Dipingimi di verde

di Maryfiore
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi turchesi ***
Capitolo 2: *** Goccia verde ***
Capitolo 3: *** Volpe bianca ***
Capitolo 4: *** Grafite nera ***
Capitolo 5: *** Margherite bianche e rosa ***



Capitolo 1
*** Occhi turchesi ***


Kishibe camminava curvo, strisciando le suole sul marmo del pianerottolo. Guardandolo da dietro, se non avesse saputo che ne aveva più di una trentina in meno, Aki gli avrebbe dato ottant'anni.

Per chi non lo conosceva, non era un tipo che ispirava troppa fiducia, con quella cicatrice che gli tagliava la guancia sinistra, e l'abitudine di girare con una fiaschetta nella giacca. Ma Aki aveva vissuto abbastanza tempo con lui da decretare che fosse in realtà una persona migliore di quanto lo fossero molte altre dall'aspetto più rispettabile.

Si fidava di Kishibe, e questa fiducia era la sola cosa che lo aveva spinto a seguirlo in quella decisione che aveva ancora del mistero per lui.

Le scale terminarono e Kishibe si fermò davanti alla porta sulla destra. Aki si aspettò che bussasse, invece diede le spalle all'entrata e lo guardò.

"È una mia vecchia amica" lo ammonì. "Quindi vedi di comportarti bene. Chiaro?"

Aki mormorò in assenso, fissando la porta con sguardo vuoto e disinteressato. Kishibe non sembrò molto convinto dalla risposta, ma neanche molto motivato a insistere, quindi si voltò e pigiò l'indice sul tasto del campanello.

Si sentì un rumore di passi proveniente dall'interno, poi la porta si aprì.

Aki si rese conto di aver inconsapevolmente interpretato il termine 'vecchia amica' usato da Kishibe in maniera un po' troppo letterale. Difatti, il suo cervello aveva automaticamente deciso che dietro quella porta si trovasse una signora di mezz'età un po' eccentrica, magari con un pellicciotto finto intorno al collo e degli occhiali a farfalla sul naso.
Per questo non poté che allargare gli occhi sorpreso quando la vera proprietaria dell'appartamento comparve sulla soglia.

La giovane donna che aveva davanti non doveva avere più di ventisei anni. I capelli scuri, corti fin sopra le spalle e leggermente asimmetrici, le sfioravano la base del collo come le piume di un corvo. Una canotta azzurra e un paio di pantaloni a mezza gamba ne delineavano la figura armonica, mentre una sigaretta accesa giaceva in bilico tra le sue labbra. I suoi occhi - di un'intesa tonalità turchese - brillarono al riconoscimento.

"Kishibe-sensei!"

La bocca di Kishibe si incurvò dalla parte della cicatrice.

"Ti trovo bene, Himeno."

C'era una nota di affetto nel modo in cui in disse il suo nome.
Aki credette di non aver mai visto Kishibe così morbido alla presenza di un altro essere umano.

La donna, che doveva rispondere al nome di Himeno, ricambiò il sorriso.

"Vuole entrare?" offrì con aria gioviale.

L'uomo scosse il capo.

"Ti ringrazio, ma oggi sono qui solo come accompagnatore."

Aki si riscosse dal suo momentaneo stato di trance quando sentì una pacca tra le spalle.

"Questo è il ragazzo di cui ti avevo parlato."

Si fece avanti sotto la spinta di Kishibe e il sorriso di Himeno accolse anche lui.

"Hayakawa, giusto?"

Annuì ad occhi bassi, cercando di guardare ovunque tranne che nello spazio in mezzo alle sue scapole.

"Aki" completò.

Himeno non sembrò minimamente scoraggiata dal suo atteggiamento. Si sfilò la sigaretta dalle labbra e gli porse la mano libera.

"È un piacere conoscerti, Aki!"

Kishibe gli rivolse un'occhiata truce e Aki si affrettò a stringerle la mano.

"Anche per me" mormorò in aggiunta, nel caso in cui la stretta non fosse stata abbastanza.

"È un po' insolente" intervenne l'uomo, "ma mi sono assicurato che imparasse almeno le basi dell'educazione prima di affidarlo a te."

Himeno continuò a sorridere.

"La smetta di cercare di vendermi questo ragazzo come un pazzo selvaggio, sensei, non sta funzionando."

Kishibe sollevò le spalle. "Ti passo le redini allora..."

Strinse la spalla di Aki e le rivolse un cenno del capo.

"Quando vuoi per una bevuta commemorativa, principessa."

Himeno ricambiò agitando una mano.
La figura di Kishibe scomparve al piano di sotto e lei si fece da parte per farlo entrare.

"Attento al gradino" lo avvisò.

Aki la seguì diligentemente, si tolse le scarpe e iniziò a guardarsi intorno. Se la proprietaria dell'appartamento lo aveva lasciato stupito, la vista dello stesso non fu da meno.

Si ritrovò in un ambiente cucina-soggiorno completamente stravolto: i mobili erano stati spostati ai quattro angoli della stanza, lasciando il centro a una grande tela quadrata sorretta da un cavalletto. Acrilici in tubetti, barattoli e tazze (...era una pentola quella?) giacevano sparsi su ogni ripiano; colori esplosi ovunque sui giornali che tappezzavano il pavimento. La tela completamente bianca, come il bersaglio mancato di attacco.

"Tranquillo, di solito questo posto non ha questo aspetto. L'action painting non è il mio stile" lo rassicurò. "È che oggi mi trovi nel pieno di una crisi d'ispirazione."

Fece slalom tra le pozze di colore verso il frigorifero.

"Accomodati pure dove preferisci."

Aki si sedette sull'unica sedia sgombra. Himeno tornò con due lattine di soda e gliene offrì una.

"Il fumo ti dà fastidio?" gli chiese, prendendo un tiro dalla sigaretta.

Lui fece segno di no. Anche Kishibe fumava: l'odore gli era diventato familiare da quando lo aveva accolto sotto il suo tetto. Himeno fece spazio sul tavolo e si issò a sedere in mezzo ai barattoli di acrilici, stiracchiando la schiena come un gatto al sole. Aki la osservò con inusuale attenzione. Era da tempo che non si sentiva sinceramente incuriosito da qualcuno.

"Himeno-sensei" la chiamò, assaggiando per la prima volta le lettere del suo nome. "Da quanto tempo conosce Kishibe?"

Il suo onorifico la fece ridere.

"Nah, niente 'sensei' per me. Non ho nemmeno ancora finito il tirocinio."

"Oh..." Aki si schiarì la voce a disagio. "Allora, ehm... Himeno-senpai? Pensa che sia adeguato?"

"Dammi pure del tu, non abbiamo poi molti anni di differenza."

Si interruppe quando la schiuma dalla bevanda le colò sul polso. La pulì con la bocca prima di rispondere.

"Kishibe è stato mio insegnante per tutto il liceo, e l'unica persona ad avermi incoraggiato a proseguire la carriera artistica quando nessun altro l'ha fatto" disse. "Devo a lui molti insegnamenti che vanno al di là di quelli accademici."

Mantenne la sigaretta tra le dita e bevve un sorso dalla lattina.

"Ma non parliamo di me..." mosse la mano in aria come per scacciare via l'argomento. Poggiò il mento sul palmo e puntò gli occhi su di lui.

"Allora. Mi è stato detto che sei qui per un motivo ben preciso."

Aki ripeté sommariamente a Himeno ciò che la psicologa della scuola aveva detto a lui tempo addietro.

"Ho una personalità eccessivamente vendicativa e problemi di gestione della rabbia. E coltivare un hobby sarebbe d'aiuto con questo per... motivi?"

Lei rise di nuovo, come se avesse appena detto qualcosa di simpatico o divertente.

"Vedi, Aki" allungò una mano dietro di sé all'evidente ricerca di un posacenere.

"L'arte può essere un potente strumento catartico, se sai come usarlo. Ti permette di prendere tutte le tue emozioni e i tuoi pensieri, buoni o cattivi che siano, e di trasferirli su un foglio, su una tela o letteralmente qualsiasi altra cosa. Ne divide il carico con te."

Trovò il posacenere alla cieca e per poco non spense la sigaretta in un barattolo di pittura gialla.

"Se le darai una possibilità, scoprirai che spesso usare matite e pennelli è più efficace che usare i pugni. E anche più divertente!"

Aki fissò la sua lattina con aria incerta. Il ragionamento non lo convinceva del tutto, e ancora non capiva perché Kishibe lo avesse portato a un corso artistico quando la scelta più sensata da fare per chiunque altro sarebbe stata mandarlo in terapia. In ogni caso, non era come se potesse alzarsi e andarsene da lì all'improvviso, adesso che c'era. Così rispose:

"Credo valga la pena provare allora..."

"Fantastico!"

Himeno balzò giù dal tavolo e raccolse un paio di grossi pennelli da terra.

"Per iniziare" Si fermò al centro della stanza e ne allungò uno verso di lui, "che ne dici di aiutarmi a riempire questa tela? Nessuna regola, fai solo quello che ai tuoi occhi sembra giusto fare."

Aki alzò la testa verso di lei.
Doveva ammettere che aveva un certo carisma così: porgendogli il pennello come un signore avrebbe porto una spada al proprio cavaliere. Trovò impossibile rifiutare. Mise da parte la lattina e prese il pennello dalla mano di Himeno, accettando tacitamente di diventare il suo cavaliere in quella battaglia.

Battaglia che aveva per nemico un riquadro di tela bianco.

*

Aki tratteggiò la matita sul foglio, disegnando con precisione meticolosa i numeri di un orologio di grafite.

Quello vero rintoccò, incastonato tra le pietre dell'edificio, segnando la fine delle lezioni mattutine. Posò carta e matita sulle ginocchia, e si mise ad osservare le decine e decine di ragazzi che iniziavano a riversarsi nel cortile.

I suoi giorni di scuola erano finiti un anno fa. Non gli avevano lasciato molto: qualche sospensione e un diploma arrancato che giaceva sul fondo di un cassetto da qualche parte a casa di Kishibe. Questo, e poi...

"Ciuffetto, muoio di fame! Spero che tu mi abbia portato un intero cinghiale arrostito!"

"Con patatine fritte!"

La vista di due familiari teste bionde in avvicinamento ravvivò il suo umore.

Denji si sedette a gambe larghe al suo fianco e Power si fiondò a frugare nella sua tracolla.

"Non sarà un cinghiale, ma è pur sempre carne suina" le disse Aki, "Ci sono anche le patate. Non fritte, però."

Denji non si lamentò. Non appena aprì il suo bento, invece, Power lanciò un grido d'orrore.

"Vegetali?"

Sputò il termine come se fosse una parolaccia.

"Indispensabili al nutrimento umano."

"Allora classificami pure come non umana, perché io vivo benissimo senza!"

"No, non lo fai" insisté, "Ricordi quella volta in cui non sei riuscita ad andare in bagno per quasi una settimana?"

