Queen of the Underworld

di Illidan17
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Adone ***
Capitolo 3: *** Ares ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Prologo 

Persefone si svegliò. Non era a casa. Non era la sua stanza. Era in una camera arredata in modo molto elegante, illuminata da torce. Avevano acceso un fuoco perché non avesse freddo. Il letto era in legno scuro, e le coperte erano blu come la notte. Il pavimento, di marmo nero, era coperto da morbidi tappeti scuri. Si alzò e andò verso l’enorme specchio incorniciato nel legno d’ebano. Indossava ancora il chitone bianco che le avevano infilato quasi a forza, e c’era ancora qualche fiore fra i capelli. Fiori che stavano appassendo velocemente... 

Andò verso la finestra, coperta da pesanti tende viola, che scostò subito. Era in un luogo sotterraneo, le cui pareti erano così alte da non poter vedere il soffitto, ma sapeva bene che lì non splendeva il sole. L'unica fonte di luce proveniva da fiamme azzurrine sparse qui e là. Poteva vedere una palude, attraversata da un’unica barca, con un traghettatore che pareva vecchio come il mondo, piena di persone, le quali guardavano dietro di sé con aria triste. 

Era finita nell’Oltretomba. E sapeva molto bene chi ce l’aveva portata. Si sedette su una sedia d’ebano riempita da morbidi cuscini, massaggiandosi le tempie, un gesto che faceva quando era irritata o turbata. Non era arrabbiata con lui. Sapeva fin troppo bene perché lo avesse fatto. No, era adirata con chi lo aveva costretto a farlo. Con lei. E lei avrebbe fatto di tutto, per portarla via da lì... 

Solo che Persefone non voleva andarsene. Aveva trovato ciò che cercava in lui. E lui lo aveva trovato con lei. Perché lei non riusciva a vederlo? Perché non voleva capire? C'era solo un modo per piegarla, ormai. E, in un certo senso, anche Persefone era costretta a fare un passo molto grave, al pari di lui. 

Sul tavolino, anch’esso in legno d’ebano, c’era una grande fruttiera in oro cesellato, riempita di frutti bellissimi. La sua natura le fece comprendere che erano stati raccolti proprio nell’Oltretomba, e conosceva le conseguenze per chi consumava il cibo del Regno dei Morti. Prese una melagrana e cercò di aprirla in due... 

-Forse dovrei farlo io. Ti tremano le mani. 

Alzò lo sguardo. Lui era entrato, silenzioso come sempre. Sembrava un po' preoccupato. Le prese le mani. 

-Tremano sempre, quando sei turbata. Immagino sia a causa mia... 

-Sono adirata, ma non con te. Con lei 

Lui la baciò sulla fronte. Stranamente, Persefone si calmò. 

-Non è una persona malvagia, lo sai... 

-Non si tratta di questo. Mi ha impedito di vivere la mia vita. Non ha mai voluto comprendere i miei bisogni. Tu sai subito se sono turbata o irritata, lei non si è nemmeno accorta dei miei gesti. 

Lui prese la melagrana e la divise in due. Le porse una metà. Ora era serio. 

-Lo sai che, una volta che hai mangiato il cibo dell’Oltretomba, non potrai più tornare indietro? 

-Lo so molto bene. Ma, come hai fatto tu, anch’io devo lanciare un messaggio forte e chiaro. La mia vita ora è accanto a te, e lei lo deve capire, in un modo o nell’altro. 

Detto questo, prese la sua metà e cominciò a mangiare i chicchi. Mentre il succo zuccherino le riempiva la bocca, pensò a tutto quello che era successo e che l’aveva condotta lì... 

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Capitolo 2
*** Adone ***


Adone

Adone 

Era una giornata come tante. Insieme alle ninfe, seguiva sua madre Demetra, dea delle messi, nelle sue peregrinazioni destinate a dispensare abbondanza ai mortali. Come sempre, aiutava chi ne aveva bisogno e riceveva preghiere e ringraziamenti. E, come stava accadendo in modo sempre più frequente e per un tempo sempre più lungo, si era allontanata dal gruppo e si era ritirata in disparte in un boschetto. 

