divertirmi, qualcuno con cui poter sfogare tutta la mia energia senza dovermi trattenere. Quando anche mio nonno se n'è andato, ho temuto che per me sarebbe stata la fine. Mi sono ritrovato completamente da solo. Perciò, se tu dici che provare dolore è l'unico modo per riuscire a vivere... Allora forse dovrei farlo anch'io-. Nishinoya spostó lo sguardo, concentrandosi sulla lametta che aveva in mano.
Non aveva paura del dolore, ma non sapeva cosa sarebbe successo se l'avesse fatto.
Mentre stava iniziando a premere leggermente però, una mano si poggió sulla sua ed alzó lo sguardo, trovandosi di fronte gli occhi lucidi di Asahi.
- Perdonami- sussurrò il più grande.
- Asahi-san...- Yu non si aspettava quella reazione.
- Scusami, sono stato insensibile. So che anche tu hai sofferto per non essere accettato, e non siamo gli unici qui; sono stato egoista. Però ti prego, non farlo: tu non sei più solo. Io... Amo vederti correre in giro, amo l'emozione che dimostri davanti ad ogni cosa, amo l'energia che trasmetti a tutti quelli che ti stanno intorno- mentre parlava, Asahi tolse delicatamente la lametta dalle mani dell'altro, appoggiandola poi sul ripiano del bagno.
- Ci sono io adesso: non devi più trattenerti- allungò le braccia, stringendo a sé il più piccolo, che dopo un attimo di stupore ricambió l'abbraccio.
- Hai visto? Sei riuscito a fare un discorso lungo senza distrarti. Stai già migliorando no?- Asahi iniziò a muovere lentamente la mano sulla schiena dell'altro.
- Però... Secondo me l'importante è che impari a controllarti e a concentrarti quando serve, ma per il resto non voglio che tu perda la tua vivacità. Amo vederti sempre così energico-. Stava ripetendo la parola "amo" molte volte in quel momento. Ma si tratteneva ancora.
Yu a quelle parole sentí i suoi occhi riempirsi di lacrime; strinse la maglietta del più grande mentre affondava il volto nel suo petto, quasi come per aggrapparsi a lui.
- Anche tu Asahi-san. Anche tu non devi trattenerti. Tu sei la persona più buona e gentile del mondo; non devi pensare di non valere niente. Con Ryu e Shoyo mi diverto molto, però con te mi sento al sicuro. Non voglio che tu te ne vada- mormorò.
Asahi lo strinse più forte: era la prima volta che qualcuno gli diceva di restare con lui.
- Non me ne andrò-. Non voleva certo abbandonare quel ragazzo apparentemente così piccolo e fragile, ma che molte volte gli aveva dimostrato di essere più forte di lui.
Però in quel momento aveva bisogno di lui: Nishinoya si stava impegnando davvero, provava a sfogare tutta la sua energia durante gli esercizi in palestra o quando camminavano in giardino, mentre si sforzava di rimanere concentrato quando disegnava, giocava a qualche videogioco o aiutava ad apparecchiare. L'aveva sentito chiedere a Kinnoshita e Narita, i due volontari che aiutavano Takaeda a cucinare e svolgere altre attività, se poteva aiutarli a cucinare in modo da riuscire a rimanere concentrato su qualcosa di importante.
- Però, io ora non ho altro modo per sentirmi in vita. Sto provando a smettere, lo sai: ma mi serve qualcos'altro che mi faccia sentire vivo o non riuscirò ad uscirne-.
Yu rimase in silenzio. "Posso essere io". Avrebbe voluto dirglielo, ma non ci riusciva. Non voleva imporgli di usarlo come motivo, doveva volerlo lui.
Staccó la testa dal suo petto ed alzó lo sguardo, fissandolo negli occhi, cercando qualcosa da dirgli.
Asahi non poté non sentirsi in colpa nel vedere che aveva quasi fatto piangere una persona come Nishinoya; non voleva più vedere quell'espressione sofferente sul suo volto, né rischiare che si facesse del male.
Stava cercando qualcosa da dirgli quando sentì bussare alla porta.
- Avanti- rispose Asahi, staccandosi dall'abbraccio e dirigendosi in stanza.
Yu si asciugó velocemente le lacrime prima di seguirlo.
Nella stanza entrarono Suga e Daichi.
- Nishinoya, Tanaka ti cerca- lo informó il secondo - ti accompagno-.
- Arrivo-.
- Noi vi raggiungiamo tra un attimo- affermò Asahi.
Nishinoya e Daichi annuirono ed uscirono dalla stanza mentre il ragazzo tornava in bagno, seguito da Suga.
- Come stai?- gli chiese Koushi.
- Meglio- ammise, mentre prendeva le bende dall'armadietto del bagno; per fortuna non aveva fatto in tempo a farsi tagli troppo profondi ed avevano già smesso di sanguinare.
- È un ragazzino fantastico vero?- commentò Koushi. Aveva notato che l'amico ultimamente aveva meno segni e non poteva che esserne felice.
Asahi fece un sorriso.
- Si: è veramente incredibile. Probabilmente, in qualche momento, è riuscito a contagiarmi con la sua voglia di vivere-.

- Eccomi qui! Chi ha bisogno del grande Nishinoya?!-. Chikara osservò il piccoletto entrare nella stanza insieme a Daichi ed avvicinarsi a lui e Tanaka. Lo analizzò, cercando di trovare un qualsiasi particolare fuori posto.
- Oh Noyassan! Grazie per essere arrivato subito- gli disse Tanaka.
- La stanza di Ennoshita non è lontana da quella di Asahi-san- fece notare il bassino.
- Io aspetto fuori- affermó Daichi, uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
- Cosa devo fare?- chiese Nishinoya.
In quei giorni Chikara, con l'aiuto di Tanaka, aveva iniziato a imprimersi nella mente ogni dettaglio delle persone che aveva intorno, una specie di allenamento per riuscire a riconoscere ogni singola possibile cosa fuori posto per aiutarlo a capire meglio se fossero sosia o meno.
Adesso, era arrivato il momento di iniziare a testare la sua fiducia verso gli altri. Avevano deciso di partire da Nishinoya perché i rari momenti in cui Tanaka non c'era Ennoshita stava con lui, e capitava che stessero tutti e tre insieme, soprattutto in palestra, quindi era uno di quelli che conosceva meglio. Ed il fatto che Tanaka si fidasse ciecamente di lui aiutava il ragazzo.
- Devi metterti alle spalle di Ennoshita; lui si lascerà cadere e dovrei prenderlo. All'inizio stagli praticamente attaccato, poi pian piano aumenteremo le distanze: è un esercizio che serve per la fiducia- spiegó Tanaka.
- Ma che figata! Ennoshita, mi metto alle tue spalle- avvisò Nishinoya. Il moro annuì e l'altro si spostò dietro di lui, mentre Tanaka gli si mise davanti.
- Sono qui va bene? Nishinoya non ti lascerà cadere, e se dovesse succedere qualcosa ti prenderò io- lo rassicuró. Avevano scelto la camera di Ennoshita nella speranza che anche l'ambiente lo aiutasse a rilassarsi.
- Va bene- acconsentí il ragazzo - devo tenere gli occhi chiusi?-.
- La prima volta puoi tenerli aperti, poi ci lavoreremo- affermo Tanaka.
- Allora andiamo- mormorò Chikara. Sentì l'ansia farsi largo dentro di lui, ma il volto sorridente di Tanaka gli diede il coraggio necessario; aprí le braccia e dondoló leggermente, per poi sbilanciarsi all'indietro.
Trattenne il respiro, ma subito sentí le braccia esili ma forti di Nishinoya afferrarlo e tirarlo su.
- Come sei leggero!- esclamò il ragazzino, facendo sorridere Chikara.
- Bravissimo! Adesso prova con gli occhi chiusi, va bene? Io non mi sposto da qui- affermò Tanaka. Chikara annuì e chiuse gli occhi, preparandosi a ripetere l'operazione.
Ryu osservó l'amico mentre si lasciava cadere più volte, rassicurato dopo ogni presa da frasi di incoraggiamento da Nishinoya, e non riusciva a non pensare a quanto fosse fiero di loro. Si stavano entrambi impegnando, e non erano gli unici; avrebbe voluto riuscirci pure lui. Il dottore gli aveva detto di sfogarsi, di buttare fuori tutto: ma lui non sapeva cosa dovesse buttare fuori. Sapeva già che era insicuro di sé stesso, ma non gli veniva in mente altro.
Continuava però a pensare alla strana domanda che gli aveva fatto il dottore: gli aveva chiesto se amasse qualcuno. In qualche modo, aveva capito che quella per Kyoko era un'adorazione profonda, ma non amore. In realtà neanche Ryu sapeva come mai non fosse innamorato di quella ragazza, ai suoi occhi così perfetta: sentiva semplicemente che i sentimenti che provava per lei non poteva definirsi "amore".
Ma Ryu non ricordava una volta nella sua vita in cui era stato innamorato, quindi comunque non capiva il senso della domanda.
- Dev'essere divertente! Sappi che dopo voglio fare a cambio- affermó Nishinoya, dopo aver preso il ragazzo per l'ennesima volta, distraendo Ryu sai suoi pensieri.
- Va bene- rise Chikara. Sentiva ancora l'ansia dentro di lui, ma era anche tranquillo.
Si fermarono più o meno a metà percorso, quando il corpo di Ennoshita iniziò a tremare troppo forte perché il ragazzo riuscisse a controllarlo.
- Sei stato bravissimo; grazie dell'aiuto, Noyassan- lo ringrazió Tanaka.
- Quando volete!-.
Ryu sorrise: era felice di avere degli amici così fantastici che gli volessero bene. Avrebbe dovuto iniziare anche lui a volersi bene.

- L'aria fresca fa proprio bene vero?- Shoyo si lanciò a pancia in sú sul prato, all'ombra di un albero, sorridendo.
Tobio si sedette al suo fianco e fissò l'amico mentre parlava: Hinata aveva deciso di provare a resistere al suo vizio di rimettere il cibo ingerito dopo pranzo. Sapeva che non sarebbe riuscito a resistere tutta la notte, e non farlo la mattina sapendo che avrebbe potuto farlo poco dopo a pranzo non sarebbe servito.
Così, appena finito di mangiare cercava sempre di tenersi occupato. Per il momento ci stava riuscendo, agevolato anche dalla dieta pensata per lui dal dottore. A volte gli veniva comunque fame fuori dai pasti, o il pensiero di stare mangiando troppo. Ma grazie a Kageyama stava riuscendo a mantenere il controllo.
Per Tobio invece, non era così facile imparare a relazionarsi con gli altri. Hinata aveva chiesto a Yachi di provare a parlare un po' con Tobio liberamente; al moro la ragazza di per sé non stava antipatica, la considerava comunque una delle persone più sopportabili lì dentro. Eppure, parlandoci a lungo non aveva potuto fare a meno di sentirsi irritato dal continuo balbettare della ragazza, dal fatto che arrossiva perennemente o dal suo modo di essere a volte fin troppo gentile. E se gli succedeva con lei, figuriamoci con altre persone che considerava irritanti solo a vederle...
Hinata però continuava a ripetergli che era normale che, nel conoscere una persona, si notassero così tanto i suoi difetti all'inizio; ma che con il tempo si sarebbe abituato e non gli avrebbe più dato fastidio. Tobio si faceva forza con quel pensiero, aiutato anche dal fatto che il più basso fosse sempre al suo fianco, pronto a bloccare qualsiasi suo scatto d'ira o d'ansia.
- Kageyama, secondo te sono grasso?-. Tobio rimase sorpreso; non tanto dalla domanda, ma dal tono. Era raro che lo chiamasse per cognome senza storpiarlo con il baka, accadeva solo quando uno dei due stava male. E in quel momento lui si sentiva a posto.
- No Hinata, non sei grasso: sei magro-. Si trattenne dal dire "troppo magro" per paura che il ragazzo reagisse male.
Il più basso fece un sorriso triste.
- Non mi avresti chiamato Hinata se lo pensassi davvero- sussurrò mentre si alzava.
- Forse dovrei diminuire le dosi- mormorò, mentre puntava lo sguardo sull'interno della struttura, più o meno nel punto in cui c'era il bagno.
Kageyama si alzò di scatto.
- Non farlo. Ti sei imposto delle regole no? Hai detto anche tu che ti sembrava stesse funzionando; non puoi mandare tutto all'aria ora-.
- Però io... Mi sento gonfio...- mormorò l'arancione, facendo un passo in avanti. Velocemente, la mano di Tobio scattó, avvolgendosi attorno al polso dell'altro e fermando la sua avanzata.
- È normale sentirsi un po' gonfi dopo aver mangiato- affermò il moro. Quel finto sorriso però non accennava a lasciare il volto e più basso. E Kageyama odiava vedere quell'espressione più di quanto odiasse qualsiasi altra cosa.
- Solo una volta... Per favore...- mormorò Shoyo; senza aspettare una risposta, provó a liberarsi dalla presa dell'altro. Sentiva bisogno di liberarsi da qualsiasi cosa fosse di troppo in lui, o non si sarebbe dato pace.
Si sentì strattonare e si trovò con la schiena contro un albero, con Kageyama davanti a lui.
- Lasciami!- provò a dimenarsi ed a spingerlo via, ma l'altro lo afferró per il bavero della maglietta e lo spinse nuovamente contro l'albero.
- Non ti mollerò finché non ti sarai calmato, dovessimo rimanere qui fino a cena!- urlò Tobio. Era arrabbiato, voleva che Hinata lo ascoltasse, ma dallo sguardo pieno d'odio dell'altro capì che qualsiasi cosa avesse detto sarebbe stata fraintesa. Ma non intendeva comunque lasciare la presa.
- Cosa diamine te ne frega a te? Non ti è mai importato che lo facessi!-.
- Certo che mi importava, ma non volevo vederti stare ancora peggio!-.
- Non mentire! Ti servo solo per calmarti no? Allora lasciami fare ciò che voglio! Tanto una volta che sarai guarito ti libererai comunque di me no?-.
Tobio a quelle parole si bloccó, tanto che Hinata riuscì a liberarsi il polso.
- Chi te l'ha detto? È stato Kindaichi? Tsukishima?- mormoró.
- Non me l'ha detto nessuno- Shoyo distolse lo sguardo - ma è l'unico motivo per cui mi stai vicino no? Io non sono ancora perfetto, non potrei stare al tuo fianco se non ne avessi bisogno- mormorò.
Tobio rimase per un attimo in silenzio. Lui e Hinata si insultavano spesso era vero, e sapeva di fare schifo a parlare con le persone; ma pensava che il piccoletto avesse capito che ci teneva comunque a lui. Invece, si era tenuto dentro quei dubbi per tutto il tempo.
- Prima ti ho chiamato Hinata per farti capire che non stavo scherzando- mormoró, lasciando andare la sua maglietta, anche se l'altro continuava a non guardarlo.
- È vero che sei imperfetto: tu sei troppo magro, hai le guance troppo scavate e spesso il tuo sorriso è troppo triste. Però sei la prima cosa imperfetta che non mi dà fastidio nella mia vita-. Shoyo, sorpreso da quella rivelazione, voltò leggermente la testa, guardandolo con la coda dell'occhio.
- Sono felice di averti incontrato, e non solo perché grazie a te riesco a trattenermi. Anzi, penso ci sia un motivo se proprio tu hai questo potere su di me. Da un lato la cosa mi irrita, ma in fondo sono felice che sia tu- disse tutto quasi in un sussurro, come se avesse paura delle due stesse parole. Dopotutto, non ne aveva mai parlato neanche con sé stesso.
- Se vorrai andare non ti fermerò, non ne ho il diritto. Però se anche tu sei felice di avermi incontrato, se vorresti uscire da qui insieme a me e continuare questo nostro strano rapporto... Allora rimani qui- concluse.
Dopo un attimo di silenzio, Shoyo sospirò e si voltò: il bisogno di sentirsi diverso si era leggermente affievolito. Pensó che se a lui andava bene così, forse poteva andare bene anche a sé stesso.
- Non lo farò- fece un piccolo sorriso - solo per non vanificare il tuo sforzo di essere tenero- affermó.
- Bokè! Io non sono tenero!- ringhiò. Hinata scoppiò a ridere; Tobio rimase quasi incantato da quel suono, troppo allegro per i suoi gusti, ma che allo stesso tempo era davvero perfetto.
- Grazie piccolo- Tobio parló senza accorgersene; aveva appena pensato di dirgli grazie, ma una cosa completamente diversa era uscita dalle sue labbra.
Shoyo sentendo quelle parole si sentì diventare completamente rosso e distolse nuovamente lo sguardo.
- Baka, non sono così tanto più basso di te- borbottó, mentre cercava di calmare il battito del suo cuore.
Tobio sorrise.
- Si invece; e se arrossisci così sembri ancora più piccolo- affermó.
- E piantala!- Shoyo si voltò verso di lui e lo fulminó con lo sguardo, nonostante si sentisse ancora caldo - ho ancora tempo per crescere-.
- Nah, preferisco che tu rimanga piccolo bokè-.
- Così puoi prendermi in giro a vita?-.
- Così posso fare questo- Tobio afferrò i fianchi di Hianata e lo sollevò, mentre piegava leggermente le gambe per agevolarsi nell'azione di farlo sedere sulle sue spalle.
Shoyo, dopo un primo urletto di sorpresa, scoppiò nuovamente a ridere.
- Visto? Adesso sono più alto- affermò.
- Solo per merito mio- borbottò Tobio.
- Dai, andiamo a prendere in giro Tsukishima!- esclamò Shoyo, ignorando le proteste dell'altro. Non si era mai sentito spensierato come in quel momento.
Tobio si lasciò sfuggire un altro sorriso.
- E va bene; andiamo-.

- Iwa-chan, tra poco si cena- avvisò Toru, guardando l'amico.
- Finisco la serie- rispose lui, tirando su nuovamente il peso che teneva in mano. Toru non poté fare a meno di fissarlo: sapeva bene che il suo amico era sempre stato muscoloso, dopotutto lo conosceva da quando erano bambini; ma in quegli anni non si era praticamente allenato. Eppure gli erano bastati pochi giorni per recuperare la sua splendida forma fisica. Ed il fatto che si allenasse senza maglietta faceva uno strano effetto a Toru, che per qualche motivo non riusciva a distogliere lo sguardo da lui.
Hajime appoggiò il peso e si infilò la maglietta: il dottore aveva ragione, sfogare la sua rabbia e frustrazione in palestra lo stava aiutando. Tuttavia, c'era ancora qualcosa che lo faceva sentire sempre nervoso.
- Che hai da fissare?- chiese, raggiungendo l'amico. Toru si accorse in quel momento che lo stava ancora guardando.
- Niente; andiamo- rispose, superandolo.
- Shittikawa- lo richiamò Hajime. Oikawa si voltò.
- Che c'è Iwa-chan?- gli chiese.
Hajime lo fissó: nel suo amico c'era qualcosa di strano.
- Che succede?- gli chiese.
- Che succede? In che senso?-.
Hajime non sapeva come dirgli dell'ombra che era passata nei suoi occhi: Kirai.
Toru lo capì vedendo che l'amico non rispondeva.
- Sto bene Iwa-chan, tranquillo-. Ma mentre lo diceva, sentí come un colpo nella sua testa. Avvertì la paura farsi largo dentro di lui.
Hajime notó l'amico sbarrare gli occhi e comprese che aveva capito anche lui.
- Toru. Guardami-.
Toru avrebbe voluto farlo, ma sentiva che il corpo non rispondeva più ai suoi comandi. E stava anche iniziando a tremare.
Hajime agí senza rifletterci troppo: alzò la mano e tirò uno schiaffo ad Oikawa.
Il castano rimase immobile, sorpreso.
- Sappi che se gli lasci prendere il controllo, appena torni ti pesto- affermó.
A Toru sfuggì un sorriso e sentí il suo cuore calmarsi.
- Mi hai fatto male Iwa-chan- si lamentó, portandosi una mano sulla guancia colpita.
- Così impari a farmi spaventare- affermó l'altro, dirigendosi verso la porta. Si fermò prima di uscire dalla stanza.
- Non mentirmi più. Sono qui per te dopotutto-.
Toru non comprese appieno quella frase: pensava che l'amico interesse che sarebbero rimasti insieme per sempre, e gliene era più che grato. Non immaginava che Hajime avesse compreso una verità molto più profonda; una verità che Kirai stava usando da tempo contro entrambi, senza lasciare che nessuno dei due se ne rendesse conto.

- Gattino, vuoi farti la doccia?- Tetsuro uscì dal suo bagno e lanciò uno sguardo al biondo che, seduto sul letto, stava giocando con la console.
- Tra un attimo- gli rispose lui. Tetsuro notó il lieve movimento che stavano compiendo i suoi piedi; avevano stabilito la regola che quando giocava poteva muovere le mani, ma non i piedi, per cui gli si avvicinò e vi poggiò sopra le mani per fermarli.
Kenma alzò di scatto la testa, sorpreso, e se ne pentí subito: Kuuro indossava solo un asciugamano. Era abituato a vederlo in quello stato, dopotutto da bambini avevano anche fatto il bagno insieme. Ma vederlo così all'improvviso gli aveva fatto perdere qualche battito.
- Stai attento, cerca di pensarci- gli disse Tetsuro, alzando lo sguardo. Notó che l'amico era leggermente rosso, ma pensó fosse perché lo aveva appena ripreso.
- Va bene- mormorò Kenma - finisco la partita e vado a lavarmi-.
- Allora intanto mi asciugo i capelli- affermó il moro, staccandosi da lui e tornando in bagno.
Kenma fece dei respiri profondi: sentiva ancora il suo battito accelerato. Maledetto Kuuro, come osava fargli quell'effetto? In qualche modo gliel'avrebbe fatta pagare. Adesso però aveva altre cose di cui occuparsi, come il lieve senso di nausea che provava da un paio di giorni. Lui non vomitava spesso quanto Hinata, ma ogni tanto ne sentiva comunque la necessità, e non potermi fare lo faceva a sentire a disagio. Stava cercando di sforzarsi, perché voleva assolutamente uscire di lì con Kuuro. Però... Era dura. Per questo stava cercando di concentrarsi principalmente su un'altra cosa: aiutare il suo migliore amico. Ancora doveva imparare a capire in quali momenti avvenisse la derealizzazione e fermarla prima che potesse accadere.
Tetsuro, in quel momento, si trovava proprio in quella situazione. All'inizio non se n'era accorto, si stava semplicemente sfregando i capelli con un asciugamano. Poi, guardando nello specchio di fronte a lui, gli sembrò di vedere un altro sé stesso.
Cercò di aggrapparsi a qualcosa, nel tentativo di rimanere nel suo corpo, ma le sue mani continuavano a sfregare i suoi capelli come se niente fosse. Il suo pensiero corse a Kenma: doveva raggiungerlo. Lui poteva salvarlo. Era il suo unico modo per rimanere sé stesso.
Vide il bassino entrare in bagno e dirgli qualcosa, anche se non sentiva cosa. Provò ad aprire la bocca per chiamarlo, ma non uscì alcun suono.
Vide Kenma strappare via l'asciugamano dalle sue mani e prendere una mano tra le sue. Sentì anche lui un lieve calore in quel punto e vi si aggrappò con tutte le forze: doveva tornare da lui. Kenma si stava impegnando per rimanere al suo fianco, doveva farlo anche lui.
Fissò il suo corpo dallo specchio: quello era il suo corpo. Doveva riprenderselo. Doveva tornare da Kenma. In quel momento non aveva altri sentimenti oltre al desiderio di rivederlo; riconosceva solo quello in lui stesso.
Iniziò a sentirsi pesante, e non capì bene come ma un attimo dopo era tornato nel suo corpo.
- Stai bene?- gli chiese Kenma, preoccupato. Tetsuro lo abbracciò e sentì il suo corpo tremare.
- Questa volta ho temuto...- mormorò.
- Lo so. Ma sei tornato da me no?- sussurrò il biondo.
Kenma aveva percepito qualcosa di strano nel modo in cui Kuuro aveva iniziato a camminare, ed aveva fatto bene a seguirlo. Non era riuscito a prevenire la derealizzazione, ma almeno lo aveva riportato indietro. Lo avrebbe sempre riportato da lui.

Keishin si stiracchiò: anche per quel giorno, aveva finito. Aveva notato dei cambiamenti nei ragazzi, stavano tutti seguendo i suoi consigli. Quel giorno c'erano stati i primi segni di vacillamento da parte di alcuni, ma niente che non fossero riusciti a risolvere da soli.
Gli sfuggì un sorriso: quei ragazzi erano veramente fantastici.
Sentì qualcuno bussare la sua porta ed andò ad aprire.
- Buonasera, andata bene la tua giornata?- chiese Ittetsu, entrando nella stanza.
- Come al solito. E la tua?- rispose Keishin, chiudendo la porta. Adesso, era arrivato il suo turno di rilassarsi.

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Capitolo 8
*** CAPITOLO VIII. ***


La mattina dopo, Ukai si svegliò per via di alcune grida che lo fecero scattare a sedere. Si guardò intorno confuso, e per un attimo pensó di esserselo immaginato. Poi sentì un altro urlo; si alzò e corse alla finestra.
Più o meno dall'altra parte della struttura, c'era una finestra aperta: era la camera di Yaku.

- Yaku-san, ti prego calmati!- urlò Lev.
- Lasciami Lev, devo andare a fermarli! Kuuro! Sugawara!-. Yaku guardò in basso: in giardino, c'erano Kuuro e Sugawara. Ognuno dei due aveva in mano una pistola e la stava puntando contro l'altro. Doveva andare a fermarli ad ogni costo, prima che uno dei due commettesse un errore irreparabile.
- Non c'è nessuno lì Yaku-san! Ti prego torna dentro!- Lev iniziava a sentire le braccia fargli male. Ma se avesse lasciato l'amico, esso si sarebbe buttato giù dalla finestra.
- C'è uno scivolo, non vedi? Fammi andare!-.
Il corpo di Lev iniziò a tremare: doveva tenerlo. Non poteva lasciarlo andare. Non di nuovo.
Strinse la presa sulla maglietta e tirò Yaku verso di sé, circondandolo con le braccia. Per quanto fosse piccolo, Yaku era molto forte, di sicuro più di lui, a cui stava iniziando a tremare tutto il corpo.
- Lev mollami!-. Il mezzo-russo scosse la testa e cercò di aumentare la presa. Sapeva che le sue allucinazioni sarebbero potute peggiorare se non avesse dato loro retta per un po', ma non aveva mai raggiunto quei livelli, era sempre riuscito a calmarlo prima.
Quella mattina invece, quando si era svegliato Yaku era già davanti alla finestra intento a chiamare i suoi due amici.
Sentì la porta alle sue spalle aprirsi.
- Lev che sta succedendo?-. La voce di Kenma: allora con lui...
- Kuuro, stai calmo- sentì mormorare dal biondo.
Lev voltó appena lo sguardo, e notò che Kuuro si stava guardando le mani con sguardo assente.
- Vedere il suo amico in questo stato gli sta procurando una derealizzazione. Kozume, portalo via- il dottore entrò velocemente nella stanza, dirigendosi verso la finestra e chiudendola, per poi piazzarvici davanti.
- Perché mi ostacolate? Lasciatemi andare!- Yaku non capiva cosa stesse succedendo. Aveva sentito dei rumori alle sue spalle, ma non ci faceva caso: gli importava solo raggiungere i suoi amici. E quello sconosciuto davanti a lui glielo stava impedendo, così come il ragazzo che considerava amico alle sue spalle.
- Haiba, fallo voltare: se lo toccassi anch'io potrebbe impazzire di più, devi riuscirci da solo- ordinò il dottore.
- Mi fa male il corpo...- mormorò Lev.
- È tutto nella tua testa. Vuoi aiutarlo si o no?-. Lev serrò le labbra ed annuì.
Raggruppó tutta la forza che aveva e si voltò, lentamente, facendo girare Yaku con sé.
- Lasciami! Smettila! Devo andare da...- Yaku si bloccó di scatto. Davanti a lui, c'era Sugawara.
- Sugawara, stai bene? Non eri...-.
- Sono qui, tranquillo- rispose il ragazzo, avvicinandosi. Mise una mano sulla spalla di Yaku.
- Vedi? Sono qui: sono quello vero. È tutto a posto-. Yaku sentí la testa girargli e chiuse gli occhi, smettendo di agitarsi.
- Per fortuna...- mormorò. Lev, non dovendo più utilizzare la sua forza per tenerlo fermo, si accasciò sul pavimento.
Ukai superó i due ragazzi, facendo cenno a Sugawara di seguirlo fuori dalla stanza, chiudendo poi la porta alle sue spalle.
Lev chiuse gli occhi: ce l'aveva fatta. Non l'aveva lasciato andare. Ci stava riuscendo. Poteva farcela.
- Mi dispiace- mormorò Yaku. Lev aprì gli occhi per voltarsi verso di lui.
Yaku si era appoggiato allo schienale del letto, e fissava un punto davanti a sé. Aveva appena realizzato che quello che aveva visto era impossibile: i suoi amici non si sarebbero mai puntati delle pistole contro, non si sarebbero mai allontanati senza Kenma e Daichi e non c'erano scivoli per andare in giardino. Era stata tutta un'illusione.
Iniziò leggermente a tremare: non voleva. Non voleva vivere di nuovo un'esperienza simile. Non voleva più vedere i suoi amici in pericolo e fare preoccupare gli altri.
- Quando ero più piccolo, facevo ginnastica artistica-. Yaku si voltò verso Lev, confuso, non capendo come mai glielo stesse dicendo. Adesso il più alto era seduto anche lui contro il letto, lo sguardo puntato sul muro di fronte.
- Dato che avevo le braccia lunghe, mi facevano afferrare la gente dopo i salti o durante il trapezio, o cose simili. Una volta, durante una prova importante... Non so cosa fosse successo, ero nervoso probabilmente, sta di fatto che non sono riuscito a prendere il mio compagno. È caduto, fratturandosi entrambe le gambe. Dopo mesi di terapia è riuscito a tornare a camminare, ma non è più potuto tornare a volteggiare. Quando l'ho scoperto... Sono iniziati i sintomi-.
Lev si voltò verso il ragazzo più basso.
- Sono felice di non averti fatto cadere, Yaku-san- dichiarò con un piccolo sorriso.
Yaku non sapeva come, ma sentire l'altro parlare l'aveva tranquillizzato.
- Grazie Lev, mi hai salvato la vita- sussurró.
- Ti terrò ogni volta che sarà necessario, Yaku-san- affermò.
Yaku sorrise; si sollevò leggermente e lasció un bacio sulla guancia dell'altro, che spalancó la bocca e divenne completamente rosso.
- Fai tanto il grande ma ti imbarazzi come un bambino eh?- borbottó Yaku, ridendo.
- Mi hai solo colto alla sprovvista! E poi anche tu sei rosso, Yaku-san!- protestò l'altro.
- Non è vero!-. Si, era vero.
- Si invece, diventi rosso ogni volta che ti faccio un complimento, ma sono bravo e non te lo faccio notare!-.
- Io non arrossisco per i complimenti!-.
- Ah no? Stavo proprio per dirti che sei molto forte-.
- Davvero? Grazie-.
- Sei rosso!-.
- E smettila!- Yaku tirò un pugno sul petto di Lev.
- Ahia!- si lamentó il secondo, massaggiandosi il punto colpito.
Yaku sorrise: no, decisamente non sarebbe mai riuscito a riprodurre l'illusione di una persona simile.

Kei mise le cuffie sulle orecchie di Yamaguchi e fece partire una registrazione di lui che suonava, sperando lo calmasse.
Lui dormiva sempre con le cuffie, eppure l'urlo di Yaku era riuscito a svegliarlo comunque; per cui immaginava quanto potesse essersi spaventato l'amico.
Osservò il suo corpo tremante, le mani premute contro gli occhi, il respiro affannato: la stessa posizione di quella volta. E come quella volta, non stava riuscendo a fare niente.
In quei giorni ci aveva provato. Lui e Yamaguchi si erano seduti sempre più vicini, avevano provato a mettersi uno davanti all'altro ed allungare le mani per toccarsi e altre cose simili. Eppure, non stava funzionando. Niente sembrava funzionare.
Tadashi sentiva tutto il suo corpo tremare. Quelle urla sembravano averlo scosso nel profondo, ed anche se adesso erano cessate non riusciva a smettere di piangere. Sentiva delle urla nella sua testa, dei rumori forti, e vedeva Tsukki, più piccolo di qualche anno, immobile a fissarlo con sguardo sconvolto. Non riconosceva la situazione, ma sentiva il panico insinuarsi dentro di lui e non riusciva a controllare il suo corpo. Provò a concentrarsi sulla registrazione che aveva nelle orecchie, ma il suono gli giungeva ovattato: più cercava di raggiungerlo, più sentiva le urla.
Sentì quella musica cessare e tutto sembrò farsi ancora più rumoroso. Altre grida, di molte persone diverse, un forte rumore di qualcosa che cade, Tsukki che lo fissa. Tutto questo continuava a ripetersi nella sua mente in loop, senza aggiungere dettagli che gli facessero capire la situazione ed allo stesso tempo senza lasciarlo uscire.
Tadashi strinse le mani, se le premette ancora di più sulla faccia, nel tentativo di scacciare quelle immagini, che diventavano man mano più vivide.
Poi, in mezzo alle urla, la sentì: una melodia dolce, un suono armonioso che spazzò via tutto quanto.
- Hai lasciato scoperte le orecchie per questo vero? Perché ti raggiungessi con questa-. Tadashi sentì la voce di Tsukki ed aprí leggermente le dita. In qualche momento, il biondo aveva preso la pianola portatile che teneva in camera e si era messo a suonare.
- Mi dispiace Yamaguchi, io non posso abbracciarti o darti conforto. Ma posso toccare il tuo cuore con questa-.
Kei continuó a suonare, cercando di metterci tutti i suoi sentimenti. Si sentiva inutile perché non poteva fare niente per l'amico, ma sapeva che quello non era il momento di pensarci: doveva fare capire a Yamaguchi quanto ci tenesse a lui, che anche se non poteva toccarlo era lì, che non l'avrebbe mai lasciato solo. Che gli era grato per quello che aveva fatto.
Tadashi sentì il suo corpo calmarsi, cullato dalla dolce melodia della pianola, e tornò a respirare normalmente.
- Va meglio?- gli chiese Kei, una volta finito di suonare, voltandosi verso di lui. Si era seduto di profilo, temendo che guardandolo in faccia l'amico avrebbe potuto avere un altro attacco. Erano vicini, qualche centimetro e le loro ginocchia si sarebbero sfiorate; Tsukki era al limite della vicinanza che poteva avere in quel momento.
Facendo molta attenzione a non toccarlo, Tadashi allungò una mano verso la pianola. Kei trattenne per un attimo il respiro; sapeva che l'amico non l'avrebbe mai toccato senza chiederglielo, ma non capiva cosa volesse fare.
Tadashi poggiò la mano sullo strumento e premette dei tasti a caso, quelli a cui riusciva ad arrivare senza doversi sporgere troppo. Sorrise al biondo che lo guardava confuso.
- Hai visto? Ci siamo toccati. Tu hai toccato la pianola, e poi l'ho toccata io: indirettamente ci siamo toccati- affermò con un sorriso.
Kei si sentì come una persona che si trova in una stanza buia ed è felice perché qualcuno gli ha appena acceso la luce, prima di realizzare che si tratta di un'esplosione.
Osservó il sorriso del ragazzo davanti a lui. Era stato Yamaguchi ad avere un attacco, era stato Yamaguchi ad aver sofferto, era Yamaguchi a star pagando le conseguenze dell'averlo salvato. Allora perché era sempre Yamaguchi a consolarlo? Perché anche in quel momento stava cercando di tirarlo su di morale?
Kei si sentì schiacciare dal senso di colpa. Non era giusto, era sempre Yamaguchi ad impegnarsi per entrambi. Se non l'avesse avuto al suo fianco, non sarebbe riuscito a fare niente.
Kei si ritrovò a pensare che forse, se non ci fosse stato lui, Yamaguchi sarebbe potuto essere felice.

- Sei pronta Yachi?- Kyoko si voltò verso l'amica, che fece un respiro profondo ed annuì.
- Possiamo provarci- affermò. Yachi ebbe un piccolo sussulto quando sentì la mano dell'altra ragazza afferrare la sua prima di aprire la porta.
Dovette coprirsi per un attimo gli occhi per via del sole, mentre il suono di molte voci le riempiva le orecchie.
Yachi conosceva quel giardino, c'era stata varie volte, e sapeva che le persone che vi si erano radunate erano tutti suoi amici. Ne mancava qualcuno, come Yamaguchi, che era meglio tenere lontano dai rumori forti, soprattutto perché quella mattina aveva già avuto una crisi, ed in quel momento era a sentire Tsukki suonare il pianoforte.
Però lei ora non doveva pensare che fossero i suoi amici: doveva immaginarsi di essere in un luogo sconosciuto, in mezzo a persone che non aveva mai incontrato.
Visualizzò il suo obiettivo: la porta dall'altra parte del cortile. Doveva solo raggiungerla senza avere un attacco di panico. Poteva farcela.
Sentì Kyoko iniziare a camminare e, dato che le loro mani erano ancora unite, fu costretta a seguirla. La mora l'aveva fatto solo per dare una spinta iniziale all'amica, ma poi si adattò al suo passo. Era consapevole che fossero state le continue aspettative su di lei a dare inizio ai suoi attacchi, ed anche in quel momento sapere di essere l'unica in grado di aiutare Yachi la rendeva nervosa, si sentiva la responsabilità addosso e aveva paura di fare un errore che facesse del male all'amica.
Eppure, in quel momento era Yachi a stare affrontando le sue paure, non lei: doveva essere forte per entrambe, almeno in quel momento.
Yachi teneva un'andatura lenta. Cercava di concentrarsi solo sulla porta che aveva davanti, senza guardare i volti delle persone intorno a lei, o ascoltare i loro discorsi. Fissava solo quella porta, la sua ancora di salvezza.
Anzi no, la sua ancora di salvezza era al suo fianco, le stava tenendo la mano. La porta era più un rifugio, un luogo sicuro dove entrambe avrebbero potuto riposare.
In quei giorni aveva cercato di togliere più peso possibile dalle spalle di Kyoko, in modo da farle capire che non dipendeva tutto da lei e che era pronta ad aiutarla in ogni momento.
Voleva uscire da lì con lei, andare a fare shopping insieme, fermarsi in gelateria per fare quattro chiacchiere, andare in spiaggia e fare molte altre cose insieme. Per farlo, doveva riuscire ad affrontare le sue paure ed aiutare Kyoko a fare lo stesso.
Dopodiché, sarebbero state libere.
Si rese conto di essere arrivata solo quando sentì un applauso alle sue spalle.
- Sei stata bravissima Yachi-san!- esclamò Hinata, andando verso di loro.
- Grazie!- Yachi sorrise, felice: era un piccolo passo, ma era riuscita a compierlo.
- Bokè, lasciale riposare adesso!- lo riprese Kageyama, avvicinandosi a sua volta.
- Adesso mi chiami Bokè eh?- borbottó Hinata, ma si allontanò comunque con lui.
- Sei tranquilla?- chiese Kyoko, voltandosi verso l'amica.
- Si: grazie a te è stato più semplice di quanto pensassi- ammise la bionda, voltandosi a sua volta.
Kyoko a quel ringraziamento sincero si sentì come se un piccolo peso di responsabilità si fosse sollevato dal suo petto.
- Ne sono felice- affermó, ed il sorriso di entrambe si allargò.
Le loro mani erano ancora intrecciate.

- Ti ricordi quando ieri Hinata e Kageyama sono entrati nella stanza e si sono messi davanti a Tsukki per fargli vedere che erano più alti? Sono certo che Tsukki gli avrebbe tirato un pugno se avesse potuto!- Koutaro scoppió a ridere al ricordo della scena. Lui e Kuuro subito dopo erano andati da Tsukki a dirgli che magari se Kageyama lo avesse irritato abbastanza avrebbe potuto superare la sua fobia tirandogli un pugno.
- Alla fine io ed il mio bro ci siamo presi gli insulti- si lamentó il ragazzo.
- È stata una scena inusuale- commentò Keiji. Era seduto con la schiena contro la parete della camera, intento a disegnare, con la testa di Bokuto poggiata sulle sue gambe.
Era ormai diventata routine ritrovarsi in quella situazione, in modo che potessero rimanere da soli e parlare. Era quello il loro obiettivo principale: riuscire a parlare con l'altro, dire ciò che passava loro per la testa, essere sé stessi, sfogarsi. In realtà era principalmente Bokuto a farlo, perché Keiji ancora non sentiva il bisogno di dire niente. Ma lo rilassava ascoltare l'altro, era come se riempisse il vuoto lasciato dalla mancanza delle sue emozioni. Non sentiva nulla, ma allo stesso tempo sentiva che non gli dispiaceva.
Koutaro intanto utilizzava quei momenti per dire tutto ciò che gli passava per la testa. Non gli serviva che Akashi rispondesse, gli bastava solo sapere che lo stava ascoltando senza giudicarlo. Da quando avevano iniziato a fare così, i suoi crolli emotivi erano molto diminuiti ed anche il vuoto che aveva nel petto non era più potente come prima. Ma sentiva ancora che gli mancava qualcosa, qualcosa di importante senza cui non sarebbe riuscito a guarire.
- Aghashi, facciamo un gioco?- chiese.
- Che tipo di gioco?- mentre parlava, Keiji continuava a disegnare.
- Ci facciamo una domanda a testa. Così, per conoscerci meglio: magari riusciamo a beccare quella giusta per guarire- lo disse ridendo, ma ci sperava veramente.
- Va bene- acconsentí Keiji; dopotutto parlare un po' con Bokuto non gli costava nulla. Non sapeva che domande avrebbe potuto fargli, ma non voleva che Bokuto ci rimanesse male.
- Davvero? Evviva! Allora inizio io, vediamo... Chi è la persona con cui vai più d'accordo qui dentro? Dopo di me ovviamente-. Keiji ci pensó un attimo.
- Kenma- rispose infine.
- Dai risposte complete Aghashi! Spiega i motivi!- lo spronó Bokuto. Keiji continuó a disegnare.
- È un ragazzo silenzioso e che non dà fastidio agli altri, stare in sua compagnia permette di fare le proprie cose senza problemi. Inoltre dopo di te è quello con cui ho passato più tempo- spiegó.
- Uh, ha senso! Io preferisco stare con persone come Kuuro, che sono più attive, ma anche il piccolo Kenma è simpatico! Però il migliore rimani sempre tu- affermó Koutaro con un sorriso.
- Ti ringrazio-.
- Dai, ora tocca a te-. C'erano molte cose che non sapeva di Bokuto, ma gli venne in mente una curiosità in particolare.
- La prima volta che ti ho aiutato a calmare il tuo vuoto, mi hai chiesto di recitarti un haiku sulla neve. Come mai?-. Ricordava che le prime settimane Bokuto si isolava sempre quando il suo umore crollava, ed una volta Keiji aveva deciso di seguirlo. Gli aveva chiesto se potesse fare qualcosa per aiutarlo, e lui gli aveva risposto che avrebbe voluto sentirlo recitare un haiku sulla neve, ma senza mai spiegargli il motivo.
- Be', perché tu sei uno scrittore, quindi pensavo che sicuramente avresti conosciuto tanti haiku famosi. E perché mi ricordi la neve: fredda all'apparenza, ma in realtà se non hai paura di congelarti è divertente ed anche calda. E poi è bellissima!-.
- Capisco-. Keiji avvertì qualcosa di sbagliato. Era certo che sarebbe dovuto essere felice di quel complimento, o del fatto che quel ragazzo fosse riuscito a comprenderlo così bene. Eppure, non ci riusciva.
- Aghashi?-.
- Mh?-.
- Ci baciamo?-. Per la prima volta, la meno di Keiji smise di muoversi. Alzò lo sguardo dal disegno ed incontró gli occhi di Bokuto, che intanto si era messo a sedere e lo stava fissando.
- È la tua domanda?-.
- Si-. Keiji appoggió il blocco per terra.
- Bokuto-san, se me lo chiedi perché provi qualcosa per me, ne sono lusingato, ma non posso ricambiare. Ti ricordo che non ho dei sentimenti-.
- Non è vero- affermò Koutaro - hai detto anche tu che ti senti lusingato no? E questo è già sentire qualcosa-. Keiji non rispose.
- Penso che la tua apatia sia come il mio vuoto, ma più esteso. Quando si espande al suo massimo, io non sento più niente: però se sono con te sto meglio. Anche da prima di avere la depressione il mio umore non era mai stabile, però l'affetto che provo per te rimane lo stesso in ogni momento. Non so cosa sia l'amore, non ci ho mai pensato, ma credo che potrebbe essere questo- Koutaro fece un sorriso - nelle storie romantiche un bacio cambia sempre le cose. I tuoi sentimenti non se ne sono andati del tutto, sono solo rinchiusi qui- allungó una mano e picchiettó un dito sul petto del ragazzo, sopra al cuore - magari un bacio può cambiare qualcosa no?-.
Keiji era uno scrittore, ma non aveva mai creduto alle favole. Eppure, il discorso di Bokuto gli era sembrato vero. Talmente vero che stava iniziando a credere che fosse così.
- Aghashi, ci baciamo?- ripetè Bokuto. Ci aveva pensato più volte, quella mattina ne aveva anche parlato con Kuuro: lui non aveva mai amato qualcuno, a dire il vero non aveva mai badato troppo a quel sentimento. Però si rendeva conto che ciò che provava per i due corvini erano sentimenti diversi tra loro. E forse, se veramente il suo era amore, avrebbe potuto aiutare Akashi.
- E va bene- accettò il più piccolo.
- Evvai!- esclamò Bokuto, poi assunse un'espressione più seria.
Appoggiò una mano sulla guancia di Keiji, che rimase immobile mentre Koutaro si avvicinava lentamente a lui. I due ragazzi continuarono a fissarsi negli occhi, come per cercare qualcosa nello sguardo dell'altro che gli confermasse che stavano facendo la cosa giusta.
I loro respiri si mischiarono e Keiji schiuse leggermente la bocca. Un attimo dopo, Koutaro poggió le labbra sulle sue in un bacio dolce. Il più grande chiuse gli occhi, lasciandosi completamente avvolgere da quel contatto e dalle forti sensazioni che gli stava provocando. Sentì il vuoto che aveva dentro sparire completamente per un attimo, andarsene insieme a tutte le voci che aveva dovuto sopportare per anni e lasciare il posto ad un ragazzo sorridente che danzava libero sotto la neve.
Keiji non chiuse gli occhi, anzi rimase immobile mentre le sue labbra ricambiavano il bacio. Avvertì però uno strano calore nel petto, un calore che non sentiva più da molto tempo ormai.
Il bacio duró pochi secondi, poi Koutaro si staccò ed aprì gli occhi; fece un sorriso a trentadue denti ed il suo volto si illuminò.
- Aghashi, hai sorriso!- esclamò. Keiji si portò una mano al volto: era certo che la sua espressione fosse la stessa di sempre. Ed infatti, non trovò traccia di sorrisi.
- Ti sbagli- affermó, ma Koutaro scosse la testa.
- Per un attimo, i tuoi occhi hanno sorriso!- esclamò. Keiji non seppe come rispondere a quell'affermazione.
- Che ti avevo detto? Un bacio cambia sempre tutto!-.
Istintivamente, Keiji alzò la mano, poggiandola su quella di Bokuto che ancora teneva sulla sua guancia.
Il maggiore si bloccó, stupito da quel gesto.
- Avevi ragione. Mi affido a te, Bokuto-san: fammi tornare il sorriso-.

- Daichi, non penso che funzionerà-.
- Cosa ti costa provarci?-.
- Che mi sento un idiota-.
- Tanto ci sono qui solo io; e voglio tenermi il primato di prenderti in giro per questo-. Koushi sbuffò all'affermazione dell'amico, che fece una piccola risata.
L'argentato alzò gli occhi al cielo, poi li riportò sullo specchio di fronte a lui. Fece un respiro profondo e guardó il suo riflesso negli occhi.
- Io, Koushi Sugawara...- guardò con la coda dell'occhio Daichi, incerto, che lo spronó con lo sguardo a continuare - sono una brava persona. Mi prendo cura degli altri, sono sempre disponibile e paziente e sono un ottimo amico. Non mi merito di soffrire- concluse.
- Bravissimo! Come ti senti?- gli chiese Daichi.
- A metà tra il soddisfatto e l'idiota. Come ti è venuto in mente questo metodo?-.
- Nishinoya mi ha detto che Tanaka stava pensando di fare una cosa simile, ed ho pensato che anche per una persona con così poca autostima come te avrebbe potuto aiutare. L'autoconvincimento è un'arma potente-.
- Io non ho poca autostima, sono solo realista- borbottò Koushi.
- Ed io sono biondo platino-.
- Non ti ci vedo con quel colore sai?-. I due si guardarono male per un attimo, poi scoppiarono a ridere.
- Tu come stai?- chiese Koushi, mentre entrambi uscivano da bagno ed andavano a sedersi sul suo letto.
- Sei preoccupato per la crisi che ha avuto Yaku stamattina?-. Koushi serrò le labbra. In quei giorni sembrava che Daichi stesse meglio: gli aveva ordinato di dirgli tutto ciò che gli passava per la testa, in modo che potesse aiutarlo a tenere a freno i sentimenti che avrebbero potuto portare ad allucinazioni e a realizzare le richieste possibili; gli sembrava che la condizione dell'amico fosse migliorata parecchio. Eppure, anche Yaku gli era sembrato migliorato, fino a quella mattina. Sapeva che anche Daichi era preoccupato per quello accaduto al loro amico, ma non sapeva come rassicurarlo.
- Io in realtà mi sento bene. Ogni tanto mi gira la testa e mi compaiono immagini strane, ma è da tanto che non ho vere allucinazioni come quella di Yaku. Ed è merito tuo: parlare con te mi fa stare meglio- ammise Daichi. Aveva sempre cercato di tenersi dentro i suoi problemi, perché non voleva che gli altri si preoccupassero per lui. Eppure, con Suga gli usciva molto semplice parlare ed aprirsi. Sentiva di aver trovato un collegamento tra i suoi desideri più nascosti e la realtà; era ancora debole, ma almeno sapeva che esisteva.
- Allora stiamo facendo un ottimo lavoro- affermò Koushi, sorridendo. Anche Daichi sorrise, ma aveva un altro pensiero in mente.
- Ti va di raccontarmi di quell'incidente?- gli chiese. Koushi si irrigidí.
- Se non ti va non sei obbligato, anche perché è un racconto lungo. Però sappi che se ne vuoi parlare... Io sono qui. Penso che sfogarti potrebbe farti bene- affermó Daichi.
Koushi chiuse gli occhi. Aveva chiesto ad Akashi i disegni che aveva fatto su di loro e sul luogo: se li portava sempre in giro, in modo da diminuire i vuoti di memoria e il disorientamento. Pensava sempre al discorso che voleva fare prima di parlare, in modo da non bloccarsi a metà, e cercava di ripetersi le azioni quotidiane più volte possibili nella sua testa per fissarle bene nella memoria. Si era sforzato ed era migliorato tanto. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto parlarne; e sapeva anche che probabilmente sarebbe stato male a farlo. Ma era l'unico modo per guarire.
- Stavo studiando per prendere la patente. In realtà ero ancora piccolo, avevo appena compiuto sedici anni, ma mio padre pensava dovessi iniziare ad esercitarmi. Solitamente lo facevo in parcheggi vuoti e simili, ma quel giorno mi fece uscire in strada- si bloccó un attimo. D'un tratto, le immagini di quel giorno divennero sfocate.
- Ricordo che sono andato in panico, ho confuso freno e acceleratore, non sono riuscito a fermarmi e...- il suo corpo tremò leggermente.
Daichi allungò le braccia e lo tirò verso di sé, accarezzandogli i capelli per farlo calmare.
Koushi continuò a guardare si fronte a sé, mentre la sua mente sembrava quasi svuotarsi di quei ricordi. Erano ancora lì, lo sapeva: ma per il momento non voleva ritrovarli.
- Io amavo guidare, mi faceva sentire grande e indipendente. Dopo quel giorno papà ha provato a farmi riprendere, ma anche solo salire macchina mi faceva venire la nausea e non ci sono riuscito. Con il tempo ho iniziato a non riuscire più a fare nient'altro senza sentirmi disorientato, dimenticarmi le cose o fare fatica a muovermi- sussurrò. Daichi continuò ad ascoltarlo in silenzio.
- Non è stata colpa tua Suga; è normale che ti sia preso il panico in un momento simile- sussurrò.
- Ero io alla guida. Non mi ricordo neanche chi ho investito, e i miei non hanno voluto dirmelo quando hanno saputo che non ricordavo. Vivo cercando di non dimenticarmi di quell'incidente, ma sto rischiando di dimenticare tutto il resto-. Koushi riuscì ad ammettere la sua più grande paura: dimenticare. Dimenticare i suoi amici, dimenticare i momenti vissuti con loro, dimenticare i volti delle persone a cui voleva bene.
Daichi aveva sempre saputo che l'amico odiava i suoi vuoto di memoria, ma fino a quel momento non aveva capito quanto lo terrorizzassero, quanto la paura che i ricordi non tornassero più lo facesse stare male.
- Ti faccio una promessa- decise Daichi.
- Non ti conviene, potrei dimenticarmela- la risposta di Koushi aveva un tono divertito, ma sapevano entrambi che la sua paura era reale.
- Non importa, perché la mia promessa è questa: io non mi dimenticherò mai di te. E qualsiasi cosa accada, anche se tu dovessi perdere completamente la memoria, mi presenterò di nuovo a te, ti racconterò tutto quello che hai fatto nella tua vita, di che persona fantastica tu sia e della nostra promessa. A costo di doverti raccontare le stesse cose ogni giorno, farò in modo che tu ti ricordi di me- affermó.
Koushi sentì i suoi occhi riempiersi di lacrime mentre abbracciava l'amico.
Ne era certo: non avrebbe mai potuto dimenticarsi di Daichi. Quel momento sarebbe rimasto impresso nella sua mente; qualsiasi cosa fosse successa, lui non l'avrebbe mai dimenticato.

Akira sentí una fitta di dolore attraversarlo, ma non ci fece molto caso. Ultimamente, la sera Kidaichi era più violento del solito. Non che a lui cambiasse qualcosa, anzi stancandosi tanto dormiva anche un po' di più. Regolarizzare il sonno stava più o meno funzionando, nel senso che i suoi momenti da addormentato duravano di più. Durante la mattina fare gli esercizi lo aiutava a distrarsi; stava peggio il pomeriggio, verso cena, dopo un po' che non dormiva e non faceva molto di attivo, ma era più che normale.
- Kindaichi- lo chiamó, una volta che l'amico finí e si sdraió al suo fianco.
- Dimmi-.
- Ti aiuta a scaricarti farlo più... Violento?-.
Yutaro si morse il labbro per trattenere la rabbia. Si voltò verso l'amico, ma vide che aveva già chiuso gli occhi e decise di non svegliarlo.
Si portò le mani sul volto e soffocó un grido: gli stava facendo male, lo sapeva. Ma non riusciva a fermarsi; stancarsi in palestra lo stava aiutando a rispettare la regola di non fare niente mentre l'amico dormiva, e anche negli altri momenti riusciva a controllarsi meglio. Ma quando si trovavano soli, quando arrivava il momento, non riusciva più a controllarsi. Non avrebbe voluto essere così duro, ma il suo corpo agiva senza che lui potesse controllarlo, e tra l'altro in quei momenti non riusciva a pensare con lucidità.
Trattenne un singhiozzo; Kunimi aveva ancora il sonno molto leggero, e non voleva rischiare di svegliarlo.
Notó una luce accendersi in corridoio ed aggrottò la fronte; sapeva che era capitato a volte che Nishinoya andasse a spasso per la struttura, ma pensava gli fosse stato vietato, e inoltre non aveva mai acceso la luce per non svegliare nessuno.
Vide la maniglia abbassarsi leggermente, ma nessuno entrò in stanza. Pensando che ci fosse qualcuno che stava cercando di attirare la sua attenzione senza svegliare Kunimi, si alzò, facendo meno rumore possibile, e andò alla porta.
La aprí delicatamente ma più velocemente possibile ed uscì dalla stanza, richiudendo la porta alle spalle.
- Allora sei sveglio-. Yutaro si voltò, trovandosi davanti Oikawa.
- Oikawa-senpai- mormorò. Era stato nella stessa scuola del castano sia alle elementari che alle medie, e l'abitudine di chiamarlo "senpai" non gli era ancora passata.
- Hai bisogno di qualcosa?- gli chiese, guardandosi intorno; era strano vederlo senza Iwaizumi. Magari stava dormendo.
- Si, di te-. Yutaro aggrottò la fronte a quell'affermazione.
- In che senso?-. Oikawa fece uno strano sorriso ed un passo verso di lui; Yutaro, sorpreso e un po' spaventato, arretró, ritrovandosi contro il muro.
Vide la mano di Oikawa appoggiarsi al muro, mettendosi tra lui e la porta.
- Non vuoi più farlo soffrire no? Perché non cambi obiettivo? Fallo con qualcuno che vuole farlo davvero- Oikawa si avvicinò lentamente a lui.
Yutaro sentiva il suo corpo reagire alle provocazioni, ma la sua mente era completamente in panico. Non voleva; era vero che non avrebbe voluto fare soffrire Kunimi, ma non voleva farlo con nessun altro.
Aveva provato a convincersi che fosse perché così aiutava anche l'amico a dormire, ma sapeva che non era solo per quello: lui non voleva nessun altro. Non importava cosa gli dicesse il suo corpo, il suo cuore sapeva cosa desiderava.
- Tu non sei Oikawa- affermò.
- Certo che lo sono- rispose l'altro, mantenendo il suo sorriso.
- Hai capito cosa intendo- Yutaro gli appoggiò le mani sul petto e, ignorando i desideri del suo corpo, lo spinse via.
Oikawa scoppiò a ridere ed il moro gli si avvicinò minaccioso.
- Abbassa la voce, rischi di svegliarlo- sibiló. L'altro smise di ridere, ma continuò a sorridere.
Fece un altro passo verso di lui, e questa volta Yutaro rimase immobile a fissarlo con sguardo truce. Se quello fosse stato davvero il suo senpai non l'avrebbe mai fatto, ma quello che aveva davanti non era Oikawa Toru.
Oikawa si chinò in avanti, avvicinandosi lentamente al suo orecchio.
- Vedremo se cambierai idea quando lui dirà di odiarti- sussurrò, sfiorandogli la natica con una mano.
Dopodiché si staccò, gli fece l'occhiolino e si allontanò, sparendo nella sua stanza.
Yutaro rimase ancora un attimo immobile, cercando di calmare il suo corpo: il giorno dopo avrebbe dovuto raccontare tutto ad Iwaizumi.
Yutaro spense le luci del corridoio e tornò in stanza. Guardò verso il letto e sospirò sollevato nel vedere che l'amico stava ancora dormendo.
Sentiva però il suo corpo fremere: se si fosse rimesso a letto, non sarebbe riuscito a concentrarsi.
Si diresse verso l'armadio e, senza fare rumore, ne tiró fuori una coperta. Per fortuna che il pavimento era provvisto di un tatami abbastanza morbido.
Vi poggiò sopra la coperta e si sporse sul letto per prendere il suo cuscino; il suo sguardo si spostò suo viso di Kunimi, che anche mentre dormiva sembrava stanco. Ma conservava la sua bellezza.
- Mi dispiace, non vorrei farti del male- sussurrò, prendendo il cuscino e mettendolo per terra.
Si sistemó addosso le coperte e chiuse gli occhi, sperando di riuscire a prendere sonno.
Quando il respiro di Kindaichi si regolarizzó, Akira aprì gli occhi. Si era svegliato quando il moro era sceso dal letto, ed aveva sentito la conversazione che aveva avuto con Oikawa.
I suoi occhi erano pieni di lacrime. Avrebbe voluto dire a Kindaichi che non era la sua violenza a farlo stare male, ma il fatto che quando lo faceva non cercava altro. Aveva bisogno solo del suo corpo, non lo voleva veramente; se avesse parlato con lui, se gli avesse detto che ci teneva che fosse proprio lui...
Kindaichi aveva respinto Oikawa, ma Akira non ne conosceva il motivo.
Chiuse gli occhi, sentendoli troppo stanchi per tenerli aperti. Ma era consapevole che da solo non sarebbe riuscito a dormire.

- Dove sei stato?-. Toru sussultò e quasi fece sbattere la porta, che aveva cercato di chiudere con gentilezza.
Si voltò verso Iwaizumi, che era seduto a braccia conserte sul letto e lo fissava.
- Ecco... Avevo un po' di fame e...-.
- Tu non mangi mai fuori pasto-.
- Volevo fare una passeggiata e...-.
- Shittikawa-. Toru lo fissò per un attimo, poi abbassò lo sguardo.
- Non lo so- mormorò. Non ricordava dove fosse andato: pensava di essere a letto, e poi si era trovato davanti alla porta della sua stanza.
- Vieni a letto- ordinò Hajime. Toru annuì e si avvicinò al letto, per poi sdraiarsi al fianco dell'amico. Gli sembrava che il moro stesso facendo progressi, mentre lui...
Sentì un braccio posarsi sopra di lui.
- Così sono certo che non scappi- dichiarò Hajime, prima di chiudere gli occhi.
Toru fece un piccolo sorriso e fece lo stesso.
Hajime aspettò di sentire l'amico addormentarsi prima di fare lo stesso. Non poteva distrarsi: lo avrebbe tenuto al sicuro, a qualunque costo.

- Stai bene?-. Ittetsu si voltò, sorpreso di vedere il dottore sulla porta del suo studio. Forzò un sorriso.
- Certo!-.
- La crisi di Morisuke l'ha scossa vero?- gli chiese il biondo, entrando nella stanza.
Il direttore abbassò lo sguardo.
- Non è mai bello vederli in quello stato. Ma sono felice che ci fosse lei: è riuscito a farlo riprendere; grazie- gli disse.
- Non ho fatto niente: quei ragazzi sono forti, hanno solo bisogno di una piccola spinta- affermò il dottore. Si avvicinò all'amico.
- Non dovrebbe reprimere le sue emozioni solo perché è adulto, dovrebbe sapere che fa male- lo sgridò.
Ittetsu fece un piccolo sorriso.
- Ha ragione-.
- La prossima volta che ha paura venga pure da me, va bene?- gli disse il dottore, poggiandosi una mano sulla spalla.
Ittetsu si sentì diventare leggermente rosso.
- La ringrazio davvero-. Ittetsu era sempre stato una persona ansiosa, ma si sentiva rassicurato dalla presenza del dottore. Sapeva che grazie al suo aiuto, sarebbe andato tutto bene.

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Capitolo 9
*** CAPITOLO IX. ***


- Una festa?- chiese Ittetsu, confuso. Anche Kuuro e Yaku erano sorpresi.
- Voi ragazzi vi siete praticamente persi tre anni di adolescenza stando sui dentro. Non avete mai fatto una festa no?- chiese il dottore.
- Esatto- confermó Tetsuro.
- Adesso che le vostre terapie iniziano a funzionare, dovete riattivarvi un po'. Per questo vorrei dare a voi due il compito di organizzare qualcosa: ovviamente, nei limiti delle vostre possibilità, tenendo conto dei problemi di tutti. Ma qualcosa per divertirsi e allo stesso tempo che vi aiuti ad abituarci ad altre situazioni- spiegò Keishin.
- Be', in effetti non suona male- ammise Yaku.
- Fatevi aiutare da tutti quanti; se avete bisogno di qualcosa venire pure a chiedermela- affermò il dottore.
- Certo! Lasci fare a noi, organizzeremo una festa magnifica!- esclamò Tetsuro, circondando le spalle di Yaku con un braccio.
- Mi ha chiamato per tenerlo d'occhio vero?- commentò Yaku.
- Si, decisamente- ridacchiò Ukai.
- Buona organizzazione ragazzi- auguró Ittetsu, mentre i due uscivano dallo studio.
- Takaeda, noi dovremo rimanere nei paraggi; non staremo alla festa, ma dobbiamo essere pronti a qualsiasi evenienza- affermó il dottore.
- Certo. Se la organizzano nella sala da pranzo, visto che è grande, possiamo metterci nella stanza di fianco e prenderci una pizza- propose con un sorriso.
- Non è una cattiva idea- confermó il dottore, alzandosi.
- Allora lascio a te i preparativi; io vado a sistemare le mie idee con una bella dormita-.
Ittetsu scosse la testa, divertito.
- E va bene, ci penso io-.

- Qui va bene?-.
- Un po' più a destra Tanaka-.
- Qui?-.
- Perfetto-.
- Kyoko-san, vieni un attimo!- la chiamo Daichi.
- Arrivo-.
Ryu appoggió il pianoforte ed osservó la ragazza allontanarsi. Era veramente bella, sia di volto che di corpo, ed era intelligente e gentile. Insomma, una ragazza perfetta. Eppure, non riusciva ad amarla.
Non sapeva come mai si fosse fissato così tanto sull'idea di innamorarsi di lei, ma non sapere come mai non ci riusciva gli faceva strano.
- Tanaka? Tutto bene?- gli chiese Chikara, che lo aveva aiutato a portare il pianoforte. Kuuro aveva deciso di fare la festa nella sala da pranzo, che era la più grande del luogo, ed aveva chiesto di portare lì il pianoforte per Tsukki. Kyoko e Yachi erano state incaricate di occuparsi della disposizione della stanza, mentre Suga e Yaku stavano facendo una lista delle cose da fare da mangiare.
- Si; andiamo a spostare i tavoli-. Ryu non era ancora riuscito a capire come dovesse sfogarsi con l'amico, più ci pensava più non trovava una soluzione. Da quando la ricordava la sua vita era sempre stata piuttosto lineare, nessun episodio degno di nota; allora cos'aveva che non andava? Cosa gli era successo che l'aveva reso così?
Sentì qualcuno dargli una gomitata.
- Ahia!- si lamentó, voltandosi. Ennoshita gli sorrise.
- Dai scansafatiche, abbiamo da fare: nei tuoi pensieri ci perdiamo dopo- affermò, avvicinandosi ai tavoli.
Ryu fece un sorriso e lo raggiunse.
Chiakara aveva completato il circolo di allenamento di cadute con Nishinoya, e si sentiva più tranquillo in compagnia del ragazzo. Il prossimo sarebbe stato Daichi, che lui aveva sempre preso come essempio di responsabilità, ma per quel giorno si erano presi una pausa per aiutare i loro amici.
Quello che lo preoccupava però era Tanaka, che ultimamente gli sembrava sempre nervoso, ma non riusciva a capirne il motivo. Avrebbe voluto parlarci, ma pensava che l'amico non fosse ancora pronto.

- Dove hai mollato Kenma?- chiese Daichi, avvicinandosi a Kuuro.
- Con Lev: quando gli ho detto che avrei organizzato una festa è scappato, e dato che Yaku serve qui abbiamo mandato il gigante all'inseguimento- ridacchiò il moro, facendo sorridere anche Daichi.
- Come sta Yaku?- chiese. Tetsuro si voltò per un attimo verso l'amico.
- Sembra essersi ripreso, ma ancora non vuole parlare di perché sia successo. Tu? Come vanno le tue visioni?-.
- Diciamo che riesco a distinguerle dalla realtà, anche se non sono ancora sparite- sospirò Daichi. Grazie all'aiuto di Suga stava riuscendo a tenere a bada i suoi desideri; quando gli veniva in mente qualcosa si sfogava con l'amico, ed in quel modo riusciva a distinguere la realtà dalle allucinazioni.
- Però è già un passo avanti- commentò Tetsuro.
- Tu invece?-.
- Quando mi concentro su qualcosa sono a posto, il problema è se mi distraggo. Kenma mi riporta indietro ogni volta, però... Ancora dobbiamo trovare un modo per prevederla- mormorò.
- Sono certo che ci riuscirete. Dopotutto vi conoscete da anni- commentò.
- Hai ragione-. Tetsuro desiderava solo riuscire a rimanere lì, al fianco di Kenma. Non sapeva come mai la sua mente volesse impedirglielo, ma una cosa era certa: non gliel'avrebbe permesso. Sarebbe rimasto con Kenma a qualsiasi costo.

Yaku fissò il foglio che aveva davanti, cercando di pensare se avevano scritto tutto. O almeno, provava a pensare a quello, ma tutto ciò che gli veniva in mente era l'incubo che aveva fatto la notte prima.
- Yaku-. La voce dolce di Suga lo riportò alla realtà.
- Il foglio non ti ha fatto niente- gli fece notare con un piccolo sorriso che stava stringendo il foglio; ancora poco e si sarebbe strappato.
Yaku scosse la testa.
- Si, hai ragione. Dovremmo avere scritto tutto- affermó.
- Allora vado a consegnare il foglio- Koushi glielo prese delicatamente dalle mani e si alzò.
- Yaku, non so cosa sia successo, ma dovresti parlarne con lui. Potrebbe aiutarti: a me ha aiutato- gli consigliò, prima di allontanarsi.
Yaku sospirò e chiuse gli occhi: sapeva che l'argentato aveva ragione. Ma ogni volta che aveva avuto un desiderio, non era mai riuscito a realizzarlo, e temeva che parlarne avrebbe solo peggiorato le cose. Però non voleva neanche continuare in quel modo.
Doveva parlare con Lev, sfogarsi con lui; dopotutto, il mezzo-russo gli aveva raccontato del suo più grande trauma, era giusto ricambiare. Però prima doveva sentirsi pronto.
Koushi, al contrario, si sentiva pieno di positività. Cercava di non abbattersi quando dimenticava qualcosa o non riusciva a fare qualcos'altro; anche grazie a Daichi, che era sempre al suo fianco, quei momenti stavano diventando sempre più brevi e rari.
Si era prefissato un obiettivo: aiutare tutti gli altri a stare meglio, nel limite delle sue capacità ovviamente. In quel modo sarebbe stato meglio anche lui, non si sarebbe più sentito inutile. Si sentiva un po' egoista, ma andava bene così: dopotutto tutti coloro che aiutano gli altri, o quasi, lo facevano anche per sentirsi in pace con loro stessi. A lui piaceva aiutare le persone, e se questo aiutava anche lui, allora non c'era bisogno di sapere altro.
E a questo proposito, gli era venuto in mente un bel gioco da fare alla festa.
- Hey Ennoshita- si avvicinò al ragazzo, che stava aiutando Tanaka a spostare le sedie.
Lo aveva sempre trovato una persona estremamente gentile e ragionevole, un po' come un Daichi più insicuro.
- Dimmi-.
- Mi accompagni da Kinnoshita e Narita a consegnare la lista per il cibo e le compere?- gli chiese. Il ragazzo si irrigidí appena e guardó verso Tanaka.
- Il giorno in cui Suga farà del male a qualcuno io indosserò un tutú viola- ridacchiò il pelato, che aveva sempre visto il più grande come una specie di mamma sempre gentile e disponibile.
- Vengo volentieri- affermò Chikara.
- Perfetto; andiamo!- Koushi gli fece cenno di seguirlo ed insieme uscirono dalla stanza.
- Come sta Tanaka?- gli chiese. Vide Ennoshita fare un respiro profondo, ma fu felice quando sentì che gli rispondeva comunque.
- Penso che neanche lui sappia come mai si sente così. Non è nella sua natura esprimere i suoi sentimenti negativi con facilità, e fa fatica anche solo a comprenderli. Non so come aiutarlo- ammise. Koushi non sapeva dire se l'altro si fidasse o no di lui, ma quella indirettamente gli sembrava una richiesta d'aiuto.
- Secondo me, devi beccarlo proprio nel momento in cui ha un calo di autostima o simili e partite dalle sue emozioni in quel momento- propose.
- Be', potrebbe funzionare...-. i due continuarono a parlare ed a scambiarsi consigli per tutto il tragitto. Arrivati da Kinnoshita e Narita, Suga lasciò che fosse Ennoshita a portare loro il foglio, e lo vide più tranquillo del solito nel comunicare.
Sorrise: era tranquillo nel sapere che di fianco a Tanaka, sempre così irrequieto e spericolato, ci fosse un ragazzo affidabile come lui. E non solo: gli sembrava a che tutti i suoi amici avessero trovato qualcuno di speciale che li aiutasse.
Di sicuro, lui era il primo ad averlo trovato.

- Kyoko-san, pensi che sia meglio separare cibo e bevande?- chiese Yachi, avvicinandosi all'altra ragazza.
- Si, mettiamole su due tavoli diversi per sicurezza- confermó lei. Yachi lo segnó sulla lista dove scriveva come sistemare la sala per la festa.
Alzò lo sguardo su Kyoko: nonostante le fosse stato affidato il compito di occuparsi della disposizione della stanza, non sembrava agitata. Forse perché erano tutti lì per aiutarla e la ascoltavano senza problemi nelle sue decisioni.
Yachi non sapeva che Kyoko trovava la sua presenza molto rassicurante, perché sentiva di non essere più sola. In qualche modo, il senso di oppressione che l'aveva sempre schiacciata si stava allentando. Anche Yachi, nonostante fosse circondata da persone in movimento, si sentiva piuttosto tranquilla; stava provando a concentrarsi sull'organizzazione e sull'aiutare Kyoko, e ogni volta che la ragazza le faceva i complimenti sentiva di star facendo la cosa giusta.
- Ti ringrazio per l'aiuto che mi stai dando- Kyoko le fece un sorriso e Yachi si sentì arrossire.
- È un piacere aiutarti, Kyoko-san- balbettò.
- Ormai ci conosciamo da anni, chiamami solo Kyoko, va bene?-.
Yachi sentì il suo cuore riempirsi di gioia, come quando Kyoko le aveva detto che non serviva fosse formale e la chiamasse "Shimizu-senpai". Dormivano nella stessa stanza ed erano praticamente sempre insieme, eppure erano quelle piccole frasi che la facevano sentire più unità alla ragazza più grande.
Kyoko non pensava certo che le sue parole avessero tutta quella rilevanza per l'altra: per lei erano un modo per fare capire alla ragazza che aveva al suo fianco di voler rimanere sua amica, provando ad accorciare le distanze tra loro, ma non sapeva come l'altra percepisse le sue frasi.
- Servono più sedie- mormorò Kyoko, guardandosi intorno.
- Ho già chiesto ad Asahi e Nishinoya di andarle a prendere- la rassicuró Yachi.
A Kyoko spuntó un altro sorriso, ed entrambe non poterono fare a meno di notare che ultimamente sorrideva sempre di più.

- Guarda Asahi-san, ne sto portando tante!- esclamò Yu, barcollando leggermente sotto il peso delle sedie.
- Attento a non cadere- ridacchiò Asahi, dandogli un colpetto con il braccio in modo da tenerlo in piedi.
- Oh, grazie Asahi-san!-.
- Figurati-. Asahi non poté fare a meno di sorridere nel vedere la goffaggine dell'amico mentre cercava di portare fin troppe sedie.
Yu si era emozionato molto quando aveva scoperto della festa: non era mai andato ad una, perché non trovava nessuno che lo accompagnasse, ed adesso non vedeva l'ora di rimediare. In quei giorni stava riuscendo a tenersi a bada, e anche la notte si svegliava di meno; una bella festa era ciò che gli serviva per svagarsi. E poi voleva divertirsi con tutti i suoi amici.
- Tu bevi Asahi-san?- chiese all'improvviso Yu.
- Be', non ne ho mai avuto molte occasioni in realtà; i miei genitori avevano paura che peggiorasse il mio autolesionismo. Ci sarà alcool stasera?-.
- Ho sentito di sì! Kuuro ha chiesto il permesso; dopotutto siamo tutti maggiorenni ed abbiamo bisogno di svagarci!- esclamò il più piccolo.
- Se ti va bevi pure, ti terrò d'occhio io- affermò Asahi. Yu smise di camminare e si voltò verso di lui, facendo il broncio.
- Eh no Asahi-san: dobbiamo divertirci insieme, altrimenti non ha senso!- protestó. Asahi non si aspettava quella frase. Da quando aveva avuto quella crisi, i suoi attacchi erano diventati più deboli: sulle braccia aveva meno tagli, e stava riuscendo a smettere con le piccole torture che infliggeva al suo corpo ogni giorno. Certo, ancora non gli era passata completamente: ma vedere il sorriso di Nishinoya lo aiutava. Non voleva più vederlo ferito in quel modo, voleva che continuasse a sorridere; e avrebbe fatto di tutto perché accadesse.
- Va bene, allora ci divertiremo insieme- acconsentì. Per qualche motivo, quella frase fece arrossire leggermente Yu.
- Esatto, così si dice! Forza, andiamo!- esclamò, voltandosi e riprendendo a camminare... Anzi, a barcollare.
Asahi lo seguí. Ormai, era pronto a seguirlo ovunque.

- Vuoi saltarla?-. Akira aprì gli occhi, sorpreso dalla domanda dell'amico. Si voltò verso di lui, notando che ancora non si era rivestito, nonostante fossero passate due ore. Ma dopotutto anche lui era ancora nudo.
- Che cosa?- chiese.
- La festa. Potrebbe finire tardi-.
- Al massimo vado via prima; non penso si possa saltare-.
- Andiamo via prima; senza di me non riesco a dormire- gli ricordó Yutaro. Si rese conto solo dopo che la sua frase sarebbe potuta essere fraintesa.
Infatti, vide Kunimi tirarsi su.
- Già, neanche tu- affermó mentre si alzava, trascinandosi dietro il lenzuolo per coprirsi.
- Non volevo dire che...- Akira non gli fece finire la frase e si chiuse in bagno.
Si appoggiò alla porta e sospirò, chiudendo gli occhi: ormai non aveva più neanche la forza per piangere. Si era arreso al fatto di essere solo un giocattolo per l'altro, che gli serviva in certi momenti e per il resto poteva anche non esserci. Non era neanche necessario sempre, come Hinata per Kageyama, che doveva essere al suo fianco in ogni momento perché non sapeva quando gli sarebbe venuta una crisi. A Kindaichi importava che ci fosse nei momenti giusti, e nient'altro.
Yutaro intanto stava cercando disperatamente nella sua mente qualcosa, una frase da dire per farsi perdonare dall'amico. Non si sarebbe stupito di sapere che in quel momento Kunimi lo odiava: erano amici da anni, eppure lui ogni volta che ne aveva bisogno sfruttava il suo corpo, senza dirgli altro, se lo prendeva semplicemente, perché sapeva che nessuno l'avrebbe fermato.
Ma lui doveva trovare un modo, un modo per frenarsi; se avesse continuato a fargli del male, non se lo sarebbe mai perdonato.
- Vedremo se cambierai idea quando lui dirà di odiarti-.
Yutaro non avrebbe voluto farlo con nessun altro che non fosse Kunimi; ma forse, per l'amico non era così. Forse l'altro sarebbe stato sollevato se non avesse dovuto fargli da partner sessuale tutti i giorni.
Kunimi non avrebbe avuto bisogno di lui per per dormire per sempre, ne era consapevole. Forse la soluzione era davvero...
Sentì qualcuno bussare alla porta e si alzò, affrettandosi ad indossare un paio di boxer, dei pantaloni e una maglietta prima di andare ad aprire, trovandosi di fronte Iwaizumi.
- Mi avevi detto di volermi parlare giusto?- gli chiese il più grande, senza tanti giri di parole. Yutaro capí subito che era nervoso, e un po' gli fece paura.
Quella mattina gli aveva detto di dovergli parlare, ma ancora non aveva pensato esattamente a cosa dirgli.
- Si, io... Dov'è Oikawa?- si trovò a chiedergli.
- In camera a scegliere un outfit per la festa- Hajime alzò gli occhi al cielo. Quando il ragazzo aveva affermato di volerne trovare uno anche a lui, ne aveva approfittato per fare un salto nella stanza di fianco e capire di cos'avesse bisogno Kindaichi.
In qualche modo, Yutaro lo prese come un segno.
- Stai un attimo con Kunimi per favore, senpai- gli chiese, superandolo.
- Ma...- Hajime guardó verso l'interno della stanza, trovandola vuota. Vi entrò: non era normale che Kindaichi lasciasse solo Kunimi, aveva sempre paura che si addormentasse da qualche parte o si sentisse male
- Kunimi? Stai bene?- Hajime bussò alla porta del bagno prima di entrarvi. Trovó il ragazzo seduto contro il muro, coperto solo da un lenzuolo.
- Hey, stai bene?- si inginocchiò di fianco a lui.
- Si, non preoccuparti senpai- mormorò Akira. Era crollato dopo aver sentito Kindaichi andarsene, ma non voleva che Iwaizumi pensasse che era un debole.
- Vuoi che ti chiami Kindaichi? Tanto è nella stanza di fianco: non so cosa dovesse chiedere a Shittikawa ma sono certo che possa rimandare- affermò Hajime.
Akira scosse la testa.
- Non è da Oikawa Toru che è andato- mormorò. Hajime per un attimo non comprese, poi sentì l'ansia invaderlo.
- Perché?- mormorò.
Mentre Akira raccontava la conversazione che aveva sentito la sera prima, Yutaro si era finalmente deciso ad entrare nella stanza di Oikawa.
- Allora? Hai bisogno di un aiuto per scegliere l'outfit?- gli chiese il castano.
- Ehm ecco... No è che...- Yutaro non era bravo come Iwaizumi a riconoscere con chi stesse parlando, soprattutto dato che Kirai era bravo a fingersi Toru.
- Senpai, ricordi di essere venuto in da me ieri sera?- chiese, per tastare il terreno.
Vide Oikawa smettere di cercare i vestiti nell'armadio e voltarsi verso di lui; quando gli sorrise, capi con chi stava parlando.
- Sapevo saresti venuto, per questo ho aspettato che Iwaizumi se ne andasse-. Iwaizumi; quella era la prova definitiva.
- Sei qui per accettare vero?- si avvicinò a lui. Yutaro deglutì: era tentato di scappare, ma doveva trattenersi.
- Non voglio più fargli del male- mormorò. Oikawa allungò la mano e lo prese per il polso, portandolo con lui dentro il bagno. Nessuna stanza aveva la chiave, per cui probabilmente lo aveva fatto per avere più privacy.
Oikawa chiuse la porta e lasció il polso di Kindaichi.
- Spogliati- gli ordinò. Yutaro trattenne un brivido di paura e si tolse la maglietta; doveva farlo per Kunimi. Forse se si fosse sfogato con qualcun altro sarebbe riuscito a lasciarlo in pace per un po'.
Sentì il suo corpo fremere, voglioso, mentre Oikawa gli si avvicinava e poggiava le mani sulle sue, che intanto si erano spostate sui suoi pantaloni. Rimase immobile, il corpo che diventava sempre più bollente mentre Oikawa si avvicinava pericolosamente a lui.
Con un calcio, Hajime aprí la porta del bagno. Vide Oikawa voltarsi di scatto e Kindaichi spalancare gli occhi.
Senza aspettare che uno dei due parlasse, li afferrò entrambi per i capelli e li trascinò fuori dalla stanza, lanciandoli verso il letto con talmente tanta forza che i due caddero e terra.
- Mi spiegate che cazzo pensavate di fare?- urlò.
Akira, che ancora indossava solo il lenzuolo, rimase in un angolo vicino all'entrata della stanza, ad osservare la scena. Alla fine, era successo davvero.
- Kindaichi. Rispondimi- ordinò Hajime.
- Ecco... Io...-.
- Oh andiamo Iwaizumi, non farne un dram...- Oikawa non fece in tempo a finire di parlare che venne colpito con uno schiaffo in piena faccia.
- Hai cinque secondi per fare tornare Toru o ti spedisco in infermeria- ringhiò Hajime, prima di tornare a fissare Kindaichi, che sussultò. Il suo sguardo si spostò un attimo su Kunimi, che voltò la testa: non riusciva a guardarlo.
Per Yutaro quel gesto era come se avesse ricevuto anche lui uno schiaffo. Strinse i pugni.
- Non volevo più usarlo- mormorò.
Akira fece una risata nervosa, facendo voltare gli altri verso di lui.
- Se ti sei stancato di me, bastava dirlo- affermó, prima di uscire dalla stanza.
- Kunimi aspetta!- Yutaro si tirò su, ma non riuscì a seguire l'amico: temeva di peggiorare le cose.
- Se non volevi più fargli pensare di starlo usando, avresti dovuto dirglielo invece di fare cazzate-. Yutaro riportò lo sguardo su Iwaizumi: era ancora incazzato, ma ora sembrava anche capire.
- Vai da lui, io devo occuparmi di questo idiota- Hajime guardó Oikawa: era tornato sé stesso. Aveva gli occhi lucidi e sembrava sotto shock.
Yutaro annuì e corse fuori dalla stanza.
- Kunimi, posso entrare?- chiese, bussando alla porta.
- Si-. Yutaro fece un respiro profondo ed entrò, trovando l'amico in piedi al centro della stanza, vestito.
- Kunimi io...-.
- Vuoi fare sesso?-. Yutaro sbattè le palpebre, confuso.
- Cosa? No io...-.
- Allora non ti servo. Vado ad aiutare con i preparativi- Akira uscì dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Hajime intanto stava cercando di calmare Oikawa.
- Cos'ha fatto?- sussurró lui.
- Niente, l'ho fermato. Va tutto bene adesso-. Toru allungò le braccia e strinse la maglietta di Hajime.
- Ti prego Iwa-chan, non farlo tornare. Per favore...- singhiozzó.
Hajime sentì la rabbia montargli dentro; avrebbe voluto fare del male a Kirai, ma non poteva. L'unico che poteva farlo era Toru, che adesso però aveva solo bisogno di tornare sé stesso.
Hajime lo strinse a sé, lasciandolo sfogare.
- Non glielo permetterò. Ti salverò Shittikawa, in qualche modo ti salverò-.

