Smarrita tra dimensioni a causa di una maledizione!

di Tsuki 96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


- In che senso sono stata maledetta?!
La mia voce insopportabilmente stridula echeggia in quell’ampio spazio onirico; presto, quel sottile sibilo di sottofondo sostituisce qualsiasi suono percepito dalle mie orecchie, prima che un’altra voce femminile risponda alla mia domanda.
- Qualcuno ti odia parecchio e, sfortunatamente per te, è successo che fosse dotato di poteri che un piccolo essere umano come te potrebbe faticare a concepire. Ho potuto intervenire per te, con i miei poteri, così da allievare questa maledizione, ma più di così non posso fare.
Mi giro attorno di nuovo, i miei occhi attenti sull’ambiente circostante: è un’immensa distesa di quella che sembra acqua, ma non lo è; sembra una sostanza aeriforme, un poco visibile, ma apparentemente impercettibile come l’aria che si respira. Agito il piede e vedo il fluido incresparsi, senza far rumore o bagnarmi; rivolgo di nuovo lo sguardo in alto, girando la testa, in quanto ancora non riesco a capire da dove provenga quella voce.
- Sei un angelo? Un Jinn? Un demone? – chiedo.
- Nessuno di questi, ma molto più simile a un angelo.
- Posso vederti?
- I tuoi occhi esploderebbero.
- Puoi farmi del male?
- Non è uno dei miei compiti.
Taccio dondolandomi sui piedi, mente rifletto; in parte, penso ancora che si tratti di un sogno; tuttavia, la sensazione provata prima di arrivare in questo luogo surreale è così vivida, così trucemente dolorosa, che non ho alcun dubbio mi sia successo qualcosa di grave.
- Sono morta?
- Non esattamente. Sei in pericolo di vita, però qualcuno ti sta proteggendo.
So che la voce non dirà tanto di più; ho già tentato di ottenere più informazioni invano, prima di cadere in pianto disperato e isterico: sembra che la voce abbia dei compiti e dei limiti molto precisi.
- Per quanto vagherò?
- Finché non verrà trovata una soluzione per portarti indietro, o la maledizione non verrà annullata.
Sospiro e faccio un cenno della testa.
- Sono pronta. Grazie di tutto.
La voce non risponde subito; intuisco una sorta di pausa di sorpresa.
- Che Dio ti protegga, piccola anima.
Per quanto le sue ultime parole siano confortanti, il mio cuore sprofonda nell’incertezza e nella paura, mentre il corpo a sua volta viene inghiottito dal fluido; questa volta sento il freddo e l’umidità avvolgermi in un abbraccio gelido e impietoso, trascinandomi in chissà quale mondo.
Che tu soffra numerose
Crepe al cuore quanto lo
Strazio arrecato dal tuo
Rifiuto di accogliermi
 

Ma come? Che succede? Dov'è Bugo?
Sette anni fa circa avevo pubblicato l'ultimo capitolo dell'ultima (più o meno) fanfiction scritta fino ad ora; era ambientata nel mondo di Diabolik Lovers, un otome game uscito nel 2011, mi sembra, da cui hanno poi tratto due serie anime più a scopo promozionale, probabilmente.
Nella mia testa ho sempre creato storie, tutt'ora frullano delle storie originali, ma quelle hanno bisogno di un lavoro più serio, più professionale, rispetto a quelle dove mi sbaciucchio con i miei personaggi preferiti mi immagino a fianco dei nostri eroi preferiti di diversi anime/manga e videogiochi.
Questa fanfiction è sia un capriccio, sia un desiderio di ricimentarmi nella condivisione di storie, sia una sorta di terapia: la creatività fa sempre nutrita, allenata, curata.
Purtroppo, non prometto aggiornamenti puntuali - e saranno probabilmente capitoli molto brevi; ma detto questo, spero vivamente di divertirvi e/o strapparvi qualche lacrima.
Sicuramente, gli universi dove 
si ritroverà a sopravvivere la protagonista, vagamente mia alter ego, saranno i seguenti (possibilmente; non in ordine!): One Piece, Devil May Cry, uno o più film dello Studio Ghibli oppure Ni no Kuni, Resident Evil, Demon Slayer, Yu-Gi-Oh! (la prima serie), Final Fantasy VII, Trigun Stampede, Free!.
A presto!

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Non fu come affondare in acqua.