Questo la zittì.
Abbassò gli occhi sui suoi spiedini di carote e zucchine, per poi sollevarne uno controvoglia. Sembrava quasi sul punto di convincersi quando Denji parlò, mandando tutto al diavolo.

"Sì Power, fa la brava mocciosa e mangia le verdure."

Denji intercettò lo spiedino prima che gli si infilzasse in un occhio, poi lo mangiò.

Le sbraitò un insulto addosso, ma l'attenzione della ragazza era altrove. I suoi occhi vispi erano infatti caduti sul triangolo di carta che sporgeva sulle ginocchia di Aki.

Se ne accorse che era troppo tardi: Power gli strappò il foglio dalle mani prima che potesse riporlo in borsa.

"Non ci credo!" Girò il foglio e puntò il dito contro la bozza che ritraeva la facciata della scuola. "Sei stato tu a farlo?"

Aki arrossì e provò a riprendersi il foglio, ma Power lo passò a Denji, che lo afferrò con dita unte.

"Che mi venga un colpo!" esclamò. "Ti stai impegnando sul serio per quel tuo corso d'arte."

"Scommetto che il motivo è l'insegnante" commentò Power, "So che è una donna. E che è anche giovane."

Denji per poco non si strozzò con un boccone di riso.

"Che cosa?"

Profondamente offeso dall'omissione di quel particolare, iniziò ad accusarlo.

"Perché diavolo non me lo hai detto!"

Aki fece spallucce e si riprese il disegno. "Credevo ti piacesse la signorina Makima."

Power lo corresse.

"Makima? Arrivi in ritardo, bello" disse, "adesso è dietro a Miss Dinamite che Denji sbava."

Denji chiarificò. "Reze. La ragazza che si occupa degli spettacoli pirotecnici per i festival annuali."

Il pensiero di Denji che frequentava qualcuno che maneggiava esplosivi lo allertava non poco. Aveva il presentimento che anche questa storia non sarebbe finita bene, ma si trattenne dal fare commenti.

"E comunque questo non c'entra niente" riprese il biondo, "Sono sempre aperto alla conoscenza di belle donne. Com'è lei?"

"Anch'io voglio saperlo! Avanti, dicci di lei!"

Aki pensò a cosa dire di preciso. Avrebbe potuto limitarsi a dare conferma a Denji, dire che Himeno era bella... bellissima, in realtà. Avrebbe potuto parlare di come il mare estivo si agitava nei suoi occhi o del modo in cui le sue labbra si chiudevano morbidamente attorno a una sigaretta, ma sarebbe stato riduttivo.

Himeno era spontanea ed empatica, dotata di una sensibilità precisa che era raro trovare nelle persone. La sua natura accogliente, mista alla sua freschezza d'animo, aveva un vero e proprio effetto ristoratore sulle persone che la circondavano, oltre ad essere - allo stesso tempo - stimolante per la creatività. La sua compagnia lo rilassava e disegnare gli piaceva. Inoltre sentiva davvero di star imparando qualcosa di nuovo e, anche se non l'avrebbe mai ammesso davanti a quei due, era davvero fiero dei suoi progressi.

"Allora? Ti si è annodata la lingua o cosa?"

Sentì Denji che gli scuoteva una spalla.
La voce di Power si alzò di un'ottava quando trovò del prezzemolo tra i suoi cubetti di manzo.

Aki stava per rimproverare l'una e rispondere all'altro, ma si bloccò nel processo, iniziando a fissare un punto dietro la testa di Denji. Il duo di amici lo imitò.

La prima cosa che videro fu Kishibe che fumava all'ingresso del parcheggio come al solito. Si scambiarono un'occhiata e tornarono a voltarsi per guardare meglio.

Allora si accorsero che Kishibe stava fumando in compagnia di qualcuno: una donna dai capelli neri, il viso tondo e bianco. Pantaloni a vita alta e un blazer elegante abbracciavano il suo profilo appoggiato al cruscotto di una macchina. Quando girò la testa, due occhi turchesi si manifestarono tra le ciocche della frangia.

Durante il movimento finì per guardare nella loro direzione. I suoi occhi si illuminarono e un sorriso le comparve sulle labbra. Rivolse un saluto ad Aki, che lui ricambiò. La sua espressione solitamente indifferente trasformatasi in una di genuina contentezza.

La donna sconosciuta (o non più così tanto) deviò lo sguardo e riprese la conversazione con Kishibe.

Il primo a parlare fu Denji.

"Quella è la tua insegnante di arte?" I suoi occhi strabuzzati ancora puntanti su Himeno.

Il corvino mugugnò in assenso.

"È single?" domandò, senza distogliere lo sguardo.

Power diede un'altra occhiata alla faccia di Aki ed esibì un sorrisetto saccente.

"Ah! Domanda sbagliata!"

Aki non fece molto caso alle implicazioni della ragazza, realizzando - piuttosto - che non sapeva rispondere alla domanda di Denji.

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Capitolo 2
*** Goccia verde ***


Il soggiorno di Himeno era immerso in un'atmosfera sospesa. Il vento settembrino sollevava le tende, gonfiandole come teste di meduse.

In giornate come queste la matita sembrava scorrere sul foglio più facilmente, e Aki non poteva che apprezzare i benefici che ciò aveva sulla sua arte.

Un leggero odore di tabacco e margherite gli avvolse i sensi, manifestando la presenza di Himeno dietro di lui.

"Wow... questo ti sta venendo particolarmente bene" contemplò a bassa voce, china sulla sua spalla. Il suo fiato tiepido gli accarezzava la mandibola.

Aki interruppe il tratteggio.

"Grazie."

"Solo... posso?" gli indicò la matita.

Lui fece per passargliela, ma Himeno lo fermò. Fece scorrere la mano lungo il suo braccio fino a raggiungere l'impugnatura.

Aki si ritrovò a trattenere il respiro mentre lo faceva.

Il tocco di Himeno era leggero e fresco, come la carezza di un fantasma. Le sue dita poggiavano delicatamente sulle sue e le guidavano sulla carta con movimenti fluidi. Aki cercò di concentrarsi sulla correzione del disegno e non sulla vicinanza del suo viso, o sui suoi capelli che gli solleticavano l'orecchio, o sul suo battito cardiaco improvvisamente accelerato...

Rilasciò il fiato quando la sua mano scivolò via.

Mise a fuoco il disegno e vide un netto miglioramento nella prospettiva della spalle di Taiyo.

"È tuo fratello?"

Aki si voltò sorpreso.

Himeno gli sorrise.

"All'inizio pensavo che fosse un autoritratto" gli disse, "poi mi sono accorta che mancavano i buchi alle orecchie, e che la struttura del viso era chiaramente quella di un bambino."

"Quest'anno avrebbe compiuto diciotto anni" pensò.

Si accorse di aver parlato ad alta voce solo quando sentì una mano sulla spalla e Himeno sussurrare:

"Dai... vieni a fare una pausa con me."

Aki acconsentì e l'accompagnò fuori al balcone per fumare. Himeno picchiettò con l'indice l'interno del pacchetto, estrasse una sigaretta e usò una mano come schermo dal vento per accenderla. La osservò per tutto il procedimento.

Gli piaceva guardarla fumare: l'atto monotono aveva un che di rilassante e seducente. Gli piaceva il modo in cui il fumo abbandonava le sue labbra, il modo in cui socchiudeva gli occhi e inclinava la testa all'indietro durante l'espirazione, esponendo la curva aggraziata del suo collo.

"Ti manca molto?" gli chiese a un tratto. "Tuo fratello, intendo."

Molte persone glielo avevano già chiesto in passato, Aki aveva sempre dato la stessa risposta: quella che più ci aspetterebbe a una domanda del genere. Ma questa volta, guardando Himeno negli occhi, capì che non si trattava di una domanda di circostanza, e per qualche motivo si sentì incapace di mentirle. Sospirò e rispose.

"È complicato."

"Di sicuro lo è" mormorò lei con la sigaretta tra i denti. Prese un altro tiro e poi continuò. "C'è molta nostalgia in quel tuo disegno, ma anche molta rabbia. E un forte senso di colpa."

Aki si passò una mano dietro al collo e distolse lo sguardo. La precisione con cui Himeno riusciva a leggere certe cose in mezzo a trame di grafite e colore non avrebbe mai finito di stupirlo.

"Come sempre, un occhio molto perspicace, senpai..."

Lei fece una breve risata. "Dove sarei adesso se così non fosse?"

Spostò lo sguardo sugli agglomerati di palazzi e riprese a fumare, lasciandogli libero spazio sia per parlare che per tacere. Aki decise di parlare.

"Onestamente" iniziò, "credo di aver amato mio fratello più da morto che da vivo."

Himeno non commentò, ma Aki sapeva che lo stava ascoltando, così andò avanti.

"Da bambino ho desiderato molte volte che Taiyo scomparisse... nel modo meno fantasioso possibile" confessò, "La cosa più spaventosa è che il pensiero non mi turbava per niente: non una singola traccia di senso di colpa. Mai. Solo rabbia. Una stupida, invidiosa rabbia infantile... e parole fredde in bocca a un bambino stupido."

Immagini di una Hokkaido innevata e di un guantone da baseball abbandonato sul ghiaccio si insinuarono nella sua mente.

"Poi ecco che, all'improvviso, in un giorno come tanti, Taiyo scompare per davvero. E in un colpo solo mi ritrovo ad annegare in tutto il senso di colpa che fino ad allora non mi aveva mai toccato..."

Le sue dita iniziarono a grattare la vernice arrugginita del parapetto con fare nervoso.

"Essere bambini non significa essere privi di cattiveria. La gente commette sempre un grosso errore a credere il contrario." Himeno lasciò cadere la cenere al vento e si voltò verso di lui. "Sono capaci di odiare con la stessa purezza e la stessa intensità con la quale amano, se non maggiore, a volte. I tuoi pensieri non devono scandalizzarti."

Gli sorrise attraverso il fumo.

"Sei stato un bambino e hai odiato come un bambino, adesso non lo sei più e stai iniziando ad amare come un adulto. Tutto qui."

Aki si limitò ad accogliere quella nuova spiegazione in silenzio, meditando sulle parole. Fino a quando Himeno non parlò di nuovo.

"Ho avuto cinque relazioni finora" se ne uscì all'improvviso.

Aki smise di grattare la vernice. I suoi occhi si spalancarono, si girò per guardarla, ma lei era tornata a rivolgersi alla strada.

"Cinque partner. Cinque disastri..."

Inspirò il fumo, stavolta indugiando più a lungo. Un'aria malinconica le piegava i tratti del viso.

"Sai, non ero esattamente una ragazza a modo. Non il tipo che porteresti a casa dei tuoi genitori, per intenderci."

Aki rimase ad ascoltarla in rispettoso silenzio, non osando interromperla. Era la prima volta che Himeno gli parlava di sé, e l'ultima cosa che voleva era che si sentisse giudicata a causa di qualche parola inopportuna.