Ultimamente, sentiva questo bisogno di rimanere da sola, per conto proprio. Sola con i suoi pensieri, in un ambiente per lei accogliente. Alle distese assolate, lei preferiva i luoghi ombrosi. Sua madre non capiva queste sue preferenze, né questo bisogno di solitudine. Solo Euribea, la più anziana delle ninfe al suo seguito, riusciva a capirla, anche se fino ad un certo punto. Ormai non era più una bambina, era normale che avesse bisogno dei propri spazi. Solo, era preoccupata per l’espressione sempre più cupa che si stava formando sul suo bel viso... 

A dire il vero, Persefone voleva rimanere da sola per trovare risposte che né sua madre, né le ninfe potevano darle. Certo, amava sua madre, ma non avrebbe compreso le sue domande. Il fatto era che nei tempi più recenti far parte del seguito di Demetra non le recava più gioia come prima. Sentiva una specie di vuoto nel suo cuore, e non riusciva a colmarlo in alcun modo. E non sapeva a chi rivolgersi. 

All'inizio, aveva pensato di parlarne con le sue amiche/sorelle più care, Atena e Artemide, ma poi aveva desistito. Si era resa conto che la risposta avrebbe potuto segnare un prima e un dopo, alla propria esistenza. Temeva di perdere la loro amicizia, o peggio, che lo dicessero a sua madre, che avrebbe fatto di tutto per mantenere lo status quo. Aveva il terrore degli stravolgimenti. Il semplice fatto che si assentasse ogni giorno le faceva venire degli attacchi di ansia. 

No, doveva parlarne con qualcuno fuori dalla sua cerchia di conoscenze. E doveva farlo senza che sua madre venisse a saperlo. E se fosse successo, avrebbe dovuto essere qualcuno di cui Demetra non avrebbe avuto il minimo sospetto. Qualcuno che la ascoltasse seriamente, e che sapesse dirle cosa fare... 

E all’improvviso tutto fu più chiaro. Come aveva fatto a non pensarci prima? Sapeva con chi parlare, e anche quando avvicinare questa persona. Un piano le si formò nella mente... 

I suoi pensieri vennero interrotti da un rumore di rami rotti. Si voltò verso la fonte, ma non vide nessuno. 

-C’è qualcuno? Euribea, sei tu? 

La risposta arrivò pure troppo presto. Dai cespugli emerse un cinghiale. Per essere esatti, era il cinghiale più grosso e feroce che avesse mai visto, con il pelo nero e gli occhi rosso fuoco. Normalmente, Persefone non aveva paura degli animali, anzi, li amava molto ed era ricambiata, persino dalle fiere. Quante aveva accarezzato i lupi di Apollo, o l’aquila di suo padre Zeus? Quell'animale, però, era diverso. Sembrava l’avesse presa di mira. E la giovane sapeva il perché. Non era un cinghiale normale. Qualcuno l’aveva creato e mandato fra i mortali. Ma chi, e con quale scopo? 

-Chi sei? Chi ti manda? E cosa ho fatto, perché tu mi voglia attaccare? 

Per tutta risposta, il cinghiale caricò. Persefone sapeva che doveva alzarsi e correre, ma era semplicemente paralizzata. Chiuse gli occhi, aspettando il peggio... 

Udì un fischio nell’aria, poi il rumore di una freccia che si pianta nella carne, e poi l’urlo della bestia. Riaprì gli occhi. Il cinghiale si stava rotolando nella terra, contorcendosi dal dolore, una freccia conficcata nel fianco. Alzò lo sguardo. Dall'oscurità emerse un giovane cacciatore, dotato di una bellezza e di una prestanza che alcuni dei gli avrebbero invidiato. Aveva i capelli ricci biondo cenere e occhi verdi come il mare. Il suo bellissimo viso aveva un’espressione preoccupata. 

-Allontanati, ragazza! È più pericoloso ora che è ferito. Non voglio che ti faccia del male. 