Era sì un fluido, freddo e cupo, forse anche umido, ma non avevo la sensazione che mi stesse bagnando man mano che sprofondavo in questa massa di materia ignota. A tratti, mi pareva che del velluto stesse scivolando sul mio corpo; non capivo se avessi gli occhi aperti o chiusi, certamente non potevo vedere granché, se non sporadicamente qualche improvviso chiarore.

Non udivo alcun suono. E, rispetto all’abbraccio gelido e tenebroso che mi trascinava sempre più in basso (o più in alto? Non era possibile definire la direzione di questo movimento), era proprio l’apparente assenza di rumori, melodie o voci a provocare una sensazione di sconforto e angoscia nel profondo.

Forse... Forse era simile alla sensazione di quando si sogna di precipitare, con la differenza che non era possibile destarsi: cadendo nel mondo onirico, si è soliti svegliarsi di soprassalto; invece, in questa situazione non stava accadendo, anzi; non ero spaventata.

C’era una sensazione di scoraggiamento, ansia, neanche troppo intensa, ma non avevo paura. Paradossalmente, sentivo che doveva essere così, e che non ci fosse bisogno di evitare quella caduta.

Non passò molto tempo prima che sentissi il corpo intorpidito, e lo spostamento arrestarsi; pian piano, percepii la presenza di un piano rigido sotto il mio corpo, freddo, come se fossi stata sdraiata sulle piastrelle di un pavimento.

Una luce intensa premeva sulle mie palpebre, esortandomi ad aprire gli occhi e farmi accecare, come quando ci si sveglia la mattina nel letto e la luce che entra dalla finestra ti cade proprio in faccia.

            Strizzai gli occhi ancora chiusi prima di aprirli un poco; subito le richiusi e girai la testa dall’altra parte, mugugnando qualcosa d’incomprensibile dopo aver scambiato l’appassionato sguardo d’amore con i raggi del sole. Se fossi stata comodamente sdraiata nel mio letto, mi sarei rimboccata le coperte e avrei continuato a crogiolarmi per qualche minuto prima di alzarmi definitivamente; tuttavia, non ero certamente nel mio letto, né tantomeno in qualsiasi stanza della mia casa. Né di qualsiasi altro edificio familiare.

Prima che potessi pensare di essere stata rapita, ricordai. E furono i ricordi a farmi alzare di schiena, sbarrando gli occhi sull’ambiente che mi circondava.

Voltai lo sguardo a destra e a sinistra, battendo le palpebre e schiudendo le labbra in una smorfia che avrebbe dovuto esprimere un misto di incredulità e smarrimento, ma probabilmente sembravo piuttosto istupidita.

            La stanza in cui mi trovavo sembrava piuttosto moderna, avrei osato dire anche leggermente futuristica: il soffitto era molto alto, le pareti un grigio freddo, il divano e la poltrona avevano forme semplici e riscontravo diverse apparecchiature elettroniche dall’aspetto sofisticato, tra cui un televisore a schermo piatto…? No, non era uno schermo. Era un foglio di vetro??? Sembra sottilissimo, un pannello di vetro molto ampio dove riuscivo a intravedere delle figure in movimento, come se vi fosse stato proiettato qualcosa. Tuttavia, non vedevo in giro alcun proiettore; alzandomi e spostandomi lentamente intorno, osservai con curiosità una pallina di metallo sospesa in aria tra due oggetti cilindrici, che continuava a salire e scendere lentamente, senza fili o altro che potessero causarne il movimento: forse si trattava di qualche meccanismo magnetico?

Trattenni un rumoroso sospiro di frustrazione nell’esplorare quello che sembrava il salotto di un appartamento costoso; mi avvicinai con cautela alla finestra, per spostarmi subito colta da un capogiro nel verificare visivamente che mi trovavo a chissà quale piano di un altissimo edificio. Intorno, altri grattacieli e alti edifici facevano a gara a chi toccava il cielo per primo, un cielo che pian piano si stava colorando di arancio e incupendosi, per cui dedussi che fosse tardo pomeriggio; scorsi delle schermate e degli ologrammi, e mi chiesi in quale dimensione futuristica mi trovassi.

In verità, ipotizzavo di trovarmi in Giappone, in quanto riuscivo a riconoscere le scritte che individuavo qua e là tra gli edifici; inoltre, come osservai su alcuni mobili e un paio di giornali lasciati sul tavolino nero di fronte al divano, c’era questo logo “KC” che continuava a lampeggiare tra un ologramma e l’altro.

