"Bella vero? L'ho fatta io! Col sudore della fronte!"
Bugia palesissima.
C'era il logo della pasticceria sulla busta e sulla piccola targa di cioccolato alla fine della scritta 'Buon compleanno'. Poco sopra il numero venti.
Ma Aki fece finta di niente e prese la torta dalle mani di Power ringraziandola. Al di là di tutto apprezzava davvero il pensiero, e il solo fatto di essere lui - per una volta - a ricevere del cibo da lei e Denji, era già una sorpresa più che godibile.
Avevano mangiato la torta al loro solito posto nel cortile scolastico, ed era meglio di qualunque cosa avrebbe mai potuto cucinare Power. Dopo un duetto stonato di 'tanti auguri a te', Aki aveva scartato un set di matite e una rivista dalla dubbia copertina (da parte di Denji) come regali.
Tutto questo era già più di quanto si aspettasse, eppure...
"Perché fissi l'entrata del parcheggio? Cerchi Kishibe?"
Aki realizzò di essere rimasto indietro di una decina di passi.
"Speravo in un passaggio, ma a quanto pare è già tornato a casa" mentì, raggiungendo un Denji non molto convinto della risposta.
"Non vieni con noi?"
"Non possiamo stare in tre su una moto" gli ricordò. "Andrò a piedi."
"Non ti lascio a piedi: sei il festeggiato. Piuttosto lascio a piedi Power."
La diretta interessata protestò. Ne nacque una breve discussione, alla fine della quale Power ottenne la vittoria con la seguente mossa:
"Finiscila di insistere. Non capisci che non ci vuole intorno perché ha un appuntamento?"
L'espressione di Denji divenne di colpo serissima. Si girò verso di lui e gli afferrò le spalle con le mani.
"È vero?" gli chiese, come un giudice davanti a un imputato.
Aki sospirò, ma non fece in tempo a rispondere che Power tornò alla carica.
"Certo che è vero!" Incrociò le braccia al petto e, tutta sicura di sé, continuò. "È stato tutto il tempo con il muso per aria, a fiutare di qua e di là, come un cane alla ricerca del suo padrone. È ovvio che sta aspettando di vedere qualcuno."
Denji la fissò come se avesse appena svelato il mistero più arcano dell'universo. La sua espressione si trasformò in un pasticcio disperato.
"Perché non me lo hai detto!" lo accusò scuotendogli le spalle, "Perché non mi dici mai niente quando si tratta di queste cose!"
"Perché non è vero. Non ho nessun appuntamento" spiegò Aki pazientemente, cercando di nascondere la sottile delusione che quella verità portava con sé. "Denji, calmati..."
Denji non si calmò.
"Lo hai sentito?" disse indicandolo a Power, "Mente ai suoi stessi amici!"
"Appunto" rimarcò lei. "Quale segnale più chiaro per dirci che non vuole che ci immischiamo?"
Dopo un attimo di riflessione, il biondo tornò a scuotergli le spalle con rinnovata enfasi.
"Capisco Power, ma perché anche io? Amico, io sono dalla tua parte! Posso aiutarti!"
Power emise un verso di scherno.
"Aiutarlo? Ne dubito fortemente."
"Eh? Perché? Guarda che Aki non è messo poi così male."
La ragazza alzò gli occhi al cielo e lo afferrò per un braccio.
"Andiamo a prendere la moto."
Denji obbedì, seppur ancora confuso e indignato.
Quando tornarono Aki aiutò Power ad allacciarsi il casco, raccomandò a Denji di rispettare i semafori e le precedenze, e ringraziò un'ultima volta per i regali.
"Poi mi racconterai com'è andata" disse Denji. "E stai sicuro che lo farai questa volta. Ti verrò a cercare."
Aki trovò inutile continuare a ribattere, quindi gli rispose con un rassegnato 'va bene', prima di vederlo imboccare la strada.
"Se oserà spezzarti il cuore le staccherò gli arti a morsi! Tutti e quattro!"
E con quest'ultima minaccia di Power i tre si salutarono.
Rimasto solo, Aki indugiò davanti ai cancelli. Assecondando una specie di istinto irrazionale, scelse di rimanere ancora un po'.
Trascorse l'ora successiva percorrendo il cortile dell'istituto avanti e indietro, fermandosi ogni tanto a ritrarre qualche qualche aiuola o a contemplare l'entrata del parcheggio.
