Improvvisi

di _Il colore del vento_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blinding light ***
Capitolo 2: *** Perdere l'amore ***



Capitolo 1
*** Blinding light ***


 
I.
“I want you to have your own thoughts and ideas and feelings, even when I hold you in my arms.”
(A Room with a View)
 
 
 
Ted la amava. Così le aveva detto, tra il sussurrare delle fronde, lo sciabordio delle acque del Lago e una notte imminente.
Andromeda non aveva risposto, non lo faceva mai. Eppure lui la capiva ugualmente, la capiva sempre.
“Non rispondermi” mormorava, a un soffio dalle sue labbra fredde come il respiro del buio, quel buio che presto si sarebbe chiuso attorno a loro, attorno al castello.
“Non rispondermi fino a che non saranno parole unicamente tue. Non voglio sentire parlare la tua famiglia o le tue sorelle, non voglio veleno sulle tue labbra.”
Andromeda chiudeva gli occhi in ascolto – della voce di Ted, del suo stesso cuore, di quel momento celato agli occhi del mondo. Soltanto loro.
Non riusciva a ricordare il momento preciso in cui lui le si era insinuato dentro e così a fondo, sotto la pelle, sotto le ossa, nel sangue che affluiva al centro del petto, nel flusso dei pensieri.
Non avrebbe risposto, non ancora. Ma soltanto perché non c’era che lui in ogni suo respiro e in ogni suo pensiero.
Non era ancora pronta a recidere il filo, a restare sospesa fra le sue braccia. Piena di lui e con soltanto lui sulle labbra.
Prima o poi, avrebbe risposto. Prima o poi.
Quando fosse stata capace di dissolvere il nero, di districare dai propri tutti quei battiti in eccesso che lui le aveva imposto, quando fosse tornata a respirare, a ragionare.
 
Ted intanto beveva i suoi silenzi e i respiri spezzati. Accoglieva quei lampi di tenerezza che riusciva a strapparle, come baluginii del sole morente impigliati sulla superficie del Lago.
C’erano tracce dell’Andromeda passata e radici che ancora resistevano – imperterrite, fiere. Ma c’era anche un’altra Andromeda, una donna che fioriva tra le sue braccia, la sentiva palpitare d’emozione sotto la coltre del silenzio.
Nuovi pensieri le attraversavano rapidi lo sguardo, effimeri dietro quegli occhi scuri subito rinserrati, protetti dallo scudo delle palpebre. Allora le stringeva il mento con la mano, la costringeva a guardarlo.
“Guardami” le ordinava. Amami, intendeva dire. Senza timore, senza difese.
Gli bastava stringerla, in quei momenti, pur con tutti i suoi silenzi e le sue remore, con tutta la sua impenetrabilità.
Gli bastava stanarla poco a poco, spogliarla poco a poco di ogni riparo. La amava soprattutto per quello.
Per la fatica con cui si lasciava amare.
Prima o poi, la risposta sarebbe arrivata. Prima o poi.
 
 
II.
“Deep down there’s a hope inside /
Brighter than the fears in my mind /
I keep looking for the blinding light /
It’s the hope that keeps me alive.”

(Blinding Light, Switchfoot)
 

 
In Sala Comune, quando si ritrovavano la sera, nessuno aveva le forze per parlare.
Neville fissava muto le fiamme nel camino, la luce e le ombre giocavano con i tratti del suo viso tumefatto.
Ginny gli restava vicino, talvolta gli poggiava il capo sulla spalla, piano, per non recargli dolore. Anche quel residuo di tenerezza, fra quelle mura di pietra oppresse dal gelo e dal terrore, le pareva una forma di resistenza. Non li avrebbero privati anche di quello. Non lo avrebbero permesso.
Quando poi erano troppo stanchi persino per il silenzio, si ritiravano ciascuno nel proprio Dormitorio, con la promessa muta di ritrovarsi l’indomani. Avrebbero radunato il coraggio, ancora e ancora, si sarebbero trasmessi forza per un altro giorno e per quello a venire, fino a che ne fossero stati capaci.
Una volta in camera, Ginny restava in compagnia dei propri lividi e della propria paura, quella che le mozzava il respiro e che non poteva condividere con nessuno. Non con Neville, né con altri.
Erano incubi soltanto suoi, quelli che la attendevano ogni volta che posava la testa sul cuscino e smetteva di trafiggere la cima del baldacchino con i suoi occhi pieni di domande senza risposta e angosce inconsolabili.
Tutta la notte che le restava, affidata a quel sonno leggero che la stanchezza pretendeva e il suo corpo sempre in allerta si concedeva, era infestata da immagini di morte e sconfitta. Harry moriva attraverso di lei ogni notte.
Il soprassalto del risveglio la trovava più esausta di quando si era coricata, affossata nelle lenzuola umide e con il cuore in subbuglio.
Era sempre Harry a calmarla. Harry con i suoi occhi verdi e il modo in cui i suoi rari sorrisi gli illuminavano il volto. Harry che la salvava, Harry che le correva incontro dopo una vittoria, Harry che la baciava, Harry felice in riva al Lago.
Nonostante la distanza e la paura, nonostante i dubbi, quando il sole sorgeva, Ginny non era più sola.
 