            Più di ogni altra cosa, la domanda più importante era “nella casa di chi mi trovo?”. Come caspita avrei affrontato il proprietario o la proprietaria di questo appartamento? “Hey, sì, scusi l’intrusione, sono stata maledetta da un tipo e da quel che ho capito viaggerò in varie dimensioni ed eccomi qua”, ma chi mi avrebbe dato retta? A meno che non avesse avuto a disposizione un’affidabilissima macchina della verità, o un siero della verità, non mi avrebbe creduta.

Finalmente, un movimento proveniente dal corridoio mi fece sobbalzare e girare verso la persona che si stava avvicinando; con il cuore in gola focalizzai lo sguardo verso la figura che rallentò il passo nell’intravedere un intruso nel suo salotto. Aveva un aspetto vagamente familiare, tuttavia non ebbi il tempo di soffermarmi su questo dettaglio in quanto puntò subito il dito verso di me con aggressiva severità, com’era giusto che fosse, dopotutto.

- Chi sei e chi ti ha fatto entrare qui?!

Battei le palpebre e rimasi a bocca aperta; stava parlando in giapponese. Per curiosa ironia della sorte, avevo studiato giapponese in quel poco tempo libero che avevo mentre studiavo al liceo e all’università, ed ero abbastanza fluente da poter sostenere un discorso che non fosse incentrato su temi specifici (economia, ambiti scientifici, politica, …).

Deglutii nervosamente e balbettai qualcosa d’incomprensibile, prima di riuscire a rispondere; quanto mi batteva il cuore!

- Non penso che mi crederai, ma non sono sicura nemmeno io di come sia arrivata qui.

Come immaginavo, il viso del giovane uomo che avevo di fronte a circa tre metri di distanza si rabbuiò; vidi la sua mano premere qualcosa sul taschino della sua lunga giacca e alquanto svolazzante: mi ricordava i vestiti di qualche personaggio…? Mhhh…?!

            - Aspetta! Dove mi trovo?! – aggiunsi.

L’estraneo (no, ero io l’estranea) assottigliò gli occhi sulla mia figura e incrociò le braccia.

            - Questo è il mio edificio, e ti trovi al piano del mio appartamento. Non osare utilizzare la scusa della perdita di memoria, potresti aggravare la tua situazione già di per sé critica, avendo violato la mia proprietà privata.

Strinsi le dita tra loro e scossi la testa.

            - L’appartamento di chi? Chi sei tu?

La mia ulteriore domanda lo destabilizzò e mi sentii rimpicciolire nel vederlo arrossare di rabbia e indignazione; forse l’avevo ferito un po’ nell’orgoglio, oltre ad aver invaso (involontariamente) la sua privacy…

            - Ridicolo! O sei una ladra poco intelligente, o sei scappata da qualche istituto psichiatrico! In ogni caso dovresti esserti resa conto di essere entrata in una proprietà della Kaiba Corporation…

Mentre sbraitava, i miei occhi si spalancarono e cercai di trattenermi dal fare lo stesso con la bocca, per darmi un po’ di contegno; tuttavia, l’impresa non andò a buon fine, perché la mia espressione grottescamente sorpresa lo fece infuriare possibilmente di più.

            - K-Kaiba…?! Ma quindi tu sei…!!

Seto Kaiba versione adulta?! Aveva i lineamenti ancora più duri e affilati di quanto non si potesse dedurre dal tratto del disegno che lo rappresentava nell’anime; sembrava un poco più robusto e muscoloso, ma ricordavo che nell’ultimo film1 dove era comparso la maglia attillata avesse già suggerito l’idea che facesse palestra. I freddi occhi blu mi fissavano con un’austerità e maturità che sicuramente non potevano appartenere a un adolescente o un giovane di circa vent’anni; dedussi che avesse intorno ai trent’anni. La capigliatura castano chiaro non era tanto diversa dall’originale, scorsi solo delle ciocche più lunghe sul retro del collo che cadevano sul davanti, appoggiando all’altezza delle clavicole.

La ragazzina che ero stata e che aveva conosciuto il personaggio sarebbe arrossita e rimasta ammaliata; io, con i venticinque anni che pesavano come settanta sulla schiena, aveva ben altro a cui pensare in quel momento.

