My sweet little cupcake

di Amiba
(/viewuser.php?uid=1182662)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 0 - Prologo ***
Capitolo 2: *** 1 - The Memory Remains ***
Capitolo 3: *** 2 - Quella sera di quarantotto anni fa ***
Capitolo 4: *** 3 - Salvataggio ***
Capitolo 5: *** 4 - La fiera ***
Capitolo 6: *** 5 - L'uomo con la maschera di giada ***
Capitolo 7: *** 6 - Fra piante di vaniglia e strane sensazioni ***
Capitolo 8: *** 7 - Salvatore diabolico (parte prima) ***
Capitolo 9: *** 8 - Mio piccolo dolce Cupcake ***
Capitolo 10: *** 9 - Salvatore diabolico (parte seconda) ***
Capitolo 11: *** 10 - La prova di Indra ***
Capitolo 12: *** 11 - Ombre all'orizzonte ***
Capitolo 13: *** 12 - Paura ***



Capitolo 1
*** 0 - Prologo ***


Era una giornata meravigliosa, il vento regalava, soffiando leggero, una brezza più che piacevole e i raggi del sole filtravano dalla piccola finestra della stanza dell’infermeria, rallegrandola e donandole una piacevole temperatura primaverile, ma questo, se possibile, non faceva altro che peggiorare il già nero umore di Big Mom. Era stata brutalmente umiliata da due mocciosi e, come se non bastasse, oltre ad essere viva e al sicuro sulla sua isola solamente perché i suoi figli erano riusciti a salvarla in extremis, sarebbe stata costretta a letto per settimane per guarire dalle ferite e dalle ustioni subite. Senza contare la perdita del titolo di imperatrice.
-Ah! Questa sì che è una vista che non mi sarei mai aspettato di trovarmi davanti. La grande Charlotte Linlin fasciata come una mummia su un letto d’ospedale. - Soffiò divertita una voce poco distante dal letto, facendo girare infuriata l’ex imperatrice, che l’avrebbe riconosciuta fra mille.
-Tu, come osi farti vedere dopo tutto questo tempo, come ti permetti di prenderti gioco di me?!-Era furiosa, furiosa come poche volte lo era stata nella sua lunga vita, furiosa per la sconfitta, furiosa per le ferite, furiosa per la perdita del titolo d’imperatrice, furiosa per l’affronto che stava subendo, ma sopra ogni cosa, era furiosa perché nonostante la sua ira incutesse timore persino nel cuore del più coraggioso dei pirati quel maledetto se ne stava lì, seduto poco distante dal suo letto, con le braccia appoggiate insieme al mento sullo schienale della sedia a fissarla con quel suo odioso sorriso, lo stesso maledetto sorriso di quarantotto anni prima.
-Uh? Eh dai non essere sempre così permalosa Linlin! Era solo uno scherzo, lo sai che son contento che tu te la sia cavata, anche se non avevo troppi dubbi a riguardo, sei sempre stata un osso duro, da quando ti conosco non ti ho mai visto mollare la presa su ciò che desideravi.-
Quella voce, così cordiale e gentile, non faceva altro che far ribollire il sangue della donna ancora di più. Non era cambiato di una virgola, né nell’aspetto né nel carattere, sembrava essersi congelato nel tempo.
E lei lo odiava, lo odiava con tutto il suo cuore.
-Sappi che strapparti la testa dal collo non mi costa nessuna fatica.-
-Non è certo la prima volta che sento questa minaccia da te, non ha fatto effetto la prima volta e non fa effetto ora.-
-Brutto bastardo io…-
-Ne è passato di tempo eh? Mio dolce piccolo Cupcake.-
Il tempo sembrò congelarsi, quelle maledettissime parole, quanto le odiava, quanto lo odiava, come osava presentarsi davanti a lei dopo tutto quel tempo? Dopo tutti quegli anni? Come si permetteva di prendersi gioco di lei?
-Non osare chiamarmi in quel modo maledetto!-
Tuonò afferrando poi il vaso sul comodino vicino a lei per scagliarglielo contro con tutta la sua forza, non aveva energie per fare altro, ma sarebbe sicuramente bastato a ucciderlo una volta per tutte.
Il trambusto generato dall’impatto, che fu considerevole, attirò Oven nella stanza, il quale si precipitò dentro di fretta e furia ad assicurarsi che nessuno stesse cercando di attentare alla vita della madre approfittando della situazione in cui la donna versava, ma quando spalancò la porta, la trovò sola, ansimante e col braccio ancora teso verso la sedia ormai distrutta.
-Mama, che succede?-
La voce del suo quartogenito riportò Big Mom alla realtà, mostrandole la stanza come era sempre stata: vuota.
-Nulla, Oven, ma ho fame, fammi portare dei dolci immediatamente.-
Il quartogenito non ebbe difficoltà a credere alle bugie della madre, d’altronde non era certo una rarità che avesse attacchi d’ira dovuti alla fame, erano solo stati fortunati che in quel caso fosse riuscita a controllarsi.
-Certo mama, ti farò portare immediatamente del cibo.-  
-E Oven, mi raccomando, niente cupcakes.-
 
 
 
----------------------------------------------------------------------------
 
 
L’ennesima nave era attraccata al porto di Whole Cake Island e Cracker e Katakuri erano stati costretti a svolgere l’ennesimo controllo di ogni singolo passeggiero che era sceso dall’imbarcazione. L’enorme smacco della perdita di potere della loro madre aveva infilato nella testa di decisamente troppi pirati, o troppo audaci, o troppo stupidi, l’dea di poterle portar via pure il territorio e di conseguenza i ritmi di guardia dovevano essere serrati ai vari porti delle isole così da poter fermare qualsiasi problema sul nascere.
-Guarda te che palle! In questo momento potrei essere a casa mia, nel mio letto, in compagnia di qualche bella ragazza e invece sono qui al porto!- protestò il minore grattandosi la nuca irritato, Katakuri roteò gli occhi esasperato, erano giorni che si sorbiva le lamentele del fratello che contribuivano a rendere quel noioso compito ancora più fastidioso da svolgere.
-Falla finita di lamentarti Cracker.- Lo rimproverò conscio dell’inutilità delle sue parole.
-Non dirmi che non preferiresti fare altro fratellone perché non ci credo, potresti essere a casa tua ad abbuffarti di donuts in questo momento!-
-Abbiamo un lavoro da fare, comportarti in modo adulto per una volta, non è una bella situazione quella in cui ci troviamo.-
Il discorso dei due fratelli venne interrotto dall’ultimo uomo sceso dalla nave, il quale si avvicinò a loro con passo tranquillo.
-Nome e motivo della visita prego.- borbottò in modo annoiato Cracker, mentre il secondogenito di Big Mom studiava l’interlocutore decisamente incuriosito. Aveva un aspetto terribilmente familiare: A giudicare da un primo sguardo doveva avere più o meno l’età di Cracker, era alto circa tre metri, forse qualcosa di più, il fisico era robusto e ben definito, aveva sottili occhi azzurri e un naso aquilino, i capelli lunghi e rosa confetto cadevano ondulati fino alle spalle, nessun tatuaggio, nessuna cicatrice, nessun segno particolare, anche gli abiti erano quelli di una persona comune, quell’uomo non era né un pirata, né un commerciante, almeno non uno di quelli che di solito attraccavano su quell’isola, di questo Katakuri ne era più che sicuro. Fu però ciò che vide col Kenbunshoku Haki a lasciarlo senza parole e a paralizzarlo sul posto.
-Mi faccio chiamare Jonathan Tew da quando sono nato, ma il mio vero nome è Cupcake, Charlotte Cupcake, sono vostro fratello e son qui perché ho bisogno del vostro aiuto.-  
-Non ti aspetti certamente che io possa credere a una simile stronzata vero? Perché sei qui?! Rispondi oppure…- Le parole di Cracker vennero interrotte dallo stesso Cupcake che dalla giacca estrasse una foto e la porse ai due interlocutori.
Non c’erano assolutamente dubbi, quella era mama da giovane, sdraiata su un letto con un bambino in braccio, un bambino che nessuno di loro due aveva mai visto, al suo fianco c’era un uomo dai capelli corvini, che le teneva una mano sulla spalla sorridendole dolcemente, ma la cosa che più lasciò senza parole i due fratelli Charlotte, era che la loro madre sembrava ricambiare quello sguardo.
A quanto pare il desiderio di Cracker di rendere interessante la giornata era appena stato esaudito.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autore: Dunque dopo secoli di assenza, causa vacanze e pc rotto, FINALMENTE posso tornare a scrivere e ho deciso di ricominciare proprio con questa long che mi frullava in testa da parecchio tempo, imbarcandomi in una sfida verso me stesso che spero vivamente di riuscire a portare a termine XD
Nel frattempo continuerò anche la raccolta su Cracker e sicuramente non abbandonerò la coppia Stella/Tesoro (ho ancora troppo da scrivere su di loro).
Alla prossima!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 1 - The Memory Remains ***


-The Memory Remains-
 
 
 
- Scusa puoi ripetere tutto un’altra volta? È una situazione talmente assurda che credo non mi entrerà in testa neanche la centesima volta che ne sentirò parlare. -
Sospirò Smoothie andandosi a massaggiare le tempie con le dita. Dopo il loro incontro al porto Cracker e Katakuri avevano radunato i loro fratelli più influenti all’interno della famiglia per discutere il da farsi prima di parlarne con mama e come sospettato, la notizia aveva scosso decisamente gli animi di tutti i presenti.
Katakuri, appoggiato a braccia incrociate contro la parete poco distante dalla sorella, chiuse gli occhi e emise un grosso sospiro.
- A quanto pare l’uomo arrivato oggi al porto è un nostro fratello che mama ha avuto quarantaquattro anni fa e che per qualche ragione non ha portato qui con sé a Tottoland. Il suo nome è Cupcake, o meglio, il suo vero nome è Cupcake, ma si fa chiamare da sempre Jonathan Tew ed è un pasticcere. È venuto qui perché ha bisogno del nostro aiuto per salvare sua sorella che è stata rapita da un gruppo di pirati, sostiene di essere disposto a pagare qualsiasi prezzo. - 
- Un’altra sorella?! - scattò in piedi Oven.
- No, è la figlia della madre adottiva, la donna che lo ha cresciuto, lei non è legata in alcun modo a noi. Almeno, questo è quello che ha detto lui. -
Puntualizzò Cracker, svaccato su una poltrona poco distante.
- Sono tutte stronzate! – tuonò Daifuku andando a sbattere il palmo della mano contro il tavolo attorno al quale si erano radunati, facendo volar a terra la foto che Cupcake aveva consegnato loro come prova. -Non ha senso nulla di tutto questo! nulla! Io dico che quello è solo l’ennesimo pirata che cerca di infiltrarsi qui a Tottoland per cercar di far fuori mama e rovinare ancora di più la nostra reputazione! Dovremmo semplicemente ucciderlo e chiudere il discorso! -
Era furioso, quella situazione gli faceva ribollire il sangue dalla rabbia, non solo sembrava che alcuni dei suoi fratelli credessero veramente a quella marea di cazzate, ma la cosa peggiore era che il dubbio a guardare quella foto si era insinuato anche nella sua mente e lo sguardo che la loro madre rivolgeva a quell’uomo, gli provocava un indicibile impeto d’invidia e d’odio.
Mama aveva sempre abbandonato se non fatto uccidere i propri compagni, nessuno di loro aveva mai conosciuto il padre, nessuno di loro era mai nato da un’effettiva storia d’amore e nessuno di loro ne aveva mai ricevuto da lei, eppure, quello sembrava il perfetto quadretto di una famiglia felice; e Daifuku non poteva sopportarlo, non poteva reggere l’idea che l’uomo che stesse attendendo nella sala da tè poco distante da loro fosse nato da un amore. Quella non poteva essere mama, lei non aveva mai avuto quegli occhi, per nessuno dei suoi figli, figuriamoci per un marito, doveva essere tutta una menzogna, per forza.
- Cerchiamo di restare calmi, perorin. - Perospero andò a raccogliere la foto per osservarla meglio - È per certo una foto vecchia e non sembra contraffatta, credo che dovremmo parlarne con mama immediatamente. -   
- Mama non dirà mai la verità. – commentò piatto Cracker - Ma agire senza dirle nulla non la ritengo un’idea geniale, tuttavia se vogliamo arrivare in fondo a questa situazione è anche l’unica temo. -   
Oven alzò un sopracciglio – Stai seriamente suggerendo di agire senza dire nulla a mama? Hai intenzioni suicide Cracker? Inoltre resta lei il nostro capitano, è fuori discussione. - 
- Non ho detto questo, ho detto che se vogliamo arrivare in fondo alla questione quello è l’unico modo che mi viene in mente, a meno che tu non creda che mama decida improvvisamente di essere completamente onesta e ci riveli tutto di qualcosa che a quanto pare ci ha tenuto nascosto per quarantaquattro anni. -  
- Quale avete detto che è il nome che usa? - chiese Amande, che fino a quel momento era rimasta in silenzio ad ascoltare ciò che i suoi fratelli dicevano.
- Jonathan Tew - ripeté Cracker.
- Mh, il nome Tew non mi è nuovo, l’ho già sentito da qualche parte ma, non riesco a ricordare dove in questo momento. - 
- Comunque sia – si schiarì la voce Compote - Dobbiamo prendere una decisione e anche in fretta, prima che mama lo scopra da sé, o saranno guai. –
 
 
 
----------------------------------------------------------------  
 
 
 
Era da più di due ore che aspettava seduto in quella maledetta stanza da tè, dalla quale non sentiva altro che dei leggeri borbottii di quello che doveva essere un discorso parecchio ampio di cui lui era il fulcro principale. Quando aveva scoperto che la sua vera madre era niente meno che Charlotte Linlin, Big Mom l’imperatrice pirata in persona, Jonathan, o meglio Cupcake, aveva solo vent’anni. Era stata sua madre adottiva a parlargliene; Jonathan, ne rimase estremamente sorpreso, non tanto di essere stato adottato, quello lo sapeva, non ci voleva un genio per capirlo, era completamente diverso dai suoi genitori: suo padre era un uomo robusto sì, ma non alto più di un metro e settanta, dalla carnagione olivastra e corti capelli blu, mentre sua madre era una donnina esile, bionda con una pelle leggermente ambrata e dai bellissimi occhi verdi.
Era stato dunque ovvio per lui, fin da quando era diventato abbastanza grande per capire, che quelli non erano i suoi genitori naturali, ma non gli era mai importato nulla e aveva sempre amato la sua famiglia adottiva come se fosse stato il sangue a legarli. Lo scoprire però che nelle sue vene scorresse proprio il sangue di Big Mom fu uno shock notevole. Non portava alcun rancore per i pirati, in loro non vedeva il male assoluto, come non vedeva la giustizia assoluta nella marina, aveva imparato, durante la sua vita a giudicare le persone in base alle loro azioni e non a ciò che la gente diceva di loro, c’erano pirati eroi e marine corrotti, marine eroi e pirati marci fino al midollo. Ecco, nelle sue vene scorreva in parte il sangue di una delle piratesse più abbiette che avessero mai calcato i mari, l’altra metà era di suo padre, di cui aveva solo una foto e quando aveva chiesto più informazioni a riguardo il viso di sua madre si era fatto più cupo, sciogliendosi in un sorriso amaro. Non gli aveva detto altro se non che suo padre lo aveva amato con ogni fibra del suo essere e che per lui aveva dato tutto ciò che aveva. Cupcake non aveva indagato oltre sul suo passato, finché non si era trovato costretto dal rapimento della sua sorellina minore. Provava un enorme disprezzo per la sua madre naturale, come per quelli che, sulla carta, erano suoi fratelli, sapeva delle loro azioni e gli davano il voltastomaco, ma sapeva anche quanto valutassero l’importanza della famiglia e dei legami di sangue e sua madre gli aveva detto che per quanto avesse sempre odiato Big Mom, era convinta che l’imperatrice lo avrebbe aiutato, quindi, nonostante sapesse molto bene che poteva costargli la vita aveva deciso di partire per Tottoisland per chiedere il loro aiuto per salvare la sua sorellina. Quando era nata, venticinque anni fa, aveva giurato che avrebbe fatto di tutto per proteggerla e aveva tutta l’intenzione di mantenere la parola data. Qualsiasi fosse il prezzo da pagare.
- Maledizione! - tuonò sbattendo il pugno sul tavolo - ad aspettare qui non concluderò nulla ed ogni minuto è prezioso. – si alzò di scatto e a grandi falciate si diresse verso la porta della stanza.
Se non si volevano decidere da soli li avrebbe aiutati lui, era infondo una domanda semplice la sua, dovevano solo dirgli se gli avrebbero dato il loro aiuto o no, fine. In caso di risposta negativa avrebbe cercato altrove e in caso avesse fallito pure li avrebbe corso il rischio e avrebbe affrontato quei pirati da solo, suo nonno materno gli aveva insegnato un po' a combattere, non era diventato certo forte quanto lo era lui, ma era abbastanza convinto di essere abbastanza forte da riuscire a permettere a sua sorella di fuggire, un po’ meno sicuro di riuscire ad uscirne vivo.
Più si avvicinava alla porta della stanza dove i fratelli Charlotte stavano discutendo, più sentiva chiaramente le loro voci.
Katakuri che nel frattempo era rimasto zitto ad ascoltare i suoi fratelli, grazie al suo Kenbunshoku Haki, riuscì a prevenire gli avvenimenti successivi e si spostò di conseguenza vicino a Daifuko per poggiargli una mano sul petto e bloccarlo dal fare qualsiasi scatto, puntando poi gli occhi verso la porta della stanza la quale dopo poco si aprì.
- Non ho più intenzione di perdere tempo. – sentenziò Cupcake, incrociando le braccia al petto – Se voi non siete in grado di decidere parlerò io con Big Mom in persona, ma ogni secondo che passa è prezioso! Sono venuto qui da voi perché so quanto valore date alla famiglia e credetemi non è una cosa che mi ha fatto piacere dover venire qui. Quindi, visto che voi non sembrate in grado di decidere, fatemi parlare a me con Big Mom. -      
Nella stanza calò un silenzio tombale, persino Daifuku, che se non fosse stato per Katakuri, appena Cupcake aveva messo piede nella stanza gli sarebbe saltato alla gola si era pietrificato.  Cracker alzò entrambe le sopracciglia per poi scoppiare a ridere in modo sguaiato.
- Amico, tu hai le palle più dure dei miei biscotti te lo concedo. - si asciugò una lacrima con l’indice – oppure sei completamente pazzo e questo renderebbe più credibile il fatto che tu faccia parte di questa famiglia. – ridacchiò – ma se hai intenti suicidi – continuò poi gettando uno sguardo di assenso verso Katakuri – penso di poterti aiutare. Vuoi parlare direttamente con mama? E va bene, voglio concedertelo, ma non sorprenderti quando ti farà fuori. -         
Infondo perché non accontentarlo, quello era l modo migliore per chiudere definitivamente quella storia, mama lo avrebbe fatto fuori e il discorso si sarebbe chiuso lì, anche se, un po' Cracker era curioso di scoprirne di più, anzi, mortalmente curioso, come lo erano anche gli altri suoi fratelli, anche se non lo davano a vedere.
 
 
 
----------------------------------------------------------------  
 
 
 
La vena sulla fronte dell’imperatrice pulsava di rabbia e il volto era contorto in un ringhio furente. Come Oven aveva lasciato la stanza dopo avergli portato i dolci quel maledetto era ricomparso poco distante da lei, esattamente come una mosca fastidiosa e ora se ne stava sdraiato sul cuscino del suo letto, che per l’uomo, viste le dimensioni di Linlin, poteva tranquillamente funzionare da giaciglio.
- Great Father! - esclamò convinto schioccando le dita, ricevendo un’occhiata fulminante da Big Mom, la cui irritazione stava ormai raggiungendo i massimi livelli. La stava provocando di proposito, proprio come faceva una volta, quando passavano del tempo insieme e lui si divertiva a prenderla in giro, senza ricevere mai nulla di più che uno sguardo irritato, quando lei aveva commesso il tragico errore di far cadere quel muro che aveva costruito con tanta dedizione attorno al suo cuore. Erano dieci minuti buoni che si inventava nomi idioti che avrebbero dovuto attribuirgli se avesse mai regnato al suo fianco su Tottoland e uno era peggio e più fastidioso dell’altro, l’imperatrice aveva persino smesso di cercare di colpirlo, tanto ogni colpo andava a vuoto, il maledetto spariva e riappariva ogni volta.
- Non ti piace eh? – si grattò il mento pensieroso prima di battere le mani e mettersi seduto - Big Daddy! - questa volta Big Mom alzò un sopracciglio e lo fissò interdetta – No lascia stare, messaggio ricevuto, sembra effettivamente un nome da pappone -.
- Cosa diavolo vuoi Jonathan? – Sibilò Linlin fissandolo dritto negli occhi.
- Ti ho fatto una promessa ricordi? – quella risposta, assieme al sorriso che la accompagnava, fecero infuriare ancora di più l’imperatrice, ora completamente livida di rabbia.
- Sei venuto meno a quella promessa molti anni fa Jonathan! Non avresti mai dovuto osare presentarti qui al mio cospetto! – tuonò furiosa.
- Sai che non è vero. – rispose semplicemente lui – sono qui perché ora più che mai hai bisogno di me Linlin e… - Il parlare dell’uomo venne interrotte da un bussare alla porta decisamente poco educato.
- Mama sono Cracker posso entrare? – La donna puntò lo sguardo verso la porta della stanza e poi nuovamente verso Jonathan, che ora non c’era più.
- Entra pure Cracker. – l’imperatrice scosse per un attimo il capo, doveva star impazzendo, non c’era altra spiegazione nel vedere Jonathan. I morti non tornano indietro.
Il decimo figlio entrò nella stanza con un’aria confusa sul volto, aveva chiaramente sentito sua madre parlare con qualcuno, ma non aveva sentito nessun’altra voce nella stanza.
- Tutto bene mama? Sentivo che parlavi con qualcuno, ma… –
- Assolutamente sì e non stavo parlando con nessuno Cracker. È solo per questa scemenza che sei venuto a disturbare il mio riposo? –
Il comandante sweet decise di non indagare oltre su quelle bugie, visto il pessimo umore della madre era decisamente meglio non stuzzicarla. Il problema era che non riusciva a trovare le effettive parole per comunicarle quello che doveva comunicarle. Come diavolo avrebbe fatto a dirle che un uomo che si definiva suo figlio era venuto li per chiedere il suo aiuto e pretendeva di parlare con lei? Sia che Cupcake dicesse o meno il vero rischiava le ire di sua madre: in un caso per aver potato davanti a lei un figlio di cui, avendolo abbandonato, probabilmente non aveva alcuna intenzione di sentir parlare, nell’altro per aver portato davanti a lei un eventuale attentatore.
- Assolutamente no mama, vedi c’è…- le parole di Cracker vennero interrotte dallo stesso Cupcake, che senza tanti complimenti, gli passò davanti per parlare di persona con Big Mom.
- Charlotte Linlin, sono tuo figlio, Cupcake, sono qui perché ho bisogno dell’aiuto della tua ciurma, o quantomeno di alcuni di loro. –
Il cuore della donna perse un battito. Cupcake era la fotocopia di suo padre Jonathan, l’unica differenza erano i capelli, che erano del medesimo colore di quelli di lei e l’altezza. Era come se tutti gli spettri di quella parte del suo passato che sperava di aver recluso per sempre dentro di sé stessero facendo capolino alla sua porta.
Cupcake lo aveva abbandonato per un motivo preciso: non sarebbe mai riuscita ad avere in ciurma il figlio di quel maledetto bastardo, non sarebbe mai riuscita a convivere con quel ricordo, inoltre era sicura che avrebbe ereditato il suo disgustoso altruismo rendendolo un membro dell’equipaggio totalmente inutile. Abbandonandolo era sicura di aver cancellato i suoi errori e invece non solo a quanto pare vedeva lo spettro di Jonathan o Jonathan stesso era tornato dalla tomba, ma ora davanti a lei c’era persino loro figlio.
- Cracker. – sentenziò atona – lasciaci soli. – Il decimo figlio, che era rimasto fermo come una statua di sale tutto il tempo obbedì senza fiatare, ringraziando gli dei di non aver dovuto rinunciare a nessun anno di vita per il momento.
Quando l’uomo fu fuori dalla stanza la donna rivolse la parola a Cupcake.
- Parla Cupcake, cosa vuoi, vedi di non sprecare il mio tempo per scemenze. – Era inutile nascondere la verità era perfettamente sicura che avesse ereditato il carattere maledettamente testardo di suo padre e non avrebbe retto in alcun modo la recita e non sarebbe mai stato intimidito da lei, inoltre se lo avesse ucciso Jonathan non le avrebbe mai più dato tregua. Di questo era certa e naturalmente, era l’unico motivo per cui non lo aveva ancora fatto.
- Mia sorella è stata rapita da un gruppo di pirati, ho bisogno del vostro aiuto per salvarla. Immagino che per una ciurma potente come la vostre non ci vorrà più di mezza giornata. Sono disposto a pagare qualsiasi… -
- Tutto qui? – lo interruppe. Sarebbe stato veramente così facile sbarazzarsi di quel fastidio? Avrebbe veramente potuto tornare a dimenticarsi di tutto in così poco tempo? – Eh va bene, come compenso pretendo che tu non utilizzi mai più il né il nome Cupcake, né il nome degli Charlotte. Saranno Katakuri, Cracker e Perospero ad accompagnarti. –
- Perfetto e non temere per il nome, non l’ho comunque mai usato, il mio nome da quando son nato è Jonathan Tew. Non Cupcake. –
Tew…certo, era ovvio che l’avesse cresciuto quella maledetta stronza e ora un suo figlio portava il cognome di una delle donne che più aveva odiato in vita sua e come se non bastasse gli aveva cambiato il nome proprio in Jonathan, ma era un compromesso che doveva accettare, se voleva liberarsi del suo passato una volta per tutte.
- Molto bene, ora sparisci dalla mia vista, comunicherò immediatamente ai tuoi fratelli i miei ordini e partirete subito. Aspettali nella sala principale del castello. –
Cupcake non aggiunse nulla, si limitò ad annuire e uscì dalla porta della stanza, dirigendosi dove avrebbe dovuto incontrare i fratelli.
-Certo che il nostro bambino è cresciuto proprio bene eh? – a sentire nuovamente quella voce Big Mom digrignò i denti. – Lo sapevo che in te c’era ancora qualcosa della donna di cui mi ero perdutamente innamorato. –
- Non farti illusioni maledetto bastardo, l’ho aiutato solo per potermi sbarazzare di entrambi voi e seppellire così per sempre il mio passato. – ringhiò – sei tornato per questo no? –
- No Linlin, è solo una fortunata coincidenza che nostro figlio abbia bisogno del tuo aiuto, te l’ho detto, son qui perché ora più che mai hai bisogno di me e ti ho fatto una promessa. Mio piccolo dolce Cupcake. – Jonathan sfiorò poi la guancia dell’imperatrice con il dorso della mano e a lei parve fin troppo reale.
Venne invasa da un turbinio di emozioni che faticava a comprendere, nulla di tutto quello poteva essere vero, i morti non tornavano dalla tomba e lui non poteva essere ancora vivo…e ancora esattamente uguale a quarantaquattro anni fa, quando lo aveva visto morire. Quando l’aveva abbandonata nonostante le promesse fatte.
- Non mi toccare! – tuonò furiosa sferrando un pugno, che però andò a impattare contro al muro, provocando un grosso buco in esso.
La stanza era di nuovo vuota.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo autore: Dunque! Eccoci al primo effettivo capitolo di questa long! Che spero riesca a incuriosirvi e a piacervi! Inizialmente quando avevo pensato di scrivere una long-fic su questo fandom pensavo di puntare su una fic molto demenziale e invece sono finito qui XD Però devo dire che sono felice di aver preso questa strada è una sfida personale che son contento di aver iniziato!
Voglio ringraziare di tutto cuore Fenris, Giuly_2_21 e Yumi_san per le belle parole spese per il mio lavoro nel prologo.
Un ringraziamento anche a tutti voi lettori silenziosi, spero che la storia continui a piacervi!
Alla prossima!
 
 
-Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 2 - Quella sera di quarantotto anni fa ***


Piccola nota prima di iniziare: basandomi su flashback in cui vediamo un Barbabianca giovane di dimensioni decisamente più umane ho deciso di rendere la giovane Big Mom alta tre metri e mezzo a dispetto della sua versione “presente” che invece rispecchia le dimensioni canoniche.
Inoltre, la sua descrizione l’ho basata sulle illustrazioni che Oda stesso ha fatto.
Buna lettura!
 
 
 
 
 
- Quella sera di quarantotto anni fa -
 
 
 
Era mattina presto, il sole era sorto da poco, ma l’odore di pasta fresca e dolci appena sfornati stava già impregnando l’aria.
Come tutti giorni si era alzato di buon’ora per dirigersi al suo laboratorio e cominciare a cucinare e all’orario di apertura, puntuale come sempre, aveva aperto le porte della sua pasticceria.
Jonathan amava il suo lavoro, era da otto anni che lavorava in quella bottega, da quando suo padre adottivo lo aveva raccolto dalla strada e gli aveva insegnato a cucinare dolci.
 
- Son venuti perfetti! – sentenziò soddisfatto estraendo un vassoio di cupcakes dal forno. Il rumore del campanello alla porta, che segnava l’entrata del primo cliente della giornata, gli fece alzare la testa e distogliere lo sguardo per un’istante dai dolci appena sfornati.
 
- Buon giorno e benvenut... – le parole gli si troncarono in bocca quando notò chi erano i primi clienti della giornata – Oh cielo, sembra che oggi la mia pasticcieria abbia dei clienti importanti eh? –
 
Charlotte Linlin e Edward Newgate erano appena entrati nel locale.
Aveva sentito parlare diverse volte di loro e della loro ciurma, di come fossero i pirati più temibili che il mondo avesse mai visto, di come il loro capitano, Rocks D. Xebec, fosse quanto di più crudele avesse mai solcato i sette mari, ma, agli occhi di Jonathan, i due pirati ora nel suo locale, apparivano come persone normali; dimensioni a parte s’intende.
 
- Benvenuti nella mia pasticceria, cosa posso servirvi? –  Appena i due si erano seduti al tavolo, il ragazzo si era avvicinato per prendere i loro ordini, come d’abitudine.
 
Quando la donna posò lo sguardo su di lui, Jonathan ebbe un leggero sussulto: Linlin nonostante la crudeltà che i racconti le affibbiavano era veramente bellissima: quel viso affusolato e dai tratti delicati, quei setosi e morbidi capelli rosa confetto che lo decoravano, quei bei occhi ambrati e quel fisico pressoché perfetto avrebbero fatto pensare a tutto fuorché a una spietata pirata.
 
- Per me del sakè dolce, più ne avete meglio è. – rispose secco e rapido Edward, degnando Jonathan di appena uno sguardo rapido.
- Per me invece tutti i cupcakes che avete e spera che siano buoni. –
- Oh, beh, non tema, i miei cupcakes sono i migliori di tutti i mari, modestamente non esiste pasticciere migliore del sottoscritto. – sorrise gentilmente Jonathan, dirigendosi poi verso la cucina, per poter portare loro gli ordini.
- Questo lo vedremo. – sibilò la donna.
 
Quando il pasticciere si allontanò la pirata riposò lo sguardo sul suo commensale – Non posso credere che abbiamo fatto tutta questa strada, abbiam navigato fino a questa misera isola dimenticata dagli Dei per nulla! Ha rifiutato di unirsi a noi e la cosa più incredibile è che il capitano ha lasciato correre! –
- Xebec è un uomo che sa bene ciò che vuole e non è assolutamente solito accettare dei no come risposta, se in questo caso ha preferito lasciar correre ed evitare lo scontro, vuol dire che non ne valeva la pena. –
 
Linlin si morse il labbro, da quando si erano formati i pirati di Rocks non avevano avuto un avversario in grado di fermarli, in breve tempo erano diventati la ciurma più potente dei mari, eppure, quel giorno il loro capitano aveva scelto di evitare lo scontro quando l’uomo che erano venuti a cercare aveva rifiutato l’offerta di unirsi a loro.
Quanto doveva essere pericoloso?
 
 
- La mia risposta rimane un no, mi sono ritirato ormai e anche se non lo fossi non mi sarei mai unito alla vostra ciurma. –
 
Era calato un silenzio piuttosto pesante nella stanza della bettola in cui si erano radunati, a Xebec non piacevano i rifiuti, odiava che la sua autorità venisse messa in discussione anche dopo la sua scalata al potere così rapida e detestava non essere temuto.
Sul volto del capitano dei Rocks si stese un sorriso forzato.
 
- Preferisci veramente rimanere su questa misera isola a marcire? –
- Come ti ho detto mi sono ritirato, voglio finire la mia vita in pace e sicuramente non userei la mia forza sui più deboli, il discorso è chiuso. –
 
Rocks strinse i pugni e digrignò i denti, gli ci erano voluti mesi a rintracciarlo e ora che ci era riuscito il suo piano di reclutarlo per rendere la sua ciurma ancora più potente stava andando completamente in fumo.
Raian Tew, così ora si faceva chiamare, era stato l’imperatore incontrastato dei combattimenti clandestini con trecento incontri vinti su trecento disputati.
Indra, così lo chiamavano quando combatteva, il Dio della folgore, del tuono, della guerra il più potente fra gli Asura.
Finché da un giorno all’altro non decise di ritirarsi, sparendo nel nulla.
Xebec aveva sentito parlare di lui da diversi pirati, briganti, criminali e anche da dei marine, che a detta loro mentre erano sotto copertura lo avevano visto combattere anni prima, prima ancora che il capitano dei Rocks iniziasse a solcare i mari.
Averlo nella ciurma avrebbe significato diventare ancora più inarrestabili e lui avrebbe potuto coronare il suo sogno di conquista del mondo molto presto, ma quella possibilità era svanita nel nulla e tutta la fatica e i favori estorti o incassati erano risultati completamente inutili.
 
- Ora se non vi dispiace ho delle faccende da sbrigare, devo andare al mercato a svolgere qualche commissione, se non si arriva all’alba si perdono i prodotti migliori. – si limitò a dire alzandosi e poggiando le monete per saldare il conto di tutti sul tavolo – le birre e il sakè li offro io, prendete pure altro se volete, lasciatelo pure sul mio conto, ma non tornate più su quest’isola per cercare di convincermi a unirmi a voi, Indra è morto, ora c’è solo Raian. –
 
Xebec picchiò violentemente il palmo della mano contro il tavolo di legno, tanto forte quasi da frantumarlo.
 
- Se non ti unisci a noi raderò al suolo quest’isola Indra! –
 
Raian fermò i suoi passi e voltò il capo verso il pirata – Dosa bene le tue parole Rocks D. Xebec -  Kaido, poco distante da lui, strinse saldamente nel pugno Hassaikai, imitato poi da ogni suo compagno che raggiunse la propria arma pronto a sfoderarla; la tensione nell’aria si era fatta tale da rendere tutti i presenti nella stanza più che nervosi – Siete tutti giovani ed estremamente forti ed io ormai vado per la sessantina, sono molto distante dai miei tempi d’oro, non sopravviverei mai a uno scontro con tutti voi. Detto questo sono altrettanto sicuro di fare in modo che all’inferno con me venga la tua capacità di camminare. –
 
I secondi che seguirono furono tesi quanto la corda di un violino, finché Xebec, sospirando con l’amaro in bocca, fece segno di allontanare la mano dalle armi ai suoi uomini.
Correre un rischio del genere non aveva senso, nonostante la loro vittoria fosse pressoché assicurata, il prezzo rischiava di esser veramente troppo alto: il loro avversario era forte, terribilmente forte e visto che se lasciato stare non avrebbe mai intralciato il suo cammino, scontrarvici era una mossa priva di qualsiasi senso logico.
 
- Molto bene e non temete, quest’incontro non è mai avvenuto, conviene anche a me, la vostra reputazione non subirà alcun danno. –   e detto questo uscì dalla stanza, sparendo dalla loro vista.
 
 
Il flusso dei ricordi degli avvenimenti appena trascorsi di Linlin venne interrotto dal rumore di due grosse bottiglie di sakè dolce che venivano poggiate sul tavolo con delicatezza.
 
-  Ecco il suo sakè che aveva ordinato, preparo immediatamente il vassoio coi cupcakes – sorrise Jonathan dirigendosi nuovamente verso la cucina dopo aver lasciato le bottiglie davanti al Barbabianca, che con un rapido gesto della mano ne afferrò una per poi stapparla con un solo dito e portarla alle labbra.
 
- Dici che… -
- Scordatelo Linlin, se ha rifiutato di unirsi a noi figurati se mai accetterà di dare un figlio a una donna come te e non credo proprio tu possa nemmeno obbligarlo in qualche modo, se il capitano si è rifiutato di affrontarlo vuol dire che è meglio evitare. –  la precedette il biondo prendendo l’ennesimo grande sorso dell’alcolico posando lo sguardo sulla schiena dell’oste che si stava dirigendo in cucina, doveva ammettere che il fatto che non fosse spaventato dalla loro presenza lo incuriosiva non poco, non era cosa comune fra i pirati, men che meno lo era fra i civili.
 
- Maledizione! – sbuffò irritata – che bruci all’inferno quel maledetto Raian Tew! Ci ha fatto perdere un sacco di tempo rifiutandosi di unirsi a noi e non posso nemmeno approfittarne per rendere la mia futura ciurma ancora più potente! –
- Oh, state parlando di papà? – li interruppe con una sonora risata Jonathan che era tornato con l’enorme vassoio di cupcakes ancora fumanti che Linlin aveva ordinato – perdonatemi la risata, ma anche solo l’idea che potesse unirsi a una ciurma pirata mi ha fatto veramente ridere! E mi spiace rovinare i suoi piani signorina, ma è un uomo sposato. –  si asciugò una lacrima con l’indice poggiando i dolci davanti alla piratessa – ecco a lei, i migliori cupcakes dei sette mari. –
 
Entrambi i Rocks rimasero sbigottiti a quelle parole, da un lato Barbabianca se prima era incuriosito dal comportamento del loro oste e dalla sua tranquillità nonostante la loro presenza ora era proprio sbigottito da quanto la prendesse con leggerezza tanto da ridere di gusto davanti a loro, dall’altro Linlin fu colpita più dalla parola “papà” che il ragazzo aveva appena pronunciato.
Se quello era veramente il figlio di Raian, l’uomo che persino il suo capitano aveva preferito non affrontare, allora era senza dubbio un partner perfetto per il suo scopo; dopo tanta esperienza in battaglia era sicura che quello davanti a lei fosse solamente un debole pasticciere, ma se nelle sue vene scorreva il sangue dell’uomo che era riuscito a guadagnarsi il soprannome di Indra, allora un loro figlio poteva veramente diventare il fiore all’occhiello della ciurma che stava costruendo.
La donna scattò in piedi e si fece più vicina al ragazzo, era pure fortunata, Jonathan era decisamente un bel uomo: aveva lisci capelli neri che gli scendevano fino al collo, il naso era leggermente aquilino, proprio come quello di lei e i tratti del viso, che era decorato da una leggera barba ben curata, erano delicati e armoniosi. Ciò che più la colpì però erano gli occhi: di un azzurro così limpido da sembrare dello stesso colore del cielo e per un breve istante Linlin ci si perse dentro.
 
- Oh, dunque il bel pasticciere è figlio del grande guerriero Indra… - con fare suadente la donna andò a prendere il meno del ragazzo con due dita per sollevargli il volto e permettergli di guardarla meglio negli occhi, nonostante lui avesse pressoché la sua età, infatti, lei lo superava in altezza di almeno un metro e mezzo – cosa ne dici se io e te andassimo nella mia cabina e approfondissimo un po’ meglio la nostra conoscenza? – sussurrò tenendo le labbra estremamente vicine a quelle di Jonathan.
- Wow, certo che sei una che brucia le tappe eh? – ridacchiò lui – però così non è assolutamente romantica come cosa, facciamo così almeno una cena prima, cosa ne dici? –
 
Sulla fronte della piratessa si gonfiò una vena per il nervoso, stava veramente osando prenderla in giro?
 
- Ti stai prendendo gioco di me pasticciere? Sappi che non mi costerebbe alcuna fatica ucciderti qui e ora. – ringhiò a denti stretti la donna, senza allontanare le dita dal mento di lui.
- Sicuramente, ma dalla tua proposta precedente la cosa mi pare andare contro il tuo interesse no? – soffiò divertito cominciando ad avviarsi verso la cucina – Stacco da lavoro alle sette, passo a prenderti al porto verso le otto ok? Oh, e non preoccupatevi per il conto: oggi offre la casa, ma goditi quei cupcakes, non scherzavo quando dicevo che sono i migliori dei sette mari.  –
 
Appena il ragazzo sparì dalla loro vista ritirandosi in cucina, Edward, che era rimasto ammutolito tutto il tempo ad osservare quell’assurdo teatrino scoppiò in una fragorosa risata sbattendo più volte la grossa mano sul tavolo di legno, rischiando di romperlo.
 
- Gurararararara! Non posso crederci, la grande e temibile Charlotte Linlin zittita così da un pasticciere! –
- Taci Edward! – urlò lei contro il suo commensale per poi tornarsi a sedere.
- Allora? Andrai alla cena? – sghignazzò il pirata andando a stappare la seconda bottiglia per poi cominciare a prenderne grosse sorsate.
La piratessa annuì appena digrignando i denti per il nervoso, era stato terribilmente umiliante, ma quel ragazzo poteva essere veramente la chiave per poter avere in futuro nella ciurma il soldato perfetto.
 