- Visto? Sono più alto!- esclamò Shoyo.
- Ti sbagli, sono ancora più alto io!- ribatté Lev.
- Non è vero! Kenma, chi è più alto?-. Il biondo alzò gli occhi al cielo.
- Se volete vi dico chi è più idiota- borbottò. Quasi quasi era meglio rimanere ad aiutare Kuuro... Appena aveva scoperto che si sarebbe occupato di una festa era scappato, e si era ritrovato Lev al seguito. Così aveva deciso di andare da Shoyo, per non rimanere solo con quello spilungone irritante; non aveva preso in considerazione il fatto che i due si sarebbero messi a gareggiare per qualsiasi cosa. Almeno di solito nell'insultarli aveva l'appoggio di Kageyama, ma ultimamente il moro sembrava molto più tranquillo con Shoyo e quindi Kenma si era ritrovato solo.
- Guarda che tu non sei tanto più alto di me!- esclamò Shoyo, mentre l'amico lo faceva scendere da sopra le sue spalle. Non sapeva per quale motivo, ma dal giorno in cui aveva avuto quella crisi Kageyama era diventato... Be', non più gentile, continuavano ad avere i loro soliti bisticci, ma gli sembrava che l'amico fosse molto più premuroso nei suoi confronti. Stava ancora male, quello non poteva negarlo, ma si sentiva meglio; sentiva, almeno, che c'era qualcuno per lui che ci teneva ad aiutarlo, e questo lo faceva sorridere.
Tobio dal canto suo aveva scoperto di avere una predilezione nel vedere felice quel piccolo mandarino, e pur mantenendo la sua aria di superiorità si vergognava di meno a ricordargli che poteva contare su di lui. D'altronde, la sola presenza di Hinata lo aiutava a calmare i suoi impulsi. Si era ormai abituato alla presenza di Yachi, ed ora era passato a Sugawara. L'argentato era praticamente opposto a lui: sempre gentile con tutti, disponibile e amichevole. Eppure, non gli dava poi così tanto fastidio... Anche se non capiva come facesse a sorridere sempre, a lui faceva male la bocca dopo due secondi. Ma da quando aveva il più basso al suo fianco, sentiva che forse le persone non facevano poi così schifo, per quanto piene di difetti.
Kenma e Lev invece erano molto più preoccupati. Il primo ancora non riusciva a capire a cosa fossero dovute le dissociazioni di Kuuro, e a volte l'aveva visto talmente assente da avere paura che non tornasse più indietro. Ma lui gli aveva promesso che sarebbe rimasto con lui, e sapeva l'avrebbe fatto: ma doveva aiutarlo. Kenma stava meglio, si vedeva ancora più che imperfetto, ma non poteva desiderare di sparire se Kuuro gli chiedeva di restare. Ma se lui se ne fosse andato, allora anche Kenma sarebbe sparito.
Lev era sollevato dall'aver parlato con Yaku, ed averlo salvato l'aveva fatto stare meglio. Sentiva di star migliorando, ma allo stesso tempo avrebbe voluto sapere cosa stava affliggendo il suo amico. Sapeva che c'era qualcosa che non gli aveva detto, e non voleva forzarlo, ma sentiva di dover fare di più per lui. Non lo stava aiutando abbastanza.
- Ragazzi, come vi vestite per la festa?- chiese Shoyo, sedendosi di fianco a Kenma, che era tornato a concentrarsi sul videogioco che aveva in mano.
- Non fare come Oikawa bokè- lo riprese Tobio, sedendosi si fianco a lui.
- Potremmo chiedere a lui di darci consigli!- propose il primo, appoggiando la testa sulle gambe di Kageyama ed allungando le gambe su quelle di Kenma. Il biondo alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla.
- Non ci pensare nemmeno!- esclamò il moro.
- Scherzavo, so che non ci vai d'accordo- ridacchiò Shoyo, prendendo la mano dell'amico tra le sue ed iniziando a giocherellare con le dita. Kenma lo notò, ma non disse niente.
- Kuuro mi obbligherà di certo a vestirmi bene, anche se io verrei volentieri in tuta- commentò.
- Chissà come siete voi bassi in smoking!- esclamò Lev, avvicinando una sedia e mettendosi di fronte a loro. Pessima idea, dato che i due più bassi avevano preso le biro sul tavolo dietro di loro per iniziare un bombardamento contro il mezzo-russo.
- Ahia!- si lamentó lui.
- Te la sei cercata- affermó Tobio, divertito.
- Noi staremo sicuramente meglio di te!- affermò Shoyo, alzandosi in piedi.
- Kageyama, andiamo a scegliere come vestirci- affermò; prese il moro per mano e lo trascinò in stanza.

- Meglio camicia bianca o nera? O magari dovrei metterla blu! Rossa?-.
- Si può sapere quante camicie hai, Bokuto-san?- Keiji appoggió il blocco da disegno per terra e si alzò, andando verso l'altro che era davanti all'armadio. Osservò i vari vestiti che aveva lanciato sul letto.
- La giacca probabilmente non ti servirà: qui dentro fa piuttosto caldo e stando tutti insieme in quella stanza sicuramente la temperatura aumenterà. Per cui, se già hai i pantaloni neri, ti consiglio di evitare colori scuri. Se bianca hai paura di sporcarla, direi che va bene azzurra o rossa o...-.
- Secondo te cosa mi sta meglio, Aghashi?- Koutaro si avvicinò all'altro e lo abbracció da dietro, dandogli un bacio sulla guancia.
Era passato solo un giorno da quando si erano baciati, ma gli era più che bastato per abituarsi a quella situazione.
Koutaro si sentiva finalmente libero di fare tutto ciò che voleva, ed ogni abbraccio o bacio del maggiore muoveva qualcosa in Keiji, che pur sapendo di non poter chiamare quel qualcosa sentimento vi si aggrappava con tutte le sue forze.
Bokuto provava affetto per lui nonostante fosse apatico, letteralmente: forse, con lui al suo fianco valeva la pena sentire qualcosa. Solo che Keiji non ricordava più come si facesse.
- Penso che questo rosa sia l'ideale- affermo, sollevando la camicia gettata sul letto insieme alle altre.
- Perfetto! E tu cosa metti? Posso prestarti qualcosa di mio!-. Bokuto era talmente euforico che Keiji non ebbe motivo di rifiutare.
- Va bene- rispose, e vide gli occhi dell'altro illuminarsi.
- Perfetto! Scegli pure quello che vuoi!-. Koutaro era felice, davvero felice: nonostante la sua apatia, Akashi riusciva a riempirlo di emozioni, non sapeva neanche lui come. Ma gli andava più che bene così. E inoltre, vedeva gli occhi del corvino sorridere ogni volta che gli mostrava affetto, e quella vista gli dava gioia.
Nonostante il suo vuoto fosse ancora lì, lo stava completamente ignorando: non voleva lasciarsi distrarre dalla tristezza quando era con lui, non ne aveva motivo.
- Posso prendere questa?- chiese Keiji, sollevando una camicia di un azzurro un po' scuro.
- Si intona con i tuoi occhi- commentò Koutaro - te la regalo! Tanto io non le metterò mai tutte-.
- Davvero?-. Keiji fissó la camicia: non era brutta.
- Grazie- si voltò e diede un bacio sulla guancia altro ragazzo. I suoi occhi, se possibile, si illuminarono ancora di più.
- Aghashi mi ha dato un bacio!- urlò.
- Non è la prima volta- gli fece notare il moro.
- Ma è la prima volta che lo fai di tua iniziativa! Evviva!- Koutaro iniziò a saltellare in giro per la stanza, sorridendo, e continuando a ripetere "Agahshi mi ha dato un bacio!".
Quella vista scaldò il cuore di Keiji; mentre quella sensazione si espandeva in tutto il suo corpo, avvertì qualcosa nella sua espressione cambiare.
Koutaro si fermò e spalanco la bocca.
- Rimani immobile!-. Keiji cercò di fare come gli aveva detto mentre osservava l'altro cercare nelle sue tasche e tirare fuori un cellulare.
In realtà lì praticamente non li usavano: non avevano esterni con cui parlare, nessuno di loro usava social e se dovevano fare ricerche o simili utilizzavano il computer. Servivano solo per fare le foto, ed era proprio ciò che Koutaro fece in quel momento. Dopo aver scattato una fotografia ad Akashi lo affiancò, felice.
- Guarda!- indicò qualcosa sul suo volto nella foto, ingrandendo l'immagine.
Keiji strinse gli occhi e quasi sussultò quando lo notò: un piccolo sorriso. Era impercettibile, appena visibile, non era lontanamente bello quanto un sorriso di Bokuto. Ma era lì.
- Aghashi, stavolta hai sorriso davvero!- esclamò Koutaro.
- È stato grazie a te, Bokuto-san- affermó. Il maggiore si chinò per dare un altro bacio al ragazzo. E Keiji, nuovamente, avvertì l'ombra di un sorriso sul suo volto. Un'ombra che preannunciava l'arrivo nel suo cuore di un sole di nome Bokuto Koutaro.

- Dobbiamo farlo per forza?- chiese Kei.
- Dai Tsukki, è una cosa carina no?- sorrise Tadashi.
- Appunto, da quando io faccio cose carine?-.
- Da quando te l'ha chiesto una persona che ti sta simpatica. Oh, ecco Kunimi!-. Tadashi si allontanò da Tsukki; dato che avevano spostato il pianoforte, avevano dovuto chiedere ai ragazzi che stavano organizzando la festa di lasciare un attimo la stanza perché avevano una sorpresa da organizzare. Anzi, da aiutare ad organizzare. Anche se Kei ancora non ne comprendeva il motivo.
- Scusate, Hinata mi ha detto che avevano bisogno di me qui- Kunimi si avvicinò a loro, rimanendo comunque abbastanza a distanza da non dare fastidio a Tsukishima.
Quella frase fece cambiare idea a Kei: se Kindaichi era arrivato a chiedere aiuto ad Hinata, allora la situazione era seria.
- Ecco, c'è una persona che vorrebbe parlarti- iniziò Tadashi, mentre Kindaichi entrava nella stanza e chiudeva la porta. Kunimi si girò verso di lui e sbuffò.
- Se avevi bisogno di me potevi dirmi di venire direttamente in stanza- affermó. Tadashi non l'aveva mai sentito parlare in tono così tagliente: era sempre stato un ragazzo pacato, vederlo così arrabbiato lo sorprese. Soprattutto dato che sembrava resggersi a malapena in piedi.
Kei iniziò a suonare una melodia dolce, come gli era stato richiesto.
- Vorrei parlare con te- affermó Kindaichi.
- Se vuoi scusarti non farlo: non hai alcun obbligo verso di me, puoi fare quello che vuoi con chi vuoi-. Tadashi riconobbe il significato nascosto dietro le parole di Kunimi.
Non sapeva cosa fosse successo, ma ricordava bene la sensazione di vedere Tsukki allontanarsi per motivi che lui non comprendeva, la tristezza e la rabbia di quel momento unite alla consapevolezza che l'amico non era di sua proprietà e non poteva imporgli di stare con lui.
Quel pensiero, per qualche motivo, gli fece venire un leggero mal di testa.
Kei si accorse del cambiamento nell'espressione dell'amico e addolcì ancora di più la melodia. Si sentì sollevato quando Tadashi si voltò e gli sorrise.
- Si invece. Non voglio che pensi che per me conti solo per quello. Un giorno tu riuscirai ad addormentarti da solo, però io vorrei avere l'opportunità di continuare a dormire con te-. Kunimi sollevò un sopracciglio.
- Guarirai anche tu, non temere-.
- La mia malattia non c'entra-.
- Quindi avevi semplicemente voglia di farti Oikawa?-.
- Certo che no! Ma non volevo continuare a farti soffrire in quel modo-.
- Quindi hai pensato bene di rimpiazzarmi-.
- Non volevo rimpiazzarti. Tu sei insostituibile per me: sei il mio migliore amico da quando andavamo alle elementari, non potrei mai sostituirti-. Kindaichi si avvicinò a Kunimi, che non si mosse.
- Non voglio che pensi che per me sei importante solo per quello. Io vorrei... Poterlo fare con te senza che nessuno dei due sia costretto da una stupida malattia-. Kunimi si accigliò.
- Fare cosa?-. Kindaichi fece un respiro profondo.
- Kunimi, ti va di venire alla festa con me?-. Il più basso spalancó la bocca.
- Io... Cioè... Tu... Insomma... Cosa...-.
Iniziò a borbottare qualche frase a voce talmente bassa che Tadashi non lo comprese, ma dal sorriso di Kindaichi comprese che gli aveva detto di sì.
- È stato carino vero?- chiese, voltandosi verso Tsukki, che dato che i due non lo stavano più ascoltando aveva smesso di suonare.
- Ci sarebbero comunque andati insieme alla festa, non c'era bisogno di chiederlo- commentò il biondo. Per qualche motivo, quella frase suonò a Tadashi come un "anche noi andremo insieme" ed il ragazzo si trovò a sorridere.
Kei scrutò il viso dell'amico: per fortuna sembrava stare bene.
Non era ancora riuscito nemmeno a sfiorarlo. La distanza che manteneva con le altre persone era diminuita, ma ancora non riusciva neanche a toccare il suo migliore amico. Non sapeva come mai: desiderava poterlo aiutare con tutto sé stesso, eppure non ci riusciva.
Tadashi, notando lo sguardo tormentato dell'altro, si avvicinò lentamente a lui. Tsukki ritrasse le mani dal pianoforte mentre lui le allunagava, toccando alcuni tasti e sorridendo all'amico.
Indirettamente ci siamo toccati.
Già: Yamaguchi, come sempre, era riuscito a trovare un modo per tirare su di morale Kei. Eppure, lui continuava a farlo soffrire.

- Quei ragazzi si sono proprio dati da fare- commentò il dottore, osservando la lista di attività che erano state programmate per la festa. In realtà erano cose semplici, come mangiare, bere, un po' di musica ed un gioco interessante proposto da Sugawara. Però come inizio andava bene.
- Sono i primi a voler guarire ora, sono certo che ce la metteranno tutta- affermò Ittetsu, sporgendosi da oltre la spalla di Ukai, che per fortuna era seduto o non ci sarebbe riuscito, per guardare anche lui la lista.
- Così avremo anche noi del tempo per riposare; ormai stanno diventando quasi tutti praticamente indipendenti. I suoi bambini stanno crescendo, dottore- commentò Keishin voltandosi verso l'altro, che era arrossito appena.
- Ho costruito questo posto proprio per aiutare ragazzi come loro; mi mancheranno ovviamente, ma sarò felice se ci riusciranno- affermó.
- Dopo cosa farai?- gli chiese Keishin. Lui era abituato a spostarsi in varie strutture, ma il dottore gli sembrava legato a quel posto.
- Userò questa guarigione di massa per farmi pubblicità ed attirare nuovi clienti!- esclamò il direttore.
- Immaginavo l'avrebbe detto- rise il biondo. In fondo, quell'uomo era fatto così: ci teneva ai suoi ragazzi e voleva aiutare le persone, e aveva trovato un suo modo per farlo. Il dottore lo ammirava più di quanto avesse mai ammirato altre persone che tutti definivano "grandi"; per lui un uomo che pur non avendo molte risorse decideva di investirle tutte per aiutare dei ragazzi in difficoltà, era la persona più ammirevole di tutte.

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Capitolo 10
*** CAPITOLO X. ***


- La festa sta per iniziare- annunciò Keishin, entrando nella stanza con in mano due pizze.
- Perfetto, così possiamo mangiare anche noi!- Ittetsu sorrise, finendo di sistemare la tavola che avrebbero utilizzato per mangiare.
Si erano sistemati nella stanza di fianco alla sala da pranzo e avevano detto ai ragazzi dov'erano, in modo che potessero andare a chiamarli in caso di necessità, ma non intendevano intervenire se non ci fosse stato bisogno. Quei ragazzi erano grandi e stavano imparando a gestirsi da soli. Come genitori apprensivi, loro gli erano stati accanto per dargli una spinta; ma adesso toccava a quelle ventidue persone continuare l'opera.

Kyoko osservó la stanza un'ultima volta, per cercare di capire se fosse tutto sistemato a dovere. Poco prima Kinnoshita e Narita erano venuti a portare il cibo comprato apposta per la festa ed i ragazzi lo avevano sistemato su un tavolo, mentre su quello dall'altra parte c'erano le bevande. La playlist, che conteneva la musica che piaceva un po' a tutti, era pronta per partire, e nella stanza c'era abbastanza spazio per farci stare tutti comodamente. Sembrava che andasse tutto bene, ma lei non riusciva a non sentirsi nervosa.
- Kyoko, è tutto perfetto-. La ragazza si voltó, trovandosi davanti il sorriso di Yachi. Indossava un abito corto colore crema ed i capelli, che di solito teneva raccolti, erano lasciati sciolti. Stava molto bene.
La maggiore indossava invece un vestito lungo blu, e si era fatta legare i capelli dall'amica in uno chignon. Nonostante Yachi avesse assistito alla sua preparazione, non potè fare a meno di stupirsi della sua bellezza.
- Ho paura che qualcuno potrebbe non divertirsi- ammise Kyoko, che ultimamente stava cercando di parlare di più di ciò che le passava per la testa, soprattutto con la sua amica.
- Con in giro persone come Hinata, Bokuto, Kuuro, Nishinoya e Tanaka è impossibile non divertirsi: qualcosa da fare lo si trova sempre. Vedrai che sarà una festa fantastica!- esclamò Yachi.
- Lo spero- mormorò Kyoko. Sapeva che l'amica aveva ragione, i suoi amici trovavano sempre un modo per divertirsi e sicuramente se qualcosa fosse andato storto non avrebbero dato la colpa a lei.
- Ho una cosa per te-. Kyoko notò solo in quel momento che Yachi stava tenendo le mani dietro la schiena; quando le rese visibili, vide che tenevano in mano un braccialetto con sopra un fiore bianco.
- Mi hai detto di non essere riuscita ad andare al ballo di fine Liceo per la tua ansia no? Così ho pensato di farti un pensierino; so che non è la stessa cosa però...-. Kyoko, non sapendo cosa dire, lasció che l'altra si avvicinasse e le mettesse il fiore al polso.
Osservò il nuovo ornamento, ancora sorpresa.
- Spero ti piaccia- mormorò Yachi, arrossendo leggermente, non potendo fare a meno di notare che quel dettaglio rendeva l'altra ragazza ancora più bella. Vide qualche piccola lacrima accumularsi agli angoli dei suoi occhi e spalancó la bocca.
- Tutto bene? Non volevo rievocare ricordi tristi! È che io...-. Kyoko scosse la testa e sorrise.
- È bellissimo. Grazie, Yachi- alzò lo sguardo sull'amica, che a quelle parole si tranquillizzó.
- Di niente-.

- Come sei elegante gattino- ridacchió Tetsuro, mentre porgeva un bicchiere all'amico.
- Come se non avessi passato mezzo pomeriggio a scegliermi i vestiti...- borbottò Kenma, prendendo il bicchiere.
- Volevo che fossi super elegante per la tua prima festa!-.
- Davvero è la tua prima festa? Pensavo che per il suo compleanno il mio bro organizzasse eventi magnifici!- esclamò Koutaro, sorpreso.
- A cui Kenma veniva per stare in disparte a giocare- ridacchiò Tetsuro.
- Bokuto-san, tieni- Keiji tornò dal trio e porse a Bokuto un piatto con sopra del cibo.
- Wow, grazie Aghashi!- Koutaro si chinò per dare un bacio sulla guancia all'altro, sorridendo quando vide una specie di accenno di un sorriso sul suo volto.
- State insieme?- chiese Tetsuro. Li aveva visti entrare mano nella mano, ma aveva parlato con un po' di gente intanto e ancora non aveva avuto l'opportunità di chiederglielo.
- Certo che siamo qui insieme- rispose Bokuto.
- Bokuto-san, credo intendesse se siamo una coppia- gli spiegó Keiji.
- Be', due persone non formano una coppia?- chiese Koutaro, confuso.
- Bro quanto hai bevuto?- rise Tetsuro.
- Solo un paio di bicchieri, perché?-.
- Ok, proverò a spiegartelo con un linguaggio comprensibile- Kenma alzò lo sguardo dal videogioco che aveva in mano e lo puntó su Bokuto.
- Limonate, vi volete tanto bene e desiderate passare il resto della vostra vita insieme?-.
- Certo!- esclamò Koutaro, sorridendo.
- Allora state insieme- concluse Kenma.
- E tu dovresti smetterla di giocare, asociale- lo riprese Tetsuro, tirandogli via la console dalle mani.
- Fammi almeno finire il livello!- si lamentó il più basso.
- Hai bevuto anche tu?- gli chiese Tetsuro.
- Si, con Shoyo. Visto? Ho fatto qualcosa di sociale. Ora fammi finire il livello!-. Tetsuro sospiró e ridiede la console all'amico, ma sorrise: Kenma era insolitamente tranquillo, per essere uno che odiava le feste e la gente, per cui per il momento andava bene così. Finché Kenma era felice, a lui andava bene.

- Guarda, non trovi che Iwaizumi sia molto simile ad Akashi? Quasi non li riconosco. Pensa se Bokuto per sbaglio baciasse Iwaizumi!- Shoyo scoppió a ridere.
- Piccolo, sei al terzo bicchiere, forse dovresti mangiare qualcosa- gli fece notare Tobio, seduto sulla sedie di fronte a lui, divertito. Shoyo sorrise.
- Mi hai chiamato di nuovo piccolo- cantilenò, e l'altro arrossì leggermente.
- È stata la tua immaginazione!- esclamó.
- Non ci credo, Tobio-chan è arrossito?- Toru si avvicinò al duo, seguito da Iwaizumi.
- È l'alcool o qualcos'altro?- chiese il castano, allungando una mano per scompigliare i capelli di Hinata, un gesto che a Tobio diede molto fastidio.
"Lascialo stare, è un po' brillo" gli mimó Iwaizumi con le labbra.
- Allora, come vanno i tuoi disturbi Tobio-chan?- chiese Tooru, avvolgendonle spalle di Hinata con un braccio.
- Tu mi dai sempre fastidio- affermó Tobio. Toru ne era pienamente consapevole, come era consapevole del fatto che Tobio non sopportasse che lui stesse toccando il suo piccolo Hinata, anche se non l'avrebbe mai ammesso.
Uno sguardo esterno poteva fare pensare che fosse Kirai ad avere il controllo in quel momento, ma tutti e quattro sapevano bene quanto Oikawa si divertisse a stuzzicare Kageyama, e non avevano dubbi sul fatto di avere davanti Toru.
- Dai Shittikawa, mangia qualcosa che magari ti riprendi- Hajime prese per il braccio Oikawa, tirandolo via da Hinata.
- Ma mi stavo divertendo!- si lamentó lui.
- Si ma voglio evitare una rissa nel mezzo della festa- ribatté Hajime. Si ricordava che l'amico reggesse di più l'alcool, ma erano anche tre anni che non bevevano.
- Tra chi?-. Hajime lo guardò male e Toru fece un sorriso finto angelico.
- E comunque, guarda: ha funzionato-. Entrambi si girarono.
Tobio, appena i due se n'erano andati, aveva praticamente trascinato Hinata verso di sé per farlo sedere sulle sue gambe.
- Ma che fai!- scoppiò a ridere lui.
- Quel tipo mi fa saltare i nervi- borbottò Tobio. Forse era un po' ubriaco anche lui, ma non gli importava troppo in quel momento: doveva distrarsi dal pensare ad un piano per uccidere Oikawa.
- Ma è simpatico- ridacchió Shoyo, voltandosi verso di lui. I suoi occhi brillavano leggermente per via dell'alcool, e Tobio era stato felice di constatare che il più basso era allegro da tutta la serata.
Ammise che all'inizio era stato un po' geloso nel vederlo ridere con Kenma, ma poi il biondo era stato praticamente rapito da Kuuro e lui si era ritrovato a dover gestire un piccolo Hinata incredibilmente tenero e ubriaco.
- Andiamo a ballare?- chiese Shoyo. Quella sera aveva una voglia matta di scatenarsi; non aveva neanche tanta fame per il momento. Voleva approfittare di quel senso di spensieratezza ancora per un po'.
- Vuoi fare la loro fine?- Tobio indicó con un cenno del capo la pista. Nishinoya e Tanaka, probabilmente più ubriachi di loro, si erano lanciati in uno strano ballo in mezzo alla pista; vide con la coda dell'occhio che Lev, Bokuto e Kuuro stavano per unirsi a loro.
- Sembra divertente! Ti prego!- Shoyo sporse leggermente il labbro all'infuori.
- E va bene. Io non ballo, ma rimarró a guardarti- cedette Tobio. Il sorriso tornò sul volto di Hinata.
- Evviva! Andiamo!- Shoyo si alzò di scatto, afferrando la mano dell'altro ragazzo, che colpo alla sprovvista si lasció trascinare via.

- Guarda, Bokuto sa fare il moonwalk!- esclamò Yu, continuando a ballare.
- Bro, quello è Kuuro- rise Tanaka, imitandolo.
- È comunque bravo! Asahi-san, tu non balli?- Yu si voltò verso l'amico.
- Preferirei di n...- il più grande non fece in tempo a finire la frase che fu trascinato nel mezzo della pista. Si guardò intorno, nervoso; per fortuna non lo stava guardando nessuno.
Provò a muoversi, anche se si sentiva ancora a disagio. Nishinoya inizió praticamente a danzargli intorno, ridendo come un matto.
Asahi sorrise e si sentì più rilassato.
Yu era felice perché voleva approfittare della festa per provare a sfogare tutte le sue energie. Inoltre, prima di entrare alla festa, aveva visto Asahi riuscire a trattenersi dal portarsi le mani al collo come faceva sempre. L'aveva preso come un buon segno ed indenteva fare divertire l'amico il più possibile.

- Stai bene?- chiese Kei, guardando l'amico.
- Ho bevuto un pochino, quindi per ora sì- mormorò Tadashi. La musica non era troppo alta e non gli dava fastidio, e si stava divertendo. Aveva parlato un po' con Yachi ed Hinata, ed ora stava mangiando qualcosa per rilassarsi un po'. Però sentiva che qualcosa non andava.
- Vai a spegnere la musica- gli ordinò Kei, alzandosi.
Tadashi capì cos'aveva in mente e fece un piccolo sorriso, alzandosi a sua volta. Si diresse verso il computer attaccato alle casse e stoppò la canzone, dopodiché raggiunse l'amico al pianoforte. Quelli che stavano ballando erano rimasti un po' confusi all'interruzione della musica, ma gli altri non sembravano averci fatto troppo caso; tutti però si voltarono verso il pianoforte quando Kei iniziò a suonare un lento.
Tadashi sorrise e chiuse gli occhi, mentre qualcun altro riprendeva a ballare.

- Kyoko-san, anche stasera sei bellissima!- esclamò Ryu, avvicinandosi alla ragazza.
- Grazie- rispose lei. Il ragazzo sorrise.
- Ti va di ballare con me?-.
- Va bene-. Ryu spalancò la bocca: Kyoko gli aveva detto di sì? Wow, doveva essere molto ubriaca anche lei.
- Evvai! Invidiami Noyassan!- urló il ragazzo, mentre prendeva per mano la ragazza e tornava nella pista improvvisata. Anche se l'amico non lo ascoltó, dato che era impegnato a ballare con Asahi.
Ryu avrebbe voluto approfittare di quel momento, provava ad avere una risposta positiva da Kyoko da tutta la vita; ciò che non sapeva era che la ragazza aveva accettato per via dello sguardo triste che aveva in quel momento il ragazzo.
- Che succede Tanaka?- gli chiese. Lui rimase sorpreso da quella domanda.
- Sono molto felice di stare ballando con te, Kyoko-san!- esclamò, forzando un sorriso. La ragazza rimase seria.
- Perché ci tieni tanto a fare colpo su di me?- gli chiese.
- Perché tu sei perfetta, Kyoko-san- affermò il ragazzo. Kyoko fece un piccolo sorrise e smise di ballare.
- Io volevo ballare con una persona, per cui adesso andrò da lei; dovresti invitare anche tu la persona con cui vuoi davvero ballare- affermò, prima di voltarsi e tornare verso Yachi.
Ryu rimase in disparte ad osservare mentre le diceva qualcosa e la bionda arrossiva, per poi andare in pista a ballare con Kyoko.
Il ragazzo si sentiva confuso. In realtà, era confuso da prima di entrare alla festa, e non ne capiva il motivo. Aveva anche bevuto solo un bicchiere proprio per evitare di esagerare.
Grazie a Nishinoya era riuscito a rilassarsi un pochino... Più che rilassarsi distrarsi. Ma aveva ancora la sensazione che qualcosa non andasse.
- Ti hanno abbandonato?- Chikara aveva dovuto raccogliere tutto il suo coraggio per avvicinarsi a Tanaka.
- E io che volevo ballare un lento- si lamentó Ryunosuke, facendo sorridere l'altro.
Chikara allungò una mano verso di lui.
- Mi concedi questo ballo?- gli chiese.
- Non sei obbligato solo perché altrimenti mi lamenterò con te tutta la sera- ridacchiò Ryunosuke.
- Lo faccio volentieri: avevo voglia anch'io di ballare, e per il momento sei l'unico con cui posso farlo- si trattenne dal dire "per sempre".
- Allora accetto volentieri- affermò il rasato, prendendo la mano dell'amico.
Chikara ignoró il rossore che avvertí sulle guance quando l'altro gli mise una mano sul fianco ed appoggió la mano sulla sua spalla.
Iniziarono a muoversi a tempo con il pianoforte; Ryu d'un tratto si sentì sollevato, tutte le brutte sensazioni che aveva avuto prima svanirono d'un tratto. Chikara si accorse che, per la prima volta dall'inizio della serata, Tanaka aveva fatto un sorriso sincero.

Yutaro guardó di sottecchi l'amico, seduto di fianco a lui, che stava giocherellando con la cannuccia al centro al suo bicchiere.
Sentiva di dover dire qualcosa, ma non sapeva cosa.
Akira alzò gli occhi al cielo, poi appoggiò il bicchiere sul tavolo.
- Quando inviti una persona da qualche parte, dovresti fare in modo di non passare due ore in totale silenzio- gli fece notare.
Era ancora arrabbiato e deluso dal suo comportamento, anche perché l'amico non si era ancora scusato. Avrebbe voluto sapere cosa significasse esattamente quell'invito che aveva ricevuto, e che per qualche motivo non era riuscito a rifiutare, ma non intendeva essere lui a chiederglielo.
Yutaro osservò la pista davanti a lui, dove già un po' di persone si erano messe a ballare.
- Sei stanco?- chiese a Kunimi.
- È questa la prima cosa che ti è venuta in mente da chiedermi?- commentò lui.
- È che, se non sei troppo stanco, mi piacerebbe invitarti a ballare- ammise Yutaro. Sapeva che Kunimi non era uno di quelli che teneva il muso a lungo perché lo considerava troppo faticoso, quindi già il fatto che dopo un giorno ancora lo trattasse male era una a cosa a cui Yutaro non era abituato. Ma sapeva di averla fatta grossa questa volta, e non poteva contare sul prendere Kunimi per sfinimento come al solito. Doveva fargli capire che gli dispiaceva veramente.
- Ti va?- gli chiese. Senza rispondere Akira si alzò, facendo un paio di passi verso la pista. Era stanco, ma poteva ancora muoversi.
Sapeva che l'amico si sentiva in colpa, o non sarebbe arrivato a chiedere aiuto ad Hinata, e anche a Tsukishima in realtà, anche se ci andava più d'accordo; non era uno che ammetteva facilmente le sue colpe. Ma non voleva fingere che tutto fosse tornato come prima senza sapere cosa volesse Kindaichi da lui. Cosa volesse davvero.
Yutaro a quel gesto di sentì sollevato e si alzò anche lui; era abbastanza imbarazzato, non aveva mai ballato con nessuno. Guardò verso la pista, per cercare ispirazione. Il suo sguardo incontró quello di Sugawara, che gli fece un piccolo sorriso; fece girare Daichi, e guardando verso di lui posizionó le mani dell'amico sui suoi fianchi e poi mise le sue sulle spalle dell'altro.
Yutaro tornò a guardare Kunimi; poggiò una mano sul suo fianco, mentre con l'altra prese le sue e le poggiò sulle sue spalle.
Akira si lasciò guidare: non intendeva fare nulla per aiutare l'amico, se voleva farsi perdonare doveva riuscirci da solo.
Yutaro mise anche l'altra mano sul fianco dell'amico e si voltò nuovamente, cercando di imitare i movimenti dell'altra coppia.
Si rese conto che Kunimi era stanco e rallentò il passo, diminuendo i loro movimenti, e tirando di più l'amico verso di sé. Akira, preso della stanchezza, ma non volendo fare cessare quel momento, poggiò la testa sul petto dell'amico. Si stupì quando, nonostante la vicinanza, notó che l'altro non aveva il suo solito tocco duro e bisognoso, anzi praticamente rispetto al solito non era neanche eccitato; aveva più un tocco dolce, quasi rassicurante.
Yutaro non poté fare a meno di sorridere al gesto dell'amico; appoggiò la fronte sulla testa dell'altro, chiudendo gli occhi e beandosi di quella sensazione. Sentì il suo corpo fremere leggermente, ma gli intimó di stare buono: non intendeva assolutamente rovinare il momento.
Nonostante fosse abituato al corpo di Kunimi contro il suo, quella volta era diverso: quella volta non era solo per il sesso. Era solo perché lo voleva.
Anzi, non era mai stato solo per il sesso.
- Scusami se ho detto che ti servo per dormire e se sono andato da Oikawa. Stavo cercando un modo per poter rimanere al tuo fianco anche senza che ci debba essere un bisogno fisico, ma ho scelto il modo sbagliato per dimostrarlo- mormorò, con un tono tale che solo l'amico potesse sentirlo. Se Oikawa o Kageyama avessero conosciuto quel suo lato dolce lo avrebbero preso in giro a vita; intendeva mostrarlo solo a Kunimi. Dopotutto era per lui che era nato quel suo lato.
- Perché non me l'hai detto?- sussurrò Akira; lui aveva sempre desiderato poter mantenere il loro rapporto anche senza la scusa delle loro malattie, ma aveva paura che per l'altro non fosse così.
- Non volevo dirti che ci tengo a te mentre ti facevo stare male- ammise Yutaro.
- Se me l'avessi detto mi avresti fatto meno male- mormorò Akira. Yutaro lo strinse leggermente più forte.
- Lo so, mi dispiace; mi conosci, faccio schifo a comunicare, non sapevo come dirti quanto ci tenga ad averti con me-. Akira sollevò la testa, guardandolo negli occhi.
- Sono capriccioso, non faccio mai nulla più del necessario, mi irrito con niente e faccio in modo che gli altri facciano tutto al mio posto- elencò Akira, come ad avvisare l'altro di ciò a cui andava incontro.
Yutaro sorrise.
- Ti ho sempre voluto così- affermo, chinando leggermente la testa e poggiando le labbra su quelle di Kunimi.
Era già successo molte volte in quei tre anni, ma quello entrambi lo considerarono per sempre il loro vero primo bacio.

- Direi che basta così- commentò Kei, a cui dopo mezz'ora stavano iniziando a fare male le mani per suonare. Così, mentre concludeva il pezzo, Tadashi andò a riaccendere la radio. Mentre tornava indietro afferrò un bicchiere, dato che si sentiva la gola un po' secca.
- Però ha funzionato- commentò, notando come tutti alla fine fossero scesi in pista. Oikawa aveva obbligato Iwaizumi a ballare con lui per mostrare agli altri di essere il più bravo, Kenma aveva accettato di ballare con Kuuro in cambio di mezz'ora di libertà con il suo videogioco e tutti gli altri in realtà avevano iniziato a ballare quasi subito. Yaku aveva provato a sfuggire a Lev, ma dopo un discorso sull'importanza di dare ascolto alle proprie emozioni aveva ceduto per sfinimento.
Kei guardó l'amico, chiedendosi se anche lui desiderasse ballare.
Tadashi, vedendo la preoccupazione nello sguardo dell'altro, sorrise ed appoggió il bicchiere su una sedia messa tra loro due. Continuando a fissare Tsukki toccó qualche tasto del pianoforte, allargando il suo sorriso.
Indirettamente ci siamo toccati.
Kei, probabilmente incoraggiato anche dall'alcool, allungò una mano ed afferro il bicchiere dell'altro, guardandolo negli occhi mentre beveva un sorso.
Tadashi sì sentì avvampare, cogliendo perfettamente il significato del gesto dell'amico.
Indirettamente ci siamo baciati.

- Ora posso tornare seduto?- si lamentó Yaku.
- Non fare il vecchio Yaku-san!- esclamò Lev.
- Non faccio il vecchio, ma mi hai tenuto in pista per un'ora- ribattè il più grande.
- E va bene, ma ti siedi sulle mie ginocchia- prima che Yaku potesse protestare, Lev si sedette e lo trascinó con sé.
- Ma... Lasciami!- esclamò Yaku.
- Sei carino quando ti arrabbi- ridacchiò Lev; Yaku si sentì avvampare. Era sempre stato fin troppo sensibile ai complimenti, ed il mezzo-russo approfittava sempre di questa sua debolezza per farlo imbarazzare.
Però, smise di lamentarsi: dopotutto, si trovava in una posizione comoda.
- Per una volta la tua altezza sarà d'aiuto- commentò, appoggiando la testa al suo petto.
Questa volta fu Lev ad arrossire.
- Poi sono io eh?- ridacchiò Yaku.
A Lev venne un'idea: si chinò e diede un bacio sulla testa a Yaku.
- Ma che fai!- esclamò lui, voltandosi di scatto.
- Così ora sei di nuovo tu il più rosso- affermò il più alto.
- Sei un vero idiota- sbuffò Yaku, facendo per alzarsi; ma Lev lo trattenne.
- Starò buono Yaku-san! Ma rimani qui va bene?-. Per l'ennesima volta, Yaku sentí la rabbia sparire e si sentì arrossire.
- Idiota- mormorò, ma si appoggiò nuovamente all'amico e chiuse gli occhi. L'aveva già notato ma... Per tutti il tempo del ballo, le mani dell'altro non avevano tremato per un solo istante.

- Ti sei rilassato un po'?- chiese Daichi quando finirono di ballare.
- Certo, dopotutto siamo ad una festa- gli fece notare l'altro, sorridendo.
- Pensi che non l'abbia notato Suga?- Daichi fece il sorriso di chi ha capito tutto - non hai ancora bevuto un goccio, hai mangiato appena e continui a guardarti intorno per controllare gli altri- elencò.
Koushi fece la stessa espressione di un bambino appena stato scoperto, facendo intenerire Daichi.
- È che molti sono arrivati qui ancora minorenni, e non hanno mai bevuto prima, e anche chi magari lo faceva sono tre anni che non vediamo alcool... Volevo solo evitare che qualcuno stesse male!- si difese.
- Ti comporti proprio come una mamma Suga- rise Daichi - ma questi ragazzi sono grandi, se la caveranno anche se tu ti rilasserai un po'- gli porse un bicchiere e Suga li ringrazió con un sorriso.
Daichi non aveva potuto fare a meno di rimanere colpito dal modo naturale in cui Suga, fingendo di stare pensando ai fatti suoi, in realtà aveva tenuto d'occhio tutti gli altri. Aveva anche aiutato Kindaichi, seppur ci avesse parlato pochissimo e l'altro non gliel'avesse chiesto, a dichiararsi a Kunimi, nonostante non conoscesse la situazione.
Adesso voleva essere Daichi a prendersi cura di lui. Sapeva che Suga si sentiva meglio quando aiutava gli altri, ma ogni tanto doveva pensare anche a sé stesso.
- Ti dò una mano io, va bene? Così potrai anche riposare intanto- affermó. Koushi bevve un sorso e gli fece un sorriso.
- A proposito, scusami se prima ti ho trascinato in pista all'improvviso- gli disse, arrossendo leggermente.
- Figurati, è stato divertente; e poi almeno ti sei rilassato- affermò Dischi.
- Già, è stato bello- confermò Koushi.
- Un momento di attenzione prego!- si voltarono tutti quando sentirono la voce di Kuuro che richiamava la loro attenzione.
- Adesso che siamo tutti brilli ma non abbastanza da non capire più niente, prima che qualcuno svenga vorrei proporre un gioco... Che vi spiegherà Suga, dato che l'ha proposto, quindi se non vi piace prendetevela con lui e non con me che l'ho approvato con grande gioia- affermò.
- Mi sa che è arrivato il tuo momento- ridacchiò Daichi.
- Scherzi? Tu vieni con me. Hai detto di volermi aiutare no?- gli ricordó.
- Questo è ricatto...- borbottò Daichi, ma vedendo il sorriso di Suga non poté fare altro che seguirlo al centro della stanza per aiutarlo a spiegare il gioco.

- Sette minuti in Paradiso?- chiese Ittetsu, confuso.
- Esatto: due persone rimangono chiuse per sette minuti da qualche parte. Non sono obbligati a fare niente, ma penso che l'idea di Sugawara fosse, invece di sceglierli a caso, di usare le coppie praticamente già formate. Penso che speri che il grande senso di intimità, unito all'alcool, possa aiutarli a sfogarsi e chiarirsi- spiegò Keishin.
- Wow, capisco! In effetti è un'ottima idea!- affermò il direttore, sorridendo.
Al dottore venne improvvisamente un'idea.
- Direttore, e se...- indicò l'orologio che aveva al polso - ci giocassimo anche noi?-.

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Capitolo 11
*** CAPITOLO XI. ***


- Vuole che giochiamo? Ma... Noi siamo già in una stanza da soli- fece notare Ittetsu, sperando che non si notasse troppo il calore che si era diffuso sulle sue guance.
- Lo so, ma possiamo fingere che non sia così- Keishin si alzò, superó il tavolo ed andò a sedersi di fianco a Takaeda.
In quella stanza i tavoli erano di quelli bassi, dove si mangiava stando in ginocchio, perciò i due si ritrovarono quasi appiccicati.
- Fingiamo non ci siano il cibo e l'alcool- di cui ne aveva parecchio in corpo - e passiamo sette minuti come se avessimo solo quelli nella serata. Possiamo anche stare in silenzio se preferisci-.
Ittetsu cercò di non guardarlo mentre cercava di ragionare, ma la vicinanza dell'altro glielo rendeva difficile.
- Va bene; sarà divertente- affermó.
Keishin sorrise ed appoggió l'orologio sul tavolo, pronto per iniziare.

- Non ho capito come ci siamo finiti qui...- borbottò Koushi - non dovevamo decidere l'ordine facendo girare una bottiglia?-.
- Si, ma hanno voluto fartela pagare per aver proposto il gioco- rise Daichi.
- Quindi è colpa mia?-.
- Si; ma almeno ti hanno lasciato tenere il bicchiere- gli fece notare l'amico.
- Che gentili- sospirò Suga, ma sorrise. Dopotutto, quando aveva proposto quel gioco sapeva che sarebbe arrivato anche il loro turno.
Tra l'altro aveva anche già visto lo sgabuzzino in cui era stato rinchiuso: era una stanza collegata alla sala da pranzo in cui tenevano alcune sedie e le stoviglie di ricambio. Era un po' piccolo, riuscivano appena a stare appoggiati ognuno contro una parete ed erano comunque a pochi centimetri uno dall'altro.
- Sei incredibile Suga- affermó Daichi all'improvviso. L'altro alzò lo sguardo sugli occhi del moro, che gli stava sorridendo.
- Cosa intendi?- gli chiese, confuso.
Daichi avrebbe voluto dirglielo da anni, e probabilmente quella era l'occasione ideale.
- Hai proposto questo gioco per aiutare gli altri vero?-. Koushi annuì.
- Ti invidio per come ti prendi sempre cura di tutti, nonostante i tuoi problemi; non vuoi lasciare che nessuno veda il tuo lato debole. Sei proprio come una mamma- affermò.
- Daichi, è dal primo giorno che siamo qui che apparecchi, aiuti con le pulizie e tieni d'occhio tutti per evitare che non si facciano del male tra di loro. Se proprio vogliamo parlare di genitori incredibili, direi che il padre perfetto qui sei tu- gli fece notare Koushi con il sorriso.
- Lo sai che non ce l'avrei fatta senza di te; non avrai avuto la forza di occuparmi degli altri se tu non ti fossi preso cura di me- ammise Daichi.
- La madre deve prendersi cura anche del padre no?- scherzó Koushi. Si rese conto di ciò che aveva detto solo quando vide il rossore sulle guance dell'altro e si sentì arrossire anche lui.
- Quanti minuti sono passati secondo te?- chiese Koushi, nel tentativo di sviare il discorso. Con Daichi si era sempre sentito incredibilmente a suo agio, ma in quel momento non sapeva proprio cosa dire.
- Suga-. Koushi si voltò, e si trovò davanti Daichi. Davanti letteralmente, dato che il moro si era staccato dalla parete ed aveva fatto un paio di passi in avanti.
- Ricordi quando ha nevicato, e mentre apparecchiavo mi hai detto che saresti andato a controllare se tutte le porte fossero chiuse?- chiese Daichi; vide da come lo sguardo dell'altro si era spalancato che aveva capito.
- Mi hai visto vero?- mormorò Koushi.
- Mentre saltellavi in mezzo alla neve come un bambino? Si- confermò Daichi. Non avrebbe mai dimenticato quella visione. Gli era sempre sembrato che Suga si stesse trattenendo, e quando l'aveva visto quel giorno aveva capito che c'era in lui una parte infantile, che teneva nascosta per paura di non essere più preso sul serio.
- Che imbarazzo!- Koushi si portò le mani davanti al volto, per quanto glielo permetteva il bicchiere che aveva in mano, che sapeva essere diventato completamente rosso.
Adesso Daichi non si sarebbe più fidato di lui, l'avrebbe preso solo per un bambino.
- Suga- Daichi gli fece spostare le mani dal viso e gli sorrise.
- Sei giovane, nessuno ti dice di prenderti cura di tutto e non divertirti. Ho adorato vederti così libero, adoro quando fai battute a caso o quando ti emozioni nel guardare cartoni animati. Non devi trattenerti solo perché vuoi prenderti cura degli altri: puoi sia essere una mamma che essere un adolescente felice- affermò. Aveva sempre voluto dirglielo, ma temeva che l'amico avrebbe frainteso ció che voleva dire.
- Dici davvero?- sussurró Koushi, sorpreso.
- Perché pensi di dover essere sempre tu a prenderti cura degli altri?- gli chiese Daichi. Koushi abbassò la testa.
- Mia mamma stava spesso male, così mi proponevo per fare ciò che potevo. Volevo crescere in fretta per poterla aiutare, ma non sono mai riuscito a liberarmi di questa mia vena infantile- raccontó.
- Quando ero all'ultimo anno delle elementari- Koushi sollevò lo sguardo, sorpasso dal fatto che l'altro avesse iniziato improvvisamente a raccontare - sono diventato capitano della squadra di pallavolo della scuola. I miei genitori continuavano a ripetermi che, impegnandomi con costanza e diligenza, sarei riuscito a realizzare i miei sogni. Eppure, al club mi sono sempre trovato da solo, gli altri bambini non avevano voglia di impegnarsi e quando hanno visto che ero troppo severo se ne sono andati. La situazione si è ripetuta anche alle medie e agli inizi del Liceo, finché non ce l'ho fatta più. Ho iniziato a vedere compagni che non esistevano e situazioni irreali. Penso che la mia malattia si sia sviluppata per questo: avevo tanti sogni, ma nessuno che mi aiutasse a realizzarli-. Non sapeva perché glielo stesse dicendo, non l'aveva mai raccontato nessuno. Però si poteva fidare di quel ragazzo; gli era stato accanto e l'aveva aiutato sin dal primo giorno in quel luogo.
Daichi ricordava ancora come, durante il primo pasto in quel luogo,  avesse cercato di attirare l'attenzione di tutti gli altri nel tentativo di presentarsi ed iniziare una convivenza pacifica. Nessuno lo stava ascoltando, poi era entrato Suga; battendo le mani aveva richiamato l'attenzione di tutti, lo aveva affiancato e si era presentato, per poi lasciargli la parola.
Per una volta, aveva sentito che c'era qualcuno che condivideva i suoi obiettivi e aveva abbastanza forza per provarci.
- Ti aiuterò io-. La risposta di Koushi arrivò di scatto, non appena Daichi finì di parlare.
- A fare cosa?- gli chiese, confuso.
- A realizzare i tuoi sogni. Qualsiasi essi siano: non avrai più bisogno di allucinazioni se ci sarò io- affermó, con una convinzione negli occhi che Daichi non aveva mai visto, e che lo lasciò un attimo sorpreso. Poi sorrise. Non aveva raccontato la sua storia a Suga per spingerlo ad aiutarlo, ma era felice delle sue parole.
- E va bene, ma ad una condizione- affermó. Koushi corrugò le sopracciglia.
- Una condizione?-. Daichi si avvicinò ancora di più.
- Quando usciremo e non dovrai più fare da mamma a questi ragazzi, voglio vederti fare tutto ciò che ti diverte. E voglio farlo insieme a te- affermó.
Koushi rimase sorpreso da quell'affermazione; non pensava che qualcuno gli avrebbe mai detto una cosa simile. Ed era felice che il primo fosse stato Daichi.
- Ci sto- gli porse la mano, ed il moro gliela strinse.
- Hey voi due, possiamo aprire o siete in condizioni indecenti?- urlò Kuuro, bussando alla porta.
- La tua è tutta invidia!- gli rispose Koushi, mentre il moro apriva la porta e loro uscivano dalla stanza, tornando verso i loro amici che erano seduti in cerchio al centro della stanza.
- Che è successo lì dentro?- chiese Oikawa con un sorriso fraintendibile in volto.
- Top secret- affermó Koushi - scegliamo i prossimi; Daichi, usami come bottiglia-.
- Come bottiglia? Sicuri ci fosse abbastanza aria lí dentro?- commentò Kuuro, confuso e divertiti.
Koushi lo ignoró e si mise in mezzo al cerchio; Daichi lo raggiunse, gli mise le mani sulle spalle ed iniziò a farlo girare.
- Sembra divertente!- esclamò Bokuto, mentre Daichi si allontanava leggermente. Koushi continuò a girare e si mise a ridere, mentre allungava il braccio.
Ne rimasero tutti sorpresi: non avevano mai visto Sugawara comportarsi così. Ma in fondo, tutti preferivano avere una mamma che si divertiva con loro.
E Daichi era il più felice di poter assistere alla gioia dell'argentato, e non poté fare a meno di sorridere mentre l'altro diminuiva la rotazione, fermandosi per indicare la prossima coppia.

- Quanto è piccolo sto posto!- commentò Hinata, mentre la porta dello sgabuzzino si chiudeva alle sue spalle.
- E disordinato- borbottò Kageyama.
- Vuoi metterlo a posto?- rise il più basso. Era ancora più allegro del solito, anche grazie all'alcool che aveva in corpo.
- Magari domani, ora non abbiamo abbastanza tempo- mormorò l'altro, cercando di non fare caso al casino che aveva intorno.
- Cosa vorresti fare?- gli chiese Shoyo, mentre Tobio si appoggiava al muro ed iniziava a picchiettare l'indice contro la superficie alle sue spalle.
- Ti rende nervoso il casino?- gli chiese Hinata.
- E anche essere in uno spazio con così poca libertà di movimento- ammise Tobio. Non era claustrofobico, semplicemente gli dava fastidio non potersi muovere liberamente.
- Preferisci gli spazi grandi?-.
- In realtà mi piacciono le cose piccole-.
- Come me?-.
- Esatto-. Shoyo spalancó la bocca.
- Cosa intendi?-.
- Che sei piccolo-.
- Baka! Sai che non intendevo questo!-.
- Se non parli come faccio a sapere cosa intendi bokè?- gli fece notare Tobio.
- Non cambiare discorso!-.
- E chi lo cambia? Ho semplicemente detto che mi piacciono le cose piccole-.
- E io sono piccolo-.
- Si ma sei anche rumoroso-.
- Meglio che avere sempre il broncio-.
- Io non ho sempre il broncio!-.
- Ah no? Prova a sorridere allora-. Tobio ci provó, ma sul suo volto uscì una specie di ghigno malefico.
- Questa espressione fa paura- affermò Shoyo, ridendo.
Per qualche motivo però, quell'affermazione fece sparire la gioia dal volto di Tobio.
- Che succede?- gli chiese Shoyo.
- Niente- mormorò Tobio. Per un attimo, si era dimenticato di quanto lui facesse paura agli altri. Se non fosse stato così aggressivo e capriccioso, adesso probabilmente sarebbe stato ancora amico di Kindaichi. Non ci sarebbe voluto molto perché anche Hinata si accorgesse della persona che era.
Sentì un paio di mani afferrare la sua ed un attimo dopo il suo palmo entrò in contatto con una capigliatura morbida.
- La prima volta ti stavo facendo male. Perché non ti sei spostato?- mormorò Tobio. Ricordava bene che la sera in cui erano arrivati lì aveva visto Kindaichi, e per qualche motivo si era messo a litigare con lui. Hinata si era messo in mezzo, e a lui aveva dato fastidio, per cui l'aveva afferrato per i capelli per spostarlo.
E invece, si era improvvisamente calmato.
- Perché ne avevi bisogno-. Tobio sbattè le palpebre, confuso da quella risposta.
- Cosa intendi?-. Hinata accennò un sorriso.
- A volte abbiamo bisogno di un amico su cui scaricare il nostro dolore. Sapevo che non mi avresti fatto male davvero, avevi solo bisogno di aiuto- affermò.
- Non mi conoscevi neanche. Perché volevi aiutarmi?- mormorò.
- Be', avevi tenuto il broncio tutto il giorno ed avevi un'espressione antipatica- borbottò Shoyo - ma non volevo che litigassi con un tuo amico-.
- Io e Kindaichi non siamo più amici da tempo- mormorò Tobio.
- Cos'è successo tra di voi?- gli chiese dolcemente Shoyo.
Tobio sospirò mentre accarezzava i capelli dell'altro.
- Siamo entrambi persone scontrose e poco propense al dialogo, ma in qualche modo eravamo sempre andati d'accordo. Non eravamo amici come lui e Kunimi, però stavamo spesso insieme; forse perché neanche a me, come a lui, interessavano le cose da "grandi" che facevano gli altri. Avevamo i nostri divertimenti e ci andava bene così. Crescendo tutti hanno iniziato a farmi i complimenti per la mia bravura nello sport, ed ogni volta che capitavano in quadra insieme io pretendevo che tutti fossero perfetti, ma lui e Kunimi soprattutto, perché erano miei amici. Un giorno mi sono arrabbiato troppo con Kunimi, Kindaichi si è messo in mezzo e... Per finire, abbiamo fatto a pugni. Da allora non ci siano più parlati-.
Tobio si accorse solo quando finì di parlare di aver serrato la presa sui capelli di Hinata; lo lasció andare di colpo.
- Scusami io...-.
- Sai, penso che sia molto meglio avere degli amici con cui litigare e poi fare pace che non averne affatto- Shoyo sorrise - per cui... Dovresti farci pace. Va bene?-.
Tobio rimase sorpreso da quella frase. Si ricordó in quel momento che Hinata era rimasto solo, senza amici, per molti anni.
- Non prendo ordini da uno basso come te- borbottó, spostando la mano e distogliendo lo sguardo.
Si sentì tirare per la mano e si ritrovò sdraiato per terra, con Hinata sopra di lui.
- Ma che fai!- protestò Tobio, sorpreso.
- Adesso siamo alla stessa altezza. Quindi, ti ordino di fare pace con il tuo amico Kindaichi- affermò.
- Sei pazzo? Io non prendo ordini da te bokè!-.
- E allora io non ti bacio-. Tobio si sentì diventare completamente rosso.
- Baciarmi? E chi ha detto che voglio baciarti?- balbettò.
Shoyo sorrise: era leggermente rosso per via dell'alcool, e quel dettaglio lo rese ancora più adorabile agli occhi di Tobio.
- Hai detto che ti piaccio perché sono piccolo no?-.
- E anche che sei fastidioso- gli ricordó Tobio.
- Anche tu lo sei. Però sei anche carino-.
Shoyo aveva la mente leggermente offuscata a causa dell'alcool, ma era più che certo di ciò che stava dicendo.
- Sei ubriaco piccolo- sussurrò Tobio.
- Si, lo so- Shoyo appoggiò la testa sul petto dell'altro, che lo avvolse tra le sue braccia - però mi piace quando mi chiami piccolo- mormorò.
Rimasero per un attimo in silenzio. Shoyo serrò i pugni: da un lato voleva bearsi ancora un po' di quella situazione, dall'altro era consapevole dello scorrere del tempo.
Alzò leggermente la testa, facendo una piccola pressione sul petto del moro. Anche Tobio alzò la testa, fissandolo negli occhi. Rimase immobile mentre Shoyo si avvicinava lentamente, fino a premere le sue labbra contro quelle dell'altro.
Tobio gli appoggiò le mani sulle guance, tirandolo ancora di più verso di lui ed approfondendo il contatto.
- Sono felice di essere ubriaco, finalmente sono riuscito a dirtelo- sussurrò Shoyo, sorridendo.
- Ti perdono per essermi saltato addosso solo perché sei troppo carino al momento- affermò Tobio.
- Io sono sempre carino- ribatté l'altro.
- Confermo- dichiaró Tobio, baciandolo di nuovo ed affondando le mani tra i suoi capelli morbidi.
Shoyo sorrise mentre ricambiava il bacio. Era stato solo per tanto tempo, ma in quei tre anni Kageyama non aveva mai lasciato il suo fianco neanche per un istante. Voleva che non lo facesse neanche in futuro.
- Bakageyama- lo chiamò.
- Dimmi piccolo bokè-.
- Io non ti faccio schifo vero?- mormorò.
- E me lo chiedi dopo avermi baciato?-.
- Rispondi e basta. Non ti faccio schifo?-.
- Io ti faccio paura?-. Shoyo corrugò la fronte, confuso.
- Certo che no-.
- La risposta è la stessa. Non potresti mai farmi schifo, sei troppo carino- affermò.
- Neanche quando...- Shoyo non si era mai vergognato della sua malattia, ma in quel momento non riuscì a dirlo.
- No, neanche in quei momenti. Te l'ho già detto: sei imperfetto, ma sei l'unica cosa imperfetta che accetto nella mia vita- gli accarezzò i capelli e Shoyo sorrise.
- Questa me la ricorderò a vita- affermò il più basso.
- Raccontalo a qualcuno e ti ammazzo-. Shoyo scoppió a ridere.
- Un po' mi era mancato questo lato di te- affermó.
- Taci bokè- borbottò Kageyama, ma sorrise.
- Ecco, questo sorriso però lo preferisco- dichiarò Shoyo, chinandosi per baciare il moro.
Loro due litigavano spesso, si divertivano a stuzzicarsi a vicenda, ma alla fine lo facevano perché quello era il loro modo di stare insieme, di essere felici insieme.
- Farò pace con Kindaichi-. Shoyo sorrise.
- Verrò con te se avrai bisogno-. Il moro strinse ancora più a sé il più basso.
- Non cambiare mai- mormorò Tobio.
- Se rimani con me, non lo farò- affermò Shoyo. Non aveva motivo di fingere di non essere sé stesso se aveva qualcuno che lo capiva davvero; e Tobio non aveva più bisogno di cercare la perfezione in tutti, gli bastava avere lui al suo fianco.
- Hey voi due, è ora di uscire: il resto lo farete in camera!- urló Kuuro.
- Chi ha dato a quell'idiota il compito di avvisare lo scadere del tempo?- borbottò Tobio, facendo ridere Shoyo. I due si alzarono ed il più piccolo si arrampicò sulla schiena dell'altro, avvolgendogli le gambe intorno ai fianchi ed appoggiandogli le mani sulle spalle.
- Andiamo Bakageyama!- urlò, alzando un braccio, mentre le mani dell'altro si poggiavano sotto le sue gambe per aiutarlo a tenersi sú meglio.
- Adesso non esagerare bokè- borbottò Tobio.
- Andiamo!- urlò nuovamente Shoyo, sporgendosi leggermente all'indietro.
- Attento che cadi!- Tobio serrò le presa sulle sue gambe.
- Oh, ti preoccupi per me?- chiese Shoyo, tornando ad appoggiarsi alla sua schiena, mentre Kuuro apriva la porta per farli uscire.
- Hey Kenma, sai che...-.
- Dí una parola e ti lancio della finestra bokè!- gli intimó Tobio. Shoyo rise mentre si risedevano ai loro posti di prima... Ovvero Tobio tra Kenma e Yamaguchi, Shoyo in braccio a lui.
- Sai che mi ha detto che si preoccupa per me e non vuole che cambi?- sussurrò Shoyo all'orecchio di Kenma.
- Sei urbiaco- affermò il biondo.
- Concordo, ed è divertente!-.
- Bokè gira la bottiglia- lo richiamò Tobio.
- Agli ordini Baka!- Shoyo si avvicinò al centro del cerchio, dove c'era la bottiglia da girare, mettendosi praticamente a quattro zampe davanti a Tobio, che si sentì arrossire.
Si voltò, cercando di ignorare il calore che gli si era propagato in tutto il corpo; ma girandosi da un lato vide Tsukishima ridere, dall'altro Oikawa che gli faceva gesti poco consoni alla situazione.
- Gira!- esclamò Shoyo, osservando la bottiglia iniziare a girare velocemente, per poi rallentare e fermarsi davanti alla coppia successiva.

- Stammi vicino, potrebbe essere pericoloso- il maggiore tirò a sé il minore, guardandosi intorno come per assicurarsi che non ci fossero pericoli.
- Bokuto-san... È uno sgabuzzino- gli fece notare Keiji.
- Si ma non si sa mai-. Keiji si voltò.
- Bokuto-san, se vuoi abbracciarmi basta dirmelo- lo avvisó.
- Davvero posso?- gli occhi di Kuotaro si illuminarono.
- Non devi chiedermi il permesso, mi fa piacere quando lo fai-. Keiji non poteva dire di essere felice in quei momenti, ma sapeva che c'era qualcosa di diverso, qualcosa di giusto quando stava con Bokuto.
- Che bello, rendo Aghashi felice!- Koutaro strinse l'altro ragazzo tra le braccia. Keiji si lasciò avvolgere, aggrappandosi con il corpo a quello di Bokuto e con il cuore al senso di calore che gli trasmetteva.
Kuotaro si era accorto di come il ragazzo lo stringesse forte, quasi come se stesse cercando di trattenere qualcosa che non voleva se ne andasse. Era convinto che Akashi rivolesse i suoi sentimenti, e avrebbe fatto di tutto per ridarglieli.
- Aghashi, ti amo-. Keiji sollevò di scatto la testa.
- Cosa?-.
- Ho detto che ti amo- ripetè Koutaro. Keiji si staccò leggermente da lui per guardarlo meglio negli occhi.
- Bokuto-san...-.
- Non mi importa- lo interruppe Koutaro. Keiji non l'aveva mai visto con uno sguardo così serio; eppure, sembrava mantenere la sua solita gioia.
- I tuoi occhi hanno sorriso di nuovo, più del solito. Non mi importa se non riesci ad avvertire i tuoi sentimenti: significa che continuerò a ripeterti che ti amo e a vederti sorridere così, finché non li ritroverai- affermò.
Keiji rimase sorpreso. Tutti gli avevano sempre detto che non aveva sentimenti; e adesso, che lui era davvero convinto di esserne sprovvisto, a lui che era stata diagnosticata una malattia che non ti fa provare sentimenti... Proprio a lui quel ragazzo aveva appena detto che i suoi sentimenti erano lì, solo non riusciva a raggiungerli. Ma c'erano. Erano da qualche parte dentro di lui.
Koutaro spalancò la bocca.
- Aghashi... Stai piangendo...- mormorò. Keiji si portò una mano al volto e quasi sussultò nel sentirlo bagnato: era vero, stava piangendo. Di getto, si appoggiò al petto di Bokuto ed iniziò a singhiozzare. Ancora non avvertiva niente, ma sembrava che il suo corpo si stesse ricordando come fosse reagire alle emozioni.
- Dimmelo ancora- quasi pregó. Sentì le braccia forti di Bokuto avvolgerlo.
- Ti amo Aghashi, non ti lascerò mai. Rimarrò sempre al tuo fianco, non voglio rinunciare ai miei sentimenti e non voglio che tu rinunci ai tuoi. Ti renderò felice a qualsiasi costo. Ti amo, ti amo davvero tanto-. Keiji iniziò a singhiozzare più forte.
Non avrebbe voluto farsi vedere in quelle condizioni, non gli era mai piaciuto mostrare le sue debolezze. Ma sapeva che di Bokuto poteva fidarsi, sapeva che non l'avrebbe giudicato, anzi probabilmente era felice di quel suo sfogo.
Infatti, anche se il corvino non lo stava guardando, Koutaro sorrise. Anche in quel momento Akashi, con gli occhi arrossati e pieni di lacrime, era bellissimo.
Non seppe quanto tempo passarono così; minuti interi sicuramente, dato che ad un certo punto Kuuro aveva aperto piano la porta, ma notando la situazione delicata alla coppia era stato concesso ancora qualche minuto.
Koutaro se ne accorse, mentre Keiji no: non era ancora riuscito a smettere di piangere. Era come se il suo corpo stesse buttando fuori tutte le lacrime che aveva trattenuto negli anni in cui era stato emarginato, trattato male ed ignorato per via della prima impressione che dava alle persone.
Una prima impressione che Bokuto era riuscito a scacciare via in un attimo. Quel ragazzo lo aveva accettato nonostante fosse diventato quello che tutti lo accusavano di essere. Anzi, lo stava riportando a ciò che era veramente. Avrebbe tanto voluto poter fare lo stesso per lui.
- Va meglio?- chiese Koutaro, carezzando la schiena dell'altro quando vide che dai suoi occhi non uscivano più lacrime.
- Si- mormorò Keiji, alzando lo sguardo. Si mise leggermente in punta di piedi e diede un bacio a Bokuto, che ne rimase piacevolmente sorpreso.
- Scusami per lo sfogo- mormorò.
- Con tutte le volte che tu hai aiutato me! E poi ci sarò sempre per sfogarti! Come ha detto Kenma? Siamo quelle persone che limonano e stanno insieme no?-.
- Fidanzati non è meglio?- propose Keiji.
- Mi piace!- esclamò Koutaro, avvolgendo il suo braccio intorno alle spalle dell'altro mentre si dirigeva verso la porta.
- Hey gente!- la spalancò di scatto, facendo voltare tutti verso di loro - Agahshi è il mio fidanzato! Capito Kenma? Fidanzato è più corto di persone che limonano e stanno sempre insieme-. Il biondo alzò gli occhi al cielo mentre tutti gli altri iniziavano a fargli i complimenti.
Sembravano tutti più emozionati del dovuto, ma Keiji pensó fosse per via dell'alcool. Quello che non sapeva era che erano tutti felici di aver visto le sue guance diventare leggermente rosse.
- Ed ecco la prossima coppia!- Koutaro saltò al centro del cerchio e fece girare la bottiglia.

- Allora Iwa-chan, com'è stare in uno stanzino chiuso con me?- chiese Toru in tono ammiccante.
- Taci, puzzi- sbuffò Hajime.
- Non è vero, sono profumatissimo- ribatté Toru. Hajime alzò gli occhi al cielo; in realtà il suo amico sapeva d'alcool.
Sapeva che Oikawa non stava bene. Non sapeva cosa facesse Kirai quando prendeva il controllo, ma non stava bene sapendo che poteva fare del male ai suoi amici. E lui doveva liberarlo.
Fece un respiro profondo e guardò l'amico negli occhi.
- Oikawa-.
- Che c'è? Ti sei improvvisamente reso conto di quanto sono attraente?- ridacchiò Toru, ma smise nel vedere lo sguardo serio dell'altro. Sentì il suo cuore battere all'impazzata, e non ne capiva il motivo.
- Devo parlarci un attimo-. Toru tremò leggermente all'affermazione di Hajime.
- Perché?- mormorò. Iwaizumi sapeva bene quanta fatica facesse a tenerlo lontano, e quanto fossero rari i momenti in cui la presenza della sua altra personalità non minacciava la sua vita. Allora perché glielo stava chiedendo? Perché voleva portargli via quel piccolo attimo di felicità?
- Ti fidi di me?- gli chiese Hajime. Prima di potersene rendere conto, Toru stava annuendo: si fidava di Iwa-chan più che di sé stesso.
Toru chiuse gli occhi. Non ci volle molto: gli bastò pensare a tutti i suoi fallimenti, ai momenti in cui si era sentito debole e sconfitto, a tutte le volte in cui avrebbe voluto urlare ma non aveva potuto, a tutte le sue sofferenze. Quando riaprí gli occhi, non era più Toru.
Kirai fece un sorriso.
- Mi cercavi, Iwaizumi?-.
- Si: ho una cosa da dirti- affermò Hajime. Aveva paura di Kirai, l'aveva sempre avuta; quel mostro con lo stesso volto del suo amico lo spaventava, temeva potesse portarsi via la persona più importante della sua vita, aveva paura che li allontanasse, che trovasse un modo per separarli per sempre.
Ma era Toru che soffriva di più per quella situazione, Hajime lo sapeva bene: doveva aiutare il suo migliore amico a qualsiasi costo.
- Sentiamo allora-. Hajime strinse i pugni.
- Io troverò un modo per mandarti via. Non lascerò che rovini la sua vita: prima o poi, ti farò sparire- affermò. Il sorriso di Kirai si allargò.
- E pensi di riuscirci?- fece un passo verso Hajime, che arretró istintivamente, finendo contro il muro. Kirai si avvicinò ancora di più, fermandosi a pochi centimetri dalle sue labbra.
- Sai bene che sono il motivo per cui entrambi siete qui. Tu hai contribuito alla mia creazione. Ora pensi di potermi battere?- sussurrò in tono derisorio.
- Noi ti batteremo- affermò Hajime - ora vattene-.
- Lo farò, per ora. Ma ti dò un consiglio: se davvero ami Toru...- Hajime sussultó appena - ti conviene dirglielo prima che sia troppo tardi-.
Hajime non fece in tempo a ribattere perché Kirai chiuse gli occhi, e quando li riaprí era di nuovo Toru.
Il castano si guardò intorno, leggermente confuso.
- Stai bene Iwa-chan?- gli chiese. Toru non aveva mai voluto sapere nulla sulla sua altra personalità; sentiva la sua cattiveria dentro di sé, e questo gli bastava. Ma non voleva assolutamente che facesse del male ad Iwa-chan.
- Si; scusami se ti ho chiesto una cosa simile-. Toru accennó un sorriso.
- Mi fido di te Iwa-chan. Che gli hai detto?-.
- Che troveremo un modo per mandarlo via- affermò. Toru lo guardó, leggermente perplesso.
- Iwa-chan, apprezzo l'impegno, ma dato che non puoi prenderlo a pugni come pensi di fare?- gli chiese.
- Quel tipo è nato perché tu ti sentivi troppo insicuro e non volevi dirlo a nessuno; volevi qualcuno che ti proteggesse, e dentro di te si è creata una seconda personalità- raccontò Hajime. Toru spalancò gli occhi.
- E tu come lo sai?-. Sapeva che Iwa-chan conosceva la sua seconda personalità, e che essa era dovuta al bisogno di sicurezza e di tranquillitá nella sua vita. Ma non credeva che l'amico sapesse così tanto; neanche lui in realtà sapeva esattamente come si fosse formato l'altro, sapeva solo che era legato ai sentimenti negativi dentro di lui.
- Io c'ero quando è nato. Ricordo ancora il giorno in cui ho visto i tuoi occhi cambiare per la prima volta, il giorno in cui ho capito che stavi talmente male da volerti rifugiare in un posto in cui nessuno poteva raggiungerti. Ho odiato da subito la tua seconda personalità, ma sapevo che era anche colpa mia, perché non riuscivo a starti vicino come avrei voluto. Ma adesso sono abbastanza forte da rimanerti vicino-. Hajime guardó Toru negli occhi.
- Non voglio più mentirti: la mia nevrastenia è dovuta a lui, alla paura e all'ansia che provo ogni giorno quando mi sveglio e devo accertarmi che tu sia ancora qui. Non te lo sto dicendo per farti sentire in colpa, che non ti passi nemmeno per la testa: non è colpa tua, è colpa sua. E mia, perché non sono riuscito ad essere l'amico che avrei voluto. Ma adesso so di essere pronto, e ti aiuterò con tutte le mie forze- concluse.
Toru lo fissò, non sapendo cosa dire. Tutte quelle rivelazioni avrebbero dovuto sconvolgerlo; Iwa-chan aveva passato tre anni della sua vita chiuso lì per colpa della personalità generata dalla sua insicurezza, lo aveva fatto stare male. Eppure, si sentiva stranamente calmo.
Sorrise.
- Mi fido di te, Iwa-chan- affermó.
- Hey ragazzi, cambio turno!- urlò Kuuro, bussando alla porta.
Hajime alzò il braccio, tenendo il pugno chiuso, e Toru fece lo stesso, facendo scontrare il suo pugno con quello dell'amico. Non importava cosa succedesse nella sua vita: aveva Iwa-chan. Poteva affrontarla. Sapeva che l'amico gli aveva detto tutto quello anche per comunicargli un messaggio: "parla con me, Shittikawa. Invece di fingerti forte e tenerti tutto dentro, parla con me". E lui intendeva farlo. Finché lui ed Iwa-chan erano insieme, erano imbattibili.
I due uscirono dalla stanza e tornarono a sedersi in cerchio.
- Vediamo chi saranno le prossime vittime!- esclamò Toru, facendo girare la bottiglia.
Hajime lo osservò. Se davvero ami Toru, ti conviene dirglielo prima che sia troppo tardi.
No: aveva ancora tempo. Sarebbe riuscito a mandare via Kirai; lui desiderava solo Toru. E avrebbe fatto di tutto per tenerlo con sé.

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Capitolo 12
*** CAPITOLO XII. ***


- Questo gioco è stupido- sbuffò per l'ennesima volta Kei.
- Però gli altri sembra averli aiutati- fece notare Tadashi con un sorriso. Si era messo il più possibile contro la parete in fondo allo sgabuzzino, lasciando l'amico vicino alla porta, in modo che non si sentisse troppo vicino a lui.
Kei lo aveva notato, e se da un lato gli era grato per tutte quelle attenzioni, dall'altro non poteva che sentirsi in colpa. Se Yamaguchi aveva passato tre anni chiuso lì dentro, se aveva un migliore amico che non riusciva neanche a sfiorarlo, se aveva fatto quello che aveva fatto... Era stata tutta colpa sua.
- Stai bene Tsukki?- gli chiese Tadashi, notando che l'amico teneva lo sguardo basso.
- Stai zitto Yamaguchi- mormorò Kei. Perché era Yamaguchi a chiedergli continuamente se stava bene? Perché, per una volta, non poteva essere lui ad aiutare l'amico?
Tadashi non fece molto caso al tono duro del biondo, vi era abituato e sapeva che non glielo diceva per farlo stare male. Inoltre, la sua mente stava ancora pensando al bacio indiretto di prima.
- Tsukki- lo chiamò. Kei alzò lo sguardo su di lui, come a dirgli di continuare.
- Perché prima... Ecco... Con il bicchiere... Tu...-.
- Avevo sete-. Kei si pentí di quella bugia quando vide la delusione nello sguardo del suo migliore amico.
- Ok, non è vero. Ma voglio aspettare di essere fuori da qui- affermò. Tadashi rimase confuso da quella frase.
- Aspettare per cosa?-. Kei alzò lo sguardo al cielo.
- Davvero te lo devo specificare?- chiese.
- Scusami Tsukki- Tadashi fece un piccolo sorriso. In realtà, data la sua incredibile insicurezza, non era neanche sicuro al cento per cento che parlassero della stessa cosa. Ma se Tsukki voleva aspettare, allora era la cosa giusta da fare. Si era sempre fidato cecamente delle sue scelte e non avrebbe iniziato a dubitarne adesso.
- Yamaguchi? Mi stai ascoltando?- Kei sapeva di aver dato fin troppo pensieri all'amico, e adesso era suo compito distrarlo dai ragionamenti che stavano per azionarsi nella sua mente.
- Scusami, dicevi?-.
- Ti ho chiesto da quanto tempo non senti i tuoi genitori- ripeté Kei. Tadashi si accigliò a quella domanda.
- Da almeno un anno-. All'inizio loro erano obbligati a fare visite periodiche con i dottori, dato che era minorenne, ma non aveva mai ricevuto da loro visite di piacere ed i colloqui con i dottori erano cessasti appena aveva compiuto i diciotto anni.
- Capisco- mormorò Kei. Si chiedeva se il motivo per cui i genitori di Yamaguchi si fossero allontanati dal figlio fosse colpa sua; sapeva che l'altro ragazzo non ci stava male, gli aveva sempre detto che gli bastava avere lui al suo fianco. Ma sapendo di non poterci essere davvero, Kei da un lato avrebbe voluto che Yamaguchi trovasse qualcun altro con cui parlare. Dall'altro, non voleva che qualcuno gli portasse via l'unico vero amico che avesse mai avuto.
Tadashi non fece la stessa domanda perché sapeva già la risposta: il padre di Tsukishima era morto nel periodo in cui lui aveva sviluppato la sua malattia, ed il biondo da allora si rifiutava di parlare con il fratello maggiore. L'unica che andava a trovarlo era la madre, ma aveva smesso su richiesta del figlio una volta che non era più stato necessario.
- Tsukki, usciti da qui andiamo al cinema?- chiese. Kei si stupì di quella proposta improvvisa.
- Perché vuoi andare al cinema?-.
- Perché alla fine non ci eravamo più andati- rispose. Era stato sempre in quel periodo, quello in cui il padre di Tsukki era morto e lui si era ammalato, ma Tadashi non ricordava esattamente come mai non fossero più andati al cinema... Ricordava di essere andato a casa dell'amico, ma nient'altro.
Kei invece si irrigidí: lui ricordava bene cosa fosse successo, e temeva che parlarne lo avrebbe ricordato anche all'amico.
- Va bene- accettó. Vide il volto di Yamaguchi illuminarsi.
Kei si sentì sollevato quando sentì Kuuro bussare alla porta.
- Se non c'è nessuno nudo apro- avvisò.
Kei aprí la porta, quasi sbattendola in faccia al corvino.
- Tsukki stai attento! Potevi farmi male!-.
- L'obiettivo era quello- affermò il biondo, mentre usciva e tornava al suo posto. Si era messo tra Yamaguchi, che stava tornando a sedersi anche lui, e Kuuro, che essendo praticamente sempre in piedi non c'era possibilità che gli desse fastidio. Il più vicino dopo di lui era Kenma, che però era molto più concentrato sul videogioco che aveva in mano che sull'ambiente intorno a lui, per cui a Kei non dava fastidio.
- Gattino, Tsukki è cattivo con me- si lamentó Kuuro, avvicinandosi all'amico.
- Avrà avuto i suoi buoni motivi- affermò il biondo.
- Bro, Kenma e Tsukki sono cattivi con me- Kuuro spostò la mira delle sue lamentele su Bokuto.
- Povero Bro, non trattatelo male!-.
- Bokuto-san, non sei convincente se lo dici con la lingua infilata della bocca di Akashi- rise Hinata.
- Disse quello che sta facendo le fusa da mezz'ora- borbottò Kindaichi, indicando Kageyama che stava accarezzando il ragazzo sulle sue gambe da quando erano usciti dallo stanzino.
- Tutta invidia- affermó il moro.
- Tu non puoi insultarmi per una settimana dopo l'aiuto che ti ho dato, te lo ricordo- ribatté Hinata. Kindaichi borbottò qualcosa che nessuno capí ma non disse più niente.
Kei vide Yamaguchi ridere, divertito da quella scena. Gli sarebbe piaciuto vederlo sempre così; ma se rimaneva al suo fianco, non sapeva se ci sarebbe riuscito.
- Girate la bottiglia voi- Suga lanció l'oggetto a Yamaguchi, che lo appoggió a terra ed inizió a farlo girare.

- Perché non ho potuto portare il mio videogioco?- si lamentó Kenma.
- Lo scopo è avere sette minuti di intimità, giocare lo fai sempre- gli fece notare Tetsuro.
- Siamo amici da anni, ci serve davvero sta cosa?-.
- Avere dei momenti di tranquillità fa sempre bene gattino- affermó Tetsuro. Kenma sapeva bene che Kuuro era perennemente in lotta con sé stesso per cercare di rimanere lì, per cui smise di lamentarsi.
Vide Kuuro allungare una mano ed afferrare la sua.
- Non dovresti muovere così le dita quando non stai giocando- sussurró, avvicinandosi a lui. Kenma sentí il battito del suo cuore accelerare improvvisamente, nonostante fosse abituato ad averlo così vicino.
- Hai caldo? Sei tutto rosso- gli chiese Tetsuro, notando che le guance dell'altro si stavano colorando. Aveva sempre avuto una pelle piuttosto pallida e delicata, per cui si notava facilmente quando arrossiva.
- Saranno lo spazio chiuso e l'alcool- mormorò Kenma, abbassando la testa
- Gattino stai bene?- Tetsuro aveva notato che qualcosa non andava ma non capiva cosa. E Kenma non intendeva assolutamente lasciarglielo capire.
- Hai notato che Akashi è arrossito?-. Il moro sapeva bene che l'amico stava cercando di cambiare argomento, e decise per il momento di assecondarlo.
- Con una persona come Bo è impossibile non sorridere, sono certo che è ciò che gli serve per fargli tornare la voglia di provare sentimenti- affermò. Inoltre anche la presenza di Akashi faceva molto bene a Bokuto: sembrava fossero stati fatti l'uno per l'altro. Era felice che si fossero trovati, era certo che la loro storia sarebbe durata per sempre.
- Lo vorresti anche tu?- chiese Kenma a bassa voce.
- Cosa?-.
- Una persona come Bokuto al tuo fianco- mormorò il biondo, quasi con timore.
- Se mi stai chiedendo se vorrei avere un ragazzo, non mi dispiacerebbe. Ma non credo potrei mai stare con uno come Bokuto: probabilmente finiremmo per andare alla deriva insieme. Lui ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui, ed io di qualcuno di cui prendermi cura ma... Per certi versi siamo troppo simili. Preferisco avere qualcuno diverso da me, magari un po' scontroso, che devo trascinare fuori di casa per farmi accompagnare alle feste e che mi faccia scoprire la bellezza di una serata sul divano accoccolati a guardare la televisione-. Tetsuro aveva fissato Kenma tutto il tempo, ma il biondo se ne accorse solo quando alzò la testa, rimanendo così bloccato dagli occhi dell'altro.
Prima che uno dei due protesse parlare, entrambi notarono qualcosa cambiare. Tetsuro sentí il suo corpo leggero, troppo leggero, quasi bloccato; Kenma notò i suoi occhi svuotarsi, lo guardava come se non lo vedesse più.
Kenma odiava quello sguardo, ma non era quello il momento per lasciarsi sopraffare dalla rabbia e dal nervosismo.
- Kuuro, torna da me- mormorò, appoggiando una mano sulla guancia dell'altro. La maggior parte delle volte bastava un contatto con lui per farlo tornare indietro; altre volte, no.
Tetsuro osservava tutto come dall'alto. Vedeva Kenma accarezzargli la guancia con una dolcezza che poche volte l'aveva visto usare nella sua vita. Da fuori notò quanto quei due ragazzi sembrassero affini, quanto il biondo desiderasse riavere il moro al suo fianco. E lui avrebbe voluto tornarci, davvero, ma non aveva idea di come fare.
Non sentiva neanche la mano di Kenma nella sua; da fuori, era come se la sensazione lo lasciasse completamente indifferente. Odiava sentirsi così, perché per lui Kenma era la cosa meno indifferente che aveva al mondo. Avrebbe voluto fargli sapere quanto contasse per lui, ma non ci riusciva. Ogni volta che desiderava dirglielo, se ne andava; come se il mondo gli stesse comunicando che non era ancora pronto.
Kenma, notando che i suoi richiami non funzionavano, serrò le labbra. Era arrivato il momento di fare l'unica cosa che sapeva l'avrebbe riportato da lui.
Si mise in punta di piedi, agevolato dal fatto che Kuuro lo stava guardando e quindi aveva la testa un po' abbassata, e premette le labbra sulle sue.
Tetsuro sentí come un'attrazione che lo spingeva verso il suo corpo. Kenma si staccò appena in tempo per il ritorno dell'amico; serrò le labbra mentre il corvino si guardava intorno, confuso.
- È successo di nuovo vero?- mormorò. Kenma annuì: come sempre quando aveva derealizzazioni così forti, dopo non ricordava niente.
- Però sei tornato no?- mormorò Kenma, forzando un piccolo sorriso. Tetsuro si accorse che qualcosa non andava; sapeva che quei momenti facevano male anche a Kenma, ma sentiva che c'era qualcosa di più. Eppure non ricordava cosa.
- Tornerò sempre da te gattino- affermó, cercando di tirarlo un po' su.
Kenma avrebbe preferito che l'amico non se ne andasse proprio, ma sapeva che quel momento era ancora lontano.
- Dici che qualcuno verrà a prenderci? Nei turni prima eri tu a fare uscire la gente- fece notare Kenma, in modo da cambiare discorso. Aveva bisogno di stare un po' da solo, e anche se sapeva che non avrebbe potuto perché erano pur sempre ad una festa, uscire da lì gli avrebbe fatto sicuramente bene.
- Stavo per dire che posso contare su Bokuto, ma stasera non lo vedo molto presente- rise Tetsuro.
- Non preoccuparti, qualcuno verrà- lo rassicuró.
- Certo, mica voglio rimanere chiuso qui con te per sempre- borbottò Kenma.
- Tanto comunque saremo sempre insieme no? Quindi non ti cambia tanto. Ne approfitterò per strapazzarti un po'!-. Kenma si ritrovò sollevato da terra, stretto tra le braccia di Kuro, che iniziò a girare, per quanto glielo permettesse lo spazio ristretto.
- Kuro!- esclamò, sorpreso.
- Lasciati un po' andare gattino- sussurrò lui al suo orecchio. Kenma fu percorso da un brivido, ma vedere il sorriso di Kuro lo fece sorridere.
Strinse le braccia attorno all'altro ed inizió a ridere. Quel suono lieve diede a Tetsuro la forza per dimenticarsi momentaneamente della sua malattia e pensare solo al ragazzo che stringeva tra le braccia.
- Com'è che era? Se non siete nudi apro?- urlò Suga da fuori la stanza.
- Noi non siamo indecenti come certa gente!- gli rispose Tetsuro, mentre rimetteva Kenma a terra.
Il biondo riacquistò la sua compostezza mentre seguiva il corvino fuori dalla stanza.
- La tua è tutta invidia Bro- affermó Bokuto.
- Per te e per quel chibi laggiù? No grazie- borbottò Tetsuro; anche se forse...
Si voltò verso Kenma.
- Giri tu la bottiglia?-. Kenma annuì e tornò a sedersi, per poi prendere la bottiglia e farla girare.