Sapere con esattezza chi fosse fu paradossalmente la mia salvezza da quella scomoda situazione.

            - Kaiba Seto – confermò con un ghigno arrogante, per poi assumere di nuovo un’espressione severa e adirata, - Sembra che ora ti sia ritornata la memoria, quindi farai meglio a spiegare il motivo della tua intrusione in casa mia, signorina, sono a un passo dal chiamare la sicurezza.

            - Kaiba-san – non ero sicura al cento per cento che fosse l’onorifico corretto da usare, ma sicuramente meglio di niente, – Sono sicura che siano installate delle camere di sicurezza? Se vede come sono arrivata, sicuramente non dubiterà della mia esitazione a spiegare tutto…

Abbozzai un sorriso nel vederlo corrugare la fronte alle mie parole; la sua mano si alzò, ma invece di posarsi sul taschino della giacca, premette qualcosa un qualche pulsante di un dispositivo che portava sull’orecchio destro, e lo sentii richiedere di trasmettere al televisore la registrazione della telecamera del salotto. In parte temevo che non ci sarebbe stato alcun elemento in grado di salvarmi, dall’altra ero curiosa anch’io di vedere com’ero arrivata. Mi ero materializzata dal nulla? Ero emersa dal pavimento? Ero caduta sul pavimento? Mi aveva portato una qualche creatura misteriosa? Il mio sguardo era incollato sulla lastra di vetro le cui immagini divennero più nitide e definite, e la scena cambiò sull’inquadratura del salotto in cui ci trovavamo, con la differenza che non c’era nessuno. In un angolo della schermata lessi la presumibile data di quel giorno e l’orario: la registrazione partiva dalle ore 12 e, da come potevo riscontrare dal colore del cielo, eravamo a pomeriggio inoltrato, come già precedentemente accennato.

Udii Kaiba dare l’ordine di velocizzare il video della registrazione ottenuta: osservammo lo schermo finché non sgranammo entrambi gli occhi nel vedere un qualcosa di nebbioso formarsi in corrispondenza del pavimento dove mi ero ritrovata; la sostanza divenne lattiginosa, opaca e piuttosto ampia, finché non scomparve rarefacendosi e… ecco lì sullo schermo.

Il dispositivo di Kaiba sembrò andare in tilt da tanto le voci dei suoi dipendenti cominciarono a strepitare nel suo orecchio, increduli e agitati; infastidito dal fracasso, afferrò il dispositivo e lo lanciò sul tavolino, riportando la mano alla testa per massaggiarsi prima le tempie e poi pizzicarsi il dorso del naso con un’espressione indecifrabile, anche se ero certa non esprimesse qualcosa di positivo.

            I suoi occhi gelidi si spostarono su di me e mi esaminarono più attentamente.

            - Ti ha mandato Ishtar Ishizu?

Rimasi sorpresa dalla domanda e confusa, a primo impatto; poi capii. Aveva probabilmente pensato che potessi provenire dall’Egitto, visto che indossavo il velo; scossi la testa.

            - No. Non… Non sono proprio di questo mondo – dissi, all’inizio con più determinazione, poi la mia voce si ridusse a un filo incerto, io stessa non riuscivo ancora a capacitarmi della situazione.

Kaiba sollevò un sopracciglio. Un sopracciglio? Sapevo che aveva due sopracciglia sotto quella lunga frangia!! Forse la teneva ancora così lunga per coprire una fronte spaziosa? Scossi la testa per scacciare quei pensieri.

            - Come vedi sono arrivata qui in modo… sovrannaturale.

            - Ridicolo! C’è una spiegazione scientifica a tutto – ribatté Kaiba.

Abbozzai un sorriso; non potevo aspettarmi nient’altro di meno da colui che era riuscito a sviluppare una tecnologia per viaggiare tramite chissà quale varco spazio-temporale e raggiungere l’Oltretomba per incontrare Atem e sfidarlo2

1-2Riferimento al film del 2016 Yu-Gi-Oh!: The Dark Side of Dimensions.