- Però bisogna ammettere che il fegato non gli manca nemmeno un po', non credi Linlin? –
- Falla finita e non provare a fare una parola con nessuno di quello che è successo qui dentro. –
Newgate alzò le mani in segno di assenso continuando a sghignazzare, facendo alzare gli occhi al cielo a Linlin che innervosita afferrò ben tre cupcakes ingoiandoli in un sol boccone.
Maledizione, erano veramente i migliori cupcakes che avesse mai mangiato.
 
 
_____________________________________
 
 
Non gli ci volle molto a riconoscere la nave dei Rocks al porto e con perfetta puntualità Jonathan si mise ad attendere Linlin sul molo in completo elegante, un po' per divertirsi a prenderla ancora in giro, un po' perché infondo Linlin era veramente una bella donna e nonostante tutto ci teneva a fare bella figura.
 
- Cominciavo a pensare che non ti saresti presentata, sarebbe stato un peccato, ho prenotato un ottimo ristorante. –
LInlin era appena scesa dal ponte della nave, indossava gli stessi identici abiti di quella mattina, quando si era presentata nella pasticcieria e probabilmente anche gli stessi che indossava in battaglia.
- Vediamo di sbrigarci con questa scemenza, ho poco tempo da perdere e poca pazienza a disposizione. –
- Oh, andiamo! Cerca di non tenere il muso! Ho preparato un appuntamento coi fiocchi vedrai! Vogliamo andare? – Chiese lui porgendole il braccio per permetterle di afferrarlo con un sorriso gentile sulle labbra, ma la donna si limitò a scansarlo con poca gentilezza sorpassandolo a passo deciso.
 
- Ti vuoi sbrigare? –
- Arrivo! Arrivo! Certo che sei proprio impaziente eh? Abbiam tutta la serata per noi, non serve tutta questa fretta – rispose correndole dietro Jonathan – coraggio seguimi ho prenotato nel miglior ristorante dell’isola. –
 
Stare attorno a quel ragazzo le dava una sensazione stana, se da un lato non lo sopportava, dall’altro la incuriosiva, quel pasticciere era la prima persona da quando era diventata una pirata che l’aveva spogliata del suo titolo e della sua fama e l’aveva trattata come un normale essere umano, era il primo uomo che l’aveva effettivamente invitata a cena come una normale ragazza della sua età, il primo a non avere un briciolo di terrore o avversione nei suoi occhi quando la guardava.
Charlotte Linlin non era una stupida, sapeva benissimo di essere una cattiva persona, sapeva benissimo che il mondo la vedesse come un mostro e ne era fiera, perché era temuta e rispettata, perché sapeva benissimo che nel modo si nasceva soli e soli si rimaneva; eppure, ora si era trovata davanti a un uomo per il quale tutto ciò non aveva un peso e lei non riusciva minimamente a comprendere come sentirsi a riguardo.
Quell’enorme flusso di pensieri venne interrotto dall’arrestarsi del suo accompagnatore davanti a una piccola taverna, non certamente il ristorante più lussuoso dei mari, ma comunque un posto gradevole alla vista.
 
- Eccoci arrivati, probabilmente avrai mangiato in posti più lussuosi, ma questo è il meglio che la nostra piccola isola ha da offrire. – sorrise aprendole la porta per permetterle di entrare prima di lui – però posso assicurarti che il cibo qui è delizioso, fanno uno spezzatino da leccarsi i baffi. –
- Qualsiasi cosa andrà bene, non mi interessa. – rispose atona entrando nel locale.
 
Una volta dentro si ritrovarono immediatamente tutti gli occhi addosso, forse più concentrati su Jonathan che su Linlin: infatti l’isola per quanto piccola non era nuova a ospitare pirati, anche di ciurme famose, quello che sorprendeva invece era che un uomo come Jonathan, che aveva la fama di essere una delle persone più gentili e dolci del villaggio fosse a cena con una donna come Charlotte Linlin. 
 
- Vedo che la gente su quest’isola è poco propensa a farsi i fatti proprio eh? – ringhiò irritata una volta che il maître li ebbe fatti accomodare al tavolo.
- Oh suvvia, pensavo che una donna del tuo calibro fosse abituata a certi sguardi. –
- Certo che lo sono, questo non toglie che siano irritanti. –
- Dai, cerca di non pensarci, godiamoci semplicemente la serata, posso permettermi di ordinare io per te? –
 
La pirata annuì solamente, così Jonathan una volta arrivato il cameriere ordinò due abbondanti porzioni di stufato, conscio che l’appetito della sua commensale non era assolutamente facile da saziare; lo aveva visto di persona quella mattina, quando da sola, aveva mangiato tutti i cupcakes che lui aveva appena sfornato, costringendolo a prepararne degli altri sul momento per i prossimi clienti.
 
- Allora, erano buoni i cupcakes questa mattina? Ne vado molto fiero, sono il mio fiore dall’occhiello! –
- Non erano male. – mentì lei, non volendo dargli la soddisfazione di aver avuto ragione – ma, a Tottoland ci sono pasticcieri migliori. –
Jonathan rise a quella risposta – Sai Linlin, sarai anche una piratessa fortissima e spietata, ma per gli Dei sei una pessima bugiarda! –
- Stai sfidando fin troppo la sorte sappilo. –
- Ok, ok va bene, come preferisci. – ridacchiò Jonathan alzando le mani in segno di resa.
 
La cena proseguì in modo piuttosto tranquillo, con Linlin che rispondeva a monosillabi alle domande di Jonathan e Jonathan che nonostante tutto non smetteva di parlarle.
Una volta pagato il conto e usciti Jonathan si stiracchiò e prese una grossa boccata d’aria fresca.
 
- Allora sei soddisfatto adesso, vuoi seguirmi nella mia cabina sì o no? –
- Non ancora, l’appuntamento non è finito, ho in mente ancora una tappa, seguimi, voglio mostrarti una cosa, ma prima passiamo dalla pasticcieria, voglio prendere qualche cupcake che ho preparato apposta come dessert per stasera. –
 
Linlin prese a massaggiarsi le tempie irritata: quell’uscita stava seriamente sfidando ogni limite della sua già misera pazienza.
Una volta recuperato il cestino coi dolci dal suo laboratorio Jonathan le fece segno di seguirlo.
Camminarono per una decina di minuti, sorpassando un piccolo boschetto, fino a raggiungere la punta di una scogliera che si stagliava a strapiombo sull’oceano: la vista era magnifica il cielo completamente coperto di stelle sembrava fondersi con l’acqua all’orizzonte e nel silenzio più totale di quel luogo l’unica cosa che si poteva udire era il rilassante rumore delle onde che si schiantavano contro la roccia sotto di loro.
 
- Non è un posto magnifico? Ci vengo ogni sera che posso a guardare l’oceano. –  sussurrò, come a non voler disturbare quella quiete, mentre andava a stendere un telo per terra, facendo poi segno a Linlin di sedersi al suo fianco, cosa che lei, dopo un istante di esitazione, fece.
- Senti sto cominciando a perdere la pazienza, se pensi che possa anche esserci un minimo di interesse romantico in ciò che ti avevo proposto ti… -
- È per mio padre vero? Non sono uno stupido so benissimo chi sei, so benissimo cosa fai, ma mi dispiace deluderti, Raian Tew è mio padre adottivo, mi ha raccolto dalla strada quando avevo appena undici anni, il mio nome completo è Jonathan Booth, il mio vero padre era un vecchio pirata bastardo da quattro soldi, morì annegato cadendo dal molo dopo aver bevuto troppo, mia madre non l’ho nemmeno mai conosciuta, è morta che io ero ancora in fasce, probabilmente per mano dello stesso uomo di cui mi scorre il sangue nelle vene. –
 
Quella improvvisa dichiarazione fece ribollire il sangue nelle vene a Linlin; quindi, tutto questo teatrino era stato solo una presa in giro? Aveva sopportato questa pagliacciata per nulla?
 
- Mi prendi in giro?! Mi stai dicendo che ti ho sopportato per nulla? Potrei staccarti la testa in questo momento! E nessuno potrebbe salvarti! – urlò furiosa scattando in piedi.
- Già, potresti. – sorrise lui andando a prendere un cupcake dal cestino per poi addentarlo sdraiandosi sul telo che aveva steso per terra – Ma ho la sensazione che non lo farai. –
 
La donna digrignò i denti e strinse i pugni, ma poi, senza sapersi spiegare il motivo nemmeno a sé stessa, rilassò i muscoli e si sedette nuovamente al fianco del ragazzo, afferrando a sua volta un dolce per poi divorarlo con un sol boccone.
 
- Sei veramente la persona più irritante che io abbia mai conosciuto. –
- Grazie del complimento. – rispose divertito ricevendo un ringhio irritato indietro.
- Perché lo fai? –
- Cosa? –
- Questo tuo costante voler avere nuovi figli. Lo sai? Stanno cominciando a chiamarti Big Mom i marine. –
- Non si può dire che abbiano molta fantasia coi soprannomi. – sbuffò – voglio creare un posto dove qualsiasi razza possa sentirsi a casa e nessuno possa essere discriminato e voglio una ciurma potente, che sia in grado di proteggere questo luogo ed espanderlo. –
- E non desireresti qualcuno al tuo fianco in tutto questo? So che i tuoi ex compagni li hai abbandonati, o c’è chi dice addirittura uccisi. –
- Non ho bisogno di nessuno, a questo mondo nasciamo soli e soli moriamo, solo i deboli fanno affidamento sugli altri illudendosi che cambi qualcosa. –
 
Questa volta fu Jonathan a sollevarsi di scatto a sedere per poter fissare meglio Linlin negli occhi, quella frase, pronunciata in quel modo, gli mise addosso una tristezza disarmante.
- Tu hai paura. –
- Cosa?! – tuonò lei
- Tu hai paura. – ripeté – hai paura di essere nuovamente abbandonata, hai paura che si ripeta il tuo passato. – il passato della piratessa, infatti, era noto a molti ed era giunto anche alle orecchie di Jonathan che ne era rimasto inorridito e disgustato: come si poteva abbandonare in quel modo la propria figlia? Come si poteva scaricare tutto quell’odio su una bambina?
- Vivi nel mondo delle favole tu! Io non ho paura di nulla, sono fiera di come mi vede la gente! Di come mi ha sempre visto e sai una cosa? Hanno pienamente ragione, io sono un mostro e devono temermi! –
- Nessuno nasce mostro Linlin, nessuno, quello che ti hanno fatto è imperdonabile, mi dispiace, dico davvero, ma non abbandonarti così, non essere schiava del passato, oppure avrai paura persino a vivere. –
 
Linlin tacque per un po’, quell’uomo, che aveva appena conosciuto, l’aveva letta come un libro aperto, come se l’avesse conosciuta da anni e nelle sue parole non c'era scherno né pietà, solo comprensione.
Però lei non poteva dimostrarsi debole, perché i deboli in quel mondo venivano schiacciati e lei non poteva permetterselo.
- Fammi il piacere, cosa vuoi saperne tu. – si limitò a rispondere.
 
Rimasero lì un’altra mezz’ora in silenzio, a mangiare cupcakes e guardare il mare, finché non decisero di ritirarsi e Jonathan la riaccompagnò alla nave.
 
- Sai, almeno per me è stata una serata piacevole Linlin – le sorrise – ascolta, forse quello che dici è vero, e non so di cosa parlo, però se mai vorrai tornare o avrai voglia di parlare con una voce amica che non sia della tua ciurma. – il ragazzo estrasse una piccola Den Den Mushi dalla tasca del cappotto e gliela mise fra le mani – tieni, con questa potrai chiamarmi quando vuoi. –
- Ma per piacere – rise lei cominciando a salire il ponte della nave – come se potessi mai voler risentire la tua voce irritante. – concluse infilandosi però la piccola creatura in tasca, mentre Jonathan dal molo la fissava con un sorriso sulle labbra.
- Sei proprio una pessima bugiarda Charlotte Linlin. – sussurrò prima di cominciare ad allontanarsi verso casa.
 
 
Quella sera di quarantotto anni fa si formò la prima crepa nel muro che Charlotte Linlin aveva costruito attorno al suo cuore.
 
 
 
 
Note dell’autore: Ed eccoci qua! Al primo capitolo flashback! Non è stato semplicissimo da scrivere, anche perché immette Linlin in una relazione romantica non è esattamente la cosa più facile del mondo, ma sono soddisfatto dai!
Meno soddisfatto del fatto di aver fallito a mantenere il pattern dei titoli dei capitoli che dovevano essere tutte canzoni dei Metallica, ma non c’era modo di rendere sensata la cosa XD.
Altra piccola nota: Indra è realmente nella cultura Indù il Dio del tuono e della guerra, a volte viene anche riconosciuto come un Asura, per questo ho deciso che proprio questo doveva essere il sopranome di Raian quando combatteva, lo so non è il massimo creare oc così forti, ma mi serviva una scusa per dare un interesse iniziale a Linlin nei confronti di Jonathan ahaha.
Ringrazio infinitamente chi ha aggiunto la storia alle preferite, alle seguite o alle storie da ricordare!
Un grosso ringraziamento a tutti i lettori silenziosi e una menzione particolare a Giuly, Yumi e Fenris (spero tra l’altro che ora la lettura sia più semplice ho cercato di separare meglio i paragrafi, grazie ancora del consiglio).
Alla prossima!
 
Amiba
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 3 - Salvataggio ***


- Salvataggio -
 
 
 
Cracker, appoggiato con entrambe le braccia e il mento alla balconata di poppa, osservava Cupcake, che dal ponte della nave fissava in silenzio il sole tramontare.
Erano partiti da circa una mezz’ora e fortunatamente il mare era estremamente calmo, questo avrebbe permesso loro una navigazione estremamente tranquilla e di conseguenza anche la loro missione si sarebbe conclusa prima.
Nessuno dei presenti aveva fiatato parola dall’inizio del viaggio, da un lato Cracker, Katakuri e Perospero stavano ancora metabolizzando la recente scoperta, dall’altro Cupcake, o meglio Jonathan, non sembrava assolutamente interessato a incominciare nessun tipo di conversazione.
 
- Certo che è strano eh? – spezzò il silenzio Cracker rivolgendosi ai suoi due fratelli maggiori – Abbiamo appena scoperto di avere un altro fratello di cui non sapevamo nulla e poi quella foto di mama… -
Perospero sì schiarì immediatamente la voce interrompendo il minore: quello era un argomento assolutamente proibito, mama era stata chiarissima quando aveva dato loro le istruzioni necessarie allo svolgimento della missione – Mama ha chiaramente detto di non parlare della foto e ci ha espressamente proibito di indagare a riguardo, perorin! –
- Eh, dai fratello Peros, non dirmi che non sei curioso di saperne di più! Insomma, abbiamo un nuovo fratellino! Poi quello sguardo che mama aveva nella foto… – il minore fece una leggera pausa, volandosi per guardare meglio i suoi fratelli negli occhi – Voi, voi credete che mama sia veramente stata in grado di amare? –
 
Quella domanda colpì molto duramente entrambi i fratelli maggiori, che rimasero per qualche istante in silenzio.
 Fino a quel giorno nessuno in quella famiglia avrebbe mai scommesso un Berry sul “Sì” eppure, quello sguardo in quella foto, stava facendo vacillare ogni loro convinzione, muovendo un’enorme sensazione di disagio interiore.
 
- Come ti ha detto nostro fratello maggiore Peros non dobbiamo parlare di questo Cracker – rispose stoico Katakuri col le mani per salde sul timone – non sono affari che ci riguardano. – se la loro madre fosse veramente stata capace di amare il ministro della farina preferiva non saperlo, la risposta avrebbe potuto far troppo male; perché allora non avrebbe più saputo trovare una giustificazione a tutto l’amore mancato che lei non aveva dato ai suoi figli in tutti quegli anni.
Non avrebbe mai potuto odiare Cupcake se fosse effettivamente nato da una storia d’amore, ma per sé stesso aveva bisogno di credere che anche l’uomo che fissava il mare poco distante da loro, fosse semplicemente un’altra vittima dell’orrendo egoismo della loro madre, che lo aveva  abbandonato perché troppo debole e l’unico motivo di quello sguardo fosse semplice manipolazione; infondo mama ne era una maestra.
 
- Al diavolo! Io vado a parlargli! – protestò Cracker scendo le scale dirigendosi verso l’appena conosciuto fratello minore.
Perospero provò ad aprire la bocca per protestare ma venne immediatamente interrotto da Katakuri, che alzando una mano e scuotendo leggermente il capo fece intendere al maggiore che sarebbe stato tempo perso.
 
- Heyla Cupcake, fratellino caro! Perché quel muso lungo? Stiamo andando a salvare la tua cara sorellina no? – sghignazzò Cracker andando a dargli una vigorosa pacca sulla spalla – Coraggio vieni a fare un po' di compagnia ai tuoi fratelloni! –
L’uomo emise un profondo sospiro – Sono preoccupato, più passa il tempo, più mia sorella rimane nelle loro mani e non voglio nemmeno pensare a cosa possono farle, in secondo luogo non mi pare che nessuno dei tuoi fratelli abbia voglia di stare in mia compagnia. –
- Tse! Non fare caso a quei due, si atteggiano tanto a stoici e impassibili, ma stanno morendo dalla voglia di conoscerti meglio credimi e poi sono anche tuoi fratelli! Comunque, non aver paura per tua sorella, fidati sono sicuro che non le torceranno un capello! –
- E come fai a saperlo? –
- Ecco come posso mettertela in modo delicato? – rispose Cracker gesticolando con la mani – Se dei pirati rapiscono una ragazza giovane lo fanno per rivenderla come schiava e diciamo che “un prodotto usato” si vende a meno che uno “nuovo”. – spiegò il comandante sweet a denti stretti, ricevendo come sospettato uno sguardo furioso come risposta – Ma non devi preoccuparti, l’asta dove potranno venderla si terrà fra tre giorni e grazie alle informazioni che ci hai dato e alle indagini di Compote sappiamo perfettamente chi sono e dove si nascondono; il loro capitano vale solamente venti milioni di Berry, sarà un gioco da ragazzi credimi! –
- Giuro che se le han torto anche solo un capello… - Cupcake strinse i pugni con tutta la forza che aveva in corpo e Cracker lo capì benissimo: infondo se qualcuno avesse mai avuto la malsana idea di rapire una sua sorellina per cercare di rivenderla come schiava lui non si sarebbe dato pace finché la testa del rapitore non fosse rotolata per terra; possibilmente dopo che quest’ultimo avesse sofferto il più possibile.
 
-Ascolta Cupcake… -
- Jonathan, il mio vero nome è Jonathan. – puntualizzò lui – E anche se mi piacesse di più farmi chiamare Cupcake, vostra madre mi ha espressamente chiesto di rinunciare definitivamente a quel nome in cambio del vostro aiuto. -
- Ah! Ma questo vale a missione finita! Coraggio, finché questa storia non finisce lasciati chiamare Cupcake! – rise Cracker andando ad avvolgere un braccio attorno alle spalle del fratello; a differenza degli altri, la notizia di un nuovo fratellino lo aveva reso piuttosto allegro, oltre che curioso.
- Immagino che anche se rispondessi di no, non farebbe alcuna differenza e mi chiameresti ugualmente Cupcake vero? –
- Già. – ammise Cracker sghignazzando – quindi fai il pasticciere eh? Evidentemente è nel sangue di noi Charlotte avere a che fare coi dolci! –
- Non centra il sangue degli Charlotte, mi hanno insegnato mamma e il nonno. –
 
Cracker sbuffò sconsolato: sperava che il suo fratellino fosse decisamente più loquace, avrebbe voluto parlargli per ore per conoscerlo meglio e magari provare a strappargli qualche informazione in più su quella foto, sull’uomo in quella foto.
Sapeva che gli ordini di sua madre erano di non indagare, ma sapeva anche che per quanto lo avrebbero sgridato nessuno dei suoi fratelli maggiori avrebbe mai detto qualcosa a mama se avesse scavato un po' nella faccenda.
 
- E invece tuo padre? – esordì improvvisamente senza il minimo tatto – Intendo l’uomo nella foto. –
- Lui è morto prima che io nascessi, mia mamma non mi ha detto quasi nulla di lui, so solo che era un brav’uomo. –
- E la sua relazione con mama? Ne sai qualcosa? –
 
Prima che la conversazione potesse proseguire intervenne Katakuri, che aveva lasciato il posto al timone a Perospero, interrompendo la serie di domande che Cracker stava facendo.
- Ora basta importunarlo Cracker, inoltre ti abbiam già detto che quello che stai facendo va contro gli ordini di mama. –
Per tutta risposta Cracker emise un infantile verso di lamentela infastidito da quel richiamo, che venne completamente ignorato dal maggiore.
-  Cup…hm Jonathan – si corresse schiarendosi la voce – Perdona nostro fratello, purtroppo non ha idea di cosa sia il contegno e vatti a riposare, fra circa tre ore attraccheremo al porto. –
 
L’uomo annuì appena e si diresse verso le cabine; era certo che non sarebbe riuscito a dormire ma, quanto meno riposare un po' gli occhi e la testa sarebbe servito prima di entrare in azione.
Quando si fu dileguato chiudendosi la porta della cabina alle spalle Cracker rivolse lo sguardo a suo fratello maggiore con fare curioso.
 
- Hai intenzione di farlo venire con noi? –
- Assolutamente no, mama ha ordinato di tenerlo al sicuro a tutti i costi, resterà sulla nave, sbrigheremo questa faccenda in qualche minuto massimo. –
- Dite quello che volete sugli ordini di mama, ma io non credo che resisterò a non indagare su questa faccenda. –  rispose Cracker dirigendosi nuovamente verso poppa dove stava Perospero, seguito subito dopo da Katakuri, che dopo tutto, faceva molta fatica a dare torto a suo fratello minore in quella situazione.
 
 
---------------------------------
 
 
Si alzò di scatto nel letto ansimando in prenda all’agitazione: aveva rifatto quell’incubo; quel maledetto incubo che l’aveva tormentata per quasi un anno intero quando era giovane.
Non voleva crederci, la situazione, più passava il tempo, più peggiorava: si era coricata presto, con la speranza che con una buona dormita e un po' di riposo quelli che lei riteneva semplici deliri sparissero e invece aveva ottenuto l’effetto opposto.
“È stata tutta colpa tua.” le diceva quella voce secca e sibilante, mentre i suoi occhi spenti la fissavano e lei tremava, non riusciva a controllare il proprio corpo rimanendo paralizzata, intrappolata in quell’orrido limbo, “È stata tutta colpa tua.” ripeteva; così all’infinto finché non riapriva gli occhi.
Si portò le mani al volto e se lo massaggiò, erano passati quasi quarantatré anni dall’ultima volta che aveva fatto quel maledetto sogno.
Strinse con tutta la forza che aveva le coperte, rischiando di lacerarle; era furiosa, furiosa e anche se non l’avrebbe mai ammesso anche terrorizzata di ritrovarsi a rivivere improvvisamente quel tremendo dolore che aveva provato tanti anni prima.
 
- Hai avuto un incubo? – la voce di Jonathan spezzò i suoi pensieri.
- Lasciami in pace. Smettila di tormentarmi, non voglio vederti mai più. – sussurrò velenosa.
- Tormentarti? Linlin, amore mio, sono qui per aiutarti. –
- Non chiamarmi in quel modo! Non ho bisogno del tuo aiuto! Devi sparire! –
Jonathan sospirò, andandosi a sistemare più comodamente sul cuscino dove ormai si era stanziato – Hai di nuovo paura del mondo, paura di restare sola, di vivere. – odiava sentire la sua voce, la odiava perché per quanto si sforzasse una piccola parte di lei soffriva ancora a vederlo e a sentirlo – Hai compensato tutto questo tempo con il potere e ti sei chiusa sempre più in te stessa, hai lasciato che Big Mom uccidesse la mia adorata Linlin. Finché non sei caduta e allora tutto è cambiato. – Jonathan si voltò, per guardarla meglio negli occhi e l’ex imperatrice sussultò: gli occhi di Jonathan erano meravigliosi, esattamente come il giorno in cui lo aveva conosciuto – Linlin, non verrò a meno di ciò che ti avevo promesso e tu non avrai più paura, lo giuro. -  
 
Un enorme flusso di ricordi la investì a quelle ultime parole, un enorme flusso di ricordi felici, di quando Jonathan le aveva fatto credere che forse il mondo non fosse tutto così nero, che sugli altri ci si poteva appoggiare, che ci si potesse fidare, ma poi aveva infranto tutte le promesse e l’aveva abbandonata, lasciandola nuovamente sola.
Aprì la bocca per rispondergli solo dopo qualche istante, pronta a inveirgli contro con odio, ma lui la precedette.
 
- Ti ricordi il nostro primo appuntamento? – sorrise continuando a fissarla – Già da allora io mi incominciai a innamorare di te sai? –
- io non ti ho mai amato. – rispose ringhiando Linlin con tutto il veleno che aveva in corpo, ma Jonathan rise nuovamente.
- Lo sai mio piccolo dolce Cupcake, una cosa in tutti questi anni non è cambiata per niente: sei sempre una pessima bugiarda! -
 
La pirata, a udire quella frase, si ritrovò in una spirale di emozioni in grado di scuotere persino una donna come lei, si sentì come gettata indietro nel tempo, seduta al tavolo di quella piccola locanda, dove avevano avuto il loro primo appuntamento, dove tutto era iniziato.
 Avrebbe voluto urlare, provare a colpirlo e invece non riuscì e fare nulla di tutto questo, sentiva il suo cuore battere e per un’istante gli occhi farsi umidi, ci volle tutto il suo autocontrollo per scacciare nuovamente quei sentimenti.
Nella sua vita Linlin aveva affrontato centinaia di avversari, alcuni addirittura più forti di lei, alcuni addirittura in grado di sconfiggerla, ma nessuno di loro avrebbe mai potuto compire l’impresa di emergere vincitore dallo scontro senza fatica.
Jonathan invece, un misero pasticciere, un uomo debole, che non sarebbe stato in grado di uccidere un pirata da qualche migliaio di Berry, l’aveva completamente messa in ginocchio senza il minimo sforzo, era stato l’unico uomo al mondo a poter parlarle come voleva senza conseguenze, era stato l’unico uomo che lei avesse mai amato con tutto il suo cuore.
Dimenticarlo, riuscire a odiarlo, seppellire quei dolci ricordi nella sua mente, era stata l’impresa più difficile che Big Mom avesse mai compiuto e ora rischiava di essere completamente vanificata in poche ore; era semplicemente bastato che lui le riapparisse.
 
- Mama, i medici sono arrivati per controllare le flebo e le ferite, inoltre come da te richiesto ho aggiornamenti sulla missione di fratello Peros, Katakuri e Cracker. – la voce di Oven, arrivata alle sue orecchie dopo il suo bussare alla porta della stanza spezzò la conversazione che stava avendo con Jonathan.
- Molto bene, entra Oven. – rispose secca lei, consapevole che appena il figlio fosse entrato nella stanza Jonathan sarebbe sparito.
- Katakuri e gli altri sono appena attraccati al porto, la nave dei pirati che han la ragazza dista nemmeno venti minuti a piedi dalla loro posizione, sarà una missione estremamente semplice, torneranno qui in breve tempo. – il pirata si interruppe per un istante cercando di mettere bene a fuoco ciò che credeva di aver visto nella stanza, ancora immersa nella penombra – Mama, qualcosa ti turba? –
- Assolutamente no Oven, ora sbrigati e finire il tuo rapporto e a far entrare i medici, voglio riposare. –
- Come dicevo sarà una missione estremamente semplice, probabilmente faranno ritorno qui a Tottoland prima di domani e non dovremmo mai più sentir parlare di questo Cupcake. –
- Perfetto, ora vai e lascia che entrino i dottori. –
 
L’uomo obbedì senza aggiungere altro uscendo dalla stanza e permettendo ai medici di entrare.
- Devo decisamente aver esagerato col sakè prima. – brontolò massaggiandosi le tempie; perché non poteva esserci altra spiegazione se non quella a ciò che gli era sembrato di vedere: una lacrima, scendere solitaria sulla guancia di sua madre.
 
 
----------------------------
 
- Scordatevelo! Non vi permetterò mai di andare da soli, è mia sorella, voglio venire con voi! – come prevedibile a Cupcake l’idea di Katakuri  di farlo aspettare sulla nave mentre loro andavano a salvare la sorella non piacque nemmeno un po', ma nessuno dei tre fratelli Charlotte aveva intenzione di rischiare che si ferisse andando contro gli ordini della loro madre, rischiando di conseguenza di perdere diversi anni di vita.
Il problema era che nessuno di loro tre era esattamente un maestro dell’oratoria, tendenzialmente riuscivano a convincere le persone con l’uso della forza, con la loro fama o nel caso di Katakuri, se si trattava di questioni famigliari, con la stima che l’altra persona provava nei suoi confronti.
 
- Questi son gli ordini di mama, non son contestabili. – puntualizzò Perospero fermo nella decisione che avevano preso sotto la guida di Katakuri.
- Big Mom è vostra madre e il vostro capitano, voi siete tenuti ad obbedirle, non io. –
 
Il maggiore dei fratelli digrignò i denti a quell’ennesima risposta tagliente ricevuta indietro, se Cracker aveva preso immediatamente in simpatia il nuovo arrivato e Katakuri, per quanto cercasse di non darlo a vedere, fosse stato colto da un’estrema curiosità nei suoi confronti, Perospero lo sopportava a malapena.
 
- Vedila così Cupcake, per noi è un gioco da ragazzi sbarazzarci di quei pirati, per te invece sarebbe una sfida impegnativa, impiegheremo meno tempo a salvarla e meno tempo la tua sorellina sta nelle mani di quei pirati meglio è no? – esordì Cracker appoggiando la mano sulla spalla del suo interlocutore.
- Non dovete preoccuparvi per me. –
- Sei il nostro fratellino minore anche se ti abbiamo appena conosciuto, sarebbe contro la nostra natura non farlo! – sghignazzò il viola ottenendo finalmente un cenno di assenso da parte del minore.
 
Katakuri e Perospero poterono finalmente tirare quindi un grosso sospiro di sollievo, ringraziando mentalmente loro fratello minore che si era dimostrato decisamente un mediatore migliore di loro due e li aveva tirati fuori da quella che poteva trasformarsi  in una discreta gatta da pelare.
 
- Ascolta Jonathan – esordì nuovamente Katakuri, che per rispetto preferiva continuare a chiamarlo col nome che l’uomo aveva detto di usare normalmente – Hai per caso una foto di tua sorella? Ci sarebbe di grande aiuto. –
- Certamente, eccola, il suo nome è Jolanda. – rispose estraendo dalla tasca della giacca una foto per mostrarla ai tre.
Il ministro dei biscotti fu il primo a prendere in mano la foto e appena vi ci posò sopra gli occhi li sgranò, rimanendone incantato: era meravigliosa, proprio il suo tipo di donna, portava corti e setosi capelli blu che le scendevano fino al collo decorando il delicato viso dai tratti quasi angelici sul quale spiccavano in particolare i grandi occhi verdi da cerbiatto, il corpo era snello e i seni morbidi e sodi, oltre che abbondanti.
 
- Che gran pezzo di… bella ragazza. – si corresse immediatamente Cracker dopo essersi accorto di avere puntati contro gli sguardi poco amichevoli di tutti i presenti.
- Molto bene. – si schiarì la voce Perospero – partiremo immediatamente, da qui la nave dei pirati che hanno rapito tua sorella dista meno di venti minuti, grazie alle informazioni che avevamo in precedenza è stato facile localizzarli prima del nostro arrivo attraverso informatori. – spiegò sintetico il primo figlio di Big Mom – aspettaci qui come da accordo, vedrai che in meno di un’ora questa storia sarà finita. –
- Molto bene, vi sono debitore. –
 
- Comunque, dite pure quello che volete, ma so benissimo che pure voi siete estremamente curiosi del nostro nuovo fratellino. – esordì Cracker quando tutti e tre i fratelli Charlotte furono scesi dalla nave per dirigersi verso il loro obbiettivo  - io mi sono già affezionato -
- Vedi di fartela passare perché non vedremo mai più quell’uomo in tutta la nostra vita dopo sta sera. –
- Mah, dite quello che volete, ma io vorrei che Cupcake restasse con noi, è vero lo conosciamo appena, ma resta il nostro fratellino e abbiam sempre giurato di difenderci a vicenda fra di noi. – puntualizzò il terzo comandante sweet continuando a camminare al fianco dei fratelli maggiori con le mani in tasca – E poi di quella storia di mama non mi va proprio giù non saperne nulla… -
- Adesso basta Cracker, te lo abbiamo già ripetuto più volte durante tutta la serata. – lo interruppe Katakuri – gli ordini di mama sono chiari, dobbiamo rispettarli. – il secondo genito dell’ex imperatrice si morse le labbra sotto la sciarpa concluso il rimprovero, perché la realtà era che lui condivideva il pensiero di suo fratello minore e avrebbe voluto sia conoscere meglio Cupcake.
 
- Adesso basta parlare di questo, siamo arrivati la nave è questa, entriamo e facciamola finita. – commentò piatto Perospero.
Cracker si sfregò energicamente le mani e con un unico salto arrivò sul ponte della nave – Oh dolce Jolanda! Non temere il tuo bel cavaliere col il suo lucente spadone è qui per salvarti! – urlò palesandosi immediatamente mandando così all’aria l’effetto sorpresa e portando di conseguenza i due fratelli maggiori a massaggiarsi le tempie esasperati prima di raggiungerlo a loro volta sul ponte.
Non ci volle molto prima che il capitano dei pirati li raggiungesse con aria spavalda a spada sguainata.
Era un uomo alto, dall’aspetto eccessivamente trasandato e dalla pelle olivastra; la barba rossa scendeva sporca e incolta fino al petto e il puzzo che emanava fece arricciare il naso a Katakuri, il quale ringraziò di avere la sciarpa in quel momento, perché almeno lo aiutava a filtrare un pochino gli odori.
 
- Chi è così stupido da assaltare la mia nav...- la baldanza venne meno immediatamente quando posò i suoi piccoli occhi giallastri sui fratelli Charlotte e da leone capobranco si trasformò immediatamente in mesto gattino cominciando a tremare come una foglia.
- Ah! Che palle ma, questo si è già pisciato sotto e io che volevo fare bella figura con la bella Jolanda, mostrandole come sono forte. –  protestò Cracker sbuffando come un bambino e tirando un vigoroso pestone per terra.
- Siamo qui per la ragazza che avete rapito, consegnatecela e ce ne andremo immediatamente, senza creare confusione alcuna, opponete resistenza e morirete tutti. – dichiarò imperiale Katakuri, che al contrario del fratello era contento di come si stava svolgendo la situazione: se si poteva risolvere in modo più rapido e più pulito era meglio per tutti.
- M-ma perché a voi dovrebbe interessare una semplice… -
- Amico. – Cracker con un ghigno sadico si fece più vicino puntandogli la punta di Pretzel alla gola – ti prego, continua a far domande e non obbedire agli ordini di mio fratello, che ho voglia di liberarmi di un po' di stress accumulato negli ultimi giorni sai? –
Il pirata sparì immediatamente dietro la porta della sua cabina bestemmiando sottovoce su quanto fosse ingiusto che perdessero il loro unico bottino in quel modo, per poi fra capolino poco dopo con la ragazza legata a delle pesanti catene dietro di se.
 
Era malnutrita, sporca, con qualche livido ed evidentemente terrorizzata, ma tutto sommato sembrava stare bene.
- Oh, per gli dei dal vivo sei ancora più bella, mia dolce Jolanda! – sorrise sornione Cracker avvicinandosi allungando le mani per liberarla, ma il gesto fatto con decisamente poca delicatezza e tatto venne mal interpretato e la giovane donna lanciò un grido acuto colpendo con estrema violenza il terzo comandante sweet nei testicoli con un calcio facendolo sbiancare e accasciarsi a terra tenendosi la parte offesa con entrambe le mani.
- Però non è così che si ringrazia il tuo salvatore – pigolò con filo di voce
- Salvatore? – sussurrò lei confusa.
Katakuri si avvicinò piano afferrando le manette per poi spezzarle a mani nude senza fatica.
- Non abbiamo nessuna cattiva intenzione credimi, tuo fratello Jonathan ci sta aspettando sulla nostra nave, presto tornerete a casa. Credo che tu lo sappia già chi siamo, ma ci presentiamo comunque, il mio nome è Charlotte Katakuri, quello che hai colpito poco fa è mio fratello minore Cracker e ti prego di scusarlo per i suoi pessimi modi di fare e l’uomo dietro di me è Perospero, mio fratello maggiore. –
- Il-il fratellone è con voi? Com’è possibile? Perché lo avete aiutato? –
- Non devi preoccuparti di questo, adesso torniamo alla nave dove potrai lavarti e mettere qualcosa sotto i denti, domani sarai già a casa tua e tutta questa storia sarà solo un brutto ricordo. –  era incredibile come Katakuri, nonostante la sua mole e il suo aspetto, riuscisse quando voleva a trasmettere una tale sicurezza.
- Adesso però sbrighiamoci perorin! – sbuffò Perospero – Non voglio passare un altro secondo su questa sudicia nave, tu sbrigati a calare il ponte. –  ordinò secco al capitano che mesto obbedì.
 
------------------------------------------
 
Le delicate mani della donna continuavano a passare con dolcezza sulla muscolosa schiena: una schiena perfetta, che sembrava scolpita nel marmo più pregiato, la pelle compatta e liscia sembrava essere priva di difetti, pelle che continuava ad essere fissata con occhi sognanti dalla ragazza.
Il bussare improvviso alla porta della stanza interruppe l’intimità della coppia.
 
- Miss. Saint Antoinette, posso entrare, ho delle notizie che potrebbero interessare a… -
- Entra – fu l’uomo a parlare, senza nemmeno lasciar terminare la frase al maggiordomo.
 – Cosa c’è? – chiese con tono piatto, sempre con lo sguardo rivolto verso il muro, mentre la giovane nobile mondiale continuava il suo massaggio con un grande sorriso stampato sul volto, come ipnotizzata.
Il vecchio maggiordomo deglutì, se c’era una persona che gli metteva più angoscia di Saint Antoinette e di suo padre era l’uomo sdraiato su quel lettino, ed era ironico, visto che era uno schiavo come lui.
- Il nostro informatore ha avvistato una nave della famiglia Charlotte al porto e da essa son scesi Charlotte Katakuri, Charlotte Perospero e un altro uomo non identificato, probabilmente sempre uno dei fratelli Charlotte. -
Ci fu un momento di silenzio che durò qualche istante. – Molto bene, puoi andare, considera il resto della giornata libero. –
L’uomo fissò la padrona, che si limitò ad annuire come una bambina confermando ciò che era appena stato detto.
 
Quando il domestico fu uscito dalla stanza il ragazzo che Antoinette stava massaggiando si voltò verso di lei e la donna sorrise timida, arrossendo appena.
- Sembra che la fortuna sia sempre dalla nostra parte, mia dolce Antoinette. –
- S-sì. –
- Mi faresti un favore? Potresti chiedere un blocco navale alla marina nell’arcipelago, solamente per qualche giorno e per piacere, fai preparare anche la mia nave per domani mattina. –
- Va bene, ma non mi lascerai vero? – chiese come spaventata da quella possibilità e lui le sorrise afferrando con delicatezza la bolla che le proteggeva il capo per potergliela sfilare e darle un delicato bacio.
- Ma come potrei, d’altro canto sono di tua proprietà no? –
La donna annuì piano, senza smettere di sorridere.
- Ora va in camera, ti raggiungo a breve, non preoccuparti. –
 
Appena rimase solo si concesse un leggera risata, si alzò dal letto e si diresse vero il tavolo sul quale aveva appoggiato i suoi vestiti e la maschera di giada, che Antoinette aveva fatto fare per lui, per impedire a qualunque altra persona di poter vedere il suo viso.
- Oh, mia dolce, piccola, stupida, ingenua Antoinette. – ghignò maligno, fissando il proprio riflesso nella maschera – siamo giunti all’atto finale, ed è un vero peccato che ne tu, ne nessun’altro stupido nobile di questa scialba famiglia ne vedrete l’alba. –
 
 
 
 
Angolo dell’autore: Ed eccoci entrati nell’effettivo vivo della storia ambientata nel presente! Eh già il rapimento della sorella di Jonathan era solamente un “prologo” se così si può definire.
Non sono soddisfattissimo di come è uscito, ma ho dato il mio meglio, diciamo che era un capitolo di transizione appunto.
Altre piccole e veloci note: Jolanda prende il nome dalla figlia del Corsaro Nero di Salgari, che per l’appunto si chiama Jolanda e il motivo per cui Cracker non è stato riconosciuto è che, come rivela lui stesso, ai molti il suo vero volto è sconosciuto, tanto che nel suo Wanted è presente la foto di un soldato biscotto.
Ci tengo infine a ringraziare tutti voi lettori e sostenitori che seguite la storia e la mettete fra le preferite, con una menzione particolare per Giuly, Yumi, Fenris  e anche Chiara_BarianForce per le bellissimi parole spese per il mio lavoro nell’ultimo capitolo.
Alla prossima!
 
- Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 4 - La fiera ***


- La fiera -
 
 
Non era mistero che fra i pirati di Rocks non scorresse buon sangue e che la principale motivazione dell’unione di quella ciurma era il fatto che assieme erano pressoché invincibili, purtroppo, essendo l’opportunismo reciproco l’unico collante che li teneva assieme, violente e brutali liti fra membri della ciurma erano all’ordine del giorno.
Linlin ne era più che abituata, ma quella sera, dopo quella che a sua memoria era stata la lite più violenta che avesse mai avuto con quello stronzo megalomane di Kaido e quel disgustoso e viscido verme di Silver Axe, sentì improvvisamente, per la prima volta in vita sua, il bisogno di sfogarsi con qualcuno, con qualcuno che la stesse ad ascoltare e non fosse un leccapiedi e le desse semplicemente ragione per paura delle conseguenze.
Così quella Den Den Mushi che era rimasta inutilizzata per qualche mese, ferma lì, sul comodino della cabina della sua nave personale, senza che mai nessuno la toccasse, per la prima volta venne utilizzata.
Poco le importava se erano le due di notte, Jonathan aveva chiaramente detto che lei avrebbe potuto chiamarlo quando voleva.
Ci volle qualche istante prima che l’assonata voce del pasticciere rispondesse dall’altro capo.
 
- P-pronto? – rispose con la voce impastata il ragazzo
- Pronto eh! Ce ne hai messo di tempo a rispondere! –
Jonathan quasi si strozzò con la saliva a sentire la voce della piratessa – Oh, questa proprio non me l’aspettavo, la grande Charlotte Linlin che mi chiama a quest’ora della notte! Ma non avevi detto che non volevi mai più sentire la “mia irritante voce”? – sghignazzò dopo un grosso sbadiglio.
- Falla finita! – soffiò irritata lei – Sei stato tu a dirmi che quando volevo avrei potuto chiamarti! –
 
Jonathan emise un leggero sospiro e si sedette sul letto massaggiandosi gli occhi con la mano libera, aveva già sentito la voce di Linlin quando era innervosita o arrabbiata e quella sera, gli sembrava che la voce della donna nascondesse qualcosa di più che semplice irritazione o pura rabbia.
 
- Che è successo Linlin? – Domandò in tono gentile, quel tono così comprensivo e dolce che aveva avuto anche la prima volta che si erano conosciuti e Linlin come allora ne fu per qualche istante destabilizzata.
- È successo che i miei compagni sono dei veri e propri bastardi! Dovrei sgozzarli tutti nel sonno! –
- Beh, mi fa piacere che la vostra ciurma sia tenuta assieme da un profondo legame di amicizia –
- Poche ore fa quello schifoso di Silver Axe mi ha detto che l’unico motivo per cui una donna dovrebbe stare su una nave è scaldare il letto dei pirati che vi navigano sopra! E quel maledetto di Kaido gli ha dato corda! Colpendomi con il suo stupido kanabo quando ho provato a dare una lezione a quel maiale di Axe - urlò lei.
- È una cosa, orribile, mi dispiace Linlin… - sussurrò dispiaciuto e preso dai sensi di colpa per la battuta che aveva fatto poco prima – Stai bene? Sei ferita? –
- Tse! Nulla di grave, solo una leggera ferita alla testa! I fortunati sono loro due, perché se non fosse intervenuto Edward li avrei decapitati entrambi! E poi si che avrebbero visto quanto vale una donna su una nave! –
- Posso immaginarlo – sorrise rincuorato Jonathan dall’altra parte della cornetta – però cerca di stare attenta ok? –
- Non ho bisogno che ti preoccupi per me! – sfuriò innervosita – Tu invece, come stai? – continuò subito dopo, calmandosi immediatamente; non lo avrebbe mai ammesso, ma la voce di Jonathan la calmava e voleva continuare quella conversazione.
- Assonnato principalmente, ma non posso lamentarmi, l’unica sfortuna è che qui non approdano più piratesse belle come te sai? – scherzò allegro il pasticciere.
- Ah! Puoi giurarci! -  rise lei in risposta, senza nemmeno accorgersene.
- Era una risata quella? Ho appena fatto ridere Charlotte Linlin? Questa non è una cosa che capita certamente tutti i giorni! – esclamò tronfio
- Cosa?! Assolutamente no! Dovresti farti visitare le orecchie da un medico! Probabilmente il calore del forno ha fatto dei danni! –
- Certo, certo lo farò, però tu cerca di prendere lezioni da un buon bugiardo, continui ad averne un gran bisogno sai? –
 
Nonostante l’ovvio ringhio che ricevette come risposta, la conversazione proseguì per più di un’ora e quando la chiamata si chiuse, Linlin riuscì a prendere sonno serenamente.
Da quella sera le chiamate si fecero sempre più frequenti: il mese seguente ne arrivarono due o tre, poi cominciarono a diventare due o tre a settimana, fino ad arrivare ad almeno una chiamata al giorno, in cui Linlin si chiudeva o nella sua stanza a palazzo oppure nella sua cabina sulla sua nave e parlava con Jonathan, raccontandogli semplicemente della sua giornata, di come era stata gloriosa in battaglia, evitando accuratamente le parti che sapeva che lui avrebbe disprezzato, oppure sfogandosi, parlando con lui di quanto fosse fastidiosa la gravidanza che stava affrontando, di quanto fossero stronzi i suoi compari o di quanto fossero spesso inefficienti i suoi soldati.
Certo gli insulti non mancavano mai da parte della piratessa, come non mancavano mai le risposte irritate o le giornate in cui per nessun motivo sbatteva la cornetta in faccia al pasticciere, però, qualsiasi cosa lei dicesse il giorno dopo la Den Den Mushi tornava a suonare nella camera di Jonathan.
Le cose andarono avanti così per diverso tempo, finché una mattina verso l’ora di pranzo, mentre Jonathan era voltato di spalle a infornare l’ennesima torta che aveva accuratamente preparato, venne richiamato da una voce che ormai era ben abituato a riconoscere e sentire.
 
- Voglio che mi prepari i tuoi cupcakes, cerca di sbrigarti. –
Un sorriso nacque sulle labbra del ragazzo mentre si voltava verso Linlin pulendosi la farina dalle mani con un canovaccio – Mi fa piacere rivederti Linlin – sorrise lui – quindi alla fine non hai resistito e sei tornata a trovarmi eh? Beh non posso biasimarti, ho il mio fascino. –
- Non farti illusioni! Capitavo di qui per caso e avevo una gran voglia di cupcakes e si da il caso che i tuoi siano accettabili. – mentì lei – E sei sporco di cioccolato sulla guancia. –
- Ah! Accidenti! – si pulì velocemente e goffamente col pollice, mentre le gote si fecero leggermente rosse per l’imbarazzo – Arrivano subito i cupcakes comunque, prendi pure posto a uno dei tavoli, stavo per tirarne fuori un infornata proprio ora. – rise poi prima di dirigersi verso il forno e Linlin, quando il ragazzo le ebbe dato le spalle, senza nemmeno accorgersene, si sciolse in un leggero sorriso in risposta.
 
Aspettò seduta al tavolo una decina di minuti prima che Jonathan la raggiungesse appoggiando un cestino di cupcakes ancora fumanti sul tavolo sedendosi difronte a lei.
- Hai intenzione di tediarmi mentre mangio? Non devi lavorare? –
- Oh, non preoccuparti, ho finito il mio turno, mi sostituisce mio padre ora, posso tediarti quanto voglio. –
- Tu padre? Tuo padre, l’uomo che veniva chiamato “Indra” fa il pasticciere? –
- Certo. – rispose lui con tutta la naturalezza del mondo, indicando l’uomo che infilandosi il camice stava cominciando a lavorare, gettando ogni tanto occhiatacce alla donna – chi credi che mi abbia insegnato a fare dolci così bene? –
 
Linlin strabuzzò gli occhi, quella vista era oltra l’assurdo per lei: Raian era un uomo imponente, dai tratti ruvidi e spigolosi, un collo taurino e degli occhi mefistofelici neri come la pece, i corti capelli argentei e arruffati gli davano un’aura quasi ultraterrena e dalla tempia destra scendeva una grossa cicatrice che arrivava fino alle labbra increspate, le braccia sembravano tronchi d’albero, completamente ricoperte di cicatrici e quelle mani, che ora stavano impastando dolci, la piratessa era pronta a scommettere che avrebbero tranquillamente potuto frantumare l’arma più resistente con un’unica stretta.
Quello era un uomo che, nonostante si fosse dichiarato ritirato, lei mai avrebbe potuto immaginare con le mani sporche di farina e non di sangue.
 
- Lo so, fa un certo effetto vederlo impastare dolci eh? Ma posso assicurarti che nonostante l’aspetto è un uomo molto dolce! – rise lui facendo tornare l’attenzione della piratessa su di se – allora Linlin, dai perché sei qui? –
- Te l’ho detto! Passavo per caso e avevo voglia di cupcakes, ma già che ci sono ne approfitterò e mi fermerò qualche giorno per fare rifornimento. –
Jonathan trattenne una risata a quella bugia così goffa – Eh va bene, ma visto che è qui, cosa ne dice se la porto a fare un giro alla fiera dell’isola questa sera grande piratessa Linlin? Ci saranno dolci, bancarelle e fuochi d’artificio. – propose allegro – puoi considerarlo un nostro secondo appuntamento se ti fa piacere – concluse prendendola un po’ in giro.
La donna esitò un poco, ma poi acconsentì – Hm, va bene, tanto non ho di meglio da fare. – rispose in modo sgarbato inghiottendo voracemente l’ennesimo dolcetto, ma nuovamente nonostante tutto, Jonathan non si offese.
 - Molto bene, ti passo a prendere alle otto allora. – sorrise.
 
-------------
 
Come la volta scorsa, Jonathan, perfettamente puntuale, si presentò al porto, fermandosi davanti alla nave di Linlin, che era decisamente facile da riconoscere in mezzo a tutte le navi dei commercianti attraccate al molo.
Questa volta, vista la natura del loro appuntamento, aveva preferito un vestiario più formale, indossando una semplice camicia azzurra e dei pantaloni neri; inutile dire che rimase sorpreso quando vide scendere Linlin dalla nave notando che si era cambiata d’abito e che ora indossava un lungo vestito da sera rosa confetto, che dal petto arrivava fino alle caviglie, mettendo perfettamente in risalto le belle forme della donna, mentre aveva scelto di raccogliere i lunghi e morbidi capelli in una coda, che ora scendeva lungo le sue spalle.
Era semplicemente bellissima, la donna più bella che Jonathan avesse mai visto.
 
- Linlin…sei incantevole… - sorrise timidamente.
- Non c’è certo bisogno che me lo ricordi tu. – rispose tronfia e apparentemente indifferente la donna, ma la realtà era che per qualche ragione aveva perso diverso tempo a scegliere l’abito da indossare fra i pochi che aveva, come aveva perso tempo, per la prima volta in vita sua, ad acconciarsi i capelli.
- E sei anche modesta come sempre vedo – rispose immediatamente a tono lui, scherzandoci sopra come sempre – allora vogliamo andare? – chiese porgendole la mano.
Linlin esitò per qualche istante, ma poi, come la volta scorsa lo sorpassò cominciando a dirigersi lungo la via che portava fuori dal porto, seguita immediatamente da lui che emise uno sbuffo divertito.
 
La fiera era decisamente più grande di quel che la piratessa si aspettava, c’erano bancarella ovunque, con giochi, cibo e diverso artigianato che i mercanti e imbonitori vari provavano a vendere ai vari visitatori.
Non era sicuramente un’amante di certi ambienti, così melensamente gioiosi, però, doveva ammettere che le varie luci colorate emesse dalle lanterne e il profumo del cibo che proveniva dai diversi chioschi era quantomeno piacevole.
 
- Ah! È sempre bellissima. Sai, quando ero bambino ci venivo sempre, anche se ho iniziato a godermela veramente solo a undici anni quando ho iniziato a venirci con papà, mamma e mia sorella, prima ci sgattaiolavo da solo perché il mio vero padre era quasi sempre svenuto in qualche topaia. Ti Piace? –
- È sopportabile. Ho fame, portami a mangiare qualcosa. –
- Agli ordini! Infondo siamo qui per divertirci no? – trillò allegro dirigendosi verso una bancarella che serviva dei mochi.
 
I pensieri della donna, mentre camminava lungo le strade in festa al fianco del ragazzo erano tornati a quella sera di mesi prima, quando dopo quella lite coi suoi compagni lo aveva chiamato con la Den Den Mushi e avevano parlato per tanto tempo, a come dopo fosse riuscita incredibilmente a dormire serena, a come da quel giorno avesse sentito sempre più il bisogno di chiamarlo e di come avesse poi deciso di tornare su quell’sola, solo per rivederlo.
Poi cominciò a pensare a quanto fosse assurda quella situazione e lo era non tanto il fatto che fosse ad un appuntamento, di quelli ne aveva avuti tanti, con uomini che aveva sedotto per ottenere ciò che voleva o coi padri dei suoi figli, ma tutti li aveva odiati dal primo all’ultimo minuto; ciò che era assurdo era che in quel momento si stesse divertendo, che fra tutte quelle bancherelle e le infantili risate di Jonathan si sentisse a suo agio, tanto a suo agio da non disturbarle nemmeno mangiare quei mochi di pessima qualità che Jonathan le aveva comprato poco prima.
Linlin in quel momento era felice, senza neanche rendersene conto, era veramente felice, come forse lo era stata solo quando era con madre Caramel.
Jonathan aveva un magnetismo incredibile, emanava un calore umano disarmante, ma lei aveva imparato a sue spese che non bisognava mai abbassare la guardia nella vita, che chiunque è pronto a tradirti ed abbandonarti, per questo lei si era fatta mostro, per questo non avrebbe mai ammesso al ragazzo quanto gradisse in realtà la sua compagnia.
A distrarla dai suoi pensieri fu il pasticciere che si fermò improvvisamente davanti a una bancherella con un tiro al bersaglio, dove quasi immediatamente il basso e calvo proprietario si avvicinò a loro con un sorriso sornione.
 
- Oh, ma che coppia adorabile che siete! Che ne dici giovanotto di provare a vincere un bel regalo alla tua ragazza? –
- Noi non siamo una coppia! E io non sono certamente la usa ragazza! – inveì LInlin contro l’ometto che indietreggiò spaventato.
- Non si preoccupi, non le farà del male è solo un po’ timida, ma sì, siamo solo amici. –
- Cosa sarei io?! –
- Oh, niente Linlin non preoccuparti. – rispose divertito per poi mimare con le labbra la parola “timida” all’uomo che ora si teneva a debita distanza dai due, stando ben attento a farsi vedere da Linlin mentre lo faceva.
- Sei insopportabile! –
- Sei solo gelosa perché se ci sfidassimo a questo gioco perderesti miseramente. –
Lei lo fulminò con lo sguardo – Quanto costa un giro? – chiese lapidaria.
- C-cinquecento Berry signorina. –
Molto bene, se Jonathan desiderava così tanto farsi umiliare allora lei lo avrebbe accontentato, credeva veramente di poter battere lei? Certo le pistole non erano l’arma che utilizzava di più in battaglia, ma non era certo nuova alle armi da fuoco.
- Preparati a piangere – dichiarò sbattendo diverse monete sul bancone, mentre Jonathan semplicemente si limitò ad alzare le spalle con un grosso sorriso andando ad imbracciare uno dei fucili a tappo appoggiati davanti a loro.
 
-------------
 
Linlin, con una misera trottola di legno tra le mani, continuava a fissare innervosita Jonathan che con sottobraccio un grosso orso rosa di peluche ricambiava lo sguardo con un grosso sorriso soddisfatto sulle labbra.
 
- Beh, a quanto pare… -
- Non dire una parola Jonathan! Quel gioco era truccato! Ne sono sicura, ecco perché hai vinto. –
- Certo che lo era, ma se sai il trucco non è difficile vincere. –
- Cosa?! Adesso quel maledetto giostraio da quattro soldi me la paga carissima! –
- Wow! wow! Calmati dai, non è successo nulla di grave – cercò di tranquillizzarla Jonathan mettendosi davanti a lei – e comunque quest’orso l’ho vinto per te, quindi non arrabbiarti dai. –
- La trottola me la tengo comunque. – soffiò stizzita andando a strappare il peluche dalle mani del ragazzo.
- Senti Linlin, si sta facendo tardi, cosa ne dici se andiamo alla scogliera? –
- Hm, come ti pare, ma ho fame, prima passa dalla tua locanda a prendere dei… -
- Cupcakes? Ma certo Linlin, li avevo già preparati oggi pomeriggio, devo solo prendere il cestino dal bancone – sorrise lui.
 
La vista da quella scogliera era meravigliosa, esattamente come la volta scorsa, non c’era ombra di nubi e la luna illuminava la superfice del mare specchiandovisi dentro, i rumori e le musiche della fiera ora erano solo un lontano brusio, che veniva spesso sovrastato dal costante scrosciare delle onde e dai leggero fruscio delle foglie proveniente dal boschetto alle loro spalle.
Linlin passò le dita fra la stoffa della tovaglia che Jonathan aveva appoggiato per terra prima di andare a prendere uno dei cupcakes che il ragazzo aveva preparato e addentarlo; li adorava, erano forse i dolci più buoni che avesse mai mangiato, nemmeno Streusen era riuscito ad eguagliarli, sapeva anche benissimo che pure Jonathan si era accorto di quanto li adorasse, ma lei non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di dirglielo.
 
- Sai Linlin, un giorno mi piacerebbe prendere il mare e visitare il mondo, scoprire nuovi dolci da diversi pasticcieri, scoprire nuovi ingredienti, ho sento per esempio che in alcune isole più a sud coltivano una delle migliori vaniglie del mondo. –
- Non dureresti neanche un’ora tu su una nave là fuori! –
- Suppongo tu abbia ragione – rispose lui grattandosi la nuca ridacchiando – però sarebbe bello. Forse un giorno, quando il mondo sarà un po' meno caotico, ci riuscirò. –
- Il mondo non cambierà mai Jonathan e non smetterà mai di punire i deboli, che sempre verranno schiacciati dai potenti. –
- È per questo che stai in quella ciurma di stronzi? –
- Li sto semplicemente usando per i miei scopi – rispose secca e lapidaria lei.
- Per creare quella nazione di cui mi avevi parlato giusto? Quella dove nessuna razza soffrirà discriminazione o odio? – Jonathan si stese sul telo mentre parlava – È un sogno meraviglioso Linlin, è un sogno che dimostra che persona tu sia realmente, dietro la maschera che ti sei voluta costruire. –
 
La pirata rimase in silenzio per un po', a rigirarsi fra le mani l’ennesimo dolcetto che aveva preso dal cesto che Jonathan aveva messo fra loro due.
Quel ragazzo vedeva il mondo in modo assurdo, era come se volesse cercare il bene in ogni cosa, anche in un mostro come lei.
 
- Io sono un mostro! Non ho nessuna maschera, devi mettertelo in testa, la gente fa bene ad aver paura di me. –
- Me lo hai detto anche l’altro volta, eppure non mi risulta che i mostri sognino di creare paesi dove la discriminazione e l’odio fra razze non esistano. –
- Questo non… -
- Linlin ascolta, non sono stupido, so benissimo che nel mondo c’è tanto nero e posso capire che quello che ti è successo ti abbia portato a vedere solo quello, ma fra tutto quel nero, ci sono anche tanti colori, basta imparare a vederli. –
- Sei solo uno sciocco se lo pensi… -
- Può essere, ma non cambierò idea. – si limitò a risponderle con un sorriso.
 
Nei giorni seguenti Linlin seguì una routine piuttosto monotona: ogni mattina andava a fare colazione alla pasticcieria di Jonathan, dove rimaneva quasi tutta la mattinata a mangiare a scrocco una quantità inaudita di cupcakes, il pomeriggio tornava alla sua nave dove supervisionava che i suoi ordini dati la mattina prima di allontanarsi fossero stati eseguiti correttamente e poi, ogni sera alla stessa ora usciva con Jonathan, andando per locande, bar o semplicemente passando del tempo sulla scogliera a guardare il mare.
Naturalmente lei non perdeva mai occasione di dire al ragazzo che, l’unico motivo per cui lo faceva, era che altrimenti si sarebbe annoiata a morte sulla sua nave e che potendo mangiare da lui a sbafo ne approfittava.
La realtà però era che stare con Jonathan la faceva stare bene e quei cinque giorni trascorsi lì con lui erano stati incredibilmente piacevoli.
Da quando aveva incominciato a chiamarlo tutti i giorni con quella Den Den Mushi erano cambiate alcune cose, era come se odiasse meno il mondo per certi versi, forse quel ragazzo era la cosa più vicina ad un amico che avesse mai avuto.
La quinta sera, quando Jonathan la riaccompagnò alla nave le porse un grosso cesto ricolmo di cupcakes glassati che aveva recuperato ritornando dalla scogliera.
 
- So che domani partirai, tieni questi sono per il viaggio di ritorno, così non sentirai troppo la mancanza della mia deliziosa cucina. –
La pirata in risposta si limitò a sbuffare alzando gli occhi al cielo irritata e prendendo il cestino dalle mani del ragazzo.
- Allora, ci sentiamo domani sera con la Den Den Mushi? –
- Se mi ricordo. – rispose piatta lei facendolo sorridere.
- Ascolta Linlin, questi giorni per me son stati molto piacevoli, sappi che se mai ricapiterai da queste parti e avrai voglia di cupcakes, beh non farti problemi a venire nella mia pasticcieria ok? –
- Se capiterò da queste parti prenderò in considerazione l’idea…infondo son stati cinque giorni quasi sopportabili. –
 
E detto questo Linlin si voltò e cominciò a salire sulla propria nave, mentre Jonathan dopo averla salutata con un gesto della mano e un sorriso si diresse verso casa.
 
-------------
 
Una volta a bordo la donna si diresse immediatamente verso la sua cabina per riposare, era tardi e quasi tutto l’equipaggio era a dormire.
L’unico sveglio era il pirata che presidiava la sua stanza, un certo Blast, un uomo alto, persino più di lei dai tratti animaleschi e con una taglia sulla testa di oltre quattrocento milioni di Berry che lei aveva preso nella sua ciurma personale per far in modo che si sbarazzasse di tutti i fastidiosi sfidanti ogni tanto decidevano di palesarsi assaltando la sua nave.
 
- Non far entrare nessuno fino a tarda mattinata, sono stanca e voglio dormire. –
- Certamente capitano, quel cesto è… -
- Blast, vedi di non impicciarti in cose che non ti riguardano o ci saranno conseguenze. –
 
L’uomo si zitti immediatamente, aprendo la porta della stanza per permettere al suo capitano di entrarci.
Quando la porta alle sue spalle si chiuse Linlin andò ad appoggiare il cesto di dolci sul comodino, dove riposava la Den Den Mushi e quell’orsacchiotto rosa che Jonathan le aveva regalato qualche giorno prima dopo averla battuta a quello stupido gioco truccato.
- Hai scelto la nave sbagliata in cui intrufolarti amico! –
La voce di Blast, seguita da un violento schianto, però, arrivò quasi subito alle sue orecchie facendola sbuffare innervosita, aveva detto mille volte a quell’energumeno senza cervello di sbarazzarsi in silenzio degli scocciatori, soprattutto quando lei voleva riposarsi.
Uscì irritata dalla sua cabina, pronta a fargliela pagare.
- Ti ho sempre detto di non far casino quando… -
 
Le parole le morirono in bocca quando notò il pirata steso per terra contro i bordi della nave con gli occhi sbarrati e la mascella rotta, davanti a lei invece, appoggiato all’albero maestro c’era Raian che ora la osservava in silenzio.
La donna spostò nuovamente lo sguardo sul suo sottoposto che dava l’idea che non si sarebbe certamente ripreso a breve, poi di nuovo sull’intruso; illuminato dalla luce lunare Raian dava l’impressione di un vecchio leone, a cui però la forza non era ancora sparita e a cui i lunghi peli argentei sulle maestosa criniera non facevano altro che dare un aspetto più regale.
Linlin portò d’istinto la mano alla spada, pronta a difendersi.
 
- Non ho intenzione di farti del male, se tu non attacchi prima come ha fatto lui, non muoverò un dito contro di te. –
- E che cosa vuoi allora di preciso? Hai detto che non sei interessato alla conquista per questo non ti sei unito a noi giusto? Per quale motivo allora sei qui? –
- Sono qui perché mio figlio per qualche oscuro motivo ti vede in modo positivo, sono qui perché mio figlio è più felice da quando parla con te e perché ho visto quanto lo fosse in questi giorni. – rispose lui, facendosi più vicino, fissandola negli occhi, con quegli occhi neri come la pece così diversi da quei dolci occhi azzurri di Jonathan – Io disprezzo te e tutti i Rocks, ma mio figlio ha ormai ventun anni e non ho certo intenzione di dirgli chi deve frequentare, ma sappi questo Charlotte Linlin: se per qualche ragione, qualsiasi ragione, succedesse qualcosa a mio figlio per colpa tua, io caccerò te e i tuoi compari fino all’inferno e vi ucciderò uno ad uno. Sono stato chiaro? – chiese gelido
- Cristallino. – sibilò velenosa lei, resistendo alla tentazione di attaccarlo, per evitare quello che sarebbe stato uno scontro decisamente violento, dal quale non era sicura di poter emergere vincitrice.
- Molto bene. –
 
E come era arrivato Raian sparì con un balzo verso il molo, dileguandosi immediatamente dalla vista della pirata, che si ritirò nuovamente nelle sue stanze, sbattendo la porta dietro le sue spalle e non curandosi minimamente di far dare a Blast le cure necessarie.
Era furiosa, come diavolo si permetteva quell’uomo di trattarla in quel modo? Cosa sperava di ottenere con quelle minacce? Lei avrebbe continuato a chiamare e vedere Jonathan quanto diavolo le sarebbe parso.
 
 
 
 
Angolo autore: Bene ragazzi eccoci qua, questa volta son stato decisamente più rapido ad aggiornare, ma quando si tratta di scrivere di questi due devo ammettere che la scrittura mi viene decisamente più fluida! Mi sto proprio innamorando della coppia in un modo che non pensavo fosse possibile ahahaha
Una piccola nota: Silver Axe è un effettivo membro dei Rocks che Sengoku nomina di cui però non sappiamo assolutamente nulla, per cui mi son preso totale libertà sul come gestirlo.
Ringrazio infinitamente tutti i lettori con una menzione particolare a chi ha aggiunto la storia fra le preferite e/o nelle storie da ricordare e per chi recensisce sempre lasciandomi sempre bellissime parole d’incoraggiamento!
Alla prossima! (che spero di riuscire a pubblicare con la stessa velocità)
 
- Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 5 - L'uomo con la maschera di giada ***


- L’uomo con la maschera di giada -
 
 
- Ah! Queste sì che sono riunioni che ti scaldano il cuore! – sghignazzò Cracker appoggiato all’albero maestro, mentre fissava Jolanda e Jonathan riabbracciarsi.
Katakuri annuì appena, prima di spostare lo sguardo sul minore – Eppure ho come la sensazione che tu non sia soddisfatto vero? –
Il ministro dei biscotti sbuffò – Già, per nulla! Quest’avventura è finita troppo presto non abbiamo scoperto nulla sul nostro nuovo fratellino e già dovremmo dirgli addio? Io voglio sapere di più! voglio indagare! –
- Non se ne parla, questo è l’ultimo dei momenti in cui possiamo anche solo permetterci di pensare a disobbedire a un ordine di mama, la missione è finita e il fatto che si sia svolta il più velocemente possibile è solo un bene, perorin! – puntualizzò Perospero cominciando ad avviarsi verso la cabina del capitano – vado a fare rapporto, poi incominceremo il viaggio di ritorno. –
Quando il fratello più anziano si fu allontanato Katakuri andò ad appoggiare una mano sulla spalla di Cracker – Abbi pazienza, forse superata questa situazione di instabilità riusciremo a scoprire qualcosa su di lui, intanto andiamo a parlargli. –
 
Quando furono vicini a Jolanda e Jonathan, quest’ultimo prese la parola prima che i comandanti sweet potessero aprire bocca.
- Non so veramente come ringraziarvi, vi sono debitore e avevi ragione Cracker, non l’hanno toccata, è solo un po’ scossa, ma si riprenderà è una ragazza forte! - sorrise il pasticciere avvolgendo il braccio attorno alle spalle della sorellina per stringerla a sé – non è vero? –
- Già! – annuì Jolanda, andando ad asciugarsi con il dorso della mano le lacrime di gioia – e Cracker, scusami per il calcio, mi spiace se ti ho fatto del male. –
- Oh! Non preoccuparti mia dolce Jolanda! Devi sapere che la sotto io sono duro come la roccia! Mi sono ripreso subito – sentenziò fiero il viola portando Katakuri a schiaffarsi una mano sul viso esasperato dalle battute e dei modi infantili del fratello – però se proprio vuoi scusarti puoi venirmi a trovare sulla mia bellissima isola! So fare dei biscotti squisiti! Posso crearli di qualsiasi forma tu voglia! Che tipo di animaletti ti piacc… - fu la mano di Katakuri, piazzandosi sulla bocca del minore, a fermare quel delirante discorso, una volta che il comandante della farina si accorse del disagio in cui la povera Jolanda versava.
- Perdonate la pessima educazione di mio fratello, sfortunatamente nonostante l’età è ancora un moccioso mentalmente. –
- N-non c’è problema. – rispose timida lei.
 
Passarono una decina di minuti a chiacchierare del più e del meno, prima di venir interrotti dal violento sbattere della porta della cabina nella quale si trovava Perospero, che ora, uscito dalla stanza, fissava con occhi iniettati di sangue Cupcake.
- Tu! Maledetto bastardo traditore! –
Prima ancora che l’uomo potesse capire cosa stesse accadendo e provare a difendersi, il primogenito di Big Mom gli fu addosso stringendogli la mano buona attorno al collo facendolo impattare contro uno dei muri della nave.
Jolanda, in preda al terrore lanciò un urlo, mentre sia Katakuri che Cracker trasalirono, non comprendendo il comportamento del maggiore.
- Che diavolo fai fratellone Peros?! Quello è nostro fratello minore! – intervenne preoccupato Cracker
- Smoothie mi ha avvertito che è appena stato istituito un blocco della marina poco fuori da questo arcipelago! Era tutta una trappola! Aveva ragione fratello Daifuku, non dovevamo fidarci e dovevamo ucciderlo! – ringhiò furioso.
Non poteva sopportarlo, faceva bene a provare astio nei suoi confronti, era ovvio fosse un traditore, un bugiardo, che non fosse uno Charlotte e che la donna in quella foto non potesse essere la loro madre.
Charlotte Linlin non era capace di amare e non lo era mai stata.
- Non ho idea di cosa tu stia parlando – rispose Jonathan stringendo le proprie mani attorno al polso del ministro delle caramelle – primo sono un semplice pasticciere, secondo se avessi voluto tradirvi non avrebbe avuto alcun senso coinvolgere in questo modo anche mia sorella ed espormi tanto non credi? –
- Lascialo subito andare fratellone Peros! – sibilò Cracker portando la mano a Pretzel, con un tono di voce che mai aveva rivolto a un suo fratello – quello che dici non ha senso, come diavolo avrebbe fatto ad organizzare un blocco della marina? E anche se fosse ci avrebbero aspettato al porto non credi? –
 
Perospero mollò la presa e si voltò verso il terzo comandante sweet.
- Adesso per un completo estraneo ti rivolti contro la tua famiglia Cracker?! –
- Sei tu che ti stai rivoltando contro il tuo stesso sangue fratellone Peros, maledizione! Ragiona! –
- Siete voi che dovete ragionare, questa è tutta una follia, non riesco nemmeno a capire perché mama ci abbia dato questa stupida missione! –
Il sordo rumore del calcio di Jolanda contro lo stinco di Perospero interruppe il litigio fra i due fratelli.
- Lascia stare il mio fratellone! Non ha fatto niente! –
- Brutta piccola… - Perospero alzò la mano in modo minaccioso ma, questa volta fu Katakuri a intervenire bloccando il polso del maggiore per fermare il violento schiaffo che aveva intenzione di tirare alla ragazza.
- Vediamo di calmarci tutti. – disse stoico – quello che Cracker dice è vero fratello, non possono essere stati loro, il blocco non è un problema basterà trovare un posto in cui fermarci per qualche giorno. –
- Casa mia. – intervenne Cupcake massaggiandosi la gola mentre si alzava a fatica – casa mia è abbastanza grande per ospitarvi tutti e tre e si trova prima dei confini di questo arcipelago, non sarà un problema. –
 
Ci fu qualche secondo di silenzio prima che il primogenito di Big Mom si allontanasse senza dire una parola, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutti i presenti.
- Vi chiedo scusa, è solo che nostro fratello Perospero è molto protettivo nei nostri confronti, è stato lui che ci ha fatto da padre… - sospirò Katakuri avvicinandosi a Jonathan per controllare che stesse bene.
- Nessun problema, infondo lo capisco. –
- Casa tua è seriamente abbastanza grande per ospitarci tutti e tre? –
- Certamente, infondo vi sono debitore, anzi, vi siamo debitori –
- Molto bene allora. –
 
Cracker, che risolatasi la situazione era tornato al normale sé stesso nel giro di pochi secondi, fece un sorriso enorme e si avvicinò a Jolanda.
- Che bello mia dolce Jolanda! Staremo assieme ancora qualche giorno! Così potrò convincerti a venirmi a trovare! –
La ragazza dai capelli blu fissò sconsolata il ministro della farina – Fa sempre così? –
- Sfortunatamente sì. – sospirò Katakuri – ora andate a riposarvi, partiremo domani mattina, a questo punto tanto vale approfittarne per dormire questa notte. -
 
-------------------------------
 
Il sole era già alto nel cielo quando entrarono nella grande sala dove avrebbero consumato la loro colazione.
Antoinette camminava in silenzio, stretta al braccio del suo accompagnatore, portando così su di loro diversi sguardi poco amichevoli dai membri della nobiltà presenti in sala, giunti li per discutere di questioni economiche con la famiglia della nobile mondiale.
Il fatto era che Saint Antoinette non era solo una donna decisamente bella dai tratti delicati e occhi color smeraldo, con capelli color carota raccolti nella tipica capigliatura dei Draghi Celesti e un corpo snello, curato e tonico, che perfettamente si abbinava alla nivea pelle, ma era anche un ambitissimo partito come moglie in quanto sposarla avrebbe dato a qualsiasi nobile lì presente non solo il rango di Drago Celeste elevandolo così all’alta nobiltà mondiale, ma li avrebbe anche posti a capo di un consiglio di Draghi Celesti che la famiglia della ragazza capitanava.   
Ed invece si trovavano ad osservare le mani della ragazza avvinghiate al braccio di uno schiavo.
In quella stanza lo conoscevano alla perfezione tutti ormai: lo schiavo preferito di Saint Antoinette, la luce dei suoi occhi, il suo tesoro più prezioso, la sua ossessione più grande.
Suo padre, Saint David, glielo aveva regalato tanti anni prima e da quel momento la ragazza aveva perso la testa: aveva fatto costruire solo per lui una maschera di giada, per impedire a chiunque altro di vedere il suo viso, la cui bellezza si raccontava potesse rivaleggiare quella di un Dio, mai aveva alzato un dito su di lui ne aveva mai obbligato il ragazzo a fare qualsiasi lavoro, si era persino rifiutata di marchiarlo, donandogli invece due preziosissimi gemelli di rubino, che lui portava ai polsi dell’altrettanto costoso abito, raffiguranti il simbolo degli schiavi, possedeva addirittura una nave personale e la totale libertà di movimento in solitaria.
Quell’uomo che si era appena seduto al tavolo al fianco della padrona di casa, che sulla carta doveva essere uno schiavo, aveva vissuto una vita decisamente migliore di tutti loro.
 
- Siete radiosa questa mattina Saint Antoinette. – la salutò Don Harold, uno dei nobili presenti, nonché ricco commerciante di schiavi; saluto che venne però ignorato dalla donna concentrata più sull’uomo al suo fianco.
- Mio adorato, oggi le tue faccende occuperanno molto tempo? –
- No, non temere, sarò a casa prima del tramonto e potremo cenare assieme. – si limitò a rispondere lui carezzandole il viso con l’indice, facendola sorridere come una ragazzina al primo amore, nonostante avesse ormai quasi trent’anni – Nel frattempo, occupati di tuo padre, credo che ormai i suoi giorni stiano per giungere al termine, pover’uomo. –
- Già! Povero papà! – trillò lei portando gli occhi del resto dei presenti su di sé – Ma quando sarà morto, io e te potremmo finalmente sposarci! Come desideriamo da tanti anni ormai! –
Nella stanza calò il gelo vedendola così allegra alla notizia dell’imminente morte del padre.
Le labbra dell’uomo si inarcarono in un leggerissimo sorriso mentre si portava alla bocca l’ennesimo boccone di pregiata carne attraverso la piccola fessura della maschera.
- Già, è proprio così mia dolce Antoinette. –
A nessuno dei commensali piacque quella notizia, anche se non ne furono sopresi in alcun modo, le condizioni del padre di Antoinette erano già note, come lo erano le intenzioni della donna di sposare il suo adorato schiavo e prenderlo come suo unico marito.
Il padre, quando lei glielo aveva comunicato, si era opposto, sostenendo che mai uno schiavo avrebbe potuto prendere le redini della loro importante famiglia, ma poco dopo era caduto misteriosamente malato, degenerando di giorno in giorno.
 
- Adesso io devo andare, devo sbrigare alcune faccende per papà! E poi devo visitare le chiese per scegliere quella più bella per noi due! – squittì allegra – ci vediamo questa sera mio adorato, la tua nave è già pronta come hai chiesto. –
- Ti ringrazio cara, a questa sera, cercherò di non fare tardi. –
Quando la donna uscì dalla stanza assieme alle sue guardie del corpo gli sguardi d’astio verso l’uomo si fecero più intensi, senza che nessuno osasse però proferire parola, mancargli di rispetto infatti poteva portare a conseguenze decisamente pessime.
 
- Don Harold. – interruppe il silenzio lui poggiando le posate d’argento sul tavolo per poi pulirsi le labbra col tovagliolo in modo signorile. – Cerchi di non esagerare quando si rivolge alla mia compagna. –
L’uomo strinse la tovaglia fra le mani innervosito, detestava che una persona che per lui dovesse valere meno di un oggetto gli parlasse in quel modo.
- Cosa intendi dire? –
- Intendo dire che è importante conoscere il proprio posto nel mondo, se si sfora e ci si addentra dove non si deve si rischia di rimanere bruciati o peggio. –
- Mi stai forse minacciando schi… - un altro nobile vicino a lui gli sferrò un violento calcio sulla gamba per zittirlo.
- Imbecille vuoi morire? – gli sussurrò cercando di non farsi sentire.
- Minacciarvi? Oh, non siate sciocco Don Harold, un’umile schiavo come me non si permetterebbe mai di minacciare la vostra persona – rispose il mascherato con una calma raggelante per poi alzarsi per andare ad appoggiare le mani sulle spalle del nobile e avvicinando le labbra al suo orecchio, facendolo sussultare. – Tuttavia, i ratti di fogna devono rimanere nelle fogne e non invadere le case degli umani se non vogliono finire avvelenati non crede? È sia nell’interesse dei ratti che potranno continuare a condurre la loro vita, sia nell’interesse degli umani, che potranno contare su una casa più pulita che questo avvenga. –
Don Harold deglutì e annuì appena facendosi più mesto.
- Molto bene, ora vogliate scusarmi, ma ho delle faccende che mi attendono e devo raggiungere la mia nave, vi prego di godervi la colazione e il pranzo che i nostri chef vi prepareranno per il viaggio di ritorno presso le vostre dimore. –
Detto questo uscì dalla stanza, lasciandola immersa in un silenzio tombale.
 
 
-------------------------------
 
 
- Certo che questo villaggio è veramente bello! – commentò Cracker passeggiando al fianco di Jonathan e Jolanda, mentre Katakuri e Perospero li seguivano pochi metri indietro.
- Già, è un posto meraviglioso in cui crescere. –
- E dimmi fratellino – continuò il discorso il viola andando a cingere il grosso braccio attorno alle spalle del fratello appena conosciuto con un furbo sorriso stampato in faccia – Com’è la situazione a pollastre qui? –
Jonathan emise un grosso sospiro, mentre Jolanda fissò Cracker in malo modo.
- Oh, ma non temere mia dolce Jolanda! Son sicuro che tu sia la più bella fra tutte! – sghignazzò lui grattandosi la nuca e ricevendo in risposta un roteata di occhi.
 