 
 
 
III.
Guarda che non puoi rompermi, lo sai, no? 
Non sono delicata come un fiore o un pezzo di cristallo.
Sono una persona. E posso sempre guarire.
{Julia Wicker, The Magicians (4x04)} 
 
Da quando è finita la Guerra, Asteria sorride di meno. Gli sembra che, prima, lei ridesse sempre. Molto più di sua sorella Daphne, almeno. Ma forse è soltanto lui a ricordare male. Del resto, quando mai le aveva prestato tanta attenzione, prima. Quando mai aveva prestato tanta attenzione a chiunque a parte se stesso.
Eppure adesso, dopo il Processo, dopo che gli è stato concesso di tornare a concludere gli studi, ha scoperto quanto sia facile, liberatorio, soffermarsi sugli altri, su quella platea praticamente sconosciuta.
Per quelli che nei corridoi lo insultano o lo spintonano, ne restano altri, fortunatamente in numero maggiore, che preferiscono ignorarlo, fingere di non vederlo. Una sorta di legge del contrappasso: prima era lui a non vedere nessuno. Ora che vede tutti, nessuno lo vede. Nessuno vuole vederlo.
Quasi nessuno, almeno. Asteria non ride più, ma la curiosità nello sguardo non le si è spenta. Non distoglie gli occhi, quando lui la guarda.
Con la fine della Guerra e il ritorno a una forzata normalità, a Hogwarts indugia ancora lo strascico di un caos non facile da dissolvere. Tra studenti che non faranno più ritorno e posti vuoti che pesano, tra studenti reintegrati dopo aver interrotto l’anno per mettersi in salvo, la rigorosa divisione delle classi per anni, soprattutto tra le ultime, non pare più una gran cosa. Molti studenti del sesto e del settimo si ritrovano mescolati, fianco a fianco nelle medesime aule.
Ai primi banchi, ad esempio, in quelle continuità che nulla riescono a spezzare, c’è la Granger al fianco della Weasley, ma non riesce mai a guardare troppo in quella direzione, non ancora. Come se, dopo una malattia della vista, lo costringessero a fissare il sole. E allora guarda Asteria, che non conosce, non per davvero, ma non gli è neanche del tutto sconosciuta. Gli appare meno aliena di tutto il resto.
Quando lei lo sorprende a guardarla, le prime volte, è lui a distogliere lo sguardo. Per vergogna, per senso di colpa. È in quel momento che di sfuggita pensa a un’assenza che le ha intravisto sul volto, l’assenza di un sorriso che ricordava. L’ombra di quel sorriso gli pesa.
Col passare delle lezioni, lei gli si siede sempre più vicina, fino a che un giorno non se la ritrova al banco accanto, rimasto sempre vuoto.
“Ciao” lo saluta lei. E ha una voce che suona dolcissima o, almeno, a lui sembra che lo sia. Non dice “Draco”, perché in fondo non hanno alcun trascorso, ma non lo chiama nemmeno “Malfoy” e a lui sta bene così.
Vorrebbe risponderle, ma non ci riesce. Si limita a spostare le proprie cose, a farle spazio.
Lei continua a fissarlo seria, ma lui mantiene gli occhi bassi. Conta nervoso i secondi fino alla replica successiva.
“Puoi aver fatto del male, in passato, puoi anche averlo voluto.”
Asteria gli si avvicina ancora di più, anche se sta ben attenta a non invadere il suo banco. Non sorride, non per davvero, ma ha uno sguardo vivo, ancora curioso. Nonostante tutto.
“Ora non mi sembri una persona capace di fare del male, però. Né mi sembra che tu lo voglia.”
E no, non lo desidera affatto. Lui vuole ricominciare, vuole che lei continui a parlargli con la sua voce dolce, con la curiosità e la sua umanità sopravvissute al fuoco. Vuole che quell’ombra di sorriso possa smettere di essere un’assenza e tornare a dischiuderle le labbra.
E, ancora, vorrebbe avere lui la possibilità di far sorridere una ragazza come Asteria. Di ricominciare assieme. 