Persefone si riscosse e si alzò subito. Voleva correre via, ma inciampò nella propria veste, cadendo rovinosamente a terra. Il cinghiale ripartì all’attacco. Il giovane si lanciò sulla bestia, e insieme rotolarono per terra. Erano così avvinghiati che Persefone non riusciva a capire che cosa stesse succedendo, finché non sentì il cacciatore gridare di dolore. 

Sentiva di dover fare qualcosa. Doveva aiutare quel ragazzo, o sarebbe stata la fine. Poi vide un coltello da caccia per terra. Il giovane doveva averlo perso durante quel corpo a corpo. Artemide una volta le aveva mostrato come usarlo, con grande disappunto di Demetra. Doveva affondare l’arma con un colpo secco, dritto al cuore. Non aveva mai ucciso nessuno, ma quella belva non era di questo mondo... 

Strappò la gonna della veste, perché non le fosse d’impiccio, e si avventò sulla bestia, troppo concentrata sul giovane perché se ne accorgesse. Affondò il coltello con entrambe le mani e spinse con tutte le sue forze. Il cinghiale mollò la presa e urlò per l’ultima volta, prima di diventare cenere. Guardò il giovane cacciatore. Con orrore, vide che la bestia gli aveva squarciato l’inguine. Non poteva fare più niente per salvarlo. Entro pochi istanti, sarebbe morto dissanguato. Poteva solo stare con lui. Gli prese la testa fra le mani. 

-Mi hai salvato la vita. Come ti chiami? 

-Io... sono Adone... 

-Adone... non voglio mentirti... stai per morire... e mi dispiace non poterti salvare. Hai dei parenti, qualcuno che posso avvertire? A cui posso dare un ultimo messaggio? 

Il giovane scosse il capo. 

-Le Naiadi... mi hanno cresciuto. Mia madre... era stata trasformata in una pianta di mirra... hanno dovuto aprire la corteccia per farmi uscire... 

A Persefone si velò lo sguardo. Grosse lacrime sgorgavano dagli occhi. Era la prima volta che assisteva alla morte di una persona. Sentì una mano sulla guancia. 

-Ssshh... non piangere... non rimpiango niente. Le Naiadi sono state buone madri... e non ho mai esagerato con la caccia... ho onorato gli dèi... una mi ha persino dato il suo amore... e il mio ultimo atto è stato quello di salvarti... ma non so chi sei... 

-Persefone – rispose con voce rotta dal pianto – Mi chiamo Persefone. 

Adone sorrise. Era così radioso... 

-La figlia di Demetra... L’Invisibile ne terrà conto... 

I begli occhi di Adone si velarono, e il cacciatore esalò l’ultimo respiro. Persefone ebbe l’impressione di sentire Atropo tagliare il suo filo, mentre avveniva. E in quel momento, si accorse che stava tremando fortissimo, tanto che le battevano i denti e il bosco sembrava traballare a annebbiarsi. Per un istante si chiese se fosse una sensazione simile a quella che provavano gli dèi prima di trasformarsi in qualche animale. Udì anche un suono insensato, un controcanto strano e strappato al canto degli uccelli che sentiva nel bosco. Distratta dal suo tremore, non riusciva a capire da dove venisse. 

Una mantella cremisi venne messa alle sue spalle, e prima che si rendesse conto di cosa stesse succedendo, qualcuno la strinse a sé da dietro. Lo riconobbe dall’odore. L'ultima persona che si aspettava... Sentì la sua voce dire: 

-Se ne è andato. È finita. 

A quel punto capì. Il rumore proveniva da lei. Erano i singhiozzi che le perforavano il petto. Ecco perché tremava. Si voltò verso il dio e poggiò la testa contro il suo petto, abbandonandosi alle lacrime. 

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Capitolo 3
*** Ares ***


Ares

Ares 

Mentre mangiava i chicchi succosi, Persefone pensava alla morte di Adone. Aveva sempre saputo chi fosse il responsabile. In fondo, il cinghiale era il suo animale sacro. Ma non si aspettava che venisse in suo soccorso. Con il senno di poi, aveva capito molte cose. E anche se non era presente in certi momenti della storia, si era immaginata perfettamente come fossero andati i fatti, come se fosse accanto agli altri personaggi... 