- Questo posto è un pó piccolo- ridacchiò Yu. Asahi notò che però l'amico era leggermente nervoso.
- Preferisci uscire?- gli chiese.
- Certo che no! Questa sarà una sfida: prima mi sono sfogato, quindi adesso potrò stare fermo sette minuti- affermò il più basso. Si mise contro la parete e si concentró sul fare respiri profondi. Sentiva che il suo corpo aveva ancora bisogno di muoversi, ma stava riuscendo a tenerlo sotto controllo.
- Non sei obbligato a stare fermo e zitto, puoi parlare se vuoi- lo rassicuró Asahi.
- Lo sai che se inizio non mi fermo più- gli ricordó Yu.
- E tu sai che mi piace sentirti parlare- ribattè Asahi. Yu sorrise.
- Sono carini Bokuto e Akashi vero? E anche Shoyo e Kageyama! Sono così teneri! E dire che sembrano uno l'opposto dell'altro, sono completamente diversi, però si capiscono così bene! Probabilmente è per questo che sono una coppia perfetta, perché gli opposti si attraggono! Un po' come noi!-.
- Cos'hai detto?-. Asahi cercava sempre di stare attento ai discorsi di Nishinoya, dato che spesso metteva insieme frasi sconclusionate e si faceva fatica a seguirlo, ma era la prima volta che lo interrompeva.
- Che Shoyo e Kageyama sono agli opposti e sono super teneri-.
- No, su... Di noi...- Asahi arrossì appena nel pronunciare quella frase.
- Che siamo agli opposti. Dopotutto, io sembro un ragazzino indifeso ma sono una furia, mentre tu hai l'aspetto di un ragazzo grande e grosso ma sei un tenerone- spiegò Yu. Era la prima volta che Asahi non si sentiva male durante la descrizione del suo aspetto esteriore; forse perché sapeva che non c'era alcuna cattiveria nelle parole dell'altro.
- Oh, o forse pensi che anche noi saremo una bella coppia dato che siamo opposti?- Yu non voleva obbligare Asahi a sceglierlo come motivo per non farsi più del male, ma non voleva neanche rinunciare a lui.
Asahi a quella frase si sentì arrossire.
- Be'... Andiamo d'accordo no?- mormorò. Yu alzò gli occhi al cielo.
- La tua innocenza è pari alla tua dolcezza- borbottò Yu.
- Eh? Cosa intendi?- chiese Asahi, confuso. Yu alzò gli occhi al cielo e si avvicinò a lui, cosa non difficile data la grandezza della stanza.
- Asahi-san, abbassati leggermente- gli ordinò. Asahi non ne capiva il senso, ma lo fece comunque.
Yu si sporse e gli lasciò un bacio sulla guancia.
Asahi rimase un attimo immobile, mentre il suo cervello metabolizzava l'accaduto; quando lo fece divenne completamente rosso.
- Ma... Che... Nel senso... Io... C'è... Noi...-. Yu scoppiò a ridere.
- Si, sei veramente tenero- affermò.
Asahi non seppe mai dove trovó il coraggio; pensò solo che anche Nishinoya all'apparenza fosse tenero, e desiderò mostrarglielo.
Yu non rimase mai tanto immobile in vita sua come quando Asahi appoggiò le mani sul muro, intrappolandolo tra le sue braccia. Smise di ridere, confuso.
- Asahi-san, che fai?- mormorò.
- Io sono il più grande, in tutti i sensi. Non dovrei lasciare che un ragazzino come te faccia tutto no?- sapendo che se non avesse fatto in fretta avrebbe perso tutto il coraggio, si avventó sulle labbra dell'altro, chiudendo gli occhi al contatto.
Yu schiuse le labbra, sorpreso, mentre sentiva un lieve rossore diffondersi sulle sue guance.
Asahi si staccò ed appoggio la testa sulla spalla dell'altro.
- È stato super imbarazzante- gemette, mentre sentiva il suo corpo andare a fuoco. Yu, ancora sorpreso, a quelle parole trovò la forza di reagire.
- I ruoli si sono invertiti di nuovo eh?- mormorò, mentre alzava le braccia per abbracciare l'altro.
- Ma la prossima volta che farai così mi sa che mi farai venire la malattia di Kindaichi- ridacchiò.
Asahi fece un altro verso, troppo imbarazzato per parlare, facendo ridere ancora di più l'altro. Yu in realtà stava solamente cercando di farsi distrarre dalla tenerezza del maggiore, ma solo perché non poteva mettersi a saltare in quello spazio così ristretto. La sua mente però era più libera e tranquilla di quanto pensasse.
Quei momenti di silenzio servirono ad Asahi per riacquisire lucidità.
- Nishinoya- si alzò, in modo da poter guardare l'altro negli occhi. Era vero, visti da fuori era molto più grosso di lui. Eppure, nei momenti giusti, come quello, gli occhi di Nishinoya trasmettevano una maturità incedibile.
- Non voglio affidarmi completamente a te, non sarebbe giusto. Ma guarirò, e lo farò anche per te: per poter stare insieme davvero- affermò Asahi.
Yu si sentì arrossire nuovamente e distolse lo sguardo.
- Cerca di fare in fretta allora, sono un tipo impaziente!- quasi balbettò, cercando di mantenere l'aria da figo che tutti gli avevano sempre detto che aveva... Nonostante la sua altezza, ma era un dettaglio.
Asahi si mise a ridere e Yu sorrise.
- Lo farò- affermó.
- Hey ragazzi, rivestitevi e cambiate turno!- urlò Kuro.
- Aspetta qualche mese!- urlò di rimando Nishinoya, mentre si dirigeva verso l'uscita. Asahi arrossì nuovamente mentre lo seguiva.
Vide Suga puntare lo sguardo su di lui e sorridere.
- Ti sei liberato di un peso eh?- commentò. Asahi annuí, non riuscendo ancora a parlare.
- Si, ma gli ho detto che deve muoversi a guarire perché sono un tipo impaziente- affermò Nishinoya.
- Noyassan sei un figo!- esclamò Tanaka, colpito, facendo ridere l'amico.
- Giro io la bottiglia!- esclamò Yu, nel tentativo di spostare l'attenzione su di lui e distoglierla da Asahi, che ancora stava cercando di non morire per l'imbarazzo.
Saltó in mezzo al cerchio e fece girare la bottiglia.

- Sei stanco?- chiese Yutaro, visto che Kunimi appena erano entrati nello stanzino aveva appoggiato la testa sul suo petto e chiuso gli occhi.
- Si- ammise Akira.
- Vuoi dormire un po'?- Yutaro allungò le braccia e strinse l'amico a sé.
- No, resisterò fino alla fine-. Il più alto non poté che sorridere: Kunimi non era uno che ci teneva ad impegnarsi o a sprecare le sue energie, se non si stava abbandonando ai bisogni del suo corpo significava che ci teneva davvero.
- Scusami- mormorò.
- L'hai già detto- borbottò Akira, che non ci teneva a ricordare ancora il motivo per cui l'amico si stesse scusando. Aveva capito perché l'aveva fatto, e anche se continuava a dargli dello stupido non voleva più pensarci.
- Ascoltare non ti costa nulla no?- gli fece notare Yutaro. Akira non rispose.
Yutaro lo prese come un invito a continuare; appoggiò la testa al muro, cercando le parole da dire.
- Siamo amici da quando eravamo piccoli, per cui ho sempre data per scontata la tua presenza. Tutte le volte in cui mi sono arrabbiato perché ti prendevano in giro, e litigavo con qualcuno per te... Per me erano cose normali-. Akira ricordava bene tutte le prese in giro che aveva ricevuto da ragazzo: il poco impegno che ci metteva in ogni cosa era malvisto da molti, e per questo non aveva tanti amici.
Kindaichi però non lo aveva mai giudicato: aveva visto che quando voleva sapeva impegnarsi, e non lo spingeva a sprecare energie per dose di cui non gli importava. Anzi, da un certo punto di vista usava lui abbastanza energie per entrambe: Akira non se la prendeva per quegli insulti, sapeva bene di non impegnarsi per niente, eppure Kindaichi ogni volta che sentiva qualcuno parlare male di lui si metteva a litigarci, nonostante appunto all'amico non importasse.
Akira si era sempre sentito al sicuro, sapeva che se aveva Kindaichi poteva continuare a fare come voleva e sarebbe andata bene.
Yutaro si era sempre preso cura dell'amico come se fosse normale, e intendeva continuare a farlo. Lui conosceva il vero Kunimi, e gli dava fastidio che gli altri lo giudicassero senza conoscerlo.
Si era reso conto di provare qualcosa di più per lui dopo la loro prima volta. Era rimasto sorpreso dal fatto che l'amico avesse accettato di fare sesso con lui per aiutarlo; erano ancora entrambi inesperti e gli aveva fatto probabilmente più male di quanto l'altro avesse ammesso, dato che si era messo a piangere. Era la prima volta che l'aveva visto piangere, ed era stata colpa sua. Per una volta non aveva potuto proteggerlo, anzi gli aveva fatto del male.
- Ho vissuto per tre anni con la consapevolezza di starti facendo del male, e per questo non potevo dirti quanto ti amassi. Non finché avrei continuato a fartene. Ma non sono mai stato intelligente e non mi ero reso conto di starti facendo più male così- continuò.
- Ho pianto perché pensavo mi volessi solo per quello idiota- borbottò Akira, sapendo bene quale ricordo avesse in mente l'altro.
Akira non aveva mai pianto per una persona che si era allontanata da lui, non gli era mai importato più si tanto: se avevano deciso di andarsene, voleva dire che non ci tenevano abbastanza. Lui aveva i suoi piccoli gesti per fare capire alle persone che ci teneva: se non li capivano, non li avrebbe di certo trattenuti. Ma quel giorno, era stato invaso dalla paura di perdere la persona a cui teneva di più e per la prima volta aveva pensato che non voleva che accadesse.
Yutaro rimase sorpreso a quell'affermazione: evidentemente, Kunimi aveva capito tutto molto prima di lui. Come al solito, era stato il più intelligente dei due.
- Non voglio più ferirti. Qualsiasi cosa mi chiederai di fare, la farò- affermò Yutaro. Akira strinse leggermente il pugno, che aveva poggiato sul petto dell'altro.
- Non devi cambiare niente. Solo... Fammelo capire- mormorò.
Yutaro capí perfettamente cosa intendeva: potevano continuare con tutto ciò che stavano facendo, bastava che lui gli dimostrasse che ci teneva e non lo stava solo usando.
Yutaro lo strinse più forte. Avrebbe continuato a combattere anche per lui, ormai non aveva più alcun dubbio.
- Guariremo insieme- affermó Yutaro. Akira annuì e sollevó la testa; senza aprire gli occhi, aspettó che l'altro lo baciasse, per poi tornare ad appoggiarsi al suo petto.
Yutaro sorrise: si, l'avrebbe protetto ad ogni costo. Sapeva che l'altro non avrebbe avuto niente da ridire per quella sua decisione.
- Siete ancora vivi?- la voce di Kuuro spezzò il silenzio che era calato nello stanzino.
Yutaro si staccò dal muro, ma fece in modo che l'altro ragazzo continuasse a rimanere attaccato a lui finché non tornarono seduti nel cerchio con gli altri.
Akira appoggiò la testa alla spalla di Kindaichi: era sveglio, ma parecchio stanco. Nessuno gli disse niente, erano felici di sapere che era riuscito a reggere tanto.
Yutaro cercó di non muoversi troppo per non disturbarlo, mentre allungava la mano per girare la bottiglia.

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Capitolo 13
*** CAPITOLO XIII. ***


- Stai bene?- chiese Kyoko, poggiando una mano sulla spalla dell'amica. Yachi fece un respiro profondo.
- Si, tutto a posto- fece un piccolo sorriso.
- Vuoi parlare un po' per distrarti?- le chiese gentilmente la maggiore.
- Mi piacerebbe-.
Kyoko si sedette con la schiena contro il muro, facendo cenno all'altra di accomodarsi di fianco a lei.
Yachi lo fece mentre cercava qualcosa da dire.
- Cosa farai una volta uscita da qui?- chiese. Kyoko ci pensó un attimo.
- Mi piacerebbe aprire qualche società organizzativa o simili, pressione a parte mi piace organizzare eventi. E tu?-.
- Mi piacerebbe rimanere tua amica, Kyoko-san- ammise Yachi. Fin'ora non l'aveva mai detto ad alta voce per timore che l'altra ragazza non condividesse il suo desiderio, ma data la situazione era arrivato il momento di ammetterlo.
- Piacerebbe anche a me. Anche perché mi servirà una mano nella mia nuova attività-. Yachi impiegó un attimo a metabolizzare le parole dell'altra prima di voltarsi verso di lei.
- Che ne dici?- le chiese Kyoko con un sorriso.
Yachi non ebbe bisogno di pensarci. Le era sempre piaciuto avere tutto in ordine, organizzare piccoli eventi, anche solo con la famiglia, giusto per il gusto di farlo. E adorava la compagnia di Kyoko, lavorare con lei sarebbe stato più che perfetto, non poteva desiderare di meglio.
- Mi piacerebbe davvero tanto- affermò.
- Ne sono felice- disse Kyoko, ed entrambe tornarono a guardare di fronte a loro.
- Sai Yachi... Tu sei la mia prima vera amica-. La bionda si voltò, sorpresa da quella rivelazione, e attese che l'altra continuasse.
- Un tempo pensavo solo a studiare e mi consideravano tutti troppo seria. In realtà neanche io cercavo amici, ero convinta di non averne bisogno e mi trovavo bene da sola. O almeno, lo pensavo. Quando ho iniziato ad essere schiacciata dalle responsabilità, ho realizzato di non avere veramente nessuno. Sono davvero felice di averti incontrata; con te non mi sento più sola. Per cui grazie- concluse.
Yachi sentiva che adesso era arrivato il suo turno.
- Anche io non ho mai avuto amici. Insomma, li avevo, ma era quel genere di rapporto per cui stavo con loro per non rimanere sola. Me ne sono accorta quando... Volevo qualcuno con cui fare coming out, ma non c'era nessuno- fece una piccola pausa, per vedere se l'altra ragazza avesse qualcosa da dire, ma le sembrava tranquilla.
- Per cui... Be', so che sembra brutto da dire, ma sono felice di essere qui. Non che avere attacchi di panico ogni volta che sono in mezzo alle persone mi faccia piacere, ma qui ho trovato degli amici veri, come Hinata, Yamaguchi... E te, Kyoko-san. Sono veramente felice di essere diventata tua amica; spero di poter rimanere al tuo fianco per sempre- Yachi raccolse il coraggio che aveva imparato ad avere in quegli anni e si voltò, dando un bacio sulla guancia all'altra ragazza.
Kyoko aprí la bocca in una piccola O, portandosi una mano sulla guancia mentre Yachi, completamente rossa, tornava seduta. La mora fece un sorriso.
- Sono certa che sarà così- mormoró, facendo un piccolo sorriso.
Yachi si sentì rincuorata da quelle parole.
- Possiamo andare a fare shopping quando usciremo- propose la bionda - quelle che avevo non saranno state vere amiche, ma di sicuro conoscevano dei bei posti per andare a divertirsi-.
- Volentieri. È un po' che non passo una giornata tra ragazze... Fuori intendo. Anzi, penso di averlo fatto solo con mia madre- ammise Kyoko con un sorriso.
- Sarò felice di essere la prima-. Le due ragazze si sorrisero.
Yachi, ora rilassata per essere riuscita a parlare sinceramente con la sua amica, sentì improvvisamente tutta la stanchezza dovuta all'alcol crollarle addosso; Kyoko lo notò e si avvicinò a lei, facendole cenno di appoggiarsi alla sua spalla.
La bionda la ringrazió con lo sguardo e si appoggiò alla spalla dell'altra, chiudendo gli occhi per cercare di riprendersi.
Avvertì la mano di Kyoko iniziare ad accarezzarle i capelli.
La mora era felice di aver trovato qualcuno che sí, contava molto su di lei come amica, ma su cui sapeva di poter contare a sua volta. Yachi dal primo momento aveva cercato di alleggerire il peso che portava sulle spalle, pur non sapendo qual'era; e alla fine, ci era riuscita. Kyoko non si era mai sentita così capita come da quando aveva incontrato Yachi; aveva iniziato anche a fare affidamento sugli altri, a chiedere aiuto a persone sempre disponibili come Daichi e Sugawara.
Era fiera di essere riuscita a dire a Tanaka cosa pensasse. Quel ragazzo le stava simpatico, seppure a volte le sembrasse un po' esagerato, ma gli voleva bene; eppure sentiva che tutta l'attrazione che diceva di provare per lei, l'esaltazione che aveva quando la vedeva e la sua disponibilità nei suoi confronti erano false. Non false nel senso che il ragazzo avesse qualche secondo fine, ma false nel senso che per lei non provava niente più che ammirazione.
Quella sera finalmente era riuscita a dirglielo, e si era sentita sollevata nel constatare che aveva ragione: lo sguardo colpevole dell'altro lo aveva confermato. E poi le era venuta voglia di ballare con Yachi; le doveva una ricompensa per il regalo che aveva fatto.
Kyoko si guardò il polso, dove l'altra le aveva messo il fiore, e sorrise. Si, era proprio felice di averla al suo fianco.
- Ragazze, il tempo è scaduto- avvisò Kuuro, bussando alla porta.
Kyoko scosse leggermente Yachi per la spalla.
- Sono sveglia- borbottò la bionda, aprendo gli occhi. Kyoko trovò quella scena adorabile.
Si alzò, aiutando poi l'amica a fare altrettanto, ed entrambe uscirono dalla stanza.
- Perché con loro non fai battute?- chiese Suga.
- Non mi intrometto negli affari di due signorine- ribattè il moro mentre le ragazze si sedevano.
Kyoko avvicinò la bottiglia a Yachi, che intanto si era ripresa; la bionda la ringraziò con un sorriso, prese la bottiglia e la fece girare.

- Ed io che speravo si dimenticassero di noi- sospirò Yaku, mentre la porta si chiudeva alle sue spalle. Erano rimasti solo loro due ed il duo di Tanaka ed Ennoshita, ma sperava quasi che gli amici si dimenticassero di questo particolare.
- Odi così tanto stare con me?- rise Lev.
- Mi irrita la tua altezza- confermò Yaku.
- Yaku-san sei cattivo! Non è colpa mia se sei basso... Ahia!-. Nonostante il poco spazio, Yaku riuscí a tirare un calcio sul sedere all'altro.
- E comunque non è per quello- sospirò.
- E per cosa?-. Yaku si morse il labbro. Quando aveva saputo del gioco, intuendo le intuizioni di Suga aveva deciso che sarebbe stato quello il momento in cui avrebbe parlato con Lev.
- Vorrei parlarti del sogno che ho fatto- alzò lo sguardo su di lui.
Lev, capendo la gravità della situazione, smise di sorridere e si sedette. Annuì, come a dirgli che lo ascoltava.
Yaku fece un altro respiro profondo ed iniziò a parlare.
- Quella notte ho fatto un sogno. Ho sognato che sia Kuuro che Suga venivano a dirmi di non voler più essere miei amici e se ne andavano-. Yaku in un altro momento si sarebbe sentito stupido a dire una cosa simile, ma sapeva che Lev non l'avrebbe giudicato; aveva sempre trovato il più alto un po' infantile, ma sapeva che in quel momento la cosa gli sarebbe servita per farsi comprendere meglio.
Il mezzo-russo dal canto suo sapeva bene che, dopo di lui, Kuuro e Suga erano le persone con cui Yaku aveva stretto più amicizia lì. Con Kuuro era partita più come una rivalità, all'inizio si erano trovati contro su tutto, ma sugli argomenti seri andavano più che d'accordo; e per quanto riguardava Suga, entrambi avevano degli atteggiamenti un po' da mamma ed erano persone dolci e gentili... Quando non li tocchi nei loro punti deboli, come l'altezza di Yaku. Lev conosceva bene la paura dell'abbandono, visto che dopo l'incidente in squadra non aveva più avuto amici.
- Quando ero piccolo avevo un amico; eravamo in classi diverse, così avevamo inventato un gioco: quando non eravamo insieme avremmo dovuto creare un amico immaginario uguale all'altro, in modo da sentirci meno soli. Un giorno però quel bambino ha iniziato a crescere ed a farsi vedere sempre di meno; io però continuavo a giocare, convinto che fosse solo un brutto periodo. Quando lui lo scoprí mi diede del bambino, mi prese in giro insieme ai suoi nuovi amici e se ne andó. Io non volevo crederci, ho continuato a giocare con quel bambino immaginario... Finché non è diventato reale. Adesso quella figura non esiste più, ma ogni volta che ho paura di perdere qualcuno le mie allucinazioni peggiorano. È per questo che ho immaginato Kuuro e Suga che si puntavano contro una pistola. In realtà è il motivo per cui immagino la maggior parte delle cose: paura. Una paura folle che i miei amici mi abbandonino di nuovo- le mani di Yaku iniziarono a tremare.
Ricordava perfettamente il giorno in cui i dottori gli avevano diagnosticato la schizofrenia. Aveva mandato via a forza il suo amico immaginario, credendo che così tutto sarebbe passato... Invece non era stato così. Era peggiorato. E lui aveva ancora paura.
Lev allungò le mani e prese quello di Yaku tra le sue, tirandolo appena per farlo avvicinare a lui.
Yaku si sentì arrossire dalla vicinanza dei loro volti.
- Non dovrai mai immaginarmi Yaku-san, perché io non me ne andrò mai- affermó, con una serietà che non gli si addiceva.
- Lev, tutti se ne vanno prima o poi, per un motivo o per l'altro- mormorò Yaku.
- Tu te ne andrai, Yaku-san?- gli chiese Lev, fissandolo negli occhi. Da un lato aveva paura della risposta che avrebbe potuto dargli il più basso: dopotutto gli aveva ripetuto spesso quanto fosse fastidioso e quanto non lo sopportasse. Sapeva bene che non era vero, che lo diceva solo per mantenere la sua aria cattiva, che in realtà andava via anche solo con un semplice complimento, ma in quel momento temeva di scoprire che ci fosse più verità di quanta immaginasse nelle parole di Yaku.
- No- mormorò Yaku. Lev sentì un peso sollevarsi dal suo petto e sorrise.
- Allora non me ne andrò neanch'io. Ricordi che non ti ho lasciato cadere, Yaku-san? Continuerò a tenerti finché ne avrai bisogno. Magari siamo nati con questa differenza d'altezza proprio per permettermi di tenerti meglio!- esclamò. Yaku sbuffò, ma gli sfuggì un piccolo sorriso. Ancora non sarebbe stato in grado di crederci davvero per molto tempo; però in fondo, se Lev non gli era mai comparso come allucinazione un motivo c'era. Forse quel ragazzo tanto fastidioso, quanto alto, tanto infantile quanto gentile e premuroso era lì proprio per tenerlo. Era riuscito a dare una svolta decisiva alla sua malattia per aiutarlo; forse anche per Yaku era arrivato il momento di accettare quell'aiuto e cambiare.
Sfilò le mani da quelle di Lev, poi si girò di spalle e si sedette tra le sue gambe.
- Yaku-san, posso abbracciarti?- gli chiese Lev.
- E va bene; ma se dici a qualcuno che te l'ho permesso ti ammazzo- lo avvisó. Lev rise e circondò l'altro ragazzo con le braccia, tirandolo verso di sé.
Per un attimo, a Yaku sembrò di vedere, con la coda dell'occhio, un bambino che non vedeva da tempo in quello stanzino. Si voltò e gli sorrise; il bambino ricambió il gesto e scomparve.
Probabilmente avrebbe impiegato ancora un po' a fidarsi completamente di sé stesso e dei suoi amici, ma quello era già un inizio.
- Hey voi, uscite fuori con i vestiti addosso!- urlò Kuuro.
- Ma quanto puoi essere cretino?- gli urlò di rimando Yaku. Fece per alzarsi, ma le braccia di Lev lo trattennero.
Il più alto si alzò, tirando su con lui il più basso per poi appoggiarlo a terra.
- Ti ho fatto da ascensore!- esclamò. Yaku, già pronto ad insultarlo, a quella frase scoppiò a ridere.
- Che idiota- affermó mentre uscivano dalla stanza.
- Kenma, hai perso la scommessa: Lev è vivo- annunció Kuuro.
- Peccato- mormorò il biondo.
- Hey! Cattivi!- si lamentó Lev, mentre tornava a sedersi.
- Manca solo una coppia ormai- affermò Daichi.
- Eh no, vogliamo che la bottiglia ci indichi!- protestò Tanaka.
- Mi sembra più che giusto- gli diede man forte Suga. Yaku alzò gli occhi al cielo.
- Ok, allora preparatevi: la faccio girare-.

- E così questo è il magico sgabuzzino- dichiarò Ryu, voltandosi verso Ennoshita con aria solenne. L'altro rise.
- Pare che siano successe molte cose qui dentro tra i nostri amici- commentò.
- Spero che almeno abbiano avuto la decenza di pulire-.
- Tanaka!-. Ryu scoppiò a ridere, facendo sorridere anche Chikara.
Il secondo però notò subito che l'amico ancora mostrava segni di tristezza.
- Ti va di raccontarmi cosa succede?- gli chiese, avvicinandosi. Ryu lo guardò in modo interrogativo.
- Cosa intendi?- gli chiese.
- È un po' che sei triste e pensieroso. Anche stasera: hai riso con Nishinoya e ballato con Kyoko, eppure non mi sembri felice. Non voglio obbligarti a parlarne, ma penso ti farebbe bene; sai che sono qui se hai bisogno- affermò. Chikara non era mai stato un ragazzo sicuro, anzi spesso scappava dai suoi problemi. Come per la sua sindrome: scoperto che Tanaka ne sembrava immune, si era rifugiato dietro di lui, come per proteggersi, ignorando il fatto che avrebbe dovuto sforzarsi di accettare veramente anche gli altri. L'amico era sempre stato al suo fianco, pronto ad aiutarlo, e sapeva che adesso era il suo turno di fare qualcosa per lui.
Ryu sospirò e si voltò, dando le spalle all'altro.
- Continuo a pensare alla domanda che mi ha fatto il dottore, quella sull'amore. È vero, io non amo Kyoko, per quanto la ritenga una ragazza perfetta... E infatti non riesco a capirne il motivo- mormorò.
- Una persona non deve essere perfetta per farci innamorare. Anzi, di solito quando pensiamo che lo sia è perché non la conosciamo veramente: tutti hanno dei difetti- affermò Chikara. Ryu aveva sempre invidiato il modo in cui, nonostante avessero la stessa età, l'altro sembrasse molto più maturo di lui.
- Hai ragione, solo che...- Ryu si bloccó, non sapendo cos'altro dire. Abbassò la testa.
- La verità è che non lo so- mormorò.
- Non sai cosa?-.
- Non so cosa ci sia che non vada in me. Da che ne ho memoria, ho sempre cercato di eccellere nella forma fisica, dato che come avrai notato non sono granché come cervello. Essere da supporto per gli altri ed abbastanza forte da proteggere ed aiutare i miei amici... Ho sempre voluto fare questo, e credevo di esserci riuscito. Ma sento che in me c'è qualcosa che non va, qualcosa che non è normale, qualcosa di sbagliato-.
- Non può essere semplicemente che non accetti di essere gay?- la domanda uscì dalla bocca di Chikara prima che potesse rifletterci. Era da quando il dottore gli aveva fatto la domanda sull'amore che ci pensava; la risposta di Tanaka, il modo in cui cercava disperatamente di innamorarsi di Kyoko, le diverse reazioni di quando aveva ballato con lei e poi con lui...
Forse quella di Chikara era più una speranza che una certezza, ma non poté fare a meno di esprimerla.
- Cosa? Ti sbagli, io non sono gay... Non che abbia qualcosa contro i gay ovviamente, guarda i nostri amici. Ma non lo sono- mentre Ryu parlava, la sua mano iniziò a tremare. Sbuffò e chiuse gli occhi, cercando di prevenire il mal di testa che sapeva stare arrivando.
Chikara si avvicinò a lui e lo aiutò a sedersi contro la parete.
- Hai spesso queste reazioni quando si parla di relazioni o della tua infanzia- mormorò; non intendeva continuare il discorso se l'altro non voleva, ma prima o poi avrebbe dovuto cercare di capire.
- Non che io ricordi molto della mia infanzia-. Entrambi avevano sempre trovato quella cosa strana: Tanaka non ricordava praticamente niente dei suoi primi dieci anni di vita.
- Questo dettaglio non ti ricorda i sintomi del disturbo da stress post-traumatico di Yamaguchi?-.
- Lui ha paura dei rumori forti, io no- fece notare Ryu, che non capiva dove l'altro volesse andare a parare.
- Esistono diversi sintomi in base al trauma. Ma quasi tutte le malattie si sviluppano a seguito di un trauma- Chikara aveva fatto alcune ricerche quando aveva scoperto di essere malato, venendo a conoscenza di questa cosa.
- Dici che ho avuto un trauma che ho rimosso che ha portato a questi sintomi?- chiese Ryu, cercando di pensare lucidamente nonostante il mal di testa.
- Può essere. Non ricordi nulla?-. Ryu si sforzò di pensarci.
- Ricordo solo che dicevo di voler diventare un grande sportivo, e mamma mi rispondeva sempre che così avrei trovato tante ragazze a cui sarei piaciuto, ma nient'altro-. Quella frase non fece che confermare il sospetto che aveva Chikara.
- Che mi dici dei tuoi amici?- gli chiese.
- Be', in realtà non conoscevo molte persone con la mia stessa passione. Anzi, un bambino c'era, ma mi sfugge il suo nome... Tora? Qualcosa di simile? Se non sbaglio ci allenavamo insieme, eravamo i migliori della classe...- sentì un'altra fitta invaderlo, ma continuò a parlare. Non era uno che si lasciava fermare da un semplice mal di testa.
- Non ricordo esattamente quando ci siamo separati, mi sembra quando ho cambiato palestra...-.
- Perché hai cambiato palestra?-.
- Papà non voleva più che lo vedessi- la risposta uscì dalle sue labbra di getto, anche Ryu ne rimase sorpreso. Suo padre? Lo aveva sempre incoraggiato a diventare un vero uomo, degno di questo nome. Perché avrebbe dovuto allontanarlo dal suo migliore amico?
Non devi più vederlo Ryunosuke.
- Perché vi ha separati?- sussurrò Chikara.
Ryu quasi non riusciva a ragionare da quanto gli faceva male non solo la testa, ma adesso anche tutto il corpo.
- Era arrabbiato perché... Avevamo dormito insieme- mormorò.
Tu sei un uomo Ryunosuke, gli altri maschi devono essere solo avversari da sconfiggere!
- Non gli piaceva che fossimo così uniti-.
- Ma papà, io gli voglio bene!-.
- È un maschio, non puoi volergli bene!-.
- Diceva che non era normale che un uomo volesse bene ad un altro uomo, che era sbagliato-.
- Da quando l'hai conosciuto c'è qualcosa di sbagliato in te-.
- Tua madre cosa ne pensava?-.
- Mamma, secondo te possiamo rimanere amici? Anche se siamo due maschi?-.
- Era d'accordo con lui-.
- Due amici non parlano di sposarsi da grandi, Ryunosuke-.
- Non aveva mai usato un tono così duro con me-.
- Non dovrai vederlo mai più!-.
Ryu si portò una mano alla guancia, dove il padre anni prima lo aveva colpito.
Lui non se n'era accorto, completamente immerso in una disperata ricerca di ricordi che aveva cercato di allontanare; ma Chikara aveva notato che il suo tremore era aumentato e che il suo amico aveva iniziato a piangere. E poche volte aveva visto Tanaka piangere, soprattutto se c'era qualcun altro con lui, Chikara compreso.
- Un uomo non piange. Un uomo non si lamenta. Un uomo è forte. È nato così per proteggere la donna e sconfiggere gli altri uomini. Ed è così che dovrai comportarti se vorrai ancora essere mio figlio-.
Ryu si portò inconsciamente le mani sulle orecchie, come per fermare quelle parole. Come per proteggersi dai colpi del padre.
Continuava a rivedere quella scena nella sua mente, senza riuscire a fermarla. Lo sguardo privo di emozioni della madre, le botte del padre, lui che gridava per cercare aiuto. Aveva gridato talmente tanto che alla fine non aveva più avuto la forza di reagire, si era accasciato a terra ed aveva continuato a subire i colpi del padre, che adesso lo stava accusando di essersi arreso.
Mentre tutto questo accadeva nella sua mente il suo corpo sussultava per via dei singhiozzi, come se si stesse ricordando anche lui di tutti i colpi che aveva subito quel giorno.
D'un tratto, tutto sembrò fermarsi: sia la sua mente che il suo corpo si bloccarono quando qualcosa di morbido sfiorò le sue labbra.
Ryu aprì di scatto gli occhi, in tempo per vedere Chikara allontanarsi leggermente. Il moro sorrise.
- La tua forza è proprio volere bene a tutti i tuoi amici. Non devi più avere paura adesso: non c'è niente di sbagliato in te. Sei libero di essere chi vuoi- sussurrò.
Ryu fissò l'amico. Quand'era diventato così forte e sicuro?
Sentiva la gola secca, ma aprì comunque la bocca per parlare.
- Taketora Yamamoto. Si chiamava Taketora- sussurró. Sentì la stanchezza invaderlo e chiuse gli occhi.
Chikara, pur consapevole che l'altro stesso dormendo, mise una mano sulla sua.
- Sei stato forte- sussurró. Poi si alzò ed andó alla porta.
- Nishinoya, Suga, potete venire un attimo?- chiamò. Tutti lo guardarono confusi, mentre i due ragazzi si alzavano ed andavano verso di lui.
- Che gli è successo?- chiese Suga, mentre Nishinoya correva di fianco all'amico.
- Penso abbia ricordato il motivo del suo trauma. È stato forte- mormorò il ragazzo - ho bisogno di una mano per portarlo in camera-.
- Dici che è il caso di chiamare il dottore?-. Chikara scossa la testa.
- Ha solo bisogno di riposare un po'- affermò, avvicinandosi a lui. Aiutò Nishinoya a tirarlo su ed uscirono dalla stanza. Gli altri li guardarono in modo preoccupato, ma non dissero niente.
Arrivarono alla stanza di Tanaka e Suga aprí la porta, per poi aiutare gli amici a posizionarlo sul letto.
- Nishinoya, puoi rimanere con lui?- mormorò Chikara. Quella domanda gli fece male, ma non sapeva se Tanaka l'avrebbe voluto intorno una volta che si fosse svegliato; preferiva avesse un amico con cui parlare.
- Certo; ma tu? Non puoi stare da solo- gli fece notare il più basso.
- Posso stare io con te se vuoi, Daichi ed Asahi non avranno problemi per una notte- si propose Suga.
Chikara sapeva che l'aveva proposto perché era più abituato a stare con lui che con Asahi, e gliene fu grato. In realtà avrebbe voluto stare da solo, ma sapeva che non gliel'avrebbero permesso.
- Grazie- accettò quindi.
- Nishinoya, ti lasciamo con lui- affermò Suga.
- Contate su di me! Te lo riporto domani- affermò, facendo l'occhiolino a Chikara. Il moro annuì; cercó di fare appello a tutta la sua fiducia per lasciare la stanza ed il ragazzo che amava.

I primi minuti passarono in silenzio; Ukai era divertito dall'imbarazzo che mostrava Takaeda.
Ittetsu cercava qualcosa da dire, ma non sapeva come iniziare una conversazione con l'altro.
- Come mai ha deciso di aprire proprio un ospedale psichiatrico?- chiese Keishin ad un certo punto - mi ha detto che voleva aiutare le persone, ma ci sono molti modi per farlo. Questo è... Particolare- commentò.
Ittetsu fece un sorriso triste.
- Quando ero più giovane, ho avuto dei conoscenti che hanno dovuto sottoporsi a questo genere di terapie. Però non mi piaceva come li trattavano: qualche seduta a settimana e tante medicine. Volevo creare un luogo dove anche ragazzi del genere potessero sentirsi a casa ed accettati- raccontó Ittetsu. Keishin sentiva che quella non era tutta la verità, ma probabilmente l'altro non se la sentiva ancora di parlarne.
- Ha avuto un'ottima idea: se non si fossero trovati, probabilmente quei ragazzi non sarebbero mai riusciti a guarire davvero- affermò.
- Lei dice?-.
- A volte, più che qualcuno che capisca la tua malattia serve qualcuno che ti aiuti a capire te stesso. Servirebbe anche a te, direttore- confermó.
- A me?-.
- Da quanti tempo sei chiuso qui dentro e non vedi i tuoi amici?- gli chiese Keishin.
- Be'... Non che abbia molti amici da vedere- confessó Ittetsu.
- Tu invece?- chiese - sono felice che sia rimasto qui, ma non hai amici da incontrare o una ragazza o...-.
- Ho sempre vissuto in giro un po' ovunque tra le varie cliniche, i miei amici più stretti sono miei vecchi pazienti. E per quanto riguarda la ragazza... Non ho quei gusti- ammise. Ittetsu impiegò un attimo a capire il significato dell'ultima frase, e per qualche motivo poi si sentì arrossire. E non era colpa dell'alcool.
- Capisco- mormorò.
- Ti imbarazza?- chiese Keishin, divertito.
- No è che... Non ho mai incontrato troppe persone che lo ammettono così facilmente. Insomma, neanche io l'ho mai... Ecco...-.
- Non preoccuparti, l'avevo capito-. Ittetsu spalancó gli occhi e si voltò di scatto verso l'altro.
- Come?-.
- Sono uno psicologo, fare attenzione ai comportamenti degli altri è il mio lavoro- gli fece notare.
- Che... Genere di comportamenti?- mormorò.
- Diventi rosso ogni volta che parliamo, e non dire che succede perché sei timido perché ti ho visto parlare con altre persone e non ti succede. Sei agitato se ti sto vicino, mi fissi sempre quando parlo... Devo continuare?-.
Ittetsu si portò le mani al volto, non sapendo cosa dire.
- È fin troppo imbarazzante- mormorò. Keishin si mise a ridere.
- Non preoccuparti, per me non è un problema- affermò.
- In che senso?- Ittetsu si arrischió a guardarlo dalle fessure lasciate dalle sue dita.
- Che ho sempre avuto un debole per le persone gentili, premurose e un po' innocenti- ammise. Ittetsu, se possibile, diventó ancora più rosso.
- Non sono così innocente- borbottò.
- Ah no?- Keishin gli spostò le mani da davanti al volto, avvicinandosi pericolosamente alle sue labbra.
- Non ho mai visto una persona così rossa- affermò con un sorriso.
- È colpa dell'alcool-.
- Quanti anni abbiamo, direttore?- fece una lieve risata.
- Lei è una persona veramente manipolatrice- borbottò Ittetsu.
- L'altra faccia dello psicologo- affermò Keishin.
Il silenzio caló nuovamente, e stavolta non perché non sapevano cosa dire, ma perché erano impegnati a fissarsi negli occhi.
Keishin avrebbe voluto avvicinarsi ancora di più, ma temeva fosse troppo presto. Per questo rimase molto sorpreso quando l'altro parló.
- Dobbiamo rimanere a guardarci negli occhi? Quanti anni abbiamo, dottore?- chiese Ittetsu. Ukai non delle cosa rispondere, sorpreso dall'improvvisa audacia dell'altro.
- Adesso anche tu sei rosso- sussurró il moro.
- Scommettiamo che vinco la gara a chi va imbarazzare di più l'altro?-.
Quella gara, con grande sorpresa di entrambi, la vinse Ittetsu, che separò la distanza tra di loro e poggió le labbra su quelle dell'altro, che dopo un attimo di stupore ricambió il bacio.
I sette minuti erano passati, ma nessuno dei due ci fece caso.

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Capitolo 14
*** CAPITOLO XIV. ***


Keishin fissò per un attimo il soffitto bianco della sua stanza. Sospirò e si voltò verso l'altro lato del letto, vuoto.
Si era svegliato più presto del solito, ma aveva passato una buona mezz'ora a fissare Takaeda che dormiva serenamente. Quando però l'altro si era svegliato, aveva farfugliato qualcosa sul lavoro, si era rivestito ed era corso via.
Il dottore era rimasto sorpreso da quella reazione, ma in fondo un po' se l'aspettava.
Sospirò nuovamente e decise di alzarsi. Sapeva che alla festa erano probabilmente successe molte cose, e i ragazzi avevano bisogno di parlare con il loro psicologo, non con un uomo lasciato da solo nel letto dal suo capo di tre anni più grande dopo una notte di sesso.
Con lui ci avrebbe parlato più tardi: adesso, doveva occuparsi dei ragazzi.

Quando Ryu aprì gli occhi, inizialmente non capì come mai si trovasse nella sua stanza. La seconda cosa che lo stupì fu trovarsi praticamente sul bordo del letto. La terza fu sentire una voce maschile borbottare alle sue spalle; sussultò dalla sorpresa e voló giù dal letto, portandosi dietro le coperte.
Rimase un attimo immobile, cercando di riprendersi dal colpo; il volto confuso di Nishinoya si affacció dal letto.
- Hai avuto un incubo Ryu?- gli chiese. Ryu sbattè gli occhi, sorpreso.
- Tu come ci sei finito nel mio letto?- chiese di rimando, mentre Nishinoya scendeva dal letto.
- Chikara mi ha chiesto di tenerti d'occhio stanotte- affermò, allungando una mano verso l'altro, che la afferrò per aiutarsi ad alzarsi.
Per qualche motivo si era sentito nervoso: non aveva mai dormito con un ragazzo, dormito nel vero senso della parola. Ci aveva provato all'inizio con Ennoshita, quando aveva capito che la sua presenza rassicurava l'amico, ma per qualche motivo lui non era riuscito a dormire e aveva avuto mal di testa tutta la notte. Così avevano rubato l'idea a Yamaguchi e Tsukishima e portato un futon in camera di Ennoshita.
Eppure quella notte aveva dormito tranquillo... Forse perché non sapeva che ci fosse qualcun altro con lui.
Un ragazzo.
Gli venne improvvisamente in mente la conversazione avuta il giorno prima con Ennoshita.
- Dov'è Chikara?- chiese.
- In camera sua con Suga- rispose.
- Devo parlargli- affermò Ryu, facendo per andare verso la porta.
- Fermo lì tu!- Yu gli si paró davanti. Sapeva bene che Tanaka non stava bene, ma anche che non era uno a cui piaceva ammetterlo: per cui aveva sempre cercato di tirarlo su di morale a modo suo. Ma adesso non intendeva lasciarlo andare senza prima capire cosa fosse successo.
- Ieri ho ricevuto una dichiarazione, eppure mi sono fermato qui da te a dormire per non lasciarti solo. Quindi adesso mi merito un racconto su cosa sia successo come ricompensa per essere un ottimo amico- dichiarò. Ryu non poté fare a meno di sorridere.
- Hai ragione- affermó, sedendosi sul letto. Nishinoya si mise in piedi di fronte a lui, in attesa.
Ryu gli raccontó della conversazione con Ennoshita e di come gli fossero tornati i ricordi che avevano probabilmente portato al suo trauma.
- Ti piace?- gli chiese Nishinoya.
- Bro, ho appena scoperto di aver passato tre anni chiuso in un ospedale psichiatrico perché mio padre non voleva un figlio gay. Non ci ho mai pensato se mi piacesse o no- borbottò.
- Che c'entra? Quando una persona di piace ti piace-.
- Non fare tanto l'esperto, ti ricordo che hai impiegato tre anni a dichiararti-.
- Però sapevo che mi piace no?-.
- Bro, non so se te l'abbiano mai detto, ma per avere una relazione devono saperlo entrambe le persone-. Yu si mise a ridere.
- Infatti ora lo sappiamo! Ma secondo me prima di parlare con Chikara dovresti capire cosa vuoi- gli fece notare.
- Non ne ho idea...- mormorò Ryu. Si era sempre trovato più che bene in compagnia dell'amico, ma in quel momento era fin troppo confuso per capire se fosse perché gli piaceva o per altro.
- Mi è venuta un'idea per aiutarti. Però per farlo dovrò parlare della cosa con gli altri, per te è un problema?- chiese Yu.
- No- Ryu si alzò - mi affido a te, vado da Chikara- affermò.
- Ti accompagno- dichiarò Yu, seguendolo fuori dalla stanza.
Ryu si bloccó di fronte a quella di Ennoshita; vedendo la sua esitazione, fu Yu a bussare.
Andò ad aprirgli un Suga piuttosto assonnato.
- Come stai Tanaka?- chiese il ragazzo con uno sbadiglio.
- Meglio; grazie-. Suga gli sorrise.
- Vi lasciamo soli- Yu afferrò l'argentato per un braccio, mentre con l'altra mano spingeva Tanaka nella stanza, per poi chiudere la porta alle sue spalle.
Ryu si trovò di fronte un Ennoshita piuttosto confuso dalla situazione. Calò un silenzio imbarazzante; Chikara stava cercando di capire se fosse il caso di parlare o di lasciar fare all'amico.
- Questa stanza ha proprio una bella vista vero? Scusami se siamo piombati qui all'improvviso, sai com'è fatto Nishinoya! Dormito bene con Suga?- Ryu provó a ridere, ma era chiaro che il suo teatrino non aveva convinto l'altro.
- Tanaka...-.
- Aspetta, parlo io-. Chikara annuì mentre Ryu fece un respiro profondo.
- Probabilmente hai ragione sul mio trauma, penso sia dovuto a... Be', quello che è successo con i miei. Però, insomma, io l'ho appena scoperto e non so se sono pronto a... Non so neanche cosa provo... Se vorrei... Insomma, non so se subito... Quello che voglio dire...-.
- Tanaka- data la serietà del momento, Chikara dovette trattenersi dal ridere di fronte alla goffaggine dell'altro - lo so, tranquillo. Non volevo assolutamente metterti pressione: quello è stato il primo modo che mi è venuto in mente per cercare di aiutarti a calmarti-.
- Oh- un dubbio si fece largo nella mente di Ryu - allora era solo per quello? Cioè tu non...-. Chikara divenne completamente rosso.
- No! Insomma non era solo per quello! Io... È che... Non voglio metterti fretta ok?- si avvicinò all'amico e fece un sorriso - occupiamoci di aiutarti a guarire, quando sarai pronto ne riparleremo, va bene?- propose.
Ryu annuì, sollevato.
- Aiuteremo anche te eh. Ma sei già molto più avanti di me: hai passato tutta la notte con Suga! Com'è andata?- chiese Ryu, ricordandosi in quel momento di quanto dovesse essere stato difficile per l'amico.
- Be', all'inizio ammetto di non essere riuscito a dormire... Ma poi mi sono accorto che Suga è troppo buffo mentre dorme, fa facce stranissime, e alla fine mi sono rilassato-. Suga si era sempre mostrato disponibile con lui, e anche Tanaka si fidava; Chikara aveva impiegato un po', ma alla fine era riuscito a mantenere una certa tranquillità nei confronti del ragazzo.
- Sono fiero di te- affermó Ryu, poggiando una mano sulla spalla dell'amico. L'aveva sempre fatto, ma in quel momento temette che all'altro potesse dare fastidio data la situazione. Chikara però sembrava tranquillo, e questo calmò anche lui. Si sarebbero dati il loro tempo per guarire, com'era giusto: e poi si sarebbero presi il giusto tempo per stare insieme.

Kei sentí qualcuno bussare alla porta e si affrettó ad alzarsi: Yamaguchi era stato male per colpa dell'alcool, e adesso stava ancora dormendo. Serrò le labbra: aveva dovuto chiamare Hinata perché teneva che l'amico avrebbe vomitato e non voleva fosse solo. E ovviamente, lui non poteva aiutarlo come avrebbe voluto.
- Chi è?- sussurró, aprendo la porta e stupendosi di trovarsi di fronte Oikawa. Uscì velocemente dalla stanza e chiuse la porta alle sue spalle.
- Nishinoya ha detto che vuole parlare con tutti, anche se non so di cosa- gli spiegó il castano.
- Yamaguchi non si è sentito bene, preferisco continuare a farlo dormire. Ci faremo raccontare dopo- affermò.
- Oh capisco, è per questo che Hinata e Kageyama sono usciti a tarda notte dalla vostra stanza?- uno strano sorriso si formò sul volto del più grande.
- Dev'essere dura vero? Sapere di essere il motivo della sofferenza di un amico, non poterlo aiutare perché si è troppo deboli... A volte si attiva a pensare che per l'altra persona sarebbe meglio se noi sparissimo. Dopotutto, finché sarai qui Yamaguchi rimarrà legato a te no? Anche se gli fai del male-. Prima che Kei potesse dire qualcosa, Oikawa si allontanò.
Il biondo serrò le labbra, irritato da come l'altro fosse riuscito a dare voce ai suoi pensieri.
Lo sapeva anche lui di star facendo del male a Yamaguchi, ne era più che consapevole. Ma sapeva che pur dicendoglielo l'altro non l'avrebbe lasciato andare... Probabilmente non gli avrebbe neanche dato la colpa di ciò che era successo.
Avrebbe continuato a fargli del male senza riuscire ad aiutarlo. Davvero voleva continuare a vivere così?

- Bene, mi fa piacere che siamo quasi tutti qui!- esclamò Yu, richiamando l'attenzione di tutti.
- Dove sei stato?- mormorò Hajime, vedendo entrare Oikawa. Il ragazzo lo guardò confuso.
- In... Bagno?-. Hajime serró le labbra. Si era ripromesso di non lasciarlo solo, ma Kirai aveva approfittato del momento in cui era in doccia per svignarsela. Ora però Oikawa sembrava essere tornato in sé, per cui decise di parlargliene dopo.
- Come mai ci hai riuniti tutti?- chiese Hinata, seduto sulle ginocchia di Kageyama; ultimamente era diventato il suo posto preferito.
- Ho bisogno del vostro aiuto per aiutare Tanaka- affermò Yu.
- Come sta?- chiese Kyoko.
- Si è ripreso; e pare stia iniziando a capire a cosa sia dovuta la sua malattia- affermò Koushi.
- A cosa?- chiese Kuotaro.
- Bokuto-san, non insistere troppo- mormorò Keiji.
- Tranquilli, mi ha dato il permesso di parlarne. Pare che il suo trauma sia dovuto al fatto che il padre non accettasse la sua omosessualità, e alla fine lui dimenticandosene ha iniziato a credere che ci fosse qualcosa che non andava in lui-.
Tutti si guardarono, comprensivi: quella di qualcosa che non va in sé stessi era una sensazione che quasi tutti loro avevano provato, anche se per motivi diversi.
- Come pensi di aiutarlo?- chiese Yutaro.
- Da quello che ha raccontato, aveva un amico che potrebbe essere stato il suo primo amore...  Be', avevano dieci anni, ma avete capito il senso. Penso che riparlarci potrebbe aiutarlo, ma non so come trovarlo- spiegó.
- Cosa sappiamo di lui?- chiese Hajime.
- Che è un fissato della palestra di nome Taketora Yamamoto-.
- Ah, allora l'abbiamo trovato- affermó Tetsuro.
- Eh?! Davvero?!- chiese Yu, sorpreso.
- Si, lo conosco. O meglio... Kenma lo conosce-. Tutti si voltarono verso il biondo, che iniziò a sentirsi a disagio.
- Era mio compagno di classe alle medie- ammise.
In un attimo Yu gli fu davanti, con gli occhi che quasi luccicavano.
- E potresti contattarlo?- chiese.
- Be', non ci sentiamo da un po' però... Dovrei avere ancora il suo numero- mormorò.
- Perfetto! Bravissimo Kenma!- urlò Yu.
- Non che abbia fatto qualcosa...- borbottò il biondo.
- Dopo lo chiamiamo- affermó Tetsuro, per dare man forte all'amico.
- Perfetto! Ah, e nessuno lo dica a Tanaka, voglio che sia una sorpresa! Ho fame, cosa c'è per pranzo?- tranquillizzato da quella notizia, Yu cambió subito argomento.
- Andiamo ad aiutare ad apparecchiare così lo scopriamo?- gli chiese Asahi.
- Andiamo!- Yu corse fuori dalla stanza, seguito da Asahi, Suga e Daichi.
- Hai avuto problemi stanotte?- chiese l'argentato al moro.
- Nessuno; tu?-.
- Avevo paura che Ennoshita fosse spaventato all'idea, invece a quanto pare è riuscito a dormire abbastanza tranquillamente- raccontò. Daichi quando aveva saputo del cambio di camere per quella notte inizialmente si era preoccupato. Non che stare con Asahi fosse un problema, si trovava molto bene con lui, ma non avrebbe saputo come gestire una sua crisi, così come l'altro non avrebbe potuto aiutarlo se ne avesse avuta una lui. Inoltre temeva che Suga si stesse prendendo nuovamente troppe responsabilità; ma l'aveva anche fatto sorridere il modo in cui non aveva esitato a dare una mano, nonostante i rischi che correva.
Poco dopo, anche Bokuto e Akashi lasciarono la stanza, perché il primo aveva dichiarato di avere bisogno della sua dose giornaliera di "sorrisi di Aghashi" ed aveva trascinato l'altro in stanza.
Kuuro si era allontanato con Kenma per cercare di convincerlo a chiamare Yamamoto invece di mandargli solo un messaggio, data la situazione, mentre Yaku e Lev avevano deciso di fare un giro in giardino.
Kyoko e Yachi erano andate in camera per informarsi su come iniziare l'attività di cui avevano parlato la sera prima, mentre Oikawa stava accompagnando Iwaizumi in palestra.
- Dovresti parlare con lui- sussurró Shoyo, una volta rimasto solo nella stanza con Kageyama, Kindaichi e Kunimi. Le due coppie erano piuttosto lontane, quindi solo Kageyama sentì le parole del più basso.
- Adesso? È vero che ti ho promesso che l'avrei fatto, ma prima ho bisogno di prepararmi-.
- Più tempo passa peggio sarà. Non puoi uscire da qui senza averglielo detto!-.
- Non posso neanche parlarci così a caso Bokè!-.
- Ma che hanno quei due da rompere?- borbottò Akira.
- Staranno bisticciando come al solito- sospiró Yutaro, guardando il ragazzo al suo fianco. Improvvisamente arrossí; quella notte, tornati dalla festa, avevano avuto la loro prima volta. Avevano già fatto sesso ovviamente, ma quella era stata la prima volta in cui avevano fatto l'amore: entrambi consapevoli dei propri sentimenti e di quelli dell'altro, entrambi felici di starlo facendo. Kindaichi non si era mai sentito così soddisfatto, e Kunimi aveva dormito quasi sei ore di fila. Per la prima volta, la loro condizione gli andava davvero bene.

Keishin era sorpreso dal fatto che solo Tanaka ed Ennoshita fosse andati a parlare con lui; a quanto pareva, solo il primo aveva avuto problemi inusuali durante la festa.
La cosa lo rese felice, significava che la maggior parte dei ragazzi stava reagendo bene.
Quindi, dato che a quanto pare non avrebbe avuto altri pazienti quella mattina, decise di andare a parlare con una persona che gli doveva qualche spiegazione.
Ukai bussò alla porta dell'ufficio di Takaeda.
Kageyama accarezzò i capelli di Hinata.
Kindaichi strinse la mano di Kunimi.
Yaku si sedette con Lev in giardino.
Oikawa guardò Iwaizumi iniziare ad allenarsi.
Yachi sorrise a Kyoko.
Tanaka rise con Ennoshita.
Bokuto baciò ad Akashi.
Kenma alzò gli occhi all'ennesima insistenza di Kuuro.
Nishinoya saltó sulla schiena di Asahi.
Daichi sfiorò la mano di Sugawara.
Mentre succedeva tutto quello, Yamaguchi apriva la porta del bagno. Appena svegliato aveva deciso di farsi una doccia, operazione che solitamente gli portava via almeno venti minuti perché amava stare sotto il getto d'acqua calda.
Aveva dimenticato il cambio di vestiti in camera, e per evitare di creare imbarazzo con Tsukki aveva deciso di andarli a prendere appena se n'era accorto.
L'acqua aveva già iniziato a scorrere, per cui lui non non aveva sentito alcun rumore.
Quando aprì la porta, vide il comodino rovesciato in mezzo alla stanza. Sopra ad esso, attaccato al soffitto da un lenzuolo bianco stretto attorno al collo, c'era il corpo di Tsukishima.

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Capitolo 15
*** CAPITOLO XV. ***


Ittetsu aprí lentamente la porta, trovando tutti gli altri fuori dalla stanza. Aveva detto loro di tornare in camera, ma non avevano voluto saperne.
- Come sta?- chiese Yamaguchi mentre lui chiudeva la porta alle sue spalle.
Il dottore lo affiancò; fino a poche ore prima sarebbe scappato probabilmente, ma in quel momento il direttore trovò rassicurante la presenza dell'altro.
- È vivo-. Un sospiro di sollievo si levò dal gruppo e Yachi si asciugó le lacrime. Per ora era stata l'unica a piangere, tutti gli altri stavano cercando di essere forti per Yamaguchi. Dal canto suo, il ragazzo dai capelli verdi non sapeva come reagire.
Quando aveva trovato il suo amico in quelle condizioni, come prima cosa aveva urlato, mentre si gettava da lui per aiutarlo. Non ricordava neanche chi lo avesse aiutato a tirarlo giù in tempo, o a portarlo fino in infermeria.
Per fortuna Takaeda aveva fatto dei corsi di medicina.
Adesso, non sapeva cosa pensare. Da un lato stava male, perché aveva appena rischiato di perdere la persona a cui teneva di più nella vita; dall'altro era arrabbiato, non capiva perché l'avesse fatto; c'era anche una parte che si dava la colpa, perché il suo migliore amico aveva provato a suicidarsi e lui non aveva neanche mai pensato che sarebbe potuta accadere una cosa simile.
- Dovrebbe riprendersi tra non molto. Ragazzi vi consiglio di tornare di lá, non potrete entrare tutti comunque. Vi farò sapere quando si sveglierà, va bene?-.
- Dai ragazzi, lasciamolo riposare- mormorò Daichi. Strinse leggermente a sé Suga, che stava trattenendo le lacrime da prima, e convinse gli altri a seguirlo.
- Dottore, dobbiamo parlare- affermò Hajime, avvicinandosi ad Ukai insieme ad Oikawa. Il biondo annuí e si voltò verso Takaeda.
- Vengo a darle il cambio appena ho finito- affermò. Il direttore annuì, e poco dopo si ritrovò solo con Yamaguchi, Hinata e Kageyama.
- Immagino che non ti convinceró ad allontanarti vero?- sospirò. Tadashi scosse la testa.
- E io non abbandono Yamaguchi in questo stato- affermò Shoyo. Ittetsu guardò Kageyama, la cui espressione diceva chiaramente "se rimane lui rimango anch'io".
- Nell'infermeria c'è un altro letto, ma conto che si svegli tra poco. Fatevi portare qualcosa da mangiare, mi raccomando. Io vado nel mio studio, è la porta qui di fianco: torneró tra poco, va bene?-.
- Certo direttore-. Dato che Hinata stava guardando Yamaguchi, che fissava la porta con sguardo spento, fu Tobio a rispondere.
Takaeda guardò quest'ultimo, come a dirgli "te li affido", per poi ritirarsi nel suo ufficio.
- Dovreste andare anche voi- affermò Tadashi, appoggiando una mano sulla maniglia della porta.
- Sei mio amico, non ti lascio- affermò Shoyo - so che probabilmente le tue emozioni al momento sono talmente confuse che non le distingui, ma potresti crollare da un momento all'altro-. Tadashi era ben consapevole della sua debolezza, per cui non potè che concordare con le parole dell'amico.
Aprì la porta, entrando nell'infermeria. Sdraiato sul letto centrale c'era Tsukki, con una flebo attaccata al braccio, degli elettrodi sul petto collegati ad una macchina che teneva sotto controllo il battito cardiaco e un tubicino sotto alle due narici per aiutarlo a respirare. Intorno al collo aveva il segno rosso lasciato dal lenzuolo.
Tobio vide Hinata sussultare a quella vista. Avrebbe voluto portarlo via da lì: era vero che entrambi litigavano spesso con Tsukishima, ma sapeva bene quanto il più basso fosse sensibile e che non avrebbe mai potuto avercela davvero con nessuno. Proprio per questo però sapeva anche che non si sarebbe lasciato prendere dalle emozioni finché non fosse stato certo che Yamaguchi sarebbe riuscito a cavarsela.
Infatti Shoyo, dopo lo shock iniziale, imitò l'amico, che aveva preso una sedia per sistemarsi di fianco al letto.
Tadashi si sedette e rimase a fissare Tsukki: era più pallido del solito. Ma era vivo. Il macchinario collegato al suo cuore lo confermava. Ma era troppo pallido.
Tobio si sistemó vicino ad Hinata; mentre Shoyo allungava la mano per accarezzare la schiena di Yamaguchi, Tobio strinse l'altra mano di Hinata con la sua, per poi portare lo sguardo su Tsukishima.
Non poté fare a meno di pensare che era un idiota: se Yamaguchi significava per Tsukishima ciò che Hinata significava per lui, allora era stato veramente un idiota a pensare di andarsene. Lui non avrebbe mai potuto abbandonare Hinata, non sapendo quanto ci tenesse a lui.
Fare del male alla persona che ami... Si, Tsukishima doveva essere proprio un idiota.

- Gattino, non riuscirai a farmi ridere neanche con il solletico- mormorò Tetsuro. Il biondo si sistemó meglio sul letto, ma tenne un braccio allungato sul corpo di Kuuro e continuò a pizzicarlo in giro per il petto.
- Non lo faccio per quello: voglio che tu rimanga qui- affermò il biondo. Sapeva bene che il dolore per il gesto di Tsukishima non sarebbe sparito solo perché avevano scoperto che era vivo; quello shock poteva essere sufficiente per dare il via ad una derealizzazione di Kuuro da cui non avrebbe saputo come salvarlo. Per questo Kenma da quando l'avevano scoperto aveva continuato a pizzicare o comunque toccare Kuuro, in modo da tenerlo al suo fianco.
Tetsuro lo sapeva bene: sentiva il bisogno di andare via dal suo corpo, di non provare più quelle sensazioni negative, di scappare anche solo per un attimo in un luogo dove non doveva sopportare tutto quello. I piccoli colpi di Kenma lo riportavano indietro continuamente, insieme alla consapevolezza che non poteva abbandonarlo: all'apparenza il biondo era insensibile, ma sapeva bene quanto fosse fragile.
Si voltò su un fianco e lo strinse a sé; Kenma per sicurezza continuó comunque ad accarezzargli il fianco.
- Dovresti mangiare qualcosa- mormorò Tetsuro.
- Non ho fame- ammise Kenma. Anzi, in realtà era stato invaso da un vago senso di nausea. Il suo corpo, come abitudine, provò ad alzarsi per dirigersi in bagno. A bloccarlo però trovò le braccia di Kuuro.
- Se te ne vai non avrò motivo di tornare- sussurrò. Kenma combattè contro il suo bisogno e tornò sdraiato, consapevole che se in quel momento lui l'avesse abbandonato anche solo per un attimo entrambi si sarebbero persi per sempre.

- La stanza è pulita- affermó Daichi. Koushi annuì, ma continuò a muovere la scopa. Le mani gli tremarono, ma non fece nulla per fermarle. Al momento non riusciva ad avere alcun pensiero positivo.
Sentì un paio di braccia avvolgerlo da dietro e due mani poggiarsi sulle sue.
- Non è colpa tua- sussurrò. Koushi non provò neanche più a trattenere le lacrime; lasciò cadere la scopa e si voltò, appoggiando la fronte e le mani sul petto dell'altro e scoppiando a piangere.
Daichi sentiva delle voci nelle orecchie; era più che consapevole che in sala da pranzo ci fossero solo loro due, gli altri avevano a malapena mangiato. Eppure lui vedeva tutti i suoi amici, seduti intorno ai tavoli, intenti a ridere e scherzare. Vide Kageyama sbuffare e dire qualcosa a Tsukishima; al suo fianco, Yamaguchi rise.
Daichi chiuse gli occhi, stringendo più forte l'altro: loro non erano reali. Lui sì. Se volevano invaderlo, avrebbero dovuto aspettare che l'altro ragazzo si fosse ripreso.
- Avrei dovuto aiutarlo. Sapevo che qualcosa non andava, ma pensavo ce l'avremmo fatta tutti. Pensavo che sapesse di poter contare su noi, pensavo...- Koushi dovette fermarsi perché i suoi singhiozzi diventarono più forti.
- Suga, tu non hai fatto niente di male. Hai sempre cercato di farci sentire tutti accettati, tutti ben voluti; non hai mai lasciato nessuno da solo. Ricordi? Sei stato tu a proporre di non andare mai in giro da soli, di aiutarci a vicenda. Tu hai fatto tutto il possibile: ma ognuno deve metterci del suo, o l'aiuto esterno non basta. Non devi darti la colpa-.
Una parte di Koushi sapeva che Daichi aveva ragione; eppure, non poté fare a meno di pensare che fosse anche colpa sua.
Daichi si accorse che il corpo dell'altro si stava rilassando.
- Daichi... Perché siamo qui?- Koushi alzò lo sguardo sull'amico, confuso. Daichi quasi sussultò nel sentire quelle parole.
- Andiamo a fare un giro? Ho voglia di prendere un po' d'aria-. Il moro abbassò la testa: Suga stava sorridendo, ma era un sorriso finto. Non perché l'amico si stesse sforzando. Ma perché non era felice. Solo che non se ne ricordava.
- Avvisiamo gli altri- affermó, alzando lo sguardo per comunicare ai loro amici che sarebbero usciti.
- Ma che stai dicendo Daichi? In questo istituto ci siamo solo noi due-.

- Mi stai dicendo che è stata colpa sua?- chiese Keishin.
- Stamattina si è allontanato da me e quando è tornato non si ricordava cosa avesse fatto. E il suo comportamento di adesso conferma la mia tesi- affermò Hajime, voltandosi verso il ragazzo al suo fianco. Oikawa sorrideva, seduto tranquillamente contro lo schienale del divano. Kirai aveva preso il comando appena avevano saputo di Tsukishima.
Lo sguardo del dottore si posò su di lui.
- Dimmi, hai convinto tu Tsukishima a tentare di suicidarsi?- gli chiese.
- Neanche io potrei convincere una persona a compiere un gesto simile in così poco tempo. Ma quando ti trovi davanti un ragazzo disperato perché non sa più cosa fare per aiutare sé stesso e il suo migliore amico, e che già pensa a come sarebbe la vita senza di lui... Be', mi è bastato confermare i suoi dubbi- raccontó il tutto con il sorriso sul volto, come se si stesse vantando di un grande successo.
- E perché diavolo l'hai fatto? Quel ragazzo non ti stava facendo niente! Prima Kindaichi, ora Tsukishima... Cosa diavolo ti passa per la testa?!- urlò Hajime, che si stava trattenendo dal picchiarlo solo per non ferire anche Toru.
- Se permetti rispondo io Iwaizumi. Kirai è nato dal dolore che provava Toru, dal suo senso di smarrimento e di sconfitta. Un luogo dove le persone provano perennemente quei sentimenti è probabilmente il migliore in cui lui può riuscire a prendere completamente il controllo; vuole tenervi tutti qui per diventare più forte. Non è vero?-. Kirai scoppiò a ridere.
- Però dottore, è davvero in gamba!- esclamò.
- Ti ringrazio. Ma questo non giustifica comunque il tuo comportamento-.
- Non ci riuscirai Kirai. Te l'ho già detto: noi ti sconfiggeremo- affermó Hajime.
- Voi? Intendi Toru, talmente terrorizzato da me e dalle mie azioni da lasciarmi il suo corpo per scopare con un suo amico, e tu, che sei chiuso qui per causa mia? E sentiamo, come mi fermerete? Con il potere dell'amicizia?-. Prima che Hajime potesse picchiarlo davvero, Keishin intervenne di nuovo.
- Riusciranno a mandarti via perché tu non sei il vero Oikawa. E lo sai bene, o non rimarresti qui dentro al sicuro. Hajime e Toru si conoscono da quando erano bambini; potrai anche pensare di avere il controllo, ma sono certo che troveranno un modo per non farti più tornare- affermó. Il sorriso di Kirai si spense.
Hajime sapeva benissimo quanto Toru si stesse sentendo in colpa per Tsukishima; probabilmente aveva capito che Kirai centrava qualcosa. Il suo amico non era abituato a sentirsi impotente: più guai la sua seconda personalitá combinava, più lui aveva paura e le dava potere. Ma non avrebbe lasciato che succedesse ancora a lungo.
- Ci può contare dottore. Nessuno può battere me e Shittikawa insieme-.

Yachi continuó a seguire Kyoko in giro per l'istituto, senza parlare. Ancora non aveva finito le lacrime, ma era preoccupata per l'amica. Aveva capito che Kyoko temeva che qualcun altro potesse lo stesso gesto, e stava controllando che tutti stessero bene... Almeno fisicamente.
Yachi si sentiva soffocare da quella situazione. Certo, in tre anni aveva visto molti suoi amici avere parecchie crisi e stare male; ma nessuno di loro era mai arrivato a compiere un gesto tanto estremo.
Ad un tratto, nonostante conoscesse quel posto come le sue tasche e sapesse di essere al sicuro, si sentì come se non ci fosse stata una via d'uscita. Come se il crollo di Tsukishima avesse significato che nessuno di loro sarebbe mai potuto veramente andarsene da lì vivo.
Quel pensiero la costrinse a bloccarsi per cercare di riprendere a respirare.
Nonostante la bionda fosse qualche passo dietro di lei, Kyoko si accorse subito della mancata presenza dell'unico motivo per cui ancora riusciva a mantenere la sua lucidità. Si voltò, e quando vide l'amica ferma con gli occhi chiusi le si avvicinò.
- Non lo farà nessun altro-. Kyoko non seppe dire se Yachi avesse parlato per convincere lei o sè stessa.
- No, lo impediremo. Usciremo tutti insieme da qui- affermó.
Yachi aprí lentamente gli occhi. In un modo o nell'altro, ci sarebbero riusciti.

Keiji continuó ad accarezzare i capelli di Bokuto con una mano, mentre con l'altra disegnava. Il più grande non aveva detto una parola da quando avevano scoperto di Tsukishima; più per abitudine che per altro, l'aveva portato nella sua stanza e si erano sistemati nella loro solita posizione. Questa volta però, non sembrava funzionare.
Il vuoto all'interno di Koutaro si era espanso talmente tanto che non sapeva neanche più cosa ci facesse lì, in quella stanza, insieme ad un ragazzo che non provava sentimenti. Si sentiva completamente svuotato dalla voglia di fare o pensare qualsiasi cosa.
Ricordò il giorno in cui aveva provato a suicidarsi: aveva quello stesso senso di vuoto. Non sentiva assolutamente nulla, tanto da portarlo a pensare che se anche fosse morto non sarebbe cambiato nulla.
Si alzò; Keiji lo lasciò fare, continuando a concentrarsi sul disegno. La voglia di tornare a provare emozioni che aveva avvertito negli ultimi giorni si era completamente dissolta quando aveva visto il dolore sul volto dei suoi amici. Si era ritrovato a pensare che se provare emozioni poteva fare così male, forse era meglio non provarne affatto.
Con la coda dell'occhio, vide Bokuto armeggiare con il lenzuolo.
- Vuoi farlo anche tu?- gli chiese, continuando a disegnare.
- Io avevo provato con le pastiglie, ma dato che qui non ne hanno non penso ci fossero molte alternative- commentò Koutaro, mentre finiva di annodare le coperte. Si ritrovò a chiedersi quanto passasse dall'inizio del soffocamento all'arrivo della morte.
- Kuuro ci rimarrebbe male- affermò Keiji, senza smettere di disegnare. Sapeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, il suo ragazzo stava pensando al suicidio proprio davanti a lui. Eppure, non riusciva a importargli. Dopotutto, la vita di Bokuto era solo sua.
- Ha Kenma. Tu ci rimarresti male?- Koutaro non aveva mai sentito tanta indifferenza verso l'altro ragazzo. O almeno, così gli sembrava: ma sapeva che la risposta dell'altro sarebbe stata decisiva per lui.
- Quando diciamo che non vogliamo che una persona muoia, siamo egoisti. Non lo diciamo per lei, ma perché non vogliamo soffrire per la sua perdita- Keiji appoggió il blocco da disegno e si alzò, mettendosi davanti a Bokuto.
- Se una persona non prova niente non ha motivo per desiderare che gli altri rimangano in vita. Ma io sono una persona egoista- Keiji allungó la mano, e a Koutaro bastarono quelle parole per afferrarla.
Si fissarono negli occhi. Ad uno sguardo esterno, potevano sembrare che sconosciuti che si salutavano; ma loro sapevano di essere molto di più.
I loro sentimenti c'erano, da qualche parte, bloccati dalla paura di un dolore troppo forte per essere affrontato da solo. Però sapevano di non essere soli. Probabilmente per via dell'abitudine presa negli ultimi giorni, Koutaro tirò Keiji verso di sé e lo bació. Non si sentì più come se il vuoto fosse scomparso, così come Keiji non sentì di star sorridendo inconsciamente. Per entrambi all'apparenza fu come non sentire nulla.
Ma entrambi sapevano quanto l'altro stesse soffrendo, quanto quel momento di apatia totale fosse dovuto solamente alla paura e al dolore; si amavano talmente tanto che, pur non provando niente, non avrebbero mai lasciato andare l'altro. In qualche modo, lo avrebbero tratto in salvo.
Con quel bacio non sentirono niente; eppure, sentirono tutto.

Ryu tirò un altro pugno al sacco, poi un altro, e un altro ancora. Era furioso per la situazione: un suo amico aveva provato a togliersi la vita.
Aveva sempre fatto la persona forte, determinata, in grado di aiutare chiunque; eppure, non aveva potuto fare niente.
- Tanaka-. Il richiamo di Ennoshita, seduto contro la parete della palestra, lo fece fermare. Si voltò verso l'amico, che aveva tirato le gambe al petto ed appoggiato il mento sulle ginocchia.
- Forse... Dovresti allontanarti da me-. Ryu spalancò gli occhi, sorpreso.
- Non ti fidi di me?- gli chiese, avvicinandosi. Nella sua mente si fece largo il pensiero che forse lo shock di sapere di Tsukishima aveva peggiorato le condizioni dell'amico.
- Non potrei mai dubitare di te- mormorò Chikara. Sapeva che Tanaka non gli avrebbe mai fatto del male, era l'unica persona che era certo al 100% fosse vera.
- E allora che succede?- Ryu si accucció davanti a lui, portandosi alla sua altezza.
- È di me stesso che non mi fido- ammise. Chikara si era ritrovato a pensare se avrebbe mai potuto suicidarsi; e non poteva negare di averci pensato. All'inizio, quando non riusciva più a fidarsi di nessuno, aveva pensato che tanto valesse farla finita. Eppure, non ci era riuscito; e quando aveva incontrato Tanaka, era stato grato di non averlo fatto.
Però, per qualche motivo ora gli era tornato quel pensiero. Insieme ad un altro: e se fosse stato lui il sosia? Magari era per questo che pensava che tutti gli altri fossero stati sostituiti: magari in realtà lui non era il vero Chikara Ennoshita. E se era così, allora doveva porre fine alla sua vita prima di rischiare di fare del male a qualche suo amico.
Il suo flusso di pensieri venne interrotto da un dolore improvviso al braccio.
- Ahia! Perché mi hai dato un pizzicotto?- guardò male Tanaka.
- Lo farò ogni volta che proverai a dire altre assurdità simili. Sei tu che hai il controllo su tè stesso, e nessun altro: se vuoi provare ad allontanarmi dovrai fare di meglio- affermò Ryu, alzandosi. Chikara sbarrò gli occhi.
- Ti sbagli! Non lo dico perché voglio allontanarti! È solo che...-.
Ryu sorrise.
- Se non vuoi allontanarti, allora non c'è problema. Entrambi vogliamo rimanere insieme no? Quindi smettila con quei pensieri assurdi: non farai male né a me né a te stesso- affermó. Forse non aveva potuto fare niente per Tsukishima, ma non sarebbe più rimasto a guardare i suoi amici crollare senza fare niente. A partire da Ennoshita, li avrebbe aiutati tutti.
Chikara, nel vedere come l'altro fosse riuscito a leggergli perfettamente nel pensiero, sorrise. Anche se si trattava di un sosia, alla fine era stato lui a conoscere Tanaka. Ed era felice così.

- Vuoi dormire?-.
- Tra un'oretta-.
- Pensi di riuscire a resistere?-. Akira scosse la testa: no, probabilmente sarebbe crollato prima.
- Non capisco. Perché sprecare energie in un gesto così inutile?- mormorò.
- Non ne ho idea- ammise Yutaro. Era consapevole che se Kunimi l'avesse abbandonato per sempre, probabilmente anche lui avrebbe potuto pensare ad un gesto simile.
Ma Kunimi era lì, così come Yamaguchi era lì per Tsukishima.
- Magari come me aveva paura di stargli facendo troppo male e non sapeva come affrontare la cosa- ipotizzò Yutaro.
- Penso che così l'abbia peggiorata. Se tu avessi fatto una cosa simile, ti avrei odiato per sempre-.
- Non potrei mai farlo finché ho te- ammise Yutaro, voltandosi per guardare l'amico sdraiato di fianco a lui. Akira aveva gli occhi chiusi, ma li aprì quando avvertì lo sguardo dell'altro su di sé. Yutaro allungò la mano verso Kunimi, spostando una ciocca di capelli che gli era calata sul volto. Un tempo quel genere di gesti per lui era normale, e si diede dell'idiota per aver smesso in quei tre anni. Più ci pensava, più si rendeva conto che davvero dal suo comportamento sarebbe potuto sembrare che dell'altro non gli importasse niente. Invece gli importava più che di sé stesso.
Allungò anche l'altro braccio, stringendo Kunimi a sé.
- Riposa, ne hai bisogno- sussurrò.
- Tu non hai bisogno?- gli chiese Akira, mentre sistemava la testa sul petto dell'altro e chiudeva nuovamente gli occhi.
Yutaro sapeva che il suo corpo stava già iniziando a reclamare bisogno di sesso, soprattutto perché quella mattina non aveva praticamente fatto sport. Ma in quel momento farlo era l'ultima cosa che voleva: non aveva bisogno di quello, così come non ne aveva bisogno Kunimi.
- Preferisco dormire con te. Svegliami se non riesci ok?-. Akira annuì, non riuscendo a parlare.
E per una volta, cullato dal battito regolare e dal respiro di Kindaichi, riuscì ad addormentarsi senza troppi problemi.

Asahi non era mai riuscito a pensare al suicidio: il pensiero di togliersi la vita e di fare soffrire le persone che gli volevano bene per lui era orribile. Si procurava dolore proprio per ricordarsi che era vivo, che ancora poteva lottare. E in quel momento aveva un disperato bisogno di ricordarlo a sé stesso.
Si alzò dal letto su cui si era sdraiato ed andó in bagno; senza tante cerimonie prese la lametta e se la fece passare sul polso, sentendosi quasi sollevato quando sentì il luogo ferito bruciare e vide il sangue uscire. Si, era ancora vivo. E faceva male. Ma almeno era lì.
Si fece un altro paio di tagli, e quando finirono di sanguinare si mise delle bende sui punti feriti.
Yu osservó tutto questo dalla sedia che aveva messo davanti alla finestra, senza riuscire a muoversi. Il suo corpo fremeva dal bisogno d'azione, eppure la sua mente sembrava non volergli far fare niente.
Lui non concepiva il suicidio, non riusciva a pensare di rinunciare alla sua vita. Aveva sofferto era vero, ma non era certo un buon motivo per gettare tutto al vento. Proprio il fatto che provasse quel dolore e quei sentimenti era indicatore della sua vita.
Per questo, per una volta, non provò a fermare Asahi. Realizzó che preferiva vederlo con le braccia insanguinate, che sdraiato sul tavolo di un obitorio. Anche se ovviamente, il suo lasciar correre valeva solo per occasioni particolari come quella. In generale, avrebbe desiderato che Asahi stesse sempre bene, almeno abbastanza da non dover ricordare a sé stesso di essere vivo. Avrebbe voluto farlo lui, ma in quel momento non riusciva a muoversi.
Asahi gli fu grato di quell'attimo di tregua, perché dopo essere riuscito a ricordare a sé stesso di essere in vita, riacquisí la forza e la lucidità necessarie per ricordarlo anche all'altro ragazzo.
Andrò verso di lui e lo prese per mano, facendolo alzare.
- Andiamo fuori- annunciò.
- Asahi-san, non mi va di...-.
- Nishinoya, non sei nato per deprimerti davanti ad una finestra. Tsukishima è vivo, e quando si risveglierà avrà bisogno di un ragazzo con la metà della sua altezza ed un anno più di lui che gli ricordi quanto sia bello vivere. E tu sei l'unico a poterlo fare: sei l'unico qui che non ha mai smesso di vivere. Ti prego, non smettere ora-. Quelle parole colpirono molto Yu. Non si era mai vergognato della sua vivacità, e nonostante Asahi gli avesse già detto quanto la adorasse non credeva la considerasse così importante. Non credeva lo capisse fino a quel punto.
Il sorriso tornò spontaneo sulle labbra di Yu.
- Hai ragione: mostriamo a tutti come si vive!- stampò un bacio sulla guancia di Asahi prima di trascinarlo fuori dalla stanza.

Lev cercò in tutti i modi di frenare il tremore delle sue mani.
- Va tutto bene Lev. Guarda: Tsukishima sta bene- Yaku indicó il tavolo vicino a loro nella sala ricreazione, dove Tsukishima stava giocando a carte con Yamaguchi.
Lev non ebbe il coraggio di dirgli che lí non c'era nessuno. Sapeva che avrebbe dovuto aiutare l'altro a tenere a freno le sue emozioni, ma aveva paura che se avesse contraddetto il ragazzo avrebbe potuto avere un'altra crisi e non sapeva se questa volta sarebbe riuscito a fermarlo.
- Non sono lì vero?-. Lev si voltò di scatto verso Yaku, sorpreso dalle sue parole.
- Te ne sei accorto?- mormorò. Yaku fece un sorriso triste.
- Se ci pensi bene, le mie visioni hanno sempre qualcosa che non va. Tsukishima ha provato a suicidarsi, non potrebbe essere già qui tranquillo a giocare. E inoltre, se fosse stato così non avresti avuto quell'espressione- concluse, voltandosi verso l'altro.
Lev fece un piccolo sorriso.
- Sono felice che tu ci stia riuscendo, Yaku-san- affermò.
- È anche merito tuo Lev. Per cui smettila di darti la colpa: non potevi fare nulla per Tsukishima, il tuo compito è aiutare me e lo stai portando a termine egregiamente- affermò. Lev sorrise mentre il tremore cessava leggermente.
- Adesso però mi hai aiutato tu, Yaku-san- commentó.
- Una piccola ricompensa per avermi salvato la vita. Se non fossi così alto ti darei anche un bacio-. Lev spalancó la bocca a quell' affermazione.
Dopotutto, Yaku era sempre stato un ragazzo deciso e che diceva tranquillamente ciò che pensava degli altri. Solo con quel mezzo-russo aveva fatto fatica; ma ora che stava riprendendo il controllo della sua vita, era stufo di doversi trattenere.
Lev si alzò, spostò la sua sedia e si sedette sul pavimento.
- Ora sembro più basso vero?- chiese in tono speranzoso.
- Neanche un po'- affermò Yaku, e Lev assunse un'espressione delusa ed offesa. Il maggiore si sporse dalla sedia e diede un bacio sulla guancia all'altro, che arrossì.
- Ma apprezzo l'impegno- affermò. Lev sorrise.
Entrambi erano ben lontani dallo stare bene, e soprattutto dopo ciò che era successo tenevano che le cose sarebbero peggiorate. Ma erano entrambi stufi di lasciarsi abbattere; volevano davvero uscire da lì e rimanere insieme, e ci sarebbero riusciti ad ogni costo.