Camminarono un altro paio di minuti in silenzio prima di arrivare all’entrata di una pasticcieria, dalla quale usciva un delizioso aroma di dolci appena sfornati, tanto da far brontolare lo stomaco di Cracker che non era riuscito a fare colazione.
- Eccoci arrivati, questa è la pasticcieria dove lavoro, io abito qui sopra, mentre i miei genitori e Jolanda poco distanti da qui, a giudicare dall’odore però mamma si è messa al lavoro questa mattina, siete fortunati, i suoi dolci sono squisiti saranno un’ottima colazione. –
 
Quando il vecchio e leggermente arrugginito campanello suonò segnando la loro entrata nel locale vennero accolti da una gentile voce femminile.
- Oh, benvenut…Jonathan! Jolanda! Bambini miei siete tornati! – la piccola ed esile donnina dai capelli biondi che sedeva dietro il bancone corse loro incontro abbracciando i due ragazzi, mentre grosse lacrime di gioia scendevano dai suoi occhi. – Come sono contenta di rivedervi sani e salvi! –
- Te lo avevo promesso no mamma? Che sarebbe andato tutto bene - sorrise il rosa – e poi quello che avevi detto era vero, Big Mom ha accettato di aiutarci. –
- Già! – continuò allegra Jolanda – Questi sono Cracker, Katakuri e Perospero! Mi hanno salvata loro! –
La donna fissò il trio di uomini dietro i suoi due figli per un po' prima di fare un inchino di riconoscenza leggermente riluttante; odiava gli Charlotte e più di tutti odiava Charlotte Linlin, ma in quel caso non poteva che ringraziare sia lei che la sua prole per ciò che avevano fatto.
- Vi ringrazio con tutto il mio cuore per aver riportato mia figlia a casa sana e salva! –
- La prego signora, non c’è bisogno di queste formalità – intervenne il ministro della farina – anzi ci scusiamo per il disturbo –
La bionda osservò il figlio non capendo cosa il pirata intendesse dire.
-  È stato istituito un blocco della marina, fino a quando non lo scioglieranno li ospiterò qui su a casa mia. –
La donnina fece un leggero sospiro e annuì.
- Certamente, nessuno disturbo figuratevi, avete salvato la mia bambina è il minimo che la mia famiglia vi ospiti, ma prego sedetevi avrete fame, prendete pure posto nei tavoli lì fuori, è una bella giornata, sarebbe un peccato non godersela. – disse – Ditemi cosa posso portarvi? –
- Oh! Oh! Io voglio dei biscotti! – alzò la mano Cracker agitandosi come un bambino
- Andranno benissimo anche per me signora, se può però portarmi anche una buona tazza di thè sarebbe fantastico perorin! – aggiunse Perospero, che nonostante fosse ancora infuriato e nervoso mantenne come sempre le buone maniere.
- Io sono a posto così, la prego non me ne voglia, ma non riesco a mangiare in pubblico, signora…mi scusi credo di non aver capito il suo nome. –
- Oh, che sbadata vi chiedo scusa, mi son scordata di presentarmi. – si scusò lei – Mi chiamo Helen, Helen Tew. –
- È un piacere conoscerla Helen, anche se sua figlia mi ha preceduto e forse già ci conosceva, mi permetta di presentarci, il mio nome è Charlotte Katakuri, questo alla mia destra è mio fratello minore Cracker –
- Yo! –  salutò lui battendosi due volte il pugno sul petto e mostrando le dita a v con un grosso sorriso stampato sul volto.
- E lui è nostro fratello maggiore Charlotte Perospero. –
- Piacere di conoscerla. – si tirò leggermente verso il basso la tesa del cappello Perospero.
- Piacere mio. – sorrise.
 
Katakuri prese il suo tempo per osservarla, doveva avere pressoché l’età di mama, anno più anno meno, era di statura bassa e di corporatura minuta, con bei capelli biondo platino e gentili occhi verdi al centro dei quali c’era un buffo naso a patata, indossava dei vestiti da cuoca sporchi di farina e cioccolato, ma soprattutto non assomigliava in alcun modo a Cupcake e questo gli dava ormai sempre più certezza che fosse tutto vero, compresa quella foto, compreso quello sguardo innamorato di sua madre.
Più quella storia andava avanti più la curiosità e il bisogno di risposte germogliava nel cuore del primo comandante sweet, senza contare che pochi secondi prima il loro nuovo fratello avesse affermato che la donna davanti a loro fosse sicura che Big Mom avrebbe prestato loro aiuto
Naturalmente, Katakuri, non era l’unico ad aver sempre più bisogno di risposte.
 
- Hey gentile nonnina! – la richiamò Cracker prima che la donna si dirigesse verso la cucina per portare loro ciò che avevano chiesto – Prima il mio fratellino Cupcake ha detto che eri sicura che Big Mom vi avrebbe aiutato! Conosci mama? –
- Cracker! Ti avevamo detto di… -
- Sì, conosco vostra madre, la conosco molto bene… - rispose lei, stringendo i pugni e chiudendo gli occhi, mentre dava le spalle ai suoi interlocutori – e la odio con tutto il mio cuore, perché per colpa sua ho perso il mio adorato fratello. –  decise di ignorare il fatto che Cracker avesse chiamato suo figlio col suo nome da Charlotte, non aveva voglia di discutere di quello in quel momento, men che meno con loro.
Calò il silenzio, persino Jonathan rimase sorpreso, non avendo ancora idea di quello che fosse il legame fra la sua madre adottiva e il suo padre naturale.
- Ma sono anche costretta ad ammettere che lo amava veramente e di questo ne sono assolutamente certa, per questo non avevo dubbi. –
- Quindi mio padre era… -
- Sì Jonathan… adottivo, ma era mio fratello, tuo nonno Raian lo aveva raccolto dalla strada quando aveva undici anni, perdonami per non avertelo detto prima. –
- N-non preoccuparti, infondo non cambia nulla. – sospirò con un sorriso l’uomo dai capelli rosa
 
Helen annuì appena al figlio prima di dirigersi verso la cucina, il ministro dei biscotti provò a seguirla ma fu prontamente bloccato da suo fratello maggiore Katakuri.
- Adesso basta Cracker, hai già sconfinato, non era una domanda che dovevi fare. –
- Oh, no! Al diavolo tutto, io voglio sapere! E volete sapere pure voi! –
- Non in questo momento Cracker! Pensa alle conseguenze che potrebbe avere su di te la cosa, su tutti noi. –
Il viola si fermò un’istante prima di sbuffare e dirigersi irritato verso uno dei tavolini posizionati appena fuori dalla locanda.
- Perdonate le domande fuori posto e Jonathan… - Katakuri poggiò una mano sulla spalla al minore – mi spiace che tu abbia avuto una notizia del genere in questo modo. –
- Non preoccuparti, infondo sapevo benissimo che mia madre fosse profondamente legata al mio padre naturale, non mi aspettavo in questo modo, ma non cambia nulla. – sorrise lui – Andate a sedervi, vi raggiungerò a breve, datemi solo il tempo di accompagnare Jolanda a casa, ha bisogno di molto riposo e soprattutto nostro padre vorrà vederla. –
I maggiori annuirono e si accomodarono al tavolo insieme a Cracker.
 
- Ascolta Cracker – si schiarì la voce Katakuri – Ormai questa faccenda è venuta a galla e prima o poi scopriremo tutto ciò che c’è dietro, nemmeno mama potrà più nascondercelo a questo punto. –
- Ma cercare di indagare contro la sua volontà è un suicidio e lo sai benissimo, perorin! – concluse Perospero.
- È che voglio sapere! – protestò lui – Voglio sapere cosa è successo, voglio conoscere meglio il nostro nuovo fratellino e…e voglio sapere se mama è stata capace di amare qualcuno perché non ha mai amato noi. –
Sia Katakuri che Perospero a quel punto si zittirono, quella domanda faceva male, molto male.
 
- Ecco e vostri biscotti e il suo thè signor Perospero. –  l’anziana pasticciera poggiò il vassoio sul tavolo, aveva sentito tutto, ma preferì non intervenire, infondo non erano fatti suoi, ma se loro le avessero chiesto qualcosa, lei glielo avrebbe raccontato; anche solo per dispetto a Linlin.
- Grazie mille signora. –
- Grazie nonnina! – ringraziò più sguaiatamente Cracker con la bocca piena di dolci – sono buonissimi! Mi devi passare la ricetta! –
- Ti ringrazio, farò in modo di fartela avere prima della vostra partenza. – rispose lei, prima di ritornare all’interno della locanda.
 
Trascorsero alcuni minuti prima che Jonathan li raggiungesse e si sedesse al tavolo con loro.
- Dunque, nella strada del ritorno ho provato a chiedere qualche informazione in giro, a quanto pare non si sa precisamente per che motivo sia stato istituito il blocco, ma sembra un blocco navale di minore importanza, come previsto tra qualche giorno probabilmente sarà sciolto e potrete tornare a casa. –
- Molto bene allora! – batte vigorosamente le mani Cracker – Dobbiamo usare al meglio questi giorni per far baldoria assieme fratellino! –
Cupcake stava per rispondere, ma il rapido voltarsi di Katakuri lo interruppe, costringendolo a voltarsi a sua volta.
- Merda, questa non ci voleva. – sussurrò a denti stretti, pregando che la persona che si stava avvicinando a loro, dopo esser scesa da una lussuosa carrozza, non avesse sentito Cracker chiamarlo fratellino – non ci voleva per niente. –
 
Quando anche gli altri due Charlotte si furono voltati, l’uomo li salutò alzando la mano.
Era alto, di corporatura atletica e slanciata, portava un elegantissimo frac avorio con collo nero, sotto una pregiata camicia bianco perla, con pantaloni abbinati e scarpe in pelle di coccodrillo.
Le uniche cose visibili del volto erano le sottili e perfette labbra e gli occhi, di un giallo penetrante, il resto era completamente coperto una preziosa maschera di giada, sulla quale era finemente inciso un kirin ondeggiare maestoso.
 
- Ah! Questa sì che è una piacevole sorpresa! – si introdusse – non avrei ma creduto di trovare degli Charlotte proprio in questo arcipelago! Sapevo che questa pasticcieria fosse buona, ma non credevo così tanto. –
Mentiva, Katakuri poteva chiaramente capirlo, sapeva benissimo che si trovassero in quell’arcipelago e sapeva benissimo dove trovarli, come lo sapesse e chi fosse quell’uomo mascherato, il comandante sweet però non ne aveva idea.
- Oh, vi dispiacerebbe firmarmeli? Sapete, per quanto il governo ne dica di voi, sono un grande fan di voi pirati! –
Rise porgendo loro i loro manifesti, compreso quello di Cracker, cosa che non fece altro che accrescere l’enorme sensazione di disagio che gli Charlotte stavano provando in quel momento.
- Mi scusi, credo di non aver capito bene il suo nome. –
- Oh, perdoni la mia maleducazione signor Katakuri, potete chiamarmi Corvo. – rispose lui, con fare elegante – ma ditemi, come addirittura quattro Charlotte si trovano in questa zona? –
Jonathan ebbe un grosso brivido lungo la schiena quando sentì uscire dalla bocca di Corvo il numero quattro e pian piano cominciò a mettere assieme tutti i pezzi.
 Più il dialogo andava avanti: era stato sicuramente lui a ordinare il blocco, evidentemente voleva qualcosa dagli Charlotte ed ora c’era di mezzo pure lui.
- Affari di famiglia. – si limitò a rispondere secco Perospero – ora siam fermi qui a causa di un blocco navale. –
- Ah! Parlate di quello della marina? Non temete, posso pensarci io a rimuoverlo, consideratelo un gentile favore da un vostro ammiratore. –
- Non si disturbi signor Corvo, possiamo aspettare. – quell’uomo a Katakuri proprio non piaceva, ne aveva conosciuti di loschi figuri nella sua vita, ma mai nessuno gli aveva dato impressioni tanto negative quanto quelle di quel misterioso figuro.
Il punto era che emanava un’aura estremamente inquietante: aveva un portamento perfetto, dei modi da manuale e una voce calda e suadente, ma allo stesso tempo per un osservatore esperto come lo era il ministro della farina appariva come un serpente velenoso e letale, pronto a scattare e uccidere alla prima occasione disponibile.
- Nessun disturbo signor Katakuri mi creda e poi sa come funzionano queste cose – e qui fece una leggera pausa – questi blocchi potrebbero prorogarsi per mesi se non adeguatamente smossi. –
Jonathan lanciò uno sguardo d’intesa al rosso che sopirò.
- Eh, va bene, la ringraziamo per il suo aiuto. –
- Splendido! Farò in modo che in circa tre giorni sia tutto libero! – batté le mani Corvo – Oh, prima che vada potreste firmare i manifesti? –
Dopo un momento di silenzio i tre Charlotte acconsentirono.
- Vi ringrazio, ora se non vi dispiace ho altre faccende da sbrigare, alla prossima occasione miei cari. – si limitò a dire facendo un leggero inchino prima di dirigersi nuovamente verso la sua carrozza e sparire lungo la via.
 
- Merda. – ripeté Jonathan accasciandosi sulla sedia.
- Conosci quel tipo inquietante fratellino? –
- Sì, tutti in quest’arcipelago conoscono Corvo, lui è… –
- È il peggio che questa terra abbia da offrire. – intervenne Helen che aveva ascoltato tutta la conversazione da dietro la porta, senza farsi vedere.
- Corvo è lo schiavo preferito di Saint Antoinette, la figlia del Drago Celeste a capo di un enorme consiglio di Draghi Celesti che comandano quest’arcipelago. –
- Schiavo? -  ripeté incredulo Perospero.
- Burattinaio è il termine più corretto, la sua padrona è completamente ossessionata da lui, ne è perdutamente innamorata, la maschera che avete visto sul suo volto l’ha fatta costruire per impedire a chiunque altro di poter vedere il suo viso, quell’uomo pur essendo uno schiavo non ha mai mosso un dito in vita sua né mai è stato umiliato o colpito. – continuò a raccontare la donna – dicono sia di una bellezza surreale, tanto che persino i commercianti di schiavi che lo possedevano prima della famiglia di Antoinette non abbiano mai alzato un dito su di lui per paura di rovinarla. –
- In sostanza come vi ha raccontato mia madre è lui il vero detentore del potere ed è pericoloso, tanto pericoloso, il padre di Antoinette è caduto malato pochi anni dopo averlo comprato e una volta, a un’asta di schiavi, un nobile gli mancò di rispetto, sostenendo di non voler stare seduto vicino ad uno schiavo. Il giorno dopo era sparito e nessuno ha mai più ritrovato il corpo. – aggiunse Jonathan – Non ci sono dubbi sul fatto che il blocco navale sia opera sua, ha occhi e orecchie ovunque, quindi sapeva che eravate qua e sapeva benissimo dove trovarvi nonostante fossimo arrivati solo da qualche ora. Vuole qualcosa da voi, non so cosa, non so perché, ma ha fatto tutto questo per essere in credito nei vostri confronti e ora ci sono di mezzo anch’io e la mia famiglia e la cosa peggiore è che sa dove viviamo. –
- Quindi, cosa farai ora fratellino? –
- Non ne ho idea. –
- Io sì. – intervenne Helen – Ci sposteremo a Totoland con voi finché questa situazione non sarà conclusa. -
 
 
Angolo autore: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo! Devo dire che sono abbastanza soddisfatto di come è venuto fuori, anche se come il precedente capitolo ambientato nel presente, serve un po' ad introdurre l’effettivo villain della storia.
Mi ci è voluto un bel po' di tempo per definire bene Corvo nella mia testa, ma alla fine sono piuttosto contento del risultato che ho ottenuto!
Ringrazio tutti voi che continuate a seguirmi (Menzione particolare come sempre a Giuly, Yumi e Fenris che sempre mi lasciano bellissime parole d’incoraggiamento!).
Piccola nota: il Kirin nella mitologia orientale è l’unica creatura in grado di uccidere un drago, ed è sostanzialmente un cervo mitologico.
Alla prossima!
 
- Amiba
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 6 - Fra piante di vaniglia e strane sensazioni ***


- Fra piante di vaniglia e strane sensazioni -
 
 
- Questa sì che è una vista…insolita. – borbottò Kaido avvicinandosi a Newgate – hai idea del motivo per cui Linlin abbia speso tutto questo tempo per cercare una maledettissima pianta? –
- Assolutamente no e onestamente non mi importa nemmeno, son fatti suoi. – mentì il biondo, che in realtà un’idea piuttosto precisa l’aveva.
Il punto era che Edward come pattuito non aveva mai rivelato agli altri membri della ciurma ciò che era successo due anni prima, ma aveva notato un leggero cambio di atteggiamento in Linlin, soprattutto in determinati periodi, quando tornava delle pause che si prendeva dal navigare con la ciurma e una sera, passando dalla sua cabina l’aveva sentita parlare alla Den Den Mushi con un uomo e non resistendo alla tentazione aveva origliato sentendola chiamare Jonathan per nome.
Barbabianca era un uomo intelligente, molto attento ai dettagli e a differenza dei suoi commilitoni, anche piuttosto sensibile e il tono di voce della piratessa in quella conversazione non gli era assolutamente sfuggito: per quanto la donna si stesse sforzando infatti, nella sua voce mentre parlava al pasticciere dall’altro capo della cornetta, non c’era il ben che minimo astio, anzi, tutt’altro.
La pianta di vaniglia che la donna stava infatti curando e che aveva acquistato nelle isole del sud doveva essere un regalo per il ragazzo; quello che però non riusciva a comprendere, o per la precisione a credere, era che Linlin lo stesse ancora sentendo, anche dopo tutto questo tempo.
Ricordava alla perfezione la sera in cui era risalita sulla nave, lamentandosi di come fosse stata tutta un’enorme perdita di tempo e che il ragazzo non fosse altro che un figlio adottivo di Raian, eppure pure in quel momento Newgate aveva giurato di aver notato qualcosa di diverso negli occhi della donna, ma ai tempi si era convinto di essersi sbagliato.
Adesso, invece, cominciava a crederci seriamente, ma la domanda maggiore che gli scorreva per la testa era solo una: chi diavolo era quell’uomo per riuscire ad avere un effetto simile su una donna come Charlotte Linlin?
 
- Quello che mi chiedo io è perché continuiamo a tenere una donna a bordo, che pensa a curare maledettissime piante piuttosto che… -
- Silver Axe, sei consapevole vero che Linlin è più potente di te? – lo fissò gelido Edward.
I rapporti fra i Rocks erano pessimi, praticamente tutti i membri si odiavano fra loro e Edward Newgate non faceva eccezione, detestava praticamente ogni singolo membro della sua ciurma, compreso quell’essere repellente che era Rocks D. Xebec ma, nulla gli dava il voltastomaco come Silver Axe: viscido e ripugnante ogni volta che assaltavano navi o isole si macchiava dei crimini più orridi, spesso senza motivo, indossava sempre una armatura medievaleggiante e con se portava una gigantesca ascia d’argento che gli dava il nome, nessuno della ciurma l’aveva mai visto in viso.
 
- Come prego? – sibilò l’uomo in armatura stringendo la mano lungo il manico della gigantesca arma.
- Ho detto che LInlin è più forte di te Axe, vedi di fartene una ragione. –
- Edward brutto… -
- Cosa? – lo sguardo del biondo rimase fermo sull’altro, completamente impassibile.
- Brucia all’inferno! – sputò velenoso prima di allontanarsi, sapendo benissimo che da uno scontro con Barbabianca sarebbe sicuramente uscito sconfitto.
 
Linlin dal canto suo invece quella lite non l’aveva nemmeno notata, come non aveva notato i tre uomini fissarla, era troppo presa a prendersi cura di quella pianta di vaniglia che aveva acquistato per Jonathan, ricordandosi di quando lui aveva detto che nelle isole più a sud coltivassero una delle migliori vaniglie del mondo.
Continuava a ripetersi che l’aveva presa perché così lui non l’avrebbe di nuovo tediata con quella storia inutile, ma ogni volta che pensava al momento in cui gliel’avrebbe data un sorriso nasceva sulle sue labbra.
Finito di innaffiare la pianta e di rimuovere le ultime foglie secce prese fra le mani il vaso e cominciò a dirigersi verso la sua cabina entrandovici e sparendo per il resto della giornata.
Solo a notte inoltrata, quando tutti i membri dell’equipaggio erano nelle loro stanze a dormire uscì a prendere una boccata d’aria, desiderosa di un po' di solitudine e pace.
Come ogni sera era stata ore a parlare con Jonathan, a raccontargli di tutto, a sfogarsi con lui inveendo contro i propri compari e ogni tanto ascoltando cosa aveva fatto lui durante la giornata.
Eran passati più di due anni dal loro primo incontro e in tutto questo tempo, da quando lo aveva chiamato per la prima volta, lei non aveva più smesso di far suonare quella Den Den Mushi, non aveva più smesso di fargli visita, andando da lui sempre più spesso, seguendolo a quelle stupide fiere, nelle locande, in quella maledettissima scogliera…
Aveva persino smesso di mentire a sé stessa, ammettendo, anche se solo ed esclusivamente alla propria persona ed a nessun’altro, di apprezzare la sua compagnia e di sentirne la mancanza quando questa veniva meno ed ora gli aveva persino comprato un regalo.
 
- Ma cosa diavolo mi sta succedendo? – sospirò massaggiandosi la faccia con le mani.
- Allora? Hai finito di parlare con il tuo prezioso pasticciere? –
La piratessa si voltò di scatto ritrovandosi Edward Newgate proprio dietro di sé, appoggiato al muro della cabina, poco distante dalla porta.
- Io non stavo parlando con nessuno! –
- Gurarararara! – rise lui – Linlin ti ho sentito chiaramente. –
- Newgate giuro che se non ti fai gli affari tuoi io… -
Il pirata incrociò le braccia al petto e alzò un sopracciglio divertito da quello scatto d’ira.
- A quanto pare non era “solo un grossa perdita di tempo” allora! Non posso crederci Charlotte Linlin che si prende una cotta! Gurarara! – la canzonò lui piegandosi in avanti per le risate e tenendosi le mani sulla pancia, cosa che fece irritare ancora di più la donna dai capelli rosa.
- Io non mi sono presa una cotta! Lo sfrutto solo per i suoi cupcakes!  –
- Quindi, oltre a sentirlo regolarmente alla Den Den Mushi lo vedi anche con regolarità, nonostante sia passato tutto questo tempo? E faresti tutto questo solo per dei cupcakes? Accidenti devono essere veramente buoni, a questo punto devo provarli pure io. –
 
Linlin ringhiò e si allontanò avvicinandosi al bordo della nave per osservare il mare, particolarmente calmo quella sera.
- La pianta di vaniglia è per lui? –
La piratessa non rispose e Barbabianca emise un grosso sospiro.
- Non dirò nulla agli altri Linlin, ma se c’è qualcuno che ti fa stare realmente bene, che riesce a passare attraverso quella scorza da stronza psicopatica che hai…non essere stupida e non lasciartelo sfuggire o rischi di buttare al vento l’unica possibilità di essere felice. –
- Tse! Ma cosa vuoi saperne te! –
- Lo sai no? Il mio sogno un giorno è avere una grande famiglia, ma non come quella che stai costruendo tu, una basata esclusivamente sull’amore reciproco. – fece una pausa – potresti avere per le mani una grande occasione Linlin, un’occasione che per persone come noi non capita quasi mai, non buttarla al vento. –  e detto questo il pirata si ritirò nella propria stanza, lasciando la rosa da sola coi suoi pensieri.
 
---------
 
Il sole era sorto da poco quando Linlin entrò per l’ennesima volta in quella pasticcieria, questa volta con una pianta di vaniglia in mano, trovando però al posto di Jonathan, Raian, intento a impastare una torta.
L’uomo lanciò immediatamente uno sguardo poco amichevole alla piratessa per poi sbuffare: detestava quella donna, ma ormai era una presenza quasi fissa nella vita di suo figlio.
Raian faceva fatica a digerire la cosa, avrebbe voluto che Jonathan frequentasse una persona diversa, che il suo cuore non stesse battendo per una persona come Linlin, ma sapeva meglio di chiunque altro che quel ragazzo vedesse del bene in chiunque, persino in una donna come lei…o in un uomo come lui.
Perché sì, Raian nonostante avesse sempre combattuto in un’arena, senza sporchi trucchi, le mani sporche di sangue le aveva.
Aveva reso donne vedove, bambini orfani e questo era un altro motivo per cui non si sentiva di mettere bocca nella decisione di suo figlio di frequentare Linlin, anche se sperava con tutto sé stesso che la cosa si concludesse in un nonnulla.
 
- Jonathan non c’è questa mattina, è su, in camera sua a riposare, oggi lo sostituisco io. –
La donna arricciò il naso irritata a quella notizia.
- Molto bene allora, vorrà dire che salirò da lui. -
- Quella pianta di vaniglia? – continuò l’uomo tenendo gli occhi puntanti sull’impasto su cui stava lavorando.
- È un regalo. –
- Hm, suppongo debba ringraziarti, puoi lasciarla sul bancone se desideri e non c’è bisogno che sali tu, Jonathan scenderà a… -
- Non è per te, è per Jonathan e io salgo ora. –
Raian non aggiunse altro, si limitò a indicarle le scale da prendere per raggiungere l’appartamento del figlio, tanto sapeva benissimo che a lui sarebbe andato bene così.
 
Linlin non bussò nemmeno quando si ritrovò davanti alla porta dell’appartamento del giovane pasticciere e una volta dentro lo trovò ancora sdraiato nel letto con solamente una maglietta e dei pantaloncini corti, semi addormentato.
La casa di Jonathan era semplice, arredata col minimo indispensabile, le uniche cose che spiccavano particolarmente erano un piccolo e grazioso caminetto al centro della sala in cui si trovava il letto e una grossa libreria, stracolma di libri di cucina e d’avventura.
Jonathan amava leggere, usava ore intere del suo tempo libero per farlo.
 
- Hey! Sveglia! – lo richiamò in modo sgarbato lei.
- E-eh? – brontolò confuso e con la voce impastata lui aprendo leggermente gli occhi e mettendo a fuoco la donna poco distante – Oh! Linlin, siam già a questo punto del nostro rapporto? – sghignazzò mentre usciva dalle coperte facendola soffiare innervosita.
- Falla finita! Non c’è nessun rapporto fra noi! –
- Dai Linlin, non c’è bisogno che fai la timida, dopo tutte le volte che sia usciti assiem… - Jonathan si fermò un’istante dopo aver messo a fuoco cosa la piratessa stesse reggendo fra le mani – q-quella è una vaniglia delle isole del sud? –
- S-sì, mi ricordavo di quanto hai blaterato sul suo essere la migliore del mondo così te ne ho comprata una. – borbottò lei quasi imbarazzata – Ora vedi di usarla per farmi dei cupcakes! –
 
Jonathan la strinse in un abbraccio, cosa che fece sussultare la pirata facendole quasi perdere la presa sul vaso.
- Grazie Linlin… - sussurrò lui, per poi sciogliere quel contatto e prendere fra le mani la pianta per poggiarla sul tavolo della cucina.
- Lo sapevo. –
- Cosa? –
- Che infondo sei dolce…come un cupcake! – rise con dolcezza il ragazzo, carezzando le foglie della pianta.
- Non dire scemenze! – urlò lei, ringraziando il cielo che lui fosse girato, perché per un istante aveva sentito le proprie gote bruciare.
- Senti Linlin, oggi e domani ho le giornate libere da qualsiasi impegno, cosa ne dici se prendiamo il traghetto e andiamo a visitare l’isola qua vicino? –
- Come ti pare. –
- Molto bene, lasciami preparare qualcosa per il viaggio e possiamo partire.
 
Arrivarono dopo nemmeno mezz’ora di viaggio; l’sola non sembrava decisamente un posto interessante o particolarmente piacevole da visitare, la pirata emise uno sbuffo irritato e il pasticciere le carezzò una mano con gentilezza, portando la donna a fissarlo ancora più irritata.
- Dai, magari è solo un’impressione, abbiam due giorni per scoprire questo posto, non ci sono mai stato nemmeno io. – sorrise – Sarà divertente! –
- Jonathan questo posto è orrendo! – lamentò lei
- Su non fare così, sono sicuro che troveremo delle ottime pasticcierie anche qui! E ti prometto che prima che tu riparta ti preparerò un cesto di cupcakes per il viaggio. –
- Hm, va bene, basta che adesso troviamo una locanda in cui alloggiare, voglio riposarmi un po' prima di pranzo, ho navigato tutta notte. –
- Certamente! Andiamo. –
 
Camminando per le strade di quel villaggio si stava ripendo ciò che era accaduto al loro primo appuntamento: avevano gli occhi di molti passanti su di loro i quali spesso bisbigliavano parole incomprensibili mentre li fissavano, cosa che non faceva altro che far imbestialire sempre di più la rosa; tuttavia, decise di mandare giù il rospo e di ignorare la questione.
Trovata la locanda adatta e tranquillizzata l’anziana proprietaria sul fatto che Charlotte Linlin non avesse alcuna intenzione nociva si ritirarono nelle rispettive stanze, dandosi appuntamento per qualche ora dopo.
La giornata, nonostante la quasi totale anonimità dell’isola, proseguì in modo estremamente piacevole, anche per Linlin, che in alcune situazioni, ormai, non riusciva più a trattenere i sorrisi di gioia mentre era con Jonathan e lui, dal canto suo, non glielo faceva mai notare, nonostante la cosa lo rendesse felice.
Pranzarono in un piccolo ristorante vicino al molo per poi camminare un po' sulla spiaggia, godendo della sensazione della calda sabbia sui loro piedi scalzi e più passava il tempo più la rosa cominciava a provare sensazioni che non aveva mai provato in vita sua, più passava il tempo più la pirata si rendeva conto di quanto stare con Jonathan la rendesse felice e di come la sua presenza le facesse avvertire un dolce tepore nel petto.
Verso sera Jonathan le porse nuovamente il braccio con un sorriso.
 
- Cerchiamo una locanda per la cena? –
Linlin, dopo un’istante di indecisione, allacciò il braccio attorno a quello del corvino, mantenendo però un’espressione stoica e indifferente sul volto.
- Va bene, ma questa volta scelgo io, voglio andare in un posto più sulle mie corde, sperando che in questo posto ci sia. –
- Va bene, mi sembra più che giusto e poi vedere anche solo una piccola parte del tuo mondo mi renderebbe felice. –
- Il mio mondo ti inghiottirebbe e ti ucciderebbe Jonathan. –
- Probabile, ma ci sarai tu a proteggermi questa volta no? –
Ed ecco nuovamente quello sguardo, quel sorriso che nonostante lei facesse di tutto per nasconderlo le piaceva tanto, illuminato da quegli occhi che erano riusciti a incantare persino una donna come lei.
- Sì, ma vedi di non fare sciocchezze, non ho voglia di farti da babysitter. –
 
Ci volle un po’ di tempo a trovare la locanda adatta, dovettero recarsi fino nelle zone più isolate dell’isola, dove i bandati e i pochi pirati che girovagavano da quelle parti si radunavano per trovare un minimo di ristoro.
La scelta ricadde su una taverna dall’aspetto malridotto e dalla quale, già dall’esterno, si potevano sentire le urla e gli schiamazzi degli avventori al suo interno.
Linlin fissò Jonathan per un’istante esitando per un attimo, ma poi decise di entrare con il ragazzo a braccetto: infondo il corvino era tutto fuor che un codardo o un’idiota e non aveva alcun dubbio che se le cose fossero precipitate sarebbe riuscita senza alcun problema a gestire la situazione.
Il locale al suo interno forse era anche peggio di come era all’esterno: dava decisamente l’idea che nessuno lo pulisse da parecchio tempo, i tavoli erano bagnati di alcool e sporchi di avanzi di cibo e i vetri delle finestre erano completamente ingialliti e crepati.
Gli avventori erano principalmente, come c’era da aspettarsi, briganti o pirattucci da quattro soldi dall’ego però smisurato, canaglie da pochi Berry che si atteggiavano come grandi capitani dei sette mari.
 
- Oh beh, non si può dire che sia un posto romantico, ma quantomeno è pittoresco! – scherzò Jonathan chinandosi per evitare un boccale di birra volante, venendo immediatamente fulminato con lo sguardo dalla donna.
- E perché mai dovrebbe essere un posto romantico!? – sbottò innervosita.
- Tranquilla Linlin, prima o poi riuscirai a vincere questa tua timidezza! – scherzò lui dandole una leggera pacca sulla schiena – dai, andiamo a trovare un tavolo libero…e possibilmente non completamente lercio. –
- Io non sono…! Dannazione Jonathan falla finita! –
- D’accordo, d’accordo, vieni sediamoci qui, sembra un tavolo quantomeno decente. –
Con un sorriso scostò la sedia e la invitò a sedersi con un gesto della mano.
- Dimmi, cosa vuoi? Vado a ordinare al banco, dubito che vedremo mai un cameriere venire a prendere la nostra ordinazione. –
- Prendimi una birra, che sia abbondante e da mangiare qualsiasi cosa ti propinino andrà benissimo. –
- Molto bene allora, torno subito! –
 
Linlin lo osservò dirigersi verso il bancone del locale, sembrava più tranquillo lui di quanto non lo fosse lei, perché per la prima volta in vita sua, la pirata si trovava a disagio in un posto simile e si era pentita amaramente di esserci entrata, non per sé stessa ovviamente, ma bensì era preoccupata che il ragazzo si cacciasse in qualche guaio e naturalmente il fatto che, sempre per la prima volta, si stesse preoccupando per un’altra persona, la disorientava ancora di più.
Fortunatamente Jonathan sembrava essere arrivato senza problemi al bancone e che la discussione con l’oste stesse procedendo senza intoppi, purtroppo però la sua vista venne coperta improvvisamente da un gigantesco uomo dalla lunga barba incolta e sporca che, senza esitazione, si andò a sedere nella sedia destinata a Jonathan e prese a fissarla con fare viscido e volgare.
In testa portava un grosso cappello porpora dal quale scendevano due grosse piume nere decisamente mal ridotte, la giubba dello stesso colore era completamente sbottonata, cosa che lasciava intravedere il muscoloso e villoso petto, gli occhi, completamente ingialliti, non si staccavano dal seno di lei.
Puzzava terribilmente, un misto fra alcool di bassa lega e vomito, tanto da costringere la piratessa a coprirsi il naso con la mano.
 
- Chi avrebbe mai detto che proprio in questo locale avrei trovato Charlotte Linlin! – gracchiò lui prendendo poi un generoso sorso della birra che si era portato appresso, del quale più di metà colò lungo la barba per gocciolare sul petto – Sembra che la fortuna mi arrida, dal vivo sei ancora più bella e dicono che tu sia anche una facile! Cosa ne dici se io e te ci prendiamo una stanza e… -
- Ascoltami attentamente, solo perché questa sera sono di buon umore ti concedo un’unica possibilità di andartene illeso e… -
- Ah! Dai non fare così, lo sanno tutti che sei una puttana! Divertiamoci e basta. –
Linlin non aveva idea se il tipo fosse semplicemente troppo stupido o decisamente troppo ubriaco, ma lei aveva raggiunto il limite massimo della sua già minuscola sopportazione ed era già pronta a fargli pentire di aver anche solo pensato di mettere piede in quel posto; tuttavia, la voce di Jonathan irruppe in quella conversazione.
- Mi scusi, quel posto è occupato e in secondo lungo non sono assolutamente i toni con cui rivolgersi a una signora, ad essere onesti non sono i toni con cui rivolgersi a nessuno. –
Il pirata si alzò di scatto con un ringhiò animalesco avvicinando il viso a pochi centimetri da quello di Jonathan nel tentativo di intimidirlo.
- Ripeti quello che hai detto moscerino! –
- Quel posto è occupato e quello non è il mondo di rivolgersi a… -
 
Prima che potesse finire la frase il violento pugno dell’uomo si abbatté sul suo viso e Jonathan si ritrovò a terra completamente fradicio delle birre che teneva fra le mani, il cibo tutto versato sui vestiti e un rivolo di sangue che gli scendeva dal naso; tutto fra le risate generali dei presenti.
Quello che accadde dopo fu una questione di pochi secondi: la sedia di Linlin finì a terra e l’ultima cosa che vide l’aggressore fu la donna scagliarsi verso di lui con gli occhi sbarrati e carichi di rabbia ad una velocità che non gli lasciava alcuno scampo; il colpo fu così violento da farlo volare dall’altra parte del locale, sfondando diversi tavoli che si trovavano nella via, le risate cessarono immediatamente e calò un silenzio tombale.
- Jonathan! – Linlin si chinò su di lui aiutandolo a mettersi seduto e a pulirsi i vestiti dal cibo. – Ti avevo detto di stare attento idiota! –
- Sto bene tranquilla. – sorrise lui pulendosi il sangue dal naso – ma mi fa piacere che ti preoccupi per me. –
- Io non mi preoccupo per te! –
- Son passati due anni, diversi appuntamenti e le tue abilità nel mentire fanno sempre schifo lo sai? –
Linlin però questa volta ignorò la provocazione e una volta appurato che il pasticciere stesse effettivamente bene si alzò furiosa pronta a finire il lavoro che aveva iniziato, ma Jonathan le bloccò il polso con la mano.
- Linlin, basta, non c’è più bisogno di infierire, non sporcarti inutilmente le mani. –
La donna guardò prima il ragazzo poi il pirata accasciato in fondo al locale, era palesemente privo di coscienza e il volto era una maschera di sangue, i suoi unici movimenti erano dei rari spasmi muscolari che non lasciavano presagire nulla di buono sulle condizioni in cui la donna lo aveva lasciato.
- Quando si risveglia, ditegli che è stato molto fortunato e di ringraziare la sua buona stella che l’uomo che ha aggredito è fin troppo buono – sibilò – andiamocene Jonathan, è stata una pessima idea venire qui, prendiamo qualcosa da mangiare alle bancarelle vicino alla spiaggia. –
- D’accordo. – sorrise con dolcezza.
 
In un modo o nell’altro sembrava che tutti i loro appuntamenti finissero con loro che guardavano il mare, anche se questa volta erano in piedi su una spiaggia e non sulla loro solita scogliera e anziché gli squisiti cupcakes di Jonathan stavano mangiando degli scialbi panini comprati in una bancarella poco distante.
Linlin non aveva parlato da quando erano usciti da quella locanda, stava ancora rimuginando sulle sue azioni: il suo corpo si era mosso da solo, appena aveva visto Jonathan ferito da quella canaglia da quattro soldi una cieca rabbia aveva preso il controllo dei suoi muscoli e subito a seguire era sorta la preoccupazione che lui stesse bene.
Non le piaceva per nulla l’idea di aver effettivamente dimostrato al ragazzo che ci tenesse a lui, nonostante fosse perfettamente conscia del fatto che lui lo sapesse.
D’altronde l’aveva letta come un libro aperto dopo un singolo appuntamento, ora, dopo tutti quelli che avevano avuto nel corso di quei due anni, era scontato che Jonathan fosse perfettamente consapevole del fatto che lei gli era affezionata, tuttavia, il non averglielo ancora dimostrato con fatti così evidenti la faceva sentire più al sicuro, perché la faceva sentire meno vulnerabile.
 
- È una bella serata non trovi? Forse dovremmo venire più spesso su quest’isola, infondo non è così male e… -
- Perché lo hai fatto? –
- Hm? –
- Perché dentro quel locale hai preso le mie difese nonostante sapessi benissimo che era rischioso, non avevo alcun bisogno che tu mi difendessi! –
- Lo so benissimo che potevi cavartela da sola. –
- E allora perché… -
- L’ho fatto perché per me sei importante Linlin e non potevo sopportare l’idea che qualcuno ti trattasse in quel modo, Linlin tu sei speciale, hai un sogno meraviglioso e credo che tu abbia tutte le carte in regola per cambiare questo mondo, per cambiarlo in meglio. –
La donna si fece scappare una leggera risata sconsolata delle labbra, quasi intenerita dell’ingenuità del pasticciere.
- Non è quello che pensa il capitano Rocks e il resto del mondo. –
- Al diavolo Rocks! Al diavolo il resto del mondo! Linlin, la vita è tua, non devi avere paura di fare ciò che credi, non devi lasciare che siano i giudizi degli altri a definire ciò che sei. –  Jonathan si voltò verso di lei e alzò lo sguardo per poterla guardare meglio negli occhi, chiudendole una mano fra le sue in un gesto di dolcezza – Vuoi sapere cosa vedo io invece quando ti guardo negli occhi? Vedo una donna meravigliosa, vedo una persona a cui voglio bene, un’amica preziosa, vedo la ragazza che sogna un modo libero dalla discriminazione, vedo la donna che dentro quella locanda poco fa mi ha salvato la vita. –
Lei rimase muta per un istante, prima che un leggero rossore si facesse strada sulle sue gote e distogliesse lo sguardo con finta irritazione.
- L’ho fatto solo perché altrimenti non sarei più riuscita a mangiare i tuoi cupcakes! –
- Allora son veramente i migliori del mondo! Ammettilo! –
 
Linlin tutta risposta diede al ragazzo un leggera spinta, ma Jonathan fu veloce e approfittando della sua distrazione le afferrò il polso trascinandola a terra con sé.
Quando cadde la pirata si ritrovò a pochi centimetri dal volto del ragazzo, tanto da avvertire il dolce calore del suo respiro, e cominciò a sentire il proprio cuore batterle all’impazzata, come non lo aveva mai sentito battere in vita sua, la tentazione di ridurre a zero la distanza fra le loro labbra già così vicine era enorme, la voglia di stringerlo a se e dare libero sfogo alla passione, lì, su quella spiaggia, ancora di più, per la prima volta in vita sua si ritrovava a desiderare realmente un ragazzo.
Quegli istanti durarono un’eternità prima che lei scattasse in piedi più velocemente che poteva cercando di scacciare i pensieri che le affollavano la mente.
 
- S-si è fatto tardi, credo sia meglio rientrare. – balbettò Jonathan completamente rosso in viso mentre si rialzava.
- Concordo. – si limitò a rispondere lei distogliendo lo sguardo.
 