*** 

La gelosia era una brutta bestia, e Ares sembrava il suo boccone preferito. Era sempre stato geloso. Geloso di Atena, la cocca di suo padre, che solo perché era nata adulta con l’armatura indosso pensava di arrogarsi il titolo di dea della guerra, il suo dominio. Geloso di Apollo, che aveva tutte le credenziali per succedere al padre scavalcando lui, il primogenito. Geloso persino di Efesto, il suo fratello deforme, perché gli era toccata Afrodite come moglie, come la loro madre aveva stabilito... 

Quel giorno, si era sentito tradito da Era, sua madre che amava con tutto il cuore. E dire che per lei si era preso una cicatrice, quando Efesto l’aveva imprigionata in quel trono, per vendicarsi di averlo gettato dall’Olimpo appena nato, orripilata dal suo aspetto... 

Era andato a farlo ragionare con le migliori intenzioni, poteva giurarlo sullo Stige. Voleva conoscere quel fratello di cui ignorava l’esistenza, il quale, nonostante il suo aspetto, sapeva creare oggetti bellissimi. Era venuto in pace, e disposto ad accoglierlo insieme agli altri dèi. Ma Efesto era diventato diffidente, ed era ancora in collera con Era. Ne nacque una violenta discussione, durante la quale insultò la regina. E Ares vide rosso. Voleva infilzarlo con la sua lancia, ma suo fratello era il dio del fuoco. Un tizzone lo colpì all’occhio destro, lasciando una cicatrice perenne. 

Si ritirò, per tornare in compagnia. Con l’ultimo arrivo sull’Olimpo, l’ennesimo figlio illegittimo di suo padre, un giovane di nome Dioniso. Aveva inventato il vino, una bevanda inebriante, ma dagli effetti devastanti se si eccedeva. Ad essere sinceri, era stato il ragazzo a farsi avanti per parlare con Efesto, ma Ares aveva voluto andare con lui. Se fosse cascata un’altra pioggia di tizzoni, sarebbe stato meglio che ci fosse lui a proteggerlo. Per fortuna, il fabbro era curioso di assaggiare la bevanda a lui sconosciuta. Dopo due coppe, si era arrivati a più miti consigli, e la regina venne liberata. 

Quando fu scoperta la tresca fra lui ed Afrodite, erano diventati lo zimbello dell’Olimpo. Solo Poseidone, forse l’unica persona che lo comprendeva fino ad un certo punto, non lo aveva preso in giro. E ovviamente, neppure Era. Ma quando lei gli chiese perché, lui le aveva risposto con parole crudeli, perché vere: 

-Perché non l’hai data a me, madre? Io ti ho sempre voluto bene, sono sempre stato al tuo fianco quando mio padre ti umiliava, ti ho appoggiato in ogni tua decisione, ti ho difesa in ogni situazione, anche quando sei stata appesa alla volta celeste! C'era anch’io, insieme ad Efesto, a cercare di liberarti, lo sai? Ma sono passato sempre in secondo piano, anche davanti ai tuoi occhi! A nessuno importa di quanto soffro! Ma almeno, ora ho dimostrato che Afrodite sarebbe stata molto meglio con me! 

Fu forse in quel momento che Era si rese conto che erano stati ingiusti con Ares. Era scoppiata a piangere, e lui l’aveva abbracciata, accarezzandole i ricci scuri della sua chioma, dimostrandole che, nonostante tutto, lui sarebbe stato sempre al suo fianco... 

Ora era di nuovo geloso, di Afrodite. Dell'amore che dispensava agli altri, e che lui voleva per sé. E questa volta, lo aveva tradito per un mortale. Un cacciatore di nome Adone. E non era una delle sue solite scappatelle. Doveva ammetterlo, questa volta si era impegnata, nel corteggiarlo. Si era cimentata nell’arte venatoria, pur di farsi apprezzare dal giovane, il quale non era indifferente. Come si poteva esserlo, davanti alla dea dell’amore e della bellezza? 