- Come sta?-. Ittetsu sussultò nel sentire la voce di Ukai dietro di lui. Chiuse la porta dell'infermeria, da cui era appena uscito, e si voltò.
- Il suo corpo ha bisogno di riposare, ma fisicamente sta bene- affermò. Keishin annuí, sollevato.
Sapeva bene che Tsukishima portava sulle spalle sia il peso della sua malattia che di quella di Yamaguchi; ma non credeva che soffrisse così tanto da lasciarsi convincere da un paio di parole. Probabilmente era stato il dolore di Yamaguchi a spingerlo a tanto; morendo, si sarebbe portato dietro il motivo di quel dolore e liberato l'amico. Così doveva aver pensato, ma le cose non sono mai così semplici.
- Tu come stai?- chiese. Ittetsu abbassò lo sguardo.
- Ascolta, per quello che è successo...-.
- Non importa, ho capito-. Ittetsu temeva che non fosse così, ma quando incontrò lo sguardo dell'altro comprese che aveva capito davvero.
Ukai sapeva bene che Takaeda non sarebbe mai andato a letto con lui solo per il gusto di farlo; sapeva che c'era qualcosa che lo spaventava e lo teneva lontano da qualsiasi possibile relazione. Non voleva indagare fin quando l'altro non fosse stato pronto.
- Non è questo l'importante adesso. Uno dei tuoi ragazzi è appena stato male: come stai?-.
Gli occhi di Ittetsu si riempirono di lacrime; le braccia di Keishin lo avvolsero mentre iniziava a piangere.

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Capitolo 16
*** CAPITOLO XVI. ***


Ukai rimase con Takaeda per il resto del giorno. Aveva parlato con alcuni dei ragazzi: Kyoko aveva mandato da lui Sawamura e Sugawara, che pareva si fossero persi entrambi nelle loro malattie nello stesso momento. Per fortuna, niente di irrimediabile. Tutti gli altri, in qualche modo, stavano riuscendo a farcela da soli... Be', non proprio da soli, erano sempre insieme. Senza il suo aiuto, diciamo.
Poco dopo cena, qualcuno bussò alla porta dell'ufficio ed il direttore si affrettó ad andare ad aprire, trovandosi di fronte Kageyama.
- Si è svegliato-.

Per Tadashi il mondo si era come bloccato quando aveva visto Tsukki riaprire gli occhi. Sapeva che Kageyama era corso a chiamare il direttore, e non aveva fatto storie quando Shoyo l'aveva portato fuori dalla stanza per lasciare che visitassero l'amico.
Quando il dottore ne era uscito, comunicandogli che andava tutto bene, era rientrato da solo.
Kei si sentiva leggermente confuso. Ricordava bene cosa fosse successo, ma pensava di essere morto. Almeno finché non vide il volto di Yamaguchi che si avvicinava a lui.
- Yama...- non fece in tempo a finire la frase che un sonoro schiaffo lo colpì sulla guancia, tanto forte da fargli girare per un attimo la testa.
Tadashi alla fine aveva deciso a quale sentimento cedere per primo: la rabbia.
- Perché?-. Il tono dell'amico colpí Kei quasi più forte dello schiaffo che gli aveva dato. Il primo contatto umano che aveva da tempo, ed era stato uno schiaffo del suo migliore amico.
- Yamaguchi...-.
- No, adesso stai zitto Tsukki. Si può sapere che cazzo ti è saltato in testa? Ti ho sempre seguito, mi sono fidato di te, ho rispettato ogni cosa che mi dicevi, ho rimandato la mia possibilità di guarire per tuo volere e per aiutarti. E tu volevi abbandonarmi così? Ti frega così poco di me?-. Kei chiuse gli occhi, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
- È colpa mia se sei qui, volevo liberarti di questo fardello- mormorò.
- Portandoti via la persona cui tengo di più nella vita?-. Kei si voltò ed aprì gli occhi: non aveva mai visto Yamaguchi così furioso e sofferente.
- Adesso voglio la verità, Tsukishima. Perché sono qui?-. Kei capí che in quelle condizioni non avrebbe potuto continuare a mentire. Serrò le labbra mentre cercava un modo per iniziare il discorso.
- Ti ricordi che, poco prima della morte di mio padre, mio fratello è finito in ospedale?-. Tadashi annuì: ricordava bene quando Tsukki l'aveva chiamato perché Akiteru era in ospedale e di essere andato a trovarlo, ma non molto altro... Dopotutto erano passati anni.
- Akiteru non me l'aveva mai detto ma... Papà lo picchiava-. Tadashi rimase colpito dalla notizia, ma non riuscì comunque a cambiare espressione.
- Per impedire che facesse del male anche a me... Le prendeva lui per entrambi. La mia malattia probabilmente è dovuta allo shock di questa scoperta... Akiteru mi ha protetto per anni, e lasciare che nessuno mi toccasse è stato un modo per ringraziarlo e proteggermi, gli psicologi hanno detto che è possibile-. Tadashi ricordava in effetti che la malattia di Tsukki si era sviluppata dopo quell'incidente.
- Perché non me l'hai mai detto?- gli chiese.
- Tu lo sapevi, eri con me quando l'ho scoperto e quando ho manifestato i primi sintomi. Mio padre, poche sere dopo, è tornato a casa più ubriaco del solito... E con una pistola- il labbro di Kei iniziò a tremare leggermente, ma continuò a parlare.
- Era la sera in cui dovevamo andare al cinema. Quando sei arrivato a casa mia, mio padre stava cercando di... Farmi del male-. Un urlo invase la mente di Tadashi, ma lo ignoró.
- Tu hai... Non so bene cosa sia successo, però...-.
- Gli ho sparato vero?- mormorò Yamaguchi. Davanti a lui comparve l'immagine di Tsukishima in piedi contro al muro, con le lacrime agli occhi, mentre il corpo di suo padre cadeva a terra con un tonfo.
Kei ricordava bene che Yamaguchi, dopo aver sparato, aveva subito il contraccolpo della pistola ed era caduto in un angolo. Quando si era reso conto di cos'avesse fatto, aveva lanciato un urlo ed iniziato a piangere. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, ma non ci era riuscito ed era rimasto immobile contro il muro.
Quando la madre di Kei era tornata a casa aveva chiamato subito l'ambulanza e la polizia; date le circostanze, Yamaguchi non era stato considerato colpevole.
Il ragazzo aveva dormito per tre giorni, in preda agli incubi, svegliandosi ogni tanto di soprassalto e chiamando a gran voce l'amico, che dormiva nel letto d'ospedale vicino a lui, ma non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi. Quando Yamaguchi si era svegliato l'ultima volta, non ricordava niente.
- Quindi hai deciso di provare a buttare via la vita che ti ho salvato?- mormorò Tadashi.
- Ho aspettato a parlartene perché volevo essere pronto ad aiutarti una volta che l'avresti scoperto. Ma non sto migliorando. Ho pensato che se fossi morto portandomi dietro il tuo trauma... Tu saresti stato salvo- mormorò Kei.
- Sei davvero un idiota se in tutti questi anni non ti sei reso conto che preferisco passare la mia vita chiuso qui dentro con te, che essere libero ma solo- sussurró Tadashi. La sua rabbia stava iniziando a svanire.
- Non saresti stato solo. Hai trovato degli amici qui no?- mormorò Kei.
- Noi non siamo semplici amici Tsukki. Siamo insieme da anni, nessuno potrà mai essere importante quanto te per me- tutta la tristezza e la paura invasero Tadashi, che iniziò a piangere.
- Non voglio perderti- senza pensarci troppo, Tadashi si gettò su Tsukishima e lo strinse in un abbraccio.
Kei inizialmente si bloccó a quel gesto. Il suo corpo stava tremando, ma la sua mente era più che calma. Gli era mancato il profumo del suo migliore amico.
Alzó le braccia e strinse a sé il corpo di Yamaguchi, che a quel gesto spalancó gli occhi.
- Scusami Tsukki non volevo...- fece per tirarsi su, ma l'altro lo strinse più forte e glielo impedì.
- Stai zitto Yamaguchi. Ti ho fatto soffrire io, per una volta sii duro con me- lo riprese. Nonostante tutto, a Tadashi sfuggì un sorriso. Gli erano mancati gli abbracci del suo migliore amico.
- Ti prego, non lasciarmi più- sussurró.
- Non lo farò- Kei si era reso conto di essere indispensabile per l'amico tanto quanto Yamaguchi lo era per lui.
Il suo corpo tremava e cercava di respingere l'altro, ma Tsukki non avrebbe permesso che questo lo allontanasse di nuovo da lui.
- Ti amo Yamaguchi- lo strinse più forte. Tadashi scoppió nuovamente a piangere, ma questa volta per la gioia.
- Ti amo anch'io Tsukki-. Dentro Yamaguchi c'era qualcosa che gli diceva che avrebbe dovuto stare male per il fatto di avere ucciso una persona; ma se era stato per salvare Tsukki, allora l'avrebbe rifatto tutte le volte che fosse servito. L'importante era che Tsukki fosse ancora lì con lui; del resto, non gli importava.

- Tsukishima si è svegliato!- esclamò Shoyo, spalancando le braccia. Se Kageyama non l'avesse tenuto saldamente sarebbe probabilmente volato, ma per fortuna all'ennesima volta il moro aveva capito come frenare lo slancio del più basso per evitare che cadessero entrambi a terra.
Quando il biondo si era svegliato, avevano lasciato Yamaguchi a parlare con lui e si erano auto-incaricati di andare ad avvisare gli altri.
- Davvero? Meno male- commentò Yutaro. Lui e Tobio rimasero a fissarsi per un attimo.
- Possiamo parlare?- chiese Tobio all'improvviso, mentre faceva scendere Hinata da sopra le sue spalle.
Yutaro rimase sorpreso da quella domanda, ma annuì e li fece entrare. Tobio non poté non notare che l'amico non aveva perso il suo vizio di mettersi davanti a Kunimi, come per proteggerlo.
- Ti abbiamo svegliato?- chiese a Kunimi, che era seduto sul letto. Lui scosse la testa.
- Andiamo fuori, cosí potranno parlare tranquillamente, va bene?- propose Shoyo, sorridendo a Kunimi.
Akira non aveva mai nutrito una grande simpatia per il piccoletto, lo considerava fin troppo energico; ma pensava anche lui che fosse il caso di lasciare gli altri due da soli. Così scese dal letto e seguì l'altro fuori dalla stanza. Dato che era sera ed era stanco, si sedette contro il muro di fianco alla porta.
Shoyo si sedette accanto a lui.
- Tu odi Kageyama?- gli chiese. Akira rimase sorpreso dalla domanda.
- Perché dovrei?-.
- Be', so che avete litigato in passato-.
- Non spreco energie ad odiare qualcuno per un litigio giovanile- affermò Akira.
- Però non vi parlate vero?-.
- È lui che ha smesso di parlare con noi- mormorò - dopo la litigata con Kindaichi. A te non dà fastidio quando ti obbliga a fare tutto perfetto?- Akira sapeva che i due avevano litigato perché Kageyama l'aveva insultato, ma quella era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Era da tempo che Kindaichi si lamentava delle manie di perfezione di Kageyama, e quello era stato semplicemente il momento in cui gliel'aveva detto.
- No: secondo me è solo il suo modo per spronare gli altri a fare del loro meglio-. Akira rimase sorpreso dal punto di vista dall'altro, tanto da girarsi verso di lui.
- È vero, a volte è irritante e per niente comprensivo; però...- Shoyo sorrise - ha detto che sono l'unica imperfezione che accetta nella vita-.
Akira non seppe cosa rispondere: non avrebbe mai creduto che Kageyama avrebbe potuto dire una cosa simile.
Shoyo non poteva fare a meno di smettere di sorridere: non era mai stato così bene come da quando aveva incontrato quel corvino scorbutico. Era felice, davvero tanto; se una persona così dedita alla perfezione lo accettava, poteva riuscire ad accettarsi anche lui. Da quando aveva scoperto quanto Kageyama tenesse a lui, era riuscito a volere un po' più di bene anche a sé stesso; quella sera a cena era riuscito a mangiare il giusto e non aveva sentito il bisogno di rimettere niente. Lo sguardo orgoglioso di Kageyama quando gliel'aveva detto non l'avrebbe mai dimenticato.
Tobio dal canto suo era davvero fiero che il piccoletto stesse facendo passi un avanti, e sapeva di dover fare lo stesso. Solo che faceva schifo a chiedere scusa. Lui e Kindaichi non avevano mai avuto molte cose in comune e non sapeva come approcciarsi all'altro.
- Allora? Cosa vuoi? Non ho molto tempo, tra poco Kunimi avrà bisogno di dormire- Yutaro non capiva come mai l'altro avesse chiesto di parlargli. Non rimanevano da soli da anni, e si sentiva un po' a disagio a ripensarci.
A Tobio quasi sfuggì un sorriso. Adesso qualcosa in comune lo avevano: qualcuno da proteggere.
- Volevo chiederti scusa- ammise. Yutaro spalancó la bocca: il grande e perfetto Kageyama Tobio gli stava chiedendo scusa?
- Non sono mai riuscito a capire come mai te la fossi presa così tanto quando ho sgridato Kunimi, e ho finito per convincermi che ce l'aveste con me e potevo cavarmela anche da solo. Solo di recente ho compreso quanto io sia stato egoista, e che essere malato non mi autorizzava comunque a trattarvi male. Pensavo che ci foste abituati e non mi avreste mai detto niente, e ho esagerato; adesso so perché hai reagito in quel modo per lui. Non ti chiedo di perdonarmi, solo volevo chiederti scusa-.
- Che incantesimo ti ha fatto quel mandarino?- Yutaro non era mai stato tanto sorpreso in vita sua. Pensava che il suo rapporto con Kageyama fosse finito anni prima, invece a quanto pare qualcosa nell'altro era cambiato veramente.
- Tutto qui ciò che hai da dire?- borbottò Tobio. Yutaro sospiró.
- Non mi hanno mai dato troppo fastidio le tue fisse. Certo, quando hai iniziato a rompere con la storia della perfezione avrei voluto tirarti un pugno, ma dopotutto anche tu ti eri sempre sorbito i miei scleri. Ma non potevo permettere che ti sfogassi su di lui- affermò.
Tobio fece un passo verso di lui.
- Lo so, ora l'ho capito. Non ti chiedo di tornare amici, non sono cambiato poi tanto da allora; ma almeno facciamo una tregua. Per loro- allungò una mano verso di lui.
Yutaro lo fissò per un attimo: era da tanto che non vedeva quello sguardo deciso, di chi ha un obiettivo e non si tira indietro. E sapeva bene che Kageyama non si arrendeva facilmente.
- Continua a irritarmi il tuo modo di fare. E anche il tuo ragazzo. Ma apprezzo la tua sincerità- affermó, stringendogli la mano.
Ad entrambi sfuggì un piccolo sorriso. Si erano allontanati perché avevano sentito di non avere più nulla in comune, ma adesso il loro obiettivo era lo stesso. Forse non sarebbero tornati amici come prima, ma almeno i loro rancori sarebbero stati seppelliti.

- Sicuri di stare bene?- chiese Yachi, preoccupata.
- Si, adesso va meglio- affermó Daichi.
- Grazie ragazze- Koushi fece un sorriso.
Kyoko e Yachi avevano trovato i due ragazzi nella sala da pranzo, e sembravano entrambi confusi: a Daichi sembrava di vedere lì tutti i loro amici, Koushi si ricordava solo di lui. Kyoko aveva rischiato di farsi prendere dal panico, ma grazie a Yachi erano riusciti a portarli dal dottore che era riuscito a farli calmare.
- Vi lasciamo soli- affermó Kyoko, alzandosi. Yachi la seguì.
- Stai bene?- chiese la bionda. Non aveva dimenticato lo sguardo pieno di panico dell'altra ragazza quando aveva visto i due amici in quelle condizioni, e temeva che ancora non stesse bene.
Per fortuna Hinata le aveva detto che Tsukki si era svegliato, e questo aveva tranquillizzato le ragazze.
- Sono più tranquilla ora- Kyoko sorrise e si voltò verso Yachi - grazie, senza di te non avrei saputo cosa fare- ammise. Yachi si sentì arrossire.
- Ho aiutato volentieri- affermò. La mora non poté fare a meno di essere grata per l'ennesima volta della presenza della bionda nella sua vita. Senza di lei avrebbe avuto nuovamente addosso tutte le responsabilità, e non sapeva come avrebbe potuto reagire. Soprattutto in una situazione simile: sapeva che anche Daichi e Sugawara non stavano bene, ma ciò non toglieva che i due ragazzi avevano sempre cercato di essere forti e sostenere il resto del gruppo. Vederli crollare in quel modo l'aveva fatta vacillare. Ma per fortuna, aveva qualcuno al suo fianco che era stato in grado di rimetterla in sesto.
La stessa cosa, quella volta, non era successa ai due ragazzi.
- Scusa- lo dissero quasi in coro, voltandosi poi verso l'altro sorpresi.
- Vai prima tu- disse Koushi, più o meno nello stesso istante in cui Daichi gli diceva - parla tu-. Si fissarono ancora un attimo, e alla fine fu Koushi a parlare per primo.
- Avevo il compito di aiutarti a tenere a freno le tue emozioni, invece non ci sono riuscito- mormorò.
- Sono io che ho perso il controllo. Mi ero ripromesso di non farti più sentire colpevole di nulla, invece non ho potuto fare niente-.
- Daichi tu ci hai provato a parlarmi. Se ti avessi ascoltato, forse sarei riuscito ad aiutarti...-.
- Suga, te l'ho già detto che ti dai troppe colpe?- commentó Daichi, alzandosi dalla sedia per sistemarsi sul letto seduto di fianco all'amico.
- Più o meno una volta al giorno da quando ci conosciamo- sorrise l'altro. Daichi appoggio una mano su quella di Suga, che teneva le mani in grembo.
- Adesso è passato: Tsukishima sta bene. Dopo gli daremo una bella strigliata, se Yamaguchi non l'ha già fatto fuori- Daichi forzò una risata nel tentativo di tirare l'altro su di morale.
- Hai ragione. E d'ora in poi staremo più attenti; insieme riusciremo a superarla- affermò Koushi, voltandosi verso l'altro e sorridendo.
- Certo: voglio ancora divertirmi con te- dichiaró Daichi, e a Koushi sembrò di vedere una scintilla maliziosa nello sguardo dell'altro che lo fece arrossire.
- E io voglio ancora aiutarti a realizzare tutti i tuoi sogni- ribatté l'argentato.
- Lo stai già facendo- Daichi strinse di più la mano di Suga. Compresero entrambi il significato di quelle parole, ma nessuno dei due voleva pensarci in quel momento. Dopotutto, avevano ancora dei ragazzi a cui fare da genitori prima di pensare a loro stessi.

- Bro. Sei sicuro al 100% che lasciare Akashi con Kenma sia una buona idea? Non mi sembra il più grande consolatore del mondo- commentò Koutaro. Quando Hinata era andando a comunicargli che Tsukki si era svegliato, inizialmente non aveva reagito. Ma poi la scintilla negli occhi del bassino aveva fatto scattare qualcosa dentro di lui: si era voltato di scatto per dare la notizia ad Akashi.
- Ho sentito, Bokuto-san-. Aveva detto solo questo.
Koutaro aveva capito che i passi avanti fatti in quei giorni se n'erano andati improvvisamente; ma aveva anche deciso che allora sarebbe stato lui a non arrendersi, per entrambi.
Solo che neanche i suoi baci sembravamo essere serviti; così era andato a chiedere aiuto a Kuuro.
- Penso sia psicologia inversa- commentò Yaku, che aveva raggiunto i due ragazzi nella sala ricreazione quando a Lev era venuta voglia di mettersi a disegnare. Lo aveva iniziato a fare come esercizio per controllare i tremori.
Il mezzo-russo era qualche tavolo più in là, troppo concentrato sulla sua opera per badare ai discorsi dei più grandi: la sua priorità in quel momento era riuscire a guarire, e nient'altro.
- Cioè? Lo mette a testa in giù?- chiese Koutaro, confuso, facendo ridere gli altri due.
- Kenma non è apatico, ma anche lui ha difficoltà ad esprimere i suoi sentimenti. Parlare con lui potrebbe aiutare anche Akashi a capire come gestirsi- spiegó Tetsuro.
- Oh, bella idea Bro!-.
- Modestamente, sono geniale-.
- Che favore hai dovuto fare in cambio a Kenma?- chiese Yaku, che sapeva bene che il bassino avrebbe approfittato di un favore del genere per ottenere qualcosa.
- Dovrò essere io a chiamare Yamamoto. Ma se aiuterà Akashi, ne varrà la pena- affermó il corvino.
- Tu come stai? So che hai rischiato varie crisi- gli chiese Yaku.
- Tutte evitare per fortuna: sono stato meglio quando ho scoperto che si era svegliato. Anche perché dopo mi sono trovato un gufastro in camera che mi chiedeva aiuto- commentò, indicando Bokuto.
- Hey, un Bro deve essere sempre disposto ad aiutarne un altro!- gli ricordó Koutaro.
- Ed io che volevo godermi ancora qualche momento con il mio gattino...- sospirò Tetsuro.
- Prima o poi tu deciderai a dirgli che ti piace no?- gli chiese Yaku.
- Non finché rischio di abbandonarlo. A proposito, sei riuscito a riconoscere e mandare via una tua illusione no? Congratulazioni!-.
- Grazie: lo devo a quello spilungone laggiú. Ma non diteglielo-.
- Quanti problemi vi fate! Io l'ho detto subito ad Akashi- si vantó Koutaro.
- Se per te "subito" è "dopo tre anni"...- borbottò Tetsuro.
- Almeno era prima di voi- ribattè l'altro.
- Bro, tu sei sicuro di essere a posto?- chiese Tetsuro. Quando l'amico si era precipitato in camera sua trascinandosi dietro Akashi, il più piccolo gli aveva detto che Bokuto si era appena ripreso da una crisi più forte del solito.
- Completamente. Aghashi mi ha fermato nonostante non riesca a raggiungere i suoi sentimenti no? Voglio vederlo sorridere di nuovo! Ma non avrebbe senso farlo se io non potessi ridere con lui giusto? Quindi, d'ora in poi, non farò più capricci!- esclamò Koutaro. Avrebbe riportato un sorriso sincero sul volto di Akashi, e poi sarebbe stato felice con lui.
- Non so se sia un discorso più maturo o stupido- commentò Yaku con un sorriso.
- Per lui è molto maturo. Bro, sappi che sarò il tuo testimone di nozze- affermò Tetsuro.
- Ci puoi contare- Koutaro alzò la mano e si diedero il cinque.

Keiji non capiva esattamente cosa ci facesse con Kenma nella stanza di Kuuro, soprattutto dato che appena i più grandi erano usciti il biondo aveva preso in mano una console ed iniziato a giocare.
A lui comunque non cambiava, perciò si era messo ad osservare fuori dalla finestra.
- Ami Bokuto?- gli chiese Kenma all'improvviso. Aveva capito cosa volesse fare Kuuro lasciandolo con lui, e nonostante odiasse parlare, soprattutto se di sentimenti, non gli sarebbe dispiaciuto aiutare Akashi, che era comunque uno di quelli con cui si trovava meglio lì dentro.
E prendersi una pausa dalla paura che Kuuro se ne andasse gli aveva fatto bene: odiava quell'ansia tanto quanto amava stare con il più grande.
- Io non provo sentimenti- gli ricordó Keiji.
- Bokuto dice che li provi ma non ti raggiungono, o una cosa simile. Allora, lo ami?-.
- Probabilmente sì-. Keiji non sapeva cosa fosse l'amore, ma il modo in cui qualcosa in lui cambiava quando era con Bokuto gli sembrava un indizio sufficente a dare una risposta positiva.
Kenma appoggiò la console e raggiunse Akashi alla finestra.
- Si può soffrire molto per amore- affermó.
- Lo immagino- Keiji non capiva dove volesse arrivare. Era consapevole che probabilmente fosse stata la fitta di dolore avvertita quando gli avevano detto di Tsukishima ad eliminare tutti i progressi che aveva fatto nei giorni precedenti, quindi non capiva come ricordargli del dolore potesse aiutarlo.
- È normale soffrire. Però... Ne vale la pena- Kenma fece un piccolo sorriso. Lo sapeva bene quanto amare qualcuno potesse essere doloroso, ma era disposto a sopportare pur di continuare a provare la felicità di quando stava vicino a Kuuro.
- L'amore è probabilmente il sentimento positivo più forte che ci sia. Se riuscissi a provarlo davvero anche solo per un istante, sono certo che finché avrai lui al tuo fianco saprai che vale la pena sopportare un po' di dolore- affermò.
- Come fai a sapere che rimarrà per sempre? Le persone cambiano spesso- gli fece notare Keiji.
- Non so, Bokuto mi dà l'impressione di uno che non molla. Penso di poter affermare che ci tiene davvero tanto a te-. Keiji non si aspettava quella parole proprio da parte di Kenma.
Riprese a guardare fuori dalla finestra. Non ricordava di aver mai provato un sentimento così forte, da non fargli importare se provava dolore. Però non aveva neanche mai conosciuto una persona come Bokuto.
E nonostante non provasse nulla, sapeva di non volerlo più vedere come prima. Per lui voleva essere davvero una persona egoista. Per lui forse valeva davvero la pena soffrire, perché una parte di lui sapeva perfettamente che Bokuto avrebbe potuto renderlo felice come non lo era mai stato prima.

Hajime osservò il ragazzo che dormiva di fianco a lui. Entrambi non avevano chiuso occhio da quando avevano saputo di Tsukishima: Oikawa era tornato sé stesso, ma aveva passato ore in preda ai sensi di colpa. Solo quando Hinata aveva detto loro che Tsukishima si era svegliato era riuscito a dormire.
Hajime si stiracchiò: sapeva di dove riposare anche lui, ma aveva paura ad addormentarsi. Non voleva lasciare Oikawa da solo; però così rischiava di crollare mentre il castano era sveglio.
Si alzò, decidendo che sarebbe stato meglio fare un salto in bagno e poi metterei a letto, ma sentì qualcuno afferrargli il polso e si voltò di scatto, trovandosi di fronte gli occhi pieni di lacrime di Oikawa che lo fissavano.
- Dove stai andando?- sussurró Toru. Non poteva stare senza di lui: sentiva che se si fosse allontanato, anche solo di poco, Kirai sarebbe tornato. Sentiva già la testa pulsargli, come per avvisarlo della sua vicinanza.
- Solo in bagno Shittikawa- rispose Hajime. Toru serrò le labbra ed annuì, lasciandogli il polso.
Hajime storse la bocca: odiava vederlo così... Il castano aveva sempre avuto una grande fragilità interna, ma non si era mai arreso ed aveva sempre mostrato una grande forza. In quel momento invece... Sembrava completamente distrutto.
- Forza, vedi di dormire- Hajime tornò a sdraiarsi di fianco all'amico.
- Non dovevi andare in bagno?- mormoró Toru.
- Non è urgente-.
- Posso... Prenderti per mano?- sussurró Toru. Sapeva che non se ne sarebbe andato, ma aveva bisogno di sentirlo vicino.
Il cuore di Hajime perse un battito a quella richiesta, ma annuì.
- Vedi di dormire però- disse, allungando la mano e prendendo quella calda dell'amico. Toru fece un piccolo sorriso.
- Agli ordini, Iwa-chan- disse, prima di chiudere gli occhi.

- Di nuovo Ryu!-.
- Sono pronto!-. Chikara si mise davanti ai due ragazzi.
- 3, 2, 1... Via!-. Nishinoya e Tanaka iniziarono a correre, mentre Ennoshita tornò vicino ad Asahi, seduto contro il muro della palestra.
- Quanti giri vogliono fare ancora?- ridacchiò, sedendosi non molto lontano dal maggiore.
- Nishinoya sembra più in forze del solito, quindi tanti- sorrise lui. Scoperto che Tsukishima era vivo, Nihsinoya era corso a prendere il suo migliore amico per trascinarlo in palestra.
Asahi era felice di vedere che l'altro ragazzo fosse riuscito a riprendersi, così come Ennoshita si era sentito rassicurato nel constatare che a Tanaka fosse rimasta la voglia di allenarsi e impegnarsi.
Si stava impegnando anche lui: sentiva di stare migliorando, sentiva che riusciva a fidarsi di più degli altri. Ancora non bastava, ma era un inizio.
Asahi aveva in mente solo una frase: Cerca di fare in fretta allora, sono un tipo impaziente.
Avrebbe fatto del suo meglio per fare aspettare Nishinoya il meno possibile. Avrebbe trovato i suoi motivi per vivere, diventando così abbastanza forte da rimanere al suo fianco.
Yu gli sorrise quando passó davanti a loro due.
- Chikara mi sembra più tranquillo- affermó, voltandosi verso Tanaka.
- Moltissimo! Sta facendo veramente passi da gigante. Come procede il tuo piano per me?- gli chiese Ryu, che ancora non aveva idea di cos'avesse in mente l'amico.
Adesso che sapeva come mai si sentisse così, voleva concentrarsi sul rendersi conto che non era lui ad essere sbagliato. Aveva tanti amici che lo sostenevano e che erano come lui; e non pensava di certo che loro fossero sbagliati, così come loro non lo pensavano di lui. Probabilmente avrebbe impiegato ancora un po' a convincersene pienamente, dopo tutti quegli anni passati con quell'orribile sensazione. Ma credeva in lui e credeva nei suoi amici.
- L'ho avviato, spero di portarlo a compimento presto- affermò.
- Sei un vero amico!- esclamò Ryu. Si, era decisamente circondato da persone magnifiche.
- Ovvio, sono il migliore!- anche Yu aveva smesso di sentirsi inadeguato. Era un po' energico, e allora? Quel suo particolare aiutava Ryu, dato che sapeva di poter contare sempre su di lui quando aveva bisogno di compagnia in palestra, e piaceva ad Asahi. E adesso lo sentiva completamente parte di sé: stava imparando a controllarlo. Non avrebbe più avuto problemi. E non sarebbe più rimasto solo.

Ittetsu raccolse il coraggio e bussò alla porta di fronte a lui.
- Dottore, sta dormendo?- chiamò. Non ottenendo risposta, immaginó che fosse un "si".
Fece un respiro profondo.
- Ascolta... Mi dispiace per quello che è successo, non volevo creare problemi. Sei stato molto gentile con me per la storia si Tsukishima e... Insomma, ti ringrazio. Prima o poi riuscirò anche a spiegarti, ma adesso... Temo che sia troppo presto. Però, quando sarò riuscito ad aiutare questi ragazzi, e magari mi sentirò meglio ed orgoglioso... Ti dirò tutto, promesso. Per adesso... Scusami- disse tutto d'un fiato, pur consapevole che non ci fosse nessuno ad ascoltarlo. Ma si sentì comunque meglio.
- Buonanotte- concluse con un sorriso, per poi allontanarsi.
Ukai si appoggiò contro la porta; aveva fatto bene a non aprire, probabilmente l'altro non sarebbe riuscito a parlare ritrvandoselo davanti.
Gli sfuggì un sorriso: ci aveva visto giusto, c'era qualcosa che spaventava il direttore, qualcosa dovuto probabilmente al suo passato.
Ma non importava, lo avrebbe scoperto al momento giusto. Ora, dovevano concentrarsi solo sui ragazzi.

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Capitolo 17
*** CAPITOLO XVII. ***


- Vuoi portarli fuori?- chiese Ittetsu, confuso.
- Si: vorrei vedere come se la caverebbero in un ambiente esterno. Ovviamente daremo loro i cellulari; potremmo portarli in uno di quei centri commerciali che hanno un po' tutti i negozi, per iniziare. Magari scegliamo un giorno in cui c'è poca gente, ci mettiamo d'accordo con il proprietario- illustrò Keishin.
- Non è una cattiva idea: i ragazzi stanno tutti meglio no?-. Il dottore annuí: era passata quasi una settimana dal tentato suicidio di Tsukishima, e sembravano stare tutti meglio, il biondo compreso. L'unico che ancora lo preoccupava era Oikawa: sperava che uscire e svagarsi un po' potesse aiutare il ragazzo a riprendere il controllo della sua vita.
- Oggi dovrebbe arrivare il vecchio amico di Tanaka. Vedremo come andrà e poi decideremo- affermó Keishin, voltandosi verso l'altro.
Ittetsu arrossì leggermente ed annuì.
Keishin si trattenne dall'alzare gli occhi al cielo: lui stava facendo finta di niente in modo da lasciare al direttore il tempo di cui aveva bisogno, ma il suo adorabile arrossire continuamente e balbettare derivanti dal nervosismo dell'altro non gli rendevano la vita facile.
Per fortuna in quel momento suonò il campanello, dando ai due una scusa per uscire dalla stanza. Ittetsu sorrise quando vide chi c'era dall'altra parte.
- È arrivato- annunciò.

- Ancora non mi volete dire niente eh?- commentò Ryu, mentre Nishinoya lo spingeva lungo il corridoio.
- No: sorpresa fino alla fine!- dichiarò il più basso, sorridendo. Ryu in realtà era tranquillo, dato che i suoi amici avevano organizzato una sorpresa apposta per aiutare lui, anche se non si spiegava proprio cosa potesse essere.
- Posso corromperti?- chiese, voltandosi verso Ennoshita, che quel giorno gli sembrava più silenzioso del solito.
- Assolutamente no- affermò lui, forzando un sorriso.
- Cattivi...- si lamentó Ryu, facendo ridere Nishinoya.
- Siamo arrivati- annunciò Yu, fermandosi di fronte ad una stanza. Ryu ricordava di averla utilizzata per qualche mese per parlare con i suoi genitori quando venivano ad informarsi sui suoi progressi. O almeno, quello sarebbe dovuto essere l'uso della stanza: in realtà i genitori di Ryu venivano solo per parlare con il dottore, raramente si erano intrattenuti con il figlio. Non era una cosa rara, era successo a tutti loro, ma adesso Ryu comprese il motivo per cui i suoi non si erano mai fatti vivi.
- Noi ti aspettiamo qui fuori, va bene?-. Ryu si voltò verso Ennoshita.
- Va bene...- mormorò. I suoi amici gli fecero un sorriso d'incoraggiamento, così si convinse ad aprire la porta.
La stanza era come la ricordava: due divani ai lati di un tavolino, un mobiletto con su una macchina per il tè vicino alla finestra e Taketora Yamamoto seduto su uno dei divani.
Spalancò la bocca.
- Tora?!- chiuse la porta mentre il ragazzo si voltava verso di lui. Era cresciuto, e adesso aveva una cresta bionda al centro della testa, come aveva sempre desiderato da bambino, ma era praticamente uguale ad una volta.
- Ryu!- Yamamoto si alzó e si avvicinò all'amico, stringendolo in un abbraccio.
- Pensavo ti avessero spedito all'accademia militare!- esclamò. Ryu sbattè le palpebre, confuso, mentre ricambiava l'abbraccio.
- All'accademia militare?- chiese, sorpreso, mentre si staccavano.
- L'allenatore mi aveva detto che ti avevano mandato lì, per questo non venivi più- gli spiegò.
- È questo che ha detto in giro mio padre?-.
- Ho incontrato tua sorella non molto tempo fa e mi ha detto la verità... Mi dispiace molto che tu stia male- ammise.
- Be', si, grazie ma... Tu che ci fai qui?- chiese Ryu, ancora confuso.
- Mi ha chiamato Kuuro. Be', in realtà era il numero di Kenma ma non mi stupisco che abbia parlato l'altro- rise per un attimo, poi tornò serio.
- Mi ha spiegato la tua situazione, e ha detto che magari rivedermi avrebbe potuto aiutarti ad accettare di più il tuo passato e... In realtà ha detto così tante cose che non ricordo bene, ma il succo era quello- raccontó. Ryu sorrise: il suo amico non era cambiato.
- Intendi che i miei non accettavano che fossero gay e mi hanno allontanato da te e procurato una malattia mentale? Una storia che sicuramente racconterò ai miei figli- entrambi risero ed andarono a sedersi sui divani.
- Mi dispiace di essere sparito all'improvviso, ma mi era impedito avvicinarmi a te- mormorò Ryu.
- Non preoccuparti. All'inizio ero rimasto confuso, ma adesso che so la verità... Anche se sono shockato che siamo stati separati per questo motivo- commentò Taketora.
- Pensa, se i miei non ci avessero sentiti parlare magari a quest'ora saremo una coppia sposata di grandi sportivi!- esclamò Ryu.
- Sarebbe stato divertente!-. Risero di nuovo. Tra loro era sempre stato così: si capivano perché erano molto simili, non si trovavano praticamente mai in imbarazzo l'uno con l'altro. Probabilmente era per quello che non avevano avuto nessun problema a dirsi cose come "un giorno ci sposeremo" o simili.
- Però questo mi sembra comunque un bel posto. Insomma, i tuoi amici si sono addirittura messi a cercarmi per aiutarti!-.
- Vero? Anzi, te li presento! Ti va di fare un giro?-.
- Se posso volentieri!-. I due si alzarono e Ryu aprí la porta; i suoi amici non si aspettavano di vederlo uscire così presto.
- Lui è il grande Noyassan, colui che ci ha riuniti!-.
- Oh, grazie mille!-.
- A vostra disposizione! In cambio voglio tanti aneddoti divertenti di quando Ryu era piccolo- affermó Yu.
- Li avrai!-.
- Lui invece è Chikara Ennoshita, mio compagno di stanza e grande amico. È al mio fianco da tre anni!- Ryu presentò anche l'altro.
- Oh, complimenti per la pazienza!- esclamò Yamamoto, stringendo la mano ad Ennoshita.
- È il tuo ragazzo?- chiese, voltandosi verso Tanaka. Ennoshita diventò completamente rosso.
- Diciamo che mi ha fatto riscoprire che non mi piacciono le ragazze- Ryu fece un occhiolino al moro, prima di voltasi - forza, andiamo ad incontrare gli altri!-.
Mentre li seguivano lungo il corridoio, Yu cercò di capire cosa pensasse Ennoshita. Poco prima gli aveva chiesto se gli desse fastidio che Tanaka avesse rincontrato qualcuno che un tempo era stato tanto importante per lui; dopotutto ciò che il moro provava per il suo migliore amico non era più un mistero. Chikara però era tranquillo. Certo, una parte di lui temeva che quel ragazzo avrebbe potuto portargli via Tanaka: ma se fosse successo, significava solo che era la scelta migliore per lui. Non intendeva di certo lasciarlo andare facilmente, ma se quel ragazzo avrebbe potuto aiutare Tanaka a stare meglio non avrebbe avuto niente da ridire.
- Loro sono papà Daichi e mamma Suga: si prendono cura di tutti noi come due genitori!- presentó Ryu, una volta che furono entrati nella sala da pranzo.
- Oh, tu devi essere Yamamoto- commentò Koushi, avvicinandosi insieme a Daichi.
- È un piacere conoscere i nuovi genitori di Ryu!- esclamò lui.
- Capisco perfettamente come mai andate così d'accordo...- borbottò Daichi. Quei due ragazzi erano fin troppo simili.
- E lui è il futuro ragazzo di Nishinoya- Ryu indicò Asahi, che non aveva fatto in tempo ad avvicinarsi perché Nishinoya gli era saltato sulla schiena.
- Ha funzionato eh?- commentò il maggiore.
- Pare proprio di sì- affermò Yu, sorridendo.
- Lei è Kyoko, la ragazza di cui pensavo di essere innamorato! E lei è la dolce Yachi!- presentó anche le due ragazze, che stavano comparendo in quel momento dalla cucina.
- Piacere- dissero loro.
- Cavolo, se non fossi gay mi sarei innamorato anch'io- esclamò Yamamoto.
- Qui non c'è nessuno di etero eh?- commentò Daichi.
- Non più- confermò Ryu.
- Ti fermi a cena?- chiese Koushi.
- Se posso volentieri!-.
- Forza, continuiamo il giro!-.
- Kuuro e gli altri dovrebbero essere in sala ricreazione, se li volete salutare- li informó Chikara.
- Tu non vieni con noi?- gli chiese Ryu, fermandosi sulla soglia della porta. Chikara fece un sorriso.
- Non vi vedete da anni, avrete tanto da dirvi no? Noi ci vediamo dopo a cena- affermò con un sorriso.
- Sei sicuro?- Ryu era più che felice di aver rivisto Yamamoto, ma aveva paura di come si stesse sentendo Ennoshita.
- Non preoccuparti Tanaka, ci pensiamo noi a lui; tu divertiti, va bene?- intervenne Koushi, avvicinandosi ad Ennoshita con un sorriso.
- Allora te lo affido Suga; grazie. Torniamo dopo!- Ryu salutó gli amici ed uscì dalla stanza.

- Kenma, non ti nascondere- lo riprese Tetsuro.
- Ma non ho voglia di rivederlo- si lamentó Kenma.
- Pensavo foste amici- commentò Yaku.
- Diciamo che erano completamente agli opposti e si sopportavano appena- rise Tetsuro - ma in fondo andavano d'accordo-.
- Quel ragazzo è fin troppo fissato con l'attività fisica- sbuffó Kenma, sedendosi di fianco a Kuuro.
- È amico di Tanaka dopotutto- commentò Lev.
Sentirono delle voci provenire dal corridoio.
- Ma quanto sono rumorosi?- mormorò Kenma, mentre i due aprivano la porta.
- Kenma!- appena vide il biondo, Yamamoto si fiondò verso di lui per abbracciarlo.
Kenma lo schivò prontamente, scendendo dalla sedia e nascondendosi dietro a Kuuro.
- Ciao-.
- Sempre sociale eh?- lo prese in giro Yamamoto.
- Ciao, è tanto che non ci vediamo- salutó Tetsuro, cercando di non ridere per il comportamento dell'amico.
- Come va Kuuro?-.
- Tutto bene. Loro sono Yaku e Lev-.
- Piacere-.
- Oh, ma che differenza d'altezza!-. Lev dovette trattenere Yaku, che stava per alzarsi e picchiare il ragazzo.
- È un po' suscettibile- rise Ryu.
- Mi ricordate un pó Kenma e Kuuro, solo che Kenma è meno socievole- commentò Yamamoto.
- Sei tu che sei troppo espansivo- borbottó il biondo.
- Non sei cambiato per niente eh?- rise Yamamoto.
- Kenma va benissimo così com'è- affermó Tetsuro con un sorriso.
- Lev no. Potete abbassarlo?-.
- Yaku-san sei cattivo!- si lamentó il più alto, anche se sapeva che l'amico aveva parlato per distogliere l'attenzione da un Kenma piuttosto imbarazzato.
- Ryu, sei circondato da persone veramente simpatiche- commentò Yamamoto.
- E non li hai ancora visti tutti! Sapete dove sono gli altri?- chiese Ryu.
- Penso siano tutti in stanza; ma al massimo li vedrà a cena no?-.
- Vero! Allora andiamo a fare un giro in palestra!- dichiaró Ryu.
- A dopo- salutó Yamamoto, seguendo l'amico fuori dalla stanza.
- Non è cambiato neanche lui- borbottò Kenma, tornando a sedersi.
- Quando si sta bene con sé stessi non è necessario cambiare, e Yamamoto è sempre stato uno che faceva del suo meglio per seguire i suoi obiettivi: non penso cambierà mai- commentò Tetsuro, divertito.
- Quindi anche questo qui rimarrà sempre uguale?- chiese Yaku, indicando Lev.
- Yaku-san, Kuuro-san ha parlato di persone che vanno bene così come sono- gli fece notare il mezzo-russo.
- Appunto, quindi tu rimarrai così no?- Yaku si voltò verso Lev, che arrossì leggermente.
- Volete che vi lasciamo soli?- chiese Tetsuro con un sorriso malizioso in volto.
- Non ci provate nemmeno! Non voglio sorbirmelo tutto il giorno prima del necessario- affermò Yaku.
- È la volta buona che Lev muore- commentò Kenma, notando quanto l'altro fosse diventato rosso.
- Il potere dell'amore- affermò Tetsuro, ricevendo una gomitata da Yaku.
Sorrise e si voltò verso Kenma. Ne era più che convinto: il suo gattino non sarebbe dovuto cambiare per nulla al mondo.

- Davvero Iwa-chan, non hai mai avuto problemi a colpirmi, perché ora si?-.
- Rivestiti Shittikawa, non ti sculacceró!- Hajime non si azzardava a togliere le mani dagli occhi. Uscire dal bagno completamente nudo... Ma che gli era saltato in testa a quell'idiota?! Per un attimo aveva anche temuto si trattasse di Kirai.
Toru sbuffó e si avviò verso il bagno; prese un asciugamano, se lo avvolse intorno alla vita e tornò in camera.
- Ora puoi aprire gli occhi- dichiarò. Hajime aprí leggermente le dita, e dopo essersi assicurato che l'altro fosse più coperto spostò definitivamente le mani.
- E comunque tu ti alleni sempre senza maglietta, non capisco questo scandalo- borbottò Toru.
- Mi alleno senza maglietta. Non esco nudo dal bagno chiedendoti di sculacciarmi! Si può sapere che ti è saltato in testa?!-.
- Be', sicuramente l'altro me rimarrebbe così shockato se tu lo facessi che riuscirei a riprendere il controllo-.
Hajime sospiró e si alzò.
- Shittikawa, per quanto ami picchiarti, non penso sia il modo ideale per ridarti il controllo- affermò.
- Preferisci darmi uno schiaffo? Puoi fare di tutto, ma non tirarmi i capelli per favore!- Toru stava cercando di mantenere un'aria divertita, ma parlava sul serio. Era stanco di sapere che qualcun altro prendeva il controllo del suo corpo, stanco di sapere che quel qualcuno faceva del male ai suoi amici, stanco di avere così tanta paura di qualcuno che era dentro di lui.
- Non ti farò alcun male- affermò nuovamente Hajime, avvicinandosi ancora di più all'amico.
- Però un modo per fermarlo dobbiamo trovarlo, Iwa-chan!- protestó Toru.
- La tua seconda personalità è nata per via delle tue insicurezze e paura. Non pensi sia meglio lavorare su quelle che farti finire ogni volta in infermieria?-.
- Sai anche tu che è impossibile, Iwa-chan: sono insicuro da quando ero bambino- mormorò Toru.
Entrambi i ragazzi lo sapevano bene: Toru si era sempre finto sicuro di sé, ma in realtà aveva la costante paura di sbagliare e deludere tutti.
- Sbaglio o eri tu che dicevi che niente è impossibile?- gli ricordó Hajime.
- Quello lo dicevo per incoraggiare gli altri-.
- Dovresti provare a incoraggiare anche te stesso-.
- Ho troppa paura Iwa-chan- mormorò Toru, abbassando lo sguardo.
- Shittikawa, non sei più quello di una volta: un tempo non mi avresti mai detto così facilmente i tuoi timori- gli fece notare Hajime.
- Hai detto che mi aiuterai tu no?-.
- Si: ma non posso farlo se tu parti già con il pensiero di essere sconfitto. Toru, guardami-. Toru alzò lo sguardo.
- Dobbiamo farlo insieme. Devi essere pronto anche tu; ad accogliere nuovamente dentro di te la paura e l'insicurezza senza rifugiarti dietro di lui. Io ti aiuterò il più possibile, ma devi essere tu a combattere te stesso... Letteralmente- affermó Hajime. Toru lo guardó negli occhi, cercando di formulare la domanda che non era mai riuscito ad esprimere a nessuno.
- E se... Fosse lui quello vero?- sussurrò. Ci aveva pensato più volte: magari in realtà era la sua altra personalità ad essere quella principale, e lui solo una facciata che si era creato per ottenere la fiducia degli altri e poi distruggerli. Magari era lui che sarebbe dovuto sparire.
- Non lo è. Ti conosco da molto prima che arrivasse lui, so riconoscere il vero te. Ricordi? Io c'ero la prima volta che è arrivato, gli ho dato io un nome: tu sei quello originale, ci scommetto tutto quello che vuoi- dichiaró Hajime.
- Qual'è il suo nome?- Toru non aveva mai posto quella domanda, come se sapere il modo in cui veniva chiamato potesse renderlo più reale. A volte si svegliava ancora con la speranza che fosse tutta un'illusione, che la sua seconda personalitá non esistesse; ma poi lo sentiva dentro la sua testa, come una risata sinistra, sempre più vicina, che era lì per ricordargli quanto tutto quello fosse vero.
Ma se veramente voleva liberarsene, doveva sapere. Doveva conoscere il suo nemico.
- Kirai-. Toru aggrottò la fronte.
- Odio? Bella fantasia, Iwa-chan- commentò.
- E taci, ero un bambino- sbuffò Hajime. Poi tornó serio.
- Ma incarna perfettamente ciò che provo per lui. Perché odio quando ti porta via da me-. A Toru sfuggì un piccolo sorriso.
- È raro che tu sia così dolce, Iwa-chan- mormorò.
- Se potrà aiutarti, allora sarò dolce- Hajime fece un altro passo verso di lui; Toru rimase immobile, sorpreso dalle parole dell'amico, non capendo cosa volesse fare.
- Toru Oikawa. Sei precisino, fai lo sbruffone, sei irritante e sei piatto-.
- Iwa-chan, dobbiamo rivedere il tuo concetto di dolcezza-.
- Ma io so bene quanto tu ti impegni per fare le cose con precisione, quanto ci tieni a fare tutto al meglio, e quanto ci stai male se fallisci. Hai un corpo perfetto, ti hanno sempre invidiato in molti; se ho iniziato ad allenarmi duramente era perché sapevo di non avere una forma perfetta come la tua e volevo compensare con i muscoli. Ma soprattutto, hai una mentre perfetta: sei intelligente, capisci le persone e riesci a fare praticamente qualsiasi cosa. L'impegno che ci metti anche nei più piccoli gesti dimostra quanto tu ci tenga a migliorare. È vero, ogni tanto fallisci: sei umano, è normale. Ma anche quando sbagli hai sempre una scintilla negli occhi che ti spinge ad andare avanti, a riprovarci. Questo è il Toru Oikawa che conosco e a cui ho promesso di stare al suo fianco per sempre: è questo quello che sei-.
Toru sentiva le lacrime accumularsi agli angoli dei suoi occhi. Sapeva quanto Iwa-chan gli volesse bene, eppure sentirgli parlare in quel modo di lui era una cosa che accadeva veramente raramente.
Senza pensarci troppo, abbracció l'amico, lasciando cadere qualche lacrima.
- Hey, sei nudo- borbottò Hajime, imbarazzato, mentre ricambiava l'abbraccio.
- Da piccoli facevamo sempre il bagno assieme no?- Toru sorrise.
- Si ma ora siamo cresciuti- mormorò Hajime.
- Però siamo sempre gli stessi, Iwa-chan- affermó Toru. Hajime sorrise.
- Si, siamo sempre gli stessi- si staccò dall'abbraccio per guardare l'altro negli occhi - rimani sempre lo stesso. Va bene?-.
- Certo Iwa-chan; ci riuscirò-. Toru in quel momento prese una decisione: una volta tornato sé stesso, gli avrebbe confessato i suoi sentimenti. Ma prima doveva diventare abbastanza forte da riuscire a sostenerli; però, era certo che con Iwa-chan al suo fianco sarebbe stato più che possibile.

Shoyo chiuse gli occhi, mentre le dita di Kageyama gli accarezzavano la cute.
- Ti piace così tanto farmi lo shampoo?- chiese.
- Mi rilassa- affermó Tobio, cercando di tenere lo sguardo fisso sulla nuca del ragazzo seduto in vasca davanti a lui.
La prima volta che si era proposto per fargli lo shampoo non pensava certo che Hinata si sarebbe spogliato per trascinarlo in vasca con sé. Gli ci era voluto molto autocontrollo per non saltargli addosso.
Non che Shoyo fosse messo meglio: ormai era talmente abituato alla presenza dell'altro che quella volta si era spogliato senza pensarci, per poi pentirsi subito dopo della sua azione per via delle reazioni che stava avendo il suo corpo.
Però in quei momenti, quando erano semplicemente seduti in vasca con Tobio che accarezzava i capelli di Shoyo, entrambi erano più che tranquilli. Era come se avessero trovato un piccolo angolo di paradiso.
- Avevo paura avresti impiegato anni a... Mostrarti, diciamo- mormorò Tobio. Sapendo quanto Hinata fosse insicuro del suo fisico, credeva già che convincerlo anche solo a rimanere senza maglietta davanti a lui sarebbe stata un'impresa ardua; invece il ragazzino non si era fatto troppi problemi.
- Hai detto tu che mi accetti anche se sono imperfetto no?- Shoyo scivolò all'indietro, poggiando la testa contro la spalla dell'altro. Tobio continuó ad accarezzargli i capelli con un braccio mentre avvolse l'altro intorno al corpo di Hinata, stringendolo leggermente a sé.
Shoyo aveva deciso di prendere alla lettera le parole di Kageyama: se a lui andava bene com'era, allora non doveva avere paura a mostrarsi in nessun modo davanti a lui. Se avesse notato qualche segno di incertezza o di ripensamento nell'altro probabilmente ne sarebbe uscito distrutto, ma non aveva visto niente di tutto ciò nei suoi comportamenti ed espressioni. A Kegayema andava veramente bene com'era, e questo gli dava la forza necessaria per accettarsi quel tanto che bastava da riuscire a controllare la sua fame. Anche vomitare dopo i pasti non gli usciva più naturale come prima, anzi era riuscito a ridurre le dosi ad una volta al giorno.
- Esatto piccolo: vai benissimo così come sei- Tobio si chinò e lasciò un bacio sul collo dell'altro ragazzo. Shoyo si voltò, facendo incontrare le loro labbra per un bacio dolce.
Tobio aveva imparato ad accettare l'imperfezione, Shoyo aveva imparato ad accettare di essere imperfetto. Insieme, sarebbero finalmente riusciti ad accettarsi davvero.

Koutaro baciò nuovamente Akashi, insinuando la sua lingua nella bocca dell'altro. Keiji serrò le gambe attorno alla vita di Bokuto, appoggiandogli le mani sulle guance per tirarlo ancora di più verso di sé.
Koutaro iniziò a baciargli il collo e Keiji rilasció dei sospiri, facendo sorridere il maggiore.
- Ti piace?- sussurró all'orecchio dell'altro, che annuì. Keiji alla fine aveva deciso di ascoltare il consiglio di Kenma: non voleva rinunciare a Bokuto, quello era poco ma sicuro. E sapeva che il maggiore meritava qualcuno che lo amasse davvero; avrebbe fatto di tutto per essere quel qualcuno.
Purtroppo, ancora non era tornato a provare dei sentimenti. Ma ogni volta che Bokuto gli sorrideva, parlava o lo toccava, sentiva qualcosa. Come un pizzicorio che si espandeva dentro di lui e gli donava un po' di pace dall'apatia che si era sempre portato dietro.
Le crisi di Koutaro erano diminuite drasticamente; a volte il vuoto tornava prepotente in lui, ma gli bastava un abbraccio di Akashi per fare sparire tutto e farlo sorridere. Finché l'altro non fosse tornato in contatto con i propri sentimenti, ci avrebbe pensato lui a sorridere per entrambi.
- Come stai?- chiese Kuotaro in un sussurro.
- Bene- ammise Keiji. Sentiva davvero che quel momento andava bene. Lui sentiva qualcosa; non sapeva cosa, ma sentiva.
Kuotaro scrutò il suo volto.
- I tuoi occhi possono sorridere più di così- affermó, chinandosi per baciarlo nuovamente.
- Ti amo- sussurrò sulle sue labbra. Osservò gli occhi di Akashi quasi illuminarsi e sorrise.
Anche Keiji avrebbe voluto sorridere, ma ancora non ci riusciva. Aveva provato a chiedere scusa a Bokuto per quello, ma l'altro l'aveva sgridato ricordandogli che ognuno aveva bisogno del suo tempo.
Koutaro amava vedere il sorriso negli occhi dell'altro, ma sapeva anche che Akashi avrebbe voluto poter fare di più.
Si mise a sedere, facendo cenno ad Akashi di tirarsi su, per poi farlo sdraiare con la testa sulle sue gambe.
- Cosa vuoi fare Bokuto-san?- gli chiese Keiji.
- Adesso reciterò un haiku per te- dichiaró il maggiore in tono solenne.
Bokuto si schiarí la voce.

I campi e i monti
Sono spariti...

- Scomparsi- lo corresse Keiji.

Scomparsi sotto la neve...

- Il manto nevoso-.

I campi e i monti
Sono scomparsi sotto il manto nevoso.
È il nulla

- Quando lo reciti tu sembra più semplice- dichiaró Koutaro con una risatina.
- Sei stato bravo, Bokuto-san- affermó Keiji. Era stato un gesto veramente carino. Solitamente quell'haiku lo recitava lui quando il maggiore aveva vuoti o momenti d'apatia molto forti; quella volta invece era stato Bokuto a farlo. Come se volesse comunicargli che adesso era arrivato il suo momento di prendersi cura di lui, che lo avrebbe aiutato a sorridere di nuovo.
- La neve ghiaccia tutto ciò su cui si posa. È pericolosa, può seppellire gli esseri viventi senza lasciarne tracce, ed è fredda- mormorò Keiji.
Mi ricordi la neve: fredda all'apparenza, ma in realtà se non hai paura di congelarti è divertente ed anche calda. E poi è bellissima.
Keiji non aveva dimenticato il paragone che aveva fatto Bokuto tra lui e la neve; gli era sembrato molto bello, ma la neve nasconde molte più insidie di quanto possa sembrare all'apparenza.
- Io so come starci attento. E poi è divertente! Non vedo l'ora che sia inverno per vederla- dichiarò Koutaro.
- E se arrivasse in estate? Saresti felice comunque?-. Kuotaro sorrise.
- Si: la neve mi rende felice in qualsiasi momento- affermò, chiamandosi per baciare Akashi. Le labbra di Keiji si incresparono in un piccolo sorriso.
- Visto? L'haiku funziona sempre! È come un incantesimo!- esclamò Koutaro, felice.
- È merito tuo, Bokuto-san- dichiarò Keiji.
- Stavo pensando, che potrei iniziare a parlare con le persone di cio che penso di loro. Magari può aiutarmi- disse poi. Koutaro spalancò gli occhi.
- Agahshi, è una bellissima idea! Perché non inizi con me?!-.
- Sapevo l'avresti detto- affermò Keiji, tirandosi su e mettendosi a sedere per guardare Bokuto negli occhi.
- Bokuto-san, la prima cosa che ho pensato vedendoti è che sei la persona più solare che io abbia mai conosciuto. Nei tuoi momenti di sconforto sentivo qualcosa dentro di me che mi diceva che era sbagliato, che tu sei nato per sorridere ed essere felice. Non pensavo che una persona così carica di sentimento come te avrebbe mai potuto volete bene a qualcuno come me, eppure tu sei qui. Sei speciale, Bokuto-san, e grazie a te adesso ho meno di paura di provare dei sentimenti: mi hai fatto capire che li ho ancora, devo solo trovare la forza per accettarli. Io non so cosa sia l'amore, ma se è il calore che provo stando con te è anche solo un decimo dell'amore vero, allora sono disposto anche a soffrire nuovamente per provarlo per te-. Per la prima volta nella sua vita, Keiji aveva parlato senza prima pensare al discorso da fare: aveva semplicemente lasciato che a guidarlo fosse il cuore. E aveva funzionato.
Gli occhi di Kuotaro si riempirono di lacrime.
- Ti amo tanto Aghashi- strinse il ragazzo a sé. Keiji ricambió la stretta.
- Ti amo anch'io Koutaro-.

- Quindi stasera ci dovremo subire un doppio Tanaka?-.
- Esatto; vedi di fare il bravo-.
- Ci proverò. Ma mi spieghi perché sono in bagno su una sedia girato verso la porta mentre tu ti fai la doccia?-.
Tadashi aprí l'anta della doccia e guardò male l'amico, nonostante Tsukki non potesse vederlo.
- Te l'ho detto: da adesso in poi tu non ti staccherai da me neanche quando andremo in bagno. Ah, e dato che da stanotte torni a dormire in stanza, sappi che dormiremo legati- dichiarò Tadashi, richiudendo l'anta.
Kei spalancò gli occhi.
- Legati?!-.
- Esatto: si sa mai che ti vengano strane idee durante la notte- Tadashi spense l'acqua ed afferrò l'asciugamano. Kei sospirò: quel giorno era ufficialmente uscito dell'infermeria, e pur essendo consapevole che l'amico d'ora in avanti l'avrebbe tenuto molto più d'occhio non si immaginava certo che gli avrebbe messo delle manette addosso.
- È vero che ti ho detto di essere più duro ma così non esageri?- borbottò Kei.
- Neanche un po': ce l'ho ancora con te- dichiaró Tadashi.
- E comunque non era necessario che mi girassi, ti ho già visto nudo- gli fece notare Kei, alzandosi e voltandosi verso l'altro, che arrossí.
- Be' si ma... Eravamo piccoli e... Be' era prima di...- balbettò Tadashi. Kei fece un sorriso malizioso e si avvicinò a lui, poggiandogli delicatamente le mani sui fianchi.
Ormai si era completamente riabituato al contatto fisico con Yamaguchi; non aveva ancora provato con gli altri, ma aveva deciso che con lui non avrebbe più avuto problemi. Non voleva più avere problemi.
- Prima di cosa? Prime che ti dicessi che ti amo?-. Tadashi si sentì arrossire ancora di più. Una volta passate la rabbia e la paura, era tornato il ragazzino innocente di sempre.
A Kei faceva tenerezza, tanto che avrebbe voluto baciarlo; ma aveva deciso di aspettare finché l'altro non si fosse sentito pronto.
- Yamaguchi... Non abbiamo ancora parlato di quello che ti ho detto-. In quei giorni si erano concentrati sul fare tornare il biondo in forze, ma lui aveva notato che spesso l'amico si assentava e diventava pensieroso. E ne sapeva il motivo.
Tadashi abbassò lo sguardo.
- Dovrei stare male per avere ucciso una persona, lo so. Ed è così: non mi capacito di come io possa esserci riuscito. Ma se penso che stava per farti del male... Se non c'era altra soluzione, allora non mi pento di averlo fatto- ammise. Sapeva di non correre il rischio di essere odiato dall'amico per avergli tolto il padre: anche prima di scoprire dei maltrattamenti, Kei aveva sempre considerato l'uomo praticamente uno sconosciuto, dato che nel poco tempo che passava a casa era spesso ubriaco.
- Sicuro di stare bene?- gli chiese Kei.
- Non nego che probabilmente avrò gli incubi ancora per un po'. Ma se ciò che ho fatto mi ha permesso di tenerti con me, allora riuscirò ad accettarlo. Ma non ci tengo a rifarlo, quindi cerca di smetterla di litigare con tutte le persone che hai intorno-. Quel commento fece sorridere Kei.
- Neanche con mister perfezione ed il nanerottolo?-.
- Hinata e Kageyama sono rimasti con me finché non ti sei svegliato, quindi vedi di stare buono per un po'- lo riprese Tadashi.
- Non so se ci riuscirò, è più forte di me...- mormorò Kei. Vide il volto di Tadashi avvicinarsi al suo ed un attimo dopo avvertì le labbra dell'altro sulle sue.
- Se fai il bravo lo faccio di nuovo- sussurrò Tadashi, completamente rosso, mentre tornava al suo posto.
Kei rimase ancora un attimo immobile per la sorpresa.
- Penso di poter resistere- dichiarò poi. Tadashi rise, e nel vederlo così felice Kei non poté fare a meno che essere felice di essere vivo.

- Quanto casino fanno...- borbottò Yutaro, guardando male il punto del tavolo in cui Tanaka, Yamamoto e Nishinoya stavano praticamente urlando, seguiti ogni tanto da Hinata, Bokuto, Kuuro e Lev.
- Hanno troppa energia- confermó Akira. Yutaro non poté fare a meno di pensare che ultimamente anche Kunimi sembrava leggermente meno stanco del solito.
- Con Kageyama?- chiese Akira. Yutaro lanciò uno sguardo al moro.
- Non penso che torneremo amici come una volta, ma abbiamo smesso di guardarci in cagnesco- commentó, riportando poi l'attenzione sul ragazzo di fianco a lui.
- Sono rimasto sorpreso del fatto che sia venuto a chiedermi scusa- ammise.
- Hinata mi ha detto che lo accetta come imperfezione nella sua vita, o qualcosa di simile- mormorò Akira.
- Lui che accetta qualcosa di imperfetto... Le persone cambiano proprio tanto eh?-.
Anche lui era cambiato. E adesso riusciva a tenere a bada molto meglio il suo corpo, grazie anche all'aiuto di Kunimi. Probabilmente, se dall'inizio avesse parlato con lui invece di cercare dei sotterfugi per poter stare al suo fianco senza dirgli la verità, sarebbe anche riuscito ad iniziare a guarire prima.
Alla fine, come la maggior parte delle persone, era solo alla ricerca di qualcuno da amare.

- È stato bellissimo rivederti amico!-.
- Teniamoci in contatto stavolta!-.
- Ci puoi giurare!-. Ryu salutó Yamamoto con un abbraccio, poi il secondo lasciò la struttura.
- È veramente simpatico! Ti sei divertito?- gli chiese Yu mentre tornavano verso le stanze.
- Da morire. E dire che mi ero quasi dimenticato di lui! Devo proprio ringraziarti Noyassan, hai avuto un'idea fantastica- affermò. Yu si fermò e gli mise una mano sulla spalla.
- Hai sistemato il tuo passato, ora pensa al tuo futuro- gli disse in tono solenne.
- Noyassan, sei un figo!- esclamò Ryu.
- Vero?-. I due ripresero a camminare.
- Come sta Chikara?- gli chiese Ryu.
- Lo conosci molto meglio di me- gli fece notare Yu.
- Lo so. È che non vorrei che questa situazione lo avesse scosso troppo- mormorò.
- Chikara sta aspettando che tu stia meglio con te stesso e vuole aiutarti a tutti i costi. Desidera solo che tu sia felice- affermò Yu. Ryu lo sapeva bene, dopotutto Ennoshita aveva sempre provato ad aiutarlo, nonostante lui fosse il primo a mettersi o bastoni tra le ruote. Ora che sapeva la verità però, era cambiato.
- Grazie di tutto Noyassan; ci vediamo domani-.
- Buonanotte Ryu!-. Arrivati davanti alle loro stanze i due ragazzi si salutarono.
Ryu aprì la porta della camera di Ennoshita, trovando il ragazzo sdraiato a letto con gli occhi aperti.
- Com'è andata?- gli chiese Chikara.
- Mi cambio e ti racconto- affermò Ryu, sparendo in bagno.
Si mise davanti allo specchio e fissò la sua immagine.
- Ok Ryu, hai sempre detto di essere una persona forte: adesso dimostralo. Ora che hai tutti questi amici, non hai più bisogno di sentirti fuori luogo perché sei gay: non vergognarti di te stesso. Vai bene così come sei. Ora è il tuo momento di ricambiare l'affetto che ti è sempre stato dimostrato- annuì come per imprimere più forza alle sue parole, poi si cambió velocemente e tornó in camera.
- Tora non è cambiato in questi anni: è stato molto divertente stare con lui- affermò, sedendosi sul letto. Anche Chikara si mise seduto, in modo da riuscire a parlare meglio.
- Sono felice che vi siate ritrovati- affermò.
- Anch'io-.
- Sapete già quando vi rivedrete?- Chikara sentiva il cuore battere in modo irregolare. Non avrebbe voluto conoscere i dettagli, ma doveva essere subito o sarebbe stato peggio.
- Ci organizzeremo in qualche modo. Sicuro non faremo passare altro dieci anni- commentò Ryu. Poi si voltò verso l'amico.
- Ti va di uscire con me?-. Chikara spalancó la bocca.
- Cosa?-.
- Ho passato dieci anni della mia vita a sentirmi sbagliato solo perché ai miei non va giù che mi piacciano i ragazzi. Ora però sono a posto con me stesso: ho amici fantastici a cui non importa niente del mio orientamento sessuale, e sono riuscito a sistemare le cose con un vecchio amico. Rivedere Tora mi ha riportato ai tempi in cui ero felice e spensierato, e adesso voglio riviverli. Con qualcuno che in questi anni mi è sempre stato vicino, prendendosi cura di me e che mi ha aiutato a ritrovare me stesso. Per cui, ti va di uscire con me? Guarda che sono insistente eh-.
- Non preferiresti riprovarci con lui?- mormorò Chikara.
- Chikara. Immagina due me nella stessa casa. In quanto pensi che la faremmo esplodere? Con Tora mi diverto, così come con Noyassan, ma nella mia vita ho bisogno di qualcuno come te per trovare un equilibrio. Vuoi uscire con me?-. Chikara si sentì sollevato a quelle parole e non poté fare a meno di sorridere.
- Sono tentato di dirti di no solo per farti aspettare un po', ma direi che tre anni sono abbastanza-.
- Quindi è un si?-.
- È un si-.
- Evvai!- Ryu alzò le braccia e si diede il cinque da solo, facendo ridere Chikara.
Dopodiché il pelato si alzò, fece il giro del letto e si infilò sotto le coperte, tirando Ennoshita verso di sé ed abbracciandolo.
- Ma che...!- esclamò il ragazzo, sorpreso.
- Non posso dormire con il mio ragazzo?-.
- Ho appena accettato di uscire con te e già sono il tuo ragazzo?-.
- Si: l'hai detto tu che tre anni di attesa sono abbastanza no?-.
Chikara sorrise e si voltò, accomodandosi meglio tra le braccia di Tanaka.
- Hai ragione- sussurrò. Ryu sorrise e chiuse gli occhi. Quella notte, il suo corpo non tremò neanche una volta.

Keishin si portò la sigaretta alle labbra e chiuse gli occhi. I ricordi della notte passata con Takaeda erano ancora vividi nella sua mente; e dato che non ne avrebbe avuti altri per un bel po', doveva tenerseli stretti.
Riaprì gli occhi e spense la sigaretta nel posacenere, dopodiché chiuse la finestra. Sembrava che l'idea di Nishinoya avesse funzionato: quei ragazzi stavano guarendo molto più in fretta di quanto avesse immaginato. Non è mai facile riuscire a superare un trauma, eppure loro ce l'avrebbero fatta, di questo ne era certo.
Si voltò verso la porta, come per fare in modo che le sue parole raggiungessero la persona che si trovava qualche camera più in là.
- Prima o poi ci riuscirai anche tu, direttore-.

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Capitolo 18
*** CAPITOLO XVIII. ***


- Ok ragazzi, ascoltatemi tutti- Ittetsu richiamó l'attenzione del gruppo mentre Ukai fermava il pulmino.
- Qualche semplice regola. 1: non rimanete mai da soli. 2: tenete sempre il cellulare a portata di mano. 3: ricordatevi di mangiare. Abbiamo chiesto di ridurre le entrate, ma ci saranno comunque altre persone oltre a noi; io ed il dottore saremo nei paraggi, chiamateci per ogni bisogno. Ma per il resto, oggi provate a rilassarvi e divertirvi, va bene?-. Le risposte affermative ed emozionante dei ragazzi fecero sorridere Ittetsu. Dopotutto erano anni che non uscivano dall'ospedale, era normale fossero eccitati.
- Ciao Shimada- Keishin tirò giù il finestrino: era una fortuna che uno dei suoi vecchi amici fosse il figlio del proprietario, così avevano potuto chiedere qualche favore.
- Ciao Keishin; benvenuti. Il parcheggio è da quella parte. Vi ho fatto applicare qualche piccolo sconto per l'occasione- affermò il ragazzo dai capelli neri.
- Sapevo di poter contare su di te-. Tutti i ragazzi avevano un fondo con dei soldi che avevano ereditato raggiunta la maggior età, e dato che non avevano fatto praticamente compere mentre erano nell'ospedale, visto che la retta ospedaliera la pagavano i genitori, potevano approfittarne quel giorno. Speravano solo che andasse tutto bene.

- Guarda Yaku-san! Quel peluche è carinissimo!- esclamò Lev, indicando il gattino di peluche esposto in vetrina.
- Oh, ma sono bellissimi!- concordó Shoyo, affacciandosi anche lui alla vetrina.
- Ne vuoi uno piccolo?- gli chiese Tobio, affiancandolo.
- Davvero posso?!- Shoyo si girò, con gli occhi che luccicavano.
- Non parlarmi come se fossi tuo padre Bokè- borbottò il moro.
- Guarda quel gufo Aghashi!- esclamò Koutaro.
- Mi sa che ci tocca entrare- ridacchiò Tetsuro.
- Mi rifiuto di entrare in un negozio di peluche- borbottó Kei, voltandosi verso Yamaguchi, ma vedendo lo sguardo dell'altro brillare sospirò - ma forse posso fare uno strappo alla regola-.
- Evvai!- esclamò Tadashi, felice.
I ragazzi controllarono che dentro non ci fosse troppa gente, in modo da non dare troppo fastidio a Tsukishima, e poi entrarono.
- Guarda gattino, questo ti somiglia!- esclamò Tetsuro, prendendo il peluche di un gattino giallo con qualche striatura nera e lo sguardo mezzo addormentato.
- Carino- mormorò Kenma. Il moro si voltò verso l'amico, che gli sembrava piuttosto distratto, e capí cos'avesse attirato la sua attenzione: il game stop dall'altra parte.
- Ragazzi, porto il gattino nel suo Paradiso- dichiarò - ci rivediamo a pranzo-.
- Nessun problema Bro!-.
- Eh? Dove mi porti?- chiese Kenma, confuso. Tetsuro andó alla casa: aveva deciso di prendere comunque il peluche, gli ricordava troppo il suo di gattino.
- Hai veramente comprato quel coso?- borbottò Kenma mentre uscivano.
- Avrò bisogno di qualcuno da coccolare mentre tu sarai qui- dichiarò Tetsuro, fermandosi davanti alla sala giochi. Kenma sbarrò gli occhi, sorpreso.
- Sicuro di voler passare la mattina a guardarmi giocare?- gli chiese.
- Adoro vederti giocare; e poi magari viene voglia di provare qualcosa anche a me- affermó Tetsuro, afferrando la mano di Kenma, che sussultò appena.
- Così non ci perdiamo- affermò il corvino, entrando nel negozio.
- Prima o poi ce la faranno quei due- borbottò Yaku, osservando la scena dal negozio di peluche di fronte.
- Chi?- Shoyo lo affiancò e capì.
- Oh, bel colpo Kenma!- esclamò.
- Che vorresti dire?- borbottò Tobio, offeso. Shoyo rise e si voltò per dare un bacio sulla guancia al ragazzo.
- Tranquillo, mi piacciono più rompiscatole. Lassù ci sono dei corvi con i capelli!- esclamò l'arancione, indicando una mensola poco distante dove c'erano una serie di peluche a forma di corvo piuttosto rotondi e con dei ciuffi colorati in testa.
Tobio afferrò i fianchi di Hinata, facendolo sedere sulle sue spalle in modo che arrivasse alla mensola.
Shoyo allungò le mani e prese due peluches: un corvo con in testa dei ciuffi arancioni, un altro con dei ciuffi neri.
- Sono carinissimi!- esclamò.
- Te li prendo se vuoi- dichiarò Tobio.
- Uno a testa- decise Shoyo. Tobio aveva un debole per le cose carine, e dato che il suo ragazzo era la cosa più carina del mondo non poté dirgli di no.
- Prendiamo anche noi quei corvi? Sono carinissimi!- esclamò Tadashi.
- Hey mandarino, passacene due- ordinò Kei ad Hinata.
- Solo per Yamaguchi- borbottò lui, per poi tornare ad osservare i vari corvi. Ne scelse uno con dei ciuffi verdi ed un altro biondo con un paio di occhiali sul becco e li passó agli amici.
- Inquietante- commentò Kei, notando la somiglianza che avevano con loro.
- Voi a che punto siete?- chiese Tobio, voltandosi verso gli altri.
- Di non ritorno- sospirò Yaku, indicando Lev che stava cercando di scegliere tra un intero reparto di gatti di peluche.
- Noi abbiamo adottato una famiglia- Keiji indicò Bokuto, che teneva in mano sei gufi fatti con lo stesso stile dei corvi.
Si sorprese quando la sua battuta fece ridere gli amici; Bokuto gli aveva consigliato di provare a parlare e commentare un po' di più, in modo da sentirsi completamente parte del gruppo, ma non pensava che gli altri lo ascoltassero così tanto.
- Aghahsi adottiamo dei bambini?-. La richiesta di Kuotaro fece voltare di scatto Keiji.
- Bokuto-san, non è così facile: dobbiamo trovare entrambi un lavoro, metterci in lista d'adozione, aspettare che...- vedendo come fosse illuminato lo sguardo di Bokuto, Keiji non riuscì a continuare - ma possiamo provarci-.
- Evvai!- Koutaro stampò un bacio sulla guancia del corvino prima di dirigersi alla cassa per pagare.
La bocca di Keiji si increspò in un piccolo sorriso. Ancora non aveva recuperato le sue emozioni, ma il suo corpo stava iniziando a ricordarsi come esprimerle. E quando si trattava di Bokuto gli usciva piuttosto semplice.
- Ok, finalmente ha deciso anche lui- annunciò Yaku, mentre raggiungeva gli altri in fila insieme a Lev, rimanendo abbastanza lontani da non dare fastidio a Tsukishima.
La sopportazione di Kei stava migliorando, ma ancora non riusciva ad avere contatti con nessuno che non fosse Yamaguchi. Quella di stare in un luogo con altre persone era una grande sfida per lui, ma era pronto ad affrontarla.

- Cosa guardiamo prima? Oh, c'è la pista di pattinaggio!- esclamò Yu.
- Adesso c'è un po' di gente, ma possiamo venirci pomeriggio con anche gli altri- propose Daichi.
- Evvai!-.
Koushi si guardò attorno, cercando qualcosa che avrebbe potuto interessare tutti loro: la zona cibo l'avrebbero vista dopo e nessuno di loro era particolarmente amanti dei videogiochi o simile.
- Noi facciamo un salto in libreria- dichiarò Kyoko. Aveva notato che Yachi era piuttosto nervosa, ed il negozio appena nominato le sembrava praticamente vuoto.
- Va bene; a dopo- le salutò Koushi, che dubitava che un negozio simile potesse interessare a Nishinoya e Tanaka.
- Guardate quanti articoli sportivi!- esclamò Ryu, fermandosi di fronte ad un negozio.
Ed ecco trovato qualcosa che poteva interessargli.
- Entriamo!- Yu si fiondò dentro, seguito dall'amico.
- Asahi, Ennoshita, li affidiamo a voi: io porto Suga in un posto- dichiarò Daichi.
- Agli ordini- i due sparirono nel negozio e Koushi si voltò verso Daichi, confuso.
- Dove mi porti?- gli chiese. Sussultò appena quando l'altro lo prese per mano e riprese a camminare.
- Ti avevo detto che una volta fuori volevo vederti divertire no?-.
- Non siamo ancora propriamente fuori, è solo un giorno- gli ricordó Koushi.
- Voglio che ti rilassi comunque- affermò Daichi, fermandosi davanti alla zona giochi del centro commerciale.
- Lo scivolo!- esclamò Koushi. Non ci andava da quando era bambino, ma lo aveva sempre amato.
Daichi sorrise alla reazione dell'altro.
- È un po' piccolo, ma non c'è praticamente nessuno; vuoi andarci?- gli chiese. Koushi serrò la presa sulla mano dell'altro.
- Ci andiamo. Volevi divertirti con me no?- gli ricordó, iniziando a camminare verso lo scivolo.
Daichi anche da bambino non era mai stato particolarmente giocoso e vivace, ma in quel momento non gli sarebbe dispiaciuto tornare alla sua infanzia.
Koushi lasciò la mano dell'altro per arrampicarsi sulle scalette: per essere uno scivolo per bambini, era piuttosto alto.
Si sedette in cima e fece cenno al moro di sedersi dietro di lui.
Daichi allungò le gambe mentre circondava il busto di Suga con un braccio, tenendo libero l'altro per darsi la spinta.
Quando iniziarono a scivolare, Koushi aprì le braccia e si mise a ridere. Gli era mancata quella sensazione, quella di essere una persona spensierata senza responsabilità che può permettersi di divertirsi per un giorno senza problemi. Forse, al fianco di Daichi, sarebbe potuto tornare ad essere quella persona più spesso.
Asahi e Chikara invece stavano iniziando a pentirsi di aver accettato di seguire Nishinoya e Tanaka: i due continuavano a girare tra i reparti quasi correndo, provando ogni attrezzo disponibile. Si erano fermati solo perché avevano deciso di provare una serie di tute da allenamento, permettendo così ad Asahi e Chikara di sedersi sui divanetti davanti ai camerini.
- Quanto manca all'appuntamento per il pranzo?- chiese Asahi. Chikara guardò l'ora sul cellulare.
- Hanno ancora un'ora di sfogo- mormorò, ed entrambi sospirarono. Per quanto amassero gli altri due ragazzi, non avevano per niente la loro stessa energia.
L'attenzione di Asahi fu catturata da un bilanciere lì vicino che sembrava stesse per cadere, probabilmente perché non era stato rimesso su bene.
Si alzò e si avvicinò al bilanciere, in modo da rimetterlo a posto.
- Guarda quanto è grosso quel ragazzo!-.
- Che paura, meglio che torniamo dopo-. Asahi cercò di non fare troppo caso alla conversazione della coppia che gli stava passando di fianco.
- Oh, stai benissimo Ryu!- esclamò Yu, uscendo dal camerino insieme all'amico.
- Tu sei un figo come sempre, Noyassan-.
- Modestamente. Asahi-san!- Yu corse dall'altro ragazzo, che non si accorse di lui finché non gli fu di fianco.
- Tutto bene, Asahi-san?- gli chiese.
- Eh? Si, certo... Stai bene vestito così, Nishinoya-. Yu sorrise.
- Quello non è il bambino che prima continuava a correre in giro?-.
- Che sia il figlio del gorilla?-. Yu si voltò di scatto. Odiava che gli dessero del bambino solo perché era basso, ma gli aveva dato ancora più fastidio il modo in cui avevano chiamato Asahi.
- Lasciali perdere Nishinoya- mormorò Asahi, che aveva notato lo sguardo dell'altro indurirsi.
- Ti hanno detto qualcosa?- chiese Yu.
- Non ci conoscono, non farci caso- gli rispose Asahi, poggiandogli una mano sulla spalla. Aveva riconosciuto le voci del ragazzo e della ragazza di poco fa, ma non voleva che Nishinoya si mettesse nei guai.
- Questa è bella, ma un po' scomoda- commentò Ryu, indicando la maglietta che aveva addosso.
- Be' si è un po'... Aderente- mormorò Chiakara, cercando di guardare il volto del suo ragazzo invece dei muscoli lasciati ben visibili dall'indumento. A Ryu però non sfuggì il suo rossore.
- Posso comprarla per altri momenti se vuoi- affermò, aumentando l'imbarazzo di Chikara.
- Ma che dici! Idiota...- borbottò. Ryu rise e gli diede un bacio sulla guancia.
- Pure la coppia gay ci mancava...-. I due non fecero in tempo a capire chi avesse parlato che Yu era già partito all'attacco verso la coppia.
- Hey voi. Avete qualcosa contro me ed i miei amici?- aveva cercato di trattenersi, ma all'ennesimo insulto non ci era più riuscito.
I due si voltarono, confusi.
- Ah, ma allora non è un bambino. Credo- commentó la ragazza.
- Che vuoi?- gli chiese il ragazzo, annoiato.
- Che ci chiediate subito scusa- affermoó Yu, mentre Ryu lo affiancava con sguardo arrabbiato. Non aveva seguito tutto il discorso, ma gli bastava sapere che quei due avevano insultato i suoi amici per odiarli.
Asahi e Chikara si avvicinarono, mentre cercavano un modo per calmare i primi due ragazzi senza che scoppiasse una rissa.
- Per cosa? Non vi abbiamo neanche mai parlato-.
- Se avete qualcosa da dirci ditecelo in faccia- ringhió Ryu.
- Non abbiamo detto niente di offensivo; è vero che i tuoi amici sembrano un bambino e un gorilla- affermó la ragazza annoiata.
- Asahi-san è la persona più...-. Asahi mise una mano sulla spalla di Nishinoya per fermarlo, ma il più piccolo capí da come lo stringeva che anche lui era innervosito.
- Non mi sembra carino giudicare una persona solo dal suo aspetto- Asahi cercò di parlare in modo calmo, ma l'atteggiamento degli altri due non gli piaceva.
- Se volete che giudichiamo in base ai comportamenti, allora dovreste dire ai vostri amici di essere più discreti- dichiaró il ragazzo.
- Per un bacio sulla guancia? Voi vi state tenendo per mano ma non vi abbiamo detto niente- fece notare Ryu. Le sue mani tremavano, ma stavolta era certo che la sua malattia non centrasse.
- Be' noi stiamo insieme, è normale- affermó la ragazza.
- Anche noi stiamo insieme, la logica è la stessa- ribatté Ryu. La coppia si scambiò uno sguardo perplesso.
- Si ma... Voi siete... Due maschi- fece notare il ragazzo.
- Penso di sapere cos'abbiamo in mezzo alle gambe- ringhió Ryu - nessuno obbliga il tuo ragazzo ad infilare la spada nel tuo fodero piuttosto che in quello di uno che ha un'altra spada-.
- Oh, bella questa Ryu! Me la segno!- esclamò Yu.
- Grazie Noyassan! Allora? Vi causiamo problemi?-.
- Direi di sì!- esclamò la ragazza. Prima che Yu e Ryu potessero letteralmente saltargli addosso, Chikara li superó.
- Ragazza, capisco che tu ti senta insicura perché pesi più di lui, ma fidati che andare in palestra ti sarà molto più utile che insultare gente che non conosci-.
- Hey! Non osare parlarle...-.
- E tu amico, non essere nervoso solo perché la tua ragazza ha fissato gli addominali del mio ragazzo tutto il tempo. È risaputo che i gay sono più sexy- concluse con un occhiolino, per poi tornare insieme al gruppo.
- Questo è il mio ragazzo!- esclamò Ryu con un sorriso, ripresosi dallo shock in cui erano caduti tutti e tre nel sentire Ennoshita parlare.
- Hai fatto un'ottima scelta- affermò Yu. Asahi si rilassò nel vedere che gli altri si erano calmati.
- Scusate, sono il proprietario di questo negozio; va tutto bene?- un ragazzo biondo li raggiunse, interrompendo la conversazione.
- Questo gruppo di froci ci ha insultati- ringhió il ragazzo, facendo riaccendere la scintilla della rivalsa in Yu e Ryu.
Anche il biondo si irrigidí.
- Voi siete i ragazzi di Ukai vero?-. I quattro annuirono, sorpresi. Il biondo si voltò verso gli altri due.
- Sono il ragazzo del figlio del proprietario di questo posto. Volete parlarne con il capo?- dal suo tono si ghiaccio si capiva che non era una scelta conveniente.
Infatti, i due chinarono la testa e si allontanarono.
- Scusi per il disturbo- disse Asahi.
- Ce ne sono mille di persone come loro! Scusatemi voi se avete avuto problemi; sono Yusuke Takinoue. Come ho detto prima sono il proprietario del negozio e ho rapporti stretti con il capo, quindi se avete bisogno chiedete pure- affermò.
- Io ho una domanda- dichiarò Ryu - a letto con il suo ragazzo ha mai usato una di queste?- si indicò la maglietta.
- Tanaka!- urlò Chikara, mentre Yu scoppiò a ridere ed Asahi scosse la testa divertito.
- Diciamo che i più innocenti all'apparenza in realtà sono anche quelli più amanti di certe cose- affermò il biondo, facendo un'occhiolino d'intesa che fece avvampare ancora di più Ennoshita.
- Allora ne prendiamo cinque a testa- affermó Yu.
- Nishinoya!-.