 
---------
 
La stanza era ridotta in condizioni pietose: la maggior parte dei mobili era distrutta e le coperte giacevano ai piedi del letto completamente attorcigliate.
Linlin era rimasta seduta sul materasso, completamente nuda e con la testa fra le mani, per un tempo che nemmeno lei avrebbe saputo definire, era in uno stato confusionale ed era agitata.
Il giorno dopo ciò che era successo in spiaggia avevano fatto finta di niente sia lei che Jonathan, ma nulla era stato più come prima per lei: l’attesa della loro consueta chiamata giornaliera era diventata sempre più pensate, tanto che a volte lo chiamava più volte al giorno, il volto del ragazzo e il tempo che avevano trascorso assieme lasciavano a fatica la sua mente, aveva notato come fosse tendenzialmente di umore migliore, soprattutto dopo aver concluso una chiamata con lui e il desiderio di tornare a vederlo si faceva sempre più forte.
Ciò che però l’aveva gettata in quello stato era ciò che era appena accaduto: come suo solito aveva sedotto l’ennesimo potente pirata perché le desse un figlio e lo aveva portato nel suo letto, ma durante tutta la durata dell’amplesso Linlin aveva pensato a Jonathan, aveva visto il suo viso, aveva desiderato che al posto di quel potente pirata ci fosse il pasticciere, di essere sotto al suo dolce tocco e non a quello rude dell’uomo che invece aveva sotto le coperte; fino ad arrivare alla parte peggiore, ovvero, quando raggiungendo il piacere finale aveva gridato con tutta la voce che aveva in corpo il nome del ragazzo.
Alzò lo sguardo sul grosso uomo dai capelli viola, steso a terra in una pozza di sangue, naturalmente la cosa a lui non era piaciuta e la situazione era degenerata in una colluttazione molto in fretta; colluttazione che lei non ebbe problemi a vincere.
- Maledizione! – urlò innervosita alzandosi e raggiungendo la scrivania, che era miracolosamente rimasta intatta e li raccolse quell’orso rosa di peluche che Jonathan le aveva regalato al loro secondo appuntamento, che riposava proprio lì da qualche mese vicino a una loro foto, che si erano scattati in una delle loro numerose uscite, in cui Jonathan le era salato in braccio e lei lo reggeva proprio come un cavaliere reggerebbe una principessa.
- Maledizione… - ripeté mesta rigirandosi il peluche fra le mani – questo non doveva assolutamente succedere. –
 
Quarantasei anni fa Charlotte Linlin realizzò di essersi innamorata.
 
 
 
Angolo autore: ED ECCOCI QUA! Beh, sia entrati nel vivo nei capitoli ambientati nel presente è giusto entrare nel vivo anche nei capitoli ambientati nel passato! All’inizio avevo qualche dubbio su questo capitolo ma alla fine son contentissimo di come è venuto (ero anche tentato di far scambiare loro un tenero e casto bacino ma NOPE bisognerà aspettare).
Da qui in poi sarà una sfida enorme cercare di non andare troppo ooc con Linlin, anche se mi rendo conto che in parte è inevitabile e proprio per questo l’ho messo fra le note della storia.
Due sole piccole note: Ho basato la breve descrizione di Silver Axe sull’immaginario abbastanza collettivo delle poche fan art che si trovano su di lui e sì il pirata morto a fine capitolo è proprio il babbo di Cracker, Custard e Angel.
Al solito voglio ringraziare con tutto il cuore tutti voi che mi seguite con solita menzione particolare a Giuly, Fenris e Yumi per le loro belle parole che mi lasciano ogni volta!
Alla prossima!
 
- Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 7 - Salvatore diabolico (parte prima) ***


- Salvatore diabolico (parte prima) -
 
La porta della magione cigolò all’imbrunire annunciando il rientro di Corvo, che venne immediatamente accolto da un’altra donna, una schiava, vestita in completo nero, che non perse tempo a prendere la giacca dell’uomo, per poi riporla con cura nell’appendiabiti poco distante dal portone.
- Lord Corvo, volevo informarla che Don Harold nonostante i suoi avvertimenti è tornato alla magione e in questo momento sta intrattenendo una conversazione con Saint Antoinette. –
Il suo nome era Karai, schiava della famiglia di Antoinette sulla carta, serva personale di Corvo nella pratica e come il più fedele degli accoliti, seguiva le direttive del suo signore, dell’uomo che l’aveva privata della sofferenza di una vita in catene.
Karai era stata fatta prigioniera in guerra, venduta come schiava e come schiava fin da allora era stata costretta ai lavori più umilianti o a soddisfare carnalmente i propri padroni; perché Karai era bella, una volta sembrava una delicata bambola di porcellana, dalla pelle pallida e dai corti setosi capelli neri, nei dolci lineamenti del viso spiccavano i delicati occhi affusolati color ossidiana che, nonostante tutto, allora, ancora brillavano di una qualche speranza.
Ora quei tratti si erano spenti, lasciando spazio a un viso più duro, scalfito da fatica, cicatrici e umiliazioni, un viso i cui occhi puntavano solo all’uomo che l’aveva presa sotto la sua ala, che puntavano solo a veder concretizzato il piano di Corvo, perché sapeva che in quel mondo ci sarebbe stato un posto di tutto rispetto per lei e avrebbe potuto prendersi la rivincita che le spettava.
 
- Molto bene Karai, ti ringrazio per l’informazione, farò in modo che Don Harold non ci arrechi più alcun fastidio. – rispose lui piatto – come sempre ottimo lavoro. –
- Sono nella sala da tè –
- Prenditi la giornata libera, riposati e goditi un bagno caldo. –
- La ringrazio Lord Corvo. –
- Oh, e Karai, sei consapevole che la tua lealtà verrà ricompensata vero? –
- Non ne ho mai dubitato. –
- Molto bene, adesso vai pure, io devo liberarmi di un fastidioso ratto. –
 
Questa era una delle principali forze di Corvo, da quando si era infiltrato in quella famiglia non aveva fatto altro che estendere i suoi tentacoli ovunque, facendosi amare della maggior parte della servitù, che ormai, distrutta da una vita di soprusi, lo aveva abbracciato come un salvatore ed era pian piano diventata complice del suo piano.
I pochi che riuscivano a vedere i veri colori di quell’uomo ne eran troppo spaventati per andargli contro oppure, semplicemente, sarebbero stati disposti a scendere a patti col diavolo in persona pur di liberarsi dei Draghi Celesti che li opprimevano.
Quando le porte della enorme sala da tè della famiglia si spalancarono, permettendo a Corvo di entrarvici, la conversazione che stava avvenendo fra Antoinette e Don Harold si interruppe immediatamente, in quanto la donna si alzò di scatto dalla propria sedia per gettarsi fra le braccia dell’uomo, che di rimando la chiuse in un abbraccio.
 
- Mio tesoro! Sei tornato in tempo come avevi promesso! – squittì felice lei
- Mantengo sempre le promesse che ti faccio no? Sono pur sempre tuo –
- Mi sei mancato! –
- Oh, anche tu mia adorata, ma dovevo sbrigare delle faccende. –
Nel frattempo, il nobile seduto poco distante aveva cominciato a sudare freddo ed agitarsi, in quanto non aveva mancato di notare come i gialli occhi felini di Corvo fossero puntati su di lui tutto il tempo e la cosa non lasciava presagire nulla di buono.
Don Harold era sempre stato un uomo ambizioso e prima della comparsa di Corvo era riuscito ad entrare nelle grazie del padre di Antoinette, Saint David, avvicinandosi sempre di più alla possibilità di chiedergli la mano della ragazza nonostante la grande differenza d’età, ma poi, al diciottesimo compleanno di lei le era stato regalato dal padre quel maledetto schiavo e tutto era crollato come un castello di carte.
Undici anni erano passi e in questi undici anni ogni singolo nobile che ruotava attorno alla famiglia di Antoinette in cerca di favori aveva subito umiliazioni da Corvo e la cosa era degenerata quando Saint David era misteriosamente caduto malato.
C’era chi si era tenuto in disparte, conscio delle conseguenze di una mancanza di rispetto nei confronti del prediletto della Drago Celeste e c’era chi aveva provato a ribellarsi a ricordare all’uomo il suo effettivo status sociale, non vivendo però per raccontarlo.
Don Harold odiava con ogni fibra del suo essere Corvo: lo odiava perché aveva completamente distrutto i suoi piani, lo odiava perché nonostante fosse sulla carta un misero schiavo non mancava mai di mancargli di rispetto quando si vedevano e lo odiava per la sua leggendaria bellezza, nonostante non l’avesse mai visto in viso, perché conscio che lui, basso, calvo e chiatto non avrebbe mai potuto competere.
Fino a quel momento però aveva tenuto la testa bassa, ben consapevole delle conseguenze di un’insubordinazione, ma l’umiliazione subita quella mattina e l’ego però, avevano spinto il ricco commerciante di schiavi a fare una mossa decisamente stupida e avventata: ignorare le minacce di Corvo e persuadere nei suoi tentativi di avvicinarsi ad Antoinette.
 
- Mia cara, mi faresti la cortesia di aspettarmi un attimo nella nostra sala da pranzo? Sarò da te a breve, devo solo parlare un poco in privato con Don Harold, poi ti raggiungerò e passeremo l’intera serata assieme ok? –
La ragazza sembrò delusa da quella richiesta ed esitò per un’sitante, ma poi annuì, poggiò un veloce bacio sulla maschera dell’amato e uscì dalla stanza fischiettando.
 
- Non la credevo un’amante del tè Don Harold – esordì elegante e tranquillo il mascherato – sa, mi prodigo molto negli studi zoologici, ma il fatto che i ratti amino sorseggiare tè mi è nuovo, pare che dovrò aggiornare i miei quaderni. –
- Ora basta! – tuonò il nobile alzandosi in piedi di scatto – Tu non sei altro che un misero schiavo! Un’oggetto! Passo le mie giornate a vendere quelli come te! Non tollererò oltre le tue mancanze di rispetto! –
- “Quelli come me”? – rise appena Corvo – mi creda, in questo mondo non esite nessuno “come me”. – nonostante la voce fosse sempre calda e tranquilla un brivido scosse la schiena di Harold che percepì la sensazione di pericolo farsi più presente.
- Mio caro Don Harold, sa quanto costa il tè che sta bevendo? – chiese – Parliamo di centomila Berry al grammo, quasi un milione di Berry a tazzina, viene coltivato esclusivamente in una minuscola isola nei pressi di Wano, è una prelibatezza di cui pochissime persone al mondo possono godere e sa una cosa? Io me ne godo una tazza quasi ogni sera, deve essere stato emozionate per uno come lei però assaggiare qualcosa di simile, sempre che il suo palato sia sufficientemente raffinato per poterlo apprezzare. –
- Nulla di tutto questo è tuo! Per quanto tu ti atteggi non sei altro che la schifosissima proprietà di Saint Antoinette e quando lei si sarà stufata di te finirai come ogni altro misero e squallido schiavo! –
 
Corvo fece un leggero sospiro andando poi a sfilarsi la maschera per poggiarla sul tavolo con cura, rivelando così il suo viso al nobile: i lunghi capelli, appena liberati dalla maschera, si adagiarono con delicatezza sulle spalle come perfetti fili di prezioso platino, i tratti del viso, la cui pelle era soffice, compatta e perfetta, illuminati dagli ultimi, flebili raggi solari apparivano ancora più angelici e gli occhi, felini e penetranti, donavano al suo sguardo qualcosa di etereo e ultraterreno.
Harold deglutì, sapeva bene che aver visto il volto di Corvo equivaleva a una condanna a morte se Antoinette lo fosse venuta a sapere, eppure, nonostante tutto, anche lui ne rimase ammaliato dall’enorme bellezza che sprigionava.
- Manca di tatto Don Harold, manca di tatto e di furbizia e ora mi costringe a… -
- E anche se questo non dovesse avvenire non coronereste mai il vostro dolce sogno d’amore! Gli altri Draghi Celesti del consiglio non prenderanno mai ordini da un essere inferiore come te, sia tua che Antoinette finirete in rovina e… -
- Sogno d’amore? – le sottili e delicate labbra si distorsero in un ghigno deforme – Gli altri Draghi Celesti? –
Il nobile indietreggiò mentre Corvo si faceva sempre più vicino; ora quel dolce e angelico viso era contorto in un’espressione inquietante, che andava a storpiare la grazia di quel viso perfetto.
- Ascoltami bene, inutile scarafaggio. – continuò lasciando cadere ogni tono formale – Non esite alcuna storia d’amore e presto pure gli altri Draghi Celesti del consiglio saranno solamente un misero ricordo. Voi nobili siete così stupidi, così facilmente manipolabili, così ingenui e pieni d’ego e i Draghi Celesti, coloro che venerate come Dei, sono ancora peggio: pigri, sciatti, deboli e insignificanti, si fanno chiamare draghi, ma non sono altro che misere, vecchie e grasse lucertole ed è tempo che vengano deposti e che al loro posto si posizioni un vero Dio, ma tu questo momento non lo vedrai mai, schifoso ratto, mi hai infastidito per l’ultima volta. –
Con un veloce scatto della mano Corvo andò ad afferrare la pesante teiera in pietra e poi, con furia animalesca, colpì con violenza il volto di Don Harold che cadde a terra rantolante, non contento spinse un ginocchio sul suo petto colpendo più volte il cranio del nobile, che a ogni impatto inflitto emetteva suoni sempre più disgustosi, finché non rimase che un ammasso di carne irriconoscibile; solo a quel punto Corvo tornò ad alzarsi in piedi riprendendo il suo fare elegante e signorile, lasciando cadere a terra la teiera.
Si avvicinò al tavolo dove aveva riposto con cura la maschera per poterla rindossare.
 
- Guardie! – chiamò mentre si puliva le mani dal sangue con un tovagliolo per poi gettarlo sul cadavere con poca cura – Per favore, portate via questa spazzatura dalla mia sala da tè e avvertite Miss Saint Antoinette che fra pochi minuti sarò da lei, tempo di cambiarmi d’abito, questo è sporco di sangue di ratto ormai. –
 
 
--------------------------------------------------                                  
 
Era esausta, la notte precedente non era riuscita a dormire, appena chiudeva gli occhi quel maledetto incubo faceva capolino, facendola svegliare immediatamente.
“È stata tutta colpa tua.” solo questo le diceva Jonathan, fissandola con occhi spenti e vitrei e lei sentiva le forze abbandonarla, sentiva ogni singolo muscolo del suo corpo paralizzarsi e un grosso brivido percorrerle tutta la spina dorsale; a peggiorare ulteriormente la situazione poi c’era stata la comunicazione del blocco navale, che avrebbe prolungato la missione ulteriormente e il fatto che nonostante la sorella di Cupcake fosse al sicuro Jonathan non fosse ancora sparito ed ogni volta che apriva gli occhi fosse sempre lì al suo fianco.
Charlotte Linlin era stata così catapultata nuovamente nel passato, in quel passato terribilmente doloroso, quando si era sentita orribilmente debole, insignificante e inutile, quando aveva perso il sonno, quando anche il più squisito dei dolci nella bocca aveva il sapore di arida cenere.
Erano passati anni da allora, tanti anni, e in tutto questo tempo per sopravvivere, per soffocare quei sentimenti, Big Mom aveva dato ascolto a quell’orrida vocina viscida e maligna che le vagava nel cervello.
Quella vocina che aveva sempre avuto da quando era rimasta sola da bambina, da quando era diventata quello che era, quella vocina che la convinceva che tutto il mondo fosse un nemico, quella vocina che solo le dolci parole e il delicato tocco di Jonathan eran riusciti a zittire e lei, quando lui era scomparso, soffocata dal dolore, non aveva potuto far a meno che ascoltarla, convincendosi che fosse tutta colpa del pasticciere, che semplicemente l’avesse abbandonata, infrangendo ogni promessa fatta.
Ora però lui era riapparso, in forma di spettro, di allucinazione o di qualsiasi cosa fosse e per quando si sforzasse di dar ascolto a quei maligni sussurri, le sue convinzioni stavano vacillando e una sensazione che eran anni che non provava cominciò a farsi nuovamente strada nel cuore dell’ex imperatrice: la paura.
La paura di risprofondare in quell’oblio di dolore e tristezza che aveva dovuto affrontare quarantaquattro anni fa.
Spostò lo sguardo di lato e naturalmente Jonathan era ancora lì, steso sul cuscino con le mani dietro la testa a fissare il soffitto e lei, per un’stante, non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bello, a quanto le fosse mancato aprire gli occhi e trovarlo al suo fianco.
Distolse lo sguardo con un ringhio, scacciando quei pensieri così pesanti per lei.
 
- Cosa c’è? –
- Perché non sei ancora sparito? Ti ho già detto che devi andartene, ho aiutato nostro figlio, non ha senso che tu continui a rimanere qui per tormentarmi. –
- Ancora con questa storia Linlin? Ti ho già detto che non sono qui per questo, ma per aiutarti e per mantenere la promessa che ti ho fatto e poi mi sembrava di averti già spiegato che non c’entravo nulla con la richiesta d’aiuto di Cupcake. –
 - Non puoi più mantenere quella promessa, non puoi cambiare il passato, non puoi cambiare il fatto che tu mi hai lasciata sola… - la voce della donna ora aveva perso ogni sentore di rabbia, ora era solo carica di frustrazione e stanchezza.
- Linlin… - Jonathan sospirò, avvicinando la mano all’enorme guancia di lei – sai bene che non fu una scelta mia… -
La piratessa si congelò, perché quel tocco le era nuovamente sembrato troppo reale, troppo caldo, troppo bello…e per gli Dei quanto faceva male, faceva più male delle ferite e bruciava più dell’umiliazione subita, ma, al tempo stesso, era anche terribilmente piacevole.
A salvarla da quella situazione fu sua figlia Smoothie, la quale, bussò alla porta proprio in quel momento, facendo così scomparire nuovamente Jonathan.
 
- Mama, c’è il fratello Katakuri alla Den Den Mushi, ha necessità di parlarti, dice che è importante. –
- Entra pure. –
La gambelunghe aprì la porta portando la piccola creatura vicino al letto della madre per permetterle di comunicare con il ministro della farina al meglio.
- Parla Katakuri, di cosa hai bisogno? –
- La missione ha avuto un contrattempo Mama, a quanto pare il blocco navale è stata responsabilità di un certo Corvo e siam stati costretti ad accettare un suo favore per… -
- A fare cosa Katakuri?! Sapete benissimo che non vi è concesso prendere decisioni senza il mio consenso! –
Il rosso prese un grosso sospiro e deglutì, l’ultima cosa di cui aveva bisogno ora era incorrere nell’ira della loro madre, ma se necessario si sarebbe preso l’intera responsabilità dell’accaduto, proteggendo i suoi fratelli.
- È complesso Mama, credimi. –
Consapevole del temperamento del proprio capitano e della situazione psicologica in cui versava in quel momento il ministro della farina spiegò alla donna tutto nei minimi particolari, cercando di indorare la pillola il più possibile.
- Cosa vi ha chiesto in cambio? – soffiò irritata la donna.
- Nulla per ora, ma Cup…Jonathan e sua madre son convinti che presto tornerà a riscuotere il debito e qui arriviamo ad un altro problema: la famiglia di Jonathan ha intenzione di trasferirsi a Tottoland, Corvo sa che Jonathan è di sangue uno Charlotte e sono convinti che la cosa li metta in pericolo. –
“Sua madre” quel termine le faceva ribollire il sangue nelle vene, aveva perfettamente capito che Katakuri si riferisse a Helen e l’idea di dover ospitare quella donna nelle sue terre la riempiva di pura rabbia: non erano mai andate d’accordo, si erano sempre detestate, anche quando erano giovani, Helen la odiava perché era convinta che lei non meritasse suo fratello Jonathan, che non avrebbe fatto altro che metterlo in pericolo e ferirlo e Linlin l’aveva sempre odiata perché Helen aveva sempre provato ad allontanare Jonathan da lei e scontato era dire che nemmeno lei aveva mai avuto un briciolo di timore nei suoi confronti.
L’eccesso di baldanza doveva essere decisamene un difetto di famiglia.
Avrebbe voluto dire al figlio che se si fossero presentati lì con quella donna e la sua famiglia a seguito l’avrebbe fatta pagare cara anche a loro, che l’unica cosa che quella maledetta poteva trovare era la morte, ma era certa che poi non si sarebbe mai più scrollata Jonathan di dosso e quel tormento non si sarebbe mai concluso.
Digrignò o denti, chiuse gli occhi e contò fino a dieci cercando di canalizzare tutto il suo pochissimo autocontrollo e la sua minuscola pazienza.
 
- E sia, ma alloggeranno distanti il più possibile dallo Château, non voglio vedere le loro facce. –
- Molto bene Mama, fra tre giorni partiremo, se ci sono novità faremo immediatamente rapporto. –
Katakuri chiuse la chiamata e prese un enorme sospiro di sollievo, era decisamente andata molto meglio del previsto, uscì dalla stanza in cui si era chiuso per aver un attimo di tranquillità e ad attenderlo trovò i suoi fratelli e la famiglia di Jonathan, fulminando immediatamente Cracker con lo sguardo che anche in una situazione del genere stava facendo l’idiota, creando coniglietti di biscotto per poi farli saltellare attorno a Jolanda che sembrava più imbarazzata che colpita.
- Ho parlato con Mama, ha accettato di ospitarvi a patto che stiate il più lontani possibile dallo Château quindi… -
- Alloggerete a Biscuits Island! – intervenne repentino Cracker con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia – Vi procurerò una casa vicino alla mia abitazione e sarete sotto la mia protezione, così potremmo passare dell’altro tempo assieme mia dolce Jolanda! –
La ragazza fissò imbarazzata il viola che sembrava non voler mollare la presa per nessuna ragione, mentre Jonathan annuì e si schiarì la voce.
- Qualsiasi posto andrà bene, vi ringraziamo per l’ospitalità, resteremo solo il tempo necessario. –
- Oh, non fatevi problemi! Potrete restare finché lo desiderate! – sghignazzò Cracker lasciandosi cadere su una delle sedie lì vicino.
Helen sbuffò e si allontanò scuotendo il capo, non avrebbe mai voluto dover chiedere protezione alla cognata, ma aveva giurato sulla tomba di suo fratello e a sé stessa che avrebbe fatto di tutto per proteggere Jonathan e la loro famiglia, sperava soltanto che quella brutta avventura si sarebbe conclusa in fretta; purtroppo per lei si sbagliava di grosso.
 
 
 
--------------------------------------------------    
 
 
Erano solo i deboli raggi lunari a illuminare l’esile corpo nudo coperto appena dalle pregiate lenzuola di lino, mentre i lunghi capelli color carota, ora sciolti erano sparsi sul cuscino, contornando il viso rilassato della ragazza ormai immersa in un profondo sonno.
Corvo seduto a bordo letto si stava godendo un calice di pregiato vino rosso, fissando la luna piena che brillava alta nel cielo fuori dalla loro terrazza.
Era stata una giornata magnifica, dopo anni di lavoro, anni di manipolazione, tutto stava andando finalmente come doveva andare e presto lui avrebbe ottenuto il posto che gli spettava di diritto nel mondo; presto tutto sarebbe stato suo.
Non era stato difficile farsi perdonare per il ritardo a cena dalla nobile mondiale, Antoinette ormai non era altro che un misero burattino nelle sue mani: uno sguardo dolce, una leggera carezza, un tenero bacio, a Corvo non serviva altro per farle fare ciò che voleva, per farle credere ciò che desiderava.
Avevano parlato tanto e la giovane donna gli aveva detto con un enorme sorriso sulle labbra che i medici le avevano comunicato che il padre non avrebbe superato la notte e che quindi finalmente loro avrebbero potuto sposarsi e che il matrimonio si sarebbe svolto il più in fretta possibile, probabilmente addirittura in settimana, in quanto la ragazza non poteva aspettare oltre.
Per molti quello sarebbe stato il capo linea, di lì a breve lui, uno schiavo, avrebbe ottenuto il rango di Drago Celeste e con esso tutti i privilegi e i vantaggi che quel titolo portava, avrebbe potuto fare praticamente ciò che voleva, senza che nessuno potesse dire nulla, ma questo a Corvo non bastava, lui voleva di più.
Diventare a tutti gli effetti un Drago Celeste era semplicemente la prima parte dell’ultimo atto del suo magistrale piano.
Rise appena, stando attento a non svegliare la donna che dormiva beatamente a pochi centimetri da lui, pensando a undici anni fa quando il padre di Antoinette lo aveva comprato ad un’asta per l’enorme cifra di seicento milioni di Berry, firmando la condanna sua e della sua famiglia.
Come tutti i nobili mondiali né David né Antoinette brillavano di particolare intelletto e quindi per un uomo come lui fu una sciocchezza espandersi come un virus all’interno dell’enorme magione sfruttando il suo intelletto e la sua bellezza e quando qualcuno si metteva in mezzo, naturalmente, veniva eliminato, come era accaduto a Don Harold e come era accaduto al padre di Antoinette, avvelenato pian piano, riducendolo sempre più ad un vegetale, con la collaborazione del medico di famiglia e della servitù ormai completamente soggiogata al volere di Corvo, ammaliata da lui e dalle sue promesse di libertà.
Questo era ciò che i Draghi Celesti non capivano: un Dio non è nulla se non ha qualcuno che lo venera e loro non erano venerati; erano temuti sì, ma se da un giorno all’altro la protezione della marina e del governo fosse venuta meno, il popolo li avrebbe fatti a pezzi, mentre ciò a cui mirava Corvo, ciò che stava costruendo lui era un’armata di fedeli sudditi, il popolo lo avrebbe amato, venerato  e soprattutto, cosa più importante di tutte,  sarebbe stato disposto a morire per lui senza esitazione quando il momento lo avrebbe richiesto.
Lo squillo della Den Den Mushi interruppe i suoi pensieri, posò il calice di vino sul comodino e raccolse il piccolo animale allontanandosi dal letto per rispondere alla chiamata sul terrazzo della camera da letto, onde non svegliare Antoinette.
 
- Pronto? –
- Lo abbiamo trovato, ci è voluto parecchio tempo, ma siamo riusciti a tirarlo fuori dagli abissi. –
Un grottesco ghigno si formò sul volto dell’uomo.
- Magnifico. –
- Non ho idea del motivo per cui tu ti sia spinto a tanto per una cosa del genere, ma mi auguro che il tuo “pagamento” sia pronto. –
- Oh, di questo non dovete preoccuparvi minimamente, avrete tutto ciò che vi spetta, sono un uomo di parola, datemi solo qualche giorno e vi ricontatterò di persona per organizzare l’incontro come dovuto. –
- Perfetto, è stato un piacere fare affari con te –
- La cosa è reciproca. –
Ora che aveva l’ultimo tassello del mosaico, l’unica cosa che doveva fare era cominciare a comporlo.
 
 
Angolo autore: Eccoci qua signori! È stato un capitolo un po' complesso da scrivere questo, perché ho dovuto cercare di concentrarmi su Corvo il più possibile e allo stesso tempo non rilevare troppo né della sua persona né del suo piano, ma molto presto tutto verrà a galla e sarà rilevato! Ci vuole solo un altro po' di pazienza.
Mi scuso se è venuto un po' più corto del solito!
Ringrazio infinitamente come sempre Yumi, Giuly e Fenris che sempre mi dedicano parole di incoraggiamento ^^ e un grazie anche a tutti voi lettori silenziosi che continuate a seguirmi!
Piccola nota: per il tè a cui fa riferimento Corvo mi son ispirato a un tè realmente esistente ovvero il Da Hong Pao, tè cinese legato alla dinastia Ming e dal costo di circa 7000/9000 euro a tazzina (più o meno il costo riportato in Berry del tè a cui fa riferimento Corvo), ho pensato che nel mondo di One Piece se c’era qualcuno che poteva permettersi una roba del genere era proprio un Drago Celeste XD
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima!
- Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 8 - Mio piccolo dolce Cupcake ***


- Mio piccolo dolce Cupcake -
 
 
Era tremendo, essere innamorati era tremendo.
Da quando aveva realizzato di essersi effettivamente innamorata di Jonathan, Linlin era entrata in una spirale verso il basso tremenda: più il tempo passava più i sentimenti si intensificavano, più si sforzava di non pensare al pasticciere più i suoi pensieri andavano al suo sorriso, più si sforzava di non chiamarlo più era tentata di avvicinarsi alla Den Den Mushi.
Fortunatamente per lei scoprì di essere incinta poche settimane dopo; quindi, riuscì ad evitare fastidiosi intoppi con la propria ciurma.
L’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento era che Edward notasse la cosa e che il resto dei suoi commilitoni cominciassero a sospettare che qualcosa non andava.
Sdraiata a letto lasciò affondare il capo nel cuscino accarezzandosi la pancia ormai gonfia: da quella notte erano ormai passati diversi mesi, il parto era prossimo e Linlin pensava sempre più ad andare a trovare Jonathan non appena si fosse disfatta del peso della gravidanza.
La piratessa era una donna oltremodo orgogliosa, testarda ed egocentrica, ammettere che le parole che Barbabianca le aveva rivolto circa un anno prima erano vere era un enorme peso per lei, ma aveva avuto modo di rifletterci ed aveva realizzato che quello che il biondo diceva era vero: Jonathan la rendeva felice, terribilmente felice, felice come non lo era mai stata in vita sua e lei non voleva rinunciare in nessun modo a quella felicità.
Ovviamente non avrebbe mai reso pubblica la relazione col ragazzo, ne andava della sua reputazione, ma era decisa a farlo suo più che mai, nessun’altra donna avrebbe mai potuto averlo, Charlotte Linlin non avrebbe mai permesso che qualcosa che lei desiderava così ardentemente finisse fra le mani di un’altra persona e tutto questo, naturalmente, lo aveva metabolizzato e pensato senza considerare nemmeno per un’istante se il Jonathan condividesse o meno i suoi sentimenti.
Si voltò verso la piccola lumaca di mare quando la sentì squillare, avvicinò la mano e alzò la cornetta; le chiamate erano diventate così frequenti in quel periodo che spesso il corvino non aspettava nemmeno più che fosse lei a chiamare, ma la contattava direttamente lui, anche se, come sempre, le conversazioni veicolavano regolarmente sulla giornata o sui problemi di Linlin, in quel periodo tutti concentrati sui fastidi che una gravidanza di tre gemelli portava.
 
- Ti sei deciso a chiamare eh? La volta scorsa avevi detto che mi avresti chiamato per le tre di pomeriggio e sei in ritardo di ben mezz’ora! – protestò la donna con veemenza, sorvolando completamente sul fatto che lei invece lo chiamava quando voleva, anche in piena notte.
- Scusami Linlin è che oggi è stata una giornata pesante in pasticcieria, son entrati dei pirati ed han provato a rapinarci, per questo ho tardato. –
Le palpebre di lei tremarono di rabbia per un’istante.
- Chi erano Jonathan? – chiese glaciale, lasciando ben intendere le sue intenzioni.
- Sai, sei sempre molto dolce quando ti preoccupi per me. – ridacchiò lui – ma non temere, mio padre è arrivato qualche istante dopo e la cosa si è risolta in pochi secondi, l’unico problema è stato il dover rimettere tutto a posto e spiegare ai marine la situazione. –
La pirata tirò un sospirò di sollievo nel sapere che tutto si era risolto per il meglio senza che Jonathan si fosse ferito, ma questo non l’avrebbe fermata dall’indagare su chi erano quegli uomini che avevano osato tanto e se mai Raian non li avesse eliminati ci avrebbe pensato lei, facendoli uccidere nelle prigioni in cui erano rinchiusi.
- Piuttosto come procede la gravidanza? –
- È terribilmente fastidiosa, ma ne ho affrontante tante e non mi farò sicuramente abbattere da questa. –
- Ah, su questo non avevo alcun dubbio “Big Mom” – la prese in giro con una risata chiamandola col nome che i marine le avevano affibbiato.
- Jonathan! Falla finita o giuro che quando ci vediamo te la faccio pagare! –
- Va bene, va bene. – sospirò divertito – Quando hai intenzione di passare a trovarmi? Mi manchi Linlin, è passato parecchio tempo dall’ultima volta. –
 
La rosa si morse il labbro per un’istante, avrebbe voluto ammettere che pure lui le era mancato terribilmente e che avrebbe voluto andare a trovarlo il prima possibile, ma il suo orgoglio le impedì di confessare ciò.
- Partorirò a breve, fra qualche settimana, lascerò i gemelli alle balie e verrò da te Jonathan, vedi di farmi trovare i cupcakes pronti. –
- Certamente Linlin, come sempre. –
Parlarono per circa un’altra ora buona e Jonathan le raccontò com’era cresciuta rigogliosa la pianta di vaniglia che lei gli aveva regalato promettendole che l’avrebbe usata per farle i cupcakes la prossima volta che sarebbe passata di lì.
Quando si salutarono e la chiamata si chiuse, le labbra di Linlin si piegarono in un leggero sorriso involontario e le sue gote si tinsero di un rosa allegro.
 
--------------------------------------           
 
Così, dopo alcune settimane e un parto in nave, Linlin sbarcò sull’isola di Jonathan decisa a reclamarlo per sé stessa; aveva ordinato ai suoi uomini di rimanere sull’imbarcazione e di non venire a cercarla per nessuna ragione.
Ogni tanto, mentre si dirigeva dal molo alla locanda del pasticciere ricambiava con distrazione e svogliatezza i saluti che gli abitanti dell’isola le rivolgevano, ormai più che abituati alla sua presenza.
Era tardo pomeriggio ormai, questa volta ci aveva messo più del doppio a prepararsi per la partenza e più rimuginava sui suoi pensieri più si malediceva per provarli, perché la portavano ad andare contro a ciò che aveva sempre creduto: ovvero che l’amore fosse una debolezza, un sentimento falso ed effimero che l’unica cosa che poteva portare erano dolore e fallimento.
Ed infondo lo pensava ancora, rimaneva per lei una regola universale quella, ma una regola dalla quale Jonathan era esente: con lui era diverso, con lui poteva non aver paura.
Jonathan era un uomo di una bontà incredibile, una persona che vedeva del buono in chiunque e non avrebbe mai portato rancore per nessuno, emanava un calore umano disarmante e il suo sorriso era incantevole, con lui non aveva mai avuto bisogno di dimostrare nulla.
Era assurdo da dire, in quanto lei fosse decisamente più potente di lui, ma al fianco di Jonathan, Linlin si sentiva terribilmente al sicuro.
Arrivata alla porta della pasticceria prese un grosso respiro ed entrò, pronta a riscuotere ciò che le apparteneva di diritto, ma ciò che vide la fece pietrificare sul posto; un’altra donna, dai lunghi capelli biondi era stretta fra le braccia del ragazzo e rideva assieme a lui e Linlin, in quel preciso instante, conobbe un’altra nuova emozione, fino a quel giorno a lei completamente estranea: la gelosia.
Sentì il proprio corpo tremare e il petto dolerle, mentre la vista si assottigliava sempre più, non poteva credere che Jonathan stesse stringendo un’altra donna fra le braccia, che quella stretta in quell’abbraccio non fosse lei, come osava farle questo? Come si permetteva dopo tutto quello che aveva fatto? Dopo tutto quello che si erano detti?
Ed ecco qualcos’altro fare capolino nel cuore della donna, qualcosa che la fece infuriare ancora di più, ovvero l’invidia, l’invidia nei confronti di un’altra donna che in quel momento godeva di ciò di cui avrebbe voluto godere lei nel profondo del suo piccolo cuore.
Il peso di tutte quelle nuove emozioni presto si fece troppo pesante da sopportare e la piratessa scoppiò in un impeto d’ira.
 
- Jonathan! – tuonò infuriata scagliandosi contro di loro pronta ad aggredire la sua rivale – Come osi farmi questo! –
- Linlin cosa succed… - il pasticciere si voltò in tempo per vedere la scena e di scatto spostò la ragazza dietro di sé per proteggerla col suo corpo, aveva visto Linlin in quello stato solo in quella locanda quando si era scagliata contro quel pirata che l’aveva aggredito.
Fortunatamente per lui i riflessi della donna erano quasi istantanei e, di conseguenza, appena il ragazzo si parò davanti a lei per far da scudo alla bionda la rosa fermò il suo attacco, arrestandosi proprio a pochi centimetri dal volto di Jonathan.
- Cosa stai facendo Linlin?! Sei impazzita?! –
- Cosa faccio io? Cosa fai tu! Come osi!? – tuonò infuriata, mentre stringeva i pugni con tanta forza da rischiare che le unghie si conficcassero nella carne.
- Fare cosa? Di cosa stai parlando Linlin? –
La pirata divenne sempre più rossa di rabbia, non sopportava che facesse il finto tonto.
- Parlo di quella sgualdrina dietro di te Jonathan! A quanto pare nonostante io ti mancassi tanto come avevi detto non ti sei fatto mancare nulla eh?! –
Il pasticciere sgranò gli occhi completamente sopraffatto da quella rivelazione, aveva sempre scherzato con lei, soprattutto su come Linlin cercasse in tutti i modi di nascondere l’evidente affetto che provava nei suoi confronti, ma mai avrebbe pensato di assistere ad una scenata di gelosia da parte della donna.
- Sgualdrina sarai tu brutta stronza psicotica! – gridò la bionda dietro Jonathan – Credi che non si sappia che passi il tempo a trombarti più uomini possibile? –
- Dopo questa sei una donna morta! –
- Adesso basta tutte e due! – urlò il ragazzo, per una volta genuinamente arrabbiato – Helen! Vedi di darti una calmata e non peggiorare questa situazione! Smettila di essere una testa calda dannazione! E tu Linlin di cosa diavolo stai parlando? Questa è mia sorella, è tornata da Wano dove aveva studiato gli scorsi tre anni la cucina locale! –
Per un’istante la rosa rilassò completamente ogni singolo muscolo del suo corpo e tirò un sospiro di sollievo, ma poi la rabbia tornò a farsi sentire violentemente.
- Non parlarmi in questo tono!  È colpa tua che non mi avevi avvisato! –
- Linlin si può sapere di cosa stai parlando? DI cosa avrei dovuto avvisarti? E poi, anche se fosse stata la mia ragazza? Dannazione Linlin cosa diavolo te ne sarebbe fregato? Hai appena partorito tre gemelli! –
Il sentirsi urlare contro quelle parole da Jonathan la mandò completamente in tilt, non voleva ammettere ad alta voce i suoi sentimenti e non voleva nemmeno abbassarsi a chiedere scusa, ma allo stesso tempo non voleva nemmeno perderlo.
- Io…tu…non… -
Il ragazzo prese un grosso sospiro e si calmò, aveva già vagamente intuito quale fosse il punto e da un lato la cosa lo rendeva estremamente felice, perché Linlin aveva rubato il suo cuore tanto tempo prima, ma dall’altro era necessario che la donna capisse che ciò che aveva fatto.
Con tenerezza prese le mani della piratessa fra le sue con un gesto delicato e la fissò negli occhi con dolcezza.
- Linlin, sai benissimo che puoi dirmi tutto quello che vuoi, ma non puoi lasciarti andare a scatti d’ira simili, per un nonnulla poi, lo sai che per me sei importante, se ti dico che mi sei mancata molto è la verità, non ti mentirei mai… -
A quel punto la tensione per la piratessa si fece troppo pensante e non riuscendo più a sopportare quel nuovo vortice di sensazioni estranee in cui era piombata spinse via Jonathan con violenza, facendolo ruzzolare a terra.
- Smettila! –
 
Solo pochi istanti dopo si accorse di aver usato troppa forza; quando abbassando lo sguardo vide Jonathan a terra massaggiarsi la testa sanguinante e la sorella che cercava di soccorrerlo tamponando la ferita con uno straccio: cadendo il ragazzo aveva sbattuto la testa contro lo spigolo del bancone.
A quel punto, sopraffatta e sconfitta dalle proprie emozioni Linlin si voltò e fuggi via verso la propria nave.
- Sarebbe questo la ragazza di cui ti sei innamorato fratellone? – lo fissò interdetta e preoccupata Helen
- Già, è proprio lei. –  
 
-------------------------------------- 

Era pronta a tornare a Tottoland e non mettere mai più piede su quell’isola, a non vedere mai più Jonathan in vita sua, Linlin era impulsiva, soprattutto quando la rabbia prendeva il sopravvento ed invece si ritrovò a tarda sera a fare capolino dai cespugli che portavano sulla scogliera dove si sedevano sempre lei e Jonathan, sapendo bene che l’avrebbe trovato lì.
Non le importava nulla se rimanendo avrebbe corso il rischio di incappare nell’ira di Raian, lei aveva tutto il diritto di trovarsi in quel luogo, almeno finché non fosse stato Jonathan stesso a cacciarla.
Rimase ferma immobile dietro di lui, fissando la sua schiena e il telo sul quale aveva già fatto posto per lei e sopra il quale aveva appoggiato un cesto pieno di cupcakes.
Sapeva che sarebbe venuta nonostante tutto e la stava aspettando di conseguenza.
- Allora? Ti siedi, guarda che i Cupcakes non resteranno caldi per sempre. – sorrise appena voltandosi.
Linlin sospirò e prese coraggio.
- Scusami. – nemmeno lei poteva credere alle sue orecchie
- Come prego? – rise leggermente lui alzando le sopracciglia completamente stupito da quell’evento più unico che raro – Charlotte Linlin che si scusa? –
- Ho sbagliato non dovevo accusarti. – ripeté imbarazzata
Jonathan le regalò uno di quei sorrisi che solo lui sapeva fare e dopo essersi alzato si avvicinò alla rosa accarezzandole appena la guancia.
- Allora, dimmi, perché prima ti sei comportata così? Dovevi dirmi qualcosa? –
Le gote della piratessa si fecero porpora immediatamente, questa volta in modo tale da impedirle di nasconderlo in alcun modo, ma le parole che voleva confessare al pasticciere non le uscirono in alcun modo dalla bocca.
- Al diavolo! – imprecò stufa e dopo aver afferrato Jonathan per la maglia lo trascinò verso di sé, coinvolgendolo in un bacio piuttosto rude, ma carico di sentimento, un bacio come Linlin non aveva mai dato e per la prima volta in vita sua, baciare qualcuno le piacque, le piacque da moire.
Sentiva il cuore batterle all’impazzata, come se avesse potuto da un momento all’altro uscirle dalla gola, il sapore delle labbra di Jonathan poi era così dolce e buono che nemmeno i suoi cupcakes potevano reggere il confronto.
Si separarono dopo qualche secondo, per riprendere fiato da quel lungo e intenso bacio, ma, dopo un veloce sguardo reciproco, le loro labbra tornarono ad unirsi, questa volta con più delicatezza.
- Ti amo – sussurrò a fior di labbra lui – credo di amarti dal primo giorno Linlin –
Lei sorrise continuando a baciarlo con energia, sfilandogli la maglietta per poi spingerlo sul telo: questa volta non avrebbe resistito e non si sarebbe fatta scrupoli, avrebbe dato sfogo a tutta la passione che provava per Jonathan su quella scogliera e così fece.
Non avrebbe saputo descrivere quanto avesse amato lasciarsi andare quei tocchi e quelle carezze, a quanto avesse adorato sentire le delicate mani di Jonathan passare sul suo corpo nudo, a quando l’avessero mandata in estasi le sue labbra, che poggiavano dolci e leggeri baci sulla sua pelle, non curanti minimamente delle cicatrici da cui era coperta.
Per Linlin il sesso era sempre stato puramente procreativo, non l’aveva mai visto come espressione dell’amore, al massimo come sfogo o come divertimento, almeno fino a quel giorno: quella sera Linlin sentì di poter toccare il cielo con un dito, si sentì felice come non lo era mai stata, tanto da non vergognarsi minimamente nel chiamare il nome del ragazzo più volte durante l’amplesso e persino lei riuscì a ricambiare i gesti delicati di lui, sfiorandolo appena, stringendolo al proprio petto.
Così quella notte sotto le stelle Jonathan e Linlin fecero l’amore diverse volte, senza preoccuparsi di nulla, in quel momento al mondo esistevano solo loro due e nient’altro importava più.
Infine, esausta, la pirata si stese al fianco del pasticciere, passando con delicatezza le dita sul petto di lui.
 