"Ho scatenato furiosi litigi di famiglia e ricevuto schiaffi in mezzo alla strada da madri, sorelle e fidanzate arrabbiate... È divertente il fatto che pensassi fosse tutto immeritato." Accennò un sorriso ironico.

"La verità è che il problema ero sempre stata io" disse.

"Avevo i miei vizi e le mie cattive abitudini. Alcune sono ancora qui..." Fece oscillare la sigaretta tra le dita per dimostrare il punto. "Ero egoista e immatura: volevo a tutti i costi essere amata, ma non avevo realmente idea di come si tenesse un cuore tra le mani."

Detto questo, tornò finalmente a guardarlo negli occhi.

"Conseguenza di questa realizzazione? Senso di colpa" gli sorrise.

Aki ricambiò con occhi bassi, cominciando a capire cosa Himeno stava cercando di dirgli.

"Lo so, fa schifo." Girò il fianco sulla ringhiera per stargli di fronte. "Ma a volte e per di là che dobbiamo passare per maturare. E poi... non si può cambiare il passato, no?"

"No..." concordò sospirando.

"È per questo che ho iniziato a fare arte" rivelò, "Vedere che dalle mie mani poteva uscire qualcosa di bello mi ha fatto pensare che, forse, non ero condannata a corrompere tutto quello che toccavo."

L'ultima frase accese qualcosa dentro di lui, qualcosa che iniziò ad ardergli fastidiosamente nello stomaco. La guardò intensamente, le parole gli uscirono dalle labbra con una spontaneità disarmante.

"Di certo non stai corrompendo me. Il contrario, semmai."

La sigaretta interruppe il suo tragitto, immobile a pochi centimetri dalla meta.

Le parole sembrarono colpirla.

Si voltò per incontrare i suoi occhi, e il sorriso che gli regalò era colmo di gratitudine.

"Sono contenta di sentirlo."

Il silenzio calò di nuovo. Non era scomodo. Aki si rese conto di come il silenzio con Himeno non lo fosse mai.

Lei gli si avvicinò di poco. Gratitudine sulle sue labbra e determinazione nella voce.

"C'è bellezza dentro di te, Aki" gli disse, guardandolo risoluta. "E io ti convincerò di questo."

Gli diede le spalle e iniziò a farsi strada tra le tende svolazzanti.

"Così come ho convinto me stessa."

E in quel preciso momento Aki ci credette. Credette fermamente che se esisteva qualcuno che poteva portare luce sulle sue ombre, qualcuno che poteva far fiorire gli anfratti di sale del suo cuore... quella era lei.

Se esisteva qualcuno che poteva trasformarlo in meglio, quella era Himeno.

*

È incredibile come i dettagli più piccoli e banali, quelli che hai sotto gli occhi tutto il giorno e nemmeno te ne accorgi, possano assumere all'improvviso un carattere rivelatore, mettendo a fuoco tutta una serie di pensieri e sentimenti fino ad allora rimasti sfocati nell'inconscio.

Ad Aki capitò quello stesso pomeriggio.

Era seduto alla sua solita postazione nel soggiorno di Himeno e stava litigando per la prima volta contro i carboncini.
Himeno era accovacciata sul pavimento con la schiena che dava al balcone (c'era una luce migliore in quel punto, a detta sua). Teneva la tela sulle gambe piegate e non gli dava modo di vedere su cosa stesse lavorando, ma a giudicare dal suo silenzio e dalla sua espressione concentrata, la riuscita di quel lavoro doveva essere molto importante.

Questo però non le impediva di tenere d'occhio anche il suo operato.

"Se continui così bucherai il foglio" avvertì al rumore del suo pesante raschiare sulla carta.

"Tieni la mano inclinata, non perpendicolare al tavolo" ricordò.

"Sto cercando di sporcarmi quanto meno possibile."

Himeno ridacchiò senza staccare gli occhi dalla tela.

"Così ti perdi la metà del divertimento."

Aki sospirò davanti ai suoi palmi anneriti e lanciò un'occhiata alla sua senpai. In effetti, anche la sua pelle era cosparsa di colore.
Era evidente che stesse armeggiando con una palette di verdi, perché numerose strisce di questo colore le percorrevano gli avambracci. La pittura era arrivata perfino più in alto: partendo da un punto tra il collo e la spalla, un goccia fresca stava scivolando verso l'incavo della clavicola.

Aki si mise ad osservarne distrattamente il percorso. Himeno inclinò il busto e la linea verde si curvò.

Lo stelo di un fiore...

La sua mente assecondò lo spunto e Aki iniziò a immaginare una margherita sbocciare proprio lì, su quel punto tra spalla e collo. Poi lunghi, esili fili d'ebra accarezzare i suoi avambracci.
Pensò che non gli sarebbe affatto dispiaciuto... disegnare foglie e fiori sul suo corpo.

Ed eccolo lì. Il dettaglio banale. La rivelazione. Una goccia di pittura verde sulla pelle di un'artista.

"Lo stai facendo di nuovo."

Aki non capì a cosa si riferisse finché non sentì il carboncino spezzarsi in mano. Guardò rassegnato il foro sul disegno.

Quando si voltò di nuovo verso di lei, Himeno aveva staccato gli occhi dalla tela e lo stava guardando. Sotto i suoi occhi turchesi, pericolosamente perspicaci, Aki si sentì colto in fallo.
Lentamente, tornò al suo misero foglio bucato.

"Oggi sei un po' distratto" osservò lei in tono canzonatorio, senza rimprovero.

"Mi dispiace..."

Sentì i suoi passi avvicinarsi e il consueto odore di tabacco e margherite. Poi una mano gli comparve davanti agli occhi e una pennellata gli accarezzò il ponte del naso. Adesso tutto quello che riusciva a sentire era l'odore penetrante del composto acrilico.

"Mi hai fatto il naso verde?" domandò alzando il mento e trovando Himeno che gli sorrideva dall'alto.

"Penitenza."

"Meritata" concordò strofinandosi il naso.

"Posso posare i carboncini ora?"

"Nemmeno per sogno" canticchiò lei. "Se continui a evitare gli strumenti che ti mettono in difficoltà non imparerai mai niente di nuovo. Ti do un altro foglio."

In realtà dovette dargliene altri due prima che Aki riuscisse a disegnarci sopra qualcosa. Il risultato era chiaramente il peggiore dei suoi lavori, ma l'esortazione di Himeno a vedere quella piccola difficoltà come una sfida lo aveva reso motivato.

Quella sera tornò a casa con i palmi neri, diverse pennellate verdi sul viso e un formicolio nel petto che si rifiutava di andar via.

Quando Kishibe lo vide entrare in quello stato strabuzzò gli occhi. Con il mento basso e le sopracciglia alzate, osservò attentamente il ragazzo mentre si toglieva le scarpe all'ingresso.

Lo salutò, provando ad attirare la sua attenzione.

"Ehilà."

Aki non lo guardò nemmeno, tutto intento a fissare l'appendiabiti mentre vi sistemava sopra la giacca.

" 'Sera."

Kishibe incalzò.

"Bene?" chiese.

"Bene."

"Mh..."

Be', colpa sua, suppose. Domande banali portavano a risposte banali. Non voleva dargli l'impressione di essere invadente, né dire inavvertitamente qualcosa che potesse togliergli quel così raro buon umore, dunque si limitò a studiarlo in silenzio.

"Vado in camera" annunciò lui.

Kishibe annuì e si accese una sigaretta.

"La cena è già pronta, prenditi il tempo che vuoi."

Aki mormorò un ringraziamento e si voltò per attraversare il corridoio. Nel momento in cui Kishibe ebbe una visione intera del suo volto, la sorpresa lasciò il posto alla consapevolezza. Il ragazzo aveva certi occhi... Conosceva quegli occhi: accesi come stelle, ardenti e smaniosi, densi di bramosia e struggimento. Anche lui era stato giovane, dopotutto.

La sua mente rievocò il ricordo di una morbida coda argentea su una canotta nera, e di una voce femminile dal forte accento cinese.

Un mezzo sbuffo gli uscì dal naso e le sua bocca si curvò appena verso l'alto.

Himeno... che cosa diavolo hai combinato, pensò.

Nel frattempo l'ombra di Aki scompariva dietro la porta della sua stanza.

*

Accettare di essere romanticamente interessato a Himeno era un processo che il suo cervello doveva ancora portare a termine.

In compenso, aveva impiegato meno di un attimo a stilare una lista di tutte le problematiche che la cosa comportava.

Prima fra tutte: per quanto Himeno continuasse a storcere il naso e a ridere quando veniva definita tale, era effettivamente la sua insegnante. E già questo presupposto era abbastanza per mettere Aki a disagio.

Le persone non avevano mai mancato di fargli notare quanto sembrasse più grande della sua età, con quell'espressione sempre così stoica e il suo parlare sempre così serio.
Pensare invece al loro vincolo studente/insegnante lo faceva sentire scomodamente... piccolo. Niente di più di un ragazzino problematico.

Con ogni probabilità era così che doveva apparire agli occhi di Himeno.

E poi veniva già da cinque relazioni inconcludenti, quasi sicuramente non aveva alcuna intenzione di iniziarne un'altra. Non che gli avesse mai detto esplicitamente di essere single, tra l'altro... Magari adesso vedeva qualcuno e lui non lo sapeva.

Un macigno d'aria salì dai suoi polmoni al setto nasale.

C'erano ancora così tante cose che non sapeva di Himeno... eppure non si era mai sentito così a suo agio con nessuno prima di lei. Parlare con lei, condividere i silenzi, le merende, gli spazi... gli sembrava, paradossalmente, la cosa più naturale del mondo. Come se in quel piccolo appartamento che sapeva di tabacco e acrilici avesse ritrovato una casa che non sapeva di avere.

Inoltre non poteva ignorare quel calore che nasceva nel suo petto ogni volta che incontrava il suo sguardo. Non poteva ignorare quel desiderio pulsante sotto la sua pelle ogni volta che lei gli sfiorava la mano per correggere un disegno, o quella pura sensazione di beatitudine che provava semplicemente avendola vicino. Aki si sentiva come un corpo celeste caduto nella sua orbita: trascinato dal suo magnetismo e costretto a girarle intorno di continuo senza mai arrivare a raggiungerla.

Chiese a se stesso se avesse potuto farselo andar bene: stare con lei semplicemente così, avere l'opportunità di guardarla a distanza e nutrirsi delle briciole che quei pochi incontri settimanali potevano offrire.
Ma nemmeno quelli sarebbero durati in eterno. Prima o poi Himeno avrebbe smesso di insegnargli e lui non avrebbe più avuto nessuna scusa per vederla. A quel punto cosa avrebbe fatto?

Questi e altri pensieri affollavano la sua mente, e continuarono a farlo anche dopo cena.