Rieccomi con il primo capitolo, dopo più di un mese, mi sembra, di assenza. Ma ehi, non credevo nemmeno che sarei riuscita a scrivere altro...! Spero di continuare così.
Piccola nota sui tempi verbali: non so cosa mi sia passato per la testa: avevo intenzione di scrivere il racconto al presente, ma alla fine mi sono limitata a tenere al presente l'introduzione; sono troppo affezionata al passato remoto.
Come vi sembra che stia andando la narrazione? Per quanto riguarda Lubaba, la protagonista, temo che ancora non si riesca a inquadrare bene il personaggio, ma pian piano la conoscerete e spero vi farà sorridere con i suoi assurdi pensieri.
E Kaiba? Spero di essere riuscita a rendere la sua personalità; sono passati due anni da quando ho ripreso tutto l'anime di Yu-Gi-Oh, ma comunque la mia memoria non è sempre efficiente (infatti ho comunque dovuto fare delle ricerche per cercare di scrivere qualcosa di abbastanza coerente con l'anime), perciò ritrarre il personaggio di Seto Kaiba è stato alquanto complicato.
Ultima nota e poi non vi tedio più: i due personaggi stanno parlando in giapponese. Non sono una fan dell'usare diversi font, né tantomento di utilizzare il corsivo per distinguere dialoghi in altre lingue. Cercherò il più possibile di fare affidamento alla narrazione da parte della protagonista per chiarire in che lingua sono i dialoghi (dettaglio su cui sto ancora rimuginando parecchio perché non sono sicura di come fare quando Lubaba arriverà nella dimensione di Final Fantasy VII: che lingua parlano? Giapponese? Inglese? Una lingua del tutto diversa?! Boh).

Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Dal capitolo precedente…

 

Kaiba sollevò un sopracciglio. Un sopracciglio? Sapevo che aveva due sopracciglia sotto quella lunga frangia!! Forse la teneva ancora così lunga per coprire una fronte spaziosa? Scossi la testa per scacciare quei pensieri.

            - Come vedi sono arrivata qui in modo… sovrannaturale.

            - Ridicolo! C’è una spiegazione scientifica a tutto – ribatté Kaiba.

Abbozzai un sorriso; non potevo aspettarmi nient’altro di meno da colui che era riuscito a sviluppare una tecnologia per viaggiare tramite chissà quale varco spazio-temporale e raggiungere l’Oltretomba per incontrare Atem e sfidarlo…


Un paio di ore dopo…

 

Era sera. Durante questo lasso di tempo, nel farmi cenno di seguirlo, avevo avuto l’occasione di esplorare alcuni angoli dell’enorme appartamento di Kaiba (c’erano così tante porte, e pure una rampa di scale che portava a un ulteriore piano!). Mi ero chiesta come mai il giovane uomo avesse voluto spostarsi in un’altra stanza per chiarire meglio la mia situazione, quando avremmo potuto parlare nel salotto dove mi aveva trovata, ma mi fu spiegato che fosse dovuto alle telecamere di sorveglianza; a quanto pare, mi aveva portato nella zona più privata della sua abitazione, dove c’erano comunque delle telecamere installate in vari angoli, tuttavia i video registrati venivano salvati all’interno di un suo archivio privato, accessibile solo lui.

In qualche modo mi sentii lusingata: ero una specie di ospite speciale, no? Con la differenza che Kaiba trattava tutti nello stesso modo; non importava quanti anni avesse rispetto all’opera originale a cui apparteneva nel mio mondo, Seto Kaiba era un arrogante, testardo, freddo pezzo di...

- Non c’è fine alle sciocchezze che mi stai riferendo – le sue ennesime parole di incredulità mi riportarono alla realtà.

Ormai lo aveva detto in tutte le salse; quante volte mi ero sentita ripetere una frase simile mentre gli raccontavo del mio mondo? Sorseggiai lentamente il tè che avevo davanti; per lo meno era stato sufficientemente cortese da offrirmi qualcosa da bere, o forse non aveva intenzione di lasciarmi disidratare con il rischio di perdere i sensi (stranamente, mi aveva colto un’intensa sensazione di sete).

- Eppure, è così, non ti sto mentendo. Nel mio mondo sei un personaggio di una serie animata. Anzi, di un fumetto – ripetei.

Kaiba si lasciò sfuggire un grugnito nervoso e lo osservai massaggiarsi le tempie; i miei occhi si focalizzarono sulle ciocche brune che gli solleticavano il collo. Assottigliai gli occhi: erano un accenno di barba, quei radi peletti che vedevo lungo la mandibola?

- Ridicolo, semplicemente ridicolo... – lo sentii commentare.

Trattenni uno sbuffo e posai la tazza nel piattino, il cui contenuto era ridotto ormai a meno della metà; peccato, era un ottimo tè!