- Dovrai procurati un letto più grande nella tua stanza, non possiamo certo continuare a farlo qui, è scomodo, intanto, per questi giorni, potremmo usare la mia cabina, lì non ci disturberà certo nessuno. –
Il ragazzo si voltò verso di lei, scostandole una ciocca di capelli dal viso.
- Lo farò, ma ti prego cerca di venirmi a trovare più spesso. –
La donna esitò per un’stante, ma a quel punto fingere non aveva senso, non con lui, non con il suo Jonathan.
- Farò il possibile Jonathan e ti prometto che d’ora in poi sarai tu l’uomo con cui costruirò il mio sogno. –
- Ed io ti prometto che resterò al tuo fianco per sempre Linlin, non dovrai mai più aver paura di restare da sola, non dovrai mai più temere di essere abbandonata, te lo prometto. –
- Grazie… - si limitò a rispondere lei, andando ad unire le loro labbra nuovamente.
- Lo sai Linlin, quando sorridi in quel modo, sei meravigliosa. –
- Io sono sempre meravigliosa! Come ti permetti! –
- Lo so, ma quando hai quel dolce sorriso lo sei particolarmente. –
- Beh, sentiti onorato, nessun’altro al mondo ha mai avuto o avrà mai l’onore di vedere questo sorriso. – ed era vero.
- Sono più che onorato Linlin. –
 
La donna fece un leggero sospiro andandosi a coprire con il telo per poi fissare le stelle che ora brillavano alte nel cielo notturno.
Si chiedeva come avrebbe fatto adesso, ora che c’era qualcuno a cui teneva veramente, ora che anche lei aveva qualcuno da proteggere, ora che nella sua vita non c’era più solo lei, ma si era unita un’altra persona.
I suoi figli c’erano è vero, ma non erano mai stati effettivamente importanti ai suoi occhi, non a livello emotivo quantomeno, aveva gli strumenti per farne altri nel caso peggiore, Jonathan invece era unico, ciò che le faceva provare era unico, ma la vita che lei conduceva non era adatta ad un uomo dolce come lui.
In quel momento Linlin era felice, ma anche estremamente preoccupata, per questo era sempre più convinta che avrebbe portato Jonathan via da lì prima o poi, perché mai avrebbe permesso a qualcuno di strapparle questa felicità che aveva appena trovato.
- A cosa pensi Linlin? –
- Nulla. – mentì
- Lo sai vero di essere una pessima bugiarda? – ripeté a cantilena lui ricevendo in risposta un’occhiataccia seguita da un ringhio e un sospiro.
- Penso a come faremo ora, Jonathan il mio mondo non è adatto ad una persona come te, come faremo a…a far funzionare tutto questo? Per quanto io lo voglia e nonostante debba inghiottire il mio orgoglio per ammetterlo…lo voglio veramente, come potremo far conciliare i nostri due mondi? –
- Io Linlin non ho risposte alle tue domand,, forse ho solo altre domande, quello che posso dirti però, quello che posso prometterti è che qualsiasi cosa accadrà d’ora in poi l’affronteremo assieme, mio piccolo dolce Cupcake. –
La donna strabuzzò gli occhi facendosi completamente rossa in volto per quel nomignolo sdolcinato.
- Come mi hai chiamato? –
- Sei il mio piccolo dolce Cupcake! – sghignazzò lui
- Sei un idiota! –
- Sì, me lo hai già detto. – rispose allegro andando a prendere un cupcake dalla cesta per porgerglielo – Vuoi? Son fatti con la vaniglia che mi hai portato. –
Linlin non rispose nemmeno, si limitò a strappare il dolcetto dalle mani del ragazzo per addentarlo in silenzio, senza però separare il dolce contatto dei loro corpi nudi.
Rimasero in silenzio per diverso tempo, godendosi solamente le carezze l’una dell’altro e mangiando i dolci che Jonathan aveva preparato con le sue stesse mani.
La rosa rimuginò su ciò che era appena successo, a come si fosse esposta, a come si fosse resa vulnerabile per la prima volta in vita sua e al contrario di ciò che temeva non se ne pentiva minimamente, anzi era estremamente felice di averlo fatto.
 
- Sai, credo che questa volta mi fermerò per più tempo. – I Rocks avrebbero potuto aspettare, lei non aveva alcuna fretta di tornare, anche perché aveva il vago dubbio che Newgate avrebbe intuito qualcosa e Linlin non ava alcuna intenzione di sentirlo gongolare e prenderla in giro.
- Mi fa estremamente piacere sentirtelo dire. –
- Naturalmente resto solo per i cupcakes! – sorrise lei
- Ho anche l’onore di ascoltare Charlotte Linlin scherzare? Devo essere veramente un pasticciere eccezionale! –
- Sei solo molto fortunato. –
- Già, forse hai ragione. – rise lui – cosa ne dici se ora ci ritiriamo? Per questa sera potremmo dormire da me, il letto è un po' piccolo per te, ma è comunque sufficientemente spazioso, per una notte dovrebbe andar bene. –
- D’accordo. –
 
­-------------------------------------- 
 
Quando i primi deboli raggi solari filtrando dalla finestra la svegliarono, la prima cosa che Linlin vide fu il viso sereno di Jonathan addormentato contro il suo petto.
La notte precedente dopo essersi rivestiti erano tornati alla casa del pasticciere dove, colti nuovamente dalla passione, avevano fatto l’amore un’ultima volta prima di crollare stremati.
Quello forse era stato il giorno più bello della vita di Linlin finora; anche se lei non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce.
Passò le lunghe braccia attorno al corpo del ragazzo e lo strinse a sé, in un gesto incredibilmente dolce e delicato, completamente estraneo ad una persona come lei.
- Hey, svegliati, ho fame voglio che mi prepari dei dolci! –
- Buon giorno anche a tè mio piccolo dolce Cupcake. – rispose lui aprendo pigramente gli occhi e ricevendo in risposta uno sbuffo imbarazzato.
-  È un soprannome veramente stupido e smielato! Ti proibisco di usarlo! –
- Altrimenti? – la provocò con un ghigno furbo e divertito lui
- Altrimenti te la farò pagare! –
- Tremo tutto. –
- Sai che potrei stritolarti con pochissimo sforzo vero? –
- Già…potresti. – Jonathan spostò leggermente in avanti il capo sul cuscino, andando ad allacciare a sua volta le braccia dietro la schiena nuda della pirata per poi poggiarle un delicato bacio del buon giorno sulle labbra e lei, nuovamente sconfitta, arrossì e distolse lo sguardo per un istante.
- Vuoi sempre dei cupcakes a colazione? –
- Sì, al cioccolato. –
- Perfetto, vestiamoci e scendiamo in laboratorio, così te li preparo, poi abbiam la giornata tutta per noi, oggi sono libero. –
 
Trovarsi tutti gli occhi della famiglia Tew al completo su di sé era una sensazione che a Linlin non piaceva nemmeno un po', Helen la fissava con disprezzo, Raian ci aggiungeva un misto di rabbia e minaccia e quella che doveva essere la madre, spostava costantemente lo sguardo fra lei e il figlio, intento a cucinarle i dolci che lei tanto amava ai fornelli, con uno sguardo carico di preoccupazione.
Voleva urlare loro di piantarla di fissarla, ma tacque, onde evitare di peggiorare ulteriormente la situazione, soprattutto dopo ciò che era successo il giorno prima e che sicuramente quella stronza della sorella di Jonathan non aveva mancato di comunicare a Raian.
Fortunatamente il corvino era un pasticciere molto abile e i dolci furono pronti in brevissimo tempo, così da permettere loro di consumare la loro colazione in una stanza separata, come una vera coppia.
Già una coppia: le faceva così strano pensarci, lo erano diventati ufficialmente? Probabilmente sì, forse lo erano già da prima, semplicemente lei non se ne era ancora resa conto, infondo le promesse che si erano scambiati la sera prima avevano una notevole importanza.
- Ha aperto una nuova locanda in riva al mare, dicono sia squisita, potremmo andarci a pranzo! Poi nel pomeriggio potremmo andare alle terme, cosa ne dici? –
- Finché ci portiamo dietro qualche dolce da mangiare mi va bene tutto. –
- Perfetto! Allora vado a prendere tutto il necessario in casa e torno subito, così possiamo partire! –
Quando Jonathan uscì dalla stanza, pochi istanti dopo vi entrò Helen, che senza alcuna esitazione andò a sedersi dove poco prima era seduto il ragazzo.
L’espressione di Linlin cambiò immediatamente, tornando a irrigidirsi in uno sguardo carico di rabbia e odio.
- Cosa diavolo vuoi? –
- Cosa voglio? – sibilò la bionda -Vorrei che tu sparissi dalla vita di mio fratello, perché lo farai solo soffrire e una come te non porta nulla di buono, né sarà mai in grado di amare veramente, ma non voglio che mio fratello soffra, perché non se lo merita e per qualche ragione lui ti ama. – sputò velenosa – Non sono una stupida non mi ci vuole molto a capire cosa sia successo fra voi, mio padre mi ha raccontato tutto e Jonathan non perdeva occasione di parlarmi di te quando mi chiamava; però sappi questo: mio padre si fiderà anche del giudizio di mio fratello, ma io no, lui è troppo buono e tu non lo meriti, farò di tutto perché lo capisca e ti abbandoni, ma fino ad allora sappi che se lo farai soffrire te la farò pagare molto cara. –
- Come ti permetti tu brutta… -
- Eccomi qua! –
Fortunatamente il corvino fece capolino nella stanza con uno zaino sulle spalle impendendo alla situazione di degenerare ulteriormente.
- Oh, Helen, che ci fai qui? –
- Nulla volevo solo conoscere un po' meglio la fidanzata di mio fratello! Volevo rimediare al nostro primo pessimo incontro di ieri! – rispose lei alzandosi e tirandogli una pacca sulla spalla facendolo arrossire appena alla parola “fidanzata” – Coraggio avrete impegni per la giornata andata pure! Ci pensiamo io e papà qui! -
- Grazie mille Helen! Coraggio Linlin andiamo! –
La pirata senza aggiungere altro si avviò verso la porta assieme al pasticciere chiedendosi come avesse potuto bersi una simile bugia nonostante riuscisse a scoprire immediatamente quando era lei a mentire.
E così quella bastarda avrebbe fatto di tutto per strappargli via Jonathan? Perché lei non lo meritava? Ci doveva solo provare, perché ora che aveva trovato la sua felicità Charlotte Linlin non l’avrebbe lasciata andare per nulla al mondo.
 
 
 
Angolo autore: Niente alla fine è successo! Finalmente questi due non solo si sono baciati, ma si son spinti proprio oltre! Devo dire che non ho resistito e ho spinto sul pedale per questo capitolo, non vedovo l’ora di far iniziare la loro storia d’amore, non mi aspettavo di innamorarmi tanto di una coppia che io stesso ho creato XD
So che Linlin è OOC, purtroppo però, ponendola in un contesto romantico, era inevitabile che succedesse, me la gioco semplicemente sul fatto che si tratta di una Linlin giovane; quindi, può essere plausibile che avesse un carattere diverso aahahah, in tutti i casi ho scelto apposta di mettere l’avvertimento di OOC nelle note sapendo che sarebbe successo!
Detto questo son comunque soddisfatto di come è uscito il capitolo e spero che piaccia anche a voi!
Ringrazio come sempre Giuly, Yumi e Fenris che ogni volta recensiscono con bellissime parole di incoraggiamento! Significa davvero tanto per me!
Grazie mille anche a tutti voi, lettori silenziosi <3
 
Alla prossima!
- Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 9 - Salvatore diabolico (parte seconda) ***


- Salvatore diabolico parte 2 -
 
Tre giorni precisi.
Dopo tre giorni precisi il blocco della marina come era stato creato sparì nel nulla, senza giustificazioni o spiegazioni di sorta e per quanto Katakuri fosse contento di levare le ancore da quell’arcipelago allo stesso tempo la cosa gli provocava un notevole nodo allo stomaco: essere indebitati con un Drago Celeste non era assolutamente una cosa da prendere sottogamba; essere indebitati con qualcuno che da schiavo era riuscito a tirare i fili di un Drago Celeste era decisamente peggio.
Helen gli aveva raccontato quel che sapeva nei dettagli, di come se sulla carta fosse la famiglia di Antoinette a detenere il potere in quelle zone, nella pratica non c’era nulla che non passasse dalle mani di Corvo e ciò bastava a far capire al rosso quanto fosse pericoloso e da non sottovalutare come individuo.
Il ministro della farina si massaggiò le tempie stanco e carico di dubbi, come se non fossero già sufficienti le condizioni in cui versava la loro madre e l’enorme smacco che la loro ciurma aveva subito in quel periodo si erano aggiunti l’arrivo di Cupcake a generare caos nella famiglia ed ora il debito che dovevano a un uomo come Corvo, con il quale, nonostante Katakuri lo avesse appena conosciuto, avrebbe decisamente preferito avere nulla a che fare.
Camminando verso il porto seguiti da Jonathan e la sua famiglia gli occhi del gruppo cadevano costantemente sulle sfarzose, esagerate e pacchiane decorazioni appese per le strade della città, atte a celebrare il matrimonio fra Saint Antoinette e Corvo, che in quei giorni si sarebbe celebrato, poco dopo il veloce e sbrigativo funerale che la ragazza aveva voluto riservare al padre.
 
- Certo che il buon gusto proprio non rientra nei piani dei nobili mondiali eh? – borbottò Cracker mentre si portava sulle spalle le due valigie di Jolanda che aveva voluto a tutti i costi portare lui fino alla nave – Cosa dici Jolanda? Addobberemo così le strade di Biscuits Island per il nostro matrimonio? – sghignazzò divertito ricevendo l’ennesimo sguardo imbarazzato dalla ragazza e uno sguardo decisamente più aggressivo da Helen.
- Sto scherzando! Sto scherzando nonnina! Non ti arrabbiare! –
Perospero si strinse irritato il setto nasale dagli infantili comportamenti del fratello, che non facevano altro che rendergli quella situazione ancora più difficile da mandare giù.
 
- Cerchiamo di sbrigarci, prima arriviamo a Tottoland meglio è! – sputò secco il maggiore
- Concordo – aggiunse Helen – a breve queste strade pulluleranno di Draghi Celesti e più lontani si sta da quella feccia meglio è. -
- Col vento a nostro favore non dovrebbero essere più di dieci ore di navigazione, saremo a casa prima di cena e voi avrete tempo di sistemarvi nell’abitazione che vi è stata preparata, ha anche un piccolo forno, così potrete continuare la vostra attività di pasticcieri pure la a Tottoland. –
- Non sappiamo veramente come ringraziarla della premura signor Katakuri, si è veramente spinto oltre. – il gentile anziano dei capelli bluastri che aveva appena parlato era Paul, il marito di Helen, uomo dalla stazza piuttosto robusta nonostante l’età, dalla carnagione olivastra e dagli occhi color rame.
Non avevano avuto modo di conoscerlo molto bene, era una persona piuttosto riservata e dal carattere molto mite, ma da quel poco che il generale dei dolci aveva potuto vedere aveva facilmente constatato che fosse un brav’uomo e tutto fuorché una minaccia.
- Non si deve preoccupare in nessun modo, non è stato alcun disturbo, nel nostro arcipelago come potete immaginare le pasticcierie certamente non mancano e trovarne una inutilizzata che potesse essere anche un’abitazione è stato facile. –
- Già! E poi io vi difenderò! Non permetterò a nessuno di farvi del male! – aggiunse tronfio Cracker, lanciando uno sguardo a una sempre più imbarazzata Jolanda, mentre salivano sul ponte della loro nave.
- In tutti i casi – intervenne il rosa – i ringraziamenti sono dovuti, non solo mi avete aiutato a salvare Jolanda, ma ci state anche ospitando nelle vostre terre. –
“È tutto dovuto” avrebbe voluto aggiungere Helen alle parole del figlio, ma preferì tacere onde evitare di creare discussioni inutili in un momento così delicato.
 
 
- Perfetto, potete ritiravi nelle vostre cabine e riposare se volete, alla navigazione penseremo noi tre. – li liquidò con poco garbo il ministro delle caramelle dirigendosi poi verso il timone, seguito a ruota da Katakuri, dopo aver indicato loro in modo molto sbrigativo le stanze, mentre Cracker, rimase fermo lì, sorridendo come un’ebete, felicissimo di non avere non solo ancora il suo nuovo fratellino con sé, ma ora pure la bellissima Joalnda a fargli compagnia.
Dall’alto della poppa Perospero continuava a guardare con disprezzo Cupcake e la sua famiglia, mentre anche la rabbia e la frustrazione nei confronti del ministro dei biscotti stava aumentando, non riuscendo a capire come potesse essere così amichevole con quelle persone e di come si potesse fidare tanto di quel loro nuovo fratello, anche se, a quanto pare, li legava veramente il sangue.
La grossa mano di Katakuri si poggiò sulla sua spalla e lo sguardo del rosso fece diminuire un poco quella pressione che stava provando, rilassò i muscoli e tirò un leggero sospiro, senza staccare le mani dal timone della nave, che ora stava uscendo dal porto.
“Ne verremo fuori, assieme, come sempre” ecco cosa stava a significare quel gesto da parte del minore.
- Ho una brutta sensazione Katakuri, molto brutta. –  
Il ministro della farina gettò una veloce occhiata al ponte, dove loro fratello minore Cracker continuava a comportarsi in modo inopportuno, dando troppa confidenza, facendo troppe domande e soprattutto prendendo quella situazione troppo alla leggera.
- Vai a riposare fratello Peros, ne hai bisogno, guiderò io la nave fino a casa. –
Il maggiore annuì e massaggiandosi le tempie si chiuse nella cabina del capitano, nel tentativo di ottenere un po' di riposo, almeno fino al loro arrivo a Tottoland.
 
-----------------------------------
 
Corvo continuava a tormentarsi le mani in prenda all’eccitazione, dopo tutti quegli anni di ricerche, dopo tutto quel tempo ad aspettare, stava per mettere le mani sul tassello fondamentale per la riuscita del suo piano.
Era passata circa una settimana da quando aveva ricevuto quella chiamata, ora era ufficialmente il marito di Antoinette ed era a tutti gli effetti un Drago Celeste anche lui, ma questo aveva portato un cambiamento solo sulla carta al suo effettivo status sociale, quello  vero sarebbe giunto di lì a breve.
Aveva detestato con tutto sé stesso i giorni del matrimonio, i parenti di Antoinette e gli altri Draghi Celesti che componevano il consiglio erano a dir poco rozzi, goffi e maleducati, tutto ciò che non si addiceva ad un Dio, o più semplicemente ad un nobile, ma questo avrebbe reso solamente più soddisfacente la loro estirpazione.
 
- Allora, dov’è questa famosa isola? – grugnì con fare irritato Saint Bernard, cugino di Antoinette, nonché nipote del defunto Saint David e membro del consiglio.
- Oh, non devi temere, siamo vicini, come ti ho promesso in quest’isola c’è la più grande asta di sirene del mondo, non ti pentirai di esserci venuto. –
L’uomo prese a saltare sul posto battendo le mani e ridendo in modo volgare: Bernard, infatti, era noto per la sua enorme e perversa “passione” per le sirene e in genarle l’acquisto di schiavi uomini pesce, che tendenzialmente sotto le sue grinfie morivano nel giro di pochi mesi, schiacciati dalle sevizie e dalle torture alle quali il nobile mondiale li sottoponeva.
- Oh, e non credere che ora, solo perché hai sposato la mia cuginetta, tu possa contare qualcosa! Sei e rimarrai sempre uno schifoso schiavo, sarò io, ora che è morto lo zio, a comandare questa famiglia e questo consiglio. –
Gracchiò andandosi a specchiare nella maschera di Corvo, pulendosi i denti con un dito, facendo storpiare il volto di quest’ultimo in una smorfia di disgusto sotto di essa: Bernard era decisamente una visione poco gradevole, era sciatto, dai tratti che ricordavano vagamente un suino ed emanava un odore poco gradevole, indice del fatto che non fosse troppo avvezzo alla pulizia e all’igiene.
- Certamente, ne sono consapevole. – lo liquidò con sufficienza, consapevole che di lì a breve quel teatrino si sarebbe concluso.
- E un’altra cosa, devi portarmi rispetto e darmi dal lei! – pestò i piedi irritato – ci stiamo mettendo troppo ad arrivare maledizione! Avevi detto che era vicino stupido schiavo! – urlò portandosi le mani ai sudati capelli arancioni.
- Siamo vicini non tem… - non riuscì nemmeno a concludere la frase che la nave su cui viaggiavano si arrestò all’improvviso bloccata da qualcosa, facendo sbilanciare in avanti lui e ruzzolare a terra Bernard che piagnucolò massaggiandosi il naso.
- Siamo arrivati. – sorrise Corvo.
- Cosa diavolo vuol dire che siam arrivati? Siam nel bel mezzo del mare! E poi voglio che quell’incompetente del timoniere venga immediatamente gius…giusti… -
Le parole gli morirono in bocca e la voce prese a tramare quando notò un grosso numero di pirati uomini pesce salire sulla barca, con fare decisamente poco amichevole.
 
- Ci avete trovati, spero che non sia stato troppo difficile! – li accolse Corvo con fare gentile, sotto gli occhi sbigottiti di Saint Bernard.
- Conosciamo queste acque meglio di chiunque altro umano, non sottovalutarci. – chi aveva parlato era il loro capitano, un uomo pesce specie squalo martello, che con fare burbero si avvicinò seguito da altri due pirati, uno dei quali reggeva fra le mani un piccolo forziere nero.
- Questo è quello che cercavi, non so perché tu abbia dato così tanta importanza a una cassa così piccola, né mi son preso la briga di indagare, finché tu mantieni la tua parte di accordo questo potrebbe essere anche il One Piece per quel che mi riguarda! –
- Te l’ho detto, son un uomo di parola. – Corvo si scostò appena indicando col pollice il nobile mondiale ancora a carponi sul ponte della nave – è tutto vostro, in più nella stiva ci sono circa seicento milioni di Berry, anche quelli sono vostri, l’imbecille ha creduto alla storia dell’asta e dopo che gli ho aggiunto che fosse clandestina, non ha esitato un’istante a partire senza la scorta della marina, nessuno sa che è qui, nessuno verrà a salvarlo. –
In preda al panico e alla confusione il Drago Celeste prese a guardarsi intorno cercando una qualche via di fuga o semplicemente qualcuno che potesse difenderlo dai pirati aggressori, sfortunatamente per lui, però, la nave era già completamente assediata e le guardie del corpo erano già state eliminate dai pirati, sull’imbarcazione eran ormai rimasti lui, gli uomini pesce e Corvo.
- N-non puoi farmi questo! Come ti permetti di usarmi come merce di scambio! Io sono un Dio! Un Dio! Dovresti venerarmi, adorarmi! Tutti voi esseri inferiori dovreste farlo! –
- Mh? – da dietro la maschera l’altro gettò verso il nobile a carponi un’occhiata di sufficienza, distogliendo per un’istante lo sguardo dal piccolo forziere nero, incrostato di coralli, che ora giaceva fra le sue mani.
- Un Dio dici? – poggiò il tesoro per terra e si avvicinò al suo interlocutore, chinandosi sulle ginocchia, per poterlo guardare meglio negli occhi – Se sei un Dio dimmi, per che ragione stai strisciando ai nostri piedi? Eh? –
- L-la famiglia te la farà pagare! La marina verrà a cercarti! –
- A cercarmi? Nessuno sa che siamo qui, nessuno ha la minima idea di dove si trovi la tua nave in questo momento Bernard, sparirai nel nulla e io ne uscirò perfettamente pulito, non prenderla sul personale, ho intenzione di sostituire tutti i membri del consiglio, siete semplicemente esseri scialbi ed inutili, non adatti ai miei piani. –
Sufficienza, ecco di cosa trasudavano le parole di Corvo, non c’era odio, non c’era rancore né rabbia, gli stava parlando di eliminare dei Draghi Celesti come se stesse parlando di sradicare delle semplici erbacce, le quali non facevano altro che compromettere la bellezza di un giardino fiorito.
- Comunque sia, hai fatto incazzare parecchio gli uomini pesce nel corso della tua vita, sai, la sorellina del capitano di questi pirati l’hai catturata e fatta fuori tu, credimi, ora come ora hai decisamente altro a cui pensare rispetto a cosa farò io nel futuro. –
Concluse alzandosi in piedi per poi dare le spalle a Saint Bernard, il quale però gli afferrò immediatamente la caviglia.
- Come ti permetti di voltarmi le spalle così schiav… -
Le parole del nobile mondiale furono troncate da un violento calcio in pieno volto, che Corvo, girandosi di scatto gli sferrò, facendolo rotolare qualche metro distante.
- Non mi devi toccare schifoso verme! Le bestie inferiori come te devo imparare a conoscere il loro posto nel mondo! –
Ricompostosi e gettata un’ultima occhiata al nobile mondiale, ora rannicchiato in posizione fetale piagnucolate, raccolse nuovamente il forziere e si diresse verso la scialuppa di salvataggio.
- Sei sicuro di voler affrontare il viaggio di ritorno su una scialuppa? Queste acque possono diventare molto insidiose. – chiese il capitano, andando a caricare la sua pistola.
- Non preoccuparti di questo, ho già chi mi aspetta con la mia nave poco più indietro, voi piuttosto, avete un giocattolo interessante per le mani, non sprecatelo con dei proiettili, divertitevi un po', d’altro canto, quando mai vi ricapiterà di torturare un Drago Celeste. –
Il pirata gettò gli occhi prima sulla pistola, poi su Corvo infine su Saint Bernard, prima di decidere di rinfoderare l’arma ed estrarre un coltello.
- Oh, e ricorda che lui non si è minimamente trattenuto dal torturare la tua sorellina. –
Naturalmente questo Corvo se l’era inventato, non aveva assolutamente idea se fosse vero quello che aveva detto, non era nemmeno totalmente sicuro che fosse stato proprio Saint Bernard la causa della morte della sorella di quel pirata, semplicemente quelle ultime parole le aveva aggiunte per puro sfizio, perfettamente conscio che avrebbero peggiorato la sofferenza del nobile mondiale.
 
Una volta sulla scialuppa estrasse una Den Den Mushi dalla tasca della giacca.
- Karai, qui ho finito, sarò fra circa venti minuti nella vostra posizione. –
Chiusa la chiamata si voltò un’ultima volta con un sorriso sulle labbra per osservare la nave dalla quale ora provenivano le urla di Saint Bernard.
 
-----------------------------------
 
Appena raggiunta la propria imbarcazione venne immediatamente accolto da Karai con un inchino formale.
- Corvo, mio signore, spero che lo scambio sia avvenuto senza intoppi e che lei non abbia corso rischi nel raggiungerci. –
- È andato tutto perfettamente secondo i piani Karai, Saint Bernard non c’è più, inoltre, l’ultimo tassello per la creazione della nuova era, la mia era, è finalmente fra le mie mani. –
- Vuol dire che? –
- Seguimi nella mia cabina Karai, ti spiegherò tutto mentre facciamo ritorno a casa. –
In silenzio la donna obbedì e una volta chiusa la porta alle sue spalle aspettò che Corvo aprisse quel forziere, per poi trasalire alla vista di cosa conteneva: nero come la pece e dalla forma vagamente simile a quella di un cuore, un frutto del diavolo stava pulsando davanti ai suoi occhi e cosa ancor più strana, sembrava muovere le proprie radici come tentacoli irrequieti.
 
- Quello è… -
- Il Chi Chi no Mi, il frutto del sangue. –
- Il frutto di… -
- Di Naaza, il primo dei pirati, colui che per il potere si racconta che fece un patto con il diavolo in persona. –
- Pensavo fosse tutta una leggenda, una favola per spaventare i bambini. –
- Forse in parte lo è, chi lo sa, sono passati quasi mille anni da quando Naaza avrebbe solcato le acque come una peste, ma il suo frutto, quello che secondo le leggende lo aveva reso pressoché inarrestabile, è reale. –
- La storia di Naaza però finisce con… -
- Con lui fermato e ucciso dall’ira degli Dei? Perché il suo male aveva sconfinato oltre? – Corvo sghignazzò – Queste, non sono altro che leggende Karai, non ho idea se Naaza morì perché tradito dai suoi stessi seguaci o un esercito di suoi nemici lo sconfisse e gettò il forziere contenente il suo frutto negli abissi perché troppo pericoloso, quello che so è che non condividerò il suo destino. –
 
La corvina gettò un’altra occhiata a quel frutto dall’aspetto così insolito e inquietante.
- Sembra… -
- Vivo? – sorrise – Perché lo è Karai, il Chi Chi no Mi non è come gli altri frutti del diavolo, è un frutto parassita, che una volta mangiato vive in simbiosi col suo portatore, infettando il suo sangue, e rendendolo quello che potremmo definire un “portatore sano” della malattia che questo frutto tramette. –
- C-cioè? – Karai esitò per un istante, si era privato dalla maschera appena erano rimasti soli e per quanto lo seguisse con cieca obbedienza e quasi venerazione, per quanto fosse di una bellezza quasi divina, Corvo, in certe situazioni le faceva gelare il sangue nelle vene; era come essere al cospetto di un demone meraviglioso, un essere di cui si conosce perfettamente la crudeltà e malvagità, ma tanto affascinante da non potergli resistere.
- Chiunque entrerà a contatto col sangue del portatore diventerà un’estensione del suo corpo, non più di una marionetta comandata a distanza, più corpi il frutto e il portatore ottengono più diventano potenti, ma allo stesso tempo, il frutto richiederà sempre più nutrimento, sempre più corpi, altrimenti comincerà ad assalire il corpo ospite uccidendolo, mentre invece, normalmente, si nutre solamente dei corpi satellite.
Il Chi Chi no Mi è il frutto perfetto per un Dio, l’esatta prova a cui un essere umano deve sottoporsi per ascendere a divinità! Cura da malattie, ferite, vecchiaia, tutto ciò si riversa sui corpi di chi riesci e possedere! Se controllato, se portato al massimo delle sue capacità, rende inarrestabili. –
La ragazza si sfiorò per un’istante il collo, passando i polpastrelli su dove una volta c’era il collare esplosivo rabbrividendo al contatto con la cicatrice.
Corvo era malato, un pazzo megalomane seriamente convinto di poter ascendere a divinità e terribilmente spietato con chi lo intralciava, Karai lo sapeva bene, ma al tempo stesso era estremamente generoso con chi si affidava a lui, con chi accettava di servirlo, di obbedirgli, di venerarlo.
Lui l’aveva liberata, aveva spezzato le sue catene e le aveva concesso una nuova vita, degna di essere chiamata tale e per questo lei nonostante tutto lo avrebbe servito lo avrebbe aiutato a forgiare un modo pronto a strisciare ai suoi piedi e per questo lui l’avrebbe ricompensata, non avrebbe mai più sofferto, non avrebbe mai più patito fame e umiliazioni e finalmente avrebbe potuto avere la sua vendetta contro quel mondo corrotto e marcio che proteggeva viscidi maiali nei loro castelli di cristallo e lasciava i deboli e gli indifesi a soffrire nelle strade.
 
- Quindi qual è il suo piano? –
- Per prima cosa eliminerò gli ultimi tre Draghi Celesti presenti nel consiglio e li sostituirò, ho già selezionato tre schiavi fra i loro, tre schiavi che son sicuro siano carichi di risentimento verso i loro padroni, permetterò loro di assassinarli e poi farò in modo che prendano il controllo della famiglia, sostituendo i loro ex padroni nel consiglio, in questo mondo offrirò loro non solo un patto irrinunciabile, ma otterrò anche la loro eterna gratitudine. –
- Ma Saint Eneas ha un figlio appena nato come… -
Bastò che quei penetranti occhi gialli si posassero su di lei per un’stante perché Karai capisse la terribile risposta alla sua domanda, ma ancora una volta i dubbi e le incertezze le scivolarono addosso come acqua.
Tanto, nonostante fosse ancora solamente in fasce, il figlio di Eneas sarebbe sicuramente cresciuto come il padre e quindi tanto valeva eliminarlo immediatamente.
- E chi sostituirà Saint Bernard? –
- Non è ovvio? Tu Karai, ho fatto preparare dei falsi documenti di matrimonio, vi siete sposati questa mattina, te lo avevo detto che ti avrei ricompensata no? –
- L-la ringrazio! Prometto che non la deluderò! –
- Ne sono sicuro Karai. –
- E una volta che il consiglio sarà completamente sotto il suo potere cosa… -
- Attaccheremo Tottoland e in seguito Wano. –
- C-cosa?! Mio signore non voglio dubitare di lei, ma le flotte di Big Mom sono ancora estremamente potenti e inoltre a Wano non solo con tutta probabilità si trova ancora Kaido, ci sono anche tutti gli alleati dell’imperatore Cappello di Paglia, come pensa di… -
- Li schiacceremo col numero, potremo contare sulla flotta di cinque Draghi Celesti e utilizzeremo anche le navi dei nobili, spezzeremo le loro linee difensive prima che si rendano conto di quello che sta succedendo e io potrò alimentare il Chi Chi no Mi, diventando sempre più potente, prenderò il controllo di Big Mom e della sua ciurma e quando l’avrò in pugno schiacceremo pure Wano. –
- Immagino che avrà pensato anche a come tenere a bada la marina –
- La marina attualmente è decisamente troppo impegnata a badare ai nuovi imperatori, la vittoria di Cappello di Paglia a Wano è stata di straordinaria coincidenza, la prova che il cielo stesso chiede la mi ascesa, quando si renderanno conto di cosa sta accadendo sarà ormai troppo tardi e avrò sotto il mio controllo sia Big Mom che Kaido, a quel punto né gli ammiragli, né gli imperatori potranno mai fermarmi e alla fine saranno tutti burattini nelle mie mani. –
 
Era un all-in: o sarebbe finito tutto nelle sue mani o tutto sarebbe crollato, ma il fallimento e la caduta non erano minimamente considerati nella mente di Corvo; era sicuro che sarebbe stato lui a forgiare un nuovo mondo e a regnare su di esso.
- Sorridi Karai, questa è l’alba di una nuova era e per chiunque mi servirà sarà un’era migliore. –
- Ne sono sicura, sono sicura che sarà lei a salvare questo mondo. –
- Chiama la magione, fai preparare la sala da tè, voglio parlare in privato con gli schiavi che ho scelto, nel frattempo parlerò con Antoinette e le farò portare lontano dalla villa gli altri Draghi Celesti per il tempo necessario. –
La donna annuì e uscì dalla stanza lasciando solo Corvo, che con un sorriso chiuse il forziere contente il Chi Chi no Mi.
Ora che tutto era al suo posto, l’unica cosa che doveva fare era assicurarsi di tirare correttamente i fili dei suoi preziosi burattini.
 
-----------------------------------
 
Erano tornati a Tottoland da qualche giorno, ma mama non li aveva ancora riconvocati a castello, si erano limitati a fare rapporto tramite una lumaca di mare, dopo di che ognuno si era ritirato nella propria abitazione.
Katakuri era teso e passava le notti dormendo appena e male, non gradiva assolutamente l’atteggiamento che la madre stava avendo, oltre al fatto che anche solo il minimo dubbio che potesse portare qualche tipo di rancore o risentimento nei loro confronti era sufficiente a tenerlo sveglio la notte.
Sbuffò innervosito prima di andare ad inghiottire l’ennesima donuts che Jonathan gli aveva portato nel pomeriggio per ringraziarlo di tutto ciò che aveva fatto per loro.
Cracker doveva avergli rilevato la sua passione per le ciambelle glassate in una delle sue tante visite moleste e il ministro della farina doveva ammettere di essere terribilmente grato al minore per una volta: Jonathan era un pasticciere eccezionale e quelle erano probabilmente le migliori donuts che avesse mai mangiato in vita sua.
- Entra pure Amande. – disse precedendo il bussare della sorella col Kenbunshoku Haki, andandosi poi a coprire la bocca con la sciarpa.
- Fratellone Katakuri devo parlarti, è importante. – con fare elegante la donna si avvicinò al tavolo dove il fratello era seduto – il nome Tew: mi sono ricordata dove l’avevo già sentito. –
Il rosso alzò un sopracciglio fissando la sorella negli occhi.
- Ero piccola, avrò avuto dodici anni circa, stavo giocando con Mozart, quando passando vicino alla camera di mama l’ho sentita parlare alla Den Den Mushi con Kaido. – fece una leggera pausa scostandosi dal viso una ciocca di capelli azzurri – Kaido le aveva appena comunicato che un uomo di nome Raian Tew aveva appena sterminato Silver Axe e la sua ciurma, senza lasciare superstiti. –
Il comandante sweet irrigidì i muscoli per un istante.
- Sai altro? –
- No, ma se Cupcake e la sua famiglia son in qualche modo collegati a qualcuno sufficientemente forte da sterminare un Rocks e la sua ciurma e destare sufficiente preoccupazione in Kaido da avvertire mama, allora potremmo dover stare più attenti del previsto fratellone. –
- Non parlarne con nessun’altro per il momento Amande, indagherò di persona sulla questione e poi decideremo cosa fare. –
Evidentemente era destino che Charlotte Katakuri non potesse concedersi nemmeno un singolo momento di riposo.
 
 
 
 
Angolo autore: Molto bene eccoci qua: questo per mille motivi è stato un capitolo terribilmente travagliato, l’ho riscritto più volte e corretto altrettante, ma alla fine sono riuscito ad ottenere più o meno un risultato che mi soddisfacesse.
Ora cominciamo seriamente and entrare nel cuore del piano di Corvo, anche se non è proprio ancora venuto tutto a galla!
L’unica nota per questo capitolo è sull’ultima parte: visto che comunque è passato molto tempo il dialogo fra Amande e Katakuri si ricollega a una frase che la donna aveva detto nel primo capitolo quando i fratelli Charlotte si erano radunati per parlare di Cupcake, sostenendo di aver già sentito il cognome Tew.
Come sempre voglio ringraziare Yumi, Giuly e Fenris per il loro costante sostegno e tutti i lettori silenziosi.
Devo dire che mi sto divertendo molto più del previsto a scrivere questa long e mi sta anche dando grosse soddisfazioni!
Grazie ancora a tutti e alla prossima!
 
- Amiba

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 10 - La prova di Indra ***


- La prova di Indra -
 
 
Era una giornata fresca, dalla temperatura piacevole nonostante fosse ancora inverno, il vento soffiava leggero e lo scrosciare delle onde regalava un sottofondo rilassante.
Dopo aver pranzato alla locanda in riva al mare si erano diretti in spiaggia per godersi un po' di tranquillità e di solitudine.
Jonathan adorava passare del tempo in spiaggia nei periodi invernali, adorava la sensazione della sabbia fresca, adorava la sensazione di pace che quel luogo emanava quando non era popolato da diverse persone intente a godersi il sole e il mare come accadeva d’estate, adorava restare lì in silenzio ascoltando i suoni e rumori del vento, dell’oceano e dei gabbiani che volavano sopra di lui.
Essere lì con Linlin poi, seduti poco distanti dalle salate acque dell’oceano, rendeva tutto ancora più bello; poggiò il capo contro la spalla della compagna portando la mano su quella di lei, che però la ritrasse come irritata.
 