Presto il sole iniziò a calare, e anche gli ultimi studenti rimasti per le attività pomeridiane iniziarono ad uscire.
Inutile restare oltre: Kishibe non c'era e nemmeno lei.
E in ogni caso non sarebbe di certo apparsa lì solo perché lui lo desiderava.
Con lo sketchbook sottobraccio e la busta dei regali in mano, Aki si trascinò sulla via di casa.
Si fermò più volte durante il tragitto per gettare uno sguardo al telefono. La chat tra lui e Himeno era aperta sullo schermo, l'ultimo messaggio risaliva alla settimana scorsa e lo avvisava di un cambio di orario per la lezione del lunedì.
Non sapeva nemmeno perché continuasse a controllare: Himeno non conosceva la data del suo compleanno. D'altronde, come avrebbe potuto? Non glielo aveva mai detto.
Nemmeno lui conosceva la data del suo compleanno. Si chiese se fosse già passato...
Arrivò davanti alla porta di casa senza nemmeno accorgersene.
Kishibe lo accolse con due porzioni di ramen dal suo ristorante di fiducia.
Aki non sapeva se le avesse ordinate per festeggiare o perché non aveva avuto voglia di applicarsi per preparare qualcos'altro, ma in entrambi i casi non poteva non apprezzare.
Quando riprese in mano il cellulare lo schermo segnava le dieci di sera, le ciotole di ramen giacevano vuote sulla tavola e la chat di Himeno era identica a prima.
L'ultima volta che lo accese fu per impostare la sveglia ed era mezzanotte. Il suo compleanno era ufficialmente finito. Il suo sguardo si soffermò involontariamente di nuovo sul nome di Himeno. Aki scosse la testa e provò pena per se stesso. Posò il cellulare a faccia in giù di fianco al letto e si sistemò sotto le lenzuola.
Non aveva niente di cui lamentarsi, pensò.
Dopotutto... era stato un bel compleanno.
*
Quella mattina Aki si era appena seduto per fare colazione quando suonò il citofono.
Con la caffettiera ancora sollevata sulla tazza, passò in rassegna tutte le persone che avrebbero potuto ipoteticamente bussare a quell'ora.
Escluse Kishibe, che era sicuro fosse a scuola, e lo stesso valeva per Denji e Power. Escluse Kobeni e tutta la famiglia Higashiyama che viveva lì di fianco (erano in vacanza). Escluse il tecnico della caldaia, visto che era già passato ieri, ed escluse il postino, che di solito si limitava a lasciare la posta nella cassetta senza bussare.
Arrivò alla conclusione che la persona fuori dalla porta fosse, quasi sicuramente, uno sconosciuto. Aki fu tentato di ignorarlo ma il citofono suonò una seconda volta. Rassegnato, si diresse alla porta.
"Arrivo" sospirò.
Mise la mano sul pomello, ma prima di girare guardò nello spioncino. Dopo averlo fatto si ritrasse un secondo, poi guardò di nuovo.
No, non l'aveva immaginato.
Himeno si stava dondolando sui talloni davanti alla porta, guardandosi in giro in attesa. Con il blazer drappeggiato sulle spalle e un vestito a fiori, gli era sembrata un'apparizione onirica. Aki aprì in fretta la porta.
Himeno lo accolse con un meraviglioso sorriso.
"Aki!"
"Himeno-senpai" Si schiarì la voce e poi riprese. "Ehm... buongiorno."
"Mi dispiace essere piombata qui all'improvviso, hai tutte le ragioni per essere arrabbiato. Non volevo disturbarti, ma Kishibe-senpai mi aveva detto che potevo trovarti a casa questa mattina, e non sapevo se avessi altri impegni in giornata, perciò..."
Il sorriso sulle sue labbra divenne più grande mentre parlava, gli occhi le brillavano e tutto il suo essere fremeva con l'entusiasmo di una bambina. Non sembrava davvero dispiaciuta come diceva, ma ad Aki non importava, perché non dispiaceva neanche a lui.
Affatto.
Come poteva anche solo sembrare infastidito quando tutto quello che stava cercando di fare era non rendere troppo evidente quanto fosse contento di vederla?
"Nessun problema, sul serio" la rassicurò, "Vuoi... uh... vuoi accomodarti?"
"Oh, no, no! Ti ringrazio. Non ti ruberò molto tempo" Si voltò per frugare con le mani nella borsa.
"Dammi un secondo..." borbottò.