Aki rimase a guardarsi le mani per più di un'ora, senza riuscire a prendere sonno.
Pensò a Himeno nel suo appartamento dalle tinte notturne, alla sua pelle diafana sotto la luce della luna. Stava già dormendo? Era ancora sveglia a lavorare su quella tela? Oppure era appoggiata al parapetto del balcone, fumando una sigaretta e guardando le stelle?

Trascorse un'altra mezz'ora e alla fine Aki si alzò.

Accese il lume sulla scrivania, tirò fuori il suo sketchbook, prese una gomma e la prima matita che gli capitò davanti, e si sedette. Avrebbe svuotato la mente dai pensieri e il cuore dalle emozioni nell'unico modo pacifico che conosceva.

Scelse una pagina vuota e iniziò a disegnare.

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Capitolo 3
*** Volpe bianca ***


"Bella vero? L'ho fatta io! Col sudore della fronte!"

Bugia palesissima.

C'era il logo della pasticceria sulla busta e sulla piccola targa di cioccolato alla fine della scritta 'Buon compleanno'. Poco sopra il numero venti.

Ma Aki fece finta di niente e prese la torta dalle mani di Power ringraziandola. Al di là di tutto apprezzava davvero il pensiero, e il solo fatto di essere lui - per una volta - a ricevere del cibo da lei e Denji, era già una sorpresa più che godibile.

Avevano mangiato la torta al loro solito posto nel cortile scolastico, ed era meglio di qualunque cosa avrebbe mai potuto cucinare Power. Dopo un duetto stonato di 'tanti auguri a te', Aki aveva scartato un set di matite e una rivista dalla dubbia copertina (da parte di Denji) come regali.
Tutto questo era già più di quanto si aspettasse, eppure...

"Perché fissi l'entrata del parcheggio? Cerchi Kishibe?"

Aki realizzò di essere rimasto indietro di una decina di passi.

"Speravo in un passaggio, ma a quanto pare è già tornato a casa" mentì, raggiungendo un Denji non molto convinto della risposta.

"Non vieni con noi?"

"Non possiamo stare in tre su una moto" gli ricordò. "Andrò a piedi."

"Non ti lascio a piedi: sei il festeggiato. Piuttosto lascio a piedi Power."

La diretta interessata protestò. Ne nacque una breve discussione, alla fine della quale Power ottenne la vittoria con la seguente mossa:

"Finiscila di insistere. Non capisci che non ci vuole intorno perché ha un appuntamento?"

L'espressione di Denji divenne di colpo serissima. Si girò verso di lui e gli afferrò le spalle con le mani.

"È vero?" gli chiese, come un giudice davanti a un imputato.

Aki sospirò, ma non fece in tempo a rispondere che Power tornò alla carica.

"Certo che è vero!" Incrociò le braccia al petto e, tutta sicura di sé, continuò. "È stato tutto il tempo con il muso per aria, a fiutare di qua e di là, come un cane alla ricerca del suo padrone. È ovvio che sta aspettando di vedere qualcuno."

Denji la fissò come se avesse appena svelato il mistero più arcano dell'universo. La sua espressione si trasformò in un pasticcio disperato.

"Perché non me lo hai detto!" lo accusò scuotendogli le spalle, "Perché non mi dici mai niente quando si tratta di queste cose!"

"Perché non è vero. Non ho nessun appuntamento" spiegò Aki pazientemente, cercando di nascondere la sottile delusione che quella verità portava con sé. "Denji, calmati..."

Denji non si calmò.

"Lo hai sentito?" disse indicandolo a Power, "Mente ai suoi stessi amici!"

"Appunto" rimarcò lei. "Quale segnale più chiaro per dirci che non vuole che ci immischiamo?"

Dopo un attimo di riflessione, il biondo tornò a scuotergli le spalle con rinnovata enfasi.

"Capisco Power, ma perché anche io? Amico, io sono dalla tua parte! Posso aiutarti!"

Power emise un verso di scherno.

"Aiutarlo? Ne dubito fortemente."

"Eh? Perché? Guarda che Aki non è messo poi così male."

La ragazza alzò gli occhi al cielo e lo afferrò per un braccio.

"Andiamo a prendere la moto."

Denji obbedì, seppur ancora confuso e indignato.

Quando tornarono Aki aiutò Power ad allacciarsi il casco, raccomandò a Denji di rispettare i semafori e le precedenze, e ringraziò un'ultima volta per i regali.

"Poi mi racconterai com'è andata" disse Denji. "E stai sicuro che lo farai questa volta. Ti verrò a cercare."

Aki trovò inutile continuare a ribattere, quindi gli rispose con un rassegnato 'va bene', prima di vederlo imboccare la strada.

"Se oserà spezzarti il cuore le staccherò gli arti a morsi! Tutti e quattro!"

E con quest'ultima minaccia di Power i tre si salutarono.

Rimasto solo, Aki indugiò davanti ai cancelli. Assecondando una specie di istinto irrazionale, scelse di rimanere ancora un po'.
Trascorse l'ora successiva percorrendo il cortile dell'istituto avanti e indietro, fermandosi ogni tanto a ritrarre qualche qualche aiuola o a contemplare l'entrata del parcheggio.

Presto il sole iniziò a calare, e anche gli ultimi studenti rimasti per le attività pomeridiane iniziarono ad uscire.

Inutile restare oltre: Kishibe non c'era e nemmeno lei.

E in ogni caso non sarebbe di certo apparsa lì solo perché lui lo desiderava.

Con lo sketchbook sottobraccio e la busta dei regali in mano, Aki si trascinò sulla via di casa.
Si fermò più volte durante il tragitto per gettare uno sguardo al telefono. La chat tra lui e Himeno era aperta sullo schermo, l'ultimo messaggio risaliva alla settimana scorsa e lo avvisava di un cambio di orario per la lezione del lunedì.

Non sapeva nemmeno perché continuasse a controllare: Himeno non conosceva la data del suo compleanno. D'altronde, come avrebbe potuto? Non glielo aveva mai detto.
Nemmeno lui conosceva la data del suo compleanno. Si chiese se fosse già passato...

Arrivò davanti alla porta di casa senza nemmeno accorgersene.

Kishibe lo accolse con due porzioni di ramen dal suo ristorante di fiducia.
Aki non sapeva se le avesse ordinate per festeggiare o perché non aveva avuto voglia di applicarsi per preparare qualcos'altro, ma in entrambi i casi non poteva non apprezzare.

Quando riprese in mano il cellulare lo schermo segnava le dieci di sera, le ciotole di ramen giacevano vuote sulla tavola e la chat di Himeno era identica a prima.

L'ultima volta che lo accese fu per impostare la sveglia ed era mezzanotte. Il suo compleanno era ufficialmente finito. Il suo sguardo si soffermò involontariamente di nuovo sul nome di Himeno. Aki scosse la testa e provò pena per se stesso. Posò il cellulare a faccia in giù di fianco al letto e si sistemò sotto le lenzuola.

Non aveva niente di cui lamentarsi, pensò.

Dopotutto... era stato un bel compleanno.

*

Quella mattina Aki si era appena seduto per fare colazione quando suonò il citofono.

Con la caffettiera ancora sollevata sulla tazza, passò in rassegna tutte le persone che avrebbero potuto ipoteticamente bussare a quell'ora.
Escluse Kishibe, che era sicuro fosse a scuola, e lo stesso valeva per Denji e Power. Escluse Kobeni e tutta la famiglia Higashiyama che viveva lì di fianco (erano in vacanza). Escluse il tecnico della caldaia, visto che era già passato ieri, ed escluse il postino, che di solito si limitava a lasciare la posta nella cassetta senza bussare.

Arrivò alla conclusione che la persona fuori dalla porta fosse, quasi sicuramente, uno sconosciuto. Aki fu tentato di ignorarlo ma il citofono suonò una seconda volta. Rassegnato, si diresse alla porta.

"Arrivo" sospirò.

Mise la mano sul pomello, ma prima di girare guardò nello spioncino. Dopo averlo fatto si ritrasse un secondo, poi guardò di nuovo.

No, non l'aveva immaginato.

Himeno si stava dondolando sui talloni davanti alla porta, guardandosi in giro in attesa. Con il blazer drappeggiato sulle spalle e un vestito a fiori, gli era sembrata un'apparizione onirica. Aki aprì in fretta la porta.

Himeno lo accolse con un meraviglioso sorriso.

"Aki!"

"Himeno-senpai" Si schiarì la voce e poi riprese. "Ehm... buongiorno."

"Mi dispiace essere piombata qui all'improvviso, hai tutte le ragioni per essere arrabbiato. Non volevo disturbarti, ma Kishibe-senpai mi aveva detto che potevo trovarti a casa questa mattina, e non sapevo se avessi altri impegni in giornata, perciò..."

Il sorriso sulle sue labbra divenne più grande mentre parlava, gli occhi le brillavano e tutto il suo essere fremeva con l'entusiasmo di una bambina. Non sembrava davvero dispiaciuta come diceva, ma ad Aki non importava, perché non dispiaceva neanche a lui.

Affatto.

Come poteva anche solo sembrare infastidito quando tutto quello che stava cercando di fare era non rendere troppo evidente quanto fosse contento di vederla?

"Nessun problema, sul serio" la rassicurò, "Vuoi... uh... vuoi accomodarti?"

"Oh, no, no! Ti ringrazio. Non ti ruberò molto tempo" Si voltò per frugare con le mani nella borsa.

"Dammi un secondo..." borbottò.

Dopo un po' di difficoltà, Aki la vide estrarre con cautela un riquadro avvolto in una carta regalo.

"Ecco!" Trionfante, Himeno si soffiò via i capelli dalla fronte e allungò il riquadro verso di lui.

Aki lo guardò esitante, le mani ancora goffamente appoggiate allo stipite e alla maniglia della porta.

"Prendi" lo esortò. "È tuo."

I suoi occhi si allargarono mentre le sue mani accoglievano il regalo. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Himeno lo precedette impaziente.

"Aprilo!"

Lentamente fece come diceva, sciolse il nastro e iniziò a scartare l'involucro; la carta rivelò una tela di media grandezza dipinta ad acrilico. Aki vi fece scorrere sopra le dita, sentendo la ruvidità delle pennellate in rilievo sotto i polpastrelli.

L'immagine raffigurava una volpe bianca che passeggiava con il muso all'insù per una fitta foresta. I giochi di luci e ombre proiettate dall'intrico di rami erano stati realizzati con incredibile maestria; tocchi dorati facevano risaltare il manto della creatura, dandole un aspetto etereo. La foresta era immersiva: foglie e rampicanti dipinti con più di dieci tonalità diverse di verde.
Aki ricordò quelle stesse tonalità decorare gli avambracci gli Himeno qualche giorno prima.

Il suo cuore saltò un battito.

"Le volpi sono animali solitari" spiegò Himeno, "Fedeli e sagge guardiane che proteggono in silenzio. La loro saggezza cresce con i loro anni."