- Cos’hai? È tutta la mattina che sembri imbronciata. –
Linlin in tutta risposta arricciò il naso con irritazione e si voltò dall’altra parte.
 La discussione avuta quella mattina con Helen l’aveva innervosita oltremodo e non aveva fatto altro che rimuginarci sopra tutto il tempo; detestava il tono con cui la bionda le aveva parlato, detestava il fatto che nemmeno lei aveva minimamente paura al suo cospetto e detestava le minacce ricevute.
- Perché non lo chiedi a tua sorella. –
Sputò rabbiosa la rosa facendo uscire una leggera risata dalle labbra del pasticciere, che finalmente collegò tutti i punti.
- Avete litigato eh? Beh, non si può dire che siate partite col piede giusto. –
- Quella stronza deve solo ringraziare che è tua sorella altrimenti… - la donna preferì fermare le proprie parole, non volendo rischiare di dire qualcosa che potesse ferire Jonathan.
- Cosa vi siete dette Linlin? –
La pirata tacque.
- Linlin? –
- A quanto pare io non dovrei minimamente starti vicino, perché “non ti merito” e “porterei solo guai”! – ringhiò – Lo vedi? È esattamente come ho detto io, il mondo mi vede costantemente come un mostro, sei solo tua che hai una visione distorta della… -
 
Furono le labbra del compagno a zittirla; Jonathan le aveva afferrato il mento fra le dita con delicatezza per poi baciarla.
Linlin emise un brontolio soffocato, ma poi ricambiò.
- Dalle tempo, dai tempo a lei e ai miei genitori e vedrai che anche loro vedranno la donna meravigliosa che si cela dietro la maschera che hai voluto indossare, la donna di cui mi sono innamorato. –
Questa volta fu lei a farsi scappare una leggera risata intenerita.
- Sei veramente uno sciocco sognatore Jonathan. –
- Me lo dici spesso e può darsi che tu abbia ragione, ma io ne sono convinto e nulla mi farà cambiare idea: prima o poi tutti vedranno che donna meravigliosa è in realtà Charlotte Linlin. –
Lei non rispose, si limitò ad emettere un leggero sospiro e sorridere, per poi allacciare il braccio attorno a quello del corvino quando lui glielo porse, dopo essersi alzato in piedi.
Aveva deciso che da lì in avanti si sarebbe semplicemente goduta tutte quelle nuove emozioni e sensazioni che stava scoprendo, che Jonathan le stava facendo scoprire, ignorando completamente il resto, perché erano maledettamente piacevoli.
Erano un piacere proibito, che lei stessa sapeva che poteva trasformarsi in un veleno per la sua ambizione, un piacere inadatto alla vita che lei conduceva, incompatibile, ma allo stesso tempo irrinunciabile.
Charlotte Linlin però non erano una stupida o una sprovveduta, sapeva benissimo che presto avrebbe dovuto trovare un modo per far conciliare i loro stili di vita diversi, sapeva che avrebbe dovuto trascinare via Jonathan da quell’isola per portarlo con sé a Tottoland, forse anche contro la sua volontà, perché era l’unico modo perché quella felicità durasse, l’unico modo che aveva per proteggerlo.
E non voleva, anzi, non poteva rinunciare a ciò che aveva conquistato, a ciò che stava vivendo.
Per nessuna ragione.
- Cosa ne dici se adesso andiamo alle terme? Ci rilassiamo un po' nel pomeriggio, poi potremmo andare a cena in un posto carino. -
- Come preferisci, ma ci portiamo dietro i cupcakes, il dolce al ristorante era pessimo! –
- Come sei esagerata Linlin! Però d’altronde ti capisco, dopo aver assaggiato i dolci del miglior pasticciere dei sette mari è naturale che gli altri siano mediocri. –
- Smettila di vantarti, sei irritante. –
- Detto da Miss “Diventerò la regina di tutti i pirati e nulla può fermarmi” è un po' ironico. – la prese in giro con un sorriso lui.
Lei, come al solito non fece nulla a riguardo, si limitò a uno sguardo che cercava disperatamente di essere minaccioso, ma che per Jonathan orami era quasi tenero.
Linlin scosse il capo e sbuffò: niente, nulla da fare, con quel ragazzo non riusciva in nessun modo ad essere in collera.
- Muoviamoci che ho voglia di rilassarmi. –
Il corvino annuì e insieme si avviarono verso le sorgenti termali dell’isola.
 
 
------------------------------                                   
 
 
L’acqua era calda e i vapori che la sorgente emanava aiutavano a rilassare i muscoli intorpiditi dal nervoso accumulato in quella mattinata.
Poggiò la testa contro la parete di roccia puntando lo sguardo verso l’alto, per poi riabbassarlo, quando sentì il capo del corvino adagiarsi contro il suo petto.
In un gesto di inusuale delicatezza passò la mano destra contro la guancia di lui, carezzandola dolcemente.
Se l’intera ciurma dei Rocks, o chiunque altro la conoscesse bene, l’avesse vista in quel momento avrebbero senza alcun dubbio pensato di essere preda di una violenta allucinazione.
Allungò una mano verso il cesto ricolmo di dolci poco distante dal bordo della vasca termale e ne afferrò uno alla vaniglia per poi mangiarlo in un sol boccone; non si sarebbe mai stancata di quei dolci, erano squisiti, i più buoni che lei avesse mai mangiato.
 
- Buoni eh? La vaniglia che mi hai portato è eccezionale, si riescono a fare dei dolci fantastici. –
- Sì, sono convinta che la maggior parte del lavoro lo faccia la vaniglia, ma anche il pasticciere alla fine non è male. – soffiò lei, ora molto più rilassata di prima.
- Oh, quale privilegio, le mie orecchie hanno nuovamente sentito Charlotte Linlin, futura regina dei pirati, scherzare! –
- Ed è un privilegio che nessun’altro uomo al mondo avrà mai, vedi di non scordarlo Jonathan. –
- Non lo farò, puoi starne certa. –
La giornata proseguì in modo magnifico: dopo essersi goduti il relax delle terme si erano diretti verso uno dei tanti ristoranti che l’isola ospitava e infine, a serata conclusa, dopo aver camminato un po' in riva al mare, passeggiando fra le bancarelle di diversi mercanti, si erano ritirati sulla nave della pirata.
Jonathan era la prima volta che vi saliva, l’aveva sempre vista solamente dal porto ed avrebbe veramente voluto esplorarla un po', tuttavia Linlin lo trascinò direttamente verso la propria cabina, fulminando con lo sguardo chiunque gettasse anche solo un occhio di sbieco al ragazzo.
- Se osate disturbarci o vi impicciate di affari che non vi riguardano siete morti. –
Così si era congedata al suo equipaggio, chiudendo la porta della stanza dietro di sé.
Voltatasi vide Jonathan seduto sul letto a fissarla, e sentì come di dovergli una spiegazione per  quella scena a cui aveva appena assistito.
La rosa sospirò, si tolse il cappello e lo lanciò sulla scrivania con poca cura per poi avvicinarsi al ragazzo e sedersi sul letto al suo fianco.
Sapeva bene che il pasticciere fosse tutto fuor che un’idiota e sopra ogni cosa che potesse leggerla come un libro aperto; quindi, con tutta probabilità aveva già compreso alla perfezione il perché di quell’atteggiamento.
 
- Jonathan io… -
- Linlin. – la fermò lui sorridendole mentre scostava una ciocca di capelli rosa dal suo viso – non devi scusarti, so benissimo che devi farti grande in un mondo di soli uomini e che la nostra relazione possa fare un danno alla tua reputazione. –
La donna rimase in silenzio, mentre un leggero e fastidioso senso di colpa cominciava a farsi strada nel suo petto.
- Mi rendo conto di essere debole, di non essere il compagno che il mondo vedrebbe bene al fianco della futura regina dei pirati, quindi non devi preoccuparti, io resterò sempre al tuo fianco Linlin, anche se vorrà dire dover farlo nell’ombra finché tu non avrai realizzato il tuo sogno. –
In realtà, c’era un’altra cosa, a parte la propria reputazione, che turbava Big Mom: nel corso della sua ascesa al potere si era fatta un numero gigantesco di nemici, sia fra i pirati, che fra i marine e anche nella malavita e temeva che qualcuno potesse usare Jonathan per arrivare a lei, che qualcuno potesse fargli del male come vendetta nei suoi confronti.
Linlin stava sì, egoisticamente proteggendo la propria reputazione, ma allo stesso tempo stava anche proteggendo Jonathan.
Questo però a lui non volle dirlo, si limitò a baciarlo con una certa foga che si sarebbe di lì a poco evoluta in qualcosa di più.
 In quel momento ne sentiva il bisogno, voleva scacciare quei pensieri, voleva rimmergersi nella fantasia in cui al mondo esistessero solo lei e il suo Jonathan.
Per tutta la vita aveva convissuto con quell’orrida vocina maligna che le sussurrava nell’orecchio di non fidarsi di nessuno, che gli altri non fossero altro che una minaccia ed un ostacolo e quella maledetta voce non aveva certamente risparmiato il pasticciere, ma alla fine, ne era emersa sconfitta.
Sì, perché anche in quel momento, mentre era stesa sul proprio letto a fare l’amore con il ragazzo, quell’orrida voce provava a strisciare nel suo orecchio, ma ogni volta che lei si perdeva negli azzurri occhi dell’uomo che era appena diventato il suo compagno riusciva a ignorarla completamente e ad esser felice.
 
Quella sera il sonno sembrava non voler fare visita in nessun modo alla piratessa, che stesa sul proprio letto si era persa ad osservare il tranquillo viso del ragazzo, che invece era ormai addormentato da qualche ora.
Non avrebbe mai creduto di potersi innamorare veramente e mai avrebbe creduto che qualcuno potesse innamorarsi di lei; certo, non aveva mai avuto problemi a trovare uomini con cui andare a letto e dai quali farsi dare dei figli per poter far crescere sempre di più la propria ciurma, d’altro canto Linlin era una donna bellissima ed estremamente seducente, però, nei loro occhi, oltre al volgare desiderio carnale, c’era sempre quell’ombra di paura o di disprezzo.
Quando guardava gli occhi di Jonathan, invece, non vedeva nulla di tutto questo, negli occhi del ragazzo fin dal primo giorno c’era sempre stata solamente comprensione, dolcezza ed infine amore.
Sospirò e si voltò verso l’oblò per fissare la luna, la cui luce illuminava fievolmente la stanza.
- Quando Edward scoprirà questa storia non mi darà più un attimo di pace – sbuffò – Mah, infondo va bene così, l’importante è che non lo scoprano gli altri. –
Tornò a puntare lo sguardo verso il ragazzo rimboccando leggermente le coperte sopra la sua spalla.
In passato non era estranea ad avere reazioni irritate quando assisteva a quei rari momenti di dolcezza che si creavano fra Stussy e Newgate, ora forse sarebbe stato decisamente più facile sopportarli.
 
Stanca del non riuscire a chiudere gli occhi per addormentarsi la donna decise di alzarsi e dopo essersi rivestita uscì a prendere una boccata d’aria sul ponte della propria nave.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee e metabolizzare tutto quello che era avvenuto in quei due giorni, ma non ebbe tempo di fare nulla di tutto questo perché, quando si appoggiò al bordo dell’imbarcazione vide in piedi sul molo Raian, che in silenzio sembrava attenderla.
- Cosa diavolo ci fai qui? – chiese velenosa
- Sono venuto per parlarti. –
- Come facevi a sapere che ero sveglia? O non impegnata si intende. –
L’uomo storse il naso irritato a quell’affermazione, detestava l’dea di sapere suo figlio a letto con quella vipera, ma non era certamente uno stupido, conosceva molto bene i sentimenti del ragazzo e non ci voleva il più abile degli investigatori per comprendere ciò che era accaduto fra Jonathan e Linlin sia la notte prima che questa.
- Non lo sapevo, ma non mi sarei fatto un problema a svegliarti o a interromperti. – puntualizzò secco, senza troppi giri di parole – Dobbiamo parlare. –
- Non credo che tuo figlio avrebbe gradito un’interruzione simile. –
L’uomo non rispose, si limitò a fare cenno col capo alla donna di seguirlo; la verità era che probabilmente se avesse trovato entrambi svegli non si sarebbe fatto problemi ad utilizzare l’Haki del Re Conquistatore, perché ciò che voleva appurare era di estrema importanza, soprattutto se la donna aveva seriamente intenzione di proseguire quella relazione.
La rosa digrignò i denti, puntò lo sguardo verso la propria cabina maledicendosi per essere uscita, prima di cominciare a scendere dalla nave a grandi falciate, seguendo il guerriero.
Camminarono per qualche minuto finché non raggiunsero un luogo isolato.
Rain si tolse la giacca, rivelando alla donna il nudo petto, scolpito da diverse battaglie e ricoperto di cicatrici.
 
- Non te lo chiederò di nuovo Indra, cosa vuoi? –
- Voglio vedere se sei sufficientemente forte per proteggere mio figlio nel mondo in cui lo trascinerai. –
La donna fece per replicare, ma l’uomo continuò.
- Consideralo un semplice allenamento, se quello che vedrò mi soddisferà, hai la mia parola che non interferirò in nessun modo nella vostra relazione. –
- Molto bene allora, ma sappi che non mi faccio nessun problema a ferire un vecchio. –
- Ragazzina, parli molto, ma quello che a me interessa sono i fatti. –
Raian assunse una posizione di guardia, tenendo il braccio destro leggermente inclinato verso il basso e facendolo ondeggiare leggermente.
- Quando vuoi sono pront… -
Linlin non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase che dovette scattare all’indietro per evitare il diretto che il suo avversario le aveva appena sferrato.
Rain era veloce, terribilmente veloce, anche col Kenbunshoku Haki schivare tutti i colpi era un’impresa impossibile, rispondere era ancora più difficile.
A peggiorare le cose l’uomo si stava muovendo con un’irregolarità che non aveva logica, scattando da una parte all’altra senza uno schema preciso; inoltre, quando i pugni impattavano contro di lei le facevano appena il solletico e questo mandava Linlin su tutte le furie.
La piratessa aveva combattuto diverse battaglie e affrontato una moltitudine di avversari, era ben consapevole di quanto il suo avversario fosse forte, era letteralmente impossibile che quella fosse la vera potenza dei suoi pugni: Rain la stava prendendo in giro, la stava provocando e questo lei non poteva tollerarlo, il suo orgoglio e il suo ego glielo impedivano.
- Falla finita! – tuonò furiosa, sferrando verso il  proprio avversario un violento pugno, ma fu solo quando fu troppo tardi che realizzò di essere caduta a piè pari nella trappola che lui aveva preparato per lei: quello che aveva appena sferrato era un colpo scagliato in un impeto d’ira, poco preciso e poco pensato, schivarlo per Raian fu fin troppo facile e alla distanza e posizione in cui si trovavano in quel momento per la donna fu impossibile schivare il colpo che sarebbe seguito.
Questa volta l’impatto del montante Linlin lo avvertì chiaramente, Raian era quasi la metà di lei in altezza; eppure, riuscì a scagliarla a qualche metro di distanza, lei riuscì comunque ad atterrare sui propri piedi, ma la vista le rimase sfuocata per qualche istante e mantenere il centro del proprio equilibrio, essendo stata colpita alla mascella, non fu un’impresa così facile.
 
- Lezione numero uno. – parlò con tranquillità il padre di Jonathan – non farti mai provocare dal tuo avversario, è un errore da principianti e può costarti fin troppo caro. –
L’uomo si chinò e afferrò il braccio della donna che era scattata verso di lui per attaccarlo nuovamente, la fece scivolare sulla propria schiena scagliandola poi distante.
Questa volta Linlin atterrò senza problemi.
- Lezione numero due. – continuò – sei forte Linlin, incredibilmente forte, forse a pura potenza sei l’avversario più temibile che abbia mai affrontato, ma se ti affidi solo a questo non vincerai mai contro guerrieri del mio calibro, combatti anche con il cervello, non solo coi tuoi muscoli. –
- Giuro che ti farò pentire amaramente di avermi fatta incazzare vecchio! –
Fece un altro scatto scagliando l’ennesimo pugno che andò a vuoto, tuttavia, riuscì a mettere a segno subito dopo una violenta ginocchiata allo stomaco e questa volta fu Raian a dover indietreggiare per il dolore portandosi le mani alla parte offesa.
- Molto bene. – sorrise lui – Vedo che ora cominci a fare sul serio. –
La sfida proseguì per un’altra mezz’ora e Linlin, con sua grande frustrazione, mise a segno molti meno colpi di quanti ne fu costretta a incassare, anche se alla fine quello conciato peggio sembrava proprio Raian, anche per il fatto che la donna presa dall’ira avesse messo nei pugni ogni singola fibra muscolare del proprio corpo, mentre l’uomo aveva preso la questione con molta più leggerezza.
 
- Basta così. – sentenziò lui abbassando la guardia ed andando a raccogliere la propria giacca da terra.
- Cosa intendi con “basta così”?! Scordatelo! La questione non è chiusa qui! –
- Te lo avevo detto Linlin, questo non era altro che un allenamento, un test e lo hai passato, nonostante tutto credo che tu sia più che capace di proteggere mio figlio Jonathan là fuori. –
- Non penserai che… -
- Un’ultima lezione però: non affidarti così spasmodicamente al Kenbunshoku Haki, è una tecnica incredibilmente potente e utile, ma il suo utilizzo impiega tempo ed energia, in un combattimento anche una frazione di secondo può essere fatale, impara a studiare i movimenti muscolari del tuo nemico, a comprenderne i movimenti prima che li effettui da quello e sarai molto più rapida a rispondere ad essi. –
Lilin digrignò i denti mentre osservava l’uomo allontanarsi, ma alla fine decise anche lei di rilassare i muscoli e lasciar stare, se tutto quel teatrino era servito a levarsi l’uomo dai piedi allora ne era valsa la pena.
- Cosa dovrei dire a Jonathan? –
- Puoi dirgli quello che ti pare, anche la verità se preferisci. –
La rosa sbuffò irritata prima di dirigersi verso la propria nave.
 
------------------ 
 
Nel rientrare in cabina Linlin sbatté la porta sufficientemente forte da svegliare Jonathan che ancora in dormi veglia si alzò a sedere nel letto fissando la compagna con gli occhi assottigliati, nel tentativo di metterla a fuoco meglio.
- Linlin che succede, come mai non sei a letto? –
Avrebbe voluto urlargli contro la verità nella speranza che lui cominciasse a provare astio nei confronti della propria famiglia e scegliesse solo lei, ma poi pensò a quanto questo avrebbe potuto farlo soffrire e forse per la prima volta in vita sua fece una scelta non egoista.
- Ho solo voluto prendere una boccata d’aria Jonathan, non preoccuparti, adesso torno a letto. –
Quando si fu spogliata e l’ebbe raggiunto lui le carezzò le braccia con delicatezza, fortunatamente al buio le poche ammaccature che aveva Jonathan non lei vide.
- Come mai non riuscivi a dormire? –
- Avevo troppi pensieri per la testa. –
- Oh, capisco, il tuo bellissimo pasticciere ti ha stregato troppo eh? – le sorrise lui a fior di labbra.
- Il “mio prezioso pasticciere” se vuole continuare a scopare nei prossimi giorni è meglio che faccia meno il furbo. –
- E va bene, mi arrendo. – rispose lui alzando le mani prima di lasciarsi cadere sul materasso.
Linlin sorrise, fiera di aver vinto una piccola battaglia col compagno per una volta e lo seguì, avvolgendo poi il braccio attorno al suo corpo.
Era esausta ed infatti in breve tempo si addormentò.
La mattina dopo fu svegliata dal leggero tepore dei raggi solari sul suo viso, quando aprì gli occhi la prima cosa che vide furono quelli azzurri di Jonathan che la stavano guardando con dolcezza.
Erano meravigliosi, non si sarebbe mai stancata di guardarli.
- Buon giorno. –
- Non voglio che mi fissi mentre dormo, è inquietante. – sibilò lei con poca gentilezza.
- Non posso farci nulla, sei incantevole. –
Le guance della ragazza si tinsero per un breve istante dello stesso colore dei suoi capelli prima che lei, per la frustrazione di essere arrossita, emettesse un ringhio.
- Lo so! Ma non farlo comunque! –
- E va bene…posso almeno darti un bacio? –
- Sì. – rispose lei con un filo di voce, per poi ricambiare quella dolce attenzione quando avvertì le labbra di Jonathan sulle proprie.
SI vergognava terribilmente di quei comportamenti, si sentiva come una ragazzina alla prima cotta.
 
I giorni seguenti passarono in una piacevole regolarità, Linlin trascorreva le sue giornate col pasticciere e quando lui lavorava rimaneva seduta al solito tavolo della locanda a fargli compagnia, mangiando i cupcakes e altri dolci che il ragazzo le preparava.
I problemi però per lei cominciarono quando fu costretta a ripartire per riunirsi a Rocks: più tempo passava sulla nave in compagnia della sua ciurma più si rendeva conto di come le mancassero le giornate che aveva trascorso insieme a Jonathan e così anche le visite cominciarono a farsi molto più frequenti e più le assenze di Linlin aumentavano, più l’irritazione di Xebec cresceva esponenzialmente.
Perché, se era vero che in quella ciurma regnasse più o meno l’anarchia e se non rarissime eccezioni ognuno disprezzasse l’altro il loro capitano aveva un obbiettivo di conquista ben chiaro nella mente e i comportamenti e il continuo assentarsi della donna potevano andare a minare il piano che aveva costruito con tanta pazienza.
Naturalmente quando era stata confrontata a riguardo da Xebec la pirata lo aveva liquidato con poco garbo, sostenendo che non fossero affari suoi ciò che lei faceva e che non gli aveva mai giurato effettiva lealtà, ma che la loro fosse più una “collaborazione per interessi in comune”.
Fu nell’ennesima visita al proprio compagno, che durante una passeggiata sul molo, Linlin ebbe una sorpresa che non le piacque nemmeno un po': la nave di Newgate era appena attraccata al porto.
Il biondo era l’unico della ciurma che sapesse dove lei andava ogni volta che spariva; tuttavia, non l’aveva mai seguita il fatto che in quel momento fosse lì non le faceva pensare a nulla di buono.
Spostò Jonathan dietro di lei, come a voler fargli da scudo.
- Newgate! Cosa diavolo vuoi!? –
- Linlin. – cominciò Barbabianca affacciandosi dal ponte della nave – Ho bisogno di parlarti è per il vostro bene. -
 
 
Bene, finalmente ci sono riuscito XD
Definire questo capitolo travagliato sarebbe un eufemismo è stato letteralmente un parto, credevo che fra impegni e un tremendo blocco dello scrittore che ho avuto non avrebbe mai visto la luce.
Ma per fortuna eccoci qua e più o meno sono soddisfatto di come è saltato fuori!
Faccio solo una piccola nota per quel che riguarda lo “scontro” con Raian: stiamo parlando chiaramente di una Linlin non ancora nel pieno della propria forza, per questo motivo si è trovata così in difficoltà contro un avversario del genere.
Come sempre ringrazio infinitamente tutti voi lettori e in particolare Giuly, Yumi e Fernis che spendono sempre della belle parole per commentare questa storia <3.
Alla prossima!
 
- Amiba.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 11 - Ombre all'orizzonte ***


- Ombre all’orizzonte -
 
Poggiò le grosse mani contro la balconata e prese una ampia boccata d’aria fresca, non ne poteva più di stare sdraiata a letto e ignorando completamente i consigli dei medici, decise di alzarsi per andare sul terrazzo della stanza in cui stava riposando per cercare di rinfrescare un secondo i propri pensieri, che turbinavano nella testa dell’ex imperatrice come un tifone.
Alzò lo sguardo fissando le stelle, che, col cielo limpido com’era quella sera, si vedevano perfettamente assieme alla luna piena che si specchiava nelle serene acque dell’oceano.
Quante volte aveva guardato il cielo riflettersi nel mare assieme a Jonathan, quante volte si erano amati proprio sotto le stelle, quante volte aveva scelto di spogliarsi di quell’armatura fatta d’odio e rancore per essere semplicemente una donna come le altre, per non essere Big Mom ed essere semplicemente Charlotte Linlin.
Quelli furono gli unici anni della sua vita adulta in cui era stata felice.
Sentì dei passi dietro di lei, passi che le erano ben noti.
 
- È una serata meravigliosa non trovi? – esordì il corvino con un sorriso – Però Linlin dovresti dare ascolto ai medici e tornare a letto a riposare, sei ancora gravemente ferita. –
- Fatti gli affari tuoi Jonathan. –
- Chi sa perché mi aspettavo una risposta simile. – sghignazzò lui affiancandola – Hey Linlin… -
- Cosa? – ringhiò l’enorme donna voltandosi verso di lui.
- Ti va di ballare? –  chiese porgendole la mano.
Gli occhi dell’ex imperatrice si sgranarono e il cuore prese a batterle più velocemente, ricordava molto bene le volte che aveva danzato con Jonathan e ne ricordava chiaramente le dolci sensazioni e le carezze delicate che lui le riservava in quegli impacciati e decisamente poco eleganti balli in cui si esibivano, perché entrambi eran senza alcun dubbio pessimi ballerini.
Prese a tremare, quasi ipnotizzata avvicinò l’enorme mano a quella di lui sfiorandola appena e per un’instante le sembrò di tornare giovane, a quando aveva appena ventiquattro anni, il calore poi che la pelle del pasticciere le trasmetteva era lo stesso identico di allora, come il suo sorriso.
 
- Ti amo, mio piccolo dolce cupcake, mi era mancato averti vicino. –
La piratessa ritirò velocemente la propria mano, come scottata da quelle parole, sentì, dopo tanti anni gli occhi farsi umidi e le gambe reggerla a fatica.
- Basta… - sussurrò – ti prego, basta. –
- Linlin? –
- Ti prego. – non riusciva nemmeno a urlare, quella tortura che stava andando avanti ininterrotta da più di una settimana ormai l’aveva totalmente spezzata – Ti prego, non so cosa tu sia, non so perché tu sia qui, ma smettila, non voglio riprovare quel dolore, non ce la farei…vattene, sparisci nuovamente nei meandri della mia mente e lasciami sola… -
- Lo sai che quello che mi chiedi è impossibile Linlin. – rispose lui, fissandola con gli occhi addolorati – non potrei mai lasciarti sola mentre soffri così tanto, non potrei mai abbandonarti quando hai bisogno di me. –
- Ma lo hai fatto! Quarantaquattro anni fa lo hai fatto!  -
- Non è stato per mia volontà, lo sai benissimo, quello che è successo non… -
- Smettila di mentire! –  gridò, portandosi sulla difensiva e allontanandosi da lui di scatto.
 
Jonathan emise un grosso sospiro rammaricato, la conosceva benissimo, sapeva alla perfezione cosa si nascondesse dietro quel comportamento, d’altro canto, per lui, le maschere che Linlin era solita indossare erano sempre state trasparenti e dopo tutto quel tempo, la cosa non era cambiata.
- Devi capire che non è stata colpa tua. – fu lapidario e diretto – Non puoi continuare a tormentarti in questo modo e non voglio più vederti rimuginare nell’odio e nel rancore. –
- Io non… - gli occhi della donna si fecero fiammanti di rabbia, si ricompose e nuovamente ricostruì quel muro d’odio protettivo – non ho mai pensato per un’istante che fosse colpa mia, sei tu che sei semplicemente stato uno stronzo bugiardo! E non smetterò mai di disprezzarti per questo! –
Sputò velenosa, ma la voce non era più rigida e sicura come lo era nei loro primi scambi di parole da quando si erano rivisti, si era fatta nuovamente più forte, ma tremava leggermente ed era più insicura.
Jonathan fece un leggero sorriso malinconico: già la sua Linlin non aveva ancora imparato a mentire come si deve.
- D’accordo, rimandiamo questo discorso ad un’atra volta, ora torna a letto e riposa, ne hai bisogno. –
- E va bene, ma vedi di non fiatare più per il resto della notte. -
Senza aggiungere altro la gigantesca donna si diresse verso l’enorme letto con passo deciso.
 
------------------------------------             
 
Emise un lungo e pensante sbuffo, prima di passarsi la mano sulla faccia sconsolato e bere il suo consueto caffè quotidiano.
Quella mattina aveva scelto di prenderlo doppio, nel tentativo di darsi più energie possibili per quella che fin da subito si prospettava una giornata terribilmente pensante: doveva in qualche modo arrivare in fondo alla questione della parentela con l’assassino di Silver Axe e sapeva alla perfezione che non sarebbe stato facile.
Cupcake era un uomo gentile, ma senza alcun’ombra di dubbio era altrettanto di carattere forte e indissolubile, Katakuri aveva pochi dubbi sul fatto che ottenere da lui un’informazione, se non avesse avuto intenzione di fornirgliela sarebbe stato parecchio difficile.
Era uno Charlotte, dopo tutto.
A peggiorare le cose sembrava che anche il sangue Tew fosse piuttosto bollente, perché sua madre, nonostante fosse un’anziana assolutamente non imponente e forte come Linlin, era una donna tutta d’un pezzo e con fegato da vendere; persino Jolanda, aveva dato prova del suo coraggio affrontando a viso aperto Perospero per difendere suo fratello maggiore.
Erano una famiglia incredibile e straordinariamente unita.
Poggiò la tazza sul tavolo di marmo e diede un veloce sguardo fuori dalla finestra: nonostante l’inverno stesse arrivando le giornate continuavano a essere belle e soleggiate, cosa che al rosso non dispiaceva per niente, avrebbe solo reso più piacevole la passeggiata fino alla casa dove ora abitavano Cupcake e la sua famiglia.
Più pensava al nuovo arrivato nella famiglia Charlotte, più, per quanto non volesse, la curiosità lo divorava, perché avrebbe voluto sapere con tutto sé stesso che razza di uomo fosse suo padre, che razza di persona potesse spingere una donna come la loro madre a guardala con quegli occhi, con quegli occhi con cui non aveva mai fissato nessuno dei suoi figli, nessuno dei suoi amati, ad essere onesto Katakuri, nei suoi quarantotto anni di vita non aveva mai visto gli occhi della propria madre illuminati in quel modo.
Non li aveva mai visti così…vivi.
Il padre del loro novello fratello doveva essere veramente un uomo straordinario, era un peccato che non avrebbe mai avuto l’occasione di conoscerlo, pensò fra sé e sé il ministro della farina.
 
Avvolse la grossa sciarpa attorno al collo, andando, come sempre, a coprire la propria bocca e poi, con la solita calma ed eleganza uscì, di casa.
Già gli veniva mal di testa al solo pensiero, sperava con tutto sé stesso che i suoi interlocutori fossero cooperativi quel giorno.
Entrò nella pasticcieria in silenzio e una volta dentro trovò Cracker, seduto a un tavolo, che in modo decisamente meno silenzioso stava mangiando una quantità incredibile di biscotti.
 
- Nonnina! Questi biscotti sono squisiti lo sai? –
- È la ricetta di mio padre, lo so molto bene. – rispose piuttosto atona
Il viola aprì la bocca, ma la donna lo precedette – E no non puoi avere la ricetta, te l’ho già detto. –
Il ministro dei biscotti sbuffò come un bambino mettendo il broncio prima di puntare gli occhi sul proprio fratello maggiore che lo stava fissando con aria di rimprovero.
- Cracker, stai continuando ad importunarli senza sosta? –
- Hey! Io non importuno nessuno! –
- Opinabile, ma almeno sei un buon cliente. – s’intromise fredda Helen – Signor Katakuri è venuto a ritirare i donuts?  Mi scuso, ma dovrà aspettare almeno un’altra oretta, non pensavo venisse così presto e non li ho ancora infornati. –
- Non si preoccupi, non ero venuto solo per quello, avrei bisogno di parlare con suo figlio se possibile, nulla di grave, avrei solo bisogno di qualche informazione. –
- Su cosa? –
Katakuri aveva mantenuto un tono cordiale, ma comunque sarebbe riuscito ad incutere timore in diversi pirati, marine e malavitosi, avrebbe fatto tremare le gambe alla peggio feccia dei mari, che senza alcuna esitazione sarebbe corsa a fornirgli ciò che cercava.
Helen invece rimasta impassibile e gli aveva risposto come se nulla fosse, senza dubbio era una donna d’acciaio.
- Avrei bisogno di parlarvi di un certo Raian Tew, ho bisogno di sapere se siete imparentati e chi fosse di preciso. –
Ci fu un breve momento di silenzio, prima che l’anziana donna si pulisse le mani con uno straccio e si togliesse il grembiule.
- Facciamo due passi, Jonathan ha lavorato tutta la notte, sta dormendo, posso rispondere io, se le domande non sono troppo personali. –
Sospettava che la questione di suo padre venisse prima o poi a galla, dopo quella tragica notte non era stato più lo stesso, era tornato ad essere Indra e si era nuovamente macchiato le mani e nonostante avesse provato in tutti i modi di tenere un profilo basso era ovvio che degli strascichi lo avessero seguito.
Era riuscito a raggiungere solo Silver Axe, ma la morte di un ex Rocks e una taglia da più di tre miliardi di Berry non riscossa non poteva non passare inosservata, ma anche se lo avesse fatto era sicura che gli Charlotte avessero diversi contatti nel sottobosco malavitoso e lì, soprattutto nel circuito dei combattimenti clandestini il nome di suo padre era ancora leggendario.
 
- Jolanda, per piacere inforna tu i donuts del signor Katakuri, io devo parlarci un po' –
- Va bene mamma! –
Cracker fece per alzarsi e avvicinarsi alla ragazza ma la grossa mano del fratello lo rispinse a sedere.
- Tu vedi di comportarti civilmente mentre non ci sono e non infastidire Jolanda. –
Il viola borbottò qualche lamentela, ma obbedì, il tono di Katakuri non sembrava ammettere molte repliche.
Camminarono per qualche minuto in silenzio prima che Helen cominciasse a parlare.
-Mi dica, cosa voleva sapere? –
- Raian Tew è imparentato in qualche modo con voi? –
- Sono sua figlia. –
Il rosso irrigidì i muscoli per un istante, ma per il momento decise di mantenere la calma.
- So che ha ucciso Silver Axe, un ex compagno di mama ed è inutile provare a negare, voglio sapere il perché. –
- Non avrei avuto alcun motivo di negare in tutti i casi, mio padre ha ucciso Silver Axe perché era convinto che fosse anche causa sua se mio fratello è morto. –
- E non aveva alcun risentimento nei confronti della famiglia Charlotte? –
- Alcun risentimento? Vi detestava a morte, come per quanto e mi creda, io vi sia grata di aver salvato mia figlia, pure io non nutra né stima né simpatia nei vostri confronti. – rispose lapidaria – Ma se la domanda è se aveva intenzione di far fuori voi o vostra madre la risposta è no. –
Helen si fermò per un’istante e fissò come ipnotizzata il cielo con un malinconico sorriso.
- E poi sono sicura che mio fratello Jonathan sarebbe tornato dal mondo dei morti per tirargli le orecchie se solo ci avesse provato e mio papà questo lo sapeva molto bene. –
- Quindi anche il padre di Cup…mh, di Jonathan si chiamava così. –
- Sì, l’ho voluto chiamare come suo padre, il nome Cupcake non gli era mai appartenuto, non ha nulla a che vedere con la sua madre naturale lui. – sospirò – in tutti i casi, queste sono faccende che non vi riguardano in alcun modo, inoltre vi prego di non parlarne nemmeno con Jonathan, voglio risparmiargli la sofferenza di sapere cosa è accaduto a suo padre e vorrei risparmiare a me stessa il dolore di dover rivivere quel ricordo raccontandolo; meno sa meno vorrà sapere ed è meglio così. –
Katakuri non condivideva per nulla quel pensiero, lo trovava eccessivamente egoistico, ma Helen aveva perfettamente ragione, quelli non erano fatti suoi e non aveva alcun diritto di indagare.
- Mi scusi per la mia sfacciataggine. – rispose calmo – se possibile vorrei chiederle alcune cose ancora. –
- Prego. –
- Dove si trova ora suo padre? – la donna ne aveva sempre parlato al passato, quindi aveva già un’idea della risposta, ma voleva essere sicuro. 
- Signor Katakuri, lo prendo come un complimento alla mia età, ma io ho quasi gli anni di vostra madre, mio padre era forte, fortissimo, forse uno degli uomini più forti a questo mondo, ma era pur sempre un essere umano. È morto di vecchiaia una decina di anni fa, poco distante da mia madre. –
- Mi scuso, le mie condoglianze. –
- Si risparmi le formalità, sono consapevole che per voi è un sospiro di sollievo. – lo fissò con un sorrisetto sghembo – e mi creda signor Katakuri vi capisco, perché pur essendo a conoscenza della sua leggendaria forza, le posso assicurare con certezza che contro mio padre non sarebbe durato molto. -
Il ministro della farina, tuttavia, non la prese come una sfida, anzi, da sotto la sciarpa le sue labbra si inarcarono in un sorriso.
- Suo padre era forte eh? –
- Mi creda quando le dico che nel suo apice di potenza avrebbe potuto scambiare colpi con Edward Newgate in persona. –
Katakuri strinse con energia Mogura fra le mani sentendo il proprio sangue ribollire, avrebbe pagato il proprio peso in oro per poter veder un uomo del genere in azione, avrebbe voluto fare più domande, indagare di più, ma purtroppo c’era un’altra persona sulla quale necessitava di qualche informazione in più: Corvo.
La famiglia Charlotte aveva numerosi informatori, parecchio ben retribuiti o adeguatamente minacciati, ma quando avevano ricercato informazioni in più su Corvo, erano arrivate sempre le solite notizie: “è un semplice schiavo”, “è l’adorato compagno di Saint Antoinette, nulla di più.”, “è lo schiavo preferito di una Nobile Mondiale, ne è praticamente ossessionata!”, “Da poco ha assunto il titolo di Drago Celeste sposando la propria padrona.”, fino a chi negava proprio di conoscerlo, liquidandoli in fretta.
E a Katakuri questa faccenda non piaceva nemmeno un po', perché era assurdo pensare che nessuno sapesse nulla di quell’uomo se era invischiato in un gioco di potere così grande ed ancora più assurdo era il fatto che preferissero rischiare di inimicarsi la famiglia Charlotte, piuttosto che rischiare di pestare i piedi a lui.
- Ho qualcos’altro da chiederle se posso, non riguarda la sua famiglia, ma quell’uomo che abbiam incontrato alla vostra pasticcieria i nostri informatori non… -
- Vi ho già detto tutto quello che dovete sapere su di lui, ma mi ripeterò, per il vostro e per il nostro bene: Cornelius Corvo è ciò che di peggio potrete trovare su questa terra.
Possiede un ego probabilmente maggiore di quello di qualsiasi Nobile Mondiale e anche prima di sposare Saint Antoinette, a conti fatti, aveva lo stesso identico potere di un Drago Celeste.
Tuttavia, è molto più pericoloso di qualsiasi lardoso, viziato bambino troppo cresciuto con una bolla sulla testa; Corvo è intelligente, un maestro manipolatore, un eccellente imbonitore e sa perfettamente come farsi adorare dalla popolazione, dai marine e dalle guardie dell’isola.
Signor Katakuri glielo ripeto: nulla accade in quell’arcipelago senza che Corvo lo sappia e niente di ciò che lui fa, se lui non lo desidera, lascia quelle isole.
La marina presente sul posto è completamente corrotta, le guardie e la servitù della magione sono al suo servizio da anni e Antoinette…beh non è altro che un burattino fra le sue grinfie.
Qualsiasi cosa il suo adorato Corvo le dirà, qualsiasi cosa lui vorrà fare, a lei andrà bene, probabilmente lei stessa sapeva alla perfezione dell’avvelenamento di suo padre, ma la volontà di Corvo veniva prima di qualsiasi altra cosa. –
- Avvelenamento? –
- Il padre di Antoinette, Saint David è caduto misteriosamente malato proprio quando si è opposto al loro matrimonio, è rimasto anni, perfettamente cosciente ma bloccato come un vegetale su un letto, o almeno questo è quello che dicevano le notizie ufficiali. – spiegò – Ora non ne ho le prove, ma coraggio signor Katakuri, quali sono le probabilità che questa sia un’effettiva coincidenza? –
- Direi pari a zero. –
- Precisamente e questo mi porta ad un altro punto essenziale: Corvo è anche uno psicotico, sadico ed estremamente vendicativo con chi gli intralcia i piani, ha fatto in modo che David fosse obbligato ad osservare inerme mentre smontava mattone per mattone la sua famiglia, mentre soggiogava sua figlia e solo dopo anni gli ha concesso il beneficio della morte, concludendo la sua punizione con quello che era un funerale tanto sbrigativo che probabilmente nemmeno uno schiavo avrebbe ricevuto. –  prese una boccata d’aria, anche per rifrescare la propria bocca, che a forza di parlare si stava facendo secca – Saint David era un verme e sicuramente si è meritato di incontrare qualcuno peggio di lui lungo il suo cammino, ma il punto del mio discorso è che, se ha distrutto una famiglia di Draghi Celesti così facilmente e si fidi, su questo non ho alcun dubbio perché, se non lo sono già ora anche gli altri Nobili di quel concilio saran cadaveri a breve, è un avversario che nemmeno la grande e potente famiglia Charlotte può permettersi di sottovalutare.
Vuole qualcosa da voi, da noi e farà di tutto per ottenerlo. –
- Non si preoccupi signora Helen, non lo sottovaluteremo e ha la mia parola che, se farà un passo falso verso la nostra famiglia, Drago Celeste o non Drago Celeste, farò in modo io stesso che se ne penta amaramente. –
- Mi auguro che ne sia realmente capace, ora però rientriamo se non ha altro da chiedere, i suoi donuts ormai saranno pronti. –
- Perfetto, come sempre mandate pure il conto direttamente alla mia abitazione, farò in modo che veniate pagati immediatamente. -
Katakuri tirò un sospiro di sollievo, Helen era stata collaborativa e la questione si era chiusa senza troppa fatica fortunatamente; tuttavia, la sensazione di mal essere che qualcosa di brutto stesse per accadere non voleva in nessun modo lasciare le su spalle.
 
---------------------------                       
 
Appoggiò le mani contro il freddo e pregiato marmo e lasciò che l’acqua calda lo investisse.
Nemmeno il costosissimo e lussuoso letto nel quale aveva passato la notte gli aveva donato un minimo di riposo e come ogni notte il suo sonno era stato tormentato da terribili incubi.
Era tutto accaduto talmente in fretta da non avergli nemmeno dato il tempo di processare la questione; quando era stato portato in quella stanza e si era trovato davanti Corvo, non si sarebbe sicuramente aspettato gli eventi che seguirono.
 