- Voi non avete niente da vedere?- chiese Hajime.
- Per il momento no- dichiarò Yutaro.
- Io andrei dall'estetista piuttosto che seguire questo qui- borbottò Hajime, osservando Oikawa, che appena entrati nel centro commerciale si era fiondato in un negozio di vestiti dall'aria fin troppo costosa e non ne era ancora uscito.
- Tra poco dovremo andare a mangiare, così avrai una scusa per tirarlo via- fece notare Akira.
- Sia benedetto il cibo- sospirò Hajime.
- Vuoi che iniziamo ad andare a prendere i posti?- il luogo era caldo e Yutaro temeva che Kunimi potesse stancarsi entro la mattinata.
- Conoscendo gli idioti vorranno fare qualcosa di faticoso nel pomeriggio, per cui vi conviene- affermò Hajime.
Akira, nonostante avesse deciso di provare a resistere il più possibile, a quelle parole decise di fare come gli altri due gli stavano suggerendo e si allontanò con Kindaichi.
Hajime cercò di capire se avesse fatto bene a mandare via le sue uniche fonti di distrazione in quel momento mentre si avvicinava ad Oikawa.
- Trovato qualcosa?- gli chiese.
- Molte cose!- esclamò Toru, felice; si era dimenticato quanto gli piacesse fare shopping.
- Se scegli in fretta prometto di portarti a fare compere più spesso- affermò Hajime.
- Sei il migliore Iwa-chan!- esclamò Toru, afferrando l'ennesima maglietta - tu non vuoi niente?-.
- Passo grazie, la fissa per l'abbigliamento la lascio a te- affermó.
- Almeno uno per coppia la deve avere- commentò Toru, allontanandosi verso un altro reparto e lasciando indietro un Hajime pietrificato.
Il più basso scosse la testa e riprese a seguire l'altro: Oikawa aveva probabilmente parlato intendendo come coppia due amici, non certo altro.
Gli andó dietro ancora per una decina di minuti, prima che il castano si decidesse finalmente a comprare ciò che aveva preso.
- Vado a vedere se gli altri sono già a mangiare- annunciò Hajime mentre l'altro pagava. Uscì dal negozio, e nonostante fosse comunque all'interno di una struttura gli sembrò quasi di respirare un'aria molto più fresca.
Dato che il negozio dove si era infilato Oikawa era un piano superiore rispetto alla zona del cibo, Iwaizumi dovette affacciarsi dalla balaustra per cercare i suoi amici. Notó che Kindaichi e Kunimi erano già seduti, e c'erano anche Nishinoya, Tanaka, Asahi ed Ennoshita; vide qualcun altro arrivare da lontano, ma ancora avevano un po' di tempo.
- Grazie mille- Toru sorrise alla commessa, prese il sacchetto ed uscì dal negozio. Vide Iwa-chan affacciato alla balaustra e fece per andare verso di lui, ma si bloccó: la sua vista stava iniziando ad essere sfocata.
Perché non lo spingi giù?
No, lui non avrebbe mai potuto fare del male ad Iwa-chan.
Lui vuole che torni a soffrire, devi liberartene.
Iwa-chan gli voleva più bene di chiunque altro, lo sapeva.
Se ti volesse davvero bene, mi odierebbe? Dopotutto sono parte di te.
No, Iwa-chan odiava Kirai perché sapeva che gli faceva del male.
Ne sei sicuro? Magari vuole solo che tu rimanga debole per poterti manipolare più facilmente.
No, Iwa-chan non l'avrebbe mai manipolato. E non aveva mai pensato che fosse un debole.
Se non sei un debole, come mai mi hai creato?
Senza accorgersene, Toru era arrivato alle spalle di Iwaizumi.
Io ti servo per essere forte. Senza di me tu non sei niente, di lui invece puoi fare a meno.
Oikawa allungò le mani: sarebbe bastato poco no? Nessuno gli avrebbe dato la colpa, Kirai l'avrebbe protetto.
Hajime vide gli occhi di Kindaichi spalancarsi mentre guardava verso di lui, ma gli fece cenno di non preoccuparsi.
- Vuoi farlo davvero, Shittikawa?-. Oikawa si fermò. Come sapeva che era lì?
Hajime si voltò; afferró una mano del castano e se la portó al petto.
- Allora idiota? Che aspetti? Vuoi farti manipolare così facilmente?- il suo tono era neutrale. Sapeva che Toru non gli avrebbe mai fatto del male; doveva aiutare l'amico a contestare Kirai ad ogni costo.
Visto? Pensa che tu sia un debole: dimostragli che non è vero.
No, Iwa-chan si fidava di lui. Si era sempre fidato.
- Taci- sussurrò. Nella sua testa quella parola rimbombó prepotente, e la vista gli tornò normale. Sentí la presenza di Kirai allontanarsi, anche se non era sparita.
Crolló in avanti ed Hajime lo afferró, stringendoselo al petto.
- Scusami Iwa-chan, perdonami, io...-.
- Non mi faresti mai del male Shittikawa- affermò Hajime.
- Pensi sia debole?- mormorò Toru.
- No, penso tu sia buono. E che mi voglia bene- dichiarò il più basso. A Toru sfuggì un sorriso.
- Grazie Iwa-chan-. Hajime non seppe dire se quello fosse stato un passo avanti o meno. Sembrava che Kirai non avesse cercato di prendere il controllo, più che altro di obbligare l'altro a perderlo. Però Toru aveva resistito, ci era riuscito.
- Dai Shittikawa, riprendi le borse che hai abbandonati davanti al negozio e andiamo a mangiare-.

- Ma non si erano divisi?- chiese Keishin, stupito nel vedere che tutti i ragazzi erano seduti a mangiare.
- Si saranno dati appuntamento qui; dopotutto mangiano insieme da tre anni- commentò Itetrsu con un sorriso.
- Sono proprio uniti eh?- mormorò il biondo. Erano andati in giro tutta la mattina per tenere d'occhio i ragazzi, e nonostante qualche piccolo problema sembrava che se la stessero cavando tutti perfettamente.
- A volte penso siano più maturi di noi- commentò Ittetsu, che stava cercando in tutti i modi di mantenere una certa professionalità quando era con il dottore. Cosa che non gli riusciva molto bene, ma Ukai non voleva farglielo notare per non metterlo in imbarazzo.
- Dovresti rilassarti anche tu oggi- affermò il biondo.
- Sono il loro responsabile- gli ricordó l'altro.
- Può divertirsi responsabilmente-. Per qualche motivo quella frase al direttore sapeva di doppio senso, ma il dottore gli sembrava serio.
- A cosa stava pensando?- gli chiese quindi Ittetsu.
- Hinata e Kozume stanno mangiando tranquillamente e Tsukishima è abbastanza lontano dalla gente. Iwaizumi non sta picchiando Oikawa, quindi deduco sia tutto a posto. Mentre loro mangiano possiamo andare un po' in giro anche noi; non mette piede fuori da quel posto da tre anni no? Non si preoccupi, i collaboratori di Shimada li terranno d'occhio- dichiarò Ukai.
Ittetsu era restio a lasciare lì i ragazzi, ma doveva ammettere che non sembrava una cattiva idea.
- E va bene; andiamo-.

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Capitolo 19
*** CAPITOLO XIX. ***


- Da quanto tempo non mangiavo il gelato!- esclamò Ittetsu, continuando a camminare.
- Direttore, non hai proprio una vita oltre al lavoro vero?- commentó Keishin.
- Gestire qualcosa non è così semplice, ti porta via tutto il tempo, soprattutto se la gente ci vive e... Oh, quel libro lo aspetto da tempo!-.
Keishin rabbrividì: non amava le librerie, ma dato che l'altro si era fiondato all'interno di una di esse senza problemi non potè fare altro che seguirlo.
Osservò Ittetsu girare felice come un bambino e sorrise; alla fine aveva fatto bene a proporgli di allontanarsi, quell'uomo aveva bisogno di un po' di gioventù. Dopotutto era appena trent'enne, non era così vecchio da dover rinunciare completamente al divertimento. Anzi, a suo parere non si era mai troppo vecchi per rinunciarvici. Sperava che anche i ragazzi imparassero quella lezione: il mondo aveva bisogno di meno problemi e più divertimento.

- Shoyo, puoi venire con me?- Kenma si alzò e si voltò verso l'amico, che annuì sorpreso alla sua richiesta e si alzò a sua volta.
- Dove andate?- chiese Tetsuro.
- Segreto- prima che il corvino potesse dire altro, i due sparirono tra la folla.
- Pensi stia male? Magari lui ed Hinata...- mormoró Yaku.
- Hinata al momento sta bene, non è quello- lo rassicuró Tobio, che sapeva bene quando l'altro avesse bisogno di scappare in bagno, ma non era quello il momento.
- Stessa cosa per Kenma- confermó Tetsuro, che comunque non comprendeva il motivo di quell'abbandono improvviso.
- Dove stiamo andando?- chiese Shoyo, felice che Kenma avesse chiamato lui per quella camminata improvvisa. Amava stare con Kageyama, ma ultimamente aveva passato poco tempo con l'amico biondo ed un po' gli dispiaceva.
- Ti ricordi il negozio di peluche di prima?- gli chiese Kenma. Non gli piaceva stare in mezzo a tutta quella gente, sentiva i loro sguardi addosso e li odiava: si era dimenticato di quella sensazione. Non avrebbe voluto separarsi da Kuuro, ma la situazione lo richiedeva; e inoltre la compagnia di Shoyo lo faceva stare più tranquillo. Lo aveva visto stare male, i loro disturbi erano simili quindi in quegli anni non erano state rare le volte in cui si erano ritrovati nella stessa situazione di malessere, ma la gioia che mostrava l'arancione negli altri momenti tranquillizzava Kenma. Non nel modo in cui lo rassicurava stare con Kuuro, ma abbastanza da sopportare la folla.
- Certo!-.
- Ecco, Kuuro è stato tutta la mattina con me in sala giochi e volevo ringraziarlo. Non sono molto bravo con i regali, ma dato che lui mi ha comprato un peluche...- mormorò.
- È un pensiero molto carino! Vedrai che Kuuro lo apprezzerà; apprezza tutto quello che fai- affermò Shoyo.
- Non esagerare-.
- È vero! Quando stai facendo qualcosa ti guarda sempre in modo orgoglioso e con un sorriso dolce in volto- dichiarò Shoyo. Sapeva bene che Kenma quando faceva qualcosa si concentrava tanto da non accorgersi del mondo esterno, ma pensava che il biondo se ne fosse accorto; non era così, per Kenma quel dettaglio era completamente nuovo.
- Ti stai confondendo con Kageyama- affermó con convinzione.
- Kageyama mi guarda così?- chiese stupito Shoyo.
- Si, ogni volta che sei allegro. Ha quello sguardo da "è la cosa migliore e più perfetta che mi sia capitata" che fa salire il diabete- borbottò Kenma. Il sorriso di Shoyo si allargò.
- Se Kageyama ha davvero lo sguardo come quello di Kuuro, deve amarmi più di quanto pensassi- sussurrò.
La mente di Kenma si bloccó un attimo su quelle parole. Se quello sguardo significava davvero "amore", e se quello che aveva detto Shoyo era vero, allora...
- Oh, ecco il negozio!- esclamò l'arancione, entrando nel negozio di peluche.
Kenma scosse la testa: probabilmente l'amico si era confuso, non sarebbe stata la prima volta.
- Tutto bene?- chiese Shoyo, vedendo che il biondo sembrava pensieroso.
- Mi sento solo un po' pesante- mormorò Kenma. Non era una bugia, aveva davvero l'impressione di aver mangiato troppo.
- Kageyama mi ha detto che è normale sentirsi un po' gonfi dopo i pasti, ma passa- dichiaró Shoyo. Si ripeteva quella frase ogni volta che si sentiva così, come per ricordare a sé stesso che non c'era nulla che non andasse in lui.
Kenma rimase sorpreso nel sentire quelle parole uscire proprio dalla bocca di Shoyo, ma non poté fare altro che concordare.
- Allora, cosa pensavi di prendergli? Sono tutti così carini!- esclamò Shoyo. Kenma iniziò a guardarsi intorno, ed il suo sguardo venne catturato da un gatto nero con lo sguardo curioso.
- Che ci fa Kuuro trasformato in un peluche?- borbottò, facendo ridere Shoyo.
- Vuoi prendergli quello?-. Kenma annuì e prese il peluche dallo scaffale, dirigendosi poi verso la cassa.
- Kageyama mi ha scritto che sono andati alla pista, ci aspettano lì- lo informó Shoyo mentre uscivano dal negozio.
- Shoyo... Tu... Ecco... Come gliel'hai detto? Che ti piace- mormorò Kenma. Mai avrebbe pensato di chiedere consigli del genere, ma non avrebbe neanche mai pensato di darne sulle emozioni ad Akashi.
- Be' mi conosci, non sono bravo a tenermi le cose dentro. Una volta che l'ho capito non ho potuto trattenermi... E l'alcool ed essere chiusi in uno sgabuzzino hanno aiutato- ridacchiò lui.
- Capisco- mormorò Kenma.
- A chi ti devi dichiarare?- chiese Shoyo.
- A nessuno! Era per curiosità- il biondo voltó leggermente la testa in modo che l'altro non vedesse la sua espressione.
- Certo, fingerò di crederci... O ecco gli altri!- Shoyo aumentó il passo e Kenma fu costretto a fare lo stesso per non perdersi.
La maggior parte dei ragazzi erano già dentro la pista, e tra quelli fuori c'erano Kageyama e Kuuro che li stavano aspettando.
- Non vale, sui pattini sembri più alto- si lamentó Shoyo, raggiungendo Kageyama.
- Ma lo sarai anche tu no?- gli fece notare Tobio. Vide gli occhi del più basso illuminarsi mentre afferrava i pattini. Shoyo si appoggiò a lui per indossare le nuove scarpature, dopodiché entrambi salirono sulla pista.
- Sai pattinare?- chiese Shoyo.
- No, tu?-.
- No-. I due si guardarono un attimo, cercando di capire cosa fare.
- Ehm, potremmo forse...- Shoyo provò a muoversi, ma sentì il terreno mancarsi sotto i piedi; si aggrappò a Tobio, che intanto aveva cercato di muoversi per afferrarlo, ottenendo così come unico risultato di cadere entrambi a terra.
Si guardarono e scoppiarono a ridere. Tobio non aveva mai riso così tanto come da quando aveva accettato i suoi sentimenti per Hinata; si chinò verso l'altro e gli diede un bacio.
Shoyo rimase piacevolmente sorpreso da quel gesto, che lo fece sorridere.
Tobio si aggrappò al bordo, riuscendo ad alzarsi, e porse la mano a Shoyo per aiutarlo a fare lo stesso.
- Ci riproviamo?- gli chiese.
- Tutte le volte che vuoi-.
- Quei due si ammazzeranno- dichiarò Kenma.
- Almeno lo faranno insieme- rise Tetsuro.
- Adesso mi spieghi il motivo della fuga di prima?- gli chiese; non gli era sfuggito che il biondo avesse nascosto qualcosa dietro la schiena, e stava resistendo alla tentazione di sbirciare... Cosa che non gli sarebbe stata difficile data la diversità d'altezza.
- Ehm... Ecco..- Kenma non sapeva esattamente cosa dire, per cui tirò fuori il peluche e lo porse a Kuuro - volevo ringraziarti per il regalo e per essere stato con me in sala giochi- mormorò, con lo sguardo basso.
Dopo qualche secondo senza risposta, Kenma alzò la testa e vide le lacrime negli occhi di Kuuro.
- Kuuro? Stai bene?- non fece in tempo a finire la domanda che si trovò stretto tra le braccia dell'altro.
Era raro che Kenma gli mostrasse affetto, soprattutto con gesti simili, e nonostante non ne avesse bisogno per sapere quanto l'altro gli volesse bene, era felice che il biondo riservasse solo a lui quei piccoli gesti d'affetto che lo facevano sentire speciale.
- Grazie gattino- sussurrò Tetsuro.
- Kuuro è solo un peluche...- mormorò Kenma, imbarazzato, ma felice di aver avuto quell'idea.
- È un tuo regalo, non potrà mai essere solo un peluche- sussurrò Tetsuro. Kenma sorrise.
- Lo metto insieme al mio?- gli chiese.
- Certo: non si separeranno mai- affermó Tetsuro, staccandosi dall'abbraccio e osservando il bassino andare ad appoggiare il peluche di fianco al gattino che gli aveva preso prima, lasciato su una panchina insieme a tutti gli altri.
Lo raggiunse e gli passò i pattini. Kenma li guardò per un attimo e Tetsuro sospirò.
- Te li metto io- affermò, chinandosi ed afferrando i pattini. Kenma si tolse le scarpe ed osservó Kuuro. Si era sempre preso cura di lui, ogni giorno da quando si erano conosciuti; nonostante il biondo fosse restio a fare nuove conoscenze o avere amici, Kuuro non si era tirato indietro, e per quanto lo spronasse a provare ad uscire qualche volta non l'avrebbe mai obbligato a fare qualcosa che non voleva.
Quando aveva iniziato ad avere problemi di derealizzazione, una parte di lui era stata felice di potersi prendere per una volta lui cura dell'altro. Kuuro era indispensabile nella sua vita, non avrebbe voluto perderlo per niente al mondo.
Si morse il labbro; se gliel'avesse confessato, l'avrebbe perso? Non poteva permetterselo. Ma quanto ancora avrebbe dovuto trattenersi? Non era impaziente come Shoyo, ma ogni tanto si chiedeva cosa gli avrebbe risposto Kuuro, come l'avrebbe presa, se fosse rimasto comunque al suo fianco.
Si, di quello ne era certo: Kuuro sarebbe sempre stato al suo fianco.
- Fatto- Tetsuro si alzò e gli porse la mano; Kenma la afferrò e, un po' traballante, seguí l'altro verso la pista.
- Sei pronto?-.
- Neanche un po'-. Tetsuro rise.
- Non preoccuparti: ci penso io a te- affermó Tetsuro. Kenma fece un piccolo sorriso.
- Allora mi affido a te-.

- Asahi-san, apri le gambe-.
- Non scivolo?-.
- Fidati, apri leggermente le gambe-. Asahi fece un respiro profondo, strinse più forte le mani di Nishinoya ed aprì leggermente le gambe. Rischiò di scivolare, ma Yu lo aiutò a tenersi in piedi.
- Bene; ora seguimi- Yu si spinse leggermente, iniziando a pattinare all'indietro, stando attento a non andare contro nessuno. Nella sua vita aveva provato praticamente di tutto grazie alla sua energia ed a suo nonno, ed era felice che gli stesse tornando utile.
- Tieni la schiena più dritta- gli consigliò. Asahi fece come gli era stato detto e dopo un po' iniziò a rilassarsi.
- Provo a lasciarti?- gli chiese Yu.
- Non ci provare!-. Il più basso rise.
- Noyassan sei un figo!- esclamò Tanaka, passando dietro di loro.
- Tanaka non ti sbilanciare!- Ennoshita non fece in tempo a finire la frase che Tanaka scivolò ed entrambi caddero.
- Anche tu Ryu!- urlò Yu, ridendo. Poi abbassò lo sguardo.
- Asahi-san, per quello che hanno detto quei tipi prima...-.
- Nishinoya, non devi preoccuparti per me. Non voglio più ascoltare le opinioni di persone che non mi conoscono- affermò Asahi.
- Sei maturato, Asahi-san- dichiarò Yu.
- Sono il grande della coppia no?- gli ricordó.
- Asahi-san, non sono un bambino- borbottò Yu.
- No, non lo sei- Asahi si diede una leggera spinta e si avvicinò a lui - ma mi piace vederti allegro e spensierato, quindi voglio pensarci io ad essere quello maturo per poter continuare a vedere questo lato del tuo carattere- dichiarò. Yu si sentì arrossire leggermente; non pensava che Asahi amasse così tanto quel suo lato.
Approfittando dell'aiuto del ghiaccio, tirò il maggiore verso di sé, facendogli poggiare le mani sui suoi fianchi, e lo baciò.
Asahi dopo un attimo di stupore ricambió, dimenticandosi per qualche secondo della pausa di trovarsi sul ghiaccio.
- Pensavo volessi aspettare che guarissi- sussurró Asahi poi.
- Sono un bambino testardo ma anche capriccioso- affermò Yu.
- Quindi ogni tanto dovrò darti qualche ricompensa per essere un bravo bambino?-. Yu spalancó la bocca.
- Non ti facevo così audace Asahi-san!- esclamò, e questa volta fu il maggiore ad arrossire.
- Non intendevo quello!-. Yu scoppiò a ridere.
- Tranquillo, per quello aspetterò- dichiarò, riprendendo a pattinare.
- Farò più in fretta di quanto immagini-. Asahi non vedeva l'ora di essere finalmente libero per poter rispettare quella promessa: avrebbe tolto ogni peso delle spalle di Nishinoya per vederlo sempre felice.

- La pista non ti ha fatto niente di male- commentò Yutaro.
- È scivolosa- mormorò Akira.
- È ghiaccio-. Era già strano che Kunimi avesse accettato di entrare in pista, ma farlo pattinare sarebbe stato arduo.
- Se non vuoi farlo non siamo obbligati- gli ricordó Yutaro. Akira sospirò: l'idea di faticare non lo allettava, però per una volta voleva provare a divertirsi.
- Tu mi sosterresti?- mormoró.
- In ogni momento- affermò Yutaro. Akira fece un respiro profondo e si staccò dalla parete.
Yutaro lo seguì, facendo scivolare la mano in quella dell'altro ragazzo, ed iniziò a pattinare lentamente.
Akira si affidò completamente a lui, come aveva ricominciato a fare nell'ultimo periodo. Yutaro era felice che l'amico sapesse di poter contare così tanto su di lui; era tornato ad essere il suo protettore, e non intendeva rinunciare a quel ruolo. Gli avrebbe dato tutto ciò che aveva, non gli dispiaceva sforzarsi anche al posto dell'altro. Lui lo amava, e finché aveva il suo amore gli andava bene vivere per lui.

- Potrei inciampare e cadere! Finirò sicuramente per tagliare qualcuno con il pattino! Andremo tutti all'ospedale!-. Kyoko non potè fare a meno di ridere.
- Non farai male a nessuno. Fidati di me ok?-. Yachi fece un respiro profondo ed annuì. Anche prima di sviluppare la sua fobia, era sempre stata una ragazza piuttosto ansiosa, ma voleva fidarsi dell'amica.
- Bene: io mi allontano di qualche passo e tu vieni verso di me, d'accordo? Scivola come faccio io- Kyoko si girò e percorse un breve tratto, in modo da mostrare all'altra come fare. Si voltò, incoraggiando l'amica a fare lo stesso.
Sapeva che Yachi in quel momento si affidava completamente a lei, ma per qualche motivo non si sentiva in ansia.
Yachi mosse lentamente un piede e poi l'altro; i movimenti non le uscivano fluidi come a Kyoko, ma riuscì ad arrivare dall'altra senza cadere.
- Bravissima!- esclamò Kyoko, sorridendo. Yachi si sentì scaldare il cuore e sorrise a sua volta.
- Grazie, Kyoko-san-.
- Continuiamo?- Yachi annuì: ormai era pronta a seguirla ovunque.

- Guarda Akashi, su una gamba sola!- Koutaro non fece in tempo ad alzare la gamba che si ritrovò con il sedere per terra.
- Stai bene, Bokuto-san?- Keiji lo raggiunse velocemente.
- Sono caduto- Koutaro mise il broncio, ma sapevano bene entrambi che non se l'era presa per la caduta.
Keiji si chinò e gli diede un bacio; Koutaro sorrise e si tirò su.
- Adesso sto bene!- dichiarò, riprendendo a pattinare.
- Dici che è il caso di disturbare il mio bro?- chiese poi. Keiji lanciò uno sguardo a Kuuro, che stava cercando di insegnare ad un Kenma piuttosto impaurito a stare in equilibrio sui pattini.
- Lasciamoli un po' da soli- consiglió Keiji.
- Ci stanno imitando tutti eh?- ridacchiò Bokuto.
- Vorranno essere felici come noi, Bokuto-san-. Gli occhi di Koutaro si illuminarono mentre si voltava verso il corvino.
- Io ancora ho poco contatto con i miei sentimenti, non sono tornati normali diciamo, però... Si, con te sono felice- concluse Keiji. Koutaro lo tirò a sé e lo bacio.
Keiji era davvero certo di essere felice. Anche solo riuscire ad ammettere che le sue emozioni non erano sparite ma solo bloccate era un grande passo avanti per lui. Voleva stare con Bokuto, sapeva di amare quel ragazzo, e non vedeva l'ora di potergli esprimere tutti i suoi sentimenti senza avere più freni.
Anche Koutaro sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma gli bastava sapere che Akashi stava bene con lui, vederlo sorridere ogni tanto, a modo suo, e poterlo amare senza freni.

- Yamaguchi, sei sicuro di stare bene?-.
- Benissimo-.
- E perché ti sei attaccato a me come un koala?-.
- Per non scivolare-.
- È ghiaccio Yamaguchi, è scivoloso-.
- Non se sto fermo aggrappato a te-.
- Non è che non è più scivoloso, sei tu che non scivoli-.
- Non puoi semplicemente fingere di starmi abbracciando?-. Kei alzò gli occhi al cielo e abbracció il verde, che sorrise.
- Stai bene?- gli chiese nuovamente. Stavolta non per il terreno instabile su cui si trovavano, ma perché stare in un posto rumoroso in mezzo alla gente avrebbe potuto riportare a galla il trauma dell'amico.
In realtà, da quando Tadashi lo aveva scoperto aveva iniziato a reagire molto meglio a ciò che prima gli dava fastidio; Kei però aveva comunque notato che l'altro ogni tanto sussultava quando sentiva rumori forti o il suo sguardo si perdeva nel vuoto.
- Sto bene Tsukki, davvero- Tadashi era molto più felice di sapere cos'aveva fatto ma di poter rimanere al fianco di Tsukki, che rimanerne all'oscuro e sentirsi lontano da lui.
- Alla fine mi sa che ho fatto la scelta sbagliata a non parlartene- ammise Kei. Credeva che così facendo avrebbe potuto proteggere Yamaguchi, invece l'amico stava reagendo molto meglio di quanto pensasse.
- No, hai fatto bene: senza di te non ci sarei riuscito. Insomma, non che prima non ci fossi, non ce l'ho mai avuta con te per la tua malattia, però ora mi sono reso conto che avevo proprio bisogno di uno dei tuoi abbracci-. Tadashi sapeva perfettamente che Tsukki l'aveva tenuto lontano dal suo trauma per proteggerlo finché non fosse stato pronto, e a lui interessava sapere che l'amico aveva agito in buona fede per lui. Certo, avrebbe voluto evitare di passare certi brutti momenti, ma ora era felice che si stesse risolvendo tutto nel migliore dei modi.
- Attenzione!-. Tadashi avvertì l'urlo di Tanaka, che stava andando contro di loro ad una velocità incredibile, ed in qualche modo riuscí a spingere via Tsukki dalla sua traiettoria. Kei lo afferrò per il braccio, portandolo lontano con sé in modo che non fosse travolto dal pelato.
- Stai bene?- si chiesero contemporaneamente. Tadashi aveva paura che vedere arrivare il ragazzo contro di loro avrebbe potuto spaventare Kei, che però era molto più preoccupato del lampo di paura che era passata negli occhi dell'amico nel sentire quell'urlo.
- Che idiota- borbottò Kei, osservando Tanaka che si era schiantato contro il bordo.
- Scusatemi, state bene?- chiese il pelato, voltandosi verso di loro.
- Si tranquillo- Tadashi gli fece un sorriso, ma Kei notò che non era completamente calmo.
Lo prese per mano ed inizió a pattinare verso Bokuto e Akashi, gli unici fermi in quel momento.
Fece per chiamarli, ma poi si bloccó. Strinse più forte la mano di Yamaguchi, che lo guardò confuso, e poi alzo lentamente la mano. Sentì il suo corpo tremare leggermente; Tadashi, capendo le sue intenzioni, gli mise una mano sulla schiena come per sostenerlo.
Kei provò a concentrarsi solo su quel contatto e sul ragazzo di fronte a lui; ignorando la voglia di allontanarsi, picchiettó leggermente sulla spalla di Bokuto.
Il più grande si voltò e spalancò gli occhi.
- Porto Yamaguchi a prendere qualcosa da mangiare. Torniamo qui dopo- annunciò.
- Tsukki tu hai...-. Akashi diede una lieve gomitata a Bokuto per bloccare la sua frase.
- Va bene-.
Kei si voltò e si allontanò, andando verso l'uscita dalla pista.
- Sei stato fantastico Tsukki!- una volta che furono fuori, Tadashi non resistette ed abracció il biondo.
Kei avrebbe voluto dire che non era stato niente di che, ma preferirí godersi quell'abbraccio.
- Ho preso il coraggio da te- dichiarò.
- Da me? Io non sono una persona coraggiosa- mormorò Tadashi.
- Sei il più coraggioso di tutti- Kei si chinò e sfiorò le labbra dell'amato, che diventò completamente rosso.
- Andiamo a prendere un gelato?-. Tadashi annuì, incapace di dire altro, e lo seguì.

- Mi dici perché non vuoi pattinare?-.
- Sto osservando gli altri-.
- Li osservi da mezz'ora-.
- Non mi va molto oggi-.
- Shittikawa, tu ami pattinare. E ami fare vedere agli altri quanto sei bravo a pattinare. Mi dici che ti succede?- insistette Hajime.
Toru sospirò e chiuse gli occhi.
- Ascolta la canzone che c'è adesso-. Hajime provò a concentrarsi sulla melodia riprodotta dagli autoparlanti del luogo.
Era una canzone che aveva già sentito.
I get overwhelmed so easily
My anxiety keeps me silent
When I try to speak
What's come over me?
Feels like I'm somebody else
Si voltò verso Oikawa, che aveva un sorriso triste.
- È azzeccata non trovi?- mormorò Toru. Nonostante l'amico l'avesse già rassicurato, non riusciva a togliere dalla sua mente il pensiero che in qualsiasi momento sarebbe potuto impazzire e fare del male a qualcuno.
Quando sentiva Kirai vicino si lasciava sopraffatte dall'ansia, non riusciva più a parlare e muoversi come voleva e alla fine veniva come rinchiuso in un luogo buio in cui non riusciva a vedere e sentire niente.
Non voleva più provare quelle sensazioni, e neanche rischiare di fare di nuovo del male a qualcuno.
- Shittikawa, andiamo a pattinare-.
- Iwa-chan, non voglio che lui mi porti via anche questo- affermò Toru.
- Ci sono io, non lo farà. Muoviti o vado a pattinare con Kageyama-.
- Sei un ricattatore Iwa-chan- borbottò Toru, ma si staccò comunque dalla balaustra. Spalancò la bocca quando Hajime gli prese entrambe le mani, mettendosi davanti a lui e trascinandolo al centro della pista.
- Iwa-chan, sicuro di ciò che stai facendo?- mormorò Toru.
- Conosco un remix di questa canzone- lo interruppe Hajime, ed inizió a canticchiare.
So just don't get overwhelmed
And you'll make it out
Then you'll be just fine
I promise You don't have to worry bout a thing
Don't let it break you down
You got me by your side
And when you feel the difference it will be night and day
Toru lo osservò in silenzio: era raro che l'amico cantasse, ma la sua voce gli era sempre piaciuta. E unita a quelle parole, lo stava facendo calmare.
- Shittikawa, potrei accettare che tu ti arrendessi se fossi da solo. Ma non lo sei; ci sono io al tuo fianco. Hai paura che lui faccia del male a qualcuno? Non fargli prendere il controllo: sei tu l'unico e solo Toru Oikawa, l'unico che il mondo vuole. Non lasciarti sopraffare dalle insicurezze, sei perfetto così come sei- dichiaró Hajime. Sapeva che l'amico gli avrebbe rinfacciato per sempre quelle parole, ma per salvarlo avrebbe corso il rischio.
- Da quando pensi io sia perfetto Iwa-chan?- Toru sorrise, riacquisendo un po' della sua solita espressione sicura.
- Da sempre idiota. E non te lo ripeterò più, per cui vedi di fartelo bastare- dichiarò Hajime. Toru rise.
- Lo farò Iwa-chan; tanto so che continuerai a dimostrarmelo-. Hajime si sentì arrossire leggermente.
- Ogni tanto anche tu hai bisogno di rassicurazioni no? Ma lo faccio solo perché so che sei in grado di reagire, quindi vedi di muoverti a farlo così posso tornare a prenderti per il culo-.
Toru fece un sorriso sfrontato, uno di quelli che faceva sempre quando voleva convincersi di essere sicuro di sé, e si avvicinò di più a Iwa-chan.
- Se lo dici tu, allora posso fare tutto-.

- Sicuro di essere capace pattinare?- rise Chikara, dopo aver visto Tanaka schiantarsi per l'ennesima volta.
- So andare sui pattini! È solo che voglio provare ad andare veloce- ribatté l'altro, alzandosi.
- Perché ti sbilanci troppo. Prova a mantenere il baricentro più stabile-.
- In parole comprensibili?-. Chikara alzò lo sguardo al cielo e si avvicinò a lui.
Gli appoggiò le mani sui fianchi.
- Devi mantenere il bacino stabile e le ginocchia leggermente piegate; tu cambi posizione quando aumenti di velocità, invece devi mantenere questa- alzò lo sguardo e notò che l'altro lo stava fissando.
- Hai capito?- fece per spostare le mani, ma Ryu gliele afferrò e le mantenne salde sui suoi fianchi. Aveva sempre avuto una passione nell'ascoltare l'altro parlare e spiegare, amava il modo in cui sembrasse serio ma avesse comunque un sorriso gentile e dolce. Aveva un debole per quel contrasto. Aveva un debole per quel ragazzo in generale, si era già maledetto per non essersene accorto prima.
- Tanaka?- Chikara iniziava a sentire le sue guance arrossarsi per l'intensità dello sguardo dell'altro.
- E se per sbaglio mi sbilanciassi verso di te?- Ryu riuscì finalmente a parlare.
- Significherebbe che stai tenendo il fondoschiena troppo in fuori e...- Chikara si fermò, capendo che ciò che voleva l'amico non era una spiega tecnica - e sicuramente non mi sposterei se tu dovessi per qualche motivo venire verso di me- concluse.
Ryu sorrise e si piegó leggermente in avanti, ma si bloccó, sentendo un fastidioso dolore alla testa.
Qualcuno gli andò addosso.
- Oh scusa amico!- Ryu ignorò Nishinoya, che gli era sicuramente andato addosso apposta per farlo finire più vicino ad Ennoshita. D'un tratto, come se l'amico gli avesse passato la sua impulsività, il mal di testa sparí e lui sorrise.
Chiakara sentí il cuore battere come un martello pneumatico mentre l'altro si avvicinava lentamente, fino a premere insieme le loro labbra. Si trattava pur sempre di Tanaka, quindi il bacio non fu per niente dolce, anzi, dopo il primo contatto Ryu aveva messo una mano dietro la nuca di Ennoshita per tirarlo verso di sé ed approfondire subito il bacio.
Chikara, che aveva aspettato quel momento per tre anni, andò completamente in tilt e si strinse a Tanaka come per aggrapparsi a lui ed essere certo che non fosse un sogno. Ma ne era certo: in quel momento, non c'era niente di falso.

- Dovremmo ricordargli che sono nel mezzo di un centro commerciale?- rise Yaku.
- Perché vuoi rovinargli il momento?-.
- Non è mia intenzione, ma temo che quando se ne accorgerà Ennoshita morirà d'imbarazzo-.
- Se vuoi possiamo imitarli per farli sentire meno soli- commentò Lev.
- Non hai proprio pudore- borbottò Yaku, dandosi una lieve spinta per riprendere a pattinare. Si sentì però bloccare per il polso.
- Stai bene?- gli chiese Lev quando si girò. Yaku corrugò la fronte.
- Si perché?-.
- Non mi hai picchiato- Lev non notava segni strani sul volto di Yaku, ma era tutto il giorno che gli sembrava più calmo del solito.
- Vuoi che ti meni? Con i pattini fa male eh- gli fece notare il più basso.
- Evito volentieri! Ma oggi sei incredibilmente gentile-.
- Hey, io sono sempre gentile!- Yaku mise il broncio e Lev sorrise.
- Adesso sì che ti riconosco, Yaku-san- affermó. Yaku sospirò.
- Sto solo cercando di godermi questa giornata; è la prima volta da anni che vedo il mondo reale-. Lev capí che non parlava del tempo che avevano passato all'ospedale, ma del periodo precedente, quando le allucinazioni avevano preso il posto della realtà nella mente del maggiore.
- Allora mezzo-russo, pattiniamo si o no?- sbuffò Yaku. Lev sorrise e strinse la presa sul polso dell'altro; adesso poteva farlo, adesso poteva tenerlo.
- Andiamo!- si diede la spinta e riprese a pattinare, portando l'altro con sé.

- Suga, non ti dirà niente nessuno se piangi- affermò Daichi. Koushi aveva visto che Tsukishima era riuscito a toccare Bokuto, e tutti i suoi amici sembravano felici. Vederli così allegri lo faceva commuovere.
- Suga- Daichi diede un colpetto sulla fronte all'amico - cos'abbiamo detto sul non essere genitori oggi?-. Koushi tirò su con il naso.
- Hai ragione, ma sono tanto fiero dei nostri bambini!-. Daichi si girò di scatto, per non fare vedere che era arrossito a quella frase.
- Pensa quando avremo davvero dei figli- mormorò.
- Cosa?- Koushi stava cercando di ricacciare tutte le lacrime e non aveva sentito cos'avesse detto l'altro.
- Che dovemmo goderci anche noi l'essere bambini ancora per un po'- mentí Daichi, voltandosi. Kosuhi sorrise.
- Solo perché stamattina mi hai portato sullo scivolo- lo prese per mano, come poche ore prima il ragazzo aveva fatto con lui, ed iniziò a pattinare.
- Suga, non so andare così veloce- Daichi provò a stargli dietro, ma l'argentato era decisamente più bravo. Kosuhi aumentó la velocità e l'altro gli strinse ancora più forte la mano nel tentativo di avere un appiglio.
L'argentato si voltò e rise nel vedere la goffaggine mostrata dall'altro ragazzo, che fino a quel momento aveva sempre cercato di fare tutto in modo diligente per poter essere un esempio. Gli prese anche l'altra mano ed inizió a girare in tondo, senza smettere di ridere.
Daichi nel vedere il suo volto così felice si dimenticó per un attimo di essere sul ghiaccio e anche di respirare. Amava il modo in cui Suga si prendeva cura degli altri e si comportava da mamma, cercando di aiutare sempre tutti, ma vederlo così felice e spensierato era quasi un sogno. Amava vedere quell'espressione sul volto dell'altro ragazzo, e avrebbe fatto di tutto per vederla per sempre.

Ittetsu si voltò e a Keishin non sfuggì il sorriso tenero che gli comparve nel vedere i ragazzi.
- Si sono addormentati tutti- sussurrò il direttore. Erano tutti crollati appena saliti sul pullman, tutti appoggiati al proprio compagno, ad eccezione di Hinata che era in braccio a Kageyama.
- Ha avuto un'ottima idea a farli uscire- dichiarò il moro, tornando a guardare la strada davanti a lui.
- Il mio compito è aiutarli a guarire no?-.
- Be' si, ma penso che tu stia facendo molto di più. Non li hai solo aiutati a trovare un modo per guarire, li stai anche facendo riadattare al mondo esterno-.
- Mi ha scelto proprio perché non sono un normale psicologo- Keishin sorrise.
- Sono convinto di aver fatto un'ottima scelta- dichiaró Ittetsu, facendo sorridere il biondo.
- A proposito dell'altro discorso...- inizió Keishin; Ittetsu abbassò la testa.
- Mi dispiace per come sono scappato quella notte, non avrei dovuto farlo senza spiegazioni. È solo che ancora io...-.
- Direttore, parlo del fare incontrare ai ragazzi i loro genitori. Ma se preferisce chiedermi un'altra notte di fuoco...-. Ittetsu si sentì avvampare e Keishin rise, piano per non rischiare di svegliare i ragazzi.
- Te l'ho già detto, aspetterò finché non sarai pronto- affermò il biondo.
Ittetsu si morse leggermente il labbro inferiore: gli dispiaceva davvero, l'altro si era mostrato fin troppo disponibile e lui non riusciva a dargli nemmeno una spiegazione.
- Se vuole possiamo parlare un po' stanotte; dato che abbiamo cenato presto abbiamo un po' di tempo no?- mormorò.
- Direttore, dovresti impiegare questo tempo per cercare di capire cosa vuoi fare- è vero che Keishin non voleva fargli pressioni, ma non intendeva neanche entrare in un tira e molla che non sapeva se l'avrebbe portato da qualche parte.
- Scusa, hai ragione- sussurrò Ittetsu. Keishin avrebbe voluto dirgli qualcosa per tirarlo su di morale, ma l'altro era adulto, anzi era anche più grande di lui, ed era giusto che imparasse a capire come agire in relazione con gli altri.
Dovette contenersi per non dire niente. Sperava, un giorno, che entrambi avrebbero potuto essere liberi di dire ciò che volevano senza problemi.

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Capitolo 20
*** CAPITOLO XX. ***


Ittetsu fece un respiro profondo e bussò alla porta della stanza, che dopo un attimo venne aperta.
- Direttore va tutto bene?- chiese Keishin con uno sbadiglio. Era filato a letto appena erano tornati a casa, stanco per la giornata movimentata, dato che non ne affrontava una da un po', e non si aspettava certo una visita a quell'ora.
- Ci ho pensato- annunciò Ittetsu. Keishin sembrò risvegliarsi improvvisamente.
- Vorrei i tuoi servizi. Quanto ti devo pagare?- chiese. Keishin scrutò gli occhi dell'altro: era serio.
- Se hai bisogno di rilassarti con un po' di sesso puoi dirlo senza dover ricorrere ai soldi- lo avvisó. Ittetsu spalancó la bocca ed arrossì.
- Non quel tipo di servizi! Insomma, non che l'altra volta non... Ecco magari un giorno... Però sicuro non... Parlavo della tua professione! Vorrei che mi prendessi in cura come psicologo-.
- Oh- Keishin aveva già capito che il direttore aveva avuto un passato difficile, ma non pensava così tanto - vieni domani sera nel mio ufficio, così ne parliamo, va bene?-. Il direttore annuì.
- Grazie, dottore-. Forse, finalmente sarebbe riuscito a liberarsi dal suo passato.

Le labbra dell'altro finirono di nuovo sulle sue mentre con una mano gli tirava leggermente i capelli e con l'altra gli accarezzava il fianco.
Chikara era rimasto quasi senza fiato per via dell'attacco a sorpresa del compagno; è vero che dal bacio del giorno prima l'altro aveva iniziato a baciarlo a sorpresa, ma non si aspettava di svegliarsi in quel modo.
Il moro poggiò le mani sul petto del pelato, agevolato dal fatto che avesse dormito senza maglietta, iniziando ad accarezzargli i pettorali. Aveva sempre avuto un debole per il fisico muscoloso di Tanaka, ma non avrebbe mai pensato di poterlo toccare così un giorno.
- Buongiorno- sussurrò Ryu contro le sue labbra.
- Solitamente si dice prima di assalire qualcuno- ridacchiò Chikara.
- Non ti piace essere svegliato in questo modo?- Ryu si chinò e diede un bacio sul collo dell'altro.
- Molto- si lasciò sfuggire Chikara in un sospiro. Ryu sorrise e tornò a baciarlo. Non sapeva se fosse stato l'aver scoperto la verità, l'aver rivisto Yamamoto o l'essere riuscito finalmente ad accettarsi, ma adesso che si era accorto dei suoi sentimenti per l'altro non riusciva a fermarsi. Era come se fosse stato l'otre dei venti: una volta aperto, il suo amore aveva iniziato a sgorgare fuori e non era più riuscito a fermarsi.
I due continuarono ancora per un po', prima che Chikara facesse notare che continuando così avrebbero fatto tardi per la colazione.
- Ti ho visto a tuo agio ieri con Asahi- commentò Ryu mentre si vestivano. Chikara, seduto sul bordo del letto, annuì.
- Si; non so perché, ma è come se mi fossi reso conto che le mie paure non hanno senso. Dopotutto io non sono nessuno, non vedo perché il mondo dovrebbe rapire i miei amici e sostituirli con dei sosia: vivere con quest'ansia è inutile- dichiarò. Alzò lo sguardo quando vide una figura pararsi davanti a lui, trovandosi di fronte il volto serio di Tanaka... Ancora senza maglietta.
- Tu non sei nessuno: sei il mio ragazzo. E anche se il mondo mandasse dei sosia per rapirti per la tua magnificenza, ci sarò io a proteggerti- dichiarò.
Chikara sorrise e si alzò, sporgendosi in avanti per dare un bacio all'altro ragazzo.
- Allora mi affido a te; completamente- affermó, sfiorando il corpo dell'altro e facendo passare l'altra mano sul suo, per poi andare verso il bagno lasciando in stanza un Ryunosuke completamente rosso.

Yaku, per qualche motivo, quella mattina si sentiva irrequieto. E non gli piaceva, perché le sue emozioni gli provocavano fin troppe allucinazioni; stava imparando adesso a gestirle, averne troppo non sarebbe stato un bene.
- Che ti succede Yaku-san?- gli chiese Lev, a cui non era sfuggito il fatto che quella mattina il ragazzo non si fosse svegliato molto in forma.
- Non so, ho un brutto presentimento- mormorò Yaku.
- Scusate, qualcuno ha visto la mia forchetta?- chiese Kageyama. Sapevano tutti che lui aveva le sue stoviglie che erano solo sue, nonostante non apparecchiassero praticamente mai. In teoria era compito di Kinnoshita e Narita, gli aiutanti del direttore, ma in realtà l'avevano sempre fatto Suga e Daichi.
Yaku alzò lo sguardo, e l'immagine dei due amici tremolò davanti ai suoi occhi.
- Lev...-.
- Dimmi-.
- Dove sono Suga e Daichi?- non era normale che i due ragazzi mancassero ai pasti, anzi solitamente erano i primi ad arrivare.
Lev si guardò intorno.
- Ragazzi sapete dove sono Suga e Daichi?- chiese agli altri. Tutti scossero la testa.

Daichi fece un respiro profondo.
- Suga, cerca di calmarti-.
- Come sai il mio nome?-. Koushi non riusciva a capire: perché si era svegliato nello stesso letto di quel ragazzo sconosciuto? Dove si trovava?
- Me lo hai detto tu. Ricordi? Il nostro primo giorno qui- Daichi cercò di mantenere un tono calmo e dolce, ma sentiva il suo cuore incrinarsi ogni volta che incontrava lo sguardo vuoto dell'altro.
- Non capisco cosa intendi: dove siamo qui? Devo andare a casa, mamma mi sta aspettando-.
- Tu abiti qui da tre anni. Da quando avevi diciotto anni-. Koushi aggrottò la fronte.
- Ti sbagli, io ho appena sedici anni-. Il cuore di Daichi si incrinò nuovamente.
- Dov'è mia mamma? Sarà preoccupata dopo l'incidente: devo parlarle-. Se Suga ricordava l'incidente, allora la sua memoria era tornata a prima che si ammalasse. Ma perché? Quando la notte prima erano andati a letto stava bene.
- L'incidente in cui hai confuso il freno e l'acceleratore vero? Perché era la prima volta che uscivi in strada e ti sei spaventato- mormorò Daichi. Koushi spalancò gli occhi.
- Come lo sai?-.
- So molte cose Suga. So che tua mamma era sempre malata e per questo tu ti sei imposto di crescere velocemente per aiutarla; so che ami prenderti cura degli altri, sei una persona estremamente gentile e premurosa, e fin troppo buona. Ma ti piace anche essere infantile a volte, andare sullo scivolo, saltare nella neve- Daichi aveva paura, temeva che quei ricordi sarebbero stati gli ultimi che avrebbe condiviso con quel ragazzo. E non voleva.
D'un tratto le pareti intorno a loro sparirono e Daichi vide un enorme prato verde, con vicino a loro uno scivolo.
Cercò di fare dei respiri profondi; sapeva che non era reale, però... Avrebbe tanto voluto che lo fosse stato.
Koushi, vedendo che il ragazzo si era fermato ed aveva iniziato a respirare in modo strano, si avvicinò: nonostante non sapesse chi fosse, voleva aiutarlo. Il modo in cui stava parlando, con uno sguardo carico d'amore negli occhi... Quel ragazzo non mentiva, lo conosceva davvero. E sentiva di potersi fidare di lui.
- Stai bene?- gli chiese. Daichi allungò le braccia e strinse a sé l'altro, chiudendo gli occhi. Koushi ricambiò, un po' imbarazzato, non sapendo bene come reagire.
- Io sono qui per via di queste allucinazioni. Eppure, da quando ho iniziato a parlare con te sono come sparite; mi hai chiesto di sfogarmi, di dirti tutto ciò che mi passava per la testa, e io l'ho fatto. Però c'è una cosa che ancora non ti ho detto. Io voglio continuare a vedere il sorriso che fai quando puoi lasciarti andare, vorrei poterti baciare quando metti il broncio, abbracciarti quando hai paura, sostenerti quando hai bisogno di qualcuno al tuo fianco. Ti prego, devi tornare da me; devi ricordarti di me. Non ricordi che mi avevi promesso che mi avresti aiutato a raggiungere tutti i miei obiettivi? Ora il mio scopo principale è stare con te, non desidero altro. Ti amo Suga, per favore permettimi di rimanere al tuo fianco-. Mentre Daichi parlava senza freno, le lacrima avevano iniziato a scendere sulle guance di Koushi.
- Daichi-. Ricordava quel ragazzo, non avrebbe mai potuto dimenticarlo davvero.
- Si, esatto, sono io, sono Daichi- il moro strinse più forte l'amato, che stava tremando per via del pianto.
- Daichi aiutami, io... Non mi ricordo chi sono-.

- Adesso mi dici perché hai voluto andare tu a controllare?-.
- Non posso fare il bravo amico preoccupato?-.
- Shittikawa fermati- Hajime strinse la mano intorno al polso dell'altro e lo obbligò a voltarsi. Lo sguardo di Oikawa sembrava quasi spento.
- Non stai pensando di avergli fatto qualcosa vero?-. Toru distolse lo sguardo.
- Lo hai detto tu- mormorò.
- Solo perché so che lo pensi. Ma non sei stato tu-.
- Come fai a dirlo? Ho già fatto del male a Kindaichi e Tsukishima- Toru quasi urlò. Non voleva sfogarsi contro il suo migliore amico, sapeva che non era colpa sua, ma il dubbio di aver fatto di nuovo inconsciamente qualcosa di male lo stava logorando dentro.
- Primo: non sei stato tu a fare loro del male. Secondo: ti ho tenuto d'occhio tutta la notte e hai dormito come un ghiro, non sei mai uscito dalla stanza-. Toru aggrottò la fronte.
- Non hai dormito Iwa-chan? Per questo hai quelle occhiaie?-. Hajime sbuffò.
- Non preoccuparti delle mie occhiaie adesso. Hai capito ciò che ti ho detto?-. Toru annuì.
- Bene. Allora andiamo a vedere dove sono quei due- Hajime riprese a camminare verso la camera dei due ragazzi.
- Intendi rimanere sveglio tutte le notti d'ora in poi?- gli chiese Toru, seguendolo.
- Tu non pensarci; ti ho detto che a te ci avrei pensato io no?- gli ricordó Hajime, fermandosi davanti alla porta della stanza e bussando. Si sentì abbracciare da dietro.
- Ma che fai!- esclamò.
- Grazie Iwa-chan, sei il migliore- mormorò Toru. Hajime si sentì arrossire.
- Non eri tu il migliore Shittiwaka?- gli ricordò.
- Possiamo essere migliori insieme. Il migliore deve avere il miglior partner no?- mormorò Toru. Hajime si morse il labbro per non rispondere in modo avventato qualcosa di cui si sarebbe pentito. Voleva essere sicuro di poter proteggere il castano e di stare solo con lui.
- Comunque non ci sono- concluse Hajime, vedendo che nessuno andava ad aprire la porta.
- Li cerchiamo in infermeria?- chiese.
- Passiamo anche dallo psicologo- concordó Toru, staccandosi dall'amico. Tornarono al piano di sotto ed uscirono dalla loro zona; fuori dallo studio, trovarono Daichi, appoggiato contro un muro con gli occhi chiusi.
- Va tutto bene?- chiese Hajime, avvicinandosi. Daichi aprì di scatto gli occhi e guardò verso i due ragazzi; Toru cercó di captare comportamenti ostili verso di lui, ma l'altro ragazzo gli sembrava solo confuso.
- Siamo noi. Che è successo?- chiese. Daichi annuì, come se si fosse accertato che non fossero illusioni, poi guardó la porta dello studio.
- Suga sta male-.

Tobio strinse più forte Hinata, come a volergli vietare di scappare via; sapeva che il più basso era irrequieto e voleva impedire che si arrendesse ai suoi impulsi che ormai era quasi del tutto riuscito ad eliminare.
- Secondo te stanno bene?- mormorò Shoyo.
- Sono Daichi e Sugawara, certo che stanno bene. Saranno stati semplicemente molto stanchi- lo rassicuró Tobio, ma la mancata presenza dei due stava destabilizzando anche lui.
- Non mi va di mangiare- mormoró Shoyo. Se non avesse mangiato poi non sarebbe dovuto andare a vomitare.
- Non puoi non fare colazione piccolo- mormorò.
- Non me la sento- ammise Shoyo. Tobio lo strinse più forte.
- Facciamo così: prendiamo un paio di biscotti e andiamo a mangiarli sotto l'albero in giardino, va bene?-.
- Quello dove mi hai chiamato piccolo la prima volta?- nonostante ci fossero parecchi alberi in giardino Shoyo sapeva che non aveva bisogno di una specifica, ma gli piaceva ricordare quel momento.
- Esatto, quello; va bene?-. L'arancione non era tanto convinto ma annuì.
- Possiamo aspettare due minuti per vedere se tornano?- mormorò.
- Due no, minimo cinque- ribatté Tobio. Shoyo sorrise: adorava la fissa dell'amico per i numeri multipli di cinque. Annuì.
In quel momento in mensa rientrarono Oikawa e Iwaizumi.
- Li avete trovati?- chiese Kuuro, attirando l'attenzione di tutti. Iwaizumi annuì.
- È successo qualcosa?- chiese Tanaka, preoccupato.
- Sugawara ha avuto una... Crisi- affermò Iwaizumi. Tobio strinse Hinata più forte, come per proteggerlo da quelle parole. Shoyo però aveva bisogno di ben più di un abbraccio. Ricordava bene che dal primo giorno Suga aveva cercato di aiutarlo senza forzarlo, a volte lo aveva anche accompagnato in bagno quando si era trovato da solo; come aveva aiutato anche Tobio imparando a memoria l'ordine in cui voleva fosse apparecchiato il suo posto a tavola, e cercando di aiutare anche gli altri a capire le sue manie per farlo sentire a suo agio. Aveva aiutato tutti lì dentro per fare in modo che andassero d'accordo e si sentissero bene.
E pur sapendo che lui non era lì per un motivo diverso dal loro, l'avevano sempre visto come una persona forte. Sapere che stava crollando era un duro colpo anche per loro.
- Si sa il motivo?- chiese Ennoshita. Iwaizumi lasciò che fu Oikawa a parlare, era più bravo in quelle cose.
- Penso sappiate tutti che la sua malattia sia dovuta al fatto che si sente in colpa con sé stesso e si vuole punire. E ora che sta guarendo... Il dottore ha detto che è come se volesse impedire a sé stesso di essere felice. Per un attimo si è dimenticato degli ultimi cinque anni; ora se ne ricorda, ma è ancora in stato confusionale- spiegò.
Shoyo si sentì come se avesse bisogno di vomitare; provó a divincolarsi, ma Tobio lo tenne stretto.
- Sta bene, ok? Sta bene- mormorò. Se non avesse avuto l'altro tra le braccia, probabilmente anche lui sarebbe impazzito.
- Daichi come sta?- chiese Asahi.
- Gli sta vicino- rispose semplicemente Oikawa.
- Vuoi uscire piccolo?- mormoró Tobio. Shoyo annuì. Tenendoselo praticamente in braccio, Tobio si alzò; prese velocemente un paio di biscotti ed insieme uscirono dalla stanza.

- Stai bene Kuuro?- chiese Kenma. Erano tornati in stanza perché lui non si era sentito bene, ma era il corvino ad essere sdraiato sul letto. Kenma si era sistemato di fianco a lui e si era messo a giocare, mentre accarezzava la schiena dell'altro, ma tutto quel silenzio gli faceva strano. Sapeva che Kuuro era ancora lì, ma non capiva cos'avesse.
- Kuuro- lo chiamò ancora Kenma. Tetsuro si voltò verso l'altro, lentamente, come se avesse avuto paura che un movimento di troppo l'avrebbe portato via da lui.
- Dimmi gattino- mormorò. Kenma appoggiò la console e si sdraió di fianco a Kuuro.
- Che succede?- gli chiese. Tetsuro allungò la mano, sempre lentamente, ed accarezzò i capelli all'altro, stupendosi quando Kenma non si spostò. Anzi, si avvicinò di più a lui.
- Kuuro, con me puoi parlare- mormorò Kenma. Non era abituato ad essere lui quello forte, ed aveva un po' paura di non riuscire ad essere il sostegno di cui l'altro aveva bisogno.
- Ti rifarai ancora la tinta?- gli chiese. Kenma aveva iniziato a tingersi i capelli in una specie di momento di ribellione in cui aveva litigato con Kuuro; poi avevano fatto pace, al corvino erano piaciuti e lui aveva continuato a tingerli.
- Pensi che non dovrei?- mormorò.
- Stai bene con qualsiasi taglio, ma così sembri un angioletto- affermò Tetsuro.
- Non sono un angelo- borbottò Kenma.
- Si invece: sei l'angioletto grazie a cui torno sempre sulla terra- dichiarò il moro.
- Solitamente non funzionano così gli angeli- mormorò Kenma.
- Ma tu sei sempre stato diverso no? E lo sai che intendo in senso positivo: per me sei speciale-. Kuuro era l'unico che poteva dirgli che era diverso senza che Kenma si sentisse completamente fuori posto.
- Sei sempre stato il motivo principale per cui voglio tornare indietro; l'unico motivo, in alcuni momenti- la sua mano si poggió sulla guancia del biondo. Allungò il pollice, sfiorandogli il labbro inferiore, leggermente screpolato; Kenma rimase immobile, respirava a malapena, mentre non riusciva a smettere di fissare Kuuro negli occhi.
- Ho sempre cercato di farti sentire a tuo agio con me, in questo mondo; non volevo che te ne andassi. Eppure continuo ad andarmene io. Ho paura che un giorno non riuscirò più a tornare- ammise.
- Perché lo pensi?- Kenma riuscì a parlare a fatica, ma doveva chiederglielo.
- Anche Suga sta sabotando la sua felicità perché pensa di non meritarla no?-.
- Temi che capiti anche a te?- Kenma non poteva immaginare qualcosa che Kuuro non si meritasse.
- L'ho fatto fino ad adesso, se decidessi di smettere di farlo consapevolmente temo che la mia mente mi porterebbe via per sempre- mentre parlava non poteva fare a meno di accarezzare il volto di Kenma. Temeva che quella conversazione sarebbe stata l'ultima; trovava già difficile avvertire il suo corpo. Solo la sua mano sembrava provare ancora sensazioni.
- Come ti stai sabotando?- mormorò Kenma. Aveva notato anche lui che l'altro stava per andarsene, ma voleva provare a continuare a parlarci per vedere se sarebbe riuscito ad evitarlo.
- Sto tenendo lontana dal mio cuore l'unica persona che vorrei sempre al mio fianco. E anche adesso, sto per allontanarmi di nuovo- mormorò. Fece per togliere la mano, ma Kenma ci mise sopra la sua e bloccò il suo movimento.
- Prima che tu te ne vada e venga a riportarti indietro... Posso farti vedere come faccio quando hai i tuoi vuoti?-. Tetsuro sentiva già di non riuscire a percepire più molto, ma dal suo sguardo Kenma capí che era un "sì".
Raccolse tutto il coraggio che Kuuro gli aveva donato in quegli anni e si avvicinò a lui; poggiò le mani sulle sue guance, tirando leggermente il volto di Kuuro verso di sé mentre si sporgeva in avanti per premere le sue labbra contro quelle dell'altro.
Tetsuro spalancò gli occhi: aveva capito da tempo che le volte in cui tornava e non si ricordava cosa fosse successo Kenma faceva qualcosa di diverso per riportarlo indietro, ma solo ora comprendeva come mai l'altro non avesse mai voluto dirglielo.
Kenma si tirò indietro, lentamente, ma ormai Tetsuro aveva riacquisito completamente il controllo di sé. Fece passare un braccio attorno alla vita di Kenma e lo tirò verso di sé, baciandolo nuovamente. Finalmente, erano anni che aspettava quel momento; non aveva voleva farlo finché non avesse avuto la certezza di poter rimanere sempre al suo fianco, ma sapeva bene che per nessun motivo avrebbe mai potuto abbandonarlo.
- Non ti facevo così intrepido gattino- sussurró Tetsuro con un sorriso.
- Taci- borbottó Kenma, ma sorrise nel vedere che era riuscito a trattenerlo lì.
- Hai ancora paura?- gli chiese.
- Con te al mio fianco gattino, non voglio andare da nessun'altra parte-.

- Sicuro di non voler andare in palestra?- chiese Asahi.
- Non ti lascio qui da solo, Asahi-san- affermò Yu, continuando a camminare avanti e indietro. Stava cercando di capire che reazione avesse avuto l'altro alla notizia di Suga, ma ancora non ne aveva idea.
- Se sei preoccupato per me sto bene, davvero. Suga è un ragazzo forte, sicuramente più di me, e con Daichi vicino si riprenderà presto- affermò Asahi.
- Però sei comunque voluto correre qui- gli fece notare Yu, indicando la porta dello studio dello psicologo.
- Voglio solo assicurarmi che non abbiano bisogno di aiuto- mormorò Asahi. Sapeva bene quanto perdere sé stessi fosse doloroso.
Yu si fermò un attimo, spostandosi al suo fianco ed appoggiandogli una mano sul braccio.
- Sei veramente gentile, Asahi-san- affermò, facendo un piccolo sorriso che rassicuró l'altro.
- Grazie- anche ad Asahi sfuggì un sorriso; quel ragazzino lo faceva sentire allegro nonostante tutto.
Si abbassò leggermente e gli diede un bacio sulla guancia, lasciando sorpreso Yu e facendo sorridere ancora di più Asahi; il più basso era di certo molto più intraprendente e vivace, ma quei gesti lo mandavano completamente in tilt.
La porta si aprì ed entrambi portarono lo sguardo su Daichi e Suga.
- Ragazzi! Che ci fate qui?- chiese il primo, confuso.
- Volevamo vedere come steste- affermó Asahi, staccandosi dal muro ed avvicinandosi a loro.
- Scusatemi se vi ho fatti preoccupare- mormorò Suga, portandosi la mano dietro la testa, imbarazzato.
- Come stai ora?- gli chiese Asahi. Vide Daichi allungare la mano e prendere quella dell'argentato.
- Ne usciremo- affermó, e Suga arrossì leggermente. Asahi fece un sorriso tenero.
- Questo è lo spirito giusto!- esclamò Yu, avvicinandosi a loro. Appoggiò le mani sulle spalle di Asahi e spiccó un salto atterrando sulla sua schiena; prontamente il maggiore appoggió le mani sulle sue gambe per sostenerlo.
- Venite fuori a divertirvi con noi?- chiese.
- Tra poco dobbiamo preparare per il pranzo- fece notare Suga.
- Ci penseranno gli altri; tu adesso pensi a divertirti, chiaro?- senza aspettare una risposta, Daichi iniziò a camminare.
- Evviva! Andiamo a divertirci!- esclamò Yu. Asahi sorrise; poteva capire come si sentisse Daichi. Neanche lui avrebbe mai voluto che Nishinoya smettesse di divertirsi; e avrebbe fatto di tutto perché non accadesse.

- Guarda, sono passati!- esclamò Koutaro. Keiji alzò lo sguardo e notò Daichi e Sugawara passare davanti alla stanza.
- Per fortuna sta meglio- commentò.
- Vado a chiedergli come...-.
- Bokuto-san aspetta, magari è meglio lasciarli tranquilli un po'- intervenne Keiji. Koutaro sbuffò.
- Mi annoio! Kuuro è ancora in stanza con Kenma... Come va il tuo manga?- chiese, avvicinandosi all'altro e sbirciando da sopra la sua spalla.
- Non mi ricordo questo momento- commentò, notando che l'amico aveva disegnato lui che si muoveva felice sotto la neve.
- Non è successo... Per ora-.
- Pensavo volessi disegnare ciò che ci succedeva... Oh, stai cercando di prevedere il futuro? Che figo!- esclamò Koutaro. Keiji scosse la testa.
- Ho pensato di scrivere una nuova storia. Lui è il protagonista- affermò.
- Eh? Non sono io?-.
- Mi sono ispirato a te. Fin'ora ho disegnato le emozioni prese dagli altri, vorrei provare a trasmetterle io. Tu sei la persona che mi trasmette più emozioni di tutte, e ho pensato che prenderti come spunto mi avrebbe aiutato... Sempre che a te vada bene- spiegò Keiji. Koutaro sorrise.
- Trasmetto così tante emozioni?-.
- Trasmetti le migliori- Keiji si alzò, intrecciò le mani dietro la nuca di Bokuto e lo tirò leggermente verso di sé per baciarlo. Amava quella sensazione.
Koutaro non perse l'occasione e poggiò le mani sui fianchi di Akashi, tirandolo più verso di sé. Amava alla follia quel ragazzo, lo faceva sentire come se non dovesse preoccuparsi di essere sé stesso; con lui poteva essere felice in ogni occasione.
E Keiji amava le sensazioni che l'altro gli trasmetteva; sperava di poter ricambiare presto con tutto il suo cuore.
- Bene, se vuoi me come protagonista, allora ti starò appiccicato per aiutarti!- Koutaro si sedette sulla sedia occupata poco prima da Akashi, facendo cenno all'altro ragazzo di sedersi sulle sue gambe.
Keiji si sistemó e sentì un paio di braccia circondargli la vita mentre riprendeva in mano la matita.
- Allora, com'è questo protagonista?- chiese Koutaro, appoggiando il mento sulla spalla di Akashi. Keiji si picchiettó la matita sulle labbra mentre ci pensava.
- Be', sicuramente gli piace la neve...-.

- Come le devo sistemare queste, Kyoko-san?- chiese Yachi, ferma di fronte al posto di Kageyama.
Kyoko la raggiunse e cercó di ricordarsi come Suga sistemasse le cose.
Yachi la vide tremare leggermente e poggiò una mano sulla sua.
- Non devi preoccuparti, Kyoko-san; forse me lo ricordo io- Yachi riprese a lavorare, sperando che fosse giusto. Kageyama non se la sarebbe mai presa con lei in ogni caso per aver sbagliato, ma sapeva che non era quello a preoccupare Kyoko.
La maggiore infatti non era abituata ad essere lì da sola; senza Daichi e Suga ad aiutarla temeva di poter sbagliare.
- Kyoko-san?- la richiamò Yachi.
- Scusami; dicevi?- Kyoko alzò lo sguardo, incontrando quello preoccupato dell'altra.
- Qui abbiamo finito- annunciò la bionda. Kyoko sospirò.
- Scusami, ti ho lasciato fare praticamente tutto da sola- mormorò.
Yachi prese le mani dell'altra ragazza tra le sue.
- Kyoko-san, per qualsiasi cosa conta su di me, va bene?-. Era una frase semplice, ma detta con quella determinazione e quella luce negli occhi scaldò il cuore di Kyoko.
La maggiore non seppe trattenersi ed abbracció la minore.
- Grazie Yachi- sussurrò, stringendola. Yachi impiegó un attimo a riprendersi, ma poi ricambiò l'abbraccio.
Anche a costo di prendersi tutti i suoi pesi sulle spalle, l'avrebbe liberata.

Tadashi fissava Tsukki, confuso: era da quando entrano entrati in sala da pranzo che non gli lasciava la mano. È vero che erano successe molte cose, ma era comunque un comportamento inusuale. Kei aveva passato la mattina a suonare per distrarre Yamaguchi dalla notizia di Suga, ma anche lui si era parecchio affezionato al ragazzo, unico oltre a Yamaguchi che aveva un carattere tollerabile.
- Oh, eccoli!- si voltarono tutti verso l'ingresso quando Bokuto fece notare l'entrata di Nishinoya e Asahi, seguiti da Daichi e Suga... Che si tenevano per mano. Tadashi sorrise teneramente a quella vista: aveva notato nei giorni successivi che qualcosa era cambiato, ma ora ne aveva avuto la prova.
- Ecco i nostri genitori; ci siete man...- Kuuro interruppe la sua frase non tanto per la gomitata che aveva ricevuto, ma più per lo stupore di averla ricevuta da Tsukishima.
Tutti spalancarono la bocca e si zittirono; anche i quattro che stavano andando a sedersi si bloccarono.
Kei ignorò quegli sguardi: aveva preso la sua decisione. Tenendo saldamente Yamaguchi per mano si alzò, seguito dall'amico, che aveva un sorriso fiero in volto.
Si avvicinò a Daichi e Suga; cercando di controllare il tremore del suo corpo, alzó la mano e la poggiò sulla spalla del secondo.
La presenza di quel ragazzo l'aveva sempre rasserenato, poteva quasi considerarlo un amico, aveva sempre provato a modo suo ad aiutarlo; adesso era il suo turno di ricambiare il favore.
Suga spalancò gli occhi.
- Daichi...- mormorò, voltandosi verso il moro mentre una lacrima gli rigava la guancia - il nostro bambino sta crescendo-.
Tadashi non avrebbe saputo dire se quella frase avesse fatto arrossire più Daichi o Tsukki, che aveva ritratto la mano, ma era troppo orgoglioso del suo ragazzo per farci caso.
- Tsukki è arrossito!- urlò Bokuto, distogliendo tutti dallo stupore che li aveva colpiti.
- Mangiano o dobbiamo aspettare ore?- Kei alzò lo sguardo al cielo mentre tornava al suo posto; aveva fatto la sua buona azione mensile, ora non ci teneva a rimanere al centro dell'attenzione.
- Sei stato fantastico- una volta seduti, Tadashi gli diede un bacio sulla guancia - come ti senti?-.
- Vorrei che tutti la smettessero di fissarmi- borbottò Kei. Tadashi sorrise: stava bene. Finalmente, sembrava stare bene.

- Sei stanco?- chiese Yutaro, accarezzando il petto dell'altro. Erano entrambi senza maglietta, sdraiati a letto, Kunimi che guardava il soffitto e Kindaichi che guardava Kunimi.
- Meno del solito- ammise Akira. Ultimamente andava meglio, decisamente meglio, per entrambi; i loro corpi stavano iniziando a rispondere alla volontà dei padroni.
- Vuoi provare a non dormire di pomeriggio?- gli chiese Yutaro. Akira ci pensó un attimo.
- Magari da domani, oggi ne ho bisogno- mormorò. Anche loro, pur essendo rimasti sempre un po' in disparte, erano stati aiutati da Sugawara qualche volta; e quel ragazzo fin troppo gentile e disponibile conquistava tutti. Avere visto sia lui che Daichi a pranzo era stato un sollievo, ma comunque avevano passato un brutto momento.
Yutaro si sollevò, portandosi sopra l'altro e, tenendosi sospeso sui gomiti, si chinò a dargli un bacio.
- Se vuoi posso limitarmi a un po' di coccole oggi- gli propose, ma Akira scosse la testa.
- Hai bisogno anche tu di scaricarti no?- alzò le gambe, circondando la vita dell'altro e tirandolo verso di sé.
Il corpo di Yutaro ebbe una specie di sussulto a quel gesto.
- Wow, devo essere veramente importante per te se proponi attività faticose invece che approfittarne per rilassarti- commentó Yutaro con un sorriso.
- Se per te è solo faticoso e non anche bello...- mormorò Akira. Yutaro spalancó la bocca.
- Non intendevo quello! Lo sai che amo quando facciamo l'amore, c'è non è come quando facevamo sesso perché io ero un idiota che non capiva niente, adesso davvero io...-.
Akira alzò gli occhi al cielo.
- Mi baci si o no? Non posso neanche scherzare che vai in panico?-. Yutaro si accigliò.
- Tu che scherzi?- lo prese in giro. Lo sguardo di Kunimi però gli stava dicendo chiaramente "o mi baci o rimani a secco fino a stanotte".
Così Yutaro sorrise e si chinò a baciare il ragazzo, a cui sfuggì un piccolo sorriso. Si, così era decisamente molto meglio.

- Come sta Sugawara?- chiese Ittetsu mentre entrava nello studio del dottore.
- Meglio, lo terrò comunque sotto controllo. Ma adesso dobbiamo occuparci di lei- affermó Keishin. Il moro sospirò ed annuì; lo psicologo gli fece cenno di accomodarsi sul divano e si sedette di fronte a lui.
- Allora, signor Takaeda; come mai ha richiesto questa seduta?- gli chiese.
Ittetsu fece un respiro profondo: dopo tanto tempo, stava per dirlo di nuovo. Stava per ammetterlo definitivamente. Dopodiché, non sarebbe più potuto tornare indietro.
- Quando ero giovane, soffrivo di una malattia da cui adesso sono guarito. Ma temo di non averla completamente superata, e che questo mi stia impedendo di vivere appieno la mia vita ora-.
- Posso chiederle che genere di malattia?-. Ittetsu fece un respiro profondo: stava parlando con uno psicologo. Era lì per aiutarlo; indipendentemente dai suoi sentimenti, sapeva che quell'uomo l'avrebbe aiutato.
- Avevo un principio di... Psicopatia. Io ero uno psicopatico-.

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Capitolo 21
*** CAPITOLO XXI? ***


Keishin si lasciò cadere a letto: era parecchio distrutto. Quel giorno aveva dovuto parlare ai ragazzi di una nuova proposta, ed erano ormai tre sere che passava ore in piedi a parlare con il direttore.
Solitamente gli risultava semplice gestire i sentimenti nei confronti dei suoi pazienti, ma con Takaeda gli riusciva difficile.
Psicopatia... Aveva immaginato che anche il dottore avesse avuto trascorsi con gli psicologi, ma non credeva così intensi. Aveva appurato lui stesso che adesso era guarito, ma pareva che l'uomo temesse di ricaderci se si fosse affezionato troppo a qualcuno e di fare del male agli altri. E quello era un altro dei motivi per cui aveva creato un luogo dove tutti si sentissero al sicuro... E dove gli esterni non potevano entrare in contatto con lui.
Keishin sospirò e chiuse gli occhi: probabilmente, presto avrebbe dovuto applicare lo stesso metodo che consigliava sempre ai suoi pazienti. Sperava solo di esserne in grado come lo erano stati loro.

- Come pensi che sarà rivedere tua madre?- chiese Hajime, tirandosi su e trovandosi faccia a faccia con Oikawa.
- Non ne ho idea- ammise il castano - e tu con tuo padre?-. Hajime non rispose e riprese a fare gli addominali, mentre l'amico gli teneva fermi i piedi.
Hajime aveva discusso con suo padre anni prima: l'uomo non credeva che il figlio fosse malato e pensava che allontanandolo da Oikawa sarebbe stato bene; e nonostante il ragazzo sapesse perfettamente che il suo disturbo era colpa di Kirai, non avrebbe comunque mai lasciato l'amico da solo.
Toru al contrario non vedeva la madre da tempo perché lei era troppo spaventata dall'altra personalità del figlio, e lo riteneva un debole perché non riusciva a controllarsi.
- Entrerai con me?- gli chiese Toru. Hajime si fermò nuovamente e guardò l'amico negli occhi.
- Hai paura di come reagirà lei o di come reagirà lui?- gli chiese.
- Entrambi- ammise Toru. Hajime sospiró.
- Certo che entro con te Shittikawa-. Toru sorrise, rassicurato.
- Ma immagino di non poter ricambiare il favore-.
- Mio padre ti farebbe fuori- confermò Hajime, tornando ai suoi esercizi.
- Anche se so che mi proteggeresti, facciamo che ti aspetto fuori- rise Toru. Però aveva ragione: Hajime l'avrebbe protetto ad ogni costo.
Toru aggrottò la fronte.
- Ma che fanno quelli?-.

- Sei pronto?-.
- Sicuro di quello che fai?-.
- Certo; non preoccuparti, ci penso io a te-.
- Non mi farà male?-.
- Sarò delicato, te lo prometto-.
- Allora... Va bene-.
- Inizio-. Chikara serrò le labbra.
- Ti fa male?-.
- Un pochino- ammise.
- Vedrai che abituandoti diventerà piacevole. Apri un pochino di più le gambe, va bene?-.
- Ma così non farà più male?-.
- Si ma ti abituerai prima-.
- Ahia, fa male!-.
- Solo perché non ci sei abituato-.
- Tu lo sei?-.
- Io faccio stretching tutti i giorni- Ryu premette un pochino di più sulla schiena dell'amico, che si sforzò di abbassarsi ancora tenendo le gambe più aperte possibile; ma non era mai stato un tipo snodato.
- Sicuro che lo stretching debba fare così male?- chiese Chikara, voltandosi.
- Tranquillo, adesso passiamo alla parte tranquilla- affermò Ryu, alzandosi e permettendo ad Ennoshita di tornare su.
- Meno male- sospirò Chikara. Aveva deciso di seguire Tanaka nei suoi esercizi, ma non pensava di essere così tanto fuori allenamento.
- Sei stato bravo- affermò Ryu.
- Si ma ora sono distrutto- sospirò Chikara, che non si sentiva più i muscoli. Ryu si portò alle sue spalle e lo strinse in un abbraccio, lasciandogli un bacio sul collo.
Il moro non badó al fatto che in palestra ci fossero anche Oikawa ed Iwaizumi ed assecondó il suo ragazzo.
Per Chikara rivedere i suoi genitori sarebbe stato difficile: era stato lui ad allontanarli, logorato dalla paura che potessero essere dei sosia, e ora sperava di riuscire a gestire quella sua paura come stava imparando a fare con i suoi amici. Ma sapeva che per Ryu sarebbe stato ancora peggio; il dottore gli aveva anche chiesto se lui preferisse aspettare a rivederli, ma il ragazzo aveva deciso di voler affrontare la situazione insieme ad i suoi amici.
- A cosa pensi?- Ryu aveva notato che il suo ragazzo, solitamente più restio a lasciarsi andare di fronte ad altre persone, quel giorno non gli stava mettendo alcun freno.
- Secondo te... Sarebbe meglio che entrassi o ti aspettassi? Insomma, sempre che tu mi voglia dentro- mormorò Chikara.
- Vuoi essere tu il primo ad entrare? Per me va bene-. Chikara alzò gli occhi al cielo.
- Ryunosuke Tanaka. Puoi non trovare doppisensi in ogni frase che dico?- si voltò per guardare l'altro negli occhi.
- Però è eccitante il modo in cui mi sgridi- commentò Ryu.
- Tanaka- lo riprese il suo ragazzo. Ryu sospirò e divenne serio.
- Sinceramente non ne ho idea; non so come potrei reagire vedendoli. Mi piacerebbe che ci fossi, però non so come potrebbero reagire loro. Ci penserò- affermó. Chikara fece un piccolo sorriso.
- Fammi sapere- gli diede un bacio - visto che non era difficile? Adesso puoi tornare a quello che stavi facendo- affermó.
Ryu fece un sorriso furbo: prima che l'altro potesse dire qualcosa, se lo caricó sulle spalle ed uscì dalla palestra, diretto in camera loro.