Note:
Queste storie sono state scritte in occasione dell'iniziativa "Due ore, quattro prompt (October edition)" sul Forum  "Ferisce la penna" (che prevedeva, appunto, quattro prompt da sviluppare, ciascuno in trenta minuti in un arco complessivo di due ore). I prompt estratti sono, rispettivamente, mio, di Jeremymarsh e di Mari Lace. In teoria, ci sarebbe stato un quarto prompt da sviluppare, ma, in pratica, sono arrivata alla fine del terzo turno particolarmente fusa (come credo si riesca a percepire nella progressione delle storie). Aggiungo che, per aderire al meglio allo spirito dell'iniziativa, ho ritoccato il meno possibile queste storie, prima di pubblicarle. Era una challenge, in fondo, e ho cercato di mantenerla tale fino alla fine. Comunque, per chiunque volesse partecipare a iniziative simili, consiglio caldamente di dare un'occhiata sul Forum, dove ne vengono organizzate di veramente carine.
Grazie a chiunque sia giunto fin qui, alla prossima!


 

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Capitolo 2
*** Perdere l'amore ***


 
I.
“Ora di te cosa farò
È così complicato
Se muoio già dalla voglia
Di ricordarti a memoria"
(Perturbazione, L'unica)


 
Fred non si innamora, presta soltanto molta attenzione ai dettagli.
Annota fra sé la sfumatura di verde degli occhi di Asteria dietro gli occhiali squadrati, le sue code disordinate, e i soliti maglioni a collo alto, di solito neri, abbinate alle sue gonne, di solito verdi. Le rimprovera sempre di essere una tipica Serpeverde – anche se lo sanno entrambi, che non è vero.

Fred non si innamora, ha soltanto una buona memoria.
Nel limbo tra sonno e veglia, la sera, sa tracciare le costellazioni di piccoli nei sul collo di Asteria, costellazioni incomplete, nascoste, per suo gran disappunto, dal colletto della divisa. Sa rievocare senza fatica il modo in cui i suoi sorrisi le si allargano sul viso e le fremono le ciglia quando si avvicina a lei tanto da poterla baciare, per poi ritrarsi all'ultimo con una risata.

Fred non si innamora, è bravo a placare il proprio cuore lanciato al galoppo.
Non è chissà quanto importante, del resto, che sappia riconoscere la voce e la figura di Asteria nel pieno della folla, né che il passo di lei abbia un suono unico e inconfondibile.

Fred non si innamora – non di Asteria. Lei è solo un'amica particolare e inaspettata. Forse è proprio l'imprevedibilità della loro frequentazione, la genuinità della loro connessione a rendergliela tanto cara, speciale.
E non c'entrano proprio niente l'urgenza che sente, quando sono assieme, di sentirla sempre più vicina, ancora, sempre di più, né l'amarezza che lo coglie quando non si vedono, quando si separano.

Fred non si innamora: è soltanto abile a destreggiarsi fra le proprie bugie.


II.
"Com’è possibile pensare che sia più facile morire
Io no, non lo pretendo
Ma ho ancora il sogno
Che tu mi ascolti e non rimangano parole
Non rimangano parole"
(Non è l’inferno – Emma)


 
Asteria non capiva perché dovesse vivere sempre al limite. Di Fred capiva il senso di ribellione, di sfida, l'incapacità provocatoria con cui rifiutava di lasciarsi confinare in angusti limiti.
E aveva capito – anche se non approvato – la voglia di lui di incanalare tutto il proprio dissenso e la lucida consapevolezza dell'ingiustizia che opprimeva gli studenti di Hogwarts, quando era iniziata la tirannia del Ministero – sottile, invisibile, celata sotto le sembianze di benigna, apparente affabilità  della Umbridge.

Aveva capito la sotterranea rivalsa dell'Esercito di Silente, anche se lei non se l'era sentita di prendervi parte.
Aveva capito, sì, la frustrazione e l'intolleranza crescenti dei gemelli, culminata in fuga verso cieli inesplorati di libertà. Ma la loro successiva assenza le aveva spalancato un vuoto di nostalgia nel petto (anche se sarebbe accaduto lo stesso).
Asteria aveva assistito allo scoppio festante dei fuochi d'artificio Weasley, all'esultanza di un ammansito Pix, ne aveva in parte gioito, ma con occhi tristi aveva seguito le due teste rosse rimpicciolirsi e sparire.


Aveva capito la fedeltà di Fred alla famiglia e ai propri ideali, incarnati nella figura di Potter. Aveva percepito anche lei il dilagare dell'orrore, che in Fred rinfocolava un'urgenza insopprimibile – di combattere in prima linea, di affermare la vita, di guadagnarsela con coraggio e decisione.
Aveva capito, lo aveva ammirato per quell'ottimismo incrollabile, per quella capacità reciproca con cui i gemelli si spalleggiavano a vicenda anche nelle difficoltà. Soprattutto nelle difficoltà.