- Kaiba-san... se non fosse così, come spiegheresti tutto quello che so sul tuo conto? Su Yugi-san, Atem-san, e gli altri?

Lo udii emettere una specie di brontolio infastidito tenendo i denti stretti; i suoi occhi di ghiaccio mi fissarono.

- Basterebbe verificare che tu abbia avuto contatto con una sola persona tra le mie conoscenze, e potrei dimostrarti il motivo più logico e plausibile del perché sai così tanto – rispose.

Inarcai un sopracciglio e incrociai le braccia, scivolando un po’ sulla sedia e squadrandolo a mia volta, sguardo che non approvò a giudicare dal tic all’occhio che lo colse per qualche secondo. Non ero convinta, certo che non lo ero: sapevo di cosa stessi parlando!

- Kaiba-san, prova pure. Vedrai che nessuno mi conosce. Né io ho mai avuto contatto con nessuno di loro – sospirai, appoggiando il gomito sul tavolo e portando la mano sulla mia guancia - Chiedi alla polizia o chi di competenza se esisto: non mi troveranno in nessun archivio anagrafico di nessun paese. Non possiamo continuare a discutere di questo all’infinito. Piuttosto, come torno a casa?

Il silenzio calò su di noi. Kaiba mi guardava impassibile e freddo, io ricambiavo con un’espressione tra il rassegnato e lo speranzoso, incerta che potesse aiutarmi. Non aveva idea che fosse un disegno su carta, figurarsi progettare una macchina per riportarmi nel mio mondo senza sapere come avevo fatto ad arrivare nel suo.

Forse era tutto un sogno? Mi pizzicai di nuovo la mano, giusto in caso: strinsi appena le labbra per non emettere un piccolo gemito di dolore, ignorando l’uomo di fronte a me che scuoteva la testa nel vedermi comportare in modo così infantile.

- Quanti anni hai esattamente, otto? – chiese sarcastico.

- Nu-uh, venticinque.

Colsi un accenno di sorpresa sul suo volto; sgranai gli occhi, temendo che pensasse fossi più vecchia.

- Ti avrei dato a malapena vent’anni – dichiarò Kaiba.

Arrossii, non so se per imbarazzo, irritazione o lusinga; sentirsi dire di dimostrare meno anni poteva essere interpretato come un “sembri una bambina, hai bisogno di aiuto?”, “sembri una mocciosa, ti tratterò da tale” oppure “hai una pelle ancora così bella, complimenti!”.

Sollevai le spalle e approfittai dell’osservazione per scoprire la sua età attuale.

- Nel mio mondo, il fumetto in cui appari, vieni rappresentato come un sedicenne – gli dissi, sorseggiando il resto del tè che si era nel frattempo raffreddato, - e nella serie animata, forse l’ultimo film, mi sembra tu abbia diciannove anni...

Kaiba inarcò un sopracciglio e abbozzò un ghigno non ben identificato.

- Heh, quello era vent’anni fa...

Quasi mi strozzai con l’ultimo sorso di tè e rischiai di sputarglielo in faccia: aveva t r e n t a n o v e anni?!

Dadd- no. Lubaba. No. No.

Mi coprii la bocca con la mano mentre tossivo nella manica, i miei occhi intenti a controllare il suo aspetto: sembrava infastidito dalla mia reazione, o forse era uno sguardo interrogativo? Aveva sempre un’espressione così truce... Possibile che non gli fosse venuta una sola ruga a forza di aggrottare così tanto le sopracciglia?

- P-Pensavo molto di meno. Tipo, trent’anni? – ammisi con un filo di voce, interrotto ancora da un paio di colpi di tosse.

Kaiba abbozzò di nuovo un ghigno, questa volta più riconoscibile: sembrava divertito, forse anche compiaciuto dalla mia osservazione.

- I geni sono una cosa curiosa, non trovi?

Sbattei le palpebre e sorrisi, annuendo; Kaiba aveva mai conosciuto in qualche modo i suoi genitori originali? Ne sapeva qualcosa? Aveva mai provato a cercarli...? Non ricordavo molto a proposito di questo, in ogni caso pensai che fosse ironico e, ciò nonostante, non riuscii a trattenermi.