- Kuuro. Devo andare in bagno-.
- No-.
- Kuuro-.
- Non ti lascio allontanare-.
- Kuuro, la faccio sulla sedia-.
- Va bene-.
- Kuuro!- Kenma provò ad alzarsi, ma Tetsuro lo fece tornare seduto sulle sue ginocchia, gli prese il mento e gli voltò la testa per baciarlo nuovamente. Erano praticamente due giorni che non riusciva a staccarsi da lui: per la prima volta, gli sembrava tutto davvero reale.
Non che a Kenma dispiacesse, ma doveva davvero andare in bagno.
- Akashi una mano?- sbiscicó tra un bacio e l'altro.
Non che Keiji fosse messo in una situazione migliore: da quando aveva iniziato quel racconto, aveva passato ore seduto sulle ginocchia di Bokuto a scrivere.
Koutaro ogni tanto si distraeva, ma quando si ricordava del progetto di Akashi tornava subito concentrato sul lavoro dell'altro, pronto a dargli una mano.
- Bokuto-san, perché non fai un giretto con Kuuro?- propose Keiji, voltandosi.
- Sicuro Agashi?- Koutaro non era pratico di scrittura e temeva di non riuscire ad esserci se Akashi avesse avuto bisogno di lui.
- Certo, così ne approfitto anche io per fare una pausa- affermò.
- Da me?- il volto di Koutaro si fece triste. Keiji gli diede un bacio.
- Dopo che hai parlato con Kuuro ci prendiamo una pausa noi due va bene?-. Gli occhi del bicolore si illuminarono di nuovo.
- Va bene! Bro, andiamo a fare un giro!- Keiji si alzò, permettendo a Koutaro di fare lo stesso ed andare dal corvino.
- Bro, non vedi che sono impegnato con il mio ragazzo?-. Kenma si sentí arrossire: ancora non era abituato a quella situazione.
- Sai Bro, so per esperienza che se smetti per qualche ora, quando ricominci puoi andare molto oltre- gli fece l'occhiolino e gli occhi di Tetsuro si illuminarono.
- Gattino, porto il gufastro a fare un giro, va bene?-. Kenma si affrettó a scendere dalle gambe di Kuuro.
- Vi raggiungiamo dopo- affermò Keiji, mentre i due più grandi uscivano dalla stanza.
Con una velocità che non aveva mai usato in vita sua, anche Kenma si precipitò fuori dalla stanza, diretto verso il bagno; Keiji lo seguì. Osservò l'amico con attenzione: non sarebbe stata la prima volta che lo assisteva mentre vomitava; ma stavolta sembrava davvero che Kenma dovesse solo andare in bagno.
- Che storia stai scrivendo?- gli chiese il bassino mentre si lavava le mani.
- Ancora non lo so con precisione, sto lavorando su personaggi e ambientazione- spiegò il corvino.
- Comunque Kenma... Grazie per i consigli dell'altra volta- gli disse poi.
- Figurati; alla fine sono serviti anche a me-.
- Sono felice per voi-. Kenma fece un piccolo sorriso.
- I tuoi saranno felici di vederti migliorato- commentò.
- Suppongo di sì. Sei in ansia al pensiero di rivederli?- gli chiese Keiji. Kenma serrò le labbra.
- Da quel che ricordo, Kuuro si è occupato di me molto più di loro- mormorò.
In giardino, Kuuro e Bokuto stavano avendo una conversazione simile.
- Capisci? Mi sono sempre occupato io di lui praticamente, ho paura di cosa succederà quando incontrerá di nuovo... Yaku, che state facendo?-.
Yaku si voltò.
- Oh ciao ragazzi. L'idiota si è messo in testa di volersi arrampicare sull'albero, ma è incapace e continua a cadere-.
- Hey, non sono incapace!- protestò Lev, ma quella distrazione gli costò l'ennesima caduta. Yaku alzò gli occhi al cielo.
- Di che parlavate?- chiese.
- Dell'incontro con i genitori. È una buona idea, prima o poi doveva succedere, io personalmente non avrò problemi, ma sono preoccupato per Kenma- spiegò Tetsuro. Non che i genitori del biondo fossero brutte persone, semplicemente non erano mai riusciti a capire il figlio; non come lui almeno.
- Io con i miei non ci parlo da un annetto- mormorò Yaku.
- Pensavo di più- commentò Bokuto.
- Loro non parlano con me da quasi tre anni-.
- Eh? In che... Ahia, Bro!- si lamentó Koutaro, ma gli bastò voltarsi verso Kuuro per capire come mai lo avesse interrotto. Probabilmente, quando Yaku aveva detto che parlava con i suoi intendeva che aveva delle allucinazioni.
- Per questo entreró con te!- Lev affiancò il più basso; era stato felice quando gli aveva chiesto di andare con lui, aveva sentito di poter fare qualcosa per la persona a cui teneva di più.
Lev non aveva mai avuto particolari problemi con i suoi genitori, per cui aiutare Yaku ad affrontare i suoi non era un peso per lui. In realtà non lo era niente che riguardasse il più basso.
- Non è emozionante? Conosceró i genitori di Yaku-san!- esclamò. Yaku alzò gli occhi al cielo.
Tetsuro vide gli occhi di Bokuto spalancarsi.
- Tutto bene Bro?- gli chiese.
- Bro... Dici che Akashi vorrà farmi conoscere ai suoi genitori?- mormorò Koutaro. Con i suoi praticamente non ci parlava da quando aveva tentato il suicidio, e aveva già dato per scontato che Akashi sarebbe entrato con lui... Ma forse il corvino non avrebbe voluto, forse era troppo presto o magari si vergognava di lui e...
- Perché non dovrebbe volere?- gli chiese Tetsuro.
- Kenma ti ha fatto conoscere i suoi?-.
- Si, ma che c'entra? Io e Kenma ci conosciamo da anni-.
- Che centro io?- Kenma si era sentito nominare non appena lui e Akashi avevano messo piede in cortile.
- Akashi, il tuo ragazzo ha il panico- affermò Kuuro. Keiji affrettò il passo e raggiunse Bokuto.
- Che succede?- gli chiese; provò a guardarlo negli occhi, ma l'altro tenne lo sguardo basso. Era normale che avesse momenti di sconforto improvvisi, ma era già sollevato nel vedere che non sembrava stare male come quando aveva un vuoto potente.
- Agahshi, tu ti vergogni di me?- mormorò Koutaro.
- Perché dovrei vergognarmi di te, Bokuto-san?-.
- Perché parlo tanto, sono sempre troppo euforico, non so mai quando è il momento di fermarmi, sono rumoroso, insistente e...-.
- Bokuto-san, sono proprio questi i motivi per cui sto con te. Non mi vergogno affatto, anzi: è bello averti con me-. Koutaro alzò lo sguardo, ancora un po' incerto.
- Allora perché non mi hai chiesto di entrare con te per vedere i tuoi genitori?-. Keiji si accigliò leggermente.
- Ah, vero, i miei. Bokuto-san, ti ricordo che non ci parlo da tempo, l'ultima volta già non provavo più nulla... Non ci stavo pensando molto diciamo. Ero più occupato a capire come presentarmi ai tuoi-. Koutaro spalancò gli occhi.
- Vuoi conoscere i miei?-.
- Non mi andava di lasciarti solo, dato che non vi parlate da tanto, così pensavo di...- Keiji non fece in tempo a finire la frase perché Koutaro lo interruppe con un bacio.
- Scusami se ho dubitato Aghashi! Non vedo l'ora che tu conosca i miei genitori! Sono così felice!-. Keiji sorrise teneramente di fronte alla sua felicità.
Mentre Bokuto partiva con uno dei suoi soliti sproloqui, Tetsuro si voltò verso Kenma.
- Mia madre sarà felice di sapere che stiamo insieme, aspettava da anni- affermò.
- Giusto per la cronaca, quando ci siamo messi insieme? Ricordo che non parlo da tre giorni perché ho sempre la bocca appiccicata alla tua ma non quando ci siamo messi insieme- commentò Kenma.
- Dato che a te non piacciono i rapporti umani l'ho deciso io per entrambi-.
- Ah capisco. Senti se tua madre aspettava da anni, perché io ho scoperto tre giorni fa di piacerti?-.
- Perché avevo paura che se mi fossi dichiarato mi avresti friendzonato per un videogioco- affermó Tetsuro. Kenma non poté ribattere, anche se sapeva che era solo una bugia scherzosa.
Infatti Tetsuro poco dopo lo attirò a sé per baciarlo.
- Non volevo dirtelo per poi rischiare di lasciarti- mormorò. Kenma scosse la testa.
- Sono sempre al tuo fianco Kuuro, non ti lascerò andare- affermò. Tetsuro sorrise e lo bació nuovamente.
- Mi sento single- si lamentó Yaku.
- Possiamo rimediare- propose Lev. Yaku alzò gli occhi al cielo.
- Non ci provare- affermò, e Lev rise.
- Sai, sono carini quasi quanto te- commentò il più alto. Yaku si sentì arrossire.
- E va bene adulatore- borbottò; afferrò il braccio del più alto e lo tirò giù, poggiando poi le sue labbra sulla guancia dell'altro.
- Vedi di fartelo bastare per un po'- affermó, lasciandolo andare. Lev rimase bloccato per un attimo, shockato, poi sorrise.
- Prima o poi riuscirò a tenerti su abbastanza a lungo per un vero bacio- dichiarò. Yaku arrossì nuovamente e si voltò per evitare che l'altro lo vedesse.
- Vedi di muoverti allora-.
- Certo, farò del mio meglio!-.

- Piccolo. Puoi stare fermo un attimo?-.
- No-.
- Piccolo, mi fai venire il torcicollo-.
- No-.
- Tu decidi che non mi viene il torcicollo?-.
- No-.
- Ma stai almeno ascoltando?-.
- No-.
- Adesso basta!- Kei si alzò di scatto dallo sgabello del pianoforte e si avvicinò a Kageyama, seduto su una sedia poco distante.
- Puoi fermare il tuo mandarino? Mi irrita-.
Shoyo era immerso nei suoi pensieri, ma percepì comunque il pericolo di Kageyama che stava per arrabbiarsi; per cui si fiondò dall'amico, che affondò la mano tra i suoi cappelli.
- Visto? È fermo- dichiarò Tobio. Kei alzò gli occhi al cielo mentre anche Yamaguchi li raggiungeva.
- Come mai sei così nervoso?- chiese ad Hinata, che stava camminando in giro nella stanza da quasi mezz'ora.
- Perché non vedo la mia sorellina da anni! E se non mi volesse più come fratello? Magari ha il ragazzo! E poi dovrò incontrare i genitori di Kageyama! Se fossero pignoli come lui?-.
Kei si trattenne dal chiedere quanti zuccheri avesse mangiato quel giorno solo per via dei problemi alimentari del ragazzo.
Tobio si trascinò il piccoletto sulle gambe e lo bació nel tentativo di farlo tacere.
- Punto primo: alla mia famiglia non frega niente di me, quindi non mi importa cosa penseranno di te. Punto secondo: è tua sorella, è impossibile che ti odi. Punto terzo: ti sei fatto lo shampoo da solo ieri sera?-.
- Si-.
- Ma volevo fartelo io boke!-.
- Baka, dormivi e non volevo svegliarti!-. Kei si voltò, confuso.
- Come sono finiti a parlare di shampoo?-. Tadashi sorrise.
- Sono fatti così- dichiarò.
- Tu ti senti pronto?- gli chiese Kei. Il verde annuì.
- Insomma, almeno adesso so come mai la mia famiglia mi sembrasse così strana ultimamente. La affronterò a testa alta- dichiarò Tadashi. Con la sua famiglia non aveva mai parlato del suo trauma dato che non lo ricordava, e anche prima con loro non aveva il rapporto più aperto di tutti, perciò non sapeva cosa aspettarsi.
- Tu invece?- Tadashi sapeva che Tsukki non parlava con Akiteru da prima di trasferirsi lì. Kei distolse lo sguardo.
- Vedrò- mormoró. Non sapeva nemmeno se suo fratello ci sarebbe stato. Avrebbe sempre voluto ringraziarlo, ma non sapeva trovare le parole giuste per dire "Hey fratellone, grazie per esserti preso per anni le botte di nostro padre anche per me, sei stato un mito! Ora che non ho più il trauma dovuto all'averti visto in ospedale a causa sua possiamo fare cose normali da fratelli, che ne dici? Ah, mi sono messo con il ragazzo che ha ucciso nostro padre per salvarmi la vita. E auguri di buon compleanno!". Non che si sarebbero visti al suo compleanno, ma tanto valeva aggiungerlo a un discorso tanto strambo.
Tadashi si avvicinò al biondo e lo strinse in un abbraccio.
- Ti direi se vuoi che entri anch'io però...- mormorò.
- Mia madre non ce l'ha mai avuta con te. Vedremo poi, va bene?-. Tadashi annuì e Kei gli diede un bacio.
Shoyo, intuendo che Tobio stava per fare qualche commento inopportuno che avrebbe rovinato il momento degli altri due, si sistemó a cavalcioni su di lui e riprese a baciarlo.
- Questa è la ricompensa minima per ogni volta che fai il bravo- gli sussurrò. Tobio poggiò le mani sulle natiche dell'altro, tirandolo di più verso di sé.
- Allora mi sa che d'ora in poi sarò la persona più buona del mondo-.

- Non ho voglia di vederli- ammise Akira, ancora sdraiato a letto. Quel pomeriggio aveva deciso di non dormire, ma aveva avuto comunque bisogno di distendersi un po'.
Yutaro lo strinse a sé; sapeva bene che i genitori dell'amico non avevano mai accettato il suo modo di essere, e pensare di sentire nuovamente le loro strigliate non gli faceva piacere.
- Ci sarò io con te- affermò.
- Kindaichi, i miei sanno della tua malattia: sai che se la prenderanno anche con te se interverrai- gli ricordó Akira.
- Non mi importa: ti proteggerò- Yutaro l'aveva sempre protetto e avrebbe continuato a farlo, anche se significava andare contro i suoi genitori.
- Per tuo padre invece?- mormorò Akira. Il padre di Yutaro si era sempre vergognato della malattia del figlio, lo preferiva di gran lunga quando era un ragazzino innocente che pensava solo a giocare.
- Sono migliorato no? Dovrà apprezzare lo sforzo- mormorò Yutaro. Kunimi allungò un braccio ed appoggió la mano sulla guancia dell'altro.
- Faremo in modo che lo faccia- affermò. Yutaro sorrise e si avvicinò all'amico per baciarlo; era felice che andasse tutto bene tra loro. Per proteggere Kunimi, poteva affrontare qualsiasi cosa.

- Eri molto legata ai tuoi genitori?- chiese Kyoko.
- Be'... L'ultima volta che li ho visti ero ancora nella fase dell'adolescente ribelle, ma in generale sì, abbastanza. Tu invece?- la bionda, che stava usando il computer alla scrivania, si girò verso l'amica, sdraiata a letto e intenta a leggere un libro.
- Non molto- ammise la mora. I suoi genitori le avevano sempre messo addosso molte pressioni, contribuendo quindi al suo perenne stato d'ansia. Sapeva che un giorno avrebbe dovuto affrontarli e parlare loro di quanto avesse sofferto, ma sperava che quel momento arrivasse più tardi possibile.
- Se vuoi posso... Entrare con te; non penso che il dottore sarebbe contrario- propose Yachi, ma Kyoko scosse la testa.
- È una cosa che devo fare da sola, o non credo funzionerà veramente- affermò.
- Capisco...- mormorò Yachi; avrebbe voluto aiutare l'amica, ma a quanto pare quella volta non le sarebbe stato concesso.
- Però dopo possiamo fare qualcosa di divertente insieme, se ti va- le propose Kyoko. Ciò bastò a fare tornare il sorriso sul volto di Yachi.
- Certo!-.

- Nishinoya, così smetterai di respirare-.
- Sono solo immobile-.
- Appunto-.
- Non sono uno squalo, non muoio se non mi muovo-.
- Però mi piace di più quando ti muovi- Asahi si accucció di fronte al più basso, che era immobile su una sedia davanti alla finestra da una decina di minuti.
- Mi dici come mai questa prova di immobilità?- gli chiese. Yu sospirò.
- Ti ho già detto che i miei odiavano la mia iperattività no? Se non penseranno che stare qui mi abbia aiutato, potrebbero mandarmi da qualche altra parte e non voglio- mormorò.
- Il fatto che tu sia ancora gioioso non significa che non ti sappia contenere; sei migliorato molto, sei praticamente guarito stando qui, riuscendo anche a mantenere la tua vivacità: devi essere orgoglioso di te stesso- affermó Asahi.
- Si ma loro non la penseranno così- sussurrò Yu.
- Tanto sarò io a doverti sopportare per il resto della vita, non loro- dichiarò il castano. Yu fece un sorriso furbo.
- Asahi-san, è una proposta di matrimonio?-. Asahi arrossì e si alzò di scatto.
- No! Cioè, per ora no... Però insomma... Ecco... Prima ci sono altre cose che dovremmo fare...-. Senza lasciarlo finire, Yu si alzò e gli saltó addosso, dandosi abbastanza slancio da fare finire il maggiore sdraiato sul letto con lui sopra.
- Possiamo rimediare- sussurrò con un sorriso furbo. Scoppiò a ridere nel vedere che l'altro era talmente imbarazzato da non riuscire a parlare.
- Scherzavo Asahi-san... Per il momento- ridacchiò. Sentì un paio di mani poggiarsi sulle sua guance e poco dopo la sua bocca era premuta su quella dell'altro.
- Non dovresti scherzare con il fuoco, Nishinoya- sussurrò Asahi; il suo tono era talmente profondo che scosse qualcosa dentro Yu.
- Così non vale però...- borbottò, e Asahi rise, per poi stringere l'altro in un abbraccio. Yu poggiò la testa contro il petto dell'altro e in quel momento si sentì rilassato come non mai.
- Io non so come reagiranno i miei. Mia madre è sempre stata una donna sensibile, per questo le faceva male vedermi... In quello stato- mormorò Asahi dopo un po'. Yu alzò la testa per guardare l'altro negli occhi.
- Saranno fieri di te, Asahi-San; io di certo lo sono- affermò. Asahi sorrise.
- Allora posso stare tranquillo- affermò.
- Certo! Finché ci sono io, tu puoi stare tranquillo: all'agitazione ci penso io-. Asahi rise.
- È una delle frasi meno riassicuranti che abbia mai sentito. Ma ne sono felice- affermò. Yu sorrise e tornò ad appoggiarsi al suo petto.
Con lui, non avrebbe più avuto paura di essere felice.

- Non so se mia mamma riuscirà a venire- ammise Koushi. Era seduto a gambe incrociate sul letto e stava fissando la porta senza motivo.
- Perché era spesso malata?- Daichi si sedette di fianco a lui. Il ragazzo annuì.
- Non so come stia ora; quando non è più stato necessario che papà venisse gli ho detto di prendersi cura di lei e non pensare a me, per cui non li vedo da un po'- mormorò.
- E questo succede perché metti gli altri prima di te- la frase di Daichi suonava come un rimprovero, ma sapevano entrambi quanto amasse il lato gentile dell'altro ragazzo.
Koushi sorrise ed appoggió la testa alla spalla di Daichi.
- Pensi sia anche questo uno dei motivi per cui ti stai sabotando? Ti senti in colpa per tua madre?- gli chiese Daichi.
- Probabile- mormorò Koushi. In quei tre giorni non aveva avuto altri crolli come quelli precedenti, ma in alcuni momenti ricominciavano i suoi tremori. Come in quello.
- Vedrai che andrà tutto bene- Daichi allungò la mano e strinse quella dell'altro ragazzo, nel tentativo di calmarlo.
- Suga-.
- Mh?-.
- Pensi che quello che ti ho detto potrebbe... Insomma... Fare parte dei motivi per cui ti sei allontanato dalla felicità? Perché se sono una delle cause forse la mia vicinanza non ti fa bene...- mormorò. Daichi ci aveva pensato costantemente: Suga aveva avuto un crollo proprio quando lui era riuscito a farlo rilassare e pensare a sé stesso. Forse, dicendogli che lo amava, e dandogli quindi la possibilità di una felice storia d'amore, aveva solo peggiorato le cose.
- Se fosse così non mi sarei ricordato tutto sentendotelo dire; sono solo io che mi sto sabotando, tu non c'entri. E poi, anche se fosse così... Sono abbastanza lucido da sapere che allontanarmi da te mi farebbe stare solo peggio- affermò Koushi.
A Daichi sfuggì un sospiro di sollievo: non voleva assolutamente separarsi da quel ragazzo, ed era felice che anche l'altro la pensasse allo stesso modo.
Koushi un giorno gli avrebbe fatto sapere che la pensava allo stesso modo anche riguardo loro due, ma non voleva farlo senza essere certo di non rischiare di essere proprio lui a sabotare la loro relazione.
Anzi, per un attimo aveva pensato che se avesse allontanato Daichi lui sarebbe stato peggio, ma almeno l'altro ragazzo non sarebbe stato male per colpa sua. Poi però aveva ricevuto quel gesto da Tsukishima, e aveva capito che non doveva perdere la speranza... E anche che se avesse provato ad allontanare Daichi non avrebbe funzionato. Soprattutto dato che non voleva davvero farlo.
- Tu sei preoccupato?- gli chiese a sua volta.
- I miei genitori hanno sempre provato a sostenermi, e temo si siano sentiti in colpa vedendo che nonostante tutto mi sono ammalato proprio per non essere riuscito a portare a termine niente- mormorò Daichi. Sperava che vedendolo stare meglio anche il senso di colpa dei genitori si sarebbe alleviato.
- Ma tu una cosa l'hai portata a compimento-. Daichi guardó Suga, confuso dalle sue parole. L'argentato sorrise.
- I nostri bambini stanno guarendo no? Guarda Tsukishima: ha toccato tre persone oltre a Yamaguchi. Hinata e Kenma hanno di nuovo un peso normale, Akashi e Bokuto stanno aggiustando le loro emozioni, Kuuro si è finalmente dichiarato a Kenma. Tanaka ha accettato di essere gay, Ennoshita inizia a fidarsi degli altri, Asahi non si taglia da giorni, Nishinoya l'altro giorno è riuscito a finire un disegno senza interrompersi, Yamaguchi è un super eroe. Kyoko riesce a non sentirsi responsabile per tutto, Yachi si è abituata a stare con le persone,  Kunimi ha meno occhiaie, Kindaichi riesce a controllarsi, Kageyama non urla contro nessuno da giorni, Yaku riesce a distinguere le sue visioni dalla realtà e Lev non ha praticamente più tremori. Iwaizumi riesce a controllare i suoi scatti d'ira e Oikawa ha iniziato ad accettare Kirai per riuscire a gestirlo; anche tu ora hai molte meno allucinazioni. Praticamente rimango solo io- ridacchiò Koushi.
- Suga, quando ti ho conosciuto a malapena ricordavi la strada per il bagno. E ora hai parlato tranquillamente di tutti i nostri amici senza problemi. Anche tu hai fatto passi da gigante; non importa se hai avuto una crisi, la supereremo insieme. Tornerò a vederti felice, costi quel che costi- affermò Daichi.
Koushi sorrise, accoccolandosi ancora di più contro l'altro e chiudendo gli occhi.
- Mi rendi già felice-.

- Hanno accettato tutti?-.
- Signor Takaeda, quante volte le ho detto di non parlare di lavoro durante le nostre sedute?- lo riprese Keishin.
- Scusa, hai ragione- Ittetsu sospirò - ci ho pensato. E penso veramente che potrei stare tenendo lontane le persone per paura di tornare di nuovo in quella condizione; non mi piaceva essere così- ammise.
- Hai mai avuto ricadute?- gli chiese Keishin. Ittetsu abbassò lo sguardo.
- Qualche anno fa avevo un... Amico. Ma si è allontanato da me perché diceva che quando eravamo insieme avevo uno sguardo strano. Non so se fosse dovuto a quello, ma da quel momento non ho neanche più provato a stabilire dei veri rapporti per paura che accadesse di nuovo- raccontó.
- Be', da quello che ho potuto appurare conoscendoti... È che non ci sono più tracce di quel disturbo. La tua è solo paura di ferire qualcuno-.
- E come la posso risolvere?-.
- Conosci i miei metodi, Takaeda. Dovresti trovare qualcuno che ti faccia capire che non gli importa cosa succederà ma rimarrà con te-.
- Come faccio a trovare una persona del genere?- Ittetsu non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di Ukai; ma d'altronde, neanche il biondo ne aveva l'intenzione.
- Sei uno che sa giudicare bene le persone; sono certo che quella persona ci sia già nella tua vita, o non saremmo qui a parlare della tua paura- affermò Keishin. Continuarono a fissarsi.
- La ringrazio dottore; ci vediamo domani sera- si diedero la mano ed Ittetsu si alzò, uscendo dallo studio.
Si appoggiò contro il muro di fianco alla porta ed aspettò; un attimo dopo, uscì anche Ukai.
- Serata impegnativa?- gli chiese.
- Ho un paziente impegnativo- confermò Keihisn. Ittetsu sorrise.
- Ti va di andare a bere una birra?- gli chiese. Il biondo sorrise.
- Certo-.

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Capitolo 22
*** CAPITOLO XXII. ***


- I genitori stanno iniziando ad arrivare; mi sa che devo andare a chiamare i ragazzi- commentò Keishin, notando la serie di persone che si stavano radunando fuori dall'istituto.
- Io intanto accolgo gli adulti allora-.
- Va bene. Sai dove sono Bokuto e Akashi? Saranno i primi-. Ittetsu sorrise.
- Dottore, dovrebbe saperlo: sono in sala ricreazione. E non solo loro: tutti quanti-. Keishin sorrise.
- Certe abitudini non cambiano mai; ma è meglio così-.

- Aghashi, secondi te sto abbastanza bene così?-.
- Bokuto-san, ti ho già detto che non era necessario vestirsi così elegante- commentò Keiji, che aveva praticamente passato la notte insonne perché Bokuto voleva mettersi in smoking quel giorno.
- Devo incontrare i tuoi genitori! Devo essere presentabile! Non ti piace?- ribatté Koutaro.
- Vai benissimo come sei- affermò Keiji, fermando l'altro ragazzo per dargli un bacio sulla guancia. Koutaro sorrise.
- Ragazzi- si voltarono e videro che Ukai stava richiamando la loro attenzione.
- Bokuto tu sei il primo. Entrate entrambi?- chiese.
- Si- Koutaro non lasciò neanche all'altro il tempo di rispondere. Keiji annuì; se Bokuto lo voleva dentro, sarebbe entrato.
- Perfetto; allora entrate pure-.
Koutaro fece qualche passo ma si bloccó davanti alla porta; improvvisamente si sentiva nervoso. Keiji lo affiancò e fece intrecciare le loro mani, dopodiché aprì la porta.
Appena i genitori di Koutaro lo vide, la madre scattó in piedi, come per andare verso di lui, ma poi si bloccó.
- Ehm... Ciao-. Koutaro sorrise. Sapeva che i suoi non sapevano bene come comportarsi con lui, dato il suo stato emotivo, e voleva cercare di farli stare tranquilli.
- Hey Hey Hey! Come va? È tanto che non ci vediamo! Lui è Aghashi, il mio ragazzo! In realtà si chiama Akashi, non Aghashi, ma a me piace di più così, è più allegro! Ah, e pare che io sia quasi completamente guarito! A voi come va?-. Disse questo talmente tanto velocemente che Keiji dubitava che qualcuno oltre a lui avrebbe potuto capire tutte le parole; invece i suoi genitori dovevano esserci riusciti.
Infatti la madre di Bokuto, appena il ragazzo finí di parlare, andò da lui e lo abbracció.
Keiji gli lasciò la mano in modo che il ragazzo fosse più libero e si allontanò leggermente.
Koutaro si voltò verso di lui, preoccupato che stesse andando via, ma quando vide che non accennava ad uscire dalla stanza si tranquillizzó.
- Allora, raccontami tutto! Come ti sei trovato qui?-. Koutaro sorrise, seguí la madre sul divanetto ed iniziarono a parlare.
- Così sei il ragazzo di mio figlio. Piacere- Keiji si trovò davanti il padre di Bokuto che gli porgeva la mano.
- Salve, sono Akashi Keiji- gli strinse la mano.
- Come mai ti trovi qui, Akashi?-.
- Apatia- Keiji riportò la mano lungo il fianco mentre gli occhi dell'uomo si riempivano di sorpresa.
- E... Stai con mio figlio giusto?-.
- Esatto-. L'uomo sospiró.
- Akashi, non ho nulla contro di te; ma capisci che mi lascia un po' perplesso il fatto che mio figlio, che combatte da anni contro la depressione, stia insieme ad un ragazzo apatico. Insomma non avrebbe più bisogno di qualcuno di... Sentimentalmente stabile?-. Keiji era grato che l'uomo stesse cercando di essere più delicato possibile; dopotutto era un ragionamento normale, che aveva fatto più volte anche lui, e capiva perfettamente che la situazione potesse essere destabilizzante.
- Signore, capisco perfettamente la sua perplessità; anche io all'inizio non comprendevo come mai suo figlio si fosse tanto legato a me. Però...- spostò lo sguardo su Bokuto, che stava ridendo con la madre - suo figlio mi ha fatto capire che i miei sentimenti ci sono ancora, ne avevo solo paura. Con lui sto tornando a riscoprirli, sto guarendo grazie a lui. So che detto da un apatico potrà suonare falso, ma ho fatto e continuerò a fare di tutto perché suo figlio continui ad avere quel sorriso-. Anche l'uomo si girò ed un sorriso dolce gli comparve sul volto nel vedere il figlio felice.
- Se le cose stanno così, allora continuerò ad affidarlo a te- affermò.
- Aghashi, stavo dicendo a mamma che sei un bravissimo scrittore!- Koutaro gli fece cenno di andare da loro.
- Bokuto mi diceva che stai scrivendo un libro con lui come protagonista, Akashi-kun- disse la madre del maggiore mentre Keiji si sedeva.
- Be', sono ancora agli inizi...-.
La chiacchierata con i genitori di Bokuto andò molto bene; i due erano felici di vedere che il figlio stava bene e lui si sentiva tranquillo per essere riuscito a rassicurarli.
Keiji capì non appena i suoi genitori entrarono in stanza che con loro non sarebbe stato così semplice.
Infatti, i primi minuti li passarono a fissarsi; Keiji ci era abituato, non avevano mai avuto molte intesa, mentre Koutaro sembrava molto più teso.
- Mamma, papà, lui è Bokuto Koutaro, il mio ragazzo- presentò Keiji per spezzare il ghiaccio. Koutaro sussultò leggermente.
- Piacere di conoscervi signori!- esclamò, saltando in piedi.
- Bokuto-san, non essere così agitato- mormorò Keiji.
- È un piacere conoscerti, Bokuto- affermò il padre del moro con un sorriso.
- È bello sapere che c'è qualcuno che sta con nostro figlio nonostante... Ecco...-. Koutaro alzò gli occhi al cielo: aveva pensato ci fosse imbarazzo per via della sua presenza, invece quella famiglia aveva un altro problema. Loro pensavano davvero che Akashi non avesse sentimenti, e questo poteva andare bene al corvino ma non al suo ragazzo.
Koutaro tornò seduto, prese il volto di Akashi tra le mani e lo bació. Keiji rimase sorpreso da quel gesto, così come i suoi genitori.
- Ecco, guardate- Koutaro si staccò ed indicò il sorriso che era comparso sulle labbra del corvino.
- Aghashi è una persona seria, calma e gentile; ed è una sua scelta esserlo, a me non importa. Finché potrò vederlo sorridere, sarò felice anche se non mostra i suoi sentimenti- dichiarò.
- Bokuto-San...-. Koutaro si voltò verso Keiji e sorrise.
- Te l'ho detto che ti amo no?-. A catturare l'attenzione di entrambi furono dei singhiozzi provenienti dalla madre di Akashi.
- Non lo vedo sorridere da quando andava alle elementari- singhiozzó. Keiji si alzò ed andó a sedersi di fianco a lei, stringendola in un abbraccio a cui si aggiunse anche il padre.
Koutaro sorrise e si alzò; Keiji lo guardò, ed il bicolore gli fece cenno che si sarebbero visti fuori. Keiji annuì e tornò a concentrarsi sui suoi genitori: gli sembrava che non fossero così uniti da molto tempo. Ed era stato merito di Bokuto.
Sorrise nuovamente, e questa volta sentiva di essere davvero felice di aver incontrato quel ragazzo.
Koutaro si diede mentalmente dello stupido per essersi lasciato sopraffare dall'ansia; dopotutto, se Akashi lo accettava a lui non importava altro.
Ne ebbe la conferma quando, finito di parlare con i suoi genitori, il corvino lo raggiunse, e prima che potessi chiedergli come fosse andata si ritrovò le labbra contro le sue. Quando si staccarono, Keiji sorrise: un sorriso vero, che sentiva provenire da un cuore che stava pian piano rincominciano a farsi sentire dentro di lui.
- Torniamo dagli altri, Koutaro?- gli chiese. Gli occhi del bicolore si illuminarono.
- Andiamo!-.

- Ciao mamma, ciao papà-. Ryu sorrise nel vedere l'espressione sorpresa dei due genitori quando Ennoshita li abbracció; erano rimasti che il figlio pensava fossero stati sostituiti da dei sosia, quindi probabilmente non si aspettavano tanto affetto da parte sua.
- Il dottore ci ha detto che stavi meglio ma non pensavo...- mormorò suo padre.
Chikara sorrise.
- Mi dispiace avervi fatto stare in pensiero; ho dubitato di voi per fin troppo tempo. Ma adesso sto bene... Non sono guarito del tutto, ma sto bene- affermò.
- E quel ragazzo chi è?- chiese suo padre. Ryu si irrigidí.
- Ehm io sono... Tanaka Ryunosuke, piacere- si avvicinò a loro e gli diede la mano.
- Non pensavo fossi uno che si imbarazza così- rise Chikara, poi tornò a guardare i suoi - è il mio ragazzo. Mi ha aiutato molto- affermò.
Ryu per un attimo ebbe paura che i genitori dell'altro non l'avrebbero presa bene; invece, la madre si avvicinò e lo abbracció.
- Grazie per ciò che hai fatto per nostro figlio!- gli disse.
- Non ho fatto niente- mormorò lui, ricevendo uno scappellotto da Chikara.
- Cos'abbiamo detto sul non screditarsi?-. Ryu sorrise.
- Ho solo accompagnato Chikara per farlo stare più tranquillo, ora vi lascio soli- affermò, uscendo dalla stanza.
- È carino eh?-.
- Mamma!- esclamò Chikara, arrossendo.
- Siamo felici che tu stia meglio; fino a qualche mese fa non era cambiato niente ed iniziavamo a temere che...- mormorò suo padre.
- Anche io; ma il nuovo psicologo è... Particolare. I suoi metodi hanno funzionato, e con l'aiuto di Tanaka sto tornando a fidarmi delle persone- raccontó.
- Come siamo felici!-. Chikara rimase ancora un po' a parlare con i suoi genitori, ma era preoccupato per Tanaka: sapeva che a lui sarebbe andata molto peggio, sarebbe stata dura. Non sapeva se volesse dirgli di loro, o in generale cos'avrebbe detto, ma sicuramente per lui non sarebbe stato semplice affrontare i suoi genitori.
Poco prima che arrivasse la famiglia di Tanaka, Chikara uscì dalla stanza insieme ai suoi; sapeva di avere ancora un po' di tempo con loro, ma preferí salutarli e vedere come stesse l'altro ragazzo.
- Sei pronto?-. Ryu fece un respiro profondo e sorrise.
- Non ho più dieci anni, quello che pensano di me non mi interessa; dirò loro le cose come stanno e basta- affermò lui. Chikara gli fece un sorriso rassicurante e gli diede un bacio.
- Adesso sono decisamente carico- affermó Ryu, poggiando le mani sulla schiena del ragazzo e baciandolo di nuovo.
- Vado ad aspettare dentro; ci vediamo dopo- affermò.
- Buona fortuna- dopo un ultimo bacio Chikara lo lascio entrare nella stanza.
Ryu si sedette sul divano, cercando di formulare un discorso sensato nella sua mente.
- Ryu!- si accorse dell'entrata dei suoi genitori solo perché sua sorella praticamente gli si lanciò addosso.
- Saeko! Non pensavo venissi anche tu!- esclamò Ryu, sorpreso.
- Non potevo certo rischiare di non vedere più il mio fratello per altri tre anni!- ribatté lei.
- È bello rivederti Ryu, sembra che tu stia meglio- quando la sorella lo lasció andare, il ragazzo si alzò per abbracciare la madre.
- Ciao papà-.
- Ciao Ryunosuke-. Ryu scoprì di non odiare affatto i suoi genitori; certo, ce l'aveva con loro per avergli procurato un trauma abbastanza grande da avergli innescato una malattia mentale che l'aveva fatto rimanere chiuso in un ospedale psichiatrico per tre anni. Ma in fondo lì aveva conosciuto Ennoshita e tanti altri amici, per cui in un certo senso gli era andata bene.
- Allora figliolo, come va?- chiese suo padre mentre si sedevano.
- Molto meglio: una volta scoperto il trauma che ha portato alla mia malattia, è stato più semplice mandarla via- raccontó il ragazzo.
- Avevi un trauma? Non ce ne hai mai parlato- commentò sua madre.
- Me n'ero dimenticato anch'io, ma pare che quando a dieci anni mi avete picchiato perché avevo detto di voler bene a Tora mi abbiate procurato un trauma che mi ha fatto odiare e reprimere me stesso-. Nella stanza caló per un attimo il silenzio.
- Scusa ma... Tora non era il tuo amico di quando eri piccolo? Pensavo si fosse trasferito, finché non l'ho visto in giro qualche tempo fa- mormorò Saeko. Dal suo tono, Ryu capí che la sorella non aveva idea di cosa fosse successo.
- Ma di che stai parlando, Ryunosuke? In quell'occasione mi sono limitato a spiegarti che un uomo non può assolutamente provare affetto verso un altro uomo-.
- Ma che dici papà?- sbuffò Saeko.
- Saeko, non ti intromettere- la ammoní la madre.
- Non sono un genio, ma non penso che "spiegare" sia sinonimo di "picchiare"- commentò Ryu. Era stranamente calmo. Almeno finché il padre non si alzò con aria minacciosa.
- Ryunosuke Tanaka, scusati immediatamente o te ne beccherai delle altre!-.
- Papà!- Saeko saltó in piedi.
- Tu stanne fuori, Saeko-. Ryu ricordava bene lo sguardo impassibile della madre, lo aveva visto anni prima.
- Non siamo qui per litigare- Ryu si alzò, seppur leggermente tremante - volevo solo farvi sapere cosa fosse successo. So che non cambierete comunque idea, ma mi sembrava giusto farvelo sapere. Sono guarito perché ora riesco ad accettarmi ed è tutto merito di un ragazzo; non mi aspetto che gli siate riconoscenti, ve ne parlo per correttezza-. Il padre lo fissò come se si stesse preparando ad ucciderlo.
- Chi cazzo è?-. Ryu aggrottò la fronte.
- Non penso sia una cosa che vi interessa, dato che dubito vogliate conoscerlo-.
- Penso fosse quello che c'è qui fuori, prima ci guardava come se ce l'avesse con noi- intervenne la madre.
Chikara era appoggiato contro il muro davanti alla porta della stanza; sentiva che stavano discutendo, ed anche se non sentiva cosa dicevano era pronto ad intervenire se Tanaka l'avesse chiamato.
Ma non si aspettava di certo che la porta si spalancasse ed il padre di Tanaka gli andasse incontro con aria furiosa.
Per fortuna, in anni passati a non avere fiducia negli altri aveva imparato a schivare e si spostò prima che un pugno lo colpisse.
- Papà ti ho detto di lasciarlo stare!- Ryu uscì dalla stanza, piazzandosi davanti ad Ennoshita.
- Stai bene?- gli chiese.
- Si- Chikara notó che la mano dell'altro stava tremando; pensando che tanto non sarebbe potuta andare peggio di così, la strinse con la sua.
Ryu non si voltò, la sua espressione rimase piena di rabbia, ma aumentò la presa.
- Ti proibisco di avere certi atteggiamenti di fronte a me, figlio ingrato che non sei altro! Non ti ho cresciuto così!- ringhió il padre.
- Ryunosuke, smettila con questa fase di ribellione- lo ammoní la madre.
- Ma vi sentite quando parlate? Io sono felice con lui!-. Nonostante la situazione, a quelle parole Chikara dovette trattenere un sorriso.
- Non è così che volevo crescessi!-.
- Vostro figlio- Chikara fece un passo in avanti - è una persona forte, determinata, che si preoccupa per i suoi amici e non li abbandona mai. Se non è così che volevate crescerlo, allora sono felice che sia venuto su nel modo sbagliato- affermó.
Ryu, che prima non riusciva quasi a stare fermo dal tremore, si calmò di colpo. Si voltò verso Ennoshita; il suo ragazzo poteva essere debole fisicamente, ma aveva una lingua tagliente.
- Piccolo impertinente, non osare dirmi come devo...-.
- Cosa sta succedendo qui?- la voce di Ukai tuonò nel corridoio, zittendo il padre di Tanaka. L'uomo si avvicinò ed affiancó Tanaka.
- C'è qualche problema?- chiese.
- Direi di sì: ho mandato qui mio figlio per guarire, non per scoparsi un frocio. Voglio parlare con il direttore!-.
- Il direttore è impegnato con gli altri genitori, ed il modo in cui tratta suo figlio è il motivo per cui lui si è trovato qui. Tanaka è maggiorenne, se non vuole più approvare le sue cure può smettere di pagarle; penserò io a coprire le spese. Ma non può più obbligarlo a fare niente: sono il suo dottore e lo giudico abbastanza stabile mentalmente da non aver bisogno di un tutore legale- affermò Keishin.
Ryu non aveva capito praticamente niente di quello che l'uomo aveva detto, ma gli sembrò un "non rompete i coglioni" piuttosto convincente.
Lo sguardo del padre si spostò su Ryu, che lo sostenne anche grazie all'aiuto di Ennoshita, che ancora gli teneva la mano.
- Andiamocene- il padre di Tanaka li superó, seguito dalla madre.
- Saeko, andiamo-.
- Col cavolo: mi faccio riportare da Akiteru- affermò la ragazza. I due la guardarono con odio, ma lei incroció le braccia al petto assumendo un'espressione decisa ed alla fine se ne andarono.
- La ringrazio, dottore- sospirò Chikara.
- Ryu, mi dispiace così tanto! Non avevo idea di cosa fosse successo!- Ryu si trovò di nuovo tra le braccia della sorella, anzi aveva il volto sprofondato nelle sue tette.
- Saeko, mi soffochi! E poi, chi è questo Akiteru?-.
- Il mio ragazzo, anche lui ha un fratello qui-.
- Oh, che coincidenza!-.
- Ragazzi, adesso devono venire gli altri, ma se volete la signorina Tanaka può venire con voi- affermò il dottore.
- Signorina Tanaka mi piace!- esclamò Saeko.
- Grazie dottore, a dopo!- i tre si avviarono verso la sala ricreazione.
Ryu non aveva intenzione di togliere la sua mano da quella di Ennoshita, lo tranquillizzava averlo lì.
- Allora, sei il ragazzo di mio fratello eh?- Chikara si trovò il braccio di Saeko attorno alle spalle.
- Oh... Ehm... Si- mormorò.
- Bel colpo, eh sorellona?- sorrise Ryu.
- Avete già fatto sesso?-. Entrambi arrossirono.
- Sorellona!-.
- Pura curiosità!-.
- Tu hai già fatto sesso con il tuo ragazzo?-.
- Non sono affari tuoi!-.
- Pura curiosità!-.
Chikara sorrise: Tanaka gli sembrava tranquillo, era felice. E finalmente, la sua mano aveva smesso di tremare.

- Salve signori Morisuke! Come va? Sono Haiba Lev, amico di vostro figlio! È un piacere conoscervi!-.
- Lev...-.
- Si, Yaku-san? Hai bisogno di qualcosa?-.
- Hai le allucinazioni? I miei non sono ancora arrivati- gli fece notare il maggiore.
- Mi sto solo preparando!-.
- Per sembrare pazzo?-.
- Non essere cattivo Yaku-san!-. In quel momento, la porta si aprì.
Yaku si voltò verso i suoi genitori, che stavano entrando nella stanza. Si morse il labbro: aveva pausa che fosse di nuovo un'illusione. Gli era successo tante volte di immaginarli, e anche se sapeva che erano veri quasi non ci credeva.
- Yaku-san- lo chiamò Lev. Il maggiore si voltò verso l'altro, che gli fece un sorriso. Si alzò ed andó verso i suoi genitori.
- Ehm... Ciao- non sapeva bene cosa dire. Le ultime volte che li aveva visti praticamente non ci aveva parlato perché non sapeva fossero lì, e ora non sapeva esattamente cosa dire.
- Salve! Sono Haiba Lev, un amico di vostro figlio! È un piacere conoscervi, signori Morisuke!- intervenne Lev.
- Sei veramente un idiota...- sospirò Yaku, ma gli sfuggì una risata.
- È bello vedervi- affermò poi, rivolto ai suoi genitori.
- Anche per noi, Yaku- sua madre sorrise ed entrambi sembrarono sollevati nel vedere che loro figlio stava bene.
- Questo qui che si è già presentato è Lev; grazie a lui non ho praticamente più allucinazioni- affermò, indicando il ragazzo alle sue spalle.
- Come sarebbe a dire "questo qui"?- borbottò lui.
- È un piacere conoscerti Lev!-.
- Aspettate di passarci insieme tre anni- sospirò Yaku.
- Vedo che non hai perso la tua lingua tagliente- rise suo padre.
- Se mi insulta vuol dire che sta bene, per cui sono felice così- affermò Lev con un sorriso. Yaku si sentì arrossire.
- E poi mi vendico così- aggiunse il più alto, indicando il rossore sulle guance dell'altro.
- Idiota- borbottò Yaku.
- Mi sembra che tu abbia trovato una buona compagnia qui- commentò la madre di Yaku.
- Oh sì, ho un nuovo migliore amico: si chiama Kuuro-.
- Hey!-.
- Che vuoi? Tu non sei il mio migliore amico, sei il mio futuro ragazzo-. Lev spalancó gli occhi.
- E quando...-.
- Quando diventerai più basso-.
- Non dovresti essere tu a diventare più alto, Yaku-san?- appena finí la frase, Lev si trovò con il fondoschiena dolorante per il calcio che gli era appena arrivato, che fece ridere i gentiorir del maggiore, felici di vedere che loro figlio era tornato quello di una volta.
Alla fine la conversazione fu piuttosto divertente e tranquilla, come quella che ebbero con i genitori di Lev.
- Levotckha!-. Lev non fece neanche in tempo a presentare Yaku che sua sorella Alisa gli aveva già fatto tutte le domande possibili al mondo.
- Alisa, non stressare l'amico di tuo fratello!- la riprese la madre.
- Mamma, Yaku non è mio amico, è il mio futuro ragazzo-.
- Lev!-.
- Che c'è? L'hai detto tu!-.
- Si ma...-.
- Mamma, dobbiamo organizzare il matrimonio!- urlò Alisa.
- Ma-matrimonio?!- esclamarono in coro Yaku e Lev.
- Certo! I fiori, gli invitati, la torta, il cibo, la location...-.
- Perdonale Yaku, sono un po' esaltate- sospirò il padre.
- Da qualcuno Lev doveva aver preso- commentò Yaku.
- Hai detto bene. Allora Lev, come va la tua malattia?-.
- Molto meglio, è sparita quasi del tutto!-.
- Meno male- l'espressione dell'uomo si fece improvvisamente seria - Lev, tra non molto noi torneremo in Russia. Se tu ora stai bene, pensavamo potessi venire con noi, o raggiungerci una volta uscito... Che te ne pare?-.
Yaku si irrigidí, ma non disse niente. Non aveva ancora pensato a cosa fare una volta uscito, ma dava la presenza dell'altro praticamente scontata... Non poteva certo impedirgli di andare, però...
- No grazie papà; la Russia mi piace, ma solo come meta per le vacanze. Preferisco rimanere qui: magari però io e Yaku potremmo venire a farvi visita ogni tanto, se volete- rispose Lev. Yaku si voltò verso di lui, sorpreso.
- Sei sicuro di non voler andare?- gli chiese.
- Con il tuo corpicino non sopravviveresti a quel freddo- affermò Lev. Lui non aveva dubbi: voleva rimanere con Yaku, ad ogni costo.
- Ma che c'entro io?- borbottò il maggiore.
- Devo romperti le scatole ancora a lungo no?- Lev sorrise e Yaku si sentì arrossire.
- Bene, come vuoi, allora rimani pure- Yaku si voltò per nascondere il rossore. Dentro di sé, però, era felice: non avrebbe più dovuto immaginarsi niente. Aveva tutto ciò che gli serviva al suo fianco.

- Ciao Yachi-.
- Ciao mamma-. Sua madre era sempre stata una persona severa, ma anche gentile; Yachi però non ci parlava da un po', e non sapeva esattamente come comportarsi.
- Il dottore mi ha detto che hai fatto progressi- commentò la donna.
- Si; adesso sto molto meglio- affermò Yachi. La donna sorrise.
- Mi fa molto piacere-. Yachi fece un respiro profondo.
- Sai mamma, una volta uscita pensavo di aprire un'agenzia per l'organizzazione degli eventi insieme ad una mia amica- mormorò. Sua madre era sempre stata dedita al lavoro, e anche per questo il loro rapporto non era mai stato dei migliori.
- Organizzazione eventi? Be', in effetti sei sempre stata una ragazza che ama organizzare. Hai intenzione di impegnarti sul serio?-. Yachi si sentì tremare leggermente le gambe a quella domanda.
- Si, farò del mio meglio-. Un attimo dopo, Yachi si trovò stretta dall'abbraccio della madre.
- Sono così conteta che tu sia cresciuta felice anche senza di me- sussurrò. Yachi ricambiò la stretta.
- Ti sbagli mamma, è stato solo grazie alla tua guida se ci sono riuscita- sussurrò.
- Per qualsiasi cosa avrai bisogno con la tua agenzia chiedimi pure aiuto va bene?-.
- Grazie mamma: sono certa che io e Kyoko riusciremo a cavarcela benissimo, ma se avremo bisogno di consigli verrò subito da te- Yachi sorrise alla donna.
- Sono fiera di te, bambina mia-.
Anche Kyoko avrebbe voluto sentirsi dire una frase simile. Invece, i suoi genitori la stavano guardando con aria severa.
- Siamo felici di sapere che stai meglio, Kyoko- affermò sua madre.
- Quella di mettere da parte gli studi è stata una decisione dolorosa, ma abbiamo dovuto farlo per il bene della tua salute. Spero che tu abbia già deciso in quale facoltà universitaria iscriverti quando uscirai; sei qualche anno in ritardo, ma sono certo che i rettori saranno comprensivi- aggiunse suo padre. Kyoko serrò le labbra.
- Mi dispiace ma... Non penso torneró a studiare- affermò. Vide la sorpresa e la delusione sul volto dei suoi genitori; per un attimo pensó di cambiare idea, ma non poteva farlo.
- Cosa intendi dire?- gli chiese suo padre.
- Non riprenderò gli studi: è stato per via della pressione che mi veniva messa addosso che mi sono ammalata, adesso voglio fare qualcosa che mi piaccia veramente- affermò.
- Ovvero?-.
- Aprirò un'agenzia che organizza eventi insieme ad una mia amica. Sarà dura ma...- le sfuggì un sorriso - questa volta non sarò sola-.
- Ne sei proprio sicura? Senza una formazione completa è dura riuscire ad affermarsi in questo mondo- le fece notare il padre.
- Confido nelle nostre capacità- affermò Kyoko.
- Immagino che ormai non potremo più farti cambiare idea vero?- sospirò sua madre.
- Temo di no-.
- Bene; allora ti auguriamo tutto il meglio. Speriamo che tu riesca a raggiungere il tuo scopo-.
- Vi ringrazio: ce la metterò tutta-.
Quello con i suoi genitori poteva essersi considerato un colloquio più che un incontro familiare, ma a Kyoko andava bene così: ormai ci era abituata. Era già felice che i suoi genitori avessero approvato, anche se a loro modo, il suo progetto. Adesso, era veramente libera da qualsiasi peso.
- Yachi- chiamó la ragazza, una volta uscita dalla stanza.
- Kyoko-san! È andato tutto bene?-.
- Si: ora va molto meglio. Che ne dici, andiamo a continuare il nostro progetto?- le propose.
- Volentieri!- esclamò la bionda con un sorriso.
- Un'ultima cosa-. Yachi sentì il suo cuore iniziare a battere all'impazzata mentre la mora si avvicinava a lei.
Kyoko raccolse tutto il suo coraggio e poggiò le labbra su quelle dell'amica. Yachi spalancó gli occhi mentre schiudeva leggermente la bocca.
Il bacio duró pochi secondi, prima che Kyoko si allontanasse. Si, adesso era veramente libera da qualsiasi peso.

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Capitolo 23
*** CAPITOLO XXIII. ***


- Stai bene?-.
- Sei sicuro che i tua madre non mi odi?-.
- Yamaguchi, mi hai salvato la vita-.
- Uccidendo suo marito-.
- Che picchiava mio fratello e voleva farmi del male. È tutto a posto davvero: sarà felice di vederti- affermò Kei. Mentre parlava continuava ad accarezzare la guancia di Yamaguchi, come per rassicurarlo. Ed in effetti, Tadashi si sentiva meglio nell'avvertire quel tocco dolce su di sé.
Si sporse in avanti, poggiando le labbra su quelle di Kei, che lo strinse a sé e continuò a baciarlo. Erano entrambi talmente rilassati e concentrati su loro stessi che non si accorsero che la porta si era aperta, finché la madre di Tsukishima si schiarí la voce.
I due ragazzi si staccarono velocemente e la donna sorrise.
- Vedo che stai guarendo, Kei- commentò.
- Ciao mamma- mormorò lui.
- Salve- balbettò Tadashi, rosso come una fragola.
- Salve? Non ci vediamo da un po', ma non sono invecchiata così tanto- rise la donna. A Tadashi sfuggì un sorriso.
- Ecco io... Penso di non essermi mai scusato per...-.
- Tadashi, non devi scusarti: hai salvato il mio bambino. Anzi, li hai salvati entrambi; immagino che non sia stato semplice per te- mormorò la donna. Tadashi scosse la testa.
- Vi lascio soli- affermó; fece un sorriso a Tsukki e poi uscì.
- È diventato un ragazzo forte- commentò la donna.
- Non immagini quanto- mormorò Kei - è solo grazie a lui se sto guarendo-.
- Ho sempre saputo che siete fatti l'uno per l'altro-.
- Mamma!-. La donna rise.
- Che c'è? È solo che è bello vederti così felice dopo tanto tempo- dichiarò. A Kei sfuggì un piccolo sorriso.
- Grazie, mamma-.
Intanto, Tadashi fuori aveva incontrato un altro Tsukishima
- Akiteru? Non entri?- gli chiese, notando che il biondo rimaneva fermo contro il muro, impegnato a guardare il soffitto. Quando Tadashi parló sembrò destarsi dalla sua contemplazione e portò lo sguardo su di lui.
- Tadashi! Quanto tempo!- lo squadró come in cerca di qualcosa.
- Akiteru, mi dispiace per tuo padre, io...-.
- Ah, allora ricordi; così finalmente posso ringraziarti!-. Tadashi non pensava che si potessero ricevere tanti ringraziamenti per aver ucciso qualcuno.
- Come sta Kei?- Akiteru tornò serio.
- Meglio; sta iniziando a guarire-. Il biondo fece un sospiro di sollievo.
- Meno male! Scommetto che è merito tuo; hai sempre voluto molto bene a mio fratello, è fortunato ad averti- commentò.
- Vuole bene anche a te... Come mai non entri?- gli chiese nuovamente Tadashi.
- Io e Kei non parliamo da quando... Be', ha scoperto di nostro padre. Non mi ha più fatto avvicinare; non so se vorrebbe che fossi qui oggi- ammise il biondo. Tadashi alzò gli occhi al cielo.
- Forza, vieni- prese il polso di Akiteru e lo trascinò verso la porta.
- Che fai?!- esclamò il biondo mentre lui apriva la porta, portando su di sé anche gli sguardi dei due dentro la stanza.
- Sono quello che conosce meglio Tsukki, quindi fidati di me- Tadashi spinse il biondo della stanza e chiuse la porta.
Calò per un attimo il silenzio.
- Ehm... Ciao- mormorò Akiteru.
- Ciao- rispose Kei.
- Come va? Io ehm ecco...-.
- Grazie-. Akiteru spalancò gli occhi.
- Per cosa?-. Kei gli si avvicinò.
- Mi hai protetto per anni da papà; senza di te la mia infanzia sarebbe stata una merda- affermò.
- Ma... Pensavo ti fossi ammalato per colpa mia...- mormorò il fratello.
- Si, perché volevo proteggermi come avevi sempre fatto tu. Ma sei stato tu a salvarmi da nostro padre per anni, per cui... Grazie- Kei abbracciò il fratello, che rimase immobile per un attimo; i suoi occhi si riempirono di lacrime mentre ricambiava la stretta.
- Mi sa che dovrò ringraziare Tadashi- rise Akiteru.
- Tutti dobbiamo- mormorò Kei. Avrebbe dovuto ringraziarlo anche per averlo fatto riparlare con il fratello. Aveva fin troppe cose per cui ringraziarlo.
- Tadashi- il ragazzo si voltò di scatto nel sentire una voce chiamarlo dal corridoio, e si stupì nel trovarsi di fronte la madre.
- Mamma!- disse, sorpreso; pensava di avere ancora un po' di tempo prima dell'incontro con la donna.
Non sapeva bene come comportarsi.
- Mamma io... Ricordo cos'ho fatto- mormorò. La donna gli si avvicinò e lo abbracció.
- Mi dispiace tanto di non averti potuto aiutare. I dottori dicevano che non ricordavi ed io non volevo costringerti ma... Ho sempre voluto dirti quanto fossi fiera di te- sussurrò lei.
- Mamma ma io... Ho fatto una cosa orribile...- mormorò lui, stringendo la maglietta della donna come per cercare un sostegno. Sapeva di aver agito per il bene di Tsukki, ma parlarne con gli altri non era altrettanto facile.
- Hai salvato il tuo migliore amico; e so che sei una persona buona- affermò la donna. In quel momento, la porta della stanza si aprì.
Kei si avvicinò subito a Yamaguchi per cercare di capire se avesse bisogno di aiuto, ma gli sembrava stare bene.
- Signora Tsukishima, salve- salutó la madre di Tadashi, staccandosi dal figlio.
- Signora Yamaguchi! È bello rivederla-.
- Volevo ringraziarvi per tutto ciò che suo figlio ha fatto per il mio; Kei sta riuscendo a guarire grazie a lui-.
- Sono certa che anche Kei abbia aiutato molto Tadashi-.
- Insisto comunque per pagare io le spese del matrimonio-. Tadashi spalancò la bocca e si voltò verso Tsukki.
- Matrimonio?-.
- Mia madre corre troppo... Le ho detto che è ancora presto...- borbottò Kei.
- Aspetta, presto? Intendi che un giorno...-.
- Quindi state finalmente insieme?- sorrise la madre di Yamaguchi.
- Li ho beccati a baciarsi- ammise l'altra donna.
- Mamma!- la riprese Kei.
- Che c'è? Ho beccato tuo fratello e la sua ragazza in situazioni molto peggiori-.
- Da quando hai la ragazza?- chiese Kei, voltandosi verso il fratello.
- Un paio d'anni. Anche lei ha un fratello che vive qui; a proposito mamma, dopo portiamo noi a casa Saeko-.
- Nessun problema-.
- Saeko non è il nome della sorella di Tanaka?- chiese Tadashi. Kei spalancò gli occhi.
- Non avrò Tanaka come cognato!-.
- Mi sa che ti tocca- rise Tadashi. Kei lo guardò male ed avvicinò il viso al suo.
- Dopo me la paghi- sussurrò, facendo arrossire l'altro.
- A proposito, l'avete già fatto?-.
- Mamma!- esclamò Kei. Tadashi arrossì nuovamente, ma non poté fare a meno di ridere. In fondo, le loro famiglie non erano per niente male.

- Ciao papà-.
- Ciao Yutaro. Come va?-.
- Bene, grazie-.
- A te Akira?-.
- Meglio-. Nella stanza caló il silenzio. Kindaichi e Kunimi erano dentro con entrambi i loro genitori, che avevano deciso di sbrigarsela tutti insieme perché sapevano che i loro figli tanto sarebbero stati insieme.
- Hai ancora quelle brutte manie?- chiese il padre di Kindaichi.
- No, ora riesco a controllarmi- rispose Yutaro.
- Non erano manie, era malato- mormorò Akira.
- Akira, tu eri uno sfaticato anche prima di ammalarti- lo riprese la madre.
- Non è uno sfaticato, usa le sue energie solo per le cose importanti- ribatté Yutaro.
- Non stanno parlando con te- lo ammoní il padre.
- Se parlate con lui parlare anche con me- ribatté lui.
- Non hai perso il vizio di farti proteggere da lui vedo- commentò il padre di Kunimi.
- A me fa piacere proteggerlo, per cui non vedo come mai dovrebbe smettere se va bene ad entrambi- affermò Yutaro.
Akira chiuse gli occhi: aveva bisogno di andarsene. Era stanco, ma stavolta non fisicamente: era stanco di quella situazione. I loro genitori non avevano mai accettato il loro modo di fare, sicuramente non avrebbero iniziato adesso.
- Yutaro, invece di pensare a lui dovresti ricordarti che stavi per diventare un maniaco!- esclamò suo padre, alzandosi di scatto.
- Questo non c'entra niente con Kunimi! Posso proteggerlo qualsiasi malattia io abbia!-  Yutaro scattò in piedi.
- Con quella malattia saresti dovuto rimanere lontano da nostro figlio!- anche il padre di Kunimi si alzò.
Akira riaprì gli occhi e si mise lentamente in piedi.
- Kunimi- mormorò Yutaro, preoccupato. Il ragazzo scosse la testa.
- Non ne vale la pena- mormorò, voltandosi verso Kindaichi.
- Andiamo via- allungò la mano ed intrecciò quella dell'altro.
- Akira! Non dirmi che questo ragazzo ti ha completamente traviato!- esclamò sua madre, inorridita. Akira si voltò verso di lei.
- Si: io sto con lui e lo aiuto a calmarsi, e lui fa tutto per me. Vinciamo entrambi, quindi non vedo dove sia il problema- commentò, lasciando spiazzati i tre adulti.
Yutaro strinse più forte la sua mano ed uscì dalla stanza, portandoselo dietro.
- Hai ragione: non ne vale la pena- affermò. Akira annuì.
- Hai uno strano modo per descrivere il nostro rapporto- notò il più alto.
- È come l'ho descritto. Solo che noi ci amiamo-. Yutaro capì perfettamente cosa intendesse: non importava se gli altri non comprendevano quel loro modo di fare, loro si conoscevano ed entrambi erano felice così, non avrebbero mai voluto altro.
- Pensavo che dovremo trovarci un lavoro, usciti di qui- mormorò Akira.
- Vuoi trovarti un lavoro?- Yutaro sapeva bene che l'amico era molto intelligente, ma anche troppo svogliato per fare qualcosa.
- In qualche modo dovremo sopravvivere no?-. Yutaro annuì.
- Troveremo qualcosa- si fermò, costringendo l'amico a fare lo stesso. Si mise davanti a lui e lo bació con passione; Akira rimase sorpreso dal gesto improvviso ma ricambió volentieri.
- Ti amo- sussurrò Yutaro.
- Ti amo-.

- Ti aspetto qui fuori va bene?-.
- Va bene-.
- Ce la farai Suga, ne sono certo- affermò Daichi, tirando il ragazzo verso di sé e dandogli un bacio sulla fronte. Koushi sorrise.
- Farò del mio meglio- affermò, prima di entrare nella stanza.
Vide che sia sua madre che suo padre erano già dentro la stanza; fu felice di vedere la donna, se era lì significava che stava abbastanza bene per uscire.
- Ciao- salutò.
- Koushi!- sua madre fece per alzarsi, ma non ci riuscí.
- Non ti sforzare mamma! Vuoi qualcosa da bere? Da mangiare?- Koushi si fiondò da lei, cercando di capire se potesse fare qualcosa per aiutarla. La donna fece un sorriso dolce.
- Koushi, io sto bene; sono un po' debole, ma sto bene. Io e tuo padre sappiamo bene che sei stato male anche per via di tutte le responsabilità che ti sei voluto prendere per aiutarci... Siamo qui per sapere come stai tu- affermó.
- Raccontaci un po' come va qui- lo incoraggió suo padre. Koushi annuì e si sedette tra i tuoi genitori.
Pensò a cosa dire: dopotutto non li vedeva da tre anni, erano successe molte cose, ma non aveva il tempo di raccontare tutto, c'erano ancora altri suoi amici che dovevano incontrare i loro genitori. Pensò di parlare dei progressi della sua malattia, o di come fosse la vita lì; ma sapeva che i suoi genitori volevano sapere come stesse lui, se fosse felice. E sapeva bene cosa dire per farglielo capire.
- Qualche giorno fa... Sono andato sullo scivolo-. Koushi rise notando lo sguardo confuso dei suoi genitori.
- Da quando sono arrivato qui, ho sempre cercato di prendermi cura degli altri e mostrarmi adulto, come facevo con voi. Ma c'è un ragazzo che ha capito che io sono anche altro- prima o poi avrebbe presentato loro Daichi, ma quello non era il momento.
- Ha detto di volermi veder divertire e di volersi divertire insieme a me. Mi ha portato sullo scivolo, abbiamo pattinato insieme e... Mi ha restituito il mio lato infantile. Mi ha restituito la bellezza dell'infanzia. Mi ha restituito ogni ricordo. E io sono davvero felice con lui- affermò. Si sentì stringere in un abbraccio dalla madre.
- Sono così felice per te, bambino mio- sussurrò la donna, facendolo sorridere. Rimasero a parlare ancora un po' del più e del meno, prima di lasciare la stanza. Koushi salutó entrambi con un abbraccio prima di tornare da Daichi, che lo aspettava fuori.
- Com'è andata?- gli chiese il moro.
- Abbiamo parlato di te. Hanno detto che devi portarmi al luna park quando usciamo- rispose Koushi.
- Molto volentieri; così potrò vedere ancora quel tuo sorriso- commentó Daichi.
- Secondo me puoi vederlo anche subito- dichiarò Koushi.
- Ah sì? E come?-.
Koushi appoggió le mani sulle spalle di Daichi e lo tirò verso di sé per baciarlo. Daichi non lasciò che la sua sorpresa rovinasse il momento e poggiò delicatamente le mani sui fianchi dell'altro, mentre chiudeva gli occhi e ricambiava il bacio.
- Adesso potrai vederlo ogni volta che vorrai- sussurrò Koushi, staccandosi leggermente.
- Non che mi stia lamentando, ma non volevi aspettare di aver risolto il tuo problema?- gli chiese Daichi, senza riuscire neanche a lui a smettere di sorridere.
- Appunto; se voglio essere felice mi basta stare con te no?-. Daichi si sentì arrossire.
- Allora non ho nient'altro da dire- affermò.
- Tu sei pronto per vedere i tuoi?- gli chiese Koushi. Daichi si chinò per baciarlo nuovamente.
- Adesso sì- affermò.
- Come siamo romantici- rise Koushi. Daichi sentì le voci dei suoi genitori in lontananza.
- Vado; quando esco ci facciamo un giro- affermò.
- A dopo-.
Daichi entrò nella stanza e venne raggiunto poco dopo dai suoi genitori.
- Daichi! Quando tempo- lo abbracciò sua madre.
- È bello vedere che stai meglio- commentò suo padre.
- Anche per me è bello vedervi- affermò il ragazzo.
- Come stai? Sei... Guarito?- gli chiese sua madre.
- Praticamente sì-.
- Abbiamo parlato con il tuo psicologo. Ci dispiace, non ci siamo mai resi conto di tutte le pressioni che ti stavamo mettendo addosso. Avrei voluto poterti aiutare di più- mormoró la donna.
- Non è stata colpa tua mamma: mi avete sempre incoraggiato. Ero io a non avere la forza necessaria per portare a compimento i miei progetti-.
- Daichi...-.
- Però, adesso sto bene- il moro interruppe il padre e si alzò - sono riuscito a portare a compimento qualcosa- fece cenno di aspettarlo lì ed uscì dalla stanza.
- Daichi? Hai già finito?- gli chiese Koushi, sorpreso nel vederlo uscire così presto.
- Daichi? Va tutto bene?-. Il moro non rispose mentre prendeva l'altro per mano e lo portava nella stanza.
- Mamma, papà, lui è Koushi Sugawara; l'ho aiutato a guarire, e lui ha promesso di assistermi in tutti i miei progetti futuri- presentó.
- Ehm... salve- mormorò Koushi, imbarazzato.
- Oh, è un piacere conoscerti!- la madre di Daichi si alzò e gli strinse la mano, sorridendomi
- Anche per me- rispose Kosuhi, prima di fulminare Daichi con lo sguardo. Lui gli sorrise.
- Forza ragazzi, raccontateci qualcosa!- li incoraggió il padre.
I due ragazzi si sedettero; Daichi non poté fare a meno di sorridere nel vedere quanto Suga sembrasse felice. Ai suoi occhi, lui meritava di sorridere più di chiunque altro.

Kenma era in silenzio da almeno cinque minuti; ogni tanto annuiva alle domande dei suoi genitori, interessati principalmente a sapere se ora stava mangiando bene e a che punto fosse la sua guarigione.
- Hai trovato nuovi amici?- gli chiese sua madre. A Kenma vennero in mente Shoyo e Akashi ed annuì.
- Un paio- affermò.
- Ne siano felici-. Di nuovo silenzio.
- E Kuuro come sta?- gli chiese il padre.
- Molto meglio anche lui- confermò il biondo.
- Sai Kenma, noi stavamo pensando che quando uscirai da qui dovresti... Tagliare i ponti con lui- mormorò suo padre, a voce talmente bassa che Kenma per un attimo pensó di aver sentito male.
- Come scusa?- chiese.
- Dovresti trovare nuovi amici, come quelli che ti sei fatto qui. Dopotutto un tempo avevi solo Kuuro e questo ti ha fatto ammalare, ma ora che stai bene puoi fare a meno di lui no?- spiegò la madre.
Kenma strinse i pugni.
- Pensate davvero che Kuuro sia il motivo per cui mi sono ammalato?- mormorò.
- Be', non possono essercene molti altri- commentò il padre.
- Non ce ne sono molti altri?-.
- Parlavi solo con lui Kenma, qualcosa deve pure significare- affermò la madre.
- Magari il problema era proprio questo- sussurró il ragazzo.
- In che senso?- gli chiese lei.
- È vero, ho desiderato a lungo di sparire e di poter vivere solo per Kuuro. Ma non è stato lui la causa per cui mi sono ammalato; erano gli altri a farmi sentire di troppo, a farmi venire voglia di andarmene. Kuuro è sempre stato al mio fianco, non mi ha mai abbandonato e mai lo farà. E anche se adesso ho dei nuovi amici, continuerò a stare al fianco di Kuuro in qualsiasi momento. Posso rinunciare a tutto, posso rinunciare al cibo, posso rinunciare a fare qualsiasi cosa; ma non rinuncerò a Kuuro. E mi dispiace se pensate che questo sia un problema, perché non lo è. Lui pensa la stessa cosa, so che non mi abbandonerá ed è per questo che posso dirlo con certezza: io rimarrò sempre con Kuuro. Del resto non mi importa- più parlava più il suo tono saliva, ma non gli importava: non gli importava se tutti sapevano quanto Kuuro significasse per lui, non si vergognava a dirlo al mondo. Si era vergognato tante volte di sé stesso, ma mai di Kuuro e del loro rapporto.
Tetsuro era abituato al tono basso di Kenma, ormai riusciva a capire le sue parole anche più sussurrate, per questo nonostante si trovasse fuori dalla porta sentì tutto il discorso e non poté fare a meno di sorridere.
I genitori di Kenma continuarono a parlargli nella speranza di fargli cambiare idea, ma lui ormai non li ascoltava più: aveva bisogno di vedere Kuuro, e di ricevere un suo abbraccio.
Quando i suoi genitori, capendo che tanto non li stava più ascoltando, smisero di parlare, Kenma si alzò ed uscì dalla stanza.
Trovò Kuuro contro il muro, già con le braccia aperte e pronto ad accoglierlo. Si fiondò tra le sue braccia, lasciando che il corvino lo stringesse forte.
- Sono felice che sai che non ti abbandonerò mai- sussurrò Tetsuro, accarezzandogli i capelli. Kenma sbarró gli occhi.
- Mi hai sentito?- mormorò.
- Ogni parola-. Kenma premette ancora di più il viso contro Kuuro. Vide con la coda dell'occhio i suoi genitori uscire dalla stanza, ma li ignorò.
- Arrivederci, signori Kozume- Tetsuro sorrise in loro direzione; loro borbottarono qualche saluto e si allontanarono.
- Vieni qui gattino- Tetsuro sollevó leggermente il biondo, portando i loro visi alla stessa altezza.
- Kuuro, non sono un bambino- borbottò Kenma, ma smise di lamentarsi quando l'altro lo baciò. Si lasciò completamente andare a quel contatto e si sentì più rilassato.
Tetsuro, sentendo che si era calmato, tornò ad abbracciarlo. Rimasero in silenzio per un po' prima di essere raggiunti da una terza persona.
- Ma cos'abbiamo qui! Non dirmi che finalmente vi siete messi insieme!-. Kenma si voltò di scatto mentre arrossiva.
- Buongiorno, signora Kuuro- mormorò; fece per allontanarsi, ma il corvino lo tenne stretto a sé.
- Esatto mamma, finalmente ho adottato questo gattino!- esclamò Tetsuro, facendo ridere la donna.
- Esattamente, da quanto tempo lei sapeva che ti piaccio?- borbottò Kenma.
- Tesoro, l'ho capito subito: Tetsuro ha sempre odiato i videogiochi, ma pur di passare del tempo con te ha imparato a giocarci. Ha sempre avuto tanti amici, ma si capiva che tra voi due c'era qualcosa di speciale!-. La risposta della donna fece arrossire ancora di più Kenma, che per mantenere la sua aria da indifferente dovette prendersela con Kuuro.
- E tu hai aspettato tutto questo tempo a dirmelo?- lo sgridò.
- Eravamo bambini! E poi è successo quello che è successo e... Comunque anche tu potevi dirmelo- gli fece notare Tetsuro.
- Sei tu quello sentimentale, mica io- borbottò Kenma.
- Forza ragazzi, andiamo dentro che mi raccontate tutto!- esclamò la donna.
- Volete che ci sia anche io?- chiese Kenma, sorpreso.
- Certo! Fai parte della famiglia- affermò lei, entrando nella stanza.
- Non essere timido gattino- Tetsuro lo prese per mano e la seguì.
La mamma di Tetsuro era la donna più gentile che Kenma avesse mai conosciuto; in tutti quegli anni non l'aveva mai vista urlare o arrabbiarsi, quando succedeva qualcosa cercava sempre di parlarne in modo calmo ed ascoltando tutte le versione prima di prendere una decisione. E la maggior parte delle volte era dalla parte del figlio... E anche di Kenma, ora che ci pensava. Era veramente un angelo.
Sapeva che Kuuro le voleva molto bene, e nonostante fosse un ragazzo indipendente le era mancata di sicuro.
Infatti, Tetsuro passò il poco tempo che trascorsero insieme quel giorno a raccontare ogni genere di cose alla donna; Kenma rimase ad osservarlo ridere insieme a lei. Anche se parlò pochissimo, con quei due sentiva sempre di essere in famiglia; per lui, Kuuro era la sua famiglia, e non desiderava altro.

- Sei pronto, Asahi-san?-.
- Neanche un po'- ammise il maggiore - e tu?-.
- Verranno prima i tuoi, concentriamoci su di loro- ribatté il più piccolo, che aveva stretto la mano di Asahi mentre camminavano nel tentativo di rimanere più tranquillo.
- Mi sa che sono già arrivati- mormorò il più alto, notando che la porta della stanza era chiusa.
- Non preoccuparti Asahi-san, te l'ho detto che saranno fieri di te!- affermò Yu.
-  Se lo dici tu sarà vero- commentò Asahi.
- Esatto! Quindi, aprì quella porta- ordinò Yu, indicando la porta di fronte a loro.
Asahi fece un respiro profondo ed aprì la porta; Yu gli lasciò la mano, ma rimase dietro di lui.
- Ehm... Ciao- salutò il maggiore, vedendo i suoi genitori.
- Ciao Asahi; come va?- gli chiese suo padre, mentre entrava nella stanza.
- Bene; lui è Nishinoya Yu, un mio amico- presentò mentre si andavano a sedere.
- Salve- salutó Yu con un sorriso.
- Ciao, è un piacere conoscerti-. Yu capí come mai Asahi avesse tanto paura della reazione della madre: aveva un sorriso gentile, ed allo stesso tempo l'aria di una persona che potrebbe spezzarsi se le lanciassero contro un grissino.
- Allora Asahi, ci hanno detto che stai migliorando- commentò suo padre, mantenendo un tono basso.
- Ehm ecco sì, io...- Asahi stava cercando le parole per convincere la madre che stava bene. Davvero stavolta.
Yu allungò le mani e tirò su le maniche della felpa dell'altro.
- Asahi-san è diventato veramente bravo a controllarsi!- esclamò, orgoglioso, indicando le braccia dell'altro. Si vedeva qualche cicatrice, ma si capiva che non si feriva da un po'.
Asahi vide la madre portarsi le mani alla bocca.
- Ecco io... Ho trovato altri modi per ricordarmi di essere vivo, e ho capito che non mi serviva più farmi del male... In realtà è stato merito di Nishinoya, mi ha fatto capire tante cose- raccontò Asahi. Nishinoya gli aveva restituito un piacere nel vivere che non provava da tanto tempo, ed era stato tutto per la gioia del più piccolo ed il desiderio di vederlo sempre così felice.
Yu si trovò improvvisamente con la donna davanti a lui, che gli prese le mani tra le sue.
- Grazie per tutti quello che hai fatto per il mio bambino!-. Yu si sentì arrossire.
- Mamma!- la riprese Asahi, imbarazzato.
- È stato un piacere signora; amo suo figlio, può contare sempre su di me!- esclamò. Stavolta toccó ad Asahi arrossire.
- Asahi, potevi dirci che è il tuo ragazzo!- esclamò suo padre.
- Be' è che ecco io...- Asahi non sapeva cosa dire, non aveva ancora pensato a cosa dire ai suoi e non sapeva neanche come fossero esattamente le cose con Nishinoya, per cui non si aspettava quella rivelazione.
- Lui è quello gentile e responsabile, io quello scalmanato e coraggioso!- rise Yu, che stava iniziando a trovarsi a suo agio con quelle persone.
- Come sono felice che vi siate trovati!- la donna strinse appena le mani del più piccolo per poi andare ad abbracciare il figlio.
- Quando sarete fuori dovete venire a mangiare da noi, così ci conosciamo meglio- affermò il padre.
- Volentieri!- esclamò Yu.
- Sento di star perdendo il diritto di parola...- borbottò Asahi, ma sorrise; era felice che i suoi avessero accettato Nishinoya senza problemi, e anche il ragazzo gli sembrava allegro. Tanto che, quando li accompagnarono fuori dalla stanza, il più basso e la madre del ragazzo si abbracciarono e salutarono come vecchi amici, prima che i due genitori si allontanassero.
- I tuoi genitori sono simpatici, Asahi-san!-.
- Sei tu che riesci a rendere tutto divertente. A proposito, cos'era quella storia del fatto che... Ecco... Noi...-.
- Dovevamo metterci insieme una volta che tu fossi stato bene no? Ecco fatto- affermò Yu.
- Sei unico, Nishinoya- commentò Asahi, sorridendo. Yu per tutta risposta si portò dietro di lui e spiccó un salto, atterrandogli sulla schiena. Asahi lo prese prontamente, come al solito, poggiandogli le mani sotto le gambe per aiutarlo a tenersi sú.
- Yu Nishinoya! Un po' di contegno in pubblico!-. Asahi sentì il più basso irrigidirsi e scendere velocemente dalla sua schiena mentre un uomo ed una donna comparivano davanti a loro.
- Ciao- mormorò Yu, con un tono triste che Asahi in tre anni non gli aveva mai sentito usare.
- Forza, entriamo- sospirò il padre; Yu annuì e seguì i genitori nella stanza.
- Ragazzo, come mai stai entrando anche tu?- chiese l'uomo, portando lo sguardo su Asahi.
Yu lo guardò, nervoso, cercando di capire cosa fare; quei pochi secondi erano bastati a confermargli che non ce l'avrebbe fatta senza Asahi, ma non riusciva a parlare con i suoi genitori.
- Nishinoya mi ha chiesto di esserci; il dottore ha detto che è un bene che le persone si sostengano a vicenda- Asahi sperava che, buttandola sul piano medico, li avrebbe convinti. La coppia non ne sembrava entusiaste, ma non fece storie mentre Asahi si sedeva di fianco a Nishinoya, che lo ringraziò con lo sguardo.
- Chiediamo scusa per nostro figlio, è piuttosto capriccioso- commentò il padre.
- Ma no, per me non...-.
- Yu, ho visto che il tuo comportamento non è cambiato- la madre interruppe Asahi, concentrandosi solo sul figlio - e la cosa mi dispiace molto. Ti ho mandato qui anche se non mi piaceva come luogo perché pensavo che accontentandoti ti saresti impegnato a guarire, invece...-.
- Ma sono migliorato molto mamma! Adesso riesco a contenermi quando devo e...-.
- A me non sembra tu sia migliorato. Basta vedere come hai trattato prima questo povero ragazzo- sospirò lei.
- Signora, per me non è un problema se...-.
- Ormai sei adulto, ma possiamo ancora farti trasferire da qui se riteniamo sia meglio per te-.
- Mamma, qui ho imparato molto! Mi trovo bene, sono guarito quasi del...-.
- È maleducazione alzare la voce in quel modo, Yu-.
- È maleducazione anche interrompere le altre persone quando parlano, eppure lei lo ha fatto due volte con me e due con il mio ragazzo- Asahi non riuscì più a trattenersi. Era un ragazzo silenzioso che manteneva facilmente la calma ed evitava i litigi il più possibile, ma odiava l'espressione rassegnata e spaventato che aveva Nishinoya in quel momento. Non avrebbe lasciato che qualcuno gli portasse via la felicità, neanche i suoi genitori.
- Il tuo ragazzo? Ma parli di mio figlio?- chiese il padre di Nishinoya, confuso.
- Si, parlo di suo figlio- confermò Asahi.
- Ragazzo, se mio figlio ti ha chiesto di fare o dirci qualcosa, non sei obbligato ad assecondarlo- commentò la madre.
- Lui non mi ha chiesto di fare niente. A me piace la vivacità di Yu, lo trovo un suo grande pregio, anzi è stato proprio grazia a questa sua qualità che sono riuscito a guarire. È vero, imparare a controllarsi è fondamentale, e lui ci è riuscito alla perfezione; ma questo non comporta per forza che debba rinunciare alla sua allegria. Anzi, penso che starebbe peggio se lo facesse. Yu va benissimo così com'è, non ha niente che non va ed i suoi genitori dovrebbero accettarlo- concluse.
- Asahi-san...- Yu sorrise - è la prima volta che mi chiami per nome-.
- È questo che hai capito di tutto il discorso?- borbottò Asahi, ma gli fece piacere vedere che Nishinoya stava meglio.
- No, ho capito che ho un ragazzo fantastico- dichiarò Yu, dandogli un bacio sulla guancia.
- Io direi maleducato. Non si parla così ad una persona più anziana, soprattutto se non la conosci e soprattutto sull'educazione di suo figlio- ribatté la donna.
- Figlio che ha ignorato per tutta la vita, fin quando il nonno non è morto mi hai praticamente abbandonato a lui- gli fece notare Yu. Le parole di Asahi lo aveva risvegliato: in fondo, a lui piaceva essere così, e piaceva anche ai suoi amici ed al suo ragazzo. I suoi genitori non si erano mai presi davvero cura di lui, per cui non avevano il diritto di dirgli niente su come doveva comportarsi.
- Ti abbiamo mandato qui come avevi richiesto; mostra un po' di riconoscenza- sbuffò suo padre.
- Vi sareste liberati di me in ogni caso, quindi era il minimo che poteste fare. Ma non preoccupatevi, tra poco sarò fuori da qui e non dovrete più preoccuparvi: ci penserà Asahi a me- dichiaró, alzandosi e voltandosi verso l'altro ragazzo.
- Asahi-san, ho voglia di andare a correre in palestra con Ryu- affermò. Asahi si alzò.
- Andiamo allora- si voltò, in modo che Yu potesse saltargli sulla schiena.
- Arrivederci, signori Nishinoya- salutò.
- Ciao ciao!- uscirono entrambi dalla stanza e Yu scoppiò a ridere.
- Sei stato bravissimo Asahi-san! Una persona veramente matura!- esclamò.
- Nessuno può farti sparire il sorriso. E poi... Dovresti smetterla di chiamarmi Asahi-san, stiamo insieme ora no?- mormorò, stringendo appena la presa sulle sue gambe.
- Se mi stringi così corriamo in camera da letto- Yu gli diede un bacio sulla guancia e Asahi arrossì.
Yu appoggiò la testa sulla sua schiena.
- Grazie, Asahi- sussurrò.
- Sono io che devo ringraziarti, Yu. Adesso che ci sono io tu... Non trattenerti più, va bene?-. Yu sorrise.
- Non ne ho più motivo. Adesso ho te-.