Dopo un po' di difficoltà, Aki la vide estrarre con cautela un riquadro avvolto in una carta regalo.
"Ecco!" Trionfante, Himeno si soffiò via i capelli dalla fronte e allungò il riquadro verso di lui.
Aki lo guardò esitante, le mani ancora goffamente appoggiate allo stipite e alla maniglia della porta.
"Prendi" lo esortò. "È tuo."
I suoi occhi si allargarono mentre le sue mani accoglievano il regalo. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Himeno lo precedette impaziente.
"Aprilo!"
Lentamente fece come diceva, sciolse il nastro e iniziò a scartare l'involucro; la carta rivelò una tela di media grandezza dipinta ad acrilico. Aki vi fece scorrere sopra le dita, sentendo la ruvidità delle pennellate in rilievo sotto i polpastrelli.
L'immagine raffigurava una volpe bianca che passeggiava con il muso all'insù per una fitta foresta. I giochi di luci e ombre proiettate dall'intrico di rami erano stati realizzati con incredibile maestria; tocchi dorati facevano risaltare il manto della creatura, dandole un aspetto etereo. La foresta era immersiva: foglie e rampicanti dipinti con più di dieci tonalità diverse di verde.
Aki ricordò quelle stesse tonalità decorare gli avambracci gli Himeno qualche giorno prima.
Il suo cuore saltò un battito.
"Le volpi sono animali solitari" spiegò Himeno, "Fedeli e sagge guardiane che proteggono in silenzio. La loro saggezza cresce con i loro anni."
Incrociò le mani dietro la schiena e aggiunse:
"E poi ti piace il tofu alle mandorle.*"
L'ultimo accostamento fece sorridere Aki.
"So di essere in ritardo" riprese in tono più mesto, "ma aveva ancora bisogno di essere ultimato, e volevo fargli raggiungere il suo massimo splendore prima che lo vedessi."
Aki non riusciva a staccare gli occhi dal dipinto, ammirandone in soggezione ogni singolo dettaglio.
"È assolutamente stupendo" sussurrò. "Ma... come...?"
Himeno indovinò il dubbio e lo risolse subito.
"Diciamo che ho ottenuto l'informazione da un uccellino. Potrei avergliela estorta, in realtà. Un uccello grosso... e brizzolato. Più come un avvoltoio."
"Senpai, i-io non so che dire..."
"Allora non dire niente" rispose. "Sai... non ti ho mai visto sorridere così."
Sollevò il mento e fuse i loro sguardi.
"Questo mi basta."
Il cuore di Aki si stava ormai dibattendo furiosamente nella cassa toracica. Nel suo sbatacchiare a destra e a sinistra doveva aver ammaccato i polmoni, perché insieme al battito cardiaco gli si stava incasinando anche il respiro. Era ridicolo, davvero.
"Okay, il pacco da consegnare è stato consegnato. Sarà meglio che vada ora."
Nello stato in cui era, Aki registrò le sue parole con diversi secondi di ritardo. Nel mentre Himeno disse anche qualcos'altro, qualcosa del tipo 'ci vediamo in settimana' o simile, ma non ne era sicuro. La sua attenzione era tutta sui suoi stivali, che si stavano gradualmente allontanando dalla porta mentre parlava.
All'improvviso fu come se un interruttore si fosse acceso dentro lui. Protese una mano verso di lei, mentre una voce nella sua testa che assomigliava spaventosamente a quella di Denji gli urlava di 'prendere l'iniziativa per una volta, cazzo, Aki!'
E così, dietro uno slancio di coraggio, la trattenne per la manica del blazer (non abbastanza coraggio da trattenerla per la mano).
Himeno si voltò, testa inclinata e un piccolo sorriso sulle labbra. Non sembrava stupita. Lo guardò in attesa, come se conoscesse già le sue intenzioni e fosse curiosa di vedere fin dove fosse stato in grado di spingersi.
Aki sentì un formicolio elettrico attraversalo da capo a piedi.
"Hai già fatto colazione?"
*
"Allora. Come è andata?"
Aki si aspettava che Denji lo avrebbe chiamato. Onestamente, era sorpreso che non lo avesse prima. Questo non lo rese più preparato a rispondere.
"Bene... suppongo."
"E quindi?"
"Quindi cosa?"
"Come sarebbe! Tutto qui quello che hai da dire?"
Aki incastrò il telefono tra spalla e collo, si allacciò il grembiule da lavoro e vide se stesso e Himeno seduti al tavolo vicino alla finestra.