 
Lo avevano condotto nella sala da tè personale dei padroni di casa nelle prime ora della mattina, una volta entrato fu fatto accomodare sul comodo divano.
Al suo fianco c’era una ragazza minuta, dai tratti estremamente delicati, occhi azzurri e capelli color grano maturo, la pelle, ambrata e compatta era coperta da lividi, non l’aveva mai vista, ma, visto il collare esplosivo che portava al collo e le ferite sul corpo era senza alcun dubbio una schiava proprio come lui.
L’uomo invece seduto sulla poltrona poco distante lo conosceva alla perfezione: Victor Crane, ex-armaiolo, specializzato nella costruzione di esplosivi e psicopatico di prima categoria.
Victor era un genio, lo era sempre stato, fin dalla tenera età, ma non gli era mai importato il progresso, mai aveva neanche per un’istate considerato di mettere la propria mente al servizio di qualcosa; Victor Crane costruiva armi e le vendeva o persino regalava, adorava l’idea di mettere nel mondo macchine di morte, adorava l’idea di contribuire a spezzare delle vite.
Questo finché le sue abilità non vennero notate da un giovane Nobile Mondiale, che lo fece catturare e lo costrinse a diventare il suo giocattolaio.
Era un uomo ripugnante.
Victor si voltò verso di lui fissandolo con quei piccoli occhi grigi, regalandogli un sorriso che non faceva trapelare la minima ombra di sanità, si scostò gli arruffati capelli marroni dal viso e lo salutò con un cenno rapido dell’indice e del medio.
Per sottrarsi a quella vista così poco gradevole girò poi lo sguardo verso Corvo, seduto al centro della stanza, al suo fianco la novella Drago Celeste Karai, che in piedi e in religioso silenzio versava una tazza di tè al mascherato.
Corvo lo aveva già incontrato in passato e già aveva sentito parlare di lui o, meglio, chiunque in quella stanza ne aveva già sentito parlare.
Lui personalmente lo aveva incontrato solamente una volta, ad una cena e già in quel momento gli aveva fatto una pessima impressione e il sangue gli si era gelato nelle vene; ricordava alla perfezione come faticasse a capire chi fra lui e Saint Antoinette fosse il padrone e chi lo schiavo e come qualsiasi nobile presente in quella stanza si guardasse bene dal rivolgergli anche solo una singola parola storta.
Karai, l’aveva incrociata di sfuggita, sapeva essere un’ex schiava del defunto Saint David, diventata poi serva personale di Corvo e in seguito moglie del da poco trapassato Saint Bernard ottenendo così il rango di Nobile Mondiale e un posto alla tavola del concilio della famiglia.
 
- Molto bene! – esordì Corvo con tono gentile e cordiale – Adesso che ci siete tutti possiamo cominciare. –
Batté le mani per poi alzarsi in piedi e prendere un leggero sorso del suo tè.
- Son abbastanza sicuro che mi conosciate già, ma mi presento comunque: il mio nome è Cornelius Corvo, sono stato lo schiavo ed ora il marito di Saint Antoinette, il che mi ha dato in via ufficiosa il comando di questa blanda famiglia di idioti, ma la verità è che la comando da molto prima. –
Poggiò la tazzina sul tavolo in marmo per poi avvicinarsi alla finestra della stanza e osservare la città illuminata dai primi raggi solari della giornata.
- Sono anni che manipolo Antoinette, sono anni che mi sbarazzo di chi è d’intralcio alla mia visione e sono anni che mi preparo per questo momento! –
- Mi scusi. – si fece avanti la ragazza con leggera esitazione – Noi cosa c’entriamo? –
- Oh, mia cara Sophia, voi siete coloro che ho scelto per aiutarmi a costruire e forgiare questo nuovo mondo. –
- E in che modo potremmo mai farlo? Finché questi maiali ci posseggono non possiamo fare nulla. – fu Victor questa volta ad intervenire.
- I vostri padroni non vedranno la luce di domani se accetterete la mia proposta. – si limitò a rispondere – Karai. –
La corvina passò a Corvo dei documenti col sigillo della famiglia.
- Questi sono documenti con i quali i vostri padroni o certificano un matrimonio ufficiale con voi o vi eleggono loro effettivi eredi, son stati creati dai migliori falsari in circolazione e credetemi nessuno metterà minimamente in discussione la cosa. – si voltò e si privò della maschera rivelando loro il suo volto, nel quale ora era dipinto un sorriso decisamente inquietante – Sophia Da Silva, tu e tuo fratello minore Carlos siete stati venduti da bambini, pagati a peso d’oro, perché si dice che tuo fratello sia una belva incontrollabile se non da te, “il cane pazzo” lo chiamano, dicono che abbia mangiato il vostro primo padrone, ma che suo figlio Saint Richard e vostro attuale padrone abbia insabbiato la cosa per potervi tenere e utilizzare per i suoi scopi, è vero? –
- S-sì. – intervenne timidamente – Ma mio fratello non è un mostro! Ha paura, viene tenuto rinchiuso e torturato come una bestia da quanto è piccolo, lo han trasformato loro! Lui non ha colpe! Se dovessi accettare di aiutarti non… -
- Mia cara, i mostri sono coloro che lo han torturato fino a questo punto, non temere, tuo fratello è essenziale quanto te e potrete vivere la vita che meritate. – spostò poi lo sguardo su Victor – Victor Crane, armaiolo geniale costretto a costruire dei banali giocattoli, quale inutile e stupido spreco, lavora per me e avrai i fondi e i mezzi per spargere tutta la distruzione che hai sempre desiderato, grazie a te spazzerò via ogni mio singolo nemico. –
Poi, si avvicinò a lui e lo fissò dritto negli occhi – Shenhe, il grande generale della caduta terra di Long Zhi Gou –
L’uomo si alzò in piedi, sovrastava Corvo di almeno un metro, indossava un hanfu bianco dalle larghe maniche rosse, era imponente, dai muscoli d’acciaio e dal portamento nobile.
I lunghi capelli neri erano legati in una coda che scendeva lungo la schiena, gli occhi scuri come la pece che ora si riflettevano in quelli dorati di Corvo andavano in contrasto con le sottili labbra di un rosso accesso rotte solamente da una piccola cicatrice nel lato sinistro del viso.
- So che la tua terra fu invasa e distrutta dopo una caccia all’uomo indetta dai Draghi Celesti, ma tu non sei stato catturato in quel momento vero? Tu ti sei fatto catturare anni dopo, hai accettato di diventare uno schiavo e una guardia del corpo per proteggere ciò che lei aveva creato con tanta fatica non è vero? –
Shenhe non rispose.
- Conosco le tue abilità in combattimento, conosco alla perfezione le tue abilità militari, cosa ne dici? Diventa il mio generale, spezza questo mondo che ti ha tolto tutto e aiutami a costruire un mondo migliore. –
- Migliore per chi? –
- Per tutti ovviamente. –
- Mi dispiace, non sono interessato. –
- Pensaci bene: potresti finalmente impugnare di nuovo la tua Yuling e potresti proteggere meglio l’orfanotrofio che lei ha costruito con tanto impegno, senza avere il dubbio che qualche grasso bambino troppo cresciuto decida improvvisamente di abbatterlo per costruirci sopra il proprio parco giochi. –
- Ha dato la sua parola che… -
-Shenhe, da quando i Draghi Celesti mantengono la loro parola? –
Strinse i pugni e chiuse gli occhi, odiava quel mondo, lo detestava perché sembrava volerlo obbligare a servire per forza un male, ma se fosse stato costretto a scegliere allora avrebbe preferito scegliere un male meno caotico e infantile.
- Va bene, ci sto. –
- Conta pure dentro anche me, ma a una condizione: voglio essere io a far saltare il cervello a quello stronzo del mio padrone e a quella troia di sua figlia. – Karai arricciò il naso a quelle parole di Crane, la figlia aveva appena otto anni, ma come aveva detto a lei Corvo pochi giorni prima sarebbe comunque diventata come il padre, quindi era meglio sbarazzarsene alla nascita.
- Sarà una noia un po' maggiore da insabbiare, ma sì posso accomodare questa richiesta. -
- Se questo aiuterà mio fratello, allora puoi contare su di me. – confermò infine anche Sophia
- Molto bene, allora farò in modo che in giornata ti venga rimosso il collare Victor, dopo di che vorrei che manomettessi il collare esplosivo di Sophia e Carlos in modo che lui possa divorare Richard e che la cosa passi come un’incidente, pensi di poterlo fare? –
- Questi collari sono lavori che definire amatoriali sarebbe un complimento, l’unico motivo per cui non mi sono ancora tolto il mio è che son sempre controllato, inoltre han nascosto il pannello di controllo dove io non posso raggiungerlo, toglimelo e ti disattivo tutti quelli che vuoi. –
- Ma così mio fratello rischierà… -
- Non rischierà nulla, come Richard ha insabbiato tutto, posso farlo io, Shenhe tu invece… -
- Se me lo chiedi ucciderò personalmente Saint Eneas con piacere, ma non torcerò un capello a un bambino in fasce e vi impedirò di farlo, mandatelo all’orfanotrofio, lì lo accoglieranno e non saprà mai di essere stato il figlio di un Nobile Mondiale, quindi non sarà mai un problema. –
- E sia. – concluse Corvo – amici miei, domani per quest’ora sarete tutti Nobili Mondiali e potremo cominciare a cambiare questo schifoso mondo. –
 
E così era stato, i loro padroni erano morti proprio come era stato detto, loro avevano preso il loro posto e tutto era finito in una nuvola di fumo per l’opinione pubblica.
Scosse il capo e uscì dalla doccia, si asciugò e indossò l’hanfu per poi avvicinarsi a Yuling, che ora riposava su un mobile d’ebano, accarezzò la lama del dao e distolse lo sguardo trattenendo le lacrime.
- Perdonami Yuling, ti ho deluso, sono stato un pessimo padre e non ho saputo proteggerti, ma rimedierò proteggerò con tutto me stesso quello che hai costruito. –
Il bussare alla porta lo riportò alla realtà: erano Sophia e suo fratello Carlos.
Lei indossava abiti molto più eleganti del giorno prima, si era fatta curare i capelli e le ferite, spostò poi gli occhi sul fratello minore, che chino in una posizione scimmiesca fissava il vuoto come incantato.
Carlos era senza alcun dubbio conforme alla sua fama: i capelli color rame strisciavano lungo il corpo quasi fino al pavimento, sul volto, con precisione proprio sugli occhi spiritati c’erano due grosse voglie che ricordavano vagamente dei segni di graffio e dalla bocca, sempre aperta per metà, sbucavano fuori quelle che sembravano a tutti gli effetti delle zanne.
Se non fosse stato per certo a conoscenza del contrario, avrebbe creduto che quel ragazzo avesse ingerito un qualche tipo di Zoan, invece, purtroppo per lui e per sua sorella, così c’era nato.
- Lo strano uomo mascherato ti vuole vedere! – bofonchiò puntandogli il dito contro con quella che più che un’unghia pareva un artiglio.
Aveva limitate conoscenze verbali, in sostanza era come un grosso bambino di venticinque anni, ma dopo essere stato rinchiuso per quasi tutta la vita in una gabbia e torturato per aumentarne l’istinto animale, anziché aiutato quello era il risultato più naturale.
Fortunatamente il colpevole ora era morto.
- Corvo ci aspetta nella sala principale a breve, ha detto che ha principalmente bisogno di te. –
- Arrivo. –
Legatosi Yuling alla cintura, uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di sé.
 
 
 
 
Angolo autore: Allora! Ci ho messo un’altra volta un po' più del previsto, ma questa volta ho la scusa delle vacanze dai! XD
Un po' di glossario e specificazioni!
Hanfu: è l’abito tradizionale cinese, può essere sia maschile che femminile.
Dao: il Dao è la sciabola cinese, ha cambiato aspetto diverse volte nei secoli ma quella più comunque è quella che poi è arrivato fino ad oggi ovvero quella a mano singola del periodo Ming (1368 – 1644), quello di Shenhe si chiama Yuling, come sua figlia
Shenhe: Shen è il cognome e He il nome, significa letteralmente Loto Divino, essendo però due singoli caratteri seguendo la grammatica cinese vanno attaccati, a differenza di Yuling (che vuol dire giada preziosa, in questo particolare caso: i nomi cinesi possono variare significato a seconda dei caratteri da cui son composti e due nomi uguali posson avere caratteri diversi) che risultando più caratteri va separato quindi: Shen Yuling.
Scrivere Shen He o Shen-He non è sbagliato ma è un’occidentalizzazione del nome.
Long Zhi Gou: Letteralmente “Terra dei Draghi” in cinese, volevo semplicemente creare una specie di Wano, ma che andasse a rappresentare l’antica Cina.
Victor Crane è vagamente ispirato a Jonathan Crane “Spaventapasseri”, l’aspetto di Carlos invece è ispirato a Tora, di Ushio e Tora uno dei miei manga e anime preferiti e il titolo “cane pazzo” è un’ovvia citazione per chi lo conosce a Goro Majima della serie Yakuza.
Karai, infine, prende il nome dalla figlia d Shredder.
Come sempre voglio ringraziare INFINITAMENTE Fenris, Giuly e Yumi che mi sostengono sempre in questa follia che sto portando avanti!
Alla prossima!
 
- Amiba
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 12 - Paura ***


- Paura -
 
 
Barbabianca era un uomo colossale, fiero ed imponente, ma nonostante questo, Jonathan, da dietro le spalle di Linlin non sembrava particolarmente turbato dalla sua presenza, cosa che invece non si poteva dire della donna.
Appena il biondo scese dalla Moby Dick avvicinandosi a loro, la pirata digrignò i denti e fece salda la presa sull’impugnatura della propria spada portandosi sempre di più davanti al ragazzo: Newgate era diverso dagli altri suoi compagni è vero, ma lei comunque non si fidava; Edward rimaneva un Rocks e in quanto tale non era degno di fiducia alcuna.
Era l’unico a sapere della sua relazione, quindi, attualmente, era l’unico che potesse costituire un pericolo per la loro felicità, ma se avesse provato solamente a torcere un capello a Jonathan, lei non avrebbe esitato in nessun modo a ucciderlo.
 
- Non te lo chiederò di nuovo Edward cosa diavolo vuoi? – Era tesa, ogni muscolo del suo corpo vibrava e il fuoco di Prometheus aveva incominciato ad agitarsi minaccioso.
- Ed io ti ripeto per l’ennesima volta che sono qua per aiutarti Linlin, falla finita di comportarti come una bambina e ascoltami! –
- Io non… - il ringhio di rabbia della donna venne fermato dalla delicata mano del compagno che si poggiò contro il suo braccio.
- Linlin, ascoltiamolo, sembra sincero… -
- Tu non lo conosci Jonathan! È un Rocks! Non ci si può fidare! Non mi posso fidare! –
- Anche tu lo sei, ma io mi sono sempre fidato di te. –
La rosa tacque continuando a fissare in cagnesco il biondo, che ora ricambiava quello sguardo e teneva salda l’impugnatura della propria alabarda.
- Ti fidi di me? –
- Jonathan tu non… -
- Linlin. –  la richiamò con dolcezza – ti fidi di me? –
Lei si voltò e lo fissò negli occhi e nuovamente ne emerse sconfitta; prese un grosso sospiro e rinfoderò la spada.
- Sì, mi fido di te. –  rispose finalmente sorridendo impercettibilmente e regalando alla guancia del compagno una tenera carezza, una di quelle che gli regalava solo quando era sicura che non ci fossero occhi indiscreti in giro e si sarebbe anche chinata per poggiare un bacio sulle labbra del pasticcere se improvvisamente non le fosse tornato alla mente che davanti a lei ci fosse Newgate.
La donna scattò, tornando a fissare il commilitone con sguardo truce, ma ormai il danno era fatto e Barbabianca la fissava con occhi sgranati come intontito.
Se glielo avessero chiesto avrebbe ritenuto molto più plausibile vedere uno stormo di maiali librarsi leggiadri nel cielo piuttosto che quella scena a cui aveva appena assistito.
Mai, nemmeno in un milione di anni, avrebbe mai scommesso di vedere Linlin cedere così e mai avrebbe pensato di vederla regalare gesti così affettuosi: ora era sempre più convinto che Jonathan Tew fosse un uomo incredibile.
 
- Edward, la fai finita di fissarci come un’imbecille e ci dici cosa ci dovevi dire? – chiese lei stizzita ed innervosita per la figuraccia appena fatta.
- Gurararara! – esplose finalmente il pirata – Non posso crederci! Il lato dolce e tenero di Charlotte Linlin! Gurararara! –
- Se non ci dici immediatamente cosa sei venuto a dirci te lo mostro io il mio lato tenero stronzo di merda! Ti stacco la testa e la appendo sul ponte della mia nave! –
Jonathan trattenne una risata, Linlin imbarazzata continuava a divertirlo come i primi giorni.
- Va bene, va bene, hai ragione. – sbuffò lui asciugandosi una lacrima e tornando serio. – c’è un posto tranquillo dove possiamo parlare? –
- Possiamo andare nel retrobottega, così mentre parlate vi posso preparare qualcosa da mangiare. –
La rosa ringhiò irritata dirigendosi a passo rapido verso la pasticceria del compagno.
- Vediamo di fare in fretta Newgate, hai già rubato fin troppo tempo a me e Jonathan in uno dei suoi giorni liberi. –
L’uomo diede un veloce sguardo al ragazzo che si limitò ad alzare le spalle come a volergli dire di non dare troppo peso alla cosa per poi fargli segno di seguirlo.
 
--------------------------            
 
- Allora. – cominciò senza troppi convenevoli Linlin quando furono soli. – Cosa dovevi dirmi? –
Barbabianca andò a prendere un abbondante sorso del sakè dolce che Jonathan gli aveva offerto prima di dirigersi verso la cucina per preparare loro qualche dolce da mangiare mentre discutevano.
Il corvino aveva preferito assentarsi lasciando ai due pirati la possibilità di parlare con più libertà delle loro questioni e soprattutto permettendo a Linlin di essere in una situazione di maggiore tranquillità; perché, sapendolo in cucina al fianco del padre, avrebbe sicuramente avuto una preoccupazione in meno.
- Riguarda Xebec Linlin. – cominciò serio – Non gli sta piacendo per niente come ti stai comportando nell’ultimo periodo, è nervoso e pieno di rabbia, sai meglio di me che non gli piace che la sua autorità venga minimante messa in discussione. –
- E con questo? È sempre stata chiara fin dal primo istante la natura della nostra alleanza: non è il nostro leader, è semplicemente un imbecille megalomane che seguiamo perché condividiamo ambizioni comuni, siamo utili gli uni agli altri. –
- Sai molto bene quanto può essere vendicativo e stupidamente impulsivo. –
- Sa di Jonathan? – chiese a nervi tesi – Newgate giuro che se gli hai rivelato qualcosa… -
- No, non sa nulla, ma potrebbe indagare e potrebbe scoprirlo. – continuò, in tono genuinamente preoccupato – e sai alla perfezione di come Silver Axe non vede l’ora di rifarsi su di te, se scoprissero di Jonathan potrebbero… -
 
Linlin a quel puntò esplose in una fragorosa risata.
- Silver Axe? Far del male a Jonathan? – chiese appoggiando il mento sul palmo della mano – Anche se quel viscido bastardo dovesse provare ad avvicinarsi a lui quando io non ci sono, non riuscirebbe ad alzare nemmeno un dito per ferirlo: Raian è ben oltre la sua portata come avversario e se dovesse provarci come me presente sarò io di persona a spezzare ogni singolo osso nel suo corpo. –
- Che intendi dire? –
- Con cosa? –
- Con la questione di Rain, come fai a… -
- Ha voluto testare la mia forza. – rivelò – Voleva vedere di persona se fossi in grado di proteggere suo figlio. –
- E? –
- E il risultato l’ha soddisfatto, ho passato il suo stupido test, ma credimi quando ti dico che Silver Axe non potrebbe sconfiggerlo nemmeno fra un milione di anni, fra lui e quell’uomo c’è un muro insormontabile, diavolo ho dubbi che persino tu possa batterlo! –
Il biondo prese l’ennesima sorsata di sakè, mantenendo lo sguardo serio e attento sulla donna.
- È così forte? –
La rosa si fece estremamente seria, non le piaceva elogiare gli altri, men che meno persone che lei riteneva le avessero arrecato offesa o per le quali non nutriva particolare simpatia.
- È un mostro. – si limitò a dire – Durante il nostro allenamento, se così lo si può definire, ho usato più volte l’Haki dell’armatura per difendermi dai suoi attacchi e i suoi pugni hanno fatto comunque un male cane: non so se sia riuscito ad usare l’Haki a sua volta tanto velocemente da non permettermi di accorgermene o se non ne ha avuto bisogno e non saprei dire quale delle due cose sarebbe più impressionante, comunque sia né al capitano, men che meno a Silver Axe converrebbe rischiare.  –
- Se è vero quello che dici non ci sono dubbi sulla sua forza, ma in tutti i casi cerca di non antagonizzarti troppo il Xebec, lo dico per il tuo bene, per il vostro bene, è evidente quanto tu ci tenga a quel ragazzo, quanto tu ci tenga a tutto questo. –
- Io non… -
- Oh, Linlin non provarci nemmeno a propinarmi una delle tue stronzate, è evidente che provi dei forti sentimenti per Jonathan, lo vedrebbe pure un cieco! Non ho mai visto i tuoi occhi così vivi come su quel molo, poco fa, come guardavi lui e come hai guardato me: saresti stata pronta a morire per difenderlo, quindi finiscila di raccontare stronzate per una misera questione di ego. –
Big Mom tacque deglutendo il boccone amaro della sconfitta; per quanto avesse ammesso già a sé stessa e lo avesse mostrato più volte a lui le era ancora quasi impossibile ammettere davanti ad altri cosa provasse per Jonathan.
- Lo ami veramente eh? –
Nessuna risposta.
- D’accordo, lasciamo stare quest’argomento, ma cerca di non scordare quello che ti ho detto, è importante. –
 
Jonathan entrò nella stanza proprio in quell’istante, con un tempismo perfetto e un vassoio carico di pasticcini e, naturalmente, cupcakes.
- Vi ho portato qualcosa da mangiare come promesso. –
- Sei gentile come sempre Jonathan, ma Edward stava proprio per andarsene – soffiò scorbutica la pirata – Non è vero? –
Il corvino sembrò deluso da quella notizia.
- Oh, ma è appena arrivato è un peccato! La prego di restare signor Newgate! Questa sera ci sarà una festa sull’isola, è particolarmente piacevole e divertente, rimanga almeno per godersela! –
- Jonathan non credo proprio che Edward sia interessato a… -
- Mi fermerò sicuramente! Grazie dell’invito e dei pasticcini! Sono deliziosi! –
Con un sorriso furbo prese a fissare la donna che ora appariva estremamente innervosita, il fatto che Barbabianca fosse giunto sull’isola per avvisarla non significava in nessun modo che avrebbe perso un’occasione così d’oro per darle fastidio e divertirsi a sua volta.
- Ah! Vai al diavolo Newgate! – imprecò – e tu Jonathan la prossima volta fatti i fatti tuoi! –
- Ma io… -
Linlin si alzò si caricò il ragazzo in spalla come un sacco di patate e si avviò a lunghi passi verso l’uscita.
- Resta pure qua quanto ti pare, ma vedi di non infastidirci! –  urlò sbattendosi la porta alle spalle.
Edward rimase lì a fissare la porta di legno e a masticare dolci bevendo sakè con un vago sorriso sulle labbra.
 
--------------------------            
 
Le strade della città cominciavano ad essere addobbate già prima del tramonto e le prime luci delle lanterne colorate cominciavano a venir accese.
Era una vista piacevole, una di quelle che uno come lui non vedeva molto spesso.
Barbabianca seppur dal temperamento decisamente più bonario dei commilitoni, rimaneva pure sempre un Rocks e non era raro che chiunque fuggisse alla sua presenza, rendendogli impossibile godersi momenti di tranquillità come quelli.
Certo, era già stato a delle “feste”, ma erano di un tipo decisamente diverso e con compagnie decisamente diverse, assolutamente meno gradevoli rispetto a dei sereni paesani come quelli che abitavano l’isola.
Probabilmente era il fatto che ormai eran più che abituati alla presenza di Linlin a renderli tranquilli al suo girovagare, scansò con un sorriso due bambini che si rincorrevano prima di venir fermato da una voce non troppo amichevole.
 
- Cosa ci fai qui Newgate? Non vi avevo forse avvisato che non volevo più vedervi sulla mia isola? –
Il pirata si fermò, voltandosi nella direzione del suo interlocutore.
- Indra sono… -
- Chiamami Raian, questo è il mio nome ed è questo quello che userai. –
- Raian son semplicemente venuto qui per avvertire Linlin di una questione importante, nient’altro. –
- Vi avevo chiaramente detto di tenere i vostri sporchi affari lontani da questo posto! L’unica ragione per cui Linlin può rimanere è perché è la compagna di mio figlio. –
Il biondo corrugò la fronte innervosito, non gli piaceva nemmeno un po' il tono con cui Raian gli stava parlando, men che meno dopo che era venuto lì per avvisare Linlin e Jonathan di un pericolo che sarebbe potuto incombere su di loro.
- Ti ho già detto che non ho intenzioni nocive. – soffiò a denti stretti.
- E io ti ho già detto che non voglio né tè né i tuoi compari da queste parti. Sparisci. –
- Altrimenti? –
- Altrimenti ti faccio sparire io. –
L’aria cominciò a vibrare, Newgate poteva sentire chiaramente l’Haki del Re Conquistatore di Rain in procinto di esplodere, non lo aveva ancora rilasciato eppure già ne sentiva le vibrazioni sulla propria pelle.
Un brivido di eccitazione gli scosse l’intera schiena: la sola idea di affrontare un avversario del genere gli faceva ribollire il sangue.
Fece un passo in avanti con un sorriso beffardo stampato sul volto, pronto a combattere.
- Allora coraggio, mostrami tutta la potenza del Dio della Folgore. –
- Ti ho detto di non chiamarmi in quel modo. –
 
- Ma siete diventati scemi tutti e due?! – un urlo, tuttavia, spezzò improvvisamente quella tensione che si era creata nell’aria – Volete scontrarvi qui in mezzo? –
Linlin li fissava a braccia incrociate irritata, aveva capito immediatamente dove la situazione stava andando a parare ed era intervenuta in tempo prima che succedesse il danno, al suo fianco Jonathan che più che innervosito sembrava esasperato dall’ennesima scenata a cui era costretto ad assistere.
Ma perché la gente doveva essere così esageratamente drammatica? Non si poteva provare, per una singola volta, a risolvere una questione ragionando e parlando per qualche secondo?
- C’è troppa gente! Combinereste un gran casino assolutamente per nulla! – naturalmente le sue preoccupazioni erano rivolte alla presenza li vicino del compagno, degli altri non le importava assolutamente nulla, ma quella era una buona scusa per nascondere i suoi eccessi di preoccupazione.
- Papà, Barbabianca dice il vero è solo venuto per aiutarci con una questione personale, non devi preoccuparti, sono stato io a invitarlo a restare. –
Raian sospirò e si passò una mano fra i capelli di platino; forse si era effettivamente spinto troppo oltre.
- E va bene, ho esagerato, ti chiedo scusa Newgate, per farmi perdonare questa sera offro da bere io. –
Il biondo fissò la rosa e il corvino poi riportò il su sguardo su Raian e sospirò, rilassando i muscoli.
- D’accordo, effettivamente combattere qui sarebbe inutilmente dannoso, accetto le tue scuse e accetto ancora più volentieri la bevuta offerta. –
- Papà! – l’urlo di Helen arrivò prepotentemente alle loro orecchie – Smettila di fare lo scemo e combinare casini e vieni ad aiutarmi! Dobbiamo infornare i dolci da vendere alla festa in paese questa sera! –
La ragazza si alzò sulla punta dei piedi e afferrò con decisamente poca gentilezza il lobo dell’uomo per poi cominciare a trascinarlo verso la loro bottega.
- Aio! Aio! Vengo non tirare così mi fai male! –  protestò lui inutilmente mentre veniva trascinato via sotto gli occhi sbigottiti dei due Rocks e sotto lo sguardo divertito di Jonathan.
- Ma tuo padre non… -
- Oh, certo, ma contro la mia sorellina è più indifeso di un gattino bagnato! – sghignazzò il pasticciere allacciando il braccio con quello della compagna – cosa ne dici se adesso torniamo a goderci la nostra passeggiata? –
La donna si limitò ad annuire, cercando di ignorare Newgate che continuava a fissarli.
- Oh, e Barbabianca –
- Sì? –
- Ci vediamo alla festa di questa sera! Vedrai che sarà fantastica!  -
 
--------------------------   
 
Quella era una giornata che Edward Newgate non avrebbe facilmente dimenticato.
Fissò prima il grosso boccale di birra mezzo vuoto, poi di nuovo la scena che gli si parava davanti: Jonathan, dopo diversi tentativi in cui la donna si era mostrata restia era riuscito a convincere Linlin a ballare con lui mentre un gruppo di saltimbanchi suonavano allegre canzoni di mare.
Si passò la grossa mano sul volto e tornò a fissare la birra che teneva fra le mani, ne aveva bevuta parecchia, eppure era perfettamente sicuro di non essere ubriaco; quindi, quella che si trovava davanti non era assolutamente un’allucinazione, eppure era talmente assurda come situazione che faticava a credere fosse reale.
Aveva capito che Linlin si fosse ammorbidita, aveva perfettamente compreso che ci tenesse realmente a quel ragazzo, infondo lo aveva visto lui stesso sul molo quella mattina e lo aveva persino ribadito alla donna quel poco dopo, ma non avrebbe mai creduto di poter vedere un’espressione simile sul suo viso: aveva il sorriso stampato sul volto, era felice e ballava spensierata, lasciando che Jonathan la stringesse a sé e ricambiando con un’assurda delicatezza.
Gli occhi di Linlin erano incredibilmente brillanti…vivi e Barbabianca dovette ammettere a sé stesso di essere un po' geloso di quella felicità.
 
- È…incredibile. –
- Cosa? – chiese Raian che stava bevendo seduto poco distante dal pirata.
- Tuo figlio, quello che ha fatto, come è riuscito a cambiare Linlin è…è semplicemente incredibile. –
- Jonathan è un uomo incredibile, non potrei essere più fiero di lui, è sempre riuscito a far breccia in qualsiasi muro che una persona costruisse attorno al suo cuore. –
- Linlin aveva più che altro una corazza di diamante…ci conosciamo da tanti anni ormai, abbiam combattuto e solcato i mari assieme, non credevo fosse possibile vederla con quell’espressione sul viso. –
- Non approvo la scelta che ha fatto mio figlio, poteva avere di meglio, ma lui è felice e quindi lo sono anch’io. –
Newgate soffocò una risata – Sai io ho sempre desiderato dei figli, il mio sogno è proprio quello di costruire una grande famiglia, quindi, anche se non ne ho ancora, posso capire benissimo le tue preoccupazioni, perché le avrei anch’io. – finì la birra rimanente con un’unica sorsata – Ma posso assicurarti che lei non permetterà mai a nessuno di avvicinarsi a Jonathan per fargli del male. –
- Questo lo avevo intuito. – rispose inarcando leggermente le labbra prima di mangiare una castagna caramellata – Ma non posso far a meno di preoccuparmi, Jonathan non è come noi, lui è un brav’uomo e Linlin volente o nolente lo trascinerà nel vostro mondo, dove per gli uomini buoni non c’è spazio. –
- Può essere che tu abbia ragione, oppure può essere che lui trascini lei nel suo, l’ha già cambiata in meglio, potrebbe farlo ancora. –
Raian era in procinto di rispondere, quando un’esplosione proveniente dal porto richiamò immediatamente la sua attenzione e quella di tutti i presenti, compresi Linlin e Jonathan, il quale non perse tempo e prese a correre in direzione del molo.
 
La scena che gli si parò davanti era tremenda, una nave mercantile, poco distante dalla banchina, era completamente in fiamme, mentre una scialuppa di salvataggio remava disperata verso riva, a bordo c’erano tre uomini, due dei quali stavano reggendo una giovane donna che urlava disperata, dimenandosi e cercando di sfuggire alla loro presa.
- Tuo padre ed Edward stanno arrivando, hanno avvertito i soccorsi, cosa è successo? – chiese Linlin che aveva appena raggiunto il pasticciere, che osservava col cuore in gola scena.
- Non…non ne ho idea. –
- Trasportavamo i fuochi d’artificio, ma c’è stato un incidente nella cambusa, è esploso tutto. –
Commentò l’uomo che doveva essere il capitano salendo sul molo con la donna sulle spalle, che furiosamente stava continuando a colpirgli la schiena.
- Lasciami andare brutto stronzo! C’è ancora la mia bambina là dentro! Non potete lasciarla la a morire! –
- Avete lasciato una bambina a bordo?! –
- Senti ragazzino. È già tanto che non abbia gettato questa clandestina in acqua e abbia scelto di portarla a destinazione, non rischierò la vita per la sua marmocchia! Non avevamo tempo, così ho salvato solo lei. –
Gli occhi di Jonathan si infamarono e per la prima volta Linlin vide effettiva ira in quei bellissimi pozzi azzurri, lo vide avere scattare con rabbia verso il vecchio mercante per poi fermarsi e fissare la nave.
- Jonathan…cosa vuoi fare? –
- Mio padre ci metterà troppo e tu non puoi nuotare. – rispose semplicemente prima di gettare a terra la giacca, togliersi le scarpe con un veloce gesto dei piedi e tuffarsi in acqua.
- Jonathan! – urlò la rosa facendo per seguirlo d’istinto per fermarlo, ma bloccandosi immediatamente.
Non poteva andare con lui, quell’imbecille si era appena buttato in acqua per andare a salvare una bambina di una completa estranea e lei non poteva seguirlo e proteggerlo o sarebbe annegata.
Passarono minuti che sembrarono anni, nei quali Raian e Barbabianca raggiunsero a loro volta il luogo dell’incidente, la rosa si voltò di scatto verso Raian afferrandolo per il collo della camicia.
 
- Quell’idiota di tuo figlio si è appena buttato in acqua per salvare una bambina di una maledettissima estranea! Tuffati! Vai a salvarlo impediscili di buttare via la sua vita per nulla! –
L’uomo scansò le mani della pirata con poco garbo – E come? A questo punto sarà ormai sulla nave, alla velocità con cui sta bruciando non farei in tempo a trovarlo e anche se lo trovassi, sai alla perfezione che non lascerebbe mai quella bambina a bruciare da sola. – sospirò sconsolato fissando la nave – possiamo solo pregare che faccia in tempo. -  
- Sei suo padre! Non ti interessa se muore?! –
- Non morirà, ho fiducia in lui, ho fiducia in mio figlio. –
- Raian ti prego vai ad… -
Una nuova esplosione troncò le parole di bocca alla piratessa.
La nave era saltata in aria, non rimaneva che una carcassa di legno che sprofondava verso il fondo del mare.
- Jonathan!! – urlò a pieni polmoni facendo per gettarsi in acqua, ma fu immediatamente placcata da Newgate che la costrinse a fermarsi, Raian strinse i pugni e chiuse gli occhi mentre sentiva le lacrime solcargli il viso.
- Sei scema? Morirai! –
- Lasciami! Lasciami! Jonathan! –
- Linlin! Datti una calmata!  -
La rosa continuava a divincolarsi, ma il biondo tenne salda la presa e le energie di Linlin si spensero in fretta.
Sentì le gambe crollargli e non reggere più il suo peso, cadde in ginocchio, cominciò a sentire un enorme peso sul cuore e gli occhi cominciare a bagnarsi, non sentiva più nulla, nemmeno le urla disperate della donna che chiamava il nome di sua figlia, era come se si fosse immersa nel vuoto.
- Jon… -
Proprio in quel preciso istante, Jonathan emerse di scatto dall’acqua con la bambina sottobraccio prendendo un’ampia boccata d’aria, Raian si tuffò immediatamente per andare a soccorerlo.
- Jonathan! – scattò in piedi fissando il compagno mentre si avvicinava a larghe bracciate verso il molo, aiutato dal padre.
 
Quando giunse a riva e risalì sulla terra ferma riconsegnando la bambina nelle braccia della madre questa gli saltò a collo.
- Grazie! Grazie! Grazie! Hai salvato la mia bambina, non so come ringraziarti! –
- Non si preoccupi, non potevo certamente lasciare che una bambina così piccola morisse, non me lo sarei mai perdonato. –
Linlin da quel momento era rimasta in silenzio, aveva provato una tale quantità di emozioni in così poco tempo che le era stato impossibile pronunciare anche solo una singola parola, anche causa l’enorme scarico di tensione che le aveva provocato constatare che il compagno stesse effettivamente bene e che non fosse più in pericolo.
Lo osservò sedersi sul molo per riprendere fiato, mentre diverse persone accorrevano per assistere i naufraghi e spegnere le ultime fiamme del relitto ormai quasi affondato del tutto.
Non ci volle molto, a quel punto, prima che il molo tornasse deserto, alcuni avevano deciso di tornare ai festeggiamenti, altri, invece, fra cui Jonathan e Linlin, avevano preferito rincasare per riposarsi e riprendersi dallo shock.
Tornarono alla nave di lei e una volta nella cabina della pirata, il pasticciere, preoccupato per quell’inusuale silenzio, le carezzò il braccio con delicatezza.
 
- Linlin, scusami, non volevo farti preocc… - un violento schiaffo gli investi il viso, facendogli bruciare la guancia.
Linlin l’aveva colpito, si era trattenuta per evitare di fargli troppo male, ma l’aveva colpito.
- Hey! –  protestò lui massaggiandosi la guancia
- Non fare mai più una stronzata del genere! Non ti permettere di rischiare mai più la tua vita! –
- Linlin cosa stai dicendo? Non potevo certamente lasciare quella bambina morire! –
- Sì che potevi maledizione! –
- Come avrei potuto Linlin! Dimmelo! –
- Perché la tua vita è più importante Jonathan! Cazzo lo devi capire! – era furiosa e agitata, tanto da non importarle se i suoi sottoposti la sentivano, se avessero poi osato mettere bocca su qualcosa che non li riguardava ci avrebbe pensato dopo a ricordare loro a dovere qual era il loro posto.
- Linlin e se fosse stato uno dei tuoi figli? Come avrei mai potuto non… -
- Non mi interessa! Neanche se fosse stato uno dei miei figli! Sacrificherei ognuno di loro se significasse salvarti la vita! Dannazione Jonathan mi hai promesso che saresti sempre rimasto al mio fianco, non puoi lasciarmi! Non puoi! – la voce era la solita, violenta, presuntuosa e prepotente, ma non era sicura e salda come al solito, era più spezzata e incerta, tanto da far sembrare la donna un po' più piccola di quello che era.
Jonathan comprese quanto si fosse spaventata, comprese che quello sfogo era un modo per aprirsi un poco, un tentativo di una donna che stava imparando da appena qualche mese a farlo, decise dunque di ignorare quelle parole orribili sui figli, che una madre non avrebbe mai dovuto pronunciare, perché era sicuro che nel profondo del cuore non le pensasse veramente, semplicemente quella era un’ennesima parte della corazza che lui doveva ancora aiutarla a rimuovere.
- Linlin… -
- No! Linlin un cazzo! Perché non lo capisci! Non posso perderti! Non voglio! Dannazione Jonathan ti amo! –
Calò il gelo e gli occhi del corvino si fecero lucidi mentre la piratessa si portò le mani alla bocca, ancora incredula di cosa aveva appena ammesso.
Non erano un segreto i sentimenti che Linlin provava, almeno non per Jonathan, ma lei non li aveva mai ammessi ad alta voce.
- Fin ora…fin ora non me lo avevi mai detto. – sorrise mentre lacrime di gioia scesero lungo le sue guance.
- Io non…non so di cosa parli! – borbottò lei rossa in volto, cercando di nascondere la questione proprio come una bambina, ma Jonathan la trascinò verso di sé dandole un dolce e appassionato bacio.
- Ti amo anch’io Linlin e non devi avere paura, non lascerò mai il tuo fianco, non sarai più sola, te l’ho detto. –
Questa volta fu lei a baciarlo, ci mise tutto il desiderio e la passione che aveva in corpo, lo spinse sul letto e si sistemò sopra di lui continuando a cercare le labbra e la lingua del compagno con foga.
Jonathan allacciò le braccia dietro la schiena di lei, regalandole dolci carezze.
Così si lasciarono andare all’ennesima notte di passione, inconsapevoli però, che quella avrebbe cambiato le loro vite per sempre.
 
 
 
Angolo autore: Eccomi qui! Questa volta son stato un po' più rapido nell’aggiornare, anche se comunque questo è rimasto un capitolo travagliato, modificato e rimodificato, perché ero pieno di dubbi e di incertezze su come gestire moltissime cose XD in primis il primo ‘ti amo’ di Big Mom doveva essere in un altro momento, ma son contento di averlo inserito qua!
Sto cercando di non andare follemente OOC con Linlin, ma è proprio difficile scrivendo una storia d’amore con lei in mezzo lol.
Ho anche deciso di rimuovere l’elenco dei capitoli dalla descrizione, alla lunga, se mai ci saranno nuovi lettori, avrebbero seriamente rischiato di spoilerare troppo.
Voglio ringraziare come sempre in modo particolare Fenris, Yumi e Giuly! E anche tutti voi lettori silenziosi, mi sto divertendo tantissimo a scrivere questa storia e il vostro supporto vuol dire veramente molto!
Grazie infinite!
Alla prossima!
 
- Amiba

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4036461