Incrociò le mani dietro la schiena e aggiunse:

"E poi ti piace il tofu alle mandorle.*"

L'ultimo accostamento fece sorridere Aki.

"So di essere in ritardo" riprese in tono più mesto, "ma aveva ancora bisogno di essere ultimato, e volevo fargli raggiungere il suo massimo splendore prima che lo vedessi."

Aki non riusciva a staccare gli occhi dal dipinto, ammirandone in soggezione ogni singolo dettaglio.

"È assolutamente stupendo" sussurrò. "Ma... come...?"

Himeno indovinò il dubbio e lo risolse subito.

"Diciamo che ho ottenuto l'informazione da un uccellino. Potrei avergliela estorta, in realtà. Un uccello grosso... e brizzolato. Più come un avvoltoio."

"Senpai, i-io non so che dire..."

"Allora non dire niente" rispose. "Sai... non ti ho mai visto sorridere così."

Sollevò il mento e fuse i loro sguardi.

"Questo mi basta."

Il cuore di Aki si stava ormai dibattendo furiosamente nella cassa toracica. Nel suo sbatacchiare a destra e a sinistra doveva aver ammaccato i polmoni, perché insieme al battito cardiaco gli si stava incasinando anche il respiro. Era ridicolo, davvero.

"Okay, il pacco da consegnare è stato consegnato. Sarà meglio che vada ora."

Nello stato in cui era, Aki registrò le sue parole con diversi secondi di ritardo. Nel mentre Himeno disse anche qualcos'altro, qualcosa del tipo 'ci vediamo in settimana' o simile, ma non ne era sicuro. La sua attenzione era tutta sui suoi stivali, che si stavano gradualmente allontanando dalla porta mentre parlava.

All'improvviso fu come se un interruttore si fosse acceso dentro lui. Protese una mano verso di lei, mentre una voce nella sua testa che assomigliava spaventosamente a quella di Denji gli urlava di 'prendere l'iniziativa per una volta, cazzo, Aki!'
E così, dietro uno slancio di coraggio, la trattenne per la manica del blazer (non abbastanza coraggio da trattenerla per la mano).

Himeno si voltò, testa inclinata e un piccolo sorriso sulle labbra. Non sembrava stupita. Lo guardò in attesa, come se conoscesse già le sue intenzioni e fosse curiosa di vedere fin dove fosse stato in grado di spingersi.

Aki sentì un formicolio elettrico attraversalo da capo a piedi.

"Hai già fatto colazione?"

*

"Allora. Come è andata?"

Aki si aspettava che Denji lo avrebbe chiamato. Onestamente, era sorpreso che non lo avesse prima. Questo non lo rese più preparato a rispondere.

"Bene... suppongo."

"E quindi?"

"Quindi cosa?"

"Come sarebbe! Tutto qui quello che hai da dire?"

Aki incastrò il telefono tra spalla e collo, si allacciò il grembiule da lavoro e vide se stesso e Himeno seduti al tavolo vicino alla finestra.

La mattina in cui l'aveva invitata, il Crossroads cafè era tranquillo come al solito. Pochi clienti abituali e personale con fin troppo tempo libero.

Himeno giocherellava con il numero del tavolo, guardandosi intorno curiosa.

"Quindi lavori qui?"

"Solo part-time" rispose Aki.

Si sentì il vecchio proprietario borbottare.

"È l'unico che lavora davvero qui dentro..."

Himeno sorrise. Ordinò un caffè e dei waffle ai mirtilli, e restituì il menù.
Quando il proprietario si fu allontanato, gli domandò:

"E ti piace?"

Aki si meravigliò di come una domanda così innocua e casuale lo mettesse in difficoltà.

"Non mi dispiace" rispose alla fine.

Ed era vero. Se la cavava bene in cucina, e preparare il cibo per gli altri era soddisfacente, anche se non era un granché nell'interfaccia con la clientela.
A volte si chiedeva se non fosse proprio lui la causa per cui il Crossroads era così poco frequentato.

Non che avesse altra scelta, visto che la nuova addetta alla cassa trascorreva più tempo fuori che dentro il negozio.

"Hai mai pensato di fare del disegno un lavoro?"

Aki alzò la testa e sbatté le palpebre.
La proposta diretta lo colse alla sprovvista.

"Voglio dire" Himeno si strinse nelle spalle, "disegnare ti piace. E devo ammettere che sei diventato piuttosto a bravo a farlo. Hehe... grandi allievi da grandi maestri, modestamente."

La colazione arrivò al tavolo.

"Anche se forse sarebbe meglio continuare con insegnanti professionali... potresti iscriverti all'Accademia."

La sua logica era così semplice, dritta e senza falle, che Aki ne rimase spiazzato. E anche intimorito. Il suo piano era trovare qualche altro part-time da affiancare al Crossroads fino a quando non avrebbe raccolto abbastanza per staccarsi da Kishibe, e poi trovare un lavoro simile a tempo pieno. L'idea di riprendere gli studi non gli era mai passata per la testa.

L'Accademia non era certo a due passi da casa come il caffè. Significava pagare i mezzi di trasporto, le tasse universitarie, i materiali di studio...

Chi avrebbe preparato da mangiare a Denji e Power?

Guardò Himeno fare una foto ai suoi waffle mentre continuava a parlare.
Gli raccontò del suo percorso di studi, dei suoi vecchi docenti e del suo primo incontro con Kishibe. Aki fece del suo meglio per restare al passo, ma alcuni pezzi della conversazione finirono per sfuggirgli comunque.

'Disegnare ti piace.'

Si fossilizzò a pensarci per tutta la mattinata, teso sulla sedia e con l'amaro del caffè in bocca. Il che non gli permise di godersi la compagnia di Himeno come avrebbe voluto.

"Mi dispiace" le disse, sulla strada per accompagnarla a casa.

"Per essere stato un po' distante. Mi ha fatto piacere passare del tempo insieme, davvero."

Himeno scosse il capo e lo prese sottobraccio. Aki si rilassò in quella vicinanza.

"Anche a me... e so che ti ho dato da pensare. Ma parlavo sul serio, sai? Credo che dovresti prendere in considerazione la cosa. Darti un'opportunità."

"Non lo so" sospirò, "sembra..."

"Spaventoso?" gli suggerì. "Sì... I cambiamenti lo sono sempre."

Si fermarono ai piedi del palazzo. Himeno fissò l'ingresso, ma non lasciò il suo fianco.

"Io sono contenta di aver fatto i miei, però." Aki sentì la presa sul suo braccio stringersi leggermente. "Se fossi rimasta nello stesso posto, probabilmente non ti avrei mai incontrato."

Non aveva saputo fare altro che ricambiare la stretta, mentre il petto gli riempiva con qualcosa di denso e caldo.

"Almeno l'hai baciata?"

Aki avrebbe voluto riattaccare per non rispondere, ma sapeva che Denji gli avrebbe dato il tormento per tutto il giorno se lo avesse fatto. Fece cenno di no, dimenticandosi che l'altro non poteva vederlo. Ma a quanto pare il suo silenzio fu una risposta sufficiente, perché Denji ringhiò esasperato e dichiarò il suo un appuntamento totalmente fallimentare.

Aki mise il cellulare su uno scaffale e lasciò che continuasse a lamentarsi e inveire con le bustine da tè, mentre lui spolverava dietro i barattoli.

Per un po' furono la voce di Denji e la musica soffusa della radio a riempire il silenzio, finché la porta del negozio non si aprì e la sua nuova collega varcò la soglia.

Aki gettò un'occhiata nella sua direzione: cartella in mano, scarpe slacciate e capelli tinti di viola arrotolati in una crocchia bassa. Presumibilmente una liceale.

Non avevano mai avuto l'occasione di presentarsi: il proprietario si era limitato a informarlo dell'aggiunta e ad accennargli un nome che lui aveva facilmente dimenticato.

Lei non sembrò neppure notarlo. Scaricò la cartella a terra, i suoi occhi fissi sul cellulare, mentre i pollici digitavano veloci sullo schermo e una scarpa batteva sul pavimento.
Aveva un'espressione palesemente annoiata, eppure, guardandola meglio, Aki poteva percepire una sorta di irrequietezza di fondo, come dell'acqua che ribolle sotto il coperchio di una pentola.

Attraversò il locale sbuffando, ma con camminata energica - con l'aria di chi avrebbe effettivamente voluto fare una miriade di cose, davvero una miriade di altre cose... Solo non lavorare lì dentro.

Ora che era più vicina Aki notò che indossava la stessa divisa scolastica di Denji e Power.

Continuando a non degnarlo di uno sguardo, indossò il suo grembiule e si sedette al bancone guardando fuori, come se già progettasse di sgattaiolare via.

Lo sguardo di Aki cadde sulla targhetta identificativa appuntata storta e finì per leggerla senza volerlo.

Il nome gli fece rizzare i capelli sulla nuca.

Reze.

Si girò verso lo scaffale del tè, dove la chiamata era ancora aperta.

Denji lo avrebbe ucciso.

*

La prima volta che Aki baciò Himeno le loro labbra non si sfiorarono neppure.

Erano entrambi sul balcone, lei fumava e guardava la strada, lui sbocconcellava del tofu alle mandorle seduto al tavolino.

Quando finì, la sigaretta di Himeno era solo a metà. Lasciò che i suoi occhi vagassero pigramente su di lei.

L'aveva osservata fumare così tante volte da quando si conoscevano che aveva imparato le sue movenze a memoria. Era perfino diventato in grado di prevedere la durata di ogni esalazione, quando la sigaretta si sarebbe allontanata dalle sue labbra e quando vi sarebbe ritornata.

Accorgendosi del suo sguardo, Himeno si voltò. Occhi vivaci e sorriso giocoso.

"Cosa c'è? Ne vuoi una?" scherzò, porgendogli il pacchetto.

Aki fu tentato di risponderle di sì. Lo fece, in realtà. Ma Himeno non parve prenderlo sul serio. Mise via il pacchetto ridendo e si avvicinò per scompigliargli i capelli, poi trascinò la sigaretta sul posacenere e rientrò senza dire una parola.

Per qualche minuto Aki si ritrovò da solo sul balcone, a fissare la mezza sigaretta spenta nel cerchio di vetro al centro del tavolo.

Accadde in modo naturale e inconsapevole; il suo corpo si mosse come un fiume che scorre verso la sua foce, trasportato da una forza più grande lui alla quale era piacevole arrendersi.

Allungò una mano e prese la sigaretta tra le dita. Era ancora umida all'estremità, quella che fino a poco prima giaceva nella bocca di Himeno, appoggiata sulla punta della sua lingua e sfiorata dai suoi denti.

Lo pervase una sensazione diversa, accompagnata al solito calore che sbocciava nel petto. Un filo liscio e sottile, come un piccolo serpente, che si attorcigliava nella parte più bassa del suo addome.

Non pensava a nulla di preciso quando si portò la sigaretta alla bocca, non se ne accorse nemmeno finché non la toccò. Le sue labbra combaciarono con la curvatura lasciata da quelle di Himeno, la sua lingua tastò la consistenza della carta umida e il peso dell'intrusione.