La mattina in cui l'aveva invitata, il Crossroads cafè era tranquillo come al solito. Pochi clienti abituali e personale con fin troppo tempo libero.
Himeno giocherellava con il numero del tavolo, guardandosi intorno curiosa.
"Quindi lavori qui?"
"Solo part-time" rispose Aki.
Si sentì il vecchio proprietario borbottare.
"È l'unico che lavora davvero qui dentro..."
Himeno sorrise. Ordinò un caffè e dei waffle ai mirtilli, e restituì il menù.
Quando il proprietario si fu allontanato, gli domandò:
"E ti piace?"
Aki si meravigliò di come una domanda così innocua e casuale lo mettesse in difficoltà.
"Non mi dispiace" rispose alla fine.
Ed era vero. Se la cavava bene in cucina, e preparare il cibo per gli altri era soddisfacente, anche se non era un granché nell'interfaccia con la clientela.
A volte si chiedeva se non fosse proprio lui la causa per cui il Crossroads era così poco frequentato.
Non che avesse altra scelta, visto che la nuova addetta alla cassa trascorreva più tempo fuori che dentro il negozio.
"Hai mai pensato di fare del disegno un lavoro?"
Aki alzò la testa e sbatté le palpebre.
La proposta diretta lo colse alla sprovvista.
"Voglio dire" Himeno si strinse nelle spalle, "disegnare ti piace. E devo ammettere che sei diventato piuttosto a bravo a farlo. Hehe... grandi allievi da grandi maestri, modestamente."
La colazione arrivò al tavolo.
"Anche se forse sarebbe meglio continuare con insegnanti professionali... potresti iscriverti all'Accademia."
La sua logica era così semplice, dritta e senza falle, che Aki ne rimase spiazzato. E anche intimorito. Il suo piano era trovare qualche altro part-time da affiancare al Crossroads fino a quando non avrebbe raccolto abbastanza per staccarsi da Kishibe, e poi trovare un lavoro simile a tempo pieno. L'idea di riprendere gli studi non gli era mai passata per la testa.
L'Accademia non era certo a due passi da casa come il caffè. Significava pagare i mezzi di trasporto, le tasse universitarie, i materiali di studio...
Chi avrebbe preparato da mangiare a Denji e Power?
Guardò Himeno fare una foto ai suoi waffle mentre continuava a parlare.
Gli raccontò del suo percorso di studi, dei suoi vecchi docenti e del suo primo incontro con Kishibe. Aki fece del suo meglio per restare al passo, ma alcuni pezzi della conversazione finirono per sfuggirgli comunque.
'Disegnare ti piace.'
Si fossilizzò a pensarci per tutta la mattinata, teso sulla sedia e con l'amaro del caffè in bocca. Il che non gli permise di godersi la compagnia di Himeno come avrebbe voluto.
"Mi dispiace" le disse, sulla strada per accompagnarla a casa.
"Per essere stato un po' distante. Mi ha fatto piacere passare del tempo insieme, davvero."
Himeno scosse il capo e lo prese sottobraccio. Aki si rilassò in quella vicinanza.
"Anche a me... e so che ti ho dato da pensare. Ma parlavo sul serio, sai? Credo che dovresti prendere in considerazione la cosa. Darti un'opportunità."
"Non lo so" sospirò, "sembra..."
"Spaventoso?" gli suggerì. "Sì... I cambiamenti lo sono sempre."
Si fermarono ai piedi del palazzo. Himeno fissò l'ingresso, ma non lasciò il suo fianco.
"Io sono contenta di aver fatto i miei, però." Aki sentì la presa sul suo braccio stringersi leggermente. "Se fossi rimasta nello stesso posto, probabilmente non ti avrei mai incontrato."
Non aveva saputo fare altro che ricambiare la stretta, mentre il petto gli riempiva con qualcosa di denso e caldo.
"Almeno l'hai baciata?"
Aki avrebbe voluto riattaccare per non rispondere, ma sapeva che Denji gli avrebbe dato il tormento per tutto il giorno se lo avesse fatto. Fece cenno di no, dimenticandosi che l'altro non poteva vederlo. Ma a quanto pare il suo silenzio fu una risposta sufficiente, perché Denji ringhiò esasperato e dichiarò il suo un appuntamento totalmente fallimentare.