A furia di stargli dietro, però, stava dimenticando i suoi doveri, disertando i santuari a lei dedicati. E Zeus era dovuto intervenire, per richiamarla all’ordine. E così dovette tornare alle sue mansioni, a capo chino, lasciando Adone da solo. Ma Ares sapeva che era solo questione di tempo, prima che la sua amata tornasse alla carica, con quel miserabile. Magari sarebbe riuscita a ottenere da Zeus, incapace di negarle alcunché, di renderlo immortale e dargli una carica sull’Olimpo. Ne era capace, lo sapeva. E non poteva tollerare un altro affronto... 

Quell'insulso mortale doveva morire. Poteva sopportare di dividerla con Efesto, ma non con un altro. Fu con la sua collera che generò una fiera che il cacciatore sapeva come affrontare, ma che non avrebbe potuto sconfiggere. Un cinghiale, animale a lui sacro, con il pelo nero come la sua ira e gli occhi di fuoco come i propri. 

-Uccidilo – gli aveva detto, impassibile. 

E poi, aveva abbassato lo sguardo, pronto a godersi lo spettacolo... 

E vide, con orrore, Persefone, la parente a lui più cara dopo sua madre, appartata proprio nel boschetto dove Adone era andato a caccia. E il cinghiale stava andando proprio nella sua direzione. Eccolo, il risultato della sua gelosia! Una giovane innocente rischiava di essere un danno collaterale, e solo per colpa sua! Perché cascava sempre in quell’errore? Perché il Fato si faceva beffe di lui in quel modo? 

Doveva limitare i danni, in un modo o nell’altro. Non poteva più richiamare la bestia, creata con la sua rabbia fuori controllo, ma forse poteva ancora salvare Persefone. Uscì dal palazzo, prese il suo cocchio e cominciò a correre... 

Mentre si stava recando al galoppo verso il boschetto, non poté fare a meno di pensare alle circostanze della nascita della sua sorellastra/cugina. Essere re e padre di tutti gli dèi, poteva far pensare a Zeus di potersi concedere tutto, ma quella volta aveva passato il segno. Era una festa come tante, all’aperto, per festeggiare il raccolto, e avevano tutti alzato il gomito. Ares non si ricordava di quando si fosse addormentato, ma si ricordava benissimo cosa lo avesse svegliato nel cuore della notte. Le grida di aiuto di Demetra. 

Si era alzato di scatto, ed era corso verso la fonte delle grida. Un uomo era sopra la sua amata zia, e la stava violentando. Gli si era lanciato addosso, togliendoglielo di dosso, e assestandogli un bel pugno sulla mascella... per poi rendersi conto di aver levato la mano contro suo padre Zeus. Era stata l’unica volta. E il re degli dèi gli avrebbe restituito la cortesia con gli interessi, se non avesse visto la rabbia e il disgusto dipinti sul viso di Ares. E, in seguito, su quello degli altri dèi. 

Gli ci era voluto un po', a Zeus, per riconquistarsi la fiducia degli altri. La situazione era talmente grave che, una volta tanto, Era si era schierata con la vittima dello stupro. E insieme a Estia, si era presa cura di Demetra, assistendola al parto. Era nata una bambina, nel cuore della notte. Una bellissima bambina. Tanto bella che Zeus, prendendola in braccio (era pur sempre suo padre) la chiamò Persefone, “la portatrice di luce”. 

Per Demetra, era Kore, “la vergine”, “la bambina”. Ultimamente, però, Ares aveva notato che la sorellina stava diventando sempre più insofferente a quell’appellativo. Insofferenza che non era passata inosservata a Zeus. E all’ultimo concilio, quando Demetra, terrorizzata che qualcuno potesse farle del male, aveva chiesto di consacrare la figlia come vergine, il padre degli dèi aveva risposto così: 

-Ci sono già tre dee vergini, Demetra. Sono più che abbastanza. Vedrai che Persefone troverà un marito degno di lei. 

La zia era furiosa, per non essere stata accontentata. Ares aveva ridacchiato in silenzio. In fondo, quando l’aveva presa in braccio la prima volta, aveva sussurrato questa benedizione: 

-Troverai uno sposo che non ti farà soffrire come mio padre ha fatto con mia madre... e con la tua. E ti saprai far rispettare. 