Ma aveva sperato, Asteria, che Fred prima o poi prestasse orecchio alle sue remore, ai suoi, di limiti: non poteva seguirlo fino al confine sempre rinnovato del suo coraggio e della sua esuberanza.
Non poteva trattenerlo, né accompagnarlo. Poteva sperare, quello sì. Poteva sforzarsi di allenare il proprio coraggio, poteva allentare la presa, separarsi dai propri retaggi di famiglia.
Aveva cercato con tutta se stessa di ritagliarsi ideali soltanto suoi. Ma, durante la Battaglia, non era rimasta a Hogwarts per i propri ideale, Asteria.
Era stata trattenuta soltanto dalla risata di Fred, aveva voluto inseguirla fra la morte e le macerie.

 

Asteria aveva imparato, alla fine, nel tripudio del terrore, ad apprezzare il coraggio di Fred.
Eppure non aveva capito, neanche sforzandosi ancora, perché il coraggio lo si dovesse pagare con la vita.
Aveva sperato che il sorriso di Fred riemergesse dalle macerie, e non era accaduto.

 

Lui l'aveva capita sempre, a modo suo, senza parole, donandole sorrisi che sapevano essere dolci, sorrisi soltanto per lei – segreti da condividere come baci di furtivi amanti.
Aveva compreso e reciprocato il suo amore inesperto, a modo suo, ma non aveva saputo portarla con sé oltre il limite. (Asteria era rimasta con parole infrante e un cielo incolmabile. Senza speranza).

Non aveva compreso mai le sue speranze riservate, mute, parassiti capaci di nutrirsi soltanto del suo sorriso.
 E  alla fine,  Fred il sorriso se l'era tenuto per sé – oltre il confine invalicabile del coraggio.



 

 

III.
Perdere l'amore
Quando si fa sera
Quando tra i capelli
Un po' d'argento li colora
Rischi di impazzire
Può scoppiarti il cuore
Perdere una donna
E avere voglia di morire

Perdere l’amore (Massimo Ranieri – Sanremo 1988)
 
Invecchiare tutto d'un tratto. Ingrigirsi, abbrutirsi, non riconoscersi più – a questo lo ha costretto. Lo ha annientato.
Il Barone evita i propri riflessi e i propri vuoti. Si colma di Helena, di tutti i ricordi che ha di lei.
Anche se lontana, non può sottrargli la sua immagine, incisa a fuoco nella memoria. Non può trattenerlo dal trasformarla in ossessione.
Forse, se fosse rimasta, il suo amore si sarebbe estinto col tempo e con la noia. Ma la sua fuga inattesa lo sfida a trattenerla, a legarla a sé con ostinazione e disperazione.

Rowena piange e lui le risponde col silenzio, incapace di consolarla.
Il Barone è incapace di concepire un dolore paragonabile al proprio. Una madre, in fondo, è destinata all'addio: il tradimento di Helena nei confronti di Rowena non ha niente a che vedere con quello da lui subìto.
Il Barone si fa scivolare addosso i propri giorni dissanguati. La ferita non si rimargina, il tempo doloroso si incide incessante nella pelle e alimenta il fuoco nel petto.
Solo Helena riusciva a spegnere i suoi eccessi, ad alleviargli i tormenti. L'assenza di lei è un tormento insonne e privo di cure.

Helena gli sgrana addosso occhi scuri di paura e sorpresa.
Lancinanti fiori scarlatti le si dischiudono sul corpetto – le restituisce tutte le ferite che gli ha inferto, una dopo l'altra. Tutte le ferite del mondo non basterebbero a renderlo di nuovo intero.

Il Barone pugnala il proprio dolore, fa a pezzi se stesso.
Infine, le si stende accanto, in attesa. Aspetta che il tempo e l'amore sanguinino via, fino all'ultima goccia.


Note:
Queste piccole storie sono nate 
in occasione dell'iniziativa  di scrittura mensile "Due ore, quattro prompt (Febbraio- Sanremo edition)" sul Forum "Ferisce la penna".  La storia è stata pubblicata praticamente com'è stata scritta, a parte qualche minima modifica.
I prompt usati (il primo manca perché non ho avuto modo di partecipare fin dall'inizio) sono, rispettivamente, mio, di Shireith e di Bombay Bombay. A onor del vero, il prompt di Shireith è stato estratto prima del mio, però qui ne ho invertito l'ordine semplicemente per una questione di successione temporale, dal momento che  mi sembra più sensato che le storie siano collocate in questo modo. Ah, e mi sarebbe piaciuto mantenere una coerenza tematica o comunque attenermi a una sola coppia, ma non ci sono riuscita. Pazienza.
Che dire, quest'esperienza è sempre super divertente, oltre che una bella sfida (anche se non si riesce a sviluppare tutti i prompt, ne vale comunque la pena).
Grazie a chiunque arrivi fin qui, alla prossima!

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