Aki mise il cellulare su uno scaffale e lasciò che continuasse a lamentarsi e inveire con le bustine da tè, mentre lui spolverava dietro i barattoli.
Per un po' furono la voce di Denji e la musica soffusa della radio a riempire il silenzio, finché la porta del negozio non si aprì e la sua nuova collega varcò la soglia.
Aki gettò un'occhiata nella sua direzione: cartella in mano, scarpe slacciate e capelli tinti di viola arrotolati in una crocchia bassa. Presumibilmente una liceale.
Non avevano mai avuto l'occasione di presentarsi: il proprietario si era limitato a informarlo dell'aggiunta e ad accennargli un nome che lui aveva facilmente dimenticato.
Lei non sembrò neppure notarlo. Scaricò la cartella a terra, i suoi occhi fissi sul cellulare, mentre i pollici digitavano veloci sullo schermo e una scarpa batteva sul pavimento.
Aveva un'espressione palesemente annoiata, eppure, guardandola meglio, Aki poteva percepire una sorta di irrequietezza di fondo, come dell'acqua che ribolle sotto il coperchio di una pentola.
Attraversò il locale sbuffando, ma con camminata energica - con l'aria di chi avrebbe effettivamente voluto fare una miriade di cose, davvero una miriade di altre cose... Solo non lavorare lì dentro.
Ora che era più vicina Aki notò che indossava la stessa divisa scolastica di Denji e Power.
Continuando a non degnarlo di uno sguardo, indossò il suo grembiule e si sedette al bancone guardando fuori, come se già progettasse di sgattaiolare via.
Lo sguardo di Aki cadde sulla targhetta identificativa appuntata storta e finì per leggerla senza volerlo.
Il nome gli fece rizzare i capelli sulla nuca.
Reze.
Si girò verso lo scaffale del tè, dove la chiamata era ancora aperta.
Denji lo avrebbe ucciso.
*
La prima volta che Aki baciò Himeno le loro labbra non si sfiorarono neppure.
Erano entrambi sul balcone, lei fumava e guardava la strada, lui sbocconcellava del tofu alle mandorle seduto al tavolino.
Quando finì, la sigaretta di Himeno era solo a metà. Lasciò che i suoi occhi vagassero pigramente su di lei.
L'aveva osservata fumare così tante volte da quando si conoscevano che aveva imparato le sue movenze a memoria. Era perfino diventato in grado di prevedere la durata di ogni esalazione, quando la sigaretta si sarebbe allontanata dalle sue labbra e quando vi sarebbe ritornata.
Accorgendosi del suo sguardo, Himeno si voltò. Occhi vivaci e sorriso giocoso.
"Cosa c'è? Ne vuoi una?" scherzò, porgendogli il pacchetto.
Aki fu tentato di risponderle di sì. Lo fece, in realtà. Ma Himeno non parve prenderlo sul serio. Mise via il pacchetto ridendo e si avvicinò per scompigliargli i capelli, poi trascinò la sigaretta sul posacenere e rientrò senza dire una parola.
Per qualche minuto Aki si ritrovò da solo sul balcone, a fissare la mezza sigaretta spenta nel cerchio di vetro al centro del tavolo.
Accadde in modo naturale e inconsapevole; il suo corpo si mosse come un fiume che scorre verso la sua foce, trasportato da una forza più grande lui alla quale era piacevole arrendersi.
Allungò una mano e prese la sigaretta tra le dita. Era ancora umida all'estremità, quella che fino a poco prima giaceva nella bocca di Himeno, appoggiata sulla punta della sua lingua e sfiorata dai suoi denti.
Lo pervase una sensazione diversa, accompagnata al solito calore che sbocciava nel petto. Un filo liscio e sottile, come un piccolo serpente, che si attorcigliava nella parte più bassa del suo addome.
Non pensava a nulla di preciso quando si portò la sigaretta alla bocca, non se ne accorse nemmeno finché non la toccò. Le sue labbra combaciarono con la curvatura lasciata da quelle di Himeno, la sua lingua tastò la consistenza della carta umida e il peso dell'intrusione.
Chiuse gli occhi e la tenne lì per un momento. Solo per un momento...
Mentre immaginava il sapore delle labbra di Himeno sulle sue.
Nota:
*Nel folklore giapponese le volpi dotate di poteri magici (kitsune) sono golose di tofu. Inoltre il tofu fritto viene chiamato anche 'kistune iro' perché ha un colore simile proprio al manto della volpe. |