Demetra non l’aveva mai saputo, altrimenti... Per certe cose, aveva proprio un brutto carattere. Faceva i capricci come una bambina. Vedendo la scena, nessuno avrebbe creduto che fosse solo la secondogenita di Crono e Rea. Persefone era molto più matura, al riguardo. Quando rimproverava qualcuno, era sempre molto pacata, e il suo sguardo di disapprovazione era molto peggio di un urlo o di uno schiaffo. Non lo aveva scordato, quando era stata scoperta la tresca con Afrodite. Erano stati crudeli con Efesto e lei lo aveva fatto notare, solo con i suoi occhi...  

E ora, sempre a causa del suo amore per Afrodite, Persefone rischiava di essere vittima della propria collera incontrollata. Guidò il cocchio come un pazzo verso il boschetto e si fermò verso il suo limitare, lontano dal corteo di Demetra. Si inoltrò negli alberi, seguendo le tracce della sua creatura, fino a che non li trovò. Persefone era in ginocchio, la gonna del suo chitone strappata all’altezza delle ginocchia, Adone morto, la testa in grembo alla sorellina, una pozza di sangue attorno a loro. Dalla posizione del coltello, Ares comprese che era stata lei a uccidere il cinghiale. Ebbe un moto di orgoglio verso di lei. 

Poi vide che tremava. Pensando che avesse freddo, si era tolto la mantella cremisi e gliel’aveva messa sulle spalle. E sempre pensando che non si fosse resa conto di tenere un cadavere, l’aveva abbracciata e le aveva detto, nel tono più gentile di cui era capace: 

-Se n’è andato. È finita. 

Lei si voltò. E Ares si rese conto che stava tremando non per il freddo, bensì per i singhiozzi. Appoggiò la testa contro il suo petto rivestito di un’armatura dorata e iniziò a piangere a dirotto. La aiutò a rialzarsi e le accarezzò i lunghi capelli, rossi come i petali di una rosa scura, cercando di calmarla. Si sentiva un mostro, sapeva di esserlo... 

Abbassò lo sguardo verso il suo rivale. Era morto sorridendo. E ora, dal suo sangue stavano sbocciando dei fiori, mai visti, bianchi, rossi, rosa, lilla, blu... Persefone non voleva venisse dimenticato. La loro vista scaldò il cuore al dio della guerra. 

-Sono bellissimi. Hai deciso il nome? 

Lei lo guardò. 

-Anemoni, “i figli del vento”, perché è arrivato veloce come Zefiro... 

Venne interrotta da un rumore dai cespugli. Dopo un po’, uscì Euribea, la ninfa più anziana al servizio di Demetra. Si prese un bello spavento. Ares non poté darle torto. Vedere la bambina di Demetra tra le braccia del dio della guerra, alto due metri, fisico possente, pelle ambrata, una criniera di capelli color fiamma, occhi rossi come fuoco, una cicatrice su uno dei suddetti occhi... 

-Che cosa è successo? 

Ares rispose, insolitamente calmo. 

-Un cinghiale ha aggredito Persefone. Questo povero giovane è morto cercando di salvarla. Sono arrivato che era già tutto finito, non ho potuto fare niente. Comunque, è stata Persefone a uccidere il cinghiale. 

 Euribea sgranò gli occhi. Senza dire altro, Ares prese in braccio la sorellina e si avviò verso il cocchio. La ninfa gli andò dietro. 

-Signore, dove la porti? 

-La porto da Apollo. Voglio che le dia un’occhiata. 

-E la riporti a casa, dopo? 

Ares si voltò, sorridendo. 

-Perché? Il concilio è fra una settimana. Può rimanere con noi, e tornare a casa alla fine. Sono sicuro che mia madre non avrà niente in contrario, ad ospitarla. E neppure la sua. Ci vediamo, Euribea. 

Il viso nascosto, Persefone sorrideva. Senza volerlo, Ares la stava portando proprio dove voleva. Con un po' di fortuna, avrebbe risolto il suo dilemma senza che sua madre lo venisse a sapere... 

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