- Oh, una cosa meravigliosa...! – e iniziai un monologo sui geni nelle varie popolazioni etniche e quanto potessero influire sulla sopravvivenza e sull’adattamento dei singoli individui, sulle risposte ai vari stimoli, e molto altro, quasi dettagliatamente. Quasi, era passato solo poco più di un anno dalla laurea, ma il mio cervello era già un po’ arrugginito.

Mi accorsi solo dopo un bel po’ di tempo che mi stavo dilungando, notando gli occhi spalancati e la postura rigida di Kaiba; eppure, era stato lì ad ascoltarmi tutto il tempo senza interrompermi.

Sogghignò di nuovo e appoggiò entrambi i gomiti sul tavolo, intrecciando le dita di fronte al suo viso mentre mi esaminava direttamente.

- Hai studiato medicina?

- No-Non proprio. Sono tecnico di laboratorio biomedico da circa un anno – spiegai, arrossendo leggermente.

- Quelli che lavorano nei laboratori di analisi? Allestiscono vetrini, fanno test di identificazione, eccetera? – domandò Kaiba, che curvò le labbra in un altro ghigno al mio assenso, - Interessante. Quanto siete avanti, dal punto di vista tecnologico?

Sgranai gli occhi, prima di lasciarmi sfuggire una risata. In confronto alla tecnologia di cui disponeva in quel mondo...

- Quanto siamo indietro, vorrai dire!

Chissà che non avessero sostituito i tecnici con dei robot, per eseguire le colture in microbiologia, o addirittura tutti i vari processi analitici. Beh, se Kaiba sapeva chi fossero, forse non erano ancora stati del tutto sostituiti.

 

In qualche modo avevamo perso la cognizione del tempo e continuavamo a saltare da un argomento all’altro, seguendo un po’ quel filo logico che caratterizza una persona del ventunesimo secolo quando ha in mano un qualsiasi dispositivo digitale quale computer, tablet o smartphone: inizia a fare ricerche, magari affini ai propri studi, poi trova la notizia di un esperimento per dare alla luce degli ibridi animale-umani, da qui trova un articolo sulla scimmia ragno, che la condurrà a scoprire la top 10 dei ragni più pericolosi, che la porterà a leggere di più sull’Oceania, il continente che ti vuole morto1, che la incuriosirà sui piatti locali, che le farà venire in mente una ricetta in particolare da trovare per preparare il pranzo di quella giornata... Di solito l’inizio e la fine sono sempre quelli, rispettivamente studio e cibo. No?

Parlando dell’età, avevamo accennato alla genetica, mi aveva chiesto dei miei studi e della mia professione, ci eravamo scambiati qualche osservazione in proposito, poi mi aveva parlato dei suoi studi o, meglio, del suo talento e del suo impegno e delle sue invenzioni e delle sue ambizioni... improvvisamente il discorso era caduto su Pegasus, che scoprii non essere così “vecchio” come avevo immaginato.

Infine, l’argomento d’interesse era diventato il gioco di carte stesso che caratterizzava la serie.

- Non sono così difficili le evocazioni Pendulum, cosa non capisci? – chiese Kaiba con quel tono giudicante e sprezzante nei confronti della povera me che si era lamentata.

Scoprendo un po’ troppo tardi che nelle fumetterie si svolgevano i tornei di Yu-Gi-Oh, avevo provato a partecipare: non che mi dispiacesse, seppur fossi quasi l’unica femmina, e incontravo gente simpatica e piacevole, tuttavia, ero una totale frana. Essendomi aggregata un po’ tardi, sapevo giocare solo secondo lo “stile vecchio”: scoprire che erano state introdotte le evocazioni Synchro, XYZ e quella diavoleria dell’evocazione Pendulum, mi aveva sconvolto la vita. E il mio cervello non era riuscito ancora ad abituarsi a quel nuovo modo di giocare, visto anche il poco tempo da dedicare che avevo, tra le lezioni al liceo e all’università prima e il lavoro poi.

- Forse non è tanto capire, quando disprezzare il concetto – finsi solennità nella mia affermazione, per cercare di apparire un po’ più intelligente.

Kaiba mi rivolse uno sguardo di sufficienza; sospirai.

- Non solo Pendulum, ho sempre difficoltà anche con le evocazioni Synchro e XYZ. Se devo essere proprio sincera, mi sembra proprio che sia diventato tutto troooppo articolato. Un turno dura quasi un’ora a forza di attivare carte magie, carte mostro effetto, e fare avanti e indietro dal deck al cimitero e dalla mano al deck – borbottai, appoggiando la guancia su una mano.