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Capitolo 24
*** CAPITOLO XXIV. ***


- Non voglio farlo, Iwa-chan-.
- Shittikawa...-.
- Mia madre mi odia. Odia me, non lui; non riuscirò a contenerlo- mormorò.
Hajime arrestò la sua camminata, facendo fermare anche Toru, che non accennava ad alzare lo sguardo.
- Vuoi veramente arrenderti per questo? Stai facendo passi avanti no?-.
- Si ma Kirai è ancora qui, e senza di te non posso mandarlo via-.
- Infatti sarò dentro con te- gli ricordó Hajime.
- Non penso che basterà questa volta. Lo sai, mia madre mi ha sempre messo addosso fin troppe pressione e lui ne ha sempre approfittato. Anche solo pensando a lei...- Toru chiuse gli occhi, sentendo come una risata nella sua testa.
Li riaprí di scatto, e Hajime vide la paura nei suoi occhi.
- Toru. Tua madre non ha mai capito niente di te; lei non ti conosce. Io si. So quanto vali, e lo sai anche tu-. Toru scosse la testa.
- Lei mi odia. E anche tuo padre; non resisterò- mormorò.
- Ho bisogno di te per affrontare mio padre- affermò Hajime.
- Lui ti sarebbe più utile, è molto più forte di me- mormorò Toru.
- È più stronzo, non più forte. E comunque non me ne frega nulla di lui, io voglio te- dichiarò il moro.
- Iwa-chan, non so quanto riuscirò a rimanere-. Non andava bene: Oikawa si stava abbattendo, e Kirai ne avrebbe sicuramente approfittato.
Toru poteva già avvertire i passi dell'altro nella sua testa; camminava con calma, come se stesse aspettando un suo lento declino che sapeva sarebbe arrivato.
Guardò Iwa-chan e sorrise.
- Non so quanto resisterò. Per cui te lo dico adesso, prima di non poterlo più fare. Io ti amo Iwa-chan, ti ho amato dal primo momento e non ho mai smesso. Mi dispiace per tutto il male che ti ho fatto, sarei voluto essere un amico migliore. Grazie per tutto ciò che hai fatto per me-. Hajime rimase immobile per un attimo, schokato: non aveva idea che l'amico ricambiasse i suoi sentimenti, pensava solo che ci tenesse molto a lui, e adesso... Doveva assolutamente fare qualcosa.
Poggiò le mani sulle spalle del castano, lo tirò verso di lui e gli diede una testata.
- Non parlare come se stessi per morire!- sbraitó.
- Ahia! Mi hai fatto male Iwa-chan!- si lamentó Toru. Hajime lo afferró per il colletto della maglietta, strattonandolo appena.
- Mi ami? Allora dimostramelo rimanendo te stesso! Dammi la possibilità di dirtelo a mia volta senza la paura che tu possa sparire! Affronta tua madre e torna da me con quel tuo solito sorriso irritante e vittorioso sul volto, va bene?!-.
- Iwa-chan tu...- mormorò Toru. Una parte di lui era già a conoscenza dei sentimenti che provava il suo amico per lui; ma era la parte sbagliata.
- Diamine, prima o poi mi farai impazzire- Hajime lasciò andare l'amico e fece un respiro profondo per calmarsi.
- Tu sei il migliore Shittiwaka. E io sono al tuo fianco. Quindi ce la faremo, va bene?-. Toru fece il suo solito sorriso spavaldo.
- Certo che ci riusciremo, Iwa-chan; andiamo- riacquisita la sua sicurezza, superó l'amico. Ad Hajime sfuggì un sorriso mentre lo seguiva.
Toru aprì velocemente la porta, ben sapendo che se avesse atteso non ci sarebbe riuscito; rimasero entrambi sorpresi nel vedere che dentro c'erano sia la madre di Toru che il padre di Hajime.
- E come avevamo detto, quei due sono insieme- commentò aspra la donna.
- Scusateci se siamo amici- Hajime diede una lieve spallata a Toru per incoraggiarlo a seguirlo nella stanza.
- Hajime, sii educato- lo riprese il padre mentre i due ragazzi si sedevano.
- Agli ordini-. Toru stava cercando di non ridere; ed ecco che la stabilità mentale di Iwa-chan era andata. Suo padre aveva questo effetto su di lui.
Il castano sentiva lo sguardo di sua madre addosso e la cosa lo metteva a disagio, ma cercava di non farci caso e concentrarsi sul suo amico.
Se vuoi la sistemo io; sai che ha paura di me.
Toru ignorò quella voce divertita nella sua testa.
Oh, non badare a me. Comunque prego per averti dato il coraggio di dichiararti.
Il coraggio? Toru era certo che Kirai non gli avesse dato alcun coraggio.
E pensi che ce l'avresti fatto da solo?
Certo: quei sentimenti li provava lui, non Kirai.
Ah questo è vero. Quindi se prenderò completamente il controllo...
Non avrebbe preso il controllo, Toru non gliel'avrebbe permesso.
- Toru- sussurrò Hajime; aveva notato che si stava iniziando a bloccare e doveva farlo stare meglio prima che fosse troppo tardi.
- Che hai Toru? Non riesci a parlare?- sbuffò sua madre. Come al solito, non aveva capito la situazione del figlio.
Visto? Nessuno ti vuole bene.
Si, Iwa-chan gli voleva bene.
- Signora Oikawa, non dovrebbe stressare suo figlio in questo momento- intervenne Hajime. Toru sentì appena la sua voce, stava iniziando a perdere il controllo.
- Hajime, non ti intromettere- lo ammoní il padre, mentre la madre di Toru si alzava e si metteva davanti al figlio.
- Mi vuoi ascoltare si o no?- ringhió. Hajime si alzò di scatto.
- Lo lasci in pace-. Vide appena suo padre alzarsi, ma sentì bene lo schiaffo che gli arrivó dritto sul volto, talmente forte da farlo cadere. Si portò la mano alla guancia e fissò il padre con occhi spalancati.
- Ti ho detto di non intrometterti Hajime! Possibile che in tutti questi anni tu non abbia ancora capito che non ci guadagni niente a proteggere quel debole?-.
- Toru non è un debole!- ad Hajime mancò il fiato quando ricevette un calcio in pancia.
- Toru mi vuoi rispondere?- sbuffò la madre del castano.
Guarda, il tuo Iwa-chan non ti sta neanche proteggendo.
Era lui ad aver bisogno di aiuto adesso.
Allora perché non vai ad aiutarlo?
Toru avrebbe voluto, ma non riusciva a muovere un muscolo.
Se mi lasci prendere il controllo lo aiuterò io.
No, Iwa-chan non l'avrebbe voluto.
Quindi vuoi lasciarlo in balia di suo padre? Tu non puoi fare niente per lui Toru, sei troppo debole.
Non è vero.
Cos'è più importante, provare a mantenere il controllo o il ragazzo che ami?
Preferirebbe salvarsi da solo che essere salvato da Kirai, di quello Toru ne era certo.
Quindi lo lascerai in quello stato?
Toru si voltò verso l'amico; sapeva di non essere stato lui a voltarsi in realtà, ma vedere Iwa-chan picchiato da suo padre lo fece comunque inorridire.
Hajime scosse la testa: non voleva che l'amico facesse cazzate pur di aiutarlo.
Visto? Neanche lui ti vuole!
Toru sentì vagamente la madre afferrarlo e scuoterlo.
Fammi uscire; ti libereró da tutto il tuo dolore.
Però l'avrebbe liberato anche dall'amore.
Nessuno ti ama. Io potrò dare loro ciò che hanno sempre voluto: e non sei tu.
- Taci!- urlò, alzandosi di scatto.
Iwa-chan voleva lui, Toru lo sapeva bene: odiava Kirai. Era il suo migliore amico, lo conosceva: voleva lui. Gli voleva bene.
E lui lo ama. Era Toru Oikawa, poteva sopportare tutto: lui era il migliore. E Iwa-chan era la sua spalla, non l'avrebbe mai lasciato solo.
Spinse via la madre e corse dal suo migliore amico, spingendo via il padre da lui prima che potesse colpirlo nuovamente.
- Stai bene Iwa-chan?- si accucció di fianco all'amico, e notò che aveva il labbro spaccato.
- Iwa-chan...-. Hajime sorrise; afferrò l'altro per il colletto della maglietta e lo tirò verso di sé per baciarlo.
Toru rimase sorpreso a quel gesto; era troppo felice per fare caso al fatto che lì ci fossero ancora i loro genitori, o al fatto che l'amico sapesse un po' di sangue. Stava finalmente baciando Iwa-chan.
- Bentornato- gli sussurrò Hajime. Toru sorrise.
- Non me ne andrò più. Sono il migliore dopotutto- si alzò e gli porse la mano. Hajime la afferrò e si tirò su.
- Brutto stronzo, come osi spingermi via? Porta rispetto!- Toru vide un pugno caricare verso di lui.
Hajime reagì prima, colpendo il padre allo stomaco.
La porta si spalancò ed entrò Ukai.
- Ho sentito delle urla, che succede? Allontanatevi subito da quei ragazzi!- urlò, notando la situazione in cui versava Iwaizumi.
- È mio figlio e posso fare quello che voglio!-.
- Suo figlio è maggiorenne e può denunciarlo senza problemi, e posso farla finire in carcere per ancora più tempo se confermo che ha picchiato un malato mentale. Andatevene subito da qui!- si spostò ed indicò il corridoio.
I due ragazzi ignorarono gli sguardi dei genitori; Toru era troppo occupato ad esaminare il volto del moro.
- Shittikawa, sto bene, è solo un taglio-.
- Vuoi un bacino così passa?-.
- Idiota- borbottó Hajime.
- Ragazzi, state bene?- gli chiese Ukai, avvicinandosi.
- Si dottore, non si preoccupi- rispose Toru.
- Grazie per averceli fatti incontrare; è stato un piacere tirare un pugno a mio padre- commentò Hajime, facendo ridere Toru.
- Felice che la rissa vi abbia divertiti. Fate un salto da Takaeda che ti sistema il labbro- consigliò.
- Andiamo subito- affermò Toru, uscendo dalla stanza, seguito dal moro.
- Allora Iwa-chan... Dato che sono stato bravo, non avevi promesso di dirmi qualcosa?- chiese Toru.
- Io non ti ho promesso niente- ribatté Hajime; il castano mise il broncio.
- E dai Iwa-chan! Sai che continuerò a romperti le scatole vero? Perché non me lo dici? Guarda che...- Toru si trovò contro il muro, le labbra premute su quelle di Hajime in un bacio per niente dolce, anzi pieno di passione.
Toru affondò le mani nei capelli dell'amico, tirandogli leggermente qualche ciocca mentre lo teneva ancora più stretto a sé.
- Non ti ho ancora sentito dire niente- sussurrò quando si staccarono per riprendere fiato. Hajime alzò gli occhi al cielo.
- Cosa ti devo dire Shittikawa? Si, ti amo-.
- Iwa-chan, sei la persona meno romantica del mondo!-.
- Non ci giurerei: ho sentito Kenma dire a Kuuro che l'avrebbe venduto volentieri per una console- ribatté Hajime, riprendendo a camminare.
- Ma io mi sono innamorato di te, non di Kenma!-.
- Tu l'hai scelto, e ora ne paghi le conseguenze- ribatté Hajime.
- Anche in camera da letto?- chiese Toru con un sorriso malizioso.
- Anche in camera da letto- confermò Hajime.
- Evvai!- esclamò il castano. Si guardarono e sorrisero; in fondo, era impossibile che qualcosa riuscisse a separarli.

Tobio continuó a muovere la mano tra i capelli di Hinata, che era appoggiato a lui.
- Vedrai che andrà bene- gli sussurró Shoyo. Sapeva che il moro era più nervoso del solito, ma stava riuscendo a trattenersi bene.
- Non lo so, non so cosa aspettarmi- ammise Tobio. Con la sua famiglia non aveva mai avuto particolari rapporti, quindi era già tanto che fossero andati lì.
- Qualsiasi cosa sia, conta su di me va bene?- Shoyo si voltò e gli diede un bacio.
- Grazie piccolo- sussurrò Tobio. Sentì la porta aprirsi e si alzò di scatto mentre entravano i suoi genitori.
- Ciao Tobio- lo salutarono.
- Ciao-. Calò subito il silenzio.
- Salve, sono Hinata Shoyo, il ragazzo di vostro figlio- Shoyo spezzò il silenzio.
- Ragazzo? Capisco- commentò la madre.
- Ragazzo, quanti anni hai?- gli chiese il padre.
- Diciannove perché?-.
- Pensavo quindici-. Shoyo spalancó la bocca; Tobio lo tirò verso di sé in un mezzo abbraccio per farlo calmare.
- È solo un po' basso papà. Ci sediamo?-. I due annuirono e si misero a sedere.
- Scusami piccolo- gli sussurrò all'orecchio. Shoyo scosse la testa, come a dirgli di stare tranquillo: era lì per supportarlo, non per fare ulteriori casini.
Ma si prese comunque una piccola vendetta sedendosi sulle ginocchia di Kageyama, che fu più che felice della cosa.
- Come va la tua malattia Tobio?- gli chiese la madre.
- Molto meglio, grazie: il mio rapporto con le persone è migliorato-. Faceva ancora fatica a sopportare Tsukishima, ma andava già meglio; soprattutto quando con lui c'era Hinata. Quel piccoletto aveva un effetto fin troppo calmante su di lui. Be', tranne in certi ambiti che dovevano ancora esplorare completamente.
- Ne sono lieta-. Di nuovo silenzio.
- Sapete che Tobio è ordinatissimo? La nostra stanza è sempre pulita grazie a lui!- Shoyo ci stava provando a rallegrare l'atmosfera, ma con scarsi risultati. I genitori non batterono ciglio neanche quando siete "nostra" stanza.
- Mi fa piacere, è importante essere ordinati- commentò sua madre.
- Hai deciso cosa fare una volta che sarai fuori da qui?- gli chiese suo padre.
Sicuramente sarebbe rimasto con Hinata, ma sapeva che al padre questo particolare non interessava.
- Sto controllando vari ambiti di lavoro che potrebbero interessarmi-.
- Quindi non continuerai gli studi?-.
- No-.
- Capisco-. Di nuovo silenzio.
Tobio vide che Shoyo stava iniziando a non farcela più di tutto quel silenzio; era stato entusiasta di sapere che avrebbe conosciuto i suoi genitori, e a Tobio era dispiaciuto doverlo informare che probabilmente a loro non sarebbe importato nulla.
Gli mise una mano sulla schiena, carezzandola lentamente; Shoyo si concentró su quel contatto, cercando di ignorare l'irritazione che gli facevano venire i due davanti a lui e pensando invece agli argomenti di cui avrebbe parlato con sua madre.
I genitori di Kageyama se ne andarono poco dopo, senza aver detto molto altro.
- Meno male che sono arrivato a portare allegria nella tua vita!- esclamò Shoyo appena uscirono. Tobio rise.
- Menomale davvero. Scusami per i miei piccolo- mormorò, accarezzandogli i capelli.
- Be', almeno non avremo dubbi su quale famiglia visitare durante le feste- borbottó Shoyo, voltandosi e dando un bacio al moro.
- Tu sai che diventerò così vero?-. Shoyo si voltò e lo fulminó con lo sguardo.
- Ti impediró di essere così distaccato con i nostri figli, dovessi venire a letto con te per farti rilassare tre volte al giorno- affermò. Tobio si concentró talmente tanto sulla seconda parte che per un attimo non comprese la prima.
- Aspetta, quali fi...- la porta si aprì prima che potesse concludere la frase.
Shoyo si voltò, e tutti i preparativi fatti fino a quel momento andarono a farsi benedire. Aveva pensato di salutare allegramente, raccontare un po' i suoi ultimi tre anni e chiedere come stessero andando le cose a casa.
Però, appena vide la sua sorellina, ormai non più tanto piccola, non poté fare a meno di correre ad abbracciarla.
- Natsu! Mi sei mancata tanto!- esclamò. Tobio, ancora sconvolto dal fatto che il suo ragazzo avesse affermato di volere dei figli con lui, a quella scena non poté non sorridere.
- Shoyo levati, pesi!- si lamentó la ragazza; spalancó gli occhi e si voltò verso la madre.
- Mamma, Shoyo pesa!- esclamò.
- Così potrei offendermi! Non sono pesante! Vero?- Shoyo si voltò verso Kageyama, come per cercare una conferma. Tobio si alzò e lo raggiunse.
- No, hai un peso perfetto- affermò. Ed era così: Shoyo aveva finalmente raggiunto il giusto peso che avrebbe dovuto avere per la sua età e altezza. Ci era finalmente riuscito, e Tobio era il più orgoglioso di questo.
- Shoyo, sono così fiera di te!- la madre lo strinse in un abbraccio.
- Chi è lui? Il tuo ragazzo?- chiese Natsu, indicando Kageyama.
- Esatto! Lui è Bakageyama!-.
- Veramente sono Tobio Kageyama, bokè- borbottò il moro.
- È un piacere conoscerti Kageyama-kun!- affermò sua madre, stringendogli la mano.
- Come hai fatto a trovare il ragazzo prima di me?- borbottó Natsu, guardando male il fratello.
- Perché sono più grande- dichiarò lui, incrociando le braccia al petto ed assumendo un'espressione di superiorità.
- Si ma ora sono alta quanto te- borbottó lei.
- Sarà perché sei troppo alta che non trovi un ragazzo-.
- Hey!-.
- Io vi lascio soli, immagino che vorrete parlare- mormorò Tobio.
- Non ci provare!- Shoyo lo afferrò per il braccio prima che potesse uscire - abbiamo già deciso che passeremo le feste da mia mamma no? Devi conoscerla bene!- affermó.
- A me farebbe molto piacere- dichiarò la donna.
- Anche perché i genitori di Kageyama sono veramente antipatici!- esclamò Shoyo.
- Shoyo, non essere maleducato- lo riprese la madre, ma non riuscì a trattenere un sorriso nel vedere il figlio così felice.
- Non si preoccupi signora, suo figlio ha detto la verità- affermò Tobio.
- Fratellino, sei ancora vergine?-.
- Natsu!- esclamarono in coro Shoyo e sua madre.
- Che c'è? Avete diciannove anni e vivete insieme da tre! Mi state dicendo che non avete ancora fatto niente?-. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo.
- Questo Baka si è dichiarato pochi mesi fa- dichiarò Shoyo, indicando Kageyama.
- Potevi farlo anche tu bokè!-.
- Io sono quello piccolo!-. Il loro bisticcio venne interrotto dalla madre di Hinata che tirò su con il naso, facendo voltare tutti e tre verso di lei.
- Su mamma, non piangere- Natsu le si avvicinò con un sorriso dolce, abbracciandola.
- Scusatemi, non volevo rovinare il momento- sussurró lei.
- Che succede mamma?- le chiese Shoyo, preoccupato. Natsu gli sorrise.
- È solo che aveva paura che ti saresti trovato male qui; è solo molto felice di vedere che sei contento e hai trovato qualcuno di speciale che ti accetti- spiegò.
- Mamma...-.
- Signora- Tobio superò Shoyo e si mise di fronte alla donna - suo figlio è spesso fastidioso ed irritante, ma è anche la persona più buona e solare che conosca. Le prometto che finché sarò in vita non dovrà più temere che lui rimanga solo- affermò. La donna inizió a piangere più forte; Tobio sbarrò gli occhi e si voltò verso Hinata.
- Ho detto qualcosa di male?-. Shoyo rise e si avvicinò, dandogli un bacio sulla guancia.
- Baka, è solo felice per noi- affermò, prima di abbracciare la madre.
Anche Tobio sorrise. Quel piccoletto era veramente una persona incredibile; era imperfetto, ma era la sua imperfezione. Ed andava bene così com'era.

- Arrivederci a tutti- Ittetsu salutó gli ultimi genitori rimasti e chiuse la porta. Fece un respiro profondo: era stata dura, soprattutto con alcuni... Ma era certo che fosse servito.
Si incamminò lungo il corridoio. Prima di cena avrebbero dovuto parlare con i ragazzi, ma prima aveva bisogno di vedere Ukai.
Arrivò davanti alla porta del suo studio e bussò, entrando quando l'altro gli diede il permesso.
- Mi sembra andata bene- commentó.
- Come sta Iwaizumi?-.
- Si è accorto appena del taglio, era concentrato su altro- sorrise il moro.
- Immaginavo; ormai mancavano solo loro- affermò Keishin.
- Più che uno psicologo sembra Cupido- commentò Ittetsu, riprendendo a camminare e sistemandosi di fianco alla sedia del dottore, che si voltò per guardarlo in volto.
- Non le sembra il momento per formare anche l'ultima coppia?- chiese tutto d'un fiato. Keishin spalancò gli occhi.
- Ne sei sicuro?-.
- Non sei uno che si tira indietro una volta che ha fatto una promessa. Penso che mi sentirei più sicuro sapendo di averti con me. Non che io voglia appoggiarmi completamente su di te ovviamente! Solo che... Ecco... Nel senso...-.
- Ho capito- lo rassicuró Keishin, trattenendo una risata. Ittetsu tornó serio.
- Però prima vorrei assicurarmi di una cosa che ho notato quella notte- affermò. Keishin si accigliò, non capendo cosa l'altro intendesse dire.
- Di cosa?-.
Ittetsu allungò la mano, portandola sul braccio del biondo ed iniziando a tirare su la manica. Keishin capì cosa volesse fare e ruotò leggermente il braccio.
Ittetsu carezzò con un dito il tatuaggio che aveva il biondo sul retro del braccio.
- Il punto e virgola se lo tatua chi ha vinto contro la depressione- sussurrò, alzando lo sguardo e incontrando quello di Ukai.
- Non ho mai sofferto di depressione. Ma da ragazzo credevo di avere tutti i problemi del mondo e... Be', ero in brutti giri. Quando ho incontrato persone che soffrivano davvero, ho deciso di cambiare; mi sono fatto questo simbolo per ricordarmi come mai lo sto facendo- raccontò - ho incontrato Shimada e Takinoue proprio in quel periodo. Erano due cleptomani; sono stati i miei primi pazienti quando ancora non potevo professare- sorrise al ricorso.
- Cupido già allora eh?- sorrise anche Ittetsu.
- Stanno ancora insieme no?-. Ittetsu annuì.
Si fissarono per un attimo negli occhi.
- Rincominciamo a fare i ragazzini, direttore?- commentò Keishin.
- È divertente essere giovani no?- rispose Ittetsu. Il biondo alzò gli occhi al cielo.
- Ok, allora facciamo i ragazzini- allungò le braccia, tirando il direttore verso di sé per farlo sedere a cavalcioni sulle sue gambe e poggiare le labbra sulle sue.
Ittetsu sentí tutte le preoccupazioni scivolare via in un attimo mentre chiudeva gli occhi e ricambiava il bacio.
Dopo qualche minuto passato a baciarsi, Keishin si interruppe.
- Direttore, vorrei parlare con i ragazzi prima di rinchiuderci in stanza tutta la notte. Che ne dici?-.
- Potrebbe essere una buona idea- confermò Ittetsu, senza smettere di sorridere. Diede un ultimo bacio al dottore prima di scendere dalle sue gambe. Anche l'altro si alzò ed insieme si diressero nella sala da pranzo, dove sapevano avrebbero trovato i ragazzi pronti per la cena.
Infatti, quando entrarono li trovarono tutti lì che parlavano animatamente tra loro.
- Ragazzi!- Daichi richiamò l'attenzione di tutti appena notó i due adulti, facendo calare il silenzio nella sala.
Keishin si schiarí la voce.
- Oggi è stata una giornata impegnativa; la maggior parte dei traumi solitamente derivano dalla nostra infanzia e dal rapporto con i nostri genitori, per cui non posso che farvi i complimenti per come avete gestito la cosa-. Be', c'erano state un paio di risse, ma dati i genitori presenti era stato inevitabile.
- Nel periodo in cui sono stato qui, siete tutti migliorati moltissimo; posso affermare senza problemi che, a mio parere, ora siete pronti per costruirvi una vita fuori da qui... Sempre che anche voi vi sentiate pronti. Se lo farete, all'inizio dovremo continuare a vederci perché dovrò accertarmi che stiate bene, ma non ho altre raccomandazioni da farvi: sono certo che continuerete a supportarvi e a stare insieme come avete fatto negli ultimi tre anni. Voglio farvi i miei complimenti ragazzi- qualche applauso si levò nella stanza quando concluse il suo discorso.
- Dottore, cos'è quel tatuaggio?-. Alla domanda di Bokuto, Keishin guardò in basso e notò che aveva ancora la manica tirata su.
- Il punto e virgola segna la vittoria contro la depressione; io non l'ho avuta, ma volevo un promemoria per ricordarmi di aver superato un brutto momento e dei nuovi obiettivi che mi sono prefissato nella vita- spiegó l'uomo.
- E perché ha la manica tirata su?- urlò Nishinoya.
- Questi non sono affari vostri- decretò l'uomo.
- Non si preoccupi, basta guardare la faccia del direttore per capirlo- commentò Tanaka.
Keishin si voltò verso il moro, e notò che effettivamente era rosso.
- Direttore, un po' di contegno!-.
- Non avevamo parlato di essere ragazzini?- borbottò Ittetsu, ben sapendo che quella scusa non valeva contro il suo scarso autocontrollo.
- Si ma non davanti ai ragazzi...-.
- Hey, e se ci facessimo tutti quel tatuaggio una volta fuori?- urlò Kuuro. La sua proposta fu acclamata da tutti quanti, e serví anche a distrarre dai due uomini.
Sia Keishin che Ittetsu sorrisero nel vederli così allegri.
- Direttore- Sugawara si avvicinò loro.
- Dimmi-.
- Dato che tra non molto inizieremo a separarci... O meglio, a non vivere tutti insieme, e dato che è stata una giornata stressante... Vorrei il suo permesso per fare un'attività rilassante che questi scalmanati trasformeranno sicuramente in qualcosa di divertente e fuori controllo- affermò l'argentato. Ittetsu rise.
- Nessun problema; dimmi pure-.

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Capitolo 25
*** CAPITOLO XXV. ***


- Sicuro di quello che hai fatto? La responsabilità è tua- fece notare Keishin, chiudendo la porta della sua stanza.
- L'hai detto tu che sono ragazzi in gamba e responsabili no? E poi così almeno per un po' non avremo nessuno a disturbarci- affermò Ittetsu, voltandosi verso di lui.
- Direttore, non ti facevo così malizioso- commentò Keishin, raggiungendolo. Ittetsu si sentì arrossire.
- Perché continui a chiamarmi direttore?- gli chiese.
- Perché ti piace no?- affermò Keishin.
- Ed ecco il brutto di stare con uno psicologo- borbottò Ittetsu.
- Però posso mostrarti anche i lati buoni, direttore- affermò il biondo, per poi fiondarsi sulle labbra dell'altro.

- Questa vasca è così rilassante!- esclamò Yachi.
- Confermo- Kyoko si sedette di fianco a lei e chiuse gli occhi, godendosi la sensazione dell'acqua calda sulla pelle.
- Non sapevo che questo posto avesse dei bagno in comune- ammise Yachi. Stava cercando di distrarsi: aveva già visto il corpo invidiabile di Kyoko, dopotutto avevano vissuto per tre anni nella stessa stanza, ma ogni volta le faceva un certo effetto.
- Io ricordo che l'avevo letto, ma non pensavo fossero così grandi- rispose la mora.
- Noi siamo in due ma è strano che i ragazzi non li abbiano mai usati-.
- Penso che con malattie come quella di Kindaichi, o anche di Hinata e Kenma, nessuno abbia voluto creare imbarazzo- mormorò Kyoko.
- Credo tu abbia ragione- confermò Yachi. Chiuse gli occhi per rilassare completamente il suo corpo; sussultò appena quando sentì una mano sfiorare la sua e poi stringerla. Non aprì gli occhi, si limitò a ricambiare la stretta.
Kyoko fece un piccolo sorriso e si rilassò a sua volta.
- E se andassimo a vivere insieme?- la domanda uscì dalla bocca di Yachi prima che potesse realizzarlo. Aveva sentito Hinata e Kageyama parlare dell'argomento, e le era sembrato che anche gli altri fossero predisposti, ma temeva di aver messo l'altra in imbarazzo con quella domanda.
- Ovviamente non siamo obbligate! Insomma, se pensi sia presto, se...-.
- Penso sia una buona idea. Dopotutto dovremo lavorare assieme, e già siamo abituate a convivere per cui farlo in uno spazio più grande non sarà un problema- Kyoko parlò nella sua solita maniera razionale, ma il suo cuore stava esplodendo dalla gioia.
Yachi a quella risposta si rilassò nuovamente.
- Sono felice che l'idea ti piaccia-.
- Sarà divertente arredarla insieme, non pensi?- commentò Kyoko.
- Sarà il nostro primo lavoro di coppia! Insomma, sempre che tu voglia definirci una coppia, nel senso...-.
- Non ero io quella che soffriva d'ansia?- Kyoko rise e Yachi rimase senza fiato nel sentire quel suono.
- Hai ragione, scusami; è che sono emozionata- mormoró.
- Anch'io- ammise la mora; scivolò più vicino all'altra ed entrambe si voltarono per guardarsi - però se ho te a sostenermi so che andrà tutto bene- affermò. Yachi sorrise.
Contemporaneamente, le due ragazze si avvicinarono fino a fare incontrare le loro labbra. Da quel momento, nessuna delle due sarebbe più stata sola.

Nella vasca dei maschi, stava avvenendo una specie di lotta muta.
Tsukishima, Kageyama, Tanaka, Nishinoya, Daichi, Kuuro, Bokuto, Yaku, Iwaizumi e Kindaichi erano appoggiati al bordo della vasca, in silenzio.
Yamaguchi stava parlando con Hinata e Kenma, Ennoshita era in un angolo a scherzare con Asahi, Suga e Akashi, Lev nuotava in giro mentre Oikawa parlava con Kunimi. Con il piccolo dettaglio che il secondo gruppo stava appositamente ignorando il primo perché, su idea di Oikawa, volevano vedere quale dei loro fidanzati reggesse di più. E dato che alcuni come Suga, Hinata e Oikawa ogni tanto si mettevano "per sbaglio" in pose poco consone, non avevano dubbi sul fatto che presto la pazienza dei primi dieci si sarebbe esaurita.
- Questa cosa è una cazzata- sbottò Hajime.
- Concordo- confermò Yutaro.
- Questo perché non avete controllo- affermò Tetsuro.
- Bro, io sto per cedere- mormorò Koutaro.
- Bro, Akashi sta semplicemente parlando...-.
- Appunto!-.
- Che indecenti- borbottò Kei.
- Tanto vincerò io: non ho interesse per quell'idiota- affermò Yaku.
- Certo. Amico, meglio che nessuno guardi sotto l'acqua- commentò Tetsuro.
- Idiota!-.
- Ragazzi, ma quei tre sono morti?- Hajime si sporse appena per indicare Kageyama, Nishinoya e Tanaka, che erano in silenzio ad osservare i loro fidanzati.
- Penso stiano semplicemente concentrando tutte le loro energie sul rimanere concentrati- commentò Daichi.
- Ragazzi ho un'idea!- Daichi trattenne il respiro quando Koushi uscì dall'acqua.
- Non fai più tanto lo spavaldo eh?- lo canzonó Tetsuro.
Koushi armeggiò per un attimo con il suo cellulare: per tre anni non l'aveva praticamente usato, ma l'aveva portato lì apposta per mettere un po' di musica.
- Oh, ottima idea- anche Toru uscì dall'acqua, raggiungendo l'argentato. Gli porse la mano.
- Balliamo?- chiese. Hajime si staccò dalla parete.
- Con piacere-.
- Hey piccoletto, vieni anche tu!- urlò Toru, voltandosi verso Hinata. Non fece in tempo a sentire la risposta dell'arancione perché Hajime lo afferró e lo trascinò nuovamente nella vasca, infilandogli la testa sott'acqua.
- Sia chiaro, non vale come sconfitta- affermò.
- Concordo con lui- confermò Daichi.
- Come vi lasciate provocare facilmente...- borbottò Tetsuro.
- Però non è una brutta idea ballare!- Shoyo sentì qualcuno picchiettare sulle sua spalla, si voltò e si trovò le labbra di Kageyama sulle sue. Avvinghiò le gambe attorno alla vita di Tobio, che affondò le dita nei suoi capelli e lo tenne più stretto a sé.
- E abbiamo il primo squalificato!- esclamò Koushi, tornando in vasca, mentre anche Hajime tornava vicino alla parete.
- Questo gioco è stupido- dichiarò nuovamente Yutaro; non voleva perdere contro Kageyama, ma ora che lui era stato squalificato per primo non aveva motivo di rimanere lì.
Si staccò dalla parete e si avvicinò a Kunimi, prendendolo per mano e portandolo in un angolo.
- Come stai?- gli chiese.
- Non è male, ogni tanto sono divertenti- commentò Akira. Yutaro sorrise e si abbassò per baciarlo; Akira ricambiò il bacio, dopodiché si voltò, appoggiandosi al petto del fidanzato, che lo circondó con le braccia mentre entrambi tornavano a guardare la gara.
Toru si era ripreso e non demordeva: dato che Hinata ormai era fuori gioco, puntó nuovamente su Sugawara. Si avvicinò a lui.
- Fingi che ci stiamo divertendo- gli sussurrò. Koushi, che in fondo si divertiva a vedere Daichi in quello stato, si morse il labbro assumendo l'espressione di una persona che si sta trattenendo dallo scoppiare a ridere.
- Iwaizumi, stai per diventare single- dichiarò Daichi.
- Me ne farò una ragione-.
- Ricordatemi perché ho accettato di fare questo gioco- borbottò Kenma.
- Perché Hinata ti ha convinto- affermò Yamaguchi.
- Si ma è noioso; Kuuro sa benissimo come trattenersi- mormorò il biondo.
- Davvero? A me non sembra- commentò Lev. Guardarono tutti e tre il corvino, e Kenma notò che in effetti, nonostante la sua espressione tranquilla, non era calmo per niente.
- Hey Akashi-. Keiji si voltò, sentendosi chiamare da Suga; non gli piaceva lo sguardo che avevano lui e Oikawa.
- Puoi morderti il labbro inferiore ed inclinare leggermente la testa?- gli chiese il secondo. Keiji cercò di fare come gli era stato detto, anche se era piuttosto confuso.
- Così?- chiese.
- Non ce la faccio!- Koutaro si immerse e nuotò fino ad Akashi; riemerse di fronte a lui ed intrappolò le sue labbra in un bacio.
- Siete cattivi dentro eh- commentò Ennoshita, mentre Suga e Oikawa si davano il cinque.
- E non hai ancora visto tutto- affermó Koushi, avvicinandosi ad Asahi. Intanto Keiji aveva portato Bokuto via dal centro del bordo-vasca, in modo da lasciare spazio a quelli ancora in gioco... Cosa difficile dato che l'altro non si era ancora staccato da lui, e non gli dispiaceva per niente.
- Asahi puoi andare sott'acqua?- chiese Koushi.
- Ehm... Perché?-.
- Perché sono tuo amico e mi vuoi bene?-. Asahi sospirò; sapeva che Suga stava architettando qualcosa, ma dopotutto anche lui in teoria era lì per testare quanto il suo ragazzo avrebbe resistito, per cui fece come gli era stato detto. Mentre era sott'acqua, Koushi portò una mano ai capelli dell'amico e gli tolse il codino. Quando il castano riemerse, Yu rimase letteralmente a bocca aperta: gli sembrò che il mondo si muovesse a rallentatore, mentre l'altro scuoteva leggermente la testa per togliersi i capelli da davanti agli occhi.
- Fra, non devi cede...- Ryu si bloccó quando vide Oikawa avvicinarsi ad Ennoshita ed iniziare a fargli il solletico. La risata che uscì dalle labbra del suo ragazzo lo fece bloccare com'era successo poco prima al suo migliore amico.
I due si scambiarono uno sguardo d'intesa, dopodiché si fiondarono dai loro ragazzi; Yu saltó letteralmente addosso ad Asahi, senza dargli il tempo di reagire prima di iniziare a tempestarlo di baci, mentre Ryu incastrò il corpo di Chikara tra il suo e la parete prima di iniziare a baciarlo. Chikara dovette aggrapparsi al collo del suo ragazzo per non crollare di fronte alla passione di quel momento.
- I nostri ragazzi sono due stronzi- affermò Hajime, che però non riusciva a distogliere lo sguardo da Oikawa. Non era mai riuscito a trattenersi quanto lo vedeva comportarsi da manipolatore, era più forte di lui: amava l'intelligenza e la mente di Oikawa, insultarlo era l'unico modo che aveva per non crollare definitivamente.
- Però almeno si divertono- commentò Daichi, che stava riuscendo a trattenersi solo perché non voleva interrompere il divertimento di Suga.
- Dai ragazzi, non è poi così difficile. Dovete abituarvi a vedere i vostri ragazzi insieme ai loro amici- affermò Tetsuro.
- Davvero Kuuro? Allora non ti dispiace se abbraccio Kenma! Volevo farlo almeno una volta prima di andarmene- commentò Suga, avvicinandosi al biondo.
Tetsuro non capì mai se a convincerlo fu il pensiero che qualcuno potesse toccare il suo Kenma, o lo sguardo di quest'ultimo che gli diceva chiaramente "se lasci che qualcun altro mi tocchi scordati di poterlo fare tu per almeno un mese". Non che Kenma avesse qualcosa contro Suga, anzi pensava fosse una bravissima persona, ma non amava il contatto fisico; lo sopportava appena con Hinata, ma solo perché sapeva che l'amico era molto espansivo.
In ogni caso, il trucco di Suga funzionò: Kenma si sentí sollevare tra le braccia di Tetsuro, che si sedette sui gradini lì vicino e se lo mise a cavalcioni sulle gambe prima di iniziare a baciarlo con foga.
- E ne rimasero quattro- rise Koushi, e Daichi seppe con certezza che non avrebbe resistito a lungo.
- Allora Yamaguchi- Toru si appoggiò al bordo di fianco al verde, voltandosi verso di lui - com'è Tsukishima a letto? È un tipo calmo o passionale?-.
Tadashi divenne completamente rosso e Kei iniziò ad avvertire il bisogno di andare a stringere il suo ragazzo fin troppo tenero.
- Ecco io... Noi...- Tadashi non sapeva bene cosa rispondere, continuava a fare vagare lo sguardo da Tsukki a Oikawa, imbarazzato.
- Non l'avete ancora fatto? Se vuoi posso darti qualche consiglio su come fare impazzire il tuo ragazzo: potresti iniziare con...-.
- Ok Oikawa, hai reso l'idea- Kei comparve alle spalle del suo ragazzo e lo circondó con le braccia - ci terrei a non diventare vedovo prima del tempo-. Tadashi arrossì ancora di più, mentre Kei lo portava in un angolo più tranquillo.
- Ragazzi vi conviene arrendervi- affermò Yaku, che perse la sua sicurezza quando vide che Suga e Oikawa stavano dicendo qualcosa a Lev. Quando smisero di coprirli la visuale, Yaku notò che l'altro aveva uno sguardo triste.
- Avete ragione, probabilmente vinceremo noi perché Yaku-san mi odia-. Yaku spalancó gli occhi.
- Cosa?! Non è assolutamente vero!- esclamò.
- Mi picchia sempre e dice che non mi sopporta... È cattivo...- continuò Lev.
- Ok ok, ho capito... Certo che siete tremendi voi due- Yaku lanciò un'occhiata a Suga e Oikawa, che trattennero un sorriso, mentre si staccava dalla parete per dirigersi verso Lev. Prese il volto dell'altro tra le mani, agevolato dal fatto che il mezzo-russo fosse seduto e quindi alla sua altezza, e gli diede un bacio dolce sulle labbra.
- È vero che a volte sei fastidioso, ma a me vai bene così come sei; posso comportarmi così proprio perché sei te- sussurrò. Lev sorrise.
- Lo so- afferrò i fianchi di Yaku e lo tirò verso di sé per un altro bacio, stavolta per niente dolce.
- Bene! E ora... - Toru prese Suga per i fianchi e lo fece girare verso di lui - il tocco finale- sussurrò, mentre Koushi spalancava gli occhi per la sorpresa.
In un attimo Daichi tirò via Suga dalla sua presa, mentre Hajime tirò un pugno sulla testa del suo ragazzo.
- Iwa-chan mi hai fatto male- mormorò Toru. A voce fin troppo bassa.
Hajime l'aveva notata da quando Oikawa aveva parlato con Tsukishima: la paura nei suoi occhi. Il timore che gli altri non avrebbero accettato i suoi difetti, che fino a quel momento aveva nascosto dietro Kirai e solo Iwaizumi conosceva.
- Questo è lo Shittikawa originale; se a qualcuno non piace lo uccido adesso- affermò Hajime.
- Scherzi? A me piace!- esclamò Shoyo, ricevendo un'occhiata da Kageyama.
- Serviva qualcuno di manipolatore qui- rise Ryu.
- Altrimenti sarebbe stato noioso!- gli diede man forte Yu, mentre altri concordavano.
- È stato divertente- affermò Koushi, prima di voltarsi verso Daichi.
- E così adesso ho scoperto anche il tuo lato competitivo- commentò il moro.
- È compreso nel pacchetto: prendere o lasciare- dichiarò l'argentato.
- Prendo tutto- sussurró Daichi, chinandosi per baciare il suo ragazzo.
Hajime si voltò verso Oikawa.
- Hai visto Shittikawa? A tutti vai bene così come sei, quindi smettila di fare il bambino- affermó.
Toru non sapeva esattamente cosa dire: non gli era mai capitato di trovarsi in mezzo a così tante persone che lo accettassero.
Ma era pur sempre Toru Oikawa. Per cui sorrise e guardò Iwa-chan negli occhi.
- Allora iniziamo a fare gli adulti- lo afferrò per i fianchi, avvicinandolo a sé e facendo scontrare i loro corpi, per poi baciarlo. Hajime gli appoggiò le mani sulle guance, approfondendo il bacio.
Per un attimo, nella stanza caló il silenzio: tutti erano concentrati sul loro partner, a nessuno sembrava importare d'altro.
Si fermarono quando stavano raggiungendo il limite della decenza in pubblico, oltre al quale sapevano non sarebbero riusciti a fermarsi; si sistemarono tutti nella vasca, e rimasero per un po' in silenzio a godersi l'acqua calda e l'atmosfera.
- Ragazzi- fu Tetsuro ad interrompere il silenzio - prima eravamo presi dalla foga del momento ma... Io parlavo sul serio per il tatuaggio. Non so voi, ma a me piacerebbe avere un segno di quello che ho vissuto qui, di quello che sono, anzi che siamo riusciti a superare-.
Daichi si alzò leggermente, in modo che tutti si voltassero verso di lui.
- È ovvio che non obbligheremo nessuno a farsi un tatuaggio. Ma penso che sarebbe una bella cosa avere un simbolo che unisca tutti quanti, che testimoni il tempo passato insieme. Dopotutto, coppie o non coppie, abbiamo vissuto qui per tre anni e affrontato molte situazioni. Non che senza un simbolo me le dimenticherò ovviamente, però...-.
- Io me lo farò- affermó Koushi.
- Anch'io!- esclamò Koutaro.
- Ho sempre voluto un tatuaggio!- commentò Yu.
- Gente, Tora è diventato tatuatore, andiamo da lui!- propose Ryu.
- Quindi dovrò proprio sopportarvi ancora?- borbottò Kei.
- Lo facciamo anche noi?- gli chiese Tadashi, voltandosi verso di lui e facendo uno sguardo a cui sapeva che il biondo non poteva dire di no. Infatti, Kei annuì.
- Anche a me piacerebbe- mormorò Kenma.
- Per me va bene- affermò Keiji.
- Il mio sarà il migliore di tutti- decretó Toru.
- Ma se lo faremo tutti uguale!- lo riprese Hajime.
- Non vado matto per i tatuaggi...- mormorò Tobio.
- Puoi farlo in un punto che solo io posso vedere- gli sussurró Shoyo, e questo bastò a convincerlo.
- Non vado d'accordo con il dolore, ma penso ne varrà la pena- commentò Asahi.
- Sicuramente è un bel gesto- confermò Chikara.
- Già che ci sono mi farò fare un leone!- esclamò Lev.
- Il solito esagerato... Ma questo me lo faccio- dichiaró Yaku.
- Tu lo farai?- chiese Yutaro.
- Devo stare fermo mentre lo fa no? Non ho problemi- rispose Akira, facendo sorridere il suo ragazzo.
- Pensate che le ragazze saranno d'accordo?- chiese Asahi.
- Secondo me si; anche perché è un tatuaggio piccolo e semplice... All'apparenza- affermó Daichi.
- Ragazzi, facciamo una gara di nuoto!- propose Koutaro.
- E questo cosa c'entra...- borbottò Kei.
- Niente, è solo divertente- affermò il bicolore.
- Koutaro, questa è una vasca, non una piscina- gli fece notare Keiji.
- Uffa...-.
- Potremmo andare in piscina tutti insieme quando saremo fuori!- esclamò Tetsuro.
- E se ci organizzassimo per vederci tutti insieme almeno una volta l'anno?- propose Koushi.
- Eh? Ma io voglio vedervi molto di più! Devo ancora trovare il modo di battere Kenma ai videogiochi!- si lamentó Shoyo.
- Possiamo vederci anche più spesso noi due- mormorò Kenma, che anche se non l'avrebbe mai ammesso sì era affezionato a quel mandarino esaltato.
- Davvero? Evviva!-.
- Però la proposta di Suga ha senso; dopotutto organizzarci in ventidue non è così semplice, soprattutto dato che dovremo ripartire con delle nuove vite- commentò Toru.
- Qualcuno ha informazioni su cosa stiano combinando il dottore e il direttore?- chiese Yu.
- Oh, vero! Dite che stanno insieme?! Sarebbe figo!- esclamò Ryu.
- Non penso che lo scopriremo tanto presto...- commentò Chikara.
- Si conoscono solo da qualche mese, lasciategli tempo- affermó Tetsuro.
- Basta che non facciano come la persona che ha appena parlato; sei quello che ha impiegato di più- commentò Yaku.
- Non è vero, ci sono anche loro due- Tetsuro indicò Oikawa e Iwaizumi.
- Shittikawa è molto più irritante di Kenma- di difese Hajime.
- Iwa-chan, io sono qui!-.
- Per questo lo dico-. I due iniziarono a bisticciare, ma gli altri non ci fecero troppo caso; ormai ci erano abituati.
Il resto della serata passó tranquillamente, erano tutti intenzionati a divertirsi e passare un po' di tempo insieme senza problemi.
Negli ultimi tre anni, oltre alle varie coppie si erano formate molte amicizie che erano tutti certi sarebbero durate nel tempo. Nessuno di loro intendeva dimenticare gli altri o il tempo trascorso lì dentro; nonostante le loro malattie, avevano passato molti bei momenti insieme agli altri e non intendevano dimenticarli.
Certi rapporti quando si stringono sono destinati a durare per sempre. Ed il loro era uno di quelli.

- Sembra che i ragazzi siano tornati nelle loro stanze- commentò Keishin, sentendo rumori nella struttura.
- Ma sono quasi le due di notte... Non pensavo rimanessero in vasca così tanto- mormorò Ittetsu, aprendo leggermente gli occhi.
- Eh? Già le due?- Keishin allungò la mano e prese il cellulare, e notò che effettivamente erano le due passate.
- Sai, il tempo vola quando lo passi a torturare gli altri- Ittetsu lo guardò male: gli aveva fatto passare delle ore veramente faticose e non gliel'avrebbe fatta passare liscia.
- Come se ti fosse dispiaciuto, direttore-.
- Quello è un altro discorso- borbottò il castano. Keishin rise; allungò un braccio e strinse l'uomo a sé.
- Se domani non dovessi lavorare lo rifarei, ma rischio di non svegliarmi, per cui mi sa che è meglio se dormiamo- affermò.
- Anche perché non penso che il mio corpo reggerebbe il quarto round-.
- Quinto-.
- Ecco perché non riesco più a muovermi-.
- Mi sono assicurato che non scappassi nuovamente- affermò Keishin. Ittetsu abbassò lo sguardo.
- Scusami per quella volta, non volevo...-.
- Tutto passato, non preoccuparti. Mi basta trovarti qui al mio risveglio- rispose Keishin, stringendo ancora un po' l'altro.
- Non scapperò più, promesso-. Il biondo sorrise.
- Allora va bene così-.

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Capitolo 26
*** CAPITOLO XXVI. ***


- Alla fine andranno via tutti eh?- mormorò Ittetsu, mentre accarezzava lentamente il petto del biondo al suo fianco.
- Be', prima o poi doveva succedere. Hanno cercato di capire cosa fare una volta usciti per due settimane, e ora sono pronti-.
- Questo posto sarà vuoto senza di loro- commentò il moro.
- Ma presto arriveranno altri pazienti no? Ora che loro sono guariti, Haikyu non farà più paura come prima alla gente-.
- Non è colpa mia se nessuno psicologo era riuscito a capirli...- borbottò Ittetsu.
- Infatti ora hai uno psicologo di fiducia- dichiarò Keishin. Il moro si voltò di scatto verso di lui.
- Vuoi dire che rimarrai qui?-.
- Dove pensavi sarei andato?- chiese il biondo, confuso.
- Be' non lo so ma... Il lavoro per cui ti avevo contattato è finito, e tu sei uno che ama girare, quindi...- mormorò Ittetsu.
- Prima non aveva un motivo per fermarmi in un posto; adesso si- dichiarò Keishin. Ittetsu sorrise.
- Sono certo che riuscirai ad aiutare tutte le persone che arriveranno qui- affermò.
- Si; insieme le aiuteremo-.

- Ricordatelo: se una persona ti dà fastidio, la tortura psicologica è la scelta migliore...-.
- Ma se si tratta di Shittikawa puoi prenderlo a pugni- affermò Hajime.
- Iwa-chan sei cattivo- borbottò Toru.
- Be'... Grazie dei consigli, Senpai- mormorò Yutaro, leggermente confuso.
- Sperando non sia necessario che tu faccia a botte con qualcuno- borbottò Akira.
- Non se ti lasceranno in pace- dichiarò il moro.
- Visto Iwa-chan? Dovresti usare anche tu la violenza per difendermi- affermò Toru.
- Lo faccio: ti difendo dalla tua idiozia- dichiarò Hajime.
- Sei cattivo Iwa-chan...-.
- Ragazzi, noi andiamo a salutare anche gli altri. Mi raccomando Kindaichi; prenditi cura di entrambi- disse Hajime.
- Lo farò- affermò Yutaro, e insieme a Kunimi fece un piccolo inchino.
Hajime fece un sorriso e si affrettó a seguire Oikawa, che si stava dirigendo lungo il corridoio.
- Ecco la stanza di Tobio-chan!- Toru spalancò la porta ed Hinata e Kageyama praticamente caddero dal letto per lo spavento.
- Maledetto dovresti bussare!- urlò Tobio, mentre afferrava la maglietta a terra vicino a lui. Shoyo si affrettó a tirarsi su i pantaloni.
- Shittikawa cazzo!- Hajime diede un altro colpo sulla nuca di Oikawa.
- Come facevo a sapere che stavano per fare sesso?- si lamentó il castano.
- E bussa no?-.
- Che diavolo ci fate qui?- Tobio si alzò, andando verso la porta.
- Volevamo salutare- affermò Toru con un sorriso.
- Che gentile- commentó Tobio, sarcastico.
- Gentili lo sono- affermò Shoyo, raggiungendolo.
- Chibi-chan, se Tobio-chan ti rompe vieni pure da noi- affermò Toru.
- No, lui a te non si avvicina- dichiarò Tobio, mettendo un braccio davanti ad Hinata come per proteggerlo.
- Gelosone- rise Shoyo. Toru allungò il braccio, mettendolo intorno alle spalle di Kageyama e tirandolo verso di sé.
- Ascolta, tu sei sempre stato il mio kohai più carino, quindi farai sicuramente strada. Non fare soffrire il piccoletto va bene?- si raccomandó. Tobio rimase sorpreso da quella parole, ma annuì.
- Perfetto; vado a salutare il mio nuovo amico!- esclamò, stancandosi ed allontanandosi.
- Quel ragazzo non sta mai fermo... Kageyama, vedi di non diventare come lui. Almeno, non nei suoi lati negativi; per il resto è un buon esempio- si raccomandó Hajime, prima di riprendere a seguire Oikawa.
Dato che Suga e Daichi erano fuori dalla stanza a parlare con Kuuro, questa volta non interruppero alcun momento imbarazzante.
- Ciao ragazzi- li salutò Tetsuro.
- Sono qui per dare un abbraccio al mio compagno di manipolazione!- esclamò Toru, avvicinandosi a Suga con le braccia aperte.
- Col cavolo che ti avvicini a lui...- borbottò Daichi.
- Facciamo che gli dai una stretta di mano Shittikawa, so che volevi abbracciarlo solo per farci irritare- sospirò Hajime.
- Va bene va bene... Noiosone- borbottò Toru. Koushi rise e si avvicinò a Toru, stringendogli la mano.
- È stato un piacere- affermó.
- Ti affido Tobio-chan, mi raccomando-.
- Contaci, li tengo d'occhio io-.
- Perfetto! Torniamo in stanza Iwa-chan, devo controllare di aver preso tutto- affermó Toru, voltandosi.
- Oikawa non è uno che si guarda alle spalle vero?- commentò Daichi.
- Neanche un po'. Ci vediamo all'uscita ragazzi- salutò Hajime, prima di seguire il compagno.
- Adesso puoi anche essere triste- affermó il moro, chiudendo la porta della stanza alle sue spalle.
- Non vedo perché dovrei essere triste- borbottò Toru, mentre una lacrima scivolava sulla sua guancia.
- Perché sei tanto irritante quanto sensibile- Hajime lo abbracciò da dietro. Toru si voltò, appoggiando la testa sulla spalla dell'altro mentre lasciava andare le lacrime.
- Questo non è un addio, lo sai. E anche se rincominciare fa paura... Siamo insieme no?-. Toru fece un piccolo sorriso.
- Hai ragione. Finché ci sei tu, starò tranquillo, Iwa-chan. Noi due insieme... Siamo i migliori-.

- Stai pensando se andare a salutare Kageyama?- chiese Akira. Yutaro si voltò di scatto verso di lui.
- Come sai che...-. L'altro alzò un sopracciglio, come per dire "che domande sono? Ti conosco!".
- Non so se è il caso. È vero che abbiamo fatto pace, però...-.
- Andiamo a salutare il tuo amico Tsukishima, e vediamo se li becchiamo- prima che l'altro potesse dire qualcosa, Akira aprì la porta ed uscì dalla stanza. Yutaro si affrettó a seguirlo.
- Non è che siamo amici, abbiamo un rapporto di comprensione basato sulla nostra poca sopportazione di gente come Hinata e Kageyama. E Lev- affermò.
- Nessuno ti vieta di avere amici oltre a me- commentò Akira.
- Non ne ho mai avuto bisogno- mormorò Yutaro. Kunimi era tutta la sua vita, e a lui andava bene così.
Videro Oikawa e Iwaizumi allontanarsi dalla camera di Kageyama e Hinata; il moro si voltò verso di loro, e quando li vide esitó per un attimo.
- Che c'è?- Shoyo, vedendo che non accennava a richiudere la porta, si affacció al corridoio. Fece un sorriso, poi si mise dietro Kageyama e lo spinse in avanti.
- Che fai!- esclamò Tobio.
- Ti porto a salutare il tuo amico-.
- Non siamo amici- affermarono insieme Tobio e Yutaro.
- Si va bene, ma ora salutatevi-. Ad Akira venne quasi da ridere.
Tobio e Yutaro rimasero per un attimo in silenzio a fissarsi, uno di fronte all'altro.
- Vi hanno interrotti durante il sesso?- chiese il secondo, che dopo anni aveva imparato a capire certe cose. Kageyama e Hinata arrossirono.
- Non sono affari tuoi!- esclamarono. Yutaro si mise a ridere; in fondo, ogni tanto Kageyama poteva anche sopportarlo.
- Ci vediamo al ritrovo annuale- affermò.
- Certo. Continua a proteggere Kunimi-.
- Ovvio-.
- Posso abbracciarvi?- chiese Shoyo con un sorriso.
- Assolutamente no- risposero Yutaro e Akira, facendo ridere il bassino.
- Perché fate tutto sto casino?- Kei aprí la porta della sua stanza e guardó male Hinata.
- Noi torniamo alle nostre attività, veniamo a salutarvi dopo- affermò lui, prendendo Kageyama per un braccio e trascinandolo in stanza.
- Che idioti...- borbottò Kei.
- Sarà bello non doverli più sopportare tutti i giorni- concordó Yutaro. I due si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi Kei allungò la mano; il moro rimase sorpreso da quel gesto, ma fece un piccolo sorriso e la strinse.
- Ci risentiremo per continuare a parlare male di loro- affermò il biondo.
- Puoi contarci- concordó Kindaichi.
- Be', è bello vedere che hanno fatto amicizia- commentò Tadashi, e Akira annuì.
- Ci vediamo presto- salutó il verde, mentre gli altri due tornavano nella loro stanza.
Yutaro si lanciò sul letto ed Akira gli si accoccoló sopra, trovandosi presto le braccia dell'altro attorno alla vita e le labbra premute contro le sue.
- Visto che non è male avere amici?- sussurrò Akira.
- Senti chi parla...- borbottò Yutaro.
- Avere amici è stancante-.
- Quindi noi non siamo amici?-.
- Noi siamo fidanzati. E tu sei il mio tuttofare, quindi è diverso- ribatté Akira. Yutaro sorrise.
- Sono felice di essere il tuo tuttofare- affermó.
- Anche io. Sono felice. Esserlo con te... Non è stancante-. Yutaro lo strinse più forte.
- D'ora in poi, farò in modo che tu non ti debba stancare mai più-.

- Hey Hinata, io volevo andare a fare un salto da Yachi; vieni anche tu?- chiese Tadashi.
- Io ora volevo passare da Kenma, dato che Kuuro è fuori- rispose Shoyo.
- Oh, allora mi sa che ci becchiamo direttamente all'uscita- mormorò il verde.
- Non fare quell'espressione triste! Ci vedremo almeno una volta al mese per parlare male dei nostri ragazzi- affermò Shoyo.
- Volentieri- rise Tadashi, mentre l'amico lo abbracciava.
- Noi saremmo qui...- borbottarono Tobio e Kei.
- E se non vi salutate rimarrete lì a vita- affermò Shoyo, staccandosi dall'abbraccio e voltandosi verso i due più alti.
- Cosa?!-.
- Tsukki, saluta Kageyama o dico ad Hianata di abbracciarti- lo minacciò Tadashi. Kei spalancò la bocca mentre Shoyo aprì le braccia e fece un sorriso furbo.
Il biondo si voltò di scatto verso Kageyama.
- Non mi mancherai- affermò.
- Neanche tu-.
- Però...- Kei lanciò uno sguardo a Yamaguchi - loro due sono amici quindi...-.
- Cerchiamo di andare d'accordo- concluse per lui Tobio. Kei annuì.
- Ciao-.
- Ciao-.
- È stato così commovente- Shoyo fece finta di tirare su con il naso.
- Taci se vuoi arrivare da Kenma con le tue gambe- lo riprende Tobio.
- Devo pensarci...- mormorò Shoyo, assumendo un'espressione pensierosa.
- Idioti- borbottò Kei.
- Kageyama, tratta bene Hinata d'accordo?- si raccomandó Tadashi.
- Stessa cosa per te spilungone! Se scopro che fai qualcosa di male a Yamaguchi vengo a cercarti- lo minacciò Shoyo.
- Ma che paura- commentò sarcastico Kei, ma poi tornò serio - con me è al sicuro-.
- Me lo auguro-.
- Dobbiamo sopportarli ancora a lungo?- chiese Kei.
- Ora andiamo; ci vediamo all'uscita-.
- A dopo-.
Prima di andare al piano di sopra da Yachi, Tadashi si diresse nella parte di corridoio in cui aveva intravisto Suga, Daichi e Kuuro.
- Altro giro di saluti!- esclamò Koushi vedendoli. Andò incontro a Tadashi e i due si abbracciarono.
- Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi- mormorò Kei.
- Così mi farete piangere!- esclamò Koushi, mentre anche Daichi li raggiungeva.
- Ragazzi, per qualsiasi cosa contate pure su di noi- affermò Daichi - siamo pur sempre i vostri genitori-.
- Se voi foste i nostri genitori sarebbe ince...- Kei rinunciò a finire la frase vedendo le occhiatacce di Yamaguchi e Suga.
- Grazie- disse semplicemente. Fece un passo incerto verso l'argentato e lo strinse velocemente per un paio di secondi; Koushi decise che non aveva tempo per rimanere sconvolto e ricambió la stretta, interrompendola quando l'altro si allontanò.
- Non capiterà mai più- affermò Kei.
- Il nostri Tsukki è sentimentale oggi eh?- commentó Tetsuro, avvicinandosi a Tsukishima.
- Te non ti abbraccio-.
- Eh? Perché no? Bro, Tsukki non vuole abbracciarci!-.
Koutaro, che stava camminando verso di loro, a quelle parole si mise a correre.
- Tsukki! Perché no? Come mai? Ti abbiamo fatto qualcosa?!- iniziò a chiedere a raffica, fermandosi davanti al biondo.
- Si, siete troppo rumorosi- affermò il biondo. I due misero il broncio.
- Bro, gli facciamo il solletico?- propose Tetsuro.
- Io direi di buttarlo sotto la doccia-.
- Se vi lascio stringere attorno a me per due secondi mi lasciate in pace?-. Ai due si illuminarono gli occhi.
- Muovetevi- borbottò Kei; sapeva già che si sarebbe pentito, e ne ebbe la conferma  quando i due lo circondarono e lo abbracciarono contemporaneamente, quasi soffocandolo.
- Ci mancherai Tsukki!- urlarono in coro.
- Si ok ora basta- borbottò il biondo, e i due si staccarono.
- Tsukki!- il biondo all'improvviso si trovò davanti Nishinoya - ricordati di mangiare almeno tre volte al giorno. E sorridi ogni tanto che non ti fa male! E ricordati di chiamarmi se hai bisogno di consigli- esclamò, facendo l'occhiolino.
- Ma manco morto-.
- Andiamo su a salutare le ragazze- affermò Tadashi.
- Ci vediamo fuori- rispose Koushi, salutandoli con la mano.
- Volevo evitarli quei tre- borbottò Kei.
- Lo sai che ti vogliono bene- Tadashi gli diede un bacio sulla guancia che fece tornare un po' di buonumore al suo ragazzo.
Tadashi bussò alla porta della camera delle ragazze ed andò ad aprirgli Yachi.
- Siamo passati a salutare- affermò Tadashi.
- Stavo per farlo anch'io!-.
- Hinata dovrebbe passare tra non molto-.
- Grazie per avermelo detto-. I due si sorrisero per un attimo, poi si abbracciarono.
- Mi mancherai Yamaguchi, sei un bravo ragazzo-.
- Anche tu-.
- Tsukishima trattalo bene ok?- si raccomandó Yachi, spostando lo sguardo sul biondo.
- Abbi cura di te- rispose lui, mentre i due amici si staccavano.
- Ci vediamo all'uscita- si salutarono, poi Tadashi seguì Kei al piano di sotto.
- Non capisco perché tutti mi dicano di prendermi cura di te, come se già non ne avessi intenzione- borbottò Kei.
- Forse perché in diciannove anni di vita sei l'unico che è riuscito a farmi arrabbiare?-.
- Terrò a mente di non farlo più-.
- Ecco bravo- Tadashi diede un bacio sulla guancia al suo ragazzo, poi si diresse verso l'armadio per controllare di aver preso tutto.
- Tadashi- lo richiamó lui. Il verde si voltò, stupito di sentirsi chiamare per nome.
- Dimmi Tsukki-.
- Ti va di venire al cinema con me?-. Tadashi non poté fare a meno di sorridere: alla fine, dopo anni, sarebbe potuto andare al cinema con il ragazzo che amava.
- Lo voglio-.

- Kenma!-. Il biondo sussultò e si voltò.
- Shoyo-.
- Sono venuto a salutarti!-. Kenma aggrottò le sopracciglia.
- Vai già via?-.
- No, ma ci tenevo a salutarti in privato- affermò Shoyo.
- Non ce n'era bisogno. Te l'ho detto che continueremo a vederci- mormorò Kenma, leggermente imbarazzato.
- Quindi mi vuoi come amico?-. Kenma spalancó la bocca.
- Shoyo, noi siamo già amici-. Shoyo sorrise e lo abbracció.
- Sono felice di essere tuo amico-. Kenma lo aveva fatto sentire come se ci fosse qualcuno che lo capisse davvero, e nonostante fossero molto diversi stavano bene insieme e nessuno dei due intendeva rompere la loro amicizia.
- Ora non esagerare...- borbottò il biondo, facendo ridere l'altro.
- Cosa farete una volta usciti? Se so dove siete posso venirvi a trovare!- esclamò Shoyo.
- Staremo per un po' dalla madre di Kuuro mentre cerchiamo una casa-.
- A Tokyo eh? Saremo un po' lontani... Ma ci vedremo di sicuro!-. Kenma annuì.
- Tanto ci siamo scambiati i numeri; ci terremo in contatto-.
- Certo!-.
- Oh, Hinata sei qui anche tu!- Lev si affacció alla camera da letto.
- Oh no, anche lui no- si lamentó Kenma.
- Cattivo Kenma-san! Con me non vuoi rimanere in contatto?- il mezzo-russo entrò in stanza, fingendosi offeso.
- Contando che Kuuro e Yaku rimarranno amici, dovrò vederti anche fin troppo- borbottò Kenma.
- Posso rimanere io tuo amico!- esclamò Shoyo.
- Certo! Spero che diventerai anche più alto!-.
- Adesso capisco come mai Yaku-san ti picchia...- borbottò Shoyo, per poi voltarsi verso Kenma.
- Torno da Kageyama; ci vediamo dopo-. Il biondo annuí e Shoyo uscì dalla stanza.
- Shoyooooooooo-. Si voltò con il sorriso.
- Noyassan!- Yu praticamente gli saltó addosso stringendolo in un abbraccio.
- Noi tre dobbiamo continuare ad uscire e divertirci!- esclamò, mentre anche Ryu li raggiungeva.
- I tuoi senpai hanno ancora tanto da insegnarti- affermò il rasato.
- Non vedo l'ora!- esultó Shoyo, mentre si dirigevano verso il luogo dove aveva lasciato Kageyama, insieme a Suga, Daichi, Kuuro e Bokuto.
- Oh, Chibi-chan!- lo salutó Tetsuro.
- Hey Hey Hey! Salutiamo la nostra piccola star!- esclamò Koutaro.
- Bokuto-san, dobbiamo trovare il modo di rimanere in contatto!- esclamò Shoyo. Tobio tremò leggermente a quelle parole: sopportare la vivacità del suo ragazzo era un conto, ma unito a Bokuto... Non sapeva se ci sarebbe riuscito.
- Certo!-.
- Ti troverò spesso in casa con Kenma, vero piccoletto?- commentò Tetsuro.
- Molto probabile-.
- Non vale, anch'io voglio invadervi casa!- si lamentó Koutaro.
- Se porterai Akashi, Kenma non avrà nulla da ridire- affermò Tetsuro.
- Evvai!- Koutaro allungò le mani ed afferró le guance di Hinata, tirandole leggermente.
- Visto? Continueremo a vederci!-.
- Non vedo l'ora!- esclamò Shoyo.
- Guardate, c'è Yachi- Daichi indicò con un cenno del capo la ragazza che si stava avvicinando a loro.
- So che Hinata e Kageyama stanno salutando adesso e non volevo perdermeli- mormorò lei.
- Mi mancherai Yachi! Ci vediamo presto va bene?- Shoyo strinse l'amica in un abbraccio.
- Volentieri!- esclamó lei, ricambiando.
- Tu sei sempre la benvenuta- affermò Tobio; probabilmente la bionda era la persona che gli dava meno fastidio lí dentro.
- Esatto! Vieni a trovarci quando vuoi!- esclamò Shoyo.
- Puoi contarci! Ora torno di sopra, ma dopo vi saluto si nuovo- affermò lei. Si era ripromessa di non restare troppo per non scoppiare a piangere.
- Certo, a dopo!- la salutarono.
- Kageyama, ricordati sempre del tuo senpai-Sugawara se hai bisogno di una mano, chiaro?- si raccomandó Koushi.
- Per qualsiasi cosa, sapete come trovarci- affermó Daichi, mentre Hinata affiancava il suo ragazzo.
- Grazie mille- il moro fece un piccolo inchino.
- Non essere così formale! Dopotutto siamo tutti amici no? Be', non tutti tutti- rise Koushi.
- Voi siete la mamma e il papà- affermò Shoyo, abbracciando Suga e Daichi.
- Finiró per piangere davvero- Koushi tirò su con il naso.
- Resisti ancora un po'- gli sorrise Daichi.
- Noi andiamo in stanza; questo bokè prima ha fatto cadere la maglietta nel lavandino e si è bagnata- affermó Tobio.
- Bakageyama devo ricordarti come mai ero senza maglietta?-.
- I nostri bambini crescono in fretta eh?- commentò Koushi, mentre i due si allontavano lungo il corridoio.
- Piccolo, la tu maglietta è asciutta- avvisò Tobio, uscendo dal bagno mentre piegava l'indumento per metterlo nella valigia dell'arancione. Aveva deciso di fargliela lui dopo aver visto il disastro che l'altro stava combinando.
- Grazie- Shoyo gli diede un bacio sulla guancia; Tobio non si fece sfuggire l'occasione e tirò l'altro verso di sé per baciarlo.
- Sicuro che a tua madre non dispiacerà se sto un po' da voi?- sussurró.
- Lei ti adora, non preoccuparti. E poi dobbiamo pur stare da qualche parte prima di avere abbastanza soldi per vivere insieme- gli fece notare Shoyo. Tobio gli accarezzò lentamente i capelli.
- Non vedo l'ora che arrivi quel momento- sussurrò. Il giorno in cui, finalmente, sarebbero potuti essere solo loro due... Tobio sperava arrivasse il prima possibile. E anche Shoyo era curioso di sapere come sarebbe stata la loro vita di coppia.
Di una cosa però erano più che certi: non gli serviva una vita perfetta. Gli bastava stare insieme.

Davanti alla porta della stanza di Daichi e Sugawara era rimasto per il momento solo Kuuro, insieme ai due proprietari; Bokuto si era allontanato per vedere qualcosa con Nishinoya e Tanaka, con la promessa di tornare a salutare il suo bro il prima possibile.
- Ragazzi, non c'è bisogno che sia io a dirvelo ma... Avete fatto un ottimo lavoro. Anche per una persona come me, abituata a prendersi cura degli altri, è stato rassicurante avervi qui; grazie davvero-.
- Non abbiamo fatto niente di che; abbiamo solo aiutato come potevamo, tutto qui- affermò Koushi. Vide con la coda dell'occhio che Yaku si stava avvicinando.
- Arrivo- affermò, dirigendosi verso l'amico.
- Pronto per la tua nuova vita?- gli chiese. Yaku quando lo notò gli sorrise.
- Prendermi cura di Lev a tempo pieno sarà un lavoraccio, ma mi ci abituerò- affermó, facendo ridere Koushi.
- Grazie di tutto Suga; sei un ottimo amico-.
- Anche tu Yaku. Spero davvero di riuscire a rivederti presto-.
- Anche io: avrò ancora bisogno dei tuoi consigli su come essere una brava mamma- i due si abbracciarono.
Daichi non poté fare altro che sorridere: non aveva sentito la conversazione, ma sapeva che Yaku aveva ringraziato Suga da come quest'ultimo era leggermente arrossito e non poteva che essere orgoglioso di amare una persona tanto buona.
- Suga è un ragazzo speciale, ma ha bisogno di qualcuno come te al suo fianco- commentò Tetsuro.
- Sai, all'inizio pensavo mi odiassi- ammise Daichi.
- Oh, era così. Io stavo cercando un modo per farmi conoscere da tutti e creare un bel gruppo, e tu sei comparso dal nulla e ti sei messo a fare il papà. Però in realtà te ne sono stato grato: ho potuto rilassarmi un po' in questi anni-.
- Scaricando tutto il lavoro su di me eh?- Daichi sorrise.
- Esatto-.
- Be', spero tu sappia che puoi contare su di me anche se non vivremo più insieme- affermò Daichi.
- Lo terrò a mente- i due si strinsero appena, dandosi una pacca sulla spalla.
- Vado a salutare anche gli altri- affermó Daichi, vedendo che Yaku stava andando verso di loro.
- D'accordo; ci vediamo dopo- lo salutò Tetsuro.
Daichi si scambiò un sorriso con Yaku, poi raggiunse Suga, che si era fermato per aspettarlo.
- Quanto ci scommetti che Asahi ed Ennoshita hanno dovuto fare anche le valigie di Nishinoya e Tanaka?- commentò Koushi.
- Ti piace vincere facile eh?- rise Daichi. Proprio in quel momento videro Nishinoya e Tanaka andare verso di loro.
- Dove avete lasciato Bokuto?- chiese Koushi.
- Akashi l'ha chiamato per farsi dare una mano con i bagagli- spiegò Ryu.
- Voi due avete aiutato con i vostri?- chiese Daichi.
- Noi volevamo! Ma ecco...- iniziò Yu.
- Diciamo che abbiamo prevenuto i casini e deciso di fare direttamente tutto noi- affermó Chikara, uscendo dalla sua stanza. Poco dopo anche Asahi li raggiunse.
- Asahi, Ennoshita; vi lasciamo i due scalmanati- affermó Daichi.
- Contate su di noi- rispose Chikara.
- Guarda che abbiamo la stessa età...- borbottò Ryu.
- Si ma coi avete il compito di rimanere giovani dentro, noi di curarvi- affermò Asahi. Yu sorrise e gli saltó sulla schiena.
- Puoi dirlo forte!- esclamò.
- Voi due vedete di fare i bravi. E scriveteci se avete bisogno, va bene?- si raccomandó Koushi.
- Certo mamma- risposero in coro Yu e Ryu, andando verso di lui ed abbracciandolo, per poi fare lo stesso con Daichi.
- Ciao papà- lo salutarono.
- Che idioti- borbottó il maggiore, ma li abbracciò comunque. In fondo, quei due scalmanati sarebbero mancati ad entrambi.
Yu e Ryu decisero di lasciare gli altri alle loro chiacchiere tra adulti e si allontanarono.
- Sarà dura con loro due- sospirò Chikara - ma ne varrà la pena-.
- Guardate il lato positivo: dovrete sopportarne uno a testa- commentò Daichi.
- Questo perché non sai ancora che hanno già deciso che vivremo vicini...- mormorò Asahi.
- Condoglianze- disse sinceramente Koushi.
- Se avrete bisogno di un rifugio, venite pure da noi- affermò Daichi.
- Lo apprezziamo molto- dichiarò Asahi.
- Dai, venite qui!- esclamò Koushi, spalancando le braccia ed abbracciando Asahi, mentre Daichi fece lo stesso con Ennoshita; dopodiché se li scambiarono.
- Ciao ragazzi-. Si voltarono tutti e quattro quando sentirono la voce di Kyoko.
- Ciao; pronta a partire?- le chiese Daichi.
- Abbastanza- rispose lei. In realtà non si sentiva completamente pronta, ma non voleva lasciarsi nuovamente bloccare dall'ansia.
- Vale anche per te: per qualsiasi cosa, chiamaci pure- affermò Koushi.
- Grazie: vale lo stesso per voi. Ora vado, devo finire di sistemare- dichiarò. Non era una ragazza di molte parole, perciò i quattro erano già sorpresi che fosse andata a salutarli di sua spontanea volontà.
- Andiamo anche noi- affermò Daichi, che iniziava ad intravedere in Suga i primi segni di cedimento.
- Ci vediamo all'uscita- li salutò Asahi, e la coppia si avviò lungo il corridoio.
- Dai, vieni qui- appena furono in stanza, Daichi strinse Suga in un abbraccio.
- I nostri bambini mi mancheranno. Hai sentito? Mi hanno chiamato mamma. E Tsukki mi ha abbracciato!- esclamò Koushi, mentre lacrime di gioia e tristezza scivolavano sul suo volto.
- Hai cambiato la vita di tutti quelli che hai conosciuto Suga; sei una persona veramente speciale. Comunque andrà, quei ragazzi ti ricorderanno per sempre- affermò Daichi.
- Guarda che vale lo stesso per te- gli ricordó Koushi, asciugandosi le lacrime e guardando l'altro negli occhi.
- Si ma tu sei tu- sussurrò il moro, chinandosi per baciarlo.
- Un po' mi mancherà tutto il casino che facevano- mormorò Koushi.
- Facciamo così: adesso, pensiamo a divertirci e rifarci una vita. E quando entrambi saremo soddisfatti... Adottiamo dei bambini nostri, va bene?-. Gli occhi si Koushi si spalancarono per la sorpresa e iniziarono a brillare.
- Dici sul serio?!-.
- Ho poche certezze nella mia vita, ma una di queste è che sei un genitore fantastico. E che voglio passare la vita al tuo fianco. Per cui sì, dico sul serio- dichiarò Daichi.
Koushi praticamente si avventó su di lui, riempiendolo di baci.
- Ti amo alla follia!- esclamó. Daichi sorrise.
- Anche io. E amo la tua follia- affermò, dandogli un bacio sul naso. Koushi sorrise e lo strinse più forte. Era certo che loro due sarebbero stati i genitori migliori del mondo.

- Allora, riuscirai a farcela con Lev?- chiese Tetsuro.
- Ormai sono abituato a gestirlo. Nel caso mi fornirai un alibi?-.
- Ci puoi contare- affermó il corvino. Yaku sorrise.
- Sai, anche se abbiamo gusti completamente diversi... Sono felice che siamo riusciti a diventare amici- affermò.
- Anche io. Stare con Bokuto è super divertente, ma diciamo che per consigli più seri ho bisogno di una persona un po' più con la testa sulle spalle- rise Tetsuro.
- Come darti torto! Io in realtà ho Suga, tu non mi servi, ma posso trovarti un po' di spazio- dichiarò.
- Sicuro? Non vorrei spezzare troppo il tuo cuore di ghiaccio- borbottò Tetsuro.
- Sono una persona dolcissima io- affermò Yaku.
- Tanto dolce quanto alta-.
- Almeno io non ho la cresta di un gallo!-. I due si guardarono un attimo in cagnesco, poi scoppiarono a ridere.
- Sta tornando il tuo bro; ti lascio a parlare con lui e vado ad assicurarmi che il tuo ragazzo non abbia ucciso il mio- dichiarò Yaku.
- Lo apprezzo molto- i due si scambiarono un breve abbraccio prima di separarsi.
- Non ti schiodi proprio eh?- sbuffò Kenma. Aveva sperato che Lev se ne sarebbe andato insieme a Shoyo, invece il mezzo-russo aveva affermato di non volerlo lasciare solo ed era ancora lì.
- No- affermò Lev - tra poco non ci vedremo più, quindi voglio passare un po' di tempo con te-. Kenma sospirò e si sedette sul letto.
- Ci vedremo quando verrete a trovarci no?- mormorò. Gli occhi di Lev si illuminarono; nonostante Kenma l'avesse sempre tratto con indifferenza, a lui quel piccoletto stava simpatico e sentiva che il sentimento era ricambiato.
- Vuoi che venga anche io?- gli chiese, pieno di speranza.
- Sei più insopportabile di Shoyo. Però in fondo... Non sei male- ammise Kenma. Lev non riuscì più a trattenersi e lo abbracció.
- Grazie Kenma-san!- esclamò.
- Akashi salvami!- esclamò il biondo, notando l'amico sulla soglia della porta.
- Lev, sta arrivando Yaku- lo avvisó Keiji.
- Davvero? Allora vado!- Lev si alzò di scatto - ci vediamo dopo!- uscì dalla stanza, trovandosi di fronte Yaku.
- Scusalo se ti ha rotto Kenma- disse il più basso, affacciandosi alla porta della stanza dove intanto era entrato Akashi.
- Ora dovrai subirtelo tu- affermó il biondo.
- Mi tocca - rise Yaku - ci vediamo dopo- allungò la mano, afferrando quella del fidanzato e dirigendosi con lui nella loro stanza.
- Yaku-san, secondo te tu, Kenma e Hinata potrete crescere ancora? Cosí sei molto tenero, ma mi chiedevo se...- gli chiese Lev, guadagnandosi un calcio sul fondoschiena.
- Ahia!-.
- Questo è perché fai domande idiote e indiscrete!- esclamò Yaku; poi gli diede una leggera spinta, facendolo cadere sul letto e sistemandosi a cavalcioni su di lui.
Lev spalancó gli occhi per la sorpresa, mentre Yaku si chinò verso di lui per dargli un bacio.
- E questo è perché hai detto che sono tenero- sussurrò. Lev sorrise.
- Sei sempre tenero, Yaku-san- affermó, per poi riprendere a baciarlo.
Yaku si rilassò completamente tra le braccia dell'altro. Era felice in quel momento: non gli serviva immaginare nient'altro che potesse rendere la sua vita migliore. Era lì, con il ragazzo che amava, e questo gli bastava. Ed entrambi sapevano che, anche se avesse rischiato di cadere, Lev sarebbe stato pronto ad afferrarlo.

- Grazie, mi hai salvato- sospirò Kenma.
- È stato solo tempismo- affermó Keiji, avvicinandosi a lui.
- Alla fine andrete dai genitori di Bokuto?- gli chiese Kenma.
- Per un po' si; in ogni caso abitano abbastanza vicini ai miei, quindi non avró problemi a vederli-.
- So che non siete tanto distanti da noi-.
- Esatto- Keiji si sedette di fianco a Kenma - so che salutarci non ha senso, dato che vivremo vicini almeno per un po' e che i nostri ragazzi sono migliori amici, ma ci tenevo a ringraziarti ancora Kenma. Grazie a te... Ora sono felice- Keiji sorrise, e Kenma non poté non fare lo stesso.
- È stato Bokuto, io non ho fatto niente; ho solo parlato con un amico- affermò il biondo.
- Io non ho mai avuto molti amici. Per cui sarò felice se continueremo a rimanerlo anche fuori da qui- sussurrò Keiji.
- Anche io- ammise Kenma - se avrai bisogno di altro... Vieni pure da me, ti aiuterò volentieri-.
- Lo stesso vale per te-.
- Grazie; mi servirà un amico calmo come te, crerai equilibrio con Shoyo e Lev- ammise il biondo.
- Anche io ho bisogno di qualcuno di tranquillo con Bokuto sempre in casa- commentò Keiji.
- Io non lo sopporterei proprio, hai tutta la mia ammirazione- borbottò il biondo. Keiji alzò le spalle e fece un altro sorriso.
- Non scegliamo noi di chi innamorarci- affermò.
- Quei due sono insieme ora vero?- chiese Kenma.
- Probabilmente si-.
Bokuto e Kuuro si erano spostati da davanti la camera di Suga e Daichi, ma erano rimasti isolati in corridoio per salutarsi a dovere.
- Mi raccomando Bro: non bruciare la casa. E non fare impazzire Akashi. E non tempestarmi di messaggi, ma fatti sentire ogni giorno-.
- E tu non mettere incinto Kenma-.
- Bro, è maschio-.
- Si ma tu sei forte, non si sa mai-. Tetsuro lo guardó male.
- Non funziona co... Lascia perdere. Piuttosto, a che concerto andiamo insieme?-.
- Devo ancora decidere, ma ho in mente un bel po' di ristoranti in cui andare a mangiare-.
- Facciamo domani sera?-.
- E domani sera sia-. I due si abbracciarono.
- Mi mancherai fino a domani sera Bro!- esclamò Koutaro. Per quanto amassero i rispettivi ragazzi, erano entrambi grati di aver trovato qualcuno con cui condividere il loro modo di divertirsi.
- Anche tu Bro!-.
- Non provare a sparire ok?-.
- Non ci penso nemmeno! Abbiamo tante cose da fare insieme!-. I due continuarono ad abbracciarsi ancora per un po' prima di staccarsi.
- Andiamo nella mia stanza, anche Akashi sarà lì- affermò Tetsuro.
- Andiamo da Agashi!- Koutaro iniziò a camminare ed il moro lo seguì, divertito.
- Ecco gli amori delle nostre vite!- esclamò, entrando in stanza ed abbracciando Kenma.
- Staccati!- si lamentó il biondo.
- Andiamo a dare l'addio alla nostra stanza!- esclamò Koutaro, prendendo la mano di Akashi e trascinandolo fuori dalla stanza. Keiji fece un cenno di saluto e chiuse la porta alle sue spalle.
- Domani sera andiamo a cena con loro- avvisò Tetsuro.
- Neanche un po' di tregua eh?- si lamentó Kenma. Tetsuro lo guardó negli occhi e sorrise.
- Adesso che so che non ci separeremo mai, non ti lascerò più tregua- affermò. Kenma alzò gli occhi al cielo, ma poi diede un bacio al suo ragazzo.
- Se questo ti farà rimanere al tuo fianco, a me va bene- sussurrò.
- Non ho bisogno di motivi simili per rimanere al tuo fianco: lo faccio perché ti amo- affermò Tetsuro. Kenma sorrise.
- Ti amo anch'io- lo baciò nuovamente. Avevano impiegato troppi anni a capire che nessuno dei due aveva intenzione di lasciare il fianco dell'altro. Ma adesso che lo sapevano, nulla sarebbe più riuscito a separarli.

- Sai Agahshi, mi mancherà questo posto- ammise Koutaro.
- Continueremo a vedere tutti gli altri, non preoccuparti- affermó Keiji.
- Lo so. Però qui noi...-.
Il corvino anticipó le parole del bicolore: si sedette a gambe incrociate sul tatami, e fece cenno a Bokuto di sdraiarsi con la testa sulle sue gambe. Il più grande non se lo fece ripetere due volte.
Si accomodò con la testa sulle gambe di Akashi e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla voce dell'altro.