Chiuse gli occhi e la tenne lì per un momento. Solo per un momento...

Mentre immaginava il sapore delle labbra di Himeno sulle sue.




 

Nota:

*Nel folklore giapponese le volpi dotate di poteri magici (kitsune) sono golose di tofu. Inoltre il tofu fritto viene chiamato anche 'kistune iro' perché ha un colore simile proprio al manto della volpe.

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Capitolo 4
*** Grafite nera ***


La seconda volta che Aki baciò Himeno, l'evento fu delicato e distruttivo insieme. Una carezza del vento su un castello di carte che mandò tutto all'aria nel modo migliore possibile.

Erano nel soggiorno di Himeno - diventata ormai la loro oasi condivisa - a fare nulla di diverso da quello che facevano di solito lì: arte.
Aki aveva un esercizio sulle ombre da consegnarle quando si alzò dalla sua sedia per raggiungerla.

A mettere in moto il tutto fu una scodella d'acqua - una di quelle basse, che Himeno teneva sempre vicino per sciogliere le gouache.

Aki non fece caso al dettaglio, tantomeno alla sua posizione (pericolosamente vicina al bordo).
Passò a Himeno lo sketchbook aperto sull'esercizio e finì per urtare la scodella con la punta del gomito.

Senza pensare si mosse per impedire all'oggetto di cadere, facendo l'errore fatale di lasciare la presa sullo sketchbook. Alla fine fu la scodella a salvarsi. L'acqua fangosa gli schizzò la felpa, continuando a ondeggiare furiosa nella conca di ceramica, mentre i suoi disegni finirono sparsi sul pavimento.

"Mi dispiace" mormorò.

"Non scusarti" lo tranquillizzò Himeno "colpa mia che l'ho fatta finire lì."

Trasferì la scodella in una zona più interna del tavolo, poi si girò e assunse espressione desolata.

"Oh... la tua felpa..."

Aki girò il tessuto per esaminare il danno.

"Non importa. L'altra manica è peggio" disse.

Alzò il braccio destro e rivelò una scia di grafite sfumata su sfondo bianco, come una sorta di via lattea inversa.

"C'è metà del divertimento qui sopra."

Himeno sbatté le palpebre un paio di volte. Lo fissò con un misto di incredulità e ammirazione, poi rilassò le spalle e si sciolse in una risata.

Himeno rideva spesso, e in modo così facile che Aki un po' la invidiava.

Si bloccò a guardarla, dimenticandosi del motivo per cui le si era avvicinato in primo luogo. Se ne ricordò solo quando la vide inginocchiarsi a terra e dire:

"Aspetta, ti do una mano con questi..."

Non aveva abbassato gli occhi sui disegni caduti a terra, non si era minimamente preoccupato di farlo.

Himeno era ferma sul pavimento con lo sguardo rivolto in basso. Silenziosa, guardava il tappeto di disegni senza toccarli, e Aki capì che era troppo tardi. In quel collage di paesaggi, oggetti e studi anatomici aveva riconosciuto se stessa.

Con il panico addosso, abbassò anche lui lo sguardo a terra.

La prima cosa che pensò fu che l'aveva disegnata più volte di quanto ricordasse. Schizzi a matita di decine di espressioni e pose diverse: assorta in un dipinto, di profilo con una sigaretta tra le labbra, a braccia conserte e sorridente sul tavolino del Crossroads...

Come i suoi, anche gli occhi di Himeno si mossero sui vari disegni, seguendo lentamente il percorso invisibile che li collegava.
Negare o tentare di nascondersi dietro una giustificazione inventata al momento sarebbe stato inutile, così Aki rimase immobile. Le labbra serrate e il battito cardiaco nelle orecchie, aspettando una qualsiasi reazione.

Cercò di leggere il suo viso, pronto a trovarvi scandalo o ribrezzo, ma tutto ciò che vide fu una neutralità indecifrabile, il che forse era ancora peggio...

Poi ad un tratto, la sua attenzione si fermò su un disegno in particolare.

Aki lo riconobbe subito. Il primo che l'avesse avuta come soggetto: la fantasia scaturita da una goccia di pittura verde.

Il disegno la ritraeva distesa in mezzo a un campo di margherite, le braccia piegate vicino alla testa, gli occhi socchiusi e lo sguardo morbido. La sua nudità a stento coperta dalla vegetazione.

Himeno lo raccolse tra le mani. Fece scorrere le dita a qualche centimetro di distanza dal foglio, come se stesse tenendo in mano qualcosa di prezioso e avesse paura di rovinarlo.

"È così che mi vedi?" domandò, tenendo il foglio in grembo.

Aki deglutì e abbassò gli occhi.

"Himeno..."

La verità è che non aveva idea di cosa dire, né di cosa fare. Impegnato a ritrovare la voce, non si accorse di averla chiamata - per la prima volta - senza alcun onorifico.

"Guardami" gli ordinò.

Le obbedì.
La sua espressione era ancora indecifrabile, perfino ora che la guardava negli occhi. Poi disse una cosa che Aki non si sarebbe mai aspettato di sentire.

"Vorresti che posassi per te?"

Silenzio.

"Vorresti che posassi per te così?" ripeté lei seria, senza smettere per un attimo di guardarlo.

Aki non sapeva dove avesse trovato la forza per risponderle. L'unica cosa che sapeva era che adesso si trovava seduto su uno sgabello, con lo sketchbook sul ginocchio piegato, di fronte al divano del soggiorno.

Himeno era in piedi in mezzo alla stanza, le mani ferme sull'orlo della camicia.

"Dovrei togliermi questi?" chiese, riferendosi palesemente ai vestiti.

Aki desiderava che smettesse di fargli domande, perché articolare le parole stava diventando sempre più difficile, ma capiva che era un modo per cercare il suo consenso, quindi si costrinse a rispondere.

"Come ti senti più a tuo agio" riuscì a dire.

La voce gli uscì appena più alta di un sussurro, ma Himeno dovette sentirlo lo stesso, perché alzò i lembi della camicia e iniziò a spogliarsi.

Aki pensò che avrebbe dovuto distogliere lo sguardo, anche se non era molto sicuro di quale fosse il punto nel farlo, visto che di lì a poco avrebbe dovuto per forza guardarla per disegnare. In ogni caso dubitava fosse molto professionale il modo in cui lo stava facendo.

I suoi occhi erano magnetizzati su di lei, seguendo ogni minimo spostamento di stoffa, agganciandosi a ogni nuova porzione di pelle che veniva scoperta.

Che Himeno fosse bella, Aki lo sapeva; era stata una delle prime cose che aveva pensato di lei quando si erano incontrati. Eppure il termine sembrava adesso inadeguato per descrivere quello che i suoi occhi stavano vedendo.

Inconsciamente iniziò subito a pensare per linee, volumi, luci e tonalità.
C'era un'eleganza fluida nei punti in cui il suo corpo si curvava, in quelli in cui si riempiva e quelli in cui si affusolava, come un disegno realizzato senza mai staccare la matita dal foglio.
Indossava un completo intimo verde bosco, sobrio nello stile, non molto nel colore, ma Aki trovava affascinante il contrasto che creava sulla sua pelle d'alabastro.
La luce del sole la colpiva lateralmente, lasciando in ombra metà del viso, e l'iride turchese si stagliava in quell'oscurità come un astro nella notte.

Himeno stava per tirare giù la spallina del reggiseno, ma prima che lo facesse incrociò il suo sguardo. Aki vide l'esitazione attraversarle il viso e la sua mano tornare lungo il fianco.

Rimasta in biancheria, si appoggiò al divano e vi si distese sopra imitando la posa del disegno.

"Puoi dirmi di spostarmi o di cambiare posa, se vuoi."

Questo gli fece realizzare che adesso doveva ritrarla. Sebbene lo avesse già fatto altre volte, ora che posava proprio di fronte lui gli sembrava un'impresa totalmente al di fuori della sua portata.
Come poteva riuscire a trasferire su un mero foglio di carta un'immagine così divina?

Decise che ci avrebbe provato ugualmente, anche solo per bearsi del privilegio di ammirarla senza nascondersi.

All'inizio si focalizzò sul serio sul disegno. Si impegnò per continuare a ragionare su linee, volumi, luci e tonalità, suggerendo piccole modifiche alla posa e consentendole di sgranchire gli arti ogni tanto, mentre le sue mani prudevano dal desiderio di toccarla.

Se si concentrava abbastanza, se ignorava l'eccitazione contrarsi e avvilupparsi nell'addome, poteva apprezzare la tranquilla intimità di quel momento. Poteva ascoltare il rumore della grafite sulla carta, compiacersi della sensazione di guardare ed essere guardato, di quell'assaggio di potere che provava nel modellarla con i suoi occhi.

Le chiese di voltare leggermente la testa, in modo che la luce delineasse i dettagli del suo viso.

Alzò gli occhi dal foglio per avere un riscontro con il modello, solo per rendersi conto che Himeno aveva una mano tra le gambe. La guardò in viso e la vide respirare profondamente, come se fosse affaticata.

Gli si annodò lo stomaco alla vista.

"Aki" lo chiamò. E lui posò la matita.

Si alzò, come seguendo il richiamo di una sirena, e camminò verso di lei.
Si inginocchiò all'altezza del suo viso e la guardò.

Himeno gli accarezzò una guancia con la mano libera.

"Tu... hai degli occhi pericolosi" gli disse, "li sento bruciare sulla mia pelle."

Aki espirò e si appoggiò al suo tocco.

"Vuoi che smetta?" le chiese.

Lei si sporse con il busto.

"Vorrei continuassi in eterno."

Un secondo dopo le labbra di Aki erano sulle sue.

Baciare Himeno era come affondare nel burro. Le sue labbra erano morbide e tiepide, e diffondevano una sensazione di scioglievolezza attraverso tutto il suo corpo.

Sentì le sue mani circondargli il viso mentre giocava dolcemente con il suo labbro inferiore. La sua lingua esercitava una delicata pressione, chiedendo un accesso che Aki le consentì senza resistenze. Avrebbe mentito se avesse detto che il sentore acre di sigaretta non lo aveva disorientato a primo impatto, sebbene fosse appena un accenno, coperto da quello più recente del caffè. Tuttavia, la sensazione era così piacevole che smise di farci caso nel giro di pochi secondi.

Inseguendo la sua bocca, finì per sovrastarla parzialmente, sostenendosi allo schienale del divano con una mano.

Himeno gli succhiò la lingua, ed era tutto così lento e morbido, eppure così prepotentemente intenso che la tensione si liberò dal suo petto sotto forma di un gemito.
Lo tirò più vicino finché non le fu sopra. Aki si tenne in equilibrio precario, cercando di non schiacciarla col suo peso e allo stesso tempo di non cadere dal divano. Si sentiva un po' goffo in quel modo, ma il desiderio eclissava tutto il resto.