L’uomo di fronte a me scosse la testa.

- Come tanti attività ludiche, si parte con qualcosa di semplice, per poi elaborarla al massimo delle sue potenzialità. Perché accontentarsi di semplici evocazioni, attacchi e difesa, carte magie e trappola a sorpresa, quando si possono sfruttare effetti più intricati e usare il cervello per pianificare il gioco? – abbozzò un ghigno, incrociando le braccia al tempo, - Le persone hanno bisogno di stimoli, di sfide, di essere messe alla prova per continuare una qualsiasi attività. Ricercano il senso di appagamento.

Lo fissai battendo le palpebre sorpresa: il suo discorso era sensato; non avevo mai pensato a questo aspetto.

Ciò nonostante, un pensiero mi fece inarcare un sopracciglio.

- Ok, questo si applica alla maggioranza; per quanto riguarda quella minoranza che vuole giocare tranquilla, senza sentirsi frustrata o incapace?

Kaiba corrugò la fronte.

- Personalmente, trovo questa minoranza patetica e semplicemente incompetente. Oggettivamente, al mercato interessa far contenta la maggioranza.

Infilai una mano sotto il velo per massaggiarmi il retro del collo, mentre sospiravo e ponderavo sulle sue parole, ignorando una piccola fitta causata dal suo definirmi indirettamente patetica e incompetente, facendo io stessa parte di quella minoranza in questione.

- Il mercato... Non sono una fan del perbenismo e dell’inclusività gettata a destra e manca, ma non eri quello che voleva insegnare agli alieni come giocare a Yu-, volevo dire, a Duel Monsters?

Kaiba schioccò la lingua, scuotendo la testa.

- I giornalisti hanno estrapolato le mie parole da un altro contesto e creato questa notizia ridicola.

Questa volta fu il mio turno di rivolgergli uno sguardo di sufficienza; Kaiba assottigliò gli occhi nell’ennesima espressione torva e rimanemmo un bel lasso di tempo a fissarci in silenzio.

Mi correggo: eravamo entrambi due arroganti, testardi, freddi (io, fredda?) pezzi di...

- O forse non hai avuto dei buoni istruttori. In piedi, andiamo nella sala di Duel Monsters, ti addestrerò io.

Kaiba improvvisamente si alzò, avviandosi lungo uno dei corridoi collegati a quella stanza; strabuzzai gli occhi nel seguirlo con lo sguardo. Quando si fermò per girarsi e guardarmi male, pronunciando un gelido “Muoviti!”, automaticamente mi sollevai dalla sedia in posizione eretta e affrettai il passo verso di lui, seguendolo mentre proseguiva il suo cammino.

Non so se fossi più sbigottita dalla sua proposta di insegnarmi, o dal fatto che aveva pure una stanza da dedicare al gioco di carte.

Un momento.

Ciò significava che avrei visto i mostri delle carte prender “vita” tramite gli ologrammi?!

Kaiba mi rivolse uno sguardo stranito e seccato nel sentirmi trotterellare dietro di lui con entusiasmo, e scosse la testa.

- Che bambina.

 

 

 

 


Rieccomi! Non era mia intenzione impiegarci così tanto a scrivere il nuovo capitolo, ma ho di nuovo faticato a organizzarmi, o meglio, a rispettare i programmi pianificati... Settimana prossima ho due esami e voglio piangere con tutto gli appunti che ho già da sistemare del secondo semestre.

Ho avuto qualche difficoltà a scrivere questo capitolo; descrivere un personaggio come Kaiba non è così semplice, né tantomento le possibili interazioni con le persone intorno, soprattutto con la nostra protagonista, Lubaba.
Se non lo aveste notate, Kaiba non sa ancora il suo nome e non l'ha ancora chiesto.

Avete mai giocato a Yu-Gi-Oh? Io ho abbozzato la mia esperienza in questo capitolo, rendendola parte dell'esperienza di Lubaba, con la differenza che me la immagino molto più brava di me e soprattutto, piccolo spoiler insignificante, grazie a Kaiba riuscirà a capire come usare i vari tipi di evocazione. Continuerà a detestare l'evocazione Pendulum, però. Quella è proprio terribile.

Grazie a chi sta leggendo, a chi leggerà, e a chi apprezzerà la storia!

A presto!


1Chi riconosce la citazione?

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