I campi e i monti
sono scomparsi sotto il manto nevoso.
È il nulla

Koutaro sorrise: un tempo quell'haiku rappresentava un modo per guarire dai suoi attacchi peggiori. Adesso, serviva solo a confermargli quanto amasse la neve. Quanto amasse Akashi.
- Agahshi. Potrò vederti sorridere per amore?- gli chiese, aprendo gli occhi. Keiji abbassò lo sguardo per incontrare quello dorato dell'altro.
- I miei sorrisi sono dovuti tutti a te. Finché sei felice, non ho motivo di non sorridere- affermò Keiji.
- Allora non avrò più motivo di essere triste!- dichiarò Koutaro. Keiji sorrise e si chinò per baciarlo.
Uno aveva bisogno di qualcuno che accettasse la sua felicità; l'altro di qualcuno che gli facesse tornare la voglia di provare ad essere felice.
Adesso che si erano trovati, sarebbero stati felici per sempre.

Kyoko sarebbe voluta tornare in stanza una volta salutati i suoi amici, ma sentiva che c'era ancora una persona con cui doveva parlare... Solo che non sapeva come farlo.
- Vuoi una mano?- Yachi la affiancò: aveva previsto di tornare in stanza e piangere in silenzio, ma aveva il sentore che Kyoko avesse bisogno di lei.
- Vorrei parlare con Tanaka- ammise la mora. Yachi guardò verso il ragazzo, che si trovava fuori dalla sua stanza con Nishinoya, Asahi ed Ennoshita.
Si diresse verso di loro.
- Yachi! Batti il dieci!- esclamò Ryu, vedendola. Lei sorrise e fece come le era stato detto.
- Kyoko vorrebbe parlarti- lo informó, mentre ripeteva la stessa operazione con Nishinoya.
Ryu rimase sorpreso da quella frase; si voltò verso Ennoshita.
- Vai pure: è più pericoloso lasciarti con Nishinoya che con lei- rise Chikara.
- Io ed il mio fra siamo come fratelli!- si difese il più basso.
- Torno da voi in un lampo- affermò Ryu, per poi dirigersi verso Kyoko. Adesso che i suoi sentimenti per quella ragazza gli erano chiari, era molto più tranquillo quando si parlava di lei.
- Mi hanno detto che mi vuoi parlare; se hai cambiato idea, mi dispiace informarti che sono gay- scherzó il ragazzo; si sorprese quando Kyoko rilasció una piccola risata.
- Volevo ringraziarti, Tanaka- affermò.
- Eh?! Ringraziare me?- Ryu non sapeva cosa pensare. Kyoko annuì.
- Negli anni in cui credevi ti piacessi non ti sei mai tirato indietro, nonostante io ti rifiutassi; e anche quando poi hai scoperto di chi fossi veramente innamorato, sei riuscito a prendere in mano la tua vita e metterti con il ragazzo che ami. Mi hai dato molto coraggio- confessó lei. Non l'aveva mai detto a nessuno, ma pur sapendo bene di non provare nulla per Tanaka un po' aveva sempre invidiato il suo modo di fare così sicuro. Nonostante sapesse che il ragazzo soffriva quanto lei, avrebbe voluto avere la sua capacità di affrontare quelle situazioni a testa alta.
Ryu fece un sorriso dolce.
- In realtà, Kyoko-san, sei stata tu ad ispirarmi. Mi hai aiutato a capire chi fossi davvero; anche se non era un sentimento forte come quello che provo adesso, sono felice di aver avuto una cotta per te- affermó.
Kyoko sorrise, si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia.
- Possiamo continuare ad essere amici?- gli chiese. Gli occhi di Ryu si illuminarono.
- Ma certo!-.
- Ne sono felice. Ti lascio tornare dai tuoi amici-.
- Ci vediamo dopo- Ryu si allontanò e Yachi tornó da Kyoko.
- Tutto sistemato?- le chiese mentre andavano verso la loro stanza.
- Direi proprio di sì- confermò la mora, chiudendo la porta alle sue spalle.
Una volta al sicuro, Yachi non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere.
- Vieni qui- Kyoko la strinse a sé.
- Mi mancheranno tutti- ammise Yachi.
- Lo so; ma nessuno di loro se ne andrà davvero. Ci saranno sempre per te... Per noi- si corresse. Neanche lei era più sola adesso: era piena di amici fantastici pronti ad aiutarla in ogni momento.
Sorrise, e quando riabbassò lo sguardo notò che Yachi la stava guardando con un sorriso.
- E poi ci sono io- affermó.
- Anch'io ci sarò sempre te, Kyoko- sussurrò Yachi, sfiorandole le labbra con le sue.
Erano state sole per molto tempo, ma adesso non lo erano piú: adesso avevano degli amici. Adesso erano insieme.

- Noyassan-.
- Ryu-. I due si fissarono per un attimo e annuirono decisi.
- Mi mancherai tanto!- urlarono in coro, saltandosi praticamente addosso.
- Non dimenticarti di me!-.
- Neanche tu!-.
- Dici che dovremo ricordargli che tra una settimana ci rivediamo tutti per il tatuaggio?- commentò Chikara.
- Lasciali sfogare un po': non sono abituati a separarsi per più di una notte- rispose Asahi con un sorriso.
- Ryu mi ha detto che starete un po' dai tuoi-.
- Si, finché non avremo un po' di stabilità. So che la sorella di Tanaka si era proposta di ospitarvi ma avete rifiutato- rispose Asahi.
- Vive con il fratello di Tsukishima e temo che il biondo avrebbe ucciso qualcuno se ci avesse trovati lì ogni volta che fa visita al fratello- rise Chikara.
- Lo immaginavo- Asahi sorrise e tornò a guardare gli altri due, che si stavano ancora abbracciando e facendo raccomandazioni.
Yu e Ryu avevano trovato nell'altro un amico vero; qualcuno magari non in grado di  capirli completamente o aiutarli a guarire, ma sicuramente qualcuno con cui si trovavano a loro agio e su cui sapevano di poter contare sempre e da cui non sarebbero stati giudicati. E anche qualcuno con cui fare sclerare i rispettivi ragazzi.
- Ci vediamo presto amico- Ryu serrò per un attimo di più la presa, prima di lasciarlo andare.
- Noi in realtà non ci separeremo mai perché i nostri cuori saranno uniti per sempre!- esclamò Yu, indicando si il petto con il pollice.
- Whao! Sai un figo Noyassan!- esclamò Ryu.
- Vero?!-.
- Ragazzi tra non molto dobbiamo andare- li informó Chikara.
I due si scambiarono un cinque, poi sparirono nelle loro stanze.
- Ci vediamo dopo- si salutarono Chikara e Asahi, seguendo i primi due.
- Pronto ad andare?- chiese Chikara, chiudendo la porta.
- Si e no. Mi abituo in fretta, ma mi mancherà stare qui- ammise Ryu, avvicinandosi a lui. Lo fece indietreggiare fino al muro e premette le labbra sulle sue.
- Di sicuro non rinuncerò a questo- sussurró. Chikara sorrise.
- Non dovrai farlo- affermò Chikara, mettendogli le braccia attorno al collo e tirandolo nuovamente verso di lui. Aveva trovato qualcuno di cui fidarsi completamente, qualcuno che sapeva essere vero, e a cui sarebbe rimasto fedele per sempre.
Ryu aveva finalmente qualcuno che lo accettava senza problemi, che gli lasciava i suoi spazi e allo stesso tempo era sempre con lui. Non avrebbe potuto avere un ragazzo migliore.

- Prendimi!- appena Asahi chiuse la porta, Yu saltó giù dal letto, atterrandogli addosso. Data la differenza di costituzione il maggiore riuscì ad afferrarlo senza problemi, ma si mise comunque a girare, sapendo quanto quel gesto piacesse al suo ragazzo.
Infatti, Yu spalancò le labbra e si mise a ridere.
- Ryu mi mancherà, ma sono felice di poter stare con te- affermò il più piccolo.
- Possiamo vederlo ogni volta che vuoi- rispose Asahi.
- Sei il migliore!- Yu gli stampó un bacio sulle labbra.
- Solo perché ci tengo a vederti felice- dichiarò il castano. Yu sorrise e lo bació nuovamente, stavolta più a lungo.
All'apparenza erano completamente diversi: ma era proprio quella la loro forza. Asahi aveva trovato in Yu la forza necessaria per continuare a vivere e lottare per rendere il ragazzo che amava sempre felice; Yu aveva trovato qualcuno con cui poter essere sempre sé stesso, con cui non doveva sforzarsi di trattenersi e che allo stesso tempo voleva proteggere con tutto sé stesso.
Avevano semplicemente trovato entrambi ciò di cui avevano bisogno per essere felici; ed insieme, lo sarebbero stati per sempre.

- Non piangere-.
- Non piangeró finché loro sono qui-. Keishin allungò il braccio e lo mise attorno alle spalle di Ittesu, che appoggiò il petto a quello dei biondo ed intrecciò la mano alla sua.
Avevano appena finito di salutare i ragazzi ed adesso li stavano osservando andare via.
- Sicuro che per i tuoi amici non sia un problema ospitarli?- chiese Ittetsu, guardando Kindaichi e Kunimi che caricavano le valigie in macchina di Shimada. Non avevano ovviamente intenzione di tornare dai loro genitori, per cui i due amici del dottore si erano offerti di ospitarli finché ce ne fosse stato bisogno. Oikawa e Iwaizumi, che erano nella stessa situazione, si sarebbero fatti ospitare da una zia del primo.
- A loro non dispiace, sono felici di aiutare- dichiarò Keishin.
Per altre coppie non c'era stato alcun problema nel decidere dove andare: Kageyama e Hinata a casa del secondo, Kenma e Kuuro dal moro, Ennoshita e Tanaka dal primo, Asahi e Nishinoya dal maggiore, Yachi e Kyoko dalla bionda. Yaku e Lev, dato che la famiglia del secondo sarebbe tornata in Russia, sarebbero andati dal primo.
Era stato più difficile scegliere per chi aveva entrambe le coppie di genitori disponibili.
Daichi e Suga avevano puntato sulla famiglia del primo per evitare di pesare troppo su quella del secondo; Bokuto e Akashi sarebbero stati a casa del bicolore; Tsukishima e Yamaguchi sarebbero andati dal biondo, dato che da quando Akiteru si era trasferito la madre era rimasta sola.
- Mi mancheranno- ammise Ittetsu.
- Tra qualche giorno arriveranno nuovi ospiti no?- gli ricordó Keishin.
- Si ma.. loro sono speciali- mormorò Ittetsu.
- Lo so. E proprio per questo sono certo che verranno a trovarci spesso- affermò Keishin.
- Me lo auguro-.
Osservarono le macchine allontanarsi. Rimasero lì immobili anche quando le vetture sparirono all'orizzonte: per un attimo, il posto sembrò loro vuoto.
Si scambiarono uno sguardo e sorrisero. Anche se erano rimasti in due, non si sentivano soli: avevano qualcuno con cui condividevano un obiettivo, qualcuno che sarebbe sempre stato dalla loro parte.
Avevano qualcuno da amare. Non sarebbero più stati soli.

- Alla fine andranno via tutti eh?- mormorò Ittetsu, mentre accarezzava lentamente il petto del biondo al suo fianco.
- Be', prima o poi doveva succedere. Hanno cercato di capire cosa fare una volta usciti per due settimane, e ora sono pronti-.
- Questo posto sarà vuoto senza di loro- commentò il moro.
- Ma presto arriveranno altri pazienti no? Ora che loro sono guariti, Haikyu non farà più paura come prima alla gente-.
- Non è colpa mia se nessuno psicologo era riuscito a capirli...- borbottò Ittetsu.
- Infatti ora hai uno psicologo di fiducia- dichiarò Keishin. Il moro si voltò di scatto verso di lui.
- Vuoi dire che rimarrai qui?-.
- Dove pensavi sarei andato?- chiese il biondo, confuso.
- Be' non lo so ma... Il lavoro per cui ti avevo contattato è finito, e tu sei uno che ama girare, quindi...- mormorò Ittetsu.
- Prima non aveva un motivo per fermarmi in un posto; adesso si- dichiarò Keishin. Ittetsu sorrise.
- Sono certo che riuscirai ad aiutare tutte le persone che arriveranno qui- affermò.
- Si; insieme le aiuteremo-.

- Ricordatelo: se una persona ti dà fastidio, la tortura psicologica è la scelta migliore...-.
- Ma se si tratta di Shittikawa puoi prenderlo a pugni- affermò Hajime.
- Iwa-chan sei cattivo- borbottò Toru.
- Be'... Grazie dei consigli, Senpai- mormorò Yutaro, leggermente confuso.
- Sperando non sia necessario che tu faccia a botte con qualcuno- borbottò Akira.
- Non se ti lasceranno in pace- dichiarò il moro.
- Visto Iwa-chan? Dovresti usare anche tu la violenza per difendermi- affermò Toru.
- Lo faccio: ti difendo dalla tua idiozia- dichiarò Hajime.
- Sei cattivo Iwa-chan...-.
- Ragazzi, noi andiamo a salutare anche gli altri. Mi raccomando Kindaichi; prenditi cura di entrambi- disse Hajime.
- Lo farò- affermò Yutaro, e insieme a Kunimi fece un piccolo inchino.
Hajime fece un sorriso e si affrettó a seguire Oikawa, che si stava dirigendo lungo il corridoio.
- Ecco la stanza di Tobio-chan!- Toru spalancò la porta ed Hinata e Kageyama praticamente caddero dal letto per lo spavento.
- Maledetto dovresti bussare!- urlò Tobio, mentre afferrava la maglietta a terra vicino a lui. Shoyo si affrettó a tirarsi su i pantaloni.
- Shittikawa cazzo!- Hajime diede un altro colpo sulla nuca di Oikawa.
- Come facevo a sapere che stavano per fare sesso?- si lamentó il castano.
- E bussa no?-.
- Che diavolo ci fate qui?- Tobio si alzò, andando verso la porta.
- Volevamo salutare- affermò Toru con un sorriso.
- Che gentile- commentó Tobio, sarcastico.
- Gentili lo sono- affermò Shoyo, raggiungendolo.
- Chibi-chan, se Tobio-chan ti rompe vieni pure da noi- affermò Toru.
- No, lui a te non si avvicina- dichiarò Tobio, mettendo un braccio davanti ad Hinata come per proteggerlo.
- Gelosone- rise Shoyo. Toru allungò il braccio, mettendolo intorno alle spalle di Kageyama e tirandolo verso di sé.
- Ascolta, tu sei sempre stato il mio kohai più carino, quindi farai sicuramente strada. Non fare soffrire il piccoletto va bene?- si raccomandó. Tobio rimase sorpreso da quella parole, ma annuì.
- Perfetto; vado a salutare il mio nuovo amico!- esclamò, stancandosi ed allontanandosi.
- Quel ragazzo non sta mai fermo... Kageyama, vedi di non diventare come lui. Almeno, non nei suoi lati negativi; per il resto è un buon esempio- si raccomandó Hajime, prima di riprendere a seguire Oikawa.
Dato che Suga e Daichi erano fuori dalla stanza a parlare con Kuuro, questa volta non interruppero alcun momento imbarazzante.
- Ciao ragazzi- li salutò Tetsuro.
- Sono qui per dare un abbraccio al mio compagno di manipolazione!- esclamò Toru, avvicinandosi a Suga con le braccia aperte.
- Col cavolo che ti avvicini a lui...- borbottò Daichi.
- Facciamo che gli dai una stretta di mano Shittikawa, so che volevi abbracciarlo solo per farci irritare- sospirò Hajime.
- Va bene va bene... Noiosone- borbottò Toru. Koushi rise e si avvicinò a Toru, stringendogli la mano.
- È stato un piacere- affermó.
- Ti affido Tobio-chan, mi raccomando-.
- Contaci, li tengo d'occhio io-.
- Perfetto! Torniamo in stanza Iwa-chan, devo controllare di aver preso tutto- affermó Toru, voltandosi.
- Oikawa non è uno che si guarda alle spalle vero?- commentò Daichi.
- Neanche un po'. Ci vediamo all'uscita ragazzi- salutò Hajime, prima di seguire il compagno.
- Adesso puoi anche essere triste- affermó il moro, chiudendo la porta della stanza alle sue spalle.
- Non vedo perché dovrei essere triste- borbottò Toru, mentre una lacrima scivolava sulla sua guancia.
- Perché sei tanto irritante quanto sensibile- Hajime lo abbracciò da dietro. Toru si voltò, appoggiando la testa sulla spalla dell'altro mentre lasciava andare le lacrime.
- Questo non è un addio, lo sai. E anche se rincominciare fa paura... Siamo insieme no?-. Toru fece un piccolo sorriso.
- Hai ragione. Finché ci sei tu, starò tranquillo, Iwa-chan. Noi due insieme... Siamo i migliori-.

- Stai pensando se andare a salutare Kageyama?- chiese Akira. Yutaro si voltò di scatto verso di lui.
- Come sai che...-. L'altro alzò un sopracciglio, come per dire "che domande sono? Ti conosco!".
- Non so se è il caso. È vero che abbiamo fatto pace, però...-.
- Andiamo a salutare il tuo amico Tsukishima, e vediamo se li becchiamo- prima che l'altro potesse dire qualcosa, Akira aprì la porta ed uscì dalla stanza. Yutaro si affrettó a seguirlo.
- Non è che siamo amici, abbiamo un rapporto di comprensione basato sulla nostra poca sopportazione di gente come Hinata e Kageyama. E Lev- affermò.
- Nessuno ti vieta di avere amici oltre a me- commentò Akira.
- Non ne ho mai avuto bisogno- mormorò Yutaro. Kunimi era tutta la sua vita, e a lui andava bene così.
Videro Oikawa e Iwaizumi allontanarsi dalla camera di Kageyama e Hinata; il moro si voltò verso di loro, e quando li vide esitó per un attimo.
- Che c'è?- Shoyo, vedendo che non accennava a richiudere la porta, si affacció al corridoio. Fece un sorriso, poi si mise dietro Kageyama e lo spinse in avanti.
- Che fai!- esclamò Tobio.
- Ti porto a salutare il tuo amico-.
- Non siamo amici- affermarono insieme Tobio e Yutaro.
- Si va bene, ma ora salutatevi-. Ad Akira venne quasi da ridere.
Tobio e Yutaro rimasero per un attimo in silenzio a fissarsi, uno di fronte all'altro.
- Vi hanno interrotti durante il sesso?- chiese il secondo, che dopo anni aveva imparato a capire certe cose. Kageyama e Hinata arrossirono.
- Non sono affari tuoi!- esclamarono. Yutaro si mise a ridere; in fondo, ogni tanto Kageyama poteva anche sopportarlo.
- Ci vediamo al ritrovo annuale- affermò.
- Certo. Continua a proteggere Kunimi-.
- Ovvio-.
- Posso abbracciarvi?- chiese Shoyo con un sorriso.
- Assolutamente no- risposero Yutaro e Akira, facendo ridere il bassino.
- Perché fate tutto sto casino?- Kei aprí la porta della sua stanza e guardó male Hinata.
- Noi torniamo alle nostre attività, veniamo a salutarvi dopo- affermò lui, prendendo Kageyama per un braccio e trascinandolo in stanza.
- Che idioti...- borbottò Kei.
- Sarà bello non doverli più sopportare tutti i giorni- concordó Yutaro. I due si scambiarono uno sguardo d'intesa, poi Kei allungò la mano; il moro rimase sorpreso da quel gesto, ma fece un piccolo sorriso e la strinse.
- Ci risentiremo per continuare a parlare male di loro- affermò il biondo.
- Puoi contarci- concordó Kindaichi.
- Be', è bello vedere che hanno fatto amicizia- commentò Tadashi, e Akira annuì.
- Ci vediamo presto- salutó il verde, mentre gli altri due tornavano nella loro stanza.
Yutaro si lanciò sul letto ed Akira gli si accoccoló sopra, trovandosi presto le braccia dell'altro attorno alla vita e le labbra premute contro le sue.
- Visto che non è male avere amici?- sussurrò Akira.
- Senti chi parla...- borbottò Yutaro.
- Avere amici è stancante-.
- Quindi noi non siamo amici?-.
- Noi siamo fidanzati. E tu sei il mio tuttofare, quindi è diverso- ribatté Akira. Yutaro sorrise.
- Sono felice di essere il tuo tuttofare- affermó.
- Anche io. Sono felice. Esserlo con te... Non è stancante-. Yutaro lo strinse più forte.
- D'ora in poi, farò in modo che tu non ti debba stancare mai più-.

- Hey Hinata, io volevo andare a fare un salto da Yachi; vieni anche tu?- chiese Tadashi.
- Io ora volevo passare da Kenma, dato che Kuuro è fuori- rispose Shoyo.
- Oh, allora mi sa che ci becchiamo direttamente all'uscita- mormorò il verde.
- Non fare quell'espressione triste! Ci vedremo almeno una volta al mese per parlare male dei nostri ragazzi- affermò Shoyo.
- Volentieri- rise Tadashi, mentre l'amico lo abbracciava.
- Noi saremmo qui...- borbottarono Tobio e Kei.
- E se non vi salutate rimarrete lì a vita- affermò Shoyo, staccandosi dall'abbraccio e voltandosi verso i due più alti.
- Cosa?!-.
- Tsukki, saluta Kageyama o dico ad Hianata di abbracciarti- lo minacciò Tadashi. Kei spalancò la bocca mentre Shoyo aprì le braccia e fece un sorriso furbo.
Il biondo si voltò di scatto verso Kageyama.
- Non mi mancherai- affermò.
- Neanche tu-.
- Però...- Kei lanciò uno sguardo a Yamaguchi - loro due sono amici quindi...-.
- Cerchiamo di andare d'accordo- concluse per lui Tobio. Kei annuì.
- Ciao-.
- Ciao-.
- È stato così commovente- Shoyo fece finta di tirare su con il naso.
- Taci se vuoi arrivare da Kenma con le tue gambe- lo riprende Tobio.
- Devo pensarci...- mormorò Shoyo, assumendo un'espressione pensierosa.
- Idioti- borbottò Kei.
- Kageyama, tratta bene Hinata d'accordo?- si raccomandó Tadashi.
- Stessa cosa per te spilungone! Se scopro che fai qualcosa di male a Yamaguchi vengo a cercarti- lo minacciò Shoyo.
- Ma che paura- commentò sarcastico Kei, ma poi tornò serio - con me è al sicuro-.
- Me lo auguro-.
- Dobbiamo sopportarli ancora a lungo?- chiese Kei.
- Ora andiamo; ci vediamo all'uscita-.
- A dopo-.
Prima di andare al piano di sopra da Yachi, Tadashi si diresse nella parte di corridoio in cui aveva intravisto Suga, Daichi e Kuuro.
- Altro giro di saluti!- esclamò Koushi vedendoli. Andò incontro a Tadashi e i due si abbracciarono.
- Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi- mormorò Kei.
- Così mi farete piangere!- esclamò Koushi, mentre anche Daichi li raggiungeva.
- Ragazzi, per qualsiasi cosa contate pure su di noi- affermò Daichi - siamo pur sempre i vostri genitori-.
- Se voi foste i nostri genitori sarebbe ince...- Kei rinunciò a finire la frase vedendo le occhiatacce di Yamaguchi e Suga.
- Grazie- disse semplicemente. Fece un passo incerto verso l'argentato e lo strinse velocemente per un paio di secondi; Koushi decise che non aveva tempo per rimanere sconvolto e ricambió la stretta, interrompendola quando l'altro si allontanò.
- Non capiterà mai più- affermò Kei.
- Il nostri Tsukki è sentimentale oggi eh?- commentó Tetsuro, avvicinandosi a Tsukishima.
- Te non ti abbraccio-.
- Eh? Perché no? Bro, Tsukki non vuole abbracciarci!-.
Koutaro, che stava camminando verso di loro, a quelle parole si mise a correre.
- Tsukki! Perché no? Come mai? Ti abbiamo fatto qualcosa?!- iniziò a chiedere a raffica, fermandosi davanti al biondo.
- Si, siete troppo rumorosi- affermò il biondo. I due misero il broncio.
- Bro, gli facciamo il solletico?- propose Tetsuro.
- Io direi di buttarlo sotto la doccia-.
- Se vi lascio stringere attorno a me per due secondi mi lasciate in pace?-. Ai due si illuminarono gli occhi.
- Muovetevi- borbottò Kei; sapeva già che si sarebbe pentito, e ne ebbe la conferma  quando i due lo circondarono e lo abbracciarono contemporaneamente, quasi soffocandolo.
- Ci mancherai Tsukki!- urlarono in coro.
- Si ok ora basta- borbottò il biondo, e i due si staccarono.
- Tsukki!- il biondo all'improvviso si trovò davanti Nishinoya - ricordati di mangiare almeno tre volte al giorno. E sorridi ogni tanto che non ti fa male! E ricordati di chiamarmi se hai bisogno di consigli- esclamò, facendo l'occhiolino.
- Ma manco morto-.
- Andiamo su a salutare le ragazze- affermò Tadashi.
- Ci vediamo fuori- rispose Koushi, salutandoli con la mano.
- Volevo evitarli quei tre- borbottò Kei.
- Lo sai che ti vogliono bene- Tadashi gli diede un bacio sulla guancia che fece tornare un po' di buonumore al suo ragazzo.
Tadashi bussò alla porta della camera delle ragazze ed andò ad aprirgli Yachi.
- Siamo passati a salutare- affermò Tadashi.
- Stavo per farlo anch'io!-.
- Hinata dovrebbe passare tra non molto-.
- Grazie per avermelo detto-. I due si sorrisero per un attimo, poi si abbracciarono.
- Mi mancherai Yamaguchi, sei un bravo ragazzo-.
- Anche tu-.
- Tsukishima trattalo bene ok?- si raccomandó Yachi, spostando lo sguardo sul biondo.
- Abbi cura di te- rispose lui, mentre i due amici si staccavano.
- Ci vediamo all'uscita- si salutarono, poi Tadashi seguì Kei al piano di sotto.
- Non capisco perché tutti mi dicano di prendermi cura di te, come se già non ne avessi intenzione- borbottò Kei.
- Forse perché in diciannove anni di vita sei l'unico che è riuscito a farmi arrabbiare?-.
- Terrò a mente di non farlo più-.
- Ecco bravo- Tadashi diede un bacio sulla guancia al suo ragazzo, poi si diresse verso l'armadio per controllare di aver preso tutto.
- Tadashi- lo richiamó lui. Il verde si voltò, stupito di sentirsi chiamare per nome.
- Dimmi Tsukki-.
- Ti va di venire al cinema con me?-. Tadashi non poté fare a meno di sorridere: alla fine, dopo anni, sarebbe potuto andare al cinema con il ragazzo che amava.
- Lo voglio-.

- Kenma!-. Il biondo sussultò e si voltò.
- Shoyo-.
- Sono venuto a salutarti!-. Kenma aggrottò le sopracciglia.
- Vai già via?-.
- No, ma ci tenevo a salutarti in privato- affermò Shoyo.
- Non ce n'era bisogno. Te l'ho detto che continueremo a vederci- mormorò Kenma, leggermente imbarazzato.
- Quindi mi vuoi come amico?-. Kenma spalancó la bocca.
- Shoyo, noi siamo già amici-. Shoyo sorrise e lo abbracció.
- Sono felice di essere tuo amico-. Kenma lo aveva fatto sentire come se ci fosse qualcuno che lo capisse davvero, e nonostante fossero molto diversi stavano bene insieme e nessuno dei due intendeva rompere la loro amicizia.
- Ora non esagerare...- borbottò il biondo, facendo ridere l'altro.
- Cosa farete una volta usciti? Se so dove siete posso venirvi a trovare!- esclamò Shoyo.
- Staremo per un po' dalla madre di Kuuro mentre cerchiamo una casa-.
- A Tokyo eh? Saremo un po' lontani... Ma ci vedremo di sicuro!-. Kenma annuì.
- Tanto ci siamo scambiati i numeri; ci terremo in contatto-.
- Certo!-.
- Oh, Hinata sei qui anche tu!- Lev si affacció alla camera da letto.
- Oh no, anche lui no- si lamentó Kenma.
- Cattivo Kenma-san! Con me non vuoi rimanere in contatto?- il mezzo-russo entrò in stanza, fingendosi offeso.
- Contando che Kuuro e Yaku rimarranno amici, dovrò vederti anche fin troppo- borbottò Kenma.
- Posso rimanere io tuo amico!- esclamò Shoyo.
- Certo! Spero che diventerai anche più alto!-.
- Adesso capisco come mai Yaku-san ti picchia...- borbottò Shoyo, per poi voltarsi verso Kenma.
- Torno da Kageyama; ci vediamo dopo-. Il biondo annuí e Shoyo uscì dalla stanza.
- Shoyooooooooo-. Si voltò con il sorriso.
- Noyassan!- Yu praticamente gli saltó addosso stringendolo in un abbraccio.
- Noi tre dobbiamo continuare ad uscire e divertirci!- esclamò, mentre anche Ryu li raggiungeva.
- I tuoi senpai hanno ancora tanto da insegnarti- affermò il rasato.
- Non vedo l'ora!- esultó Shoyo, mentre si dirigevano verso il luogo dove aveva lasciato Kageyama, insieme a Suga, Daichi, Kuuro e Bokuto.
- Oh, Chibi-chan!- lo salutó Tetsuro.
- Hey Hey Hey! Salutiamo la nostra piccola star!- esclamò Koutaro.
- Bokuto-san, dobbiamo trovare il modo di rimanere in contatto!- esclamò Shoyo. Tobio tremò leggermente a quelle parole: sopportare la vivacità del suo ragazzo era un conto, ma unito a Bokuto... Non sapeva se ci sarebbe riuscito.
- Certo!-.
- Ti troverò spesso in casa con Kenma, vero piccoletto?- commentò Tetsuro.
- Molto probabile-.
- Non vale, anch'io voglio invadervi casa!- si lamentó Koutaro.
- Se porterai Akashi, Kenma non avrà nulla da ridire- affermò Tetsuro.
- Evvai!- Koutaro allungò le mani ed afferró le guance di Hinata, tirandole leggermente.
- Visto? Continueremo a vederci!-.
- Non vedo l'ora!- esclamò Shoyo.
- Guardate, c'è Yachi- Daichi indicò con un cenno del capo la ragazza che si stava avvicinando a loro.
- So che Hinata e Kageyama stanno salutando adesso e non volevo perdermeli- mormorò lei.
- Mi mancherai Yachi! Ci vediamo presto va bene?- Shoyo strinse l'amica in un abbraccio.
- Volentieri!- esclamó lei, ricambiando.
- Tu sei sempre la benvenuta- affermò Tobio; probabilmente la bionda era la persona che gli dava meno fastidio lí dentro.
- Esatto! Vieni a trovarci quando vuoi!- esclamò Shoyo.
- Puoi contarci! Ora torno di sopra, ma dopo vi saluto si nuovo- affermò lei. Si era ripromessa di non restare troppo per non scoppiare a piangere.
- Certo, a dopo!- la salutarono.
- Kageyama, ricordati sempre del tuo senpai-Sugawara se hai bisogno di una mano, chiaro?- si raccomandó Koushi.
- Per qualsiasi cosa, sapete come trovarci- affermó Daichi, mentre Hinata affiancava il suo ragazzo.
- Grazie mille- il moro fece un piccolo inchino.
- Non essere così formale! Dopotutto siamo tutti amici no? Be', non tutti tutti- rise Koushi.
- Voi siete la mamma e il papà- affermò Shoyo, abbracciando Suga e Daichi.
- Finiró per piangere davvero- Koushi tirò su con il naso.
- Resisti ancora un po'- gli sorrise Daichi.
- Noi andiamo in stanza; questo bokè prima ha fatto cadere la maglietta nel lavandino e si è bagnata- affermó Tobio.
- Bakageyama devo ricordarti come mai ero senza maglietta?-.
- I nostri bambini crescono in fretta eh?- commentò Koushi, mentre i due si allontavano lungo il corridoio.
- Piccolo, la tu maglietta è asciutta- avvisò Tobio, uscendo dal bagno mentre piegava l'indumento per metterlo nella valigia dell'arancione. Aveva deciso di fargliela lui dopo aver visto il disastro che l'altro stava combinando.
- Grazie- Shoyo gli diede un bacio sulla guancia; Tobio non si fece sfuggire l'occasione e tirò l'altro verso di sé per baciarlo.
- Sicuro che a tua madre non dispiacerà se sto un po' da voi?- sussurró.
- Lei ti adora, non preoccuparti. E poi dobbiamo pur stare da qualche parte prima di avere abbastanza soldi per vivere insieme- gli fece notare Shoyo. Tobio gli accarezzò lentamente i capelli.
- Non vedo l'ora che arrivi quel momento- sussurrò. Il giorno in cui, finalmente, sarebbero potuti essere solo loro due... Tobio sperava arrivasse il prima possibile. E anche Shoyo era curioso di sapere come sarebbe stata la loro vita di coppia.
Di una cosa però erano più che certi: non gli serviva una vita perfetta. Gli bastava stare insieme.

Davanti alla porta della stanza di Daichi e Sugawara era rimasto per il momento solo Kuuro, insieme ai due proprietari; Bokuto si era allontanato per vedere qualcosa con Nishinoya e Tanaka, con la promessa di tornare a salutare il suo bro il prima possibile.
- Ragazzi, non c'è bisogno che sia io a dirvelo ma... Avete fatto un ottimo lavoro. Anche per una persona come me, abituata a prendersi cura degli altri, è stato rassicurante avervi qui; grazie davvero-.
- Non abbiamo fatto niente di che; abbiamo solo aiutato come potevamo, tutto qui- affermò Koushi. Vide con la coda dell'occhio che Yaku si stava avvicinando.
- Arrivo- affermò, dirigendosi verso l'amico.
- Pronto per la tua nuova vita?- gli chiese. Yaku quando lo notò gli sorrise.
- Prendermi cura di Lev a tempo pieno sarà un lavoraccio, ma mi ci abituerò- affermó, facendo ridere Koushi.
- Grazie di tutto Suga; sei un ottimo amico-.
- Anche tu Yaku. Spero davvero di riuscire a rivederti presto-.
- Anche io: avrò ancora bisogno dei tuoi consigli su come essere una brava mamma- i due si abbracciarono.
Daichi non poté fare altro che sorridere: non aveva sentito la conversazione, ma sapeva che Yaku aveva ringraziato Suga da come quest'ultimo era leggermente arrossito e non poteva che essere orgoglioso di amare una persona tanto buona.
- Suga è un ragazzo speciale, ma ha bisogno di qualcuno come te al suo fianco- commentò Tetsuro.
- Sai, all'inizio pensavo mi odiassi- ammise Daichi.
- Oh, era così. Io stavo cercando un modo per farmi conoscere da tutti e creare un bel gruppo, e tu sei comparso dal nulla e ti sei messo a fare il papà. Però in realtà te ne sono stato grato: ho potuto rilassarmi un po' in questi anni-.
- Scaricando tutto il lavoro su di me eh?- Daichi sorrise.
- Esatto-.
- Be', spero tu sappia che puoi contare su di me anche se non vivremo più insieme- affermò Daichi.
- Lo terrò a mente- i due si strinsero appena, dandosi una pacca sulla spalla.
- Vado a salutare anche gli altri- affermó Daichi, vedendo che Yaku stava andando verso di loro.
- D'accordo; ci vediamo dopo- lo salutò Tetsuro.
Daichi si scambiò un sorriso con Yaku, poi raggiunse Suga, che si era fermato per aspettarlo.
- Quanto ci scommetti che Asahi ed Ennoshita hanno dovuto fare anche le valigie di Nishinoya e Tanaka?- commentò Koushi.
- Ti piace vincere facile eh?- rise Daichi. Proprio in quel momento videro Nishinoya e Tanaka andare verso di loro.
- Dove avete lasciato Bokuto?- chiese Koushi.
- Akashi l'ha chiamato per farsi dare una mano con i bagagli- spiegò Ryu.
- Voi due avete aiutato con i vostri?- chiese Daichi.
- Noi volevamo! Ma ecco...- iniziò Yu.
- Diciamo che abbiamo prevenuto i casini e deciso di fare direttamente tutto noi- affermó Chikara, uscendo dalla sua stanza. Poco dopo anche Asahi li raggiunse.
- Asahi, Ennoshita; vi lasciamo i due scalmanati- affermó Daichi.
- Contate su di noi- rispose Chikara.
- Guarda che abbiamo la stessa età...- borbottò Ryu.
- Si ma coi avete il compito di rimanere giovani dentro, noi di curarvi- affermò Asahi. Yu sorrise e gli saltó sulla schiena.
- Puoi dirlo forte!- esclamò.
- Voi due vedete di fare i bravi. E scriveteci se avete bisogno, va bene?- si raccomandó Koushi.
- Certo mamma- risposero in coro Yu e Ryu, andando verso di lui ed abbracciandolo, per poi fare lo stesso con Daichi.
- Ciao papà- lo salutarono.
- Che idioti- borbottó il maggiore, ma li abbracciò comunque. In fondo, quei due scalmanati sarebbero mancati ad entrambi.
Yu e Ryu decisero di lasciare gli altri alle loro chiacchiere tra adulti e si allontanarono.
- Sarà dura con loro due- sospirò Chikara - ma ne varrà la pena-.
- Guardate il lato positivo: dovrete sopportarne uno a testa- commentò Daichi.
- Questo perché non sai ancora che hanno già deciso che vivremo vicini...- mormorò Asahi.
- Condoglianze- disse sinceramente Koushi.
- Se avrete bisogno di un rifugio, venite pure da noi- affermò Daichi.
- Lo apprezziamo molto- dichiarò Asahi.
- Dai, venite qui!- esclamò Koushi, spalancando le braccia ed abbracciando Asahi, mentre Daichi fece lo stesso con Ennoshita; dopodiché se li scambiarono.
- Ciao ragazzi-. Si voltarono tutti e quattro quando sentirono la voce di Kyoko.
- Ciao; pronta a partire?- le chiese Daichi.
- Abbastanza- rispose lei. In realtà non si sentiva completamente pronta, ma non voleva lasciarsi nuovamente bloccare dall'ansia.
- Vale anche per te: per qualsiasi cosa, chiamaci pure- affermò Koushi.
- Grazie: vale lo stesso per voi. Ora vado, devo finire di sistemare- dichiarò. Non era una ragazza di molte parole, perciò i quattro erano già sorpresi che fosse andata a salutarli di sua spontanea volontà.
- Andiamo anche noi- affermò Daichi, che iniziava ad intravedere in Suga i primi segni di cedimento.
- Ci vediamo all'uscita- li salutò Asahi, e la coppia si avviò lungo il corridoio.
- Dai, vieni qui- appena furono in stanza, Daichi strinse Suga in un abbraccio.
- I nostri bambini mi mancheranno. Hai sentito? Mi hanno chiamato mamma. E Tsukki mi ha abbracciato!- esclamò Koushi, mentre lacrime di gioia e tristezza scivolavano sul suo volto.
- Hai cambiato la vita di tutti quelli che hai conosciuto Suga; sei una persona veramente speciale. Comunque andrà, quei ragazzi ti ricorderanno per sempre- affermò Daichi.
- Guarda che vale lo stesso per te- gli ricordó Koushi, asciugandosi le lacrime e guardando l'altro negli occhi.
- Si ma tu sei tu- sussurrò il moro, chinandosi per baciarlo.
- Un po' mi mancherà tutto il casino che facevano- mormorò Koushi.
- Facciamo così: adesso, pensiamo a divertirci e rifarci una vita. E quando entrambi saremo soddisfatti... Adottiamo dei bambini nostri, va bene?-. Gli occhi si Koushi si spalancarono per la sorpresa e iniziarono a brillare.
- Dici sul serio?!-.
- Ho poche certezze nella mia vita, ma una di queste è che sei un genitore fantastico. E che voglio passare la vita al tuo fianco. Per cui sì, dico sul serio- dichiarò Daichi.
Koushi praticamente si avventó su di lui, riempiendolo di baci.
- Ti amo alla follia!- esclamó. Daichi sorrise.
- Anche io. E amo la tua follia- affermò, dandogli un bacio sul naso. Koushi sorrise e lo strinse più forte. Era certo che loro due sarebbero stati i genitori migliori del mondo.

- Allora, riuscirai a farcela con Lev?- chiese Tetsuro.
- Ormai sono abituato a gestirlo. Nel caso mi fornirai un alibi?-.
- Ci puoi contare- affermó il corvino. Yaku sorrise.
- Sai, anche se abbiamo gusti completamente diversi... Sono felice che siamo riusciti a diventare amici- affermò.
- Anche io. Stare con Bokuto è super divertente, ma diciamo che per consigli più seri ho bisogno di una persona un po' più con la testa sulle spalle- rise Tetsuro.
- Come darti torto! Io in realtà ho Suga, tu non mi servi, ma posso trovarti un po' di spazio- dichiarò.
- Sicuro? Non vorrei spezzare troppo il tuo cuore di ghiaccio- borbottò Tetsuro.
- Sono una persona dolcissima io- affermò Yaku.
- Tanto dolce quanto alta-.
- Almeno io non ho la cresta di un gallo!-. I due si guardarono un attimo in cagnesco, poi scoppiarono a ridere.
- Sta tornando il tuo bro; ti lascio a parlare con lui e vado ad assicurarmi che il tuo ragazzo non abbia ucciso il mio- dichiarò Yaku.
- Lo apprezzo molto- i due si scambiarono un breve abbraccio prima di separarsi.
- Non ti schiodi proprio eh?- sbuffò Kenma. Aveva sperato che Lev se ne sarebbe andato insieme a Shoyo, invece il mezzo-russo aveva affermato di non volerlo lasciare solo ed era ancora lì.
- No- affermò Lev - tra poco non ci vedremo più, quindi voglio passare un po' di tempo con te-. Kenma sospirò e si sedette sul letto.
- Ci vedremo quando verrete a trovarci no?- mormorò. Gli occhi di Lev si illuminarono; nonostante Kenma l'avesse sempre tratto con indifferenza, a lui quel piccoletto stava simpatico e sentiva che il sentimento era ricambiato.
- Vuoi che venga anche io?- gli chiese, pieno di speranza.
- Sei più insopportabile di Shoyo. Però in fondo... Non sei male- ammise Kenma. Lev non riuscì più a trattenersi e lo abbracció.
- Grazie Kenma-san!- esclamò.
- Akashi salvami!- esclamò il biondo, notando l'amico sulla soglia della porta.
- Lev, sta arrivando Yaku- lo avvisó Keiji.
- Davvero? Allora vado!- Lev si alzò di scatto - ci vediamo dopo!- uscì dalla stanza, trovandosi di fronte Yaku.
- Scusalo se ti ha rotto Kenma- disse il più basso, affacciandosi alla porta della stanza dove intanto era entrato Akashi.
- Ora dovrai subirtelo tu- affermó il biondo.
- Mi tocca - rise Yaku - ci vediamo dopo- allungò la mano, afferrando quella del fidanzato e dirigendosi con lui nella loro stanza.
- Yaku-san, secondo te tu, Kenma e Hinata potrete crescere ancora? Cosí sei molto tenero, ma mi chiedevo se...- gli chiese Lev, guadagnandosi un calcio sul fondoschiena.
- Ahia!-.
- Questo è perché fai domande idiote e indiscrete!- esclamò Yaku; poi gli diede una leggera spinta, facendolo cadere sul letto e sistemandosi a cavalcioni su di lui.
Lev spalancó gli occhi per la sorpresa, mentre Yaku si chinò verso di lui per dargli un bacio.
- E questo è perché hai detto che sono tenero- sussurrò. Lev sorrise.
- Sei sempre tenero, Yaku-san- affermó, per poi riprendere a baciarlo.
Yaku si rilassò completamente tra le braccia dell'altro. Era felice in quel momento: non gli serviva immaginare nient'altro che potesse rendere la sua vita migliore. Era lì, con il ragazzo che amava, e questo gli bastava. Ed entrambi sapevano che, anche se avesse rischiato di cadere, Lev sarebbe stato pronto ad afferrarlo.

- Grazie, mi hai salvato- sospirò Kenma.
- È stato solo tempismo- affermó Keiji, avvicinandosi a lui.
- Alla fine andrete dai genitori di Bokuto?- gli chiese Kenma.
- Per un po' si; in ogni caso abitano abbastanza vicini ai miei, quindi non avró problemi a vederli-.
- So che non siete tanto distanti da noi-.
- Esatto- Keiji si sedette di fianco a Kenma - so che salutarci non ha senso, dato che vivremo vicini almeno per un po' e che i nostri ragazzi sono migliori amici, ma ci tenevo a ringraziarti ancora Kenma. Grazie a te... Ora sono felice- Keiji sorrise, e Kenma non poté non fare lo stesso.
- È stato Bokuto, io non ho fatto niente; ho solo parlato con un amico- affermò il biondo.
- Io non ho mai avuto molti amici. Per cui sarò felice se continueremo a rimanerlo anche fuori da qui- sussurrò Keiji.
- Anche io- ammise Kenma - se avrai bisogno di altro... Vieni pure da me, ti aiuterò volentieri-.
- Lo stesso vale per te-.
- Grazie; mi servirà un amico calmo come te, crerai equilibrio con Shoyo e Lev- ammise il biondo.
- Anche io ho bisogno di qualcuno di tranquillo con Bokuto sempre in casa- commentò Keiji.
- Io non lo sopporterei proprio, hai tutta la mia ammirazione- borbottò il biondo. Keiji alzò le spalle e fece un altro sorriso.
- Non scegliamo noi di chi innamorarci- affermò.
- Quei due sono insieme ora vero?- chiese Kenma.
- Probabilmente si-.
Bokuto e Kuuro si erano spostati da davanti la camera di Suga e Daichi, ma erano rimasti isolati in corridoio per salutarsi a dovere.
- Mi raccomando Bro: non bruciare la casa. E non fare impazzire Akashi. E non tempestarmi di messaggi, ma fatti sentire ogni giorno-.
- E tu non mettere incinto Kenma-.
- Bro, è maschio-.
- Si ma tu sei forte, non si sa mai-. Tetsuro lo guardó male.
- Non funziona co... Lascia perdere. Piuttosto, a che concerto andiamo insieme?-.
- Devo ancora decidere, ma ho in mente un bel po' di ristoranti in cui andare a mangiare-.
- Facciamo domani sera?-.
- E domani sera sia-. I due si abbracciarono.
- Mi mancherai fino a domani sera Bro!- esclamò Koutaro. Per quanto amassero i rispettivi ragazzi, erano entrambi grati di aver trovato qualcuno con cui condividere il loro modo di divertirsi.
- Anche tu Bro!-.
- Non provare a sparire ok?-.
- Non ci penso nemmeno! Abbiamo tante cose da fare insieme!-. I due continuarono ad abbracciarsi ancora per un po' prima di staccarsi.
- Andiamo nella mia stanza, anche Akashi sarà lì- affermò Tetsuro.
- Andiamo da Agashi!- Koutaro iniziò a camminare ed il moro lo seguì, divertito.
- Ecco gli amori delle nostre vite!- esclamò, entrando in stanza ed abbracciando Kenma.
- Staccati!- si lamentó il biondo.
- Andiamo a dare l'addio alla nostra stanza!- esclamò Koutaro, prendendo la mano di Akashi e trascinandolo fuori dalla stanza. Keiji fece un cenno di saluto e chiuse la porta alle sue spalle.
- Domani sera andiamo a cena con loro- avvisò Tetsuro.
- Neanche un po' di tregua eh?- si lamentó Kenma. Tetsuro lo guardó negli occhi e sorrise.
- Adesso che so che non ci separeremo mai, non ti lascerò più tregua- affermò. Kenma alzò gli occhi al cielo, ma poi diede un bacio al suo ragazzo.
- Se questo ti farà rimanere al tuo fianco, a me va bene- sussurrò.
- Non ho bisogno di motivi simili per rimanere al tuo fianco: lo faccio perché ti amo- affermò Tetsuro. Kenma sorrise.
- Ti amo anch'io- lo baciò nuovamente. Avevano impiegato troppi anni a capire che nessuno dei due aveva intenzione di lasciare il fianco dell'altro. Ma adesso che lo sapevano, nulla sarebbe più riuscito a separarli.

- Sai Agahshi, mi mancherà questo posto- ammise Koutaro.
- Continueremo a vedere tutti gli altri, non preoccuparti- affermó Keiji.
- Lo so. Però qui noi...-.
Il corvino anticipó le parole del bicolore: si sedette a gambe incrociate sul tatami, e fece cenno a Bokuto di sdraiarsi con la testa sulle sue gambe. Il più grande non se lo fece ripetere due volte.
Si accomodò con la testa sulle gambe di Akashi e chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla voce dell'altro.

I campi e i monti
sono scomparsi sotto il manto nevoso.
È il nulla

Koutaro sorrise: un tempo quell'haiku rappresentava un modo per guarire dai suoi attacchi peggiori. Adesso, serviva solo a confermargli quanto amasse la neve. Quanto amasse Akashi.
- Agahshi. Potrò vederti sorridere per amore?- gli chiese, aprendo gli occhi. Keiji abbassò lo sguardo per incontrare quello dorato dell'altro.
- I miei sorrisi sono dovuti tutti a te. Finché sei felice, non ho motivo di non sorridere- affermò Keiji.
- Allora non avrò più motivo di essere triste!- dichiarò Koutaro. Keiji sorrise e si chinò per baciarlo.
Uno aveva bisogno di qualcuno che accettasse la sua felicità; l'altro di qualcuno che gli facesse tornare la voglia di provare ad essere felice.
Adesso che si erano trovati, sarebbero stati felici per sempre.

Kyoko sarebbe voluta tornare in stanza una volta salutati i suoi amici, ma sentiva che c'era ancora una persona con cui doveva parlare... Solo che non sapeva come farlo.
- Vuoi una mano?- Yachi la affiancò: aveva previsto di tornare in stanza e piangere in silenzio, ma aveva il sentore che Kyoko avesse bisogno di lei.
- Vorrei parlare con Tanaka- ammise la mora. Yachi guardò verso il ragazzo, che si trovava fuori dalla sua stanza con Nishinoya, Asahi ed Ennoshita.
Si diresse verso di loro.
- Yachi! Batti il dieci!- esclamò Ryu, vedendola. Lei sorrise e fece come le era stato detto.
- Kyoko vorrebbe parlarti- lo informó, mentre ripeteva la stessa operazione con Nishinoya.
Ryu rimase sorpreso da quella frase; si voltò verso Ennoshita.
- Vai pure: è più pericoloso lasciarti con Nishinoya che con lei- rise Chikara.
- Io ed il mio fra siamo come fratelli!- si difese il più basso.
- Torno da voi in un lampo- affermò Ryu, per poi dirigersi verso Kyoko. Adesso che i suoi sentimenti per quella ragazza gli erano chiari, era molto più tranquillo quando si parlava di lei.
- Mi hanno detto che mi vuoi parlare; se hai cambiato idea, mi dispiace informarti che sono gay- scherzó il ragazzo; si sorprese quando Kyoko rilasció una piccola risata.
- Volevo ringraziarti, Tanaka- affermò.
- Eh?! Ringraziare me?- Ryu non sapeva cosa pensare. Kyoko annuì.
- Negli anni in cui credevi ti piacessi non ti sei mai tirato indietro, nonostante io ti rifiutassi; e anche quando poi hai scoperto di chi fossi veramente innamorato, sei riuscito a prendere in mano la tua vita e metterti con il ragazzo che ami. Mi hai dato molto coraggio- confessó lei. Non l'aveva mai detto a nessuno, ma pur sapendo bene di non provare nulla per Tanaka un po' aveva sempre invidiato il suo modo di fare così sicuro. Nonostante sapesse che il ragazzo soffriva quanto lei, avrebbe voluto avere la sua capacità di affrontare quelle situazioni a testa alta.
Ryu fece un sorriso dolce.
- In realtà, Kyoko-san, sei stata tu ad ispirarmi. Mi hai aiutato a capire chi fossi davvero; anche se non era un sentimento forte come quello che provo adesso, sono felice di aver avuto una cotta per te- affermó.
Kyoko sorrise, si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio sulla guancia.
- Possiamo continuare ad essere amici?- gli chiese. Gli occhi di Ryu si illuminarono.
- Ma certo!-.
- Ne sono felice. Ti lascio tornare dai tuoi amici-.
- Ci vediamo dopo- Ryu si allontanò e Yachi tornó da Kyoko.
- Tutto sistemato?- le chiese mentre andavano verso la loro stanza.
- Direi proprio di sì- confermò la mora, chiudendo la porta alle sue spalle.
Una volta al sicuro, Yachi non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere.
- Vieni qui- Kyoko la strinse a sé.
- Mi mancheranno tutti- ammise Yachi.
- Lo so; ma nessuno di loro se ne andrà davvero. Ci saranno sempre per te... Per noi- si corresse. Neanche lei era più sola adesso: era piena di amici fantastici pronti ad aiutarla in ogni momento.
Sorrise, e quando riabbassò lo sguardo notò che Yachi la stava guardando con un sorriso.
- E poi ci sono io- affermó.
- Anch'io ci sarò sempre te, Kyoko- sussurrò Yachi, sfiorandole le labbra con le sue.
Erano state sole per molto tempo, ma adesso non lo erano piú: adesso avevano degli amici. Adesso erano insieme.

- Noyassan-.
- Ryu-. I due si fissarono per un attimo e annuirono decisi.
- Mi mancherai tanto!- urlarono in coro, saltandosi praticamente addosso.
- Non dimenticarti di me!-.
- Neanche tu!-.
- Dici che dovremo ricordargli che tra una settimana ci rivediamo tutti per il tatuaggio?- commentò Chikara.
- Lasciali sfogare un po': non sono abituati a separarsi per più di una notte- rispose Asahi con un sorriso.
- Ryu mi ha detto che starete un po' dai tuoi-.
- Si, finché non avremo un po' di stabilità. So che la sorella di Tanaka si era proposta di ospitarvi ma avete rifiutato- rispose Asahi.
- Vive con il fratello di Tsukishima e temo che il biondo avrebbe ucciso qualcuno se ci avesse trovati lì ogni volta che fa visita al fratello- rise Chikara.
- Lo immaginavo- Asahi sorrise e tornò a guardare gli altri due, che si stavano ancora abbracciando e facendo raccomandazioni.
Yu e Ryu avevano trovato nell'altro un amico vero; qualcuno magari non in grado di  capirli completamente o aiutarli a guarire, ma sicuramente qualcuno con cui si trovavano a loro agio e su cui sapevano di poter contare sempre e da cui non sarebbero stati giudicati. E anche qualcuno con cui fare sclerare i rispettivi ragazzi.
- Ci vediamo presto amico- Ryu serrò per un attimo di più la presa, prima di lasciarlo andare.
- Noi in realtà non ci separeremo mai perché i nostri cuori saranno uniti per sempre!- esclamò Yu, indicando si il petto con il pollice.
- Whao! Sai un figo Noyassan!- esclamò Ryu.
- Vero?!-.
- Ragazzi tra non molto dobbiamo andare- li informó Chikara.
I due si scambiarono un cinque, poi sparirono nelle loro stanze.
- Ci vediamo dopo- si salutarono Chikara e Asahi, seguendo i primi due.
- Pronto ad andare?- chiese Chikara, chiudendo la porta.
- Si e no. Mi abituo in fretta, ma mi mancherà stare qui- ammise Ryu, avvicinandosi a lui. Lo fece indietreggiare fino al muro e premette le labbra sulle sue.
- Di sicuro non rinuncerò a questo- sussurró. Chikara sorrise.
- Non dovrai farlo- affermò Chikara, mettendogli le braccia attorno al collo e tirandolo nuovamente verso di lui. Aveva trovato qualcuno di cui fidarsi completamente, qualcuno che sapeva essere vero, e a cui sarebbe rimasto fedele per sempre.
Ryu aveva finalmente qualcuno che lo accettava senza problemi, che gli lasciava i suoi spazi e allo stesso tempo era sempre con lui. Non avrebbe potuto avere un ragazzo migliore.

- Prendimi!- appena Asahi chiuse la porta, Yu saltó giù dal letto, atterrandogli addosso. Data la differenza di costituzione il maggiore riuscì ad afferrarlo senza problemi, ma si mise comunque a girare, sapendo quanto quel gesto piacesse al suo ragazzo.
Infatti, Yu spalancò le labbra e si mise a ridere.
- Ryu mi mancherà, ma sono felice di poter stare con te- affermò il più piccolo.
- Possiamo vederlo ogni volta che vuoi- rispose Asahi.
- Sei il migliore!- Yu gli stampó un bacio sulle labbra.
- Solo perché ci tengo a vederti felice- dichiarò il castano. Yu sorrise e lo bació nuovamente, stavolta più a lungo.
All'apparenza erano completamente diversi: ma era proprio quella la loro forza. Asahi aveva trovato in Yu la forza necessaria per continuare a vivere e lottare per rendere il ragazzo che amava sempre felice; Yu aveva trovato qualcuno con cui poter essere sempre sé stesso, con cui non doveva sforzarsi di trattenersi e che allo stesso tempo voleva proteggere con tutto sé stesso.
Avevano semplicemente trovato entrambi ciò di cui avevano bisogno per essere felici; ed insieme, lo sarebbero stati per sempre.

- Non piangere-.
- Non piangeró finché loro sono qui-. Keishin allungò il braccio e lo mise attorno alle spalle di Ittesu, che appoggiò il petto a quello dei biondo ed intrecciò la mano alla sua.
Avevano appena finito di salutare i ragazzi ed adesso li stavano osservando andare via.
- Sicuro che per i tuoi amici non sia un problema ospitarli?- chiese Ittetsu, guardando Kindaichi e Kunimi che caricavano le valigie in macchina di Shimada. Non avevano ovviamente intenzione di tornare dai loro genitori, per cui i due amici del dottore si erano offerti di ospitarli finché ce ne fosse stato bisogno. Oikawa e Iwaizumi, che erano nella stessa situazione, si sarebbero fatti ospitare da una zia del primo.
- A loro non dispiace, sono felici di aiutare- dichiarò Keishin.
Per altre coppie non c'era stato alcun problema nel decidere dove andare: Kageyama e Hinata a casa del secondo, Kenma e Kuuro dal moro, Ennoshita e Tanaka dal primo, Asahi e Nishinoya dal maggiore, Yachi e Kyoko dalla bionda. Yaku e Lev, dato che la famiglia del secondo sarebbe tornata in Russia, sarebbero andati dal primo.
Era stato più difficile scegliere per chi aveva entrambe le coppie di genitori disponibili.
Daichi e Suga avevano puntato sulla famiglia del primo per evitare di pesare troppo su quella del secondo; Bokuto e Akashi sarebbero stati a casa del bicolore; Tsukishima e Yamaguchi sarebbero andati dal biondo, dato che da quando Akiteru si era trasferito la madre era rimasta sola.
- Mi mancheranno- ammise Ittetsu.
- Tra qualche giorno arriveranno nuovi ospiti no?- gli ricordó Keishin.
- Si ma.. loro sono speciali- mormorò Ittetsu.
- Lo so. E proprio per questo sono certo che verranno a trovarci spesso- affermò Keishin.
- Me lo auguro-.
Osservarono le macchine allontanarsi. Rimasero lì immobili anche quando le vetture sparirono all'orizzonte: per un attimo, il posto sembrò loro vuoto.
Si scambiarono uno sguardo e sorrisero. Anche se erano rimasti in due, non si sentivano soli: avevano qualcuno con cui condividevano un obiettivo, qualcuno che sarebbe sempre stato dalla loro parte.
Avevano qualcuno da amare. Non sarebbero più stati soli.

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Capitolo 27
*** EPILOGO ***


Kyoko si guardò intorno per l'ennesima volta. I fiori erano sistemati, le sedie anche e il luogo non aveva nulla fuori posto.
- Ho finito di controllare la zona del rinfresco: è tutto pronto- Yachi la affiancò e le sorrise.
- È il nostro primo grande progetto... Speriamo vada tutto bene- mormorò la mora.
- Sarà cosí- affermò la bionda. Dopo qualche mese passato a casa della madre della mimore, grazie al suo aiuto erano riuscite a creare la loro agenzia. Era ancora piccola, ma stavano iniziando a farsi conoscere.
Yachi abbassò lo sguardo sul tatuaggio che aveva sul polso destro.
- Li rivedremo tutti eh?- sussurrò. Erano passati due anni ormai da quando avevano lasciato Haikyu, e nonostante si fossero tenuti in contatto quella era la seconda volta che riuscivano a vedersi tutti insieme.
- Sarà bello- confermò Kyoko, che aveva il simbolo tatuato sull'altro polso.
- Sei bellissima con questo vestito- affermò Yachi; con il tempo, era riuscita ad acquisire molta più sicurezza di prima. E l'aveva fatta acquisire anche a Kyoko.
- Anche tu- le rispose. Yachi sorrise.
- Andiamo a fare un ultimo giro di ricognizione prima che arrivino tutti gli altri?- le chiese Yachi, porgendole la mano.
- Certo; andiamo- Kyoko la afferrò; le loro dita si intrecciarono e le due iniziarono a camminare.

- Gattino, sei pronto?- Tetsuro si affacció alla porta del soggiorno, dove Kenma era intento a giocare a qualche videogioco in televisione.
- Ho quasi finito- affermò il biondo, segnandosi qualcosa su un foglio. Aveva trovato quasi subito lavoro presso un'agenzia di videogiochi; si occupava principalmente di collaudare i nuovi progetti e consigliare eventuali miglioramenti o modifiche. Era un lavoro più che perfetto per lui.
Tetsuro invece aveva ripreso a studiare, gettandosi sulla chimica, e per aiutare con i costi della casa lavorava in una pizzeria da asporto. Questo portava la loro macchina a sapere perennemente di pizza, ma dato che Tetsuro ci era abituato e Kenma la usava pochissimo non era un problema.
Il biondo finì di segnarsi le ultime cose e si alzò.
- Dobbiamo portare anche Bokuto e Akashi?- chiese, raggiungendo Kuuro in camera da letto.
- Si; tu sei già pronto?-. Kenma annuì: si era vestito prima proprio per evitare di arrivare in ritardo.
Tetsuro sorrise e gli si avvicinò.
- Stai benissimo vestito elegante- affermò, chinandosi per dargli un bacio.
- Anche tu- mugugnó Kenma.
- Si ma vedere te elegante è un avvenimento raro- sussurrò Tetsuro, baciandolo nuovamente. Gli spostò leggermente la camicia, scoprendo il tatuaggio che aveva sulla parte avanti della scapola. Il suo invece si trovava sulla schiena.
- Tetsu, dobbiamo andare- sussurrò Kenma, chiudendo gli occhi e beandosi dei piccoli baci che il suo ragazzo gli stava lasciando.
- Lo so, ora andiamo- sussurrò Tetsuro, dandogli un altro bacio sulle labbra.
- Hai sentito Hinata?- gli chiese; Kenma si alzò un punti di piedi per aiutarlo a sistemare il colletto della giacca.
- Sono partiti da poco-.
- Anche Yaku; dovremmo arrivare tutti in orario- confermò Tetsuro, mentre con le dita pettinava leggermente i capelli di Kenma, ritinti da poco e che ora si erano allungati.
- Sei bellissimo gattino- gli sussurrò. Kenma si sentí arrossire.
- Rimarrai al mio fianco tutto il tempo vero?- nonostante ci fossero molte persone che conosceva, era un po' che non si trovava in mezzo ad evento con tanta gente.
Tetsuro gli sorrise.
- Non ho motivo di andarmene-.

Tobio lasciò l'ennesimo segno sul fianco del suo ragazzo, vicino al suo tatuaggio.
- Ho detto a Kenma che stavamo partendo- sussurrò Shoyo, voltandosi appena per guardare il suo ragazzo.
- Piccolo, lo sai che arrivo sempre per primo o per ultimo- sussurrò lui, accarezzandogli la schiena.
- Non dovevo dirti che Yachi era già lì- sospiró Shoyo; consapevole del fatto che avrebbero fatto tardi, si voltò ed agganciò le gambe attorno alla vita di Kageyama, tirandosi su e premendo le labbra sulle sue.
Tobio fece scorrere la mano tra i capelli dell'arancione; quel gesto lo rilassava ancora, se fosse stato per lui non avrebbe mai smesso di farlo.
Shoyo sfiorò il fianco con l'altro, accarezzando i contorni del suo tatuaggio che ormai sapeva a memoria, soprattutto dato che il moro aveva deciso di farlo nel suo stesso punto.
- Piccolo- sussurrò Tobio.
- Dimmi- Shoyo si staccò appena, guardando l'altro negli occhi.
Tobio continuó ad accarezzargli i capelli mentre il suo sguardo correva dal sorriso di Hinata ai suoi occhi che brillavano leggermente per il momento; si, era decisamente perfetto.
- Ti amo- affermò. Il sorriso di Shoyo di allargò.
- Da quando così dolce, Bakageyama?- gli chiese.
- Bokè! È solo perché so che mi guarderai male tutto il giorno dato che non arriverai là sulle tue gambe!- affermò Tobio, sbilanciandosi in avanti in modo da finire nuovamente sdraiato su Hinata, che scoppiò a ridere.
- Ti amo anch'io- dichiarò, baciandolo nuovamente. E se lui lo amava, allora il mondo di Tobio era veramente perfetto.

- Aghashi, mi aiuti ad allacciarmi la cravatta?-. Keiji si affacció alla porta del bagno e notò che Bokuto stava litigando con una cravatta. La scena lo fece sorridere.
- Faccio io- affermò, avvicinandosi al suo ragazzo ed aiutandolo a sistemarsi la cravatta.
- Aghashi non eri al telefono con la casa editrice prima?- gli chiese Koutaro.
- Si: il libro è piaciuto- affermò.
- Ma è fantastico!- esclamò Koutaro, stringendolo a sé. Nonostante Keiji ora avesse il pieno controllo delle sue emozioni, Bokuto rimaneva comunque il più esaltato anche in situazioni come quella.
- È stato merito dell'aiuto che mi hai dato- affermò il corvino.
- Ma che dici Aghashi? Tu sei fantastico di tuo! Sono così felice! Dobbiamo festeggiare!- esclamò Koutaro, più che fiero dell'obiettivo raggiunto dal suo ragazzo.
- Adesso dobbiamo andare, ma ti lascio organizzare i festeggiamenti va bene?- acconsentì Keiji.
- Evviva!- esclamò Koutaro. Keiji si avvicinò all'orecchio del suo ragazzo.
- Se vuoi possiamo già festeggiare stasera- sussurró, sfiorando con le labbra il tatuaggio che aveva sul collo.
Il moro si trovò contro la parete, con la mano di Kuotaro che si insinuava sotto la sua camicia, sfiorando il tatuaggio che aveva sul bassoventre.
- Non vedo l'ora- sussurrò.
Il campanello suonò.
- Oh, è arrivato il mio bro!- esclamò Koutaro, correndo ad aprire la porta.
Keiji si sistemó velocemente e lo seguì; il suo ragazzo non era cambiato per niente in quei due anni, e a lui andava più che bene così. Vedere Bokuto felice lo faceva sorridere, provava un amore immenso per quel ragazzo, amava il modo in cui cambiava velocemente espressione, il modo in cui sorrideva, il modo in cui lo guardava e come lo faceva sentire. Adesso, poteva dire per certo di amarlo. Più Bokuto sorrideva, più faceva sorridere anche Keiji, più il moro si innamorava. Gli aveva restituito i suoi sentimenti e gliene aveva fatto conoscere uno nuovo: non sarebbe mai riuscito a ricompensarlo abbastanza.
Koutaro era felice anche solo di essere vicino ad Akashi, ogni suo sorriso o gesto lo faceva sentire la persona più fortunata sulla faccia della terra. A lui non serviva altro per essere felice.
E finché Bokuto sorrideva, finché Bokuto era felice, anche Keiji poteva essere felice.

- Tsukki-. Kei si voltò, trovandosi davanti il volto serio di Yamaguchi.
- Va tutto bene?- gli chiese.
- Promettimi che farai il bravo oggi. Con tutti-.
- Non posso neanche insultare Kageyama?-.
- Non se ci siamo io e Hinata-.
- Ma non vale, quei due non si separeranno mai- borbottó Kei.
- Perché noi si?- Tadashi spalancò gli occhi. Kei si affrettó a raggiungerlo.
- Non intendo lasciare il tuo fianco- affermò, prendendo le mani dell'altro tra le sue. Tadashi sorrise e si sollevò sulle punte per baciarlo.
- Sicuro non sua un problema saltare il concerto due sere di fila?-.
- Il bello di essere un pianista rinomato è che posso decidere io i miei orari. E poi hanno compreso la situazione, non preoccuparti- affermò Kei.
Tadashi si portò una mano alla spalla, nel punto in cui c'era il suo tatuaggio, e sorrise: era felice di non aver dovuto rinunciare ad andare. Il lavoro da pianista di Tsukki lo teneva impegnato quasi tutte le sere e temeva sarebbero dovuti andare via prima, ma per fortuna il suo ragazzo sapeva come trattare.
A volte pensava che il lavoro da assistente sociale che aveva scelto si adattasse molto di più al biondo, ma probabilmente avrebbe traumatizzato qualche bambino.
- Pensavo ti avrebbero proposto di rimediare con domani sera- sussurrò, sfiorando la spalla dell'altro, nel punto del tatuaggio.
- L'hanno fatto, ma ho detto di no- affermò il biondo.
- Come mai?- gli chiese Tadashi, sorpreso.
- Il lunedì sera andiamo sempre al cinema no?- gli ricordó Kei.
Tadashi sorrise e chiuse gli occhi, poggiando le labbra su quelle dell'altro. Erano più certi che mai che non si sarebbero mai separati, avrebbero fatto di tutto per rimanere sempre l'uno con l'altro. Ed erano certi che ci sarebbero riusciti.

- Lev muoviti dobbiamo...- Yaku si bloccó. Aveva detto più volte a Lev di chiudere la porta della doccia, ma a quanto pare il messaggio non era arrivato, dato che il suo ragazzo l'aveva nuovamente lasciata aperta. Yaku rimase incantato a fissare il corpo snello dell'altro, e fu felice che Lev gli stesse dando la schiena e non potesse vedere il suo rossore.
- Hai detto qualcosa?- Lev si voltò e Yaku distolse velocemente lo sguardo.
- Muoviti che mi devo lavare anch'io- mormorò. Era stato un camera per una decina di minuti con indosso solo un asciugamano nella speranza che l'altro si muovesse, e ora sentiva lo sguardo di Lev che lo stava praticamente mangiando con gli occhi.
- Vieni dentro no?- gli consigliò il mezzo-russo.
- Sei proprio senza pudore- borbottò Yaku.
- Come se non ci fossimo mai visti nudi- rise Lev.
- Dai, vieni qui- allungó la mano, prendendo il polso di Yaku, che fece appena in tempo a lasciare gli l'asciugamano prima di finire sotto il getto.
- Che idiota- borbottò Yaku, afferrando il bagnoschiuma ed iniziando a lavarsi. Si bloccó quando sentì le mani di Lev poggiarsi sulla sua schiena, precisamente sul tatuaggio che aveva su una scapola.
- Lev, non abbiamo tempo- mormorò, cercando di stare calmo.
- Io non ero facendo niente- sussurrò Lev. Yaku si voltò, e lo sguardo gli ricadde sul tatuaggio poco sotto le costole.
- Lev...- Yaku non riuscì a dire altro perché si trovò la bocca occupata da quella dell'altro. Lev lo sollevó, facendolo appoggiare al muro e continuando a baciarlo in modo dolce.
- Ti amo- sussurrò. Yaku si fingeva molto forte, ma sapevano entrambi quanto fosse sensibile ai complimenti e alle parole del mezzo-russo.
Lev non voleva fare sesso, voleva solo passare un momento dolce con il ragazzo che amava, e Yaku lo sapeva bene.
- Ti amo anch'io- si arrese. Lev sorrise e riprese a baciarlo. Continuó a tenerlo sollevato, e tra le sue braccia Yaku sapeva di non poter cadere. Lo insultava spesso, ma alla fine sapeva che non avrebbe potuto immaginare nessuno di migliore da amare.

- Posso lanciare i chicchi di riso?-.
- Solo se vieni a farti mettere la camicia-. Yu, ubbidiente, si diresse verso Asahi. Il maggiore gli fece indossare una manica; sapeva bene quanto Nishinoya odiasse vestirsi elegante, si sentiva intrappolato, poteva convincerlo solo se era lui a vestirlo.
Si portò alle sue spalle e diede un bacio al tatuaggio che aveva in mezzo alle scapole, prima di continuare l'opera.
- Posso tenere le maniche arrotolate?- gli chiese Yu.
- Non durante la cerimonia- rispose Asahi.
- Tu le hai- gli fece notare Yu, osservando il tatuaggio che l'altro aveva sul braccio. Lo aveva fatto nel punto in cui un tempo c'era il taglio più profondo; dopotutto, ora non ne aveva più bisogno. Adesso aveva Nishinoya, aveva un modo molto più valido per ricordarsi di vivere. Voleva continuare a vedere il sorriso del minore, non desiderava altro.
- Solo perché mi sto ancora preparando- affermò.
- Uffa...- borbottò Yu. Asahi gli sorrise.
- Sono fiero di te- affermò. Yu si sentì arrossire.
- Per cosa?-. Asahi poteva avere tante cose di cui essere fiero: Nishinoya era diventato un maestro di ginnastica, e quando non era a scuola aiutava Tanaka con la sua palestra. Stava usando tutte le sue energie per aiutare più persone possibili; ad Asahi non pesava doversi occupare della casa e simili finché lui era felice.
Yu era completamente libero di essere felice; con Asahi a vegliare su di lui, l'unica cosa di cui doveva preoccuparsi era che la bontà del suo ragazzo non lo mettesse nei guai. E che il suo migliore amico non rischiasse, da ubriaco, di fare proposte di matrimonio a sconosciuto per allenarsi. Si, era successo.
Yu, con Asahi al suo fianco, era finalmente libero di essere libero.

- Non ho voglia di fare tutta quella strada in macchina- mormorò Akira.
- Puoi dormire se vuoi- affermò Yutaro, mentre finiva di sistemarsi la giacca.
- No, ti faccio compagnia-. Il più alto sorrise e si voltò verso il fidanzato, seduto sul letto. Si avvicinò a lui e si chinò per dargli un bacio.
- Grazie- sussurrò.
- In cambio dovrai chiedermi un altro ballo- lo informó Akira.
- Volentieri- acconsentì Yutaro. Akira allungò le mani e gli tirò leggermente giù la camicia, scoprendo il tatuaggio sul petto dell'altro.
- Ti dona- affermò.
- Mai quanto a te- ribatté Yutaro, sfiorando la coscia dell'altro. Avevano sentito Hinata scherzare con Kageyama sul farsi il tatuaggio in un punto in cui solo l'altro poteva vederlo, ma dato che alla fine i due avevano abbandonato l'idea loro gliel'avevano rubata.
- Pronto ad andare?- gli chiese Yutaro, porgendogli la mano. Akira la afferrò e si alzò. Al fianco di Kindaichi, poteva finalmente avere la vita riposante che aveva sempre desiderato; e nonostante questo, aveva scoperto un certo piacere nel fare, ogni tanto, qualcosa con il compagno. E a Yutaro bastavano quei piccoli gesti che solo lui poteva comprendere per ottenere la forza necessaria ad assumersi la responsabilità di entrambi. Avrebbe protetto Kunimi fino alla fine dei suoi giorni; voleva farlo e l'avrebbe fatto. Se si trattava di quel ragazzo, nessuno poteva fermarlo.

- Fai in fretta, per favore-.
- Sicuro che vuoi che sia violento?-.
- Si, o non ci finiremo mai-.
- E va bene- Chikara appoggiò una mano sulla schiena di Tanaka, al centro della quale c'era il tatuaggio, che aveva voluto fare nello stesso posto del suo migliore amico.
Ryu appoggió la fronte contro il muro, cercando di respirare; sentì l'altra mano di Ennoshita posarsi sulla sua spalla e rabbriví.
Velocemente, Chikara afferrò la spalla dell'altro e la strattonó leggermente indietro, facendola scrocchiare. Ryu fu invaso da una fitta di dolore, ma subito dopo si sentì meglio.
- Così impari a sollevare pesi eccessivi- affermò Chikara, lasciandolo andare.
- Gestisco una palestra, per sistemarli devo fare anche quello- Ryu si voltò e afferrò la mano di Ennoshita, tirandolo verso di lui e facendolo finire tra il suo corpo e il muro.
- E poi ci sei tu ad occuparti di me no?- sussurrò, accarezzandogli il fianco.
- Dobbiamo andare- sussurrò Chikara, che in due anni ancora non aveva imparato a resistere a quel tocco.
- Non posso avere neanche un bacino?- mormorò Ryu.
- Il tuo "bacino" si trasforma in almeno due ore di sesso- gli ricordó Chikara.
- È colpa mia se sei sexy? Io sarò ubriaco e non potrò saltarti addosso per tutta la sera, me lo merito- si lamentó il pelato. Chikara, come sempre, cedette; allacciò le mani dietro al collo del ragazzo, e durante il gesto la manica gli scivoló leggermente, rivelando il tatuaggio sul polso. Tirò Tanaka verso di sé, premendo le labbra contro le sue.
Ryu ne approfittó subito per infilare la lingua nella bocca dell'altro ed approfondire il bacio.
- Frena quelle mani- gli sussurrò Chkara, sentendo che l'altro stava già per insinuarsi sotto i suoi pantaloni - rimediamo stanotte, va bene?-.
Gli occhi di Ryu si illuminarono leggermente ed annuì, lasciando libero il ragazzo. Non era mai stato così bene in vita sua; adesso aveva qualcuno che lo sosteneva e che non l'avrebbe mai giudicato per com'era. E adesso anche lui sapeva di andare bene, e non gli serviva altro che essere in pace con sé stesso per essere felice.
Chikara era consapevole di non capire perfettamente Tanaka, certe volte quel ragazzo era un mistero anche per lui; semplicemente, si fidava. Si fidava dei sentimenti del ragazzo per lui, si fidava del loro rapporto, si fidava del loro amore. E si fidava di sé stesso.
Anche volendo, non avrebbe potuto non essere felice con Tanaka. Gli aveva ridato piena fiducia in tutto. E lui adesso poteva vivere serenamente. Poteva vivere davvero.

- Non insistere, non lo farò-.
- Perché no?!-.
- Shittikawa. Non chiederò a Kageyama a che ora arriva solo perché così possiamo arrivare dopo di lui-.
- Ma io sono una star, devo arrivare per ultimo!- protestò Toru.
- L'unica cosa che devi fare ora è muoverti a salire il macchina- ribatté Hajime. Toru sbuffó e fece come gli era stato detto, ma mise il broncio.
Hajime sospiró.
- Facciamo così: sei fai il bravo alla cerimonia, dopo ti aiuto a infastidire Kageyama, va bene?-. A Toru tornò il sorriso.
- Sei il degno ragazzo del migliore, Iwa-chan- affermò Toru, sporgendosi verso il sedile dell'altro per dargli un bacio sulla guancia.
- Comunque dovevamo farci i tatuaggi in un posto più visibile, oggi non si vedranno- commentó il castano, mentre Hajime metteva in moto.
- Non si vedranno praticamente a nessuno, non preoccuparti- affermò il moro.
- Potrei sempre rovesciarti un drink addosso per farti togliere la camicia- ribatté Tooru, assumendo un'espressione pensierosa.
- Vedi di non usare qualcosa che macchia-. Tooru spalancò la bocca.
- Sei fin troppo gentile oggi, Iwa-chan; mi nascondi qualcosa? Sei incinto?- gli chiese.
- Sei un idiota- borbottò Hajime. Allungó una mano e strinse quella del castano.
- Voglio solo che oggi ti diverta: hai bisogno di un po' di svago-. Tooru si stava impegnando per diventare avvocato, e non erano studi facili.
- Iwa-chan...- il castano non si aspettava quelle parole. È vero che sapeva che Iwa-chan ci teneva a lui, ma era comunque raro vederlo così preoccupato.
- Se ci sei tu io mi diverto sempre, Iwa-chan: ma sono felice che tu mi stia dando il via libera- affermò Tooru.
- Vedi di non farmene pentire- sospiró Hajime, riportando la mano sul volante.
Si era ripromesso di non lasciar tornare Kirai per nessun motivo al mondo: avrebbe protetto Tooru da sé stesso e da chiunque avesse provato a farlo stare male. Voleva vedere un sorriso sincero sul volto dell'altro, e avrebbe fatto di tutto per continuare a farlo felice.
Tooru era certo che Kirai non sarebbe tornato. Non ne aveva motivo. Lui aveva Iwa-chan, e non gli serviva nient'altro; non si sarebbe più lasciato spaventare. Erano insieme. Erano i migliori. Avrebbero superato qualsiasi cosa insieme.

- Hai preso l'invito?-.
- Si, anche se non penso servirà-.
- I cerotti?-.
- Si, li ho messi dentro-.
- Vestiti di ricambio?-.
- Suga- Daichi si trattenne dal ridere mentre bloccava il suo ragazzo mettendogli le mani sulle spalle.
- Non stai andando in gita con la tua classe. E i nostri bambini hanno minimo vent'anni. So che ti stai preparando per quando diventeremo davvero genitori, ma andrà tutto bene anche se non ci portiamo dietro due valigie- cercó di calmarlo.
Koushi aveva deciso di mettersi a insegnare, ed era un maestro veramente apprensivo; da quando si erano messi in lista d'adozione, era peggiorato.
- Siamo i genitori, è compito nostro occuparci di loro! Dici che devo portargli i preservativi?-.
- Penso ci abbiano già pensato. Perché non andiamo, così evitiamo di fare tardi?- suggerí Daichi. Accarezzò la spalla dell'altro, dove c'era il suo tatuaggio, sul braccio opposto al suo.
- Sono certo che loro non vedano l'ora di vederti, anche se non gli porterai i preservativi- affermò.
Koushi fece un sorriso e annuì. Era felice di poter rivedere tutti gli altri, ma ogni tanto lo coglieva l'ansia di non riuscire ad essere un bravo genitore.
Però, accanto a Daichi si sentiva al sicuro: con lui poteva parlare di adottare bambini mentre si faceva spingere sull'altalena. Era libero di essere un adolescente o un adulto in base alla situazione, sapeva che non sarebbe stato giudicato. Era libero di essere chi voleva. E Daichi amava quel mix di fanciullezza e maturità che rendeva il suo ragazzo ancora più bello ai suoi occhi. In qualsiasi situazione, voleva che Suga si divertisse, che fosse felice e facesse ciò che più desiderava.
Grazie a lui stava pian piano recuperando i suoi obiettivi, sentiva di non aver più tutte le responsabilità sulle sue spalle.
Si rendevano felici a vicenda, si sostenevano in ogni momento, e avrebbero continuato a farlo per sempre. E presto, la loro famiglia si sarebbe allargata. E sarebbero stati i genitori migliori del mondo.

- Nervoso?-. Keishin si voltò verso Shimada.
- Un po'- ammise. Ormai era tutto pronto: i ragazzi erano arrivati e seduti ai loro posti, il luogo era stato sistemato magnificamente e lui stava per sposare l'uomo che amava.
Stava per prendersi un impegno più grande di quando si era fatto quel tatuaggio, che ormai era diventato un simbolo per loro; anche il suo futuro marito se l'era fatto, sul braccio come lui, in segno dell'impegno che si erano presi con Haikyu. E ora, stavano per prenderne un altro solo per loro.
Le campane suonarono. Sul fondo nella navata, comparve Ittetsu; sorrise nel vedere che tutti i ragazzi erano lì.
In quei due anni erano arrivati molti nuovi ospiti, e quasi tutti erano rimasti molto poco grazie alle abilità di Ukai. Ma anche se fossero rimasti di più, dubitava ci fosse qualcuno a cui si sarebbe potuto affezionare più che a loro.
Anni prima, aveva deciso di intraprendere un viaggio da solo per aiutare più persone possibili. Ci era riuscito; e adesso, non era più solo.
Stava per sposarsi con l'uomo che amava, con un uomo che in due anni era riuscito a farlo sentire amato e lo aveva aiutato più di quanto pensasse.
Aveva avuto molti dubbi nella sua vita, ma in quel momento, mentre camminava lungo la navata, circondato dai suoi ragazzi, diretto verso l'uomo che amava, sapeva che non avrebbe potuto compiere scelta più giusta.
- Sei nervoso, direttore?- gli chiese Keishin, non appena il moro lo raggiunse.
- Si: ma sono pronto. E tu, dottore?-.
- Più che pronto-. I due si sorrisero mentre il prete iniziava a parlare.
Erano bastati pochi mesi per fare cambiare tutte le loro vite per sempre. Ora erano pronti ad affrontare qualsiasi cosa. L'importante era che rimanessero insieme.

 
~~~
Siamo giunti alla fine di questa storia! Grazie mille a tutti voi che l'avete letta; è stata la mia prima storia a più POV, e non ho trattato una tematica per niente semplice, ma spero di essere riuscita a trasmettervi qualcosa grazie alla forza con cui questi ragazzi hanno sempre affrontato i loro problemi. Spero che vi sia piaciuta; in caso, a breve arriveranno molte altre mie storie con queste ship... e anche tante altre, che all'epoca non misi perchè ancora non avevo finito la serie, ma che avranno i loro momenti!

Questa storia è originaria del mio profilo Wattpad, sto pian piano ripubblicando qui tutte le mie opere in ordine, per cui se vi è piaciuta e vi va, passate a dare un'occhiata anche alle altre, le sto aggiungendo tutte pian piano!

Grazie ancora per aver letto la mia storia; a presto!

 

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