Al primo bacio ne seguì un altro, poi un altro ancora, e non era lontanamente abbastanza.

Le sfiorò il collo con le labbra, affondò la lingua nell'incavo della sua clavicola e sentì i suoi fianchi sollevarsi brevemente contro i suoi.

"Ah-Aki... Aki, aspetta..."

Spaventato dal nervosismo nella sua voce, Aki si fermò immediatamente e si allontanò per guardarla.

Ciò che vide lo rese ancora più inquieto. Per la prima volta Himeno aveva un'espressione fragile negli occhi. Ruppe il contatto per abbassarli sul vuoto tra i loro corpi, come se volesse controllare che ci fosse ancora.

"Ascolta" cominciò con fiato tremante, "Non voglio che tu ti senta costretto ad assecondarmi in questo, o a fare qualcosa di cui non sei sicuro solo perché si tratta di me. Perciò ho bisogno... ho bisogno di sentirti dire che questo va bene. Che ne sei sicuro... okay?"

Aki annuì lentamente e le scostò i capelli dalla fronte per rassicurarla.

"Ne sono sicuro. Ti voglio, Himeno."

Le comparve un piccolo sorriso sulle labbra.

"Ti voglio anch'io" rispose, ma i suoi occhi erano sfuggenti e la muscolatura era tesa sotto di lui.

"Ma non è solo questo il problema, vero?" domandò cauto.

Himeno schiuse le labbra e sospirò.

"Ci tengo a te, Aki. Davvero..."

Le parole smossero il suo cuore e Aki non riuscì fare a meno di arrossire. Avrebbe voluto dirle che per lui era lo stesso, che ci teneva, che l'amava, maledizione...
Avrebbe voluto baciarla affinché lo sentisse sulla sua pelle, ma non voleva interromperla, così si piegò sui gomiti e riprese ad accarezzarle piano i capelli.

Il gesto sembrò rilassarla e i suoi pollici tracciarono cerchi sui suoi zigomi in risposta. Passò qualche secondo di silenzio prima che tornasse a parlare.

"Non voglio che tu sia il mio sesto disastro" ammise alla fine.

Oh... quindi era di questo che si trattava.

Aki pensò a se stesso un anno prima: un ragazzo dallo sguardo spento, privo di interesse per qualunque cosa e perennemente arrabbiato con il mondo; che camminava trascinandosi dietro pesanti catene di rimpianto e senso di colpa, già stanco della vita a diciannove anni.

Poi pensò a se stesso adesso. A come la foto di Taiyo nel portafoglio gli sorrideva senza più sembrargli minacciosa, e a come - osservando il cielo - immaginava di continuare con un pennello la scia bianca lasciata dagli aerei.

Guardò Himeno negli occhi con tutto l'amore di cui era capace, e con certezza le disse:

"Non lo sarò."

Per un attimo credette di averle visto gli occhi lucidi, prima che gli allacciasse le braccia dietro al collo e lo baciasse di nuovo.

Mantennero un ritmo lento, prendendosi il tempo per assaggiarsi a vicenda, lasciando vagare le mani solo dove la pelle era già scoperta.

Fu Himeno a prendere silenziosamente il controllo. Si liberò degli ultimi vestiti e invertì le loro posizioni sul divano. Ora era seduta sul suo grembo, le ginocchia ai lati dei suoi fianchi e le mani poggiate sul suo petto. Per qualche motivo, Aki si sentì subito più a suo agio così. Forse era legato al fatto che fosse la sua prima esperienza...

Glielo confidò quando furono entrambi nudi. Himeno gli sorrise confortante.

"Va tutto bene, ti conduco io se vuoi. E finché piace a entrambi possiamo tenere questa posizione."

In accordo comune, decisero di seguire questa strada.

Himeno guidò le sue mani e la sua bocca con gentilezza, gli spiegò dove toccare, dove leccare e come farlo, e Aki ne amò ogni singolo secondo.
Di tanto in tanto azzardava un'iniziativa, studiava le sue reazioni, e lì dove incontrava un gemito o il suo nome, la portava avanti.
Continuarono così fino a quando non si fusero insieme, fino a quando Aki non perse i confini del suo corpo dentro di lei, dondolando su ritmiche onde di piacere.

Himeno si chinò per succhiargli un livido alla base del suo collo, mentre lui disegnava universi caotici con le dita sulla sua schiena.
Gli morse la giugulare e Aki gemette forte. Si inarcò contro di lei, gemiti e lamenti gli scivolavano incontrollati dalla labbra e i fianchi scattavano in alto a ritmo irregolare.
La strinse fra le braccia e poco tempo dopo il suo piacere scivolò su di lui, mescolandosi al proprio come due colori sulla tavolozza.

E Aki pensò che anche quella fosse arte.

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Capitolo 5
*** Margherite bianche e rosa ***


"Allora? Lei dov'è?"

"Denji. I pancake bruciano."

Denji imprecò e si fiondò alla piastra.

Nel frattempo Power stava cercando di suonare la canzone della radio utilizzando il campanello alla cassa.

"Ohi! Ho ordinato quei pancake da ben due minuti! Voterò con una stella il servizio clienti e manderò questo posto in bancarotta" decretò.

Il vecchio proprietario si affacciò dal magazzino e lanciò un'occhiata sospettosa verso di loro.

Denji trasalì. Le puntò contro la paletta per pancake con fare minaccioso.

"Zitta! Sto lavorando qui!"

Ruotò il busto e la paletta ora puntava contro Aki.

"E tu" iniziò, "se scopro che mi hai detto una balla riguardo a Reze..."

Per nulla impressionato, Aki gli sfilò la paletta dalla presa e girò i pancake dall'altro lato.

"Te l'ho detto" sospirò, "copre il turno di pomeriggio. Non la vedrai prima delle quattro."

"Ma sono le quattro!"

Il corvino guardò l'orologio e scoprì che aveva ragione.

"Fa sempre ritardo" aggiunse. Restituì la paletta a Denji e si tolse il grembiule, preparandosi a finire il suo turno.

"Puoi usare questo tempo per rifare quei pancake a Power. Dovrete prepararvi il bento da soli a partire dal mese prossimo: almeno uno dei due deve saper cucinare."

A quel rammento Power s'incupì e iniziò a brontolare.

"Di certo non mangeremo pancake per pranzo..."

"Esistono i pancake salati, sai?" obiettò Denji.

Aki indossò giacca e tracolla.

Sopravvivranno, si disse.

Si recò sul retro per posare il grembiule e congedarsi al proprietario, senza accorgersi che Denji lo aveva seguito.

"Ehi" richiamò la sua attenzione.

Il corvino si voltò.

"Ehi."

"E così... tra un mese, eh?"

"Sì."

"L'Accademia di belle arti."

"Sì..." ripeté lentamente, incerto su dove volesse andare a parare.

"Be', quando diventerai famoso" riprese "e vedremo il tuo nome scritto all'ingresso delle gallerie, vedi di non fare l'ingrato e di ricordarti di noi."

"Dubito accadrà mai, Denji."

Lui si appoggiò allo stipite della porta e si fece serio.

"Non sarò un esperto in materia, ma ho visto i tuoi disegni, e sono praticamente... vita su carta."

Aki si mise a rovistare nella borsa, fingendo di cercare qualcosa. Il complimento lo aveva colpito più di quanto volesse ammettere.

"Dovresti vedere le tele di Himeno" disse dopo un po'.

"A proposito."

Qui Aki si era preparato a ricevere una domanda inappropriata sulla sua vita sessuale, invece Denji chiese:

"A lei lo hai detto?"

Mantenne lo sguardo fisso sul fondo della sua borsa.

"Non ancora..."

"Oh, ma che cazzo!" si lasciò sfuggire.
Si guardò subito alle spalle poco dopo. Il proprietario non parve averlo sentito.

"E quando hai intenzione di farlo?"

"Non lo so."

"Fantastico."

Il locale echeggiò della voce squillante di Power.

"Cameriere!"

Denji serrò le palpebre e scoprì i denti.
Aki provò una fitta di nostalgia che in realtà non era ancora iniziata.

"Per favore, assicurati che mangi le verdure" gli disse.

Lui si strofinò la nuca con una smorfia.

"Ci proverò, ma non prometto nulla."

"Me lo farò bastare."

Chiuse la borsa e fece per uscire, ma Denji gli bloccava ancora il passaggio.

"Sai, dovresti proprio finirla di scappare dalle cose che ti fanno scomodo."

Aki sospirò, chiedendosi interiormente da dove venisse all'improvviso tutta quella saggezza. Denji continuò ostinato.

"Devi parlare con lei."

"Lo farò. Devo solo... pianificare il discorso."

Il biondo lo fissò con gli occhi ridotti a fessure.

"Sarà meglio. Se ti lasci sfuggire una donna di quella portata, allora sei proprio un coglione."

"Sì, bene... posso passare ora?"

Denji si spostò, salvo fermarlo di nuovo per una spalla.

"E comunque" disse, "ci mancherai. A tutti e due. Anche se Power è troppo stupida e orgogliosa per dirtelo."

Per un lungo e imbarazzante momento Aki restò in silenzio, completamente estraneo a simili manifestazioni d'affetto da parte di quei due. Vedendolo in difficoltà, Denji gli porse la mano. Aki fece per stringerla, ma lui le fece schiantare insieme per poi chiudere la mano a pungo e fare lo stesso.

In quell'esatto momento la porta d'ingresso cigolò e una liceale dai vivaci capelli viola fece il suo ingresso con la solita aria scocciata.

Non si preoccupò di salutare Aki, quando questo la incrociò per uscire.

La porta si chiuse alle sue spalle e l'ultima cosa che sentì fu Denji che si esibiva in un:

"Ma se non è Reze! Guarda un po' che coincidenza!"

*

"Il mese prossimo inizierò L'Accademia."

Glielo disse nel modo meno meno pianificato e nella situazione meno consona possibile.

Himeno gli rivolse un'espressione sorpresa da dietro la spalla. Si agitò sui cuscini del divano, cercando di voltarsi verso di lui, ma Aki glielo impedì tenendole il palmo in mezzo alle scapole.

"Ferma" le intimò. Fece scorrere il pennello sulla sua schiena nuda.
Una margherita comparve in corrispondenza di una vertebra.

"Ho ricevuto l'e-mail di accettazione" aggiunse.

La sentì dibattere le gambe in segno di entusiasmo. Un suo tallone andò a finirgli nello stomaco.

"È assolutamente fantastico, Aki! Sono così contenta per te!"

E dalla voce con cui lo disse Aki era sicuro che lo fosse davvero, ma questo non rese più facile continuare il discorso.

Temporeggiò decorando la sua spina dorsale con un'altra margherita.

"E tu? Tu sei contento?" gli chiese dolcemente.

Il pennellò disegnò un filo verde tra i due fiori. Il movimento verticale delle setole la fece rabbrividire, Aki si chinò e le posò un bacio sul trapezio, lì dove la sua pelle era ancora inviolata dal calore. Riuscì a distrarla solo per poco.

"Ehi..."

Si tirò a sedere, svincolandosi piano dalla gabbia del suo corpo.

"Cosa frulla in quella tua bellissima testolina?"

Aki si prese un momento per ammirare la parte superiore esposta del corpo. L'idea di baciarla di nuovo e lasciar cadere la conversazione gli attraversò la mente, ma gli occhi di Himeno lo scrutarono apprensivi, e capì di non avere più scampo.

"Kishibe suggeriva di fittare un appartamento lì. Sai, per un risparmio di tempo, più comodità... e tutto il resto."

Himeno si limitò a sorridere.

"Mi sembra una buona idea, considerate le distanze."

"Sarò lontano da te."

L'ammissione gli scappò dalle labbra prima di quanto avesse previsto. La guardò in attesa, mentre lei gli sfilava il pennello dalle dita per intrecciarle con le sue. Le lasciò impronte di pittura sul palmo, ma non sembrò importarle.

"È questo che ti preoccupa?" sussurrò.

A te... no?

Il pensiero era intrusivo e accompagnato da una punta di rancore che Aki non riuscì a controllare. Abbassò la testa, sentendosi mortificato.

"Aki."

Himeno lo chiamò, e come se gli avesse letto dentro gli disse:

"Solo perché non ti sto pregando di restare, non vuol dire che non sentirò la tua mancanza."

Aki ricacciò indietro il groppo che gli si era formato in gola e accarezzò il dorso della sua mano mentre l'ascoltava continuare.

"Sono stata anch'io una studentessa fuori sede e conosco bene tutte le difficoltà dell'esserlo. Kishibe ha ragione: prendere un appartamento lì è davvero la scelta migliore che puoi fare. Farai quello che ti piace in un posto che ti piace, conoscerai nuove persone con la tua stessa passione e tutto nelle condizioni più favorevoli possibili."

"Lo so..." rispose lucidamente.

"È solo che tutto questo" fece un timido gesto con la mano per indicare entrambi, "è completamente nuovo per me. E ti ho promesso che non mi avresti perso... ma non ho la minima idea di come funzioni una relazione a distanza, o di come farla funzionare."

"Ci siamo dentro insieme, troveremo insieme il modo migliore per gestirla."

Annuì debolmente. "Insieme."

Himeno gli sollevò il mento e lo spinse a guardarla. La sua voce era ferma e seria.

"Ti amo, Aki" disse. "E certo che la lontananza mi farà male... ma questo non mi dà il diritto di tenerti tutto per me. Soprattutto se significa privarti di qualcosa che desideri davvero."

"Io..." esitò, in cerca delle parole giuste. "Desidero davvero darmi questa opportunità."

Lo guardò dolcemente. "Lo so."

"Ma desidero davvero anche stare con te."

"E lo farai. Lo faremo" ribadì. "Poi non staremo sempre lontani: ci sono le pause festive, più qualche fine settimana, di tanto in tanto. "

"Ho promesso a Denji e Power che avrei riservato il primo sabato disponibile per loro" ammise.

"Allora ci vedremo di domenica."

"Una domenica al mese per quattro anni... è così poco..."

"E quattro anni sono altrettanto pochi, nella prospettiva di una vita insieme. Non ti pare?"

Aki sgranò gli occhi e il suo cuore fece una capriola nel petto. Un sentimento di speranza frizzante iniziò a mischiarsi confusamente con l'afflizione.

"Himeno... intendi-" Lei lo interruppe.

"Immagina" cominciò, "una casa con un ampio balcone come questo, o con una piccola terrazza, così da poter fare colazione fuori nelle belle giornate. Waffle e tofu alle mandorle su un tavolino in acciaio a forma di foglia."

"A forma di foglia?"

Era vagamente consapevole di quanto suonasse sciocca la domanda, così di quanto lo sembrasse il sorriso che gli tendeva le labbra.

Himeno confermò entusiasta.

"Sì! Ne ho visto uno al negozio proprio qui di fronte e ho pensato che fosse molto artistico."

Ancora frastornato, Aki annuì con fervore, trascinato dalla scintilla nei suoi occhi.

"Sì, certo... sarebbe fantastico" disse.

"Waffle fatti da te" precisò lei.

Annuì di nuovo. Il suo cervello che ritornava pian piano a stare al passo con la conversazione.

"E caffè" aggiunse, "non puoi parlare di colazione senza parlare di caffè."

Himeno sorrise.

"E caffè" concordò.

"Potremmo sederci lì anche di sera. Tu fumerai una sigaretta con gli occhi sulla città, mentre i miei occhi saranno su di te e ti farò un ritratto mentre non starai guardando."

"Avremo un'intera stanza come laboratorio artistico, con tele, cavalletti, e colori ovunque."

"Potresti dipingere tu le pareti" le suggerì.

"Dipingerò un vero cielo sul soffitto della camera da letto, e faremo l'amore sotto una distesa di nuvole iperrealistiche. Come suona?"

Comunicò la sua approvazione con un sospirato 'sì', prima di rendersi conto che non rispondeva esattamente alla domanda.

Himeno ridacchiò e si sporse verso di lui. Le sue braccia s'incrociarono dietro al suo collo e la sua voce calda gli accarezzò il guscio dell'orecchio.

"Puoi pensare a questo, quando la lontananza ti sembrerà troppa. Io farò lo stesso."

Per un momento Aki rimase con le mani a mezz'aria, temendo di toccare la pittura fresca sul suo corpo o di lasciare tracce verdi dove non era programmato. Alla fine le poggiò la mano pulita sulla nuca e immerse le dita tra i suoi capelli, già pensando a quanto gli sarebbe mancato farlo tra un mese.

"Nell'attesa, non è detto che non possiamo sfruttare questa cosa della lontananza per divertirci un po'..."

Si scostò e gli rivolse un sorriso malizioso.

"Non so tu, ma io ho sempre voluto provare il sesso telefonico."

Aki non riuscì a fare altro che assentire. Si crogiolò nella vista del suo viso illuminato da tutte quelle promesse, e in quel sorriso stuzzicante che tirava a sé le sue labbra.

"Oppure, se proprio non riesci a sopportare di starmi lontano, potrei anche fare domanda per venire a insegnare nella tua Accademia" propose. Inclinò la testa e accostò le labbra al suo collo. "Che ne pensi? Ti piacerebbe se fossi io a farti lezione in classe, Aki-kun?"

"Sarebbe un disastro" rispose sinceramente.

Himeno schiuse le labbra e Aki sussultò alla pressione dei suoi denti sulla pelle.

"Sì. Sì, lo sarebbe..."

I suoi umidi baci erano delizia per la creatura serpentina che languiva nel suo addome. Aki sentì i pantaloni premere su un'erezione in crescita. Arricciò le dita tra i suoi capelli per scaricare la frustrazione: era nuda dalla vita in su proprio davanti a lui e lui non poteva toccarla.

"Himeno" gemette, "D-dovresti... sciacquarti la pittura di dosso, prima."

I movimenti delle sue labbra rallentarono. Sentì un soffio sul collo e Himeno allontanarsi.

"Non prima di una foto" ricordò, "Voglio vedere com'è venuto!"

Si alzò si posizionò alla luce, mentre lui accendeva la fotocamera. Armeggiò con l'obiettivo e la messa a fuoco, cercando di domare l'impazienza e fare le cose per bene.

Quando la guardò attraverso il mirino, l'immagine gli strappò un sospiro di stupore e meraviglia dal petto. Una fila di margherite bianche e rosa le definiva la spina dorsale, in ordine decrescente dal basso verso l'alto; spirali di edera rampicante si avvolgevano intorno alla lunghezza delle sue braccia.

"Come ti sembro?" domandò, piegando le braccia all'interno.

Aki bevve alla sua vista come se fosse la prima volta.

"Sei l'opera d'arte più bella che abbia visto."

Himeno si voltò leggermente.

"Quale poesia."

Il tono era giocoso, ma un tenue rossore si era diffuso sul suo viso. Aki pressò lo scatto per catturare la prova.

La sua inclinazione caratteriale a portare a termine le cose con la massima devozione possibile prevalse sulla sua libido. Le fece provare diverse pose, scattando da diverse angolazioni, adorandola attraverso la lente della fotocamera fino a quando non fu pienamente soddisfatto del lavoro.

"Sono bellissime" commentò lei quando le fece vedere le foto. "È quasi un peccato dover rimuovere la pittura."

Aki avvicinò una mano al suo fianco e prese a far scorrere le nocche su e giù lungo la vita.

"Temo sia necessario."

Himeno gli sorrise complice. Gli prese la mano e la spostò sulla patta dei pantaloni.

"Ahimè... non credo di riuscire a raschiare per bene la pittura dalla schiena tutta da sola" disse con fare drammatico.

"Se solo ci fosse un gentiluomo nelle vicinanze così gentile da aiutarmi..."

Aki non sapeva se lo scopo fosse quello di eccitarlo o di farlo ridere, ma in entrambi i casi ci era riuscita.

Tenendolo per mano, Himeno iniziò a camminare all'indietro verso il bagno.

Inciamparono, risero e si baciarono contro i mobili e le pareti lungo il percorso, come due ragazzini che si stanno scoprendo a vicenda. Come se quelle interazioni fossero nuove e non all'ordine del giorno da un anno a quella parte.

Himeno varcò la soglia del bagno già nuda, mentre Aki rimase indietro a raccogliere da terra i suoi vestiti. Quando la raggiunse, notò di sfuggita i loro spazzolini che si baciavano sul lavandino (erano due dalla prima volta che era rimasto a dormire lì).

E a quel punto si rese conto che altri piccoli segni della sua presenza era sparsi in quella casa: c'era una sua felpa nell'armadio di Himeno, un suo elastico per capelli sul suo comodino, e alcune sue stoviglie - o meglio, di Kishibe - nello scolapiatti (erano lì da quando aveva scoperto che nelle giornate più fitte di lavoro tendeva a saltare i pasti).

Ultimamente Himeno aveva sempre del tofu alle mandorle in frigo, e una tazza con la stampa di una volpe che finiva sempre nelle sue mani quando prendevano il caffè insieme, come se avesse tacitamente deciso che fosse sua.

Raccogliendo questi dettagli, non era poi difficile immaginare una nuova quotidianità insieme. E Aki sapeva che non c'era al mondo una persona diversa con cui avrebbe voluto trascorrere tutta la quotidianità della sua vita.

Himeno lo tirò irruenta in un bacio e gli fece cadere i vestiti dalle mani.

Aki prese quel bacio e tutti gli scenari futuri che avevano costruito insieme, e si assicurò di conservarli nell'angolo più sicuro del suo cuore. Lì dove margherite fiorivano sul sale e le pareti erano dipinte di verde.

Una confessione sussurrata su labbra sorridenti.

"Ti amo anch'io."

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